Paolo Teodori Fondamenti di composizione Testo sintetico con approfondimenti ________ Roma, novembre 2015 Indice Introduzione Testo breve, PRIMA PARTE Capitolo I: Scale e Modi - Semitono/tono - I modi usati nella nostra musica - Relativo maggiore/minore - Alterazione del VII per avere la ‘sensibile’ - Trasposizione delle scale e nome della scala - Alterazioni costanti - Scale /tonalità possibili in base alla scala cromatica - Altre scale in uso nella musica attuale - Relazione gerarchica tra i gradi della scala; nomi convenzionali attribuiti ai gradi 7 12 13 13 13 14 14 15 16 16 16 17 Capitolo II: intervalli 18 Capitolo III: Accordi, definizioni, costruzione - Classificazione delle triadi - Classificazione delle settime - Identificazione dell’accordo - Costruzione dell’accordo, regole generali - Posizione melodica - Disposizione armonica - Stato del basso - Raddoppi e omissioni 20 20 21 21 21 21 22 22 22 Capitolo IV: numeri e sigle - Numeri arabi - Numeri romani - Sigle impiegate nella musica attuale 24 24 25 25 Capitolo V: Condotta delle parti/voci - Moto melodico/moto armonico - Moti melodici proibiti - Moto armonico - Tipi di moto armonico - Errori nel moto armonico ed eccezioni alle regole - Condotte obbligate: sensibile, note alterate, dissonanze 27 27 27 27 27 28 29 Capitolo VI: tonalità e cadenze - Tonalità - Cadenze - Formule di cadenza 31 31 32 33 Capitolo VII: accordi dissonanti - Triade diminuita Triade di sensibile Triade diminuita sul II della scala minore - Accordi dissonanti con funzione di dominante Settima di dominante Accordi di nona di dominante Nona di dominante maggiore Nona di dominante minore Accordi di 7^ sulla sensibile 34 34 34 34 34 34 35 35 36 36 2 7^ di sensibile 7^ diminuita - 7^ sul II della scala maggiore - 7^ sul II della scala minore - Altri accordi di 7^ 36 36 37 37 38 Capitolo VIII, Note di fioritura 39 Capitolo IX: Ritardi e appoggiature - Ritardi Ritardo della fondamentale degli accordi sul I e sul II Ritardo della 3^ sul I e sul V allo stato fondamentale Ritardo della 3^ nel secondo rivolto degli accordi di 7^ sul V e sul II Ritardo della 3^ al basso Ritardo della 5^ - Appoggiature 41 41 41 41 42 Capitolo X: Sequenze (progressioni) - Alcuni modelli di sequenza Basso che scende di 5^ e sale di 4^ (tonale) Basso che scende di 5^ e sale di 4^ (modulante) Basso che sale di 4^ e scende di 3^ (tonale/modulante) 43 43 43 44 44 Capitolo XI: Armonia cromatica - Alterazione relativa/reale - Effetto modulante/non modulante - Alterazioni più comuni IV aumentato VI abbassato II abbassato (“sesta napoletana”) - Enarmonia Trasformazione enarmonica della sesta aum. tedesca in 7^ di dominante Trasformazione enarmonica della 7^ dim. 46 46 46 46 46 47 47 48 48 Capitolo XII: Modulazione - Composizione di un giro armonico tonale - Grado di affinità - Tecniche di modulazione Tramite accordo comune Accordo in comune: 1° gradi di affinità Accordo in comune, 2° grado di affinità Accordo in comune, 3° grado di affinità Accordo in comune, 4° grado di affinità Tramite cromatismo Tramite enarmonia Modulazione ai toni lontani con trasf. enarm. della 7^ dim. Mod. ai toni lontani con trasf. Enarm. Della 7^ di dom in 6^ tedesca. Transizione 49 49 49 50 50 50 51 51 52 52 53 53 Ricapitolazione: regole essenziali 55 42 42 42 48 53 54 3 Testo breve, SECONDA PARTE 56 Note preliminari - Armonizzazione di ogni tempo della battuta - Errore di sincope armonica - Cambio di posizione melodica - Tempo - Pause al basso 56 56 56 56 57 57 Armonizzazione dei gradi della scala I II III IV V VI VII 58 58 58 60 60 61 62 63 Regola dell’8^ 63 Argomenti specifici 1. Modulazioni al basso 1a. Alterazioni al basso 1b. Movimento tipici del basso 2. Note di fioritura 2a. Note reali, di arpeggio 2b. Note estranee, di passaggio o di volta 3. Basso in sincope e ritardi al basso 3a. Basso in sincope 3b. Ritardi al basso 4. Ritardi 4a. Ritardo della 3^ sul I e sul V allo stato fond. 4b. ritardo della 3^ nel secondo riv. Degli accordi di 7^ sul V e sul II. 4c. Ritardo dell’8^ della fondamentale 4.d (Ritardi al basso: vedi su “basso in sincope”) 5. Sequenze (progressioni) 5a. Sequenza di basso legato discendente 5b. Sequenza circolare di quinte discendenti 5c. Basso che scende di 3^ e sale di grado 5d. Basso che sale di 4^ e scende di 3^ (tonale/modulante) 5e. Basso che sale di 5^ e scende di 4^ 5f. Basso cromatico discendente: cfr. p. 44 5g. Basso cromatico ascendente: cfr. p. 44 Sequenze imitate 64 64 64 65 66 66 67 68 68 68 70 70 70 IPERTESTI Ipertesti capitolo I: scale e modi 1.1 Scale e modi 1.2. La scala nel periodo del canto gregoriano; uso del si bem. 1.3. Uso del nome dei modi nella musica attuale 1.4. Scala minore naturale e altri tipi di scala minore 1.5. Uso “in superficie” della scala pentatonica nella musica attuale 1.6. uso attuale della scala minore 1.7. Scala blues 1.8. Gerarchia dei gradi della scala 71 71 72 72 72 73 73 73 73 75 75 79 80 80 81 82 83 83 4 1.9. Gradi e metrica Il quinto grado Funzione dei gradi e disposizione delle frasi: antecedenteconseguente. Prevedibilità 1.10. Inventario sintetico delle funzioni dei gradi 84 84 85 Ipertesti capitolo II: Intervalli 2.1. Intervalli e contenuti affettivi 2.2. Intervalli melodici e dinamica della melodia 2.3. Intervalli armonici consonanti/dissonanti; fenomeno fisico armonico 2.4. Intervalli consonanti/dissonanti, ovvero stabili/instabili 2.5. Trattamento tradizionale/attuale della dissonanza 2.6. In un intervallo dissonante, quale dei due suoni è dissonante? 89 89 92 96 Ipertesti capitolo III: Accordi, definizione, costruzione 3.1. Perché il minimo per formare un accordo è tre suoni e non due? 3.2. Gli accordi secondo una visione più larga e secondo la nostra cultura. 3.3. Origine contrappuntistica degli accordi 3.4. Attorno all’origine degli accordi di settima 3.5. Formazione degli accordi per sovrapposizione ideale o reale d’intervalli di terza. 3.6. Basso fondamentale e tonica, tre cose differenti 3.7. Classificazione degli accordi dei gradi delle scale (maggiori, minori), teorie. 3.8. Classificazione degli accordi di 7^ in relazione a costruzione e risoluzione 3.9. Classificazioni, grammatica, linguaggio 3.10. Attorno alla disposizione armonica stretta/lata (chiusa/aperta) 3.11. Attorno allo stato del basso 3.12. Uso del secondo rivolto della triade (accordo di 4^ e 6^) 3.13. Gli accordi nella musica attuale 3.14. Raddoppi 3.15. Identificazione dell’accordo indipendentemente dal contesto tonale. - Accordi scritti in verticale o sciolti in arpeggio - Accordi deducibili da figure contenenti note estranee - Come riconoscere gli accordi in una scrittura con un numero limitato di voci. - Durata dell’accordo 103 103 103 Ipertesti capitolo IV: numeri e sigle 4.1. Evoluzione nell’uso dei numeri 4.2. Il basso numerato nell’epoca del basso continuo 4.3. La teoria del basso fondamentale 4.4. Simboli impiegati nella teoria funzionale dell’armonia 4.5. Quale sistema di notazione preferire? Bibliografia capitolo IV 140 140 140 145 146 147 148 Ipertesti capitolo V: Condotta delle parti/voci 5.1. Moto melodico, moto armonico: approfondimenti 5.2. Moto melodico la condotta melodica delle parti nei collegamenti di accordi 5.3. Moto armonico - Indipendenza e interdipendenza 149 149 152 153 155 155 87 99 100 101 103 105 107 107 108 108 112 115 119 123 124 129 131 131 132 134 136 5 - Riguardo l’errore di ottave, quinte e unisoni paralleli 5.4. Riguardo l’errore di unisoni, quinte, ottave per moto retto 5.5. Autocorrezione - Unisoni, quinte e ottave paralleli - Unisoni, quinte, ottave per moto retto 5.6. Falsa relazione di tritono 5.7. Praticamente: il collegamento degli accordi - Muovere le parti/voci il meno possibile - Collegamento di accordi allo stato fondamentale con suoni in comune - Collegamento di accordi allo stato fondamentale senza suoni in comune - Collegamento di triadi allo stato fondamentale e di rivolto 5.8. Un “errore” scolastico, unisoni, quinte e ottave paralleli a distanza 5.9. Considerazioni riguardo l’applicazione di queste regole nella musica 5.10. Trattamento della dissonanza - Non raggiungere le dissonanze per moto retto - Non far procedere le parti per dissonanze parallele - Ammesso con moderazione raggiungere le dissonanze per moto contrario - L’uso della preparazione (dissonanza raggiunta per moto obliquo) facilita l’intonazione della dissonanza 5.11. Costruzione e collegamento degli accordi di settima 5.12. Eccezioni nell’uso della dissonanza 155 156 157 157 158 159 159 159 159 160 160 164 165 168 169 170 170 170 171 172 Ipertesti capitolo VI, Tonalità e cadenze 6.1. La tonalità 6.2. Alle origini della tonalità Uso della dissonanza in sincope e cristallizzazione del meccanismo cadenzale 6.3. Osservazioni sulla quarta e sesta sul V in cadenza 6.4. Osservazioni sulla cadenza plagale 6.5. Annotazioni sulla cadenza evitata 6.6. Costruzione della frase sulla base del giro armonico tonale 6.7. Eccezioni nelle successioni armoniche tonali 6.8. Nota sul collegamento degli accordi in campo tonale 6.9. Tonalità, cadenze e forma musicale 6.10. La tonalità nella musica attuale La tonalità nella popular music 178 178 180 183 Ipertesti capitolo VII: Accordi dissonanti con funzione di dominante 7.1. Gli accordi del gruppo della dominante 7.2. La triade di sensibile 197 197 198 184 184 185 185 187 189 189 193 194 6 Introduzione La musica non è un’arte, ma un linguaggio. Come tale da un lato si serve di meccanismi di funzionamento comuni a qualsiasi altra lingua, dall’altro - ancora comunemente a qualsiasi altra forma linguistica - possiede una propria specificità formale e un campo privilegiato di contenuti di espressione. Certo, esiste un livello artistico dell’espressione musicale; ma non è il più usuale, né potrebbe esserlo. Dunque, nessuna paura a definire come “musica” anche quella che viene trasmessa normalmente per radio o che viene “sparata” nelle discoteche; e nessun problema deve esserci nell’ammettere che a questa musica non compete il livello d’arte proprio di una sinfonia di Beethoven o di una canzone di Battisti. C’è musica e musica, un po’ come le scarpe: ci sono quelle per le serate di gala e ci sono gli stivali da pescatore, che non sono belli, ma aiutano a non bagnarsi quando si entra in acqua. La qualità della musica non dipende necessariamente dalla capacità del musicista che la fa o che la esegue: spesso è in relazione con l’uso che di essa si fa. La dimensione estetica della musica è determinata da molti e complessi fattori. Anche tentando di ricostruire la trama complessa di tali fattori - che hanno a che vedere con la storia della cultura, con la funzione e il significato che una società dà all’arte e alla musica in particolare, con la capacità che hanno determinati individui attraverso particolari oggetti di dire e rappresentare i valori nei quali una certa cultura si riconosce – anche tentando di ricostruire questa trama, resta l’inevitabile soggettività del giudizio di gusto e la conseguente irriducibilità dell’estetica a un coefficiente di tipo matematico. Una lingua non nasce né muore per volontà individuale; si fonda sull’uso e si evolve attraverso di esso, così come si accumula e si deposita nell’esperienza quotidiana di secoli e millenni all’interno di una società umana più o meno ampia che si riconosce in quell’uso e comunica attraverso di esso. Sono l’uso e l’esperienza a costituire il fondamento di quell’insieme di consuetudini pratiche che si cerca di sintetizzare nelle “regole della grammatica”; le quali regole non hanno dunque il senso negativo che solitamente si attribuisce ad esse (questo non si fa, questo si però..., etc. etc.): sono, al contrario, il presupposto minimo ed essenziale della comunicazione. Comunicare concetti, sensazioni o emozioni si può grazie alle regole, non loro malgrado. Tutto sta ad intendersi sul concetto stesso di regola, il che non è facile. Perché le regole dei linguaggi, e dunque anche quelle della musica, non sono di natura matematica, del tipo cioè “2 + 2 = 4”. Sono tentativi di sintesi, elaborati osservando il funzionamento del linguaggio naturale, così come esso viene usato nell’esperienza; non hanno né possono avere confini definiti una volta per tutte. Quando, per esempio, nella lingua italiana dico la parola “città”, non ho il minimo dubbio di essere compreso da quelli che parlano la mia stessa lingua: per “città” intendo un complesso di edifici raccolti in quartieri attraversati da una serie di strade, con negozi, uffici, luoghi di divertimento e così via. Ci si intende, insomma, malgrado non esista una città uguale all’altra e non esista neppure una regola di tipo matematico che determini, facendo il più facile degli esempi, il numero minimo di edifici e strade di cui debba essere costituita una città. Non esiste una regola, anche una sola, che non possa essere superata nell’uso. Le eccezioni alla regola costituiscono uno dei fattori decisivi per l’evoluzione stessa del linguaggio. Non sono necessarie, ma sono inevitabili; poi, man mano che le eccezioni entrano nell’uso, il linguaggio e la sua grammatica cambiano. È ovvio che, per poter intendere qualcosa come eccezione, si deve possedere il codice comune di una lingua. L’apprendimento di una lingua e del suo codice avviene tramite acculturazione, attraverso l’uso di essa nella comunicazione con gli altri e con sé stessi. Le regole sono “relative”, nel senso che non hanno una validità universale: “città” significa qualcosa per me che parlo italiano, per un altro che non parli italiano non dice assolutamente nulla; in inglese la parola “city” (la cui etimologia è nel latino “civitas”, così come per l’italiano “città”) ha conservato un significato vicino ma non coincidente con quello di “città” (per “city” si intende propriamente il centro della città). E tuttavia, che le regole siano relative non vuol dire che una regola vale l’altra, o, peggio, che una regola possa essere sostituita quando e come si vuole con un’altra: non posso alzarmi la mattina e pretendere di parlare una lingua nuova, magari perfetta, con un lessico e una grammatica nuovi, progettati di notte al computer. Anche fare molto meno è impossibile; è impossibile, per esempio, decidere personalmente di 7 indicare con il termine “città” una bistecca ai ferri: non mi capirebbero gli altri e io stesso incespicherei di continuo. Guardiamo alla musica: la relatività delle regole della grammatica è dimostrata girandosi attorno nello spazio e nel tempo. La musica occidentale non è oggi quella che si faceva ieri (immaginiamo le difficoltà di un Josquin des Prez alle prese con i Beatles!), né è la stessa che si fa altrove ed il senso di estraneità che d’acchito suscita in noi la musica dei Pigmei è lo stesso identico che proverebbe un pigmeo ascoltando Beethoven: quanta demagogia a sentir parlare della musica come un “linguaggio universale”! Josquin e i Beatles: si intuisce, ascoltandoli, che si muovono in una matrice linguistica comune, che è poi la stessa di un concerto grosso di Corelli o di una sinfonia di Brahms, ma percepiamo con nettezza lo scarto profondo nel linguaggio. E’ la stessa sensazione di omogeneità e distanza che si ha leggendo Calvino e Alfieri, o, andando più indietro nel tempo, Dante. Si intuisce cioè che nella struttura del linguaggio è rimasto molto di simile o uguale (ed è ciò per cui noi diciamo che la Divina Commedia è in italiano) e insieme, però, che sono altrettanto numerose le alterazioni prodotte nel tempo dalle variazioni del gusto, dei costumi, delle mode o dai contatti con altre lingue. Certo, guardando agli estremi è facile cogliere le distanze di stili e strutture musicali; molto meno lo è guardando ai fenomeni più vicini. Di qui l’elasticità che si deve avere nel proporre regole in grado di delineare i contorni stilistici di determinate epoche o determinati compositori: perché gli stili slittano impercettibilmente e, prima ancora, sono essi stessi il risultato, la sintesi irriducibile a formula numerica, di infiniti stili precedenti e contemporanei. Come qualsiasi forma di conoscenza umana, anche l’elaborazione di uno stile musicale altro non è, né può essere, se non la rielaborazione di ciò che già si conosce. Il nuovo in sé non esiste né può esistere; l’aver enfatizzato l’originalità e l’averla imposta come valore estetico in sé (ciò che è avvenuto dall’epoca romantica avanzata fin vicino ai nostri giorni) ha incoraggiato la ricerca di nuove frontiere del linguaggio musicale, fino all'idea di far coincidere codice e opera; secondo tale equazione, ogni opera si distingue dall'altra perché inventa un linguaggio nuovo. Naturalmente, non si sindaca sulla liceità di operazioni simili; ma è quanto meno ovvio che la comprensione dei prodotti che seguono questo principio si limita ai discorsi che si fanno attorno ad essi – che infatti fluiscono copiosi e inevitabili – mentre è del tutto negata per le opere in sé. Dire “ho capito questa musica”, con riferimento a un'opera di questo genere, in fondo denuncia esattamente il contrario: ovvero il non aver capito nulla. Se si accetta di identificare la musica con gli oggetti prodotti utilizzando un linguaggio musicale naturale, si deve convenire sull'inopportunità di considerare musica in senso stretto i prodotti delle avanguardie musicali. Se non sono lingua, possono essere musica? Torniamo alla grammatica: quale grammatica? E questo è un problema: quale grammatica descrivere? Il fenomeno della sovrapposizione degli stili è sempre esistito; nell’esperienza di sempre e ovunque il linguaggio musicale è - come già detto - la sintesi complessa e mutevole di una serie illimitata di altre esperienze: quelle passate (che a loro volta sono già state forme di sintesi linguistica) e quelle presenti. Una lingua è in continuo movimento: pensare di fermarla in una grammatica è già un paradosso. Questo è vero sempre, ma riferito ai nostri giorni lo è di più. Radio, televisione, dischi e concerti ci fanno ascoltare quotidianamente, come fosse cosa normale, musica medievale e rock, Mozart, Bartolomeo Tromboncino e quant’altro: non c’è alcun limite; a volte, basta sentire una colonna sonora d’un film, per rendersi conto delle sovrapposizioni di cui siamo capaci. Se dovessimo metter giù una grammatica della musica che oggi si fa, dovremmo spendere fiumi di parole per dire tutto quel che è possibile. Si dovrebbero scrivere tante grammatiche per quanti sono almeno i filoni stilistici più importanti; o, addirittura, a voler capire meglio com’è fatta la musica di Mozart e Tromboncino, così come quella di Guillaume de Machaut o Lucio Battisti, si dovrebbero leggere gli studi musicologici più approfonditi che siano stati fatti a riguardo e subito dopo – cosa ancora più essenziale – si dovrebbe prendere carta pentagrammata e matita e cercare di fare qualche buon esercizio di imitazione. E tuttavia, anche questo non sarebbe sufficiente, perché chi si occupa di musica ha bisogno sì di studi analitici, ma, e in ugual misura, di studi sintetici, che rendano ragione, per lo meno nelle linee essenziali, di ciò che avvicina la grammatica della musica di Mozart a quella di Chopin. Si deve fare una sintesi, dunque, e 8 perché essa riesca bene, si deve aver chiaro intanto l’obiettivo che si vuole raggiungere. Questo libro si rivolge a chi studia musica ed esegue tanto Chopin come Mozart, Bach ed altri ancora un po’ più indietro nel tempo; ma vuole parlare anche della nostra musica di oggi, del nostro linguaggio musicale; quale che sia il giudizio estetico che se ne dà. I manuali che circolano attualmente nei conservatori risolvono il problema sostanzialmente in tre modi. Il primo è quello che ripete gli schemi collaudati dalla tradizione italiana (i partimenti, derivati dalla prassi del basso continuo), mondati dalle eccedenze stilistiche che già furono numerose nell’epoca stessa del basso continuo e rimandando in altra sede l’approfondimento sulle ragioni e sul senso dei meccanismi descritti praticamente; il metodo funziona, se viene applicato ragionevolmente, se viene sostenuto dal riscontro musicale di ciò che viene descritto, evitando la riduzione a regoletta numerica della risoluzione dei passaggi. Un altro modo di scrivere una grammatica del nostro linguaggio musicale è quello di concepirla come una grande raccolta dei principi essenziali dell’armonia (per esempio: come si costruiscono e si risolvono gli accordi di settima?), tenendo come punto di riferimento la tradizione del basso continuo e allargando la prospettiva quanto più si può sia all’indietro che in avanti nel tempo, fin dove lo sguardo riesce a conservare un minimo di coerenza. Ci sono poi i trattati di “armonia funzionale”, dove l’armonia tonale viene dedotta da alcuni elementari principi strutturali: ci torneremo su, intanto qui vale la pena di accennare al fatto che questi manuali servono più agli studiosi di teoria della musica che non ai musicisti pratici. Il problema sostanziale della didattica della teoria musicale è che essa per tradizione si muove su un terreno ostacolato da continui fraintendimenti ed equivoci: sul piano pratico, a volte capita di leggere regole assolutamente arbitrarie; sul piano didattico, spesso la comprensione delle cose è impedita del tutto. Il più insidioso di questi fraintendimenti - tanto più pericoloso perché genera a cascata una miriade d’altri fraintendimenti - è quello di confondere il senso stesso che ha una grammatica musicale; di pensare cioè che la grammatica sia un sistema naturale, frutto di meccanismi immutabili presenti in natura e non invece una descrizione sintetica e perciò limitata di quel che avviene nella pratica; una descrizione quindi di quel che avviene oggi e che è avvenuto per un periodo anche lungo di tempo, ma che domani può benissimo non accadere più. Quanti sono quei trattati di armonia che non iniziano ponendo il fenomeno fisico della risonanza armonica come premessa essenziale di quel che in seguito verrà trattato? Così è fatale l’errore, per esempio, di spiegare l’uso che noi facciamo della dissonanza e della consonanza servendosi del fenomeno fisico armonico, non meno di quanto sia fatale servirsi dello stesso fenomeno per spiegare le funzioni svolte dagli accordi all’interno della tonalità. Ed è un errore d’impostazione devastante, che affonda le radici nella distinzione che nell’antichità fu fatta tra la musica pratica (la musica di chi canta o suona) e la teoria della musica: fu allora che si inserì la musica nel numero delle arti liberali sì, ma non tra quelle letterarie e linguistiche (dove vennero ammesse grammatica retorica e dialettica), bensì tra le scienze matematiche (assieme all’aritmetica, alla geometria e all’astronomia). La musica, come qualsiasi fenomeno che riguardi l’uomo, poggia su tre piani, tutti reali: la natura fisica del suono, le nostre qualità e i nostri limiti psico-fisiologici, la cultura. Tenuto conto dei primi due e dei limiti che essi impongono, è l’ultimo il piano su cui si gioca la carta essenziale dell’uso dei materiali sonori al fine di comunicare ed esprimere. I primi due piani, di per sé, sarebbero nulla, se non vi fosse l’uomo a dire come si usano le cose. È l’uso a determinare le regole attraverso la condivisione; ed è dunque la condivisione lo strumento essenziale perché possa esistere un qualsiasi tipo di espressione. Ora, che la musica possa essere intesa come studio scientifico dello spostamento del suono nello spazio è cosa lecita; basta intendersi su quel che si vuol dire col termine “musica”. Ma assumere le leggi della fisica a fondamento del funzionamento del linguaggio musicale, o, peggio, dedurlo da esse come fossero principi posti a priori è improprio e impossibile; porta sempre a scontrarsi con una realtà irriducibile a formula matematica e dunque, inevitabilmente, a conclusioni sconclusionate e maldestre: ma se davvero il fondamento del linguaggio musicale sta in una legge fisica, perché non tutti i linguaggi musicali sono uguali? Quanto detto non toglie che debba essere tenuto in conto quel che nel nostro linguaggio musicale deriva dalle teorie della musica del passato e del presente: la teoria della musica ha influito e influisce nella determinazione del gusto e degli stili, che il suo sforzo descrittivo sia impostato correttamente o meno. 9 Oggi, con l’avanzamento decisivo degli studi intorno alla cultura dell’uomo e ai linguaggi come forme di espressione e comunicazione, è più difficile cadere negli equivoci del passato, e dunque non avrebbe senso fare una grammatica della musica che partisse da quegli stessi equivoci. Tuttavia, c’è, proprio oggi come accennavo sopra, una difficoltà enorme che deriva dalla complessità del fenomeno musicale contemporaneo: sono tanti gli stili e le tendenze che si accostano, oppongono e sovrappongono plasmandosi e riplasmandosi gli uni accanto alle altre nel campo della nostra esperienza musical; per rendersene conto, basta accendere una radio o fare attenzione a quel che si sente mentre si fa una passeggiata in città. Molta musica sinfonica da film di oggi si lega visibilmente alla letteratura del primo Novecento, sia per quel che riguarda il modo di comporre la musica, che per l’orchestrazione. Ma per altro verso si allontana da quella musica per via dei contatti che ci sono stati nel tempo con le correnti del blues, del jazz e della popular music: correnti che lungo il corso del ‘900 si sono distinte dalla tradizione classica evolvendosi da essa. L’allontanamento di queste correnti dal genere colto è venuto per conseguenza da un modo di vivere e fare la musica diversamente. Si pensi a quanto della musica moderna sia stato determinato dal modo di farla e ascoltarla, con la rapidissima espansione dei mass media; si pensi a quanto abbia potuto influire sulla tecnica e sul linguaggio musicale l’uso di materiali “poveri”, i piccoli “complessi” strumentali o l’approccio volutamente semplificato alla tecnica strumentale (per esempio la chitarra suonata solo per accordi); si pensi all’impiego sempre più importante della tecnologia, alla pratica del fare e produrre musica in studio, con gli amplificatori, i microfoni, gli effetti, il missaggio; si pensi all’espansione dell’informatica musicale in questi ultimi due decenni. Anche scorrendo di volo in modo così veloce il quadro dell’esperienza musicale contemporanea, sembra di poter individuare linee di tendenza esattamente opposte, l’una tendente alla semplificazione, l’altra alla sofisticazione e all’esaltazione del contributo tecnologico. Sono linee di tendenza che si riferiscono, alla lontana, a ideali estetici e a modelli antropologici dell’esperienza musicale altrettanto distinti, che tuttavia nel tempo sono entrati in contatto, influenzandosi e generando via via nuove tendenze e stili. L’armonia della musica moderna ha seguito fedelmente queste due tendenze e i successivi intrecci che si sono sviluppati dall’interazione di esse; da una parte si è semplificato, riducendo il numero dei tipi di accordo usati e dei giri armonici possibili (molte canzoni degli anni ’70 sono costruite sullo stesso identico giro armonico), dall’altra si è complicato fino a rompere gli argini della grammatica musicale e a inserirsi nella corrente della musica colta di avanguardia (per esempio Frank Zappa, il free jazz, ecc.). D’altra parte, insieme, mentre da una parte si complicava e dall’altra si semplificava, si sono tentate e ritentate sintesi di vario tipo, dando vita a nuove mode o, nei casi più importanti, a nuovi stili. Inutile E allora, se la grammatica della musica deve descrivere come la musica funziona, rimane comunque il problema accennato: quale musica descrivere, data la complessità dell’esperienza musicale di oggi? Ogni soluzione è evidentemente arbitraria. Si potrebbe descrivere la musica dell’epoca del basso continuo, se non altro per rimanere vicini alla prassi didattica più usuale; si potrebbe descrivere la musica del periodo romantico (e rimarrebbe da scegliere comunque tra le fasi diversissime del romanticismo); si potrebbe fare una qualsiasi cosa, ed essa non sarebbe più giusta o sbagliata di tante altre. Qui ho cercato innanzitutto di riprendere i principi essenziali dell’armonia classica, perché è necessario conoscerli se si vuole intendere meglio il vastissimo campo della musica colta tradizionale e perché la gran parte di essi trovano applicazione anche nella musica attuale. Nello stesso tempo, ho ritenuto opportuno integrare la descrizione della grammatica classica con osservazioni su ciò che, in linee generali, si fa oggi. Perché è assurdo, e certamente non aiuta a inserirsi nel mondo professionale, conoscere la prassi del basso cifrato e non saper interpretare le sigle dell’armonia attuale. Negli appunti che seguono cercherò di attenermi a questi indirizzi: 1. fare riferimento ai meccanismi essenziali (non principi a priori, per carità!) della nostra musica, a quelli più radicati nella storia della nostra cultura, per spiegarne funzionamento e regole; 10 2. non dare una regola che non abbia il suo riscontro nella pratica; nello stesso tempo, citare le regole scolastiche più importanti, argomento per argomento trattato, anche senza che queste regole hanno una natura essenzialmente didattica e non trovano origine nella pratica del fare musica. 3. limitare il numero delle regole a quelle che hanno mostrato una maggiore tenuta nel tempo; 4. limitare anche il numero delle regole senza far diventare a loro volta delle regole delle semplici applicazioni di una regola (questa è una prassi consolidata e apprezzatissima invece in una buona parte dei manuali di armonia in circolazione); 5. considerare la grammatica della musica tonale come la grammatica viva della nostra lingua musicale di oggi, non come descrizione asettica d’un fenomeno passato; l’esperienza musicale quotidiana di uno qualsiasi di noi è tonale, e quando fischiettiamo aspettando il verde al semaforo lo facciamo in Do maggiore o La minore, non di certo atonalmente, dodecafonicamente, esatonalmente o chissà come altro ancora. Ciò non deve indurre a fare della tonalità un feticcio: la tonalità si inserisce in un flusso storico continuo, e - a ben vedere certe soluzioni oggi praticate - verrebbe da dire che essa non sia se non un modo particolare di interpretare la modalità. Non è finita la tonalità: si sta evolvendo e trasformando al suo interno, per cui molte delle regole che descrivevano la musica del periodo di Bach vanno ancora bene oggi, altre meno; e altre ancora sono del tutto nuove. 6. Dal momento che la musica è fondata sul significato che noi diamo al suono e alla sua proiezione dinamica, ho ritenuto necessario integrare nella grammatica dell’armonia elementi del parametro melodico e di quello ritmico. 11 Testo breve Il testo breve di questi appunti è utile per una visione ‘insieme e pratica della materia. Per la migliore comprensione di quanto è esposto in questa parte è necessario lo studio degli approfondimenti collocati nella seconda parte degli appunti, gli ipertesti. Il testo è ancora allo stato di bozza; soprattutto per quel che riguarda la parte degli approfondimenti (ipertesti) deve essere completato. 12 Capitolo I: SCALE E MODI Per scala si intende l'insieme dei suoni, percepiti come differenti l'uno dall'altro, contenuti in entro la cornice dell'ottava e ordinati dal più grave al più acuto o viceversa. Una possibile definizione di scala, infatti, corrisponde alla “suddivisione dello spazio sonoro dell'ottava” (mentre chiameremo “modi”, per l'appunto, i diversi modi di suddividerla). Il nostro sistema musicale si basa su una scala che può arrivare a segmentare l'ottava in dodici parti equidistanti, dando così luogo alla scala cromatica. Quella che segue è un esempio di scala cromatica. Esempio 1.1 La scrittura musicale (e la nostra grammatica), a seconda dei contesti, rende corretto o utile scrivere lo stesso suono in diversi modi; tale possibilità si indica con il nome di “enarmonia”. Quanto affermato lascia capire che la scala cromatica appena proposta nell’esempio è solo una di quelle possibili secondo la scrittura dei suoni. Le possibilità delle trasformazioni enarmoniche hanno un limite: non si può andare oltre il doppio diesis o il doppio bemolle nell’alterare una nota. Ecco per esempio come si potrebbe indicare lo stesso suono annotato come la#: Esempio 1.2 Semitono/Tono La distanza più piccola tra suoni vicini della scala cromatica si chiama semitono; questo è detto diatonico quando ai due suoni viene dato un nome differente (per esempio re – mi bemolle); e cromatico quando vien dato loro lo stesso nome (per esempio re – re diesis). La distanza di tono è data dalla somma di un semitono cromatico con un semitono diatonico. L'ottava si può altresì suddividere in un numero diverso di segmenti tra loro differenti, dando origine a un'alternanza eterogenea di distanze: toni, semitoni o distanze maggiori al tono. Una scala formata in modo eterogeneo di toni semitoni e altre distanze tra i suoni si chiamerà diatonica; se la scala è formata di soli semitoni si chiama cromatica. Nelle pubblicazioni che parlano di musica il termine “scala” è spesso impiegato in luogo di “modo” ed è possibile quindi che si dica indifferentemente “modo maggiore” o “scala maggiore”. In questi appunti si farà lo stesso, dopo aver chiarito in ogni caso i confini lessicali dei due termini. I linguaggi musicali naturali non impiegano modi in cui i differenti gradi sono equidistanti fra loro; infatti, per qualsiasi cultura musicale la qualità essenziale dei modi è che i gradi siano riconoscibili l’uno rispetto all’altro, al fine di poter attribuire ad essi funzioni differenti; ciò si rende possibile solo se le distanze tra loro sono differenti. Le scale esatonali e quella di formata da dodici semitoni (come si trova nella musica dodecafonica, per esempio), usate nel repertorio colto della musica occidentale dall’inizio del ‘900, sono quindi frutto di scelte estetiche e non di evoluzioni del linguaggio in quelle direzioni. Ipertesto 1.1: scale e modi I modi usati nella nostra musica Nella nostra musica attuale sono impiegati differenti modi, tutti composti di sette suoni (scale o modi eptafonici). Il modo maggiore e quello minore, che sono stati prevalenti fino a qualche decennio fa, derivano dai modi in uso nella musica occidentale fino all'inizio del XVII secolo. Attualmente, accanto ad essi sono impiegati altri modi che prendono i nomi delle scale in uso nella musica medievale. I differenti modi risultano dalla giustapposizione distinguibile di toni e semitoni; semplificando e tenendo presente l'insieme dei suoni formato dai sette tasti bianchi del pianoforte, essi si ottengono individuando come primo grado del modo di volta in volta un suono diverso di quest'insieme. 13 Esempio: i modi eptafonici in uso nella nostra cultura Esempio 1.3 maggiore (ionico) dorico frigio lidio misolidio minore (eolio) Ipertesto 1.2: la scala nel periodo del canto gregoriano, uso del si bemolle Si chiamerebbe locrio il modo che ha per primo grado il si; tuttavia, non esiste musica che impieghi questa scala perché l’intervallo tra I e V della scala è diminuito (quindi difficilmente intonabile), e ciò contrasta con la tendenza a valorizzare l’alternanza dei due gradi nella struttura melodica e armonica della musica. Nella musica in genere (vale per il gregoriano come per una sinfonia di Schumann) dicendo che si è nel modo dorico di Re o in Re mag., si afferma che la musica, tutta, è costruita attorno al modo dorico o alla tonalità di Re. Con ciò non s’intende limitare la possibilità di modulare verso altre scale/tonalità nel corso della musica; piuttosto si dice che quel modo/tonalità è la cornice strutturale entro in cui si inscrive il percorso della musica nel suo insieme. Spesso chi fa musica moderna impiega il nome dei modi o delle scale in senso più limitato, riferito alla scala che si impiega sui singoli accordi di un certo giro armonico. Ipertesto 1.3: uso del nome dei modi nella musica attuale. Relativo maggiore/minore Nella teoria moderna – dove i modi di riferimento sono quello maggiore e minore e nella quale il modo maggiore si considera come paradigma del sistema musicale - il modo minore è considerato “relativo” del modo maggiore di cui ha gli stessi suoni, ovvero le stesse alterazioni costanti in chiave. La minore, per esempio, è la relativa minore di Do maggiore. In origine non il modo eolio non era considerato relativo di quello ionico. Alterazione del VII per avere la ‘sensibile’ Nella musica reale - da sempre - i modi che sono stati richiamati poco sopra s’impiegano introducendo frequentemente suoni alterati. Tra le alterazioni, riveste particolare importanza quella del VII grado che, alla fine di una frase (ovvero nella cosiddetta “clausola” o in “cadenza”), già dal basso medioevo si usava avvicinare di semitono al I del modo; ciò era necessario in quei modi - come il dorico, il misolidio e nella musica più moderna il minore - il cui VII grado naturale dista un tono dal I. Nella teoria moderna, il VII grado che in cadenza sale al I, a distanza di semitono, si chiama “sensibile”. Ecco un esempio d’uso della sensibile nel dorico di una musica del secondo ‘500. 14 Esempio 1.4, da T. Morely, Lo, here another Love Attenzione: nell'esempio appena proposto il si che si trova tra i due do diesis alla fine della melodia del soprano si deve intendere bequadro; l'intonazione dell'intervallo do diesis si bemolle è disagevole e sarebbe errato proporla. L'inserimento di questo tipo di alterazione, fatta da parte dell'esecutore come correzione estemporanea della scrittura, era comune anche nei modi medievali. Anche nel modo minore, le alterazioni del VII del VI si possono e si devono impiegare esattamente in questo modo. Il VII negli altri contesti è sempre naturale: Esempio 1.5: La scala minore è solo quella naturale, quindi; le altre cosiddette scale minori (quella armonica, melodica, bachiana, ecc.) sono solo un ausilio della didattica. È certo che, quando un compositore decide di scrivere una musica in tonalità minore, non potrebbe mai decidere di impiegare la scala minore melodica o armonica o chissà cos'altro. Ipertesto 1.4: Scala minore naturale e altri tipi di scala minore Trasposizione delle scale e nome della scala La divisione dell'8^ in dodici parti uguali rende possibile la costruzione di un qualsiasi modo a partire da uno qualsiasi dei dodici semitoni; la condizione è che si mantengano inalterate le distanze di tono o semitono tra i suoni del modo. Ad esempio, la scala mag. è caratterizzata dalla successione di distanze secondo il seguente schema: T – T S – T – T – T – S (T = tono; S = semitono); così come nella scala di Do mag.: Esempio 1.6: T T S T T T S scala di Do mag. Per avere una scala mag. a partire dal mi bemolle, non s'ha da fare altro che ripetere lo stesso schema di alternanze tra toni e semitoni: Esempio 1.7: scala di Mi bem mag La scala prende il nome del suo I grado; così, per esempio, la scala appena esemplificata è quella di Mi bemolle mag.; mentre per avere una scala dorica di La, si deve iniziare dal la e usare suoni della scala cromatica, in modo da avere la successione di toni e semitoni della scala dorica: Esempio 1.8: scala dorica di La 15 Alterazioni costanti La tonalità di Mi bemolle maggiore contiene i suoni mi, la e si bemolle; queste sono le cosiddette “alterazioni costanti”. Le alterazioni costanti non si devono considerare alterazioni in senso stretto, ma suoni naturali della scala di Mi bemolle maggiore. Quando si dice che una musica è in Mi bem mag., si intende dire che la scala di riferimento è quella di Mi bem. Mag.; in questo caso le alterazioni costanti si trovano messe in chiave: Esempio 1.9: Scale/tonalità possibili in base alla scala cromatica Facendo riferimento alla scala cromatica e alla possibilità di arrivare ad avere come alterazioni costanti fino a tutti e sette i suoni diesis o bemolli, si ottiene ogni possibile modo compreso nel nostro sistema musicale. Le alterazioni costanti aumentano di un diesis per volta man mano che si sale di quinta da primo grado a primo grado; aumentano di un bemolle (o diminuiscono di un diesis) man mano che si scende di quinta. Ciò dà luogo al circolo delle quinte, che per tradizione si riferisce al modo maggiore (in chiave di violino sono indicate le alterazioni costanti di ogni tonalità; in rosso e in maiuscolo sono indicate le scale maggiori, mentre accanto ad esse, in verde e in minuscolo le relative minori). Esempio 1.10: Quel che vale per il modo maggiore, vale anche per gli altri modi; sicché, se il modo minore di La non ha alcuna alterazione costante in chiave, avrà un diesis il modo minore di Mi che si trova una quinta sopra il la e avrà un bemolle in chiave il modo di Re che si trova una quinta sotto il la; e così via, di quinta in quinta a seconda che si scenda o si salga si avrà un diesis o un bemolle in più. Altre scale in uso nella musica attuale La realtà musicale attuale è assai varia; tuttavia, se si considera il modo come ciò che contiene l’insieme dei suoni che s’impiegati in una certa musica, i modi di riferimento restano quelli indicati e sono tutti di sette suoni. A volte alcune melodie o alcune parti di melodia fanno riferimento a scale differenti; le più frequenti sono quelle cosiddette pentafoniche (o pentatoniche). Attenzione: per dire che una musica sia “pentafonica” non basta che la sua melodia o una parte della melodia sia pentafonica. a. pentafonica/pentatonica.1 È assai frequente nella musica pop. La scala pentatonica è realizzata selezionando i suoni della scala di sette suoni, in modo da evitare l'intervallo di semitono tra i suoi gradi (per questo si dice scala “anemitonica”). 1 I due nomi di pentafonica o pentatonica sono usati l'uno per l'altro. 2 I termini “aumentato” ed “eccedente” vengono usati come sinonimi il più delle volte. In alcuni casi gli intervalli eccedenti sono considerati ulteriormente alterati rispetto a quelli aumentati. 16 Esempio 1.11a-b: pentatonica maggiore pentatonica minore Ipertesto 1.5: uso “in superficie” della scala pentatonica nella musica attuale. b. uso della scala minore. A seguito dell'evoluzione dell'armonia, anche le melodie che impiegano i modi maggiore e minore si comportano differentemente rispetto a quel che si sarebbe fatto secondo la tradizione classica; in particolare, la scala minore viene comunemente impiegata, ma senza far uso della sensibile. Ipertesto 1.6: la scala minore nella musica attuale c. scala blues La cosiddetta scala blues [ipertesto 8] deriva dall'uso di alterare in senso discendente i suoni 3 5 e 7 della scala diatonica maggiore; questi suoni abbassati si chiamano “blue notes”. Esempio 1.12: blue note Secondo un'altra interpretazione delle cose, la scala blues sarebbe una scala esafonica (scala di sei suoni) originata da una scala pentafonica minore in cui il V grado è presente sia come suono alterato in senso discendente che come suono diatonico: Esempio 1.13: Ipertesto 1.7: scala blues, approfondimenti Relazione gerarchica tra i gradi della scala; nomi convenzionali attribuiti ai gradi I gradi della scala sono legati tra loro da un rapporto dinamico che orienta la proiezione delle melodie [ipertesto 9]; nella teoria si attribuiscono nomi particolari ad alcuni gradi della scala – più importanti di altri nella strutturazione dei flussi melodici - proprio per denotare questo fatto. Si deve tuttavia ricordare che tali nomi – entrati ormai nell'uso comune negli ambienti musicali di ogni estrazione – non indicano i gradi della scala a livello melodico, bensì, più appropriatamente, gli accordi costruiti su quei gradi allo stato fondamentale. I nomi di tali gradi sono i seguenti: • il I si chiama TONICA • il V si chiama DOMINANTE • il IV si chiama SOTTODOMINANTE I nomi usati in alcuni manuali scolastici per indicare gli altri gradi della scala di sette suoni sono piuttosto inutili e non hanno nulla a che fare con caratteristiche dinamiche o gerarchiche dei suo i stessi. Ipertesto 1.8: gerarchia dei gradi della scala Ipertesto 1.9: gradi e metrica Ipertesto 1.10: un inventario sintetico delle funzioni dei gradi in senso dinamico. 17 Capitolo II: INTERVALLI Per intervallo si intende la distanza di altezza tra due suoni. Gli intervalli possono essere armonici (quando i suoni sono simultanei) e melodici (quando sono consecutivi). Ipertesto 2.1: intervalli e contenuti affettivi Ipertesto 2.2: intervalli melodici e dinamica della melodia Esempio 2.1 Gli intervalli si misurano considerando il suono inferiore come tonica di scala maggiore. Gli intervalli tra i diversi gradi della scala e il I sono tutti maggiori, tranne la 4^, la 5^ e l'8^ che sono giuste. Esempio 2.2 Alterando i suoni in senso ascendente o discendente si possono ottenere intervalli minori, diminuiti, aumentati (o eccedenti) giusto dim. - min. - Mag. - aum. (opp. eccedente)2 Un intervallo giusto, se alterato, diviene aumentato (o eccedente) o diminuito, mai mag. né min. (quindi, un intervallo mag. o min. non potranno mai diventare giusti se alterati). Esempio 2.3 Gli intervalli possono essere consonanti (se danno sensazione di stabilità) o dissonanti (se sono instabili e tendono a proseguire su un successivo intervallo stabile/consonante). Le consonanze perfette hanno un grado di stabilità maggiore rispetto a quelle imperfette. Ipertesto 2 Sono consonanze perfette: Unisono, 5^ giusta, 8^ giusta Sono consonanze imperfette: 3^ mag. e min.; 6^ mag. e min. Sono dissonanti: la 2^ e la 7^ di qualsiasi tipo e gli intervalli aum. e dim. Ipertesto 2.3: intervalli armonici consonanti/dissonanti; fenomeno fisico armonico Ipertesto 2.4: intervalli consonanti/dissonanti, ovvero stabili/instabili La qualità dinamica degli intervalli (ovvero la tendenza a proseguire o meno sull'intervallo successivo) è evidente nella seguente successione, dove l'unico intervallo definitivamente stabile appare essere l'ultimo: Esempio 2.4 6^ min. 7^ min. 6^ mag. 8^ giusta 2 I termini “aumentato” ed “eccedente” vengono usati come sinonimi il più delle volte. In alcuni casi gli intervalli eccedenti sono considerati ulteriormente alterati rispetto a quelli aumentati. 18 La 4^ si considera consonante solamente se i suoni di cui si compone sono entrambi consonanti rispetto a un suono grave: Esempio: Ipertesto 2.5: trattamento tradizionale/attuale della dissonanza Ipertesto 2.6: in un intervallo dissonante, quale dei due suoni è dissonante? Nella composizione le qualità dinamiche degli intervalli si combinano con quelle dei differenti gradi della scala e, come vedremo, degli accordi costruiti su di essi. La distinzione tra consonanza e dissonanza riguarda gli intervalli armonici (ovvero i suoni simultanei), non quelli melodici. Gli intervalli melodici possono essere cantabili o non cantabili. Solo in alcuni casi gli intervalli non cantabili sono anche dissonanti; ciò non toglie che nella pratica della composizione si tratta di argomenti totalmente distinti: 19 Capitolo III: ACCORDI, DEFINIZIONI, COSTRUZIONE Comunemente per accordo si intende la sovrapposizione di tre-sette suoni per intervalli di terza sopra un suono che viene detto “fondamentale” e che dà il nome all'accordo. La sovrapposizione di 2 suoni non dà un accordo, ma un bicordo; sovrapponendo un'ulteriore terza sopra il settimo suono si avrebbe la ripetizione della fondamentale. A seconda del numero di suoni di cui sono costituiti si avranno accordi di 3, 4, 5, 6, 7 suoni; Esempio 3.1: 3 suoni 4 suoni 5 suoni 6 suoni 7 suoni Ipertesto 3.1: perché il minimo per formare un accordo è tre suoni e non due? Ipertesto 3.2: gli accordi secondo una visione più larga e secondo la nostra cultura Ipertesto 3.3: origine contrappuntistica degli accordi Gli accordi possono essere consonanti o dissonanti. Sono consonanti se i suoni di cui sono costituiti sono tutti consonanti rispetto alla fondamentale; sono dissonanti se al loro interno si trovano uno o più intervalli dissonanti sempre rispetto alla fondamentale dell'accordo. Di fatto sono consonanti solo la triade mag. e quella min. (vedi qui di seguito la classificazione delle triadi). Tutti gli altri accordi sono dissonanti (triadi dim., aum.; tutte le settime e tutti gli accordi costituiti di 5-7 suoni). Gli accordi si costruiscono con i suoni della scala in cui ci si trova: se la musica è in Do mag., si useranno i suoni della scala di Do mag., per esempio. Ecco gli accordi costruiti su ciascun grado della scala mag. e min.: Esempio 3.2a-b Do mag. I II III IV V VI VII La min. I II III IV V VI VII Gli accordi si distinguono per la qualità specifica degli intervalli di cui sono costituiti; come indicato nell'esempio, le triadi di uso comune sono le seguenti: Classificazione delle triadi triade maggiore: 3^ mag., 5^ giusta triade minore: 3^ min., 5^ giusta triade diminuita: 3^ min., 5^ dim. 3 triade aumentata : 3^ mag., 5^ aum. Analogamente, si distinguono gli accordi di settima costruiti sui differenti gradi della scala mag. e min., in relazione agli intervalli di cui si costituiscono (sp. Abbrevia la parola “specie”, secondo cui si distinguono gli accordi di settima a seconda degli intervalli di cui si costituiscono); Esempio 3.3a-b: Do mag. La min. 3 La triade aumentata viene collocata sul III grado della scala minore armonica (con il VII alterato, sensibile). In realtà, la sensibile compare solo negli accordi che hanno funzione di dominante (quindi sul V e sul VII). 20 Ipertesto 3.4: attorno all'origine degli accordi di settima Classificazione delle settime 1^ specie: 3^ mag., 5^ giusta, 7^ min. (... 7^) 2^ specie: 3^ min., 5^ giusta, 7^ min. (... minore 7^) 3^ specie: 3^ min., 5^ dim., 7^ min. (... semidiminuita) 4^ specie: 3^ mag., 5^ giusta, 7 mag. (... 7^ maggiore) 5^ specie: 3^ min., 5^ dim., 7^ dim. (... 7^ diminuita) N.B. I puntini, nelle definizioni tra parentesi, vanno sostituiti con il nome dell’accordo; per esempio Do 7^ (ovvero Do settima), o Do min. 7^ (Do minore settima). Ipertesto 3.5: formazione degli accordi per sovrapposizione ideale o reale di intervalli di terza Ipertesto 3.6: basso fondamentale e tonica, tre cose differenti Ipertesto 3.7: classificazione degli accordi, scale (maggiore, minori), teorie. Ipertesto 3.8: classificazione degli accordi di settima in relazione a costruzione e risoluzione Ipertesto 3.9: classificazioni, grammatica, linguaggio. N.B. Gli accordi di settima vengono comunemente indicati dicendo il nome della fondamentale e il tipo di accordo, servendosi delle specificazioni sopra riportare tra parentesi (al posto dei puntini va quindi il nome della fondamentale dell'accordo); le indicazioni per specie sono comuni solo in ambito scolastico, neanche musicologico, sicché credo debbano essere pian piano abbandonate. Per indicare l'accordo seguente si può dire “Fa settima di 1^ specie”, oppure “Fa settima”; solo la seconda delle due è comune internazionalmente: Esempio 3.4: Fa settima di prima specie Fa settima Gli accordi di nona si classificano come quelli di settima (sul I della scala mag. si trova quindi una nona di 4^ specie; sul I della scala min. si trova una nona di 2^ specie, e così via). Identificazione dell'accordo Per identificare correttamente un accordo si deve: 1. Dire il nome dei suoni di cui si costituisce (comprese le alterazioni), disponendoli per terze sopra la fondamentale; 2. Dire di che accordo si tratta (triade/settima) e di che tipo; 3. Dire su quale grado della scala di costruisce allo stato fondamentale Costruzione dell'accordo, regole generali Gli accordi si costruiscono facendo riferimento a un ideale quartetto di voci, costituito da basso, tenore, contralto, soprano. Nella prassi del basso continuo e in quella attuale prevale la prima delle due disposizioni esemplificate qui di seguito (vedi oltre “disposizione stretta/lata” per la descrizione dei due tipi di scrittura); Esempio 3.5: Posizione melodica4: quando al soprano si trova la fondamentale dell'accordo quando al soprano si trova la 3^ dell'accordo quando al soprano si trova la 5^ dell'accordo quando al soprano si trova la 7^ dell'accordo si ha la 1^ posizione melodica si ha la 2^ posizione melodica si ha la 3^ posizione melodica si ha la 4^ posizione melodica 4 La posizione melodica di un accordo è determinata dalle norme che regolano la costruzione e il collegamento degli accordi; la scelta della posizione melodica è determinante solo per la conclusione di una musica, che in genere termina sull'accordo di tonica in 1^ posizione melodica. 21 Esempio 3.6: Disposizione armonica stretta o lata (oppure chiusa o aperta): la disposizione armonica è stretta quando la distanza tra soprano e tenore non supera l'intervallo di 8^; è lata quando è superiore: Esempio 3.7: Ipertesto 3.10: attorno alla disposizione armonica stretta/lata (chiusa/aperta) N.B. La distanza tra voci superiori confinanti (tenore-contralto, contralto-soprano) non può superare la distanza di ottava, a causa dello squilibrio timbrico che ne deriverebbe (il terzo dei casi presentati qui sopra è segnalato infatti come errato). Si può superare la distanza di ottava tra basso e tenore. Stato del basso L'accordo è allo l'accordo è in l'accordo è in l'accordo è in Esempio 3.8: stato fondamentale 1° rivolto 2° rivolto 3° rivolto quando al basso si trova la fondamentale dell'accordo quando al basso si trova la 3^ quando al basso si trova la 5^ quando al basso si trova la 7^ 3.11: attorno allo stato del basso N.B. Posizione melodica, disposizione armonica e stato del basso sono indipendenti l'uno dall'altro; si può avere una qualsiasi posizione melodica con una qualsiasi disposizione armonica e un qualsiasi stato del basso. Raddoppi e omissioni Raddoppi quando l'accordo è quando l'accordo è in quando l'accordo è in allo stato fondamentale 1° rivolto 2° rivolto si raddoppia la fondamentale si raddoppia la fondamentale o la 5^ si raddoppia la 5^ N.B. Altri raddoppi sono possibili solo se necessitati dalla condotta delle parti5. N.B. È vietato il raddoppio di un suono che abbia condotta obbligata (vedi sotto condotta delle voci) Si può omettere la 5^ dell'accordo solo quando è giusta. 5 Nel fare musica, raddoppi meno corretti scolasticamente possono essere effettuati per ragioni di carattere estetico, o in relazione a particolari esigenze di scrittura. 22 Nella costruzione degli accordi di settima: • allo stato fondamentale si può raddoppiare la fondamentale (più raramente la 3^, che ovviamente non potrà mai essere una sensibile) omettendo la 5^ quando è giusta; • allo stato di rivolto gli accordi di settima sono sempre completi. 