Paolo Teodori Fondamenti di composizione Testo sintetico con

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Paolo Teodori
Fondamenti di composizione
Testo sintetico con approfondimenti
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Roma, novembre 2015
Indice
Introduzione
Testo breve, PRIMA PARTE
Capitolo I: Scale e Modi
- Semitono/tono
- I modi usati nella nostra musica
- Relativo maggiore/minore
- Alterazione del VII per avere la ‘sensibile’
- Trasposizione delle scale e nome della scala
- Alterazioni costanti
- Scale /tonalità possibili in base alla scala cromatica
- Altre scale in uso nella musica attuale
- Relazione gerarchica tra i gradi della scala; nomi convenzionali
attribuiti ai gradi
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Capitolo II: intervalli
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Capitolo III: Accordi, definizioni, costruzione
- Classificazione delle triadi
- Classificazione delle settime
- Identificazione dell’accordo
- Costruzione dell’accordo, regole generali
- Posizione melodica
- Disposizione armonica
- Stato del basso
- Raddoppi e omissioni
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Capitolo IV: numeri e sigle
- Numeri arabi
- Numeri romani
- Sigle impiegate nella musica attuale
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Capitolo V: Condotta delle parti/voci
- Moto melodico/moto armonico
- Moti melodici proibiti
- Moto armonico
- Tipi di moto armonico
- Errori nel moto armonico ed eccezioni alle regole
- Condotte obbligate: sensibile, note alterate, dissonanze
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Capitolo VI: tonalità e cadenze
- Tonalità
- Cadenze
- Formule di cadenza
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Capitolo VII: accordi dissonanti
- Triade diminuita
Triade di sensibile
Triade diminuita sul II della scala minore
- Accordi dissonanti con funzione di dominante
Settima di dominante
Accordi di nona di dominante
Nona di dominante maggiore
Nona di dominante minore
Accordi di 7^ sulla sensibile
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34
34
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34
34
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35
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36
2
7^ di sensibile
7^ diminuita
- 7^ sul II della scala maggiore
- 7^ sul II della scala minore
- Altri accordi di 7^
36
36
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37
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Capitolo VIII, Note di fioritura
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Capitolo IX: Ritardi e appoggiature
- Ritardi
Ritardo della fondamentale degli accordi sul I e sul II
Ritardo della 3^ sul I e sul V allo stato fondamentale
Ritardo della 3^ nel secondo rivolto degli accordi di 7^
sul V e sul II
Ritardo della 3^ al basso
Ritardo della 5^
- Appoggiature
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41
41
41
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Capitolo X: Sequenze (progressioni)
- Alcuni modelli di sequenza
Basso che scende di 5^ e sale di 4^ (tonale)
Basso che scende di 5^ e sale di 4^ (modulante)
Basso che sale di 4^ e scende di 3^ (tonale/modulante)
43
43
43
44
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Capitolo XI: Armonia cromatica
- Alterazione relativa/reale
- Effetto modulante/non modulante
- Alterazioni più comuni
IV aumentato
VI abbassato
II abbassato (“sesta napoletana”)
- Enarmonia
Trasformazione enarmonica della sesta aum. tedesca
in 7^ di dominante
Trasformazione enarmonica della 7^ dim.
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46
46
46
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Capitolo XII: Modulazione
- Composizione di un giro armonico tonale
- Grado di affinità
- Tecniche di modulazione
Tramite accordo comune
Accordo in comune: 1° gradi di affinità
Accordo in comune, 2° grado di affinità
Accordo in comune, 3° grado di affinità
Accordo in comune, 4° grado di affinità
Tramite cromatismo
Tramite enarmonia
Modulazione ai toni lontani con trasf. enarm.
della 7^ dim.
Mod. ai toni lontani con trasf. Enarm. Della 7^
di dom in 6^ tedesca.
Transizione
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Ricapitolazione: regole essenziali
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42
42
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3
Testo breve, SECONDA PARTE
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Note preliminari
- Armonizzazione di ogni tempo della battuta
- Errore di sincope armonica
- Cambio di posizione melodica
- Tempo
- Pause al basso
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56
56
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Armonizzazione dei gradi della scala
I
II
III
IV
V
VI
VII
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60
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Regola dell’8^
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Argomenti specifici
1. Modulazioni al basso
1a. Alterazioni al basso
1b. Movimento tipici del basso
2. Note di fioritura
2a. Note reali, di arpeggio
2b. Note estranee, di passaggio o di volta
3. Basso in sincope e ritardi al basso
3a. Basso in sincope
3b. Ritardi al basso
4. Ritardi
4a. Ritardo della 3^ sul I e sul V allo stato fond.
4b. ritardo della 3^ nel secondo riv. Degli accordi di 7^
sul V e sul II.
4c. Ritardo dell’8^ della fondamentale
4.d (Ritardi al basso: vedi su “basso in sincope”)
5. Sequenze (progressioni)
5a. Sequenza di basso legato discendente
5b. Sequenza circolare di quinte discendenti
5c. Basso che scende di 3^ e sale di grado
5d. Basso che sale di 4^ e scende di 3^ (tonale/modulante)
5e. Basso che sale di 5^ e scende di 4^
5f. Basso cromatico discendente: cfr. p. 44
5g. Basso cromatico ascendente: cfr. p. 44
Sequenze imitate
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64
64
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66
66
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68
68
68
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70
70
IPERTESTI
Ipertesti capitolo I: scale e modi
1.1 Scale e modi
1.2. La scala nel periodo del canto gregoriano; uso del si bem.
1.3. Uso del nome dei modi nella musica attuale
1.4. Scala minore naturale e altri tipi di scala minore
1.5. Uso “in superficie” della scala pentatonica nella musica attuale
1.6. uso attuale della scala minore
1.7. Scala blues
1.8. Gerarchia dei gradi della scala
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72
72
73
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73
73
75
75
79
80
80
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83
83
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1.9. Gradi e metrica
Il quinto grado
Funzione dei gradi e disposizione delle frasi: antecedenteconseguente. Prevedibilità
1.10. Inventario sintetico delle funzioni dei gradi
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84
85
Ipertesti capitolo II: Intervalli
2.1. Intervalli e contenuti affettivi
2.2. Intervalli melodici e dinamica della melodia
2.3. Intervalli armonici consonanti/dissonanti; fenomeno fisico
armonico
2.4. Intervalli consonanti/dissonanti, ovvero stabili/instabili
2.5. Trattamento tradizionale/attuale della dissonanza
2.6. In un intervallo dissonante, quale dei due suoni è dissonante?
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89
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Ipertesti capitolo III: Accordi, definizione, costruzione
3.1. Perché il minimo per formare un accordo è tre suoni e non due?
3.2. Gli accordi secondo una visione più larga e secondo
la nostra cultura.
3.3. Origine contrappuntistica degli accordi
3.4. Attorno all’origine degli accordi di settima
3.5. Formazione degli accordi per sovrapposizione ideale
o reale d’intervalli di terza.
3.6. Basso fondamentale e tonica, tre cose differenti
3.7. Classificazione degli accordi dei gradi delle scale (maggiori,
minori), teorie.
3.8. Classificazione degli accordi di 7^ in relazione a costruzione
e risoluzione
3.9. Classificazioni, grammatica, linguaggio
3.10. Attorno alla disposizione armonica stretta/lata
(chiusa/aperta)
3.11. Attorno allo stato del basso
3.12. Uso del secondo rivolto della triade (accordo di 4^ e 6^)
3.13. Gli accordi nella musica attuale
3.14. Raddoppi
3.15. Identificazione dell’accordo indipendentemente dal
contesto tonale.
- Accordi scritti in verticale o sciolti in arpeggio
- Accordi deducibili da figure contenenti note estranee
- Come riconoscere gli accordi in una scrittura con un
numero limitato di voci.
- Durata dell’accordo
103
103
103
Ipertesti capitolo IV: numeri e sigle
4.1. Evoluzione nell’uso dei numeri
4.2. Il basso numerato nell’epoca del basso continuo
4.3. La teoria del basso fondamentale
4.4. Simboli impiegati nella teoria funzionale dell’armonia
4.5. Quale sistema di notazione preferire?
Bibliografia capitolo IV
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Ipertesti capitolo V: Condotta delle parti/voci
5.1. Moto melodico, moto armonico: approfondimenti
5.2. Moto melodico
la condotta melodica delle parti nei collegamenti di accordi
5.3. Moto armonico
- Indipendenza e interdipendenza
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131
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- Riguardo l’errore di ottave, quinte e unisoni paralleli
5.4. Riguardo l’errore di unisoni, quinte, ottave per moto retto
5.5. Autocorrezione
- Unisoni, quinte e ottave paralleli
- Unisoni, quinte, ottave per moto retto
5.6. Falsa relazione di tritono
5.7. Praticamente: il collegamento degli accordi
- Muovere le parti/voci il meno possibile
- Collegamento di accordi allo stato fondamentale
con suoni in comune
- Collegamento di accordi allo stato fondamentale senza
suoni in comune
- Collegamento di triadi allo stato fondamentale e di rivolto
5.8. Un “errore” scolastico, unisoni, quinte e ottave paralleli
a distanza
5.9. Considerazioni riguardo l’applicazione di queste regole
nella musica
5.10. Trattamento della dissonanza
- Non raggiungere le dissonanze per moto retto
- Non far procedere le parti per dissonanze parallele
- Ammesso con moderazione raggiungere le dissonanze
per moto contrario
- L’uso della preparazione (dissonanza raggiunta
per moto obliquo) facilita l’intonazione della dissonanza
5.11. Costruzione e collegamento degli accordi di settima
5.12. Eccezioni nell’uso della dissonanza
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Ipertesti capitolo VI, Tonalità e cadenze
6.1. La tonalità
6.2. Alle origini della tonalità
Uso della dissonanza in sincope e cristallizzazione
del meccanismo cadenzale
6.3. Osservazioni sulla quarta e sesta sul V in cadenza
6.4. Osservazioni sulla cadenza plagale
6.5. Annotazioni sulla cadenza evitata
6.6. Costruzione della frase sulla base del giro armonico tonale
6.7. Eccezioni nelle successioni armoniche tonali
6.8. Nota sul collegamento degli accordi in campo tonale
6.9. Tonalità, cadenze e forma musicale
6.10. La tonalità nella musica attuale
La tonalità nella popular music
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Ipertesti capitolo VII: Accordi dissonanti con funzione di dominante
7.1. Gli accordi del gruppo della dominante
7.2. La triade di sensibile
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Introduzione
La musica non è un’arte, ma un linguaggio. Come tale da un lato si serve di meccanismi di funzionamento
comuni a qualsiasi altra lingua, dall’altro - ancora comunemente a qualsiasi altra forma linguistica - possiede
una propria specificità formale e un campo privilegiato di contenuti di espressione.
Certo, esiste un livello artistico dell’espressione musicale; ma non è il più usuale, né potrebbe esserlo.
Dunque, nessuna paura a definire come “musica” anche quella che viene trasmessa normalmente per radio o
che viene “sparata” nelle discoteche; e nessun problema deve esserci nell’ammettere che a questa musica non
compete il livello d’arte proprio di una sinfonia di Beethoven o di una canzone di Battisti. C’è musica e
musica, un po’ come le scarpe: ci sono quelle per le serate di gala e ci sono gli stivali da pescatore, che non
sono belli, ma aiutano a non bagnarsi quando si entra in acqua.
La qualità della musica non dipende necessariamente dalla capacità del musicista che la fa o che la esegue:
spesso è in relazione con l’uso che di essa si fa. La dimensione estetica della musica è determinata da molti e
complessi fattori. Anche tentando di ricostruire la trama complessa di tali fattori - che hanno a che vedere
con la storia della cultura, con la funzione e il significato che una società dà all’arte e alla musica in
particolare, con la capacità che hanno determinati individui attraverso particolari oggetti di dire e
rappresentare i valori nei quali una certa cultura si riconosce – anche tentando di ricostruire questa trama,
resta l’inevitabile soggettività del giudizio di gusto e la conseguente irriducibilità dell’estetica a un
coefficiente di tipo matematico.
Una lingua non nasce né muore per volontà individuale; si fonda sull’uso e si evolve attraverso di esso, così
come si accumula e si deposita nell’esperienza quotidiana di secoli e millenni all’interno di una società
umana più o meno ampia che si riconosce in quell’uso e comunica attraverso di esso. Sono l’uso e
l’esperienza a costituire il fondamento di quell’insieme di consuetudini pratiche che si cerca di sintetizzare
nelle “regole della grammatica”; le quali regole non hanno dunque il senso negativo che solitamente si
attribuisce ad esse (questo non si fa, questo si però..., etc. etc.): sono, al contrario, il presupposto minimo ed
essenziale della comunicazione. Comunicare concetti, sensazioni o emozioni si può grazie alle regole, non
loro malgrado.
Tutto sta ad intendersi sul concetto stesso di regola, il che non è facile. Perché le regole dei linguaggi, e
dunque anche quelle della musica, non sono di natura matematica, del tipo cioè “2 + 2 = 4”. Sono tentativi di
sintesi, elaborati osservando il funzionamento del linguaggio naturale, così come esso viene usato
nell’esperienza; non hanno né possono avere confini definiti una volta per tutte. Quando, per esempio, nella
lingua italiana dico la parola “città”, non ho il minimo dubbio di essere compreso da quelli che parlano la
mia stessa lingua: per “città” intendo un complesso di edifici raccolti in quartieri attraversati da una serie di
strade, con negozi, uffici, luoghi di divertimento e così via. Ci si intende, insomma, malgrado non esista una
città uguale all’altra e non esista neppure una regola di tipo matematico che determini, facendo il più facile
degli esempi, il numero minimo di edifici e strade di cui debba essere costituita una città.
Non esiste una regola, anche una sola, che non possa essere superata nell’uso. Le eccezioni alla regola
costituiscono uno dei fattori decisivi per l’evoluzione stessa del linguaggio. Non sono necessarie, ma sono
inevitabili; poi, man mano che le eccezioni entrano nell’uso, il linguaggio e la sua grammatica cambiano. È
ovvio che, per poter intendere qualcosa come eccezione, si deve possedere il codice comune di una lingua.
L’apprendimento di una lingua e del suo codice avviene tramite acculturazione, attraverso l’uso di essa nella
comunicazione con gli altri e con sé stessi.
Le regole sono “relative”, nel senso che non hanno una validità universale: “città” significa qualcosa per me
che parlo italiano, per un altro che non parli italiano non dice assolutamente nulla; in inglese la parola “city”
(la cui etimologia è nel latino “civitas”, così come per l’italiano “città”) ha conservato un significato vicino
ma non coincidente con quello di “città” (per “city” si intende propriamente il centro della città).
E tuttavia, che le regole siano relative non vuol dire che una regola vale l’altra, o, peggio, che una regola
possa essere sostituita quando e come si vuole con un’altra: non posso alzarmi la mattina e pretendere di
parlare una lingua nuova, magari perfetta, con un lessico e una grammatica nuovi, progettati di notte al
computer. Anche fare molto meno è impossibile; è impossibile, per esempio, decidere personalmente di
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indicare con il termine “città” una bistecca ai ferri: non mi capirebbero gli altri e io stesso incespicherei di
continuo.
Guardiamo alla musica: la relatività delle regole della grammatica è dimostrata girandosi attorno nello spazio
e nel tempo. La musica occidentale non è oggi quella che si faceva ieri (immaginiamo le difficoltà di un
Josquin des Prez alle prese con i Beatles!), né è la stessa che si fa altrove ed il senso di estraneità che
d’acchito suscita in noi la musica dei Pigmei è lo stesso identico che proverebbe un pigmeo ascoltando
Beethoven: quanta demagogia a sentir parlare della musica come un “linguaggio universale”!
Josquin e i Beatles: si intuisce, ascoltandoli, che si muovono in una matrice linguistica comune, che è poi la
stessa di un concerto grosso di Corelli o di una sinfonia di Brahms, ma percepiamo con nettezza lo scarto
profondo nel linguaggio. E’ la stessa sensazione di omogeneità e distanza che si ha leggendo Calvino e
Alfieri, o, andando più indietro nel tempo, Dante. Si intuisce cioè che nella struttura del linguaggio è rimasto
molto di simile o uguale (ed è ciò per cui noi diciamo che la Divina Commedia è in italiano) e insieme, però,
che sono altrettanto numerose le alterazioni prodotte nel tempo dalle variazioni del gusto, dei costumi, delle
mode o dai contatti con altre lingue.
Certo, guardando agli estremi è facile cogliere le distanze di stili e strutture musicali; molto meno lo è
guardando ai fenomeni più vicini. Di qui l’elasticità che si deve avere nel proporre regole in grado di
delineare i contorni stilistici di determinate epoche o determinati compositori: perché gli stili slittano
impercettibilmente e, prima ancora, sono essi stessi il risultato, la sintesi irriducibile a formula numerica, di
infiniti stili precedenti e contemporanei. Come qualsiasi forma di conoscenza umana, anche l’elaborazione di
uno stile musicale altro non è, né può essere, se non la rielaborazione di ciò che già si conosce. Il nuovo in sé
non esiste né può esistere; l’aver enfatizzato l’originalità e l’averla imposta come valore estetico in sé (ciò
che è avvenuto dall’epoca romantica avanzata fin vicino ai nostri giorni) ha incoraggiato la ricerca di nuove
frontiere del linguaggio musicale, fino all'idea di far coincidere codice e opera; secondo tale equazione, ogni
opera si distingue dall'altra perché inventa un linguaggio nuovo. Naturalmente, non si sindaca sulla liceità di
operazioni simili; ma è quanto meno ovvio che la comprensione dei prodotti che seguono questo principio si
limita ai discorsi che si fanno attorno ad essi – che infatti fluiscono copiosi e inevitabili – mentre è del tutto
negata per le opere in sé. Dire “ho capito questa musica”, con riferimento a un'opera di questo genere, in
fondo denuncia esattamente il contrario: ovvero il non aver capito nulla.
Se si accetta di identificare la musica con gli oggetti prodotti utilizzando un linguaggio musicale naturale, si
deve convenire sull'inopportunità di considerare musica in senso stretto i prodotti delle avanguardie musicali.
Se non sono lingua, possono essere musica?
Torniamo alla grammatica: quale grammatica?
E questo è un problema: quale grammatica descrivere? Il fenomeno della sovrapposizione degli stili è sempre
esistito; nell’esperienza di sempre e ovunque il linguaggio musicale è - come già detto - la sintesi complessa
e mutevole di una serie illimitata di altre esperienze: quelle passate (che a loro volta sono già state forme di
sintesi linguistica) e quelle presenti. Una lingua è in continuo movimento: pensare di fermarla in una
grammatica è già un paradosso. Questo è vero sempre, ma riferito ai nostri giorni lo è di più. Radio,
televisione, dischi e concerti ci fanno ascoltare quotidianamente, come fosse cosa normale, musica
medievale e rock, Mozart, Bartolomeo Tromboncino e quant’altro: non c’è alcun limite; a volte, basta sentire
una colonna sonora d’un film, per rendersi conto delle sovrapposizioni di cui siamo capaci. Se dovessimo
metter giù una grammatica della musica che oggi si fa, dovremmo spendere fiumi di parole per dire tutto
quel che è possibile.
Si dovrebbero scrivere tante grammatiche per quanti sono almeno i filoni stilistici più importanti; o,
addirittura, a voler capire meglio com’è fatta la musica di Mozart e Tromboncino, così come quella di
Guillaume de Machaut o Lucio Battisti, si dovrebbero leggere gli studi musicologici più approfonditi che
siano stati fatti a riguardo e subito dopo – cosa ancora più essenziale – si dovrebbe prendere carta
pentagrammata e matita e cercare di fare qualche buon esercizio di imitazione.
E tuttavia, anche questo non sarebbe sufficiente, perché chi si occupa di musica ha bisogno sì di studi
analitici, ma, e in ugual misura, di studi sintetici, che rendano ragione, per lo meno nelle linee essenziali, di
ciò che avvicina la grammatica della musica di Mozart a quella di Chopin. Si deve fare una sintesi, dunque, e
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perché essa riesca bene, si deve aver chiaro intanto l’obiettivo che si vuole raggiungere. Questo libro si
rivolge a chi studia musica ed esegue tanto Chopin come Mozart, Bach ed altri ancora un po’ più indietro nel
tempo; ma vuole parlare anche della nostra musica di oggi, del nostro linguaggio musicale; quale che sia il
giudizio estetico che se ne dà.
I manuali che circolano attualmente nei conservatori risolvono il problema sostanzialmente in tre modi. Il
primo è quello che ripete gli schemi collaudati dalla tradizione italiana (i partimenti, derivati dalla prassi del
basso continuo), mondati dalle eccedenze stilistiche che già furono numerose nell’epoca stessa del basso
continuo e rimandando in altra sede l’approfondimento sulle ragioni e sul senso dei meccanismi descritti
praticamente; il metodo funziona, se viene applicato ragionevolmente, se viene sostenuto dal riscontro
musicale di ciò che viene descritto, evitando la riduzione a regoletta numerica della risoluzione dei passaggi.
Un altro modo di scrivere una grammatica del nostro linguaggio musicale è quello di concepirla come una
grande raccolta dei principi essenziali dell’armonia (per esempio: come si costruiscono e si risolvono gli
accordi di settima?), tenendo come punto di riferimento la tradizione del basso continuo e allargando la
prospettiva quanto più si può sia all’indietro che in avanti nel tempo, fin dove lo sguardo riesce a conservare
un minimo di coerenza.
Ci sono poi i trattati di “armonia funzionale”, dove l’armonia tonale viene dedotta da alcuni elementari
principi strutturali: ci torneremo su, intanto qui vale la pena di accennare al fatto che questi manuali servono
più agli studiosi di teoria della musica che non ai musicisti pratici.
Il problema sostanziale della didattica della teoria musicale è che essa per tradizione si muove su un terreno
ostacolato da continui fraintendimenti ed equivoci: sul piano pratico, a volte capita di leggere regole
assolutamente arbitrarie; sul piano didattico, spesso la comprensione delle cose è impedita del tutto.
Il più insidioso di questi fraintendimenti - tanto più pericoloso perché genera a cascata una miriade d’altri
fraintendimenti - è quello di confondere il senso stesso che ha una grammatica musicale; di pensare cioè che
la grammatica sia un sistema naturale, frutto di meccanismi immutabili presenti in natura e non invece una
descrizione sintetica e perciò limitata di quel che avviene nella pratica; una descrizione quindi di quel che
avviene oggi e che è avvenuto per un periodo anche lungo di tempo, ma che domani può benissimo non
accadere più. Quanti sono quei trattati di armonia che non iniziano ponendo il fenomeno fisico della
risonanza armonica come premessa essenziale di quel che in seguito verrà trattato? Così è fatale l’errore, per
esempio, di spiegare l’uso che noi facciamo della dissonanza e della consonanza servendosi del fenomeno
fisico armonico, non meno di quanto sia fatale servirsi dello stesso fenomeno per spiegare le funzioni svolte
dagli accordi all’interno della tonalità. Ed è un errore d’impostazione devastante, che affonda le radici nella
distinzione che nell’antichità fu fatta tra la musica pratica (la musica di chi canta o suona) e la teoria della
musica: fu allora che si inserì la musica nel numero delle arti liberali sì, ma non tra quelle letterarie e
linguistiche (dove vennero ammesse grammatica retorica e dialettica), bensì tra le scienze matematiche
(assieme all’aritmetica, alla geometria e all’astronomia).
La musica, come qualsiasi fenomeno che riguardi l’uomo, poggia su tre piani, tutti reali: la natura fisica del
suono, le nostre qualità e i nostri limiti psico-fisiologici, la cultura. Tenuto conto dei primi due e dei limiti
che essi impongono, è l’ultimo il piano su cui si gioca la carta essenziale dell’uso dei materiali sonori al fine
di comunicare ed esprimere. I primi due piani, di per sé, sarebbero nulla, se non vi fosse l’uomo a dire come
si usano le cose. È l’uso a determinare le regole attraverso la condivisione; ed è dunque la condivisione lo
strumento essenziale perché possa esistere un qualsiasi tipo di espressione.
Ora, che la musica possa essere intesa come studio scientifico dello spostamento del suono nello spazio è
cosa lecita; basta intendersi su quel che si vuol dire col termine “musica”. Ma assumere le leggi della fisica a
fondamento del funzionamento del linguaggio musicale, o, peggio, dedurlo da esse come fossero principi
posti a priori è improprio e impossibile; porta sempre a scontrarsi con una realtà irriducibile a formula
matematica e dunque, inevitabilmente, a conclusioni sconclusionate e maldestre: ma se davvero il
fondamento del linguaggio musicale sta in una legge fisica, perché non tutti i linguaggi musicali sono uguali?
Quanto detto non toglie che debba essere tenuto in conto quel che nel nostro linguaggio musicale deriva dalle
teorie della musica del passato e del presente: la teoria della musica ha influito e influisce nella
determinazione del gusto e degli stili, che il suo sforzo descrittivo sia impostato correttamente o meno.
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Oggi, con l’avanzamento decisivo degli studi intorno alla cultura dell’uomo e ai linguaggi come forme di
espressione e comunicazione, è più difficile cadere negli equivoci del passato, e dunque non avrebbe senso
fare una grammatica della musica che partisse da quegli stessi equivoci.
Tuttavia, c’è, proprio oggi come accennavo sopra, una difficoltà enorme che deriva dalla complessità del
fenomeno musicale contemporaneo: sono tanti gli stili e le tendenze che si accostano, oppongono e
sovrappongono plasmandosi e riplasmandosi gli uni accanto alle altre nel campo della nostra esperienza
musical; per rendersene conto, basta accendere una radio o fare attenzione a quel che si sente mentre si fa
una passeggiata in città.
Molta musica sinfonica da film di oggi si lega visibilmente alla letteratura del primo Novecento, sia per quel
che riguarda il modo di comporre la musica, che per l’orchestrazione. Ma per altro verso si allontana da
quella musica per via dei contatti che ci sono stati nel tempo con le correnti del blues, del jazz e della
popular music: correnti che lungo il corso del ‘900 si sono distinte dalla tradizione classica evolvendosi da
essa.
L’allontanamento di queste correnti dal genere colto è venuto per conseguenza da un modo di vivere e fare la
musica diversamente. Si pensi a quanto della musica moderna sia stato determinato dal modo di farla e
ascoltarla, con la rapidissima espansione dei mass media; si pensi a quanto abbia potuto influire sulla tecnica
e sul linguaggio musicale l’uso di materiali “poveri”, i piccoli “complessi” strumentali o l’approccio
volutamente semplificato alla tecnica strumentale (per esempio la chitarra suonata solo per accordi); si pensi
all’impiego sempre più importante della tecnologia, alla pratica del fare e produrre musica in studio, con gli
amplificatori, i microfoni, gli effetti, il missaggio; si pensi all’espansione dell’informatica musicale in questi
ultimi due decenni.
Anche scorrendo di volo in modo così veloce il quadro dell’esperienza musicale contemporanea, sembra di
poter individuare linee di tendenza esattamente opposte, l’una tendente alla semplificazione, l’altra alla
sofisticazione e all’esaltazione del contributo tecnologico. Sono linee di tendenza che si riferiscono, alla
lontana, a ideali estetici e a modelli antropologici dell’esperienza musicale altrettanto distinti, che tuttavia nel
tempo sono entrati in contatto, influenzandosi e generando via via nuove tendenze e stili.
L’armonia della musica moderna ha seguito fedelmente queste due tendenze e i successivi intrecci che si
sono sviluppati dall’interazione di esse; da una parte si è semplificato, riducendo il numero dei tipi di
accordo usati e dei giri armonici possibili (molte canzoni degli anni ’70 sono costruite sullo stesso identico
giro armonico), dall’altra si è complicato fino a rompere gli argini della grammatica musicale e a inserirsi
nella corrente della musica colta di avanguardia (per esempio Frank Zappa, il free jazz, ecc.). D’altra parte,
insieme, mentre da una parte si complicava e dall’altra si semplificava, si sono tentate e ritentate sintesi di
vario tipo, dando vita a nuove mode o, nei casi più importanti, a nuovi stili. Inutile
E allora, se la grammatica della musica deve descrivere come la musica funziona, rimane comunque il
problema accennato: quale musica descrivere, data la complessità dell’esperienza musicale di oggi? Ogni
soluzione è evidentemente arbitraria. Si potrebbe descrivere la musica dell’epoca del basso continuo, se non
altro per rimanere vicini alla prassi didattica più usuale; si potrebbe descrivere la musica del periodo
romantico (e rimarrebbe da scegliere comunque tra le fasi diversissime del romanticismo); si potrebbe fare
una qualsiasi cosa, ed essa non sarebbe più giusta o sbagliata di tante altre.
Qui ho cercato innanzitutto di riprendere i principi essenziali dell’armonia classica, perché è necessario
conoscerli se si vuole intendere meglio il vastissimo campo della musica colta tradizionale e perché la gran
parte di essi trovano applicazione anche nella musica attuale. Nello stesso tempo, ho ritenuto opportuno
integrare la descrizione della grammatica classica con osservazioni su ciò che, in linee generali, si fa oggi.
Perché è assurdo, e certamente non aiuta a inserirsi nel mondo professionale, conoscere la prassi del basso
cifrato e non saper interpretare le sigle dell’armonia attuale.
Negli appunti che seguono cercherò di attenermi a questi indirizzi:
1.
fare riferimento ai meccanismi essenziali (non principi a priori, per carità!) della nostra musica, a
quelli più radicati nella storia della nostra cultura, per spiegarne funzionamento e regole;
10
2.
non dare una regola che non abbia il suo riscontro nella pratica; nello stesso tempo, citare le regole
scolastiche più importanti, argomento per argomento trattato, anche senza che queste regole hanno
una natura essenzialmente didattica e non trovano origine nella pratica del fare musica.
3.
limitare il numero delle regole a quelle che hanno mostrato una maggiore tenuta nel tempo;
4.
limitare anche il numero delle regole senza far diventare a loro volta delle regole delle semplici
applicazioni di una regola (questa è una prassi consolidata e apprezzatissima invece in una buona
parte dei manuali di armonia in circolazione);
5. considerare la grammatica della musica tonale come la grammatica viva della nostra lingua musicale
di oggi, non come descrizione asettica d’un fenomeno passato; l’esperienza musicale quotidiana di
uno qualsiasi di noi è tonale, e quando fischiettiamo aspettando il verde al semaforo lo facciamo in
Do maggiore o La minore, non di certo atonalmente, dodecafonicamente, esatonalmente o chissà
come altro ancora. Ciò non deve indurre a fare della tonalità un feticcio: la tonalità si inserisce in un
flusso storico continuo, e - a ben vedere certe soluzioni oggi praticate - verrebbe da dire che essa non
sia se non un modo particolare di interpretare la modalità. Non è finita la tonalità: si sta evolvendo e
trasformando al suo interno, per cui molte delle regole che descrivevano la musica del periodo di
Bach vanno ancora bene oggi, altre meno; e altre ancora sono del tutto nuove.
6. Dal momento che la musica è fondata sul significato che noi diamo al suono e alla sua proiezione
dinamica, ho ritenuto necessario integrare nella grammatica dell’armonia elementi del parametro
melodico e di quello ritmico.
11
Testo breve
Il testo breve di questi appunti è utile per una visione ‘insieme e pratica della
materia. Per la migliore comprensione di quanto è esposto in questa parte è
necessario lo studio degli approfondimenti collocati nella seconda parte degli
appunti, gli ipertesti.
Il testo è ancora allo stato di bozza; soprattutto per quel che riguarda la parte
degli approfondimenti (ipertesti) deve essere completato.
12
Capitolo I: SCALE E MODI
Per scala si intende l'insieme dei suoni, percepiti come differenti l'uno dall'altro, contenuti in entro la cornice
dell'ottava e ordinati dal più grave al più acuto o viceversa. Una possibile definizione di scala, infatti,
corrisponde alla “suddivisione dello spazio sonoro dell'ottava” (mentre chiameremo “modi”, per l'appunto, i
diversi modi di suddividerla). Il nostro sistema musicale si basa su una scala che può arrivare a segmentare
l'ottava in dodici parti equidistanti, dando così luogo alla scala cromatica. Quella che segue è un esempio di
scala cromatica.
Esempio 1.1
La scrittura musicale (e la nostra grammatica), a seconda dei contesti, rende corretto o utile scrivere lo stesso
suono in diversi modi; tale possibilità si indica con il nome di “enarmonia”. Quanto affermato lascia capire
che la scala cromatica appena proposta nell’esempio è solo una di quelle possibili secondo la scrittura dei
suoni. Le possibilità delle trasformazioni enarmoniche hanno un limite: non si può andare oltre il doppio
diesis o il doppio bemolle nell’alterare una nota. Ecco per esempio come si potrebbe indicare lo stesso suono
annotato come la#:
Esempio 1.2
Semitono/Tono
La distanza più piccola tra suoni vicini della scala cromatica si chiama semitono; questo è detto diatonico
quando ai due suoni viene dato un nome differente (per esempio re – mi bemolle); e cromatico quando vien
dato loro lo stesso nome (per esempio re – re diesis).
La distanza di tono è data dalla somma di un semitono cromatico con un semitono diatonico.
L'ottava si può altresì suddividere in un numero diverso di segmenti tra loro differenti, dando origine a
un'alternanza eterogenea di distanze: toni, semitoni o distanze maggiori al tono. Una scala formata in modo
eterogeneo di toni semitoni e altre distanze tra i suoni si chiamerà diatonica; se la scala è formata di soli
semitoni si chiama cromatica.
Nelle pubblicazioni che parlano di musica il termine “scala” è spesso impiegato in luogo di “modo” ed è
possibile quindi che si dica indifferentemente “modo maggiore” o “scala maggiore”. In questi appunti si farà
lo stesso, dopo aver chiarito in ogni caso i confini lessicali dei due termini.
I linguaggi musicali naturali non impiegano modi in cui i differenti gradi sono equidistanti fra loro; infatti,
per qualsiasi cultura musicale la qualità essenziale dei modi è che i gradi siano riconoscibili l’uno rispetto
all’altro, al fine di poter attribuire ad essi funzioni differenti; ciò si rende possibile solo se le distanze tra loro
sono differenti. Le scale esatonali e quella di formata da dodici semitoni (come si trova nella musica
dodecafonica, per esempio), usate nel repertorio colto della musica occidentale dall’inizio del ‘900, sono
quindi frutto di scelte estetiche e non di evoluzioni del linguaggio in quelle direzioni.
Ipertesto 1.1: scale e modi
I modi usati nella nostra musica
Nella nostra musica attuale sono impiegati differenti modi, tutti composti di sette suoni (scale o modi
eptafonici). Il modo maggiore e quello minore, che sono stati prevalenti fino a qualche decennio fa, derivano
dai modi in uso nella musica occidentale fino all'inizio del XVII secolo. Attualmente, accanto ad essi sono
impiegati altri modi che prendono i nomi delle scale in uso nella musica medievale. I differenti modi
risultano dalla giustapposizione distinguibile di toni e semitoni; semplificando e tenendo presente l'insieme
dei suoni formato dai sette tasti bianchi del pianoforte, essi si ottengono individuando come primo grado del
modo di volta in volta un suono diverso di quest'insieme.
13
Esempio: i modi eptafonici in uso nella nostra cultura
Esempio 1.3
maggiore (ionico)
dorico
frigio
lidio
misolidio
minore (eolio)
Ipertesto 1.2: la scala nel periodo del canto gregoriano, uso del si bemolle
Si chiamerebbe locrio il modo che ha per primo grado il si; tuttavia, non esiste musica che impieghi questa
scala perché l’intervallo tra I e V della scala è diminuito (quindi difficilmente intonabile), e ciò contrasta con
la tendenza a valorizzare l’alternanza dei due gradi nella struttura melodica e armonica della musica.
Nella musica in genere (vale per il gregoriano come per una sinfonia di Schumann) dicendo che si è nel
modo dorico di Re o in Re mag., si afferma che la musica, tutta, è costruita attorno al modo dorico o alla
tonalità di Re. Con ciò non s’intende limitare la possibilità di modulare verso altre scale/tonalità nel corso
della musica; piuttosto si dice che quel modo/tonalità è la cornice strutturale entro in cui si inscrive il
percorso della musica nel suo insieme.
Spesso chi fa musica moderna impiega il nome dei modi o delle scale in senso più limitato, riferito alla scala
che si impiega sui singoli accordi di un certo giro armonico.
Ipertesto 1.3: uso del nome dei modi nella musica attuale.
Relativo maggiore/minore
Nella teoria moderna – dove i modi di riferimento sono quello maggiore e minore e nella quale il modo
maggiore si considera come paradigma del sistema musicale - il modo minore è considerato “relativo” del
modo maggiore di cui ha gli stessi suoni, ovvero le stesse alterazioni costanti in chiave. La minore, per
esempio, è la relativa minore di Do maggiore. In origine non il modo eolio non era considerato relativo di
quello ionico.
Alterazione del VII per avere la ‘sensibile’
Nella musica reale - da sempre - i modi che sono stati richiamati poco sopra s’impiegano introducendo
frequentemente suoni alterati. Tra le alterazioni, riveste particolare importanza quella del VII grado che, alla
fine di una frase (ovvero nella cosiddetta “clausola” o in “cadenza”), già dal basso medioevo si usava
avvicinare di semitono al I del modo; ciò era necessario in quei modi - come il dorico, il misolidio e nella
musica più moderna il minore - il cui VII grado naturale dista un tono dal I. Nella teoria moderna, il VII
grado che in cadenza sale al I, a distanza di semitono, si chiama “sensibile”. Ecco un esempio d’uso della
sensibile nel dorico di una musica del secondo ‘500.
14
Esempio 1.4, da T. Morely, Lo, here another Love
Attenzione: nell'esempio appena proposto il si che si trova tra i due do diesis alla fine della melodia del
soprano si deve intendere bequadro; l'intonazione dell'intervallo do diesis si bemolle è disagevole e sarebbe
errato proporla. L'inserimento di questo tipo di alterazione, fatta da parte dell'esecutore come correzione
estemporanea della scrittura, era comune anche nei modi medievali. Anche nel modo minore, le alterazioni
del VII del VI si possono e si devono impiegare esattamente in questo modo. Il VII negli altri contesti è
sempre naturale:
Esempio 1.5:
La scala minore è solo quella naturale, quindi; le altre cosiddette scale minori (quella armonica, melodica,
bachiana, ecc.) sono solo un ausilio della didattica. È certo che, quando un compositore decide di scrivere
una musica in tonalità minore, non potrebbe mai decidere di impiegare la scala minore melodica o armonica
o chissà cos'altro.
Ipertesto 1.4: Scala minore naturale e altri tipi di scala minore
Trasposizione delle scale e nome della scala
La divisione dell'8^ in dodici parti uguali rende possibile la costruzione di un qualsiasi modo a partire da uno
qualsiasi dei dodici semitoni; la condizione è che si mantengano inalterate le distanze di tono o semitono tra i
suoni del modo.
Ad esempio, la scala mag. è caratterizzata dalla successione di distanze secondo il seguente schema: T – T S – T – T – T – S (T = tono; S = semitono); così come nella scala di Do mag.:
Esempio 1.6:
T
T
S
T
T
T
S
scala di Do mag.
Per avere una scala mag. a partire dal mi bemolle, non s'ha da fare altro che ripetere lo stesso schema di
alternanze tra toni e semitoni:
Esempio 1.7:
scala di Mi bem mag
La scala prende il nome del suo I grado; così, per esempio, la scala appena esemplificata è quella di Mi
bemolle mag.; mentre per avere una scala dorica di La, si deve iniziare dal la e usare suoni della scala
cromatica, in modo da avere la successione di toni e semitoni della scala dorica:
Esempio 1.8:
scala dorica di La
15
Alterazioni costanti
La tonalità di Mi bemolle maggiore contiene i suoni mi, la e si bemolle; queste sono le cosiddette
“alterazioni costanti”. Le alterazioni costanti non si devono considerare alterazioni in senso stretto, ma suoni
naturali della scala di Mi bemolle maggiore. Quando si dice che una musica è in Mi bem mag., si intende dire
che la scala di riferimento è quella di Mi bem. Mag.; in questo caso le alterazioni costanti si trovano messe in
chiave:
Esempio 1.9:
Scale/tonalità possibili in base alla scala cromatica
Facendo riferimento alla scala cromatica e alla possibilità di arrivare ad avere come alterazioni costanti fino
a tutti e sette i suoni diesis o bemolli, si ottiene ogni possibile modo compreso nel nostro sistema musicale.
Le alterazioni costanti aumentano di un diesis per volta man mano che si sale di quinta da primo grado a
primo grado; aumentano di un bemolle (o diminuiscono di un diesis) man mano che si scende di quinta. Ciò
dà luogo al circolo delle quinte, che per tradizione si riferisce al modo maggiore (in chiave di violino sono
indicate le alterazioni costanti di ogni tonalità; in rosso e in maiuscolo sono indicate le scale maggiori,
mentre accanto ad esse, in verde e in minuscolo le relative minori).
Esempio 1.10:
Quel che vale per il modo maggiore, vale anche per gli altri modi; sicché, se il modo minore di La non ha
alcuna alterazione costante in chiave, avrà un diesis il modo minore di Mi che si trova una quinta sopra il la e
avrà un bemolle in chiave il modo di Re che si trova una quinta sotto il la; e così via, di quinta in quinta a
seconda che si scenda o si salga si avrà un diesis o un bemolle in più.
Altre scale in uso nella musica attuale
La realtà musicale attuale è assai varia; tuttavia, se si considera il modo come ciò che contiene l’insieme dei
suoni che s’impiegati in una certa musica, i modi di riferimento restano quelli indicati e sono tutti di sette
suoni. A volte alcune melodie o alcune parti di melodia fanno riferimento a scale differenti; le più frequenti
sono quelle cosiddette pentafoniche (o pentatoniche). Attenzione: per dire che una musica sia “pentafonica”
non basta che la sua melodia o una parte della melodia sia pentafonica.
a. pentafonica/pentatonica.1 È assai frequente nella musica pop. La scala pentatonica è realizzata
selezionando i suoni della scala di sette suoni, in modo da evitare l'intervallo di semitono tra i suoi gradi (per
questo si dice scala “anemitonica”).
1 I due nomi di pentafonica o pentatonica sono usati l'uno per l'altro.
2 I termini “aumentato” ed “eccedente” vengono usati come sinonimi il più delle volte. In alcuni casi gli intervalli
eccedenti sono considerati ulteriormente alterati rispetto a quelli aumentati.
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Esempio 1.11a-b:
pentatonica maggiore
pentatonica minore
Ipertesto 1.5: uso “in superficie” della scala pentatonica nella musica attuale.
b. uso della scala minore. A seguito dell'evoluzione dell'armonia, anche le melodie che impiegano i modi
maggiore e minore si comportano differentemente rispetto a quel che si sarebbe fatto secondo la tradizione
classica; in particolare, la scala minore viene comunemente impiegata, ma senza far uso della sensibile.
Ipertesto 1.6: la scala minore nella musica attuale
c. scala blues
La cosiddetta scala blues [ipertesto 8] deriva dall'uso di alterare in senso discendente i suoni 3 5 e 7 della
scala diatonica maggiore; questi suoni abbassati si chiamano “blue notes”.
Esempio 1.12:
blue note
Secondo un'altra interpretazione delle cose, la scala blues sarebbe una scala esafonica (scala di sei suoni)
originata da una scala pentafonica minore in cui il V grado è presente sia come suono alterato in senso
discendente che come suono diatonico:
Esempio 1.13:
Ipertesto 1.7: scala blues, approfondimenti
Relazione gerarchica tra i gradi della scala; nomi convenzionali attribuiti ai gradi
I gradi della scala sono legati tra loro da un rapporto dinamico che orienta la proiezione delle melodie
[ipertesto 9]; nella teoria si attribuiscono nomi particolari ad alcuni gradi della scala – più importanti di altri
nella strutturazione dei flussi melodici - proprio per denotare questo fatto. Si deve tuttavia ricordare che tali
nomi – entrati ormai nell'uso comune negli ambienti musicali di ogni estrazione – non indicano i gradi della
scala a livello melodico, bensì, più appropriatamente, gli accordi costruiti su quei gradi allo stato
fondamentale. I nomi di tali gradi sono i seguenti:
•
il I
si chiama TONICA
•
il V
si chiama DOMINANTE
•
il IV
si chiama SOTTODOMINANTE
I nomi usati in alcuni manuali scolastici per indicare gli altri gradi della scala di sette suoni sono piuttosto
inutili e non hanno nulla a che fare con caratteristiche dinamiche o gerarchiche dei suo i stessi.
Ipertesto 1.8: gerarchia dei gradi della scala
Ipertesto 1.9: gradi e metrica
Ipertesto 1.10: un inventario sintetico delle funzioni dei gradi in senso dinamico.
17
Capitolo II: INTERVALLI
Per intervallo si intende la distanza di altezza tra due suoni. Gli intervalli possono essere armonici (quando i
suoni sono simultanei) e melodici (quando sono consecutivi).
Ipertesto 2.1: intervalli e contenuti affettivi
Ipertesto 2.2: intervalli melodici e dinamica della melodia
Esempio 2.1
Gli intervalli si misurano considerando il suono inferiore come tonica di scala maggiore. Gli intervalli tra i
diversi gradi della scala e il I sono tutti maggiori, tranne la 4^, la 5^ e l'8^ che sono giuste.
Esempio 2.2
Alterando i suoni in senso ascendente o discendente si possono ottenere intervalli minori, diminuiti,
aumentati (o eccedenti)
giusto
dim. -
min. -
Mag. - aum. (opp. eccedente)2
Un intervallo giusto, se alterato, diviene aumentato (o eccedente) o diminuito, mai mag. né min. (quindi, un
intervallo mag. o min. non potranno mai diventare giusti se alterati).
Esempio 2.3
Gli intervalli possono essere consonanti (se danno sensazione di stabilità) o dissonanti (se sono instabili e
tendono a proseguire su un successivo intervallo stabile/consonante). Le consonanze perfette hanno un grado
di stabilità maggiore rispetto a quelle imperfette. Ipertesto 2
Sono
consonanze perfette:
Unisono, 5^ giusta, 8^ giusta
Sono consonanze imperfette:
3^ mag. e min.; 6^ mag. e min.
Sono dissonanti:
la 2^ e la 7^ di qualsiasi tipo e gli intervalli aum. e dim.
Ipertesto 2.3: intervalli armonici consonanti/dissonanti; fenomeno fisico armonico
Ipertesto 2.4: intervalli consonanti/dissonanti, ovvero stabili/instabili
La qualità dinamica degli intervalli (ovvero la tendenza a proseguire o meno sull'intervallo successivo) è
evidente nella seguente successione, dove l'unico intervallo definitivamente stabile appare essere l'ultimo:
Esempio 2.4
6^ min.
7^ min. 6^ mag. 8^ giusta
2 I termini “aumentato” ed “eccedente” vengono usati come sinonimi il più delle volte. In alcuni casi gli intervalli
eccedenti sono considerati ulteriormente alterati rispetto a quelli aumentati.
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La 4^ si considera consonante solamente se i suoni di cui si compone sono entrambi consonanti rispetto a un
suono grave:
Esempio:
Ipertesto 2.5: trattamento tradizionale/attuale della dissonanza
Ipertesto 2.6: in un intervallo dissonante, quale dei due suoni è dissonante?
Nella composizione le qualità dinamiche degli intervalli si combinano con quelle dei differenti gradi della
scala e, come vedremo, degli accordi costruiti su di essi.
La distinzione tra consonanza e dissonanza riguarda gli intervalli armonici (ovvero i suoni simultanei), non
quelli melodici. Gli intervalli melodici possono essere cantabili o non cantabili. Solo in alcuni casi gli
intervalli non cantabili sono anche dissonanti; ciò non toglie che nella pratica della composizione si tratta di
argomenti totalmente distinti:
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Capitolo III: ACCORDI, DEFINIZIONI, COSTRUZIONE
Comunemente per accordo si intende la sovrapposizione di tre-sette suoni per intervalli di terza sopra un
suono che viene detto “fondamentale” e che dà il nome all'accordo. La sovrapposizione di 2 suoni non dà un
accordo, ma un bicordo; sovrapponendo un'ulteriore terza sopra il settimo suono si avrebbe la ripetizione
della fondamentale.
A seconda del numero di suoni di cui sono costituiti si avranno accordi di 3, 4, 5, 6, 7 suoni;
Esempio 3.1:
3 suoni
4 suoni
5 suoni
6 suoni
7 suoni
Ipertesto 3.1: perché il minimo per formare un accordo è tre suoni e non due?
Ipertesto 3.2: gli accordi secondo una visione più larga e secondo la nostra cultura
Ipertesto 3.3: origine contrappuntistica degli accordi
Gli accordi possono essere consonanti o dissonanti. Sono consonanti se i suoni di cui sono costituiti sono
tutti consonanti rispetto alla fondamentale; sono dissonanti se al loro interno si trovano uno o più intervalli
dissonanti sempre rispetto alla fondamentale dell'accordo. Di fatto sono consonanti solo la triade mag. e
quella min. (vedi qui di seguito la classificazione delle triadi). Tutti gli altri accordi sono dissonanti (triadi
dim., aum.; tutte le settime e tutti gli accordi costituiti di 5-7 suoni).
Gli accordi si costruiscono con i suoni della scala in cui ci si trova: se la musica è in Do mag., si useranno i
suoni della scala di Do mag., per esempio. Ecco gli accordi costruiti su ciascun grado della scala mag. e
min.:
Esempio 3.2a-b
Do mag.
I
II
III
IV
V
VI
VII
La min.
I
II
III
IV
V
VI
VII
Gli accordi si distinguono per la qualità specifica degli intervalli di cui sono costituiti; come indicato
nell'esempio, le triadi di uso comune sono le seguenti:
Classificazione delle triadi
triade maggiore:
3^ mag., 5^ giusta
triade minore:
3^ min., 5^ giusta
triade diminuita:
3^ min., 5^ dim.
3
triade aumentata :
3^ mag., 5^ aum.
Analogamente, si distinguono gli accordi di settima costruiti sui differenti gradi della scala mag. e min., in
relazione agli intervalli di cui si costituiscono (sp. Abbrevia la parola “specie”, secondo cui si distinguono gli
accordi di settima a seconda degli intervalli di cui si costituiscono);
Esempio 3.3a-b:
Do mag.
La min.
3 La triade aumentata viene collocata sul III grado della scala minore armonica (con il VII alterato, sensibile). In
realtà, la sensibile compare solo negli accordi che hanno funzione di dominante (quindi sul V e sul VII).
20
Ipertesto 3.4: attorno all'origine degli accordi di settima
Classificazione delle settime
1^ specie:
3^ mag., 5^ giusta, 7^ min.
(... 7^)
2^ specie:
3^ min., 5^ giusta, 7^ min.
(... minore 7^)
3^ specie:
3^ min., 5^ dim., 7^ min.
(... semidiminuita)
4^ specie:
3^ mag., 5^ giusta, 7 mag.
(... 7^ maggiore)
5^ specie:
3^ min., 5^ dim., 7^ dim.
(... 7^ diminuita)
N.B. I puntini, nelle definizioni tra parentesi, vanno sostituiti con il nome dell’accordo; per esempio Do 7^
(ovvero Do settima), o Do min. 7^ (Do minore settima).
Ipertesto 3.5: formazione degli accordi per sovrapposizione ideale o reale di intervalli di terza
Ipertesto 3.6: basso fondamentale e tonica, tre cose differenti
Ipertesto 3.7: classificazione degli accordi, scale (maggiore, minori), teorie.
Ipertesto 3.8: classificazione degli accordi di settima in relazione a costruzione e risoluzione
Ipertesto 3.9: classificazioni, grammatica, linguaggio.
N.B. Gli accordi di settima vengono comunemente indicati dicendo il nome della fondamentale e il tipo di
accordo, servendosi delle specificazioni sopra riportare tra parentesi (al posto dei puntini va quindi il nome
della fondamentale dell'accordo); le indicazioni per specie sono comuni solo in ambito scolastico, neanche
musicologico, sicché credo debbano essere pian piano abbandonate. Per indicare l'accordo seguente si può
dire “Fa settima di 1^ specie”, oppure “Fa settima”; solo la seconda delle due è comune internazionalmente:
Esempio 3.4:
Fa settima di prima specie
Fa settima
Gli accordi di nona si classificano come quelli di settima (sul I della scala mag. si trova quindi una nona di
4^ specie; sul I della scala min. si trova una nona di 2^ specie, e così via).
Identificazione dell'accordo
Per identificare correttamente un accordo si deve:
1. Dire il nome dei suoni di cui si costituisce (comprese le alterazioni), disponendoli per terze
sopra la fondamentale;
2. Dire di che accordo si tratta (triade/settima) e di che tipo;
3. Dire su quale grado della scala di costruisce allo stato fondamentale
Costruzione dell'accordo, regole generali
Gli accordi si costruiscono facendo riferimento a un ideale quartetto di voci, costituito da basso, tenore,
contralto, soprano. Nella prassi del basso continuo e in quella attuale prevale la prima delle due disposizioni
esemplificate qui di seguito (vedi oltre “disposizione stretta/lata” per la descrizione dei due tipi di scrittura);
Esempio 3.5:
Posizione melodica4:
quando al soprano si trova la fondamentale dell'accordo
quando al soprano si trova la 3^ dell'accordo
quando al soprano si trova la 5^ dell'accordo
quando al soprano si trova la 7^ dell'accordo
si ha la 1^ posizione melodica
si ha la 2^ posizione melodica
si ha la 3^ posizione melodica
si ha la 4^ posizione melodica
4 La posizione melodica di un accordo è determinata dalle norme che regolano la costruzione e il collegamento degli
accordi; la scelta della posizione melodica è determinante solo per la conclusione di una musica, che in genere
termina sull'accordo di tonica in 1^ posizione melodica.
21
Esempio 3.6:
Disposizione armonica stretta o lata (oppure chiusa o aperta):
la disposizione armonica è stretta quando la distanza tra soprano e tenore non supera l'intervallo di 8^; è lata
quando è superiore:
Esempio 3.7:
Ipertesto 3.10: attorno alla disposizione armonica stretta/lata (chiusa/aperta)
N.B. La distanza tra voci superiori confinanti (tenore-contralto, contralto-soprano) non può superare la
distanza di ottava, a causa dello squilibrio timbrico che ne deriverebbe (il terzo dei casi presentati qui sopra è
segnalato infatti come errato). Si può superare la distanza di ottava tra basso e tenore.
Stato del basso
L'accordo è allo
l'accordo è in
l'accordo è in
l'accordo è in
Esempio 3.8:
stato fondamentale
1° rivolto
2° rivolto
3° rivolto
quando al basso si trova la fondamentale dell'accordo
quando al basso si trova la 3^
quando al basso si trova la 5^
quando al basso si trova la 7^
3.11: attorno allo stato del basso
N.B. Posizione melodica, disposizione armonica e stato del basso sono indipendenti l'uno dall'altro; si può
avere una qualsiasi posizione melodica con una qualsiasi disposizione armonica e un qualsiasi stato del
basso.
Raddoppi e omissioni
Raddoppi
quando l'accordo è
quando l'accordo è in
quando l'accordo è in
allo stato fondamentale
1° rivolto
2° rivolto
si raddoppia la fondamentale
si raddoppia la fondamentale o la 5^
si raddoppia la 5^
N.B. Altri raddoppi sono possibili solo se necessitati dalla condotta delle parti5.
N.B. È vietato il raddoppio di un suono che abbia condotta obbligata (vedi sotto condotta delle voci)
Si può omettere la 5^ dell'accordo solo quando è giusta.
5 Nel fare musica, raddoppi meno corretti scolasticamente possono essere effettuati per ragioni di carattere estetico, o
in relazione a particolari esigenze di scrittura.
22
Nella costruzione degli accordi di settima:
• allo stato fondamentale si può raddoppiare la fondamentale (più raramente la 3^, che ovviamente
non potrà mai essere una sensibile) omettendo la 5^ quando è giusta;
• allo stato di rivolto gli accordi di settima sono sempre completi.
3.12: uso del secondo rivolto della triade (l'accordo di 4ª e 6ª)
Omissioni
Per quel che riguarda le omissioni: Si può omettere solo la quinta di qualsiasi accordo quando essa è giusta;
ciò vale anche per gli accordi di settima che tuttavia, quando sono allo stato di rivolto, devono essere sempre
completi.
Nella costruzione degli accordi di nona a quattro parti si omette la 5^ dell'accordo.
Ipertesto 3.13: gli accordi nella musica attuale
Ipertesto 3,14: Raddoppi
Ipertesto 15: identificazione dell’accordo indipendentemente dal contesto tonale
23
Capitolo IV: NUMERI E SIGLE
Nei compiti di scuola i numeri, derivati da quelli della prassi del basso continuo, si usano per identificare la
collocazione tonale dell'accordo e lo stato del basso.
