6 PRIMO PIANO Giovedì 12 Novembre 2015 Così viene definita la Puglia di Michele Emiliano che però nega di essere nemico di Renzi L’impero anti-renziano d’Oriente Emiliano polemizza con Renzi ma solo se e quando serve DI SERGIO LUCIANO L’ impero anti-renziano d’Oriente non abita (ancora) qui: Michele Emiliano, amatissimo neoeletto governatore della Puglia, nelle liste del Pd ma non per questo sostenitore del «pensiero unico» che i detrattori rimproverano al premier di voler imporre a tutti, dice infatti di no: «Se qualcuno mi chiedesse di lavorare contro Renzi rifiuterei, al contrario lavoro per lui». Eppure lo contrasta e lo critica a ogni passo, gli fa notare il direttore di Panorama Giorgio Mulè, in un’intervista pubblica di pochi giorni fa a Bari: «Dico semplicemente che avere qualcosa da ridire nei confronti del governo non significa stare all’opposizione», replica però, pacatamente, lui. E poi, sornione, attenua un po’ la portata di questo sostegno incondizionato a un personaggio antropoloficamente molto lontano da lui, come appunto il premier: «Noi sosteniamo tutti i governi, soprattutto quelli del Pd, anche se perfino a Silvio Berlusconi che me li chiese prestai alcuni autocompattatori per Napoli». Tanto Renzi è «Pittibimbo», veloce battutista un po’ arrogante, tanto Emiliano è pacato, quasi lento, anche se poi dialetticamente è fine e di quando in quando scocca una battuta ironica da taglio sottilissimo. Il tema recondito, lì in Puglia, è che tutti i fan di Emiliano lo vedrebbero bene premier, e un coro muto del genere, dietro le spalle, lusingherebbe chiunque. Anche lui, per quanto dica di no. E intanto, non perde occasione per fare le pulci all’impetuoso toscano. Come dire: fratelli-coltelli. Per esempio sull’Italicum: «Così com’è, è molto rischioso per il Pd. O il partito arriva alle prossime elezioni con forza tale da prendere il 40% da solo, ma sarà difficile; oppure si va al ballottaggio e allora l’elettorato che non è di centrosinistra italiano, contrario all’ipotesi che il centro-sinistra resti al governo, giocherà a sfasciare, punterà sul Movimento Cinque Stelle in base a un calcolo elementare: far perdere la sinistra, constatare che i Cinquestelle non sanno governare e riaprire uno spiraglio all’alternativa moderata. Per questo dico che ci vuole il premio di maggioranza alla coalizione e bisogna che il Pd sia un partito coalizionale. Non sono fuori linea rispetto a Renzi perché anche lui ha detto che non eslcude modifiche al meccanismo elettorale. Certo, con le alleanze si rischia di farsi condizionare da volontà altrui, ma l’alternativa è inverosimile: significherebbe azzerare le correnti interne, azzerare le leadership esterne, eliminare ogni concorrente e governare bene da soli. E intanto che riesci in tutte queste premesse? Tutti si alleano contro di noi! Però fare un’analisi del genere non significa remare contro o mettere in dubbio la leadership di Renzi, significa anzi lavorare nella stessa direzione promuovendo alleanze, cioè una cosa che si fa regolarmente in politica». Però, tra Emiliano e Renzi, c’è un rapporto a due facce. Stima e disistima, simpatia e antipatia: «Se sei eletto dal popolo devi metterci la faccia e non puoi trovare la scusa di dire che la colpa è di un altro. Questo è il punto di maggiore convergenza mia con Renzi, a volte fa cose che non condivido ma ci mette faccia totalmente». E poi, replicando alle critiche contro la sua linea dura governativa sui tagli alla sanità per le Regioni: «Se sarà necessario siamo disposti a fare sacrifici, anche a chiudere 25 ospedali, se serve per aggiustare le cose, io per questo faccio il presidente, poi se non mi rieleggono non fa niente», ha detto. E ha aggiunto, tagliente: «Fitto, Vendola, Renzi, sono politici puri, sono persone che se un giorno il loro incarico