3.12: uso del secondo rivolto della triade (l'accordo di 4ª e 6ª) Omissioni Per quel che riguarda le omissioni: Si può omettere solo la quinta di qualsiasi accordo quando essa è giusta; ciò vale anche per gli accordi di settima che tuttavia, quando sono allo stato di rivolto, devono essere sempre completi. Nella costruzione degli accordi di nona a quattro parti si omette la 5^ dell'accordo. Ipertesto 3.13: gli accordi nella musica attuale Ipertesto 3,14: Raddoppi Ipertesto 15: identificazione dell’accordo indipendentemente dal contesto tonale 23 Capitolo IV: NUMERI E SIGLE Nei compiti di scuola i numeri, derivati da quelli della prassi del basso continuo, si usano per identificare la collocazione tonale dell'accordo e lo stato del basso. Ipertesto 4,1: evoluzione nell’uso dei numeri Numeri arabi. Lo stato del basso s’identifica come segue: Esempio 4.1. stato fondamentale Triade (5) (3) nessun numero primo rivolto secondo rivolto terzo rivolto 6 (3) 6 4 / Settima 7 6 5 4 3 4 2 Nona 9 7 (7) (5) (6) (5) (6) (4) (3) (4) (2) I numeri indicano lo stato del basso richiamando l'intervallo (o gli intervalli) che una nota caratteristica dell'accordo (o più note caratteristiche dell'accordo) forma (o formano) con il basso. Gli accordi di nona non si numerano in genere allo stato di rivolto I numeri non indicano la disposizione delle voci, ma solo lo stato del basso. Esempi: Esempio 4.2a-b Numerazione comune delle triadi Numerazione comune delle settime Numerazioni differenti da quelle elencate indicano costruzioni particolari dell'accordo. La numerazione o indica la costruzione della 7^ allo stato fondamentale con il raddoppio della fondamentale e la conseguente omissione della 5^ dell'accordo; un'alterazione accanto a un numero indica che l'intervallo corrispondente deve essere alterato nel senso dell'alterazione indicata; così, ad esempio, numero indica la numerazione indica che la settima deve essere costruita alterando la terza dell'accordo in senso ascendente (ovvero l'intervallo di 6^ sul basso). Una sbarretta sul numero, nella manualistica attuale, indica che l'intervallo corrispondente è diminuito; il seguente simbolo indica quindi che la triade da costruire è una triade diminuita (nella prassi del basso continuo il taglio sul numero indicava anche solo nota alterata!) Esempio 4.3 Ipertesto 4,2: Il basso numerato nell'epoca del basso continuo 24 Numeri romani I numeri romani sotto la nota del basso servono a indicare la collocazione nella scala o tonale della nota del basso. Tali numeri sono usati secondo tradizioni e finalità differenti. Tradizione scolastica napoletana: il numero romano sotto la nota del basso indica il grado della scala su cui è collocata quella stessa nota. Tradizione tedesca e anglosassone: il numero romano indica il grado della scala su cui si colloca la fondamentale dell'accordo. Ecco lo stesso passaggio con l'uso dei numeri secondo le due tradizioni: Esempio 4.5 tradizione napoletana tradizione tedesca/anglosassone I numeri arabi rimangono gli stessi, tuttavia nella prassi tedesca/anglosassone si collocano prevalentemente a fianco dei numeri romani. L'esempio proposto lascia intuire le finalità differenti che sottostanno alle due metodologie: i numeri romani, secondo la tradizione tedesca/anglosassone, fanno vedere come la logica sintattica tonale non cambi, anche se vengono impiegati i rivolti al posto degli stati fondamentali (come si vede, per due volte viene proposta la successione I-II-V-I); i numeri romani, combinati ai numeri arabi secondo la tradizione napoletana, mettono in rilievo la condotta contrappuntistica sopra il movimento del basso. Per chi compone, le due strutture (quella delle successioni armoniche tonali e delle strutture contrappuntistiche derivate dalla condotta delle parti) sono ugualmente fondamentali. Nella didattica della composizione e nella prassi musicologica i numeri romani si impiegano internazionalmente secondo la prassi tedesca e anglosassone; i numeri romani, secondo la prassi napoletana, hanno un uso meramente locale. Tuttavia, mettendo in maggior rilievo il fattore contrappuntistico della condotta delle parti rispetto al movimento melodico della parte del basso, la prassi scolastica napoletana induce a riflettere sulle ragioni della sintassi armonica tonale in senso più attuale e musicalmente più concreto. Ipertesto 4.3: La teoria del basso fondamentale Ipertesto 4,4: Simboli impiegati nella teoria funzionale dell'armonia Sigle impiegate nella musica attuale Nella musica attuale gli accordi si indicano con le sigle; queste hanno una finalità unicamente pratica (dicono rapidamente quale accordo si deve usare) e nessun intento di razionalizzazione teorica. Secondo la prassi medievale, le note della scala si indicano con lettere dell'alfabeto come segue: Esempio 4.6 Queste lettere possono essere alterate in senso ascendente o discendente per completare i dodici gradi della scala cromatica. La lettera dell'alfabeto, senza altre indicazioni, significa la triade maggiore costruita sul grado corrispondente della scala. Per esempio, D indica accordo di Re mag.; Db indica re bemolle mag.; C# indica Do diesis mag. Alle lettere dell'alfabeto sono aggiunti segni di vario tipo al fine di indicare l'impiego di accordi differenti dalla triade maggiore. Di tali segni, i più frequenti sono quelli che seguono: 25 m b + 7 maj7 dim (opp. min.) (opp. #) (opp. j7, opp. M7, opp. (opp. d, opp. o) 6 sus (opp. Sus4) no (opp. omit) add / opp. ( ) / ) = minore = l'intervallo corrispondente è alterato in senso discendente = l'intervallo corrispondente è alterato in senso ascendente = settima minore6 = settima maggiore = diminuita (settima diminuita) = settima semidiminuita (7^ di terza specie) = alla triade mag. si deve aggiungere la 6^ = suspended 4, ossia, di base, triade con la 4^ al posto della 3^7 = si deve escludere l'intervallo indicato = si deve aggiungere l'intervallo indicato = separano le estensioni per evitare ambiguità interpretative = C/E significa che l'accordo di Do è con il mi al basso. Esempio 4.7: C 6+ C 5# Dal momento che, come detto, le sigle hanno una finalità unicamente pratica, il primo dei due accordi viene indicato comunemente con la sigla C7 (il sib enarmonicamente è uguale al la#). Le alterazioni a volte sono poste prima della nota, altre volte dopo; il secondo degli accordi proposti qui sopra può essere indicato anche con la sigla C(#5), dove le parentesi servono a chiarire che il # non è riferito alla nota C, ma all'intervallo di 5^. Gli stessi accordi possono essere indicati con sigle differenti: Esempio 4.8 La sigla NC (no chord) indica l’assenza di armonizzazione accordale. Ipertesto 4,5: Quale sistema di notazione preferire? 6 C7, ad esempio, indica la triade maggiore di Do con la 7^ minore, quindi la settima di 1^ specie (settima di dominante). 7 “sus4” significa differenti cose nella prassi. Csus4, ad esempio, di base significa do al basso e sopra fa e sol; ma spesso viene impiegato per indicare un accordo con il do al basso e sopra il sib, il re e il fa. 26 Capitolo V, CONDOTTA DELLE PARTI/VOCI Ipertesto 5,1: moto melodico, moto armonico: approfondimenti Moto melodico/moto armonico Per moto melodico si intende il movimento che una parte fa per sé, senza considerare quel che eventuali altre parti possono fare contemporaneamente. Per moto armonico si intende la relazione tra movimenti melodici sovrapposti (in questo caso, per esempio, ci si chiederà: cosa fa il clarinetto rispetto all’oboe?) Moti melodici proibiti. Il rispetto della possibilità di intonare i salti melodici genera il divieto di usare salti melodici di difficile intonazione, quindi i salti di 7^ (anche se la 7^ è ottenuta come somma di due salti che procedono nella stessa direzione), quelli che superano l'8^, i salti aumentati e diminuiti. È ammesso un salto melodico diminuito (di 3^, di 4^, di 5^, di 7^) quando si scende su una sensibile che sale sulla tonica; i seguenti salti sono tutti errati, ad eccezione dell'ultimo. Esempio 5.1 Ipertesto 5,2: Moto melodico Moto armonico Nell'armonia classica, dal punto di vista contrappuntistico, gli accordi si collegano tenendo conto dei seguenti riferimenti8: • omogeneità sonora • indipendenza delle voci • condotte obbligate • rispetto della possibilità di intonare i salti melodici Muovere le parti meno possibile: è il mezzo attraverso cui ottenere omogeneità. La successione di accordi seguente è stata realizzata la prima volta correttamente, la seconda volta in modo errato9: Esempio 5.2 ERRATO Tipi di moto armonico: cosa fa una voce rispetto all'altra. Ecco i tipi di moto armonico: Esempio 5.3 moto contrario: moto obliquo: moto retto: moto parallelo: Moto: una voce scende l'altra sale una voce resta ferma, l'altra sale o scende le due voci si spostano nella stessa direzione le due voci si spostano nella stessa direzione mantenendo equidistanza. Perché sia garantita l'indipendenza delle voci, si deve evitare che il movimento di una voce sia il semplice raddoppio del movimento di un'altra voce o che si possa confondere col movimento di un'altra voce. Per 8 Le indicazioni relative all'armonia classica si estendono parzialmente all'armonia attuale; è determinante lo stile adottato, in un contesto estremamente eterogeneo. È bene partire dalle regole classiche e tener conto delle eccezioni. 9 Naturalmente, se per fini espressivi particolari si vuole ottenere disomogeneità, si potrà fare a meno di limitare il movimento delle voci. 27 questo si devono evitare i seguenti errori: Errori nel moto armonico ed eccezioni alle regole a. divieto di muovere due voci per unisoni, ottave, quinte10 parallele. Ovvero: qualsiasi coppia di voci non può procedere da un unisono su un altro unisono, da un'ottava su un'altra ottava, da una quinta su un'altra quinta. Lo stesso unisono così come la stessa ottava o la stessa quinta possono essere ripetute quanto si vuole. Per questo tipo di errore non esistono eccezioni. Esempio 5.4 b. divieto di procedere per moto retto su un unisono, una ottava o una quinta11: Esempio 5.6 Per questo tipo di errore esistono diversi tipi di eccezione; nell’ipertesto dedicato si spiega il perché. Eccezione 1: si ammettono 8e e 5e per moto retto quando si verificano contemporaneamente le seguenti condizioni (si devono verificare entrambe, non ne basta una!): la 5ª o l’8ª è tra due parti interne (vanno bene tutte le coppie di voci, tranne quella formata da Basso e Soprano; solo la coppia di voci Basso/Soprano si dice infatti di parti esterne); Una delle due parti che vanno sulla 5ª o sull’8ª per moto retto deve muoversi dall’accordo precedente per grado congiunto; quando si può scegliere, è bene che ad andare per grado congiunto sia la parte superiore. Esempio 5.7: Eccezione 2: si ammettono 8e e 5e per moto retto anche tra parti esterne, purché il basso salti di 4ª, il soprano si muova per grado congiunto e gli accordi siano allo stato fondamentale. Esempio 5.8: Collegamenti armonici come quelli qui sopra funzionano bene all’orecchio e sono per questo frequentissimi nella musica d’ogni tempo: ecco l’origine dell’eccezione. Non ha alcun senso limitare ulteriormente il caso a quello in cui la voce superiore vada per semitono e il basso salti di 4ª ascendente (così come avviene in molti manuali d’armonia usati oggi); è una regola inutile che non ha mai fatto parte della grammatica della nostra lingua. Tutti i seguenti collegamenti sono corretti: 10 Si intende quinte giuste. 11 Il moto retto mette in particolare evidenza l'intervallo armonicamente vuoto che viene raggiunto. 28 Esempio 5.9: Eccezione 3: si ammette l'unisono per moto retto tra Tenore e Basso, quando al tenore c'è la sensibile che sale alla tonica e al basso il V che sale sul I Esempio 5.10: Eccezione 4: Quando si cambia posizione melodica e il basso contemporaneamente fa un salto di ottava, sono ammesse ottave e quinte per moto retto anche tra parti esterne e anche se nessuna delle parti va per grado congiunto. Nel cambio di posizione melodica sono vietati parallelismi di consonanze perfette. Esempio 5.11: c. Divieto di procedere per moto retto con tutte e quattro le voci Esempio 5.12: ERRATO d. È vietata la falsa relazione di unisono o 8^ (come fa una voce a intonare una nota, se un'altra voce nell'accordo precedente sta intonando la stessa nota alterata, o viceversa?): Esempio 5.13 Condotte obbligate: sensibile, note alterate, dissonanze Per condotta obbligata si intende il movimento necessario che una nota o più note dell'accordo devono compiere nel passare sull'accordo successivo. Hanno condotta obbligata: • la sensibile (ovvero il VII della scala nella quale ci si trova): deve salire sul I melodico della scala; per sensibile si intende il VII grado della scala maggiore e il settimo grado della scala minore alterato in senso ascendente all'interno di un accordo che ha funzione di dominante. Per le funzioni armoniche degli accordi si veda il capitolo successivo; hanno funzione di dominante gli accordi contenenti la sensibile costruiti sul V e sul VII della scala maggiore e minore. Nella cosiddetta “eccezione di Bach”, la sensibile scende se è parte interna e una voce ne prende il posto in risoluzione. • Le note alterate rispetto alla tonalità in cui ci si trova: devono risolvere nel senso dell' alterazione (alterazione ascendente: la nota sale; alterazione discendente: la nota scende). • Preparazione della dissonanza: le dissonanze di settima e i ritardi devono essere preparati, tramite legatura all'unisono della nota dissonante da una nota dell'accordo precedente; si escludono le settime che hanno funzione di dominante (la settima di dominante, costruita sul V, e la settima di sensibile, costruita sul VII). 29 • Le dissonanze devono scendere per grado congiunto nel passaggio all'accordo successivo. La sensibile deve salire; Esempio 5.14 per eccezione si ammette che la sensibile scenda quando è in una voce interna (nel terzo caso qui a fianco si trova nel contralto), se una voce superiore ne prende il posto in risoluzione: eccezione di Bach. eccezione di Bach La nota alterata deve proseguire nel senso dell'alterazione; nell'ultimo dei casi dell'esempio che segue il sol, alterato sol#, scende sul mi anziché salire sul la, come necessario: Esempio 5.15 La dissonanza deve essere preparata, legandola all'unisono, nella stessa voce, da una nota reale dell'accordo precedente; la settima, all'interno dell'accordo di 7^ di dominante, può non essere preparata (come nel terzo caso di quelli presentati qui sotto); è vietato raggiungere la dissonanza di 2^ per moto retto (l'ultimo dei casi esemplificati di seguito): Esempio 5.16 La dissonanza deve scendere per grado congiunto nel passaggio all'accordo successivo; può anche restare legata all'unisono nella stessa voce, purché resti dissonante e risolva per grado congiunto in un secondo momento (* qui sotto). * Esempio 5.17 ERRATO Ipertesto 5,3: Moto armonico Ipertesto 5,4: Riguardo l’errore di unisoni, quinte, ottave per moto retto Ipertesto 5,5 : autocorrezione Ipertesto 5,6: Falsa relazione di tritono Ipertesto 5,7: Praticamente: il collegamento degli accordi Ipertesto 5,8: Un “errore” scolastico, unisoni, quinte e ottave paralleli a distanza Ipertesto 5,9: Considerazioni riguardo l'applicazione di queste regole nella musica Ipertesto 5,10: Trattamento della dissonanza Ipertesto 5,11: Costruzione e collegamento degli accordi di settima Ipertesto 5,12: eccezioni nell’uso della dissonanza 30 Capitolo VI, TONALITA' E CADENZE Tonalità Per tonalità si intende il sistema di relazioni tra le note della scala e degli accordi costruiti sopra di esse; l'accordo di tonica (triade costruita sul I grado della scala) è quello verso cui tende a proiettarsi il flusso delle successioni di accordi; sinteticamente tale flusso può essere espresso dalla seguente tabella: Esempio6.1 tonica pre-dominante (sottodominante) dominante tonica IV I VI V I (VII) II Ipertesto 1: la tonalità I numeri romani indicano il grado della scala su cui è collocata la fondamentale dell'accordo. Il III nella musica della nostra tradizione classica non compare; quando si trova al basso, si armonizza sempre come primo rivolto dell'accordo di tonica. Nella musica attuale il III è normalmente impiegato e ha una funzione di transizione dal I sul IV o dal I sul VI. Il V può essere sostituito in contesti adeguati con l'accordo costruito sul VII. Nell'armonia classica gli accordi non salgono di 3^, se non per eccezione (l'accordo di Do va su quello di La, non viceversa); in quella attuale gli accordi salgono o scendono normalmente di 3^. Le stesse successioni di accordi si possono realizzare impiegando gli stati di rivolto al posto dei fondamentali, o accordi dissonanti in luogo di quelli consonanti (ricordarsi di preparare l'eventuale dissonanza; resta fermo che l'accordo conclusivo di tonica deve essere consonante): Esempio 6.2 Per quel che riguarda i rivolti, in questi appunti vengono impiegati i numeri romani per indicare il grado melodico occupato dalla nota del basso; a seguire, tra parentesi, viene indicato il grado su cui poggia la fondamentale dell'accordo. La sintassi armonica interagisce con la metrica; nel seguente esempio si considera propriamente dominante il V che precede il I alla fine del passaggio, mentre, per come appare sul secondo tempo della prima battuta, l'accordo non ha alcuna delle caratteristiche che dovrebbe avere la dominante: Esempio 6.3 L'armonia tonale è altresì condizionata (e originata) dal contrappunto; in particolare dalla dinamica della scala e dal trattamento della dissonanza. I rivolti vengono impiegati per dare cantabilità alla parte del basso; quindi, si utilizzano per far procedere il basso con piccoli salti, curando il contrappunto con la parte superiore. Ipertesto 2: alle origni della tonalità (173) 31 Cadenze Sono successioni armoniche che, poste in luoghi metricamente opportuni, segnalano il confine delle frasi e dei periodi musicali. Possono essere: • finali: servono per chiudere una frase, una sezione della musica, o l'intera musica; • sospese: servono per articolare il passaggio da una frase a quella successiva, senza chiudere. Cadenze finali Le cadenze finali sono la cadenza perfetta e la cadenza plagale. Cadenza finale perfetta: successione V – I allo stato fondamentale di entrambi gli accordi N.B. La sensibile è nota obbligata, deve sempre salire. Non si raddoppia. Esempio 6.4. Esempio 6.5. La cadenza perfetta si dice “autentica” quando il soprano chiude sulla tonica: Ipertesto 3: osservazioni sulla quarta e sesta sul V in cadenza Nella cadenza, solitamente la tonica si trova sul tempo forte della battuta; la dominante si colloca sul tempo debole o semi-forte precedente (a meno che non occupi l'intera battuta come nel caso della cadenza doppia). Cadenza finale plagale: successione IV – I; il IV può anche trovarsi allo stato di rivolto Esempio 6.6. La cadenza plagale non può sostituire la cadenza perfetta; in genere ha funzione di coda. Ipertesto 4: osservazioni sulla cadenza plagale Cadenze sospese Le cadenze sospese si distinguono in cadenza imperfetta, cadenza alla dominante (o semicadenza), cadenza evitata. Cadenza imperfetta: successione V – I allo stato di rivolto di uno o entrambi Esempio 6.7. 32 Cadenze sospese alla dominante (o semicadenze): successioni alla dominante: Esempio 6.8. Sono semicadenze anche le successioni degli stessi accordi allo stato di rivolto; i rivolti sono impiegati per dar modo di raggiungere la dominante per grado congiunto, soluzione preferita in cadenza (ad eccezione della semicadenza I-V, in cui il I che va sul V è spesso allo stato fondamentale). La successione VI-I, non comune nella nostra tradizione classica, è normalmente impiegata nella musica attuale. Cadenze sospese evitate: la dominante evita di risolvere sulla tonica Esempio 6.9. RARA La numerica sopra il VI (nel primo dei tre casi presentati qui sopra) ricorda che la sensibile deve necessariamente salire, anche se ciò comporta il raddoppio della terza dell'accordo. La cadenza evitata con il IV allo stato fondamentale è molto rara. Ipertesto 5: annotazioni sulla cadenza evitata. Formule di cadenza: sono date dall'unione di una cadenza alla dominante con una cadenza della dominante. Prendono il nome dal tipo di cadenza che fa la dominante; quindi possono essere perfette, imperfette, evitate; ecco alcuni esempi: perfetta imperfetta evitata Ipertesto 6: costruzione della frase sulla base del giro armonico tonale Ipertesto 7: eccezioni nelle successioni armoniche tonali Ipertesto 8: nota sul collegamento degli accordi in campo tonale Ipertesto 9: tonalità, cadenze e forma musicale. Ipertesto 10: la tonalità nella musica attuale 33 Capitolo VII, ACCORDI DISSONANTI Gli unici accordi consonanti sono la triade maggiore e quella minore; tutti gli altri accordi sono dissonanti. In alcuni casi la dissonanza va preparata (vedi sopra, nel capitolo dedicato alla condotta delle parti); tali casi verranno indicati di qui sotto. La dissonanza deve scendere per grado congiunto nel passare all'accordo successivo. Triade diminuita: si trova costruita sul VII del modo mag. e min, e sul II del modo minore. Triade di sensibile: costruita sulla sensibile del modo mag. e di quello min. • • • La triade di sensibile si trova usata quasi unicamente allo stato di primo rivolto, con il basso che si muove per grado congiunto nella risoluzione sulla tonica: Risolve sulla tonica in quanto ha funzione di dominante. Sono note con risoluzione obbligata la fondamentale (sensibile, sale) e la 5^ dim., che scende Nella pratica si preferisce far salire la 5^ dim. per avere la tonica completa. Esempio 7.1. poco usata poco usate.......................... più frequenti..................... N.B. Le note con risoluzione obbligata non si raddoppiano (ne verrebbero ottave parallele). Triade diminuita sul II della scala minore; • Risolve sugli accordi che hanno funzione di dominante (quindi quelli la cui fondamentale poggia sul V e sul VII); • È nota con risoluzione obbligata la 5^ che, in quanto diminuita, scende o resta legata temporaneamente all'unisono, rimanendo dissonante, per scendere in un secondo momento12. (vedi risoluzione sul VII armonizzato come 7^ dim.): Esempio 7.2 Alcuni accordi di 7^ 7^ di dominante (settima di 1^ specie), costruita sul V del modo mag. e min. • In quanto accordo di dominante, si classifica come 7^ principale: la 7^ non va preparata. • risolve sulla tonica o in cadenza evitata, compatibilmente con la necessità di risolvere adeguatamente la dissonanza. • Sono note con risoluzione obbligata: la sensibile (sale), la settima dell'accordo (scende). 12 Vale per tutti gli accordi dissonanti: la dissonanza scende nella risoluzione sull'accordo successivo, o resta legata all'unisono, diventando un ritardo (la dissonanza può restare legata, anziché scendere, purché resti la nota resti dissonante). 34 Esempio 7.3. poco efficace migliore ecc. di Bach N.B. Per avere una risoluzione efficace del V sul I allo stato fondamentale di entrambi, è necessario costruire la settima incompleta (si toglie la 5^, si raddoppia la fondamentale), o si deve ricorrere alla eccezione di Bach. N.B. Gli accordi di 7^ si costruiscono sempre completi quando sono allo stato di rivolto. Accordi di 9^ di dominante Gli accordi di nona di dominante si presentano differentemente nel modo maggiore e nel minore Esempio 7.4. 9^ di dominante maggiore (nona di 1^ specie), costruita sul V del modo mag. • In quanto accordo di dominante, si classifica come 9^ principale: la 9^ non va preparata, purché si rispettino gli obblighi qui sotto indicati. • Nella costruzione la 9^ deve essere disposta sopra alla fondamentale almeno a distanza di 9^ e sopra la 3^ dell’accordo (ovvero sopra alle note con cui forma la dissonanza di 9^ e di 7^). Nel caso non si riesca a mantenere la distanza di 7^ con la terza dell’accordo, è necessario preparare la 9^; la distanza di 9^ con la fondamentale va comunque mantenuta: Esempio 7.5. • Sono note con risoluzione obbligata: la sensibile (3ª dell'accordo) che sale; la 7ª e la 9ª in quanto dissonanti scendono. • Come mostrato nella parte b dell'esempio seguente, la 9^ dell'accordo può scendere anche all'interno dell'accordo di dominante (“risoluzione anticipata della nona di dominante”), trasformando la 9^ in una 7^ di dominante. Esempio 7.6.a-b 35 9^ di Dominante minore (9ª di prima specie), costruita sul V del modo minore e del modo maggiore col VI della scala abbassato (cosiddetta scala armonica maggiore) • Costruzione: quel che si è detto per la 9^ di dominante maggiore relativamente alla costruzione resta valido per la 9^ di dominante minore; cade l'obbligo di disporre la 9^ dell'accordo sopra la sensibile; quindi, come si vede nell'esempio seguente, la 9^ deve essere sempre sopra la fondamentale almeno a distanza di 9^, ma può anche essere posta sotto la sensibile. Infatti, disponendo la 9^ sotto la sensibile, si forma un intervallo di 2^ aumentata, enarmonicamente equivalente a una 3^ minore; le due note, quindi, pur vicine tra loro, non creano urto. • Risoluzione: vedi 9^ di dominante maggiore (anche la 9^ di dominante minore ha la cosiddetta risoluzione anticipata). Dal momento che la 9 di dominante minore è identica alla 9^ di dominante maggiore (fatto salvo il particolare di costruzione accennato), vengono riportati solo alcuni casi di risoluzione sulla tonica; nel primo caso, la sensibile è disposta sopra la 9 dell'accordo (naturalmente avrebbe potuto essere messa anche sopra la sensibile). Esempio 7.7. Accordi di 7^ sulla sensibile 7^ di sensibile (settima di 3^ specie), costruita sulla sensibile del modo mag. • in quanto accordo con funzione di dominante si classifica come 7^ principale: la 7^ non va preparata, purché sia posta sopra la fondamentale. • Risolve sulla tonica; la condotta obbligata delle voci impedisce la risoluzione in cadenza evitata. • Sono note con risoluzione obbligata: la sensibile (fondamentale dell'accordo, sale), la 5^ dim. e la 7^ che, in quanto dissonanti, scendono. Esempio 7.8. • La 7^ può scendere sulla nota di risoluzione ancora prima dell'arrivo dell'accordo di tonica; in questo modo la 7^ di sensibile diventa una 7^ di dominante. Esempio 7.9. 7^ diminuita (settima di 5^ specie), costruita sul VII del modo min. e, per estensione, del modo mag. con il VI della scala abbassato • In quanto accordo di dominante, si classifica come 7^ principale: non ha alcuna limitazione nella costruzione. • risolve sulla tonica. • sono note con risoluzione obbligata la sensibile (fondamentale, sale); la 7^ dim e la 5^ dim, che, in 36 quanto dissonanti, scendono. Esempio 7.10. • La 7^ può scendere sulla nota di risoluzione ancora prima dell'arrivo dell'accordo di tonica; in questo modo la 7^ diminuita diventa una 7^ di dominante. Esempio 7.11 7^ sul II della scala maggiore (settima di 2^ specie, ... minore settima). • In quanto settima secondaria, la 7^ va preparata legandola all'unisono da una nota dell'accordo precedente. • Risolve sugli accordi che hanno funzione di dominante. • È nota con risoluzione obbligata la 7^, che scende. Esempio 7.12.a-b Attenzione alla risoluzione del 2° rivolto della 7^ sul II sulla dominante: per evitare la falsa relazione di unisono o 8^ si deve armonizzare il V con 5 (come accade nell'esempio qui sopra) o con . Ciò vale anche per il modo minore. Ecco l'errore da evitare: Esempio 7.13. 7^ sul II della scala minore (settima di 3^ specie; semidiminuita) • • • In quanto settima secondaria, la settima va preparata, legandola all'unisono da una nota dell'accordo precedente. Risolve sugli accordi che hanno funzione di dominante Sono note con risoluzione obbligata: la 5^ dim e la 7^ che, in quanto dissonanti, scendono. Esempio 7.14.a-b 37 Altri accordi di 7^; gli accordi di 7^ non descritti sopra: • si costruiscono con preparazione della 7^, in quanto settime secondarie; • risolvono secondo la propria funzione (vedi tabella sulle funzioni tonali degli accordi nel paragrafo “Tonalità e cadenze”), compatibilmente con la necessità di far scendere la dissonanza. • È nota con condotta obbligata la dissonanza, che scende. Ecco alcuni esempi: Esempio 7.15.a-b Nei compiti di scuola gli accordi di settima impiegati normalmente sono quelli costruiti sul V e sul II con i loro rivolti. Gli accordi di 7^ costruiti sugli altri gradi s’impiegano solamente all'interno della progressione circolare di basso che scende di 5^ e sale di 4^ (vedi oltre “progressioni”). 38 Capitolo VIII, NOTE DI FIORITURA Le note di fioritura servono per caratterizzare melodicamente la condotta delle voci. Nei compiti di scuola, in genere non si usano nelle voci superiori (se non in casi limitati), mentre s’incontrano normalmente nella parte del basso. Le note di fioritura possono essere reali o estranee. a. reali (o di arpeggio): fanno parte dell'accordo, sono raggiunte e/o lasciate per salto superiore alla seconda. Esempio 8.1. Nel secondo dei casi il cambiamento di accordo sul secondo tempo della battuta è errato: il do, sull'ultima suddivisione, è una nota di arpeggio (poiché raggiunta per salto) e deve essere contenuto nell'accordo. b. estranee: non fanno parte dell'accordo, sono collocate sulla suddivisione o su un tempo debole; nei compiti di scuola sono raggiunte e lasciate per grado congiunto (possono essere note di passaggio o di volta); nella musica sono comuni anche note estranee che sono solamente raggiunte o lasciate per grado congiunto (possono essere note sfuggite, o anticipazioni). Siccome sono estranee all'accordo, queste note dovrebbero essere dissonanti; tuttavia, essendo collocate sulla suddivisione o comunque su un tempo debole, la dissonanza non è percettivamente in rilevo, mentre è evidente la loro funzione propriamente melodica. b.1. Note di passaggio, passano per grado congiunto da una nota dell'accordo a un'altra nota dello stesso accordo o di un accordo differente; oltre che semplici, possono essere doppie, simultanee, diatoniche o cromatiche. Nelle prime battute dell'esempio seguente le note di passaggio sono segnalate con un asterisco: Esempio 8.2. doppia simultanee cromatica N.B. La nota di passaggio cromatica deve proseguire nel senso dell'alterazione (nell'esempio precedente non si sarebbe potuto usare il sol bem. al posto del fa diesis). b.2., note di volta, si allontanano da una nota dell'accordo per grado congiunto e nello stesso modo tornano sulla stessa nota; l'accordo, al momento del ritorno sulla nota, può anche cambiare. Oltre che semplici, possono essere doppie, simultanee, diatoniche o cromatiche: Esempio 8.3. 39 b.3., note sfuggite (note di volta incomplete), sono solamente raggiunte o lasciate per grado congiunto. Comuni nella musica, non sono impiegate nello stile scolastico: * * Esempio 8.4 b.4., anticipazione, è una nota dell'accordo su cui si deve andare che che viene anticipata, come suddivisione, nell'accordo in cui ci si trova. Non sono impiegate nei compiti di scuola. Esempio 8.5. * 40 Capitolo IX, RITARDI E APPOGGIATURE Ritardi Si tratta di note estranee all'accordo che, cadendo sul tempo, sono percettivamente in rilievo come note dissonanti. Derivano dall'antica tecnica della dissonanza in sincope. Nel seguente esempio lo stesso passaggio armonico è realizzato prima senza, poi con ritardo della 3^: Esempio 9.1. Il ritardo si articola in tre momenti: 1. preparazione: come ogni dissonanza, il ritardo ha bisogno di essere preparato con legatura all'unisono da una nota reale dell'accordo precedente (può anche essere la settima dell’accordo che precede); la preparazione deve durare un tempo della battuta: 2. percussione: il ritardo cade sul tempo forte o semi-forte della battuta (nel caso di una battuta ternaria, può anche cadere sul secondo tempo). Nel momento della percussione la nota estranea all'accordo entra in urto di 7^ o di 2^ con un'altra nota dell'accordo; senza questa dissonanza, il ritardo non è utilizzabile. 3. Risoluzione: il ritardo, in quanto dissonante, risolve per grado congiunto discendente sul tempo debole successivo a quello di percussione (in una battuta ternaria, collocando la percussione sul secondo tempo, la risoluzione cadrà sul terzo tempo della battuta), su una nota consonante. Tale consonanza potrà essere all'interno dell'accordo in cui era caduta la percussione, o in un altro accordo. Non vi sono limiti nell'impiego dei ritardi, purché si tenga conto in senso prescrittivo delle tre indicazioni date. Qui di seguito vengono mostrati alcuni dei ritardi di uso più frequente nei compiti di scuola: Ritardo della fondamentale degli accordi sul I e sul II: Esempio 9.2. Esempio 9.3. Ritardo della 3^ sul I e sul V allo stato fondamentale: Esempio 9.4. 41 Ritardo della 3^ nel secondo rivolto degli accordi di 7^ sul V e sul II: Esempio 9.5. I VI(II) V Ritardo della 3^ al basso: Esempio 9.6. Ritardo della 5^. normalmente il ritardo della 5^ non è ammissibile, poiché nel momento della percussione, manca l'urto di 7^ tra il ritardo e un'altra nota dell'accordo; per eccezione si ammette il ritardo della 5^ nella triade di dominante allo stato fondamentale del modo minore, in quanto l’accordo di 5^ aum. che ne deriva emula la sensazione di dissonanza. È normalmente utilizzato il ritardo della 5^ al basso nell'accordo di 7^ di dominante: Esempio 9.7. Appoggiature Si tratta di note estranee all'accordo che cadono sul tempo forte o sul tempo debole; simili ai ritardi, ne rappresentano una versione più libera, meno scolastica. Possono essere: diatoniche/cromatiche superiori/inferiori L'appoggiatura prosegue sempre per grado congiunto; se si tratta di appoggiatura cromatica, nel senso dell'alterazione. Esempio 9.8. 42 Capitolo X, SEQUENZE (PROGRESSIONI) Nel presente capitolo userò il termine sequenza, che nella teoria musicale è più attuale di ‘progressione’, impiegato nella tradizione scolastica italiana. La sequenza consiste nella ripetizione a differente altezza di un modello; nei compiti di scuola si tratta di modelli essenzialmente armonici: data una successione armonica costituita di due accordi, tale successione si ripete a differente altezza. Le sequenze possono essere: • ascendenti/discendenti (se il modello viene ripetuto più in alto o più in basso): • fondamentali/derivate (se vengono usati accordi allo stato fondamentale o anche solo parzialmente allo stato di rivolto): • tonali/modulanti (se rimangono nella stessa tonalità o il trasporto dell'armonia avviene comprendendo la funzione degli accordi all'interno del primo modello): fondamentale discendente derivata discendente tonale fond. ascendente modulante ascendente Esempio 10.1 Per quel che riguarda la condotta delle voci, si devono rispettare le seguenti indicazioni: • deve essere rispettata la posizione melodica; • nel passaggio da un modello al successivo sono ammesse quinte per moto retto ed eventuali false relazioni; • Se tra gli accordi che costituiscono il modello della sequenze se ne trovano che contengono settime, queste vanno preparate e devono scendere per grado congiunto nel passaggio all'accordo successivo. Esempio 10.2. non rispetta la posiz. melodica la 7^ sale la 7^ non è preparata Alcuni modelli frequenti di sequenza 1. Basso che scende di 5^ e sale di 4^ , tonale (fondamentale e derivate) Esempio 10.3. 43 Basso che scende di 5^ e sale di 4^ modulante In questo caso i salti del basso sono tutti di 5^ e di 4^ giusta; per questo, ogni accordo potrebbe essere considerato come dominante del successivo e di fatto il contesto è costantemente modulante. Una delle derivate di questa sequenza offre il modello per l'armonizzazione del basso cromatico discendente (si notino le due conclusioni possibili di tale progressione derivata): Esempio 10.4. N.B. Per l'uso pratico di queste sequenze nei compiti di scuola vedi oltre la descrizione tra gli “argomenti specifici” nella parte dedicata all'armonizzazione dei gradi della scala e del basso. Basso che sale di 4^ e scende di 3^ tonale/modulante. Questa sequenza è frequente sia nella sua versione tonale (qui sotto a.) che nella versione modulante (qui sotto b.), in cui al basso che sale di 4^ si può attribuire la funzione V-I. Esempio 10.5. Le derivate della versione tonale e di quella modulante offrono l'interpretazione della figura del basso legato ascendente e del basso cromatico ascendente: Esempio 10.6. 6 5 6 5 6 5 6 5 5 6 5 5 6 5 5 Progressione di basso che sale di 5^, ascendente di tono; nell'armonizzazione di questa sequenza si deve stare attenti a mantenere la posizione melodica del modello, man mano che si trasporta. 44 Esempio 10.7. CORRETTO Sono possibili altre sequenze, naturalmente; basta che una successione si ripeta a differente altezza e quella è una sequenza. Per quel che riguarda l'interpretazione armonica, basta seguire le seguenti indicazioni: • • il basso che compie salti dalla 4^ in su si armonizza allo stato fondamentale generalmente; quando il basso si muove con piccoli salti o per grado congiunto, è assai probabile che si debbano usare i rivolti; in questo caso, armonizzato il primo modello, si copia l'armonizzazione nei modelli successivi. Nel caso rimangano delle perplessità, è bene armonizzare l'ultimo dei modelli, ed estendere l'armonizzazione ai modelli precedenti. 45 Capitolo XI: ARMONIA CROMATICA, ENARMONIA Una o più note di un accordo costruito su un qualsiasi grado della scala possono essere alterate cromaticamente in senso ascendente o discendente. La nota alterata è “sensibilizzata”: deve risolvere nel senso dell'alterazione. Alterazione relativa/reale L'uso dell'alterazione può comportare la formazione di nuovi accordi, non possibili in un contesto diatonico. Ecco un esempio: Esempio 11.1. E' impossibile una triade diatonica con 3^ mag. e 5^ dim. Di conseguenza, l'accordo qui a fianco contiene un'alterazione reale. Le alterazioni sono “reali” se procurano la formazione di accordi impossibili in un contesto diatonico; sono “relative” se l'accordo che si forma, pur non appartenendo agli accordi diatonici della tonalità in cui ci si trova, potrebbe appartenere a un'altra tonalità: Effetto modulante/non modulante Esempio 11.2. L'alterazione può essere usata per spingere con maggiore forza un accordo sul successivo in un contesto che resta tonale; al contrario, l'introduzione dell'alterazione può essere impiegata per cambiare di tonalità. Qui di seguito il IV aumentato s’impiega prima dentro la tonalità, la seconda per modulare: Alterazioni più comuni Le alterazioni più frequenti sono quelle che forzano la condotta di un accordo con funzione di pre-dominante (sottodominante) sulla dominante. Per questo, sono frequenti l'alterazione del: • IV aumentato (spinge sul V) Esempio 11.3. IV aum. nel modo min. IV aum. nel modo mag. Minore Maggiore Esempio 11.4. 46 • VI abbassato del modo maggiore (spinge sul V): Esempio 11.5. Accordi di 6^ aumentata. Il IV aumentato e il VI abbassato del modo mag. (ovvero il VI naturale di quello min.) possono anche essere impiegati contemporaneamente, dando luogo agli accordi di 6^ aumentata. sesta italiana 6 sesta francese sesta tedesca quest'accordo è enarmonicamente equivalente a una 7^ di dominante. 6^ aumentata nel modo mag.: Esempio 11.6. italiana francese tedesca 6^ aumentata nel modo min.: Esempio 11.7. • II abbassato (“sesta napoletana”) nel modo min. e mag. Mantenendo la funzione del II, spinge sulla dominante Esempio 11.8. 47 Enarmonia Alcuni accordi alterati si prestano a interpretazioni enarmoniche, rendendo possibili modulazioni a tonalità anche assai distanti fra loro. Gli esempi più evidenti e frequenti nella musica sono quello della sesta aumentata “tedesca” e della settima diminuita. Trasformazione enarmonica della sesta tedesca in 7^ di dominante: modo mag. modo min. Esempio 11.9. VI(II) = V VI(IV) = V Trasformazione enarmonica della 7^ dim.: Esempio 11.10. N.B. L'accordo di 7^ dim. Si costruisce sul VII della scala minore cosiddetta armonica e per estensione sul VII del modo maggiore (abbassando il Vi della scala). Ogni accordo di 7^ dim. può dare luogo a sei trasformazioni enarmoniche. Esistono tre insiemi di suoni che generano tutti gli accordi di 7^ dim.; questo fatto rende la 7^ dim. Particolarmente efficace nella realizzazione di modulazioni ai toni lontani (vedi p. 47). 48 Capitolo XII: MODULAZIONE La modulazione consiste nel cambiamento di tonalità; una volta avvenuta, una nuova tonica sarà percepita come luogo di proiezione delle melodie e delle armonie. La modulazione presuppone che vi sia una tonalità stabilizzata, dalla quale allontanarsi per raggiungere una nuova tonalità. Senza di ciò, non potrebbe essere percepito il senso di distacco/allontanamento. La stabilizzazione della tonalità può avvenire in maniera elementare, con un giro armonico che dalla tonica torni sulla stessa tonica. Effettuata la modulazione, anche la nuova tonalità dovrà essere stabilizzata analogamente. La modulazione avviene quindi nelle seguenti fasi: a. stabilizzazione della tonalità iniziale b. modulazione c. stabilizzazione della tonalità di arrivo Composizione di un giro armonico tonale (stabilizzazione della tonalità). Per quel che riguarda la stabilizzazione della tonalità, si possono utilizzare le seguenti indicazione per la realizzazione dei compiti di scuola: • utilizzare il tempo due metà (come è nello stile prevalente del corale); • percuotere entrambi i tempi della battuta cambiando accordo o rivolto dello stesso accordo; il secondo rivolto della triade non si usa, se non nella cadenza finale perfetta composta consonante. • Iniziare collocando la tonica sul primo tempo della prima battuta. • Sul 1° o sul 2° tempo della terza battuta va collocata la dominante allo stato fondamentale, per realizzare una cadenza tonale perfetta cadendo sulla tonica sul 1° tempo della battuta successiva. • Collegare la tonica inziale con la dominante nella terza battuta seguendo lo schema delle funzioni armoniche tonali (vedi tabella p. 17). • Fino sulla dominante alla terza battuta, si dovrà preferire un movimento moderato della parte del basso, che dovrà muoversi prevalentemente per grado congiunto o per piccoli salti; a tal fine si potranno impiegare gli stati di rivolto degli accordi che sono stati scelti precedentemente. Esempio 12.1. Grado di affinità Il grado di affinità esprime il grado di distanza tra le tonalità; tale distanza aumenta man mano che aumentano le alterazioni di differenza tra le due tonalità13: la distanza tra Do mag. e Sol mag., quindi, è inferiore a quella tra Do mag. e La bemolle min. 1° grado di affinità: fino a una alterazione di differenza 2° grado di affinità: due alterazioni di differenza 3° grado di affinità: tre alterazioni di differenza 4° grado di affinità: da quattro a sette alterazioni di differenza 13 Il numero di alterazioni di distanza tra due tonalità viene calcolato algebricamente; tra Sol mag. e La mag. ci sono due alterazioni di distanza, così come tra Sol mag. e Fa mag. (si deve prima togliere il diesis, quindi aggiungere il bemolle). 49 La modulazione di 1° grado di affinità viene anche detta “ai toni vicini”; tutti gli altri gradi di affinità rappresentano modulazioni “ai toni lontani”. Tecniche di modulazione Le tecniche per modulare sono le seguenti: • accordo in comune • cromatismo • enarmonia • transizione • passaggio da tonica a tonica, senza alcun tipo di avvicinamento Non esiste una tecnica migliore di un'altra; la tecnica impiegata può essere più o meno adeguata all'effetto che si vuole raggiungere, considerando che la modulazione comporta un effetto di allontanamento/apertura. Se si vuol ottenere un effetto di spostamento violento, si dovranno scegliere tonalità distanti e si dovranno accostare senza tentare di avvicinarle. Al contrario, se si vuole ottenere un effetto di momentanea proiezione al di fuori della tonalità in cui ci si trova, si dovrà optare per una tecnica che renda il passaggio evidente, ma morbido. Scolasticamente, si cerca sempre di avvicinare le tonalità che si devono collegare. Tramite accordo in comune Per accordo in comune si intende un accordo diatonico che appartiene a entrambi le tonalità che si devono collegare, sebbene con funzioni tonali differenti. Nei casi di tonalità più distanti, si tratterà di un accordo che appartiene a una tonalità intermedia tra le due tonalità che si devono collegare. L'accordo di Do mag. ha funzione di tonica in Do mag., e di IV nella tonalità di Sol mag.: Esempio 12.2. L'accordo di Fa mag., sul IV grado di Do mag., è V di Si bem. min, quindi è efficace per avvicinarmi alla tonalità per esempio di Sol bem. mag. la tonalità di Si bem. min è quindi una tonalità intermedia tra Do mag. e Sol bem. mag. il cui accordo di tonica non viene fatto sentire: Esempio 12.3. La tecnica dell'accordo in comune si applica con maggiore efficacia alle modulazioni tra tonalità non eccessivamente distanti; ciò non preclude la possibilità di usarla anche quando le tonalità sono più distanti. Accordo in comune, 1° grado di affinità L'accordo di tonica della tonalità iniziale è accordo anche della tonalità verso cui si deve andare; la modulazione avviene all'interno dello stesso accordo di tonica, che viene interpretato con due funzioni differenti, la prima relativa alla tonalità di partenza, la seconda relativa alla tonalità di arrivo. 50 Esempio 12.4. In pratica: finita la stabilizzazione della tonalità iniziale, dalla tonica ci si sposta direttamente sulla 7^ di dominante della nuova tonalità, allo stato di rivolto (scegliendo quello che faccia muovere meno possibile il basso). Risolta la 7^ di dominante sulla tonica, si prosegue con la stabilizzazione della nuova tonalità. Accordo in comune, 2° grado di affinità In questo caso l'accordo in comune andrà cercato su un grado differente dalla tonica della tonalità iniziale; quando le tonalità distano due alterazioni, ci sono sempre due accordi in comune; si deve scegliere, dei due, l'accordo in comune che si usa più frequentemente nella tonalità di partenza. Se la tonalità è minore, è possibile che l'accordo in comune si debba cercare facendo riferimento alla scala naturale (tra Do mag. e Sol min., gli accordi in comune sono Re min. e Fa mag.). Una volta raggiunto l'accordo in comune, a questo verranno attribuite due funzioni, la prima relativa alla tonalità di partenza, la seconda a quella verszo cui si sta andando. Di lì si prosegue quindi stabilizzando la nuova tonalità. Esempio 12.5. In pratica: finita la stabilizzazione della tonalità iniziale, ci si sposta dalla tonica sull'accordo in comune tra le due tonalità (scegliendo quello che si usa più normalmente nella tonalità iniziale); di qui ci si sposta sul rivolto della 7^ di dominante della nuova tonalità che faccia muovere il basso meno possibile; infine, risolta la 7^ di dominante sulla tonica, si prosegue con la stabilizzazione della nuova tonalità. Accordo in comune, 3° grado di affinità Un accordo in comune si trova in questo caso solo tra omologhe mag./min. Do mag. e Do min., ad esempio, condividono l'accordo di Sol mag. come dominante. La modulazione in questo caso sarà molto semplice, poiché, raggiunta la dominante in comune, si proseguirà come se ci si trovasse nella nuova tonalità: Esempio 12.6. Negli altri casi di modulazione di 3° grado di affinità tramite accordo in comune, questo andrà cercato facendo riferimento a una tonalità intermedia; dovendo andare da Do mag. verso Mi bem. mag., si potrà utilizzare, per esempio, la tonalità intermedia di Si bem. mag., facilmente raggiungibile da Do mag. attraverso l'accordo di Fa mag.: 51 Esempio 12.7. N.B. Per i compiti di scuola, dal 3° grado di affinità in poi conviene impiegare la tecnica della modulazione attraverso trasformazione enarmonica. Accordo in comune, 4° grado di affinità Con il 4° grado di affinità diventa necessario in ogni caso servirsi della tonalità intermedia. Conviene impiegare un accordo maggiore collocato su un qualsiasi grado della tonalità in cui ci si trova e interpretarlo come dominante di tonalità minore; facendo una cadenza evitata sul VI di questa tonalità minore intermedia ci si avvicina alla tonalità da raggiungere. Esempio: modulazione da Do a Reb: Esempio 12.8. Tramite cromatismo Alterando cromaticamente e in modo opportuno un accordo collocato su un qualsiasi grado della scala, è facile proiettarsi verso qualsiasi altra tonalità. Una tecnica efficace è quella di trasferirsi su un accordo della tonalità iniziale che, alterato, possa essere interpretato come accordo di sottodominante della tonalità verso cui si deve andare; particolarmente efficace è l'accordo di settima di 3^ specie sul II della tonalità da raggiungere (nel caso di tonalità maggiore tale accordo conterrà il IV abbassato della tonalità; quindi, la 7^ sul II sarà in ogni caso di 3^ specie); nel seguente esempio, concluso il giro di accordi in Do, viene alterato il do al basso, dando luogo a un accordo di 7^ di terza specie; tale accordo viene interpretato come il II della tonalità di Si min.: Successioni onnitoniche della settima di dominante: ogni settima di dominante, muovendo per grado congiunto le voci cromaticamente o diatonicamente secondo necessità, può risolvere su qualsiasi altra settima di dominante (es.: modulazione da Do a Fa# min.): Esempio 12.9. N.B. Nelle successioni onnitoniche gli accordi di 7^ vengono considerati come accordi cromatici; cade l'obbligo di risolvere le note obbligate; esse devono comunque essere mosse per grado congiunto 52 Tramite enarmonia L'enarmonia consiste nel chiamare con nome differente una o più note di cui si costituisce un accordo; il cambiamento di nome, consente di considerare l'accordo come appartenente a un'altra tonalità, più o meno distante da quella iniziale. L'enarmonia si applica con ottimi risultati alla 6^ aumentata tedesca e alla 7^ diminuita. Modulazione ai toni lontani con trasformazione enarmonica della 7^ dim. La trasformazione enarmonica è stata vista nel paragrafo dedicato all'armonia cromatica ed enarmonica (vedi p. 27). Esistono solamente tre insiemi di suoni che generano tutti gli accordi di 7^ diminuita possibili: Esempio 12.10. Va ricordato che la 7^ diminuita si costruisce sul VII della scala min. cosiddetta armonica e sul VII della scala mag. con il VI della scala abbassato; inoltre, come accordo cromatico, si costruisce sul IV aumentato del modo mag. e min. (vedi sopra nel paragrafo sull'armonia cromatica). In modulazione ai toni lontani, funziona meglio la 7^ diminuita sul IV aumentato del modo mag. o min. Ecco come fare: a. Stabilizzazione della tonalità iniziale b. finito il giro armonico nella tonalità iniziale, si passa direttamente dalla tonica di questa tonalità sulla 7^ diminuita costruita sul IV aumentato della nuova tonalità; se nel passare da un accordo sull'altro dovessero esserci salti melodici aumentati o diminuiti, la 7^ diminuita verrà scritta in modo tale da evitare tali salti; con note nere senza valore si indicherà la trasformazione enarmonica della 7^ diminuita. La 7^ diminuita, in tempo tagliato, dovrà cadere sul secondo tempo della battuta. c. si risolve la 7^ diminuita sul V della nuova tonalità, effettuando una cadenza composta consonante. Esempio 12.11. La trasformazione enarmonica non è sempre necessaria; ecco un esempio: Esempio 12.12. Modulazione ai toni lontani con trasformazione enarmonica della 7^ di dominante in 6^ aumentata “tedesca”. La 6^ aumentata, utilizzando le alterazioni in modo opportuno, si può trasformare enarmonicamente in una 7^ di dominante; si faccia attenzione alla differenza che c'è nella costruzione dell'accordo in tonalità mag. e 53 min. (l'esempio è fornito a p. 27). La possibilità di trasformare enarmonicamente una 7^ di dominante in 6^ aumentata, apre strade proficue per la modulazione ai toni lontani. Si consideri infatti che è possibile passare direttamente da un accordo di tonica mag. o min. su una 7^ di dominante costruita su uno dei sette gradi della scala diatonica di quella stessa tonica; nel prossimo esempio si passa dalla tonica di Do mag. su una 7^ di dominante costruita allo stato fondamentale su ogni grado della scala di Do: Esempio 12.13. Se il VI abbassato della tonalità maggiore verso cui dobbiamo modulare (ovvero il VI naturale della tonalità minore verso cui dobbiamo modulare) coincide con uno dei sette gradi della scala diatonica della tonalità in cui ci troviamo possiamo modulare usando questa tecnica, nelle seguenti fasi: a. stabilizzazione della tonalità iniziale b. dalla tonica della tonalità iniziale andare direttamente sulla 7^ di dominante costruita su quel grado della scala iniziale che coincide con il VI abbassato della tonalità mag. verso cui dobbiamo andare (ovvero con il VI abbassato della tonalità min. verso cui dobbiamo modulare). La 7^ di dominante sarà collocata sul secondo tempo di una battuta in tempo tagliato. c. trasformare enarmonicamente la 7^ di dominante nella sesta aumentata della nuova tonalità (facendo attenzione alla differenza di scrittura dell'accordo nella tonalità mag. e min.). La trasformazione enarmonica si effettua con note nere senza valore. d. si risolve la 6^ aumentata sul V della nuova tonalità, effettuando una cadenza perfetta composta consonante. e. si prosegue con la stabilizzazione della nuova tonalità Esempio: modulazione da Do a Lab mag.: Esempio 12.14. Transizione La modulazione tramite transizione consiste nel passaggio immediato da tonica a tonica; il presupposto è che tra i due accordi vi sia un suono in comune. In genere la transizione si fa da tonica maggiore a tonica maggiore, a distanza di 3^ mag. o min., sia superiore che inferiore. Nell’esempio, modulazione da Do a La. Esempio 12.15. 54 RICAPITOLAZIONE: REGOLE ESSENZIALI Costruzione: Regole comuni: * * * Allo stato fondamentale in primo rivolto in secondo rivolto si raddoppia la fondamentale si raddoppia la fondamentale o al 5^ si raddoppia la 5^ Si ammette solo l'omissione della 5^ quando è giusta. Gli accordi di 7^ allo stato di rivolto sono sempre completi. Nella costruzione dell'accordo si deve iniziare subito con la preparazione dell'eventuale dissonanza contenuta al suo interno (nei compiti di scuola si preparano le settime secondarie; essenzialmente quella sul II. Si preparano i ritardi). È vietato il raddoppio delle note con risoluzione obbligata (sensibile, dissonanze) N. B. La sensibile è il VII grado della scala/tonalità nella quale ci si trova. C'è sempre all'interno della dominante (triade di dominante, settima di dominante) Le dissonanze sono tali all'interno dell'accordo (verificare gli intervalli dei suoni rispetto alla fondamentale dell'accordo). Nei compiti di scuola le dissonanze si trovano nei seguenti contesti a. 7^ di dominante; b. 7^ sul II grado della scala maggiore e minore; c. 5^ diminuita nell'accordo sul II grado della scala minore (triade o settima). d. ritardi Collegamento: Regole comuni: I collegamenti armonici vanno eseguiti muovendo le voci il meno possibile, tenendo conto delle regole di costruzione e collegamento. Nel collegare un accordo col successivo si devono seguire in ordine i seguenti passi: a. preparare la dissonanza eventualmente contenuta nell'accordo su cui ci si sta spostando (7^ sul II o ritardo); b. muovere le note obbligate per grado congiunto la sensibile sale (è il VII della scala/tonalità in cui ci si trova). le dissonanze scendono (a meno che le dissonanze non restino legate all'unisono per preparare un ritardo). c. muovere i suoni raddoppiati nell'accordo di partenza. d. muovere il resto, evitando errori di quinte, ottave, unisoni per moto parallelo (non vi sono eccezioni) o retto (sono ammesse quinte e ottave per moto retto tra parti interne quando una delle due voci si muove per grado congiunto; si ammettono anche tra parti esterne quando il basso salta di 4^ e il soprano va di grado). Nel farlo, si deve cercare il miglior raddoppio nell'accordo su cui si sta andando. 