Ipertesto 4,1: evoluzione nell’uso dei numeri
Numeri arabi. Lo stato del basso s’identifica come segue:
Esempio 4.1.
stato fondamentale
Triade
(5)
(3)
nessun numero
primo rivolto
secondo rivolto
terzo rivolto
6
(3)
6
4
/
Settima
7
6
5
4
3
4
2
Nona
9
7
(7)
(5)
(6)
(5)
(6)
(4)
(3)
(4)
(2)
I numeri indicano lo stato del basso richiamando l'intervallo (o gli intervalli) che una nota caratteristica
dell'accordo (o più note caratteristiche dell'accordo) forma (o formano) con il basso.
Gli accordi di nona non si numerano in genere allo stato di rivolto
I numeri non indicano la disposizione delle voci, ma solo lo stato del basso. Esempi:
Esempio 4.2a-b
Numerazione comune
delle triadi
Numerazione comune
delle settime
Numerazioni differenti da quelle elencate indicano costruzioni particolari dell'accordo.
La numerazione
o
indica la costruzione della 7^ allo stato fondamentale con il raddoppio
della fondamentale e la conseguente omissione della 5^ dell'accordo; un'alterazione accanto a un numero
indica che l'intervallo corrispondente deve essere alterato nel senso dell'alterazione indicata; così, ad
esempio, numero indica la numerazione indica che la settima deve essere costruita alterando la terza dell'accordo in senso ascendente (ovvero l'intervallo di 6^ sul basso). Una sbarretta sul numero, nella
manualistica attuale, indica che l'intervallo corrispondente è diminuito; il seguente simbolo
indica quindi
che la triade da costruire è una triade diminuita (nella prassi del basso continuo il taglio sul numero indicava
anche solo nota alterata!)
Esempio 4.3
Ipertesto 4,2: Il basso numerato nell'epoca del basso continuo
24
Numeri romani
I numeri romani sotto la nota del basso servono a indicare la collocazione nella scala o tonale della nota del
basso. Tali numeri sono usati secondo tradizioni e finalità differenti.
Tradizione scolastica napoletana: il numero romano sotto la nota del basso indica il grado della scala su cui
è collocata quella stessa nota.
Tradizione tedesca e anglosassone: il numero romano indica il grado della scala su cui si colloca la
fondamentale dell'accordo.
Ecco lo stesso passaggio con l'uso dei numeri secondo le due tradizioni:
Esempio 4.5
tradizione napoletana
tradizione tedesca/anglosassone
I numeri arabi rimangono gli stessi, tuttavia nella prassi tedesca/anglosassone si collocano
prevalentemente a fianco dei numeri romani. L'esempio proposto lascia intuire le finalità differenti
che sottostanno alle due metodologie: i numeri romani, secondo la tradizione tedesca/anglosassone,
fanno vedere come la logica sintattica tonale non cambi, anche se vengono impiegati i rivolti al
posto degli stati fondamentali (come si vede, per due volte viene proposta la successione I-II-V-I); i
numeri romani, combinati ai numeri arabi secondo la tradizione napoletana, mettono in rilievo la
condotta contrappuntistica sopra il movimento del basso. Per chi compone, le due strutture (quella
delle successioni armoniche tonali e delle strutture contrappuntistiche derivate dalla condotta delle
parti) sono ugualmente fondamentali.
Nella didattica della composizione e nella prassi musicologica i numeri romani si impiegano
internazionalmente secondo la prassi tedesca e anglosassone; i numeri romani, secondo la prassi
napoletana, hanno un uso meramente locale. Tuttavia, mettendo in maggior rilievo il fattore
contrappuntistico della condotta delle parti rispetto al movimento melodico della parte del basso,
la prassi scolastica napoletana induce a riflettere sulle ragioni della sintassi armonica tonale in
senso più attuale e musicalmente più concreto.
Ipertesto 4.3: La teoria del basso fondamentale
Ipertesto 4,4: Simboli impiegati nella teoria funzionale dell'armonia
Sigle impiegate nella musica attuale
Nella musica attuale gli accordi si indicano con le sigle; queste hanno una finalità unicamente pratica
(dicono rapidamente quale accordo si deve usare) e nessun intento di razionalizzazione teorica.
Secondo la prassi medievale, le note della scala si indicano con lettere dell'alfabeto come segue:
Esempio 4.6
Queste lettere possono essere alterate in senso ascendente o discendente per completare i dodici gradi della
scala cromatica.
La lettera dell'alfabeto, senza altre indicazioni, significa la triade maggiore costruita sul grado corrispondente
della scala. Per esempio, D indica accordo di Re mag.; Db indica re bemolle mag.; C# indica Do diesis mag.
Alle lettere dell'alfabeto sono aggiunti segni di vario tipo al fine di indicare l'impiego di accordi differenti
dalla triade maggiore. Di tali segni, i più frequenti sono quelli che seguono:
25
m
b
+
7
maj7
dim
(opp. min.)
(opp. #)
(opp. j7, opp. M7, opp.
(opp. d, opp. o)
6
sus
(opp. Sus4)
no
(opp. omit)
add
/ opp. ( )
/
)
= minore
= l'intervallo corrispondente è alterato in senso discendente
= l'intervallo corrispondente è alterato in senso ascendente
= settima minore6
= settima maggiore
= diminuita (settima diminuita)
= settima semidiminuita (7^ di terza specie)
= alla triade mag. si deve aggiungere la 6^
= suspended 4, ossia, di base, triade con la 4^ al posto della 3^7
= si deve escludere l'intervallo indicato
= si deve aggiungere l'intervallo indicato
= separano le estensioni per evitare ambiguità interpretative
= C/E significa che l'accordo di Do è con il mi al basso.
Esempio 4.7:
C 6+
C 5#
Dal momento che, come detto, le sigle hanno una finalità unicamente pratica, il primo dei due accordi viene
indicato comunemente con la sigla C7 (il sib enarmonicamente è uguale al la#). Le alterazioni a volte sono
poste prima della nota, altre volte dopo; il secondo degli accordi proposti qui sopra può essere indicato anche
con la sigla C(#5), dove le parentesi servono a chiarire che il # non è riferito alla nota C, ma all'intervallo di
5^.
Gli stessi accordi possono essere indicati con sigle differenti:
Esempio 4.8
La sigla NC (no chord) indica l’assenza di armonizzazione accordale.
Ipertesto 4,5: Quale sistema di notazione preferire?
6 C7, ad esempio, indica la triade maggiore di Do con la 7^ minore, quindi la settima di 1^ specie (settima di
dominante).
7 “sus4” significa differenti cose nella prassi. Csus4, ad esempio, di base significa do al basso e sopra fa e sol; ma
spesso viene impiegato per indicare un accordo con il do al basso e sopra il sib, il re e il fa.
26
Capitolo V, CONDOTTA DELLE PARTI/VOCI
Ipertesto 5,1: moto melodico, moto armonico: approfondimenti
Moto melodico/moto armonico
Per moto melodico si intende il movimento che una parte fa per sé, senza considerare quel che eventuali altre
parti possono fare contemporaneamente. Per moto armonico si intende la relazione tra movimenti melodici
sovrapposti (in questo caso, per esempio, ci si chiederà: cosa fa il clarinetto rispetto all’oboe?)
Moti melodici proibiti. Il rispetto della possibilità di intonare i salti melodici genera il divieto di usare salti
melodici di difficile intonazione, quindi i salti di 7^ (anche se la 7^ è ottenuta come somma di due salti che
procedono nella stessa direzione), quelli che superano l'8^, i salti aumentati e diminuiti. È ammesso un salto
melodico diminuito (di 3^, di 4^, di 5^, di 7^) quando si scende su una sensibile che sale sulla tonica; i
seguenti salti sono tutti errati, ad eccezione dell'ultimo.
Esempio 5.1
Ipertesto 5,2: Moto melodico
Moto armonico
Nell'armonia classica, dal punto di vista contrappuntistico, gli accordi si collegano tenendo conto dei
seguenti riferimenti8:
• omogeneità sonora
• indipendenza delle voci
• condotte obbligate
• rispetto della possibilità di intonare i salti melodici
Muovere le parti meno possibile: è il mezzo attraverso cui ottenere omogeneità. La successione di accordi
seguente è stata realizzata la prima volta correttamente, la seconda volta in modo errato9:
Esempio 5.2
ERRATO
Tipi di moto armonico: cosa fa una voce rispetto all'altra. Ecco i tipi di moto armonico:
Esempio 5.3
moto contrario:
moto obliquo:
moto retto:
moto parallelo:
Moto:
una voce scende l'altra sale
una voce resta ferma, l'altra sale o scende
le due voci si spostano nella stessa direzione
le due voci si spostano nella stessa direzione mantenendo equidistanza.
Perché sia garantita l'indipendenza delle voci, si deve evitare che il movimento di una voce sia il semplice
raddoppio del movimento di un'altra voce o che si possa confondere col movimento di un'altra voce. Per
8 Le indicazioni relative all'armonia classica si estendono parzialmente all'armonia attuale; è determinante lo stile
adottato, in un contesto estremamente eterogeneo. È bene partire dalle regole classiche e tener conto delle eccezioni.
9 Naturalmente, se per fini espressivi particolari si vuole ottenere disomogeneità, si potrà fare a meno di limitare il
movimento delle voci.
27
questo si devono evitare i seguenti errori:
Errori nel moto armonico ed eccezioni alle regole
a. divieto di muovere due voci per unisoni, ottave, quinte10 parallele. Ovvero: qualsiasi coppia di voci
non può procedere da un unisono su un altro unisono, da un'ottava su un'altra ottava, da una quinta su un'altra
quinta. Lo stesso unisono così come la stessa ottava o la stessa quinta possono essere ripetute quanto si
vuole.
Per questo tipo di errore non esistono eccezioni.
Esempio 5.4
b. divieto di procedere per moto retto su un unisono, una ottava o una quinta11:
Esempio 5.6
Per questo tipo di errore esistono diversi tipi di eccezione; nell’ipertesto dedicato si spiega il perché.
Eccezione 1: si ammettono 8e e 5e per moto retto quando si verificano contemporaneamente le seguenti
condizioni (si devono verificare entrambe, non ne basta una!):
la 5ª o l’8ª è tra due parti interne (vanno bene tutte le coppie di voci, tranne quella formata da Basso e
Soprano; solo la coppia di voci Basso/Soprano si dice infatti di parti esterne);
Una delle due parti che vanno sulla 5ª o sull’8ª per moto retto deve muoversi dall’accordo precedente per
grado congiunto; quando si può scegliere, è bene che ad andare per grado congiunto sia la parte superiore.
Esempio 5.7:
Eccezione 2: si ammettono 8e e 5e per moto retto anche tra parti esterne, purché il basso salti di 4ª, il soprano
si muova per grado congiunto e gli accordi siano allo stato fondamentale.
Esempio 5.8:
Collegamenti armonici come quelli qui sopra funzionano bene all’orecchio e sono per questo frequentissimi
nella musica d’ogni tempo: ecco l’origine dell’eccezione. Non ha alcun senso limitare ulteriormente il caso a
quello in cui la voce superiore vada per semitono e il basso salti di 4ª ascendente (così come avviene in molti
manuali d’armonia usati oggi); è una regola inutile che non ha mai fatto parte della grammatica della nostra
lingua. Tutti i seguenti collegamenti sono corretti:
10 Si intende quinte giuste.
11 Il moto retto mette in particolare evidenza l'intervallo armonicamente vuoto che viene raggiunto.
28
Esempio 5.9:
Eccezione 3: si ammette l'unisono per moto retto tra Tenore e Basso, quando al tenore c'è la sensibile che
sale alla tonica e al basso il V che sale sul I
Esempio 5.10:
Eccezione 4: Quando si cambia posizione melodica e il basso contemporaneamente fa un salto di ottava,
sono ammesse ottave e quinte per moto retto anche tra parti esterne e anche se nessuna delle parti va per
grado congiunto. Nel cambio di posizione melodica sono vietati parallelismi di consonanze perfette.
Esempio 5.11:
c. Divieto di procedere per moto retto con tutte e quattro le voci
Esempio 5.12:
ERRATO
d. È vietata la falsa relazione di unisono o 8^ (come fa una voce a intonare una nota, se un'altra voce
nell'accordo precedente sta intonando la stessa nota alterata, o viceversa?):
Esempio 5.13
Condotte obbligate: sensibile, note alterate, dissonanze
Per condotta obbligata si intende il movimento necessario che una nota o più note dell'accordo devono
compiere nel passare sull'accordo successivo. Hanno condotta obbligata:
• la sensibile (ovvero il VII della scala nella quale ci si trova): deve salire sul I melodico della scala;
per sensibile si intende il VII grado della scala maggiore e il settimo grado della scala minore
alterato in senso ascendente all'interno di un accordo che ha funzione di dominante. Per le funzioni
armoniche degli accordi si veda il capitolo successivo; hanno funzione di dominante gli accordi
contenenti la sensibile costruiti sul V e sul VII della scala maggiore e minore. Nella cosiddetta
“eccezione di Bach”, la sensibile scende se è parte interna e una voce ne prende il posto in
risoluzione.
• Le note alterate rispetto alla tonalità in cui ci si trova: devono risolvere nel senso dell' alterazione
(alterazione ascendente: la nota sale; alterazione discendente: la nota scende).
• Preparazione della dissonanza: le dissonanze di settima e i ritardi devono essere preparati, tramite
legatura all'unisono della nota dissonante da una nota dell'accordo precedente; si escludono le
settime che hanno funzione di dominante (la settima di dominante, costruita sul V, e la settima di
sensibile, costruita sul VII).
29
•
Le dissonanze devono scendere per grado congiunto nel passaggio all'accordo successivo.
La sensibile deve salire;
Esempio 5.14
per eccezione si ammette che la
sensibile scenda quando è in una
voce interna (nel terzo caso qui a
fianco si trova nel contralto),
se una voce superiore ne prende
il posto in risoluzione: eccezione
di Bach.
eccezione di Bach
La nota alterata deve proseguire nel senso dell'alterazione; nell'ultimo dei casi dell'esempio che segue il
sol, alterato sol#, scende sul mi anziché salire sul la, come necessario:
Esempio 5.15
La dissonanza deve essere preparata, legandola all'unisono, nella stessa voce, da una nota reale
dell'accordo precedente; la settima, all'interno dell'accordo di 7^ di dominante, può non essere preparata
(come nel terzo caso di quelli presentati qui sotto); è vietato raggiungere la dissonanza di 2^ per moto retto
(l'ultimo dei casi esemplificati di seguito):
Esempio 5.16
La dissonanza deve scendere per grado congiunto nel passaggio all'accordo successivo; può anche restare
legata all'unisono nella stessa voce, purché resti dissonante e risolva per grado congiunto in un secondo
momento (* qui sotto).
*
Esempio 5.17
ERRATO
Ipertesto 5,3: Moto armonico
Ipertesto 5,4: Riguardo l’errore di unisoni, quinte, ottave per moto retto
Ipertesto 5,5 : autocorrezione
Ipertesto 5,6: Falsa relazione di tritono
Ipertesto 5,7: Praticamente: il collegamento degli accordi
Ipertesto 5,8: Un “errore” scolastico, unisoni, quinte e ottave paralleli a distanza
Ipertesto 5,9: Considerazioni riguardo l'applicazione di queste regole nella musica
Ipertesto 5,10: Trattamento della dissonanza
Ipertesto 5,11: Costruzione e collegamento degli accordi di settima
Ipertesto 5,12: eccezioni nell’uso della dissonanza
30
Capitolo VI, TONALITA' E CADENZE
Tonalità
Per tonalità si intende il sistema di relazioni tra le note della scala e degli accordi costruiti sopra di esse;
l'accordo di tonica (triade costruita sul I grado della scala) è quello verso cui tende a proiettarsi il flusso delle
successioni di accordi; sinteticamente tale flusso può essere espresso dalla seguente tabella:
Esempio6.1
tonica
pre-dominante
(sottodominante)
dominante
tonica
IV
I
VI
V
I
(VII)
II
Ipertesto 1: la tonalità
I numeri romani indicano il grado della scala su cui è collocata la fondamentale dell'accordo.
Il III nella musica della nostra tradizione classica non compare; quando si trova al basso, si armonizza
sempre come primo rivolto dell'accordo di tonica. Nella musica attuale il III è normalmente impiegato e ha
una funzione di transizione dal I sul IV o dal I sul VI.
Il V può essere sostituito in contesti adeguati con l'accordo costruito sul VII.
Nell'armonia classica gli accordi non salgono di 3^, se non per eccezione (l'accordo di Do va su quello di La,
non viceversa); in quella attuale gli accordi salgono o scendono normalmente di 3^.
Le stesse successioni di accordi si possono realizzare impiegando gli stati di rivolto al posto dei
fondamentali, o accordi dissonanti in luogo di quelli consonanti (ricordarsi di preparare l'eventuale
dissonanza; resta fermo che l'accordo conclusivo di tonica deve essere consonante):
Esempio 6.2
Per quel che riguarda i rivolti, in questi appunti vengono impiegati i numeri romani per indicare il grado
melodico occupato dalla nota del basso; a seguire, tra parentesi, viene indicato il grado su cui poggia la
fondamentale dell'accordo.
La sintassi armonica interagisce con la metrica; nel seguente esempio si considera propriamente dominante il
V che precede il I alla fine del passaggio, mentre, per come appare sul secondo tempo della prima battuta,
l'accordo non ha alcuna delle caratteristiche che dovrebbe avere la dominante:
Esempio 6.3
L'armonia tonale è altresì condizionata (e originata) dal contrappunto; in particolare dalla dinamica della
scala e dal trattamento della dissonanza.
I rivolti vengono impiegati per dare cantabilità alla parte del basso; quindi, si utilizzano per far procedere il
basso con piccoli salti, curando il contrappunto con la parte superiore.
Ipertesto 2: alle origni della tonalità (173)
31
Cadenze
Sono successioni armoniche che, poste in luoghi metricamente opportuni, segnalano il confine delle frasi e
dei periodi musicali. Possono essere:
•
finali: servono per chiudere una frase, una sezione della musica, o l'intera musica;
•
sospese: servono per articolare il passaggio da una frase a quella successiva, senza chiudere.
Cadenze finali
Le cadenze finali sono la cadenza perfetta e la cadenza plagale.
Cadenza finale perfetta: successione V – I allo stato fondamentale di entrambi gli accordi
N.B. La sensibile è nota obbligata, deve sempre salire. Non si raddoppia.
Esempio 6.4.
Esempio 6.5.
La cadenza perfetta si dice “autentica” quando il soprano chiude sulla tonica:
Ipertesto 3: osservazioni sulla quarta e sesta sul V in cadenza
Nella cadenza, solitamente la tonica si trova sul tempo forte della battuta; la dominante si colloca sul tempo
debole o semi-forte precedente (a meno che non occupi l'intera battuta come nel caso della cadenza doppia).
Cadenza finale plagale: successione IV – I; il IV può anche trovarsi allo stato di rivolto
Esempio 6.6.
La cadenza plagale non può sostituire la cadenza perfetta; in genere ha funzione di coda.
Ipertesto 4: osservazioni sulla cadenza plagale
Cadenze sospese
Le cadenze sospese si distinguono in cadenza imperfetta, cadenza alla dominante (o semicadenza), cadenza
evitata.
Cadenza imperfetta: successione V – I allo stato di rivolto di uno o entrambi
Esempio 6.7.
32
Cadenze sospese alla dominante (o semicadenze): successioni alla dominante:
Esempio 6.8.
Sono semicadenze anche le successioni degli stessi accordi allo stato di rivolto; i rivolti sono impiegati per
dar modo di raggiungere la dominante per grado congiunto, soluzione preferita in cadenza (ad eccezione
della semicadenza I-V, in cui il I che va sul V è spesso allo stato fondamentale). La successione VI-I, non
comune nella nostra tradizione classica, è normalmente impiegata nella musica attuale.
Cadenze sospese evitate: la dominante evita di risolvere sulla tonica
Esempio 6.9.
RARA
La numerica
sopra il VI (nel primo dei tre casi presentati qui sopra) ricorda che la sensibile deve
necessariamente salire, anche se ciò comporta il raddoppio della terza dell'accordo.
La cadenza evitata con il IV allo stato fondamentale è molto rara.
Ipertesto 5: annotazioni sulla cadenza evitata.
Formule di cadenza: sono date dall'unione di una cadenza alla dominante con una cadenza della dominante.
Prendono il nome dal tipo di cadenza che fa la dominante; quindi possono essere perfette, imperfette, evitate;
ecco alcuni esempi:
perfetta
imperfetta
evitata
Ipertesto 6: costruzione della frase sulla base del giro armonico tonale
Ipertesto 7: eccezioni nelle successioni armoniche tonali
Ipertesto 8: nota sul collegamento degli accordi in campo tonale
Ipertesto 9: tonalità, cadenze e forma musicale.
Ipertesto 10: la tonalità nella musica attuale
33
Capitolo VII, ACCORDI DISSONANTI
Gli unici accordi consonanti sono la triade maggiore e quella minore; tutti gli altri accordi sono dissonanti.
In alcuni casi la dissonanza va preparata (vedi sopra, nel capitolo dedicato alla condotta delle parti); tali
casi verranno indicati di qui sotto.
La dissonanza deve scendere per grado congiunto nel passare all'accordo successivo.
Triade diminuita: si trova costruita sul VII del modo mag. e min, e sul II del modo minore.
Triade di sensibile: costruita sulla sensibile del modo mag. e di quello min.
•
•
•
La triade di sensibile si trova usata quasi unicamente allo stato di primo rivolto, con il basso che si
muove per grado congiunto nella risoluzione sulla tonica:
Risolve sulla tonica in quanto ha funzione di dominante.
Sono note con risoluzione obbligata la fondamentale (sensibile, sale) e la 5^ dim., che scende Nella
pratica si preferisce far salire la 5^ dim. per avere la tonica completa.
Esempio 7.1.
poco usata
poco usate.......................... più frequenti.....................
N.B. Le note con risoluzione obbligata non si raddoppiano (ne verrebbero ottave parallele).
Triade diminuita sul II della scala minore;
•
Risolve sugli accordi che hanno funzione di dominante (quindi quelli la cui fondamentale poggia sul
V e sul VII);
•
È nota con risoluzione obbligata la 5^ che, in quanto diminuita, scende o resta legata
temporaneamente all'unisono, rimanendo dissonante, per scendere in un secondo momento12. (vedi
risoluzione sul VII armonizzato come 7^ dim.):
Esempio 7.2
Alcuni accordi di 7^
7^ di dominante (settima di 1^ specie), costruita sul V del modo mag. e min.
•
In quanto accordo di dominante, si classifica come 7^ principale: la 7^ non va preparata.
•
risolve sulla tonica o in cadenza evitata, compatibilmente con la necessità di risolvere
adeguatamente la dissonanza.
•
Sono note con risoluzione obbligata: la sensibile (sale), la settima dell'accordo (scende).
12 Vale per tutti gli accordi dissonanti: la dissonanza scende nella risoluzione sull'accordo successivo, o resta legata
all'unisono, diventando un ritardo (la dissonanza può restare legata, anziché scendere, purché resti la nota resti
dissonante).
34
Esempio 7.3.
poco efficace
migliore
ecc. di Bach
N.B. Per avere una risoluzione efficace del V sul I allo stato fondamentale di entrambi, è necessario costruire
la settima incompleta (si toglie la 5^, si raddoppia la fondamentale), o si deve ricorrere alla eccezione di
Bach.
N.B. Gli accordi di 7^ si costruiscono sempre completi quando sono allo stato di rivolto.
Accordi di 9^ di dominante
Gli accordi di nona di dominante si presentano differentemente nel modo maggiore e nel minore
Esempio 7.4.
9^ di dominante maggiore (nona di 1^ specie), costruita sul V del modo mag.
•
In quanto accordo di dominante, si classifica come 9^ principale: la 9^ non va preparata, purché si
rispettino gli obblighi qui sotto indicati.
•
Nella costruzione la 9^ deve essere disposta sopra alla fondamentale almeno a distanza di 9^ e sopra
la 3^ dell’accordo (ovvero sopra alle note con cui forma la dissonanza di 9^ e di 7^).
Nel caso non si riesca a mantenere la distanza di 7^ con la terza dell’accordo, è necessario preparare
la 9^; la distanza di 9^ con la fondamentale va comunque mantenuta:
Esempio 7.5.
•
Sono note con risoluzione obbligata: la sensibile (3ª dell'accordo) che sale; la 7ª e la 9ª in quanto
dissonanti scendono.
•
Come mostrato nella parte b dell'esempio seguente, la 9^ dell'accordo può scendere anche all'interno
dell'accordo di dominante (“risoluzione anticipata della nona di dominante”), trasformando la 9^ in
una 7^ di dominante.
Esempio 7.6.a-b
35
9^ di Dominante minore (9ª di prima specie), costruita sul V del modo minore e del modo maggiore col VI
della scala abbassato (cosiddetta scala armonica maggiore)
•
Costruzione: quel che si è detto per la 9^ di dominante maggiore relativamente alla costruzione resta
valido per la 9^ di dominante minore; cade l'obbligo di disporre la 9^ dell'accordo sopra la sensibile;
quindi, come si vede nell'esempio seguente, la 9^ deve essere sempre sopra la fondamentale almeno
a distanza di 9^, ma può anche essere posta sotto la sensibile. Infatti, disponendo la 9^ sotto la
sensibile, si forma un intervallo di 2^ aumentata, enarmonicamente equivalente a una 3^ minore; le
due note, quindi, pur vicine tra loro, non creano urto.
•
Risoluzione: vedi 9^ di dominante maggiore (anche la 9^ di dominante minore ha la cosiddetta
risoluzione anticipata).
Dal momento che la 9 di dominante minore è identica alla 9^ di dominante maggiore (fatto salvo il
particolare di costruzione accennato), vengono riportati solo alcuni casi di risoluzione sulla tonica; nel primo
caso, la sensibile è disposta sopra la 9 dell'accordo (naturalmente avrebbe potuto essere messa anche sopra la
sensibile).
Esempio 7.7.
Accordi di 7^ sulla sensibile
7^ di sensibile (settima di 3^ specie), costruita sulla sensibile del modo mag.
•
in quanto accordo con funzione di dominante si classifica come 7^ principale: la 7^ non va
preparata, purché sia posta sopra la fondamentale.
•
Risolve sulla tonica; la condotta obbligata delle voci impedisce la risoluzione in cadenza evitata.
•
Sono note con risoluzione obbligata: la sensibile (fondamentale dell'accordo, sale), la 5^ dim. e la 7^
che, in quanto dissonanti, scendono.
Esempio 7.8.
•
La 7^ può scendere sulla nota di risoluzione ancora prima dell'arrivo dell'accordo di tonica; in questo
modo la 7^ di sensibile diventa una 7^ di dominante.
Esempio 7.9.
7^ diminuita (settima di 5^ specie), costruita sul VII del modo min. e, per estensione, del modo mag. con il
VI della scala abbassato
•
In quanto accordo di dominante, si classifica come 7^ principale: non ha alcuna limitazione nella
costruzione.
•
risolve sulla tonica.
•
sono note con risoluzione obbligata la sensibile (fondamentale, sale); la 7^ dim e la 5^ dim, che, in
36
quanto dissonanti, scendono.
Esempio 7.10.
•
La 7^ può scendere sulla nota di risoluzione ancora prima dell'arrivo dell'accordo di tonica;
in questo modo la 7^ diminuita diventa una 7^ di dominante.
Esempio 7.11
7^ sul II della scala maggiore (settima di 2^ specie, ... minore settima).
•
In quanto settima secondaria, la 7^ va preparata legandola all'unisono da una nota dell'accordo
precedente.
•
Risolve sugli accordi che hanno funzione di dominante.
•
È nota con risoluzione obbligata la 7^, che scende.
Esempio 7.12.a-b
Attenzione alla risoluzione del 2° rivolto della 7^ sul II sulla dominante: per evitare la falsa relazione di
unisono o 8^ si deve armonizzare il V con 5 (come accade nell'esempio qui sopra) o con . Ciò vale anche
per il modo minore. Ecco l'errore da evitare:
Esempio 7.13.
7^ sul II della scala minore (settima di 3^ specie; semidiminuita)
•
•
•
In quanto settima secondaria, la settima va preparata, legandola all'unisono da una nota dell'accordo
precedente.
Risolve sugli accordi che hanno funzione di dominante
Sono note con risoluzione obbligata: la 5^ dim e la 7^ che, in quanto dissonanti, scendono.
Esempio 7.14.a-b
37
Altri accordi di 7^; gli accordi di 7^ non descritti sopra:
•
si costruiscono con preparazione della 7^, in quanto settime secondarie;
•
risolvono secondo la propria funzione (vedi tabella sulle funzioni tonali degli accordi nel paragrafo
“Tonalità e cadenze”), compatibilmente con la necessità di far scendere la dissonanza.
•
È nota con condotta obbligata la dissonanza, che scende.
Ecco alcuni esempi:
Esempio 7.15.a-b
Nei compiti di scuola gli accordi di settima impiegati normalmente sono quelli costruiti sul V e sul II con i
loro rivolti. Gli accordi di 7^ costruiti sugli altri gradi s’impiegano solamente all'interno della progressione
circolare di basso che scende di 5^ e sale di 4^ (vedi oltre “progressioni”).
38
Capitolo VIII, NOTE DI FIORITURA
Le note di fioritura servono per caratterizzare melodicamente la condotta delle voci. Nei compiti di scuola, in
genere non si usano nelle voci superiori (se non in casi limitati), mentre s’incontrano normalmente nella
parte del basso.
Le note di fioritura possono essere reali o estranee.
a. reali (o di arpeggio): fanno parte dell'accordo, sono raggiunte e/o lasciate per salto superiore alla seconda.
Esempio 8.1.
Nel secondo dei casi il cambiamento di accordo sul secondo tempo della battuta è errato: il do, sull'ultima
suddivisione, è una nota di arpeggio (poiché raggiunta per salto) e deve essere contenuto nell'accordo.
b. estranee: non fanno parte dell'accordo, sono collocate sulla suddivisione o su un tempo debole; nei
compiti di scuola sono raggiunte e lasciate per grado congiunto (possono essere note di passaggio o di volta);
nella musica sono comuni anche note estranee che sono solamente raggiunte o lasciate per grado congiunto
(possono essere note sfuggite, o anticipazioni).
Siccome sono estranee all'accordo, queste note dovrebbero essere dissonanti; tuttavia, essendo collocate sulla
suddivisione o comunque su un tempo debole, la dissonanza non è percettivamente in rilevo, mentre è
evidente la loro funzione propriamente melodica.
b.1. Note di passaggio, passano per grado congiunto da una nota dell'accordo a un'altra nota dello stesso
accordo o di un accordo differente; oltre che semplici, possono essere doppie, simultanee, diatoniche o
cromatiche. Nelle prime battute dell'esempio seguente le note di passaggio sono segnalate con un asterisco:
Esempio 8.2.
doppia
simultanee
cromatica
N.B. La nota di passaggio cromatica deve proseguire nel senso dell'alterazione (nell'esempio precedente non
si sarebbe potuto usare il sol bem. al posto del fa diesis).
b.2., note di volta, si allontanano da una nota dell'accordo per grado congiunto e nello stesso modo tornano
sulla stessa nota; l'accordo, al momento del ritorno sulla nota, può anche cambiare. Oltre che semplici,
possono essere doppie, simultanee, diatoniche o cromatiche:
Esempio 8.3.
39
b.3., note sfuggite (note di volta incomplete), sono solamente raggiunte o lasciate per grado congiunto.
Comuni nella musica, non sono impiegate nello stile scolastico:
*
*
Esempio 8.4
b.4., anticipazione, è una nota dell'accordo su cui si deve andare che che viene anticipata, come
suddivisione, nell'accordo in cui ci si trova. Non sono impiegate nei compiti di scuola.
Esempio 8.5.
*
40
Capitolo IX, RITARDI E APPOGGIATURE
Ritardi
Si tratta di note estranee all'accordo che, cadendo sul tempo, sono percettivamente in rilievo come note
dissonanti. Derivano dall'antica tecnica della dissonanza in sincope. Nel seguente esempio lo stesso
passaggio armonico è realizzato prima senza, poi con ritardo della 3^:
Esempio 9.1.
Il ritardo si articola in tre momenti:
1.
preparazione: come ogni dissonanza, il ritardo ha bisogno di essere preparato con legatura
all'unisono da una nota reale dell'accordo precedente (può anche essere la settima dell’accordo che
precede); la preparazione deve durare un tempo della battuta:
2.
percussione: il ritardo cade sul tempo forte o semi-forte della battuta (nel caso di una battuta ternaria,
può anche cadere sul secondo tempo). Nel momento della percussione la nota estranea all'accordo
entra in urto di 7^ o di 2^ con un'altra nota dell'accordo; senza questa dissonanza, il ritardo non è
utilizzabile.
3.
Risoluzione: il ritardo, in quanto dissonante, risolve per grado congiunto discendente sul tempo
debole successivo a quello di percussione (in una battuta ternaria, collocando la percussione sul
secondo tempo, la risoluzione cadrà sul terzo tempo della battuta), su una nota consonante. Tale
consonanza potrà essere all'interno dell'accordo in cui era caduta la percussione, o in un altro
accordo.
Non vi sono limiti nell'impiego dei ritardi, purché si tenga conto in senso prescrittivo delle tre indicazioni
date.
Qui di seguito vengono mostrati alcuni dei ritardi di uso più frequente nei compiti di scuola:
Ritardo della fondamentale degli accordi sul I e sul II:
Esempio 9.2.
Esempio 9.3.
Ritardo della 3^ sul I e sul V allo stato fondamentale:
Esempio 9.4.
41
Ritardo della 3^ nel secondo rivolto degli accordi di 7^ sul V e sul II:
Esempio 9.5.
I
VI(II)
V
Ritardo della 3^ al basso:
Esempio 9.6.
Ritardo della 5^. normalmente il ritardo della 5^ non è ammissibile, poiché nel momento della percussione,
manca l'urto di 7^ tra il ritardo e un'altra nota dell'accordo; per eccezione si ammette il ritardo della 5^ nella
triade di dominante allo stato fondamentale del modo minore, in quanto l’accordo di 5^ aum. che ne deriva
emula la sensazione di dissonanza. È normalmente utilizzato il ritardo della 5^ al basso nell'accordo di 7^ di
dominante:
Esempio 9.7.
Appoggiature
Si tratta di note estranee all'accordo che cadono sul tempo forte o sul tempo debole; simili ai ritardi, ne
rappresentano una versione più libera, meno scolastica.
Possono essere:
diatoniche/cromatiche
superiori/inferiori
L'appoggiatura prosegue sempre per grado congiunto; se si tratta di appoggiatura cromatica, nel senso
dell'alterazione.
Esempio 9.8.
42
Capitolo X, SEQUENZE (PROGRESSIONI)
Nel presente capitolo userò il termine sequenza, che nella teoria musicale è più attuale di ‘progressione’,
impiegato nella tradizione scolastica italiana.
La sequenza consiste nella ripetizione a differente altezza di un modello; nei compiti di scuola si tratta di
modelli essenzialmente armonici: data una successione armonica costituita di due accordi, tale successione si
ripete a differente altezza.
Le sequenze possono essere:
•
ascendenti/discendenti (se il modello viene ripetuto più in alto o più in basso):
•
fondamentali/derivate (se vengono usati accordi allo stato fondamentale o anche solo parzialmente
allo stato di rivolto):
•
tonali/modulanti (se rimangono nella stessa tonalità o il trasporto dell'armonia avviene
comprendendo la funzione degli accordi all'interno del primo modello):
fondamentale
discendente
derivata
discendente
tonale fond.
ascendente
modulante
ascendente
Esempio 10.1
Per quel che riguarda la condotta delle voci, si devono rispettare le seguenti indicazioni:
•
deve essere rispettata la posizione melodica;
•
nel passaggio da un modello al successivo sono ammesse quinte per moto retto ed eventuali false
relazioni;
•
Se tra gli accordi che costituiscono il modello della sequenze se ne trovano che contengono settime,
queste vanno preparate e devono scendere per grado congiunto nel passaggio all'accordo successivo.
Esempio 10.2.
non rispetta la
posiz. melodica
la 7^ sale
la 7^ non è
preparata
Alcuni modelli frequenti di sequenza
1. Basso che scende di 5^ e sale di 4^ , tonale (fondamentale e derivate)
Esempio 10.3.
43
Basso che scende di 5^ e sale di 4^ modulante
In questo caso i salti del basso sono tutti di 5^ e di 4^ giusta; per questo, ogni accordo potrebbe essere
considerato come dominante del successivo e di fatto il contesto è costantemente modulante. Una delle
derivate di questa sequenza offre il modello per l'armonizzazione del basso cromatico discendente (si
notino le due conclusioni possibili di tale progressione derivata):
Esempio 10.4.
N.B. Per l'uso pratico di queste sequenze nei compiti di scuola vedi oltre la descrizione tra gli “argomenti
specifici” nella parte dedicata all'armonizzazione dei gradi della scala e del basso.
Basso che sale di 4^ e scende di 3^ tonale/modulante. Questa sequenza è frequente sia nella sua versione
tonale (qui sotto a.) che nella versione modulante (qui sotto b.), in cui al basso che sale di 4^ si può attribuire
la funzione V-I.
Esempio 10.5.
Le derivate della versione tonale e di quella modulante offrono l'interpretazione della figura del basso legato
ascendente e del basso cromatico ascendente:
Esempio 10.6.
6
5
6
5
6
5
6
5
5
6
5
5
6
5
5
Progressione di basso che sale di 5^, ascendente di tono; nell'armonizzazione di questa sequenza si deve
stare attenti a mantenere la posizione melodica del modello, man mano che si trasporta.
44
Esempio 10.7.
CORRETTO
Sono possibili altre sequenze, naturalmente; basta che una successione si ripeta a differente altezza e quella è
una sequenza. Per quel che riguarda l'interpretazione armonica, basta seguire le seguenti indicazioni:
•
•
il basso che compie salti dalla 4^ in su si armonizza allo stato fondamentale generalmente;
quando il basso si muove con piccoli salti o per grado congiunto, è assai probabile che si debbano
usare i rivolti; in questo caso, armonizzato il primo modello, si copia l'armonizzazione nei modelli
successivi. Nel caso rimangano delle perplessità, è bene armonizzare l'ultimo dei modelli, ed
estendere l'armonizzazione ai modelli precedenti.
45
Capitolo XI: ARMONIA CROMATICA, ENARMONIA
Una o più note di un accordo costruito su un qualsiasi grado della scala possono essere alterate
cromaticamente in senso ascendente o discendente.
La nota alterata è “sensibilizzata”: deve risolvere nel senso dell'alterazione.
Alterazione relativa/reale
L'uso dell'alterazione può comportare la formazione di nuovi accordi, non possibili in un contesto diatonico.
Ecco un esempio:
Esempio 11.1.
E' impossibile una triade diatonica con 3^ mag. e 5^ dim.
Di conseguenza, l'accordo qui a fianco contiene un'alterazione reale.
Le alterazioni sono “reali” se procurano la formazione di accordi impossibili in un contesto diatonico; sono
“relative” se l'accordo che si forma, pur non appartenendo agli accordi diatonici della tonalità in cui ci si
trova, potrebbe appartenere a un'altra tonalità:
Effetto modulante/non modulante
Esempio 11.2.
L'alterazione può essere usata per spingere con maggiore forza un accordo sul successivo in un contesto che
resta tonale; al contrario, l'introduzione dell'alterazione può essere impiegata per cambiare di tonalità. Qui di
seguito il IV aumentato s’impiega prima dentro la tonalità, la seconda per modulare:
Alterazioni più comuni
Le alterazioni più frequenti sono quelle che forzano la condotta di un accordo con funzione di pre-dominante
(sottodominante) sulla dominante. Per questo, sono frequenti l'alterazione del:
•
IV aumentato (spinge sul V)
Esempio 11.3.
IV aum. nel modo min.
IV aum. nel modo mag.
Minore
Maggiore
Esempio 11.4.
46
•
VI abbassato del modo maggiore (spinge sul V):
Esempio 11.5.
Accordi di 6^ aumentata. Il IV aumentato e il VI abbassato del modo mag. (ovvero il VI naturale di quello
min.) possono anche essere impiegati contemporaneamente, dando luogo agli accordi di 6^ aumentata.
sesta italiana
6
sesta francese
sesta tedesca
quest'accordo è enarmonicamente equivalente a una 7^ di dominante.
6^ aumentata nel modo mag.:
Esempio 11.6.
italiana
francese
tedesca
6^ aumentata nel modo min.:
Esempio 11.7.
•
II abbassato (“sesta napoletana”) nel modo min. e mag.
Mantenendo la funzione del II, spinge sulla dominante
Esempio 11.8.
47
Enarmonia
Alcuni accordi alterati si prestano a interpretazioni enarmoniche, rendendo possibili modulazioni a tonalità
anche assai distanti fra loro. Gli esempi più evidenti e frequenti nella musica sono quello della sesta
aumentata “tedesca” e della settima diminuita.
Trasformazione enarmonica della sesta tedesca in 7^ di dominante:
modo mag.
modo min.
Esempio 11.9.
VI(II) =
V
VI(IV) = V
Trasformazione enarmonica della 7^ dim.:
Esempio 11.10.
N.B. L'accordo di 7^ dim. Si costruisce sul VII della scala minore cosiddetta armonica e per estensione sul
VII del modo maggiore (abbassando il Vi della scala). Ogni accordo di 7^ dim. può dare luogo a sei
trasformazioni enarmoniche. Esistono tre insiemi di suoni che generano tutti gli accordi di 7^ dim.; questo
fatto rende la 7^ dim. Particolarmente efficace nella realizzazione di modulazioni ai toni lontani (vedi p. 47).
48
Capitolo XII: MODULAZIONE
La modulazione consiste nel cambiamento di tonalità; una volta avvenuta, una nuova tonica sarà percepita
come luogo di proiezione delle melodie e delle armonie.
La modulazione presuppone che vi sia una tonalità stabilizzata, dalla quale allontanarsi per raggiungere una
nuova tonalità. Senza di ciò, non potrebbe essere percepito il senso di distacco/allontanamento. La
stabilizzazione della tonalità può avvenire in maniera elementare, con un giro armonico che dalla tonica torni
sulla stessa tonica. Effettuata la modulazione, anche la nuova tonalità dovrà essere stabilizzata
analogamente.
La modulazione avviene quindi nelle seguenti fasi:
a. stabilizzazione della tonalità iniziale
b. modulazione
c. stabilizzazione della tonalità di arrivo
Composizione di un giro armonico tonale (stabilizzazione della tonalità). Per quel che riguarda la
stabilizzazione della tonalità, si possono utilizzare le seguenti indicazione per la realizzazione dei compiti di
scuola:
•
utilizzare il tempo due metà (come è nello stile prevalente del corale);
•
percuotere entrambi i tempi della battuta cambiando accordo o rivolto dello stesso accordo; il
secondo rivolto della triade non si usa, se non nella cadenza finale perfetta composta consonante.
•
Iniziare collocando la tonica sul primo tempo della prima battuta.
•
Sul 1° o sul 2° tempo della terza battuta va collocata la dominante allo stato fondamentale, per
realizzare una cadenza tonale perfetta cadendo sulla tonica sul 1° tempo della battuta successiva.
•
Collegare la tonica inziale con la dominante nella terza battuta seguendo lo schema delle funzioni
armoniche tonali (vedi tabella p. 17).
•
Fino sulla dominante alla terza battuta, si dovrà preferire un movimento moderato della parte del
basso, che dovrà muoversi prevalentemente per grado congiunto o per piccoli salti; a tal fine si
potranno impiegare gli stati di rivolto degli accordi che sono stati scelti precedentemente.
Esempio 12.1.
Grado di affinità
Il grado di affinità esprime il grado di distanza tra le tonalità; tale distanza aumenta man mano che
aumentano le alterazioni di differenza tra le due tonalità13: la distanza tra Do mag. e Sol mag., quindi, è
inferiore a quella tra Do mag. e La bemolle min.
1° grado di affinità: fino a una alterazione di differenza
2° grado di affinità: due alterazioni di differenza
3° grado di affinità: tre alterazioni di differenza
4° grado di affinità: da quattro a sette alterazioni di differenza
13 Il numero di alterazioni di distanza tra due tonalità viene calcolato algebricamente; tra Sol mag. e La mag. ci sono
due alterazioni di distanza, così come tra Sol mag. e Fa mag. (si deve prima togliere il diesis, quindi aggiungere il
bemolle).
49
La modulazione di 1° grado di affinità viene anche detta “ai toni vicini”; tutti gli altri gradi di affinità
rappresentano modulazioni “ai toni lontani”.
Tecniche di modulazione
Le tecniche per modulare sono le seguenti:
•
accordo in comune
•
cromatismo
•
enarmonia
•
transizione
•
passaggio da tonica a tonica, senza alcun tipo di avvicinamento
Non esiste una tecnica migliore di un'altra; la tecnica impiegata può essere più o meno adeguata all'effetto
che si vuole raggiungere, considerando che la modulazione comporta un effetto di allontanamento/apertura.
Se si vuol ottenere un effetto di spostamento violento, si dovranno scegliere tonalità distanti e si dovranno
accostare senza tentare di avvicinarle. Al contrario, se si vuole ottenere un effetto di momentanea proiezione
al di fuori della tonalità in cui ci si trova, si dovrà optare per una tecnica che renda il passaggio evidente, ma
morbido.
Scolasticamente, si cerca sempre di avvicinare le tonalità che si devono collegare.
Tramite accordo in comune
Per accordo in comune si intende un accordo diatonico che appartiene a entrambi le tonalità che si devono
collegare, sebbene con funzioni tonali differenti. Nei casi di tonalità più distanti, si tratterà di un accordo che
appartiene a una tonalità intermedia tra le due tonalità che si devono collegare.
L'accordo di Do mag. ha funzione di tonica in Do mag., e di IV nella tonalità di Sol mag.:
Esempio 12.2.
L'accordo di Fa mag., sul IV grado di Do mag., è V di Si bem. min, quindi è efficace per avvicinarmi alla
tonalità per esempio di Sol bem. mag. la tonalità di Si bem. min è quindi una tonalità intermedia tra Do mag.
e Sol bem. mag. il cui accordo di tonica non viene fatto sentire:
Esempio 12.3.
La tecnica dell'accordo in comune si applica con maggiore efficacia alle modulazioni tra tonalità non
eccessivamente distanti; ciò non preclude la possibilità di usarla anche quando le tonalità sono più distanti.
Accordo in comune, 1° grado di affinità
L'accordo di tonica della tonalità iniziale è accordo anche della tonalità verso cui si deve andare; la
modulazione avviene all'interno dello stesso accordo di tonica, che viene interpretato con due funzioni
differenti, la prima relativa alla tonalità di partenza, la seconda relativa alla tonalità di arrivo.
50
Esempio 12.4.
In pratica: finita la stabilizzazione della tonalità iniziale, dalla tonica ci si sposta
direttamente sulla 7^ di dominante della nuova tonalità, allo stato di rivolto (scegliendo
quello che faccia muovere meno possibile il basso). Risolta la 7^ di dominante sulla
tonica, si prosegue con la stabilizzazione della nuova tonalità.
Accordo in comune, 2° grado di affinità
In questo caso l'accordo in comune andrà cercato su un grado differente dalla tonica della tonalità iniziale;
quando le tonalità distano due alterazioni, ci sono sempre due accordi in comune; si deve scegliere, dei due,
l'accordo in comune che si usa più frequentemente nella tonalità di partenza. Se la tonalità è minore, è
possibile che l'accordo in comune si debba cercare facendo riferimento alla scala naturale (tra Do mag. e Sol
min., gli accordi in comune sono Re min. e Fa mag.). Una volta raggiunto l'accordo in comune, a questo
verranno attribuite due funzioni, la prima relativa alla tonalità di partenza, la seconda a quella verszo cui si
sta andando. Di lì si prosegue quindi stabilizzando la nuova tonalità.
Esempio 12.5.
In pratica: finita la stabilizzazione della tonalità iniziale, ci si sposta dalla tonica
sull'accordo in comune tra le due tonalità (scegliendo quello che si usa più normalmente
nella tonalità iniziale); di qui ci si sposta sul rivolto della 7^ di dominante della nuova
tonalità che faccia muovere il basso meno possibile; infine, risolta la 7^ di dominante
sulla tonica, si prosegue con la stabilizzazione della nuova tonalità.
Accordo in comune, 3° grado di affinità
Un accordo in comune si trova in questo caso solo tra omologhe mag./min. Do mag. e Do min., ad esempio,
condividono l'accordo di Sol mag. come dominante. La modulazione in questo caso sarà molto semplice,
poiché, raggiunta la dominante in comune, si proseguirà come se ci si trovasse nella nuova tonalità:
Esempio 12.6.
Negli altri casi di modulazione di 3° grado di affinità tramite accordo in comune, questo andrà cercato
facendo riferimento a una tonalità intermedia; dovendo andare da Do mag. verso Mi bem. mag., si potrà
utilizzare, per esempio, la tonalità intermedia di Si bem. mag., facilmente raggiungibile da Do mag.
attraverso l'accordo di Fa mag.:
51
Esempio 12.7.
N.B. Per i compiti di scuola, dal 3° grado di affinità in poi conviene impiegare la tecnica della modulazione
attraverso trasformazione enarmonica.
Accordo in comune, 4° grado di affinità
Con il 4° grado di affinità diventa necessario in ogni caso servirsi della tonalità intermedia. Conviene
impiegare un accordo maggiore collocato su un qualsiasi grado della tonalità in cui ci si trova e interpretarlo
come dominante di tonalità minore; facendo una cadenza evitata sul VI di questa tonalità minore intermedia
ci si avvicina alla tonalità da raggiungere.
Esempio: modulazione da Do a Reb:
Esempio 12.8.
Tramite cromatismo
Alterando cromaticamente e in modo opportuno un accordo collocato su un qualsiasi grado della scala, è
facile proiettarsi verso qualsiasi altra tonalità. Una tecnica efficace è quella di trasferirsi su un accordo della
tonalità iniziale che, alterato, possa essere interpretato come accordo di sottodominante della tonalità verso
cui si deve andare; particolarmente efficace è l'accordo di settima di 3^ specie sul II della tonalità da
raggiungere (nel caso di tonalità maggiore tale accordo conterrà il IV abbassato della tonalità; quindi, la 7^
sul II sarà in ogni caso di 3^ specie); nel seguente esempio, concluso il giro di accordi in Do, viene alterato il
do al basso, dando luogo a un accordo di 7^ di terza specie; tale accordo viene interpretato come il II della
tonalità di Si min.:
Successioni onnitoniche della settima di dominante: ogni settima di dominante, muovendo per grado
congiunto le voci cromaticamente o diatonicamente secondo necessità, può risolvere su qualsiasi altra
settima di dominante (es.: modulazione da Do a Fa# min.):
Esempio 12.9.
N.B. Nelle successioni onnitoniche gli accordi di 7^ vengono considerati come accordi cromatici; cade
l'obbligo di risolvere le note obbligate; esse devono comunque essere mosse per grado congiunto
52
Tramite enarmonia
L'enarmonia consiste nel chiamare con nome differente una o più note di cui si costituisce un accordo; il
cambiamento di nome, consente di considerare l'accordo come appartenente a un'altra tonalità, più o meno
distante da quella iniziale.
L'enarmonia si applica con ottimi risultati alla 6^ aumentata tedesca e alla 7^ diminuita.
Modulazione ai toni lontani con trasformazione enarmonica della 7^ dim.
La trasformazione enarmonica è stata vista nel paragrafo dedicato all'armonia cromatica ed enarmonica (vedi
p. 27). Esistono solamente tre insiemi di suoni che generano tutti gli accordi di 7^ diminuita possibili:
Esempio 12.10.
Va ricordato che la 7^ diminuita si costruisce sul VII della scala min. cosiddetta armonica e sul VII della
scala mag. con il VI della scala abbassato; inoltre, come accordo cromatico, si costruisce sul IV aumentato
del modo mag. e min. (vedi sopra nel paragrafo sull'armonia cromatica).
In modulazione ai toni lontani, funziona meglio la 7^ diminuita sul IV aumentato del modo mag. o min.
Ecco come fare:
a. Stabilizzazione della tonalità iniziale
b. finito il giro armonico nella tonalità iniziale, si passa direttamente dalla tonica di
questa tonalità sulla 7^ diminuita costruita sul IV aumentato della nuova tonalità; se
nel passare da un accordo sull'altro dovessero esserci salti melodici aumentati o
diminuiti, la 7^ diminuita verrà scritta in modo tale da evitare tali salti; con note nere
senza valore si indicherà la trasformazione enarmonica della 7^ diminuita. La 7^
diminuita, in tempo tagliato, dovrà cadere sul secondo tempo della battuta.
c. si risolve la 7^ diminuita sul V della nuova tonalità, effettuando una cadenza
composta consonante.
Esempio 12.11.
La trasformazione enarmonica non è sempre necessaria; ecco un esempio:
Esempio 12.12.
Modulazione ai toni lontani con trasformazione enarmonica della 7^ di dominante in 6^ aumentata
“tedesca”.
La 6^ aumentata, utilizzando le alterazioni in modo opportuno, si può trasformare enarmonicamente in una
7^ di dominante; si faccia attenzione alla differenza che c'è nella costruzione dell'accordo in tonalità mag. e
53
min. (l'esempio è fornito a p. 27).
La possibilità di trasformare enarmonicamente una 7^ di dominante in 6^ aumentata, apre strade proficue per
la modulazione ai toni lontani. Si consideri infatti che è possibile passare direttamente da un accordo di
tonica mag. o min. su una 7^ di dominante costruita su uno dei sette gradi della scala diatonica di quella
stessa tonica; nel prossimo esempio si passa dalla tonica di Do mag. su una 7^ di dominante costruita allo
stato fondamentale su ogni grado della scala di Do:
Esempio 12.13.
Se il VI abbassato della tonalità maggiore verso cui dobbiamo modulare (ovvero il VI naturale della tonalità
minore verso cui dobbiamo modulare) coincide con uno dei sette gradi della scala diatonica della tonalità in
cui ci troviamo possiamo modulare usando questa tecnica, nelle seguenti fasi:
a. stabilizzazione della tonalità iniziale
b. dalla tonica della tonalità iniziale andare direttamente sulla 7^ di dominante
costruita su quel grado della scala iniziale che coincide con il VI abbassato della tonalità
mag. verso cui dobbiamo andare (ovvero con il VI abbassato della tonalità min. verso
cui dobbiamo modulare). La 7^ di dominante sarà collocata sul secondo tempo di una
battuta in tempo tagliato.
c. trasformare enarmonicamente la 7^ di dominante nella sesta aumentata della nuova
tonalità (facendo attenzione alla differenza di scrittura dell'accordo nella tonalità mag. e
min.). La trasformazione enarmonica si effettua con note nere senza valore.
d. si risolve la 6^ aumentata sul V della nuova tonalità, effettuando una cadenza
perfetta composta consonante.
e. si prosegue con la stabilizzazione della nuova tonalità
Esempio: modulazione da Do a Lab mag.:
Esempio 12.14.
Transizione
La modulazione tramite transizione consiste nel passaggio immediato da tonica a tonica; il presupposto è che
tra i due accordi vi sia un suono in comune. In genere la transizione si fa da tonica maggiore a tonica
maggiore, a distanza di 3^ mag. o min., sia superiore che inferiore. Nell’esempio, modulazione da Do a La.
Esempio 12.15.
54
RICAPITOLAZIONE: REGOLE ESSENZIALI
Costruzione:
Regole comuni:
*
*
*
Allo stato fondamentale
in primo rivolto
in secondo rivolto
si raddoppia la fondamentale
si raddoppia la fondamentale o al 5^
si raddoppia la 5^
Si ammette solo l'omissione della 5^ quando è giusta. Gli accordi di 7^ allo stato di rivolto sono sempre
completi.
Nella costruzione dell'accordo si deve iniziare subito con la preparazione dell'eventuale dissonanza contenuta
al suo interno (nei compiti di scuola si preparano le settime secondarie; essenzialmente quella sul II. Si
preparano i ritardi).
È vietato il raddoppio delle note con risoluzione obbligata (sensibile, dissonanze)
N. B.
La sensibile è il VII grado della scala/tonalità nella quale ci si trova. C'è sempre all'interno
della dominante (triade di dominante, settima di dominante)
Le dissonanze sono tali all'interno dell'accordo (verificare gli intervalli dei suoni rispetto alla
fondamentale dell'accordo). Nei compiti di scuola le dissonanze si trovano nei seguenti
contesti
a. 7^ di dominante;
b. 7^ sul II grado della scala maggiore e minore;
c. 5^ diminuita nell'accordo sul II grado della scala minore (triade o settima).
d. ritardi
Collegamento:
Regole comuni:
I collegamenti armonici vanno eseguiti muovendo le voci il meno possibile, tenendo conto delle regole di
costruzione e collegamento.
Nel collegare un accordo col successivo si devono seguire in ordine i seguenti passi:
a. preparare la dissonanza eventualmente contenuta nell'accordo su cui ci si sta spostando (7^ sul II o
ritardo);
b. muovere le note obbligate per grado congiunto
la sensibile sale (è il VII della scala/tonalità in cui ci si trova).
le dissonanze scendono (a meno che le dissonanze non restino legate all'unisono per preparare un ritardo).
c. muovere i suoni raddoppiati nell'accordo di partenza.
d. muovere il resto, evitando errori di quinte, ottave, unisoni per moto parallelo (non vi sono eccezioni) o
retto (sono ammesse quinte e ottave per moto retto tra parti interne quando una delle due voci si muove per
grado congiunto; si ammettono anche tra parti esterne quando il basso salta di 4^ e il soprano va di grado).