pubblico finisce all’indomani non sanno che fare, io ho lavorato fino ai 45 anni, metà letteratura e film si fondano sul lavoro bellissimo che facevo, quindi se torno a lavorare non è un problema». E in effetti, a dispetto delle dichiarazioni d’amore, c’è il rischio che Emiliano venga mandato a casa se continuerà nelle critiche aperte al premiersegretario: «Aver impugnato la Buona Scuola non vuol dire essere all’opposizione del governo. Non siamo contrari alla Buona Scuola in toto, ma abbiamo valutato che il dimensionamento scolastico che spetta a Regione fosse leso dalla Buona Scuola e l’abbiamo impugnato. Che quest’operazione significhi passare all’opposizione al governo no. Io ero e sono preoccupato dal destino di quegli insegnanti che dopo 10-20 anni di lavoro si sentono dire di dover andare a centinaia di chilometri per ottenere un contratto che gli spettava da anni e anni. Io so bene quanto sono stati importanti per quelli che, come me, non contavano niente, i giorni passati nei banchi. Non credo che la scuola italiana fosse cattiva comè stata dipinta». Qualche affettuosità Emiliano l’ha usata verso Renzi sul tema del Ponte di Messina: «Confesso: considero questa storia una di quelle che non io avrei neanche il coraggio di nominare, ma l’altra sera a Palazzo Chigi, quando abbiamo parlato col presidente Renzi con calma e lui ha detto – ed è obiettivamente un uomo dotatissimo nel pensiero politico – che prima o poi quel Ponte bisognerà farlo, ma non prima delle infrastrutture per arrivarci, diciamo che prima o poi il Ponte lo faremo, ho considerato che fosse una presa di posizione geniale politicamente. È un programma che sistema tutti dicendo una cosa vera. Sarebbe bello se riuscissimo a fare il Ponte dimostrando che ha una sua utilità, ha senso, come hanno avuto senso fare tanti ponti che hanno cambiato in meglio la vita di tanti luoghi, ma prima facciamo le infrastrutture». Ma, infervoratosi, Emiliano è andato oltre: «Renzi ha nel cuore sul Sud la stessa spina che ho io, ma io penso che il Sud bene incoraggiato possa rispondere bene e aiutare il paese a uscire dalla crisi, e penso che prima o poi lo convincerò». Poi ha aggiunto che «finora i governi rispetto al Sud hanno fatto poco, questo governo pure, ma si accinge a varare a gennaio il Piano per il Sud, misuriamolo su questo, finora non è successo nulla. Per esempio, noi stiamo chiedendo misure di fiscalità di vantaggio, che siano l’equivalente del denaro che l’Unione Europea assegna per chiudere il delta di sviluppo che c’è tra Nord e Sud. Se aggiungiamo anche queste misure di vantaggio molte aziende potrebbero decidere di localizzarsi giù. Se lo facciamo, applichiamo correttamente l’articolo 3 della Costituzione…». Insomma, una doccia scozzese tra attestati di stima e impennate di orgoglioso dissenso: «Le Regioni hanno i soldi per pagare i loro fornitori, ma non glieli fanno usare, bloccati come sono dal Patto di stabilità. Abbiamo questo patto folle che genera recessione, che però serve a stare nel club Ue perché partner europei si sentono tranquilli. È un sistema delirante». L’obiettivo di Emiliano – confessa – è quello di «far diventare la Puglia la migliore Regione d’Italia, soprattutto nella sanità, misurata secondo i parametri dell’Università Sant’Anna di Pisa. Poi vedremo cosa accadrà, se ci riusciremo, ma una cosa è sicura, dobbiamo giocare per la leadership». IL CAMEO DI RICCARDO RUGGERI Come siamo lontani, nell’arte, dall’Urlo di Munch che annunciava l’orrore delle due guerre mondiali, i lager nazisti e i gulag comunisti DI F RICCARDO RUGGERI ino al 2009 considerai l’arte contemporanea uno dei «segnali deboli» da cogliere, quelli che mi avrebbero aiutato a capire questo mondo curiosamente squallido, forse proprio perché così banale. La discriminante fu un libro (750 pagine) uscito