55 Testo breve, SECONDA PARTE Armonizzazione dei gradi della scala e del basso Indicazioni generali 6 I e III = TONICA 6 5 V e VII = DOMINANTE (il V si armonizza con 5; con solo quando va al I). VI, IV, II si armonizzano in relazione a quel che fa la nota del basso: a. prima della tonica si usa la settima di dominante* b. prima della dominante si usa la 7^ sul II (preparando la settima)* c. quando il basso scende di 3^ si armonizza con 5 (triade allo stato fondamentale); fanno ovviamente eccezione il III e del VII che sono sempre rivolti rispettivamente del I e del V. * Quando non è possibile usare l'accordo indicato, si usa la triade sul IV. Note preliminari Le indicazioni date sono da intendersi equivalenti per il modo maggiore e per quello minore. Laddove vi siano delle differenze, esse verranno illustrate volta per volta nei casi specifici. Armonizzazione di ogni tempo della battuta Nei compiti scolastici si dà una regola: si deve percuotere ogni tempo della battuta. Quando il basso resta fermo per più di un tempo, è necessario quindi muovere le parti superiori; ciò si ottiene nella maggior parte dei casi cambiando il tipo di accordo o utilizzando i ritardi (per questo la regola viene data in genere dopo che siano stati studiati). Esempio II.1. Errore di sincope armonica Scolasticamente, è vietato ripetere sul tempo forte della battuta lo stesso accordo dato su quello debole precedente, seppur cambiando rivolto. ERRATO ERRATO Esempio II.2. 56 Cambio di posizione melodica In alternativa, se nella realizzazione del basso si è scesi eccessivamente con le parti superiori, si può fare un cambio di posizione melodica. Nel farlo, è bene ricordare che: 1. è possibile passare solo alla posizione melodica più vicina; 2. è possibile fare quinte o ottave per moto retto con il basso, anche tra parti esterne e se nessuna delle parti va per grado congiunto; 3. restano vietate le ottave parallele: Esempio II.3. Tempo Gli esempi vengono presentati con tempo 4/4, poiché è prevalente nei compiti di scuola. Quanto indicato si applica tuttavia senza variazioni sia in tempo 3/4 che in tempo tagliato, ricordando che in quest'ultimo caso il battito di minima equivale alla semiminima in tempo 4/4. Le due armonizzazioni successive mostrano lo stesso passaggio in 4/4 e in tempo tagliato: Esempio II.4. Pause al basso Quando il basso inizia con una pausa, al tenore deve essere posta la fondamentale; non appena il basso entra, il tenore recupera la posizione più conveniente. Se si presenta una pausa nel corso del basso, si può armonizzarla come se fosse presente la nota del basso subito successiva; in questo caso, in altre parole, non è necessario mettere al tenore la fondamentale dell'accordo: Esempio II.5. 57 Armonizzazione dei gradi della scala a seconda dei contesti I a. b. d. c. e. f. a. I nel contesto prevalente b., c. I in cadenza finale plagale (nella forma di breve pedale di tonica). d.-f. I nel contesto di sincope al basso: sul tempo forte o mezzo forte. In e. la sincope si presenta nella forma di una nota lunga tra tempo debole e tempo mezzo forte successivo: si armonizza come in d. N.B: Vedi oltre le annotazioni specifiche riguardanti l'armonizzazione del “basso in sincope”. Quando il I dura due tempi cadendo sul tempo forte o mezzo forte della battuta, si impiega il ritardo. In genere si usa il ritardo della terza; il ritardo dell'ottava della fondamentale si usa solo quando il I proviene dal VII: I che dura due tempi: 6 5 II II – I / III 58 II – VII(V) Il basso che scende di terza si armonizza con 5 7 II – V ricorda di preparare la settima sul II, quale che sia l'accordo che lo precede!!! N.B. per le diverse armonizzazioni del V, a seconda dei contesti vedi avanti 7 I – II – V Quando il II scende di quinta sul V, si armonizza con 5; l'armonizzazione con 7 prova quinte per moto retto (nessuna delle due voci va per grado congiunto). 7 II – V 7 4 2 6 II – IV – III 7 La settima sul II che viene dal I allo stato fondamentale si armonizza con al fine di evitare le quinte parallele. Preparare la 7^. Questo caso è raro. Preparare la settima sul II 6 5 II – IV - V 59 III 6 III(I) Nell'armonia tradizionale, sul III si impiega il primo rivolto della Tonica. • Nella costruzione di una triade in primo rivolto è possibile raddoppiare sia la fondamentale che la quinta dell'accordo. • È errato il raddoppio della terza, a meno che non sia reso necessario dalla risoluzione di una parte obbligata (come accade nell'ultimo degli esempi proposti sopra). IV 4 2 6 IV – III Il IV all'interno di una figurazione di basso in sincope si incontra in genere nel contesto di “basso legato modulante” (vedi oltre: basso legato in sincope). * * 6 5 IV(II) - V * vedi oltre l'armonizzazione del V che dura quattro tempi. Nell'ultimo dei tre esempi esposti qui sopra, si trova un IV aumentato (il fa #): è usato a volte per marcare una cadenza importante del basso (solitamente l'ultima formula di cadenza con cui si chiude il basso). Si armonizza come il IV naturale; l'accordo di 7^ che deriva dall'uso dell'alterazione è la dominante della dominante. 60 IV – II Il basso che scende di 3^ si armonizza con 5 V V (che dura 1/2 tempi) – I Il V che dura due tempi si può armonizzare in vari modi; quelli proposti sono comuni e utilizzabili senza preferenze ( in ordine: cadenza perfetta composta consonante, composta dissonante) V (che dura 3 o 4 tempi) – I Il modello di cadenza con il V che dura 4 tempi si chiama “cadenza perfetta doppia”. Il basso che scende di terza non si può armonizzare con 7; l'8^ per moto retto che ne deriverebbe, essendo provocata da una dissonanza, è troppo in evidenza. 6 V – III(I) 6 V - IV(V) – III(I) V – II(V) – I 61 6 5 La sensibile, anche se a distanza, deve sempre risolvere sulla tonica. V – VII(V) – I V- VI ERRATO la cadenza V-VI si definisce “evitata” L'errore, nell'ultimo esempio di quelli precedenti, sta nel fatto che la sensibile non è salita. VI L'alterazione ascendente della terza consente di costruire l'accordo senza la preparazione della settima Non è possibile la risoluzione sulla settima di dominante incompleta, per via dell'errore di falsa relazione che ne deriva VI(II) – V VI(IV) – VII(V) – I N.B. Questa successione si trova inserita normalmente all'interno della successione V-VI-VII-I. Ovvero: regola dell'ottava La regola dell'ottava serve ad evitare due inconvenienti: il primo è quello delle quinte parallele (esempi a., b. qui sotto); il secondo è quello di far scendere di posizione le parti superiori (esempio c.). Naturalmente, se si vuole scendere con le voci superiori, non si usa la regola dell'ottava. In questa successione di gradi al basso non è possibile usare il rivolto della 7^ sul II prima del VII, dal momento che ne deriverebbe il raddoppio della sensibile (esempio d.). a. b. c. d. Al fine di evitare questi inconvenienti, si impiega il modello incluso nella regola dell'ottava. Tale modello va copiato esattamente, a seconda della posizione melodica di partenza del V 62 VII 6 5 VII(V) – I 6 VII – VI I – VII – VI – V Regola dell’8^ N.B. La numerica impiegata per la 1^ posizione melodica è identica nelle altre posizioni. Gli accordi, le note di ogni singolo accordo e i movimenti delle parti nel modo minore sono gli stessi: la scala di riferimento è la seguente 63 ARGOMENTI SPECIFICI 1. Modulazioni al basso Nel basso di scuola, le modulazioni sono indicate in due modi: 1a. alterazioni al basso: su uno dei tempi della battuta compare un suono che non fa parte della scala in cu ci si trova. In questo caso, l'alterazione potrà essere ascendente o discendente rispetto al suono diatonico della scala in cui ci si trova Alterazione ascendente: può essere solamente VII o II di una nuova tonalità (II di tonalità min.) Alterazione discendente: può essere solamente IV o VI di una n uova tonalità (VI di tonalità min.) Si opta tra le due tonalità guardando come prosegue il basso; in particolare sono rilevanti: • le sensibili delle tonalità tra cui si deve optare; • il movimento del basso: quando il basso fa grandi salti (dalla 4^ in su) in genere si armonizza allo stato fondamentale; in particolare, quando scende di 5^ o sale di 4^ tra tempo debole e tempo forte successivo, è probabile si tratti di una successione V – I. Nei due esempi precedenti: il si bemolle potrà essere IV di Fa maggiore o Vi di Re minore (in quanto alterazione discendente del si bequadro di Do maggiore); il fa diesis potrà essere VII di Sol maggiore o II di Mi minore (in quanto alterazione ascendente del fa bequadro in Do maggiore). Alterazione discendente, esempi. Nell'esempio che segue il sib è IV di Fa mag., perché più avanti si trova il do bequadro (in Re minore il do è diesis): Nell'esempio seguente il si bemolle è VI di Re minore, perché più avanti si trova il do diesis (che non fa parte della tonalità di Fa maggiore): Alterazione ascendente, esempi. Nell'esempio seguente il fa diesis è VII di Sol maggiore, perché più avanti si trova il re bequadro che scende, in questo caso di quinta (in Mi minore il re è diesis e, in quanto sensibile, deve salire): 64 Nell'esempio seguente il fa# è II di Mi minore, perché più avanti si trova il re# (che non fa parte della tonaliltà di Sol maggiore): N.B.1. L'indicazione “I/IV” indica che l'accordo (in questo caso il I) è il punto di volta tra le due tonalità; esso, quindi, svolge una doppia funzione, da una parte è I della tonalità che si sta lasciando, dall'altra è IV della tonalità verso cui si sta andando. La modulazione si sta svolgendo quindi con la tecnica dell'accordo in comune (vedi sopra, p. 50). N.B.2. La tonalità in cui ci si trova va mantenuta fin dove possibile; in particolare è conveniente considerarsi nella tonalità in cui ci si trova fino all'ultima cadenza (perfetta, imperfetta, evitata o alla dominante). Quando il basso fa un movimento cromatico, la modulazione avviene senza accordo in comune: 1b. Movimenti tipici del basso. Vanno considerati movimenti che indicano la modulazione verso una nuova tonalità: 1. la sensibile che scende non è sensibile ma nota di una nuova tonalità (*1); 2. il movimento cadenzale del basso, tenuto presente che 2.1. i salti superiori alla 4^ in genere sono stati fondamentali, 2.2. il salto di 5^ discendente o di 4^ ascendente tra tempo debole e forte successivo è in genere una cadenza V -I (*2). *2 *1 3. Il basso legato in sincope è modulante quando il suono successivo non è sensibile; in questo caso la modulazione avviene sempre nella forma IV – III della nuova tonalità. Nel seguente esempio la prima volta il basso in sincope non è modulante (la nota che segue è sensibile), mentre la seconda volta modula: 65 2. Note di fioritura Il basso può essere fiorito melodicamente, con suoni posti sulla suddivisione. L'armonizzazione, sostanzialmente, è analoga a quella di un basso privo di note di fioritura; vanno considerati i suoni del basso che cadono sui tempi della battuta. Nell'esempio seguente... ... il basso si armonizza considerando i suoni che cadono sui quattro tempi della battuta: quindi, nella sostanza, il basso da armonizzare è di fatto quello che segue: Benché nella maggioranza dei casi le note di fioritura non influenzino l'armonizzazione del basso, è necessario tenerne conto, poiché in alcuni casi possono provocare degli errori. Le note di fioritura possono essere di due tipi (a., b. qui di seguito): 2a. note reali, di arpeggio Le note di arpeggio devono essere incluse nell'accordo; ove ciò non accedesse, l'armonizzazione, e con ogni probabilità anche l'individuazione della tonalità in cui ci si trova, sarebbero errate (le note segnate con l'asterisco non fanno parte dell'accordo: armonia errata): Le note di arpeggio possono provocare il raddoppio o l'omissione della terza dell'accordo; riguardo ciò si consideri che: 1. La terza può essere raddoppiata dal movimento del basso che passa dallo stato fondamentale sul primo rivolto; in questo caso, generalmente conviene star fermi con le parti superiori (nell'esempio vedi *1). 2. La terza non può mai mancare sui tempi della battuta; quindi, quando il basso passa dal primo rivolto allo stato fondamentale, è necessario muovere una delle voci superiori per integrare la terza dell'accordo (*2 errato; la correzione è alla battuta successiva). 3. La terza può mancare solo sulla suddivisione (*3). 4. Con *4 si segnala un passaggio frequente del basso e la sua armonizzazione migliore. 66 2b. note estranee, di passaggio o di volta Le note di passaggio e di volta non fanno parte dell'accordo. Devono essere rigorosamente raggiunte e lasciate per grado congiunto; anche se solamente una di queste cose non si verifica, la nota di fioritura non sarebbe di passaggio o volta, ma nota di arpeggio. Nel seguente esempio, in cui è presupposta una armonizzazione a quattro parti, sono indicate con v: dota di volta a. nota di arpeggio p: nota di passaggio Le note di passaggio, come quelle di volta, cadono quasi sempre sulla suddivisione (nel primo dei due casi presentati qui di seguito); può capitare che cadano sul tempo debole (il secondo dei casi presentati di seguito è tipico dei bassi di scuola); le note di passaggio sono indicate con l'asterisco: Quando il basso si muove all'interno di una 3^ tra tempo forte e debole successivo, si armonizza con un solo accordo. Le note di passaggio possono essere diatoniche o cromatiche. Nei compiti di scuola, le note di passaggio e di volta sono quasi sempre diatoniche. Le note di passaggio cromatiche devono sempre procedere per semitono da una nota diatonica a quella successiva; qualora ciò non accadesse, non si tratterebbe di una nota di passaggio cromatica, ma di una nota diatonica di una scala diversa da quella in cui pensavamo di essere (vedi il terzo caso di quelli proposti qui di seguito). Il fa# nel secondo esempio di quelli qui di seguito, è una nota di passaggio cromatica, raggiunta per semitono dal sol, che prosegue per semitono sul fa bequadro: Nell'esempio precedente: 1 = nota di passaggio diatonica 2 = nota di passaggio cromatica 3 = nota di volta cromatica Per quanto detto, le note di passaggio possono essere utili ai fini dell'individuazione della tonalità in cui ci si trova, dal momento che, se sei tratta di note alterate rispetto alla tonalità in cui ci si trova e non si tratta di note di passaggio cromatiche, indicano che ci si trova in una nuova tonalità (ancora una volta si veda il terzo degli esempi proposti qui sopra). Le note di volta possono essere diatoniche e cromatiche; in quest'ultimo caso, devono essere sempre raggiunte lasciate per semitono diatonico dalla nota diatonica della scala. Le note di volta cromatiche non comportano modulazione, come si vede nell'esempio seguente: 67 3. Basso in sincope e ritardi al basso Nei compiti di scuola è vietato ripetere sul tempo forte o mezzo forte di una battuta l'accordo dato sul tempo debole precedente; si avrebbe l'errore di sincope armonica. ERRATO sincope armonica 3a. Basso in sincope Il basso in sincope, che risolve scendendo, si armonizza: a. con 2/4 sul tempo forte o mezzo forte (può essere tonale o modulante, vedi sopra p. 49): tonale N.B. Attenzione al modulante in terza posizione melodica; è facile incorrere nell'errore di quinte parallele; qui di seguito è indicato l'errore e il modo per correggerlo: Come mostrato, il modo più facile per evitare le quinte parallele è di armonizzare con 6 il secondo movimento dell'accordo che precede il . L'armonizzazione con 6 dell'accordo che precede il è possibile solo su un I grado di scala maggiore e mai se sul tempo ancora precedente non si sia sentito il I (si veda l'esempio con l'indicazione “errato” qui sopra). Il V non si armonizza con 6, mai. 3b. ritardi al basso: si impiega il ritardo al basso laddove è inusuale l'uso descritto. N.B. I ritardi al basso vengono trattati solo dal basso n. 70 di J. Napoli del come appena 68 Il basso in sincope si trova anche all'interno di progressioni discendenti o ascendenti Tali forme di progressione verranno trattate sotto, nel paragrafo dedicato alle progressioni. 69 4. Ritardi I ritardi sono dissonanze in sincope; come tali vanno preparati con una nota che duri almeno un tempo, devono cadere sul tempo, devono risolvere sul tempo debole successivo. Sono errate, quindi, tutte le seguenti realizzazioni: a. b. c. d. e. • • • • • a. Il ritardo non ha preparazione (si tratta quindi di un’appoggiatura, che nei compiti di scuola non si ammette). b. Il ritardo cade sul tempo debole e risolve su quello mezzo forte (deve cadere invece sul tempo forte e risolvere su quello debole); c. Il ritardo non dura un tempo e risolve sulla suddivisione (deve durare un tempo e risolvere sul tempo debole successivo) d. La preparazione non dura un tempo, ma una suddivisione (deve durare un tempo); e. Non è ammessa la presenza simultanea di ritardo e nota ritardata (se ritardo il mi, non è possibile che un'altra voce faccia sentire il mi; fa eccezione il ritardo dell'8^ della fondamentale). L'uso dei ritardi, com’è evidente, non altera la realizzazione del basso. Nei compiti di scuola si usano le seguenti forme di ritardo: a. ritardo della terza (4-3) sul I e sul V che durano due tempi e cadono sul tempo forte o mezzo forte: N.B. Negli esempi seguenti viene proposto lo stesso passaggio senza l'uso del ritardo e con il ritardo b. ritardo della terza nel secondo rivolto degli accordi di 7^ sul V e sul II ( su accordi allo stato di rivolto, il basso sarà nella forma di II – I/III, IV – V. , ). Essendo 70 c. ritardo dell'ottava della fondamentale sul I che viene dal VII (9-8 sul I che dura due tempi). N.B. Il ritardo dell'ottava deve essere realizzato mantenendo la distanza di 8^ tra il ritardo e la fondamentale; non può essere realizzato nella forma di 2^ che risolve in unisono. d. I ritardi al basso sono stati trattati nel paragrafo sul basso in sincope. 71 5. Sequenze • • • Durante una sequenza non è necessario indicare i gradi al basso, se non per la successione conclusiva (in genere V-I). Nei compiti di scuola, la sequenza è ripetizione di un modello costituito dalla successione di due accordi; le ripetizioni del modello successive devono essere testuali: non si ammettono cambi di posizione melodica. Nel seguente esempio, la realizzazione corretta è solo la prima delle due; nella seconda l'errore sta nel cambio di posizione melodica. Quando la sequenza è discendente, prevedendo una discesa conseguente delle parti superiori, se necessario, si deve cambiare posizione melodica prima dell'inizio della progressione; se ciò è impossibile, si farà dopo che la progressione sia conclusa. se nel modello di sequenza si trova un accordo di 7^, la settima va preparata e deve scendere per grado congiunto nel passaggio all'accordo successivo. N.B. La sequenza tonale di quinte discendenti con le sue derivate può iniziare su un qualsiasi grado; in genere si chiude con la successione dominante-tonica (allo stato fondamentale o di rivolto, a seconda del tipo di progressione). 5a. sequenza di basso legato discendente: ERRATO N.B.1.: questa sequenza inizia sempre con con la successione IV – III. sul tempo forte del primo basso in sincope; termina in genere N.B.2. Nel secondo esempio, l'armonizzazione con del V prima dell'inizio della sequenza serve ad evitare le quinte parallele (segnate con l'asterisco nell'esempio successivo). 5b. sequenza circolare di quinte discendenti (basso che scende di 5^ e sale di 4^): N.B.1. Questa progressione inizia sempre con un accordo di 7^ completo. N.B.2. L'errore più comune (segnalato qui sopra) deriva dal tentativo di limitare la discesa delle parti superiori, cambiando posizione melodica nel corso della progressione; è vietato: oltre a impedire la corretta ripetizione del modello, impedisce la risoluzione della dissonanza per grado congiunto discendente. 72 c. basso che scende di 3^ e sale di grado (derivata dalla precedente): N.B.1. Questa progressione si armonizza con 5 sul basso che scende di 3^, su quello che sale. N.B.2. Occasionalmente può terminare sul II, anziché con la successione V -I (vedi il secondo caso dell'esempio qui sopra). d. basso che sale di 4^ e scende di 3^ (tonale/modulante) 5e. Basso che sale di 5^ e scende di 4^ 5f. Sequenza di basso cromatico discendente: vedi sopra p. 44 5g. progressione di basso cromatico ascendente: vedi sopra p. 44 Progressioni imitate Alcune progressioni sono strutturate in modo da poter inserire in una delle voci superiori il disegno melodico proposto dal basso: Questo modello viene armonizzato in modo da inserire in una delle voci superiori lo stesso disegno proposto dal basso (nell'esempio che segue si trova nel soprano, ma potrebbe essere una qualsiasi voce); il basso scende dalla fondamentale sulla 3^ dell'accordo successivo, altrettanto fa il soprano. 73 Le più frequenti tra le progressioni imitate sono quelle che si basano sul modello di progressione di basso che scende di 5^ (scende di 5^ e sale di 4^); un tipo è quello proposto nell'esempio qui sopra. Altri modelli, sempre derivati dalla stessa sequenza, sono i seguenti: Non si deve imitare il salto di 8^ che inizialmente il basso può fare per acquistare una posizione migliore: Un errore: fioritura dell'unisono: l'errore sta nell'entrare nell'unisono per grado congiunto; è al contrario corretto uscirne: Quindi, per realizzare correttamente la seguente imitazione, è necessario trovarsi nella posizione melodica opportuna; nel caso non fosse possibile, si dovrà alterare il disegno dell'imitazione, mantenendone il ritmo: Sequenza imitata di basso legato discendente: Sequenza imitata ascendente: 74 Ipertesti capitolo I, SCALE E MODI Ipertesto 1.1: scale e modi Le scale e i modi sono considerati un universale della musica [Molino e Nattiez 2005, p. 339], dal momento che si presentano in tutte le culture musicali conosciute. È comune il riconoscimento dell'ottava, come cornice entro la quale avviene la segmentazione del continuum sonoro a seguito della quale scaturiscono i suoni della scala, così come è comune la selezione dei toni della scala per dare luogo ai modi. Sono ancora comuni la gerarchizzazione dei gradi del modo, che porta all'individuazione di uno dei suoi suoni (che diviene in questo modo il primo grado dei quel modo) come quello adatto a concludere il flusso della melodia, e la focalizzazione di uno o più gradi, distinti dal primo e dai restanti, meno rilevanti del modo. La melodia tenderà ad appoggiarsi e ad articolarsi su questi gradi strutturali del modo, che assumeranno per questo una funzione polarizzante nel suo dispiegarsi [McAdams 1989, p. 268]. È rilevante la frequenza con cui diversi linguaggi musicali riconoscono un valore strutturale di rilievo ai gradi che si trovano a distanza di una quinta o di una quarta dal primo grado. Nella trattazione teorica di scale e modi si segue il percorso che dalla scala va al modo (anche io ho fatto così nel testo); tuttavia è bene tener presente che l'esperienza segue il percorso esattamente inverso: le melodie si cantano a seconda dei casi ora in un modo ora in un altro; operando poi una astrazione concettuale e mettendo assieme i suoni di tutti i modi, si arriva a definire la scala che li contiene. D'altra parte, gli stessi modi sono anche derivati dall’astrazione delle caratteristiche essenziali che individuano i tipi melodici ricorrenti nei repertori orali di una cultura musicale. Il fatto che diverse culture musicali, distanti tra loro sia nel tempo sia nello spazio, manifestino somiglianze piuttosto notevoli riguardo aspetti essenziali della musica, come le scale e i modi, si spiega tenendo presenti due cose: la prima, che il suono, pur manifestandosi in natura secondo una molteplicità infinita di aspetti, ha una natura armonica (vedi più avanti il fenomeno fisico della risonanza armonica), che l'orecchio umano è in grado di apprezzare; la seconda, che l'uomo elabora a sua volta le percezioni secondo i limiti fisici e psichici determinati della specie. La rilevanza naturale dell'intervallo di ottava e degli altri armonici, per esempio, spiega plausibilmente la natura delle scale musicali e la segmentazione dell'ottava stessa [Zanarini, 2002, p. 13]; vi è poi il limite di discriminazione dell'orecchio umano, da cui consegue che non esistano modi e musiche reali in cui lo scarto tra due altezze vicine sia inferiore al semitono [Meyer, 1998, ed 2000, p. 284, cit. in Molino e Nattiez, 2005, p. 351]. La scala del canto gregoriano comprende 8 suoni (il si può essere bemolle o bequadro), la nostra scala comprende invece dodici semitoni equidistanti secondo il sistema temperato; la scala indiana è composta di 24 quarti di tono. Il fatto che in tutti e tre questi casi i repertori musicali si basino su modi composti di sette suoni – unito all'osservazione di fenomeni simili presso altre culture musicali - permette di confermare che in generale gli intervalli che compongono le scale sono generalmente più piccoli di quelli dei modi che sono inclusi in quelle stesse scale [Fernando, 2005, p. 927]. La conformazione di un modo ha a che fare con la melodia, che è una successione di suoni coerente e chiusa in sé, in genere. La coerenza e l'effetto dinamico di chiusura, preceduto evidentemente da quello di apertura/allontanamento/percorso, sono ottenuti attraverso diversi fattori: contribuiscono il ritmo, il profilo stesso della melodia, la ricorrenza e/o persistenza dei suoni. Tuttavia, nei linguaggi musicali naturali la distinguibilità dei suoni e la loro gerarchizzazione (vedi oltre per un approfondimento di questo argomento), sono favoriti decisivamente, ancora prima, dalla struttura del modo, proprio perché le distanze tra i suoni fra loro non sono uguali: ci sono toni, semitoni e, nelle scale pentafoniche per esempio, anche distanze maggiori. Le scale/modi codificano rapporti, anziché differenze [Zanarini, p. 6-9]. Fin dall'antichità, al centro della riflessione dei teorici è stato l'aspetto degli intervalli percettivamente distinguibili tra suono e suono della scala, piuttosto che l'identificazione dell'altezza assoluta del singolo suono. Nello schema di alternanze tra toni e semitoni, deve essere chiaro chi fa cosa, non è ammessa ambiguità. La scala cromatica, costituita di dodici semitoni, e la scala esatonale14, costituita da sei suoni tutti a distanza di tono fra loro, non hanno questa caratteristica essenziale. La scala cromatica è stata già esemplificata; qui di seguito vengono indicate le due scale esatonali possibili a partire dalla scala cromatica costituita di dodici semitoni; Esempio: 14 Attenzione a non confondere il termine esatonale con esafonica: nel primo caso con la parola si indica una scala costituita di sei toni interi, nel secondo caso più genericamente una scala di sei suoni. È chiaro che la scala esatonale è anche una scala esafonica; ma non il contrario. 75 Quanto detto spiega come mai, dopo aver avuto una certa fortuna in determinati ambiti della produzione musicale dell'inizio del XX secolo - sull'onda delle riflessioni estetiche di quel tempo – l'uso della scala esatonale e successivamente di quella cromatica sia andato pian piano scemando, senza mai comunque superare i limiti dell'esperienza musicale colta e mai arrivando a toccare il senso della scala/modo nell'esperienza condivisa del linguaggio musicale. È difficile immaginare che qualcuno fischiando sotto la doccia abbia mai rinunciato alla scala di sette suoni. Detto questo, è necessario aggiungere che, se si deve esprimere ambiguità, sospensione, indefinitezza, la scala cromatica o quella esatonale è quel che ci vuole. Debussy, nella cui musica aleggia spesso questo stato di sospensione e di mistero, ha impiegato differenti volte la scala esatonale con questo intento espressivo. In alcuni casi l'intera composizione è impiantata sulla scala esatonale, come per esempio il secondo dei preludi per pianoforte del primo libro. C. Debussy, Preludi per piano, libro primo, n. 2 Modéré, p. 3-6, link http://petrucci.mus.auth.gr/imglnks/usimg/c/c0/IMSLP00509-Debussy_-_Preludes__Book_1.pdf Vanno considerate due cose a proposito di questo secondo preludio del primo libro: la prima, che c'è una sezione in cui Debussy abbandona la scala esatonale su cui è impiantato il brano per inserire sei batt. nella scala pentafonica minore di Mi bemolle; la seconda, che Debussy neutralizza la potenziale indefinitezza della scala esatonale tramite la persistenza del si bemolle nel basso: questo si ancora i suoni percettibilmente, facendo intendere come sia quello il riferimento della scala usata e dei movimenti al disopra di esso. In altre parole, Debussy usa la scala esatonale più per creare una suggestione di indefinitezza (in questo caso suggerita anche dall'immagine delle vele - ...Voiles – con cui l'autore chiude la musica e dall'indicazione “con un ritmo senza rigore e carezzante” posta all'inizio della partitura), che per disorientare deliberatamente l'ascoltatore. In altri casi Debussy non impianta la musica sulla scala esatonale, ma la usa per ottenere momenti di rarefazione o di estenuazione. Così accade per esempio in Reflets dans l'eau; si veda la battuta centrale del seguente frammento: Esempio, C. Debussy, Image per pianoforte, Reflets dans l'eau, frammento Nella stessa musica Debussy sovrappone al movimento del basso sui gradi della scala esatonale, gli arpeggi non esatonali della mano destra: Esempio, C. Debussy, ibidem. È differente il discorso per quel che riguarda la scala di 12 semitoni. L'uso della scala per toni interi 76 (esatonale) e della scala per semitoni si colloca, come accennato, all'inizio del XX secolo ed entrambi si svilupparono sull'onda della crisi del sistema tonale. Tuttavia le scelte estetiche e conseguentemente tecniche di due autori che esercitarono grande influenza in quegli anni – Debussy e Schoenberg – si pongono su fronti opposti. Debussy supera il cromatismo wagneriano e la tonalità originalmente, immergendo armonie diatoniche e gesti melodici ricorrenti, altrettanto diatonici, in un tessuto cangiante in cui il cromatismo e l'uso di scale inconsuete sono strumenti per la creazione di suggestioni sonore e coloristiche: in altri termini, il cromatismo (ovvero la considerazione della scala di dodici semitoni come repertorio di suoni cui poter attingere senza condizionamenti strutturali imposti a priori), così come la scala per toni interi non sono i soggetti della vicenda, ma strumenti per ottenere altro. Altra è la scelta estetica e conseguentemente tecnica di Schoenberg, nel quale l'approdo al cromatismo si pone al contrario non come il superamento dell'esperienza wagneriana, bensì come il suo compimento in qualche modo necessario. La scelta della scala cromatica prima ancora che musicale è ideologica: si trattava non di superare il cromatismo wagneriano, ma la tonalità tradizionale, con le scale e i modi che ne costituivano la base imprescindibile. Il presupposto di Schoenberg è che, “dal momento che la tonalità non è una condizione imposta dalla natura, è privo di significato insistere sul fatto di conservarla per legge naturale.” [Rognoni, 1974, p. 27]. Se la tonalità si basa sulla scala e sulla gerarchizzazione dei suoni della scala, il superamento della tonalità non può avvenire che imponendo l'uso di una “non scala”, ovvero di una successione indistinta di dodici semitoni, per definizione equidistanti fra loro. Schoenberg definirà la dodecafonia come un “metodo per comporre mediante dodini suoni che non stanno in relazione fra loro”. Basta nulla, per intendere la distanza che c'è tra la musica di Debussy e l'operazione intellettuale di Schoenberg: A. Schoenberg, Fünf Klavierstücke, op 23, n. 5, Walzer “La scala diatonica è sistema e linguaggio per tutti; invece, la scala cromatica per la competenza musicale comune non esiste come scala, ossia come sistema e linguaggio; non è melodia...” [Stefani, 1987, p. 168]. Il disorientamento che si prova ascoltando musiche come quella appena proposta di Schoenberg proviene da diversi fattori; sicuramente la mancanza di comprensibilità inizia dall’impossibilità di trovare un capo e una coda, un ordine, un perché nella successione delle note. Manca una scala/un modo che aiuti a organizzare la percezione dei suoni. E non è poco. L'opera di Schoenberg e di coloro che ne hanno seguito o proseguito l'intenzione estetica non ha avuto gran diffusione nel più largo pubblico, quando erano vivi gli autori; e dopo non è andata meglio. Il futuro è nell'esperienza di ognuno di noi. È interessante notare come, in un contesto diatonico, l'uso delle alterazioni venga percepito come tale, nel senso cioè che un suono alterato sostituisce e intensifica dinamicamente il suono diatonico della scala; come nel seguente esempio, in cui il mi bequadro sostituisce il bemolle intensificando la spinta sul fa: Esempio: W.A. Mozart, Sonata in Si bem mag. K 333, Adagio cantabile, parte Sul battere della terza batt. il mi bequadro viene percepito come suono che altera il mi bem. della scala 77 diatonica; come vedremo nel capitolo dedicato all'uso del cromatismo, il suoni alterati spingono la melodia nel senso dell'alterazione; in questo caso, quindi, il mi bequadro, alterando in senso ascendente il suono diatonico, spinge la melodia a salire sul fa). In un contesto diatonico, anche un uso piuttosto massiccio delle alterazioni, viene sempre ricondotto nell'ambito della scala; qualora la scala di riferimento non venga confermata, è tuttavia naturale che si generi un senso progressivo di smarrimento. Nel seguente esempio, tale smarrimento viene neutralizzato dal movimento della melodia, chiaramente ancorato alla scala/tonalità di Sol diesis minore attraverso la linea che dal re iniziale conduce al sol sul battere della quinta battuta: Esempio: A. Scriabin, Impromptus à la mazur, op. 7 In un ambito totalmente cromatico è impossibile risalire a una scala diatonica di riferimento e lo smarrimento delle coordinate con la conseguente sensazione di perdita di senso, è ineludibile; l'esempio della musica di Schenberg proposto appena più sopra è lampante [Stefani, 1987, p. 169]. Ipertesto 1.2: la scala nel periodo del canto gregoriano, uso del si bemolle Nel canto gregoriano il si viene alterato in senso discendente con un bemolle il più delle volte quando si trova in prossimità di un fa; l'alterazione serve ad evitare l'intervallo melodico di 4^ aumentata, ritenuto di difficile intonazione15; Esempio: Nell'esempio seguente la melodia si articola in due parti; nella prima (fino alle parole “hic dies”), che si muove attorno al sol, il si è bequadro; nella seconda parte (finisce sulla parola “alleluja”) che si muove attorno al fa primo grado del 6° modo, il si diventa bemolle. Vi è quindi un cambiamento di esacordo: dall'esacordo “duro” (l'esacordo duro è quello che parte da sol e contiene il si bequadro) si passa a quello “molle” (è l'esacordo che parte da fa e contiene il si bemolle); Esempio Il motivo della vicinanza del fa non può essere sempre portato per spiegare l'alterazione discendente del si nelle melodie gregoriane; nell'esempio seguente la seconda frase (sulle parole “et inimicos eorum operuit 15 Non è complicato leggere il gregoriano; basta tener presenti alcuni punti di riferimento. La chiave usata per Data est mihi è quella di do; la nota con cui inizia la melodia è il fa. Nei neumi in cui più suoni si trovano sovrapposti, si legge prima la nota inferiore, quindi la superiore. Il seguente neuma, sempre considerando la chiave di do sul rigo più alto del tetragramma, si legge fa-mi-fa . 78 mare”) non gira attorno al fa, né si proietta su quella nota; la presenza del si bemolle, al contrario, crea un intervallo di quinta diminuita con il mi che è vicino al si bemolle e su cui finisce la frase. In questo caso, quindi, l'alterazione si deve ad altro, rispetto alla necessità di evitare intonazioni sgradevoli; il corpo delle melodie gregoriane, d'altra parte, ha origini eterogenee e complesse, nelle quali tradizioni e culture anche piuttosto distanti fra loro trovarono un punto d'incontro nell'uso liturgico dei materiali. I tentativi, operati dalla chiesa a più riprese per uniformare il repertorio all'interno di canoni estetici e normativi approvati, non hanno impedito la sopravvivenza di movenze che testimoniano quest'antica ricchezza di sfondi sonori e culturali. Esempio: Ipertesto 1.3: uso del nome dei modi nella musica attuale Nella musica moderna, il più delle volte quando si usa la locuzione “scala misolidia” ci si riferisce alla scala da usare per muovere melodicamente una parte (per esempio quello di uno strumento solista) quando si sta eseguendo un determinato accordo; sicché, ad esempio, su un accordo di Dm7 si userà la scala dorica, mentre, passando nella battuta successiva all’accordo di G7, si cambia scala e si usa quella misolidia: scala dorica scala misolidia Si tratta dunque di una differenza abissale nell’uso degli stessi termini, e, se è vero che l’uso genera la regola (ovvero, in termini generali non esiste il modo “corretto” in sé per usare una parola: se viene usata comunemente in un certo ambiente per indicare una certa cosa, se ne prende atto), è anche vero che una certa disinformazione favorisce in questo caso l'attribuzione di un significato differente e limitato a parole che per secoli sono state impiegate per dire altro; il che potrebbe rendere più difficile comprendere apppunto quel che s'è fatto per tutti questi secoli. Quando si afferma che una sinfonia di Beethoven è in Re mag. o che una melodia gregoriana è nel modo frigio si afferma che la struttura dell'intera composizione è orientata strutturalmente da quella scala/modo. Ipertesto 1.4: Scala minore naturale e altri tipi di scala minore I diversi tipi di scala minore definiti nei vari manuali di teoria sono originati dalla necessità di introdurre determinate alterazioni in certi contesti. Intanto vediamo i tipi di scala minore più comunemente classificate: a: scala minore naturale b: scala minore armonica 79 c: scala minore melodica d: scala minore bachiana Nella composizione di una melodia in tonalità minore, si usa la scala minore naturale, come nell’esempio che segue, in cui il re al basso nella batt. 3 è naturale: Esempio: G. F. Handel, Sonata per flauto in Mi min., Hwv 375, Minuetto, parte Quando il grado 7 della scala precede l'8°, in particolare al termine di un segmento melodico, viene alterato, in modo tale da ridurre la distanza di tono a semitono; infatti, nella nostra cultura musicale (ma le cose nei nostri giorni stanno cambiando; cfr. più avanti l'approfondimento relativo all'uso della scala minore nella musica attuale) il semitono è necessario per marcare la conclusione di una melodia o di un segmento melodico anche di breve durata. In questo modo il 7° diventa “sensibile”, ovvero si carica di tensione risolutiva verso 8°16. L’alterazione ascendente del 7° dà luogo alla scala armonica. Nell'esempio precedente, tratto da un minuetto di Handel, il re diventa diesis alla conclusione della frase (batt. 6); nell'esempio che segue, la frase musicale è articolata in brevi segmenti tutti incentrati sulla successione 7°-8°; per questo il re è quasi sempre diesis: Esempio 1.11: J.S. Bach, Invenzione a due voci in Re min., parte. Ora guardiamo le batt. 4 e 5 dell'esempio appena proposto, perché lì è ben esemplificata la cosiddetta scala minore melodica: nella batt. 4, dove il 6° sale sulla sensibile – ovvero su 7° alterato – è necessario alterare in senso ascendente anche 6°, in modo da evitare l’intervallo melodico di 2ª aumentata (di difficile intonazione)17 che si avrebbe tra il sesto grado naturale e la sensibile (ovvero tra si bemolle e do diesis). Guardiamo il prossimo esempio: è sempre tratto dalla stessa Invenzione in Re minore di J.S. Bach; in questa fase la musica ha modulato verso la tonalità di La minore18 e nelle ultime due battute dell'esempio è ben visibile la scala minore cosiddetta bachiana di La. Siamo sulla Dominante della tonalità di La (al basso infatti c’è un mi tenuto); come già ripetuto, la funzione di Dominante si lega necessariamente alla presenza della sensibile, sicché il 7° deve essere mantenuto alterato (sensibile) anche se la melodia in quel punto si muove 16 Con l'avvento della tonalità (vedi capitolo dedicato più avanti in questi appunti), ovvero dagli ultimi decenni del XVII, la sensibile si lega all'armonia di dominante: non esiste sensibile al di fuori dell'armonia di dominante, non esiste dominante senza sensibile (va sempre ripetuto: in genere; le regole sono sempre astrazioni su base statistica). 17 Gli intervalli verranno spiegato più avanti,in questo stesso capitolo. 18 Per quanto riguarda la modulazione, si veda più avanti il capitolo dedicato. 80 sulla scala discendente; di conseguenza, anche il 6° dovrà essere alterato per non costringere la parte al solito intervallo melodico poco cantabile di 2ª aumentata: Esempio: ibidem, I diversi tipi di scala minore derivano quindi tutti dalla necessità di avvicinare 7° nel movimento verso 8° all’interno di un contesto armonico di Dominante e dagli adattamenti melodici che tale alterazione comporta quando il 6° deve andare sulla sensibile. Nella pratica, quindi, non esiste che la scala minore naturale, che viene alterata solo in contesti determinati. La consuetudine a parlare di diversi tipi di scala minore genera un fraintendimento grave, dacché si potrebbe pensare che il compositore, iniziando a scrivere una musica in tonalità minore, debba èperdere del tempo a decidere quale tipo di scala da impiegare; ovviamente non è così. D’altra parte, si altera 7° per avvicinarlo a 8° in cadenza anche e per obbligo nella musica pretonale, già nel Quattro-Cinquecento. Nessuno si sognerebbe, per questo, di parlare di una “scala dorica armonica”. Ipertesto 1.5: uso “in superficie” della scala pentatonica nella musica attuale L'inizio della canzone esemplificata di seguito rappresenta efficacemente il fatto che la scala pentatonica venga usata solo come suggestione di superficie: mentre la melodia si appoggia sulla pentatonica maggiore di Do, nell'accompagnamento compaiono sia il si che il fa, suoni non inclusi in questa scala pentatonica. L'usio della pentatonica agisce solo in superficie quindi, come elemento che caratterizza la melodia, ma non interferisce con la struttura musicale che impiega normalmente la scala di sette suoni. Per questo sarebbe inappropriato parlare di una musica bimodale, dal momento che nell'ascolto non si percepisce alcuna frattura tra la melodia e il sostegno strumentale. Esempio: da M Carey e B. Margulies, Love takes time 81 Ipertesto 1.6: Uso attuale della scala minore Nella musica attuale la scala minore viene impiegata quasi sempre in modo differente rispetto alla tradizione classica; le differenze sono indotte dall'impianto armonico, che, sia a livello delle successioni di accordi che dell'uso di queste nell'ambito della cadenza, è distante da quello classico. Se le prime quattro battute di Because, dei Beatles, sono piuttosto classiche, il prosieguo non lo è: ciò produce nella musica un effetto moderno di straniamento, coerente col senso delle parole: Esempio: Beatles, Because, parte Nella canzone che segue di Elton John, vi è la volontaria ricerca di una sonorità “medievale”, ottenuta evitando l'uso della sensibile in cadenza; sostituendo il penultimo accordo con un B7 e alterando con un diesis il re che precede il mi conclusivo nella melodia, tutto rientrerebbe nella norma classica. Questo modo di impiegare il minore al fine di evocare atmosfere anticheggianti ha avuto un certo seguito nell'epoca new age, per esempio nelle musiche di stile cosiddetto “celtico”: E. John, I need you to turn to, parte La presenza dell'accordo di La mag. alla fine della seconda batt. rende lecito interpretare questa melodia come modo dorico di Mi; la trasformazione del maggiore in minore nella batt. seguente riconduce nell'ambito del modo minore di Mi. In questa, come in tante cose della musica e della vita, non c'è una verità. La differenza tra l'uso tradizionale della scala minore e quello attuale si apprezza nella sua evidenza anche suonando un giro armonico elementare; gli accordi sono sostanzialmente gli stessi, ma nel primo caso si usa la sensibile nel penultimo accordo, nel secondo caso no: Esempio: 82 Più vicino ai nostri giorni, il modo minore è impiegato raramente seguendo l'impianto classico dei giri armonici e non più per evocare atmosfere medievali. Praticamente, scompare l'uso della sensibile, come in questo passaggio di una canzone di Tiziano Ferro, che è in Re min., e che non usa il do dieis: T. Ferro, Chi non ha talento insegna Ipertesto 1.7: scala blues, approfondimenti Con riferimento al blues, al jazz e in parte al rock'roll che discende dal blues, si parla di una scala particolare, che avrebbe avuto una certa influenza su parte della musica attuale. L’elemento innovativo più importante di questa scala è quello delle cosiddette “blue notes”; si tratta del III, V e VII grado della scala maggiore che nello stile blues e nel jazz vengono alterati di semitono discendente, o comunque in senso discendente di un intervallo vicino al semitono. Non si tratta in ogni caso propriamente di una bemollizzazione dei gradi detti, quanto di un abbassamento dell’intonazione vicino al semitono. Nell’esecuzione con strumenti a intonazione fissa (per esempio il pianoforte), l’effetto delle blue note è spesso ottenuto tramite l’esecuzione contemporanea della nota naturale e di quella abbassata; sicché nell’esecuzione di un accordo di Do maggiore, per esempio, si suona sia la terza minore che quella maggiore. La scala blues deriva con ogni probabilità dal contatto del linguaggio musicale dei negri d’America con quello occidentale; sembra, infatti, che il modo di eseguire il III, V e VII della scala abbassati di un semitono fosse tipico di quei popoli. Questo stile esecutivo ha generato apppunto la cosiddetta scala blues. Tuttavia resta il dubbio: si tratta di un modo/scala in senso stretto (ovvero dell'insieme di suoni con cui strutturalmente è costruita la musica) o di un insieme di note in cui si considerano parti integranti della scala anche dei suoni alterati di una scala diatonica di riferimento? In realtà ancora una volta si conferma che nella musica moderna il termine scala viene impiegato differentemente da come si usa nella teoria musicale. Mantenendoci all'interno di questa teoria più accreditata, le scale impiegate nel blues sono sempre quella maggiore e quella minore; lo stile esecutivo poi è caratterizzato dall'uso delle note alterate cromaticamente, e tra queste sono piuttosto frequenti quelle indicate nel testo. Perlatro, l'uso di note alterate è comune anche nella musica di tradizione classica; si pensi ad esempio alla frequenza con cui si usa il IV aumentato o il VI abbassato del modo maggiore. Non per questo si sente il bisogno di introdurre il concetto o il nome di un tipo di scala particolare che includa questi suoni; farlo, sarebbe fuorviante e impedirebbe la comprensione delle cose. Ipertesto 1.8: Gerarchia dei gradi della scala Per melodia si intende una successione di suoni riconosciuta come coerente e di norma conchiusa in sé [Powers, 2002, p. 24]; in questo, la scala/modo svolge un ruolo determinante Si tratta dell'aspetto più affascinante e sicuramente più importante tra quelli che riguardano le scale; perché le scale e i modi possono essere differenti quanto si vuole, ma in tutti i modi è fondamentale che chi li usa (autore, ascoltatore, esecutore a qualsiasi livello) ne riconosca l'orientamento, ovvero la funzione relativa di ogni grado rispetto all'altro. Le scale/modi impiegate nei linguaggi musicali naturali hanno un capo e una coda. Anonimo, De coelo veniet, in “Antiphonale Sacrosanctae Romanae Ecclesiae” Diceva Guido d'Arezzo: “cum autem quilibet cantus omnibus vocibus et modis fiat, vox tamen, quae cantum terminat, obtinet principatum; […]. Et premissae voces, quae tantum exercitatis patent, itaad eam aptantur, 83 ut mirum in modum quanmam ab ea coloris faciem ducere videantur.”19 [Guido d'Arezzo, 1955, pp. 139140]. La melodia gregoriana appena proposta in esempio, De coelo veniet, mostra con efficacia il senso di quanto affermato da Guido d'Arezzo: impostata nel modo di Sol (misolidio), utilizza i differenti gradi della scala per ottenere un effetto dinamico chiaro, in cui il movimento dei suoni tende a trovare definitivo riposo sul primo grado, il sol (la nota che chiude una melodia gregoriana viene significativamente chiamata “finalis”, proprio per questo). La sensazione di riposo che si ha arrivando su questo primo grado alla fine della melodia, è indotta evidentemente da quella di non risposo - a seconda dei casi, di sospensione, di tensione o di allontanamento, di percorso, di tendenza al ritorno - che si prova quando la melodia si ferma su altri gradi della scala. La dinamica della melodia viene definita da un complesso di fattori; il sistema di relazioni che si instaurano tra i gradi della scala contribuisce decisivamente. Ipertesto 1.9: Gradi e metrica I gradi della scala da soli non bastano a definire la dinamica del fraseggio; è primaria l'interazione con il fattore metrico. È una questione complessa, sulla quale si tornerà nel corso di questi appunti; intanto qui si può osservare come un primo grado funzioni da nota di riposo definitivo se metricamente è posto alla fine della frase, mentre, se si incontra lungo il corso della melodia o all'inizio, non svolge una funzione analoga. Ecco un primo fatto da sottolineare quindi: i gradi della scala assumono rilevanza strutturale quando sono posti alla fine di una frase o di una porzione di frase. In altre parole, la melodia non è fatta solo passo passo, trovando la nota che secondo noi sta bene dopo un'altra nota; i singoli passi della melodia sono pensati anche e soprattutto in funzione del punto di sospensione o conclusivo che viene raggiunto o che fornisce un appoggio chiave nell'articolazione della melodia; è proprio la direzionalità della melodia a garantire la congruenza dei singoli passi di cui essa si costituisce. La melodia di De coelo veniet è articolata in due frasi (la prima termina sulla parola Dominus), ognuna delle quali suddivisa a sua volta un due parti; gli appoggi sulle note poste alla fine di ogni parte definiscono la dinamica della melodia; la possiamo sintetizzare in questo modo: Esempio: In sostanza: non c'è bisogno di qualcuno che suoni la campana per farci percepire la fine della melodia sulla parola imperium, e, dal momento che si può non aver nessuna cognizione del significato della frase latina, è evidente come ciò dipenda unicamente da fattori musicali, di strutturazione della melodia. Il quinto grado In De coelo veniet appare chiaro come il quinto grado della scala (il re, dal momento che siamo nella scala misolidia di Sol) svolga una funzione di alternanza o opposizione rispetto al primo: tant'è, che la melodia in questo caso sembra un percorso tra i due poli prevalenti del primo e del quinto grado. È un fatto che ritroveremo nel nostro repertorio musicale fino ai giorni nostri: 19 “Sebbene ogni canto sia fatto con tutte le note e gli intervalli, la nota che termina il canto ottiene il dominio. E le note precedenti, come sanno solo coloro che sono eserciati, sono così adatte a quella, che mirabilmente sembra che prendano da essa un'apparenza di colore”. Nella musica attuale si possono creare situazioni nelle quali è difficile indicare un primo grado della scala; soprattutto, hanno favorito l'evoluzione dello stile in questa direzione la composizione per loop - costituiti di giri armonici che si ripetono ostinatamente - e la consuetudine di non chiudere una musica, ma di lasciarla defgluire mentre continua il giro armonico, in fade out. Sull'argomento della bimodalità e della composizione su loop di accordi si veda Tagg, 2011, p. 259 e segg.. È tuttavia importante notare come in una musica composta su loop di l'ascoltatore non perde in alcun momento la cognizione della direzione della musica, poggiata saldamente sia sulla dimenzione armonica, che su quella ritmica che, infine, su quella melodica. 84 Esempio: D.A. Robles, El Cóndor pasa, frammento Dall'epoca del gregoriano in avanti, si rafforza pian piano la tendenza a polarizzare la struttura della musica sul primo e sul quinto grado della scala; nel periodo classico e romantico le potenzialità di tale funzione sono state impiegate estesamente a livello micro e macrostrutturale, dando luogo alle forme più impegnative di invenzione per dimensioni e complessità che la nostra storia della musica abbia conosciuto; su tutte, la forma sonata20. Funzioni dei gradi e disposizione delle frasi: antecedente-conseguente. Prevedibilità. Le gerarchia dei gradi della scala è importante anche perché, nel fare musica o nell'ascoltarla, aiuta a capire quale sia la funzione di una frase rispetto a quella precedente o a quella successiva; essa, in altre parole, contribuisce alla prevedibilità degli aspetti dinamici del discorso musicale. Potersi orientare aiuta sempre, anche a godere positivamente di momentanei disorientamenti; la musica non fa eccezione. Nel seguente esempio, tratto dal Flauto magico di Mozart (siamo proprio all'inizio dell'Opera, quando Pamino entra in scena), le due frasi musicali si connettono l'una con l'altra in modo che la seconda sembri una risposta alla prima, o, come si dice più tecnicamente, in modo che la prima funzioni da antecedente rispetto alla seconda, che funziona da conseguente. Favorisce il raggiungimento di questo risultato il fatto che, mentre la prima frase si conclude sul secondo grado della scala, la seconda termina sul primo; che sia la funzione dei gradi a svolgere un ruolo primario si prova facilmente, sostituendo il secondo col primo grado alla fine della prima frase e viceversa: il risultato sarà dinamicamente assai differente: Esempio: da W.A. Mozart, Die Zauberflöte, frammento L'aspetto della prevedibilità e l'uso dei gradi della scala al fine di favorirla è comune alla musica di ogni tempo; nel seguente esempio la prima frase termina sul re, secondo grado della scala (sulla parola sorrow), mentre la seconda sul do, primo grado (sulla parola tomorrow): Esempio: da B. Withers, Lean on me, frammento 20 Nel percorso evolutivo della struttura della musica d'arte svolgono un ruolo primario il contrappunto e l'armonia; le funzioni dei gradi della scala, in primo luogo quelle del primo e del quinto grado, acquisiranno ulteriore rilevanza all'interno di queste dimensioni. 85 Come accennato, la polarizzazione sul primo e sul quinto grado viene impiegata per dare forma congruente al pensiero musicale sia nelle piccole dimensioni, che in quelle più grandi; nell'esempio che segue le due frasi sono composte in modo tale da non trovare conclusione sulla seconda, dal momento che viene sospesa sul quinto grado della scala (la musica è in Si bem mag.): Esempio: da J. Haydn, Duo in Si bem magg., Hob. VI:3, frammento Passando da queste dimensioni, ancora piuttosto ridotte, a quelle maggiori, basterà per ora ricordare come nella forma sonata la fine della prima parte (esposizione) venga sospesa sul quinto grado della tonalità maggiore d'impianto, mentre il primo grado viene definitivamente riconquistato solo con la ripresa dell'esposizione. Stabilizzazione – allontanamento/percorso – ritorno. Osserviamo la seguente melodia gregoriana: Esempio: Anonimo, De coelo veniet, in “Antiphonale Sacrosanctae Romanae Ecclesiae” La struttura di questa melodia è articolata in tre parti: a. (da Jerusalem a … in excelso) stabilizzazione del tono di Re (siamo nel modo dorico); b. (et vide … et tibi) allontanamento verso altri gradi; c. (a Deo tuo) ritorno al primo grado. Consegue una riflessione su un orientamento di senso che spesso – e anche questa volta in qualsiasi epoca musicale nella nostra cultura – la struttura conferisce alla musica. La dimensione dinamica della musica si fonda, come s'è visto, anche sulla forza relativa dei diversi gradi della scala e si realizza come un viaggio, fatto allontanamento/percorso e ritorno alla situazione di stabilità. Per esaltare il senso dell'allontanamento è necessario inizialmente rafforzare il senso di stabilità: ci si allontana da qualcosa che si percepisce con evidenza come vicino (o stabile); il momento dell'allontanamento/percorso si realizza come instabilità, ovvero proponendo approdi su differenti gradi della scala che, pur sospendendo il flusso della melodia, non riescono a restituire un senso di rilassamento: ci si ferma, ma si percepisce il bisogno di andare avanti, verso la stabilità conclusiva, che si realizza con il primo grado della scala (e col punto finale del testo intonato). La dimensione narrativa di questa struttura la ritroveremo anche in musiche di più ampie proporzioni; per esempio, ancora una volta nella forma sonata. 