Nel farlo, si deve cercare il miglior raddoppio nell'accordo su cui si sta andando.
55
Testo breve, SECONDA PARTE
Armonizzazione dei gradi della scala e del basso
Indicazioni generali
6
I e III
=
TONICA
6
5
V e VII
=
DOMINANTE (il V si armonizza con 5; con
solo quando va al I).
VI, IV, II si armonizzano in relazione a quel che fa la nota del basso:
a. prima della tonica si usa la settima di dominante*
b. prima della dominante si usa la 7^ sul II (preparando la settima)*
c. quando il basso scende di 3^ si armonizza con 5 (triade allo stato fondamentale); fanno ovviamente
eccezione il III e del VII che sono sempre rivolti rispettivamente del I e del V.
* Quando non è possibile usare l'accordo indicato, si usa la triade sul IV.
Note preliminari
Le indicazioni date sono da intendersi equivalenti per il modo maggiore e per quello minore. Laddove vi
siano delle differenze, esse verranno illustrate volta per volta nei casi specifici.
Armonizzazione di ogni tempo della battuta
Nei compiti scolastici si dà una regola: si deve percuotere ogni tempo della battuta. Quando il basso resta
fermo per più di un tempo, è necessario quindi muovere le parti superiori; ciò si ottiene nella maggior parte
dei casi cambiando il tipo di accordo o utilizzando i ritardi (per questo la regola viene data in genere dopo
che siano stati studiati).
Esempio II.1.
Errore di sincope armonica
Scolasticamente, è vietato ripetere sul tempo forte della battuta lo stesso accordo dato su quello debole
precedente, seppur cambiando rivolto.
ERRATO
ERRATO
Esempio II.2.
56
Cambio di posizione melodica
In alternativa, se nella realizzazione del basso si è scesi eccessivamente con le parti superiori, si può fare un
cambio di posizione melodica. Nel farlo, è bene ricordare che: 1. è possibile passare solo alla posizione
melodica più vicina; 2. è possibile fare quinte o ottave per moto retto con il basso, anche tra parti esterne e se
nessuna delle parti va per grado congiunto; 3. restano vietate le ottave parallele:
Esempio II.3.
Tempo
Gli esempi vengono presentati con tempo 4/4, poiché è prevalente nei compiti di scuola. Quanto indicato si
applica tuttavia senza variazioni sia in tempo 3/4 che in tempo tagliato, ricordando che in quest'ultimo caso il
battito di minima equivale alla semiminima in tempo 4/4. Le due armonizzazioni successive mostrano lo
stesso passaggio in 4/4 e in tempo tagliato:
Esempio II.4.
Pause al basso
Quando il basso inizia con una pausa, al tenore deve essere posta la fondamentale; non appena il basso entra,
il tenore recupera la posizione più conveniente. Se si presenta una pausa nel corso del basso, si può
armonizzarla come se fosse presente la nota del basso subito successiva; in questo caso, in altre parole, non è
necessario mettere al tenore la fondamentale dell'accordo:
Esempio II.5.
57
Armonizzazione dei gradi della scala a seconda dei contesti
I
a.
b.
d.
c.
e.
f.
a. I nel contesto prevalente
b., c. I in cadenza finale plagale (nella forma di breve pedale di tonica).
d.-f. I nel contesto di sincope al basso: sul tempo forte o mezzo forte. In e. la sincope si presenta
nella forma di una nota lunga tra tempo debole e tempo mezzo forte successivo: si armonizza come
in d.
N.B: Vedi oltre le annotazioni specifiche riguardanti l'armonizzazione del “basso in sincope”.
Quando il I dura due tempi cadendo sul tempo forte o mezzo forte della battuta, si impiega il
ritardo. In genere si usa il ritardo della terza; il ritardo dell'ottava della fondamentale si usa solo
quando il I proviene dal VII:
I
che dura due tempi:
6
5
II
II – I / III
58
II – VII(V)
Il basso che scende di terza si armonizza con 5
7
II – V
ricorda di preparare la settima sul II, quale che sia l'accordo che lo precede!!!
N.B. per le diverse armonizzazioni del V, a seconda dei contesti vedi avanti
7
I – II – V
Quando il II scende di quinta sul V, si armonizza
con 5; l'armonizzazione con 7 prova quinte per
moto retto (nessuna delle due voci va per grado
congiunto).
7
II – V
7
4
2
6
II – IV – III
7
La settima sul II che viene dal I allo
stato fondamentale si armonizza con
al fine di evitare le quinte parallele.
Preparare la 7^.
Questo caso è raro. Preparare la settima sul II
6
5
II – IV - V
59
III
6
III(I)
Nell'armonia tradizionale, sul III si impiega il primo rivolto della Tonica.
• Nella costruzione di una triade in primo rivolto è possibile raddoppiare sia la fondamentale
che la quinta dell'accordo.
• È errato il raddoppio della terza, a meno che non sia reso necessario dalla risoluzione di una
parte obbligata (come accade nell'ultimo degli esempi proposti sopra).
IV
4
2
6
IV – III
Il IV all'interno di una figurazione di basso in sincope si incontra in genere nel contesto di “basso
legato modulante” (vedi oltre: basso legato in sincope).
*
*
6
5
IV(II) - V
* vedi oltre l'armonizzazione del V che dura quattro tempi.
Nell'ultimo dei tre esempi esposti qui sopra, si trova un IV aumentato (il fa #): è usato a volte per
marcare una cadenza importante del basso (solitamente l'ultima formula di cadenza con cui si
chiude il basso). Si armonizza come il IV naturale; l'accordo di 7^ che deriva dall'uso
dell'alterazione è la dominante della dominante.
60
IV – II
Il basso che scende di 3^ si armonizza con 5
V
V (che dura 1/2 tempi) – I
Il V che dura due tempi si può armonizzare in vari modi; quelli proposti sono comuni e utilizzabili
senza preferenze ( in ordine: cadenza perfetta composta consonante, composta dissonante)
V (che dura 3 o 4 tempi) – I
Il modello di cadenza con il V che dura 4 tempi si chiama “cadenza perfetta doppia”.
Il basso che scende di terza non si può armonizzare con 7;
l'8^ per moto retto che ne deriverebbe, essendo
provocata da una dissonanza, è troppo in evidenza.
6
V – III(I)
6
V - IV(V) – III(I)
V – II(V) – I
61
6
5
La sensibile, anche se a distanza,
deve sempre risolvere sulla tonica.
V – VII(V) – I
V- VI
ERRATO
la cadenza V-VI si definisce “evitata”
L'errore, nell'ultimo esempio di quelli precedenti, sta nel fatto che la sensibile non è salita.
VI
L'alterazione ascendente della terza consente di costruire l'accordo
senza la preparazione della settima
Non è possibile la risoluzione sulla settima di dominante
incompleta, per via dell'errore di falsa relazione che ne deriva
VI(II) – V
VI(IV) – VII(V) – I
N.B. Questa successione si trova inserita normalmente all'interno della
successione V-VI-VII-I. Ovvero: regola dell'ottava
La regola dell'ottava serve ad evitare due inconvenienti: il primo è quello delle quinte parallele
(esempi a., b. qui sotto); il secondo è quello di far scendere di posizione le parti superiori (esempio
c.). Naturalmente, se si vuole scendere con le voci superiori, non si usa la regola dell'ottava.
In questa successione di gradi al basso non è possibile usare il rivolto della 7^ sul II prima del VII,
dal momento che ne deriverebbe il raddoppio della sensibile (esempio d.).
a.
b.
c.
d.
Al fine di evitare questi inconvenienti, si impiega il modello incluso nella regola dell'ottava. Tale
modello va copiato esattamente, a seconda della posizione melodica di partenza del V
62
VII
6
5
VII(V) – I
6
VII – VI
I – VII – VI – V
Regola dell’8^
N.B. La numerica impiegata per la 1^ posizione melodica è identica nelle altre posizioni.
Gli accordi, le note di ogni singolo accordo e i movimenti delle parti nel modo minore sono gli
stessi: la scala di riferimento è la seguente
63
ARGOMENTI SPECIFICI
1. Modulazioni al basso
Nel basso di scuola, le modulazioni sono indicate in due modi:
1a. alterazioni al basso: su uno dei tempi della battuta compare un suono che non fa parte della
scala in cu ci si trova. In questo caso, l'alterazione potrà essere ascendente o discendente rispetto al
suono diatonico della scala in cui ci si trova
Alterazione ascendente: può essere solamente VII o II di una nuova tonalità (II di tonalità min.)
Alterazione discendente: può essere solamente IV o VI di una n uova tonalità (VI di tonalità min.)
Si opta tra le due tonalità guardando come prosegue il basso; in particolare sono rilevanti:
• le sensibili delle tonalità tra cui si deve optare;
• il movimento del basso: quando il basso fa grandi salti (dalla 4^ in su) in genere si
armonizza allo stato fondamentale; in particolare, quando scende di 5^ o sale di 4^ tra tempo
debole e tempo forte successivo, è probabile si tratti di una successione V – I.
Nei due esempi precedenti:
il si bemolle potrà essere IV di Fa maggiore o Vi di Re minore (in quanto alterazione discendente
del si bequadro di Do maggiore);
il fa diesis potrà essere VII di Sol maggiore o II di Mi minore (in quanto alterazione ascendente
del fa bequadro in Do maggiore).
Alterazione discendente, esempi.
Nell'esempio che segue il sib è IV di Fa mag., perché più avanti si trova il do bequadro (in Re
minore il do è diesis):
Nell'esempio seguente il si bemolle è VI di Re minore, perché più avanti si trova il do diesis (che
non fa parte della tonalità di Fa maggiore):
Alterazione ascendente, esempi.
Nell'esempio seguente il fa diesis è VII di Sol maggiore, perché più avanti si trova il re bequadro
che scende, in questo caso di quinta (in Mi minore il re è diesis e, in quanto sensibile, deve salire):
64
Nell'esempio seguente il fa# è II di Mi minore, perché più avanti si trova il re# (che non fa parte
della tonaliltà di Sol maggiore):
N.B.1. L'indicazione “I/IV” indica che l'accordo (in questo caso il I) è il punto di volta tra le due
tonalità; esso, quindi, svolge una doppia funzione, da una parte è I della tonalità che si sta lasciando,
dall'altra è IV della tonalità verso cui si sta andando. La modulazione si sta svolgendo quindi con la
tecnica dell'accordo in comune (vedi sopra, p. 50).
N.B.2. La tonalità in cui ci si trova va mantenuta fin dove possibile; in particolare è conveniente
considerarsi nella tonalità in cui ci si trova fino all'ultima cadenza (perfetta, imperfetta, evitata o alla
dominante).
Quando il basso fa un movimento cromatico, la modulazione avviene senza accordo in comune:
1b. Movimenti tipici del basso.
Vanno considerati movimenti che indicano la modulazione verso una nuova tonalità:
1. la sensibile che scende non è sensibile ma nota di una nuova tonalità (*1);
2. il movimento cadenzale del basso, tenuto presente che
2.1. i salti superiori alla 4^ in genere sono stati fondamentali,
2.2. il salto di 5^ discendente o di 4^ ascendente tra tempo debole e forte successivo è in
genere una cadenza V -I (*2).
*2
*1
3. Il basso legato in sincope è modulante quando il suono successivo non è sensibile; in questo
caso la modulazione avviene sempre nella forma IV – III della nuova tonalità. Nel seguente
esempio la prima volta il basso in sincope non è modulante (la nota che segue è sensibile),
mentre la seconda volta modula:
65
2. Note di fioritura
Il basso può essere fiorito melodicamente, con suoni posti sulla suddivisione. L'armonizzazione,
sostanzialmente, è analoga a quella di un basso privo di note di fioritura; vanno considerati i suoni del basso
che cadono sui tempi della battuta. Nell'esempio seguente...
... il basso si armonizza considerando i suoni che cadono sui quattro tempi della battuta:
quindi, nella sostanza, il basso da armonizzare è di fatto quello che segue:
Benché nella maggioranza dei casi le note di fioritura non influenzino l'armonizzazione del basso, è
necessario tenerne conto, poiché in alcuni casi possono provocare degli errori.
Le note di fioritura possono essere di due tipi (a., b. qui di seguito):
2a. note reali, di arpeggio
Le note di arpeggio devono essere incluse nell'accordo; ove ciò non accedesse, l'armonizzazione, e con
ogni probabilità anche l'individuazione della tonalità in cui ci si trova, sarebbero errate (le note segnate con
l'asterisco non fanno parte dell'accordo: armonia errata):
Le note di arpeggio possono provocare il raddoppio o l'omissione della terza dell'accordo; riguardo ciò si
consideri che:
1. La terza può essere raddoppiata dal movimento del basso che passa dallo stato fondamentale sul
primo rivolto; in questo caso, generalmente conviene star fermi con le parti superiori (nell'esempio
vedi *1).
2. La terza non può mai mancare sui tempi della battuta; quindi, quando il basso passa dal primo rivolto
allo stato fondamentale, è necessario muovere una delle voci superiori per integrare la terza
dell'accordo (*2 errato; la correzione è alla battuta successiva).
3. La terza può mancare solo sulla suddivisione (*3).
4. Con *4 si segnala un passaggio frequente del basso e la sua armonizzazione migliore.
66
2b. note estranee, di passaggio o di volta
Le note di passaggio e di volta non fanno parte dell'accordo. Devono essere rigorosamente raggiunte e
lasciate per grado congiunto; anche se solamente una di queste cose non si verifica, la nota di fioritura non
sarebbe di passaggio o volta, ma nota di arpeggio. Nel seguente esempio, in cui è presupposta una
armonizzazione a quattro parti, sono indicate con
v: dota di volta
a. nota di arpeggio
p: nota di passaggio
Le note di passaggio, come quelle di volta, cadono quasi sempre sulla suddivisione (nel primo dei due casi
presentati qui di seguito); può capitare che cadano sul tempo debole (il secondo dei casi presentati di seguito
è tipico dei bassi di scuola); le note di passaggio sono indicate con l'asterisco:
Quando il basso si muove all'interno di
una 3^ tra tempo forte e debole successivo,
si armonizza con un solo accordo.
Le note di passaggio possono essere diatoniche o cromatiche. Nei compiti di scuola, le note di passaggio e
di volta sono quasi sempre diatoniche.
Le note di passaggio cromatiche devono sempre procedere per semitono da una nota diatonica a quella
successiva; qualora ciò non accadesse, non si tratterebbe di una nota di passaggio cromatica, ma di una nota
diatonica di una scala diversa da quella in cui pensavamo di essere (vedi il terzo caso di quelli proposti qui di
seguito). Il fa# nel secondo esempio di quelli qui di seguito, è una nota di passaggio cromatica, raggiunta per
semitono dal sol, che prosegue per semitono sul fa bequadro:
Nell'esempio precedente:
1 = nota di passaggio diatonica
2 = nota di passaggio cromatica
3 = nota di volta cromatica
Per quanto detto, le note di passaggio possono essere utili ai fini dell'individuazione della tonalità in cui ci si
trova, dal momento che, se sei tratta di note alterate rispetto alla tonalità in cui ci si trova e non si tratta di
note di passaggio cromatiche, indicano che ci si trova in una nuova tonalità (ancora una volta si veda il terzo
degli esempi proposti qui sopra).
Le note di volta possono essere diatoniche e cromatiche; in quest'ultimo caso, devono essere sempre
raggiunte lasciate per semitono diatonico dalla nota diatonica della scala. Le note di volta cromatiche non
comportano modulazione, come si vede nell'esempio seguente:
67
3. Basso in sincope e ritardi al basso
Nei compiti di scuola è vietato ripetere sul tempo forte o mezzo forte di una battuta l'accordo dato
sul tempo debole precedente; si avrebbe l'errore di sincope armonica.
ERRATO
sincope armonica
3a. Basso in sincope
Il basso in sincope, che risolve scendendo, si armonizza:
a. con 2/4 sul tempo forte o mezzo forte (può essere tonale o modulante, vedi sopra p. 49):
tonale
N.B. Attenzione al
modulante
in terza posizione melodica; è facile incorrere nell'errore di quinte parallele;
qui di seguito è indicato l'errore e il modo per correggerlo:
Come mostrato, il modo più facile per evitare le quinte parallele è di armonizzare con 6 il secondo
movimento dell'accordo che precede il . L'armonizzazione con 6 dell'accordo che precede il
è
possibile solo su un I grado di scala maggiore e mai se sul tempo ancora precedente non si sia
sentito il I (si veda l'esempio con l'indicazione “errato” qui sopra). Il V non si armonizza con 6,
mai.
3b. ritardi al basso: si impiega il ritardo al basso laddove è inusuale l'uso
descritto.
N.B. I ritardi al basso vengono trattati solo dal basso n. 70 di J. Napoli
del come appena
68
Il basso in sincope si trova anche all'interno di progressioni discendenti o ascendenti
Tali forme di progressione verranno trattate sotto, nel paragrafo dedicato alle progressioni.
69
4. Ritardi
I ritardi sono dissonanze in sincope; come tali vanno preparati con una nota che duri almeno un
tempo, devono cadere sul tempo, devono risolvere sul tempo debole successivo.
Sono errate, quindi, tutte le seguenti realizzazioni:
a.
b.
c.
d.
e.
•
•
•
•
•
a. Il ritardo non ha preparazione (si tratta quindi di un’appoggiatura, che nei compiti di
scuola non si ammette).
b. Il ritardo cade sul tempo debole e risolve su quello mezzo forte (deve cadere invece sul
tempo forte e risolvere su quello debole);
c. Il ritardo non dura un tempo e risolve sulla suddivisione (deve durare un tempo e risolvere
sul tempo debole successivo)
d. La preparazione non dura un tempo, ma una suddivisione (deve durare un tempo);
e. Non è ammessa la presenza simultanea di ritardo e nota ritardata (se ritardo il mi, non è
possibile che un'altra voce faccia sentire il mi; fa eccezione il ritardo dell'8^ della
fondamentale).
L'uso dei ritardi, com’è evidente, non altera la realizzazione del basso.
Nei compiti di scuola si usano le seguenti forme di ritardo:
a. ritardo della terza (4-3) sul I e sul V che durano due tempi e cadono sul tempo forte o mezzo
forte:
N.B. Negli esempi seguenti viene proposto lo stesso passaggio senza l'uso del ritardo e con il ritardo
b. ritardo della terza nel secondo rivolto degli accordi di 7^ sul V e sul II (
su accordi allo stato di rivolto, il basso sarà nella forma di II – I/III, IV – V.
,
). Essendo
70
c. ritardo dell'ottava della fondamentale sul I che viene dal VII (9-8 sul I che dura due tempi).
N.B. Il ritardo dell'ottava deve essere realizzato mantenendo la distanza di 8^ tra il ritardo e la
fondamentale; non può essere realizzato nella forma di 2^ che risolve in unisono.
d. I ritardi al basso sono stati trattati nel paragrafo sul basso in sincope.
71
5. Sequenze
•
•
•
Durante una sequenza non è necessario indicare i gradi al basso, se non per la successione conclusiva
(in genere V-I).
Nei compiti di scuola, la sequenza è ripetizione di un modello costituito dalla successione di due
accordi; le ripetizioni del modello successive devono essere testuali: non si ammettono cambi di
posizione melodica. Nel seguente esempio, la realizzazione corretta è solo la prima delle due; nella
seconda l'errore sta nel cambio di posizione melodica. Quando la sequenza è discendente,
prevedendo una discesa conseguente delle parti superiori, se necessario, si deve cambiare posizione
melodica prima dell'inizio della progressione; se ciò è impossibile, si farà dopo che la progressione
sia conclusa.
se nel modello di sequenza si trova un accordo di 7^, la settima va preparata e deve scendere per
grado congiunto nel passaggio all'accordo successivo.
N.B. La sequenza tonale di quinte discendenti con le sue derivate può iniziare su un qualsiasi grado; in
genere si chiude con la successione dominante-tonica (allo stato fondamentale o di rivolto, a seconda del tipo
di progressione).
5a. sequenza di basso legato discendente:
ERRATO
N.B.1.: questa sequenza inizia sempre con
con la successione IV – III.
sul tempo forte del primo basso in sincope; termina in genere
N.B.2. Nel secondo esempio, l'armonizzazione con del V prima dell'inizio della sequenza serve ad evitare
le quinte parallele (segnate con l'asterisco nell'esempio successivo).
5b. sequenza circolare di quinte discendenti (basso che scende di 5^ e sale di 4^):
N.B.1. Questa progressione inizia sempre con un accordo di 7^ completo.
N.B.2. L'errore più comune (segnalato qui sopra) deriva dal tentativo di limitare la discesa delle parti
superiori, cambiando posizione melodica nel corso della progressione; è vietato: oltre a impedire la corretta
ripetizione del modello, impedisce la risoluzione della dissonanza per grado congiunto discendente.
72
c. basso che scende di 3^ e sale di grado (derivata dalla precedente):
N.B.1. Questa progressione si armonizza con 5 sul basso che scende di 3^,
su quello che sale.
N.B.2. Occasionalmente può terminare sul II, anziché con la successione V -I (vedi il secondo caso
dell'esempio qui sopra).
d. basso che sale di 4^ e scende di 3^ (tonale/modulante)
5e. Basso che sale di 5^ e scende di 4^
5f. Sequenza di basso cromatico discendente: vedi sopra p. 44
5g. progressione di basso cromatico ascendente: vedi sopra p. 44
Progressioni imitate
Alcune progressioni sono strutturate in modo da poter inserire in una delle voci superiori il disegno melodico
proposto dal basso:
Questo modello viene armonizzato in modo da inserire in una delle voci superiori lo stesso disegno proposto
dal basso (nell'esempio che segue si trova nel soprano, ma potrebbe essere una qualsiasi voce); il basso
scende dalla fondamentale sulla 3^ dell'accordo successivo, altrettanto fa il soprano.
73
Le più frequenti tra le progressioni imitate sono quelle che si basano sul modello di progressione di basso
che scende di 5^ (scende di 5^ e sale di 4^); un tipo è quello proposto nell'esempio qui sopra. Altri modelli,
sempre derivati dalla stessa sequenza, sono i seguenti:
Non si deve imitare il salto di 8^ che inizialmente il basso può fare per acquistare una posizione migliore:
Un errore: fioritura dell'unisono: l'errore sta nell'entrare nell'unisono per grado congiunto; è al contrario
corretto uscirne:
Quindi, per realizzare correttamente la seguente imitazione, è necessario trovarsi nella posizione melodica
opportuna; nel caso non fosse possibile, si dovrà alterare il disegno dell'imitazione, mantenendone il ritmo:
Sequenza imitata di basso legato discendente:
Sequenza imitata ascendente:
74
Ipertesti capitolo I, SCALE E MODI
Ipertesto 1.1: scale e modi
Le scale e i modi sono considerati un universale della musica [Molino e Nattiez 2005, p. 339], dal momento
che si presentano in tutte le culture musicali conosciute. È comune il riconoscimento dell'ottava, come
cornice entro la quale avviene la segmentazione del continuum sonoro a seguito della quale scaturiscono i
suoni della scala, così come è comune la selezione dei toni della scala per dare luogo ai modi. Sono ancora
comuni la gerarchizzazione dei gradi del modo, che porta all'individuazione di uno dei suoi suoni (che
diviene in questo modo il primo grado dei quel modo) come quello adatto a concludere il flusso della
melodia, e la focalizzazione di uno o più gradi, distinti dal primo e dai restanti, meno rilevanti del modo. La
melodia tenderà ad appoggiarsi e ad articolarsi su questi gradi strutturali del modo, che assumeranno per
questo una funzione polarizzante nel suo dispiegarsi [McAdams 1989, p. 268]. È rilevante la frequenza con
cui diversi linguaggi musicali riconoscono un valore strutturale di rilievo ai gradi che si trovano a distanza di
una quinta o di una quarta dal primo grado.
Nella trattazione teorica di scale e modi si segue il percorso che dalla scala va al modo (anche io ho fatto così
nel testo); tuttavia è bene tener presente che l'esperienza segue il percorso esattamente inverso: le melodie si
cantano a seconda dei casi ora in un modo ora in un altro; operando poi una astrazione concettuale e
mettendo assieme i suoni di tutti i modi, si arriva a definire la scala che li contiene.
D'altra parte, gli stessi modi sono anche derivati dall’astrazione delle caratteristiche essenziali che
individuano i tipi melodici ricorrenti nei repertori orali di una cultura musicale.
Il fatto che diverse culture musicali, distanti tra loro sia nel tempo sia nello spazio, manifestino somiglianze
piuttosto notevoli riguardo aspetti essenziali della musica, come le scale e i modi, si spiega tenendo presenti
due cose: la prima, che il suono, pur manifestandosi in natura secondo una molteplicità infinita di aspetti, ha
una natura armonica (vedi più avanti il fenomeno fisico della risonanza armonica), che l'orecchio umano è in
grado di apprezzare; la seconda, che l'uomo elabora a sua volta le percezioni secondo i limiti fisici e psichici
determinati della specie. La rilevanza naturale dell'intervallo di ottava e degli altri armonici, per esempio,
spiega plausibilmente la natura delle scale musicali e la segmentazione dell'ottava stessa [Zanarini, 2002, p.
13]; vi è poi il limite di discriminazione dell'orecchio umano, da cui consegue che non esistano modi e
musiche reali in cui lo scarto tra due altezze vicine sia inferiore al semitono [Meyer, 1998, ed 2000, p. 284,
cit. in Molino e Nattiez, 2005, p. 351]. La scala del canto gregoriano comprende 8 suoni (il si può essere
bemolle o bequadro), la nostra scala comprende invece dodici semitoni equidistanti secondo il sistema
temperato; la scala indiana è composta di 24 quarti di tono. Il fatto che in tutti e tre questi casi i repertori
musicali si basino su modi composti di sette suoni – unito all'osservazione di fenomeni simili presso altre
culture musicali - permette di confermare che in generale gli intervalli che compongono le scale sono
generalmente più piccoli di quelli dei modi che sono inclusi in quelle stesse scale [Fernando, 2005, p. 927].
La conformazione di un modo ha a che fare con la melodia, che è una successione di suoni coerente e chiusa
in sé, in genere. La coerenza e l'effetto dinamico di chiusura, preceduto evidentemente da quello di
apertura/allontanamento/percorso, sono ottenuti attraverso diversi fattori: contribuiscono il ritmo, il profilo
stesso della melodia, la ricorrenza e/o persistenza dei suoni. Tuttavia, nei linguaggi musicali naturali la
distinguibilità dei suoni e la loro gerarchizzazione (vedi oltre per un approfondimento di questo argomento),
sono favoriti decisivamente, ancora prima, dalla struttura del modo, proprio perché le distanze tra i suoni fra
loro non sono uguali: ci sono toni, semitoni e, nelle scale pentafoniche per esempio, anche distanze maggiori.
Le scale/modi codificano rapporti, anziché differenze [Zanarini, p. 6-9]. Fin dall'antichità, al centro della
riflessione dei teorici è stato l'aspetto degli intervalli percettivamente distinguibili tra suono e suono della
scala, piuttosto che l'identificazione dell'altezza assoluta del singolo suono. Nello schema di alternanze tra
toni e semitoni, deve essere chiaro chi fa cosa, non è ammessa ambiguità. La scala cromatica, costituita di
dodici semitoni, e la scala esatonale14, costituita da sei suoni tutti a distanza di tono fra loro, non hanno
questa caratteristica essenziale. La scala cromatica è stata già esemplificata; qui di seguito vengono indicate
le due scale esatonali possibili a partire dalla scala cromatica costituita di dodici semitoni;
Esempio:
14 Attenzione a non confondere il termine esatonale con esafonica: nel primo caso con la parola si indica una scala
costituita di sei toni interi, nel secondo caso più genericamente una scala di sei suoni. È chiaro che la scala esatonale
è anche una scala esafonica; ma non il contrario.
75
Quanto detto spiega come mai, dopo aver avuto una certa fortuna in determinati ambiti della produzione
musicale dell'inizio del XX secolo - sull'onda delle riflessioni estetiche di quel tempo – l'uso della scala
esatonale e successivamente di quella cromatica sia andato pian piano scemando, senza mai comunque
superare i limiti dell'esperienza musicale colta e mai arrivando a toccare il senso della scala/modo
nell'esperienza condivisa del linguaggio musicale. È difficile immaginare che qualcuno fischiando sotto la
doccia abbia mai rinunciato alla scala di sette suoni.
Detto questo, è necessario aggiungere che, se si deve esprimere ambiguità, sospensione, indefinitezza, la
scala cromatica o quella esatonale è quel che ci vuole. Debussy, nella cui musica aleggia spesso questo stato
di sospensione e di mistero, ha impiegato differenti volte la scala esatonale con questo intento espressivo. In
alcuni casi l'intera composizione è impiantata sulla scala esatonale, come per esempio il secondo dei preludi
per pianoforte del primo libro.
C. Debussy, Preludi per piano, libro primo, n. 2 Modéré, p. 3-6, link
http://petrucci.mus.auth.gr/imglnks/usimg/c/c0/IMSLP00509-Debussy_-_Preludes__Book_1.pdf
Vanno considerate due cose a proposito di questo secondo preludio del primo libro: la prima, che c'è una
sezione in cui Debussy abbandona la scala esatonale su cui è impiantato il brano per inserire sei batt. nella
scala pentafonica minore di Mi bemolle; la seconda, che Debussy neutralizza la potenziale indefinitezza della
scala esatonale tramite la persistenza del si bemolle nel basso: questo si ancora i suoni percettibilmente,
facendo intendere come sia quello il riferimento della scala usata e dei movimenti al disopra di esso. In altre
parole, Debussy usa la scala esatonale più per creare una suggestione di indefinitezza (in questo caso
suggerita anche dall'immagine delle vele - ...Voiles – con cui l'autore chiude la musica e dall'indicazione
“con un ritmo senza rigore e carezzante” posta all'inizio della partitura), che per disorientare deliberatamente
l'ascoltatore.
In altri casi Debussy non impianta la musica sulla scala esatonale, ma la usa per ottenere momenti di
rarefazione o di estenuazione. Così accade per esempio in Reflets dans l'eau; si veda la battuta centrale del
seguente frammento:
Esempio, C. Debussy, Image per pianoforte, Reflets dans l'eau, frammento
Nella stessa musica Debussy sovrappone al movimento del basso sui gradi della scala esatonale, gli arpeggi
non esatonali della mano destra:
Esempio, C. Debussy, ibidem.
È differente il discorso per quel che riguarda la scala di 12 semitoni. L'uso della scala per toni interi
76
(esatonale) e della scala per semitoni si colloca, come accennato, all'inizio del XX secolo ed entrambi si
svilupparono sull'onda della crisi del sistema tonale. Tuttavia le scelte estetiche e conseguentemente tecniche
di due autori che esercitarono grande influenza in quegli anni – Debussy e Schoenberg – si pongono su fronti
opposti. Debussy supera il cromatismo wagneriano e la tonalità originalmente, immergendo armonie
diatoniche e gesti melodici ricorrenti, altrettanto diatonici, in un tessuto cangiante in cui il cromatismo e l'uso
di scale inconsuete sono strumenti per la creazione di suggestioni sonore e coloristiche: in altri termini, il
cromatismo (ovvero la considerazione della scala di dodici semitoni come repertorio di suoni cui poter
attingere senza condizionamenti strutturali imposti a priori), così come la scala per toni interi non sono i
soggetti della vicenda, ma strumenti per ottenere altro. Altra è la scelta estetica e conseguentemente tecnica
di Schoenberg, nel quale l'approdo al cromatismo si pone al contrario non come il superamento
dell'esperienza wagneriana, bensì come il suo compimento in qualche modo necessario. La scelta della scala
cromatica prima ancora che musicale è ideologica: si trattava non di superare il cromatismo wagneriano, ma
la tonalità tradizionale, con le scale e i modi che ne costituivano la base imprescindibile. Il presupposto di
Schoenberg è che, “dal momento che la tonalità non è una condizione imposta dalla natura, è privo di
significato insistere sul fatto di conservarla per legge naturale.” [Rognoni, 1974, p. 27]. Se la tonalità si basa
sulla scala e sulla gerarchizzazione dei suoni della scala, il superamento della tonalità non può avvenire che
imponendo l'uso di una “non scala”, ovvero di una successione indistinta di dodici semitoni, per definizione
equidistanti fra loro. Schoenberg definirà la dodecafonia come un “metodo per comporre mediante dodini
suoni che non stanno in relazione fra loro”.
Basta nulla, per intendere la distanza che c'è tra la musica di Debussy e l'operazione intellettuale di
Schoenberg:
A. Schoenberg, Fünf Klavierstücke, op 23, n. 5, Walzer
“La scala diatonica è sistema e linguaggio per tutti; invece, la scala cromatica per la competenza musicale
comune non esiste come scala, ossia come sistema e linguaggio; non è melodia...” [Stefani, 1987, p. 168]. Il
disorientamento che si prova ascoltando musiche come quella appena proposta di Schoenberg proviene da
diversi fattori; sicuramente la mancanza di comprensibilità inizia dall’impossibilità di trovare un capo e una
coda, un ordine, un perché nella successione delle note. Manca una scala/un modo che aiuti a organizzare la
percezione dei suoni. E non è poco. L'opera di Schoenberg e di coloro che ne hanno seguito o proseguito
l'intenzione estetica non ha avuto gran diffusione nel più largo pubblico, quando erano vivi gli autori; e dopo
non è andata meglio. Il futuro è nell'esperienza di ognuno di noi.
È interessante notare come, in un contesto diatonico, l'uso delle alterazioni venga percepito come tale, nel
senso cioè che un suono alterato sostituisce e intensifica dinamicamente il suono diatonico della scala; come
nel seguente esempio, in cui il mi bequadro sostituisce il bemolle intensificando la spinta sul fa:
Esempio: W.A. Mozart, Sonata in Si bem mag. K 333, Adagio cantabile, parte
Sul battere della terza batt. il mi bequadro viene percepito come suono che altera il mi bem. della scala
77
diatonica; come vedremo nel capitolo dedicato all'uso del cromatismo, il suoni alterati spingono la melodia
nel senso dell'alterazione; in questo caso, quindi, il mi bequadro, alterando in senso ascendente il suono
diatonico, spinge la melodia a salire sul fa).
In un contesto diatonico, anche un uso piuttosto massiccio delle alterazioni, viene sempre ricondotto
nell'ambito della scala; qualora la scala di riferimento non venga confermata, è tuttavia naturale che si generi
un senso progressivo di smarrimento. Nel seguente esempio, tale smarrimento viene neutralizzato dal
movimento della melodia, chiaramente ancorato alla scala/tonalità di Sol diesis minore attraverso la linea che
dal re iniziale conduce al sol sul battere della quinta battuta:
Esempio: A. Scriabin, Impromptus à la mazur, op. 7
In un ambito totalmente cromatico è impossibile risalire a una scala diatonica di riferimento e lo smarrimento
delle coordinate con la conseguente sensazione di perdita di senso, è ineludibile; l'esempio della musica di
Schenberg proposto appena più sopra è lampante [Stefani, 1987, p. 169].
Ipertesto 1.2: la scala nel periodo del canto gregoriano, uso del si bemolle
Nel canto gregoriano il si viene alterato in senso discendente con un bemolle il più delle volte quando si
trova in prossimità di un fa; l'alterazione serve ad evitare l'intervallo melodico di 4^ aumentata, ritenuto di
difficile intonazione15;
Esempio:
Nell'esempio seguente la melodia si articola in due parti; nella prima (fino alle parole “hic dies”), che si
muove attorno al sol, il si è bequadro; nella seconda parte (finisce sulla parola “alleluja”) che si muove
attorno al fa primo grado del 6° modo, il si diventa bemolle. Vi è quindi un cambiamento di esacordo:
dall'esacordo “duro” (l'esacordo duro è quello che parte da sol e contiene il si bequadro) si passa a quello
“molle” (è l'esacordo che parte da fa e contiene il si bemolle);
Esempio
Il motivo della vicinanza del fa non può essere sempre portato per spiegare l'alterazione discendente del si
nelle melodie gregoriane; nell'esempio seguente la seconda frase (sulle parole “et inimicos eorum operuit
15 Non è complicato leggere il gregoriano; basta tener presenti alcuni punti di riferimento. La chiave usata per Data est
mihi è quella di do; la nota con cui inizia la melodia è il fa. Nei neumi in cui più suoni si trovano sovrapposti, si
legge prima la nota inferiore, quindi la superiore. Il seguente neuma, sempre considerando la chiave di do sul rigo
più alto del tetragramma, si legge fa-mi-fa .
78
mare”) non gira attorno al fa, né si proietta su quella nota; la presenza del si bemolle, al contrario, crea un
intervallo di quinta diminuita con il mi che è vicino al si bemolle e su cui finisce la frase. In questo caso,
quindi, l'alterazione si deve ad altro, rispetto alla necessità di evitare intonazioni sgradevoli; il corpo delle
melodie gregoriane, d'altra parte, ha origini eterogenee e complesse, nelle quali tradizioni e culture anche
piuttosto distanti fra loro trovarono un punto d'incontro nell'uso liturgico dei materiali. I tentativi, operati
dalla chiesa a più riprese per uniformare il repertorio all'interno di canoni estetici e normativi approvati, non
hanno impedito la sopravvivenza di movenze che testimoniano quest'antica ricchezza di sfondi sonori e
culturali.
Esempio:
Ipertesto 1.3: uso del nome dei modi nella musica attuale
Nella musica moderna, il più delle volte quando si usa la locuzione “scala misolidia” ci si riferisce alla scala
da usare per muovere melodicamente una parte (per esempio quello di uno strumento solista) quando si sta
eseguendo un determinato accordo; sicché, ad esempio, su un accordo di Dm7 si userà la scala dorica,
mentre, passando nella battuta successiva all’accordo di G7, si cambia scala e si usa quella misolidia:
scala dorica
scala misolidia
Si tratta dunque di una differenza abissale nell’uso degli stessi termini, e, se è vero che l’uso genera la regola
(ovvero, in termini generali non esiste il modo “corretto” in sé per usare una parola: se viene usata
comunemente in un certo ambiente per indicare una certa cosa, se ne prende atto), è anche vero che una certa
disinformazione favorisce in questo caso l'attribuzione di un significato differente e limitato a parole che per
secoli sono state impiegate per dire altro; il che potrebbe rendere più difficile comprendere apppunto quel
che s'è fatto per tutti questi secoli. Quando si afferma che una sinfonia di Beethoven è in Re mag. o che una
melodia gregoriana è nel modo frigio si afferma che la struttura dell'intera composizione è orientata
strutturalmente da quella scala/modo.
Ipertesto 1.4: Scala minore naturale e altri tipi di scala minore
I diversi tipi di scala minore definiti nei vari manuali di teoria sono originati dalla necessità di introdurre
determinate alterazioni in certi contesti. Intanto vediamo i tipi di scala minore più comunemente classificate:
a: scala minore naturale
b: scala minore armonica
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c: scala minore melodica
d: scala minore bachiana
Nella composizione di una melodia in tonalità minore, si usa la scala minore naturale, come nell’esempio che
segue, in cui il re al basso nella batt. 3 è naturale:
Esempio: G. F. Handel, Sonata per flauto in Mi min., Hwv 375, Minuetto, parte
Quando il grado 7 della scala precede l'8°, in particolare al termine di un segmento melodico, viene alterato,
in modo tale da ridurre la distanza di tono a semitono; infatti, nella nostra cultura musicale (ma le cose nei
nostri giorni stanno cambiando; cfr. più avanti l'approfondimento relativo all'uso della scala minore nella
musica attuale) il semitono è necessario per marcare la conclusione di una melodia o di un segmento
melodico anche di breve durata. In questo modo il 7° diventa “sensibile”, ovvero si carica di tensione
risolutiva verso 8°16. L’alterazione ascendente del 7° dà luogo alla scala armonica. Nell'esempio precedente,
tratto da un minuetto di Handel, il re diventa diesis alla conclusione della frase (batt. 6); nell'esempio che
segue, la frase musicale è articolata in brevi segmenti tutti incentrati sulla successione 7°-8°; per questo il re
è quasi sempre diesis:
Esempio 1.11: J.S. Bach, Invenzione a due voci in Re min., parte.
Ora guardiamo le batt. 4 e 5 dell'esempio appena proposto, perché lì è ben esemplificata la cosiddetta scala
minore melodica: nella batt. 4, dove il 6° sale sulla sensibile – ovvero su 7° alterato – è necessario alterare in
senso ascendente anche 6°, in modo da evitare l’intervallo melodico di 2ª aumentata (di difficile
intonazione)17 che si avrebbe tra il sesto grado naturale e la sensibile (ovvero tra si bemolle e do diesis).
Guardiamo il prossimo esempio: è sempre tratto dalla stessa Invenzione in Re minore di J.S. Bach; in questa
fase la musica ha modulato verso la tonalità di La minore18 e nelle ultime due battute dell'esempio è ben
visibile la scala minore cosiddetta bachiana di La. Siamo sulla Dominante della tonalità di La (al basso infatti
c’è un mi tenuto); come già ripetuto, la funzione di Dominante si lega necessariamente alla presenza della
sensibile, sicché il 7° deve essere mantenuto alterato (sensibile) anche se la melodia in quel punto si muove
16 Con l'avvento della tonalità (vedi capitolo dedicato più avanti in questi appunti), ovvero dagli ultimi decenni del
XVII, la sensibile si lega all'armonia di dominante: non esiste sensibile al di fuori dell'armonia di dominante, non
esiste dominante senza sensibile (va sempre ripetuto: in genere; le regole sono sempre astrazioni su base statistica).
17 Gli intervalli verranno spiegato più avanti,in questo stesso capitolo.
18 Per quanto riguarda la modulazione, si veda più avanti il capitolo dedicato.
80
sulla scala discendente; di conseguenza, anche il 6° dovrà essere alterato per non costringere la parte al solito
intervallo melodico poco cantabile di 2ª aumentata:
Esempio: ibidem,
I diversi tipi di scala minore derivano quindi tutti dalla necessità di avvicinare 7° nel movimento verso 8°
all’interno di un contesto armonico di Dominante e dagli adattamenti melodici che tale alterazione comporta
quando il 6° deve andare sulla sensibile. Nella pratica, quindi, non esiste che la scala minore naturale, che
viene alterata solo in contesti determinati.
La consuetudine a parlare di diversi tipi di scala minore genera un fraintendimento grave, dacché si potrebbe
pensare che il compositore, iniziando a scrivere una musica in tonalità minore, debba èperdere del tempo a
decidere quale tipo di scala da impiegare; ovviamente non è così.
D’altra parte, si altera 7° per avvicinarlo a 8° in cadenza anche e per obbligo nella musica pretonale, già nel
Quattro-Cinquecento. Nessuno si sognerebbe, per questo, di parlare di una “scala dorica armonica”.
Ipertesto 1.5: uso “in superficie” della scala pentatonica nella musica attuale
L'inizio della canzone esemplificata di seguito rappresenta efficacemente il fatto che la scala pentatonica
venga usata solo come suggestione di superficie: mentre la melodia si appoggia sulla pentatonica maggiore
di Do, nell'accompagnamento compaiono sia il si che il fa, suoni non inclusi in questa scala pentatonica.
L'usio della pentatonica agisce solo in superficie quindi, come elemento che caratterizza la melodia, ma non
interferisce con la struttura musicale che impiega normalmente la scala di sette suoni. Per questo sarebbe
inappropriato parlare di una musica bimodale, dal momento che nell'ascolto non si percepisce alcuna frattura
tra la melodia e il sostegno strumentale.
Esempio: da M Carey e B. Margulies, Love takes time
81
Ipertesto 1.6: Uso attuale della scala minore
Nella musica attuale la scala minore viene impiegata quasi sempre in modo differente rispetto alla tradizione
classica; le differenze sono indotte dall'impianto armonico, che, sia a livello delle successioni di accordi che
dell'uso di queste nell'ambito della cadenza, è distante da quello classico. Se le prime quattro battute di
Because, dei Beatles, sono piuttosto classiche, il prosieguo non lo è: ciò produce nella musica un effetto
moderno di straniamento, coerente col senso delle parole:
Esempio: Beatles, Because, parte
Nella canzone che segue di Elton John, vi è la volontaria ricerca di una sonorità “medievale”, ottenuta
evitando l'uso della sensibile in cadenza; sostituendo il penultimo accordo con un B7 e alterando con un
diesis il re che precede il mi conclusivo nella melodia, tutto rientrerebbe nella norma classica. Questo modo
di impiegare il minore al fine di evocare atmosfere anticheggianti ha avuto un certo seguito nell'epoca new
age, per esempio nelle musiche di stile cosiddetto “celtico”:
E. John, I need you to turn to, parte
La presenza dell'accordo di La mag. alla fine della seconda batt. rende lecito interpretare questa melodia
come modo dorico di Mi; la trasformazione del maggiore in minore nella batt. seguente riconduce
nell'ambito del modo minore di Mi. In questa, come in tante cose della musica e della vita, non c'è una verità.
La differenza tra l'uso tradizionale della scala minore e quello attuale si apprezza nella sua evidenza anche
suonando un giro armonico elementare; gli accordi sono sostanzialmente gli stessi, ma nel primo caso si usa
la sensibile nel penultimo accordo, nel secondo caso no:
Esempio:
82
Più vicino ai nostri giorni, il modo minore è impiegato raramente seguendo l'impianto classico dei giri
armonici e non più per evocare atmosfere medievali. Praticamente, scompare l'uso della sensibile, come in
questo passaggio di una canzone di Tiziano Ferro, che è in Re min., e che non usa il do dieis:
T. Ferro, Chi non ha talento insegna
Ipertesto 1.7: scala blues, approfondimenti
Con riferimento al blues, al jazz e in parte al rock'roll che discende dal blues, si parla di una scala
particolare, che avrebbe avuto una certa influenza su parte della musica attuale. L’elemento innovativo più
importante di questa scala è quello delle cosiddette “blue notes”; si tratta del III, V e VII grado della scala
maggiore che nello stile blues e nel jazz vengono alterati di semitono discendente, o comunque in senso
discendente di un intervallo vicino al semitono. Non si tratta in ogni caso propriamente di una
bemollizzazione dei gradi detti, quanto di un abbassamento dell’intonazione vicino al semitono.
Nell’esecuzione con strumenti a intonazione fissa (per esempio il pianoforte), l’effetto delle blue note è
spesso ottenuto tramite l’esecuzione contemporanea della nota naturale e di quella abbassata; sicché
nell’esecuzione di un accordo di Do maggiore, per esempio, si suona sia la terza minore che quella maggiore.
La scala blues deriva con ogni probabilità dal contatto del linguaggio musicale dei negri d’America con
quello occidentale; sembra, infatti, che il modo di eseguire il III, V e VII della scala abbassati di un semitono
fosse tipico di quei popoli. Questo stile esecutivo ha generato apppunto la cosiddetta scala blues.
Tuttavia resta il dubbio: si tratta di un modo/scala in senso stretto (ovvero dell'insieme di suoni con cui
strutturalmente è costruita la musica) o di un insieme di note in cui si considerano parti integranti della scala
anche dei suoni alterati di una scala diatonica di riferimento? In realtà ancora una volta si conferma che nella
musica moderna il termine scala viene impiegato differentemente da come si usa nella teoria musicale.
Mantenendoci all'interno di questa teoria più accreditata, le scale impiegate nel blues sono sempre quella
maggiore e quella minore; lo stile esecutivo poi è caratterizzato dall'uso delle note alterate cromaticamente, e
tra queste sono piuttosto frequenti quelle indicate nel testo. Perlatro, l'uso di note alterate è comune anche
nella musica di tradizione classica; si pensi ad esempio alla frequenza con cui si usa il IV aumentato o il VI
abbassato del modo maggiore. Non per questo si sente il bisogno di introdurre il concetto o il nome di un tipo
di scala particolare che includa questi suoni; farlo, sarebbe fuorviante e impedirebbe la comprensione delle
cose.
Ipertesto 1.8: Gerarchia dei gradi della scala
Per melodia si intende una successione di suoni riconosciuta come coerente e di norma conchiusa in sé
[Powers, 2002, p. 24]; in questo, la scala/modo svolge un ruolo determinante Si tratta dell'aspetto più
affascinante e sicuramente più importante tra quelli che riguardano le scale; perché le scale e i modi possono
essere differenti quanto si vuole, ma in tutti i modi è fondamentale che chi li usa (autore, ascoltatore,
esecutore a qualsiasi livello) ne riconosca l'orientamento, ovvero la funzione relativa di ogni grado rispetto
all'altro. Le scale/modi impiegate nei linguaggi musicali naturali hanno un capo e una coda.
Anonimo, De coelo veniet, in “Antiphonale Sacrosanctae Romanae Ecclesiae”
Diceva Guido d'Arezzo: “cum autem quilibet cantus omnibus vocibus et modis fiat, vox tamen, quae cantum
terminat, obtinet principatum; […]. Et premissae voces, quae tantum exercitatis patent, itaad eam aptantur,
83
ut mirum in modum quanmam ab ea coloris faciem ducere videantur.”19 [Guido d'Arezzo, 1955, pp. 139140].
La melodia gregoriana appena proposta in esempio, De coelo veniet, mostra con efficacia il senso di quanto
affermato da Guido d'Arezzo: impostata nel modo di Sol (misolidio), utilizza i differenti gradi della scala per
ottenere un effetto dinamico chiaro, in cui il movimento dei suoni tende a trovare definitivo riposo sul primo
grado, il sol (la nota che chiude una melodia gregoriana viene significativamente chiamata “finalis”, proprio
per questo). La sensazione di riposo che si ha arrivando su questo primo grado alla fine della melodia, è
indotta evidentemente da quella di non risposo - a seconda dei casi, di sospensione, di tensione o di
allontanamento, di percorso, di tendenza al ritorno - che si prova quando la melodia si ferma su altri gradi
della scala.
La dinamica della melodia viene definita da un complesso di fattori; il sistema di relazioni che si instaurano
tra i gradi della scala contribuisce decisivamente.
Ipertesto 1.9: Gradi e metrica
I gradi della scala da soli non bastano a definire la dinamica del fraseggio; è primaria l'interazione con il
fattore metrico. È una questione complessa, sulla quale si tornerà nel corso di questi appunti; intanto qui si
può osservare come un primo grado funzioni da nota di riposo definitivo se metricamente è posto alla fine
della frase, mentre, se si incontra lungo il corso della melodia o all'inizio, non svolge una funzione analoga.
Ecco un primo fatto da sottolineare quindi: i gradi della scala assumono rilevanza strutturale quando sono
posti alla fine di una frase o di una porzione di frase. In altre parole, la melodia non è fatta solo passo passo,
trovando la nota che secondo noi sta bene dopo un'altra nota; i singoli passi della melodia sono pensati anche
e soprattutto in funzione del punto di sospensione o conclusivo che viene raggiunto o che fornisce un
appoggio chiave nell'articolazione della melodia; è proprio la direzionalità della melodia a garantire la
congruenza dei singoli passi di cui essa si costituisce. La melodia di De coelo veniet è articolata in due frasi
(la prima termina sulla parola Dominus), ognuna delle quali suddivisa a sua volta un due parti; gli appoggi
sulle note poste alla fine di ogni parte definiscono la dinamica della melodia; la possiamo sintetizzare in
questo modo:
Esempio:
In sostanza: non c'è bisogno di qualcuno che suoni la campana per farci percepire la fine della melodia sulla
parola imperium, e, dal momento che si può non aver nessuna cognizione del significato della frase latina, è
evidente come ciò dipenda unicamente da fattori musicali, di strutturazione della melodia.
Il quinto grado
In De coelo veniet appare chiaro come il quinto grado della scala (il re, dal momento che siamo nella scala
misolidia di Sol) svolga una funzione di alternanza o opposizione rispetto al primo: tant'è, che la melodia in
questo caso sembra un percorso tra i due poli prevalenti del primo e del quinto grado. È un fatto che
ritroveremo nel nostro repertorio musicale fino ai giorni nostri:
19 “Sebbene ogni canto sia fatto con tutte le note e gli intervalli, la nota che termina il canto ottiene il dominio. E le
note precedenti, come sanno solo coloro che sono eserciati, sono così adatte a quella, che mirabilmente sembra che
prendano da essa un'apparenza di colore”.
Nella musica attuale si possono creare situazioni nelle quali è difficile indicare un primo grado della scala;
soprattutto, hanno favorito l'evoluzione dello stile in questa direzione la composizione per loop - costituiti di giri
armonici che si ripetono ostinatamente - e la consuetudine di non chiudere una musica, ma di lasciarla defgluire
mentre continua il giro armonico, in fade out. Sull'argomento della bimodalità e della composizione su loop di
accordi si veda Tagg, 2011, p. 259 e segg.. È tuttavia importante notare come in una musica composta su loop di
l'ascoltatore non perde in alcun momento la cognizione della direzione della musica, poggiata saldamente sia sulla
dimenzione armonica, che su quella ritmica che, infine, su quella melodica.
84
Esempio: D.A. Robles, El Cóndor pasa, frammento
Dall'epoca del gregoriano in avanti, si rafforza pian piano la tendenza a polarizzare la struttura della musica
sul primo e sul quinto grado della scala; nel periodo classico e romantico le potenzialità di tale funzione sono
state impiegate estesamente a livello micro e macrostrutturale, dando luogo alle forme più impegnative di
invenzione per dimensioni e complessità che la nostra storia della musica abbia conosciuto; su tutte, la forma
sonata20.
Funzioni dei gradi e disposizione delle frasi: antecedente-conseguente. Prevedibilità.
Le gerarchia dei gradi della scala è importante anche perché, nel fare musica o nell'ascoltarla, aiuta a capire
quale sia la funzione di una frase rispetto a quella precedente o a quella successiva; essa, in altre parole,
contribuisce alla prevedibilità degli aspetti dinamici del discorso musicale. Potersi orientare aiuta sempre,
anche a godere positivamente di momentanei disorientamenti; la musica non fa eccezione. Nel seguente
esempio, tratto dal Flauto magico di Mozart (siamo proprio all'inizio dell'Opera, quando Pamino entra in
scena), le due frasi musicali si connettono l'una con l'altra in modo che la seconda sembri una risposta alla
prima, o, come si dice più tecnicamente, in modo che la prima funzioni da antecedente rispetto alla seconda,
che funziona da conseguente. Favorisce il raggiungimento di questo risultato il fatto che, mentre la prima
frase si conclude sul secondo grado della scala, la seconda termina sul primo; che sia la funzione dei gradi a
svolgere un ruolo primario si prova facilmente, sostituendo il secondo col primo grado alla fine della prima
frase e viceversa: il risultato sarà dinamicamente assai differente:
Esempio: da W.A. Mozart, Die Zauberflöte, frammento
L'aspetto della prevedibilità e l'uso dei gradi della scala al fine di favorirla è comune alla musica di ogni
tempo; nel seguente esempio la prima frase termina sul re, secondo grado della scala (sulla parola sorrow),
mentre la seconda sul do, primo grado (sulla parola tomorrow):
Esempio: da B. Withers, Lean on me, frammento
20 Nel percorso evolutivo della struttura della musica d'arte svolgono un ruolo primario il contrappunto e l'armonia; le
funzioni dei gradi della scala, in primo luogo quelle del primo e del quinto grado, acquisiranno ulteriore rilevanza
all'interno di queste dimensioni.
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Come accennato, la polarizzazione sul primo e sul quinto grado viene impiegata per dare forma congruente
al pensiero musicale sia nelle piccole dimensioni, che in quelle più grandi; nell'esempio che segue le due
frasi sono composte in modo tale da non trovare conclusione sulla seconda, dal momento che viene sospesa
sul quinto grado della scala (la musica è in Si bem mag.):
Esempio: da J. Haydn, Duo in Si bem magg., Hob. VI:3, frammento
Passando da queste dimensioni, ancora piuttosto ridotte, a quelle maggiori, basterà per ora ricordare come
nella forma sonata la fine della prima parte (esposizione) venga sospesa sul quinto grado della tonalità
maggiore d'impianto, mentre il primo grado viene definitivamente riconquistato solo con la ripresa
dell'esposizione.
Stabilizzazione – allontanamento/percorso – ritorno.
Osserviamo la seguente melodia gregoriana:
Esempio: Anonimo, De coelo veniet, in “Antiphonale Sacrosanctae Romanae Ecclesiae”
La struttura di questa melodia è articolata in tre parti:
a. (da Jerusalem a … in excelso) stabilizzazione del tono di Re (siamo nel modo dorico);
b. (et vide … et tibi) allontanamento verso altri gradi;
c. (a Deo tuo) ritorno al primo grado.