quell’anno: «Parigi-New York e ritorno, viaggio nelle arti e nelle immagini» di Marc Fumaroli, professore emerito al Collège de France e membro dell’Accadémie. Da allora, nella mia personale classifica, degradai l’arte contemporanea a «segnale debole» di secondo livello, ridando il posto che le spettava alla «pubblicità», secondo l’intuizione-invettiva di Paul Valéry «La pubblicità, uno dei mali più grandi di questi tempi, insulta i nostri sguardi, falsa tutti gli epiteti, rovina i paesaggi, corrompe ogni qualità e critica». Feci mia l’analisi di Marc Fumaroli «Dopo gli anni ’60 abbiamo assistito alla profezia balzacchiana e baudelairiana e alla quasi scomparsa nelle catacombe, dopo la morte di Picasso, Braque, Matisse, Pollock, Rothko, Bacon, dell’arte del dipingere. Al suo posto sono sorte e hanno proliferato un’arte contemporanea e delle arti plastiche interamente asservite all’immagine tecnologica, alla pubblicità, al commercio del lusso. La sottomissione dell’arte all’industria e l’invasione della fotografia previste da Baudelaire si sono così consumate. Nessuna polemica, sia chiaro, l’importante era averlo capito. Da allora, con questo spirito visito, non tanto le gallerie o i musei d’arte contemporanea (preferisco chiamarla «delle arti plastiche»), li trovo stucchevoli come un listino di borsa, preferisco andare alla fonte, alle mostre-mercato come Torino (Artissima), Basilea, dove si compra e si vende. Ho visitato Artissima, come faccio di solito, da «spione». Mi piazzo dietro a giovani visitatori, fingendo di guardare le opere che loro guardano, cerco di carpirne le parole, le espressioni, le emozioni, soprattutto il linguaggio. Quando visito Basilea o Torino capisco di essere vecchio, è lontano il tempo in cui l’urlo di Munch mi sconvolse, facendomi capire, a posteriori, le due guerre mondiali, i lager nazisti, i gulag comunisti, quando la «merda d’artista» di Manzoni (1961) fu come un pugno nello stomaco, capii che avrebbe rappresentato il mondo nel quale sarei vissuto, oggi mi sono ridotto a un miserabile voyeur di altrui emozioni. A mia scusante c’è stata la conoscenza di una figura per me sconvolgente, l’art advisor di Unicredit. Costui ha spiegato il suo ruolo, con un linguaggio fra il supermanager e l’imbonitore «..non parliamo di investimenti, ma spieghiamo l’arte e le tendenze, solo così si compra bene …». Prima di averlo come personal trainer artistico devi però compilare un questionario, chi sei, quale le tue preferenze (scultura, fotografia, installazione, etc.), quanto vuoi spendere (fiche minima 1.000 €), solo allora l’art advisor (sarà stata anche questa un’idea del grande banchiere Profumo?) ti accompagna negli stand giusti. Mi ha ricordato il mitico casino di via Calandra 15, quello della mia adolescenza, noi ci limitavamo a guardare (golosi) le opere discinte, l’art advisor era rappresentato dalla maitresse, un kapò donna che aveva il potere di allontanare noi clienti non attivi (per mancanza di fiche minima) con l’orrendo «flit» (petrolio profumato). Anche lì c’era un tariffario («semplice», «doppia», «mezz’ora», etc.), il cliente facoltoso veniva accompagnato nello stand giusto. Era quella un’epoca dominata da un moralismo d’accatto di cui, con fatica, ci siamo liberati, ora siamo evoluti al punto che non usiamo più termini osceni come maitresse e puttane, ma il politicamente corretto ha trovato questa meravigliosa locuzione: art advisor e artista. Uscito da Artissima ho sputato un tweet: «Artissima cavalca il cambiamento o lo certifica?» Una sconosciuta, gentile signora, Stefania Falletti, mi ha risposto all’istante «bella, bellissima domanda, la realtà viene prima della vision?». Non ho saputo rispondere, il nostro colloquio nell’etere lì si è interrotto. [email protected] @editoreruggeri © Riproduzione riservata