86 Alternanza Esempio: Marcabru, Dire uos uuelh ses duptansa, prima stroafa con ritornello Ecco un altro archetipo formale importante nella nostra cultura musicale: si alternano strofa e ritornello e l'una si distingue dall'altro non solo per via della linea melodica differente, ma anche perché poggiata su un grado diverso del modo di Re. Si potrebbe dire che la canzone di Marcabruno è nel modo di Fa per quel che riguarda la strofa, mentre ìè in quello di Re per il ritornello; e, se anche è vero che il modo di Re prevale nel senso di stabilità conclusivo, proprio perché è quello che serve a concludere la canzone con l'ultimo ritornello, è evidente la sensazione di una scissione del flusso melodico tra le due parti. Utilizzando una terminologia moderna – che in questo caso tuttavia non forza l'interpretazione delle cose – si potrebbe dire che l'autore tra strofa e ritornello impieghi una modulazione, proprio per distanziare l'una dall'altro anche nella percezione dell'ascoltatore. È una canzone trobadorica del Basso Medioevo, ma quelle di Sanremo dei giorni nostri spesso sono del tutto simili nella forma. Ipertesto 1.10: Inventario sintetico delle funzioni dei gradi Per farci un'idea di massima delle funzioni che possono svolgere i gradi di una scala nella definizione della dinamica della melodia mi servo di alcuni esempi elementari. Abbiamo già acquisito un'informazione importante: i suoni della melodia manifestano evidenza funzionale maggiore quando sono posti alla fine di una frase; per questo, nell'esempio ho disposto di volta in volta alla fine della frase di quattro battute un suono differente della scala di sette suoni di Do maggiore. Siccome poi il senso di una frase dipende anche dal suo percorso generale, per evitare di condizionare eccessivamente il senso della nota conclusiva col percorso fatto per raggiungerla, ho cercato di utilizzare movimenti simili e per grado congiunto nei diversi esempi; in questo modo la funzione dei gradi della scala dovrebbe rilevarsi con una certa chiarezza in una condizione per quanto possibile neutra. Gli esempi mostrano in sintesi che: a. I: il primo grado di una scala funziona come suono conclusivo; ed è l'unico ad avere questa caratteristica; a1. III: il terzo grado conferisce alla frase un senso di quasi conclusione; simile al primo grado (ma non è il primo grado). b. II, VII: il secondo e il settimo grado hanno una funzione di riconduzione: spingono entrambi verso il ritorno al primo. c. V: il quinto grado è quello dell'alternanza, dell'opposizione al primo; è come se si raggiungesse un nuovo punto di forza, ma distante dal primo. d. IV: il quarto e il sesto grado sono quelli del senso di allontanamento o lontananza. N.B. I numeri romani in questo caso indicano i gradi melodici della scala. Non si tratta di affermazioni definitive; come ripeto, la forza e la funzione di un grado dipendono da tanti fattori e su tutti giocano un ruolo primario il parametro ritmico e quello armonico. Ma è una buona base per iniziare la riflessione su questi aspetti della scala. Può essere utile, da questo punto di vista, analizzare alcune musiche attivamente, ovvero cambiando qua e là qualcosa per vedere l'effetto che provocano i cambiamenti; è il modo migliore anche per rendersi conto del perché l'autore abbia scelto proprio la versione che ha 87 pubblicato e che è di fronte a noi. L'esempio che propongo è piuttosto semplice: la melodia procede quasi esclusivamente per grado congiunto, l'armonizzazione non complica la semplicità della melodia. Naturalmente, man mano che si acquisiranno ulteriori elementi di conoscenza della materia, sarà possibile eserciatarsi su musiche più complesse, combinando il fattore melodico con quello ritmico, armonico, ecc. Esempio: da R. Scbhumann, Album für die Jugend, op. 68, n. 1, Melodie. Riprendo la melodia sviluppata in otto batt., dal momento che le quattro dell'esempio sono ritornellate. I ….........→ I …..........→ V I ….........→ I …..........→ V La struttura, articolata in brevi semifrasi di due battute l'una, non è chiusa, dal momento che alla prima semifrase poggiata sul primo grado (anche se indebolito in quanto il do prosegue sul sol posto sul quarto tempo della seconda batt.), fa seguito la seconda che finisce sul quinto grado; la cosa si ripete in modo identico una seconda volta col ritornello. Possiamo provare a chiudere le otto battute, facendo confluire la melodia sul primo grado al termine del suo percorso; per esempio in questo modo: ….........→ I …..........→ V ….........→ I …..........→ I Oppure possiamo provare a rafforzare il senso di sospensione e di apertura alla fine delle otto battute; concludendo le prime quattro in modo più deciso sul primo, si produrrà, a contrasto, un senso di maggiore sospensione alla fine delle seconde quattro battute: I ….........→ V …..........→ I I ….........→ V …..........→ V Sempre proiettando la melodia sul I o sul V grado della scala possiamo ottenere risultati strutturalmente differenti, ai quali farà seguito una forma della musica di volta in volta differente. Nell'ultimo esempio provo a chiudere le prime quattro batt. sul sesto grado; il senso di allontanamento che provoca questa proiezione deve essere assorbito cambiando qualcosa del prosieguo, subito all'inizio delle seconde quattro battute: I ….........→ I …..........→ VI IV ….........→ II …..........→ I 88 Bibliografia ipertesti capitolo I Meyer, L.B. 1998 A universe of Universals, in «Journal of Musicology», XVI, n. 1, pp. 3-25; poi in Id., The Spheres of music. A Gathering of Essays, The University of Chicago Press, Chicago III. - London 2000, pp. 281-303. Molino, J. e Nattiez, J.J. 2005 Tipologie e universali, in Enciclopedia della musica, Volume quinto, L'unità della musica, Torino, Einaudi, 2005, p. 331-366. McAdams, S. 1989 Rognoni, L. 1974 Guido d'Arezzo 1904 Tagg, P. 2011 Stefani, G. 1987 Contraintes psychologiques sur la forme, in S. McAdams e I. Deliège (a cura di), La musique et le sciences cognitives, Mardaga, Bruxelles, pp. 257-283. La scuola musicale di Vienna. Espressionismo e dodecafonia, Torino, Einaudi, 1974. Prima edizione col titolo Espressionismo e dodecafonia, in “Saggi”, n. 383, Torino, Einaudi, 1966. Micrologus, ad paestantiores codices mss. exactus, a c. di Ambrogio M. Amelli, Desclée, Lefebvre et S. Edit. Pont., Roma on line: http://imslp.org/wiki/Micrologus_(D%27Arezzo,_Guido) La tonalità di tutti i giorni. Armonia, modalità, tonalità nella popular music: un manuale, (trad. it. di Jacopo Conti) a c. di F. Fabbri, Milano, il Saggiatore, 2011. Pubblicato col titolo Everyday tonality. Towards a tonal theory of what most people hear. New York e Montreal, The mass Media Music Scholars' Press, 2009. Il segno della musica. Saggi di semiotica musicale, Palermo, Sellerio, 1987 89 Ipertesti capitolo II, INTERVALLI Ipertesto 2.1: intervalli e contenuti affettivi Già s'è detto nel capitolo sulle scale che fin dai tempi antichi l'interesse primario non è stato nei confronti dell'altezza assoluta dei suoni, bensì della distanza tra di loro. E si capisce. La musica è fatta di suoni messi in successione ad altri suoni per fare melodie; ed è anche fatta di suoni che si mischiano ad altri suoni per creare impasti di suoni, colori, armonie, accordi. La conoscenza degli intervalli, la capacità di identificarli è preliminare a qualsiasi discorso sul fare musica. Dal punto di vista orizzontale, gli intervalli melodici sono quel che, insieme al ritmo, caratterizza la melodia, interagendo direttamente con la dimensione dinamica della scala21. Gli intervalli melodici hanno a che fare direttamente col contenuto affettivo di quel che si vuole esprimere22; senza immaginare connessioni meccaniche, c'è una certa concordanza tra gli intervalli melodici e il senso che evocano. La più nota di queste concordanze sta nel movimento di semitono discendente che, a seconda del gesto ritmico impiegato, si usa – si direbbe da sempre – per esprimere lamento, dolore, affanno. Esempio: C. Monteverdi, Lasciatemi morire, dal Sesto libro dei madrigali Il soggetto della fuga in Fa min, dal primo volume del wohltemperierte Klavier è incentrato sul valore espressivo del semitono; anche se Bach non scrive che l'atmosfera è pensierosa e mesta, ci si dovrebbe sforzare un po', per immaginare un girotondo di bambini: Esempio, J.S. Bach, Das wohltemperierte Klavier, Fuga in F min., Bwv 857 Il salto di 8^ è un rafforzativo, usato sia in senso ascendente che discendente. Alla fine del terzo atto del Trovatore si svolge la scena cruciale in cui Manrico sta per sposare segretamente Leonora, che è riuscito a liberare dal Conte di Luna; in quel mentre, arriva Ruiz ad annunciare che Azucena, madre di Manrico, è stata catturata per essere arsa viva come strega. Manrico, con alcuni uomini, si precippita in soccorso della madre. Nella prima parte della scena Manrico conferma il suo amore a Leonora e giura che sarà eterno, vincendo le resistenze dei nemici che si oppongono a quell'amore. Il salto di ottava ben marca la fermezza di Manrico, sulle parole “Ma de' nostri nemici avrem vittoria”: Esempio: G. Verdi, Trovatore, III atto Nella stessa scena Manrico intona la popolare cabaletta Di quella pira, gli uomini accanto a lui sono decisi ad aiutarlo nell'impresa di salvare la madre Azucena. Il salto di ottava ancora una volta rende perentorio il 21 Anche se in questa parte delli appunti ci si concentra sulla dimensione orizzontale della melodia, non deve mai sfuggire quando del senso della melodia sia determinato dall'armonia, dal timbro, dalla scrittura. 22 Siamo distanti dal tempo in cui Boulez poteva affermare l'idea secondo cui il contenuto della musica si esaurisce nella sua struttura; ovvero che per rispondere alla domanda sul significato di una musica basta descrivere come è fatta. Oggi non è più possibile ignorare i rinvii estrinseci della musica, importanti sia per il compositore, che per l'ascoltatore. Come dice Michel Imberty, cosa sarebbe della musica se la privassimo dei sentimenti di gioia, della tristezza e dell'esaltazione che provoca in noi? Su questi argomenti conviene leggere quanto scrive Nattiez [Nattiez, 2004, p. 21-22]. 90 senso delle parole. Esempio: ibidem Il salto di 5^ fa acquisire alla melodia un senso di spostamento di stato; nel repertorio gregoriano si impiega spesso per alludere al senso di alterità della dimensione divina rispetto a quella umana. È tipico il gesto iniziale del prossimo esempio, l'alleluja è parola di giubilo diretta dall'uomo a Dio; dal mi inziale (siamo nelm modo frigio di Mi appunto) ci si slancia verso il si su cui viene sospesa la parola. Esempio: Liber usualis, Quarta domenica dell'Avvento, Alleluja, Veni Domine, et noli tardare. Il salto di 6^ è indicato per esprimere contenuti affettuosi. Non a caso è considerato il gesto iniziale più tipico delle melodie romantiche; e non a caso è stato ripreso, con qualche ridondanza, nel tema di Love story. Esempio: F. Lai, Love story, tema principale Su questo argomento della ricorrenza di determinati salti melodici quando c'è da evocare certi contenuti espressivi, conviene leggere quel che ha da dirci Gino Stefani [Stefani, 1987, p. 145 – 190]. In genere si pensa che una melodia sia caratterizzata principalmente dai salti melodici e probabilmente è vero che una parte determinante dei contenuti affettivi di essa siano suggeriti in questo modo; tuttavia è da notare che l'incipit di un tema si imprime nella memoria di chi ascolta primariamente per la sua caratterizzazione ritmica. Ecco una materia interessante sulla quale conviene soffermarsi brevemente, mettendo le mani in pasta per rendersi conto di come funzionano le cose. Prendiamo uno dei temi più famosi, quello del movimento inziale della Quinta sinfonia di Beethoven. Esempio: L. Van Beethoven, Sinfonia n. 5, op. 67, I movimento, Allegro con brio, trascr. per pf La cornice espressiva, l'evocazione di un'atmosfera maestosa e fosca, ricca di presagi è per gran parte frutto dei movimenti melodici, di quel doppio salto di terza discendente su quattro gradi della scala di Do min., mentre sullo sfondo aleggia il passaggio dall'armonia di tonica a quella di dominante. Esempio: 91 La decisione, la tensione irrevocabile viene invece dal ritmo di crome ribattute e ribadite perentoriamente una seconda sotto. Esempio: Dal momento che qui ci si sta occupando di intervalli melodici, metto da parte le riflessioni sul ritmo, per concentrarmi su quelli. Che il senso di questo memorabile inizio dipenda dalle caratteristiche degli intervalli melodici è facilmente dimostrabile: infatti, basta cambiarli e notare se vi siano state variazioni o meno. Per esempio in quesdto modo: Esempio: Nulla è rimasto del senso drammaticamente ineluttabile dell'incipit beethoveniano. Il salto di 4^ iniziale ha un carattere affermativo, chiaro, aperto, confermato dalla 3^ mag. successiva. Certo, molto dipende da come si prosegue, ma queste note iniziali, suonate da archi e clarinetti come l'originale, suggeriscono un tono gioviale, quasi opposto a quello voluto da Beethoven23. Un'altra trasformazione, usando questa volta il semitono, è sufficiente per confermare l'importanza degli intervalli melodici nella caratterizzazione di una melodia. Esempio: Nel semitono c'è del lamento; nella ripetizione mezzo tono sopra il lamento diventa una richiesta incalzante: un questuante? Ora spostiamo leggermente la nostra attenzione sul rapporto che c'è tra intervallo melodico e grado della scala/modo; perché, come vedremo tra poco, un salto ha un certo senso anche per via della relazione dinamica che si instaura tra i gradi della scala; sicché, a seconda del grado su cui è collocato, il senso cambia. Trasformo ancora una volta il tema della quinta. Esempio: È un caso un po' particolare, perché dal punto di vista degli intervalli melodici non è cambiato nulla rispetto all'originale: al salto di 3^ mag. discendente, segue infatti un salto di 3^ minore discendente. Eppure, nulla è rimasto della spinta in avanti, febbrile, del tema beethoveniano. Nell'incipit originale il secondo salto, quello di 3^ minore, poggia su gradi – il IV e il II - che hanno una funzione dinamica aperta, sospesa nella tonalità di Do min. Nella trasformazione che ho proposto, il secondo salto va a finire invece sul I della scala; e tutto si blocca, come appagato di quel che è appena successo. Ecco un ottimo esercizio per imparare a far musica e a capirla: giocare con incipit tematici di ogni tipo, cercando di identificare il senso che acquisiscono a seguito delle trasformazioni cui li sottoponiamo. È un ottimo modo per imparare a inquadrare con maggiore acutezza il senso che i temi hanno nella versione originale; anche quando gli autori siamo noi. Ma, prima di iniziare, un'osservazione fondamentale: gli intervalli melodici che caratterizzano più fortemente la melodia sono quelli posti all'inizio, nell'incipit. Il prosieguo dipende molto dal flusso dinamico e dal meccanismo che si sviluppa secondo premesse e conseguenze. Ci torneremo più avanti, quando, dopo aver posto alcune premesse che riguardano il ritmo, ci si potrà occupare del modo di comporsi delle frasi muscali. 23 Anche la dimensione timbrica ha importanza nella definizione del senso della musica;se immaginamo le note di questo esempio suonate da trombe all'unisono, il carattere cambia ancora, per acquisire un tono marziale. 92 Ipertesto 2.2: intervalli melodici e dinamica della melodia Indipendentemente dalla scala di riferimento, un'intonazione è statica quanado poggia su un'unico suono. Un esempio: la parola di Dio è ferma, vera, priva di emozione; il celebrante ne dà lettura intonata (tono di “lezione” significa questo) mantenendosi quasi costantemente su un singolo suono; le leggere flessioni da quel suono verso la nota che sta una terza sotto servono a sottolineare i punti di articolazione del testo. Esempio: gregoriano, In diebus illis salvabitur Juda, tono di lezione Non è un caso quindi che, nel Recitativo da inserire nella Grande pasqua russa, Rimsky-Korsakov abbia scelto un andamento simile per la melodia affidata al trombone; e la musica acquisisce un tono solenne, ieratico: Esempio, N. Rimsky-korsakov, Grande Pasqua russa, Recitativo Una melodia disposta a farsi espressione di emozioni e affetti assume, al contrario, un aspetto mobile, dinamico; quanto mobile e quanto dinamico dipende da vari fattori: da quel che si vuole esprimere, dallo stile (lo stile di Palestrina non è quello di Mahler, per esempio) e, cosa che è in qualche modo preliminare, da quel che si riesce a intonare o a distinguere e ritenere ascoltando; come vedremo nel capitolo dedicato al movimento delle parti/voci, non tutti i movimenti melodici sono tradizionalmente considerati opportuni nella 93 composizione: sono vietati quelli di settima, superiori all'8^, aumentati e diminuiti24. Sembra strano dare oggi una regola simile, dopo più d'un secolo in cui nella musica colta s'è fatto davvero di tutto; ma invece ha senso, non appena di rifletta sul fatto che quasi tutte queste musiche, avendo circolato per lo più nei soli ambienti degli addetti ai lavori, sono state escluse dall'ascolto più comune, senza aver cambiato i confini lessicali del termine “melodia” nei vocabolari di tutto il mondo che condivide la nostra cultura musicale25. Per quel che riguarda i movimenti melodici sono preferiti e prevalenti quelli piccoli, in particolare gli intervalli di seconda, perché più naturalmente cantabili anche per l'orecchio di chi ascolta - i, ma, a seconda dei contenuti che si vogliono evocare, si alternano agli intervalli più ampi. Nei graduali spesso la melodia gregoriana si dispiega in volute complesse e ricche di melismi; l'intonazione da parte di cantori istruiti in questi casi è necessaria, per affrontare virtuosismi che solo l'esercizio rende possibile eseguire in modo appropriato per un contesto liturgico. In questo genere di canti non viene proclamata la parola di Dio, ma si slancia la propria preghiera all'Altissimo, senza far velo alle proprie umane emozioni26. Nella melodia proposta come prossimo esempio (è nel primo modo di Re, dorico) si esprime la gioia che suscita la speranza di essere ascoltati ed esauditi: “nessuno di coloro che sperano in te, sarà confunso, o signore; le tue vie, Signore, fammi conoscere...”: Esempio, Gregoriano, Graduale, prima domenica di Avvento, Universi qui te exspectant. 24 Sono permessi i salti aumentati e diminuiti prodotti da un suono che va su una sensibile o un suono sensibilizzato (si veda più avanti il capitolo dedicato all'armonia cromatica), il quale, a sua volta, procede salendo. Per un esempio di quanto qui accennato si veda più avanti il capitolo dedicato alla condotta delle parti. 25 Che per fare una melodia da cantarte e/o apprezzare e ricordare si debbano rispettare determinati parametri, non significa che sia obbligatorio fare della musica in cui ci siano delle melodie da apprezzare. La musica è fatta anche d'altro (giusto, ma piace di meno). 26 Lo studio della musica folklorica fece immaginare che l'origine comune delle melodie “a picco” (melodie a picco sono quelle che contengono grandi salti melodici), rintracciate in culture musicali anche assai distanti tra loro, fosse quella di scaturire come forma di espressione immediata delle emozioni, anche le più violente; per questo a proposito di tali prototipi melodici coniò la definizione di origine “patogenica” [Sachs, 1979, p. 69-73, e 87]. 94 Nella melodia precedente si fa notare, per due volte, la sospensione sull'invocazione “Domine” (“o Signore”), riccamente melodizzata, per dare tempo alla musica di esprimere l'emozione richiamare l'attenzione di colui cui si indirizza la nostra richiesta; si fa notare poi il picco raggiunto sulla parola “fac” nella frase notas fac mihi (fai nota a me, ossia rendimi nota), che è il centro della preghiera. Non si tratta di una prerogativa del gregoriano. Ecco Scarpia, all'inizio del secondo atto di Tosca, che pregusta il male che sarà capace di generare; prima descrive con freddezza spietata la situazione: “Tosca è un buon falco, certo a quest'ora i miei segugi le due prede azzannano...”; poi nel parlato arriva al nome delle due prede, l'Angelotti, che non lo scuote, e Mario, che odia perché Tosca lo preferisce a lui stesso. La freddezza lascia il passo allo sbocco di bile e di odio. Puccini usa intervalli melodici spinti verso l'acuto, poi improvvisamente verso il grave, con un piglio che è possibile definire espressionista, prima che l'espressionismo in musica abbia fatto i suoi primi passi ufficiali. Esempio, G. Puccini, Tosca, II atto Scarpia Sono prototipi melodici comuni al nostro repertorio di ogni epoca; per convincersene, basta riascoltare Pensa, di Fabrizio Moro: nelle strofe esprime i motivi della denuncia usando lo stile rap; nel ritornello, incentrato sulla parola “pensa”, invita a fermare la nostra indifferenza per lasciare spazio alla riflessione e a sentimenti più profondamente umani: Esempio, F. Moro, Pensa, link YouTube: http://www.youtube.com/watch?v=PaSU8hrgPYQ Un salto e grado congiunto Come già accennato, in una melodia prevalgono intervalli melodici di ampiezza contenuta; in particolare, il più utilizzato è l'intervallo di 2^. I salti più ampi servono a imprimere energia alla curva della melodia che – immaginiamola come una materia elastica – una volta piegata con forza in un senso, tende ritornare nella posizione iniziale con salti di minore ampiezza: la situazione più frequente è quella per cui a un salto ampio in una direzione seguono gradi congiunti (intervalli melodici di seconda) nel senso opposto. Nel prossimo esempio, a e b rappresentano i due modelli essenziali (salto in su e discesa per grado congiunto, salto in giu e salita per grado congiunto; il primo dei due modelli è prevalente); c rappresenta la situazione forse più comune, in cui, dopo il salto in su, la ridiscesa è realizzata a onde di gradi congiunti e salti più piccoli in giù e in su. Esempio, a. b. c. I più grandi melodisti spesso appoggiano la curva della melodia a un grado congiunto soggiacente, che ne rende il percorso coerente e in un certo modo prevedibile; nel prossimo esempio, tratto da un preludio di Scriabin, la tecnica è ben visibile: la scala discendente di Sol bem. serve da introduzione all'Andante cantabile (gli asterischi che indicano le note della scala sono miei; si noti che il sol bem. con cui chiude la 95 scala è alla mano sinistra, b. 5): Esempio, A. Scriabin, Preludio op. 16 n. 3 in Sol bem. mag. * * * * * * * * * È ben evidente nel prossimo esempio, in cui le spinte verso l'alto impresse da salti si 6^ o di 8^ vengono compensati da discese per grado congiunto. Esempio, F. Chopin, Notturno op. 62, n. 1 in Si mag. Nell'esempio che segue c'è il caso opposto: a un doppio salto ampio di 6^ discendente, si oppone una risalita per grado congiunto. Esempio, F. Chopin, Notturno op. 55. n. 2 in Mi bem. mag. La melodia del prossimo esempio è presa dal repertorio vinino ai nostri tempi; si tratta della prima strofa della canzone Evergreen. Nella prima frase (fino alla b. 8 dell'esempio) la melodia poggia su un semplice movimento di terza discendente (le note cardine sono segnate con l'asterisco), da cui si muovono piccole scale ascendenti che compensano il movimento discendente dell'insieme. A b. 9 inizia la seconda frase con uno slancio di ottava ascendente; raggiunto il do4, pian piano si ridiscende, con un doppio movimento a distanza di terza, che è possibile seguire nell'esempio grazie all'asterisco piccolo, posto sulla parte superiore di questo doppio movimento, e a quello più grande che indica le note della parte inferiore. È questo 96 movimento inferiore, che riconduce la melodia in giù, verso il do3, usato come anacrusi della seconda strofa: la melodia arriva quindi a concludere la sua corsa sul I della scala di Do, ma lo spostamento ritmico impedisce di chiudere la sezione musicale, avviando direttamente la seconda strofa. Anche la musica è retorica: bisogna saperla fare, indipendentemente dal livello estetico entro cui ci si muove. Esempio, B.Streisand, Evergreen * * * * * * * * * * * * Ipertesto 2.3: intervalli armonici consonanti/dissonanti; fenomeno fisico armonico La valorizzazione della differenza tra consonanza e dissonanza è tra i cardini fondamentali della nostra cultura musicale. Gli studiosi di acustica non danno le stesse spiegazioni riguardo ciò che in natura dovrebbe distinguere consonanza e dissonanza, benché sia comune il richiamo al fenomeno fisico della risonanza armonica: in genere si fa notare come gli intervalli consonanti siano quelli in cui i parziali dei suoni considerati siano il più possibile armonici. Devo ammettere che questa faccenda del fenomeno naturale della risonanza armonica mi appassiona pochissimo; ma gli si deve dare un minimo di spazio, dal momento che la teoria tradizionale la considera cruciale: fino a pochi decenni fa, c'era chi sosteneva con passione che il nostro linguaggio musicale dovesse la sua organizzazione e la sua stessa capacità di generare significati al fatto di essere “naturale”, ovvero al fatto di essere una deduzione, pian piano attuata nel tempo, di un fenomeno presente in natura. Oggi gli studiosi sono concordi nel ritenere che la natura del suono e quella del nostro linguaggio musicale siano cose differenti, benché sia normale, dovendo usare i suoni per fare musica, tener presente come siano percepiti anche in relazione alla loro natura. Insomma: può anche essere che la terza maggiore sia consonante perché è un'armonica naturale del suono inferiore (qui di seguito viene brevemente illustrata la serie degli armonici), ma sul fatto che sia sentita come “allegra” rispetto a quella minore che è “triste” il fenomeno fisico della risonanza armonica c'entra poco o nulla. Ma insomma, c'è o no una reale e non pretestuosa coincidenza tra il fenomeno fisico armonico e la nostra distinzione tra consonanze e dissonanze. Un corpo sonoro, per esempio una corda, che vibrando emette un suono, non vibra solo per la sua lunghezza intera, ma anche per porzioni geometriche di essa, provocando i cosiddetti ipertoni, o armoniche naturali: Esempio: Gli ipertoni non sono fantasie di suono, ma veri e propri suoni di frequenza maggiore (suonano più all’acuto) 97 e intensità minore (suonano più piano), rispetto al suono fondamentale, che contribuiscono a caratterizzare il timbro del suono. Ecco i primi ipertoni del suono fondamentale Do: Esempio È interessante notare, nel quadro precedente, la differenza di frequenze tra le armoniche naturali e gli stessi suoni così come si presentano nella scala temperata. È chiaramente visibile come i suoni 2, 3 e 5 formino con il suono fondamentale gli intervalli consonanti di 8ª, 5ª e 3ª; le prime due consonanze, di 8ª e di 5ª, sono per noi consonanze perfette e offrono il maggior grado di stabilità tra gli intervalli. Ma il quadro dimostra anche, con sufficiente chiarezza, che non ci sono ulteriori coincidenze tra quelle che nel nostro linguaggio musicale vengono percepite come consonanze e gli armonici naturali: la 3ª minore e la 6ª maggiore si devono andare a recuperare tra le armoniche più distanti dal suono fondamentale (tanto da non essere comprese tra i primi 16 suoni armonici compresi nell’esempio) e anche la 6ª minore viene solo dopo la 7ª minore, la 2ª (o 9ª) maggiore e la 4ª aumentata, che, invece, sono dissonanti per il nostro orecchio. Certo, i numeri si possono impiegare in tanti modi, e non è mancato chi abbia provato a spiegare il fenomeno della consonanza – nella sua totalità - tramite il fenomeno fisico armonico; ma ciò è sempre avvenuto a costo di peripezie logiche che superano il fine che si prefiggono. Non c’è da prendersela: nessun linguaggio naturale si deduce da leggi fisiche o da principi matematici di qualsivoglia tipo; basterebbe a dimostrarlo il fatto che un intervallo scritto in un modo è considerato come consonante e dissonante se scritto in un altro. Nel prossimo esempio gli stessi suoni sono consonanti scritti come 6^ maggiore, dissonanti se scritti come 7^ diminuita. Il contesto armonico fa apprezzare più direttamente la differenza, ma non si deve credere che l'effetto Esempio: 6ª mag. 7ª dim. Anche a due voci l'effetto provocato dai due intervalli è assai differente: Esempio * * Insomma, la qualità degli intervalli non si valuta automaticamente e non è immanente agli stessi intervalli. Come in tutte le cose che riguardano i linguaggi, il più è determinato dalle consuetudini d’uso, da fatti che attengono quindi alla cultura. Come si diceva, dovendo fare musica è tuttavia necessario tener conto anche della natura del suono. Sicché, seppure senza meccanicità, vi sono punti di contatto tra il fenomeno fisico armonico e il modo di considerare e percepire gli intervalli. Al fenomeno fisico armonico si deve, per esempio, il fatto che l’effetto di dissonanza diminuisca man mano che aumenta la distanza tra il suono dissonante superiore e quello 98 inferiore. La dissonanza di 2ª maggiore sicuramente diminuisce se il suono viene posto a distanza di 8ª o di due ottave: Esempio: Ancora va riportata al fenomeno fisico armonico la nostra valutazione, relativa alla consonanza/dissonanza, di intervalli presi non isolatamente, ma nel contesto di una sovrapposizione armonica più complessa. Una dissonanza di seconda maggiore può suonare ben diversamente se inserita in differenti contesti armonici: Esempio: Non si deve quindi perdere di vista la nostra abitudine ad apprezzare gli intervalli nel contesto armonico accordale: più che intervalli, siamo abituati ad avere a che fare con impasti di suoni, nei quali il singolo intervallo dissonante si può anche non sentire come tale. Ipertesto 2.4: intervalli consonanti/dissonanti, ovvero stabili/instabili Etimologicamente, il significato reciprocamente opposto delle parole “consonante” e “dissonante” allude a un giudizio di qualità: due note simultanee sono consonanti perché suonano bene assieme, sono dissonanti nel caso contrario. Dopo di che, la prima cosa che vien da chiedersi è come mai gli intervalli dissonanti si impieghino lo stesso e volentieri, pur non suonando bene. Proviamo a forzare l'etimologia e a considerare l'opposizione consonante/dissonante corrispondente, sul piano dinamico, a quella stabile/instabile: ecco, così si comprende perché in musica si impieghino sia le consonanze che le dissonanze e come mai, in certe epoche, le dissonanze abbiano potuto essere occasionalmente addirittura più frequenti delle consonanze. Nel frammento dell'Allegro della Sonata a tre op. 3 n. 1 di Corelli, proposto in esempio, sono più gli intervalli di 7^ che quelli consonanti di 6^ (i numeri del continuo, sul cui uso tornerò in un prossimo capitolo, indicano proprio gli intervalli corrispondenti): Esempio, A. Corelli, Sonata a tre op. 3 n. 1 in Fa mag., Allegro Ecco un motivo che ci fa apprezzare la dissonanza: crea movimento, spinge la parte in avanti, sull'intervallo consonante che segue quello dissonante. Ancora un esempio per apprezzare con maggiore chiarezza l'effetto di stabilità che dà la consonanza e quello di instabilità che dà la dissonanza. Dei due casi che seguono, il primo finisce con un intervallo di 8^ consonante e assolutamente stabile, quindi l'effetto di conclusione è perfettamente ottenuto; il secondo presenta nella battuta conclusiva un intervallo dissonante di 7^ maggiore e non produce l’impressione di conclusione: l’intervallo è decisamente instabile (gli intervalli a confronto sono segnalati con asterisco). Esempio: * * 99 Per quel che riguarda le consonanze, il grado di stabilità decrescente - considerando gli intervalli per sé, al difuori di qualsiasi altra valutazione scalare, ritmica, armonica o timbrica - è sintetizzata nella tab. qui sotto. Tabella stabilità decrescente → 8ªgiusta 5ª giusta 3ª mag. 3ª min. 6ª min. 6ª mag. 4^ aum. 4^ giusta La stessa tabella ora dedicata alle dissonanze più frequenti: Tabella instabilità decrescente → 2^ min. 7^ mag. 2^ mag. 7 min. Non viene notato spesso, eppure ha una rilevanza fondamentale il fatto che consonanza e dissonanza si percepiscano solo nella relazione che si instaura tra loro; ovvero, si percepisce una consonanza perché in opposizione alla dissonanza e viceversa. Non che le nostre orecchie siano cambiate più di tanto nel tempo, sicché, relativamente alla percezione di consonanze e dissonanze, è assai probabile che un ascoltatore di oggi senta un bicinium di Orlando di Lasso più o meno nello stesso modo di un ascoltatore del '500. Ma il modo di usare le dissonanze è cambiato nel tempo e attualmente la nostra attitudine percettiva si adatta a esperienze di ascolto assai diversificate. Un caso limite è quello del jazz, in cui l'uso sistematico della dissonanza impedisce di percepirla come tale, proprio perché manca il termine di confronto, ovvero la consonanza. Ipertesto 2.5: Trattamento tradizionale/attuale della dissonanza I vincoli, che regolavano l’uso della dissonanza alcuni secoli fa si sono sciolti gradualmente, anche a seconda degli stili musicali impiegati. Per questo, all’inizio del ‘900 e all'interno di certe tendenze estetiche, si è creduto possibile affermare che ormai fosse fuori luogo parlare di distinzione tra consonanza e dissonanza e che tutti gli intervalli dovessero essere trattati nello stesso modo; sull’onda di entusiasmi provocati dal raggiungimento di tante libertà di pensiero e sociali, si parlò – e poi si è continuato a parlare - di “emancipazione della dissonanza”. L’affermazione, che dal punto di vista estetico e intellettuale può avere un suo fascino, riferita alla nostra grammatica musicale è una sciocchezza. Intanto la dissonanza non è mai stata ostaggio di alcuno, semplicemente è stata ed è usata, insieme alla consonanza, come strumento di espressione assai efficace; in più, essa ancora oggi e in ampia parte dello stile musicale attuale, viene impiegata in modo assai simile a quel che avveniva nel passato. Un intervallo dissonante, secondo la regola classica, deve essere preparato da un intervallo consonante (lo stesso suono, legato all’unisono, è prima consonante, poi dissonante) e deve risolvere su un successivo intervallo consonante, scendendo per grado congiunto; la dissonanza interviene come agente dinamico tra due consonanze. Nel prossimo esempio si trovano due dissonanze; la prima di 7^ che scende sulla 6^, la seconda di 4^ che scende sulla 3^. Esempio 6 7 →6 8 3 4 →3 8 100 Questo tipo di trattamento della dissonanza ha conosciuto in ogni tempo eccezioni in varia quantità e di vario tipo; ma sostanzialmente, soprattutto per quel che riguarda la risoluzione per grado congiunto discendente, tiene ancora oggi nella musica più largamente ascoltata. Ipertesto 2.6: In un intervallo dissonante, quale dei due suoni è dissonante? L’effetto di dissonanza, in un intervallo dissonante, viene dal fatto che un suono urta contro l’altro; non è dissonante un suono, sono dissonanti i due suoni assieme. Per le nostre orecchie, che non funzionano come una legge di fisica o una norma matematica, le cose non stanno così. Nel nostro linguaggio musicale la dissonanza è percepita sempre in modo tale che un suono è dissonante rispetto all’altro che è consonante; in altre parole, non sono due i suoni dissonanti, ma uno dei due. Quale? Guardiamo l’intervallo qui di seguito: Chi è dissonante ? Secondo la norma del trattamento classico della dissonanza appena richiamata, dovrebbe essere dissonante il re, che urta di nona (seconda) con il do; in tal caso, nella risoluzione il re deve scendere sul do. Effettivamente capita a volte che le cose vadano così: Esempio 8 10 9 → 6 Se il contesto contrappuntistico è differente, nello stesso intervallo viene percepita come nota dissonante quella grave. Nell’es. 1.31 è il Do a essere percepito come dissonante rispetto al Re, rispetto al quale è a distanza di 2ª. Esempio 1.31: nella nona è dissonante il suono inferiore 2 → 3 A ben vedere le cose, nei due esempi cambia poco; la dissonanza si distingue solo perché viene raggiunta tramite legatura all'unisono (il re all'acuto nel penultimo esempio, il do al grave nell'ultimo) e, nel secondo caso, perché interagisce con un determinato contesto accordale. In sintesi: nell’intervallo di 7ª e di 4ª è dissonante la nota superiore rispetto a quella inferiore; nel caso della dissonanza di seconda/nona è il contesto armonico a determinare se sia dissonante la nota superiore o quella inferiore dell'intervallo. 101 Bibliografia ipertesti capitolo II Stefani, G. 1987 Il segno della musica. Saggi di semiotica musicale, Palermo, Sellerio, 1987 J.-J. Nattiez 2004 Il combattimento di Crono e Orfeo. Saggi di semiologia musicale applicata, Torino, Einaudi, 2004. Titolo originale, Le combat de Chronos et d'Orpehée, Parigi, C. Bourgois, 1993 Curt Sachs 1979 Le sorgenti della musica. Introduzione di Diego Carpitella, Torino, Boringhieri, 1979; titolo originale The wellsprings o music, Nijhoff, L'aia, 1962. Traduzione italiana di Marina Astrologo. 102 Ipertesti capitolo III: ACCORDI, DEFINIZIONE, COSTRUZIONE Ipertesto 3.1: perché il minimo per formare un accordo è tre suoni e non due? Per accordo si intende tecnicamente un'unità formata da almeno tre suoni di diversa altezza suonati simultaneamente. Il senso che per noi ha la parola accordo, usata in campo musicale, si comprende meglio rispondendo alla domanda: perché tre suoni e non due? Perché due suoni vengono percepiti appunto come due suoni ancora distinguibili, sebbene in relazione l'uno con l'altro; quando i suoni sono tre, soprattutto se i suoni sono vicini, tutti entro l'ottava, si percepisce il suono superiore, in secondo luogo – e con un po' di esercizio – il suono più grave dei tre; quello intermedio si perde nell'insieme. Insomma, i tre suoni sono percepiti non come tre suoni distinti, ma come un'unità, una pasta di suono fatta in un certo modo. Ipertesto 3.2: gli accordi secondo una visione più larga e secondo la nostra cultura In una prospettiva astratta – o con riferimento all'esperienza della musica colta del '900 – per accordo si intende qualsiasi sovrapposizione di almeno tre suoni posti a qualsiasi intervallo gli uni rispetto agli altri. Etimologicamente la parola accordo Sicché è possibile definire accordo anche il cluster, un grappolo di suoni a distanza di semitono o comunque vicini. Secondo questa definizione ampia, possono essere definiti accordi anche le seguenti sovrapposizioni di suoni: Esempio Le nostre orecchie, tuttavia, non funzionano come apparecchi di laboratorio e riconoscono quel che la nostra cultura usa comunemente e condivide come mezzo di espressione musicale. Per quanto la nostra esperienza musicale sia complessa e diversificata, gli accordi sono accordi e gli insiemi di note dell'esempio precedente sono insiemi di note, ma non accordi. È fondamentale la riconduzione del concetto di accordo alla distinzione, cruciale per la nostra cultura musicale, tra consonanza e dissonanza e alla funzione di stabilità e instabilità che si lega ad esse. all'origine dell'accordo c'è la triade, come insieme consonante di tre suoni che può diventare dissonante aggiungendo ulteriori suoni secondo le strategie di uso della dissonanza che sono state in parte descritte nel capitolo precedente e sulle quali si tornerà anche in questo capitolo, per quel che riguarda la formazione di accordi dissonanti. A questo proposito va ricordato che il concetto di accordo come noi oggi lo conosciamo è piuttosto recente, mentre l'uso di armonie che nella forma possono essere considerate come accordi è ben precedente, e si deve appunto alla valorizzazione della percezione di differenza tra consonanza e dissonanza. Vale la pena approfondire la questione. Ipertesto 3.3: origine contrappuntistica degli accordi L’accordo, secondo la definizione moderna, è una acquisizione piuttosto recente nella teoria del nostro linguaggio musicale; benché molti teorici avessero dato spiegazioni di come e perché i suoni potessero essere sovrapposti uno sull'altro, il primo a dare una definizione degli accordi (limitata alla triade) sintetica e simile alla nostra fu Johann Gottfried Walther nel 732, all’interno del suo Musicalisches Lexicon [Walther, 1732, p. 7]. Né la musica di Palestrina – armonicamente così piena - né quella di Corelli - già così armonicamente moderna - furono scritte facendo riferimento esplicito alla moderna concezione di accordo. Evidentemente la definizione che noi diamo dell’accordo non è preliminare all'uso degli accordi; esso, al contrario, è conseguente a qualche altro tipo di meccanismo che l'ha generato. All’origine dell’accordo ci sono due fatti essenziali nella storia del nostro linguaggio musicale; il primo, quello della distinzione degli intervalli consonanti da quelli dissonanti; il secondo, quello della concezione polifonica della composizione, come sovrapposizione di linee melodiche indipendenti. Esempio, da Anonimo (XIII sec.), Virgo solamen deolatorum, dall'Antifonario conservato nella Cattedrale di Assisi, Codice n. 527 27 In A. Ziino, Polifonia “arcaica” e “retrospettiva” in Italia centrale: nuove testimonianze (1975). Disponibile online sul sito http://www.examenapium.it/meri/ziino1978.pdf 103 Siamo all’inizio del secondo millennio, e la polifonia sta prendendo spazi sempre più ampi nella prassi e nel gusto musicale. Furono due trattatisti della metà del ‘200, Franco e Johannes, a fissare in regola un fatto già acquisito nella pratica, e cioè che sul battere del tempo dovesse esserci una consonanza, onde evitare la produzione di sgradevoli effetti sonori, le dissonanze; già allora erano considerati intervalli consonanti gli stessi elencati nel capitolo precedente. Ecco un esempio ancora di Leonel Power, musicista inglese dell'inizio del XV secolo. Esempio, L. Power, Ave regina coelorum Successivamente, verso la fine del XIV secolo, si cominciò ad ammettere l’uso della dissonanza anche sui tempi, purché fosse trattata nella maniera dovuta, ovvero con preparazione e risoluzione; ancora un esempio preso dalla produzione di Power (le dissonanze, ve ne sono due, entrambi din 7^, sono indicate con l'asterisco). Esempio, L. Power, Ave Regina Coelorum * * Cerchiamo di capire il modo di procedere ipotizzando una semplice composizione a tre voci. L’inizio molto spesso era una linea melodica liturgica; nell'esempio che segue sono partito da un segmento di melodia nel modo dorico di Re. Non si componeva subito a tre voci; si iniziava sovrapponendo prima una voce sulla melodia originale, quindi si sovrapponeva la terza voce; come ripeto, nel comporre il contrappunto i due punti di riferimento essenziali sono quello di utilizzare solo consonanze e di fare in modo che le tre linee fossero differenti: Esempio a, la melodia in Re dorico: b, viene sovrapposta una prima voce: c, infine la terza: E così è subito evidente che, essendo limitato il numero delle consonanze, la scrittura per accordi scaturisce per conseguenza dalla applicazione dei due principi richiamati. La penultima armonia per noi è un accordo di Do (tra poco, quando sapremo usare le sigle, diremo C/E, cioè accordo di Do con basso mi), mentre per un musicista medievale sarebbe stato un mi con sovrapposizione di due consonanze di 3ª e di 6ª28. Di qui in 28 Di qui viene la prassi di indicare l'armonia sul basso tramite i numeri (Basso numerato); l'argomento verrà trattato più estesamente nel corso di questo capitolo. 104 avanti, dunque, l’apprezzamento per le sovrapposizioni armoniche si insinuò nel nostro linguaggio poco a poco, in modo sempre più forte e determinante per l'evoluzione dell'armonia. Ma conviene tenere a mente l’origine melodica e contrappuntistica della scrittura accordale, dal momento che i presupposti essenziali che l’indirizzarono continuano a orientare aspetti rilevanti di quasi tutta la musica attuale. Ipertesto 3,4: attorno all'origine degli accordi di settima Se l'accordo nasce dalla sovrapposizione di intervalli consonanti, qual'è l'origine degli accordi dissonanti? E come può l'uso “accordale” della dissonanza essere ricondotto a una teoria che vede l'accordo come un insieme di suoni sovrapposti idealmente per terze? Andiamo con ordine. Per quel che riguarda gli accordi di settima, c’è chi ritiene che essi siano stati originati dall’uso di fiorire melodicamente il movimento delle parti in una scrittura contrappuntistica29; ecco un esempio di questo caso: Esempio a. passaggio armonico non fiorito b. lo stesso con nota di fioritura Sarebbe dunque il fa, usato per collegare melodicamente il sol del soprano nell’accordo di Sol al mi dell’accordo successivo30, a creare l’accordo di Sol7. È tuttavia da sottolineare che in un contesto simile e cadendo quindi sulla suddivisione, o su un tempo debole, la nota dissonante perde quasi completamente il proprio carattere di dissonanza, per essere percepita con una valenza sostanzialmente melodica; non a caso note come queste si chiameranno di fioritura (si veda più avanti il capitolo dedicato alle note ornamentali melodiche); tale valenza resta ancora prevalente quando il compositore impiega un valore ritmico più grande per la nota di passaggio. Nel prossimo esempio, la circostanza descritta si inserisce in un contesto cadenzale, nel quale la nota di passaggio, impiegata sulla prima suddivisione (il tempo è tagliato), risulta più audibile e quindi armonicamente più rilevante. Esempio, G. Pierluigi Palestrina, Heu mihi Domine, mottetto * Anche se questa teoria riguardo l'origine degli accordi di settima è accreditata, a mio parere conviene guardare altrove per cercarne un'altra più convincente, che tenga in maggior considerazione l'elemento percettivo. E in realtà non si deve andare lontano; guardando al repertorio musicale del XV e XVI sec., è facile accorgersi di come l’accordo di settima cominci a mettere i primi germogli quando nel contrappunto si iniziò a sfruttare con maggiore sistematicità le implicazioni dinamiche contenute nella opposizione tra consonanza e dissonanza e dunque quando si stabilizzò la tecnica più adatta per far cadere la dissonanza sul tempo forte, in modo da farla emergere percettivamente con la massima evidenza. 29 Ad esempio Scoenberg (Schoenberg, 1973, p. 100-101). 30 Questa nota si chiama “nota di passaggio”, come vedremo nel capitolo dedicato alle note di fioritura. 105 Esempio, L. Marenzio, Beatus Laurentius, mottetto Esempio, L. Marenzio, ibidem * * È ancora a semplici e assai comuni procedimenti contrappuntistici che deve essere ricondotta l'origine dell'impiego di accordi di settima allo stato di rivolto; nell'esempio che segue in una cadenza in Fa, il basso si muove sui gradi IV-V-I; sul IV c'è quello che noi identificheremmo come un primo rivolto di un accordo di settima sul II (Sol min7 in primo rivolto, segnato con asterisco). Esempio, R. Giovannelli, Cantate Domino, mottetto * Ancora un esempio nel quale una dissonanza piuttosto forte segnala un contesto cadenzale; per quanto atipico possiamo giudicare il modo di trattare la dissonanza - alla luce di regole scolastiche che oggi riteniamo necessarie e infallibili - passaggi come il prossimo erano del tutto normali nella musica della fine del '500; si tratta di un accordo di settima in secondo rivolto (come oggi verrebbe identificato) sul VI che scende sul V del tono di Re nel quale Felice Anerio fa la cadenza; ancora una volta quindi un accordo di settima sul II allo stato di rivolto che precede il V in cadenza. 106 Esempio, F. Anerio, Nos autem gloriari, mottetto * Gli esempi proposti, oltre a spiegarci plausibilmente l'origine degli accordi di settima, mostrano come sia la stessa tecnica contrappuntistica, volontariamente o meno, a condurre verso la formazione di sovrapposizioni di suoni che, in un'ottica moderna, si possono vedere come armonie ottenute per sovrapposizioni di terze31. Ipertesto 3.5: formazione degli accordi per sovrapposizione ideale o reale d’intervalli di terza La sovrapposizione per terze deve essere vista come principio costitutivo dell’accordo; si determinano in questo modo le note di cui l’accordo si costituisce, ma poi si resta liberi di disporre le note come si vuole, purché si rispettino le poche regole di costruzione che si vedranno tra poco. Per fare un esempio, l’accordo di Do/Mi/Sol/Si (Do maj7) rimane tale, che le note vengano disposte una sull’altra a distanza di terza o meno: Esempio Per trovare la fondamentale di un accordo, quindi, si deve individuare il suono che consente di disporre gli altri per intervalli di terza. Scolasticamente, si usa un modo spiccio: si calcolano gli intervalli dei suoni superiori rispetto a quello più grave: l’intervallo di numero pari più piccolo è la fondamentale dell’accordo. Ipertesto 3.6: basso fondamentale e tonica, tre cose differenti È frequente sentir chiamare la fondamentale di un accordo “tonica”, così come lo è che il basso venga confuso con la “fondamentale” dell’accordo. Le tre funzioni di basso, fondamentale e tonica non vanno confuse; il basso è il suono più grave di quelli sovrapposti in un accordo; la fondamentale è la nota che genera la sovrapposizione di terze e che dà il nome all’accordo; la tonica, infine, è il primo grado di una scala; tale nota può anche non essere inclusa nell’accordo con cui si ha a che fare. Guardiamo intanto il seguente esempio: Esempio fondamentale sol, tonica Do basso si 31 Va considerato che, secondo la prassi contrappuntistica del tempo, i suoni erano consonanti o dissonanti o meno rispetto alla nota del basso, o comunque alla nota più grave dell'insieme di suoni. Negli ultimi due esempi, invece, la dissonanza si crea tra voci superiori; il fatto che tale dissonanza scenda in ogni caso per grado congiunto nella risoluzione (come appunto deve fare la dissonanza) testimonia il fatto che pian piano si stava affermando un modo nuovo di considerare gli insiemi di suoni, non più solamente in relazione alla nota grave della sovrapposizione. 107 Assumiamo che questa serie di accordi sia nella tonalità di Do mag.; concentriamoci sul secondo accordo. È un accordo di Sol mag., costituito dalle note sol/si/re. Il basso è la nota più grave, il si, la fondamentale è il sol (perché è il sol che genera l’accordo nella sovrapposizione di terze); la tonica è il do, perché la serie di accordi è nella tonalità di Do mag. Nell’accordo finale della serie come in quello iniziale, il basso è do, la fondamentale dell’accordo è ancora il do, la tonica ancora una volta è do; in questo caso quindi basso, fondamentale e tonica coincidono in un’unica nota: può capitare, ma non è la cosa più frequente. Ipertesto 3.7: classificazione degli accordi sui gradi delle scale (maggiore, minori), teorie. Accordi e scala minore La classificazione degli accordi si combina inevitabilmente con le abitudini didattiche e le teorie attorno alla musica. Un'abitudine didattica è quella di considerare i diversi tipi di scala minore sullo stesso piano; come se un compositore, creando una musica in minore, dovesse scegliere di farla in La minore naturale, piuttosto che in La minore armonica o altro ancora. Come già detto nel capitolo dedicato alle scale, si tratta di un banale scivolamento, che rischia di far diventare teoria una pratica che forse ha una qualche utilità solo in ambito scolastico. Ma insomma, quando si classificano gli accordi, c'è chi tirando in ballo i differenti tipi di scala minore ne classifica alcuni che nel testo non sono stati fin qui identificati. Consideriamo la scala armonica - col VII alterato sempre in senso ascendente, non solo in concomitanza con l'armonia di dominante - come un tipo di scala minore fisso, ovvero come una scala i cui suoni si impiegano sistematicamente; ecco quel che viene fuori per le triadi e per gli accordi di settima: Esempio, triadi e settime nella scala di La min., scala armonica, aumentata 6^ specie 7^ specie Gli accordi sono quasi tutti quelli già classificati prendendo in considerazione la scala per come viene impiegata della pratica; ce ne sono tre differenti, la triade aumentata (formata da una 3^ mag. e una 5^ aumentata), la settima di 6^ specie e quella di 7^ specie. I manuali scolastici considerano tutti la triade aumentata nel novero delle triadi normali; sicché, nella classificazione più accreditata i tipi di triade sarebbero quattro: triade mag., min., dim. e aumentata32. Per quel che riguarda la sesta e la settima specie di settima, fortunatamente anche i manuali scolastici li nominano solo occasionalmente, sicché non è necessario soffermarsi a spiegarli; né a ricordarli. Ipertesto 3.8: classificazione degli accordi di settima in relazione a costruzione e risoluzione Riprendo qui per comodità l'esempio con le settime contenute sui vari gradi della scala maggiore e di quella minore, completa di quelle indicazioni cui spesso si tiene nella trattazione scolastica dell'argomento. Esempio Scala maggiore 4ª sp. S,I I 2ª sp. S,I II 2ª sp. S,I III 4ª sp. S,D IV 1ª sp. P,I 2ª sp. S,I V VI 3ª sp. P,D VII 32 Ripeto che l'uso della sensibile nel modo minore si lega all'armonia di dominante, quindi si impiega solo in cadenza negli accordi costruiti sul V e sul VII. Come si vedrà nel capitolo dedicato all'armonia tonale, sul III grado non si usa l'accordo di triade allo stato fondamentale; quindi, ipotizzare una triade aumentata sul II della scala minore è doppiamente errato, dal momento che si darebbe in questo modo per scontato che il III possa essere armonizzato allo stato fondamentale e che al suo interno, pur non essendo un armonia di dominante, si usi la sensibile. 