Consegue una riflessione su un orientamento di senso che spesso – e anche questa volta in qualsiasi epoca
musicale nella nostra cultura – la struttura conferisce alla musica. La dimensione dinamica della musica si
fonda, come s'è visto, anche sulla forza relativa dei diversi gradi della scala e si realizza come un viaggio,
fatto allontanamento/percorso e ritorno alla situazione di stabilità. Per esaltare il senso dell'allontanamento è
necessario inizialmente rafforzare il senso di stabilità: ci si allontana da qualcosa che si percepisce con
evidenza come vicino (o stabile); il momento dell'allontanamento/percorso si realizza come instabilità,
ovvero proponendo approdi su differenti gradi della scala che, pur sospendendo il flusso della melodia, non
riescono a restituire un senso di rilassamento: ci si ferma, ma si percepisce il bisogno di andare avanti, verso
la stabilità conclusiva, che si realizza con il primo grado della scala (e col punto finale del testo intonato).
La dimensione narrativa di questa struttura la ritroveremo anche in musiche di più ampie proporzioni; per
esempio, ancora una volta nella forma sonata.
86
Alternanza
Esempio: Marcabru, Dire uos uuelh ses duptansa, prima stroafa con ritornello
Ecco un altro archetipo formale importante nella nostra cultura musicale: si alternano strofa e ritornello e
l'una si distingue dall'altro non solo per via della linea melodica differente, ma anche perché poggiata su un
grado diverso del modo di Re. Si potrebbe dire che la canzone di Marcabruno è nel modo di Fa per quel che
riguarda la strofa, mentre ìè in quello di Re per il ritornello; e, se anche è vero che il modo di Re prevale nel
senso di stabilità conclusivo, proprio perché è quello che serve a concludere la canzone con l'ultimo
ritornello, è evidente la sensazione di una scissione del flusso melodico tra le due parti. Utilizzando una
terminologia moderna – che in questo caso tuttavia non forza l'interpretazione delle cose – si potrebbe dire
che l'autore tra strofa e ritornello impieghi una modulazione, proprio per distanziare l'una dall'altro anche
nella percezione dell'ascoltatore. È una canzone trobadorica del Basso Medioevo, ma quelle di Sanremo dei
giorni nostri spesso sono del tutto simili nella forma.
Ipertesto 1.10: Inventario sintetico delle funzioni dei gradi
Per farci un'idea di massima delle funzioni che possono svolgere i gradi di una scala nella definizione della
dinamica della melodia mi servo di alcuni esempi elementari. Abbiamo già acquisito un'informazione
importante: i suoni della melodia manifestano evidenza funzionale maggiore quando sono posti alla fine di
una frase; per questo, nell'esempio ho disposto di volta in volta alla fine della frase di quattro battute un
suono differente della scala di sette suoni di Do maggiore. Siccome poi il senso di una frase dipende anche
dal suo percorso generale, per evitare di condizionare eccessivamente il senso della nota conclusiva col
percorso fatto per raggiungerla, ho cercato di utilizzare movimenti simili e per grado congiunto nei diversi
esempi; in questo modo la funzione dei gradi della scala dovrebbe rilevarsi con una certa chiarezza in una
condizione per quanto possibile neutra.
Gli esempi mostrano in sintesi che:
a. I: il primo grado di una scala funziona come suono conclusivo; ed è l'unico ad avere questa caratteristica;
a1. III: il terzo grado conferisce alla frase un senso di quasi conclusione; simile al primo grado (ma non è il
primo grado).
b. II, VII: il secondo e il settimo grado hanno una funzione di riconduzione: spingono entrambi verso il
ritorno al primo.
c. V: il quinto grado è quello dell'alternanza, dell'opposizione al primo; è come se si raggiungesse un nuovo
punto di forza, ma distante dal primo.
d. IV: il quarto e il sesto grado sono quelli del senso di allontanamento o lontananza.
N.B. I numeri romani in questo caso indicano i gradi melodici della scala.
Non si tratta di affermazioni definitive; come ripeto, la forza e la funzione di un grado dipendono da tanti
fattori e su tutti giocano un ruolo primario il parametro ritmico e quello armonico. Ma è una buona base per
iniziare la riflessione su questi aspetti della scala. Può essere utile, da questo punto di vista, analizzare alcune
musiche attivamente, ovvero cambiando qua e là qualcosa per vedere l'effetto che provocano i cambiamenti;
è il modo migliore anche per rendersi conto del perché l'autore abbia scelto proprio la versione che ha
87
pubblicato e che è di fronte a noi.
L'esempio che propongo è piuttosto semplice: la melodia procede quasi esclusivamente per grado congiunto,
l'armonizzazione non complica la semplicità della melodia. Naturalmente, man mano che si acquisiranno
ulteriori elementi di conoscenza della materia, sarà possibile eserciatarsi su musiche più complesse,
combinando il fattore melodico con quello ritmico, armonico, ecc.
Esempio: da R. Scbhumann, Album für die Jugend, op. 68, n. 1, Melodie.
Riprendo la melodia sviluppata in otto batt., dal momento che le quattro dell'esempio sono ritornellate.
I
….........→
I
…..........→
V
I
….........→
I
…..........→
V
La struttura, articolata in brevi semifrasi di due battute l'una, non è chiusa, dal momento che alla prima
semifrase poggiata sul primo grado (anche se indebolito in quanto il do prosegue sul sol posto sul quarto
tempo della seconda batt.), fa seguito la seconda che finisce sul quinto grado; la cosa si ripete in modo
identico una seconda volta col ritornello. Possiamo provare a chiudere le otto battute, facendo confluire la
melodia sul primo grado al termine del suo percorso; per esempio in questo modo:
….........→
I
…..........→
V
….........→
I
…..........→
I
Oppure possiamo provare a rafforzare il senso di sospensione e di apertura alla fine delle otto battute;
concludendo le prime quattro in modo più deciso sul primo, si produrrà, a contrasto, un senso di maggiore
sospensione alla fine delle seconde quattro battute:
I ….........→
V
…..........→
I
I ….........→
V
…..........→
V
Sempre proiettando la melodia sul I o sul V grado della scala possiamo ottenere risultati strutturalmente
differenti, ai quali farà seguito una forma della musica di volta in volta differente. Nell'ultimo esempio provo
a chiudere le prime quattro batt. sul sesto grado; il senso di allontanamento che provoca questa proiezione
deve essere assorbito cambiando qualcosa del prosieguo, subito all'inizio delle seconde quattro battute:
I ….........→
I
…..........→
VI
IV ….........→
II
…..........→
I
88
Bibliografia ipertesti capitolo I
Meyer, L.B.
1998
A universe of Universals, in «Journal of Musicology», XVI, n. 1, pp. 3-25;
poi in Id., The Spheres of music. A Gathering of Essays, The University of
Chicago Press, Chicago III. - London 2000, pp. 281-303.
Molino, J. e Nattiez, J.J.
2005
Tipologie e universali, in Enciclopedia della musica, Volume quinto, L'unità
della musica, Torino, Einaudi, 2005, p. 331-366.
McAdams, S.
1989
Rognoni, L.
1974
Guido d'Arezzo
1904
Tagg, P.
2011
Stefani, G.
1987
Contraintes psychologiques sur la forme, in S. McAdams e I. Deliège (a cura
di), La musique et le sciences cognitives, Mardaga, Bruxelles, pp. 257-283.
La scuola musicale di Vienna. Espressionismo e dodecafonia, Torino, Einaudi, 1974.
Prima edizione col titolo Espressionismo e dodecafonia, in “Saggi”, n. 383, Torino,
Einaudi, 1966.
Micrologus, ad paestantiores codices mss. exactus, a c. di Ambrogio
M. Amelli, Desclée, Lefebvre et S. Edit. Pont., Roma
on line: http://imslp.org/wiki/Micrologus_(D%27Arezzo,_Guido)
La tonalità di tutti i giorni. Armonia, modalità, tonalità nella popular music:
un manuale, (trad. it. di Jacopo Conti) a c. di F. Fabbri, Milano, il Saggiatore, 2011.
Pubblicato col titolo Everyday tonality. Towards a tonal theory of what most people
hear. New York e Montreal, The mass Media Music Scholars' Press, 2009.
Il segno della musica. Saggi di semiotica musicale, Palermo, Sellerio, 1987
89
Ipertesti capitolo II, INTERVALLI
Ipertesto 2.1: intervalli e contenuti affettivi
Già s'è detto nel capitolo sulle scale che fin dai tempi antichi l'interesse primario non è stato nei confronti
dell'altezza assoluta dei suoni, bensì della distanza tra di loro. E si capisce. La musica è fatta di suoni messi
in successione ad altri suoni per fare melodie; ed è anche fatta di suoni che si mischiano ad altri suoni per
creare impasti di suoni, colori, armonie, accordi. La conoscenza degli intervalli, la capacità di identificarli è
preliminare a qualsiasi discorso sul fare musica.
Dal punto di vista orizzontale, gli intervalli melodici sono quel che, insieme al ritmo, caratterizza la melodia,
interagendo direttamente con la dimensione dinamica della scala21.
Gli intervalli melodici hanno a che fare direttamente col contenuto affettivo di quel che si vuole esprimere22;
senza immaginare connessioni meccaniche, c'è una certa concordanza tra gli intervalli melodici e il senso che
evocano. La più nota di queste concordanze sta nel movimento di semitono discendente che, a seconda del
gesto ritmico impiegato, si usa – si direbbe da sempre – per esprimere lamento, dolore, affanno.
Esempio: C. Monteverdi, Lasciatemi morire, dal Sesto libro dei madrigali
Il soggetto della fuga in Fa min, dal primo volume del wohltemperierte Klavier è incentrato sul valore
espressivo del semitono; anche se Bach non scrive che l'atmosfera è pensierosa e mesta, ci si dovrebbe
sforzare un po', per immaginare un girotondo di bambini:
Esempio, J.S. Bach, Das wohltemperierte Klavier, Fuga in F min., Bwv 857
Il salto di 8^ è un rafforzativo, usato sia in senso ascendente che discendente. Alla fine del terzo atto del
Trovatore si svolge la scena cruciale in cui Manrico sta per sposare segretamente Leonora, che è riuscito a
liberare dal Conte di Luna; in quel mentre, arriva Ruiz ad annunciare che Azucena, madre di Manrico, è stata
catturata per essere arsa viva come strega. Manrico, con alcuni uomini, si precippita in soccorso della madre.
Nella prima parte della scena Manrico conferma il suo amore a Leonora e giura che sarà eterno, vincendo le
resistenze dei nemici che si oppongono a quell'amore. Il salto di ottava ben marca la fermezza di Manrico,
sulle parole “Ma de' nostri nemici avrem vittoria”:
Esempio: G. Verdi, Trovatore, III atto
Nella stessa scena Manrico intona la popolare cabaletta Di quella pira, gli uomini accanto a lui sono decisi
ad aiutarlo nell'impresa di salvare la madre Azucena. Il salto di ottava ancora una volta rende perentorio il
21 Anche se in questa parte delli appunti ci si concentra sulla dimensione orizzontale della melodia, non deve mai
sfuggire quando del senso della melodia sia determinato dall'armonia, dal timbro, dalla scrittura.
22 Siamo distanti dal tempo in cui Boulez poteva affermare l'idea secondo cui il contenuto della musica si esaurisce
nella sua struttura; ovvero che per rispondere alla domanda sul significato di una musica basta descrivere come è
fatta. Oggi non è più possibile ignorare i rinvii estrinseci della musica, importanti sia per il compositore, che per
l'ascoltatore. Come dice Michel Imberty, cosa sarebbe della musica se la privassimo dei sentimenti di gioia, della
tristezza e dell'esaltazione che provoca in noi? Su questi argomenti conviene leggere quanto scrive Nattiez [Nattiez,
2004, p. 21-22].
90
senso delle parole.
Esempio: ibidem
Il salto di 5^ fa acquisire alla melodia un senso di spostamento di stato; nel repertorio gregoriano si impiega
spesso per alludere al senso di alterità della dimensione divina rispetto a quella umana. È tipico il gesto
iniziale del prossimo esempio, l'alleluja è parola di giubilo diretta dall'uomo a Dio; dal mi inziale (siamo
nelm modo frigio di Mi appunto) ci si slancia verso il si su cui viene sospesa la parola.
Esempio: Liber usualis, Quarta domenica dell'Avvento, Alleluja, Veni Domine, et noli tardare.
Il salto di 6^ è indicato per esprimere contenuti affettuosi. Non a caso è considerato il gesto iniziale più tipico
delle melodie romantiche; e non a caso è stato ripreso, con qualche ridondanza, nel tema di Love story.
Esempio: F. Lai, Love story, tema principale
Su questo argomento della ricorrenza di determinati salti melodici quando c'è da evocare certi contenuti
espressivi, conviene leggere quel che ha da dirci Gino Stefani [Stefani, 1987, p. 145 – 190].
In genere si pensa che una melodia sia caratterizzata principalmente dai salti melodici e probabilmente è vero
che una parte determinante dei contenuti affettivi di essa siano suggeriti in questo modo; tuttavia è da notare
che l'incipit di un tema si imprime nella memoria di chi ascolta primariamente per la sua caratterizzazione
ritmica. Ecco una materia interessante sulla quale conviene soffermarsi brevemente, mettendo le mani in
pasta per rendersi conto di come funzionano le cose. Prendiamo uno dei temi più famosi, quello del
movimento inziale della Quinta sinfonia di Beethoven.
Esempio: L. Van Beethoven, Sinfonia n. 5, op. 67, I movimento, Allegro con brio, trascr. per pf
La cornice espressiva, l'evocazione di un'atmosfera maestosa e fosca, ricca di presagi è per gran parte frutto
dei movimenti melodici, di quel doppio salto di terza discendente su quattro gradi della scala di Do min.,
mentre sullo sfondo aleggia il passaggio dall'armonia di tonica a quella di dominante.
Esempio:
91
La decisione, la tensione irrevocabile viene invece dal ritmo di crome ribattute e ribadite perentoriamente
una seconda sotto.
Esempio:
Dal momento che qui ci si sta occupando di intervalli melodici, metto da parte le riflessioni sul ritmo, per
concentrarmi su quelli. Che il senso di questo memorabile inizio dipenda dalle caratteristiche degli intervalli
melodici è facilmente dimostrabile: infatti, basta cambiarli e notare se vi siano state variazioni o meno. Per
esempio in quesdto modo:
Esempio:
Nulla è rimasto del senso drammaticamente ineluttabile dell'incipit beethoveniano. Il salto di 4^ iniziale ha
un carattere affermativo, chiaro, aperto, confermato dalla 3^ mag. successiva. Certo, molto dipende da come
si prosegue, ma queste note iniziali, suonate da archi e clarinetti come l'originale, suggeriscono un tono
gioviale, quasi opposto a quello voluto da Beethoven23.
Un'altra trasformazione, usando questa volta il semitono, è sufficiente per confermare l'importanza degli
intervalli melodici nella caratterizzazione di una melodia.
Esempio:
Nel semitono c'è del lamento; nella ripetizione mezzo tono sopra il lamento diventa una richiesta incalzante:
un questuante?
Ora spostiamo leggermente la nostra attenzione sul rapporto che c'è tra intervallo melodico e grado della
scala/modo; perché, come vedremo tra poco, un salto ha un certo senso anche per via della relazione
dinamica che si instaura tra i gradi della scala; sicché, a seconda del grado su cui è collocato, il senso cambia.
Trasformo ancora una volta il tema della quinta.
Esempio:
È un caso un po' particolare, perché dal punto di vista degli intervalli melodici non è cambiato nulla rispetto
all'originale: al salto di 3^ mag. discendente, segue infatti un salto di 3^ minore discendente. Eppure, nulla è
rimasto della spinta in avanti, febbrile, del tema beethoveniano. Nell'incipit originale il secondo salto, quello
di 3^ minore, poggia su gradi – il IV e il II - che hanno una funzione dinamica aperta, sospesa nella tonalità
di Do min. Nella trasformazione che ho proposto, il secondo salto va a finire invece sul I della scala; e tutto
si blocca, come appagato di quel che è appena successo.
Ecco un ottimo esercizio per imparare a far musica e a capirla: giocare con incipit tematici di ogni tipo,
cercando di identificare il senso che acquisiscono a seguito delle trasformazioni cui li sottoponiamo. È un
ottimo modo per imparare a inquadrare con maggiore acutezza il senso che i temi hanno nella versione
originale; anche quando gli autori siamo noi.
Ma, prima di iniziare, un'osservazione fondamentale: gli intervalli melodici che caratterizzano più fortemente
la melodia sono quelli posti all'inizio, nell'incipit. Il prosieguo dipende molto dal flusso dinamico e dal
meccanismo che si sviluppa secondo premesse e conseguenze. Ci torneremo più avanti, quando, dopo aver
posto alcune premesse che riguardano il ritmo, ci si potrà occupare del modo di comporsi delle frasi muscali.
23 Anche la dimensione timbrica ha importanza nella definizione del senso della musica;se immaginamo le note di
questo esempio suonate da trombe all'unisono, il carattere cambia ancora, per acquisire un tono marziale.
92
Ipertesto 2.2: intervalli melodici e dinamica della melodia
Indipendentemente dalla scala di riferimento, un'intonazione è statica quanado poggia su un'unico suono. Un
esempio: la parola di Dio è ferma, vera, priva di emozione; il celebrante ne dà lettura intonata (tono di
“lezione” significa questo) mantenendosi quasi costantemente su un singolo suono; le leggere flessioni da
quel suono verso la nota che sta una terza sotto servono a sottolineare i punti di articolazione del testo.
Esempio: gregoriano, In diebus illis salvabitur Juda, tono di lezione
Non è un caso quindi che, nel Recitativo da inserire nella Grande pasqua russa, Rimsky-Korsakov abbia
scelto un andamento simile per la melodia affidata al trombone; e la musica acquisisce un tono solenne,
ieratico:
Esempio, N. Rimsky-korsakov, Grande Pasqua russa, Recitativo
Una melodia disposta a farsi espressione di emozioni e affetti assume, al contrario, un aspetto mobile,
dinamico; quanto mobile e quanto dinamico dipende da vari fattori: da quel che si vuole esprimere, dallo
stile (lo stile di Palestrina non è quello di Mahler, per esempio) e, cosa che è in qualche modo preliminare, da
quel che si riesce a intonare o a distinguere e ritenere ascoltando; come vedremo nel capitolo dedicato al
movimento delle parti/voci, non tutti i movimenti melodici sono tradizionalmente considerati opportuni nella
93
composizione: sono vietati quelli di settima, superiori all'8^, aumentati e diminuiti24. Sembra strano dare oggi
una regola simile, dopo più d'un secolo in cui nella musica colta s'è fatto davvero di tutto; ma invece ha
senso, non appena di rifletta sul fatto che quasi tutte queste musiche, avendo circolato per lo più nei soli
ambienti degli addetti ai lavori, sono state escluse dall'ascolto più comune, senza aver cambiato i confini
lessicali del termine “melodia” nei vocabolari di tutto il mondo che condivide la nostra cultura musicale25.
Per quel che riguarda i movimenti melodici sono preferiti e prevalenti quelli piccoli, in particolare gli
intervalli di seconda, perché più naturalmente cantabili anche per l'orecchio di chi ascolta - i, ma, a seconda
dei contenuti che si vogliono evocare, si alternano agli intervalli più ampi. Nei graduali spesso la melodia
gregoriana si dispiega in volute complesse e ricche di melismi; l'intonazione da parte di cantori istruiti in
questi casi è necessaria, per affrontare virtuosismi che solo l'esercizio rende possibile eseguire in modo
appropriato per un contesto liturgico. In questo genere di canti non viene proclamata la parola di Dio, ma si
slancia la propria preghiera all'Altissimo, senza far velo alle proprie umane emozioni26. Nella melodia
proposta come prossimo esempio (è nel primo modo di Re, dorico) si esprime la gioia che suscita la speranza
di essere ascoltati ed esauditi: “nessuno di coloro che sperano in te, sarà confunso, o signore; le tue vie,
Signore, fammi conoscere...”:
Esempio, Gregoriano, Graduale, prima domenica di Avvento, Universi qui te exspectant.
24 Sono permessi i salti aumentati e diminuiti prodotti da un suono che va su una sensibile o un suono sensibilizzato (si
veda più avanti il capitolo dedicato all'armonia cromatica), il quale, a sua volta, procede salendo. Per un esempio di
quanto qui accennato si veda più avanti il capitolo dedicato alla condotta delle parti.
25 Che per fare una melodia da cantarte e/o apprezzare e ricordare si debbano rispettare determinati parametri, non
significa che sia obbligatorio fare della musica in cui ci siano delle melodie da apprezzare. La musica è fatta anche
d'altro (giusto, ma piace di meno).
26 Lo studio della musica folklorica fece immaginare che l'origine comune delle melodie “a picco” (melodie a picco
sono quelle che contengono grandi salti melodici), rintracciate in culture musicali anche assai distanti tra loro, fosse
quella di scaturire come forma di espressione immediata delle emozioni, anche le più violente; per questo a
proposito di tali prototipi melodici coniò la definizione di origine “patogenica” [Sachs, 1979, p. 69-73, e 87].
94
Nella melodia precedente si fa notare, per due volte, la sospensione sull'invocazione “Domine” (“o
Signore”), riccamente melodizzata, per dare tempo alla musica di esprimere l'emozione richiamare
l'attenzione di colui cui si indirizza la nostra richiesta; si fa notare poi il picco raggiunto sulla parola “fac”
nella frase notas fac mihi (fai nota a me, ossia rendimi nota), che è il centro della preghiera.
Non si tratta di una prerogativa del gregoriano. Ecco Scarpia, all'inizio del secondo atto di Tosca, che
pregusta il male che sarà capace di generare; prima descrive con freddezza spietata la situazione: “Tosca è un
buon falco, certo a quest'ora i miei segugi le due prede azzannano...”; poi nel parlato arriva al nome delle
due prede, l'Angelotti, che non lo scuote, e Mario, che odia perché Tosca lo preferisce a lui stesso. La
freddezza lascia il passo allo sbocco di bile e di odio. Puccini usa intervalli melodici spinti verso l'acuto, poi
improvvisamente verso il grave, con un piglio che è possibile definire espressionista, prima che
l'espressionismo in musica abbia fatto i suoi primi passi ufficiali.
Esempio, G. Puccini, Tosca, II atto
Scarpia
Sono prototipi melodici comuni al nostro repertorio di ogni epoca; per convincersene, basta riascoltare
Pensa, di Fabrizio Moro: nelle strofe esprime i motivi della denuncia usando lo stile rap; nel ritornello,
incentrato sulla parola “pensa”, invita a fermare la nostra indifferenza per lasciare spazio alla riflessione e a
sentimenti più profondamente umani:
Esempio, F. Moro, Pensa, link YouTube: http://www.youtube.com/watch?v=PaSU8hrgPYQ
Un salto e grado congiunto
Come già accennato, in una melodia prevalgono intervalli melodici di ampiezza contenuta; in particolare, il
più utilizzato è l'intervallo di 2^. I salti più ampi servono a imprimere energia alla curva della melodia che –
immaginiamola come una materia elastica – una volta piegata con forza in un senso, tende ritornare nella
posizione iniziale con salti di minore ampiezza: la situazione più frequente è quella per cui a un salto ampio
in una direzione seguono gradi congiunti (intervalli melodici di seconda) nel senso opposto. Nel prossimo
esempio, a e b rappresentano i due modelli essenziali (salto in su e discesa per grado congiunto, salto in giu e
salita per grado congiunto; il primo dei due modelli è prevalente); c rappresenta la situazione forse più
comune, in cui, dopo il salto in su, la ridiscesa è realizzata a onde di gradi congiunti e salti più piccoli in giù
e in su.
Esempio,
a.
b.
c.
I più grandi melodisti spesso appoggiano la curva della melodia a un grado congiunto soggiacente, che ne
rende il percorso coerente e in un certo modo prevedibile; nel prossimo esempio, tratto da un preludio di
Scriabin, la tecnica è ben visibile: la scala discendente di Sol bem. serve da introduzione all'Andante
cantabile (gli asterischi che indicano le note della scala sono miei; si noti che il sol bem. con cui chiude la
95
scala è alla mano sinistra, b. 5):
Esempio, A. Scriabin, Preludio op. 16 n. 3 in Sol bem. mag.
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È ben evidente nel prossimo esempio, in cui le spinte verso l'alto impresse da salti si 6^ o di 8^ vengono
compensati da discese per grado congiunto.
Esempio, F. Chopin, Notturno op. 62, n. 1 in Si mag.
Nell'esempio che segue c'è il caso opposto: a un doppio salto ampio di 6^ discendente, si oppone una risalita
per grado congiunto.
Esempio, F. Chopin, Notturno op. 55. n. 2 in Mi bem. mag.
La melodia del prossimo esempio è presa dal repertorio vinino ai nostri tempi; si tratta della prima strofa
della canzone Evergreen. Nella prima frase (fino alla b. 8 dell'esempio) la melodia poggia su un semplice
movimento di terza discendente (le note cardine sono segnate con l'asterisco), da cui si muovono piccole
scale ascendenti che compensano il movimento discendente dell'insieme. A b. 9 inizia la seconda frase con
uno slancio di ottava ascendente; raggiunto il do4, pian piano si ridiscende, con un doppio movimento a
distanza di terza, che è possibile seguire nell'esempio grazie all'asterisco piccolo, posto sulla parte superiore
di questo doppio movimento, e a quello più grande che indica le note della parte inferiore. È questo
96
movimento inferiore, che riconduce la melodia in giù, verso il do3, usato come anacrusi della seconda strofa:
la melodia arriva quindi a concludere la sua corsa sul I della scala di Do, ma lo spostamento ritmico
impedisce di chiudere la sezione musicale, avviando direttamente la seconda strofa. Anche la musica è
retorica: bisogna saperla fare, indipendentemente dal livello estetico entro cui ci si muove.
Esempio, B.Streisand, Evergreen
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Ipertesto 2.3: intervalli armonici consonanti/dissonanti; fenomeno fisico armonico
La valorizzazione della differenza tra consonanza e dissonanza è tra i cardini fondamentali della nostra
cultura musicale. Gli studiosi di acustica non danno le stesse spiegazioni riguardo ciò che in natura dovrebbe
distinguere consonanza e dissonanza, benché sia comune il richiamo al fenomeno fisico della risonanza
armonica: in genere si fa notare come gli intervalli consonanti siano quelli in cui i parziali dei suoni
considerati siano il più possibile armonici.
Devo ammettere che questa faccenda del fenomeno naturale della risonanza armonica mi appassiona
pochissimo; ma gli si deve dare un minimo di spazio, dal momento che la teoria tradizionale la considera
cruciale: fino a pochi decenni fa, c'era chi sosteneva con passione che il nostro linguaggio musicale dovesse
la sua organizzazione e la sua stessa capacità di generare significati al fatto di essere “naturale”, ovvero al
fatto di essere una deduzione, pian piano attuata nel tempo, di un fenomeno presente in natura.
Oggi gli studiosi sono concordi nel ritenere che la natura del suono e quella del nostro linguaggio musicale
siano cose differenti, benché sia normale, dovendo usare i suoni per fare musica, tener presente come siano
percepiti anche in relazione alla loro natura. Insomma: può anche essere che la terza maggiore sia consonante
perché è un'armonica naturale del suono inferiore (qui di seguito viene brevemente illustrata la serie degli
armonici), ma sul fatto che sia sentita come “allegra” rispetto a quella minore che è “triste” il fenomeno
fisico della risonanza armonica c'entra poco o nulla.
Ma insomma, c'è o no una reale e non pretestuosa coincidenza tra il fenomeno fisico armonico e la nostra
distinzione tra consonanze e dissonanze. Un corpo sonoro, per esempio una corda, che vibrando emette un
suono, non vibra solo per la sua lunghezza intera, ma anche per porzioni geometriche di essa, provocando i
cosiddetti ipertoni, o armoniche naturali:
Esempio:
Gli ipertoni non sono fantasie di suono, ma veri e propri suoni di frequenza maggiore (suonano più all’acuto)
97
e intensità minore (suonano più piano), rispetto al suono fondamentale, che contribuiscono a caratterizzare il
timbro del suono. Ecco i primi ipertoni del suono fondamentale Do:
Esempio
È interessante notare, nel quadro precedente, la differenza di frequenze tra le armoniche naturali e gli stessi
suoni così come si presentano nella scala temperata.
È chiaramente visibile come i suoni 2, 3 e 5 formino con il suono fondamentale gli intervalli consonanti di
8ª, 5ª e 3ª; le prime due consonanze, di 8ª e di 5ª, sono per noi consonanze perfette e offrono il maggior grado
di stabilità tra gli intervalli. Ma il quadro dimostra anche, con sufficiente chiarezza, che non ci sono ulteriori
coincidenze tra quelle che nel nostro linguaggio musicale vengono percepite come consonanze e gli armonici
naturali: la 3ª minore e la 6ª maggiore si devono andare a recuperare tra le armoniche più distanti dal suono
fondamentale (tanto da non essere comprese tra i primi 16 suoni armonici compresi nell’esempio) e anche la
6ª minore viene solo dopo la 7ª minore, la 2ª (o 9ª) maggiore e la 4ª aumentata, che, invece, sono dissonanti
per il nostro orecchio.
Certo, i numeri si possono impiegare in tanti modi, e non è mancato chi abbia provato a spiegare il fenomeno
della consonanza – nella sua totalità - tramite il fenomeno fisico armonico; ma ciò è sempre avvenuto a costo
di peripezie logiche che superano il fine che si prefiggono. Non c’è da prendersela: nessun linguaggio
naturale si deduce da leggi fisiche o da principi matematici di qualsivoglia tipo; basterebbe a dimostrarlo il
fatto che un intervallo scritto in un modo è considerato come consonante e dissonante se scritto in un altro.
Nel prossimo esempio gli stessi suoni sono consonanti scritti come 6^ maggiore, dissonanti se scritti come 7^
diminuita. Il contesto armonico fa apprezzare più direttamente la differenza, ma non si deve credere che
l'effetto
Esempio:
6ª mag. 7ª dim.
Anche a due voci l'effetto provocato dai due intervalli è assai differente:
Esempio
*
*
Insomma, la qualità degli intervalli non si valuta automaticamente e non è immanente agli stessi intervalli.
Come in tutte le cose che riguardano i linguaggi, il più è determinato dalle consuetudini d’uso, da fatti che
attengono quindi alla cultura.
Come si diceva, dovendo fare musica è tuttavia necessario tener conto anche della natura del suono. Sicché,
seppure senza meccanicità, vi sono punti di contatto tra il fenomeno fisico armonico e il modo di considerare
e percepire gli intervalli. Al fenomeno fisico armonico si deve, per esempio, il fatto che l’effetto di
dissonanza diminuisca man mano che aumenta la distanza tra il suono dissonante superiore e quello
98
inferiore. La dissonanza di 2ª maggiore sicuramente diminuisce se il suono viene posto a distanza di 8ª o di
due ottave:
Esempio:
Ancora va riportata al fenomeno fisico armonico la nostra valutazione, relativa alla consonanza/dissonanza,
di intervalli presi non isolatamente, ma nel contesto di una sovrapposizione armonica più complessa. Una
dissonanza di seconda maggiore può suonare ben diversamente se inserita in differenti contesti armonici:
Esempio:
Non si deve quindi perdere di vista la nostra abitudine ad apprezzare gli intervalli nel contesto armonico
accordale: più che intervalli, siamo abituati ad avere a che fare con impasti di suoni, nei quali il singolo
intervallo dissonante si può anche non sentire come tale.
Ipertesto 2.4: intervalli consonanti/dissonanti, ovvero stabili/instabili
Etimologicamente, il significato reciprocamente opposto delle parole “consonante” e “dissonante” allude a
un giudizio di qualità: due note simultanee sono consonanti perché suonano bene assieme, sono dissonanti
nel caso contrario. Dopo di che, la prima cosa che vien da chiedersi è come mai gli intervalli dissonanti si
impieghino lo stesso e volentieri, pur non suonando bene.
Proviamo a forzare l'etimologia e a considerare l'opposizione consonante/dissonante corrispondente, sul
piano dinamico, a quella stabile/instabile: ecco, così si comprende perché in musica si impieghino sia le
consonanze che le dissonanze e come mai, in certe epoche, le dissonanze abbiano potuto essere
occasionalmente addirittura più frequenti delle consonanze. Nel frammento dell'Allegro della Sonata a tre
op. 3 n. 1 di Corelli, proposto in esempio, sono più gli intervalli di 7^ che quelli consonanti di 6^ (i numeri
del continuo, sul cui uso tornerò in un prossimo capitolo, indicano proprio gli intervalli corrispondenti):
Esempio, A. Corelli, Sonata a tre op. 3 n. 1 in Fa mag., Allegro
Ecco un motivo che ci fa apprezzare la dissonanza: crea movimento, spinge la parte in avanti, sull'intervallo
consonante che segue quello dissonante. Ancora un esempio per apprezzare con maggiore chiarezza l'effetto
di stabilità che dà la consonanza e quello di instabilità che dà la dissonanza. Dei due casi che seguono, il
primo finisce con un intervallo di 8^ consonante e assolutamente stabile, quindi l'effetto di conclusione è
perfettamente ottenuto; il secondo presenta nella battuta conclusiva un intervallo dissonante di 7^ maggiore e
non produce l’impressione di conclusione: l’intervallo è decisamente instabile (gli intervalli a confronto sono
segnalati con asterisco).
Esempio:
*
*
99
Per quel che riguarda le consonanze, il grado di stabilità decrescente - considerando gli intervalli per sé, al
difuori di qualsiasi altra valutazione scalare, ritmica, armonica o timbrica - è sintetizzata nella tab. qui sotto.
Tabella
stabilità decrescente →
8ªgiusta
5ª giusta
3ª mag.
3ª min.
6ª min.
6ª mag.
4^ aum.
4^ giusta
La stessa tabella ora dedicata alle dissonanze più frequenti:
Tabella
instabilità decrescente →
2^ min.
7^ mag.
2^ mag.
7 min.
Non viene notato spesso, eppure ha una rilevanza fondamentale il fatto che consonanza e dissonanza si
percepiscano solo nella relazione che si instaura tra loro; ovvero, si percepisce una consonanza perché in
opposizione alla dissonanza e viceversa. Non che le nostre orecchie siano cambiate più di tanto nel tempo,
sicché, relativamente alla percezione di consonanze e dissonanze, è assai probabile che un ascoltatore di oggi
senta un bicinium di Orlando di Lasso più o meno nello stesso modo di un ascoltatore del '500. Ma il modo
di usare le dissonanze è cambiato nel tempo e attualmente la nostra attitudine percettiva si adatta a esperienze
di ascolto assai diversificate. Un caso limite è quello del jazz, in cui l'uso sistematico della dissonanza
impedisce di percepirla come tale, proprio perché manca il termine di confronto, ovvero la consonanza.
Ipertesto 2.5: Trattamento tradizionale/attuale della dissonanza
I vincoli, che regolavano l’uso della dissonanza alcuni secoli fa si sono sciolti gradualmente, anche a seconda
degli stili musicali impiegati. Per questo, all’inizio del ‘900 e all'interno di certe tendenze estetiche, si è
creduto possibile affermare che ormai fosse fuori luogo parlare di distinzione tra consonanza e dissonanza e
che tutti gli intervalli dovessero essere trattati nello stesso modo; sull’onda di entusiasmi provocati dal
raggiungimento di tante libertà di pensiero e sociali, si parlò – e poi si è continuato a parlare - di
“emancipazione della dissonanza”. L’affermazione, che dal punto di vista estetico e intellettuale può avere
un suo fascino, riferita alla nostra grammatica musicale è una sciocchezza. Intanto la dissonanza non è mai
stata ostaggio di alcuno, semplicemente è stata ed è usata, insieme alla consonanza, come strumento di
espressione assai efficace; in più, essa ancora oggi e in ampia parte dello stile musicale attuale, viene
impiegata in modo assai simile a quel che avveniva nel passato.
Un intervallo dissonante, secondo la regola classica, deve essere preparato da un intervallo consonante (lo
stesso suono, legato all’unisono, è prima consonante, poi dissonante) e deve risolvere su un successivo
intervallo consonante, scendendo per grado congiunto; la dissonanza interviene come agente dinamico tra
due consonanze. Nel prossimo esempio si trovano due dissonanze; la prima di 7^ che scende sulla 6^, la
seconda di 4^ che scende sulla 3^.
Esempio
6
7 →6
8
3
4 →3
8
100
Questo tipo di trattamento della dissonanza ha conosciuto in ogni tempo eccezioni in varia quantità e di vario
tipo; ma sostanzialmente, soprattutto per quel che riguarda la risoluzione per grado congiunto discendente,
tiene ancora oggi nella musica più largamente ascoltata.
Ipertesto 2.6: In un intervallo dissonante, quale dei due suoni è dissonante?
L’effetto di dissonanza, in un intervallo dissonante, viene dal fatto che un suono urta contro l’altro; non è
dissonante un suono, sono dissonanti i due suoni assieme. Per le nostre orecchie, che non funzionano come
una legge di fisica o una norma matematica, le cose non stanno così. Nel nostro linguaggio musicale la
dissonanza è percepita sempre in modo tale che un suono è dissonante rispetto all’altro che è consonante; in
altre parole, non sono due i suoni dissonanti, ma uno dei due. Quale?
Guardiamo l’intervallo qui di seguito:
Chi è dissonante ? Secondo la norma del
trattamento classico della dissonanza appena richiamata, dovrebbe essere dissonante il re, che urta di nona
(seconda) con il do; in tal caso, nella risoluzione il re deve scendere sul do. Effettivamente capita a volte che
le cose vadano così:
Esempio
8
10
9 → 6
Se il contesto contrappuntistico è differente, nello stesso intervallo viene percepita come nota dissonante
quella grave. Nell’es. 1.31 è il Do a essere percepito come dissonante rispetto al Re, rispetto al quale è a
distanza di 2ª.
Esempio 1.31: nella nona è dissonante il suono inferiore
2 → 3
A ben vedere le cose, nei due esempi cambia poco; la dissonanza si distingue solo perché viene raggiunta
tramite legatura all'unisono (il re all'acuto nel penultimo esempio, il do al grave nell'ultimo) e, nel secondo
caso, perché interagisce con un determinato contesto accordale.
In sintesi: nell’intervallo di 7ª e di 4ª è dissonante la nota superiore rispetto a quella inferiore; nel caso della
dissonanza di seconda/nona è il contesto armonico a determinare se sia dissonante la nota superiore o quella
inferiore dell'intervallo.
101
Bibliografia ipertesti capitolo II
Stefani, G.
1987
Il segno della musica. Saggi di semiotica musicale, Palermo, Sellerio, 1987
J.-J. Nattiez
2004
Il combattimento di Crono e Orfeo. Saggi di semiologia musicale applicata, Torino,
Einaudi, 2004. Titolo originale, Le combat de Chronos et d'Orpehée, Parigi, C.
Bourgois, 1993
Curt Sachs
1979
Le sorgenti della musica. Introduzione di Diego Carpitella, Torino, Boringhieri,
1979; titolo originale The wellsprings o music, Nijhoff, L'aia, 1962. Traduzione
italiana di Marina Astrologo.
102
Ipertesti capitolo III: ACCORDI, DEFINIZIONE, COSTRUZIONE
Ipertesto 3.1: perché il minimo per formare un accordo è tre suoni e non due?
Per accordo si intende tecnicamente un'unità formata da almeno tre suoni di diversa altezza suonati
simultaneamente. Il senso che per noi ha la parola accordo, usata in campo musicale, si comprende meglio
rispondendo alla domanda: perché tre suoni e non due? Perché due suoni vengono percepiti appunto come
due suoni ancora distinguibili, sebbene in relazione l'uno con l'altro; quando i suoni sono tre, soprattutto se i
suoni sono vicini, tutti entro l'ottava, si percepisce il suono superiore, in secondo luogo – e con un po' di
esercizio – il suono più grave dei tre; quello intermedio si perde nell'insieme. Insomma, i tre suoni sono
percepiti non come tre suoni distinti, ma come un'unità, una pasta di suono fatta in un certo modo.
Ipertesto 3.2: gli accordi secondo una visione più larga e secondo la nostra cultura
In una prospettiva astratta – o con riferimento all'esperienza della musica colta del '900 – per accordo si
intende qualsiasi sovrapposizione di almeno tre suoni posti a qualsiasi intervallo gli uni rispetto agli altri.
Etimologicamente la parola accordo Sicché è possibile definire accordo anche il cluster, un grappolo di suoni
a distanza di semitono o comunque vicini. Secondo questa definizione ampia, possono essere definiti accordi
anche le seguenti sovrapposizioni di suoni:
Esempio
Le nostre orecchie, tuttavia, non funzionano come apparecchi di laboratorio e riconoscono quel che la nostra
cultura usa comunemente e condivide come mezzo di espressione musicale. Per quanto la nostra esperienza
musicale sia complessa e diversificata, gli accordi sono accordi e gli insiemi di note dell'esempio precedente
sono insiemi di note, ma non accordi. È fondamentale la riconduzione del concetto di accordo alla
distinzione, cruciale per la nostra cultura musicale, tra consonanza e dissonanza e alla funzione di stabilità e
instabilità che si lega ad esse. all'origine dell'accordo c'è la triade, come insieme consonante di tre suoni che
può diventare dissonante aggiungendo ulteriori suoni secondo le strategie di uso della dissonanza che sono
state in parte descritte nel capitolo precedente e sulle quali si tornerà anche in questo capitolo, per quel che
riguarda la formazione di accordi dissonanti. A questo proposito va ricordato che il concetto di accordo come
noi oggi lo conosciamo è piuttosto recente, mentre l'uso di armonie che nella forma possono essere
considerate come accordi è ben precedente, e si deve appunto alla valorizzazione della percezione di
differenza tra consonanza e dissonanza. Vale la pena approfondire la questione.
Ipertesto 3.3: origine contrappuntistica degli accordi
L’accordo, secondo la definizione moderna, è una acquisizione piuttosto recente nella teoria del nostro
linguaggio musicale; benché molti teorici avessero dato spiegazioni di come e perché i suoni potessero essere
sovrapposti uno sull'altro, il primo a dare una definizione degli accordi (limitata alla triade) sintetica e simile
alla nostra fu Johann Gottfried Walther nel 732, all’interno del suo Musicalisches Lexicon [Walther, 1732, p.
7]. Né la musica di Palestrina – armonicamente così piena - né quella di Corelli - già così armonicamente
moderna - furono scritte facendo riferimento esplicito alla moderna concezione di accordo. Evidentemente la
definizione che noi diamo dell’accordo non è preliminare all'uso degli accordi; esso, al contrario, è
conseguente a qualche altro tipo di meccanismo che l'ha generato.
All’origine dell’accordo ci sono due fatti essenziali nella storia del nostro linguaggio musicale; il primo,
quello della distinzione degli intervalli consonanti da quelli dissonanti; il secondo, quello della concezione
polifonica della composizione, come sovrapposizione di linee melodiche indipendenti.
Esempio, da Anonimo (XIII sec.), Virgo solamen deolatorum, dall'Antifonario conservato nella Cattedrale di
Assisi, Codice n. 527
27 In A. Ziino, Polifonia “arcaica” e “retrospettiva” in Italia centrale: nuove testimonianze (1975). Disponibile
online sul sito http://www.examenapium.it/meri/ziino1978.pdf
103
Siamo all’inizio del secondo millennio, e la polifonia sta prendendo spazi sempre più ampi nella prassi e nel
gusto musicale. Furono due trattatisti della metà del ‘200, Franco e Johannes, a fissare in regola un fatto già
acquisito nella pratica, e cioè che sul battere del tempo dovesse esserci una consonanza, onde evitare la
produzione di sgradevoli effetti sonori, le dissonanze; già allora erano considerati intervalli consonanti gli
stessi elencati nel capitolo precedente. Ecco un esempio ancora di Leonel Power, musicista inglese dell'inizio
del XV secolo.
Esempio, L. Power, Ave regina coelorum
Successivamente, verso la fine del XIV secolo, si cominciò ad ammettere l’uso della dissonanza anche sui
tempi, purché fosse trattata nella maniera dovuta, ovvero con preparazione e risoluzione; ancora un esempio
preso dalla produzione di Power (le dissonanze, ve ne sono due, entrambi din 7^, sono indicate con
l'asterisco).
Esempio, L. Power, Ave Regina Coelorum
* *
Cerchiamo di capire il modo di procedere ipotizzando una semplice composizione a tre voci. L’inizio molto
spesso era una linea melodica liturgica; nell'esempio che segue sono partito da un segmento di melodia nel
modo dorico di Re. Non si componeva subito a tre voci; si iniziava sovrapponendo prima una voce sulla
melodia originale, quindi si sovrapponeva la terza voce; come ripeto, nel comporre il contrappunto i due
punti di riferimento essenziali sono quello di utilizzare solo consonanze e di fare in modo che le tre linee
fossero differenti:
Esempio
a, la melodia in Re dorico:
b, viene sovrapposta una prima voce:
c, infine la terza:
E così è subito evidente che, essendo limitato il numero delle consonanze, la scrittura per accordi scaturisce
per conseguenza dalla applicazione dei due principi richiamati. La penultima armonia per noi è un accordo di
Do (tra poco, quando sapremo usare le sigle, diremo C/E, cioè accordo di Do con basso mi), mentre per un
musicista medievale sarebbe stato un mi con sovrapposizione di due consonanze di 3ª e di 6ª28. Di qui in
28 Di qui viene la prassi di indicare l'armonia sul basso tramite i numeri (Basso numerato); l'argomento verrà trattato
più estesamente nel corso di questo capitolo.
104
avanti, dunque, l’apprezzamento per le sovrapposizioni armoniche si insinuò nel nostro linguaggio poco a
poco, in modo sempre più forte e determinante per l'evoluzione dell'armonia. Ma conviene tenere a mente
l’origine melodica e contrappuntistica della scrittura accordale, dal momento che i presupposti essenziali che
l’indirizzarono continuano a orientare aspetti rilevanti di quasi tutta la musica attuale.
Ipertesto 3,4: attorno all'origine degli accordi di settima
Se l'accordo nasce dalla sovrapposizione di intervalli consonanti, qual'è l'origine degli accordi dissonanti? E
come può l'uso “accordale” della dissonanza essere ricondotto a una teoria che vede l'accordo come un
insieme di suoni sovrapposti idealmente per terze?
Andiamo con ordine. Per quel che riguarda gli accordi di settima, c’è chi ritiene che essi siano stati originati
dall’uso di fiorire melodicamente il movimento delle parti in una scrittura contrappuntistica29; ecco un
esempio di questo caso:
Esempio
a. passaggio armonico non fiorito
b. lo stesso con nota di fioritura
Sarebbe dunque il fa, usato per collegare melodicamente il sol del soprano nell’accordo di Sol al mi
dell’accordo successivo30, a creare l’accordo di Sol7. È tuttavia da sottolineare che in un contesto simile e
cadendo quindi sulla suddivisione, o su un tempo debole, la nota dissonante perde quasi completamente il
proprio carattere di dissonanza, per essere percepita con una valenza sostanzialmente melodica; non a caso
note come queste si chiameranno di fioritura (si veda più avanti il capitolo dedicato alle note ornamentali
melodiche); tale valenza resta ancora prevalente quando il compositore impiega un valore ritmico più grande
per la nota di passaggio. Nel prossimo esempio, la circostanza descritta si inserisce in un contesto cadenzale,
nel quale la nota di passaggio, impiegata sulla prima suddivisione (il tempo è tagliato), risulta più audibile e
quindi armonicamente più rilevante.
Esempio, G. Pierluigi Palestrina, Heu mihi Domine, mottetto
*
Anche se questa teoria riguardo l'origine degli accordi di settima è accreditata, a mio parere conviene
guardare altrove per cercarne un'altra più convincente, che tenga in maggior considerazione l'elemento
percettivo.
E in realtà non si deve andare lontano; guardando al repertorio musicale del XV e XVI sec., è facile
accorgersi di come l’accordo di settima cominci a mettere i primi germogli quando nel contrappunto si iniziò
a sfruttare con maggiore sistematicità le implicazioni dinamiche contenute nella opposizione tra consonanza
e dissonanza e dunque quando si stabilizzò la tecnica più adatta per far cadere la dissonanza sul tempo forte,
in modo da farla emergere percettivamente con la massima evidenza.
29 Ad esempio Scoenberg (Schoenberg, 1973, p. 100-101).
30 Questa nota si chiama “nota di passaggio”, come vedremo nel capitolo dedicato alle note di fioritura.
105
Esempio, L. Marenzio, Beatus Laurentius, mottetto
Esempio, L. Marenzio, ibidem
*
*
È ancora a semplici e assai comuni procedimenti contrappuntistici che deve essere ricondotta l'origine
dell'impiego di accordi di settima allo stato di rivolto; nell'esempio che segue in una cadenza in Fa, il basso si
muove sui gradi IV-V-I; sul IV c'è quello che noi identificheremmo come un primo rivolto di un accordo di
settima sul II (Sol min7 in primo rivolto, segnato con asterisco).
Esempio, R. Giovannelli, Cantate Domino, mottetto
*
Ancora un esempio nel quale una dissonanza piuttosto forte segnala un contesto cadenzale; per quanto
atipico possiamo giudicare il modo di trattare la dissonanza - alla luce di regole scolastiche che oggi
riteniamo necessarie e infallibili - passaggi come il prossimo erano del tutto normali nella musica della fine
del '500; si tratta di un accordo di settima in secondo rivolto (come oggi verrebbe identificato) sul VI che
scende sul V del tono di Re nel quale Felice Anerio fa la cadenza; ancora una volta quindi un accordo di
settima sul II allo stato di rivolto che precede il V in cadenza.
106
Esempio, F. Anerio, Nos autem gloriari, mottetto
*
Gli esempi proposti, oltre a spiegarci plausibilmente l'origine degli accordi di settima, mostrano come sia la
stessa tecnica contrappuntistica, volontariamente o meno, a condurre verso la formazione di sovrapposizioni
di suoni che, in un'ottica moderna, si possono vedere come armonie ottenute per sovrapposizioni di terze31.
Ipertesto 3.5: formazione degli accordi per sovrapposizione ideale o reale d’intervalli di terza
La sovrapposizione per terze deve essere vista come principio costitutivo dell’accordo; si determinano in
questo modo le note di cui l’accordo si costituisce, ma poi si resta liberi di disporre le note come si vuole,
purché si rispettino le poche regole di costruzione che si vedranno tra poco. Per fare un esempio, l’accordo di
Do/Mi/Sol/Si (Do maj7) rimane tale, che le note vengano disposte una sull’altra a distanza di terza o meno:
Esempio
Per trovare la fondamentale di un accordo, quindi, si deve individuare il suono che consente di
disporre gli altri per intervalli di terza. Scolasticamente, si usa un modo spiccio: si calcolano gli intervalli
dei suoni superiori rispetto a quello più grave: l’intervallo di numero pari più piccolo è la fondamentale
dell’accordo.
Ipertesto 3.6: basso fondamentale e tonica, tre cose differenti
È frequente sentir chiamare la fondamentale di un accordo “tonica”, così come lo è che il basso venga
confuso con la “fondamentale” dell’accordo. Le tre funzioni di basso, fondamentale e tonica non vanno
confuse; il basso è il suono più grave di quelli sovrapposti in un accordo; la fondamentale è la nota che
genera la sovrapposizione di terze e che dà il nome all’accordo; la tonica, infine, è il primo grado di una
scala; tale nota può anche non essere inclusa nell’accordo con cui si ha a che fare.
Guardiamo intanto il seguente esempio:
Esempio
fondamentale sol, tonica Do
basso si
31 Va considerato che, secondo la prassi contrappuntistica del tempo, i suoni erano consonanti o dissonanti o meno
rispetto alla nota del basso, o comunque alla nota più grave dell'insieme di suoni. Negli ultimi due esempi, invece, la
dissonanza si crea tra voci superiori; il fatto che tale dissonanza scenda in ogni caso per grado congiunto nella
risoluzione (come appunto deve fare la dissonanza) testimonia il fatto che pian piano si stava affermando un modo
nuovo di considerare gli insiemi di suoni, non più solamente in relazione alla nota grave della sovrapposizione.
107
Assumiamo che questa serie di accordi sia nella tonalità di Do mag.; concentriamoci sul secondo accordo. È
un accordo di Sol mag., costituito dalle note sol/si/re. Il basso è la nota più grave, il si, la fondamentale è il
sol (perché è il sol che genera l’accordo nella sovrapposizione di terze); la tonica è il do, perché la serie di
accordi è nella tonalità di Do mag. Nell’accordo finale della serie come in quello iniziale, il basso è do, la
fondamentale dell’accordo è ancora il do, la tonica ancora una volta è do; in questo caso quindi basso,
fondamentale e tonica coincidono in un’unica nota: può capitare, ma non è la cosa più frequente.
Ipertesto 3.7: classificazione degli accordi sui gradi delle scale (maggiore, minori), teorie.
Accordi e scala minore
La classificazione degli accordi si combina inevitabilmente con le abitudini didattiche e le teorie attorno alla
musica. Un'abitudine didattica è quella di considerare i diversi tipi di scala minore sullo stesso piano; come
se un compositore, creando una musica in minore, dovesse scegliere di farla in La minore naturale, piuttosto
che in La minore armonica o altro ancora. Come già detto nel capitolo dedicato alle scale, si tratta di un
banale scivolamento, che rischia di far diventare teoria una pratica che forse ha una qualche utilità solo in
ambito scolastico. Ma insomma, quando si classificano gli accordi, c'è chi tirando in ballo i differenti tipi di
scala minore ne classifica alcuni che nel testo non sono stati fin qui identificati.
Consideriamo la scala armonica - col VII alterato sempre in senso ascendente, non solo in concomitanza con
l'armonia di dominante - come un tipo di scala minore fisso, ovvero come una scala i cui suoni si impiegano
sistematicamente; ecco quel che viene fuori per le triadi e per gli accordi di settima:
Esempio, triadi e settime nella scala di La min., scala armonica,
aumentata
6^ specie
7^ specie
Gli accordi sono quasi tutti quelli già classificati prendendo in considerazione la scala per come viene
impiegata della pratica; ce ne sono tre differenti, la triade aumentata (formata da una 3^ mag. e una 5^
aumentata), la settima di 6^ specie e quella di 7^ specie. I manuali scolastici considerano tutti la triade
aumentata nel novero delle triadi normali; sicché, nella classificazione più accreditata i tipi di triade
sarebbero quattro: triade mag., min., dim. e aumentata32. Per quel che riguarda la sesta e la settima specie di
settima, fortunatamente anche i manuali scolastici li nominano solo occasionalmente, sicché non è necessario
soffermarsi a spiegarli; né a ricordarli.
Ipertesto 3.8: classificazione degli accordi di settima in relazione a costruzione e risoluzione
Riprendo qui per comodità l'esempio con le settime contenute sui vari gradi della scala maggiore e di quella
minore, completa di quelle indicazioni cui spesso si tiene nella trattazione scolastica dell'argomento.
Esempio
Scala maggiore
4ª sp. S,I
I
2ª sp. S,I
II
2ª sp. S,I
III
4ª sp. S,D
IV
1ª sp. P,I
2ª sp. S,I
V
VI
3ª sp. P,D
VII
32 Ripeto che l'uso della sensibile nel modo minore si lega all'armonia di dominante, quindi si impiega solo in cadenza
negli accordi costruiti sul V e sul VII. Come si vedrà nel capitolo dedicato all'armonia tonale, sul III grado non si
usa l'accordo di triade allo stato fondamentale; quindi, ipotizzare una triade aumentata sul II della scala minore è
doppiamente errato, dal momento che si darebbe in questo modo per scontato che il III possa essere armonizzato
allo stato fondamentale e che al suo interno, pur non essendo un armonia di dominante, si usi la sensibile.
108
Scala minore
2ª sp. S,I
3ª sp. S,I
4ª sp. S,I
I
II
III
2ª sp. S,D
1ª sp. P,I
IV
V
4ª sp. S,I
VI
5ª sp. S,D
VII
Nella tabella qui sotto mostro i significati delle abbreviazioni:
Tabella
abbreviazione Significato
Spiegazione sintetica
Sp
specie
la specie identifica l'accordo secondo gli intervalli specifici di cui si
costituisce
P/S
principale/secondario la distinzione P/S determina la regola di costruzione
P: la settima principale o “naturale”, in quanto derivata direttamente
dal fenomeno fisico armonico, non ha bisogno della preparazione
della settima.
S: la settima secondaria, o “artificiale”, ha bisogno della
preparazione.
I/D
indipendente/derivato la distinzione I/D indica la tendenza risolutiva dell'accordo
I: la settima indipendente risolve su un accordo la cui fondamentale è
a distanza di quinta discendente dalla fondamentale dell'accordo di
settima.
D: la settima è derivata da una nona idealmente costruita una terza
sotto la sua fondamentale (l'accordo di si/re/fa/la sul VII di Do mag.
sarebbe derivato dalla nona sol/si/re/fa/la); risolve quindi su un
accordo la cui fondamentale è a distanza di quinta discendente
rispetto alla nona da cui è derivato, ovvero su un accordo la cui
fondamentale si trova una seconda sopra la fondamentale della
settima
Questa classificazione degli accordi di settima gode di una certa considerazione negli ambienti scolastici;
come tra poco si vedrà, contiene implicitamente aspetti teorici che non sono universalmente condivisi. La
distinzione da una parte tra accordi principali e secondari dall'altra tra accordi indipendenti e derivati regola
la costruzione e risoluzione degli accordi di settima secondo criteri pratici che sono comuni negli ambienti
scolastici. Si deve aggiungere che nella pratica musicale non si riscontrano corrispondenze sistematiche, e
che, anche a seconda degli stili, ci si comporta diversamente da quel che la scuola dice di fare. Vale per tutte
le regole della grammatica; ma per questa un po' di più.