108 Scala minore 2ª sp. S,I 3ª sp. S,I 4ª sp. S,I I II III 2ª sp. S,D 1ª sp. P,I IV V 4ª sp. S,I VI 5ª sp. S,D VII Nella tabella qui sotto mostro i significati delle abbreviazioni: Tabella abbreviazione Significato Spiegazione sintetica Sp specie la specie identifica l'accordo secondo gli intervalli specifici di cui si costituisce P/S principale/secondario la distinzione P/S determina la regola di costruzione P: la settima principale o “naturale”, in quanto derivata direttamente dal fenomeno fisico armonico, non ha bisogno della preparazione della settima. S: la settima secondaria, o “artificiale”, ha bisogno della preparazione. I/D indipendente/derivato la distinzione I/D indica la tendenza risolutiva dell'accordo I: la settima indipendente risolve su un accordo la cui fondamentale è a distanza di quinta discendente dalla fondamentale dell'accordo di settima. D: la settima è derivata da una nona idealmente costruita una terza sotto la sua fondamentale (l'accordo di si/re/fa/la sul VII di Do mag. sarebbe derivato dalla nona sol/si/re/fa/la); risolve quindi su un accordo la cui fondamentale è a distanza di quinta discendente rispetto alla nona da cui è derivato, ovvero su un accordo la cui fondamentale si trova una seconda sopra la fondamentale della settima Questa classificazione degli accordi di settima gode di una certa considerazione negli ambienti scolastici; come tra poco si vedrà, contiene implicitamente aspetti teorici che non sono universalmente condivisi. La distinzione da una parte tra accordi principali e secondari dall'altra tra accordi indipendenti e derivati regola la costruzione e risoluzione degli accordi di settima secondo criteri pratici che sono comuni negli ambienti scolastici. Si deve aggiungere che nella pratica musicale non si riscontrano corrispondenze sistematiche, e che, anche a seconda degli stili, ci si comporta diversamente da quel che la scuola dice di fare. Vale per tutte le regole della grammatica; ma per questa un po' di più. Costruzione degli accordi di settima. P/S = principale/secondaria, la settima dell'accordo non va o va “preparata”. Qui di seguito si nota la differente costruzione degli accordi di settima costruiti sul V (è il secondo accordo e il V è allo stato di primo rivolto) e sul VI grado; nel primo caso, il fa, settima dell'accordo di settima sul sol che, in quanto basato sul V è principale, viene raggiunto dal mi e avrebbe potuto essere raggiunto da un qualsiasi altro suono; nel secondo caso il sol, settima dell'accordo sul la (VI grado, quindi settima secondaria), viene raggiunto all'unisono dal sol contenuto nell'accordo precedente; analogamente, nell'accordo successivo il do, settima dell'accordo di settima su re (II grado, quindi settima secondaria), è raggiunto all'unisono dal do contenuto nell'accordo precedente; la “preparazione della dissonanza” consiste in questo, come vedremo meglio nel capitolo dedicato al moto delle parti; nell'esempio che segue con P e S sono indicate le settime principali e secondarie33: 33 Per una sintetica spiegazione sul meccanismo che permette l'uso della dissonanza (preparazione, risoluzione) nella teoria tradizionale, vedi sopra gli approfondimenti dedicati al capitolo sugli intervalli. Nell'esempio i numeri romani sotto le note del basso si devono leggere in questo modo: il numero romano fuori di parentesi indica il grado melodico della scala su cui si trova la nota del basso (se siamo in Do, un mi è quindi un III grado); tra parentesi è indicato il grado su cui si trova la fondamentale dell'accordo, nel caso in cui esso si trovi allo 109 Esempio P S S Risoluzione degli accordi di settima. I/D = indipendente/derivata, l'accordo indipendente risolve su quello la cui fondamentale dista una quinta discendente dalla fondamentale dell'accordo di settima che si sta risolvendo. L'accordo derivato (dalla nona che si trova idealmente una terza sotto la fondamentale dell'accordo di settima) risolve sull'accordo la cui fondamentale si trova un grado sopra l'accordo di settima che si sta risolvendo. Nell'esempio seguente è segnato con “D” l'accordo di settima indipendente o derivato: Esempio I I D D La prima cosa da notare è che il sostantivo italiano “derivato” non fa capire molto della complessità di ciò che vorrebbe indicare; derivato si dice di una cosa che discende da un'altra che c'era prima, una cosa che si ricava da un'altra; il che non potrebbe essere accettato, dal momento che gli accordi di nona sono stati accolti nella pratica e nella teoria successivamente agli accordi di settima. In realtà il termine “derivata” come attributo di un accordo di settima si dovrebbe sostituire con “contenuto in” oppure, meglio ancora, con “accordo con fondamentale sottintesa”; in questo modo la questione acquisisce tutt'altra rilevanza. La classificazione degli accordi di settima porta di nuovo in evidenza un argomento cruciale della teoria musicale, quello della dipendenza di aspetti rilevanti del nostro linguaggio musicale dalla natura fisica del suono. È una materia affascinante se non altro per il livello delle domande che suscita; per esempio: quanto del nostro linguaggio musicale e quanto degli stili musicali che si sono susseguiti nel tempo dipendono da fatti che riguardano la cultura e il suo modo di farsi nel tempo secondo vie che la storia in primo luogo deve esplorare? Quanto invece del linguaggio e degli stili non dipende da un’applicazione meccanica di premesse o caratteristiche fisiche immanenti alla materia sonora? E, più praticamente, quanto i musicisti hanno tenuto in considerazione le teorie indipendentemente dalla loro fondatezza e quanto sono stati condizionati da esse, facendo magari in modo che la musica corrispondesse in qualche modo alla teoria sposata o prevalente nel loro tempo? Che è poi una domanda attualissima: quanto della musica che si fa anche oggi è applicazione di grammatiche di stile assorbite durante l'apprendistato scolastico indipendentemente dalla loro tenuta teorica? Qualsiasi sia il punto di vista personale, due cose sono ineludibili: la prima è che ogni cosa che l'uomo faccia deve tener conto da un lato della natura fisica degli oggetti o dei fenomeni di cui quel che fa è costituito, dall'altro delle caratteristiche della natura umana e dei propri limiti psicologici e fisiologici. La seconda è che fare musica senza considerare quanto si apprende a scuola o imitando quel che ci piace è impossibile. Sicché occorre guardare da vicino la faccenda degli accordi naturali e artificiali. stato di rivolto (se il mi è armonizzato come primo rivolto dell'accordo di Do, allora ci sarà un I tra parentesi, dal momento che il do è il primo grado della scala di Do). La questione dell'uso dei numeri è chiarita nel capitolo dedicato all'argomento. 110 La questione ha rilevanza, perché viene da lontano e sopravvive in ampi spazi della teoria attuale. In epoca moderna, Zarlino compì un passo fondamentale nella direzione di spiegare aspetti rilevanti del fenomeno musicale a lui contemporaneo tramite corrispondenze con la natura del suono; dove per natura del suono si deve intendere quella fisica e quella che si inscrive in una concezione in cui l'Universo esprime perfezioni che le scienze numeriche descrivono. Sicché Zarlino spiega non solo le consonanze, ma anche la formazione dell'accordo maggiore e minore attraverso le “proporzioni armoniche” (l'accordo di triade maggiore allo stato fondamentale risulta tra i suoni armonici) e delle “proporzioni aritmetiche” (partendo da un suono acuto e dividendo aritmeticamente il numero delle sue vibrazioni, si ottengono gli armonici cosiddetti inferiori34). Dopo Zarlino, fu Rameau a tornare autorevolmente sull'argomento; per il compositore e studioso francese, tuttavia, la natura può solo spiegare la consonanza e la formazione dell'accordo perfetto maggiore, non della triade minore. In ogni caso, entrambi gli studiosi non ritengono di andare oltre la triade, riconducendo la dissonanza nell'ambito dei movimenti melodici delle voci [Zarlino, 1562, p. 172 e segg.; Meeùs, 2002, p. 82]. Facciamo un salto in avanti nel tempo. All'inizio dell'Ottocento il Conservatorio di Parigi assunse il Traité d'harmonie di Charles-Simon Catel quale libro di testo per la formazione dei propri studenti. Insomma, Francia, Parigi, inizio del XIX secolo: c'erano le premesse perché la cosa avesse seguito. Secondo Catel [Catel, 1802, p. 5-6] il fenomeno fisico armonico, considerando anche gli armonici superiori al settimo, genera sia l'accordo di nona di dominante maggiore che quello di nona di dominante minore; sarebbero dunque questi due accordi, sempre secondo Catel, a contenere alcuni dei più importanti accordi in uso nella musica del tempo e dimostrarne l'origine naturale. Nell'esempio che segue si mostra come si possono ritenere integrati nell'accordo di nona gli accordi di triade maggiore, diminuita e minore, la settima di 1^ specie e la settima di 3^ specie. Analogamente si può fare con l'accordo di nona dominante minore, che in più contiene l'accordo di settima diminuita. Insomma, di qui viene la faccenda degli accordi derivati. Esempio, Quella di Catel è più un'ipotesi che una teoria; si tratta di un didatta che, pubblicando un manuale essenzialmente pratico, sente il bisogno di dare un perché a quel che si fa, senza approfondire la natura teorica delle considerazioni. Pur non essendo stata seguita dai maggiori teorici del XIX secolo, questa interpretazione rappresenta un punto di vista marcato nella direzione di accettare che il materiale allora ritenuto più importante per la composizione - ovvero gli accordi - fosse derivato da condizioni naturali, quindi indiscutibili35. In realtà il fenomeno fisico armonico non esaurisce l'insieme degli accordi impiegati in musica, e le dimostrazioni di Catel sono macchinose quanto basta per dimostrare il contrario di quel che dicono, ovvero che accordi e materiali musicali, benché orientati dalla natura del suono, sono in larga parte frutto dell'evoluzione del linguaggio e dunque fenomeno marcatamente culturale. La maggior parte dei teorici (in questo caso veri e propri teorici, non semplicemente didatti) del XIX secolo e di quelli dell'inizio 34 A questi argomenti Zarlino dedica la prima parte delle Istituzioni armoniche (Zarlino, 1562, p. 27 e segg.). I suoni che si sviluppano a causa del fenomeno fisico armonico sono stati già richiamati nel capitolo dedicato agli intervalli; nel prossimo esempio ecco la serie dei cosiddetti armonici inferiori, che si ottengono artificialmente tramite divisione aritmetica del suono più acuto. È da notare che si tratta di pura teoria, e che un suono acuto, isolato, non potrà mai produrre alcunché di più grave rispetto a sé. Esempio: Vale la pena notare che, così come nel fenomeno fisico armonico a formare la triade maggiore sono gli armonici 4, 5 e 6, altrettanto succede qui, con i cosiddetti armonici inferiori: il 4, il 5 e il 6 formano la triade minore. Le corrispondenze numeriche invertite tra maggiore e minore hanno affascinato in particolare Riemann, che ha visto nel modo minore l'inversione esatta del maggiore, anche relativamente alle funzioni degli accordi all'interno della tonalità. Teoria forte, sul piano logico, che in pratica non riesce a descrivere nulla della realtà. 35 La ricerca di punti di contatto tra la natura del suono e il linguaggio musicale non si fermò agli accordi; negli stessi anni di Catel, Jerome de Momigny pubblicò un corso di composizione nel cui titolo si legge il principio forte che l'orientò: “teoria nuova e generale della musica, basata su principi incontestabili, dati in natura”; all'interno, propose di cercare negli armonici della dominante i suoni di cui è costituita la scala maggiore [Momigny, 1803, p. 806]. 111 del secolo successivo sono d'accordo nel ritenere che il fenomeno fisico degli armonici al massimo possa servire per spiegare l'accordo di triade maggiore (i suoni armonici 4, 5 e 6 formano in effetti la triade maggiore) e che il resto sia stato creato per analogia dall'uomo. La questione del rapporto tra natura del suono e linguaggio musicale non si ferma alle teorie attorno all'origine degli accordi; tendono invece a investire la questione dei rapporti tra gli accordi in ambito tonale e quindi, in profondità, le ragioni del costruirsi del discorso musicale. Per rimanere all'oggetto da cui siamo partiti - gli accordi cosiddetti derivati - occorre ricordare che in alcuni importanti autori certi accordi di settima vengono considerati derivati non tanto perché espressione diretta del fenomeno fisico armonico, ma perché - stante che nella natura del suono sta la risoluzione per quinta discendente della fondamentale di un accordo sulla fondamentale dell'accordo successivo – per comprendere la ragione della risoluzione di questi accordi è necessario supporre una fondamentale sottintesa, che guiderebbe virtualmente il percorso dell'accordo su quello successivo. In questa forma ritroviamo il concetto di accordo derivato (o, per meglio dire, con fondamentale sottintesa) nel 1816, nel Corso di composizione musicale di Anton Reicha [Reicha, 1816, trad. it. 1912, p. 14-15]; più avanti viene accolto da Riemann, che lo accredita all'interno della sua teoria funzionale dell'armonia [Riemann, 1893, trad. ingl. 1895, p. 120-121] e, ancora più vicino ai nostri giorni, in de la Motte, che pure ne circoscrive storicamente l'efficacia [de la Motte, 1988 p. 130]36. Per rendersi conto di quanto fosse comune ritenere possibile sottintendere un suono dell'accordo nella sua costruzione, basta leggere quel che dice l'italiano Carlo Gervasoni nell'anno 1800. scrive Gervasoni nella sua Scuola della Musica che “si chiama […] inverso [noi diremmo rivolto] allorquando il suono fondamentale, invece d'essere al suo luogo naturale, vale a dire nel basso, viene distribuito in qualche Parte superiore, oppure non si esprime del tutto [sic!]” [Gervasoni, 1800, p. 396]37. Gervasoni mira al sodo, non fa filosofia, constata un dato di fatto, sicché aggiunge poco dopo “siccome si usa comunemente per avere una piacevole melodia, un'ottima varietà ed una buona e conveniente espressione” [ibidem]; ovvero, data la regola, il gusto impone l'eccezione, quando ci sta: diceva S. Agostino “ama e fa ciò che vuoi”. In ogni caso si tornerà su alcuni aspetti accennati qui, più avanti; infatti, come s'è visto, le teorie attorno agli accordi sono interessate solo inizialmente a spiegarne la forma, mirando invece a spiegare fenomeni più ampi del linguaggio musicale. In fin dei conti se un accordo di settima si classifica in un modo o nell'altro potrebbe non essere così rilevante. Più importante è sapere cosa si deve fare per esprimersi in un determinato stile e dunque dedurre dalle musiche stesse le regole di stile adatte a ricrearne il mondo. 36 Heinrich Schenker sfiora l'argomento degli accordi derivati [Schenker, 1906, trad. ingl. 1954 p. 190-191]; in realtà, tuttavia, la sua intenzione è quella di far risalire la intercambiabilità di alcuni accordi con funzione di dominante della triade di sensibile, della settima di dominante, della settima di sensibile e della nona di dominante - al fatto che tutti questi accordi contengono la quinta diminuita; individua quindi un'unica funzione armonico contrappuntistica all'interno della quale, a seconda del gusto o delle necessità, l'autore usa un accordo piuttosto che l'altro. 37 In effetti, la consuetudine a sentire la musica fluire in un certo modo, rende possibile sopprimere la fondamentale di un accordo, senza che chi ascolta resti disorientato. Nel seguente esempio, sul battere della seconda battuta è facile che si sottintenda un accordo di Do, nonostante il do, come suono, non ci sia. Esempio 112 Ipertesto 3.9: classificazioni, grammatica, linguaggio. Per quel che riguarda gli accordi, si devono considerare due prospettive: a. dando uno sguardo dall'alto all'evoluzione del nostro linguaggio musicale, si nota nel tempo l'apprezzamento crescente e differente nei confronti dell'armonia; la sonorità degli accordi, anche per il modo di essere costruiti, per il loro colore, diventa un riferimento sempre più rilevante dell'invenzione, mano a mano che ci si concentra sulla dimensione timbrica della musica. All'inizio del XX secolo, tale interesse diverrà a volte persino prevalente rispetto ad altri aspetti della composizione musicale; uno per tutti, si pensi all'estetica di Claude Debussy. Insomma, una triade è una triade, una settima è una settima, ma il modo di percepire accordi uguali nella forma è assai differente nella musica del XVI, del XVIII, del XX secolo; per non dire del nostro tempo. Nei trattati di sempre gli attributi assegnati alla triade maggiore, per fare un esempio, sono quelli dell'allegrezza, della positività, rispetto al carattere ripiegato e mesto della triade minore. L'inizio del mottetto che segue, di Claudio Monteverdi, è destinato all'adorazione della croce, durante la settimana santa. Il tono è solenne, il carattere mesto, immaginando gli occhi rivolti verso la croce: per tre volte adoramus è intonato su un accordo minore, spostato di volta in volta su un tono più alto per ottenere un'intensificazione di indubbia efficacia sul piano retorico: Esempio, C. Monteverdi, Adoramus te, Christe Va da sé che nella maggior parte dei casi, la scelta degli accordi non avvenisse allora in base al loro generico riflesso affettivo, ma che fosse conseguenza della condotta contrappuntistica delle voci; la relazione tra armonie e significati insomma poteva essere più morbida, senza automatismi del tipo allegro= maggiore, triste= minore. Il testo certamente non mesto della villotta di Azzaiolo (attivo nella seconda metà del XVI sec.), che è accennato nel prossimo esempio, viene intonato nel modo dorico, trasportato in Sol; l'armonia iniziale che consegue dalla scelta del modo è quella di Sol min.. Ed è vero che il passaggio quasi immediato a Si bem. Mag., attraverso l'accordo di Fa mag., potrebbe essere messo in relazione col carattere aperto del testo, ma la scelta dell'autore suggerisce di interpretare in modo morbido, come si diceva, la relazione tra accordi e significati evocati. D'altra parte, è bene sempre ricordare che i significati in musica sono veicolati da una parte dai contenuti del testo, dall'altra da chi la esegue. Esempio, F. Azzaiolo, Dall'orto se ne vien Via via che ci si addentra nel Seicento e che si passa al secolo successivo, si impone una tecnica compositiva secondo cui gli accordi si scelgono e mettono in successione non per la natura o il colore dei singoli accordi, 113 ma in base alla funzione che essi assumono all'interno della tonalità; dal momento che questo argomento è cruciale, per l'importanza che la tonalità ha nella storia della nostra cultura musicale, non vale la pena fermarsi ora a fare qualche esempio a supporto di quanto ho appena affermato; ci tornerò più più avanti, nel capitolo dedicato appunto alla tonalità. È nel corso dell'Ottocento che pian piano l'attenzione si rivolge agli accordi in sé, anche per la loro capacità di generare senso attraverso il colore, a seconda di come sono costruiti, di come sono disposti i suoni di cui si costituiscono, dei contrasti che creano con gli accordi precedenti e successivi; pare che Debussy amasse comporre al pianoforte, scegliendo suoni intervalli e accordi perché giusti lì, in quella situazione. Nell'esempio che segue, la triade maggiore di Mi bem., alla quarta b., si riflette nel gioco di luci creato dall'arpeggio, che ne espande l'onda liquida e luminosa; il suono dell'accordo riluce nella sua brillantezza anche perché viene a seguito delle armonie precedenti, che ne preparano l'esplosione; la dimensione timbrica è in primo piano e, anche la giustapposizione degli accordi, è calibrata al fine di esaltare la valenza coloristica di ognuno di essi. Esempio, C. Debussy, Images, Reflets dans l'eau Per comodità ho scelto un esempio per pianoforte, dove per certi versi la limitazione delle possibilità cromatiche legate alla scrittura per un solo strumento rende ancora più evidente l'intenzione di valorizzare la dimensione timbrica della musica. È nella produzione sinfonica a cavallo tra XIX e XX secolo che l'orchestra raggiunge apici assoluti nella realizzazione di colori e impasti fino ad allora inaspettati; la composizione musicale stessa supera la via più comune, seguita nel periodo classico-romantico e in Debussy la melodia – che fino ad allora aveva guidato l'orecchio degli ascoltatori lungo il dispiegarsi della narrazione musicale diventa gioco di frammenti che si ripetono, si ritrovano in eco a distanza, ogni volta immersi in bagni di colore differenti. La scrittura apparentemente classica, basata ancora a prima vista su melodie appoggiate su una base armonica, è la trama che tiene assieme suggestioni, evocazioni generate spesso primariamente dai colori del suono e degli accordi che si susseguono. b. È da tenere in considerazione la scrittura adottata. Come vedremo in un capitolo dedicato a questa materia, l'invenzione musicale viene guidata nella nostra cultura da procedimenti compositivi che nella loro accezione più radicale producono risultati molto differenti; differenti anche per chi ascolta, per come viene incanalata la nostra facoltà percettiva. Uno dei prossimi capitoli è dedicato a questa materia; qui basta dire che una cosa è comporre sovrapponendo voci che hanno tutte lo stesso tempo – com’è l'esempio dell'inizio della villotta di Azzaiolo - un'altra è comporre per melodie sovrapposte, indipendenti sul piano ritmico. La scrittura imitata38 coinvolge la nostra attenzione in direzione dei movimenti melodici sovrapposti; ci si deve aspettare quindi un interesse solo in seconda battuta nei confronti degli accordi. Non è tra le pagine scritte in questo modo che ci si può aspettare la concentrazione sui fatti timbrici. E nell'ascoltare una musica come la prossima quando si 38 Nella scrittura imitata le voci sovrapposte in contrappunto impiegano movimenti melodici. 114 arriva all'accordo di 7^ segnato con l'asterisco, più che l'accordo si ascolta il movimento delle parti; forse in primo luogo il fraseggio della parte che canta il soggetto della fuga. Esempio, J.S. Bach, Das wohltemperierte Klavier, Fuga in Do mag. * Altro caso è il seguente, sempre prese dal Wohltemperierte Klavier di Bach; l'accordo di 7^ in questo caso si lascia apprezzare nella pienezza della sua sonorità. Esempio, Ibidem, Preludioin Do mag. * Insomma, riconoscere gli accordi e classificarli è necessario; ma è solo l'inizio della strada che si deve fare per arrivare a capire come usarli, come sono stati usati, che senso possono dare alla musica che stiamo facendo eseguendo o ascoltando. Per chi fa musica, la maggior comprensione delle cose viene sempre dall'imitazione di quel che gli altri hanno fatto. Ipertesto 3.10: attorno alla disposizione armonica stretta/lata (chiusa/aperta) Scolasticamente si danno due limiti • è da evitare l'incrocio delle voci (ovvero scrivere la parte di contralto, per esempio, sotto quella di tenore) • è vietato superare la distanza di 8ª tra voci superiori contigue (tra soprano e contralto; tra contralto e tenore). È permesso superare la distanza di 8ª tra basso e tenore. Esempio a. b. Errato perché tra contralto e soprano c'è un intervallo di 10ª Errato perché nell'ultimo accordo il tenore salta sopra il contralto (il tenore legge un'8ª sotto) Le indicazioni che fornisce la scuola hanno senso, in particolare se riferite a una scrittura ideale per un coro a quattro parti; quando si dice che la distanza tra due voci, come il soprano e il contralto, non può superare l'8ª, si sta puntando l'attenzione sul fatto che la parte acuta è timbricamente isolata rispetto alle altre: il soprano canta più forte e con un timbro diverso rispetto alle altre voci. È tuttavia chiaro che se si vuole ottenere l'effetto di isolare il soprano rispetto alle altre voci, questo è un modo per arrivarci. La stessa cosa si può dire riguardo gli incroci tra le voci: si può far cantare il tenore sopra il contralto, 115 l’estensione delle voci lo consente; tuttavia, l’insieme risulterà armonicamente disomogeneo perché il tenore tenderà a cantare con voce più piena o semplicemente più forte del contralto39. Anche qui, dunque, vale quel che s’è notato prima: se si vuole ottenere la disomogeneità, se si vuole ottenere che una voce risalti in modo particolare sulle altre, si può ricorrere anche all’incrocio delle voci. Quando si passa dalla scrittura vocale a quella strumentale, la faccenda si complica; in questo caso, infatti, è necessario conoscere le caratteristiche degli strumenti per cui si sta scrivendo. L'equilibrio o il disequilibrio mirato del suono a vantaggio di questo o quello strumento, di questa o di quella linea, di questo o di quell'insieme si possono ottenere solo conoscendo a fondo le cose e facendo esperienza lasciandosi guidare dalle partiture che imitiamo, sempre aiutati da un buon trattato di strumentazione. Adottando la disposizione stretta o lata, si caratterizza in modo rilevante il suono dell'accordo e quindi della musica; nel prossimo esempio, i quattro accordi, in disposizione stretta, hanno una sonorità pastosa, piena; i quattro accordi successivi suonano al contrario più rarefatti, trasparenti, con i suoni delle singole parti più evidenti. Esempio Per renderci conto meglio della cosa, basta chiedere a un buon musicista di riconoscere i movimenti delle singole voci nella prima serie di quattro accordi, poi nella seconda serie; nella prima avrà maggiori difficoltà a seguire il percorso delle voci tra il soprano e il basso; cosa che nel secondo caso risulterà assolutamente più facile. La scelta di disporre le parti in disposizione stretta o lata è orientata inevitabilmente dalle voci o strumenti con cui abbiamo a che fare. Con il pianoforte, per esempio, la scrittura tende a essere stretta, per la difficoltà che hanno le mani di raggiungere i tasti oltre l’8^; in una musica per archi si possono usare sia disposizioni strette che late, con ottimi risultati, dal momento che il suono degli archi è ricco di armonici quasi in ogni registro; la scrittura corale è più frequentemente a parti strette, a costo di spingere la parte del tenore verso l’acuto per impastarsi con quella delle due voci superiori. Per consuetudine assai diffusa ancora oggi, l’apprendimento dell’armonia avviene attraverso l’armonizzazione del basso; si preferisce la scrittura a parti strette, proseguendo una tradizione avviata all'epoca del basso continuo: secondo questa prassi, la mano sinistra suona la parte del basso, mentre la mano destra realizza gli accordi. Insomma, le prassi consolidate, le regole richiamate hanno una loro ragionevolezza; ma si tratta di ragioni che prescindono dai contesti specifici nei quali la musica di fatto si realizza. All'interno di questi contesti, tali riferimenti devono essere mantenuti sullo sfondo, per ricordarci costantemente che la musica non è fatta di segni scritti sulla carta, ma di suoni reali, che il più delle volte devono suonare con criterio assieme ad altri suoni. Di seguito do solo alcuni input; il motore fondamentale sarà la nostra curiosità: quando una cosa ci colpisce, dobbiamo guardare come è fatta. Le caratteristiche tendenziali dei differenti tipi di disposizione delle parti sono ben conosciute dai musicisti; all'inizio dell'ultimo movimento del Quartetto in Mi b mag., Mozart sceglie una scrittura a parti strette; in questo modo la parte superiore del primo violino può emergere sulle altre con chiarezza, nonostante la compattezza dell'insieme, senza la complicazione di movimenti contrastanti. 39 Va ricordato, tuttavia, che il tenore può facilmente utilizzare il “falsetto”, controllando il timbro e la quantità della voce. Il falsetto è usato comunemente negli arrangiamenti moderni per gruppo vocale a cappella. 116 Esempio 2.23, da W. A. Mozart, Quartetto n. 11 in Mi b mag., IV movimento, Allegro assai In un altro passaggio dello stesso quartetto di Mozart, la scrittura a parti late e l'uso di figurazioni ritmiche differenziate permette la percezione chiara di ogni singola parte.: Esempio, da W. A. Mozart, Quartetto n. 11 in Mi b mag., I movimento, Adagio Tenute presenti le caratteristiche essenziali della scrittura a parti strette o late, il compositore può agire liberamente nell'arrangiamento di una musica al fine di ottenere sonorità complesse di varietà praticamente inesauribile. Nell'esempio che segue Tchaikovsky lascia emergere in piena autonomia la melodia del primo violino, raccogliendo gli accordi in disposizione stretta nelle altre voci (il secondo violino si impasta con la viola): Esempio, P. Tchaikovsky, Sinfonia n. 5, movimento III, Valse, Allegro moderato (solo parte archi) Nell'esempio seguente Dvorak usa le parti strette nella parte delle viole, per chiarire l'armonia e dare ritmo; sono a parti late invece il primo e il secondo violino, le cui melodie possono in questo modo dialogare con eleganza tra loro, senza confondersi; il basso è profondo (si noti il violoncello, all'unisono con la parte del contrabbasso, anziché all'ottava superiore come di consueto nella scrittura classica), per esaltare la leggerezza dell'insieme delle parti superiori. 117 Esempio 2.26, da A. Dvorak, Serenata per archi op. 22, movimento I, Moderato Dal momento che la scrittura a parti strette genera compattezza, spesso viene utilizzata per dare spessore o brillantezza al suono di un movimento melodico; nell'esempio che segue, la realizzazione a parti strette non andrebbe considerata a tre voci, quindi; si tratta piuttosto di una scrittura a una voce ispessita attraverso il movimento delle terze e seste. Esempio, L. van Beethoven, Sonata op. 2 n. 3, IV movimento, Allegro assai Questa tecnica di rafforzamento del movimento di una parte si trova applicata anche in contesti più complessi; nel seguente esempio, tratto dallo schiaccianoci di Tchaikovsky, la scrittura parallela per terze rafforza i movimenti contrastanti di violini e fagotti, mentre bassi e viole danno ritmo all'insieme. Esempio, P. Tchaikovsky, Lo schiaccianoci, Danza araba Anche nell'arrangiamento della musica moderna si seguono le medesime indicazioni. Così, per esempio, si impiega la scrittura a parti strette nella realizzazione con i fiati (ottoni e/o sax) di una sezione ritmica: 118 Esempio Pur essendo tale base massiccia e densa armonicamente, basta allontanare di poco verso l'acuto la parte dei violini per farne emergere con grande efficacia la melodia: Esempio Ipertesto 3,11: attorno allo stato del basso Lo stato del basso influisce direttamente sulla stabilità dell’accordo; sicché, ad esempio, una musica termina con lo stato fondamentale della triade costruita sulla tonica, perché le consonanze di cui è costituito questo accordo, lo rendono particolarmente stabile40. I rivolti, al contrario, presentano un tipo di consonanza tra il basso e le note superiori (la consonanza di 6^, ad esempio, è meno stabile della 5^), o di dissonanza (la 4^ nel secondo rivolto della triade è considerata dissonante), che li rende meno stabili. Per questo sono dotati di un certo carattere dinamico, transitorio e hanno un’attitudine essenzialmente melodica, che viene sfruttata per far cantare la parte di basso e farne scivolare la linea verso la cadenza conclusiva. Questa è realmente una costante negli stili della nostra cultura musicale, dacché si ritrova sostanzialmente immutata dalla musica del Quattro-Cinquecento fino a quella dei giorni nostri. Nel prossimo esempio il primo rivolto viene impiegato sempre per far proseguire la parte del basso con un grado congiunto (i rivolti sono segnalati con asterisco): Esempio, B. Donato, O dolce vita mia * * a. 40 Le consonanze di 8^, 5^ e 3^ sono quelle dotate di maggiore stabilità, come si è visto nel capitolo dedicato agli intervalli. 119 Elton John, com'è comune nella musica attuale, usa frequentemente i rivolti quando vuol far procedere il basso per grado congiunto. E. John, Can you feel love tonight, intro b. Quindi: stato fondamentale più stabile, rivolti meno stabili, preferibilmente impiegati in contesti in cui la parte del basso si muove per grado congiunto. È appena il caso di ricordare che stabilità e instabilità sono qualità che si ottengono su diversi piani della musica: il piano accordale è importante, ma poi c'è la scala41, c'è il ritmo, c'è il timbro. Rimanendo allo stato del basso, detti i punti di riferimento essenziali, ci si deve confrontate con il repertorio; l'uso di stati fondamentali e rivolti caratterizza, infatti, i singoli passaggi, le sezioni, i pezzi e, su un altro livello, lo stile della musica. Alla fine del '500 la scrittura contrappuntistica viene spesso svolta in modo da produrre accordi allo stato fondamentale; ciò sia quando le voci procedono omoritmicamente, sia quando sviluppano brevi gesti imitativi. L'esempio che segue contiene entrambi gli approcci di scrittura, essendo scritte le prime battute in contrappunto imitato e proseguendo dalla b. 4 in contrappunto omoritmico. Resta il costante riferimento allo stato fondamentale. Esempio, R. Giovannelli, Amatemi ben mio, madrigale La tendenza espressa dalla musica di Giovannelli è confermata dalla seguente chanson di Orlando di Lasso, che, pubblicata nel 1564, precede di un paio di decenni il madrigale di Giovannelli; si noti l'uso del rivolto42 che, nel contesto cadenzale, può incanalare con maggior forza il movimento delle parti, grazie al coefficiente 41 42 La combinazione delle qualità strutturali della scala con quelle dell'armonia dà luogo alla tonalità, sulla quale ci si fermerà più avanti nel corso del libro. Va considerato che nel '500 non si parlava di rivolti, ma di intervalli consonanti ed evenutalmente dissonanti sovrapposti sulla nota più grave dell'armonia. 120 di instabilità di cui è dotato. Esempio, O. di Lasso, A ce mattin, Chanson E' normale, in un tipo di scrittura come questa, che il movimento della parte del basso, per poter raggiungere le fondamentali di tutti gli accordi, debba essere sacrificata quanto a cantabilità; e in effetti la parte del basso del madrigale di Giovannelli appena proposto in esempio non è un modello di cantabilità vocale. Ma si farebbe un errore a credere che sia un limite del compositore; è, al contrario, un fatto di stile, che distingue il carattere estesamente eufonico di questa letteratura musicale. D'altra parte, se si vuole una scrittura imitativa cui partecipi attivamente la parte di basso, con una parte che proceda più spesso per grado congiunto, si devono formare armonie attingendo a tutte le possibili consonanze, non solo quella di terza e quinta. Il madrigale di Cipriano de Rore proposto nel prossimo esempio presenta una scrittura più imitativa e la parte di basso condivide la vocalità piana delle altre voci; sicché è frequente la presenza di consonanze di terza e sesta (la chiameremmo primo rivolto), oltre che di terza e quinta. Esempio, Cipriano de Rore, La bella nett'ignuda Il tono popolaresco delle canzonette di fine Cinquecento preferisce la semplicità della scrittura omofonica, attraverso cui si può esaltare la dimensione ritmica quasi danzante della musica; gli accordi sono quasi sempre allo stato fondamentale. 121 Esempio, O. Vecchi, Tiridola, dalla Selva di varia ricreazione La musica policorale tra XVI e XVII secolo sviluppa l'effetto di giustapposizione dei cori; anche in questo contesto era preferito l'uso della scrittura omoritmica43, con accordi quasi sempre allo stato fondamentale. Esempio, R. Giovannelli, Laudate Dominum Nella musica colta delle epoche successive, l'uso dei rivolti è costante, dal momento che la parte del basso è sempre considerata anche nella sua dimensione melodica, oltre che come sostegno dell'armonia. Non sono frequenti i casi in cui l'autore preferisca usare gli accordi allo stato fondamentale e, quando capita, è per definire particolari atmosfere. Contribuisce senz'altro a definire una collocazione rustica l'uso quasi sistematico di accordi allo stato fondamentale per l'inizio del seguente Lied di Mussorgsky, del 1857. Gli stati fondamentali semplificano l'armonia, privando la parte del basso di qualsiasi complicazione orizzontale, anche a livello percettivo44. 43 La scrittura è omoritmica quando le voci sovrapposte l'una sull'altra usano lo stesso ritmo, producendo una successione chiaramente accordale. 44 L'aspetto folklorico della musica viene sicuramente anche dall'uso di successioni di accordi tonalmente non consuete. 122 Esempio, M. Mussorgsky, Rustic song Come accennato, dalla metà del XVII secolo in poi, l'uso dei rivolti è costante nella musica colta. Al tempo di Arcangelo Corelli, e anche per tramite suo, si stabilizza un procedimento, tipico della musica tonale, secondo il quale il basso procede per gradi congiunti o piccoli salti fino a che non raggiunge la cadenza; qui il grado congiunto si interrompe col salto di quinta dal V al I della tonalità. La cadenza, come luogo di articolazione del discorso musicale (l'argomento è trattato più ampiamente nel capitolo dedicato alla tonalità), acquisisce rilevanza percettiva anche grazie all'interruzione del flusso melodico della parte del basso, col salto sulle fondamentali degli accordi. Esempio, A. Corelli, Sonata op. 2 n. 1, Corrente Tutto questo s'è detto per confermare che a volte il compositore non parte dall'idea di usare un determinato giro di accordi immaginato prima allo stato fondamentale, quindi realizzato alternando stati fondamentali e di rivolto; spesso la musica prende spunto (a volte più dello spunto) dal movimento melodico della parte del basso contrappuntato da quello della parte superiore. Su questo movimento, l'uso di stati fondamentali e di rivolti è spesso una conseguenza. Accanto a ciò va ribadito che la linearità del basso, che ha una grande forza nella definizione della dinamica del discorso musicale, viene interrotta alla fine delle frasi o dei periodi, al fine di chiarire percettivamente il contesto cadenzale. Nella musica pop gli accordi sono per la maggior parte delle volte allo stato fondamentale. L'uso dei rivolti è raro, ma riconducibile ancora una volta alla volontà di mandare il basso per grado congiunto; l'esempio che segue riporta il giro di accordi dell'introduzione di una canzone di Eric Clapton, Wonderful tonight; vale per tanti altri esempi analoghi. 123 Esempio, E. Clapton, Wonderful tonight Ipertesto 3,12: uso del secondo rivolto della triade (l'accordo di 4ª e 6ª) Per trattare questo argomento sarà necessario anticipare qualcosa che si affronterà solo più avanti nel corso di questi appunti, quando si parlerà delle note estranee all'accordo; d'altra parte, senza queste piccole anticipazioni sarebbe necessario continuare a parlare del secondo rivolto della triade come si trattasse di un accordo a tutti gli effetti. Il che forse vale per l'armonia attuale, ma non per l'armonia classica, nella quale il secondo rivolto della triade compare sostanzialmente in due contesti: a. come accordo con nota estranea sul tempo forte (ritardo/appoggiatura); b. come accordo ottenuto tramite l’uso di note di fioritura (passaggio/volta)45 Esempio (il secondo rivolto è indicato con la crocetta) a: 4ª e 6ª come accordo di ritardo/appoggiatura (il secondo rivolto è segnato con crocetta): IV V I IV V I b: 4ª e 6ª di passaggio: I II III III II I IV V VI VI V IV I due esempi sono nella tonalità di Do mag. e i gradi della scala, così come le armonizzazioni scelte, non sono casuali. Il secondo rivolto della triade si impiega generalmente solo in questi casi. Sia nella musica classica che in quella attuale il secondo rivolto della triade si usa solo quando il basso si muove per grado congiunto. Ipertesto 3.13: Gli accordi nella musica attuale A nessuno sfugge la differenza del “suono” degli accordi di una canzone di Sting rispetto a quelli di un Lied di Schubert. È possibile sintetizzare i motivi di tale differenze? Ci sono un paio di ostacoli. Il primo dei quali è la complessità del fenomeno musicale attuale, dove tutto è possibile: non solo radio televisione e YouTube mischiano musica del passato a quella del presente in un caleidoscopio imprevedibile di sollecitazioni, ma la stessa musica attuale, proprio perché espressione di una cultura così complessa, attinge idee, stili, suoni e modi di accostare i suoni da ogni dove, ricombinandoli in altri stili differenti e continuamente cangianti. Si aggiunga a questo che il più delle musiche vive lo spazio di poche settimane, perché le mode si sovrappongono ad altre mode, e perché molte correnti e tendenze si stabilizzano per poche stagioni in ambienti più o meno circoscritti, spesso usate come mezzi per riconoscersi parte di un gruppo. Pensare di ridurre tutto quel che c'è di musicale attorno a noi in una teoria o anche più prudentemente in un gruppo di 45 Negli esempi che seguono ho usato i numeri romani per indicare i gradi melodici del basso. In particolare la 4ª e 6ª cadenzale non può e non deve essere considerata come secondo rivolto della triade di tonica. 124 regole è impossibile; le regole comuni possono riguardare solo fatti generali, mentre le caratteristiche degli stili, le regole della grammatica di ognuno di essi si possono sintetizzare solo recuperandole dai repertori specifici. Poi c'è il fatto che più ci si avvicina all'oggi, più la realtà sembra esplodere in una miriade di fenomeni: chi saprebbe dire oggi cosa delle mode resterà e cosa si perderà, cosa si potrà insinuare a fondo nel linguaggio per rinnovarne le caratteristiche e cosa invece sarà servito solo a colorare in superficie qualche pezzo per la durata di poche settime? Nella realtà della musica attuale distinguerei alcune correnti fondamentali: a. musica colta, b. jazz, c. musica da film e per gli audiovisivi in genere d. popular music (canzone) Qualsiasi categorizzazione ha valore relativo; questa, probabilmente, più di tante altre. Infatti, ognuno dei campi indicati si sovrappone consistentemente agli altri e ognuno di essi andrebbe distinto in una serie ulteriore di sottocampi: la musica di Arvo Pärt, per esempio, è nel campo della musica colta, ma ha più di qualche tratto in comune con quella da film; la stessa locuzione “popular music”, come campo, è assai difficile da delimitare, slittando inevitabilmente il suo significato in riflessioni di carattere sociale e antropologico da una parte (musica di “massa” o ”di consumo”), dall'altra verso considerazioni qualitative (la definizione italiana “musica leggera” è sintomatica), che rendono impossibile una demarcazione di confine fondata su fatti di natura grammaticale (Middleton, 2001). La scelta consueta di identificare nella canzone il tipo di forma prevalente nella popular music (come ho fatto sopra) non ne delimita il campo, serve semplicemente a individuare un settore di studio, ben sapendo che il fenomeno della musica cosiddetta “popular” va oltre tale delimitazione, con aspetti che, nella dimensione, sono solo per ipotesi secondari: la stessa musica per audiovisivi si può intendere come un sottocampo della popular music, se la connotazione popular serve principalmente a esprimere la dimensione di massa del fenomeno46. Data la complessità dell'argomento, qui mi limito a richiamare le linee di tendenza essenziali per ciascuno dei campi, in relazione al modo di costruire gli accordi. Nel campo della musica colta è stata determinante la scelta fatta all'inizio del XX secolo di superare il sistema musicale tonale (superare/esaurire/portare a compimento, a seconda delle differenti visioni della cosa), comprendendo con ciò da una parte il riferimento alla scala diatonica come repertorio di suoni cui attingere per la formazione degli accordi, dall'altra la distinzione tra consonanza e dissonanza, con il concetto collegato di accordo come sovrapposizione di suoni per intervalli di terza. Data la premessa, qualsiasi sovrapposizione di tre e più suoni può essere considerata un accordo, benché il significato della parola (che allude alla concordia, alla consonanza di voleri) francamente poco si addice, per le nostre orecchie, al risultato che consegue da tale indirizzo. Esempio, Stockhausen, K., Klavierstück, IX In passaggi come quello dell'esempio appena proposto, gli accordi risultano difficilmente comprensibili non 46 La musica per audiovisivi si distingue dalla canzone per il fatto di non essere in prima linea musica nella nostra percezione: quando si va al cinema, a parte casi isolati, non si va per sentir musica, ma per guardare un film. Al contrario, la canzone sembra essere un oggetto in cui il fatto musicale resta in primo piano nell'attenzione di chi la ascolta. Tuttavia non sono convinto che sia più musica quella fatta per essere consumata primariamente come musica. 125 solo perché ognuno di essi non è riconducibile al modello per noi comune di sovrapposizione di terze, ma perché l'intero passaggio non aderisce a questa logica. Va detto infatti che alcune sovrapposizioni risultano apprezzabili o meno a seconda che siano o meno inserite in un contesto comprensibile e siano trattate secondo modalità che chi appartiene alla nostra cultura riconosce. Nell'esempio che segue, uno stesso accordo (segnato con asterisco) viene presentato all'interno di una sequenza di sovrapposizioni di note che non riconosciamo come accordi, poi in una successione tonale di accordi riconducibili a sovrapposizioni di terze. Il confronto rende evidente come l'apprezzamento delle armonie sia legata a fatti di linguaggio imprescindibili: Esempio La musica di avanguardia del XX secolo e del nostro tempo non sembra aver prodotto effetti sull'evoluzione del nostro linguaggio musicale e probabilmente non ne produrrà, dal momento che deliberatamente si pone al di fuori di esso. Se un'evoluzione si deve cercare, quindi, non è nella musica colta, bensì in quegli ambiti della musica del nostro tempo che hanno continuato a parlare la lingua comune senza dichiararne la morte. Gli accordi nel jazz si classificano come s'è visto con la musica tradizionale e, per molti aspetti, il complesso dell'armonia jazz rappresenta una forma di evoluzione di quel tipo di armonia, tanto per quel che riguarda la costruzione degli accordi, quanto per la loro successione. Tuttavia, vi sono anche vistose distanze, che contribuiscono a marcare la differenza degli stili anche a livello percettivo. La prima e più importante di queste distanze sta nel fatto che l'accordo base qui viene considerata la settima, non la triade; di conseguenza – rilevante conseguenza - si azzera la differenza tra consonanza e dissonanza intesa in senso tradizionale come qualità degli intervalli di due note. Ciò incide direttamente sulla dimensione dinamica dell'accordo: la differenza sensibile tra accordi dissonanti (più o meno instabili) e consonanti (più o meno stabili) dell'armonia tradizionale si assottiglia, essendo rimandata da una parte all'aumento del numero di dissonanze con la creazione di accordi più complessi, dall'altra all'uso esteso dell'alterazione cromatica; meno importante, nel complesso, è la funzione gerarchica dei gradi della scala e quindi dei gradi di essa su cui sono costruiti gli accordi. Il linea di principio gli ingredienti che servono per la costruzione degli accordi jazz sono pochi e semplici. a. Gli accordi sono costituiti per sovrapposizione di terze; sono considerati accordi base quelli all'interno dell'ottava, quindi le triadi e le settime, che si classificano comunemente. In più, sempre entro l'ottava, sono classificati a parte dli accordi “sus 4”, sia come triadi che come settime. Esempio, V V Gli accordi “sus4” sono usati largamente sul V della scala; quindi negli esempi sopra il sol del primo e del terzo accordo sono da considerare V della scala di DO. In questo contesto, la caratteristica essenziale degli accordi “sus4” è la mancanza di tritono al loro interno. b. gli accordi di riferimento nel far musica sono le settime, costruite su ciascun grado della scala maggiore e minore. c. Le “tensioni” sono rappresentate dall'espansione dell'accordo di settima oltre l'ottava; quindi sono gli accordi di nona, di undicesima, di tredicesima. La nona, l'undicesima e la tredicesima creano intervalli tensivi con i suoni dell'accordo di settima; Barrie Nettles [Nettles, 1987, p, 34] descrive le tensioni come intervalli di nona creati dagli intervalli di 9^, 11^, 13^ con le note dell'accordo di settima su cui si innestano; nell'esempio che segue sono mostrate le tensioni sopra un accordo Cmaj7. Esempio, 126 Dal momento che l'intervallo di nona che suona meglio è quello di 9^ mag. - mentre più aspro è quello di 9^ min. - si può inserire l'alterazione nell'accordo, al fine di ottenere l'intervallo migliore. Esempio Questa è una caratteristica del jazz: gli accordi sono valutati primariamente per il loro suono, indipendentemente dalla tonalità in cui si trovano. Gli accordi sus4 di 11^ e 13^ costruiti sul V sono considerati e sentiti come accordi di sottodominante (gli accordi con funzione di sottodominante sono quelli costruiti sul II e sul IV della scala) sovrapposti alla alla fondamentale sul V. Esempio, Le sigle accordali verrano descritte più avanti. Per l'esempio appena proposto: D-7/G si legge “Re minore 7^, con al basso il sol”; F+7/G si legge “Fa 7^ maggiore, con basso sol”. Il re e il fa sono rispettivamente il II e il IV della scala di Do maggiore, quindi si includono tra gli accordi con funzione di sottodominante. In sintesi, la maggior distanza tra la teoria tradizionale e il jazz sta nel fatto che il jazz considera e tratta gli accordi all'interno dell'ottava, quindi anche gli accordi di settima, come accordi consonanti, sol superamento delle distinzioni classiche in materia47. Ma per il nostro orecchio le cose stanno realmente così? Ed è poi così scontato che le tensioni debbano provenire solo dalle note aggiunte oltre l'ottava in termini di accordi di 9^, 11^ e 13^? Dubito che, ascoltando i due seguenti accordi, si consideri il secondo meno ricco di tensione rispetto al primo: Esempio, Se la premessa è che gli accordi di settima non contengono tensioni e che ogni accordo può essere dato allo stato fondamentale o di rivolto, si deve ammettere la conseguenza, ovvero che il secondo accordo dei due appena presentati nell'esempio sia privo di tensioni. Ma le nostre orecchie percepiscono il contrario: la dissonanza di seconda minore tra il si e il do è per noi assai aspra, e fa sì che il secondo accordo risulti più dissonante e “tensivo” del primo. Anche relativamente alla popular music gli accordi sono gli stessi già classificati precedentemente. La distanza rispetto all'armonia tradizionale è data dall'uso di una dissonanza aggiunta che caratterizza il suono di molta della musica attuale; si tratta della nona aggiunta negli accordi di triade. A volte si trova indicata con la sigla “add 9” (ovvero added 9) e può comparire all'interno delle triadi mag. allo stato fondamentale; in questo contesto la 9^ aggiunta sopra al basso almeno a distanza di 9^ quelli che seguono sono due casi tipici: Esempio, 47 Come vedremo, anche nel passaggio da un accordo al successivo tutte le note degli accordi di settima sono considerate ugualmente e non si fanno differenze di movimento tra quelle note che secondo la teoria tradizionale sono dissonanti e quelle che sono consonanti. In particolare, la dissonanza di settima nella prassi comune scende nel movimento all'accordo successivo, nel jazz si comporta liberamente come qualsiasi altrom suono dell'accordo. 127 L’accordo si caratterizza proprio attraverso l’intervallo di seconda maggiore che la 9^ può formare sia con la 3^ dell’accordo (primo accordo dell’esempio qui sopra, intervallo di seconda tra il re e il mi), che con la fondamentale dell’accordo (secondo accordo dell’esempio qui sopra, seconda maggiore tra il do e il re). Si potrebbe pensare di aver a che fare con un accordo di nona, in cui sia stata soppressa la settima dell'accordo. Tuttavia le nostre orecchie sentono quel che c'è; e il si non c'è negli accordi dell'esempio precedente. Nei contesti indicati, la dissonanza di seconda non viene sentita come tale; piuttosto si percepisce la nona come coloratura dell'accordo di triade, come suono sospeso. Il significato che qui do a “sospensione” appare chiaro nel seguente esempio: nella prima battuta la 9^ non resta sospesa, scendendo sul quarto tempo sull'8^ (il sol scende sul fa), così come avviene secondo la modalità classica di risoluzione delle dissonanze; nella seconda battuta invece resta sospesa. Esempio L'uso di suono sospesi è una delle caratteristiche dell'armonia nella musica pop; per lo più si presentano come pattern ripetuti nella sezione ritmica (per esempio pipano o chitarra). Le formule ripetute producono accordi nuovi, rispetto a quelli conosciuti in ambito tradizionale. Esempio Ecco come si trova usato questo procedimento in una canzone di oggi. Esempio, Elisa, Un filo di seta negli abissi, parte pianistica essenziale del ritornello Si tratta di procedimenti semplici, che tuttavia producono sonorità evidentemente nuove; per spiegarle possiamo impiegare gli strumenti della teoria tradizionale, o tentare nuove strade, ipotizzando trasformazioni profonde nella struttura del nostro linguaggio. Philip Tagg propone di ricondurre la costruzione degli accordi della musica attuale48 a due modelli, quello che lui chiama “terziale”, corrispondente all'armonia classica in cui gli accordi sono ottenuti per sovrapposizioni terze, e quello “quartale”49, in cui gli accordi si ottengono sovrapponendo quarte giuste [Tagg, 2009, p. 158]. Le sovrapposizioni di quarte sono trattate analogamente a quelle di terza, sicché si possono avere rivolti e elisioni di suoni. Ecco una sovrapposizione di quarte, e 48 Per Tagg la musica attuale è quella popular, dal momento che considera il jazz in larga parte assimilabile all'area classica, in particolare per quel che riguarda la concezione accordale [Tagg, 2009, 117-144, in particolare, p. 142]. 49 Di accordi per quarte come superamento degli accordi per terze parla Schoenberg nel suo Manuale di Armonia [Schoenberg, 1973, p. 499]. 128 alcuni accordi che possono essere visti come derivati da essa: Esempio Non so se le cose stiano così; siamo ancora troppo vicini ad esse per essere certi che le tendenze di oggi si confermino come dati strutturali di un nostro linguaggio musicale rinnovato. Certo è che alcuni aspetti della teoria di Tagg mi lasciano perplesso: il primo è che molti degli accordi che vengono generati dall'armonia per quarte sono generati in realtà anche dalla concezione classica dell'accordo ottenuto per sovrapposizione di terze (il che, infatti, è del tutto possibile relativamente agli accordi presentati nell'esempio qui sopra). In secondo luogo, è da considerare il fatto che i musicisti non conoscono l'armonia quartale e in genere non fanno musica per dimostrare teorie, ma per vendere dischi (le eccezioni, come al solito, non fanno la regola); tant'è, che nella musica attuale le sigle degli accordi sono ancora quelle dell'armonia classica per terze. Ulteriore elemento di perplessità sta nella rarità degli esempi di accordi esplicitamente costruiti con quarte sovrapposte (mentre le triadi o le settime allo stato fondamentale sono assai frequenti, accordi per quarte sovrapposte allo stato fondamentale sono tanto rari da costituire ancora una volta un'eccezione). Infine – ed è il limite più grave – l'ipotesi di un'armonia quartale, porta inevitabilmente a riconsiderare - o a superare l'intera questione della differenza tra consonanza/dissonanza, dal momento che gli accordi ottenuti per sovrapposizione di quarte si devono considerati consonanti al pari di quelli ottenuti per sovrapposizione di terze [Tagg, 2009, p. 159]. Davvero le nostre orecchie funzionano in modo così radicalmente differente rispetto a quelle di nostro nonno? Fatto sta, che ascoltando musica del passato riusciamo ad apprezzare pienamente il senso dinamico che poggia sulla differenza che percepiamo tra consonanza e dissonanza e che nella musica attuale (non quella colta) ancora molto si fa secondo la stessa logica. Non è da escludere, infatti, che il senso di “sospensione” e “prolungamento” di cui prima ho parlato derivi proprio dal fatto che i suoni si percepiscono come sospesi o prolungati rispetto a quel che normalmente avviene o ci si aspetta. Ma imporre come vere ipotesi non ha senso in questo campo; non ho una idea definitiva, credo si debba aspettare e vedere come andranno a finire le cose. Ipertesto 3,14: Raddoppi La regola sul raddoppio riguarda essenzialmente gli accordi di tre suoni in una scrittura a quattro voci e rimanda a una questione inizialmente timbrica, poi più complessa, legata al tipo di scrittura, allo stile, alle necessità di condotta melodica delle parti, al desiderio di valorizzare una determinata linea melodica in una o più voci. In linea generale, la regola scolastica fa riferimento al fenomeno fisico degli armonici; si consiglia infatti di raddoppiare il suono che sviluppa maggiormente la fondamentale dell'accordo o gli armonici più vicini ad essa (nel primo rivolto, infatti, si raddoppia la fondamentale o la quinta dell'accordo). Ma tale indicazione ha un valore assai relativo; per esempio, quale è la fondamentale di un accordo, quella che si pone all'origine della sovrapposizione delle terze, o, come più anticamente si intendeva (ancora in buona sostanza ai tempi di Bach), la nota più grave al di sopra della quale sono sistemate le consonanze perfette o imperfette e dissonanze? E dal momento che il raddoppio potenzia un'armonica del suono, non potrebbe darsi il caso che convenga, per un determinato intento espressivo, effettuare un raddoppio che in termini assoluti non verrebbe considerato il migliore, ma che in quel caso colora l'accordo nel modo più indicato? A questo proposito vale la pena curiosare nella musica prodotta tra la fine del XIX secolo e l'inizio del successivo, quando l'attenzione per il colore delle armonie diventò un punto un di riferimento importante: è in questo repertorio che gli autori cercano soluzioni differenti rispetto a quel che la norma avrebbe consigliato di fare. Ecco il caso indicativo di un preludio per pianoforte del 1895 di Scriabin: i vari raddoppi della terza e la stessa scelta di armonizzazione con accordi allo stato di primo rivolto fanno suonare questo passo in modo piuttosto originale. 