Costruzione degli accordi di settima. P/S = principale/secondaria, la settima dell'accordo non va o va
“preparata”. Qui di seguito si nota la differente costruzione degli accordi di settima costruiti sul V (è il
secondo accordo e il V è allo stato di primo rivolto) e sul VI grado; nel primo caso, il fa, settima dell'accordo
di settima sul sol che, in quanto basato sul V è principale, viene raggiunto dal mi e avrebbe potuto essere
raggiunto da un qualsiasi altro suono; nel secondo caso il sol, settima dell'accordo sul la (VI grado, quindi
settima secondaria), viene raggiunto all'unisono dal sol contenuto nell'accordo precedente; analogamente,
nell'accordo successivo il do, settima dell'accordo di settima su re (II grado, quindi settima secondaria), è
raggiunto all'unisono dal do contenuto nell'accordo precedente; la “preparazione della dissonanza” consiste
in questo, come vedremo meglio nel capitolo dedicato al moto delle parti; nell'esempio che segue con P e S
sono indicate le settime principali e secondarie33:
33 Per una sintetica spiegazione sul meccanismo che permette l'uso della dissonanza (preparazione, risoluzione) nella
teoria tradizionale, vedi sopra gli approfondimenti dedicati al capitolo sugli intervalli.
Nell'esempio i numeri romani sotto le note del basso si devono leggere in questo modo: il numero romano fuori di
parentesi indica il grado melodico della scala su cui si trova la nota del basso (se siamo in Do, un mi è quindi un III
grado); tra parentesi è indicato il grado su cui si trova la fondamentale dell'accordo, nel caso in cui esso si trovi allo
109
Esempio
P
S
S
Risoluzione degli accordi di settima. I/D = indipendente/derivata, l'accordo indipendente risolve su
quello la cui fondamentale dista una quinta discendente dalla fondamentale dell'accordo di settima che si
sta risolvendo. L'accordo derivato (dalla nona che si trova idealmente una terza sotto la fondamentale
dell'accordo di settima) risolve sull'accordo la cui fondamentale si trova un grado sopra l'accordo di
settima che si sta risolvendo.
Nell'esempio seguente è segnato con “D” l'accordo di settima indipendente o derivato:
Esempio
I
I
D
D
La prima cosa da notare è che il sostantivo italiano “derivato” non fa capire molto della complessità di ciò
che vorrebbe indicare; derivato si dice di una cosa che discende da un'altra che c'era prima, una cosa che si
ricava da un'altra; il che non potrebbe essere accettato, dal momento che gli accordi di nona sono stati accolti
nella pratica e nella teoria successivamente agli accordi di settima. In realtà il termine “derivata” come
attributo di un accordo di settima si dovrebbe sostituire con “contenuto in” oppure, meglio ancora, con
“accordo con fondamentale sottintesa”; in questo modo la questione acquisisce tutt'altra rilevanza.
La classificazione degli accordi di settima porta di nuovo in evidenza un argomento cruciale della teoria
musicale, quello della dipendenza di aspetti rilevanti del nostro linguaggio musicale dalla natura fisica del
suono. È una materia affascinante se non altro per il livello delle domande che suscita; per esempio: quanto
del nostro linguaggio musicale e quanto degli stili musicali che si sono susseguiti nel tempo dipendono da
fatti che riguardano la cultura e il suo modo di farsi nel tempo secondo vie che la storia in primo luogo deve
esplorare? Quanto invece del linguaggio e degli stili non dipende da un’applicazione meccanica di premesse
o caratteristiche fisiche immanenti alla materia sonora? E, più praticamente, quanto i musicisti hanno tenuto
in considerazione le teorie indipendentemente dalla loro fondatezza e quanto sono stati condizionati da esse,
facendo magari in modo che la musica corrispondesse in qualche modo alla teoria sposata o prevalente nel
loro tempo? Che è poi una domanda attualissima: quanto della musica che si fa anche oggi è applicazione di
grammatiche di stile assorbite durante l'apprendistato scolastico indipendentemente dalla loro tenuta teorica?
Qualsiasi sia il punto di vista personale, due cose sono ineludibili: la prima è che ogni cosa che l'uomo faccia
deve tener conto da un lato della natura fisica degli oggetti o dei fenomeni di cui quel che fa è costituito,
dall'altro delle caratteristiche della natura umana e dei propri limiti psicologici e fisiologici. La seconda è che
fare musica senza considerare quanto si apprende a scuola o imitando quel che ci piace è impossibile.
Sicché occorre guardare da vicino la faccenda degli accordi naturali e artificiali.
stato di rivolto (se il mi è armonizzato come primo rivolto dell'accordo di Do, allora ci sarà un I tra parentesi, dal
momento che il do è il primo grado della scala di Do). La questione dell'uso dei numeri è chiarita nel capitolo
dedicato all'argomento.
110
La questione ha rilevanza, perché viene da lontano e sopravvive in ampi spazi della teoria attuale. In epoca
moderna, Zarlino compì un passo fondamentale nella direzione di spiegare aspetti rilevanti del fenomeno
musicale a lui contemporaneo tramite corrispondenze con la natura del suono; dove per natura del suono si
deve intendere quella fisica e quella che si inscrive in una concezione in cui l'Universo esprime perfezioni
che le scienze numeriche descrivono. Sicché Zarlino spiega non solo le consonanze, ma anche la formazione
dell'accordo maggiore e minore attraverso le “proporzioni armoniche” (l'accordo di triade maggiore allo stato
fondamentale risulta tra i suoni armonici) e delle “proporzioni aritmetiche” (partendo da un suono acuto e
dividendo aritmeticamente il numero delle sue vibrazioni, si ottengono gli armonici cosiddetti inferiori34).
Dopo Zarlino, fu Rameau a tornare autorevolmente sull'argomento; per il compositore e studioso francese,
tuttavia, la natura può solo spiegare la consonanza e la formazione dell'accordo perfetto maggiore, non della
triade minore. In ogni caso, entrambi gli studiosi non ritengono di andare oltre la triade, riconducendo la
dissonanza nell'ambito dei movimenti melodici delle voci [Zarlino, 1562, p. 172 e segg.; Meeùs, 2002, p.
82].
Facciamo un salto in avanti nel tempo. All'inizio dell'Ottocento il Conservatorio di Parigi assunse il Traité
d'harmonie di Charles-Simon Catel quale libro di testo per la formazione dei propri studenti. Insomma,
Francia, Parigi, inizio del XIX secolo: c'erano le premesse perché la cosa avesse seguito. Secondo Catel
[Catel, 1802, p. 5-6] il fenomeno fisico armonico, considerando anche gli armonici superiori al settimo,
genera sia l'accordo di nona di dominante maggiore che quello di nona di dominante minore; sarebbero
dunque questi due accordi, sempre secondo Catel, a contenere alcuni dei più importanti accordi in uso nella
musica del tempo e dimostrarne l'origine naturale. Nell'esempio che segue si mostra come si possono ritenere
integrati nell'accordo di nona gli accordi di triade maggiore, diminuita e minore, la settima di 1^ specie e la
settima di 3^ specie. Analogamente si può fare con l'accordo di nona dominante minore, che in più contiene
l'accordo di settima diminuita. Insomma, di qui viene la faccenda degli accordi derivati.
Esempio,
Quella di Catel è più un'ipotesi che una teoria; si tratta di un didatta che, pubblicando un manuale
essenzialmente pratico, sente il bisogno di dare un perché a quel che si fa, senza approfondire la natura
teorica delle considerazioni. Pur non essendo stata seguita dai maggiori teorici del XIX secolo, questa
interpretazione rappresenta un punto di vista marcato nella direzione di accettare che il materiale allora
ritenuto più importante per la composizione - ovvero gli accordi - fosse derivato da condizioni naturali,
quindi indiscutibili35. In realtà il fenomeno fisico armonico non esaurisce l'insieme degli accordi impiegati in
musica, e le dimostrazioni di Catel sono macchinose quanto basta per dimostrare il contrario di quel che
dicono, ovvero che accordi e materiali musicali, benché orientati dalla natura del suono, sono in larga parte
frutto dell'evoluzione del linguaggio e dunque fenomeno marcatamente culturale. La maggior parte dei
teorici (in questo caso veri e propri teorici, non semplicemente didatti) del XIX secolo e di quelli dell'inizio
34 A questi argomenti Zarlino dedica la prima parte delle Istituzioni armoniche (Zarlino, 1562, p. 27 e segg.). I suoni
che si sviluppano a causa del fenomeno fisico armonico sono stati già richiamati nel capitolo dedicato agli intervalli;
nel prossimo esempio ecco la serie dei cosiddetti armonici inferiori, che si ottengono artificialmente tramite
divisione aritmetica del suono più acuto. È da notare che si tratta di pura teoria, e che un suono acuto, isolato, non
potrà mai produrre alcunché di più grave rispetto a sé.
Esempio:
Vale la pena notare che, così come nel fenomeno fisico armonico a formare la triade maggiore sono gli armonici 4, 5
e 6, altrettanto succede qui, con i cosiddetti armonici inferiori: il 4, il 5 e il 6 formano la triade minore. Le
corrispondenze numeriche invertite tra maggiore e minore hanno affascinato in particolare Riemann, che ha visto nel
modo minore l'inversione esatta del maggiore, anche relativamente alle funzioni degli accordi all'interno della
tonalità. Teoria forte, sul piano logico, che in pratica non riesce a descrivere nulla della realtà.
35 La ricerca di punti di contatto tra la natura del suono e il linguaggio musicale non si fermò agli accordi; negli stessi
anni di Catel, Jerome de Momigny pubblicò un corso di composizione nel cui titolo si legge il principio forte che
l'orientò: “teoria nuova e generale della musica, basata su principi incontestabili, dati in natura”; all'interno,
propose di cercare negli armonici della dominante i suoni di cui è costituita la scala maggiore [Momigny, 1803, p.
806].
111
del secolo successivo sono d'accordo nel ritenere che il fenomeno fisico degli armonici al massimo possa
servire per spiegare l'accordo di triade maggiore (i suoni armonici 4, 5 e 6 formano in effetti la triade
maggiore) e che il resto sia stato creato per analogia dall'uomo.
La questione del rapporto tra natura del suono e linguaggio musicale non si ferma alle teorie attorno
all'origine degli accordi; tendono invece a investire la questione dei rapporti tra gli accordi in ambito tonale e
quindi, in profondità, le ragioni del costruirsi del discorso musicale. Per rimanere all'oggetto da cui siamo
partiti - gli accordi cosiddetti derivati - occorre ricordare che in alcuni importanti autori certi accordi di
settima vengono considerati derivati non tanto perché espressione diretta del fenomeno fisico armonico, ma
perché - stante che nella natura del suono sta la risoluzione per quinta discendente della fondamentale di un
accordo sulla fondamentale dell'accordo successivo – per comprendere la ragione della risoluzione di questi
accordi è necessario supporre una fondamentale sottintesa, che guiderebbe virtualmente il percorso
dell'accordo su quello successivo. In questa forma ritroviamo il concetto di accordo derivato (o, per meglio
dire, con fondamentale sottintesa) nel 1816, nel Corso di composizione musicale di Anton Reicha [Reicha,
1816, trad. it. 1912, p. 14-15]; più avanti viene accolto da Riemann, che lo accredita all'interno della sua
teoria funzionale dell'armonia [Riemann, 1893, trad. ingl. 1895, p. 120-121] e, ancora più vicino ai nostri
giorni, in de la Motte, che pure ne circoscrive storicamente l'efficacia [de la Motte, 1988 p. 130]36.
Per rendersi conto di quanto fosse comune ritenere possibile sottintendere un suono dell'accordo nella sua
costruzione, basta leggere quel che dice l'italiano Carlo Gervasoni nell'anno 1800. scrive Gervasoni nella sua
Scuola della Musica che “si chiama […] inverso [noi diremmo rivolto] allorquando il suono fondamentale,
invece d'essere al suo luogo naturale, vale a dire nel basso, viene distribuito in qualche Parte superiore,
oppure non si esprime del tutto [sic!]” [Gervasoni, 1800, p. 396]37. Gervasoni mira al sodo, non fa filosofia,
constata un dato di fatto, sicché aggiunge poco dopo “siccome si usa comunemente per avere una piacevole
melodia, un'ottima varietà ed una buona e conveniente espressione” [ibidem]; ovvero, data la regola, il gusto
impone l'eccezione, quando ci sta: diceva S. Agostino “ama e fa ciò che vuoi”.
In ogni caso si tornerà su alcuni aspetti accennati qui, più avanti; infatti, come s'è visto, le teorie attorno agli
accordi sono interessate solo inizialmente a spiegarne la forma, mirando invece a spiegare fenomeni più
ampi del linguaggio musicale.
In fin dei conti se un accordo di settima si classifica in un modo o nell'altro potrebbe non essere così
rilevante. Più importante è sapere cosa si deve fare per esprimersi in un determinato stile e dunque dedurre
dalle musiche stesse le regole di stile adatte a ricrearne il mondo.
36 Heinrich Schenker sfiora l'argomento degli accordi derivati [Schenker, 1906, trad. ingl. 1954 p. 190-191]; in realtà,
tuttavia, la sua intenzione è quella di far risalire la intercambiabilità di alcuni accordi con funzione di dominante della triade di sensibile, della settima di dominante, della settima di sensibile e della nona di dominante - al fatto
che tutti questi accordi contengono la quinta diminuita; individua quindi un'unica funzione armonico
contrappuntistica all'interno della quale, a seconda del gusto o delle necessità, l'autore usa un accordo piuttosto che
l'altro.
37 In effetti, la consuetudine a sentire la musica fluire in un certo modo, rende possibile sopprimere la fondamentale di
un accordo, senza che chi ascolta resti disorientato. Nel seguente esempio, sul battere della seconda battuta è facile
che si sottintenda un accordo di Do, nonostante il do, come suono, non ci sia.
Esempio
112
Ipertesto 3.9: classificazioni, grammatica, linguaggio.
Per quel che riguarda gli accordi, si devono considerare due prospettive:
a. dando uno sguardo dall'alto all'evoluzione del nostro linguaggio musicale, si nota nel tempo
l'apprezzamento crescente e differente nei confronti dell'armonia; la sonorità degli accordi, anche per il modo
di essere costruiti, per il loro colore, diventa un riferimento sempre più rilevante dell'invenzione, mano a
mano che ci si concentra sulla dimensione timbrica della musica. All'inizio del XX secolo, tale interesse
diverrà a volte persino prevalente rispetto ad altri aspetti della composizione musicale; uno per tutti, si pensi
all'estetica di Claude Debussy. Insomma, una triade è una triade, una settima è una settima, ma il modo di
percepire accordi uguali nella forma è assai differente nella musica del XVI, del XVIII, del XX secolo; per
non dire del nostro tempo. Nei trattati di sempre gli attributi assegnati alla triade maggiore, per fare un
esempio, sono quelli dell'allegrezza, della positività, rispetto al carattere ripiegato e mesto della triade
minore. L'inizio del mottetto che segue, di Claudio Monteverdi, è destinato all'adorazione della croce,
durante la settimana santa. Il tono è solenne, il carattere mesto, immaginando gli occhi rivolti verso la croce:
per tre volte adoramus è intonato su un accordo minore, spostato di volta in volta su un tono più alto per
ottenere un'intensificazione di indubbia efficacia sul piano retorico:
Esempio, C. Monteverdi, Adoramus te, Christe
Va da sé che nella maggior parte dei casi, la scelta degli accordi non avvenisse allora in base al loro generico
riflesso affettivo, ma che fosse conseguenza della condotta contrappuntistica delle voci; la relazione tra
armonie e significati insomma poteva essere più morbida, senza automatismi del tipo allegro= maggiore,
triste= minore. Il testo certamente non mesto della villotta di Azzaiolo (attivo nella seconda metà del XVI
sec.), che è accennato nel prossimo esempio, viene intonato nel modo dorico, trasportato in Sol; l'armonia
iniziale che consegue dalla scelta del modo è quella di Sol min.. Ed è vero che il passaggio quasi immediato
a Si bem. Mag., attraverso l'accordo di Fa mag., potrebbe essere messo in relazione col carattere aperto del
testo, ma la scelta dell'autore suggerisce di interpretare in modo morbido, come si diceva, la relazione tra
accordi e significati evocati. D'altra parte, è bene sempre ricordare che i significati in musica sono veicolati
da una parte dai contenuti del testo, dall'altra da chi la esegue.
Esempio, F. Azzaiolo, Dall'orto se ne vien
Via via che ci si addentra nel Seicento e che si passa al secolo successivo, si impone una tecnica compositiva
secondo cui gli accordi si scelgono e mettono in successione non per la natura o il colore dei singoli accordi,
113
ma in base alla funzione che essi assumono all'interno della tonalità; dal momento che questo argomento è
cruciale, per l'importanza che la tonalità ha nella storia della nostra cultura musicale, non vale la pena
fermarsi ora a fare qualche esempio a supporto di quanto ho appena affermato; ci tornerò più più avanti, nel
capitolo dedicato appunto alla tonalità.
È nel corso dell'Ottocento che pian piano l'attenzione si rivolge agli accordi in sé, anche per la loro capacità
di generare senso attraverso il colore, a seconda di come sono costruiti, di come sono disposti i suoni di cui si
costituiscono, dei contrasti che creano con gli accordi precedenti e successivi; pare che Debussy amasse
comporre al pianoforte, scegliendo suoni intervalli e accordi perché giusti lì, in quella situazione.
Nell'esempio che segue, la triade maggiore di Mi bem., alla quarta b., si riflette nel gioco di luci creato
dall'arpeggio, che ne espande l'onda liquida e luminosa; il suono dell'accordo riluce nella sua brillantezza
anche perché viene a seguito delle armonie precedenti, che ne preparano l'esplosione; la dimensione timbrica
è in primo piano e, anche la giustapposizione degli accordi, è calibrata al fine di esaltare la valenza
coloristica di ognuno di essi.
Esempio, C. Debussy, Images, Reflets dans l'eau
Per comodità ho scelto un esempio per pianoforte, dove per certi versi la limitazione delle possibilità
cromatiche legate alla scrittura per un solo strumento rende ancora più evidente l'intenzione di valorizzare la
dimensione timbrica della musica. È nella produzione sinfonica a cavallo tra XIX e XX secolo che l'orchestra
raggiunge apici assoluti nella realizzazione di colori e impasti fino ad allora inaspettati; la composizione
musicale stessa supera la via più comune, seguita nel periodo classico-romantico e in Debussy la melodia –
che fino ad allora aveva guidato l'orecchio degli ascoltatori lungo il dispiegarsi della narrazione musicale diventa gioco di frammenti che si ripetono, si ritrovano in eco a distanza, ogni volta immersi in bagni di
colore differenti. La scrittura apparentemente classica, basata ancora a prima vista su melodie appoggiate su
una base armonica, è la trama che tiene assieme suggestioni, evocazioni generate spesso primariamente dai
colori del suono e degli accordi che si susseguono.
b. È da tenere in considerazione la scrittura adottata. Come vedremo in un capitolo dedicato a questa materia,
l'invenzione musicale viene guidata nella nostra cultura da procedimenti compositivi che nella loro accezione
più radicale producono risultati molto differenti; differenti anche per chi ascolta, per come viene incanalata
la nostra facoltà percettiva. Uno dei prossimi capitoli è dedicato a questa materia; qui basta dire che una cosa
è comporre sovrapponendo voci che hanno tutte lo stesso tempo – com’è l'esempio dell'inizio della villotta di
Azzaiolo - un'altra è comporre per melodie sovrapposte, indipendenti sul piano ritmico. La scrittura imitata38
coinvolge la nostra attenzione in direzione dei movimenti melodici sovrapposti; ci si deve aspettare quindi un
interesse solo in seconda battuta nei confronti degli accordi. Non è tra le pagine scritte in questo modo che ci
si può aspettare la concentrazione sui fatti timbrici. E nell'ascoltare una musica come la prossima quando si
38 Nella scrittura imitata le voci sovrapposte in contrappunto impiegano movimenti melodici.
114
arriva all'accordo di 7^ segnato con l'asterisco, più che l'accordo si ascolta il movimento delle parti; forse in
primo luogo il fraseggio della parte che canta il soggetto della fuga.
Esempio, J.S. Bach, Das wohltemperierte Klavier, Fuga in Do mag.
*
Altro caso è il seguente, sempre prese dal Wohltemperierte Klavier di Bach; l'accordo di 7^ in questo caso si
lascia apprezzare nella pienezza della sua sonorità.
Esempio, Ibidem, Preludioin Do mag.
*
Insomma, riconoscere gli accordi e classificarli è necessario; ma è solo l'inizio della strada che si deve fare
per arrivare a capire come usarli, come sono stati usati, che senso possono dare alla musica che stiamo
facendo eseguendo o ascoltando. Per chi fa musica, la maggior comprensione delle cose viene sempre
dall'imitazione di quel che gli altri hanno fatto.
Ipertesto 3.10: attorno alla disposizione armonica stretta/lata (chiusa/aperta)
Scolasticamente si danno due limiti
•
è da evitare l'incrocio delle voci (ovvero scrivere la parte di contralto, per esempio, sotto quella di
tenore)
•
è vietato superare la distanza di 8ª tra voci superiori contigue (tra soprano e contralto; tra contralto e
tenore). È permesso superare la distanza di 8ª tra basso e tenore.
Esempio
a.
b.
Errato perché tra contralto e soprano c'è un intervallo di 10ª
Errato perché nell'ultimo accordo il tenore salta
sopra il contralto (il tenore legge un'8ª sotto)
Le indicazioni che fornisce la scuola hanno senso, in particolare se riferite a una scrittura ideale per un coro a
quattro parti; quando si dice che la distanza tra due voci, come il soprano e il contralto, non può superare l'8ª,
si sta puntando l'attenzione sul fatto che la parte acuta è timbricamente isolata rispetto alle altre: il soprano
canta più forte e con un timbro diverso rispetto alle altre voci. È tuttavia chiaro che se si vuole ottenere
l'effetto di isolare il soprano rispetto alle altre voci, questo è un modo per arrivarci.
La stessa cosa si può dire riguardo gli incroci tra le voci: si può far cantare il tenore sopra il contralto,
115
l’estensione delle voci lo consente; tuttavia, l’insieme risulterà armonicamente disomogeneo perché il tenore
tenderà a cantare con voce più piena o semplicemente più forte del contralto39. Anche qui, dunque, vale quel
che s’è notato prima: se si vuole ottenere la disomogeneità, se si vuole ottenere che una voce risalti in modo
particolare sulle altre, si può ricorrere anche all’incrocio delle voci.
Quando si passa dalla scrittura vocale a quella strumentale, la faccenda si complica; in questo caso, infatti, è
necessario conoscere le caratteristiche degli strumenti per cui si sta scrivendo. L'equilibrio o il disequilibrio
mirato del suono a vantaggio di questo o quello strumento, di questa o di quella linea, di questo o di
quell'insieme si possono ottenere solo conoscendo a fondo le cose e facendo esperienza lasciandosi guidare
dalle partiture che imitiamo, sempre aiutati da un buon trattato di strumentazione.
Adottando la disposizione stretta o lata, si caratterizza in modo rilevante il suono dell'accordo e quindi della
musica; nel prossimo esempio, i quattro accordi, in disposizione stretta, hanno una sonorità pastosa, piena; i
quattro accordi successivi suonano al contrario più rarefatti, trasparenti, con i suoni delle singole parti più
evidenti.
Esempio
Per renderci conto meglio della cosa, basta chiedere a un buon musicista di riconoscere i movimenti delle
singole voci nella prima serie di quattro accordi, poi nella seconda serie; nella prima avrà maggiori difficoltà
a seguire il percorso delle voci tra il soprano e il basso; cosa che nel secondo caso risulterà assolutamente più
facile.
La scelta di disporre le parti in disposizione stretta o lata è orientata inevitabilmente dalle voci o strumenti
con cui abbiamo a che fare. Con il pianoforte, per esempio, la scrittura tende a essere stretta, per la difficoltà
che hanno le mani di raggiungere i tasti oltre l’8^; in una musica per archi si possono usare sia disposizioni
strette che late, con ottimi risultati, dal momento che il suono degli archi è ricco di armonici quasi in ogni
registro; la scrittura corale è più frequentemente a parti strette, a costo di spingere la parte del tenore verso
l’acuto per impastarsi con quella delle due voci superiori.
Per consuetudine assai diffusa ancora oggi, l’apprendimento dell’armonia avviene attraverso
l’armonizzazione del basso; si preferisce la scrittura a parti strette, proseguendo una tradizione avviata
all'epoca del basso continuo: secondo questa prassi, la mano sinistra suona la parte del basso, mentre la mano
destra realizza gli accordi.
Insomma, le prassi consolidate, le regole richiamate hanno una loro ragionevolezza; ma si tratta di ragioni
che prescindono dai contesti specifici nei quali la musica di fatto si realizza. All'interno di questi contesti,
tali riferimenti devono essere mantenuti sullo sfondo, per ricordarci costantemente che la musica non è fatta
di segni scritti sulla carta, ma di suoni reali, che il più delle volte devono suonare con criterio assieme ad altri
suoni.
Di seguito do solo alcuni input; il motore fondamentale sarà la nostra curiosità: quando una cosa ci colpisce,
dobbiamo guardare come è fatta. Le caratteristiche tendenziali dei differenti tipi di disposizione delle parti
sono ben conosciute dai musicisti; all'inizio dell'ultimo movimento del Quartetto in Mi b mag., Mozart
sceglie una scrittura a parti strette; in questo modo la parte superiore del primo violino può emergere sulle
altre con chiarezza, nonostante la compattezza dell'insieme, senza la complicazione di movimenti
contrastanti.
39 Va ricordato, tuttavia, che il tenore può facilmente utilizzare il “falsetto”, controllando il timbro e la quantità della
voce. Il falsetto è usato comunemente negli arrangiamenti moderni per gruppo vocale a cappella.
116
Esempio 2.23, da W. A. Mozart, Quartetto n. 11 in Mi b mag., IV movimento, Allegro assai
In un altro passaggio dello stesso quartetto di Mozart, la scrittura a parti late e l'uso di figurazioni ritmiche
differenziate permette la percezione chiara di ogni singola parte.:
Esempio, da W. A. Mozart, Quartetto n. 11 in Mi b mag., I movimento, Adagio
Tenute presenti le caratteristiche essenziali della scrittura a parti strette o late, il compositore può agire
liberamente nell'arrangiamento di una musica al fine di ottenere sonorità complesse di varietà praticamente
inesauribile. Nell'esempio che segue Tchaikovsky lascia emergere in piena autonomia la melodia del primo
violino, raccogliendo gli accordi in disposizione stretta nelle altre voci (il secondo violino si impasta con la
viola):
Esempio, P. Tchaikovsky, Sinfonia n. 5, movimento III, Valse, Allegro moderato (solo parte archi)
Nell'esempio seguente Dvorak usa le parti strette nella parte delle viole, per chiarire l'armonia e dare ritmo;
sono a parti late invece il primo e il secondo violino, le cui melodie possono in questo modo dialogare con
eleganza tra loro, senza confondersi; il basso è profondo (si noti il violoncello, all'unisono con la parte del
contrabbasso, anziché all'ottava superiore come di consueto nella scrittura classica), per esaltare la
leggerezza dell'insieme delle parti superiori.
117
Esempio 2.26, da A. Dvorak, Serenata per archi op. 22, movimento I, Moderato
Dal momento che la scrittura a parti strette genera compattezza, spesso viene utilizzata per dare spessore o
brillantezza al suono di un movimento melodico; nell'esempio che segue, la realizzazione a parti strette non
andrebbe considerata a tre voci, quindi; si tratta piuttosto di una scrittura a una voce ispessita attraverso il
movimento delle terze e seste.
Esempio, L. van Beethoven, Sonata op. 2 n. 3, IV movimento, Allegro assai
Questa tecnica di rafforzamento del movimento di una parte si trova applicata anche in contesti più
complessi; nel seguente esempio, tratto dallo schiaccianoci di Tchaikovsky, la scrittura parallela per terze
rafforza i movimenti contrastanti di violini e fagotti, mentre bassi e viole danno ritmo all'insieme.
Esempio, P. Tchaikovsky, Lo schiaccianoci, Danza araba
Anche nell'arrangiamento della musica moderna si seguono le medesime indicazioni. Così, per esempio, si
impiega la scrittura a parti strette nella realizzazione con i fiati (ottoni e/o sax) di una sezione ritmica:
118
Esempio
Pur essendo tale base massiccia e densa armonicamente, basta allontanare di poco verso l'acuto la parte dei
violini per farne emergere con grande efficacia la melodia:
Esempio
Ipertesto 3,11: attorno allo stato del basso
Lo stato del basso influisce direttamente sulla stabilità dell’accordo; sicché, ad esempio, una musica termina
con lo stato fondamentale della triade costruita sulla tonica, perché le consonanze di cui è costituito questo
accordo, lo rendono particolarmente stabile40. I rivolti, al contrario, presentano un tipo di consonanza tra il
basso e le note superiori (la consonanza di 6^, ad esempio, è meno stabile della 5^), o di dissonanza (la 4^
nel secondo rivolto della triade è considerata dissonante), che li rende meno stabili. Per questo sono dotati di
un certo carattere dinamico, transitorio e hanno un’attitudine essenzialmente melodica, che viene sfruttata
per far cantare la parte di basso e farne scivolare la linea verso la cadenza conclusiva. Questa è realmente una
costante negli stili della nostra cultura musicale, dacché si ritrova sostanzialmente immutata dalla musica del
Quattro-Cinquecento fino a quella dei giorni nostri. Nel prossimo esempio il primo rivolto viene impiegato
sempre per far proseguire la parte del basso con un grado congiunto (i rivolti sono segnalati con asterisco):
Esempio, B. Donato, O dolce vita mia
*
*
a.
40 Le consonanze di 8^, 5^ e 3^ sono quelle dotate di maggiore stabilità, come si è visto nel capitolo dedicato agli
intervalli.
119
Elton John, com'è comune nella musica attuale, usa frequentemente i rivolti quando vuol far procedere il
basso per grado congiunto.
E. John, Can you feel love tonight, intro
b.
Quindi: stato fondamentale più stabile, rivolti meno stabili, preferibilmente impiegati in contesti in cui la
parte del basso si muove per grado congiunto. È appena il caso di ricordare che stabilità e instabilità sono
qualità che si ottengono su diversi piani della musica: il piano accordale è importante, ma poi c'è la scala41,
c'è il ritmo, c'è il timbro. Rimanendo allo stato del basso, detti i punti di riferimento essenziali, ci si deve
confrontate con il repertorio; l'uso di stati fondamentali e rivolti caratterizza, infatti, i singoli passaggi, le
sezioni, i pezzi e, su un altro livello, lo stile della musica.
Alla fine del '500 la scrittura contrappuntistica viene spesso svolta in modo da produrre accordi allo stato
fondamentale; ciò sia quando le voci procedono omoritmicamente, sia quando sviluppano brevi gesti
imitativi. L'esempio che segue contiene entrambi gli approcci di scrittura, essendo scritte le prime battute in
contrappunto imitato e proseguendo dalla b. 4 in contrappunto omoritmico. Resta il costante riferimento allo
stato fondamentale.
Esempio, R. Giovannelli, Amatemi ben mio, madrigale
La tendenza espressa dalla musica di Giovannelli è confermata dalla seguente chanson di Orlando di Lasso,
che, pubblicata nel 1564, precede di un paio di decenni il madrigale di Giovannelli; si noti l'uso del rivolto42
che, nel contesto cadenzale, può incanalare con maggior forza il movimento delle parti, grazie al coefficiente
41
42
La combinazione delle qualità strutturali della scala con quelle dell'armonia dà luogo alla tonalità, sulla quale ci si
fermerà più avanti nel corso del libro.
Va considerato che nel '500 non si parlava di rivolti, ma di intervalli consonanti ed evenutalmente dissonanti
sovrapposti sulla nota più grave dell'armonia.
120
di instabilità di cui è dotato.
Esempio, O. di Lasso, A ce mattin, Chanson
E' normale, in un tipo di scrittura come questa, che il movimento della parte del basso, per poter raggiungere
le fondamentali di tutti gli accordi, debba essere sacrificata quanto a cantabilità; e in effetti la parte del basso
del madrigale di Giovannelli appena proposto in esempio non è un modello di cantabilità vocale. Ma si
farebbe un errore a credere che sia un limite del compositore; è, al contrario, un fatto di stile, che distingue il
carattere estesamente eufonico di questa letteratura musicale. D'altra parte, se si vuole una scrittura imitativa
cui partecipi attivamente la parte di basso, con una parte che proceda più spesso per grado congiunto, si
devono formare armonie attingendo a tutte le possibili consonanze, non solo quella di terza e quinta. Il
madrigale di Cipriano de Rore proposto nel prossimo esempio presenta una scrittura più imitativa e la parte
di basso condivide la vocalità piana delle altre voci; sicché è frequente la presenza di consonanze di terza e
sesta (la chiameremmo primo rivolto), oltre che di terza e quinta.
Esempio, Cipriano de Rore, La bella nett'ignuda
Il tono popolaresco delle canzonette di fine Cinquecento preferisce la semplicità della scrittura omofonica,
attraverso cui si può esaltare la dimensione ritmica quasi danzante della musica; gli accordi sono quasi
sempre allo stato fondamentale.
121
Esempio, O. Vecchi, Tiridola, dalla Selva di varia ricreazione
La musica policorale tra XVI e XVII secolo sviluppa l'effetto di giustapposizione dei cori; anche in questo
contesto era preferito l'uso della scrittura omoritmica43, con accordi quasi sempre allo stato fondamentale.
Esempio, R. Giovannelli, Laudate Dominum
Nella musica colta delle epoche successive, l'uso dei rivolti è costante, dal momento che la parte del basso è
sempre considerata anche nella sua dimensione melodica, oltre che come sostegno dell'armonia. Non sono
frequenti i casi in cui l'autore preferisca usare gli accordi allo stato fondamentale e, quando capita, è per
definire particolari atmosfere. Contribuisce senz'altro a definire una collocazione rustica l'uso quasi
sistematico di accordi allo stato fondamentale per l'inizio del seguente Lied di Mussorgsky, del 1857. Gli
stati fondamentali semplificano l'armonia, privando la parte del basso di qualsiasi complicazione orizzontale,
anche a livello percettivo44.
43 La scrittura è omoritmica quando le voci sovrapposte l'una sull'altra usano lo stesso ritmo, producendo una
successione chiaramente accordale.
44 L'aspetto folklorico della musica viene sicuramente anche dall'uso di successioni di accordi tonalmente non
consuete.
122
Esempio, M. Mussorgsky, Rustic song
Come accennato, dalla metà del XVII secolo in poi, l'uso dei rivolti è costante nella musica colta. Al tempo
di Arcangelo Corelli, e anche per tramite suo, si stabilizza un procedimento, tipico della musica tonale,
secondo il quale il basso procede per gradi congiunti o piccoli salti fino a che non raggiunge la cadenza; qui
il grado congiunto si interrompe col salto di quinta dal V al I della tonalità. La cadenza, come luogo di
articolazione del discorso musicale (l'argomento è trattato più ampiamente nel capitolo dedicato alla
tonalità), acquisisce rilevanza percettiva anche grazie all'interruzione del flusso melodico della parte del
basso, col salto sulle fondamentali degli accordi.
Esempio, A. Corelli, Sonata op. 2 n. 1, Corrente
Tutto questo s'è detto per confermare che a volte il compositore non parte dall'idea di usare un determinato
giro di accordi immaginato prima allo stato fondamentale, quindi realizzato alternando stati fondamentali e
di rivolto; spesso la musica prende spunto (a volte più dello spunto) dal movimento melodico della parte del
basso contrappuntato da quello della parte superiore. Su questo movimento, l'uso di stati fondamentali e di
rivolti è spesso una conseguenza. Accanto a ciò va ribadito che la linearità del basso, che ha una grande forza
nella definizione della dinamica del discorso musicale, viene interrotta alla fine delle frasi o dei periodi, al
fine di chiarire percettivamente il contesto cadenzale.
Nella musica pop gli accordi sono per la maggior parte delle volte allo stato fondamentale. L'uso dei rivolti è
raro, ma riconducibile ancora una volta alla volontà di mandare il basso per grado congiunto; l'esempio che
segue riporta il giro di accordi dell'introduzione di una canzone di Eric Clapton, Wonderful tonight; vale per
tanti altri esempi analoghi.
123
Esempio, E. Clapton, Wonderful tonight
Ipertesto 3,12: uso del secondo rivolto della triade (l'accordo di 4ª e 6ª)
Per trattare questo argomento sarà necessario anticipare qualcosa che si affronterà solo più avanti nel corso
di questi appunti, quando si parlerà delle note estranee all'accordo; d'altra parte, senza queste piccole
anticipazioni sarebbe necessario continuare a parlare del secondo rivolto della triade come si trattasse di un
accordo a tutti gli effetti. Il che forse vale per l'armonia attuale, ma non per l'armonia classica, nella quale il
secondo rivolto della triade compare sostanzialmente in due contesti:
a. come accordo con nota estranea sul tempo forte (ritardo/appoggiatura);
b. come accordo ottenuto tramite l’uso di note di fioritura (passaggio/volta)45
Esempio (il secondo rivolto è indicato con la crocetta)
a: 4ª e 6ª come accordo di ritardo/appoggiatura (il secondo rivolto è segnato con crocetta):
IV
V
I
IV
V
I
b: 4ª e 6ª di passaggio:
I
II
III
III
II
I
IV V
VI
VI
V
IV
I due esempi sono nella tonalità di Do mag. e i gradi della scala, così come le armonizzazioni scelte, non
sono casuali. Il secondo rivolto della triade si impiega generalmente solo in questi casi. Sia nella musica
classica che in quella attuale il secondo rivolto della triade si usa solo quando il basso si muove per grado
congiunto.
Ipertesto 3.13: Gli accordi nella musica attuale
A nessuno sfugge la differenza del “suono” degli accordi di una canzone di Sting rispetto a quelli di un Lied
di Schubert. È possibile sintetizzare i motivi di tale differenze? Ci sono un paio di ostacoli. Il primo dei quali
è la complessità del fenomeno musicale attuale, dove tutto è possibile: non solo radio televisione e YouTube
mischiano musica del passato a quella del presente in un caleidoscopio imprevedibile di sollecitazioni, ma la
stessa musica attuale, proprio perché espressione di una cultura così complessa, attinge idee, stili, suoni e
modi di accostare i suoni da ogni dove, ricombinandoli in altri stili differenti e continuamente cangianti. Si
aggiunga a questo che il più delle musiche vive lo spazio di poche settimane, perché le mode si
sovrappongono ad altre mode, e perché molte correnti e tendenze si stabilizzano per poche stagioni in
ambienti più o meno circoscritti, spesso usate come mezzi per riconoscersi parte di un gruppo. Pensare di
ridurre tutto quel che c'è di musicale attorno a noi in una teoria o anche più prudentemente in un gruppo di
45 Negli esempi che seguono ho usato i numeri romani per indicare i gradi melodici del basso. In particolare la 4ª e 6ª
cadenzale non può e non deve essere considerata come secondo rivolto della triade di tonica.
124
regole è impossibile; le regole comuni possono riguardare solo fatti generali, mentre le caratteristiche degli
stili, le regole della grammatica di ognuno di essi si possono sintetizzare solo recuperandole dai repertori
specifici. Poi c'è il fatto che più ci si avvicina all'oggi, più la realtà sembra esplodere in una miriade di
fenomeni: chi saprebbe dire oggi cosa delle mode resterà e cosa si perderà, cosa si potrà insinuare a fondo
nel linguaggio per rinnovarne le caratteristiche e cosa invece sarà servito solo a colorare in superficie
qualche pezzo per la durata di poche settime?
Nella realtà della musica attuale distinguerei alcune correnti fondamentali:
a. musica colta,
b. jazz,
c. musica da film e per gli audiovisivi in genere
d. popular music (canzone)
Qualsiasi categorizzazione ha valore relativo; questa, probabilmente, più di tante altre. Infatti, ognuno dei
campi indicati si sovrappone consistentemente agli altri e ognuno di essi andrebbe distinto in una serie
ulteriore di sottocampi: la musica di Arvo Pärt, per esempio, è nel campo della musica colta, ma ha più di
qualche tratto in comune con quella da film; la stessa locuzione “popular music”, come campo, è assai
difficile da delimitare, slittando inevitabilmente il suo significato in riflessioni di carattere sociale e
antropologico da una parte (musica di “massa” o ”di consumo”), dall'altra verso considerazioni qualitative (la
definizione italiana “musica leggera” è sintomatica), che rendono impossibile una demarcazione di confine
fondata su fatti di natura grammaticale (Middleton, 2001). La scelta consueta di identificare nella canzone il
tipo di forma prevalente nella popular music (come ho fatto sopra) non ne delimita il campo, serve
semplicemente a individuare un settore di studio, ben sapendo che il fenomeno della musica cosiddetta
“popular” va oltre tale delimitazione, con aspetti che, nella dimensione, sono solo per ipotesi secondari: la
stessa musica per audiovisivi si può intendere come un sottocampo della popular music, se la connotazione
popular serve principalmente a esprimere la dimensione di massa del fenomeno46.
Data la complessità dell'argomento, qui mi limito a richiamare le linee di tendenza essenziali per ciascuno
dei campi, in relazione al modo di costruire gli accordi.
Nel campo della musica colta è stata determinante la scelta fatta all'inizio del XX secolo di superare il
sistema musicale tonale (superare/esaurire/portare a compimento, a seconda delle differenti visioni della
cosa), comprendendo con ciò da una parte il riferimento alla scala diatonica come repertorio di suoni cui
attingere per la formazione degli accordi, dall'altra la distinzione tra consonanza e dissonanza, con il concetto
collegato di accordo come sovrapposizione di suoni per intervalli di terza. Data la premessa, qualsiasi
sovrapposizione di tre e più suoni può essere considerata un accordo, benché il significato della parola (che
allude alla concordia, alla consonanza di voleri) francamente poco si addice, per le nostre orecchie, al
risultato che consegue da tale indirizzo.
Esempio, Stockhausen, K., Klavierstück, IX
In passaggi come quello dell'esempio appena proposto, gli accordi risultano difficilmente comprensibili non
46 La musica per audiovisivi si distingue dalla canzone per il fatto di non essere in prima linea musica nella nostra
percezione: quando si va al cinema, a parte casi isolati, non si va per sentir musica, ma per guardare un film. Al
contrario, la canzone sembra essere un oggetto in cui il fatto musicale resta in primo piano nell'attenzione di chi la
ascolta. Tuttavia non sono convinto che sia più musica quella fatta per essere consumata primariamente come
musica.
125
solo perché ognuno di essi non è riconducibile al modello per noi comune di sovrapposizione di terze, ma
perché l'intero passaggio non aderisce a questa logica. Va detto infatti che alcune sovrapposizioni risultano
apprezzabili o meno a seconda che siano o meno inserite in un contesto comprensibile e siano trattate
secondo modalità che chi appartiene alla nostra cultura riconosce. Nell'esempio che segue, uno stesso
accordo (segnato con asterisco) viene presentato all'interno di una sequenza di sovrapposizioni di note che
non riconosciamo come accordi, poi in una successione tonale di accordi riconducibili a sovrapposizioni di
terze. Il confronto rende evidente come l'apprezzamento delle armonie sia legata a fatti di linguaggio
imprescindibili:
Esempio
La musica di avanguardia del XX secolo e del nostro tempo non sembra aver prodotto effetti sull'evoluzione
del nostro linguaggio musicale e probabilmente non ne produrrà, dal momento che deliberatamente si pone al
di fuori di esso. Se un'evoluzione si deve cercare, quindi, non è nella musica colta, bensì in quegli ambiti
della musica del nostro tempo che hanno continuato a parlare la lingua comune senza dichiararne la morte.
Gli accordi nel jazz si classificano come s'è visto con la musica tradizionale e, per molti aspetti, il complesso
dell'armonia jazz rappresenta una forma di evoluzione di quel tipo di armonia, tanto per quel che riguarda la
costruzione degli accordi, quanto per la loro successione. Tuttavia, vi sono anche vistose distanze, che
contribuiscono a marcare la differenza degli stili anche a livello percettivo. La prima e più importante di
queste distanze sta nel fatto che l'accordo base qui viene considerata la settima, non la triade; di conseguenza
– rilevante conseguenza - si azzera la differenza tra consonanza e dissonanza intesa in senso tradizionale
come qualità degli intervalli di due note. Ciò incide direttamente sulla dimensione dinamica dell'accordo: la
differenza sensibile tra accordi dissonanti (più o meno instabili) e consonanti (più o meno stabili)
dell'armonia tradizionale si assottiglia, essendo rimandata da una parte all'aumento del numero di dissonanze
con la creazione di accordi più complessi, dall'altra all'uso esteso dell'alterazione cromatica; meno
importante, nel complesso, è la funzione gerarchica dei gradi della scala e quindi dei gradi di essa su cui sono
costruiti gli accordi.
Il linea di principio gli ingredienti che servono per la costruzione degli accordi jazz sono pochi e semplici.
a. Gli accordi sono costituiti per sovrapposizione di terze; sono considerati accordi base quelli all'interno
dell'ottava, quindi le triadi e le settime, che si classificano comunemente. In più, sempre entro l'ottava, sono
classificati a parte dli accordi “sus 4”, sia come triadi che come settime.
Esempio,
V
V
Gli accordi “sus4” sono usati largamente sul V della scala; quindi negli esempi sopra il sol del primo e del
terzo accordo sono da considerare V della scala di DO. In questo contesto, la caratteristica essenziale degli
accordi “sus4” è la mancanza di tritono al loro interno.
b. gli accordi di riferimento nel far musica sono le settime, costruite su ciascun grado della scala maggiore e
minore.
c. Le “tensioni” sono rappresentate dall'espansione dell'accordo di settima oltre l'ottava; quindi sono gli
accordi di nona, di undicesima, di tredicesima. La nona, l'undicesima e la tredicesima creano intervalli
tensivi con i suoni dell'accordo di settima; Barrie Nettles [Nettles, 1987, p, 34] descrive le tensioni come
intervalli di nona creati dagli intervalli di 9^, 11^, 13^ con le note dell'accordo di settima su cui si innestano;
nell'esempio che segue sono mostrate le tensioni sopra un accordo Cmaj7.
Esempio,
126
Dal momento che l'intervallo di nona che suona meglio è quello di 9^ mag. - mentre più aspro è quello di 9^
min. - si può inserire l'alterazione nell'accordo, al fine di ottenere l'intervallo migliore.
Esempio
Questa è una caratteristica del jazz: gli accordi sono valutati primariamente per il loro suono,
indipendentemente dalla tonalità in cui si trovano.
Gli accordi sus4 di 11^ e 13^ costruiti sul V sono considerati e sentiti come accordi di sottodominante (gli
accordi con funzione di sottodominante sono quelli costruiti sul II e sul IV della scala) sovrapposti alla alla
fondamentale sul V.
Esempio,
Le sigle accordali verrano descritte più avanti. Per l'esempio appena proposto: D-7/G si legge “Re minore 7^,
con al basso il sol”; F+7/G si legge “Fa 7^ maggiore, con basso sol”. Il re e il fa sono rispettivamente il II e il
IV della scala di Do maggiore, quindi si includono tra gli accordi con funzione di sottodominante.
In sintesi, la maggior distanza tra la teoria tradizionale e il jazz sta nel fatto che il jazz considera e tratta gli
accordi all'interno dell'ottava, quindi anche gli accordi di settima, come accordi consonanti, sol superamento
delle distinzioni classiche in materia47.
Ma per il nostro orecchio le cose stanno realmente così? Ed è poi così scontato che le tensioni debbano
provenire solo dalle note aggiunte oltre l'ottava in termini di accordi di 9^, 11^ e 13^? Dubito che, ascoltando
i due seguenti accordi, si consideri il secondo meno ricco di tensione rispetto al primo:
Esempio,
Se la premessa è che gli accordi di settima non contengono tensioni e che ogni accordo può essere dato allo
stato fondamentale o di rivolto, si deve ammettere la conseguenza, ovvero che il secondo accordo dei due
appena presentati nell'esempio sia privo di tensioni. Ma le nostre orecchie percepiscono il contrario: la
dissonanza di seconda minore tra il si e il do è per noi assai aspra, e fa sì che il secondo accordo risulti più
dissonante e “tensivo” del primo.
Anche relativamente alla popular music gli accordi sono gli stessi già classificati precedentemente. La
distanza rispetto all'armonia tradizionale è data dall'uso di una dissonanza aggiunta che caratterizza il suono
di molta della musica attuale; si tratta della nona aggiunta negli accordi di triade. A volte si trova indicata
con la sigla “add 9” (ovvero added 9) e può comparire all'interno delle triadi mag. allo stato fondamentale;
in questo contesto la 9^ aggiunta sopra al basso almeno a distanza di 9^ quelli che seguono sono due casi
tipici:
Esempio,
47 Come vedremo, anche nel passaggio da un accordo al successivo tutte le note degli accordi di settima sono
considerate ugualmente e non si fanno differenze di movimento tra quelle note che secondo la teoria tradizionale
sono dissonanti e quelle che sono consonanti. In particolare, la dissonanza di settima nella prassi comune scende nel
movimento all'accordo successivo, nel jazz si comporta liberamente come qualsiasi altrom suono dell'accordo.
127
L’accordo si caratterizza proprio attraverso l’intervallo di seconda maggiore che la 9^ può formare sia con la
3^ dell’accordo (primo accordo dell’esempio qui sopra, intervallo di seconda tra il re e il mi), che con la
fondamentale dell’accordo (secondo accordo dell’esempio qui sopra, seconda maggiore tra il do e il re).
Si potrebbe pensare di aver a che fare con un accordo di nona, in cui sia stata soppressa la settima
dell'accordo. Tuttavia le nostre orecchie sentono quel che c'è; e il si non c'è negli accordi dell'esempio
precedente.
Nei contesti indicati, la dissonanza di seconda non viene sentita come tale; piuttosto si percepisce la nona
come coloratura dell'accordo di triade, come suono sospeso. Il significato che qui do a “sospensione” appare
chiaro nel seguente esempio: nella prima battuta la 9^ non resta sospesa, scendendo sul quarto tempo sull'8^
(il sol scende sul fa), così come avviene secondo la modalità classica di risoluzione delle dissonanze; nella
seconda battuta invece resta sospesa.
Esempio
L'uso di suono sospesi è una delle caratteristiche dell'armonia nella musica pop; per lo più si presentano
come pattern ripetuti nella sezione ritmica (per esempio pipano o chitarra). Le formule ripetute producono
accordi nuovi, rispetto a quelli conosciuti in ambito tradizionale.
Esempio
Ecco come si trova usato questo procedimento in una canzone di oggi.
Esempio, Elisa, Un filo di seta negli abissi, parte pianistica essenziale del ritornello
Si tratta di procedimenti semplici, che tuttavia producono sonorità evidentemente nuove; per spiegarle
possiamo impiegare gli strumenti della teoria tradizionale, o tentare nuove strade, ipotizzando trasformazioni
profonde nella struttura del nostro linguaggio. Philip Tagg propone di ricondurre la costruzione degli accordi
della musica attuale48 a due modelli, quello che lui chiama “terziale”, corrispondente all'armonia classica in
cui gli accordi sono ottenuti per sovrapposizioni terze, e quello “quartale”49, in cui gli accordi si ottengono
sovrapponendo quarte giuste [Tagg, 2009, p. 158]. Le sovrapposizioni di quarte sono trattate analogamente a
quelle di terza, sicché si possono avere rivolti e elisioni di suoni. Ecco una sovrapposizione di quarte, e
48
Per Tagg la musica attuale è quella popular, dal momento che considera il jazz in larga parte assimilabile all'area
classica, in particolare per quel che riguarda la concezione accordale [Tagg, 2009, 117-144, in particolare, p. 142].
49
Di accordi per quarte come superamento degli accordi per terze parla Schoenberg nel suo Manuale di Armonia
[Schoenberg, 1973, p. 499].
128
alcuni accordi che possono essere visti come derivati da essa:
Esempio
Non so se le cose stiano così; siamo ancora troppo vicini ad esse per essere certi che le tendenze di oggi si
confermino come dati strutturali di un nostro linguaggio musicale rinnovato. Certo è che alcuni aspetti della
teoria di Tagg mi lasciano perplesso: il primo è che molti degli accordi che vengono generati dall'armonia
per quarte sono generati in realtà anche dalla concezione classica dell'accordo ottenuto per sovrapposizione
di terze (il che, infatti, è del tutto possibile relativamente agli accordi presentati nell'esempio qui sopra). In
secondo luogo, è da considerare il fatto che i musicisti non conoscono l'armonia quartale e in genere non
fanno musica per dimostrare teorie, ma per vendere dischi (le eccezioni, come al solito, non fanno la regola);
tant'è, che nella musica attuale le sigle degli accordi sono ancora quelle dell'armonia classica per terze.
Ulteriore elemento di perplessità sta nella rarità degli esempi di accordi esplicitamente costruiti con quarte
sovrapposte (mentre le triadi o le settime allo stato fondamentale sono assai frequenti, accordi per quarte
sovrapposte allo stato fondamentale sono tanto rari da costituire ancora una volta un'eccezione). Infine – ed è
il limite più grave – l'ipotesi di un'armonia quartale, porta inevitabilmente a riconsiderare - o a superare l'intera questione della differenza tra consonanza/dissonanza, dal momento che gli accordi ottenuti per
sovrapposizione di quarte si devono considerati consonanti al pari di quelli ottenuti per sovrapposizione di
terze [Tagg, 2009, p. 159].
Davvero le nostre orecchie funzionano in modo così radicalmente differente rispetto a quelle di nostro
nonno? Fatto sta, che ascoltando musica del passato riusciamo ad apprezzare pienamente il senso dinamico
che poggia sulla differenza che percepiamo tra consonanza e dissonanza e che nella musica attuale (non
quella colta) ancora molto si fa secondo la stessa logica. Non è da escludere, infatti, che il senso di
“sospensione” e “prolungamento” di cui prima ho parlato derivi proprio dal fatto che i suoni si percepiscono
come sospesi o prolungati rispetto a quel che normalmente avviene o ci si aspetta. Ma imporre come vere
ipotesi non ha senso in questo campo; non ho una idea definitiva, credo si debba aspettare e vedere come
andranno a finire le cose.
Ipertesto 3,14: Raddoppi
La regola sul raddoppio riguarda essenzialmente gli accordi di tre suoni in una scrittura a quattro voci e
rimanda a una questione inizialmente timbrica, poi più complessa, legata al tipo di scrittura, allo stile, alle
necessità di condotta melodica delle parti, al desiderio di valorizzare una determinata linea melodica in una o
più voci.
In linea generale, la regola scolastica fa riferimento al fenomeno fisico degli armonici; si consiglia infatti di
raddoppiare il suono che sviluppa maggiormente la fondamentale dell'accordo o gli armonici più vicini ad
essa (nel primo rivolto, infatti, si raddoppia la fondamentale o la quinta dell'accordo). Ma tale indicazione ha
un valore assai relativo; per esempio, quale è la fondamentale di un accordo, quella che si pone all'origine
della sovrapposizione delle terze, o, come più anticamente si intendeva (ancora in buona sostanza ai tempi di
Bach), la nota più grave al di sopra della quale sono sistemate le consonanze perfette o imperfette e
dissonanze? E dal momento che il raddoppio potenzia un'armonica del suono, non potrebbe darsi il caso che
convenga, per un determinato intento espressivo, effettuare un raddoppio che in termini assoluti non
verrebbe considerato il migliore, ma che in quel caso colora l'accordo nel modo più indicato? A questo
proposito vale la pena curiosare nella musica prodotta tra la fine del XIX secolo e l'inizio del successivo,
quando l'attenzione per il colore delle armonie diventò un punto un di riferimento importante: è in questo
repertorio che gli autori cercano soluzioni differenti rispetto a quel che la norma avrebbe consigliato di fare.
Ecco il caso indicativo di un preludio per pianoforte del 1895 di Scriabin: i vari raddoppi della terza e la
stessa scelta di armonizzazione con accordi allo stato di primo rivolto fanno suonare questo passo in modo
piuttosto originale.
129
Esempio, A. Scriabin, Prelude, op. 13, n. 1
*
*
*
*
*
Anche nella musica del tempo di Arcangelo Corelli vi sono deviazioni rispetto a quel che la regola scolastica
consiglia relativamente al raddoppio dei suoni nella costruzione degli accordi. Corelli raddoppia la nota del
basso (a meno che non sia dissonante), sempre, anche quando la nota del basso è la terza dell'accordo, come
nel primo rivolto. E non si tratta di movimento delle parti, come è evidente nell'esempio proposto, ma
proprio del miglior raddoppio secondo il modo di concepire gli accordi alla fine del '600.