129 Esempio, A. Scriabin, Prelude, op. 13, n. 1 * * * * * Anche nella musica del tempo di Arcangelo Corelli vi sono deviazioni rispetto a quel che la regola scolastica consiglia relativamente al raddoppio dei suoni nella costruzione degli accordi. Corelli raddoppia la nota del basso (a meno che non sia dissonante), sempre, anche quando la nota del basso è la terza dell'accordo, come nel primo rivolto. E non si tratta di movimento delle parti, come è evidente nell'esempio proposto, ma proprio del miglior raddoppio secondo il modo di concepire gli accordi alla fine del '600. Esempio, A. Corelli, Concerto grosso in Fa mag., op. 6 n. 2 * * * D'altra parte, come accennato, la questione del raddoppio il più delle volte dipende dalla condotta delle parti; se un autore deve scegliere tra il costruire accordi con il miglior raddoppio sacrificando il movimento delle voci e realizzare dei raddoppi meno buoni facendo muovere bene le parti, quasi sempre sceglie questa seconda via, con buona pace delle indicazioni di scuola. Nel prossimo esempio una semplice successione di accordi è realizzata in modo da avere il miglior raddoppio per ognuno di essi; a fianco, mantenendo gli stessi accordi, lo stesso passaggio è riportato nella realizzazione di Bach, per il quale, nell'armonizzazione della melodia di corale data, la questione della cantabilità delle parti è preliminare; i raddoppi della terza, anche con gli accordi allo stato fondamentale, si sprecano: Esempio J.S. Bach, Einst ist noch, ach Herr, dies Eine, corale Nella costruzione di un accordo di settima allo stato fondamentale è possibile raddoppiare la fondamentale dell’accordo e più raramente la terza, omettendo la quinta. Allo stato di rivolto, gli accordi di settima si costruiscono sempre completi, a meno di difficoltà insormontabili nella condotta delle parti; ciò, nella scrittura a quattro parti, rende impossibile il raddoppio di un qualsiasi suono nella costruzione di un accordo di settima allo stato di rivolto. 130 Ipertesto 15: identificazione dell’accordo indipendentemente dal contesto tonale Identificare l’accordo in sé, indipendentemente dal contesto tonale significa: a. dire il nome delle note di cui l’accordo si costituisce, iniziando dalla fondamentale e sovrapponendo gli altri suoni per intervalli di terza; b. classificare l’accordo come triade (maggiore/minore/diminuita/aumentata), o come settima (di prima – quinta specie), o come nona (di prima – quinta specie; è necessario tener conto del fatto che parlare di accordi di nona per la musica precedente al XIX è quasi sempre improprio) c. Per l’identificazione completa dell’accordo è necessario collocarlo nella tonalità; quindi si deve dire il grado della scala su cui l’accordo è costruito allo stato fondamentale. 1. Accordi scritti in verticale o sciolti in arpeggio Molto spesso le sovrapposizioni di note sono immediatamente riconducibili ad accordi; un esempio evidente è quello proposto proprio all’inizio di questo capitolo, il Corale di Schumann. Anche se non proprio con la stessa evidenza, molte volte gli accordi sono scritti per intero e la loro classificazione non presenta alcun problema: L.van Beethoven, Sonata op. 2, n. 2, Largo appassionato (parte) Anche nel caso che segue la scrittura è esplicitamente armonica, benché gli accordi siano scritti non in verticale, ma sciolti in arpeggio: R.Schumann, Piccolo studio, dall’Album per la gioventù (parte) Nella prima battuta c’è una triade di Sol maggiore, nella seconda una triade di Do maggiore. Riconoscerle è facile: basta sovrapporre i suoni; quelli della prima battuta danno appunto la triade di Sol maggiore, quelli della seconda battuta danno la triade di Do maggiore. Un’altra scrittura che manifesta immediatamente la forma degli accordi è quella del cosiddetto basso albertino: F.J.Haydn, Sonata in Mi minore, Finale, Molto vivace (parte) Si vede con chiarezza che l’accordo della prima battuta è quello di Mi minore, così come quello della seconda battuta, la settima di prima specie costruita sulla nota Si. Ancora una volta basta sovrapporre i suoni disposti in orizzontale, immaginare che si trovino invece disposti uno sull’altro, e l’identificazione 131 dell’accordo è immediata. Anche nell’esempio qui sotto le armonie, una per battuta, si leggono immediatamente: basta sovrapporre sulla nota del basso l’accordo che lo segue sempre alla mano sinistra, e l’accordo è disponibile (nella seconda battuta la terza dell’accodo di settima sul fa diesis, il La diesis, si trova nella mano destra): F.Chpin, Valzer op. 69, n. 2 (parte) 2. Accordi deducibili da figure contenenti note estranee Spesso la scrittura non è armonicamente così chiara e trasparente; il più delle volte intervengono note estranee all’accordo (note di fioritura, ritardi, appoggiature, pedali) che ne complicano la identificazione. Riguardo a ciò, si deve ricordare che le note estranee possono essere: a. note estranee all’accordo (poste sulla suddivisione o sul tempo debole) a1. Note di passaggio/volta (raggiunte e lasciate per grado congiunto) a2. Note di volta/passaggio incomplete (ovvero con elisione) b. note estranee all’accordo che cadono sul tempo (o sulla suddivisione maggiore) possono essere: b1. ritardi: note legate all’unisono dall’accordo precedente e risolte per grado congiunto discendente b2. appoggiature; note raggiunte per salto e risolte per grado congiunto Discendente / ascendente. c. pedale Da quanto appena esposto, si capisce che le note che fanno parte dell’accordo (note reali) possono essere raggiunte e lasciate tranquillamente per salto superiore alla seconda; sicché, se vediamo una nota raggiunta e lasciata per salto, siamo quasi sicuri che quella nota fa parte dell’accordo. Per riconoscere un accordo si deve partire dal basso, ovvero dalla nota più grave e si devono sovrapporre su di esso quelle note che possono formare un accordo con esso, note disposte in verticale, ma anche in orizzontale, escludendo quelle che non possono far parte dell’accordo perché non sovrapponibili per terze; mi rendo conto che è un’indicazione un po’ generica, ma non si può dire nulla di più preciso: stiamo infatti invadendo il campo dell’invenzione melodica, e in tale campo davvero non si pone un limite alla fantasia creatrice. Anche le indicazioni di uso delle note di fioritura, che sono state riportate sopra, sono interpretate dai compositori spesso con larghezza. Tuttavia, si deve sempre ricordare che l’armonia e le sue funzioni svolgono un ruolo fondamentale nella nostra musica e che da ciò consegue l’interesse primario, proprio da parte del compositore, di rendere chiara la costruzione degli accordi e il percorso delle armonie; se difficoltà possono esserci, saranno presto superate con un po’ di esperienza e con l’aiuto dell’orecchio. Tra tutte le note di fioritura, forse le più facilmente riconoscibili sono le appoggiature. Sono note estranee la loro risoluzione è quasi sempre per grado congiunto discendente (appoggiatura superiore), o ascendente (appoggiatura inferiore); in ogni caso sono note che cadono sul tempo, o, al limite, sulla principale suddivisione; nell’esempio che segue il fa sull’ultimo tempo della battuta seconda battuta dell’esempio è una appoggiatura della quinta dell’accordo di La minore; si noti il segno di legatura, tipico, tra il fa stesso e il mi, nota di risoluzione della appoggiatura: 132 L.van Beethoven, Sonata op. 2, n. 2, Rondò, Grazioso (parte) Sul battere della seconda battuta dell’esempio qui sotto il La appoggia la terza dell’accordo di Mi maggiore, Sol diesis; ancora una volta il segno di legatura tra le due note rende esplicita la funzione di appoggiatura della prima delle due note: R.Schumann, Album per la gioventù, Sheherazade, (parte) Del tutto frequente è l’appoggiatura dell’accodo finale di una musica, che realizza il tempo piano conclusivo: v Le appoggiature si riconoscono facilmente: sono note estranee che cadono sul tempo o comunque sulla maggiore suddivisione; risolvono per grado congiunto discendente (appoggiature superiori) o per grado congiunto ascendente (appoggiatura inferiore). Può capitare, così, di incontrare sovrapposizioni di note che non siano riconducibili ad alcuna forma di accordo, semplicemente perché le note non si sovrappongono per terze. Da questo punto di vista è bene chiarire un equivoco nel quale alcuni trattati scolastici di armonia possono far cadere con una certa facilità. Nella nostra grammatica musicale, almeno fino alla fine del XIX secolo è assolutamente improprio parlare di accordi di undicesima e tredicesima; come già più volte ripetuto, gli stessi accordi di nona sono estranei alla musica fino all’inizio di quello stesso secolo. Per questo, eventuali sovrapposizioni di note che non siano riconducibili nella forma ad accordi di settima o al più di nona (sempre facendo attenzione al periodo in cui la musica è stata scritta) si deve considerare che sono state ottenute usando una o più note estranee. Ecco un esempio efficace: R.Schumann, Album per la gioventù, Tempo allegro L’accordo, come si vede, è quello di settima di prima specie costruito sul Si; il mi diesis e il do doppio diesis in battere sono rispettivamente appoggiatura del Fa diesis e del Re diesis. 133 Le note di passaggio, volta e sfuggite non cadono sul tempo, hanno quindi una funzione esclusivamente melodica; si riconoscono perché sono comunque almeno raggiunte o lasciate per grado congiunto: Le note segnate con la x sono note di passaggio, mentre con la y è segnata l’appoggiatura; si vede bene quindi la differenza tra i due tipi di nota di fioritura: le note di passaggio sono sulla suddivisione, raggiunte e lasciate per grado congiunto, l’appoggiatura cade sul tempo, ed è perciò molto più in rilievo sul piano armonico; in altre parole, si sente che è un suono estraneo, mentre le note di passaggio scivolano senza risaltare come dissonanze. Si notino infine le note raggiunte per salto: sono, così come avviene di solito, note di arpeggio, ovvero note che fanno parte dell’accordo. A volte anche al basso possono essere usate note di fioritura; saranno le note superiori a chiarire la natura dell’accordo: L.van Beethoven, Sonata op. 10, n. 3, Largo e mesto (parte) Nella prima battuta dell’esempio qui sopra il basso si muove con una nota di volta prima, al si bemolle, fondamentale dell’accordo; che si tratti proprio dell’accordo di Si bemolle maggiore lo dice inequivocabilmente l’arpeggio della mano destra. Il pedale è una nota persistente, che viene tenuta o ripetuta su una stessa altezza; si parla di pedale inferiore quando tale nota è tenuta nella parte grave, di pedale superiore quando essa è tenuta nella parte acuta e di pedale mediano quando si trova in una parte intermedia. Mentre la nota pedale viene tenuta, le armonie si svolgono su di essa in modo regolare, rispettando le funzioni normali dell’armonia tonale; la nota pedale può far parte degli accordi che si seguono, ma può anche non farne parte; per regola, deve essere contenuta nel primo e nell’ultimo accordo di quelli che si trovano costruiti su di essa. Un esempio eloquente è nel finale del primo preludio del Clavicembalo ben temperato di Bach; si veda la seconda battuta dell’esempio qui sotto: J. S. Bach, Preludio in Do mag., Clavicembalo ben temperato, 1° vol., parte 3. Come riconoscere gli accordi in una scrittura con un limitato numero di voci Gli accordi, come noto, sono costituiti dalla sovrapposizione di almeno tre suoni disposti a intervalli di terza; si dice nei manuali di teoria che la sovrapposizione di due suoni non produce un accordo, ma un bicordo. Non è del tutto vero; nel senso che in una scrittura a due voci, o addirittura a una sola voce, è il contesto tonale (vedi sotto) che consente di integrare facilmente le note che mancano per formare un accordo: in un contesto tonale le note mancanti sono implicite. 134 Non sono necessarie regole, basta il buon senso a determinare le seguenti indicazioni: a. un intervallo di terza determina un accordo di triade allo stato fondamentale; b. un intervallo di quinta determina un accordo di triade allo stato fondamentale; c. un intervallo di sesta determina un accordo di triade allo stato di primo rivolto; d. un intervallo di settima determina un accordo di settima allo stato fondamentale, o un ritardo della fondamentale in un accordo di triade allo stato di primo rivolto; e. un intervallo di seconda determina un accordo di settima allo stato di terzo rivolto (settima al basso), o un ritardo della fondamentale in una triade. Nell’esempio qui sotto, basta un contrappunto a due voci, una nota alla mano sinistra e lo scorrere della linea melodia alla destra, per chiarire quali siano gli accodi impiegati e la successione degli accordi stessi: R.Schumann, ibidem (parte) Osserviamo la parte chiusa nel circolo: sul battere della quinta battuta dell’esempio si trovano un Si in chiave di basso e un Re diesis in chiave di violino (per riconoscere gli accordi si deve leggere sempre prima la chiave di basso); in mancanza di altre note e per il modo in cui si formano gli accodi, questo è un accordo di Si maggiore. Nella battuta successiva, in battere si trova un Do diesis al basso, sopra di esso c’è un Fa diesis che scende per grado congiunto sul Mi, esattamente come fa una appoggiatura; lo stesso Mi risolve per salto superiore alla seconda; questo sul primo ottavo della sesta battuta si deve quindi considerare un accordo di Do diesis minore: infatti, il Fa diesis va per grado congiunto e perciò può essere considerato nota estranea, il Mi salta e può dunque essere considerata una nota di arpeggio; in più l’intervallo tra Do diesis e Fa diesis è un intervallo di quarta, mentre quello tra Do diesis e Mi è di terza, e gli accordi si formano per terze, non per quarte. Sicuramente un accordo di La maggiore è quello che segue, sul secondo ottavo della sesta battuta di quest’esempio; il Si diesis non può formare un accordo con il La, dal momento che forma con esso un intervallo di seconda; in più, sempre il Si diesis risolve ancora una volta per grado congiunto, configurandosi come appoggiatura del Do diesis. La seconda parte della sesta battuta presenta con maggiore chiarezza un accordo di Si maggiore: si trovano tutte le note di cui quest’accordo si compone, infatti, e ad esse si aggiunge solo il Do diesis, che, come nota di passaggio, è raggiunto e lasciato per grado congiunto. Nell’ultima battuta del rigo, infine, c’è l’accordo di risoluzione, Mi maggiore, con doppia appoggiatura (ascendente e discendente, della fondamentale e della terza (del Mi e del Sol diesis quindi). La successione degli accordi conferma che l’interpretazione è giusta; Si maggiore, Do diesis minore, La maggiore, Si maggiore e Mi maggiore, tradotti in gradi della scala di Mi maggiore diventano: V – VI – IV – V – I: una perfetta successione di armonie in campo tonale. Ancora un paio di esempi. Il seguente è simile a quello precedente; si tratta di un contrappunto a due voci, sostanzialmente, ma la determinazione degli accordi di riferimento è tutt’altro che difficile: L.van Beethoven: Sonata op. 7, Allegro molto e con brio (parte) 135 Guardiamo quel che accade nella parte sotto la linea, la seconda e la terza battuta dell’esempio. Sulla prima metà della terza battuta c’è un accordo determinato esplicitamente dalle note in chiave di basso e di violino; sono note tutte raggiunte e lasciate per salto, dunque note di arpeggio: basta metterle idealmente assieme, perché si manifesti immediatamente l’accordo di triade diminuita costruita su Fa# (fa#/la/do, con al basso il la); nella metà successiva della battuta si trova l’accordo di Sol min., determinato dalle note poste sul tempo (si bemolle al basso, sol in chiave di violino); si muovono entrambi le parti su un intervallo di terza, per moto contrario. La successione quindi è triade di sensibile- tonica nella tonalità di Sol min. Nella battuta successiva, trasportata, c’è la stessa cosa in Mi bemolle mag. Osserviamo un ultimo esempio: L.van Beethoven, ibidem, Largo con gran espressione (parte) Qui, nella seconda battuta non ci sono nemmeno due voci; eppure, l’identificazione delle armonie è ancora una volta estremamente facile. Nella terza battuta dell’esempio, in battere, siamo chiaramente su un accordo di Do maggiore: l’accordo è dato completo di tutte le sue note e le stesse note sono disposte in verticale, accordalmente, appunto. Il terzo tempo della stessa battuta cambia bruscamente armonia e tonalità: tutte le note della quartina di sedicesimi, ad esclusione dello stesso do, infatti, non fanno parte della tonalità di Do maggiore nella quale ci si trovava appena fino al tempo precedente. Ma basta vedere l’inizio della battuta successiva, l’accordo di La bemolle maggiore, per chiarire che quel mi bemolle sul terzo tempo della terza battuta, scendendo di quinta e cadendo sul La bemolle, altro non può essere, se non la dominante della tonalità di La bemolle maggiore. 4. Durata dell’accordo Si diceva dunque che per individuare una accordo si deve partire dal basso e sovrapporre su di esso quelle note che possono formare un accordo; non c’è un limite al numero di note che in orizzontale si possono poggiare su una determinata armonia; in altre parole, non c’è un limite determinato per la durata di un accordo: un accordo può durare lo spazio di una suddivisione di tempo, come, al contrario, più battute. Torniamo un attimo all’esempio precedente: confrontiamo con è chiaro che, nel primo caso, l’accordo di Sol maggiore occupa l’intero spazio della prima battuta: le note scritte in chiave di violino, infatti, corrispondono perfettamente con le note di questo accordo. Altrettanto evidente è come nel secondo esempio all’interno della battuta vi siano due accordi, ognuno della durata di 3/8, il primo di Sol maggiore, il secondo di Re maggiore. Guardiamo ancora il seguente esempio: 136 L.van Beethoven, ibidem, Allegro (parte) In questo esempio, l’accordo di settima diminuita mi/sol/si bemolle/re bemolle dura lo spazio di otto battute; soltanto nella nona battuta, proprio l’ultima dell’esempio, esso trova risoluzione sull’accordo di Fa minore (il Mi bequadro in battere è un’appoggiatura inferiore del Fa, così come mostra il tipico segno di legatura che lega le due note). Ancora un esempio: R.Schumann, Album per la gioventù, Sheherazade (parte) In questo esempio gli accordi seguono un ritmo incostante, che coincide tuttavia con quello del basso; basta sovrapporre le note che si trovano inserite all’interno della durata della nota del basso, per ricostruire con facilità gli accordi. 137 Bibliografia A. Schoenberg 1973 A. Reicha 1912 Manuale di armonia, a c. di L. Rognoni, trad. G. Manzoni, con una “Guida pratica” di Erwin Stein, Milano, Saggiatore, 1973 (prima edizione Harmonielehre, Universal, Vienna, 1922; prima edizione italiana: Milano, Il Saggiatore, 1963). Corso di composizione musicale ossia Trattato completo e ragionato d'armonia pratica di Antonio Reicha ; traduzione dal francese, con prefazione ed annotazioni critiche di Luigi Felice Rossi. Milano, Ricordi, 1912. Prima edizione Cours de composition musicale ou traité complet et raisonné d'harmonie pratique, Gambaro, Paris, 1816. Meeùs, Scale, polifonia armonia, in Enciclopedia della musica, Torino, Einaudi, 2002, p. 72-88 Zarlino, G. 1562 Catel, C.-S. 1802 Momigny, J.de 1803 Riemann, H. 1895 Schenker, H. 1954 de la Motte, D. 1988 Gjerdingen, R. O. 2007 Tagg, P. 2011 Le Istituzioni harmoniche, Venezia, F. Senese, 1562 Traité d'harmonie par Catel, membre du Conservatorie de musique, adopté par le conservatoire, pour servir à l'éetude dans cet E'tablissement, Imprimerie du Conservatoire, Paris. Cours complet d'harmonie et de composition d'apres une théorie neuve et générale de la musique, basée sur des principes incontestables, puisés dans la nature, 3 voll. Presso l'Autore, Parigi. Harmony simplified, or the theory of the tonal functions of chords, Augener, London, edizione originale Vereinfachte Harmonielehre oder die Lehre von den tonalen Funktionen der Akkorde, 1893 Harmony, edited and annotated by Oswald Jonas, trad. E. Mann Borgese, The University of Chicago press, Chicago and London, prima edizione Harmonielehre, Universal, Wien, 1906 Manuale di armonia, la Nuova Italia, Firenze, edizione originale, Harmonielehre, Bärenreiter, Kassel-Basel-Tours-London, un Deutscher Taschnbuch-Verlag, München, 1976 Music in the galant Style, Oxford, University press, 2007. La tonalità di tutti i giorni. Armonia, modalità, tonalità nella opopular music: un manuale. A c. di Franco Fabbri, trad. italiana di J. Conti. Milano, Il Saggiatore, 2011. Edizione originale, Everyday Tonality, The mass media music scholars' press, New York & Montreal, 2009. 138 Middleton, R. 2001 Studiare la popular music, introduzione di Franco Fabbri. Feltrinelli, Milano, 2001. titolo originale Studying popular music, Indiana University, Open university press 1990; prima edizione italiana, Milano, Feltrinelli, 1994. Nettles, B. 1987 Harmony 1-3, Berklee ,College of Music, 1987 Walther, J.G. 1732 Musicalisches Lexicon, oder Musicalisches Bibliothec, Leipzig, Deer, 1732 139 Ipertesti capitolo IV: NUMERI E SIGLE Ipertesto 4,1: Evoluzione nell’uso dei numeri Numeri arabi, numeri romani, abbreviazioni, sigle si usano in musica per indicare stenograficamente gli accordi e/o la loro funzione. Benché in superficie possano conservare alcuni aspetti simili, al di sotto significano spesso cose piuttosto differenti, in conseguenza dei fini altrettanto differenti per cui si usano. Nell'epoca del barocco i numeri erano componente essenziale della prassi del basso continuo e si usavano per indicare velocemente al continuista quali fossero gli accordi da eseguire al di sopra della linea del basso. In breve tempo, con i partimenti, si sviluppò una didattica dedicata a questa prassi e all’apprendimento dei fondamenti della composizione, man mano che si andava sviluppando una concezione compositiva più saldamente armonica. Attraverso l’arte dei partimenti si conservò l'uso di aiutarsi nello studio dell'armonia e di alcuni aspetti della composizione attraverso il basso numerato, restringendo tuttavia le numeriche ad alcune indicazioni sintetiche ed evitando quindi la varietà di segni che nel barocco si era prodotta da una parte per seguire le tradizioni locali, dall'altra per contenere le sollecitazioni che venivano dal gusto armonico in continua evoluzione e dalle inflessioni di stile legate alla performance. In questa forma sintetica (in alcuni casi sclerotizzata) i numeri si usano ancora oggi nello studio della composizione. Nel frattempo, prima come costola della composizione stessa, poi come disciplina autonoma, si è sviluppata l'analisi musicale; nell'ambito di questa disciplina è stato acquisito l'uso dei numeri per indicare accordi e tonalità, e contemporaneamente si è sentita la necessità, in alcuni casi, di sviluppare un uso di simboli differenti per esprimere con maggior evidenza i contenuti di teorie specifiche. Insomma, nel tempo la dimensione pratica dell'uso dei numeri del barocco ha lasciato spazio a significati e finalità sempre più marcatamente teorici. Al contrario, conserva un carattere di nuovo essenzialmente pratico l'uso delle sigle nell'ambito della musica attuale. Ipertesto 4,2: Il basso numerato nell'epoca del basso continuo I numeri indicati nella tabella del testo sono quelli che si usano ancora oggi nella didattica dell'armonia; sono solo per sommi capi rappresentativi delle numeriche in uso all'epoca del basso continuo, quando esse servivano da supporto a un'esperienza inizialmente pratica e solo a seguire pedagogica. Nella musica del ‘500 era prassi normale l’impiego degli strumenti accanto alle voci, per raddoppiare e potenziare il loro suono, o per sostituirle quando fosse stato necessario; questo, sia nella musica profana, come in quella sacra: l’ideale della “musica a cappella”, della musica corale pura, fu invenzione dell’estetica tardo-romantica. Immaginiamo quel che doveva accadere quotidianamente in una chiesa o in un palazzo del taro Rinascimento. Si faceva musica, tanta e tutti i giorni; non c’era possibilità di fare fotocopie, sicché la cosa più pratica era di dare ai musicisti le parti staccate; era il copista che si incaricava di realizzare la parte staccata per il soprano, per l’alto, per i tenore, per il basso e per gli eventuali altri strumentisti. E al tastierista cosa si dava? Escludendo di copiare l’intera partitura, dal momento che ciò avrebbe richiesto un’eccessiva quantità di tempo, si risolse il problema realizzando una parte di basso munita di numeri convenuti, seguendo i quali l'esecutore sarebbe stato in grado di eseguire le armonie giuste, senza entrare in urto con le voci e con gli altri strumenti. Nacque così la prassi del basso continuo. Facciamo un esempio prendendo una musica cinquecentesca di Giovanni Pierluigi da Palestrina. 140 Ecco come si arriva al basso numerato da una scrittura a quattro voci a. G. Pierluigi da Palestrina, Missa Aeterna Christi munera, Kyrie (parte) b. la parte di basso dell'es. 3.1a c. la stessa parte di basso, si sarebbe potuta numerare per esempio così: 6 6 6 6 6 6 4 3 6 6 7 4 4 3 La regola era semplice: ogni nota del basso (nell’esempio proposto ogni semiminima, tralasciando le note di fioritura con valore più breve50) si sarebbe dovuta armonizzare con intervalli di 3ª e di 5ª e 8ª, per realizzare l’armonia con le migliori consonanze; quando il coro avesse intonato armonie non coincidenti con questa, allora si sarebbero usati i numeri. Per esempio, nella prima battuta dell'esempio precedente, sulle ultime due semiminime sol e la il coro non canta armonie di Sol (sol si re) e La (la do mi), ma un bicordo sol mi e un'armonia con la do e fa; è necessario quindi evitare che l'organista suoni sul la gli intervalli di 3ª e di 5ª e 8ª, perché il fa del coro entrerebbe in urto con il mi dell'organo. In questo caso basta scrivere un 6 sopra il la del basso, e l'organista capisce che al posto della 5ª deve suonare una 6ª. Semplice, no? I numeri sostituiscono o arricchiscono l’armonizzazione di base; la nota senza numeri si armonizza quindi con 3ª e 5ª, la nota con 6 si armonizza con 3ª e 6ª (dove il 6 sostituisce il 5), la nota con 4 si armonizza con 4ª e 5ª (qui è il 4 a sostituire il 3); 7 sta a indicare che l’intervallo di 7ª si aggiunge all’armonizzazione con 3ª e 5ª; 4 e 6 indica un’armonizzazione in cui gli intervalli di 4ª e 6ª sostituiscono quelli di 3ª e 5ª. La semplicità del principio non deve lasciar intendere alcuna banalità nella realizzazione del basso continuo; si tratta di un modo pratico per facilitare l'improvvisazione dell'armonizzazione del basso continuo da parte di musicisti professionisti: molto veniva dato per scontato o era determinato consuetudini più o meno locali. Se si vuol fare una cosa appropriata, è necessario ricostruire quel che la scrittura non indica di ciò che si faceva, o che indica solo approssimativamente. Vale la pena di accennare ad alcune delle caratteristiche delle numeriche del periodo. Le indicazioni sono molto sintetiche e riguardano casi ricorrenti. In alcuni casi i numeri suggeriscono il movimento melodico della parte superiore; ma si tratta di eccezioni. Anche se spesso i numeri alludono a movimenti melodici di parti, non è detto che queste siano coincidenti con quella superiore, dal momento che la disposizione delle note dell'armonia dipende da indicazioni generali di movimento delle parti (comprese le norme essenziali di contrappunto) e consigli pratici di movimento delle dita in relazione a movimenti del basso (moto contrario, tenere suoni in comune, decime parallele). a. La prima indicazione è che la numerica del basso dipende dal suo movimento e che questo è messo in 50 N.B. LA trascrizione utilizzata per l'esempio proposto della messa di Palestrina impiega valori dimezzati rispetto aglli originali (nell'originale al posto della minima c'è la semibreve). 141 relazione al grado della scala (o “corda”) su cui sono collocate le note del basso. Un passaggio come quello in cui il basso scende di semitono si può armonizzare in modi assai differenti, a seconda della scala in cui ci si trova al momento; il seguente esempio è piuttosto chiaro, a questo proposito: Do magg. La min. Do magg. Mi min. b. I gradi di riferimento sono il I51 e il V, che si armonizzano normalmente con una triade allo stato fondamentale (a seconda dei casi il V si può armonizzare anche con una settima), e il III e il VII che si armonizzano con triadi allo stato di primo rivolto (il VII, a seconda dei casi, si può armonizzare anche con una settima in primo rivolto). Si armonizzano nello stesso modo anche le note che temporaneamente assumono queste funzioni, a seguito di più o meno ampia modulazione. c. dal momento che i contesti sono ricorrenti (come nel caso appena esemplificato, il passaggio di semitono discendente al basso si identifica quelle circostanze tonali), in numeri spesso non vengono segnati o vengono accennate solo numeriche sintetiche, lasciando al continuista il compito di integrarle seguendo la prassi corrente e, entro certi margini, il proprio estro. Un passaggio come quello esemplificato, si sarebbe potuto numerare in differenti modi; per esempio così: Come si vede, i numeri usati per indicare gli accordi sono diversi da quelli indicati nella tabella del testo. Con il numero 6, in particolare, si potevano indicare cose assai differenti, ed era solo la pratica e l'interpretazione tonale del passaggio del basso a sciogliere l'ambiguità del segno. d. I numeri fanno riferimento a una concezione degli accordi in cui i suoni superiori s’indicano sempre relativamente al basso; gli accordi non sono descritti secondo l'ideale sovrapposizione di terze cui siamo abituati noi. Così, quando Jean-François Dandrieu nel suo manuale di accompagnamento al clavicembalo presenta un esercizio sul secondo degli accordi contenuti nell'esempio che segue, parla di “Table de la sixte Majeure jointe à la Fausse Quinte”, ovvero di sesta maggiore con la quinta diminuita [Dandireu, 1718, p. 37-38]52; niente a che vedere con la definizione che daremmo noi, di accordo di settima diminuita in primo rivolto costruito allo stato fondamentale su VII di Re min. 51 Con i numeri romani da qui in seguito indico il grado della scala che la nota del basso occupa; prendendo come riferimento la scala di Do magg., con I si intende do, con III mi, per esempio. Come vedremo, secondo un'alotron tipo di prassi, con i numeri romani si intendono non i singoli suoni, ma gli accordi costruiti du quei gradi della scala; sicché, sempre immaginando di essere in Do magg., con I non si interebbe la nota do, ma l'accordo do-mi-sol. Pian piano si chiarirà tutto nel corso del capitolo. 52 Il manuale di Dandrieu nell'edizione a stampa del 1718 disponibile in facsimile sul imslp.org non contiene numeri di pagina, se non nelle prime pagine del documento. La numerazione che pongo tra parentesi è quella ricostruita da me tenendo conto di quei numeri delle prime pagine. Il documento cui mi riferisco è il seguente: http://imslp.org/wiki/Principes_de_l%27Acompagnement_du_Clavecin_%28Dandrieu,_Jean-Fran%C3%A7ois%29 142 Anche il caso seguente è emblematico: quel che per noi sarebbe un accordo di settima diminuita su un pedale di tonica (il secondo degli accordi dei tre dell'esempio), per Dandrieu è “... l'acord de la Setième Superflue, jointe à la Sixte Mineure” (settima superflua con sesta minore). Nell'esempio che segue, la prima versione col basso e i numeri sopra è la copia immagine del manuale di Dandrieu; accanto, la realizzazione conseguente [Dandrieu 1718, p. 35-36]. Esempio: La mancanza di un riferimento alla costruzione degli accordi per sovrapposizione di terze è definitivamente provata dal caso che segue: si tratta di quello che noi descriveremmo come accordo di settima di dominante in secondo rivolto. Nel manuale di Johann David Heinichen, Der General-Bass in der Composition, l'accordo viene indicato brevemente con 6, accordo di terza minore e sesta maggiore, da impiegare quando il basso scende di grado dal II al I grado della scala; secondo prassi, la realizzazione conseguente era con terza e sesta, il raddoppio dell'ottava poteva essere sostituito dall'inserimento della quarta giusta, ove fosse stato possibile preparare quest'ultima legandola all'unisono dall'accordo precedente; la quarta (quella che per noi sarebbe la fondamentale dell'accordo) viene quindi considerata come una dissonanza bisognosa di preparazione per poter essere utilizzata. Heinichen presenta quattro esempi che riporto testualmente, anche per quel che riguarda i numeri impiegati [Heinichen, 1728, p. 150-152] Esempio e. In alcuni casi i numeri indirizzano l'esecutore nella scelta della posizione melodica e quindi del movimento della parte superiore; così come nel seguente esempio, tratto da una cantata di Pergolesi, erroneamente attribuita a Bononcini; riprendo l'immagine così come si trova nel manoscritto della cantata e, come si vede, sulla seconda metà della seconda battuta si trova una numerica con l'8 sopra il 5 che eccepisce il modo normale di usare i numeri: in primo luogo lo stato fondamentale di una triade non viene numerato (se non per eccezione), in secondo luogo i numeri sono sempre scritti dal più piccolo al più grande in verticale. L'uso di questa numerica particolare, quindi, dà un'indicazione prescrittiva al realizzatore del continuo; anche gli accordi precedenti essere realizzati così come indicano i numeri (in questo caso la numerica tradizionale che li dispone dal più piccolo al più grande in verticale coincide con quel che si deve fare): Esempio, G.B. Pergolesi, Chi non ode e chi non vede, cantata53 ovvero: 53 Non esiste data di pubblicazione della cantata proposta in esempio; riporto quindi il riferimento della pagina imslp.org che la rende disponibile online in versione scansionata: http://imslp.org/wiki/Chi_non_ode,_e_chi_non_vede_%28Pergolesi,_Giovanni_Battista%29 143 Quella presentata nell'esempio qui sopra è un'eccezione: nella quasi totalità dei casi i numeri sono normalmente disposti, come già detto, dal più piccolo al più grande in verticale sopra il basso, senza alludere al movimento delle parti superiori. La prassi del basso numerato andò oltre la funzione pratica di sintetizzare nella parte del cembalo la realizzazione degli accordi per l'accompagnamento della musica; ma non diventò in genere una “teoria del basso continuo”. Fu una pratica senza alcuna pretesa, quasi sempre, di andare in profondità a cercare le radici di certi meccanismi; si era consapevoli del fatto che, per chi fa musica, prima ancora di argomentare sistemi, c'è bisogno di sapere dove e come mandare le parti per far suonare la musica in modo da saper esprimere quel che si vuole esprimere. Il che – è il caso almeno di sussurrarlo - vale per l'epoca del basso continuo come per la nostra. Dal momento che le numeriche rappresentano sinteticamente successioni di accordi con i necessari movimenti di parti di cui si compongono, il basso numerato divenne pian piano metodo pratico di avvio alla composizione. Nicola fago (1677-1745) fu maestro per molti anni al Conservatorio della Pietà dei Turchini a Napoli; ecco come realizza la parte del basso continuo di un suo Stabat Mater (la trascrizione è di Robert Gjerdingen ed è disponibile sulla seguente pagina internet: http://faculty-web.at.northwestern.edu/music/gjerdingen/partimenti/index.htm): Esempio: È evidente che qui si va oltre la semplice realizzazione di accordi; l'interesse del musicista (e del didatta) è fortemente centrato sul contrappunto, ovvero sul modo di muovere le voci le une rispetto alle altre e rispetto al basso. Fa parte del percorso di stabilizzazione della prassi del basso numerato nella didattica della composizione del tempo, la consuetudine di rendere esplicita la relazione tra il movimento del basso e la tonalità di riferimento; sicché, pian piano nel tempo, si passò dalla spiegazione data per esteso nel testo. Nel 1711 Antonio Filippo Bruschi per la prima volta inserì il grado della scala della nota del basso (Bruschi usava ancora un numero arabo)54; in seguito, altri autori (Fedele Fenaroli, Giovanni Furno, per esempio) accompagnarono la numerazione del basso con l'indicazione del grado della scala della nota del basso, ma senza usare numeri, bensì indicando a parole di quale “corda del tono” (ovvero grado della scala) si trattasse. Successivamente si stabilì la prassi di indicare il grado melodico della scala tramite un numero romani posto sotto la nota del basso. Ciò accadde quando lo stile del basso continuo passò di moda e rimase lo studio del basso numerato come avvio pratico ed efficace allo studio dell'armonia e della composizione. Ecco come si presenta quindi un basso numerato secondo la prassi didattica ancora assai diffusa oggi in Italia: Esempio Man mano che l'armonia si faceva più complessa, man mano che scorrevano i decenni del XIX secolo, da una parte si andarono limando le differenze tra le differenti tradizioni locali, arrivando a una sintesi unitaria, dall'altra si accrebbero i numeri, per contenere gli accordi nuovi che stavano entrando in uso. Il che, tutto sommato, per un certo verso ha anche funzionato; ma non per tutti i versi, poiché al disotto della pratica sostanzialmente costante, tendente a replicare formule accreditate dall'esperienza e ad aggiungerne altre per imitazione ed estensione, qualcosa stava cambiando nel frattempo in linea di principio. Stava cambiando il modo di intendere gli accordi; non più intervalli sovrapposti sopra un basso, ma intervalli di terza sopra un suono fondamentale, che poteva anche non coincidere con il basso; sicché, oggi per noi i numeri indicano se l'accordo è allo stato di rivolto o meno, mentre fino all'inizio del XVIII secolo, come 54 Per questo argomento e per quello del paragrafo successivo consiglio la lettura di un articolo di Domenico Giannetta che riporto in bibliografia [Giannetta, 2009]. 144 detto, indicavano niente più che intervalli sul basso. Do con un 6 sopra per noi indica il primo rivolto dell'accordo di La, mentre per Corelli molto probabilmente è do con 6 e basta. Più vistoso ancora il caso dell'accordo di nona; 7 e 9 posti sopra un sol per noi indicano un accordo di nona allo stato fondamentale; per Bach e per tutti quelli del suo tempo e delle epoche precedenti sono semplicemente una settima e una nona sopra un sol, dissonanze che devono essere trattate come tutte le altre dissonanze. E un'altra cosa era cambiata in profondità: i percorsi armonici non erano più prevalentemente movimenti contrappuntistici risolti sopra il movimento del basso, ma (sempre prevalentemente e come indicazione generale) successioni di accordi determinate dal ruolo che essi assolvono nella tonalità, dalla gerarchia assegnata dal grado della scala su cui poggia la fondamentale. La fondamentale più che il basso: ecco cosa cambia in profondità e in modo sempre più marcato, dalla metà del XVIII secolo, nel modo di concepire l'armonia. Lungo il corso del XIX secolo e oltre l'uso del basso numerato non solo non decadde nella prassi didattica, ma in qualche modo si rinforzò, seppur con diversi limiti. Man mano che l'epoca del basso continuo venne superata, infatti, si moltiplicarono ipertrofizzarono e sclerotizzarono le regole, nel tentativo di adattarsi a un linguaggio che sul piano armonico si faceva sempre più complicato, per via dell'uso di accordi dissonanti e cromatismi che i vecchi numeri non riuscivano a esprimere e a spiegare. Le abitudini sono difficili a morire e ancor più a cambiare, sicché ancora oggi è visibile il deposito di questa tradizione secolare nelle consuetudini didattiche dei conservatori; laddove essa non venga moderata da consapevolezza critica, e non venga ricondotta entro i limiti dei presupposti originari, produce il risultato didatticamente non encomiabile di far pensare agli studenti che sia più facile applicare tabelline che capire come si usino gli accordi. Per questo si è pensato di correggere il tiro. Ipertesto 4.3: La teoria del basso fondamentale Qui si tratta di una vera e propria teoria. I presupposti “naturali” - ovvero indotti da qualità fisiche naturali del suono, come cercò di dimostrare Jean Philippe Rameau che trattò per primo l'argomento - sono due: a. l'accordo è un aggregato unitario, non composto da singoli suoni disposti a determinati intervalli, ma unità indivisibile, generata dal suono fondamentale; la fondamentale dell'accordo è il suono che genera la sovrapposizione di terze diu cui l'aggregato si compone. b. Le successioni armoniche avvengono seguendo un tracciato in cui gli accordi si dispongono secondo la loro funzione tonale, determinata dal grado della scala su cui la fondamentale dell'accordo si trova (non più il basso, ma la fondamentale). Rameau fu il primo a parlare di basso fondamentale, ma si dovranno aspettare diversi decenni prima che il concetto venisse ripreso in termini pratici (George Joseph Vogler nel 1800, successivamente Gottfried Weber nel 1821 e definitivamente Erst Friedrich Richter nel 1853), proponendo un metodo applicabile in fase di studio dell'armonia. Il metodo, perfezionato da Schoenberg, consiste nell'indicare con un numero romano, sotto la nota del basso, il grado su cui poggia la fondamentale dell'accordo, sia che esso si trovi allo stato fondamentale, come allo stato di rivolto. Il metodo è impiegato a volte nell'insegnamento della composizione ed estesamente nello studio musicologico. Ecco lo stesso esempio proposto in precedenza secondo la pratica tradizionale del basso numerato: Esempio, Questa tecnica di numerazione del basso lascia emergere nella massima evidenza il fatto che, al disotto del movimento melodico del basso, le successioni degli accordi dal punto di vista delle fondamentali sono le stesse (nell'esempio appena proposto per due volte si ripete la successione I-II-V). Si rende manifesto, insomma, come la funzione degli accordi all'interno della tonalità (ovvero la posizione che tendono a occupare gli uni nei confronti degli altri e quindi, tendenzialmente, all'interno della frase) dipenda dal grado della scala su cui sono costruiti allo stato fondamentale. Ma... siamo proprio sicuri che un musicista la veda in questo modo? Sicuramente non sempre, e molto 145 dipende dal tipo di musica, dallo stile, dal periodo; insomma, da una serie di circostanze che invitano alla cautela nell'immaginare percorsi e metodi migliori di altri. Guardiamo l'inizio del seguente corale di Bach: Esempio, J.S. Bach, Als Jesus Christus in der Nacht, choral A me sembra che il punto di partenza di Bach non sia in questo caso una successione di accordi allo stato fondamentale e che, come spesso capita nei suoi corali, anche qui sia partito dalla realizzazione di un contrappunto a due parti tra la melodia data e il basso; è in particolare la condotta del basso ad interessare il Maestro, che con evidenza si preoccupa di farlo procedere per grado congiunto (qui per grado congiunto, altrove spesso per intervalli melodici di poco più ampi) fin sul punto di cadenza, dove la linea viene interrotta per segnalare l'articolazione del discorso musicale attraverso accordi ben scanditi l'uno rispetto all'altro. Ecco il contrappunto tra basso e melodia data: Esempio, In questa prospettiva, va ricordata l'importanza che nel XVIII secolo aveva la pratica del “partimento”. Ipertesto 4,4: Simboli impiegati nella teoria funzionale dell'armonia Benché si debbano anticipare alcuni argomenti che saranno trattati più avanti, nel capitolo dedicato alla tonalità, vale la pena richiamare qui un modo di impiegare sigle e numeri che, sebbene non riscuota significativi consensi tra chi fa musica, pure viene impiegato da più di un secolo in un certo settore degli studi sulla teoria musicale e dell'analisi. Per avere un quadro sintetico ed efficace, consiglio la lettura dell'introduzione di Lori Azzaroni al trattato di Armonia di De la Motte. Gli accordi si succedono assecondando la funzione che essi hanno nella tonalità, a seconda del grado della scala su cui poggia la fondamentale; in questo, come vedremo, consiste il sistema tonale. Secondo la teoria funzionale dell'armonia, gli accordi costruiti sui vari gradi della scala sono inclusi nelle tre funzioni fondamentali della tonica (indicata con il simbolo “T” quando si tratta di una tonia maggiore e con “t” quando la tonica è minore, corrisponde all'accordo costruito sul I della scala), della dominante (si impiega il simbolo D, è il l'accordo sul V della scala; anche qui maiuscole e minuscole sono impiegate per indicare quando si tratta di una dominante maggiore o minore55) e della sottodominante (si impiega il simbolo S, è l'accordo costruito sul IV della scala; si ripete la stessa cosa per maiuscole e minuscole). Gli accordi costruiti sugli altri gradi sono considerati “rappresentanti” di queste funzioni; l'accordo che si trova una terza sotto la funzione primaria si chiama “accordo parallelo (si usa una “p” maiuscola o minuscola a seconda che l'accordo sia maggiore o minore); l'accordo che si trova una terza sopra si chiama “contraccordo” (si segna con “g”, maiuscolo o minuscolo a secondo che l'accordo sia maggiore o minore). Il II grado è Sp (sottodominante parallela); il VI è Tp o Sg56 (si trova una terza sotto la tonica, ma anche una terza sopra la sottodominante), la funzione reale si individua a seconda del posto che l'accordo occupa all'interno della frase (se il VI si trova dopo il V in una cadenza evitata, si tratta di una Sp, per esempio). La triade sul VII si considera come una settima di dominante in cui è omessa la fondamentale, sicché si segna con D7 (la D è tagliata, come si usava nella numerica tradizionale per indicare, ad esempio, una quinta diminuita). Ecco sempre lo stesso esempio con i simboli dell'armonia funzionale; 55 Nella teoria funzionale a volte si considera come dominante del modo minore l'accordo diatonico costruito sul V della scala; in La min., ad esempio, sarebbe dominante l'accordo di Mi min. Il che può tornare dal punto di vista della teoria, ma non dei fatti: anche nel modo minore la dominante in musica si associa sempre alla presenza della sensibile, come VII della scala avvicinato di semitono al I in cadenza. 56 Dal momento che la teoria è stata sviluppata da studiosi di lingua tedesca, le sigle impiegano abbreviazioni di parole tedesche; la “g” sta per “Gegenklang”, che tradotto in italiano è appunto “contraccordo”. 146 Esempio: Il merito di questi simboli è di rendere evidente il carattere intrinseco di un accordo come luogo in cui si concentrano delle potenzialità in riferimento a un centro, assumendo quindi una funzione organica con gli altri accordi della tonalità. Per chi fa musica, tuttavia, si tratta di un metodo poco pratico e inefficace: la più perfetta comprensione delle funzioni non potrà dirci che pochissimo riguardo il mondo di emozioni da cui scaturisce una musica. È una simbologia che aiuta nel percorso di comprensione del meccanismo del linguaggio musicale e che deve la sua complicazione alla volontà di verificare una teoria attorno ad esso, più che al desiderio di spiegare possibili contenuti di senso della musica. Nell'insegnamento della composizione non credo vi siano applicazioni significative; nella musicologia, internazionalmente si impiega il più delle volte il metodo del basso fondamentale combinato alla teoria analitica impiegata. Insomma, si tratta di un altro mestiere: questo modo di usare sigle e numeri per identificare il significato armonico e tonale di una nota del basso non è fatto per chi fa musica, ma per chi fa teoria attorno alla musica. Il basso numerato del '700 aveva una funzione assolutamente pratica: non aveva la pretesa di spiegare quel che stava accadendo nel basso nota dopo nota, semplicemente indicava l'accordo da suonare. Le sigle dell'armonia funzionale da questo punto di vista sono inservibili: esse servono a indicare un'interpretazione possibile di una determinata armonizzazione (armonizzazione che già c'è, bell'e fatta) alla luce di una teoria che quell'interpretazione dovrebbe dimostrare. Ossia: data la teoria, se ci si crede ha senso usare le sigle in quel modo per studiare il modo di essere di una certa musica, se no, no. Tra l'altro, per chi fa musica c'è un ulteriore problema, dal momento che la teoria funzionale, concentrando il ruolo degli accordi nelle tre funzioni che ritiene tonalmente fondamentali, si rende inadatta a descrivere un sistema musicale, come quello attuale, che fuoriesce da quel tipo di impostazione. Ipertesto 4,5: Quale sistema di notazione preferire? Non esiste un sistema migliore in assoluto. La differenza sta nel fine; da questo punto di vista ci sono due lati opposti: da una parte l’uso dei numeri per chi fa musica, dall’altra quello di chi fa analisi musicale; e gli uni e gli altri devono conoscere entrambi. Nell'insegnare l'armonia uso un sistema misto: i numeri romani sotto la nota del basso indica il grado melodico della scala, mentre l'eventuale numero romano tra parentesi indica la fondamentale dell'accordo, quando è allo stato di rivolto. In questo modo: Non è per salvare capra e cavoli; è che in questo modo si familiarizza, senza fanatismo, con i due sistemi più comuni nella prassi della composizione e musicologica. Ogni tanto vi sono interventi sul “modo migliore per annotare il basso con i numeri e/o sigle”. Non c'è dubbio che i diversi sistemi, anche quelli più complicati, abbiano risvolti positivi e negativi; ritengo assolutamente inutile affannarsi a cercare chi vinca in efficacia. Sono approcci che – ho tentato di spiegarlo – si distinguono per una visione differente dell'armonia (basso numerato, teoria del basso fondamentale e teoria funzionale sono marcatamente distanti) e per la destinazione d'uso (la simbologia usata nella popular musica attuale, per esempio, non ha alcuna pretesa analitica del discorso musicale e serve unicamente a ricordare o indicare gli accordi all'esecutore). In un certo senso è anche sbagliato preferire un metodo a un altro. Studiare Corelli con le sigle dell'armonia funzionale o con i gradi fondamentali si può fare, ma certamente non aiuta a capire i meccanismi di un processo compositivo ancora legato a una concezione intervallare dell'armonia. Analogamente, si possono usare i numeri del basso continuo per indicare le armonie di una canzone di Duke Ellington, ma fa un po' strano. A ognuno il suo; il che significa che si deve conoscere tutto. 147 Bibliografia capitolo IV Heinichen, J.D. 1728 Der General-Bass in der Composition, Dresda, 1728 Dandrieu, J. F. 1718 Principes de l'Acompagnement du Clavecin, M. Bayard, 1718 Christensen, J. B. 2003 Fondamenti di prassi del basso continuo nel secolo XVIII. Metodo basato sulle fonti originali, trad. di Maria Luisa baldassarri, Orpheus Edizioni, Bologna, 2003. Titolo originale, Die Grundlagen des generalbassspiels im 18. Jahrhundert. Ein Lehrbuch nach zeitgenössischen Quellen, Bärenreiter-Verlag Karl Vötterle GmbH & Co. KG, Kassel, 1992 Giannetta, D. La cifratura ideale degli accordi: sistemi teorici a confronto, in «Rivista di Analisi e Teoria Musicale», periodico dell'associazione «Gruppo di Analiti e Teoria Musicale», p. 79-106, Libreria Musicale Italiana, Lucca, 2009/2 De La Motte, D. Manuale di Armonia, Trad, italiana di Loris Azzaroni, La Nuova Italia, Firenze, 1988 (4/1992); titolo originale, Harmonielehre, Bärenreiter-Verlag, Kassel, 1976. 148 Ipertesti capitolo V: CONDOTTA DELLE PARTI/VOCI Ipertesto 5,1: Moto melodico, moto armonico: approfondimenti La condotta delle parti coniuga due aspetti, quello della linearità melodica e della relazione che si stabilisce tra linee melodiche sovrapposte; ovvero, contano le linee melodiche, ma contano anche gli intervalli che si formano tra le due o più linee melodiche e il modo con cui tali intervalli sono stati raggiunti. Esempio: a. Moto melodico è il movimento che una singola parte compie nel collegamento di due o più accordi, indipendentemente dal movimento delle altre parti. In altre parole, nel collegamento di due o più accordi, mi chiedo per esempio: “cosa fa il tenore?”; oppure: “cosa fa il soprano?, e il contralto?” Così, nello studio di una sonata per flauto e chitarra posso concentrarmi sulla parte del flauto, mettendo da parte momentaneamente quella della chitarra. b. Moto armonico è la relazione che si stabilisce tra i diversi movimenti melodici sovrapposti in un collegamento armonico; mi chiederò, per esempio, cosa fa il tenore rispetto al soprano, o rispetto al contralto, o anche rispetto al complesso delle altre voci? Il collegamento degli accordi avviene mediante il movimento melodico sovrapposto delle voci, almeno in moltissima parte della composizione classica e in molta parte ancora della musica di oggi. L'uso della chitarra e del pianoforte, per armonizzare al volo una canzone accompagnandosi, genera inevitabilmente l'idea che gli accordi siano insiemi di suoni disposti in successione senza pensare ad altro, se non al fatto che sto mettendo un accordo di Do e poi uno di Sol, e poi ancora uno di Fa e uno di Sol (la Canzone del sole di L. Battisti...); ed effettivamente, in un certo senso, le cose stanno proprio così, per esempio riguardo a certe canzoni dal secondo ‘900 in qua. Tuttavia non si tratta sempre di questo; non si tratta di suonare accordi in fila già se riguardo alla canzone italiana del primo ‘900, e certamente non è così rispetto al repertorio musicale della nostra tradizione colta. in realtà. Osserviamo un semplicissimo collegamento di due accordi, Do e Sol per esempio, e i, movimento di ogni singola parte che comporta: Esempio: a. b. soprano contralto tenore basso Anche nella realizzazione arpeggiata degli accordi, comune nella scrittura strumentale in genere e in quella degli strumenti polifonici in particolare, è sottinteso quasi sempre un collegamento accordale ottenuto sovrapponendo diversi movimenti melodici; ecco la successione dei due accordi di Do e Sol arpeggiata: Esempio 4.2: accordi sciolti 149 È senz’altro utile risalire alla successione degli accordi in una scrittura accordale sciolta, di cui un esempio tipico è offerto dallo stile di accompagnamento del “basso albertino”; la maggiore chiarezza nella comprensione degli accordi e della loro successione ne può aumentare l'apprezzamento e può facilitare la memorizzazione del passaggio. L'inizio della sonata seguente di Domenico Alberti è prima riportata nella sua forma originale, quindi riprodotta con gli accordi raccolti in verticale: Esempio: D. Alberti, dalla Prima sonata in Sol mag., op. 1 a. b. Vale la pena ricordare che, nella nostra tradizione colta, l'armonia nasce e si evolve come esito inevitabile della composizione contrappuntistica (cfr. il capitolo III, sugli accordi); i presupposti che s’individuarono originariamente, si sono mantenuti nel tempo, incidendo in misura rilevante sulla evoluzione del nostro linguaggio musicale. Quando si compone, c’è sempre un certo numero di possibilità nello scegliere tra diversi i procedimenti che lo stile del tempo predilige. Dal periodo galante in poi, i compositori con ogni probabilità potevano scrivere musica immaginandone il percorso armonico, prima ancora di metter giù le idee sul pentagramma. Era una possibilità; ma altrettanto spesso le armonie erano il frutto dell’arrangiamento di tracce contrappuntistiche a due parti: si butta giù lo scheletro di una melodia, per prassi quelle note si accompagnano con un contrappunto di un certo tipo in un’altra voce (per lo più il basso); a seguito di questo, con le altre parti si definisce un piano armonico che in qualche modo era predeterminato dalla sovrapposizione delle prime linee melodiche. In questo modo di procedere l’invenzione musicale si basa su una sintesi iniziale di moto melodico e armonico (intendendo come moto armonico qui non quello relativo ad accordi in successione, ma come moto di due parti sovrapposte). Spesso, ci si poteva basare su formule ricorrenti57; si vede bene nel prossimo esempio, che mostra una traccia molto frequente di contrappunto a due, in cui il basso compie il movimento I-VII-I (sto parlando di gradi melodici, quindi do-si-do in Do mag., per esempio) su cui poggia la parte superiore, che si muove sui gradi 1-2-3 (do-re-mi in Do mag.). Esempio: In questo caso la realizzazione della musica - ma direi anche l'invenzione del motivo - parte dal movimento delle due parti, non immaginando il passaggio armonizzato con accordi allo stato fondamentale; l'uso di stati fondamentali e rivolti scaturisce, al contrario, come conseguenza della realizzazione del passaggio a più voci. Sul modo di concepire l'invenzione musicale e le teorie che si sono sviluppate attorno all'argomento si tornerà più avanti. Ecco la realizzazione del modello da parte di Handel, in una sonata a tre; le note che ricalcano tale modello così com’è stato presentato nell'esempio precedente, sono indicate con gli stessi numeri romani e arabi. Naturalmente la tonalità non è quella di Do mag., ma quella di Re min.; la parte del primo violino decora 57 Su questo argomento è conveniente leggere quel che ha scritto Robert Gjerdingen (Gjerdingen, 2007) 150 abbondantemente la formula originaria, secondo una tecnica ben nota nella retorica musicale già dal ‘50058. Esempio: G.F. Handel, Kammertrio n. 2 in re min., Allegro 1 2 3 I VII I Si sbaglierebbe a ritenere questo un modo antico di fare musica; anche Schubert, nell'esempio che segue, mostra di conoscere e apprezzare il procedimento (i gradi della traccia contrappuntistica di base è segnalata sempre con i numeri). Esempio: F. Schubert, Uber Tal und Fluss, op. 19, n. 2 1 2 3 I VII I Molti dei modelli contrappuntistici impiegati in questo modo avevano una qualità, che li rendeva particolarmente adattabili e duttili, quindi disponibili a vari tipi di invenzione musicale; questa qualità era la rovesciabilità del contrappunto, il che significa che, nella traccia contrappuntistica, le due parti possono ugualmente star sopra o sotto l'una all'altra. Sicché il modello prima esemplificato, si trova altrettante volte nella seguente forma: Esempio: Esempio: G.F. Handel, Suite in Fa min., HWV 433, Allegro 1 I 58 7 II 1 III Coclico nel 1552 parla di forma ‘simplex’ ed ‘elegans’ (Coclico, 1552, p. 64) 151 Ecco ancora un Lied di Schubert, il cui motivo iniziale appoggia sulla medesima traccia contrappuntistica: Esempio: F. Schubert, Des Mullers Blumen Musica antica? Non direi, anche l'inizio del tema principale del film Mission - colonna sonora di Ennio Morricone - è costruita sullo stesso movimento del basso. E tanta, ma davvero tanta altra musica di ogni tempo. Ipertesto 5,2: Moto melodico Le regole sul moto melodico e a quello armonico che saranno indicate tra poco sono una sintesi di ciò che è divenuto comune, attraverso il tempo, nella prassi musicale della nostra cultura. Nessuno s’è alzato una mattina per dire ciò che fosse giusto o no; soprattutto si deve avere poca o nulla cognizione del funzionamento di un linguaggio e, nel nostro caso, della composizione per affermare che le regole che si danno a scuola non sono seguite dai compositori: queste regole, infatti, sono desunte proprio dall'osservazione delle opere dei compositori del passato. Fa parte poi di ogni linguaggio la possibilità di eccepire le regole per un qualche motivo che di volta in volta è interessante scoprire. Nel collegamento degli accordi è bene limitare il movimento delle parti, utilizzando preferibilmente il grado congiunto. N.B. Non si tratta di una regola, ma di un consiglio pratico motivato. Divieti: a. Sono vietati i salti melodici di difficile intonazione, quelli aumentati e diminuiti, i salti di 7ª e i salti che eccedono l’8ª; il perché si capisce facilmente, provando a intonare i salti seguenti: Esempio 4.8: errori nel movimento melodico In un passaggio armonico come quello qui appresso, è errato il movimento che fa la parte di tenore; si tratta infatti di un salto melodico di 2ª aumentata: Esempio 4.9: un errore di movimento melodico nel contesto di un collegamento di accordi b. Sono vietati due salti nella stessa direzione che come somma diano un salto proibito: Eccezione: è ammesso fare un salto diminuito, scendendo su una sensibile che a sua volta risolve sulla tonica; gli esempi che seguono sono nella scala di La minore: 152 Esempio: Alcune considerazioni L’obiezione più ovvia che si può fare relativamente alle regole sul moto melodico è questa: ma se eseguo una musica al pianoforte, che senso ha parlare si “difficoltà d’intonazione” di un determinato salto? Col pianoforte, come con quasi tutti gli strumenti le note sono lì, belle e fatte, tutte già pronte per essere suonate. Il fatto è che la musica non è solo per chi la esegue, ma anche per chi la ascolta e, ancora prima, è di chi la pensa e la crea. In qualsiasi atto linguistico, ogni momento - quello della produzione, come quello della trasmissione e della ricezione - presuppone una funzione attiva da parte di chi ne è attore; chi ascolta, in altre parole, non potrà mai essere ascoltatore passivo: ascoltare vuol dire produrre senso in ciò che si ascolta, assorbendo le sensazioni, trasformandole in percezioni e dando ad esse ordine, cercando una relazione che le leghi in un organismo unico. Ora, l’organizzazione di ciò che si ascolta, come quella di ciò che si sta creando (mettendosi dalla parte del compositore), riesce tanto più, per quanto il materiale che è offerto ai nostri sensi – o alla nostra mente - è dotato di caratteristiche leggibili secondo le nostre categorie di pensiero, le nostre categorie culturali e di linguaggio, i nostri limiti mentali e fisiologici. Buttando le mani su uno strumento è possibile fare di tutto. Provate a farlo; e dopo averlo fatto provate a ricantare quel che vi è venuto di fare… ci riuscite? E se non ci riuscite voi, perché ci dovrebbero riuscire quelli che vi ascoltano in una sala da concerto? La condotta melodica delle parti nei collegamenti di accordi Comunemente, quando si pensa alla melodia, si pensa alla parte più creativa del fare musica. Ma questo riguarda la melodia, non le parti che realizzano gli accordi che la sostengono. Il fine da ottenere in un buon collegamento di accordi è che vi sia omogeneità e fluidità nella successione. Accordi collegati bene, in questo senso, forniscono un buon tappeto per il movimento delle parti che devono emergere come melodie. Guardiamo quel che fa Chopin, ancora una volta prima nella versione originale, quindi riscrivendo gli accordi in verticale Esempio 4.4.a-b: F. Chopin, Notturno in Si mag., op. 32 a. b. Insomma, muovendo poco le parti, si ottiene un tappeto armonico discreto e omogeneo, capace di sostenere una melodia, al di sopra di sé, senza invadenza. È una tecnica essenziale, che trova numerose e costanti applicazioni, nel repertorio della nostra musica colta e popolare, dal ‘700 a oggi. Ecco ancora un esempio, tratto dal Lied “Wohin” di Schubert; ancora una volta prima riprendo alcune battute della versione orginale, poi ripropongo le stesse battute con gli accordi scritti in verticale: 153 Esempio 4.5. a-b. F. Schubert, Wohin, con sintesi della scrittura degli accordi a. b. È appena il caso di notare come anche la parte più acuta, in questa serie di accordi, non abbia un andamento melodico interessante; per ottenere un tappeto armonico efficace, il principio, che ha seguito Schubert e che dovremo seguire anche noi, è di muovere le voci il meno possibile, per grado congiunto o per piccoli salti, sempre tenendo conto della migliore costruzione degli accordi. Rispetto a questo principio è vistosa l’eccezione costituita dalla parte di basso; la libertà che esso ha, mira a formare un buon contrappunto a due parti con il canto. A volte la scrittura a quattro parti è strutturata in modo tale da sviluppare movimenti melodici credibili in tutte le voci; tuttavia, anche in questi casi e soprattutto a seconda dello stile adottato, il più delle volte accade che le parti interne di contralto e tenore siano maggiormente sacrificate rispetto a quella di soprano e di basso; ciononostante, è evidente come il fine che si vuole ottenere non sia più quello di un tappeto armonico discreto ed omogeneo. Esempio 4.6: F. Mendelssohn B., Frühzeitiger Frühling La maggior indipendenza delle parti si realizza nel repertorio pre-tonale; in particolare nel repertorio polifonico del Quattro-Cinquecento. Ma in questo tipo di musica il presupposto compositivo non era quello di avere una successione di accordi su cui far emergere una melodia; al contrario, era la successione di parti melodiche che generava automaticamente una successione di armonie (cfr. capitolo III, Accordi). 154 Ipertesto 5,3: Moto armonico Le regole del moto armonico fanno riferimento ad alcuni principi che sono stati messi a fuoco piuttosto presto nella storia della composizione polifonica. Come testimonia il Liber de arte contrapuncti di Johannes Tinctoris, del 1477, vi furono due i principi su cui si concentrò l’attenzione e la ricerca dei teorici e dei musicisti: a. indipendenza dei movimenti melodici delle voci sovrapposte in contrappunto: il cammino melodico di ognuna delle voci sovrapposte doveva poter essere percepito e seguito distintamente. b. “varietà”, concetto complesso che includeva applicazioni sia a livello dell’invenzione melodica, come a livello delle successioni di intervalli. A queste indicazioni se ne aggiunge un'altra: c. Rispetto della distinzione consonanza/dissonanza. Anche quando si canta sulla spiaggia con gli amici, spesso si prova ad arricchire la melodia conosciuta aggiungendo un controcanto a orecchio; anche in un contesto simile le due melodie devono essere differenti e devono stare bene insieme. Indipendenza e interdipendenza: ovvero, uso appropriato dei moti armonici richiamati nel testo (il richiamo continuo dei teorici di ogni tempo sulla convenienza del moto contrario rispetto agli altri tipi di movimento non ha bisogno di essere spiegato) e rispetto della distinzione tra consonanza e dissonanza. In genere si guarda con un certo sospetto a queste regole elementari di contrappunto; si dice infatti che i trattati tradizionali di armonia non riescono a dare se non regole negative: questo non si fa, quest’altro non si fa, ecc.. È una sciocchezza: quando si dice che una cosa non si può fare si lascia liberi su tutto il resto. Se poi si vuol coltivare l’idea di una musica tutta libera e incondizionata, è bene preparare le valigie e trasferirsi sull’isola di Robinson Crusoè; da soli, ovvio, e senza CD musicali. Riguardo l’errore di ottave, quinte, unisoni paralleli Se un principio fondamentale è quello dell’indipendenza, è chiaro che due voci non possono fare la stessa cosa. Questa è l’origine semplice della regola; ed è tanto evidente, che non rispettarla sarebbe stupido. Se in un accordo due voci si trovano per esempio a distanza di 8^, la stessa coppia di voci non può andare su un’altra 8^ (un’8^ differente dalla prima: la stessa 8^ si può ripetere quanto si vuole!) nell’accordo successivo. Lo stesso vale anche per gli intervalli di 5^ e unisono (la 5^, come secondo armonico, suona piuttosto vuoto come intervallo, e a distanza di 12^ è in realtà un’armonica del suono inferiore dell’intervallo). Nell'esempio seguente sono prima presentati alcuni collegamenti di accordi, quindi sono mostrati gli errori fatti negli stessi collegamenti. Esempio: a. ottave ten./sopr. quinte ten./contr. unisoni ottave moto contr. contr./sopr. basso/sopr. quinta moto contr. ottava su unisono basso/contr. ten./contr. b. 155 Eccezione: Sono ammesse due quinte, di cui la seconda sia diminuita.59 Nell'esempio qui a fianco ci sono due quinte tra tenore e contralto (re-la/mi-si bem): si può fare. E' bene ribadire che si parla di moto parallelo; gli accordi sono ottenuti per sovrapposizione di terze e si costruiscono in genere raddoppiando un suono: una quinta, un'ottava e/o un unisono ci sono inevitabilmente in tutti gli accordi. Nell'esempio che segue c'è una quinta nel primo accordo tra tenore e soprano (fa-do); nel secondo c'è una quinta tra basso e contralto (re-la); si tratta di due quinte, ma sono in due coppie di voci differenti; non si tratta dunque di errore. Esempio: Gli unisoni, le quinte e le ottave parallele non sono brutte in sé; altrimenti risulterebbe insopportabile il suono di tutte le orchestre, dal momento che i primi violini - tanto per fare un esempio - suonano tutti all’unisono e che spesso i violoncelli vanno in 8ª con i contrabbassi. Il problema è un altro; quando s’imposta una musica con un certo numero di voci, si genera in chi ascolta una certa aspettativa di impasto armonico; tale aspettativa viene contraddetta o delusa se improvvisamente l'impasto armonico diventa più esile perché due parti procedono, per esempio, per unisoni paralleli. Ciò non toglie che, magari per un certo numero di battute, si possa decidere di mandare tutte le voci all’unisono, per ottenere un effetto particolare; l’importante è l'omogeneità, in questo caso, e il risultato può essere convincente, poiché si tratta di un'intera frase in cui le voci vanno all'unisono. Insomma, ci vuole consapevolezza: è preferibile sapere quale effetto si produce quando le parti si mandano in un modo piuttosto che in un altro. Ipertesto 5,4: Riguardo l’errore di unisoni, quinte, ottave per moto retto Vediamo da dove nasce la regola ponendo due premesse e traendo la conseguenza: premessa 1: gli intervalli di unisono, di 8^ e di 5^ suonano armonicamente vuoti; premessa 2: il moto retto viene percepito con più evidenza rispetto agli altri tipi di moto armonico: spostare due parti nella stessa direzione, infatti, comporta uno spostamento conseguente del timbro verso un colore più scuro, quando si va verso il grave, e verso uno più chiaro, quando si va verso l’acuto. L’intervallo raggiunto per moto retto, quindi, emerge inevitabilmente sugli altri. Conseguenza: raggiungendo per moto retto un unisono, un’8ª o una 5ª si può produrre una sensazione di impoverimento armonico, derivata dal particolare rilievo in cui l’intervallo armonicamente vuoto viene messo in evidenza dal moto retto. Come si vede, i due tipi di errore sono piuttosto differenti, infatti è diverso il modo di considerarli nella pratica; riguardo gli unisono le quinte e le ottave per moto retto, ad esempio, sono ammesse numerose eccezioni. Nella maggior parte dei trattati di contrappunto e di armonia, quelli tradizionali e quelli più vicini ai nostri giorni, si usa un modo buffo per spiegare l’origine di quest’errore. Si dice, cioè, che, per esempio, nel passaggio da un intervallo qualsiasi a un’8^ si attraversa idealmente un’altra 8^. Così: 59 A volte i manuali di contrappunto vietano anche la successione di due quinte di cui la seconda è diminuita; si tratta di un’indicazione puramente scolastica, derivante dall’attenzione che si mette a come una cosa è scritta, piuttosto che a come suona. Se dovete sostenere un esame, cercate di sapere prima come la pensa la commissione; è tutto. 156 Esempio Ecco per esempio quel che scrive Angelo Berardi, insigne maestro di contrappunto, nel 1693: Esempio: A. Berardi, Il perché musicale, p. 9 Francamente ho trovato sempre un po’ surreale questa spiegazione e maldestro il tentativo (Berardi, che si lascia andare, la chiama ‘prova’) di riportare questo errore nello stesso campo dell’altro, quello degli unisoni, delle quinte e delle ottave per moto parallelo. Le regole che originano il divieto di fare unisoni, quinte e ottave per moto parallelo e per moto retto servono a evitare problemi solo parzialmente uguali: si devono evitare consonanze perfette per moto parallelo per salvaguardare l’indipendenza dei movimenti melodici delle parti e il senso di pienezza armonica che viene anche da quello; si devono evitare unisoni, quinte e ottave per moto retto solo per salvaguardare la pienezza armonica degli accordi posti in successione. Ipertesto 5,5 : autocorrezione Unisoni, quinte e ottave paralleli in una serie di accordi collegati? Quando c’è una serie di accordi e si vuol vedere se i collegamenti tra gli uni e gli altri siano effettuati in modo corretto relativamente all’errore ora descritto, si devono esaminare gli accordi due a due: il primo col secondo, il secondo col terzo, il terzo col quarto e così via. Nell'esempio 4.12 si dà prima una sequenza di accordi, quindi si mttono in evidenza prima la successione del primo con il secondo accordo, poi quella del terzo con il quarto; controlleremo in seguito se vi sono errori di unisoni quinte o ottave paralleli in queste due successioni. Due esempi di successioni da verificare a. b . All’interno di ogni coppia si dovrà guardare al secondo accordo, isolando al suo interno tutte le coppie possibili di voci. Ogni volta che si trova un intervallo di 5ª, di 8ª o di unisono si deve vedere con che tipo di movimento è stato raggiunto. Se per moto parallelo, si segnala l'errore. Iniziamo con la successione a.: Basso/Tenore Basso/Contralto Basso/Soprano Tenore/Contralto Tenore/Soprano Contralto/Soprano 157 L'unica coppia di voci da controllare è quella costituita da Basso e Tenore, dal momento che c’è un’8^ re-re; l'8^ è raggiunta per moto contrario; quindi in modo corretto. Ora guardiamo la successione b.: Basso/Tenore Basso/Contralto Basso/Soprano Tenore/Contralto Tenore/Soprano Contralto/Soprano Qui ci sono due intervalli da controllare: tra Basso e Soprano c'è una 5^ (fa-do), raggiunta per moto obliquo, quindi in modo corretto; la 5^ tra tenore e Contralto (re-la) è raggiunta invece per moto parallelo (nella stessa coppia di voci, nell'accordo precedente, c'è la 5^ do-sol), e quindi è errore. Unisoni, quinte ottave per moto retto. Anche in questo caso si rimanda a quanto detto per la regola precedente degli unisoni, 5e e 8e per moto parallelo. Anche qui, dunque, si dovrà isolare ogni possibile coppia di voci nel secondo accordo dei due presi in esame e, ogni qualvolta si trova un unisono, una 5ª o un’8ª, ci si dovrà chiedere: “come è stata raggiunta?”. Se anche dovesse venire per moto retto dall’accordo precedente, non è detto che sia sbagliato: si dovrà controllare se siano o non siano applicabili le eccezioni; in particolare la prima eccezione, che è la più frequente. Per ricapitolare quanto detto riguardo gli errori di moto armonico, facciamo alcuni esempi finali; guardiamo come sei seguenti collegamenti è stata raggiunta di volta in volta l’8ª re-re tra Tenore e Soprano nel secondo accordo: Esempio: a. b. c. ERRATO d. e. ERRATO Nel rigo musicale immediatamente qui sopra sono riportati solo i movimenti di tenore e soprano, al fine di rendere maggiormente evidentementi i tipi di moto armonico impiegati. a. L'ottava è raggiunta per moto obliquo: corretto b. l'ottava è raggiunta per moto contrario: corretto c. l'ottava è raggiunta per moto parallelo: errato d. l'ottava è raggiunta per moto retto; si applica la prima eccezione (è tra parti interne e una delle due voci, in questo caso il soprano, si muove per grado congiunto): corretto e. l'ottava è raggiunta per moto retto; non si applica alcuna delle eccezioni riguardanti il moto retto (l'ottava è tra parti interne, ma nessuna va per grado congiunto): errato. 158 Ipertesto 5,6: Falsa relazione di tritono. Esempio: La falsa relazione di tritono è come l’araba fenice: tutti ne parlano, ma, stringi stringi, nessuno sa dov’è. E in ogni caso, nell'armonia moderna è pressoché inevitabile. La cito solo per dovere di completezza; ma non mi sognerei mai di segnare con una croce questo errore, dal momento che ogni errore vuole la sua correzione... in ogni caso, analogamente alla falsa relazione di unisono/ottava, ci dovrebbe essere una certa difficoltà ad intonare il Si per il soprano, avendo nell'orecchio il Fa cantato dal contralto (tra Fa e Si c'è appunto una distanza di quarta aumentata, ovvero di tritono). Molti, senza spiegare la regola, ne danno l’eccezione; così, sarebbe possibile far cantare il si al soprano, nonostante il contralto intoni il Fa nell’accordo precedente, quando quel si è una sensibile che sale a tonica. No comment. Mi domando solamente: e quando nel modo minore si risolve un accordo di Sottodominante su quello di dominante (cioè la cosa più comune) come si fa ad evitare la falsa relazione di tritono? Ipertesto 5,7: Praticamente, il collegamento degli accordi Passiamo alla fase pratica: colleghiamo degli accordi cercando di tener conto delle regole che si sono date sia riguardo la costruzione dell’accordo che il movimento delle parti; lo facciamo eseguendo esercizi elementari di contrappunto, simili a quelli che i musicisti ripetono da qualche secolo praticamente senza variazioni di fondo e solo con qualche aggiusto determinato dall'evoluzione del linguaggio. Si deve tener presente che gli esercizi pratici di collegamento degli accordi in questo capitolo prescindono dalle regole di sintassi armonica tonale, alle quale ci si dedicherà nel prossimo capitolo. a. Muovere le parti/voci il meno possibile Nel collegare gli accordi è bene spostare le voci il meno che sia possibile. Ciò risponde all'esigenza di mantenere omogeneità e continuità nel percorso armonico; senda di queste, le frasi musicali risulterebbero sconnesse, timbricamente discontinue. Sopra armonie del genere, disomogenee e ottenute con movimenti spezzati delle voci, sarebbe difficile poggiare una parte melodica aspettandosi che essa sia in grado di emergere e distinguersi rispetto alle altre. Ecco due successioni di accordi uguali: la seconda realizzazione è preferibile alla prima proprio perché le voci si muovono meno: a. b. da evitare ottimo Per muovere le voci il meno possibile, è consigliabile eseguire gli esercizi mantenendo la disposizione armonica stretta (quella generalmente preferita nella realizzazione di questo tipo di compiti) o comunque quella scelta dall'inizio. b. Collegamento di accordi allo stato fondamentale con suoni in comune Collegamento di accordi allo stato fondamentale con suoni in comune; si legano nella stessa voce i suoni in comune e si muovono il meno possibile le altre parti, raddoppiando sempre la fondamentale nell’accodo su cui si sta risolvendo. Esempio: ERRATO a. tra l'accordo di do-mi-sol e quello di mi-sol-si ci sono due suoni in comune, il mi e il sol; trovandosi nelle 159 parti di soprano e tenore, li lego nelle stesse voci e sposto il meno possibile il contralto (la nota più vicina al do tra mi sol e si è il si). b. tra l'accordo di la-do-mi e quello di re-fa-la c'è il la in comune; trovandosi nella parte di contralto, lo lego nella stessa parte; sposto il meno possibile le parti di tenore e soprano. c. errato: tra l'accordo di do-mi-sol e quello di sol-si-re c'è il sol in comune; tuttavia nel primo accordo il si si trova nella parte di tenore, mentre nel secondo è passato al contralto (il segno di legatura trae in inganno!). c. Collegamento di accordi allo stato fondamentale senza suoni in comune: le parti superiori vanno per moto contrario col basso. Esempio: a. b. c. d. a. Devo andare dall'accordo di do-mi-sol a quello di re-fa-la. Non essendoci suoni in comune, inizio a spostare la parte che presenta il suono raddoppiato; in questo caso è il contralto che raddoppia il do del basso. Inizio dalla nota raddoppiata perché, dovendo evitare le ottave parallele, il movimento è condizionato: se il do del basso sale, quello del contralto lo dovrò far scendere, sempre ricordandomi di muovere le parti il meno possibile (qui scende sul la dell'accordo di re). Fatto questo, è più facile ora dire dove devono andare le parti del tenore e del soprano. Il tenore non potrà che andare sul fa (il re è troppo distante e il la già è al contralto); dovendo realizzare l'accordo di re e dovendo raddoppiare la fondamentale, ossia il re, il soprano non ha scelta, deve andare sul re. In pratica, quando gli accordi sono allo stato fondamentale e il basso si muove per grado congiunto, le parti superiori devono muoversi per moto contrario con il basso stesso: se il basso sale, le parti superiori scendono, se il basso scende le parti superiori salgono. b. si conferma quanto visto in a: le parti superiori vanno sempre per moto contrario con il basso, se questo si muove per grado congiunto e gli accordi sono allo stato fondamentale. c. il moto contrario è realizzato male la prima volta, perché le voci, contrariamente a quanto indicato, non si muovono il meno possibile; la correzione è accanto, d., con il movimento contenuto delle parti. d. Collegamento di triadi allo stato fondamentale e di rivolto Quello che segue è niente più niente meno che un esercizio di contrappunto nota contro nota, fatta salva la mancanza, peraltro assai rilevante, d’intenzione melodica nella conduzione delle singole parti (non staremo attenti cioè a far cantare bene le voci, ma solo a procedere correttamente da un accordo su quello successivo). Potrebbe sembrare un po’ pedante e lungo: fatelo così com’è scritto: è lungo solo all’inizio il procedimento; in seguito vi consentirà di eseguire qualsiasi collegamento con proprietà e sicurezza. Qui non esistono sistemi pratici e sintetici per risolvere il compito con sicurezza e velocità; si devono applicare: a. regole di costruzione, facendo attenzione a individuare correttamente le note dell'accordo da costruire avere presente quale è la nota che è preferibile raddoppiare b. regole di collegamento, facendo attenzione a non fare unisoni, quinte, ottave per moto parallelo unisono, quinte, ottave per moto retto (fatte salve le eccezioni; in particolare le eccezioni 1 e 2) 160 Ecco dunque due note al basso sui cui dovremo costruire e collegare i nostri accordi: Con ordine: a. individuare la triade di partenza, indicandone il nome (il nome viene dato sempre dalla fondamentale), e le note di cui si costituisce, sovrapponendole per terze sopra la fondamentale (ricordo che la fondamentale può non coincidere con il basso e che è il suono che permette la sovrapposizione degli altri per terze sopra di sé); infine è necessario indicare quale è il suono da raddoppiare. Nel caso dell'esempio l'accordo che dovremo costruire è quello di Do (in questa fase omettiamo di specificare il tipo di triade dal momento che non siamo in un contesto tonale); le note di cui si costituisce sono do-mi-sol; il suono da raddoppiare è il do. b. Costruire la triade iniziale; come si noterà man mano che si procederà nello studio dell'armonia, le voci superiori tendono a scendere; è preferibile quindi scrivere il primo accordo con la posizione melodica più alta, senza far superare il pentagramma al soprano. costruzione della prima triade c. identificare l'accordo su cui dobbiamo andare; anche questa volta lo si dovrà chiamare per nome (col nome della fondamentale), si dovranno specificare i suoni di cui si costituisce, disponendoli per terze sopra la fondamentale, e si dovrà indicare il suono da raddoppiare preferibilmente. Nel nostro caso dovremo costruire l'accordo di re (ricordo che il numero 6 indica il primo rivolto dell'accordo e che al basso, quindi, c'è la terza dell'accordo), costituito dai suoni re-fa-la, e dovremo raddoppiare preferibilmente la fondamentale o al 5^, ovvero il re. Non sarà male, in questi primi esercizi, annotare sinteticamente, sopra il pentagramma, queste cose, per esempio così: d. iniziare a muovere, il meno possibile, la parte che ha il suono raddoppiato nell'accordo di partenza; questo perché, nel collegamento degli accordi, è sempre necessario iniziare da ciò che è obbligato. Il suono raddoppiato ha un movimento pressoché determinato, dal momento che si dovranno evitare le ottave parallele con la parte di cui raddoppia il suono, e dovendo rispettare l'indicazione di muoversi il meno possibile. Nel nostro caso comincerò quindi con il contralto che raddoppia il Do del basso; la nota più vicina su cui posso andare è il Re; sbarro le note dell'accordo che sono state già scritte, ovvero il Fa che è al basso e il Re che ora è al contralto. 161 e. Ora sposto una delle parti che restano; per esempio quella di tenore (ma avrei potuto anche muovere il soprano). Il tenore ha il Sol nel primo accordo; le note più vicine dell'accordo sui cui devo andare sono il Fa e il La; scelgo il La, dal momento che il Fa, terza dell'accordo, è già presente al basso e che il raddoppio della terza è il peggiore tra quelli possibili. Sbarro anche il La tra le note dell'accordo da costruire: Infine muovere l'ultima voce, cercando di ottenere il miglior raddoppio possibile. Nel nostro caso resta da muovere il soprano, che nel primo accordo è sul mi. Nell'accordo su cui devo andare il fa e il re sono entrambi a distanza di seconda dal mi; tuttavia, dovendo raddoppiare la fondamentale dell'accordo, scelgo il re. f. Finita la costruzione dell'accordo, si controlla che non vi siano errori di moto armonico (unisono, quinte, ottave per moto parallelo o retto. La costruzione dell'accordo di Re è stata ultimata nel miglior modo, raddoppiando la fondamentale dell'accordo. L'unico intervallo da controllare è l'unisono tra contralto e soprano, che, essendo raggiunto per moto contrario, è corretto. Il collegamento è dunque riuscito con successo. Un altro caso Il prossimo caso sarà utile per capire come, attraverso questo esercizio, vengano messe a fuoco le relazioni che si stabiliscono tra le regole di costruzione e di collegamento degli accordi. Immaginiamo di trovarci nel mezzo di una serie di collegamenti armonici, per esempio in una situazione come la seguente: a.b. in questo caso, trovandoci nel mezzo di una successione di accordi, il primo accordo è già costruito c. l'accordo su cui si deve andare è quello di Re, i suoni di cui è costituito sono re-fa-la, il suono che è preferibile raddoppiare è il re o il la. 162 d. Inizio muovendo le note raddoppiate nell'accordo di partenza, ovvero il tenore e il soprano che raddoppiano il do. Mi devo muovere il meno possibile e devo evitare le ottave parallele; un do lo manderò sul re, l'altro sul la, quindi; dovendo mantenere la disposizione armonica stretta, sarà il soprano ad andare sul la, mentre il tenore andrà sul re (se avessi mandato il do del soprano sul re, il tenore sarebbe dovuto scendere sul la; ma in questo modo tra tenore e sorano si sarebbe superata la distanza di ottava entro cui è necessario mantenersi se si vuole conservare la disposizione stretta): E' bene notare una cosa essenziale: dal momento che fin qui abbiamo mosso solo le note raddoppiate e nell'unico modo possibile, è evidente che qualsiasi errore dovesse in seguito essere trovato, non riguarderà alcuna di queste parti. In altre parole, questi suoni potrebbero essere scritti a penna per non essere più cancellati. e. ora muovo il contralto; potendo, si deve raddoppiare la fondamentale, quindi sposto il contralto sul Re, ovviamente scendendo, dal momento che salendo, il contralto supererebbe il soprano (scolasticamente è bene evitare l'incrocio delle parti). f. controllo se ci sono errori solamente rispetto alla parte di contralto, poiché, come s'è detto, i movimenti delle altre parti sono inevitabili. L'unisono tra contralto e tenore è corretto, perché raggiunto per moto contrario; la quinta tra contralto e soprano invece è errata, perché raggiunta per moto retto tra parti interne, ma nessuna delle due voci si è mossa per grado congiunto. Sicché nella costruzione dell'accordo non posso raddoppiare la fondamentale; dovrò ricorrere al raddoppio della quinta dell'accordo di re, mandando Contralto dal sol sul la, all'unisono con il soprano. Ripeto il controllo di eventuali errori di moto armonico, prendendo in considerazione solo la parte di contralto con tutte le altre. L'unisono tra contralto e soprano è raggiunto correttamente per moto contrario; la 163 quinta tra tenore e contralto è errata, perché raggiunta per moto parallelo Questo collegamento si è rivelato particolarmente complicato; la complicazione sta nel fatto che, risolte le note condizionate nei movimenti (quelle che raddoppiano il suono nell'accordo di partenza), la parte restante di contralto non è in grado di effettuare il raddoppio potenzialmente migliore; in questo caso si dovrà ricorrere al raddoppio della terza dell'accordo, facendo scendere il Contralto dal sol sul fa. Il fa del contralto è a distanza di ottava con quello del basso; tuttavia l'ottava è raggiunta correttamente per moto contrario. Questo modo di costruire e collegare gli accordi non ammette incertezze né dubbi di valutazione: le cose o sono dentro la regola o ne sono fuori. Che poi nella musica non funzioni tutto così, siamo d'accordo, ma è pur vero che i musicisti – soprattutto quelli più bravi e celebrati - partono di qui, e che altre soluzioni rappresentano solamente delle eccezioni. Ipertesto 5,8: Un “errore” scolastico, unisoni, quinte e ottave paralleli a distanza Un esempio di quanto sia facile cadere in maldestri equivoci, quando si perde di vista il motivo che genera una certa regola della grammatica, è dato da quello che in tutti i maggiori trattati è definito come “errore di unisoni, quinte e ottave a distanza”. Facciamo subito un esempio: Esempio: La regola scolastica dice che tra due accordi successivi è vietato che due parti vadano da unisono su unisono, da ottava su ottava o da quinta su quinta anche se a distanza e non in immediata successione. Due unisoni, due quinte o due ottave devono essere separate da un accordo differente, consigliano i manuali. Nell'esempio vi sarebbero quindi errori di ottave parallele tra tenore e basso (mi-mi nel primo accordo, re-re nel secondo) e quinte parallele tra contralto e basso (do-sol nel primo accordo, re-la nel secondo). Il fatto è che, se si considera questo come errore, si porta indebitamente sul piano dell’armonia una considerazione che riguarda solamente il contrappunto, il movimento nota contro nota e la necessità di preservare la possibilità di distinguere i movimenti uno dall’altro. Lorenzo Penna nel 1679 [Penna, 1679, p. 53] non parla ovviamente di accordi. Leggiamo cosa dice: Esempio, L. Penna, Li primi albori musicali 164 Nella tecnica del contrappunto classico – Palestrina, per esempio - una regola che vieti un passaggio come quello del primo esempio non esiste; né potrebbe esistere, per due motivi. Il primo, che nella musica palestriniana non esistono gli accordi e quindi non ha senso dire, “se due voci si trovano a distanza di 5ª non possono andare su un’altra 5ª, a meno che in mezzo alle due quinte non si trovi un ‘accordo’ diverso”. Il secondo, che il divieto di fare unisoni, quinte e ottave parallele viene, in una concezione armonica più moderna, essenzialmente dalla necessità di conservare l’autonomia del movimento melodico delle voci e di non creare improvvisi “buchi” armonici, diminuendo di fatto il numero delle voci; ora, nel primo dei due esempi si può sfidare chiunque, che non sia banalmente prevenuto, a non distinguere il movimento delle singole voci o a percepire vuoti armonici di qualsiasi tipo; e, se dovessero rimanere dei dubbi al proposito, si guardi alla musica, senza nemmeno star troppo a sottilizzare tra epoche, generi e stili; nessun musicista ha mai saputo che esistessero errori del genere. Per trovare l’esempio che segue (è la battuta n. 9 dall’Andante della Sonata K.545 di W.A.Mozart) non ho dovuto far altra fatica che aprire la prima partitura a caso: Esempio: dalla Sonata k. 545 di W.A. Mozart, Adagio Sottilizzando, si potrebbe pensare a un caso come il seguente, dove le ottave cadono sui tempi accentati della battuta e sono separate da una nota di breve valore: A proposito di casi come questo si potrebbe da una regola del genere: si eviti di produrre successioni di unisoni quinte e ottave nel passaggio da un accordo al successivo se gli unisoni le quinte o le ottave coincidono con il cadere dell'unità di tempo, anche se al basso sono usate note di fioritura e/o di arpeggio. Ma, per favore, che non si vada oltre questo: altrimenti si dovrebbe riempire le pagine di un manuale più di eccezioni che di regole. Ipertesto 5,9: Considerazioni riguardo l'applicazione di queste regole nella musica Le regole descritte in questo capitolo, come già accennato, sintetizzano ciò che avviene nella musica. Ma, ovviamente, nella musica non avviene solo questo; capita che le regole vengano eccepite in circostanze che variano a seconda delle epoche e degli stili adottati. Una cosa è certa: l'infrazione alla regola avviene non casualmente, ma perché si tiene conto del fine della regola e del modello sonoro che essa vuole realizzare. Sicché due sono i motivi prevalenti che originano l'eccezione: il primo, con un suo corollario, è che l'errore non comporta scadimenti rilevanti o audibili del modello sonoro e che - questo è il corollario - l'infrazione alla regola, nella valutazione generale del risultato sonoro, alla fine suona meglio di una realizzazione ligia. Nell’epoca del basso (tra Seicento e inizi del Settecento) continuo alcune eccezioni non erano occasionali, bensì legate a contesti determinati che occorreva (e occorre) conoscere60. L'esecuzione del basso continuo sulla tastiera, indusse lo stabilizzarsi di pratiche veloci di realizzazione di passaggi in cui il basso, alla mano sinistra, si armonizzava con gli accordi alla mano destra; la realizzazione degli accordi a parti strette non poteva non limitare la libertà dei movimenti. D’altra parte, il fatto che la funzione primaria dell'accompagnamento col continuo fosse quella di chiarire o rafforzare il senso dell'armonia, faceva preferire realizzazioni sempre piene degli accordi, evitando quelle omissioni di note rese necessarie nella scrittura vocale o strumentale dalla necessità di evitare movimenti scorretti delle voci; è di qui che vengono le più vistose eccezioni nei confronti delle regole del contrappunto. Il primo caso è quello dell'aumento o della diminuzione del numero delle parti. Le parti possono aumentare quando c’è bisogno di preparare adeguatamente la dissonanza; a p. 31 del manuale di accompagnamento al clavicembalo di 60 Una buona sintesi sulla prassi del basso continuo si trova in Christensen [Christensen, 2003]. 165 Dandrieu troviamo un esercizio dedicato all'accordo di settima e nona61 [Dandrieu, 1718, p. 31] . Qui sotto riprendo l'immagine della pubblicazione originale di Dandrieu; a seguire la versione sviluppata con gli accordi alla mano destra. La numerica adottata da Dandrieu è una numerica didattica estesa: attraverso i numeri, vengono indicati i movimenti da realizzare con tutte le parti affidate alla mano destra; i numeri vanno letti dal basso verso l'alto e rappresentano gli intervalli sopra il basso Esempio, ovvero: Il caso opposto è quello dell'occasionale riduzione del numero delle voci, che si ammette quando il basso scende di grado con accordi in terza e sesta e nella variante con dissonanza in sincope: Esempio, Le infrazioni alle regole del contrappunto non sono casuali, né, ovviamente, frutto di disattenzione; tutte le eccezioni, infatti, testimoniano l'esigenza di preservare la pienezza dell'accompagnamento strumentale, superando i limiti della riduzione su tastiera della condotta delle voci. Due sono i casi ricorrenti; il primo, quello della necessità di dare un accordo di settima completo, allo stato fondamentale o di rivolto, quando tale accordo viene raggiunto con un movimento per grado congiunto del basso. Per raggiungere l'obiettivo è necessario non tenere conto della regola che impone di preparare la dissonanza (la nota dissonante dovrebbe essere presente nell'accordo precedente, come nota consonante, e deve rimanere nella stessa voce); nell'esempio che segue la regola della preparazione viene rispettata nel primo collegamento (e per questo l'accordo di settima è incompleto della quinta); non viene rispettata nel secondo collegamento (l'accordo di settima in questo modo può essere completo). Esempio: Il caso precedente viene spiegato immaginando un incrocio di voci, che consentirebbe di vedere il sol fermo all'unisono nella parte di tenore, mentre il contralto gli salta sotto. Diciamo che la toppa è peggio del buco; meglio tenere conto dell'invito a servirsi dell'eccezione solo con moderazione. 61 Non si tratta di accordi di nona intesi in senso moderno, nonostante la forma sia del tutto analoga; all'inizio del XVIII secolo la dissonanza viene ancora considerata frutto della condotta delle voci e per accordo si intende in sostanza solo la triade. La nona, come la settima, sono quindi da vedersi come semplici dissonanze che hanno bisogno di preparazione e risoluzione per grado congiunto discendente. 166 Il secondo dei casi piuttosto frequenti di eccezione alle regole della condotta delle voci è quello presentato nei prossimi due esempi; riporto ancora una volta le immagini come si presentano nell'originale di Dandrieu [Dandrieu, 1718, p. 15, 23] e a seguire ne do la realizzazione conseguente. In entrambi gli esempi, come si vede, la realizzazione dimostra che per il continuista deve essere più importante costruire accordi armonicamente completi, piuttosto che rispettare le norme di condotta delle voci; pur di avere accordi armonicamente pieni, infatti, non ci si ferma davanti alle quinte parallele che si creano tra le voci interne62. Gli errori sono evidenziati con asterisco. Esempio, * * * * In alcuni casi sono permessi al cembalo cambiamenti di posizione con incrocio di voci che nella scrittura vocale e strumentale non si farebbero; ecco un caso comune, nel quale la risoluzione della dissonanza (vedi avanti in questo capitolo le annotazioni sul trattamento della dissonanza) di nona si combina a un cambio di posizione melodica, con un implicito incrocio di parti, quinte e ottave per moto retto… insomma, ogni ben di dio. Esempio E nella musica di oggi? Oggi si fa musica di ogni tipo. È prevalente il pop e nell'ambito della popular music si diramano diverse tendenze di stile, la musica new age, quella etnica (non si tratta di musica realmente di popoli esotici, ma di musica secondo il nostro linguaggio con l'inserimento di sonorità e stilemi esotici); c'è il genere fusion e il jazz, cui soprattutto i musicisti di provenienza colta annettono una certa importanza; il presente si frantuma in un caleidoscopio di tendenze, che spesso hanno la durata effimera di una stagione. La musica da film è un ottimo contenitore: non c'è genere, stile o tendenza che non vi confluisca, assecondando la ricchezza dei contenuti narrativi proposti. Soprattutto nei generi che sono più vicini a quello classico - la popular music in genere lo è – si tiene conto 62 Si stanno anticipando necessariamente alcuni importanti argomenti che verranno illustrati e spiegati nel capitolo dedicato alla condotta delle voci; per chi non ha competenze a riguardo, consiglio di studiare quel capitolo, quindi di tornare agli argomenti trattati in queste pagine. 167 della grammatica tradizionale, sicché le regole che sono state indicate in questo capitolo trovano ancora un'applicazione visibile. Se in una canzone cantata da Celentano o da Celine Dion sentiamo un buon fondo di archi, è perché l'arrangiatore/orchestratore ha impiegato una scrittura classica; soluzioni diverse e abborracciate se ne trovano, certo, ma restano abborracciate, appunto. Chiunque abbia voglia di fare musica anche di questo tipo deve rimboccarsi le maniche e studiare anche un po' di contrappunto; un'alternativa c'è ed è quella di arricchire la fila di quelli che credono che fare i musica sia inventare una melodia stando sotto la doccia. Vista la ricchezza delle tendenze attuali, non resta che aprire le orecchie e guardare ciò che si fa caso per caso, secondo il nostro interesse e ciò che abbiamo da fare. Ipertesto 5,10: Trattamento della dissonanza Nella nostra tradizione musicale il fenomeno della dissonanza si distingue in due casi; eccoli: Esempio: Nel primo caso la dissonanza cade su un tempo debole (se il tempo fosse in due, cadrebbe sulla suddivisione del tempo, che è poi la cosa più frequente), scivolando di suono in suono per grado congiunto; l'effetto di dissonanza è impercettibile, o quanto meno secondario, soprattutto se si immagina un movimento scorrevole. Nel secondo caso la dissonanza cade su un tempo in rilevo e viene percepita come tale; nel primo caso, i suoni fluiscono per grado congiunto e quelli sul tempo debole (a maggior ragione nel caso si dovessero trovare sulla suddivisione, come nel caso presentato nell'esempio qui di seguito), consonanti o dissonanti che siano, vengono percepiti come suoni con attitudine unicamente melodica; nel secondo caso i suoni dissonanti, cadendo sul tempo, sono apprezzati nella loro dimensione armonica. Esempio: Per quel che riguarda questi suoni dissonanti impiegati come note melodiche, qui basti dire che la condizione essenziale nel muovere la parte, è che essi siano trattati per grado congiunto, ovvero che siano raggiunti da un suono precedente consonante per grado congiunto e che proseguano per grado congiunto su un suono consonante, o almeno una delle due cose (cfr. oltre nel testo il capitolo VIII, sulle “note di fioritura”). Esempi di questo tipo sono presenti nella musica di tutti i tempi: Esempio, F. Landini, Ecco la primavera O. di Lasso, Benedictus 168 Veniamo quindi alla dissonanza che cade su un tempo forte della battuta. Come si diceva nel capitolo dedicato agli intervalli, l'opposizione consonante/dissonante si traduce da una parte in quella gradevole/sgradevole, dall'altra nell'opposizione stabile/instabile. Semplificando, si potrebbe dire che l'urto di due suoni che non stanno bene insieme, provoca l'attesa di un intervallo consonante, che in qualche modo risolva l'insoddisfazione provocata dal primo. Il contrappunto, l'armonia e l'arrangiamento in ogni epoca hanno cercato le tecniche giuste per incanalare in senso espressivo le potenzialità di questo meccanismo, da una parte giocando sull'effetto di “sgradevolezza” (amplificandolo o meno, a seconda di quel che si voleva dire) dall'altra cercando di imbrigliare l'instabilità della dissonanza al fine di farla diventare motore dinamico del discorso musicale. Come anticipato nel capitolo dedicato agli intervalli, non esiste un unico tipo di dissonanza; molte sono le variabili che incidono sull'effetto di asprezza. Vale la pena di richiamare le più rilevanti: a. Alcuni intervalli sono più dissonanti di altri; in ordine decrescente sono dissonanti la • seconda minore • settima maggiore • seconda maggiore • settima minore • quinta diminuita/quarta aumentata • quarta giusta b. Nella disposizione delle parti, più la dissonanza si allontana verso l'acuto rispetto alla nota con cui entra in urto, meno si percepisce l'effetto di dissonanza; c. Lo stile musicale incide sulla rilevanza dell'effetto di dissonanza; sinteticamente si può dire che diminuisce la rilevanza delle dissonanze man mano che esse aumentano numericamente, sia in successione che all'interno di uno stesso accordo; nel jazz l'uso della dissonanza è talmente sistematico, che se ne perde totalmente la percezione; una cosa del tutto analoga, sebbene in altro ambito stilistico, avviene nella musica delle avanguardie della seconda metà del '900. Le regole grammaticali condivise nell'uso, che riguardano la dissonanza, a seconda degli stili sono suscettibili di variazioni importanti; lo stesso numero delle eccezioni non è secondario, tanto da poter, queste eccezioni, essere ricondotte a casi specifici. Nessuna di esse si applica nella musica delle avanguardie novecentesche (qui si escluderanno tali esperienze estetiche le quali, benché importanti per la storia della nostra cultura, sono piuttosto marginali linguisticamente; prenderò in considerazione quindi ciò che avviene negli stili musicali prevalenti nella nostra esperienza musicale). Tuttavia, a guardar la musica con attenzione, non c'è disordine; è possibile individuare usi costanti, che, mentre da una parte indicano una linea di evoluzione, dall’altra che isolano i caratteri degli stili, anche in linea sincronica. È utile un consiglio preliminare: per testare l’affidabilità delle indicazioni successive, sul modo efficace o meno di raggiungere la dissonanza, conviene provare gli esempi cantandoli con un’altra persona. In caso contrario è facile pensare – sbagliando – che si tratti di indicazioni accademiche e sostanzialmente inutili. Non raggiungere le dissonanze per moto retto Per capire le regole sull'uso della dissonanza, partiamo da alcuni dati di fatto; il primo è che, per due voci (due voci in senso stretto, non parti strumentali), l'intonazione di intervalli di seconda come quelli seguenti è assai ardua: Esempio: soprano contralto La sensazione di urto, spostandosi per moto retto con un'altra voce verso l'intervallo di seconda, è talmente forte, che la tendenza a correggere l'intonazione (e quindi a “stonare”) è naturale ed evitabile solo con voci assai esercitate. 169 Non far procedere le parti per dissonanze parallele Per lo stesso motivo è assai complicato intonare passaggi come i seguenti, in cui le dissonanze di seconda e di settima vengono raggiunte per moto parallelo Esempio: Ammesso con moderazione raggiungere le dissonanze per moto contrario Giusto un po' meno complicata è l'intonazione di intervalli di seconda per moto contrario (naturalmente, vale per il prossimo come per i precedenti esempi, l'intonazione degli intervalli dissonanti è tanto più complicata per quanto sono aspre le dissonanze; nell'esempio qui sotto, il secondo intervallo di seconda maggiore è più facile da intonare rispetto al primo, di seconda minore). Esempio: Se si vuole scrivere una musica corale auspicandone l'apprendimento in tempi rapidi, è bene evitare passaggi come quelli fin qui descritti, quindi. L’uso della preparazione (dissonanza raggiunta per moto obliquo) facilita l’intonazione della dissonanza. Ecco invece una scrittura che rende l'intonazione di intervalli di seconda e settima piuttosto semplice ed efficace musicalmente: Esempio: Tenendo conto di questi dati di fatto, la regola di uso della dissonanza prevede scolasticamente tre momenti: 1. la dissonanza va preparata, legandola all'unisono da una nota dell'accordo precedente che abbia valore almeno di un tempo; 2. la percussione nella musica antica cadeva su un tempo forte della battuta63. 3. La nota dissonante, che dura un tempo, deve scendere per grado congiunto sul tempo debole successivo. Nel secondo capitolo si è già accennato al fatto che quando s’indica una dissonanza, in assoluto si sta descrivendo un fenomeno percettivo provocato dall'insieme di due suoni; tuttavia, le nostre orecchie non percepiscono i suoni in modo equivalente: dei due suoni che entrano in urto, uno verrà sentito come suono di 63 Va ricordato che l'origine degli accordi di settima sta proprio nell'uso della dissonanza in sincope, sicché, quando nella musica di Palestrina si trovano sovrapposizioni di intervalli che noi potremmo classificare come accordi di settima, senza eccezioni esse si trovano sul tempo forte e risolvono su quello debole. Lungo il corso del Seicento gli accordi di settima pian piano vengono considerati differentemente: rispettando regola sulla preparazione, potranno tuttavia cadere indifferentemente sul tempo forte e su quello debole. Per i ritardi, si continuerà a osservare l'obbligo di farli cadere sul tempo forte. Quanto detto vale come riferimento di massima, dal momento che preparazione percussione e risoluzione avranno, fin dalle origini, applicazioni differenti da quelle previste dalla norma scolastica. Ma il riferimento resta visibile nel tempo. 170 riferimento, potenzialmente consonante, l'altro come dissonanza che genera l'urto e che deve risolvere scendendo. Prima di proseguire nello studio di questo capitolo, vale la pena andare a rivedere quanto detto a proposito. La consuetudine a impiegare le dissonanze in un certo modo e ad apprezzarle poi nel contesto armonico ha contribuito e contribuisce a renderne evidente senso. Aggregati armonici che di per sé sarebbero solo urti di suoni, inseriti nel contesto appropriato diventano totalmente comprensibili e addirittura piacevoli, come premesse per la risoluzione sulla successiva consonanza. Esempio: La regola scolastica sul trattamento della dissonanza è chiara: numerose sono le deroghe, come vedremo tra poco Ipertesto 5,11: Costruzione e collegamento degli accordi di settima Gli accordi di settima hanno naturalmente un rivolto in più rispetto alle triadi. I numeri che indicano gli stati del basso degli accordi di settima sono riportati nella tabella 1 del terzo capitolo. La costruzione degli accordi di settima in origine sottostà alla regola d'uso della dissonanza: un compositore del Seicento costruisce quelli che per noi sono accordi di settima64 facendo ben attenzione alle indicazioni tradizionali che riguardano preparazione, percussione e risoluzione della dissonanza: Esempio: A. Corelli, Sonata a tre, op. 1 n. 1, Grave È da notare come nell'esempio appena proposto quelli che noi definiremo accordi di settima (ma che non è detto che Corelli considerasse come tali) cadono tutti sui tempi forti della battuta. Nell'esempio che segue, un accordo di settima (in questo caso l'accordo di settima su re) si costruisce in ogni possibile stato del basso e risolto; il do quindi è sempre legato all'unisono dall'accordo precedente e risolve in ogni caso sul si. Naturalmente nella costruzione dell'accordo la settima può essere posta in una qualsiasi parte; il fatto che nei primi tre casi dell'esempio seguente si trovi al soprano è puramente casuale. Esempio: 64 Vale la pena di ripetere: quelli che per noi sono accordi di settima. A guardar bene la musica del Seicento, si ha ragione di credere che gli intervalli di 2^ e 7^ siano ancora impiegati come tali in contesti contrappuntistici in cui si oppongono agli intervalli consonanti irrobustendo il senso dinamico delle frasi o si integrano armonicamente con le consonanze, creando armonie più ricche. 