Esempio, A. Corelli, Concerto grosso in Fa mag., op. 6 n. 2
*
*
*
D'altra parte, come accennato, la questione del raddoppio il più delle volte dipende dalla condotta delle parti;
se un autore deve scegliere tra il costruire accordi con il miglior raddoppio sacrificando il movimento delle
voci e realizzare dei raddoppi meno buoni facendo muovere bene le parti, quasi sempre sceglie questa
seconda via, con buona pace delle indicazioni di scuola. Nel prossimo esempio una semplice successione di
accordi è realizzata in modo da avere il miglior raddoppio per ognuno di essi; a fianco, mantenendo gli stessi
accordi, lo stesso passaggio è riportato nella realizzazione di Bach, per il quale, nell'armonizzazione della
melodia di corale data, la questione della cantabilità delle parti è preliminare; i raddoppi della terza, anche
con gli accordi allo stato fondamentale, si sprecano:
Esempio
J.S. Bach, Einst ist noch, ach Herr, dies Eine, corale
Nella costruzione di un accordo di settima allo stato fondamentale è possibile raddoppiare la fondamentale
dell’accordo e più raramente la terza, omettendo la quinta. Allo stato di rivolto, gli accordi di settima si
costruiscono sempre completi, a meno di difficoltà insormontabili nella condotta delle parti; ciò, nella
scrittura a quattro parti, rende impossibile il raddoppio di un qualsiasi suono nella costruzione di un accordo
di settima allo stato di rivolto.
130
Ipertesto 15: identificazione dell’accordo indipendentemente dal contesto tonale
Identificare l’accordo in sé, indipendentemente dal contesto tonale significa:
a.
dire il nome delle note di cui l’accordo si costituisce, iniziando dalla fondamentale e sovrapponendo
gli altri suoni per intervalli di terza;
b. classificare l’accordo come triade (maggiore/minore/diminuita/aumentata), o come settima (di prima
– quinta specie), o come nona (di prima – quinta specie; è necessario tener conto del fatto che parlare
di accordi di nona per la musica precedente al XIX è quasi sempre improprio)
c.
Per l’identificazione completa dell’accordo è necessario collocarlo nella tonalità; quindi si deve dire
il grado della scala su cui l’accordo è costruito allo stato fondamentale.
1. Accordi scritti in verticale o sciolti in arpeggio
Molto spesso le sovrapposizioni di note sono immediatamente riconducibili ad accordi; un esempio evidente
è quello proposto proprio all’inizio di questo capitolo, il Corale di Schumann. Anche se non proprio con la
stessa evidenza, molte volte gli accordi sono scritti per intero e la loro classificazione non presenta alcun
problema:
L.van Beethoven, Sonata op. 2, n. 2, Largo appassionato (parte)
Anche nel caso che segue la scrittura è esplicitamente armonica, benché gli accordi siano scritti non in
verticale, ma sciolti in arpeggio:
R.Schumann, Piccolo studio, dall’Album per la gioventù (parte)
Nella prima battuta c’è una triade di Sol maggiore, nella seconda una triade di Do maggiore. Riconoscerle è
facile: basta sovrapporre i suoni; quelli della prima battuta danno appunto la triade di Sol maggiore, quelli
della seconda battuta danno la triade di Do maggiore.
Un’altra scrittura che manifesta immediatamente la forma degli accordi è quella del cosiddetto basso
albertino:
F.J.Haydn, Sonata in Mi minore, Finale, Molto vivace (parte)
Si vede con chiarezza che l’accordo della prima battuta è quello di Mi minore, così come quello della
seconda battuta, la settima di prima specie costruita sulla nota Si. Ancora una volta basta sovrapporre i suoni
disposti in orizzontale, immaginare che si trovino invece disposti uno sull’altro, e l’identificazione
131
dell’accordo è immediata.
Anche nell’esempio qui sotto le armonie, una per battuta, si leggono immediatamente: basta sovrapporre
sulla nota del basso l’accordo che lo segue sempre alla mano sinistra, e l’accordo è disponibile (nella
seconda battuta la terza dell’accodo di settima sul fa diesis, il La diesis, si trova nella mano destra):
F.Chpin, Valzer op. 69, n. 2 (parte)
2. Accordi deducibili da figure contenenti note estranee
Spesso la scrittura non è armonicamente così chiara e trasparente; il più delle volte intervengono note
estranee all’accordo (note di fioritura, ritardi, appoggiature, pedali) che ne complicano la identificazione.
Riguardo a ciò, si deve ricordare che le note estranee possono essere:
a.
note estranee all’accordo (poste sulla suddivisione o sul tempo debole)
a1. Note di passaggio/volta (raggiunte e lasciate per grado congiunto)
a2. Note di volta/passaggio incomplete (ovvero con elisione)
b.
note estranee all’accordo che cadono sul tempo (o sulla suddivisione maggiore) possono essere:
b1. ritardi: note legate all’unisono dall’accordo precedente e risolte per grado congiunto discendente
b2. appoggiature; note raggiunte per salto e risolte per grado congiunto Discendente / ascendente.
c.
pedale
Da quanto appena esposto, si capisce che le note che fanno parte dell’accordo (note reali) possono essere
raggiunte e lasciate tranquillamente per salto superiore alla seconda; sicché, se vediamo una nota raggiunta e
lasciata per salto, siamo quasi sicuri che quella nota fa parte dell’accordo.
Per riconoscere un accordo si deve partire dal basso, ovvero dalla nota più grave e si devono sovrapporre su
di esso quelle note che possono formare un accordo con esso, note disposte in verticale, ma anche in
orizzontale, escludendo quelle che non possono far parte dell’accordo perché non sovrapponibili per terze;
mi rendo conto che è un’indicazione un po’ generica, ma non si può dire nulla di più preciso: stiamo infatti
invadendo il campo dell’invenzione melodica, e in tale campo davvero non si pone un limite alla fantasia
creatrice. Anche le indicazioni di uso delle note di fioritura, che sono state riportate sopra, sono interpretate
dai compositori spesso con larghezza.
Tuttavia, si deve sempre ricordare che l’armonia e le sue funzioni svolgono un ruolo fondamentale nella
nostra musica e che da ciò consegue l’interesse primario, proprio da parte del compositore, di rendere chiara
la costruzione degli accordi e il percorso delle armonie; se difficoltà possono esserci, saranno presto superate
con un po’ di esperienza e con l’aiuto dell’orecchio.
Tra tutte le note di fioritura, forse le più facilmente riconoscibili sono le appoggiature. Sono note estranee la
loro risoluzione è quasi sempre per grado congiunto discendente (appoggiatura superiore), o ascendente
(appoggiatura inferiore); in ogni caso sono note che cadono sul tempo, o, al limite, sulla principale
suddivisione; nell’esempio che segue il fa sull’ultimo tempo della battuta seconda battuta dell’esempio è una
appoggiatura della quinta dell’accordo di La minore; si noti il segno di legatura, tipico, tra il fa stesso e il mi,
nota di risoluzione della appoggiatura:
132
L.van Beethoven, Sonata op. 2, n. 2, Rondò, Grazioso (parte)
Sul battere della seconda battuta dell’esempio qui sotto il La appoggia la terza dell’accordo di Mi maggiore,
Sol diesis; ancora una volta il segno di legatura tra le due note rende esplicita la funzione di appoggiatura
della prima delle due note:
R.Schumann, Album per la gioventù, Sheherazade, (parte)
Del tutto frequente è l’appoggiatura dell’accodo finale di una musica, che realizza il tempo piano conclusivo:
v
Le appoggiature si riconoscono facilmente: sono note estranee che cadono sul tempo o comunque sulla
maggiore suddivisione; risolvono per grado congiunto discendente (appoggiature superiori) o per grado
congiunto ascendente (appoggiatura inferiore). Può capitare, così, di incontrare sovrapposizioni di note che
non siano riconducibili ad alcuna forma di accordo, semplicemente perché le note non si sovrappongono per
terze. Da questo punto di vista è bene chiarire un equivoco nel quale alcuni trattati scolastici di armonia
possono far cadere con una certa facilità. Nella nostra grammatica musicale, almeno fino alla fine del XIX
secolo è assolutamente improprio parlare di accordi di undicesima e tredicesima; come già più volte ripetuto,
gli stessi accordi di nona sono estranei alla musica fino all’inizio di quello stesso secolo. Per questo,
eventuali sovrapposizioni di note che non siano riconducibili nella forma ad accordi di settima o al più di
nona (sempre facendo attenzione al periodo in cui la musica è stata scritta) si deve considerare che sono state
ottenute usando una o più note estranee. Ecco un esempio efficace:
R.Schumann, Album per la gioventù, Tempo allegro
L’accordo, come si vede, è quello di settima di prima specie costruito sul Si; il mi diesis e il do doppio diesis
in battere sono rispettivamente appoggiatura del Fa diesis e del Re diesis.
133
Le note di passaggio, volta e sfuggite non cadono sul tempo, hanno quindi una funzione esclusivamente
melodica; si riconoscono perché sono comunque almeno raggiunte o lasciate per grado congiunto:
Le note segnate con la x sono note di passaggio, mentre con la y è segnata l’appoggiatura; si vede bene
quindi la differenza tra i due tipi di nota di fioritura: le note di passaggio sono sulla suddivisione, raggiunte e
lasciate per grado congiunto, l’appoggiatura cade sul tempo, ed è perciò molto più in rilievo sul piano
armonico; in altre parole, si sente che è un suono estraneo, mentre le note di passaggio scivolano senza
risaltare come dissonanze. Si notino infine le note raggiunte per salto: sono, così come avviene di solito, note
di arpeggio, ovvero note che fanno parte dell’accordo.
A volte anche al basso possono essere usate note di fioritura; saranno le note superiori a chiarire la natura
dell’accordo:
L.van Beethoven, Sonata op. 10, n. 3, Largo e mesto (parte)
Nella prima battuta dell’esempio qui sopra il basso si muove con una nota di volta prima, al si bemolle,
fondamentale dell’accordo; che si tratti proprio dell’accordo di Si bemolle maggiore lo dice
inequivocabilmente l’arpeggio della mano destra.
Il pedale è una nota persistente, che viene tenuta o ripetuta su una stessa altezza; si parla di pedale inferiore
quando tale nota è tenuta nella parte grave, di pedale superiore quando essa è tenuta nella parte acuta e di
pedale mediano quando si trova in una parte intermedia. Mentre la nota pedale viene tenuta, le armonie si
svolgono su di essa in modo regolare, rispettando le funzioni normali dell’armonia tonale; la nota pedale può
far parte degli accordi che si seguono, ma può anche non farne parte; per regola, deve essere contenuta nel
primo e nell’ultimo accordo di quelli che si trovano costruiti su di essa. Un esempio eloquente è nel finale
del primo preludio del Clavicembalo ben temperato di Bach; si veda la seconda battuta dell’esempio qui
sotto:
J. S. Bach, Preludio in Do mag., Clavicembalo ben temperato, 1° vol., parte
3. Come riconoscere gli accordi in una scrittura con un limitato numero di voci
Gli accordi, come noto, sono costituiti dalla sovrapposizione di almeno tre suoni disposti a intervalli di terza;
si dice nei manuali di teoria che la sovrapposizione di due suoni non produce un accordo, ma un bicordo.
Non è del tutto vero; nel senso che in una scrittura a due voci, o addirittura a una sola voce, è il contesto
tonale (vedi sotto) che consente di integrare facilmente le note che mancano per formare un accordo: in un
contesto tonale le note mancanti sono implicite.
134
Non sono necessarie regole, basta il buon senso a determinare le seguenti indicazioni:
a.
un intervallo di terza determina un accordo di triade allo stato fondamentale;
b.
un intervallo di quinta determina un accordo di triade allo stato fondamentale;
c.
un intervallo di sesta determina un accordo di triade allo stato di primo rivolto;
d.
un intervallo di settima determina un accordo di settima allo stato fondamentale, o un ritardo della
fondamentale in un accordo di triade allo stato di primo rivolto;
e.
un intervallo di seconda determina un accordo di settima allo stato di terzo rivolto (settima al basso),
o un ritardo della fondamentale in una triade.
Nell’esempio qui sotto, basta un contrappunto a due voci, una nota alla mano sinistra e lo scorrere della linea
melodia alla destra, per chiarire quali siano gli accodi impiegati e la successione degli accordi stessi:
R.Schumann, ibidem (parte)
Osserviamo la parte chiusa nel circolo: sul battere della quinta battuta dell’esempio si trovano un Si in chiave
di basso e un Re diesis in chiave di violino (per riconoscere gli accordi si deve leggere sempre prima la
chiave di basso); in mancanza di altre note e per il modo in cui si formano gli accodi, questo è un accordo di
Si maggiore. Nella battuta successiva, in battere si trova un Do diesis al basso, sopra di esso c’è un Fa diesis
che scende per grado congiunto sul Mi, esattamente come fa una appoggiatura; lo stesso Mi risolve per salto
superiore alla seconda; questo sul primo ottavo della sesta battuta si deve quindi considerare un accordo di
Do diesis minore: infatti, il Fa diesis va per grado congiunto e perciò può essere considerato nota estranea, il
Mi salta e può dunque essere considerata una nota di arpeggio; in più l’intervallo tra Do diesis e Fa diesis è
un intervallo di quarta, mentre quello tra Do diesis e Mi è di terza, e gli accordi si formano per terze, non per
quarte. Sicuramente un accordo di La maggiore è quello che segue, sul secondo ottavo della sesta battuta di
quest’esempio; il Si diesis non può formare un accordo con il La, dal momento che forma con esso un
intervallo di seconda; in più, sempre il Si diesis risolve ancora una volta per grado congiunto, configurandosi
come appoggiatura del Do diesis. La seconda parte della sesta battuta presenta con maggiore chiarezza un
accordo di Si maggiore: si trovano tutte le note di cui quest’accordo si compone, infatti, e ad esse si aggiunge
solo il Do diesis, che, come nota di passaggio, è raggiunto e lasciato per grado congiunto. Nell’ultima battuta
del rigo, infine, c’è l’accordo di risoluzione, Mi maggiore, con doppia appoggiatura (ascendente e
discendente, della fondamentale e della terza (del Mi e del Sol diesis quindi). La successione degli accordi
conferma che l’interpretazione è giusta; Si maggiore, Do diesis minore, La maggiore, Si maggiore e Mi
maggiore, tradotti in gradi della scala di Mi maggiore diventano: V – VI – IV – V – I: una perfetta
successione di armonie in campo tonale.
Ancora un paio di esempi. Il seguente è simile a quello precedente; si tratta di un contrappunto a due voci,
sostanzialmente, ma la determinazione degli accordi di riferimento è tutt’altro che difficile:
L.van Beethoven: Sonata op. 7, Allegro molto e con brio (parte)
135
Guardiamo quel che accade nella parte sotto la linea, la seconda e la terza battuta dell’esempio. Sulla prima
metà della terza battuta c’è un accordo determinato esplicitamente dalle note in chiave di basso e di violino;
sono note tutte raggiunte e lasciate per salto, dunque note di arpeggio: basta metterle idealmente assieme,
perché si manifesti immediatamente l’accordo di triade diminuita costruita su Fa# (fa#/la/do, con al basso il
la); nella metà successiva della battuta si trova l’accordo di Sol min., determinato dalle note poste sul tempo
(si bemolle al basso, sol in chiave di violino); si muovono entrambi le parti su un intervallo di terza, per moto
contrario. La successione quindi è triade di sensibile- tonica nella tonalità di Sol min. Nella battuta
successiva, trasportata, c’è la stessa cosa in Mi bemolle mag.
Osserviamo un ultimo esempio:
L.van Beethoven, ibidem, Largo con gran espressione (parte)
Qui, nella seconda battuta non ci sono nemmeno due voci; eppure, l’identificazione delle armonie è ancora
una volta estremamente facile. Nella terza battuta dell’esempio, in battere, siamo chiaramente su un accordo
di Do maggiore: l’accordo è dato completo di tutte le sue note e le stesse note sono disposte in verticale,
accordalmente, appunto. Il terzo tempo della stessa battuta cambia bruscamente armonia e tonalità: tutte le
note della quartina di sedicesimi, ad esclusione dello stesso do, infatti, non fanno parte della tonalità di Do
maggiore nella quale ci si trovava appena fino al tempo precedente. Ma basta vedere l’inizio della battuta
successiva, l’accordo di La bemolle maggiore, per chiarire che quel mi bemolle sul terzo tempo della terza
battuta, scendendo di quinta e cadendo sul La bemolle, altro non può essere, se non la dominante della
tonalità di La bemolle maggiore.
4. Durata dell’accordo
Si diceva dunque che per individuare una accordo si deve partire dal basso e sovrapporre su di esso quelle
note che possono formare un accordo; non c’è un limite al numero di note che in orizzontale si possono
poggiare su una determinata armonia; in altre parole, non c’è un limite determinato per la durata di un
accordo: un accordo può durare lo spazio di una suddivisione di tempo, come, al contrario, più battute.
Torniamo un attimo all’esempio precedente:
confrontiamo con
è chiaro che, nel primo caso, l’accordo di Sol maggiore occupa l’intero spazio della prima battuta: le note
scritte in chiave di violino, infatti, corrispondono perfettamente con le note di questo accordo. Altrettanto
evidente è come nel secondo esempio all’interno della battuta vi siano due accordi, ognuno della durata di
3/8, il primo di Sol maggiore, il secondo di Re maggiore.
Guardiamo ancora il seguente esempio:
136
L.van Beethoven, ibidem, Allegro (parte)
In questo esempio, l’accordo di settima diminuita mi/sol/si bemolle/re bemolle dura lo spazio di otto battute;
soltanto nella nona battuta, proprio l’ultima dell’esempio, esso trova risoluzione sull’accordo di Fa minore (il
Mi bequadro in battere è un’appoggiatura inferiore del Fa, così come mostra il tipico segno di legatura che
lega le due note).
Ancora un esempio:
R.Schumann, Album per la gioventù, Sheherazade (parte)
In questo esempio gli accordi seguono un ritmo incostante, che coincide tuttavia con quello del basso; basta
sovrapporre le note che si trovano inserite all’interno della durata della nota del basso, per ricostruire con
facilità gli accordi.
137
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139
Ipertesti capitolo IV: NUMERI E SIGLE
Ipertesto 4,1: Evoluzione nell’uso dei numeri
Numeri arabi, numeri romani, abbreviazioni, sigle si usano in musica per indicare stenograficamente gli
accordi e/o la loro funzione. Benché in superficie possano conservare alcuni aspetti simili, al di sotto
significano spesso cose piuttosto differenti, in conseguenza dei fini altrettanto differenti per cui si usano.
Nell'epoca del barocco i numeri erano componente essenziale della prassi del basso continuo e si usavano per
indicare velocemente al continuista quali fossero gli accordi da eseguire al di sopra della linea del basso. In
breve tempo, con i partimenti, si sviluppò una didattica dedicata a questa prassi e all’apprendimento dei
fondamenti della composizione, man mano che si andava sviluppando una concezione compositiva più
saldamente armonica. Attraverso l’arte dei partimenti si conservò l'uso di aiutarsi nello studio dell'armonia e
di alcuni aspetti della composizione attraverso il basso numerato, restringendo tuttavia le numeriche ad
alcune indicazioni sintetiche ed evitando quindi la varietà di segni che nel barocco si era prodotta da una
parte per seguire le tradizioni locali, dall'altra per contenere le sollecitazioni che venivano dal gusto
armonico in continua evoluzione e dalle inflessioni di stile legate alla performance. In questa forma sintetica
(in alcuni casi sclerotizzata) i numeri si usano ancora oggi nello studio della composizione. Nel frattempo,
prima come costola della composizione stessa, poi come disciplina autonoma, si è sviluppata l'analisi
musicale; nell'ambito di questa disciplina è stato acquisito l'uso dei numeri per indicare accordi e tonalità, e
contemporaneamente si è sentita la necessità, in alcuni casi, di sviluppare un uso di simboli differenti per
esprimere con maggior evidenza i contenuti di teorie specifiche. Insomma, nel tempo la dimensione pratica
dell'uso dei numeri del barocco ha lasciato spazio a significati e finalità sempre più marcatamente teorici. Al
contrario, conserva un carattere di nuovo essenzialmente pratico l'uso delle sigle nell'ambito della musica
attuale.
Ipertesto 4,2: Il basso numerato nell'epoca del basso continuo
I numeri indicati nella tabella del testo sono quelli che si usano ancora oggi nella didattica dell'armonia; sono
solo per sommi capi rappresentativi delle numeriche in uso all'epoca del basso continuo, quando esse
servivano da supporto a un'esperienza inizialmente pratica e solo a seguire pedagogica.
Nella musica del ‘500 era prassi normale l’impiego degli strumenti accanto alle voci, per raddoppiare e
potenziare il loro suono, o per sostituirle quando fosse stato necessario; questo, sia nella musica profana,
come in quella sacra: l’ideale della “musica a cappella”, della musica corale pura, fu invenzione dell’estetica
tardo-romantica.
Immaginiamo quel che doveva accadere quotidianamente in una chiesa o in un palazzo del taro
Rinascimento. Si faceva musica, tanta e tutti i giorni; non c’era possibilità di fare fotocopie, sicché la cosa
più pratica era di dare ai musicisti le parti staccate; era il copista che si incaricava di realizzare la parte
staccata per il soprano, per l’alto, per i tenore, per il basso e per gli eventuali altri strumentisti. E al tastierista
cosa si dava? Escludendo di copiare l’intera partitura, dal momento che ciò avrebbe richiesto un’eccessiva
quantità di tempo, si risolse il problema realizzando una parte di basso munita di numeri convenuti, seguendo
i quali l'esecutore sarebbe stato in grado di eseguire le armonie giuste, senza entrare in urto con le voci e con
gli altri strumenti.
Nacque così la prassi del basso continuo. Facciamo un esempio prendendo una musica cinquecentesca di
Giovanni Pierluigi da Palestrina.
140
Ecco come si arriva al basso numerato da una scrittura a quattro voci
a. G. Pierluigi da Palestrina, Missa Aeterna Christi munera, Kyrie (parte)
b. la parte di basso dell'es. 3.1a
c. la stessa parte di basso, si sarebbe potuta numerare per esempio così:
6 6
6
6
6
6
4 3
6
6
7 4 4 3
La regola era semplice: ogni nota del basso (nell’esempio proposto ogni semiminima, tralasciando le note di
fioritura con valore più breve50) si sarebbe dovuta armonizzare con intervalli di 3ª e di 5ª e 8ª, per realizzare
l’armonia con le migliori consonanze; quando il coro avesse intonato armonie non coincidenti con questa,
allora si sarebbero usati i numeri. Per esempio, nella prima battuta dell'esempio precedente, sulle ultime due
semiminime sol e la il coro non canta armonie di Sol (sol si re) e La (la do mi), ma un bicordo sol mi e
un'armonia con la do e fa; è necessario quindi evitare che l'organista suoni sul la gli intervalli di 3ª e di 5ª e
8ª, perché il fa del coro entrerebbe in urto con il mi dell'organo. In questo caso basta scrivere un 6 sopra il la
del basso, e l'organista capisce che al posto della 5ª deve suonare una 6ª. Semplice, no?
I numeri sostituiscono o arricchiscono l’armonizzazione di base; la nota senza numeri si armonizza quindi
con 3ª e 5ª, la nota con 6 si armonizza con 3ª e 6ª (dove il 6 sostituisce il 5), la nota con 4 si armonizza con 4ª
e 5ª (qui è il 4 a sostituire il 3); 7 sta a indicare che l’intervallo di 7ª si aggiunge all’armonizzazione con 3ª e
5ª; 4 e 6 indica un’armonizzazione in cui gli intervalli di 4ª e 6ª sostituiscono quelli di 3ª e 5ª.
La semplicità del principio non deve lasciar intendere alcuna banalità nella realizzazione del basso continuo;
si tratta di un modo pratico per facilitare l'improvvisazione dell'armonizzazione del basso continuo da parte
di musicisti professionisti: molto veniva dato per scontato o era determinato consuetudini più o meno locali.
Se si vuol fare una cosa appropriata, è necessario ricostruire quel che la scrittura non indica di ciò che si
faceva, o che indica solo approssimativamente.
Vale la pena di accennare ad alcune delle caratteristiche delle numeriche del periodo.
Le indicazioni sono molto sintetiche e riguardano casi ricorrenti. In alcuni casi i numeri suggeriscono il
movimento melodico della parte superiore; ma si tratta di eccezioni. Anche se spesso i numeri alludono a
movimenti melodici di parti, non è detto che queste siano coincidenti con quella superiore, dal momento che
la disposizione delle note dell'armonia dipende da indicazioni generali di movimento delle parti (comprese le
norme essenziali di contrappunto) e consigli pratici di movimento delle dita in relazione a movimenti del
basso (moto contrario, tenere suoni in comune, decime parallele).
a. La prima indicazione è che la numerica del basso dipende dal suo movimento e che questo è messo in
50 N.B. LA trascrizione utilizzata per l'esempio proposto della messa di Palestrina impiega valori dimezzati rispetto
aglli originali (nell'originale al posto della minima c'è la semibreve).
141
relazione al grado della scala (o “corda”) su cui sono collocate le note del basso. Un passaggio come quello
in cui il basso scende di semitono si può armonizzare in modi assai differenti, a seconda della scala in cui ci
si trova al momento; il seguente esempio è piuttosto chiaro, a questo proposito:
Do magg.
La min.
Do magg.
Mi min.
b. I gradi di riferimento sono il I51 e il V, che si armonizzano normalmente con una triade allo stato
fondamentale (a seconda dei casi il V si può armonizzare anche con una settima), e il III e il VII che si
armonizzano con triadi allo stato di primo rivolto (il VII, a seconda dei casi, si può armonizzare anche con
una settima in primo rivolto). Si armonizzano nello stesso modo anche le note che temporaneamente
assumono queste funzioni, a seguito di più o meno ampia modulazione.
c. dal momento che i contesti sono ricorrenti (come nel caso appena esemplificato, il passaggio di semitono
discendente al basso si identifica quelle circostanze tonali), in numeri spesso non vengono segnati o vengono
accennate solo numeriche sintetiche, lasciando al continuista il compito di integrarle seguendo la prassi
corrente e, entro certi margini, il proprio estro. Un passaggio come quello esemplificato, si sarebbe potuto
numerare in differenti modi; per esempio così:
Come si vede, i numeri usati per indicare gli accordi sono diversi da quelli indicati nella tabella del testo.
Con il numero 6, in particolare, si potevano indicare cose assai differenti, ed era solo la pratica e
l'interpretazione tonale del passaggio del basso a sciogliere l'ambiguità del segno.
d. I numeri fanno riferimento a una concezione degli accordi in cui i suoni superiori s’indicano sempre
relativamente al basso; gli accordi non sono descritti secondo l'ideale sovrapposizione di terze cui siamo
abituati noi. Così, quando Jean-François Dandrieu nel suo manuale di accompagnamento al clavicembalo
presenta un esercizio sul secondo degli accordi contenuti nell'esempio che segue, parla di “Table de la sixte
Majeure jointe à la Fausse Quinte”, ovvero di sesta maggiore con la quinta diminuita [Dandireu, 1718, p.
37-38]52; niente a che vedere con la definizione che daremmo noi, di accordo di settima diminuita in primo
rivolto costruito allo stato fondamentale su VII di Re min.
51 Con i numeri romani da qui in seguito indico il grado della scala che la nota del basso occupa; prendendo come
riferimento la scala di Do magg., con I si intende do, con III mi, per esempio. Come vedremo, secondo un'alotron
tipo di prassi, con i numeri romani si intendono non i singoli suoni, ma gli accordi costruiti du quei gradi della scala;
sicché, sempre immaginando di essere in Do magg., con I non si interebbe la nota do, ma l'accordo do-mi-sol. Pian
piano si chiarirà tutto nel corso del capitolo.
52 Il manuale di Dandrieu nell'edizione a stampa del 1718 disponibile in facsimile sul imslp.org non contiene numeri di
pagina, se non nelle prime pagine del documento. La numerazione che pongo tra parentesi è quella ricostruita da me
tenendo conto di quei numeri delle prime pagine. Il documento cui mi riferisco è il seguente:
http://imslp.org/wiki/Principes_de_l%27Acompagnement_du_Clavecin_%28Dandrieu,_Jean-Fran%C3%A7ois%29
142
Anche il caso seguente è emblematico: quel che per noi sarebbe un accordo di settima diminuita su un pedale
di tonica (il secondo degli accordi dei tre dell'esempio), per Dandrieu è “... l'acord de la Setième Superflue,
jointe à la Sixte Mineure” (settima superflua con sesta minore). Nell'esempio che segue, la prima versione
col basso e i numeri sopra è la copia immagine del manuale di Dandrieu; accanto, la realizzazione
conseguente [Dandrieu 1718, p. 35-36].
Esempio:
La mancanza di un riferimento alla costruzione degli accordi per sovrapposizione di terze è definitivamente
provata dal caso che segue: si tratta di quello che noi descriveremmo come accordo di settima di dominante
in secondo rivolto. Nel manuale di Johann David Heinichen, Der General-Bass in der Composition,
l'accordo viene indicato brevemente con 6, accordo di terza minore e sesta maggiore, da impiegare quando il
basso scende di grado dal II al I grado della scala; secondo prassi, la realizzazione conseguente era con terza
e sesta, il raddoppio dell'ottava poteva essere sostituito dall'inserimento della quarta giusta, ove fosse stato
possibile preparare quest'ultima legandola all'unisono dall'accordo precedente; la quarta (quella che per noi
sarebbe la fondamentale dell'accordo) viene quindi considerata come una dissonanza bisognosa di
preparazione per poter essere utilizzata. Heinichen presenta quattro esempi che riporto testualmente, anche
per quel che riguarda i numeri impiegati [Heinichen, 1728, p. 150-152]
Esempio
e. In alcuni casi i numeri indirizzano l'esecutore nella scelta della posizione melodica e quindi del movimento
della parte superiore; così come nel seguente esempio, tratto da una cantata di Pergolesi, erroneamente
attribuita a Bononcini; riprendo l'immagine così come si trova nel manoscritto della cantata e, come si vede,
sulla seconda metà della seconda battuta si trova una numerica con l'8 sopra il 5 che eccepisce il modo
normale di usare i numeri: in primo luogo lo stato fondamentale di una triade non viene numerato (se non per
eccezione), in secondo luogo i numeri sono sempre scritti dal più piccolo al più grande in verticale. L'uso di
questa numerica particolare, quindi, dà un'indicazione prescrittiva al realizzatore del continuo; anche gli
accordi precedenti essere realizzati così come indicano i numeri (in questo caso la numerica tradizionale che
li dispone dal più piccolo al più grande in verticale coincide con quel che si deve fare):
Esempio, G.B. Pergolesi, Chi non ode e chi non vede, cantata53
ovvero:
53 Non esiste data di pubblicazione della cantata proposta in esempio; riporto quindi il riferimento della pagina
imslp.org che la rende disponibile online in versione scansionata:
http://imslp.org/wiki/Chi_non_ode,_e_chi_non_vede_%28Pergolesi,_Giovanni_Battista%29
143
Quella presentata nell'esempio qui sopra è un'eccezione: nella quasi totalità dei casi i numeri sono
normalmente disposti, come già detto, dal più piccolo al più grande in verticale sopra il basso, senza alludere
al movimento delle parti superiori.
La prassi del basso numerato andò oltre la funzione pratica di sintetizzare nella parte del cembalo la
realizzazione degli accordi per l'accompagnamento della musica; ma non diventò in genere una “teoria del
basso continuo”. Fu una pratica senza alcuna pretesa, quasi sempre, di andare in profondità a cercare le radici
di certi meccanismi; si era consapevoli del fatto che, per chi fa musica, prima ancora di argomentare sistemi,
c'è bisogno di sapere dove e come mandare le parti per far suonare la musica in modo da saper esprimere
quel che si vuole esprimere. Il che – è il caso almeno di sussurrarlo - vale per l'epoca del basso continuo
come per la nostra. Dal momento che le numeriche rappresentano sinteticamente successioni di accordi con i
necessari movimenti di parti di cui si compongono, il basso numerato divenne pian piano metodo pratico di
avvio alla composizione. Nicola fago (1677-1745) fu maestro per molti anni al Conservatorio della Pietà dei
Turchini a Napoli; ecco come realizza la parte del basso continuo di un suo Stabat Mater (la trascrizione è di
Robert Gjerdingen ed è disponibile sulla seguente pagina internet:
http://faculty-web.at.northwestern.edu/music/gjerdingen/partimenti/index.htm):
Esempio:
È evidente che qui si va oltre la semplice realizzazione di accordi; l'interesse del musicista (e del didatta) è
fortemente centrato sul contrappunto, ovvero sul modo di muovere le voci le une rispetto alle altre e rispetto
al basso.
Fa parte del percorso di stabilizzazione della prassi del basso numerato nella didattica della composizione del
tempo, la consuetudine di rendere esplicita la relazione tra il movimento del basso e la tonalità di
riferimento; sicché, pian piano nel tempo, si passò dalla spiegazione data per esteso nel testo. Nel 1711
Antonio Filippo Bruschi per la prima volta inserì il grado della scala della nota del basso (Bruschi usava
ancora un numero arabo)54; in seguito, altri autori (Fedele Fenaroli, Giovanni Furno, per esempio)
accompagnarono la numerazione del basso con l'indicazione del grado della scala della nota del basso, ma
senza usare numeri, bensì indicando a parole di quale “corda del tono” (ovvero grado della scala) si trattasse.
Successivamente si stabilì la prassi di indicare il grado melodico della scala tramite un numero romani posto
sotto la nota del basso. Ciò accadde quando lo stile del basso continuo passò di moda e rimase lo studio del
basso numerato come avvio pratico ed efficace allo studio dell'armonia e della composizione.
Ecco come si presenta quindi un basso numerato secondo la prassi didattica ancora assai diffusa oggi in
Italia:
Esempio
Man mano che l'armonia si faceva più complessa, man mano che scorrevano i decenni del XIX secolo, da
una parte si andarono limando le differenze tra le differenti tradizioni locali, arrivando a una sintesi unitaria,
dall'altra si accrebbero i numeri, per contenere gli accordi nuovi che stavano entrando in uso.
Il che, tutto sommato, per un certo verso ha anche funzionato; ma non per tutti i versi, poiché al disotto della
pratica sostanzialmente costante, tendente a replicare formule accreditate dall'esperienza e ad aggiungerne
altre per imitazione ed estensione, qualcosa stava cambiando nel frattempo in linea di principio.
Stava cambiando il modo di intendere gli accordi; non più intervalli sovrapposti sopra un basso, ma intervalli
di terza sopra un suono fondamentale, che poteva anche non coincidere con il basso; sicché, oggi per noi i
numeri indicano se l'accordo è allo stato di rivolto o meno, mentre fino all'inizio del XVIII secolo, come
54 Per questo argomento e per quello del paragrafo successivo consiglio la lettura di un articolo di Domenico Giannetta
che riporto in bibliografia [Giannetta, 2009].
144
detto, indicavano niente più che intervalli sul basso. Do con un 6 sopra per noi indica il primo rivolto
dell'accordo di La, mentre per Corelli molto probabilmente è do con 6 e basta. Più vistoso ancora il caso
dell'accordo di nona; 7 e 9 posti sopra un sol per noi indicano un accordo di nona allo stato fondamentale;
per Bach e per tutti quelli del suo tempo e delle epoche precedenti sono semplicemente una settima e una
nona sopra un sol, dissonanze che devono essere trattate come tutte le altre dissonanze. E un'altra cosa era
cambiata in profondità: i percorsi armonici non erano più prevalentemente movimenti contrappuntistici
risolti sopra il movimento del basso, ma (sempre prevalentemente e come indicazione generale) successioni
di accordi determinate dal ruolo che essi assolvono nella tonalità, dalla gerarchia assegnata dal grado della
scala su cui poggia la fondamentale.
La fondamentale più che il basso: ecco cosa cambia in profondità e in modo sempre più marcato, dalla metà
del XVIII secolo, nel modo di concepire l'armonia.
Lungo il corso del XIX secolo e oltre l'uso del basso numerato non solo non decadde nella prassi didattica,
ma in qualche modo si rinforzò, seppur con diversi limiti. Man mano che l'epoca del basso continuo venne
superata, infatti, si moltiplicarono ipertrofizzarono e sclerotizzarono le regole, nel tentativo di adattarsi a un
linguaggio che sul piano armonico si faceva sempre più complicato, per via dell'uso di accordi dissonanti e
cromatismi che i vecchi numeri non riuscivano a esprimere e a spiegare. Le abitudini sono difficili a morire e
ancor più a cambiare, sicché ancora oggi è visibile il deposito di questa tradizione secolare nelle consuetudini
didattiche dei conservatori; laddove essa non venga moderata da consapevolezza critica, e non venga
ricondotta entro i limiti dei presupposti originari, produce il risultato didatticamente non encomiabile di far
pensare agli studenti che sia più facile applicare tabelline che capire come si usino gli accordi.
Per questo si è pensato di correggere il tiro.
Ipertesto 4.3: La teoria del basso fondamentale
Qui si tratta di una vera e propria teoria. I presupposti “naturali” - ovvero indotti da qualità fisiche naturali
del suono, come cercò di dimostrare Jean Philippe Rameau che trattò per primo l'argomento - sono due:
a. l'accordo è un aggregato unitario, non composto da singoli suoni disposti a determinati intervalli, ma unità
indivisibile, generata dal suono fondamentale; la fondamentale dell'accordo è il suono che genera la
sovrapposizione di terze diu cui l'aggregato si compone.
b. Le successioni armoniche avvengono seguendo un tracciato in cui gli accordi si dispongono secondo la
loro funzione tonale, determinata dal grado della scala su cui la fondamentale dell'accordo si trova (non più il
basso, ma la fondamentale).
Rameau fu il primo a parlare di basso fondamentale, ma si dovranno aspettare diversi decenni prima che il
concetto venisse ripreso in termini pratici (George Joseph Vogler nel 1800, successivamente Gottfried
Weber nel 1821 e definitivamente Erst Friedrich Richter nel 1853), proponendo un metodo applicabile in
fase di studio dell'armonia. Il metodo, perfezionato da Schoenberg, consiste nell'indicare con un numero
romano, sotto la nota del basso, il grado su cui poggia la fondamentale dell'accordo, sia che esso si trovi allo
stato fondamentale, come allo stato di rivolto. Il metodo è impiegato a volte nell'insegnamento della
composizione ed estesamente nello studio musicologico. Ecco lo stesso esempio proposto in precedenza
secondo la pratica tradizionale del basso numerato:
Esempio,
Questa tecnica di numerazione del basso lascia emergere nella massima evidenza il fatto che, al disotto del
movimento melodico del basso, le successioni degli accordi dal punto di vista delle fondamentali sono le
stesse (nell'esempio appena proposto per due volte si ripete la successione I-II-V). Si rende manifesto,
insomma, come la funzione degli accordi all'interno della tonalità (ovvero la posizione che tendono a
occupare gli uni nei confronti degli altri e quindi, tendenzialmente, all'interno della frase) dipenda dal grado
della scala su cui sono costruiti allo stato fondamentale.
Ma... siamo proprio sicuri che un musicista la veda in questo modo? Sicuramente non sempre, e molto
145
dipende dal tipo di musica, dallo stile, dal periodo; insomma, da una serie di circostanze che invitano alla
cautela nell'immaginare percorsi e metodi migliori di altri. Guardiamo l'inizio del seguente corale di Bach:
Esempio, J.S. Bach, Als Jesus Christus in der Nacht, choral
A me sembra che il punto di partenza di Bach non sia in questo caso una successione di accordi allo stato
fondamentale e che, come spesso capita nei suoi corali, anche qui sia partito dalla realizzazione di un
contrappunto a due parti tra la melodia data e il basso; è in particolare la condotta del basso ad interessare il
Maestro, che con evidenza si preoccupa di farlo procedere per grado congiunto (qui per grado congiunto,
altrove spesso per intervalli melodici di poco più ampi) fin sul punto di cadenza, dove la linea viene
interrotta per segnalare l'articolazione del discorso musicale attraverso accordi ben scanditi l'uno rispetto
all'altro. Ecco il contrappunto tra basso e melodia data:
Esempio,
In questa prospettiva, va ricordata l'importanza che nel XVIII secolo aveva la pratica del “partimento”.
Ipertesto 4,4: Simboli impiegati nella teoria funzionale dell'armonia
Benché si debbano anticipare alcuni argomenti che saranno trattati più avanti, nel capitolo dedicato alla
tonalità, vale la pena richiamare qui un modo di impiegare sigle e numeri che, sebbene non riscuota
significativi consensi tra chi fa musica, pure viene impiegato da più di un secolo in un certo settore degli
studi sulla teoria musicale e dell'analisi.
Per avere un quadro sintetico ed efficace, consiglio la lettura dell'introduzione di Lori Azzaroni al trattato di
Armonia di De la Motte. Gli accordi si succedono assecondando la funzione che essi hanno nella tonalità, a
seconda del grado della scala su cui poggia la fondamentale; in questo, come vedremo, consiste il sistema
tonale. Secondo la teoria funzionale dell'armonia, gli accordi costruiti sui vari gradi della scala sono inclusi
nelle tre funzioni fondamentali della tonica (indicata con il simbolo “T” quando si tratta di una tonia
maggiore e con “t” quando la tonica è minore, corrisponde all'accordo costruito sul I della scala), della
dominante (si impiega il simbolo D, è il l'accordo sul V della scala; anche qui maiuscole e minuscole sono
impiegate per indicare quando si tratta di una dominante maggiore o minore55) e della sottodominante (si
impiega il simbolo S, è l'accordo costruito sul IV della scala; si ripete la stessa cosa per maiuscole e
minuscole). Gli accordi costruiti sugli altri gradi sono considerati “rappresentanti” di queste funzioni;
l'accordo che si trova una terza sotto la funzione primaria si chiama “accordo parallelo (si usa una “p”
maiuscola o minuscola a seconda che l'accordo sia maggiore o minore); l'accordo che si trova una terza sopra
si chiama “contraccordo” (si segna con “g”, maiuscolo o minuscolo a secondo che l'accordo sia maggiore o
minore). Il II grado è Sp (sottodominante parallela); il VI è Tp o Sg56 (si trova una terza sotto la tonica, ma
anche una terza sopra la sottodominante), la funzione reale si individua a seconda del posto che l'accordo
occupa all'interno della frase (se il VI si trova dopo il V in una cadenza evitata, si tratta di una Sp, per
esempio). La triade sul VII si considera come una settima di dominante in cui è omessa la fondamentale,
sicché si segna con D7 (la D è tagliata, come si usava nella numerica tradizionale per indicare, ad esempio,
una quinta diminuita). Ecco sempre lo stesso esempio con i simboli dell'armonia funzionale;
55
Nella teoria funzionale a volte si considera come dominante del modo minore l'accordo diatonico costruito sul
V della scala; in La min., ad esempio, sarebbe dominante l'accordo di Mi min. Il che può tornare dal punto di vista
della teoria, ma non dei fatti: anche nel modo minore la dominante in musica si associa sempre alla presenza della
sensibile, come VII della scala avvicinato di semitono al I in cadenza.
56 Dal momento che la teoria è stata sviluppata da studiosi di lingua tedesca, le sigle impiegano abbreviazioni di
parole tedesche; la “g” sta per “Gegenklang”, che tradotto in italiano è appunto “contraccordo”.
146
Esempio:
Il merito di questi simboli è di rendere evidente il carattere intrinseco di un accordo come luogo in cui si
concentrano delle potenzialità in riferimento a un centro, assumendo quindi una funzione organica con gli
altri accordi della tonalità. Per chi fa musica, tuttavia, si tratta di un metodo poco pratico e inefficace: la più
perfetta comprensione delle funzioni non potrà dirci che pochissimo riguardo il mondo di emozioni da cui
scaturisce una musica. È una simbologia che aiuta nel percorso di comprensione del meccanismo del
linguaggio musicale e che deve la sua complicazione alla volontà di verificare una teoria attorno ad esso, più
che al desiderio di spiegare possibili contenuti di senso della musica. Nell'insegnamento della composizione
non credo vi siano applicazioni significative; nella musicologia, internazionalmente si impiega il più delle
volte il metodo del basso fondamentale combinato alla teoria analitica impiegata. Insomma, si tratta di un
altro mestiere: questo modo di usare sigle e numeri per identificare il significato armonico e tonale di una
nota del basso non è fatto per chi fa musica, ma per chi fa teoria attorno alla musica. Il basso numerato del
'700 aveva una funzione assolutamente pratica: non aveva la pretesa di spiegare quel che stava accadendo nel
basso nota dopo nota, semplicemente indicava l'accordo da suonare. Le sigle dell'armonia funzionale da
questo punto di vista sono inservibili: esse servono a indicare un'interpretazione possibile di una determinata
armonizzazione (armonizzazione che già c'è, bell'e fatta) alla luce di una teoria che quell'interpretazione
dovrebbe dimostrare. Ossia: data la teoria, se ci si crede ha senso usare le sigle in quel modo per studiare il
modo di essere di una certa musica, se no, no.
Tra l'altro, per chi fa musica c'è un ulteriore problema, dal momento che la teoria funzionale, concentrando
il ruolo degli accordi nelle tre funzioni che ritiene tonalmente fondamentali, si rende inadatta a descrivere un
sistema musicale, come quello attuale, che fuoriesce da quel tipo di impostazione.
Ipertesto 4,5: Quale sistema di notazione preferire?
Non esiste un sistema migliore in assoluto. La differenza sta nel fine; da questo punto di vista ci sono due lati
opposti: da una parte l’uso dei numeri per chi fa musica, dall’altra quello di chi fa analisi musicale; e gli uni
e gli altri devono conoscere entrambi. Nell'insegnare l'armonia uso un sistema misto: i numeri romani sotto
la nota del basso indica il grado melodico della scala, mentre l'eventuale numero romano tra parentesi indica
la fondamentale dell'accordo, quando è allo stato di rivolto. In questo modo:
Non è per salvare capra e cavoli; è che in questo modo si familiarizza, senza fanatismo, con i due sistemi più
comuni nella prassi della composizione e musicologica.
Ogni tanto vi sono interventi sul “modo migliore per annotare il basso con i numeri e/o sigle”. Non c'è
dubbio che i diversi sistemi, anche quelli più complicati, abbiano risvolti positivi e negativi; ritengo
assolutamente inutile affannarsi a cercare chi vinca in efficacia. Sono approcci che – ho tentato di spiegarlo –
si distinguono per una visione differente dell'armonia (basso numerato, teoria del basso fondamentale e teoria
funzionale sono marcatamente distanti) e per la destinazione d'uso (la simbologia usata nella popular musica
attuale, per esempio, non ha alcuna pretesa analitica del discorso musicale e serve unicamente a ricordare o
indicare gli accordi all'esecutore).
In un certo senso è anche sbagliato preferire un metodo a un altro. Studiare Corelli con le sigle dell'armonia
funzionale o con i gradi fondamentali si può fare, ma certamente non aiuta a capire i meccanismi di un
processo compositivo ancora legato a una concezione intervallare dell'armonia. Analogamente, si possono
usare i numeri del basso continuo per indicare le armonie di una canzone di Duke Ellington, ma fa un po'
strano. A ognuno il suo; il che significa che si deve conoscere tutto.
147
Bibliografia capitolo IV
Heinichen, J.D.
1728
Der General-Bass in der Composition, Dresda, 1728
Dandrieu, J. F.
1718
Principes de l'Acompagnement du Clavecin, M. Bayard, 1718
Christensen, J. B.
2003
Fondamenti di prassi del basso continuo nel secolo XVIII. Metodo basato sulle fonti
originali, trad. di Maria Luisa baldassarri, Orpheus Edizioni, Bologna, 2003.
Titolo originale, Die Grundlagen des generalbassspiels im 18. Jahrhundert. Ein
Lehrbuch nach zeitgenössischen Quellen, Bärenreiter-Verlag Karl Vötterle GmbH
& Co. KG, Kassel, 1992
Giannetta, D.
La cifratura ideale degli accordi: sistemi teorici a confronto, in «Rivista di Analisi e
Teoria Musicale», periodico dell'associazione «Gruppo di Analiti e Teoria
Musicale», p. 79-106, Libreria Musicale Italiana, Lucca, 2009/2
De La Motte, D.
Manuale di Armonia, Trad, italiana di Loris Azzaroni, La Nuova Italia, Firenze,
1988 (4/1992); titolo originale, Harmonielehre, Bärenreiter-Verlag, Kassel, 1976.
148
Ipertesti capitolo V: CONDOTTA DELLE PARTI/VOCI
Ipertesto 5,1: Moto melodico, moto armonico: approfondimenti
La condotta delle parti coniuga due aspetti, quello della linearità melodica e della relazione che si stabilisce
tra linee melodiche sovrapposte; ovvero, contano le linee melodiche, ma contano anche gli intervalli che si
formano tra le due o più linee melodiche e il modo con cui tali intervalli sono stati raggiunti.
Esempio:
a.
Moto melodico è il movimento che una singola parte compie nel collegamento di due o più accordi,
indipendentemente dal movimento delle altre parti. In altre parole, nel collegamento di due o più
accordi, mi chiedo per esempio: “cosa fa il tenore?”; oppure: “cosa fa il soprano?, e il contralto?”
Così, nello studio di una sonata per flauto e chitarra posso concentrarmi sulla parte del flauto,
mettendo da parte momentaneamente quella della chitarra.
b.
Moto armonico è la relazione che si stabilisce tra i diversi movimenti melodici sovrapposti in un
collegamento armonico; mi chiederò, per esempio, cosa fa il tenore rispetto al soprano, o rispetto al
contralto, o anche rispetto al complesso delle altre voci?
Il collegamento degli accordi avviene mediante il movimento melodico sovrapposto delle voci, almeno in
moltissima parte della composizione classica e in molta parte ancora della musica di oggi. L'uso della
chitarra e del pianoforte, per armonizzare al volo una canzone accompagnandosi, genera inevitabilmente
l'idea che gli accordi siano insiemi di suoni disposti in successione senza pensare ad altro, se non al fatto che
sto mettendo un accordo di Do e poi uno di Sol, e poi ancora uno di Fa e uno di Sol (la Canzone del sole di
L. Battisti...); ed effettivamente, in un certo senso, le cose stanno proprio così, per esempio riguardo a certe
canzoni dal secondo ‘900 in qua. Tuttavia non si tratta sempre di questo; non si tratta di suonare accordi in
fila già se riguardo alla canzone italiana del primo ‘900, e certamente non è così rispetto al repertorio
musicale della nostra tradizione colta. in realtà.
Osserviamo un semplicissimo collegamento di due accordi, Do e Sol per esempio, e i, movimento di ogni
singola parte che comporta:
Esempio:
a.
b.
soprano
contralto
tenore
basso
Anche nella realizzazione arpeggiata degli accordi, comune nella scrittura strumentale in genere e in quella
degli strumenti polifonici in particolare, è sottinteso quasi sempre un collegamento accordale ottenuto
sovrapponendo diversi movimenti melodici; ecco la successione dei due accordi di Do e Sol arpeggiata:
Esempio 4.2: accordi sciolti
149
È senz’altro utile risalire alla successione degli accordi in una scrittura accordale sciolta, di cui un esempio
tipico è offerto dallo stile di accompagnamento del “basso albertino”; la maggiore chiarezza nella
comprensione degli accordi e della loro successione ne può aumentare l'apprezzamento e può facilitare la
memorizzazione del passaggio. L'inizio della sonata seguente di Domenico Alberti è prima riportata nella sua
forma originale, quindi riprodotta con gli accordi raccolti in verticale:
Esempio: D. Alberti, dalla Prima sonata in Sol mag., op. 1
a.
b.
Vale la pena ricordare che, nella nostra tradizione colta, l'armonia nasce e si evolve come esito inevitabile
della composizione contrappuntistica (cfr. il capitolo III, sugli accordi); i presupposti che s’individuarono
originariamente, si sono mantenuti nel tempo, incidendo in misura rilevante sulla evoluzione del nostro
linguaggio musicale.
Quando si compone, c’è sempre un certo numero di possibilità nello scegliere tra diversi i procedimenti che
lo stile del tempo predilige. Dal periodo galante in poi, i compositori con ogni probabilità potevano scrivere
musica immaginandone il percorso armonico, prima ancora di metter giù le idee sul pentagramma. Era una
possibilità; ma altrettanto spesso le armonie erano il frutto dell’arrangiamento di tracce contrappuntistiche a
due parti: si butta giù lo scheletro di una melodia, per prassi quelle note si accompagnano con un
contrappunto di un certo tipo in un’altra voce (per lo più il basso); a seguito di questo, con le altre parti si
definisce un piano armonico che in qualche modo era predeterminato dalla sovrapposizione delle prime linee
melodiche. In questo modo di procedere l’invenzione musicale si basa su una sintesi iniziale di moto
melodico e armonico (intendendo come moto armonico qui non quello relativo ad accordi in successione,
ma come moto di due parti sovrapposte).
Spesso, ci si poteva basare su formule ricorrenti57; si vede bene nel prossimo esempio, che mostra una traccia
molto frequente di contrappunto a due, in cui il basso compie il movimento I-VII-I (sto parlando di gradi
melodici, quindi do-si-do in Do mag., per esempio) su cui poggia la parte superiore, che si muove sui gradi
1-2-3 (do-re-mi in Do mag.).
Esempio:
In questo caso la realizzazione della musica - ma direi anche l'invenzione del motivo - parte dal movimento
delle due parti, non immaginando il passaggio armonizzato con accordi allo stato fondamentale; l'uso di stati
fondamentali e rivolti scaturisce, al contrario, come conseguenza della realizzazione del passaggio a più voci.
Sul modo di concepire l'invenzione musicale e le teorie che si sono sviluppate attorno all'argomento si
tornerà più avanti.
Ecco la realizzazione del modello da parte di Handel, in una sonata a tre; le note che ricalcano tale modello
così com’è stato presentato nell'esempio precedente, sono indicate con gli stessi numeri romani e arabi.
Naturalmente la tonalità non è quella di Do mag., ma quella di Re min.; la parte del primo violino decora
57
Su questo argomento è conveniente leggere quel che ha scritto Robert Gjerdingen (Gjerdingen, 2007)
150
abbondantemente la formula originaria, secondo una tecnica ben nota nella retorica musicale già dal ‘50058.
Esempio: G.F. Handel, Kammertrio n. 2 in re min., Allegro
1
2
3
I
VII
I
Si sbaglierebbe a ritenere questo un modo antico di fare musica; anche Schubert, nell'esempio che segue,
mostra di conoscere e apprezzare il procedimento (i gradi della traccia contrappuntistica di base è segnalata
sempre con i numeri).
Esempio: F. Schubert, Uber Tal und Fluss, op. 19, n. 2
1
2
3
I
VII
I
Molti dei modelli contrappuntistici impiegati in questo modo avevano una qualità, che li rendeva
particolarmente adattabili e duttili, quindi disponibili a vari tipi di invenzione musicale; questa qualità era la
rovesciabilità del contrappunto, il che significa che, nella traccia contrappuntistica, le due parti possono
ugualmente star sopra o sotto l'una all'altra. Sicché il modello prima esemplificato, si trova altrettante volte
nella seguente forma:
Esempio:
Esempio: G.F. Handel, Suite in Fa min., HWV 433, Allegro
1
I
58
7
II
1
III
Coclico nel 1552 parla di forma ‘simplex’ ed ‘elegans’ (Coclico, 1552, p. 64)
151
Ecco ancora un Lied di Schubert, il cui motivo iniziale appoggia sulla medesima traccia contrappuntistica:
Esempio: F. Schubert, Des Mullers Blumen
Musica antica? Non direi, anche l'inizio del tema principale del film Mission - colonna sonora di Ennio
Morricone - è costruita sullo stesso movimento del basso. E tanta, ma davvero tanta altra musica di ogni
tempo.
Ipertesto 5,2: Moto melodico
Le regole sul moto melodico e a quello armonico che saranno indicate tra poco sono una sintesi di ciò che è
divenuto comune, attraverso il tempo, nella prassi musicale della nostra cultura. Nessuno s’è alzato una
mattina per dire ciò che fosse giusto o no; soprattutto si deve avere poca o nulla cognizione del
funzionamento di un linguaggio e, nel nostro caso, della composizione per affermare che le regole che si
danno a scuola non sono seguite dai compositori: queste regole, infatti, sono desunte proprio
dall'osservazione delle opere dei compositori del passato. Fa parte poi di ogni linguaggio la possibilità di
eccepire le regole per un qualche motivo che di volta in volta è interessante scoprire.
Nel collegamento degli accordi è bene limitare il movimento delle parti, utilizzando preferibilmente il
grado congiunto. N.B. Non si tratta di una regola, ma di un consiglio pratico motivato.
Divieti:
a. Sono vietati i salti melodici di difficile intonazione, quelli aumentati e diminuiti, i salti di 7ª e i salti
che eccedono l’8ª; il perché si capisce facilmente, provando a intonare i salti seguenti:
Esempio 4.8: errori nel movimento melodico
In un passaggio armonico come quello qui appresso, è errato il movimento che fa la parte di tenore; si tratta
infatti di un salto melodico di 2ª aumentata:
Esempio 4.9: un errore di movimento melodico nel contesto di un collegamento di accordi
b. Sono vietati due salti nella stessa direzione che come somma diano un salto proibito:
Eccezione: è ammesso fare un salto diminuito, scendendo su una sensibile che a sua volta risolve sulla
tonica; gli esempi che seguono sono nella scala di La minore:
152
Esempio:
Alcune considerazioni
L’obiezione più ovvia che si può fare relativamente alle regole sul moto melodico è questa: ma se eseguo
una musica al pianoforte, che senso ha parlare si “difficoltà d’intonazione” di un determinato salto? Col
pianoforte, come con quasi tutti gli strumenti le note sono lì, belle e fatte, tutte già pronte per essere suonate.
Il fatto è che la musica non è solo per chi la esegue, ma anche per chi la ascolta e, ancora prima, è di chi la
pensa e la crea. In qualsiasi atto linguistico, ogni momento - quello della produzione, come quello della
trasmissione e della ricezione - presuppone una funzione attiva da parte di chi ne è attore; chi ascolta, in altre
parole, non potrà mai essere ascoltatore passivo: ascoltare vuol dire produrre senso in ciò che si ascolta,
assorbendo le sensazioni, trasformandole in percezioni e dando ad esse ordine, cercando una relazione che le
leghi in un organismo unico. Ora, l’organizzazione di ciò che si ascolta, come quella di ciò che si sta creando
(mettendosi dalla parte del compositore), riesce tanto più, per quanto il materiale che è offerto ai nostri sensi
– o alla nostra mente - è dotato di caratteristiche leggibili secondo le nostre categorie di pensiero, le nostre
categorie culturali e di linguaggio, i nostri limiti mentali e fisiologici. Buttando le mani su uno strumento è
possibile fare di tutto. Provate a farlo; e dopo averlo fatto provate a ricantare quel che vi è venuto di fare… ci
riuscite? E se non ci riuscite voi, perché ci dovrebbero riuscire quelli che vi ascoltano in una sala da
concerto?
La condotta melodica delle parti nei collegamenti di accordi
Comunemente, quando si pensa alla melodia, si pensa alla parte più creativa del fare musica. Ma questo
riguarda la melodia, non le parti che realizzano gli accordi che la sostengono.
Il fine da ottenere in un buon collegamento di accordi è che vi sia omogeneità e fluidità nella
successione. Accordi collegati bene, in questo senso, forniscono un buon tappeto per il movimento delle
parti che devono emergere come melodie. Guardiamo quel che fa Chopin, ancora una volta prima nella
versione originale, quindi riscrivendo gli accordi in verticale
Esempio 4.4.a-b: F. Chopin, Notturno in Si mag., op. 32
a.
b.
Insomma, muovendo poco le parti, si ottiene un tappeto armonico discreto e omogeneo, capace di sostenere
una melodia, al di sopra di sé, senza invadenza. È una tecnica essenziale, che trova numerose e costanti
applicazioni, nel repertorio della nostra musica colta e popolare, dal ‘700 a oggi.
Ecco ancora un esempio, tratto dal Lied “Wohin” di Schubert; ancora una volta prima riprendo alcune battute
della versione orginale, poi ripropongo le stesse battute con gli accordi scritti in verticale:
153
Esempio 4.5. a-b. F. Schubert, Wohin, con sintesi della scrittura degli accordi
a.
b.
È appena il caso di notare come anche la parte più acuta, in questa serie di accordi, non abbia un andamento melodico
interessante; per ottenere un tappeto armonico efficace, il principio, che ha seguito Schubert e che dovremo seguire
anche noi, è di muovere le voci il meno possibile, per grado congiunto o per piccoli salti, sempre tenendo conto
della migliore costruzione degli accordi.
Rispetto a questo principio è vistosa l’eccezione costituita dalla parte di basso; la libertà che esso ha, mira a formare un
buon contrappunto a due parti con il canto.
A volte la scrittura a quattro parti è strutturata in modo tale da sviluppare movimenti melodici credibili in tutte le voci;
tuttavia, anche in questi casi e soprattutto a seconda dello stile adottato, il più delle volte accade che le parti interne di
contralto e tenore siano maggiormente sacrificate rispetto a quella di soprano e di basso; ciononostante, è evidente come
il fine che si vuole ottenere non sia più quello di un tappeto armonico discreto ed omogeneo.
Esempio 4.6: F. Mendelssohn B., Frühzeitiger Frühling
La maggior indipendenza delle parti si realizza nel repertorio pre-tonale; in particolare nel repertorio
polifonico del Quattro-Cinquecento. Ma in questo tipo di musica il presupposto compositivo non era quello
di avere una successione di accordi su cui far emergere una melodia; al contrario, era la successione di parti
melodiche che generava automaticamente una successione di armonie (cfr. capitolo III, Accordi).
154
Ipertesto 5,3: Moto armonico
Le regole del moto armonico fanno riferimento ad alcuni principi che sono stati messi a fuoco piuttosto
presto nella storia della composizione polifonica. Come testimonia il Liber de arte contrapuncti di Johannes
Tinctoris, del 1477, vi furono due i principi su cui si concentrò l’attenzione e la ricerca dei teorici e dei
musicisti:
a. indipendenza dei movimenti melodici delle voci sovrapposte in contrappunto: il cammino
melodico di ognuna delle voci sovrapposte doveva poter essere percepito e seguito distintamente.
b. “varietà”, concetto complesso che includeva applicazioni sia a livello dell’invenzione melodica,
come a livello delle successioni di intervalli.
A queste indicazioni se ne aggiunge un'altra:
c. Rispetto della distinzione consonanza/dissonanza.
Anche quando si canta sulla spiaggia con gli amici, spesso si prova ad arricchire la melodia conosciuta
aggiungendo un controcanto a orecchio; anche in un contesto simile le due melodie devono essere differenti
e devono stare bene insieme.
Indipendenza e interdipendenza: ovvero, uso appropriato dei moti armonici richiamati nel testo (il
richiamo continuo dei teorici di ogni tempo sulla convenienza del moto contrario rispetto agli altri tipi di
movimento non ha bisogno di essere spiegato) e rispetto della distinzione tra consonanza e dissonanza.
In genere si guarda con un certo sospetto a queste regole elementari di contrappunto; si dice infatti che i
trattati tradizionali di armonia non riescono a dare se non regole negative: questo non si fa, quest’altro non si
fa, ecc.. È una sciocchezza: quando si dice che una cosa non si può fare si lascia liberi su tutto il resto.
Se poi si vuol coltivare l’idea di una musica tutta libera e incondizionata, è bene preparare le valigie e
trasferirsi sull’isola di Robinson Crusoè; da soli, ovvio, e senza CD musicali.
Riguardo l’errore di ottave, quinte, unisoni paralleli
Se un principio fondamentale è quello dell’indipendenza, è chiaro che due voci non possono fare la stessa
cosa. Questa è l’origine semplice della regola; ed è tanto evidente, che non rispettarla sarebbe stupido. Se in
un accordo due voci si trovano per esempio a distanza di 8^, la stessa coppia di voci non può andare su
un’altra 8^ (un’8^ differente dalla prima: la stessa 8^ si può ripetere quanto si vuole!) nell’accordo
successivo. Lo stesso vale anche per gli intervalli di 5^ e unisono (la 5^, come secondo armonico, suona
piuttosto vuoto come intervallo, e a distanza di 12^ è in realtà un’armonica del suono inferiore
dell’intervallo).
Nell'esempio seguente sono prima presentati alcuni collegamenti di accordi, quindi sono mostrati gli errori
fatti negli stessi collegamenti.
Esempio:
a.
ottave
ten./sopr.
quinte
ten./contr.
unisoni
ottave moto contr.
contr./sopr.
basso/sopr.
quinta moto contr. ottava su unisono
basso/contr.
ten./contr.
b.
155
Eccezione: Sono ammesse due quinte, di cui la seconda sia diminuita.59
Nell'esempio qui a fianco ci sono due quinte tra tenore e contralto (re-la/mi-si bem):
si può fare.
E' bene ribadire che si parla di moto parallelo; gli accordi sono ottenuti per sovrapposizione di terze e si
costruiscono in genere raddoppiando un suono: una quinta, un'ottava e/o un unisono ci sono inevitabilmente
in tutti gli accordi. Nell'esempio che segue c'è una quinta nel primo accordo tra tenore e soprano (fa-do); nel
secondo c'è una quinta tra basso e contralto (re-la); si tratta di due quinte, ma sono in due coppie di voci
differenti; non si tratta dunque di errore.
Esempio:
Gli unisoni, le quinte e le ottave parallele non sono brutte in sé; altrimenti risulterebbe insopportabile il
suono di tutte le orchestre, dal momento che i primi violini - tanto per fare un esempio - suonano tutti
all’unisono e che spesso i violoncelli vanno in 8ª con i contrabbassi. Il problema è un altro; quando s’imposta
una musica con un certo numero di voci, si genera in chi ascolta una certa aspettativa di impasto armonico;
tale aspettativa viene contraddetta o delusa se improvvisamente l'impasto armonico diventa più esile perché
due parti procedono, per esempio, per unisoni paralleli.
Ciò non toglie che, magari per un certo numero di battute, si possa decidere di mandare tutte le voci
all’unisono, per ottenere un effetto particolare; l’importante è l'omogeneità, in questo caso, e il risultato può
essere convincente, poiché si tratta di un'intera frase in cui le voci vanno all'unisono. Insomma, ci vuole
consapevolezza: è preferibile sapere quale effetto si produce quando le parti si mandano in un modo piuttosto
che in un altro.
Ipertesto 5,4: Riguardo l’errore di unisoni, quinte, ottave per moto retto
Vediamo da dove nasce la regola ponendo due premesse e traendo la conseguenza:
premessa 1: gli intervalli di unisono, di 8^ e di 5^ suonano armonicamente vuoti;
premessa 2: il moto retto viene percepito con più evidenza rispetto agli altri tipi di moto armonico: spostare
due parti nella stessa direzione, infatti, comporta uno spostamento conseguente del timbro verso un
colore più scuro, quando si va verso il grave, e verso uno più chiaro, quando si va verso l’acuto.
L’intervallo raggiunto per moto retto, quindi, emerge inevitabilmente sugli altri.
Conseguenza: raggiungendo per moto retto un unisono, un’8ª o una 5ª si può produrre una sensazione di
impoverimento armonico, derivata dal particolare rilievo in cui l’intervallo armonicamente vuoto viene
messo in evidenza dal moto retto.
Come si vede, i due tipi di errore sono piuttosto differenti, infatti è diverso il modo di considerarli nella
pratica; riguardo gli unisono le quinte e le ottave per moto retto, ad esempio, sono ammesse numerose
eccezioni.
Nella maggior parte dei trattati di contrappunto e di armonia, quelli tradizionali e quelli più vicini ai nostri
giorni, si usa un modo buffo per spiegare l’origine di quest’errore. Si dice, cioè, che, per esempio, nel
passaggio da un intervallo qualsiasi a un’8^ si attraversa idealmente un’altra 8^. Così:
59
A volte i manuali di contrappunto vietano anche la successione di due quinte di cui la seconda è diminuita; si tratta
di un’indicazione puramente scolastica, derivante dall’attenzione che si mette a come una cosa è scritta, piuttosto
che a come suona. Se dovete sostenere un esame, cercate di sapere prima come la pensa la commissione; è tutto.
156
Esempio
Ecco per esempio quel che scrive Angelo Berardi, insigne maestro di contrappunto, nel 1693:
Esempio: A. Berardi, Il perché musicale, p. 9
Francamente ho trovato sempre un po’ surreale questa spiegazione e maldestro il tentativo (Berardi, che si
lascia andare, la chiama ‘prova’) di riportare questo errore nello stesso campo dell’altro, quello degli unisoni,
delle quinte e delle ottave per moto parallelo. Le regole che originano il divieto di fare unisoni, quinte e
ottave per moto parallelo e per moto retto servono a evitare problemi solo parzialmente uguali: si devono
evitare consonanze perfette per moto parallelo per salvaguardare l’indipendenza dei movimenti melodici
delle parti e il senso di pienezza armonica che viene anche da quello; si devono evitare unisoni, quinte e
ottave per moto retto solo per salvaguardare la pienezza armonica degli accordi posti in successione.
Ipertesto 5,5 : autocorrezione
Unisoni, quinte e ottave paralleli in una serie di accordi collegati?
Quando c’è una serie di accordi e si vuol vedere se i collegamenti tra gli uni e gli altri siano effettuati in
modo corretto relativamente all’errore ora descritto, si devono esaminare gli accordi due a due: il primo col
secondo, il secondo col terzo, il terzo col quarto e così via. Nell'esempio 4.12 si dà prima una sequenza di
accordi, quindi si mttono in evidenza prima la successione del primo con il secondo accordo, poi quella del
terzo con il quarto; controlleremo in seguito se vi sono errori di unisoni quinte o ottave paralleli in queste
due successioni.
Due esempi di successioni da verificare
a.
b
.
All’interno di ogni coppia si dovrà guardare al secondo accordo, isolando al suo interno tutte le coppie
possibili di voci. Ogni volta che si trova un intervallo di 5ª, di 8ª o di unisono si deve vedere con che tipo di
movimento è stato raggiunto. Se per moto parallelo, si segnala l'errore.
Iniziamo con la successione a.:
Basso/Tenore
Basso/Contralto
Basso/Soprano
Tenore/Contralto
Tenore/Soprano
Contralto/Soprano
157
L'unica coppia di voci da controllare è quella costituita da Basso e Tenore, dal momento che c’è un’8^ re-re;
l'8^ è raggiunta per moto contrario; quindi in modo corretto.
Ora guardiamo la successione b.:
Basso/Tenore
Basso/Contralto
Basso/Soprano
Tenore/Contralto Tenore/Soprano Contralto/Soprano
Qui ci sono due intervalli da controllare: tra Basso e Soprano c'è una 5^ (fa-do), raggiunta per moto obliquo,
quindi in modo corretto; la 5^ tra tenore e Contralto (re-la) è raggiunta invece per moto parallelo (nella
stessa coppia di voci, nell'accordo precedente, c'è la 5^ do-sol), e quindi è errore.
Unisoni, quinte ottave per moto retto.
Anche in questo caso si rimanda a quanto detto per la regola precedente degli unisoni, 5e e 8e per moto
parallelo. Anche qui, dunque, si dovrà isolare ogni possibile coppia di voci nel secondo accordo dei due presi
in esame e, ogni qualvolta si trova un unisono, una 5ª o un’8ª, ci si dovrà chiedere: “come è stata
raggiunta?”. Se anche dovesse venire per moto retto dall’accordo precedente, non è detto che sia sbagliato: si
dovrà controllare se siano o non siano applicabili le eccezioni; in particolare la prima eccezione, che è la più
frequente.
Per ricapitolare quanto detto riguardo gli errori di moto armonico, facciamo alcuni esempi finali; guardiamo
come sei seguenti collegamenti è stata raggiunta di volta in volta l’8ª re-re tra Tenore e Soprano nel secondo
accordo:
Esempio:
a.
b.
c.
ERRATO
d.
e.
ERRATO
Nel rigo musicale immediatamente qui sopra sono riportati solo i movimenti di tenore e soprano, al fine di
rendere maggiormente evidentementi i tipi di moto armonico impiegati.
a. L'ottava è raggiunta per moto obliquo: corretto
b. l'ottava è raggiunta per moto contrario: corretto
c. l'ottava è raggiunta per moto parallelo: errato
d. l'ottava è raggiunta per moto retto; si applica la prima eccezione (è tra parti interne e una delle due voci, in
questo caso il soprano, si muove per grado congiunto): corretto
e. l'ottava è raggiunta per moto retto; non si applica alcuna delle eccezioni riguardanti il moto retto (l'ottava è
tra parti interne, ma nessuna va per grado congiunto): errato.
158
Ipertesto 5,6: Falsa relazione di tritono.
Esempio:
La falsa relazione di tritono è come l’araba fenice: tutti ne parlano, ma, stringi stringi, nessuno sa dov’è. E in
ogni caso, nell'armonia moderna è pressoché inevitabile. La cito solo per dovere di completezza; ma non mi
sognerei mai di segnare con una croce questo errore, dal momento che ogni errore vuole la sua correzione...
in ogni caso, analogamente alla falsa relazione di unisono/ottava, ci dovrebbe essere una certa difficoltà ad
intonare il Si per il soprano, avendo nell'orecchio il Fa cantato dal contralto (tra Fa e Si c'è appunto una
distanza di quarta aumentata, ovvero di tritono).
Molti, senza spiegare la regola, ne danno l’eccezione; così, sarebbe possibile far cantare il si al soprano,
nonostante il contralto intoni il Fa nell’accordo precedente, quando quel si è una sensibile che sale a tonica.
No comment. Mi domando solamente: e quando nel modo minore si risolve un accordo di Sottodominante su
quello di dominante (cioè la cosa più comune) come si fa ad evitare la falsa relazione di tritono?
Ipertesto 5,7: Praticamente, il collegamento degli accordi
Passiamo alla fase pratica: colleghiamo degli accordi cercando di tener conto delle regole che si sono date sia
riguardo la costruzione dell’accordo che il movimento delle parti; lo facciamo eseguendo esercizi elementari
di contrappunto, simili a quelli che i musicisti ripetono da qualche secolo praticamente senza variazioni di
fondo e solo con qualche aggiusto determinato dall'evoluzione del linguaggio. Si deve tener presente che gli
esercizi pratici di collegamento degli accordi in questo capitolo prescindono dalle regole di sintassi armonica
tonale, alle quale ci si dedicherà nel prossimo capitolo.
a. Muovere le parti/voci il meno possibile
Nel collegare gli accordi è bene spostare le voci il meno che sia possibile. Ciò risponde all'esigenza di
mantenere omogeneità e continuità nel percorso armonico; senda di queste, le frasi musicali risulterebbero
sconnesse, timbricamente discontinue. Sopra armonie del genere, disomogenee e ottenute con movimenti
spezzati delle voci, sarebbe difficile poggiare una parte melodica aspettandosi che essa sia in grado di
emergere e distinguersi rispetto alle altre.
Ecco due successioni di accordi uguali: la seconda realizzazione è preferibile alla prima proprio perché le
voci si muovono meno:
a.
b.
da evitare
ottimo
Per muovere le voci il meno possibile, è consigliabile eseguire gli esercizi mantenendo la disposizione
armonica stretta (quella generalmente preferita nella realizzazione di questo tipo di compiti) o comunque
quella scelta dall'inizio.
b. Collegamento di accordi allo stato fondamentale con suoni in comune
Collegamento di accordi allo stato fondamentale con suoni in comune; si legano nella stessa voce i suoni in
comune e si muovono il meno possibile le altre parti, raddoppiando sempre la fondamentale nell’accodo su
cui si sta risolvendo.
Esempio:
ERRATO
a. tra l'accordo di do-mi-sol e quello di mi-sol-si ci sono due suoni in comune, il mi e il sol; trovandosi nelle
159
parti di soprano e tenore, li lego nelle stesse voci e sposto il meno possibile il contralto (la nota più vicina al
do tra mi sol e si è il si).
b. tra l'accordo di la-do-mi e quello di re-fa-la c'è il la in comune; trovandosi nella parte di contralto, lo lego
nella stessa parte; sposto il meno possibile le parti di tenore e soprano.
c. errato: tra l'accordo di do-mi-sol e quello di sol-si-re c'è il sol in comune; tuttavia nel primo accordo il si si
trova nella parte di tenore, mentre nel secondo è passato al contralto (il segno di legatura trae in inganno!).
c. Collegamento di accordi allo stato fondamentale senza suoni in comune: le parti superiori vanno per
moto contrario col basso.
Esempio: a.
b.
c.
d.
a. Devo andare dall'accordo di do-mi-sol a quello di re-fa-la. Non essendoci suoni in comune, inizio a
spostare la parte che presenta il suono raddoppiato; in questo caso è il contralto che raddoppia il do del
basso. Inizio dalla nota raddoppiata perché, dovendo evitare le ottave parallele, il movimento è condizionato:
se il do del basso sale, quello del contralto lo dovrò far scendere, sempre ricordandomi di muovere le parti il
meno possibile (qui scende sul la dell'accordo di re). Fatto questo, è più facile ora dire dove devono andare le
parti del tenore e del soprano. Il tenore non potrà che andare sul fa (il re è troppo distante e il la già è al
contralto); dovendo realizzare l'accordo di re e dovendo raddoppiare la fondamentale, ossia il re, il soprano
non ha scelta, deve andare sul re. In pratica, quando gli accordi sono allo stato fondamentale e il basso si
muove per grado congiunto, le parti superiori devono muoversi per moto contrario con il basso stesso: se il
basso sale, le parti superiori scendono, se il basso scende le parti superiori salgono.
b. si conferma quanto visto in a: le parti superiori vanno sempre per moto contrario con il basso, se questo si
muove per grado congiunto e gli accordi sono allo stato fondamentale.
c. il moto contrario è realizzato male la prima volta, perché le voci, contrariamente a quanto indicato, non si
muovono il meno possibile; la correzione è accanto, d., con il movimento contenuto delle parti.
d. Collegamento di triadi allo stato fondamentale e di rivolto
Quello che segue è niente più niente meno che un esercizio di contrappunto nota contro nota, fatta salva la
mancanza, peraltro assai rilevante, d’intenzione melodica nella conduzione delle singole parti (non staremo
attenti cioè a far cantare bene le voci, ma solo a procedere correttamente da un accordo su quello
successivo). Potrebbe sembrare un po’ pedante e lungo: fatelo così com’è scritto: è lungo solo all’inizio il
procedimento; in seguito vi consentirà di eseguire qualsiasi collegamento con proprietà e sicurezza.
Qui non esistono sistemi pratici e sintetici per risolvere il compito con sicurezza e velocità; si devono
applicare:
a. regole di costruzione, facendo attenzione a
individuare correttamente le note dell'accordo da costruire
avere presente quale è la nota che è preferibile raddoppiare
b. regole di collegamento, facendo attenzione a non fare
unisoni, quinte, ottave per moto parallelo
unisono, quinte, ottave per moto retto (fatte salve le eccezioni; in particolare le eccezioni 1 e 2)
160
Ecco dunque due note al basso sui cui dovremo costruire e collegare i nostri accordi:
Con ordine:
a. individuare la triade di partenza, indicandone il nome (il nome viene dato sempre dalla fondamentale),
e le note di cui si costituisce, sovrapponendole per terze sopra la fondamentale (ricordo che la fondamentale
può non coincidere con il basso e che è il suono che permette la sovrapposizione degli altri per terze sopra di
sé); infine è necessario indicare quale è il suono da raddoppiare.
Nel caso dell'esempio l'accordo che dovremo costruire è quello di Do (in questa fase omettiamo di
specificare il tipo di triade dal momento che non siamo in un contesto tonale); le note di cui si costituisce
sono do-mi-sol; il suono da raddoppiare è il do.
b. Costruire la triade iniziale; come si noterà man mano che si procederà nello studio dell'armonia, le voci
superiori tendono a scendere; è preferibile quindi scrivere il primo accordo con la posizione melodica più
alta, senza far superare il pentagramma al soprano.
costruzione della prima triade
c. identificare l'accordo su cui dobbiamo andare; anche questa volta lo si dovrà chiamare per nome (col
nome della fondamentale), si dovranno specificare i suoni di cui si costituisce, disponendoli per terze sopra
la fondamentale, e si dovrà indicare il suono da raddoppiare preferibilmente.
Nel nostro caso dovremo costruire l'accordo di re (ricordo che il numero 6 indica il primo rivolto
dell'accordo e che al basso, quindi, c'è la terza dell'accordo), costituito dai suoni re-fa-la, e dovremo
raddoppiare preferibilmente la fondamentale o al 5^, ovvero il re.
Non sarà male, in questi primi esercizi, annotare sinteticamente, sopra il pentagramma, queste cose, per
esempio così:
d. iniziare a muovere, il meno possibile, la parte che ha il suono raddoppiato nell'accordo di partenza;
questo perché, nel collegamento degli accordi, è sempre necessario iniziare da ciò che è obbligato. Il suono
raddoppiato ha un movimento pressoché determinato, dal momento che si dovranno evitare le ottave
parallele con la parte di cui raddoppia il suono, e dovendo rispettare l'indicazione di muoversi il meno
possibile.
Nel nostro caso comincerò quindi con il contralto che raddoppia il Do del basso; la nota più vicina su cui
posso andare è il Re; sbarro le note dell'accordo che sono state già scritte, ovvero il Fa che è al basso e il Re
che ora è al contralto.
161
e. Ora sposto una delle parti che restano; per esempio quella di tenore (ma avrei potuto anche muovere il
soprano). Il tenore ha il Sol nel primo accordo; le note più vicine dell'accordo sui cui devo andare sono il Fa
e il La; scelgo il La, dal momento che il Fa, terza dell'accordo, è già presente al basso e che il raddoppio della
terza è il peggiore tra quelli possibili. Sbarro anche il La tra le note dell'accordo da costruire:
Infine muovere l'ultima voce, cercando di ottenere il miglior raddoppio possibile.
Nel nostro caso resta da muovere il soprano, che nel primo accordo è sul mi. Nell'accordo su cui devo andare
il fa e il re sono entrambi a distanza di seconda dal mi; tuttavia, dovendo raddoppiare la fondamentale
dell'accordo, scelgo il re.
f. Finita la costruzione dell'accordo, si controlla che non vi siano errori di moto armonico (unisono,
quinte, ottave per moto parallelo o retto.
La costruzione dell'accordo di Re è stata ultimata nel miglior modo, raddoppiando la fondamentale
dell'accordo. L'unico intervallo da controllare è l'unisono tra contralto e soprano, che, essendo raggiunto per
moto contrario, è corretto.
Il collegamento è dunque riuscito con successo.
Un altro caso
Il prossimo caso sarà utile per capire come, attraverso questo esercizio, vengano messe a fuoco le relazioni
che si stabiliscono tra le regole di costruzione e di collegamento degli accordi.
Immaginiamo di trovarci nel mezzo di una serie di collegamenti armonici, per esempio in una situazione
come la seguente:
a.b. in questo caso, trovandoci nel mezzo di una successione di accordi, il primo accordo è già costruito
c. l'accordo su cui si deve andare è quello di Re, i suoni di cui è costituito sono re-fa-la, il suono che è
preferibile raddoppiare è il re o il la.
162
d. Inizio muovendo le note raddoppiate nell'accordo di partenza, ovvero il tenore e il soprano che
raddoppiano il do. Mi devo muovere il meno possibile e devo evitare le ottave parallele; un do lo manderò
sul re, l'altro sul la, quindi; dovendo mantenere la disposizione armonica stretta, sarà il soprano ad andare sul
la, mentre il tenore andrà sul re (se avessi mandato il do del soprano sul re, il tenore sarebbe dovuto scendere
sul la; ma in questo modo tra tenore e sorano si sarebbe superata la distanza di ottava entro cui è necessario
mantenersi se si vuole conservare la disposizione stretta):
E' bene notare una cosa essenziale: dal momento che fin qui abbiamo mosso solo le note raddoppiate e
nell'unico modo possibile, è evidente che qualsiasi errore dovesse in seguito essere trovato, non riguarderà
alcuna di queste parti. In altre parole, questi suoni potrebbero essere scritti a penna per non essere più
cancellati.
e. ora muovo il contralto; potendo, si deve raddoppiare la fondamentale, quindi sposto il contralto sul Re,
ovviamente scendendo, dal momento che salendo, il contralto supererebbe il soprano (scolasticamente è
bene evitare l'incrocio delle parti).
f. controllo se ci sono errori solamente rispetto alla parte di contralto, poiché, come s'è detto, i movimenti
delle altre parti sono inevitabili. L'unisono tra contralto e tenore è corretto, perché raggiunto per moto
contrario; la quinta tra contralto e soprano invece è errata, perché raggiunta per moto retto tra parti interne,
ma nessuna delle due voci si è mossa per grado congiunto.
Sicché nella costruzione dell'accordo non posso raddoppiare la fondamentale; dovrò ricorrere al raddoppio
della quinta dell'accordo di re, mandando Contralto dal sol sul la, all'unisono con il soprano.
Ripeto il controllo di eventuali errori di moto armonico, prendendo in considerazione solo la parte di
contralto con tutte le altre. L'unisono tra contralto e soprano è raggiunto correttamente per moto contrario; la
163
quinta tra tenore e contralto è errata, perché raggiunta per moto parallelo
Questo collegamento si è rivelato particolarmente complicato; la complicazione sta nel fatto che, risolte le
note condizionate nei movimenti (quelle che raddoppiano il suono nell'accordo di partenza), la parte restante
di contralto non è in grado di effettuare il raddoppio potenzialmente migliore; in questo caso si dovrà
ricorrere al raddoppio della terza dell'accordo, facendo scendere il Contralto dal sol sul fa.
Il fa del contralto è a distanza di ottava con quello del basso; tuttavia l'ottava è raggiunta correttamente per
moto contrario.
Questo modo di costruire e collegare gli accordi non ammette incertezze né dubbi di valutazione: le cose o
sono dentro la regola o ne sono fuori. Che poi nella musica non funzioni tutto così, siamo d'accordo, ma è
pur vero che i musicisti – soprattutto quelli più bravi e celebrati - partono di qui, e che altre soluzioni
rappresentano solamente delle eccezioni.
Ipertesto 5,8: Un “errore” scolastico, unisoni, quinte e ottave paralleli a distanza
Un esempio di quanto sia facile cadere in maldestri equivoci, quando si perde di vista il motivo che genera
una certa regola della grammatica, è dato da quello che in tutti i maggiori trattati è definito come “errore di
unisoni, quinte e ottave a distanza”. Facciamo subito un esempio:
Esempio:
La regola scolastica dice che tra due accordi successivi è vietato che due parti vadano da unisono su unisono,
da ottava su ottava o da quinta su quinta anche se a distanza e non in immediata successione. Due unisoni,
due quinte o due ottave devono essere separate da un accordo differente, consigliano i manuali. Nell'esempio
vi sarebbero quindi errori di ottave parallele tra tenore e basso (mi-mi nel primo accordo, re-re nel secondo) e
quinte parallele tra contralto e basso (do-sol nel primo accordo, re-la nel secondo).
Il fatto è che, se si considera questo come errore, si porta indebitamente sul piano dell’armonia una
considerazione che riguarda solamente il contrappunto, il movimento nota contro nota e la necessità di
preservare la possibilità di distinguere i movimenti uno dall’altro. Lorenzo Penna nel 1679 [Penna, 1679, p.
53] non parla ovviamente di accordi. Leggiamo cosa dice:
Esempio, L. Penna, Li primi albori musicali
164
Nella tecnica del contrappunto classico – Palestrina, per esempio - una regola che vieti un passaggio come
quello del primo esempio non esiste; né potrebbe esistere, per due motivi. Il primo, che nella musica
palestriniana non esistono gli accordi e quindi non ha senso dire, “se due voci si trovano a distanza di 5ª non
possono andare su un’altra 5ª, a meno che in mezzo alle due quinte non si trovi un ‘accordo’ diverso”. Il
secondo, che il divieto di fare unisoni, quinte e ottave parallele viene, in una concezione armonica più
moderna, essenzialmente dalla necessità di conservare l’autonomia del movimento melodico delle voci e di
non creare improvvisi “buchi” armonici, diminuendo di fatto il numero delle voci; ora, nel primo dei due
esempi si può sfidare chiunque, che non sia banalmente prevenuto, a non distinguere il movimento delle
singole voci o a percepire vuoti armonici di qualsiasi tipo; e, se dovessero rimanere dei dubbi al proposito, si
guardi alla musica, senza nemmeno star troppo a sottilizzare tra epoche, generi e stili; nessun musicista ha
mai saputo che esistessero errori del genere. Per trovare l’esempio che segue (è la battuta n. 9 dall’Andante
della Sonata K.545 di W.A.Mozart) non ho dovuto far altra fatica che aprire la prima partitura a caso:
Esempio: dalla Sonata k. 545 di W.A. Mozart, Adagio
Sottilizzando, si potrebbe pensare a un caso come il seguente, dove le ottave cadono sui tempi accentati della
battuta e sono separate da una nota di breve valore:
A proposito di casi come questo si potrebbe da una regola del genere: si eviti di produrre successioni di
unisoni quinte e ottave nel passaggio da un accordo al successivo se gli unisoni le quinte o le ottave
coincidono con il cadere dell'unità di tempo, anche se al basso sono usate note di fioritura e/o di arpeggio.
Ma, per favore, che non si vada oltre questo: altrimenti si dovrebbe riempire le pagine di un manuale più di
eccezioni che di regole.
Ipertesto 5,9: Considerazioni riguardo l'applicazione di queste regole nella musica
Le regole descritte in questo capitolo, come già accennato, sintetizzano ciò che avviene nella musica. Ma,
ovviamente, nella musica non avviene solo questo; capita che le regole vengano eccepite in circostanze che
variano a seconda delle epoche e degli stili adottati.
Una cosa è certa: l'infrazione alla regola avviene non casualmente, ma perché si tiene conto del fine della
regola e del modello sonoro che essa vuole realizzare. Sicché due sono i motivi prevalenti che originano
l'eccezione: il primo, con un suo corollario, è che l'errore non comporta scadimenti rilevanti o audibili del
modello sonoro e che - questo è il corollario - l'infrazione alla regola, nella valutazione generale del risultato
sonoro, alla fine suona meglio di una realizzazione ligia.
Nell’epoca del basso (tra Seicento e inizi del Settecento) continuo alcune eccezioni non erano occasionali,
bensì legate a contesti determinati che occorreva (e occorre) conoscere60.
L'esecuzione del basso continuo sulla tastiera, indusse lo stabilizzarsi di pratiche veloci di realizzazione di
passaggi in cui il basso, alla mano sinistra, si armonizzava con gli accordi alla mano destra; la realizzazione
degli accordi a parti strette non poteva non limitare la libertà dei movimenti. D’altra parte, il fatto che la
funzione primaria dell'accompagnamento col continuo fosse quella di chiarire o rafforzare il senso
dell'armonia, faceva preferire realizzazioni sempre piene degli accordi, evitando quelle omissioni di note rese
necessarie nella scrittura vocale o strumentale dalla necessità di evitare movimenti scorretti delle voci; è di
qui che vengono le più vistose eccezioni nei confronti delle regole del contrappunto. Il primo caso è quello
dell'aumento o della diminuzione del numero delle parti. Le parti possono aumentare quando c’è bisogno di
preparare adeguatamente la dissonanza; a p. 31 del manuale di accompagnamento al clavicembalo di
60
Una buona sintesi sulla prassi del basso continuo si trova in Christensen [Christensen, 2003].
165
Dandrieu troviamo un esercizio dedicato all'accordo di settima e nona61 [Dandrieu, 1718, p. 31] . Qui sotto
riprendo l'immagine della pubblicazione originale di Dandrieu; a seguire la versione sviluppata con gli
accordi alla mano destra. La numerica adottata da Dandrieu è una numerica didattica estesa: attraverso i
numeri, vengono indicati i movimenti da realizzare con tutte le parti affidate alla mano destra; i numeri
vanno letti dal basso verso l'alto e rappresentano gli intervalli sopra il basso
Esempio,
ovvero:
Il caso opposto è quello dell'occasionale riduzione del numero delle voci, che si ammette quando il basso
scende di grado con accordi in terza e sesta e nella variante con dissonanza in sincope:
Esempio,
Le infrazioni alle regole del contrappunto non sono casuali, né, ovviamente, frutto di disattenzione; tutte le
eccezioni, infatti, testimoniano l'esigenza di preservare la pienezza dell'accompagnamento strumentale,
superando i limiti della riduzione su tastiera della condotta delle voci. Due sono i casi ricorrenti; il primo,
quello della necessità di dare un accordo di settima completo, allo stato fondamentale o di rivolto, quando
tale accordo viene raggiunto con un movimento per grado congiunto del basso. Per raggiungere l'obiettivo è
necessario non tenere conto della regola che impone di preparare la dissonanza (la nota dissonante dovrebbe
essere presente nell'accordo precedente, come nota consonante, e deve rimanere nella stessa voce);
nell'esempio che segue la regola della preparazione viene rispettata nel primo collegamento (e per questo
l'accordo di settima è incompleto della quinta); non viene rispettata nel secondo collegamento (l'accordo di
settima in questo modo può essere completo).
Esempio:
Il caso precedente viene spiegato immaginando un incrocio di voci, che consentirebbe di vedere il sol fermo
all'unisono nella parte di tenore, mentre il contralto gli salta sotto. Diciamo che la toppa è peggio del buco;
meglio tenere conto dell'invito a servirsi dell'eccezione solo con moderazione.
61 Non si tratta di accordi di nona intesi in senso moderno, nonostante la forma sia del tutto analoga; all'inizio del
XVIII secolo la dissonanza viene ancora considerata frutto della condotta delle voci e per accordo si intende in
sostanza solo la triade. La nona, come la settima, sono quindi da vedersi come semplici dissonanze che hanno
bisogno di preparazione e risoluzione per grado congiunto discendente.
166
Il secondo dei casi piuttosto frequenti di eccezione alle regole della condotta delle voci è quello presentato
nei prossimi due esempi; riporto ancora una volta le immagini come si presentano nell'originale di Dandrieu
[Dandrieu, 1718, p. 15, 23] e a seguire ne do la realizzazione conseguente. In entrambi gli esempi, come si
vede, la realizzazione dimostra che per il continuista deve essere più importante costruire accordi
armonicamente completi, piuttosto che rispettare le norme di condotta delle voci; pur di avere accordi
armonicamente pieni, infatti, non ci si ferma davanti alle quinte parallele che si creano tra le voci interne62.
Gli errori sono evidenziati con asterisco.
Esempio,
*
*
*
*
In alcuni casi sono permessi al cembalo cambiamenti di posizione con incrocio di voci che nella scrittura
vocale e strumentale non si farebbero; ecco un caso comune, nel quale la risoluzione della dissonanza (vedi
avanti in questo capitolo le annotazioni sul trattamento della dissonanza) di nona si combina a un cambio di
posizione melodica, con un implicito incrocio di parti, quinte e ottave per moto retto… insomma, ogni ben di
dio.
Esempio
E nella musica di oggi?
Oggi si fa musica di ogni tipo. È prevalente il pop e nell'ambito della popular music si diramano diverse
tendenze di stile, la musica new age, quella etnica (non si tratta di musica realmente di popoli esotici, ma di
musica secondo il nostro linguaggio con l'inserimento di sonorità e stilemi esotici); c'è il genere fusion e il
jazz, cui soprattutto i musicisti di provenienza colta annettono una certa importanza; il presente si frantuma
in un caleidoscopio di tendenze, che spesso hanno la durata effimera di una stagione. La musica da film è un
ottimo contenitore: non c'è genere, stile o tendenza che non vi confluisca, assecondando la ricchezza dei
contenuti narrativi proposti.
Soprattutto nei generi che sono più vicini a quello classico - la popular music in genere lo è – si tiene conto
62 Si stanno anticipando necessariamente alcuni importanti argomenti che verranno illustrati e spiegati nel capitolo
dedicato alla condotta delle voci; per chi non ha competenze a riguardo, consiglio di studiare quel capitolo, quindi di
tornare agli argomenti trattati in queste pagine.
167
della grammatica tradizionale, sicché le regole che sono state indicate in questo capitolo trovano ancora
un'applicazione visibile. Se in una canzone cantata da Celentano o da Celine Dion sentiamo un buon fondo di
archi, è perché l'arrangiatore/orchestratore ha impiegato una scrittura classica; soluzioni diverse e
abborracciate se ne trovano, certo, ma restano abborracciate, appunto. Chiunque abbia voglia di fare musica
anche di questo tipo deve rimboccarsi le maniche e studiare anche un po' di contrappunto; un'alternativa c'è
ed è quella di arricchire la fila di quelli che credono che fare i musica sia inventare una melodia stando sotto
la doccia.
Vista la ricchezza delle tendenze attuali, non resta che aprire le orecchie e guardare ciò che si fa caso per
caso, secondo il nostro interesse e ciò che abbiamo da fare.
Ipertesto 5,10: Trattamento della dissonanza
Nella nostra tradizione musicale il fenomeno della dissonanza si distingue in due casi; eccoli:
Esempio:
Nel primo caso la dissonanza cade su un tempo debole (se il tempo fosse in due, cadrebbe sulla suddivisione
del tempo, che è poi la cosa più frequente), scivolando di suono in suono per grado congiunto; l'effetto di
dissonanza è impercettibile, o quanto meno secondario, soprattutto se si immagina un movimento scorrevole.
Nel secondo caso la dissonanza cade su un tempo in rilevo e viene percepita come tale; nel primo caso, i
suoni fluiscono per grado congiunto e quelli sul tempo debole (a maggior ragione nel caso si dovessero
trovare sulla suddivisione, come nel caso presentato nell'esempio qui di seguito), consonanti o dissonanti che
siano, vengono percepiti come suoni con attitudine unicamente melodica; nel secondo caso i suoni
dissonanti, cadendo sul tempo, sono apprezzati nella loro dimensione armonica.
Esempio:
Per quel che riguarda questi suoni dissonanti impiegati come note melodiche, qui basti dire che la condizione
essenziale nel muovere la parte, è che essi siano trattati per grado congiunto, ovvero che siano raggiunti da
un suono precedente consonante per grado congiunto e che proseguano per grado congiunto su un suono
consonante, o almeno una delle due cose (cfr. oltre nel testo il capitolo VIII, sulle “note di fioritura”).
Esempi di questo tipo sono presenti nella musica di tutti i tempi:
Esempio, F. Landini, Ecco la primavera
O. di Lasso, Benedictus
168
Veniamo quindi alla dissonanza che cade su un tempo forte della battuta.
Come si diceva nel capitolo dedicato agli intervalli, l'opposizione consonante/dissonante si traduce da una
parte in quella gradevole/sgradevole, dall'altra nell'opposizione stabile/instabile. Semplificando, si potrebbe
dire che l'urto di due suoni che non stanno bene insieme, provoca l'attesa di un intervallo consonante, che in
qualche modo risolva l'insoddisfazione provocata dal primo. Il contrappunto, l'armonia e l'arrangiamento in
ogni epoca hanno cercato le tecniche giuste per incanalare in senso espressivo le potenzialità di questo
meccanismo, da una parte giocando sull'effetto di “sgradevolezza” (amplificandolo o meno, a seconda di
quel che si voleva dire) dall'altra cercando di imbrigliare l'instabilità della dissonanza al fine di farla
diventare motore dinamico del discorso musicale.
Come anticipato nel capitolo dedicato agli intervalli, non esiste un unico tipo di dissonanza; molte sono le
variabili che incidono sull'effetto di asprezza. Vale la pena di richiamare le più rilevanti:
a. Alcuni intervalli sono più dissonanti di altri; in ordine decrescente sono dissonanti la
•
seconda minore
•
settima maggiore
•
seconda maggiore
•
settima minore
•
quinta diminuita/quarta aumentata
•
quarta giusta
b. Nella disposizione delle parti, più la dissonanza si allontana verso l'acuto rispetto alla nota con cui entra in
urto, meno si percepisce l'effetto di dissonanza;
c. Lo stile musicale incide sulla rilevanza dell'effetto di dissonanza; sinteticamente si può dire che diminuisce
la rilevanza delle dissonanze man mano che esse aumentano numericamente, sia in successione che
all'interno di uno stesso accordo; nel jazz l'uso della dissonanza è talmente sistematico, che se ne perde
totalmente la percezione; una cosa del tutto analoga, sebbene in altro ambito stilistico, avviene nella musica
delle avanguardie della seconda metà del '900.
Le regole grammaticali condivise nell'uso, che riguardano la dissonanza, a seconda degli stili sono
suscettibili di variazioni importanti; lo stesso numero delle eccezioni non è secondario, tanto da poter, queste
eccezioni, essere ricondotte a casi specifici. Nessuna di esse si applica nella musica delle avanguardie
novecentesche (qui si escluderanno tali esperienze estetiche le quali, benché importanti per la storia della
nostra cultura, sono piuttosto marginali linguisticamente; prenderò in considerazione quindi ciò che avviene
negli stili musicali prevalenti nella nostra esperienza musicale). Tuttavia, a guardar la musica con attenzione,
non c'è disordine; è possibile individuare usi costanti, che, mentre da una parte indicano una linea di
evoluzione, dall’altra che isolano i caratteri degli stili, anche in linea sincronica.
È utile un consiglio preliminare: per testare l’affidabilità delle indicazioni successive, sul modo efficace o
meno di raggiungere la dissonanza, conviene provare gli esempi cantandoli con un’altra persona. In caso
contrario è facile pensare – sbagliando – che si tratti di indicazioni accademiche e sostanzialmente inutili.
Non raggiungere le dissonanze per moto retto
Per capire le regole sull'uso della dissonanza, partiamo da alcuni dati di fatto; il primo è che, per due voci
(due voci in senso stretto, non parti strumentali), l'intonazione di intervalli di seconda come quelli seguenti è
assai ardua:
Esempio:
soprano
contralto
La sensazione di urto, spostandosi per moto retto con un'altra voce verso l'intervallo di seconda, è talmente
forte, che la tendenza a correggere l'intonazione (e quindi a “stonare”) è naturale ed evitabile solo con voci
assai esercitate.
169
Non far procedere le parti per dissonanze parallele
Per lo stesso motivo è assai complicato intonare passaggi come i seguenti, in cui le dissonanze di seconda e
di settima vengono raggiunte per moto parallelo
Esempio:
Ammesso con moderazione raggiungere le dissonanze per moto contrario
Giusto un po' meno complicata è l'intonazione di intervalli di seconda per moto contrario (naturalmente, vale
per il prossimo come per i precedenti esempi, l'intonazione degli intervalli dissonanti è tanto più complicata
per quanto sono aspre le dissonanze; nell'esempio qui sotto, il secondo intervallo di seconda maggiore è più
facile da intonare rispetto al primo, di seconda minore).
Esempio:
Se si vuole scrivere una musica corale auspicandone l'apprendimento in tempi rapidi, è bene evitare passaggi
come quelli fin qui descritti, quindi.
L’uso della preparazione (dissonanza raggiunta per moto obliquo) facilita l’intonazione della
dissonanza.
Ecco invece una scrittura che rende l'intonazione di intervalli di seconda e settima piuttosto semplice ed
efficace musicalmente:
Esempio:
Tenendo conto di questi dati di fatto, la regola di uso della dissonanza prevede scolasticamente tre momenti:
1. la dissonanza va preparata, legandola all'unisono da una nota dell'accordo precedente che abbia
valore almeno di un tempo;
2. la percussione nella musica antica cadeva su un tempo forte della battuta63.
3. La nota dissonante, che dura un tempo, deve scendere per grado congiunto sul tempo debole
successivo.
Nel secondo capitolo si è già accennato al fatto che quando s’indica una dissonanza, in assoluto si sta
descrivendo un fenomeno percettivo provocato dall'insieme di due suoni; tuttavia, le nostre orecchie non
percepiscono i suoni in modo equivalente: dei due suoni che entrano in urto, uno verrà sentito come suono di
63 Va ricordato che l'origine degli accordi di settima sta proprio nell'uso della dissonanza in sincope, sicché, quando
nella musica di Palestrina si trovano sovrapposizioni di intervalli che noi potremmo classificare come accordi di
settima, senza eccezioni esse si trovano sul tempo forte e risolvono su quello debole. Lungo il corso del Seicento gli
accordi di settima pian piano vengono considerati differentemente: rispettando regola sulla preparazione, potranno
tuttavia cadere indifferentemente sul tempo forte e su quello debole. Per i ritardi, si continuerà a osservare l'obbligo
di farli cadere sul tempo forte. Quanto detto vale come riferimento di massima, dal momento che preparazione
percussione e risoluzione avranno, fin dalle origini, applicazioni differenti da quelle previste dalla norma scolastica.
Ma il riferimento resta visibile nel tempo.
170
riferimento, potenzialmente consonante, l'altro come dissonanza che genera l'urto e che deve risolvere
scendendo. Prima di proseguire nello studio di questo capitolo, vale la pena andare a rivedere quanto detto a
proposito.
La consuetudine a impiegare le dissonanze in un certo modo e ad apprezzarle poi nel contesto armonico ha
contribuito e contribuisce a renderne evidente senso. Aggregati armonici che di per sé sarebbero solo urti di
suoni, inseriti nel contesto appropriato diventano totalmente comprensibili e addirittura piacevoli, come
premesse per la risoluzione sulla successiva consonanza.
Esempio:
La regola scolastica sul trattamento della dissonanza è chiara: numerose sono le deroghe, come vedremo tra
poco
Ipertesto 5,11: Costruzione e collegamento degli accordi di settima
Gli accordi di settima hanno naturalmente un rivolto in più rispetto alle triadi. I numeri che indicano gli stati
del basso degli accordi di settima sono riportati nella tabella 1 del terzo capitolo.
La costruzione degli accordi di settima in origine sottostà alla regola d'uso della dissonanza: un compositore
del Seicento costruisce quelli che per noi sono accordi di settima64 facendo ben attenzione alle indicazioni
tradizionali che riguardano preparazione, percussione e risoluzione della dissonanza:
Esempio: A. Corelli, Sonata a tre, op. 1 n. 1, Grave
È da notare come nell'esempio appena proposto quelli che noi definiremo accordi di settima (ma che non è
detto che Corelli considerasse come tali) cadono tutti sui tempi forti della battuta.
Nell'esempio che segue, un accordo di settima (in questo caso l'accordo di settima su re) si costruisce in ogni
possibile stato del basso e risolto; il do quindi è sempre legato all'unisono dall'accordo precedente e risolve in
ogni caso sul si. Naturalmente nella costruzione dell'accordo la settima può essere posta in una qualsiasi
parte; il fatto che nei primi tre casi dell'esempio seguente si trovi al soprano è puramente casuale.
Esempio:
64
Vale la pena di ripetere: quelli che per noi sono accordi di settima. A guardar bene la musica del Seicento, si ha
ragione di credere che gli intervalli di 2^ e 7^ siano ancora impiegati come tali in contesti contrappuntistici in cui si
oppongono agli intervalli consonanti irrobustendo il senso dinamico delle frasi o si integrano armonicamente con le
consonanze, creando armonie più ricche.
171
Ipertesto 5.12: Eccezioni nell’uso della dissonanza
Eccezioni nell’uso della dissonanza ci son sempre state, e non si è mai trattato di “distrazioni”, o di
momentanee amnesie da parte dei musicisti. Le eccezioni si possono ricondurre a tre motivi:
a.
la valorizzazione della dissonanza come modo per amplificare il senso dinamico della musica;
b.
la volontà di valorizzare una certa linea melodica;
c.
l’accentuazione di particolari contenuti espressivi;
d.
la concezione coloristica dell’accordo.
Prima di vedere le eccezioni che riguardano questi aspetti del far musica, conviene mettere da parte
un’eccezione apparente: la risoluzione a distanza della dissonanza. Già nel ‘600 si incontrano frequenti
casi analoghi al seguente:
Esempio:
Non è un’eccezione al trattamento della dissonanza: il sol, nella parte del tenore, scende comunque sul fa e il
do su cui salta è una nota di arpeggio con funzione sostanzialmente melodica. Nell'esempio seguente, sempre
di Corelli, c'è qualcosa di analogo:
Esempio: A. Corelli, Sonata a 3 op. 1 n. 2, Allegro
Eccezione: costruzione dell’accordo di 7^ senza preparazione
Già nel corso del Barocco è pian piano sempre più frequente la costruzione di accordi dissonanti e più in
generale, l'uso di dissonanze che cadono sul tempo, senza preparazione. Nell'esempio seguente l'accordo di
Re7^ è costruito senza la preparazione del do.
Esempio: W.A. Mozart, Sonata per pianoforte in Do mag. K. 330, Allegro moderato
Gli autori tardo romantici impiegano quasi sistematicamente gli accordi di settima senza preparazione;
172
Esempio: J. Brahms, Intermezzo op. 117 n. 3, Andante con moto
Precedentemente, nel ‘600, le dissonanze prese senza preparazione, anche consecutive, erano uno strumento
formidabile per evidenziare il contesto cadenzale. La dissonanza, in questo contesto, amplifica il senso di
proiezione delle linee melodiche, ponendo in rilievo ulteriore la cadenza all’interno della musica
Esempio: G. Legrenzi, Sonata da chiesa op. 4 n. 1, Presto
*
*
La dissonanza, usata così, diventa una specie di strumento di rilevazione acustica del contesto cadenzale, ad
uso di chi ascolta; Corelli apprezzava moltissimo questo tipo d’uso della dissonanza. Si potrebbero portare
molteplici esempi; ne basti uno (gli asterischi segnalano due settime parallele):
Esempio, A. Corelli, Sonata op. 3, n. 4, Allegro
* *
Interessanti sono le risoluzioni “per scambio”, dovute all’interesse che in quel dato punto il compositore ha
nei confronti della prosecuzione del movimento della parte; conta più che la parte conservi il suo movimento
ascendente, piuttosto che far scendere la dissonanza per grado congiunto. La nota su cui sarebbe dovuta
andare la dissonanza sarà eseguita da un altro strumento o da un’altra voce. Ecco un chiaro esempio fornito
da Corelli. La parte del secondo violino forma un intervallo di 9^ col basso: il fa# dovrebbe scendere sul mi,
invece Corelli vuole che salga sul sol; e così fa, dopo aver fatto saltare la dissonanza alludendo a una
risoluzione per scambio; sarà il primo violino a scendere dal fa# sul mi all’ottava inferiore:
173
Esempio: A. Corelli, Sonata op. 3, n. 7, Adagio
Nel prossimo esempio Mendelssohn non ha difficoltà a raddoppiare momentaneamente la dissonanza di 7^:
uno dei due re, quello più esposto per chi ascolta, quindi il soprano, adotterà la risoluzione normale,
scendendo di grado, l’altro, al tenore, salirà di grado, completando l’accordo finale.
Esempio: F. Mendelssohn B., Andenken, op. 100, n. 1
*
Un caso assai frequente di risoluzione ascendente della 7^ si ha nel caso di un II grado armonizzato come
secondo rivolto della settima sul V; ecco in sintesi di che si tratta (nell’esempio il fa, 7^ dell’accordo, sale):
Esempio:
Ecco come lo realizza Beethoven
Esempio: L.van Beethoven, Quartetto op. 18, n. 1, Allegro con brio
174
Ancora un esempio, offerto da Schumann (la 7^ che sale è indicata dall’asterisco):
Esempio: R. Schumann, Quartetto n. 3, Finale, Quasi trio
*
La dissonanza è stata anche spesso usata per amplificare contenuti affettivi del testo; famoso il caso di
Monteverdi, che fu aspramente criticata da Giovanni Artusi (L’Artusi, overo delle imperfettioni della
moderna musica, Venezia, 1600). Uno dei casi oggetto dell’invettiva dell’Artusi si trova nel madrigale
Cruda Amarilli; si guardi come Monteverdi usa le dissonanze di 9^ e 7^ al soprano, sulle parole “ahi lasso”,
senza alcun riguardo per la regola sulla preparazione: in questo modo l’effetto della dissonanza è posto nel
massimo rilievo possibile ed esprime il senso delle parole nel modo più evidente ed efficace.
Esempio: C. Monteverdi, Cruda Amarilli, dal Quinto libro dei madrigali (1605)
Nel caso di Monteverdi la scelta di usare in modo eccezionale la dissonanza è programmaticamente estetica;
altrettanto si può dire di quanto sarà dato di ascoltare all’inizio del ‘900: e quando in epoca moderna si volle
esplorare la dimensione estetica dello “sgradevole”, si fece appunto leva sull’uso della dissonanza libero, in
aperta contraddizione rispetto alla regola classica; si pensi, solo per fare un caso, a Stravinsky e all'irrompere
nella cultura musicale dello stile fauve.
175
È questa l’epoca in cui la musica estende il proprio linguaggio nel campo del timbro, esplorando ogni tipo di
tecnica capace di inventare colori e sfumature. In questo periodo gli accordi si arricchiscono di note: non
tanto per essere dissonanti, quanto perché le note aggiunte lo colorano, lo arricchiscono di vibrazioni, di
riverberazioni. Si noti l'efficacissimo scivolamento cromatico nella seconda e terza battuta del seguente
esempio, tratto da una musica di Debussy: gli accordi di settima e nona, costruiti senza preparazione,
risolvono salendo anziché scendendo.
Esempio: C. Debussy, da Reflets dans l'eau
Simile al precedente, anche se in tutt'altro contesto estetico, è il seguente esempio:
da D. Fields, J. McHugh, A. Johnson, Goodbye blues
176
Bibliografia capitolo V
Coclico, A., Compendium Musices Descriputm, Norimberga, 1552
Berardi, A., Il perché musicale, Bologna, 1693
Penna, L., Li primi albori, Bologna, 1679
Christensen, J. B., op. cit.
Dandrieu, J. F., Principes de l'Acompagnement du Clavecin, M. Bayard, 1718
177
Ipertesti capitolo VI, TONALITA' E CADENZE
Ipertesto 1: la tonalità
In senso stretto la tonalità è adeguata a descrivere il funzionamento dell'armonia nella musica occidentale del
periodo che grosso modo va dall'inizio del XVIII secolo all'inizio del XX. Grosso modo è un'indicazione
necessaria: alcuni meccanismi della tonalità sono consolidati già nella musica del XVI secolo, così come
ancora oggi molta della musica che si fa è tonale; in più, eccezioni nell'impiego della tonalità si trovano
anche durante il periodo indicato. Ecco in sintesi come la tonalità organizza le successioni armoniche:
a) La tonalità si fonda su due presupposti essenziali, secondo tradizione; il primo è quello della
concezione unitaria dell'accordo, come insieme di suoni indivisibile in cui i suoni si sovrappongono
per terze su un suono fondamentale; il secondo è che la funzione degli accordi dipende dal grado
della scala su cui si trova la fondamentale. A questi due presupposti occorre aggiungerne un terzo,
anche esso essenziale: la funzione definitiva di un accordo all'interno della frase musicale, la sua
forza dinamica rispetto agli altri accordi è determinata dalla relazione tra la sua funzione armonica
generica e il metro. Perché il I grado funzioni come tonica, ovvero come accordo di riposo e di
equilibrio riacquisito, è bene che cada sul tempo forte della battuta al termine di una frase musicale,
per esempio.
b) Il numero romano, nella tab. 1, indica il grado della scala su cui l'accordo si trova costruito allo stato
fondamentale. I in Do mag. indica l'accordo di do-mi-sol, anche se in primo rivolto, con il mi al
basso.
c) Nella tabella non è inserito il III grado; nell'armonia classica il III non si usa se non per eccezione;
quando al basso si trova un III, si armonizza come rivolto del I, quindi con 665. Nella musica
moderna è invece frequente il III allo stato fondamentale; in genere precede il IV o il VI, più
raramente il V.
d) Tre sono i modi per arricchire il circuito armonico tonale: l'uso dei rivolti, degli accordi dissonanti,
del cromatismo. La funzione (quindi la posizione reciproca) degli accordi non varia se l'accordo
viene costruito allo stato fondamentale o di rivolto, come triade o settima/nona; neanche varia se
vengono alterati i suoni. Ovviamente, nella costruzione dell'accordo e nella sua risoluzione andranno
considerate, anche a seguito dello stile, le necessità legate al trattamento della dissonanza e del
cromatismo.
e) Vi sono tre funzioni; quella di tonica corrisponde alla funzione di riposo, di equilibrio di nuovo
raggiunto; quando si raggiunge la tonica con la successione armonica opportuna (per esempio una
cadenza perfetta), si ha l'impressione che una certa parte del discorso musicale o l'intera musica sia
finita. La dominante svolge una funzione di riconduzione verso lo stato di riposo costituito dalla
tonica; deve necessariamente contenere la sensibile. Gli accordi di pre-dominante66 hanno una
funzione di allontanamento dalla tonica e di passaggio da questa sulla dominante.
f) La tonalità è coinvolta in diverso modo su diversi livelli della composizione musicale, dal livello
della frase, a quello della sintassi (connessione di frasi), a quello della forma. Lo schema proposto
qui sopra esprime il modo di succedersi degli accordi all'interno della frase musicale; per quel che
riguarda la formazione del periodo, ovvero la connessione di frasi, e la forma, il riferimento ad esso
dovrà essere rimesso in discussione, dal momento che viene utilizzato solo in parte e non sempre.
g) Benché la tonalità in senso stretto esprima alcune caratteristiche fondamentali del linguaggio della
musica occidentale di un periodo significativo, elementi fondamentali di quelle stesse caratteristiche
si trovano in periodi molto precedenti; l'articolazione del discorso musicale poggiato sul valore
dinamico reciproco dei gradi, per esempio, e, di conseguenza, l'importanza data ai punti di cadenza;
la stessa funzione dinamica che contrappone tonica e dominante è chiaramente anticipata nella
65
66
La regola dell’impiego della 6ª sul III grado, peraltro conseguente ad una prassi che già la conosceva, si trova enunciata nella
Regola facile e breve per sonare sopra il basso di Galeazzo Sabatini [Sabatini, p. 12].
La definizione tradizionale di “sottodominante” è inadeguata a rappresentare la funzione di questi accordi;
soprattutto, nella terminologia scolastica con sottodominante si intende l'accordo costruito sul IV, che nell'armonia
classica è meno frequentemente usato prima della dominante (il più usato è la settima sul II allo stato di primo o di
secondo rivolto).
172
musica modale dalle funzioni della finalis e della repercussio. Attualmente, si sta assistendo a un
lento superamento della tonalità intessa in senso classico; nella popular music (la musica più diffusa
e diversificata, che esprime compiutamente quindi l'evoluzione della lingua nell'esperienza collettiva
di oggi) le funzioni tonali descritte nella tab 1 si trovano applicate solo occasionalmente, mentre in
molti altri casi gli accordi si dispongono diversamente gli uni nei confronti degli altri. Si tratta di un
superamento complesso, che include fatti piuttosto rilevanti del linguaggio musicale.
La tonalità si può descrivere da due punti di vista; il primo è quello pratico di chi fa musica (ed è a questo
che qui ci si riferirà), il secondo è quello di chi fa teoria; le due prospettive, benché puntino in apparenza a un
medesimo oggetto, sono distinte. Per il musicista la tonalità è più che altro una sintesi grammaticale, che
esprime un insieme di tecniche complesse67 dedicate alla costruzione, al collegamento degli accordi e alla
disposizione della forma musicale. Facendo musica, si pensa alla tonalità nella costruzione della frase (forse,
perché in realtà, quando s’immagina una frase musicale, stabilito lo stile che si vuole adottare, la successione
degli accordi è determinata per lo più dai significati che si vogliono evocare), di più ci si penserà quando si
cerca il modo migliore di connettere le frasi e di dare forma alla musica. Il teorico - chi fa analisi musicale
per mettere a punto una teoria su qualche aspetto della musica o per verificarne la tenuta - è interessato al
sistema, ovvero a un qualche tipo di principio che spieghi la ragion d’essere dei meccanismi del linguaggio
musicale, dell’uso di determinate successioni armoniche, della struttura di un certo repertorio; per il teorico,
lo scopo dell'analisi (che intende essere una scienza) è di rendere oggettiva la ricostruzione del sistema e, di
conseguenza, in qualche modo oggettivo il sistema stesso.
Il musicista esecutore deve aiutarsi con l'analisi per rintracciare gli indizi di senso disseminati nella pagina
musicale; la sua prospettiva è simile a quella del compositore, sicché l'analisi dell'impianto tonale di una
musica è quella parte del lavoro che ha come obiettivo, in sostanza, di determinare con precisione
l'articolazione della musica, le sue proiezioni, il suo flusso dinamico. Poi l'analisi deve proseguire con lo
studio dei temi e delle linee melodiche in genere, delle caratteristiche espressive; quindi con l'analisi del
colore, della dimensione ritmica... E non si finisce mai!
I teorici, in alcuni casi, non prendono solamente atto delle relazioni che si stabiliscono tra gli accordi nella
tonalità, ma ne cercano e ipotizzano un'origine “naturale”: dato che il suono è fatto in un certo modo (si fa
riferimento alla fisica e ai suoni armonici), sarebbe in qualche modo inevitabile, per questi teorici, che il
nostro linguaggio si sia evoluto nel tempo verso la tonalità moderna; la teoria funzionale dell'armonia ha
sviluppato in alcuni casi questa prospettiva.
Senza invadere inopportunamente campi estranei agli obiettivi di questo manuale, è bene segnalare che,
prima ancora che nella fisica o altrove, l'origine della tonalità si deve cercare assai probabilmente nel
rapporto che c'è tra le regole che sono state descritte fin qui - relative alla costruzione degli accordi e alla
loro risoluzione – e nella dinamica del discorso musicale, fatto di tensioni e distensioni, di spinte centrifughe
e di ritorni; una dinamica ben conosciuta nella musica pre-tonale. Buona parte dei meccanismi della tonalità
si modellano pian piano, al di dentro dell'evoluzione dello stile polifonico (vale a dire nella musica fino alla
fine del XVI secolo e all'inizio del successivo), mentre si acquisisce il senso dell’accordo e si prende gusto
per la pienezza delle armonie. Sono le regole della polifonia a fare in modo che si sviluppi una sensibilità
armonica tale da invertire l'ordine delle cose: se inizialmente gli accordi - come abbiamo visto nel capitolo
dedicato alla costruzione degli accordi - sono il risultato della sovrapposizione di linee melodiche
indipendenti, verso la fine del XVII secolo sarà il percorso armonico prestabilito, tendente a ripetere circuiti
già provati e consolidati dall'uso, a fornire la base su cui poggiare la linea melodica, o le linee melodiche.
Da Hugo Riemann in poi vi è stata una concentrazione piuttosto forte degli studi musicologici sulla tonalità;
questo potrebbe indurre uno sbilanciamento nella valutazione delle cose. Lo studio della composizione non
coincide con lo studio della tonalità; nel comporre, si pensa a moltissime cose, tra queste c'è la tonalità, ma in
molti casi non è la cosa cui si pensa di più. Il fine della composizione e - con ogni probabilità, almeno il più
delle volte - l'origine dell'invenzione non è nella tonalità. Alla tonalità spetta il compito di dare un certo
ordine alle idee; ma, a meno di problemi particolari o di forme particolarmente impegnative, non è che ci si
pensi così tanto. Probabilmente si fa male, ma credo sia un dato di fatto.
67
Complesse non significa complicate; significa che si tratta di regole stratificate, che coinvolgono più aspetti della
scrittura musicale; il collegamento degli accordi è un fatto complesso, per esempio, che da una parte implica
conoscenze per quel che riguarda le funzioni accordali da mettere in successione, dall'altro competenze pratiche di
movimento delle parti. Qualsiasi aspetto della composizione, nel momento in cui ci si mette a scrivere musica,
coinvolge più aspetti; la limitazione all'aspetto delle funzioni accordali non esiste nella pratica compositiva.
173
Per questo, i manuali di armonia che s’impiegano tradizionalmente per lo studio della musica pratica non
sono manuali sulla tonalità né, per lo più, teorie su di essa. I tentativi compiuti da alcuni, di tradurre in
manuale pratico di composizione i convincimenti che la musicologia si è fatta riguardo la tonalità come
sistema, restano tentativi. In ogni caso, cercano di descrivere l'uso dell'armonia e della tonalità classica e
romantica, sicché da una parte sono sotto certi aspetti inefficaci dovendo fare musica attuale, dall'altra è del
tutto certo che nessun compositore classico o romantico abbia fatto riferimento a quei concetti.
Fare teoria e fare musica sono mestieri differenti. Se poi la teoria vuole andare a fondo sul fare musica, c'è da
stare attenti al rilievo che si dà alle cose.
La tonalità deve la sua origine alla evoluzione del gusto e di alcune tecniche compositive impiegate nella
musica pre-tonale. Tra queste ci sono il trattamento della dissonanza e la cadenza.
Ipertesto 2: alle origni della tonalità
La melodia gregoriana è legata sintatticamente al testo che intona, a meno che non si abbia a che fare con
una melodia melismatica, dove, oltre che dal testo, l'articolazione è determinata anche dalle necessità del
respiro musicale. Il seguito delle frasi del testo poggia su un seguito parallelo di frasi musicali, che ne
interpretano la sintassi, distribuendo proiezioni sospensioni e chiusure; ciò avviene a partire dal dinamismo
implicito delle scale modali, facendo in modo che ciascun arco di frase vada a finire sul grado della scala più
opportuno; l'ultima frase, naturalmente, andrà a poggiare sul I grado, dando luogo a quella che diverrà la
cadenza finale; questo passaggio veniva realizzato per lo più scendendo sul grado di cadenza per grado
congiunto.
L'antifona del seguente esempio, Immittet Angelus Domini, è nel modo frigio di Mi; il testo si articola in tre
parti (1. Immittet Angelus Domini, 2. in circuitu timentium eum, 3. et eripiet eos); la musica segue il testo
articolandosi in tre frasi, ognuna della quali produce una cadenza su un grado differente della scala: la prima
è sul III grado, sol, la seconda sul VII, re, l'ultima naturalmente sul I, mi; come si vede, non solo la cadenza
finale, ma ogni cadenza è realizzata con una discesa per grado congiunto sulla nota usata per la cadenza. È da
notare che il III, il VII e il I vengono percepiti come gradi su cui si fa cadenza per il modo con cui ci si arriva
e per la posizione che hanno all'interno della melodia liturgica; non basta sentire un I per dire di essere
arrivati alla fine della melodia, insomma, ciò che conta è come e quando ci si arriva, affinché esso venga
sentito come grado su cui la melodia si esaurisce.
Esempio 6.16
Nella musica polifonica pre-tonale (fino alla fine del ‘500, grosso modo), così come avviene nel repertorio
gregoriano, gli archi di tensione e di distensione sono ottenuti ancora essenzialmente a partire dalla
conduzione melodica delle voci sovrapposte; la melodia di ogni voce, infatti, è condotta in modo da essere
sufficiente a sé stessa ed è dotata di un suo equilibrio interno. Come nel gregoriano, le cadenze svolgono la
funzione importantissima ed essenziale di articolare il discorso musicale. L'esigenza di rendere chiare e
facilmente identificabili le articolazioni, al fine di facilitare l'ascolto, fu all'origine del processo di
cristallizzazione dei procedimenti contrappuntistici impiegati per realizzare le cadenze; tali procedimenti
divennero ben presto regola.
Nel bicinium seguente di Orlando di Lasso – di fatto un mottetto, chiamato così perché a due voci - è ben
visibile l'adattamento polifonico della cadenza in una scrittura a due voci: mentre la voce inferiore, scende
per grado congiunto, quella superiore raggiunge la stessa nota, all'ottava superiore, salendo di semitono. La
musica è nel primo modo trasportato (modo dorico, quindi, trasportato in Sol); le cadenze, che articolano la
musica assecondando la forma del testo, si trovano a b. 10-11 (cadenza sul V grado, re), a b. 18 (sul I, sol) e
infine a b. 23-24 (sul I, sol). Si deve aggiungere che in questo periodo è comune realizzare la cadenza come
fa nell'esempio che segue Orlando di Lasso, facendo precedere la 6a dalla dissonanza di 7a. Tale abitudine
174
favorirà lo stabilizzarsi di un meccanismo armonico costituito da più accordi disposti secondo quelle che
saranno le funzioni tonali68.
Esempio 6.17
O. di Lasso, Esurientes,
68
Nel paragrafo precedente, dedicato alla cristallizzazione dell'uso della dissonanza in ambito polifonico è
esemplificato proprio questo passaggio
175
Come già accennato a proposito dell'uso della dissonanza, il meccanismo cadenzale ora descritto genera
spontaneamente accordi in disposizione già tonale non appena si passa a una realizzazione a 4 parti.
Nella realizzazione a quattro/cinque parti, la cadenza acquisisce una dimensione pienamente armonica.
L'esempio che segue è preso dal Kyrie della messa Iste confessor di Giovanni Pierluigi da Palestrina; vi si
trovano tre cadenze, che articolano il discorso con differente forza, anche tenendo conto del testo intonato
nelle diverse voci; la prima sul I grado, sol, a b. 4-5; la seconda sul V, re, a b. 6-7 e l'ultima ancora sul I, sol,
a b. 9-10. In tutti i casi la cadenza è realizzata muovendo due delle voci per grado congiunto e moto contrario
dalla sesta maggiore verso l'ottava (più raramente la successione si trova allo stato di rivolto, dalla terza
minore verso l'unisono): se la cadenza è su re, ci sarà una voce che scende per grado congiunto dal mi e una
che sale per grado congiunto dal do# (il movimento ascendente verso la nota di cadenza deve essere sempre
di semitono; è l'origine della sensibile)
Esempio 6.18
da G. Pierluigi da Palestrina, missa Iste confessor, Kyrie
La regola contrappuntistica, dunque, genera una successione di accordi sempre uguale e prevedibile. La fine
di un discorso o di una sua parte si intuisce anche solo ascoltando quei determinati accordi che fanno
cadenza, a prescindere dalla chiara percezione della clausola contrappuntistica finale – la sesta che risolve
sull'ottava - inserita al loro interno. Il passo successivo sarà quello di mantenere la successione accordale
con la sensibile che sale sulla tonica, ma evitando l'obbligo di risolvere la sesta sull'ottava, così da avere un
accordo finale completo, anche con un organico di quattro voci. Il superamento dell'antico vincolo
contrappuntistico testimonia l'evoluzione verso una concezione armonica delle sovrapposizioni delle parti.
Nel finale di questo Gloria, come si vede, Palestrina non fa scendere il tenore dal la sul sol; preferisce farlo
salire sul si, per completare l'accordo finale di Sol:
176
Esempio 6.19
Da G. Pierluigi da Palestrina, Missa “Dies sanctificatus”, Gloria
Se l'origine della tonalità è nella prevalenza del movimento degli accordi su quello delle melodie, non c'è
dubbio che pure nella cadenza si debba andare a cercare una delle sorgenti primarie della tonalità.
Uso della dissonanza in sincope e cristallizzazione del meccanismo cadenzale
La dissonanza che cade sul tempo – quindi percettivamente in evidenza - era già comunemente usata nella
musica del XVI secolo; la regola d'impiego viene osservata via via nel tempo con maggiore rigore e prevede
tre momenti: il primo, quello della preparazione, in cui la nota si presenta come consonante sul tempo
precedente a quello su cui cadrà la dissonanza; il secondo, che cade sul tempo forte, è quello in cui la nota
legata all'unisono diventa dissonante, a causa del movimento di un'altra parte; il terzo momento, infine, è
quello della risoluzione, in cui la nota dissonante scende per grado congiunto su una nota consonante. A
guardare un esempio si fa molto prima che a spiegare tutto69:
Esempio 6.1
Questo passaggio, inserito in un contesto a più voci, genera pressoché automaticamente passaggi armonici
costituiti da accordi che si trovano a distanza di terza o quinta discendente gli uni rispetto agli altri:
Esempio 6.2.a-b
lo stesso meccanismo inserito in un insieme di 3 voci...
...e di 4 voci
Si possono immaginare ulteriori realizzazioni del passaggio, basta aprire le partiture di musica strumentale
del XVII secolo per avere un'idea esauriente del fenomeno; in ogni caso, dal punto di vista armonico, non ci
potrà discostare da quanto esemplificato qui sopra.
Anche la regolarizzazione dell'uso della dissonanza nella composizione polifonica, quindi, favorisce la
stabilizzazione dei meccanismi armonici e la loro assimilazione nella nostra cultura musicale.
69 La dissonanza in sincope nel XVI secolo è comunemente sebbene non esclusivamente usata in ambito cadenzale.
Gli esempi qui proposti propongono infatti un contesto cadenzale, in cui il do è primo grado.
177
Ipertesto 3: osservazioni sulla quarta e sesta sul V in cadenza
Nel modello di cadenza perfetta composta consonante, prima che allo stato fondamentale, il V viene
armonizzato con una 4ª e 6ª; questa 4ª e 6ª non deve essere considerata come un secondo rivolto della triade
di tonica, ma già come V; la 4ª e la 6ª sono rispettivamente un ritardo o una appoggiatura della 3ª e una
fioritura della 5ª o della 7ª (armonizzando con 7 il V). L’argomento è già stato trattato sopra (cfr. le note
sull’uso della 4ª e 6ª nel paragrafo sullo stato del basso). Vedi anche sotto l’ipertesto 5 di questo capitolo
sugli accordi ottenuti attraverso l’uso di note di passaggio o volta.
Ipertesto 4: osservazioni sulla cadenza plagale
La cadenza plagale non può sostituire la cadenza perfetta70. A volte viene usata per prolungare la conclusione
di una musica; la cadenza plagale segue sempre la cadenza finale perfetta. L'origine del procedimento è nella
prassi contrappuntistica del Rinascimento: raggiun ta la nota finale con la voce guida, le altre riverberavano
gli ultimi movimenti melodici, prima di assestarsi sull'armonia conclusiva. Nell'esempio che segue, il
soprano raggiunge il sol, nota finale con una normale cadenza perfetta, V-I (seconda b. dell'esempio); mentre
il soprano tiene il sol, le altre voci sviluppano gli ultimi movimenti in contrappunto imitato:
Esempio 6.24
da T. L. de Victoria, Pueri hebraeorum
Già nel periodo barocco, la tendenza a prolungare il finale di una musica con lo sposatemento sul IV, favorì
l'uso di fare una breve modulazione al IV. Ecco un esempio famoso nella musica di Bach
Esempio 6.25
da J.S. Bach, Clavicembalo ben temperato, vol. I, Preludio n. 1 in Do mag.
la modulazione, accennata, al IV (ovvero verso Fsa mag.) è realizzata passando attraverso la settima di
dominante di Fa mag. (dominante transitoria), ovvero l'accordo di Do7 (secondo sistema dell'esempio, b. 1).
70 Ciò non vale per la musica attuale, dove spesso il IV precede il I con funzione cadenzale, indipendentemente dalla
presenza in precedenza di una cadenza perfetta.
178
Ipertesto 5: annotazioni sulla cadenza evitata.
La cadenza V-VI viene definita “cadenza d'inganno”; viene ingannata, ovvero delusa, l'aspettativa di
risoluzione della dominante sulla tonica.
La successione V-IV si realizza quasi esclusivamente come nell'esempio proposto (il secondo qui sopra),
ovvero armonizzando il VI come primo rivolto del IV. Questo tipo di successione non è impiegata tuttavia
come cadenza, se non in casi assolutamente rari; piuttosto, si trova inserita all'interno della frase, in una
successione di gradi melodici al basso V-VI-VII-I (cfr. più avanti “regola dell'ottava”).
A volte nei manuali scolastici si trovano elencate anche altre cadenze evitate (V-II; V-III). Si tratta di casi
statisticamente del tutto irrilevanti.
Ipertesto 6: costruzione della frase sulla base del giro armonico tonale
Dal momento che il termine tonalità viene impiegato a proposito di diversi fatti che riguardano la
composizione, è bene chiarire che solo a livello della frase la successione di accordi indicata nella tab. 1
trova piena applicazione. A livello sintattico e di forma musicale il riferimento alla tabella va chiarito.
Qui di seguito propongo rapidamente alcuni esempi di frasi musicali di diverse epoche e diverso genere
musicale. In questo esempio, la frase musicale è poggiata sull'alternanza delle armonie del I e del V; in
moltissimi casi, soprattutto nello stile classico, la frase musicale è costruita analogamente:
Esempio 6.3, da D. Cimarosa, Sonata per fortepiano n. 3 in Sol min
I
V
V/VII
I
Per l'inizio di quest'aria, Rossini impiega un giro armonico completo: dalla tonica si passa su un accordo con
funzione di pre-dominante, per proseguire con la dominante e concludere sulla tonica di nuovo; il giro è
ripetuto due volte nelle prime otto battute (la seconda volta l'armonia sul II grado contiene l'alterazione del
IV della scala (siamo in Sol mag., il IV aumentato è il do# al basso nella b. 6):
Esempio 6.4, da G. Rossini, Barbiere di Siviglia, Atto primo, Piano pianissimo
I
II/IV+
II/I
V
V/VII
I
VI
I
Anche Schumann usa un giro armonico completo di tutte le funzioni; la disposizione delle note tuttavia dà
alla musica un colore trasparente, leggero:
179
Esempio 6.5 da R. Schumann, Dichterliebe n. 10, Hor' ich das Liedchen Kligen (b. 1-4)
I
V7
VI
II/IV 6
V
I
La melodia di questo Notturno, nelle prime battute, poggia su una successione armonica semplice, che
alterna le funzioni di tonica e dominante; la scrittura, affidando gli accordi in disposizione lata alla mano
sinistra, lascia emergere la melodia in piena autonomia:
Esempio 6.6, da F. Chopin, Notturno op. 72, n. 1 in Mi min.
I
V/II
I/III 6
V/VII
I
V
Il tema di questa canzone di McCartney usa un giro armonico molto semplice, che alterna le funzioni della
tonica e della dominante; nella b. 5 c'è l'accordo sul IV, che nella musica moderna si usa più spesso che in
quella classica e romantica prima della tonica.
Esempio 6.7, da Lennon – McCartney, Hey Jude
I
I
V/VII 6
IV
V7
I
180
Nell'esempio che segue le armonie, che compongono il più classico dei giri armonici, sono colorate
dall'aggiunta costante della nona (add 9, secondo la simbologia usata nella musica moderna) V7
-I
Esempio 6.8, da Sting, I'll be missing you
I
IV
VI
V
I
Questi esempi, che vanno dal periodo classico a quello attuale, sono sufficienti a mostrare come le funzioni
tonali, richiamate nella tabella all'inizio di questo capitolo, trovino applicazione piuttosto costante nel tempo.
Certo, nessuno potrebbe confondere la sonata di Cimarosa Il cielo in una stanza di Paoli; ma le differenze
riguardano aspetti di superficie dell'armonia (c'è un diverso modo di trattare le dissonanze, per esempio), e
molto più radicalmente altri elementi della musica: il modo di condurre la melodia, per esempio, il suono
della musica, l'arrangiamento.
Non c'è che da aprire partiture, suonare musica, e curiosare nei giri armonici; è un modo estremamente
efficace, tra l'altro, per rendersi conto delle differenze tra gli stili. C'è da considerare il fatto che, soprattutto
prima di conoscere aspetti rilevanti dell'armonia e del contrappunto (le note di fioritura, il cromatismo, per
esempio) può essere difficile riconoscere gli accordi e le loro successioni, aprendo partiture a caso. Ma è
bene non scoraggiarsi: la conoscenza della musica non passa solo attraverso l'apprendimento di nozioni
teoriche o tecniche, ma anche e soprattutto attraverso l'orecchio, l'abitudine a riconoscere colori, movimenti.
Si farà caso, in questo modo, al fatto che le successioni di accordi sono largamente influenzate dallo stile,
determinato a sua volta dall'evoluzione del linguaggio da una parte e dall'altra dal tipo di musica con cui si
ha a che fare e dai contenuti espressivi che si vogliono realizzare: è differente Elton John da Mozart,
certamente, ma è anche differente il modo con cui Mozart tratta l'armonia in un allegro o in un adagio.
Il giro armonico tonale, prevedibile entro certi limiti, garantisce il senso di proiezione della frase, ne rende
coesi i nuclei melodici facendo si che essi, in qualche modo, sembrino necessari nella loro sequenza; le
cadenze finalizzano le frasi e ne determinano il ruolo sintattico nell'ambito del discorso.
Ipertesto 7: eccezioni nelle successioni armoniche tonali
Anche nella musica del periodo in cui la tonalità ha costituito parte essenziale del codice di riferimento, si
trovano vistose eccezioni, nelle successioni armoniche, rispetto a quanto descritto nella tab. 1. Le eccezioni
in primo luogo sono determinate dall'uso di note di passaggio, o di fioritura in genere (spesso sono usate
con questa funzione le note di volta), che generano accordi di passaggio. Sono Un caso assai frequente è
quello di un accordo di settima sul II allo stato fondamentale che si ottiene per collegamento del I allo stato
fondamentale con il I allo stato di rivolto. Gli esempi che propongo sono tratti dalla letteratura musicale di
diverse epoche:
Esempio 6.9, Da J. S. Bach, Clavicembalo ben temperato, Preludio n. 3 in Do# mag.
181
Nel prossimo esempio sono note di passaggio veloci quelle che idealmente potrebbero dar luogo a una
armonia di La min.7^.
Esempio 6.10, R. Schumann, Albumn per la gioventù, n. 2, Marcia di soldati
Esempio 6.11, da R. Schumann, Album per la gioventù, n. 11, Siciliana
Esempio 6.12, da F. Mendelssohon B., Romanza senza parole op. 30 n. 5
Un altro caso di armonia di passaggio è quello seguente:
Esempio 6.13
In questo esempio appare chiaro come la definizione di accordo di passaggio si debba soprattutto alla
posizione metrica dell'accordo, che, infatti, cade sulla suddivisione del terzo tempo della battuta; altra cosa
sarebbe se lo stesso accordo cadesse in una posizione di maggiore rilievo ritmico; per esempio così:
Esempio 6.14
Non si ripeterà mai abbastanza: la funzione di un accordo è strettamente connessa alla sua posizione metrica.
Come vedremo, la stessa cosa vale anche per le funzioni cadenzali degli accordi.
Alcuni, recentemente, hanno introdotto il concetto di sequenza armonica fondate sull'uso di note di volta; un
esempio sarebbe il seguente71:
71 E. Aldwell, C. Schachter, Armonia e condotta delle voci, Roma, 2008, vol. 1, p. 95
182
Esempio 6.15
L'osservazione è utile: ci aiuta a mettere in evidenza quanto dell'armonia derivi dal movimento della melodia
e rileva la relazione che c'è tra la funzione dell'accordo con la sua posizione metrica. Tuttavia, nella nostra
tradizione le note di volta hanno un significato molto diverso, per certi aspetti addirittura diametralmente
opposto (vedi più avanti il capitolo dedicato alle note di fioritura72) e con questo significato le hanno
impiegate sia i didatti che i musicisti. Cambiare l'uso di un termine può generare fastidiosi fraintendimenti.
Ipertesto 8: nota sul collegamento degli accordi in campo tonale
Il collegamento degli accordi, anche in campo tonale, avviene semplicemente, così come s’è descritto già nel
capitolo precedente. Si aggiunge solo una regola:
la sensibile è una nota con risoluzione obbligata e deve salire sulla Tonica.
La forza di questa regola si vede bene nella cadenza evitata: a costo di risolvere la sensibile sulla tonica, si
accetta il raddoppio della terza nell'accordo sul VI grado.
Naturalmente la sensibile deve salire sulla tonica quando si è in un contesto cadenzale; all'interno della frase
la sensibile può scendere. Semplicemente perché non si tratta di una sensibile ma di un semplice VII grado.
É quindi ancora una volta la posizione metrica della successione dominante tonica (e sensibile tonica) a fare
di un passaggio normale un passaggio cadenzale.
E’ una regola essenziale: come s’è visto, le ragioni stesse della tonalità sono in larga parte legate all’antica
clausola e alla cadenza pre-tonale, entrambi costruite a partire dal movimento melodico che lega la nota che
precede la finale alla nota finale stessa. Non sarebbe male dare valore prescrittivo a questa regola: le
eccezioni, tante peraltro, che si incontrano nella musica si giustificano in larghissima parte per via di
necessità melodiche particolari che, quando si inizia a studiare armonia, non ha senso porre. Il raddoppio
della sensibile va evitato, non già perché sarebbe un raddoppio poco efficace della 3ª dell’accordo di triade
costruito sulla Dominante, ma perché porterebbe inevitabilmente all’errore di ottave per moto parallelo (se
due parti cantano la sensibile e tutte e due devono salire sulla tonica, le ottave parallele sono inevitabili).
Ipertesto 9: tonalità, cadenze e forma musicale.
N.B. In questo paragrafo dovrò fare necessariamente riferimento a concetti non ancora illustrati, il più
importante dei quali è quello di “modulazione”. In breve, basterà anticipare qui che per modulazione si
intende il passaggio ad altra tonalità rispetto a quella in cui ci si trova e che tale passaggio si manifesta
attraverso le note caratteristiche della nuova tonalità, ovvero le note che la distinguono da quella che si lascia
(nella modulazione da Do mag. a Fa mag., la nota caratteristica è il si bemolle, ad esempio). D'altra parte,
parlare delle cadenze come si fa in genere, ovvero come del passaggio da una accordo all'altro (un passaggio
che include quasi sempre l'accordo sul V) è riduttivo e non lascia comprendere le implicazioni profonde che
la struttura tonale ha nella costruzione del discorso musicale.
Torniamo un attimo all'esempio 6.3; confrontiamolo con le prime 8 battute dell'esempio che segue:
72 La nota di volta nell'armonia classica è una nota estranea all'acordo che cade sul tempo debole, o, preferibilmente,
sulla suddivisione. Nel contrappunto pre-tonale è una nota dissonante che cade sul tempo debvole o sulla
suddivisione. In ogni caso, la nota di volta non ha una valenza solamente melodica (come accade nel saggio di
Aldwell e Schachter), ma anche armonica. ,,
183
Esempio 6.30, L.van Beethoven, Sonatina n. 1 in Sol,, Anh. 5 parte del primo movimento
I
IV
VII/V
I
II/VII III/I IV
V
V
I
IV
I
Anche qui la musica è costruita a mo' di pendolo: da b. 1 a b. 4 ci si sposta sul V; da b. 5 a b. 8 si torna sulla
Tonica; lì erano 2 battute, qui sono 8 battute (periodo di due frasi) ritornellate ed è la prima parte di un
movimento di una sonatina. Naturalmente, la diversa durata dei due frammenti, porta con sé una maggiore
complessità del secondo; il prolungamento del percorso, infatti, implica la necessità di passare su armonie
intermedie. In particolare, tra b. 5 e b. 8 c'è un intero giro armonico nella tonalità di Sol, realizzato sulla linea
del basso che procede per grado congiunto dal I sul VI grado della scala.73
Il trasferimento dal I sul V conferisce al discorso musicale una dinamica di sospensione che genera
l'aspettativa di un ritorno al I; abbiamo visto, negli esempi 6.3 e 6.30, che tale tecnica può essere impiegata
per costruire la frase o per gestire la proiezione delle frasi all'interno del periodo. Aggiungiamo altro
materiale per dare sostanza alla riflessione; l'esempio che segue è tratto dalla Sonatina 2 in Fa mag. ed è la
prima sezione del primo movimento:
73 A b. 5 dell'esempio si presenta una “dominante applicata”: si passa sull'accordo di Do (IV di Sol mag.) attraverso la
dominante di Do (Sol7, si veda più avanti il capitolo sulle modulazioni). Sul quarto movimento della b. 6, il mi nella
parte di soprano va considerato come una appoggiatura del fa# (vedi più avanti le note di estranee all'accordo che
cadono sul tempo): per questo l'accordo che risulta è quello del VII in primo rivolto. È da notare il grado congiunto
utilizzato da Beethoven per arrivare sul V: la spinta melodica accresce la proiezione dinamica dell'armonia e si
interrompe sul V, dove l'improvviso salto di ottava del basso e quello successivo di quarta ascendente segnala la
cadenza conclusiva. Tale tecnica è comune nella musica dal '700 in avanti.
184
Esempio 6.31, L. va Beethoven, Sonatina n. 2 in Fa mag., Anh. 5, prima parte del primo movimento
La prima sezione di questa piccola Sonata in Fa termina in Do mag, ovvero sul V grado; nella prosecuzione,
oltre il segno di ritornello, dopo qualche battuta in cui verranno toccate altre tonalità (diverse dalla Tonica e
da quella sul V), si tornerà alla tonalità d'impianto, per concludere il movimento. Tenendo conto delle
proiezioni tonali fondamentali, la dinamica del discorso, dal punto di vista tonale, si può esprimere secondo
lo schema seguente:
Esempio 6.32
altri
I
V
toni
I
Lo schema appena proposto, che sintetizza la struttura armonica comune a moltissima musica della nostra
tradizione colta, si potrebbe definire quindi come un’espansione della proiezione cadenzale I – V – I.
Tuttavia, se all'interno della frase (si veda ancora l' esempio il 6.3) la proiezione sul V e il ritorno al I
generano l'impressione di un moto pendolare, tale impressione si perde a livello della forma musicale
complessiva. La proiezione sul V, in questo caso, serve per dare una curvatura dinamica complessiva alla
185
forma e a far si che la giustapposizione di frasi non sia una semplice addizione, ma una crescita direzionata.
Naturalmente, quando si passa dalla frase all’intera forma di una musica il trasferimento sul V si potrebbe
quindi pensare alla struttura armonica di una composizione come a una grande cadenza. Proseguendo da
quest’osservazione, la composizione musicale potrebbe essere vista come un processo di elaborazione di una
struttura elementare assai semplice. In effetti, il concetto di prolungamento, che ha avuto una certa fortuna
nell'analisi musicale del XX secolo, gode tuttora di vasto favore. Il metodo di analisi schenkeriano si basa sui
concetti di riduzione e prolungamento, che sono l'uno in relazione con l'altro. La teoria si basa sul
presupposto che una musica tonale costruita bene sia espressione in superficie di una struttura profonda
costituita da un passaggio armonico e contrappuntistico elementare74:
Esempio:
Va considerato tuttavia che l'analisi musicale persegue finalità che non coincidono con quelle del musicista –
compositore o esecutore - e che in alcuni casi non hanno proprio nulla a che vedere con esse. Detta in termini
generali, chi fa analisi musicale per mestiere è interessato agli aspetti sistematici della musica e alle teorie di
diverso tipo che si possono elaborare a partire dalle sintesi che l'analisi rende possibili; il musicista è
interessato al processo, al fare musica nota dopo nota all'interno di un quadro di riferimenti formali,
strutturali e di stile che sono forniti dalla prassi e dalle consuetudini di scuola o del tempo. Per chi fa analisi è
importante rilevare come al fondo di musiche anche molto diverse permangano determinati requisiti
strutturali ritenuti importanti per verificare la tenuta di una certa teoria; e per esempio può essere importante
vedere come la struttura di una musica anche molto complessa di una sinfonia romantica sia ancorata al
movimento armonico essenziale che porta dalla Tonica sul V e da questo di nuovo alla Tonica; la teoria
dell'analista provvederà a spiegare il perché di tali affinità strutturali. Il compositore romantico si muove
tenendo presente che esiste una certa prassi secondo cui conviene ancorare la forma musicale a quella
struttura armonica, ma è interessato soprattutto a ciò che c'è tra la Tonica e il V, e tra il V e il ritorno alla
Tonica. Lì, mentre si procede di battuta in battuta, nulla è prolungamento, tutto è necessario a materializzare
il contenuto espressivo della musica che ha in mente. Mi aiuto con un esempio semplicissimo: quattro battute
in cui si ripete la stessa melodia, armonizzata in modo simile, ma non uguale; immaginiamo si tratti delle
quattro battute con cui inizia una musica di una certa durata. Per chi fa analisi in entrambi i casi si tratterebbe
di un prolungamento dell'accordo di Tonica: si inizia e si finisce sull'accordo di Do, sul battere di ogni
battuta viene ripetuto lo stesso accordo o un suo derivato (nel secondo esempio sul battere della seconda
battuta si trova l'accordo di La min7 che viene considerato appunto derivato del I), tutti gli accordi sul terzo
tempo della battuta possono essere considerati come “accordi di volta o fioritura”
Esempio 6.33
Sarà un esercizio utile confrontare lo schema proposto con la musica che va più o meno dalla metà del XVII
secolo alla fine del XIX. E non andranno scartate le eccezioni; al contrario, esse ci solleciteranno a evitare di
assegnare fondamento di verità assoluta alle nostre sintesi teoriche e a sfidare le nostre teorie mettendole a
confronto col piano sconnesso della storia e dell'evoluzione del gusto.
74
Per una introduzione sull’analisi schenkeriana si veda il testo citato in bibliografia di questo capitolo di Drakbin,
Pasticci, Pozzi.
186
Ipertesto 10: la tonalità nella musica attuale
Benché ancora in un certo numero di casi i giri armonici della musica attuale rispecchino il modello delle
funzioni tonali richiamate nella del testo (p. di questo capitolo, in altrettanti e via via sempre più casi i giri
armonici non possono essere inscritti in quello schema.
Oggi sono molti, forse anche troppi gli stili che si affiancano gli uni agli altri; si fatica a tenere il conto delle
mode e degli usi che rinnovano il suono della musica attuale con velocità inimmaginabile fino a pochi anni
fa. Il linguaggio della musica di oggi rappresenta l’evoluzione di quello del passato: molto di esso ancora
sopravvive in forme analoghe a quelle di pochi decenni fa, altrettanto e di più si è trasformato.
Il blues
Tra gli stili che hanno influenzato la musica di consumo del XX secolo c'è il blues. Pur essendo vero che
l'armonia blues appare fortemente caratterizzata, in realtà essa non fa che mettere in rilievo e utilizzare
sistematicamente tecniche già conosciute e ampiamente sperimentate nell'armonia classica. Sono due in
particolare le tecniche più usate: il cromatismo e la dissonanza; al disotto di questi, l'armonia si svolge
secondo circuiti piuttosto convenzionali. Le prime battute dell'esempio mostrano un passaggio tipico, in cui
gli accordi dissonanti si susseguono scivolando cromaticamente uno sull'altro.
Esempio 6.30
Da V. Young, Stella by starlight
Il giro armonico tipico del rhythm’n blues e poi del rock’n roll propone inoltre un passaggio sistematico dal
IV sul V che l’armonia classica usa solo eccezionalmente; lo riprendo sinteticamente, senza curare l’aspetto
ritmico della sequenza:
Esempio 6.31
Nell'accordo di F7 (b. 2 e b. 5 dell'esempio precedente) il mib sale nella risoluzione per grado congiunto,
anziché scendere come dovrebbe secondo le norme dell'armonia classica. In realtà, in questo caso, si tratta di
una scrittura di comodo: il mib è in realtà un re diesis che, come nota aumentata (ancora secondo le regole
dell'armonia classica) sale per grado congiunto nella risoluzione75.
La dissonanza è usata con una certa libertà; nell'esempio che segue sale, anziché scendere come dovrebbe
essere secondo la teoria classica (nel secondo accordo Bb7/F, il lab sale sul la bequadro). Non si deve
immaginare tuttavia che la dissonanza venga trattata come una consonanza, in questo repertorio: se non
risolve per grado congiunto discendente, è perché gli accordi vengono fatti scivolare per grado congiunto,
per lo più cromaticamente.
75 È impossibile trattare questi argomenti senza anticipare alcuni argomenti che saranno trattati più avanti in questo
manuale. Per il trattamento delle note alterate si veda il capitolo sull'armonia cromatica.
187
Esempio 6.32
da E. Burnett, My melancholy baby (inizio del chorus)
Nonostante queste caratteristiche non convenzionali, l'armonia blues resta fondamentalmente classica; in
particolare, ciò che resta inalterata è la funzione tonale degli accordi, distribuiti nelle tre aree della tonica,
della pre-dominante e della dominante, come quella classica.
Per il resto, anche in questo caso non c'è che suonare ascoltare e suonare musica in quantità: è necessario per
farsi un'idea dello stile e capirne i procedimenti dal di dentro.
La tonalità nella popular music.
Intanto si dovrebbe dire a quale popular music ci si riferisce. Basta farsi un giro in rete per vedere quanti
siano gli stili solo nella sica di oggi; se poi si considera che si fa popular music da quasi un secolo...
Come anche la musicologia più aggiornata ha riconosciuto, la popular music, molto più del jazz, si colloca in
linea di continuità con la musica colta della tradizione occidentale; in particolare rappresenta una
continuazione dello stile e del linguaggio classico per l'aspetto che ci interessa di più qui, ovvero quello
tecnico-compositivo [Dahlhaus – Eggebrecht, p. 69]. Ascoltando una canzone degli anni '50 la vicinanza è
evidente; man mano che ci si avvicina ai nostri giorni è altrettanto evidente che la distanza del procedimento
di composizione molte volte aumenta in modo considerevole; una cosa è una canzone di Celine Dion, in cui
l'arrangiamento della sezione degli archi è sostanzialmente classica, altra cosa è una canzone rap. Nel tempo
hanno influito la prassi delle band di creare la musica direttamente in studio, favorendo l'incidenza
dell'aspetto esecutivo nella realizzazione del prodotto finale; e certamente ha influito, influisce e influirà
sempre di più la possibilità di usare i mezzi informatici.
La musica attuale è realizzata per lo più con un mix di strumenti e voci naturali, sovrapposti a suoni sintetici
o campionati. Anche le performances dal vivo – a seconda ovviamente del genere musicale - sono per lo più
realizzate nello stesso modo e spesso la commistione di strumenti e suoni prevede l'uso di una base digitale
cui si sovrappone il suono degli strumenti acustici e delle voci.
È assolutamente impossibile sintetizzare la molteplicità di quel che viene contenuto nel termine popular
music. Sembrerebbe ora che la tonalità intesa in senso classico si sta pian piano superando; nella musica
attuale assai spesso i giri armonici non sono realizzati con sequenze di accordi assimilabili a quel che è
descritto nella tab. 1. le scale utilizzate, altrettanto spesso, non sono riconducibili alle classiche scale
maggiori/minori. Insomma, il linguaggio si evolve e lascia emergere un fatto difficilmente immaginabile fino
a pochi decenni fa; ovvero che la tonalità rappresenta probabilmente non più che una fase dell'evoluzione del
nostro linguaggio e che attualmente si sta scivolando verso un nuovo utilizzo delle scale modali; su questi
aspetti, sull’armonia, sulla modalità, sui giri armonici della musica attuale è bene leggere quel che ha scritto
Tagg [Tagg, 2011, p. 146 e segg.].
In molta della musica attuale sia le successioni di accordi come le cadenze sono differenti da quelle descritte
nella tabella del testo. Sono frequentissime le successioni di accordi le cui fondamentali sono a distanza di
terza ascendente (cosa rarissima nell'armonia classica); non prevalgono le successioni di quinta discendente.
L'armonia è assolutamente semplificata, sia rispetto ai traguardi dell'armonia tardo-romantica, che rispetto
all'armonia Jazz; vi è un uso limitato del cromatismo e degli accordi dissonanti; il più delle volte gli accordi
sono allo stato fondamentale. Le successioni di accordi sembrano conformarsi a modelli prevalenti nei quali,
ancor più che nell'armonia classica, la logica di successione è regolata dalla relazione tra sequenza di accordi
e posizione metrica di essi. Tra tutti, il giro armonico esemplificato qui di seguito – che si trova impiegato in
188
musiche di diverso genere - sembra coagulare le tendenze del gusto emerse da qualche anno. Si noterà la
caratteristica più rilevante, che è la mancanza di una polarità propriamente tonale; l'accordo che funge da
“tonica”, ovvero l'accordo sul quale la sequenza si proietta, può variare a seconda dell'appoggio metrico della
frase, restando inalterata la successione di accordi. Nell'esempio sono mostrate due versioni possibili (e oggi
molto frequenti) dello stesso giro armonico; la tonica, nei due casi, è differente.
Esempio 6.33
Altri giri armonici sono possibili; caratteristiche ricorrenti, dal punto di vista armonico e tonale, sono il forte
diatonismo, il riferimento solo occasionale alle funzioni classiche, la preferenza per strutture fraseologiche
regolari, che ripetono giri armonici costanti. Come puro esempio, senza alcuna pretesa di sistematicità,
riporto qui sotto i giri armonici di alcune canzoni che il giorno 19 settembre 2012 risultavano essere tra le più
vendute in Europa. In alcune di queste canzoni compare il giro armonico appena esemplificato.
Kate Perry, Wide awake, Gmin7 add4| Bb add9| F| C
David Guetta, I can only imagine, strofa: sospensione su E; ritornello: E| Bmin| A| E|
Pink, Blow me, strofa e ritornello: G| Bmin, Emin, C
Chris Brown, Don't wake me up, strofa e rit.: Gmin7/D, Eb add9, F, Gmin7
Simple Plan, Summer paradise, strofa: D, A, Bmin, G; rit. G| D| A| Bmin,A;G|D|Ax2
Carly Rae Jepsen, Good time, strofa e rit.: C min., A b, E b, B b.
Of monsters and men, Little talks, strofa e rit.: Bb min.| G b| D b| A b; Bb min.| G b| D b x2
Il fatto che si tratti di alcune canzoni assai popolari in un territorio così vasto come l'Europa non garantisce
ovviamente del loro livello estetico; sicuramente fornisce indicazioni non trascurabili circa la direzione
prevalente che segue l'evoluzione del linguaggio musicale.
Non c'è dubbio che a confrontare questi esempi con una musica di Brahms, viene da pensare che l'evoluzione
in questo caso si sia fatta prendere un po' la mano dal gusto di semplificare. Ma è necessario moderare il
giudizio.
a. vi sono stati altri periodi della storia della musica nei quali il gusto estetico prevalente ha indotto una
semplificazione dello stile; semplificazione dello stile non significa necessariamente decadimento estetico.
Nella musica di Hanz Zimmer (compositore tra i più acclamati di colonne sonore) i giri armonici spesso sono
coincidenti con quelli riportati qui sopra; ma l'orchestrazione è classica, è classico il contrappunto, il livello
estetico sicuramente in molti casi è elevato.
b. I linguaggi non sono mai semplici o difficili: sono mezzi per comunicare e, da questo punto di vista, sono
adatti all'uso che se ne fa. Si può tutt’al più discutere sulla complessità, sulla ricchezza, sulla vastità di
orizzonti che la musica cosiddetta popular mette in gioco nelle singole opere.
c. Se dal punto di vista armonico tonale c'è stata una evidente semplificazione, vi è una ricercatezza
estremamente maggiore rispetto al passato per quel che riguarda la dimensione timbrica della musica.
Sembra di poter dire che una certa essenzialità dei percorsi tonali serva per permettere alla musica di
svilupparsi secondo piani timbrici, senza perdere continuità; in questo certamente non è secondario quanto la
tecnologia abbia messo a disposizione dei musicista soprattutto attraverso l'elettronica. La popular music,
nella molteplicità caleidoscopica delle sue manifestazioni, è un bacino nel quale confluiscono tutte le
esperienze ritenute più interessanti della nostra cultura musicale
Un esercizio sicuramente fruttuoso, volendo conoscere meglio la popular music, è quello di ascoltare e
suonare musiche di epoche differenti, e di trascriverne i giri armonici.
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Bibliografia capitolo VI
Dahlhaus, C - Eggebrecht, H. H., Che cos'è la musica?, Bologna, 1988.
Drakbin, W. - Pasticci, S. - Pozzi, E., Anallisi schenkeriana. Per un’interpretazione organica della
struttura musicale, Lucca, Lim, 1995.
Sabbatini, G., Regola fecile e breve per sonare sopra il basso, Venezia, Salvadori, 1628,
Tagg, P., La tonalità di tutti i giorni. Armonia, modalità nella popular music: un manuale, a c. di F.
Fabbri, Il Saggiatore, Milano, 2011
190
Ipertesti capitolo VII: Accordi dissonanti
con funzione di dominante
Ipertesto 7.1: gli accordi del gruppo della dominante
La funzione di dominante è svolta dagli accordi costruiti sul V e sul VII del modo maggiore e di quello
minore (in VII del minore andrà alterato in senso ascendente per avere la sensibile). L’argomento è stato già
toccato nell’ipertesto 8 del terzo capitolo. Ripartiamo di lì, ovvero dal fatto che alcuni accordi vengono
considerati secondo alcune teorie, come derivati da altri accordi. Così, quelli sul VII altro non sarebbero che
degli accordi originariamente costruiti sul V, privati della fondamentale; la triade costruita sulla sensibile
sarebbe in origine una settima di dominante in cui viene soppressa la fondamentale. Esattamente come
mostrato nell'esempio seguente:
Esempio 7.1
È evidente come questa spiegazione sia generata all'interno di una teoria che individua le funzioni
fondamentali dell’armonia negli accordi costruiti sul I, Vi e IV della tonalità. Si tratta di una argomentazione
puramente logica, che presume un sistema musicale “a priori” fatto in un certo modo e che esprime la
tendenza umana a innamorarsi delle teorie quando queste assumono l'aspetto di sintesi razionalmente
convincenti. Dal punto di vista pratico e storico la spiegazione va rigettata totalmente: non ha alcun senso e
compromette la corretta comprensione delle cose, sia dal punto di vista armonico, che contrappuntistico.
Basti dire che la triade costruita sul VII, usata allo stato di rivolto, ha iniziato a essere impiegata nella musica
pre-tonale giusto qualche secolo prima della settima di dominante da cui essa sarebbe derivata...
Se la funzione di dominante può essere svolta dagli accordi costruiti sul V e sul VII, si dovrà andare a
cercare il perché nella musica pre-tonale. Anticamente, come già accennato, la clausola finale di una parte
della musica o dell'intera musica, in un contesto contrappuntistico a due voci veniva realizzata univocamente
come nell'esempio seguente, ovvero con un doppio movimento per grado congiunto delle due voci verso la
nota finale; ciò genera un passaggio da una 6ª maggiore a una 8ª giusta
Esempio 7.2
Usando come riferimento l’esempio appena fatto, immaginiamo ora il passo successivo, quando il numero
delle voci si doveva portare a tre o a quattro; la regola della composizione contrappuntistica per intervalli
consonanti sul tempo rispetto al suono più grave non dava spazio, se non a due uniche alternative a seconda
che il grado congiunto discendente fosse intonato dalla voce grave, o da una voce intermedia. Se il II che
scende al I (negli esempi il mi che scende sul re) si trova al basso, sopra il mi non può essere usato che il sol
(se sopra al mi come nota del basso mettessimo il la, questo genererebbe con il mi un intervallo di 4ª, e la
4ª, in queste condizioni, è dissonante); se il mi è in una voce intermedia e devo aggiungere una parte di
basso, sotto il mi non può che andare il la; ogni altra nota darebbe infatti intervalli dissonanti:
Esempio 7.3
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Nell'esempio che segue, nella tonalità di Do mag., a breve distanza l'uno dall'altro si trovano entrambi gli
esempi di cadenza appena spiegati:
Esempio 7.4, da A. Scarlatti, Exsultate Deo, seconda parte Jubilate Deo
Ecco dunque gli accordi del gruppo della Dominante usati nell’armonia classica:
Accordi con finzione di dominante
Costruiti sul V
Triade di dominante
Settima di dominante
Nona di dominante
Costruiti sul VII
Triade di sensibile
Settima di sensibile
Bisogna intendersi quando si dice “nell’armonia classica”, perché l’armonia di Bach non è quella di Puccini.
Si può dare per scontato che dal ‘700 in poi sia le triadi che gli accordi di 7ª fossero parte del patrimonio
musicale comune, come sempre prima sul piano pratico, poi su quello teorico. Più complicata è la
considerazione degli accordi di 9ª, tutti, non solo quello di Dominante. E’ difficile dire quand’è che nella
pratica si è cominciato ad avere la “sensazione” degli accordi di 9ª; sicuramente non prima di Beethoven, ed
in ogni caso è dall’epoca tardo-romantica, dalla seconda metà dell’Ottocento, che la musica mostra un
impiego autonomo degli accordi di 9ª, tale da rendere credibile che la l’intervallo di 9ª non sia considerato
come un ritardo o un’appoggiatura dell’8ª (a proposito dei ritardi e delle appoggiature vedi il capitolo
dedicato).
Gli accordi di 7ª sono divenuti accordi di 7ª quando si è cominciata ad apprezzare e a ricercare la loro
sonorità, a prescindere dalle condizioni contrappuntistiche che potevano provocarne la costruzione anche
quando non fossero concepiti come tali, cioè come accordi di 7ª: nella musica di Palestrina sono
frequentissimi gli accordi di 7ª, ma la loro costruzione rientra nella prassi corrente del trattamento della
dissonanza in sincope; alla fine del ‘600, ormai, gli accordi di 7ª non vengono costruiti solo in sincope sui
tempi forti della battuta, ma anche su quelli deboli. È il segno del cambiamento. Nel nostro repertorio non
c’è un segno altrettanto chiaro del periodo in cui si sia cominciato a usare gli accordi di nona in quanto tali.
La rilevanza statistica e la considerazione dell’armonia in una dimensione sempre più coloristica sono gli
elementi decisivi; in questo senso, è corretto dire che l’armonia accoglie gli accordi di nona all’interno della
prassi dal terzo, quarto decennio del XIX secolo; di lì in avanti gli accordi di nona poi quelli ancora più
complessi di undicesima e tredicesima contribuiscono a definire un quadro nel quale la dimensione del
timbro diventa sempre più rilevante.
Ipertesto: la triade di sensibile
La 5ª diminuita dell'accordo, come ogni dissonanza, dovrebbe risolvere scendendo per grado congiunto; ma
nella musica non funziona sempre così, senza che ciò si debba considerare un’eccezione.
La triade diminuita, nel corso del XVIII secolo, è stata sostituita pressoché definitivamente con gli accordi
costruiti sul V, in particolare con la 7^ di dominante. Per trovare la triade diminuita impiegata con una certa
frequenza si deve andare indietro nel tempo, al Rinascimento e al primo e medio Barocco. Bene, in questo
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periodo la costruzione delle armonie avviene, come ampiamente descritto nel secondo capitolo, per
sovrapposizione d’intervalli rispetto alla nota più grave, non ancora per sovrapposizione di terze. È per
questo che nell'esempio 7.4 Scarlatti fa salire tranquillamente la quinta diminuita dell'accordo che si trova
nella parte dell'alto, perché, dal suo punto di vista, il fa non è quinta diminuita dell'accordo, ma una terza
minore sul re del basso; la terza minore è consonante e risolve scendendo o salendo, liberamente.
Nell'esempio seguente sono indicate gli usi possibili di questo accordo.
Esempio 7.5
I casi rappresentati qui sotto devono ritenersi ipotesi di valore puramente scolastico; nella prassi musicale
non s’impiegano se non in casi assai rari.
Esempio 7.6
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