171 Ipertesto 5.12: Eccezioni nell’uso della dissonanza Eccezioni nell’uso della dissonanza ci son sempre state, e non si è mai trattato di “distrazioni”, o di momentanee amnesie da parte dei musicisti. Le eccezioni si possono ricondurre a tre motivi: a. la valorizzazione della dissonanza come modo per amplificare il senso dinamico della musica; b. la volontà di valorizzare una certa linea melodica; c. l’accentuazione di particolari contenuti espressivi; d. la concezione coloristica dell’accordo. Prima di vedere le eccezioni che riguardano questi aspetti del far musica, conviene mettere da parte un’eccezione apparente: la risoluzione a distanza della dissonanza. Già nel ‘600 si incontrano frequenti casi analoghi al seguente: Esempio: Non è un’eccezione al trattamento della dissonanza: il sol, nella parte del tenore, scende comunque sul fa e il do su cui salta è una nota di arpeggio con funzione sostanzialmente melodica. Nell'esempio seguente, sempre di Corelli, c'è qualcosa di analogo: Esempio: A. Corelli, Sonata a 3 op. 1 n. 2, Allegro Eccezione: costruzione dell’accordo di 7^ senza preparazione Già nel corso del Barocco è pian piano sempre più frequente la costruzione di accordi dissonanti e più in generale, l'uso di dissonanze che cadono sul tempo, senza preparazione. Nell'esempio seguente l'accordo di Re7^ è costruito senza la preparazione del do. Esempio: W.A. Mozart, Sonata per pianoforte in Do mag. K. 330, Allegro moderato Gli autori tardo romantici impiegano quasi sistematicamente gli accordi di settima senza preparazione; 172 Esempio: J. Brahms, Intermezzo op. 117 n. 3, Andante con moto Precedentemente, nel ‘600, le dissonanze prese senza preparazione, anche consecutive, erano uno strumento formidabile per evidenziare il contesto cadenzale. La dissonanza, in questo contesto, amplifica il senso di proiezione delle linee melodiche, ponendo in rilievo ulteriore la cadenza all’interno della musica Esempio: G. Legrenzi, Sonata da chiesa op. 4 n. 1, Presto * * La dissonanza, usata così, diventa una specie di strumento di rilevazione acustica del contesto cadenzale, ad uso di chi ascolta; Corelli apprezzava moltissimo questo tipo d’uso della dissonanza. Si potrebbero portare molteplici esempi; ne basti uno (gli asterischi segnalano due settime parallele): Esempio, A. Corelli, Sonata op. 3, n. 4, Allegro * * Interessanti sono le risoluzioni “per scambio”, dovute all’interesse che in quel dato punto il compositore ha nei confronti della prosecuzione del movimento della parte; conta più che la parte conservi il suo movimento ascendente, piuttosto che far scendere la dissonanza per grado congiunto. La nota su cui sarebbe dovuta andare la dissonanza sarà eseguita da un altro strumento o da un’altra voce. Ecco un chiaro esempio fornito da Corelli. La parte del secondo violino forma un intervallo di 9^ col basso: il fa# dovrebbe scendere sul mi, invece Corelli vuole che salga sul sol; e così fa, dopo aver fatto saltare la dissonanza alludendo a una risoluzione per scambio; sarà il primo violino a scendere dal fa# sul mi all’ottava inferiore: 173 Esempio: A. Corelli, Sonata op. 3, n. 7, Adagio Nel prossimo esempio Mendelssohn non ha difficoltà a raddoppiare momentaneamente la dissonanza di 7^: uno dei due re, quello più esposto per chi ascolta, quindi il soprano, adotterà la risoluzione normale, scendendo di grado, l’altro, al tenore, salirà di grado, completando l’accordo finale. Esempio: F. Mendelssohn B., Andenken, op. 100, n. 1 * Un caso assai frequente di risoluzione ascendente della 7^ si ha nel caso di un II grado armonizzato come secondo rivolto della settima sul V; ecco in sintesi di che si tratta (nell’esempio il fa, 7^ dell’accordo, sale): Esempio: Ecco come lo realizza Beethoven Esempio: L.van Beethoven, Quartetto op. 18, n. 1, Allegro con brio 174 Ancora un esempio, offerto da Schumann (la 7^ che sale è indicata dall’asterisco): Esempio: R. Schumann, Quartetto n. 3, Finale, Quasi trio * La dissonanza è stata anche spesso usata per amplificare contenuti affettivi del testo; famoso il caso di Monteverdi, che fu aspramente criticata da Giovanni Artusi (L’Artusi, overo delle imperfettioni della moderna musica, Venezia, 1600). Uno dei casi oggetto dell’invettiva dell’Artusi si trova nel madrigale Cruda Amarilli; si guardi come Monteverdi usa le dissonanze di 9^ e 7^ al soprano, sulle parole “ahi lasso”, senza alcun riguardo per la regola sulla preparazione: in questo modo l’effetto della dissonanza è posto nel massimo rilievo possibile ed esprime il senso delle parole nel modo più evidente ed efficace. Esempio: C. Monteverdi, Cruda Amarilli, dal Quinto libro dei madrigali (1605) Nel caso di Monteverdi la scelta di usare in modo eccezionale la dissonanza è programmaticamente estetica; altrettanto si può dire di quanto sarà dato di ascoltare all’inizio del ‘900: e quando in epoca moderna si volle esplorare la dimensione estetica dello “sgradevole”, si fece appunto leva sull’uso della dissonanza libero, in aperta contraddizione rispetto alla regola classica; si pensi, solo per fare un caso, a Stravinsky e all'irrompere nella cultura musicale dello stile fauve. 175 È questa l’epoca in cui la musica estende il proprio linguaggio nel campo del timbro, esplorando ogni tipo di tecnica capace di inventare colori e sfumature. In questo periodo gli accordi si arricchiscono di note: non tanto per essere dissonanti, quanto perché le note aggiunte lo colorano, lo arricchiscono di vibrazioni, di riverberazioni. Si noti l'efficacissimo scivolamento cromatico nella seconda e terza battuta del seguente esempio, tratto da una musica di Debussy: gli accordi di settima e nona, costruiti senza preparazione, risolvono salendo anziché scendendo. Esempio: C. Debussy, da Reflets dans l'eau Simile al precedente, anche se in tutt'altro contesto estetico, è il seguente esempio: da D. Fields, J. McHugh, A. Johnson, Goodbye blues 176 Bibliografia capitolo V Coclico, A., Compendium Musices Descriputm, Norimberga, 1552 Berardi, A., Il perché musicale, Bologna, 1693 Penna, L., Li primi albori, Bologna, 1679 Christensen, J. B., op. cit. Dandrieu, J. F., Principes de l'Acompagnement du Clavecin, M. Bayard, 1718 177 Ipertesti capitolo VI, TONALITA' E CADENZE Ipertesto 1: la tonalità In senso stretto la tonalità è adeguata a descrivere il funzionamento dell'armonia nella musica occidentale del periodo che grosso modo va dall'inizio del XVIII secolo all'inizio del XX. Grosso modo è un'indicazione necessaria: alcuni meccanismi della tonalità sono consolidati già nella musica del XVI secolo, così come ancora oggi molta della musica che si fa è tonale; in più, eccezioni nell'impiego della tonalità si trovano anche durante il periodo indicato. Ecco in sintesi come la tonalità organizza le successioni armoniche: a) La tonalità si fonda su due presupposti essenziali, secondo tradizione; il primo è quello della concezione unitaria dell'accordo, come insieme di suoni indivisibile in cui i suoni si sovrappongono per terze su un suono fondamentale; il secondo è che la funzione degli accordi dipende dal grado della scala su cui si trova la fondamentale. A questi due presupposti occorre aggiungerne un terzo, anche esso essenziale: la funzione definitiva di un accordo all'interno della frase musicale, la sua forza dinamica rispetto agli altri accordi è determinata dalla relazione tra la sua funzione armonica generica e il metro. Perché il I grado funzioni come tonica, ovvero come accordo di riposo e di equilibrio riacquisito, è bene che cada sul tempo forte della battuta al termine di una frase musicale, per esempio. b) Il numero romano, nella tab. 1, indica il grado della scala su cui l'accordo si trova costruito allo stato fondamentale. I in Do mag. indica l'accordo di do-mi-sol, anche se in primo rivolto, con il mi al basso. c) Nella tabella non è inserito il III grado; nell'armonia classica il III non si usa se non per eccezione; quando al basso si trova un III, si armonizza come rivolto del I, quindi con 665. Nella musica moderna è invece frequente il III allo stato fondamentale; in genere precede il IV o il VI, più raramente il V. d) Tre sono i modi per arricchire il circuito armonico tonale: l'uso dei rivolti, degli accordi dissonanti, del cromatismo. La funzione (quindi la posizione reciproca) degli accordi non varia se l'accordo viene costruito allo stato fondamentale o di rivolto, come triade o settima/nona; neanche varia se vengono alterati i suoni. Ovviamente, nella costruzione dell'accordo e nella sua risoluzione andranno considerate, anche a seguito dello stile, le necessità legate al trattamento della dissonanza e del cromatismo. e) Vi sono tre funzioni; quella di tonica corrisponde alla funzione di riposo, di equilibrio di nuovo raggiunto; quando si raggiunge la tonica con la successione armonica opportuna (per esempio una cadenza perfetta), si ha l'impressione che una certa parte del discorso musicale o l'intera musica sia finita. La dominante svolge una funzione di riconduzione verso lo stato di riposo costituito dalla tonica; deve necessariamente contenere la sensibile. Gli accordi di pre-dominante66 hanno una funzione di allontanamento dalla tonica e di passaggio da questa sulla dominante. f) La tonalità è coinvolta in diverso modo su diversi livelli della composizione musicale, dal livello della frase, a quello della sintassi (connessione di frasi), a quello della forma. Lo schema proposto qui sopra esprime il modo di succedersi degli accordi all'interno della frase musicale; per quel che riguarda la formazione del periodo, ovvero la connessione di frasi, e la forma, il riferimento ad esso dovrà essere rimesso in discussione, dal momento che viene utilizzato solo in parte e non sempre. g) Benché la tonalità in senso stretto esprima alcune caratteristiche fondamentali del linguaggio della musica occidentale di un periodo significativo, elementi fondamentali di quelle stesse caratteristiche si trovano in periodi molto precedenti; l'articolazione del discorso musicale poggiato sul valore dinamico reciproco dei gradi, per esempio, e, di conseguenza, l'importanza data ai punti di cadenza; la stessa funzione dinamica che contrappone tonica e dominante è chiaramente anticipata nella 65 66 La regola dell’impiego della 6ª sul III grado, peraltro conseguente ad una prassi che già la conosceva, si trova enunciata nella Regola facile e breve per sonare sopra il basso di Galeazzo Sabatini [Sabatini, p. 12]. La definizione tradizionale di “sottodominante” è inadeguata a rappresentare la funzione di questi accordi; soprattutto, nella terminologia scolastica con sottodominante si intende l'accordo costruito sul IV, che nell'armonia classica è meno frequentemente usato prima della dominante (il più usato è la settima sul II allo stato di primo o di secondo rivolto). 172 musica modale dalle funzioni della finalis e della repercussio. Attualmente, si sta assistendo a un lento superamento della tonalità intessa in senso classico; nella popular music (la musica più diffusa e diversificata, che esprime compiutamente quindi l'evoluzione della lingua nell'esperienza collettiva di oggi) le funzioni tonali descritte nella tab 1 si trovano applicate solo occasionalmente, mentre in molti altri casi gli accordi si dispongono diversamente gli uni nei confronti degli altri. Si tratta di un superamento complesso, che include fatti piuttosto rilevanti del linguaggio musicale. La tonalità si può descrivere da due punti di vista; il primo è quello pratico di chi fa musica (ed è a questo che qui ci si riferirà), il secondo è quello di chi fa teoria; le due prospettive, benché puntino in apparenza a un medesimo oggetto, sono distinte. Per il musicista la tonalità è più che altro una sintesi grammaticale, che esprime un insieme di tecniche complesse67 dedicate alla costruzione, al collegamento degli accordi e alla disposizione della forma musicale. Facendo musica, si pensa alla tonalità nella costruzione della frase (forse, perché in realtà, quando s’immagina una frase musicale, stabilito lo stile che si vuole adottare, la successione degli accordi è determinata per lo più dai significati che si vogliono evocare), di più ci si penserà quando si cerca il modo migliore di connettere le frasi e di dare forma alla musica. Il teorico - chi fa analisi musicale per mettere a punto una teoria su qualche aspetto della musica o per verificarne la tenuta - è interessato al sistema, ovvero a un qualche tipo di principio che spieghi la ragion d’essere dei meccanismi del linguaggio musicale, dell’uso di determinate successioni armoniche, della struttura di un certo repertorio; per il teorico, lo scopo dell'analisi (che intende essere una scienza) è di rendere oggettiva la ricostruzione del sistema e, di conseguenza, in qualche modo oggettivo il sistema stesso. Il musicista esecutore deve aiutarsi con l'analisi per rintracciare gli indizi di senso disseminati nella pagina musicale; la sua prospettiva è simile a quella del compositore, sicché l'analisi dell'impianto tonale di una musica è quella parte del lavoro che ha come obiettivo, in sostanza, di determinare con precisione l'articolazione della musica, le sue proiezioni, il suo flusso dinamico. Poi l'analisi deve proseguire con lo studio dei temi e delle linee melodiche in genere, delle caratteristiche espressive; quindi con l'analisi del colore, della dimensione ritmica... E non si finisce mai! I teorici, in alcuni casi, non prendono solamente atto delle relazioni che si stabiliscono tra gli accordi nella tonalità, ma ne cercano e ipotizzano un'origine “naturale”: dato che il suono è fatto in un certo modo (si fa riferimento alla fisica e ai suoni armonici), sarebbe in qualche modo inevitabile, per questi teorici, che il nostro linguaggio si sia evoluto nel tempo verso la tonalità moderna; la teoria funzionale dell'armonia ha sviluppato in alcuni casi questa prospettiva. Senza invadere inopportunamente campi estranei agli obiettivi di questo manuale, è bene segnalare che, prima ancora che nella fisica o altrove, l'origine della tonalità si deve cercare assai probabilmente nel rapporto che c'è tra le regole che sono state descritte fin qui - relative alla costruzione degli accordi e alla loro risoluzione – e nella dinamica del discorso musicale, fatto di tensioni e distensioni, di spinte centrifughe e di ritorni; una dinamica ben conosciuta nella musica pre-tonale. Buona parte dei meccanismi della tonalità si modellano pian piano, al di dentro dell'evoluzione dello stile polifonico (vale a dire nella musica fino alla fine del XVI secolo e all'inizio del successivo), mentre si acquisisce il senso dell’accordo e si prende gusto per la pienezza delle armonie. Sono le regole della polifonia a fare in modo che si sviluppi una sensibilità armonica tale da invertire l'ordine delle cose: se inizialmente gli accordi - come abbiamo visto nel capitolo dedicato alla costruzione degli accordi - sono il risultato della sovrapposizione di linee melodiche indipendenti, verso la fine del XVII secolo sarà il percorso armonico prestabilito, tendente a ripetere circuiti già provati e consolidati dall'uso, a fornire la base su cui poggiare la linea melodica, o le linee melodiche. Da Hugo Riemann in poi vi è stata una concentrazione piuttosto forte degli studi musicologici sulla tonalità; questo potrebbe indurre uno sbilanciamento nella valutazione delle cose. Lo studio della composizione non coincide con lo studio della tonalità; nel comporre, si pensa a moltissime cose, tra queste c'è la tonalità, ma in molti casi non è la cosa cui si pensa di più. Il fine della composizione e - con ogni probabilità, almeno il più delle volte - l'origine dell'invenzione non è nella tonalità. Alla tonalità spetta il compito di dare un certo ordine alle idee; ma, a meno di problemi particolari o di forme particolarmente impegnative, non è che ci si pensi così tanto. Probabilmente si fa male, ma credo sia un dato di fatto. 67 Complesse non significa complicate; significa che si tratta di regole stratificate, che coinvolgono più aspetti della scrittura musicale; il collegamento degli accordi è un fatto complesso, per esempio, che da una parte implica conoscenze per quel che riguarda le funzioni accordali da mettere in successione, dall'altro competenze pratiche di movimento delle parti. Qualsiasi aspetto della composizione, nel momento in cui ci si mette a scrivere musica, coinvolge più aspetti; la limitazione all'aspetto delle funzioni accordali non esiste nella pratica compositiva. 173 Per questo, i manuali di armonia che s’impiegano tradizionalmente per lo studio della musica pratica non sono manuali sulla tonalità né, per lo più, teorie su di essa. I tentativi compiuti da alcuni, di tradurre in manuale pratico di composizione i convincimenti che la musicologia si è fatta riguardo la tonalità come sistema, restano tentativi. In ogni caso, cercano di descrivere l'uso dell'armonia e della tonalità classica e romantica, sicché da una parte sono sotto certi aspetti inefficaci dovendo fare musica attuale, dall'altra è del tutto certo che nessun compositore classico o romantico abbia fatto riferimento a quei concetti. Fare teoria e fare musica sono mestieri differenti. Se poi la teoria vuole andare a fondo sul fare musica, c'è da stare attenti al rilievo che si dà alle cose. La tonalità deve la sua origine alla evoluzione del gusto e di alcune tecniche compositive impiegate nella musica pre-tonale. Tra queste ci sono il trattamento della dissonanza e la cadenza. Ipertesto 2: alle origni della tonalità La melodia gregoriana è legata sintatticamente al testo che intona, a meno che non si abbia a che fare con una melodia melismatica, dove, oltre che dal testo, l'articolazione è determinata anche dalle necessità del respiro musicale. Il seguito delle frasi del testo poggia su un seguito parallelo di frasi musicali, che ne interpretano la sintassi, distribuendo proiezioni sospensioni e chiusure; ciò avviene a partire dal dinamismo implicito delle scale modali, facendo in modo che ciascun arco di frase vada a finire sul grado della scala più opportuno; l'ultima frase, naturalmente, andrà a poggiare sul I grado, dando luogo a quella che diverrà la cadenza finale; questo passaggio veniva realizzato per lo più scendendo sul grado di cadenza per grado congiunto. L'antifona del seguente esempio, Immittet Angelus Domini, è nel modo frigio di Mi; il testo si articola in tre parti (1. Immittet Angelus Domini, 2. in circuitu timentium eum, 3. et eripiet eos); la musica segue il testo articolandosi in tre frasi, ognuna della quali produce una cadenza su un grado differente della scala: la prima è sul III grado, sol, la seconda sul VII, re, l'ultima naturalmente sul I, mi; come si vede, non solo la cadenza finale, ma ogni cadenza è realizzata con una discesa per grado congiunto sulla nota usata per la cadenza. È da notare che il III, il VII e il I vengono percepiti come gradi su cui si fa cadenza per il modo con cui ci si arriva e per la posizione che hanno all'interno della melodia liturgica; non basta sentire un I per dire di essere arrivati alla fine della melodia, insomma, ciò che conta è come e quando ci si arriva, affinché esso venga sentito come grado su cui la melodia si esaurisce. Esempio 6.16 Nella musica polifonica pre-tonale (fino alla fine del ‘500, grosso modo), così come avviene nel repertorio gregoriano, gli archi di tensione e di distensione sono ottenuti ancora essenzialmente a partire dalla conduzione melodica delle voci sovrapposte; la melodia di ogni voce, infatti, è condotta in modo da essere sufficiente a sé stessa ed è dotata di un suo equilibrio interno. Come nel gregoriano, le cadenze svolgono la funzione importantissima ed essenziale di articolare il discorso musicale. L'esigenza di rendere chiare e facilmente identificabili le articolazioni, al fine di facilitare l'ascolto, fu all'origine del processo di cristallizzazione dei procedimenti contrappuntistici impiegati per realizzare le cadenze; tali procedimenti divennero ben presto regola. Nel bicinium seguente di Orlando di Lasso – di fatto un mottetto, chiamato così perché a due voci - è ben visibile l'adattamento polifonico della cadenza in una scrittura a due voci: mentre la voce inferiore, scende per grado congiunto, quella superiore raggiunge la stessa nota, all'ottava superiore, salendo di semitono. La musica è nel primo modo trasportato (modo dorico, quindi, trasportato in Sol); le cadenze, che articolano la musica assecondando la forma del testo, si trovano a b. 10-11 (cadenza sul V grado, re), a b. 18 (sul I, sol) e infine a b. 23-24 (sul I, sol). Si deve aggiungere che in questo periodo è comune realizzare la cadenza come fa nell'esempio che segue Orlando di Lasso, facendo precedere la 6a dalla dissonanza di 7a. Tale abitudine 174 favorirà lo stabilizzarsi di un meccanismo armonico costituito da più accordi disposti secondo quelle che saranno le funzioni tonali68. Esempio 6.17 O. di Lasso, Esurientes, 68 Nel paragrafo precedente, dedicato alla cristallizzazione dell'uso della dissonanza in ambito polifonico è esemplificato proprio questo passaggio 175 Come già accennato a proposito dell'uso della dissonanza, il meccanismo cadenzale ora descritto genera spontaneamente accordi in disposizione già tonale non appena si passa a una realizzazione a 4 parti. Nella realizzazione a quattro/cinque parti, la cadenza acquisisce una dimensione pienamente armonica. L'esempio che segue è preso dal Kyrie della messa Iste confessor di Giovanni Pierluigi da Palestrina; vi si trovano tre cadenze, che articolano il discorso con differente forza, anche tenendo conto del testo intonato nelle diverse voci; la prima sul I grado, sol, a b. 4-5; la seconda sul V, re, a b. 6-7 e l'ultima ancora sul I, sol, a b. 9-10. In tutti i casi la cadenza è realizzata muovendo due delle voci per grado congiunto e moto contrario dalla sesta maggiore verso l'ottava (più raramente la successione si trova allo stato di rivolto, dalla terza minore verso l'unisono): se la cadenza è su re, ci sarà una voce che scende per grado congiunto dal mi e una che sale per grado congiunto dal do# (il movimento ascendente verso la nota di cadenza deve essere sempre di semitono; è l'origine della sensibile) Esempio 6.18 da G. Pierluigi da Palestrina, missa Iste confessor, Kyrie La regola contrappuntistica, dunque, genera una successione di accordi sempre uguale e prevedibile. La fine di un discorso o di una sua parte si intuisce anche solo ascoltando quei determinati accordi che fanno cadenza, a prescindere dalla chiara percezione della clausola contrappuntistica finale – la sesta che risolve sull'ottava - inserita al loro interno. Il passo successivo sarà quello di mantenere la successione accordale con la sensibile che sale sulla tonica, ma evitando l'obbligo di risolvere la sesta sull'ottava, così da avere un accordo finale completo, anche con un organico di quattro voci. Il superamento dell'antico vincolo contrappuntistico testimonia l'evoluzione verso una concezione armonica delle sovrapposizioni delle parti. Nel finale di questo Gloria, come si vede, Palestrina non fa scendere il tenore dal la sul sol; preferisce farlo salire sul si, per completare l'accordo finale di Sol: 176 Esempio 6.19 Da G. Pierluigi da Palestrina, Missa “Dies sanctificatus”, Gloria Se l'origine della tonalità è nella prevalenza del movimento degli accordi su quello delle melodie, non c'è dubbio che pure nella cadenza si debba andare a cercare una delle sorgenti primarie della tonalità. Uso della dissonanza in sincope e cristallizzazione del meccanismo cadenzale La dissonanza che cade sul tempo – quindi percettivamente in evidenza - era già comunemente usata nella musica del XVI secolo; la regola d'impiego viene osservata via via nel tempo con maggiore rigore e prevede tre momenti: il primo, quello della preparazione, in cui la nota si presenta come consonante sul tempo precedente a quello su cui cadrà la dissonanza; il secondo, che cade sul tempo forte, è quello in cui la nota legata all'unisono diventa dissonante, a causa del movimento di un'altra parte; il terzo momento, infine, è quello della risoluzione, in cui la nota dissonante scende per grado congiunto su una nota consonante. A guardare un esempio si fa molto prima che a spiegare tutto69: Esempio 6.1 Questo passaggio, inserito in un contesto a più voci, genera pressoché automaticamente passaggi armonici costituiti da accordi che si trovano a distanza di terza o quinta discendente gli uni rispetto agli altri: Esempio 6.2.a-b lo stesso meccanismo inserito in un insieme di 3 voci... ...e di 4 voci Si possono immaginare ulteriori realizzazioni del passaggio, basta aprire le partiture di musica strumentale del XVII secolo per avere un'idea esauriente del fenomeno; in ogni caso, dal punto di vista armonico, non ci potrà discostare da quanto esemplificato qui sopra. Anche la regolarizzazione dell'uso della dissonanza nella composizione polifonica, quindi, favorisce la stabilizzazione dei meccanismi armonici e la loro assimilazione nella nostra cultura musicale. 69 La dissonanza in sincope nel XVI secolo è comunemente sebbene non esclusivamente usata in ambito cadenzale. Gli esempi qui proposti propongono infatti un contesto cadenzale, in cui il do è primo grado. 177 Ipertesto 3: osservazioni sulla quarta e sesta sul V in cadenza Nel modello di cadenza perfetta composta consonante, prima che allo stato fondamentale, il V viene armonizzato con una 4ª e 6ª; questa 4ª e 6ª non deve essere considerata come un secondo rivolto della triade di tonica, ma già come V; la 4ª e la 6ª sono rispettivamente un ritardo o una appoggiatura della 3ª e una fioritura della 5ª o della 7ª (armonizzando con 7 il V). L’argomento è già stato trattato sopra (cfr. le note sull’uso della 4ª e 6ª nel paragrafo sullo stato del basso). Vedi anche sotto l’ipertesto 5 di questo capitolo sugli accordi ottenuti attraverso l’uso di note di passaggio o volta. Ipertesto 4: osservazioni sulla cadenza plagale La cadenza plagale non può sostituire la cadenza perfetta70. A volte viene usata per prolungare la conclusione di una musica; la cadenza plagale segue sempre la cadenza finale perfetta. L'origine del procedimento è nella prassi contrappuntistica del Rinascimento: raggiun ta la nota finale con la voce guida, le altre riverberavano gli ultimi movimenti melodici, prima di assestarsi sull'armonia conclusiva. Nell'esempio che segue, il soprano raggiunge il sol, nota finale con una normale cadenza perfetta, V-I (seconda b. dell'esempio); mentre il soprano tiene il sol, le altre voci sviluppano gli ultimi movimenti in contrappunto imitato: Esempio 6.24 da T. L. de Victoria, Pueri hebraeorum Già nel periodo barocco, la tendenza a prolungare il finale di una musica con lo sposatemento sul IV, favorì l'uso di fare una breve modulazione al IV. Ecco un esempio famoso nella musica di Bach Esempio 6.25 da J.S. Bach, Clavicembalo ben temperato, vol. I, Preludio n. 1 in Do mag. la modulazione, accennata, al IV (ovvero verso Fsa mag.) è realizzata passando attraverso la settima di dominante di Fa mag. (dominante transitoria), ovvero l'accordo di Do7 (secondo sistema dell'esempio, b. 1). 70 Ciò non vale per la musica attuale, dove spesso il IV precede il I con funzione cadenzale, indipendentemente dalla presenza in precedenza di una cadenza perfetta. 178 Ipertesto 5: annotazioni sulla cadenza evitata. La cadenza V-VI viene definita “cadenza d'inganno”; viene ingannata, ovvero delusa, l'aspettativa di risoluzione della dominante sulla tonica. La successione V-IV si realizza quasi esclusivamente come nell'esempio proposto (il secondo qui sopra), ovvero armonizzando il VI come primo rivolto del IV. Questo tipo di successione non è impiegata tuttavia come cadenza, se non in casi assolutamente rari; piuttosto, si trova inserita all'interno della frase, in una successione di gradi melodici al basso V-VI-VII-I (cfr. più avanti “regola dell'ottava”). A volte nei manuali scolastici si trovano elencate anche altre cadenze evitate (V-II; V-III). Si tratta di casi statisticamente del tutto irrilevanti. Ipertesto 6: costruzione della frase sulla base del giro armonico tonale Dal momento che il termine tonalità viene impiegato a proposito di diversi fatti che riguardano la composizione, è bene chiarire che solo a livello della frase la successione di accordi indicata nella tab. 1 trova piena applicazione. A livello sintattico e di forma musicale il riferimento alla tabella va chiarito. Qui di seguito propongo rapidamente alcuni esempi di frasi musicali di diverse epoche e diverso genere musicale. In questo esempio, la frase musicale è poggiata sull'alternanza delle armonie del I e del V; in moltissimi casi, soprattutto nello stile classico, la frase musicale è costruita analogamente: Esempio 6.3, da D. Cimarosa, Sonata per fortepiano n. 3 in Sol min I V V/VII I Per l'inizio di quest'aria, Rossini impiega un giro armonico completo: dalla tonica si passa su un accordo con funzione di pre-dominante, per proseguire con la dominante e concludere sulla tonica di nuovo; il giro è ripetuto due volte nelle prime otto battute (la seconda volta l'armonia sul II grado contiene l'alterazione del IV della scala (siamo in Sol mag., il IV aumentato è il do# al basso nella b. 6): Esempio 6.4, da G. Rossini, Barbiere di Siviglia, Atto primo, Piano pianissimo I II/IV+ II/I V V/VII I VI I Anche Schumann usa un giro armonico completo di tutte le funzioni; la disposizione delle note tuttavia dà alla musica un colore trasparente, leggero: 179 Esempio 6.5 da R. Schumann, Dichterliebe n. 10, Hor' ich das Liedchen Kligen (b. 1-4) I V7 VI II/IV 6 V I La melodia di questo Notturno, nelle prime battute, poggia su una successione armonica semplice, che alterna le funzioni di tonica e dominante; la scrittura, affidando gli accordi in disposizione lata alla mano sinistra, lascia emergere la melodia in piena autonomia: Esempio 6.6, da F. Chopin, Notturno op. 72, n. 1 in Mi min. I V/II I/III 6 V/VII I V Il tema di questa canzone di McCartney usa un giro armonico molto semplice, che alterna le funzioni della tonica e della dominante; nella b. 5 c'è l'accordo sul IV, che nella musica moderna si usa più spesso che in quella classica e romantica prima della tonica. Esempio 6.7, da Lennon – McCartney, Hey Jude I I V/VII 6 IV V7 I 180 Nell'esempio che segue le armonie, che compongono il più classico dei giri armonici, sono colorate dall'aggiunta costante della nona (add 9, secondo la simbologia usata nella musica moderna) V7 -I Esempio 6.8, da Sting, I'll be missing you I IV VI V I Questi esempi, che vanno dal periodo classico a quello attuale, sono sufficienti a mostrare come le funzioni tonali, richiamate nella tabella all'inizio di questo capitolo, trovino applicazione piuttosto costante nel tempo. Certo, nessuno potrebbe confondere la sonata di Cimarosa Il cielo in una stanza di Paoli; ma le differenze riguardano aspetti di superficie dell'armonia (c'è un diverso modo di trattare le dissonanze, per esempio), e molto più radicalmente altri elementi della musica: il modo di condurre la melodia, per esempio, il suono della musica, l'arrangiamento. Non c'è che da aprire partiture, suonare musica, e curiosare nei giri armonici; è un modo estremamente efficace, tra l'altro, per rendersi conto delle differenze tra gli stili. C'è da considerare il fatto che, soprattutto prima di conoscere aspetti rilevanti dell'armonia e del contrappunto (le note di fioritura, il cromatismo, per esempio) può essere difficile riconoscere gli accordi e le loro successioni, aprendo partiture a caso. Ma è bene non scoraggiarsi: la conoscenza della musica non passa solo attraverso l'apprendimento di nozioni teoriche o tecniche, ma anche e soprattutto attraverso l'orecchio, l'abitudine a riconoscere colori, movimenti. Si farà caso, in questo modo, al fatto che le successioni di accordi sono largamente influenzate dallo stile, determinato a sua volta dall'evoluzione del linguaggio da una parte e dall'altra dal tipo di musica con cui si ha a che fare e dai contenuti espressivi che si vogliono realizzare: è differente Elton John da Mozart, certamente, ma è anche differente il modo con cui Mozart tratta l'armonia in un allegro o in un adagio. Il giro armonico tonale, prevedibile entro certi limiti, garantisce il senso di proiezione della frase, ne rende coesi i nuclei melodici facendo si che essi, in qualche modo, sembrino necessari nella loro sequenza; le cadenze finalizzano le frasi e ne determinano il ruolo sintattico nell'ambito del discorso. Ipertesto 7: eccezioni nelle successioni armoniche tonali Anche nella musica del periodo in cui la tonalità ha costituito parte essenziale del codice di riferimento, si trovano vistose eccezioni, nelle successioni armoniche, rispetto a quanto descritto nella tab. 1. Le eccezioni in primo luogo sono determinate dall'uso di note di passaggio, o di fioritura in genere (spesso sono usate con questa funzione le note di volta), che generano accordi di passaggio. Sono Un caso assai frequente è quello di un accordo di settima sul II allo stato fondamentale che si ottiene per collegamento del I allo stato fondamentale con il I allo stato di rivolto. Gli esempi che propongo sono tratti dalla letteratura musicale di diverse epoche: Esempio 6.9, Da J. S. Bach, Clavicembalo ben temperato, Preludio n. 3 in Do# mag. 181 Nel prossimo esempio sono note di passaggio veloci quelle che idealmente potrebbero dar luogo a una armonia di La min.7^. Esempio 6.10, R. Schumann, Albumn per la gioventù, n. 2, Marcia di soldati Esempio 6.11, da R. Schumann, Album per la gioventù, n. 11, Siciliana Esempio 6.12, da F. Mendelssohon B., Romanza senza parole op. 30 n. 5 Un altro caso di armonia di passaggio è quello seguente: Esempio 6.13 In questo esempio appare chiaro come la definizione di accordo di passaggio si debba soprattutto alla posizione metrica dell'accordo, che, infatti, cade sulla suddivisione del terzo tempo della battuta; altra cosa sarebbe se lo stesso accordo cadesse in una posizione di maggiore rilievo ritmico; per esempio così: Esempio 6.14 Non si ripeterà mai abbastanza: la funzione di un accordo è strettamente connessa alla sua posizione metrica. Come vedremo, la stessa cosa vale anche per le funzioni cadenzali degli accordi. Alcuni, recentemente, hanno introdotto il concetto di sequenza armonica fondate sull'uso di note di volta; un esempio sarebbe il seguente71: 71 E. Aldwell, C. Schachter, Armonia e condotta delle voci, Roma, 2008, vol. 1, p. 95 182 Esempio 6.15 L'osservazione è utile: ci aiuta a mettere in evidenza quanto dell'armonia derivi dal movimento della melodia e rileva la relazione che c'è tra la funzione dell'accordo con la sua posizione metrica. Tuttavia, nella nostra tradizione le note di volta hanno un significato molto diverso, per certi aspetti addirittura diametralmente opposto (vedi più avanti il capitolo dedicato alle note di fioritura72) e con questo significato le hanno impiegate sia i didatti che i musicisti. Cambiare l'uso di un termine può generare fastidiosi fraintendimenti. Ipertesto 8: nota sul collegamento degli accordi in campo tonale Il collegamento degli accordi, anche in campo tonale, avviene semplicemente, così come s’è descritto già nel capitolo precedente. Si aggiunge solo una regola: la sensibile è una nota con risoluzione obbligata e deve salire sulla Tonica. La forza di questa regola si vede bene nella cadenza evitata: a costo di risolvere la sensibile sulla tonica, si accetta il raddoppio della terza nell'accordo sul VI grado. Naturalmente la sensibile deve salire sulla tonica quando si è in un contesto cadenzale; all'interno della frase la sensibile può scendere. Semplicemente perché non si tratta di una sensibile ma di un semplice VII grado. É quindi ancora una volta la posizione metrica della successione dominante tonica (e sensibile tonica) a fare di un passaggio normale un passaggio cadenzale. E’ una regola essenziale: come s’è visto, le ragioni stesse della tonalità sono in larga parte legate all’antica clausola e alla cadenza pre-tonale, entrambi costruite a partire dal movimento melodico che lega la nota che precede la finale alla nota finale stessa. Non sarebbe male dare valore prescrittivo a questa regola: le eccezioni, tante peraltro, che si incontrano nella musica si giustificano in larghissima parte per via di necessità melodiche particolari che, quando si inizia a studiare armonia, non ha senso porre. Il raddoppio della sensibile va evitato, non già perché sarebbe un raddoppio poco efficace della 3ª dell’accordo di triade costruito sulla Dominante, ma perché porterebbe inevitabilmente all’errore di ottave per moto parallelo (se due parti cantano la sensibile e tutte e due devono salire sulla tonica, le ottave parallele sono inevitabili). Ipertesto 9: tonalità, cadenze e forma musicale. N.B. In questo paragrafo dovrò fare necessariamente riferimento a concetti non ancora illustrati, il più importante dei quali è quello di “modulazione”. In breve, basterà anticipare qui che per modulazione si intende il passaggio ad altra tonalità rispetto a quella in cui ci si trova e che tale passaggio si manifesta attraverso le note caratteristiche della nuova tonalità, ovvero le note che la distinguono da quella che si lascia (nella modulazione da Do mag. a Fa mag., la nota caratteristica è il si bemolle, ad esempio). D'altra parte, parlare delle cadenze come si fa in genere, ovvero come del passaggio da una accordo all'altro (un passaggio che include quasi sempre l'accordo sul V) è riduttivo e non lascia comprendere le implicazioni profonde che la struttura tonale ha nella costruzione del discorso musicale. Torniamo un attimo all'esempio 6.3; confrontiamolo con le prime 8 battute dell'esempio che segue: 72 La nota di volta nell'armonia classica è una nota estranea all'acordo che cade sul tempo debole, o, preferibilmente, sulla suddivisione. Nel contrappunto pre-tonale è una nota dissonante che cade sul tempo debvole o sulla suddivisione. In ogni caso, la nota di volta non ha una valenza solamente melodica (come accade nel saggio di Aldwell e Schachter), ma anche armonica. ,, 183 Esempio 6.30, L.van Beethoven, Sonatina n. 1 in Sol,, Anh. 5 parte del primo movimento I IV VII/V I II/VII III/I IV V V I IV I Anche qui la musica è costruita a mo' di pendolo: da b. 1 a b. 4 ci si sposta sul V; da b. 5 a b. 8 si torna sulla Tonica; lì erano 2 battute, qui sono 8 battute (periodo di due frasi) ritornellate ed è la prima parte di un movimento di una sonatina. Naturalmente, la diversa durata dei due frammenti, porta con sé una maggiore complessità del secondo; il prolungamento del percorso, infatti, implica la necessità di passare su armonie intermedie. In particolare, tra b. 5 e b. 8 c'è un intero giro armonico nella tonalità di Sol, realizzato sulla linea del basso che procede per grado congiunto dal I sul VI grado della scala.73 Il trasferimento dal I sul V conferisce al discorso musicale una dinamica di sospensione che genera l'aspettativa di un ritorno al I; abbiamo visto, negli esempi 6.3 e 6.30, che tale tecnica può essere impiegata per costruire la frase o per gestire la proiezione delle frasi all'interno del periodo. Aggiungiamo altro materiale per dare sostanza alla riflessione; l'esempio che segue è tratto dalla Sonatina 2 in Fa mag. ed è la prima sezione del primo movimento: 73 A b. 5 dell'esempio si presenta una “dominante applicata”: si passa sull'accordo di Do (IV di Sol mag.) attraverso la dominante di Do (Sol7, si veda più avanti il capitolo sulle modulazioni). Sul quarto movimento della b. 6, il mi nella parte di soprano va considerato come una appoggiatura del fa# (vedi più avanti le note di estranee all'accordo che cadono sul tempo): per questo l'accordo che risulta è quello del VII in primo rivolto. È da notare il grado congiunto utilizzato da Beethoven per arrivare sul V: la spinta melodica accresce la proiezione dinamica dell'armonia e si interrompe sul V, dove l'improvviso salto di ottava del basso e quello successivo di quarta ascendente segnala la cadenza conclusiva. Tale tecnica è comune nella musica dal '700 in avanti. 184 Esempio 6.31, L. va Beethoven, Sonatina n. 2 in Fa mag., Anh. 5, prima parte del primo movimento La prima sezione di questa piccola Sonata in Fa termina in Do mag, ovvero sul V grado; nella prosecuzione, oltre il segno di ritornello, dopo qualche battuta in cui verranno toccate altre tonalità (diverse dalla Tonica e da quella sul V), si tornerà alla tonalità d'impianto, per concludere il movimento. Tenendo conto delle proiezioni tonali fondamentali, la dinamica del discorso, dal punto di vista tonale, si può esprimere secondo lo schema seguente: Esempio 6.32 altri I V toni I Lo schema appena proposto, che sintetizza la struttura armonica comune a moltissima musica della nostra tradizione colta, si potrebbe definire quindi come un’espansione della proiezione cadenzale I – V – I. Tuttavia, se all'interno della frase (si veda ancora l' esempio il 6.3) la proiezione sul V e il ritorno al I generano l'impressione di un moto pendolare, tale impressione si perde a livello della forma musicale complessiva. La proiezione sul V, in questo caso, serve per dare una curvatura dinamica complessiva alla 185 forma e a far si che la giustapposizione di frasi non sia una semplice addizione, ma una crescita direzionata. Naturalmente, quando si passa dalla frase all’intera forma di una musica il trasferimento sul V si potrebbe quindi pensare alla struttura armonica di una composizione come a una grande cadenza. Proseguendo da quest’osservazione, la composizione musicale potrebbe essere vista come un processo di elaborazione di una struttura elementare assai semplice. In effetti, il concetto di prolungamento, che ha avuto una certa fortuna nell'analisi musicale del XX secolo, gode tuttora di vasto favore. Il metodo di analisi schenkeriano si basa sui concetti di riduzione e prolungamento, che sono l'uno in relazione con l'altro. La teoria si basa sul presupposto che una musica tonale costruita bene sia espressione in superficie di una struttura profonda costituita da un passaggio armonico e contrappuntistico elementare74: Esempio: Va considerato tuttavia che l'analisi musicale persegue finalità che non coincidono con quelle del musicista – compositore o esecutore - e che in alcuni casi non hanno proprio nulla a che vedere con esse. Detta in termini generali, chi fa analisi musicale per mestiere è interessato agli aspetti sistematici della musica e alle teorie di diverso tipo che si possono elaborare a partire dalle sintesi che l'analisi rende possibili; il musicista è interessato al processo, al fare musica nota dopo nota all'interno di un quadro di riferimenti formali, strutturali e di stile che sono forniti dalla prassi e dalle consuetudini di scuola o del tempo. Per chi fa analisi è importante rilevare come al fondo di musiche anche molto diverse permangano determinati requisiti strutturali ritenuti importanti per verificare la tenuta di una certa teoria; e per esempio può essere importante vedere come la struttura di una musica anche molto complessa di una sinfonia romantica sia ancorata al movimento armonico essenziale che porta dalla Tonica sul V e da questo di nuovo alla Tonica; la teoria dell'analista provvederà a spiegare il perché di tali affinità strutturali. Il compositore romantico si muove tenendo presente che esiste una certa prassi secondo cui conviene ancorare la forma musicale a quella struttura armonica, ma è interessato soprattutto a ciò che c'è tra la Tonica e il V, e tra il V e il ritorno alla Tonica. Lì, mentre si procede di battuta in battuta, nulla è prolungamento, tutto è necessario a materializzare il contenuto espressivo della musica che ha in mente. Mi aiuto con un esempio semplicissimo: quattro battute in cui si ripete la stessa melodia, armonizzata in modo simile, ma non uguale; immaginiamo si tratti delle quattro battute con cui inizia una musica di una certa durata. Per chi fa analisi in entrambi i casi si tratterebbe di un prolungamento dell'accordo di Tonica: si inizia e si finisce sull'accordo di Do, sul battere di ogni battuta viene ripetuto lo stesso accordo o un suo derivato (nel secondo esempio sul battere della seconda battuta si trova l'accordo di La min7 che viene considerato appunto derivato del I), tutti gli accordi sul terzo tempo della battuta possono essere considerati come “accordi di volta o fioritura” Esempio 6.33 Sarà un esercizio utile confrontare lo schema proposto con la musica che va più o meno dalla metà del XVII secolo alla fine del XIX. E non andranno scartate le eccezioni; al contrario, esse ci solleciteranno a evitare di assegnare fondamento di verità assoluta alle nostre sintesi teoriche e a sfidare le nostre teorie mettendole a confronto col piano sconnesso della storia e dell'evoluzione del gusto. 74 Per una introduzione sull’analisi schenkeriana si veda il testo citato in bibliografia di questo capitolo di Drakbin, Pasticci, Pozzi. 186 Ipertesto 10: la tonalità nella musica attuale Benché ancora in un certo numero di casi i giri armonici della musica attuale rispecchino il modello delle funzioni tonali richiamate nella del testo (p. di questo capitolo, in altrettanti e via via sempre più casi i giri armonici non possono essere inscritti in quello schema. Oggi sono molti, forse anche troppi gli stili che si affiancano gli uni agli altri; si fatica a tenere il conto delle mode e degli usi che rinnovano il suono della musica attuale con velocità inimmaginabile fino a pochi anni fa. Il linguaggio della musica di oggi rappresenta l’evoluzione di quello del passato: molto di esso ancora sopravvive in forme analoghe a quelle di pochi decenni fa, altrettanto e di più si è trasformato. Il blues Tra gli stili che hanno influenzato la musica di consumo del XX secolo c'è il blues. Pur essendo vero che l'armonia blues appare fortemente caratterizzata, in realtà essa non fa che mettere in rilievo e utilizzare sistematicamente tecniche già conosciute e ampiamente sperimentate nell'armonia classica. Sono due in particolare le tecniche più usate: il cromatismo e la dissonanza; al disotto di questi, l'armonia si svolge secondo circuiti piuttosto convenzionali. Le prime battute dell'esempio mostrano un passaggio tipico, in cui gli accordi dissonanti si susseguono scivolando cromaticamente uno sull'altro. Esempio 6.30 Da V. Young, Stella by starlight Il giro armonico tipico del rhythm’n blues e poi del rock’n roll propone inoltre un passaggio sistematico dal IV sul V che l’armonia classica usa solo eccezionalmente; lo riprendo sinteticamente, senza curare l’aspetto ritmico della sequenza: Esempio 6.31 Nell'accordo di F7 (b. 2 e b. 5 dell'esempio precedente) il mib sale nella risoluzione per grado congiunto, anziché scendere come dovrebbe secondo le norme dell'armonia classica. In realtà, in questo caso, si tratta di una scrittura di comodo: il mib è in realtà un re diesis che, come nota aumentata (ancora secondo le regole dell'armonia classica) sale per grado congiunto nella risoluzione75. La dissonanza è usata con una certa libertà; nell'esempio che segue sale, anziché scendere come dovrebbe essere secondo la teoria classica (nel secondo accordo Bb7/F, il lab sale sul la bequadro). Non si deve immaginare tuttavia che la dissonanza venga trattata come una consonanza, in questo repertorio: se non risolve per grado congiunto discendente, è perché gli accordi vengono fatti scivolare per grado congiunto, per lo più cromaticamente. 75 È impossibile trattare questi argomenti senza anticipare alcuni argomenti che saranno trattati più avanti in questo manuale. Per il trattamento delle note alterate si veda il capitolo sull'armonia cromatica. 187 Esempio 6.32 da E. Burnett, My melancholy baby (inizio del chorus) Nonostante queste caratteristiche non convenzionali, l'armonia blues resta fondamentalmente classica; in particolare, ciò che resta inalterata è la funzione tonale degli accordi, distribuiti nelle tre aree della tonica, della pre-dominante e della dominante, come quella classica. Per il resto, anche in questo caso non c'è che suonare ascoltare e suonare musica in quantità: è necessario per farsi un'idea dello stile e capirne i procedimenti dal di dentro. La tonalità nella popular music. Intanto si dovrebbe dire a quale popular music ci si riferisce. Basta farsi un giro in rete per vedere quanti siano gli stili solo nella sica di oggi; se poi si considera che si fa popular music da quasi un secolo... Come anche la musicologia più aggiornata ha riconosciuto, la popular music, molto più del jazz, si colloca in linea di continuità con la musica colta della tradizione occidentale; in particolare rappresenta una continuazione dello stile e del linguaggio classico per l'aspetto che ci interessa di più qui, ovvero quello tecnico-compositivo [Dahlhaus – Eggebrecht, p. 69]. Ascoltando una canzone degli anni '50 la vicinanza è evidente; man mano che ci si avvicina ai nostri giorni è altrettanto evidente che la distanza del procedimento di composizione molte volte aumenta in modo considerevole; una cosa è una canzone di Celine Dion, in cui l'arrangiamento della sezione degli archi è sostanzialmente classica, altra cosa è una canzone rap. Nel tempo hanno influito la prassi delle band di creare la musica direttamente in studio, favorendo l'incidenza dell'aspetto esecutivo nella realizzazione del prodotto finale; e certamente ha influito, influisce e influirà sempre di più la possibilità di usare i mezzi informatici. La musica attuale è realizzata per lo più con un mix di strumenti e voci naturali, sovrapposti a suoni sintetici o campionati. Anche le performances dal vivo – a seconda ovviamente del genere musicale - sono per lo più realizzate nello stesso modo e spesso la commistione di strumenti e suoni prevede l'uso di una base digitale cui si sovrappone il suono degli strumenti acustici e delle voci. È assolutamente impossibile sintetizzare la molteplicità di quel che viene contenuto nel termine popular music. Sembrerebbe ora che la tonalità intesa in senso classico si sta pian piano superando; nella musica attuale assai spesso i giri armonici non sono realizzati con sequenze di accordi assimilabili a quel che è descritto nella tab. 1. le scale utilizzate, altrettanto spesso, non sono riconducibili alle classiche scale maggiori/minori. Insomma, il linguaggio si evolve e lascia emergere un fatto difficilmente immaginabile fino a pochi decenni fa; ovvero che la tonalità rappresenta probabilmente non più che una fase dell'evoluzione del nostro linguaggio e che attualmente si sta scivolando verso un nuovo utilizzo delle scale modali; su questi aspetti, sull’armonia, sulla modalità, sui giri armonici della musica attuale è bene leggere quel che ha scritto Tagg [Tagg, 2011, p. 146 e segg.]. In molta della musica attuale sia le successioni di accordi come le cadenze sono differenti da quelle descritte nella tabella del testo. Sono frequentissime le successioni di accordi le cui fondamentali sono a distanza di terza ascendente (cosa rarissima nell'armonia classica); non prevalgono le successioni di quinta discendente. L'armonia è assolutamente semplificata, sia rispetto ai traguardi dell'armonia tardo-romantica, che rispetto all'armonia Jazz; vi è un uso limitato del cromatismo e degli accordi dissonanti; il più delle volte gli accordi sono allo stato fondamentale. Le successioni di accordi sembrano conformarsi a modelli prevalenti nei quali, ancor più che nell'armonia classica, la logica di successione è regolata dalla relazione tra sequenza di accordi e posizione metrica di essi. Tra tutti, il giro armonico esemplificato qui di seguito – che si trova impiegato in 188 musiche di diverso genere - sembra coagulare le tendenze del gusto emerse da qualche anno. Si noterà la caratteristica più rilevante, che è la mancanza di una polarità propriamente tonale; l'accordo che funge da “tonica”, ovvero l'accordo sul quale la sequenza si proietta, può variare a seconda dell'appoggio metrico della frase, restando inalterata la successione di accordi. Nell'esempio sono mostrate due versioni possibili (e oggi molto frequenti) dello stesso giro armonico; la tonica, nei due casi, è differente. Esempio 6.33 Altri giri armonici sono possibili; caratteristiche ricorrenti, dal punto di vista armonico e tonale, sono il forte diatonismo, il riferimento solo occasionale alle funzioni classiche, la preferenza per strutture fraseologiche regolari, che ripetono giri armonici costanti. Come puro esempio, senza alcuna pretesa di sistematicità, riporto qui sotto i giri armonici di alcune canzoni che il giorno 19 settembre 2012 risultavano essere tra le più vendute in Europa. In alcune di queste canzoni compare il giro armonico appena esemplificato. Kate Perry, Wide awake, Gmin7 add4| Bb add9| F| C David Guetta, I can only imagine, strofa: sospensione su E; ritornello: E| Bmin| A| E| Pink, Blow me, strofa e ritornello: G| Bmin, Emin, C Chris Brown, Don't wake me up, strofa e rit.: Gmin7/D, Eb add9, F, Gmin7 Simple Plan, Summer paradise, strofa: D, A, Bmin, G; rit. G| D| A| Bmin,A;G|D|Ax2 Carly Rae Jepsen, Good time, strofa e rit.: C min., A b, E b, B b. Of monsters and men, Little talks, strofa e rit.: Bb min.| G b| D b| A b; Bb min.| G b| D b x2 Il fatto che si tratti di alcune canzoni assai popolari in un territorio così vasto come l'Europa non garantisce ovviamente del loro livello estetico; sicuramente fornisce indicazioni non trascurabili circa la direzione prevalente che segue l'evoluzione del linguaggio musicale. Non c'è dubbio che a confrontare questi esempi con una musica di Brahms, viene da pensare che l'evoluzione in questo caso si sia fatta prendere un po' la mano dal gusto di semplificare. Ma è necessario moderare il giudizio. a. vi sono stati altri periodi della storia della musica nei quali il gusto estetico prevalente ha indotto una semplificazione dello stile; semplificazione dello stile non significa necessariamente decadimento estetico. Nella musica di Hanz Zimmer (compositore tra i più acclamati di colonne sonore) i giri armonici spesso sono coincidenti con quelli riportati qui sopra; ma l'orchestrazione è classica, è classico il contrappunto, il livello estetico sicuramente in molti casi è elevato. b. I linguaggi non sono mai semplici o difficili: sono mezzi per comunicare e, da questo punto di vista, sono adatti all'uso che se ne fa. Si può tutt’al più discutere sulla complessità, sulla ricchezza, sulla vastità di orizzonti che la musica cosiddetta popular mette in gioco nelle singole opere. c. Se dal punto di vista armonico tonale c'è stata una evidente semplificazione, vi è una ricercatezza estremamente maggiore rispetto al passato per quel che riguarda la dimensione timbrica della musica. Sembra di poter dire che una certa essenzialità dei percorsi tonali serva per permettere alla musica di svilupparsi secondo piani timbrici, senza perdere continuità; in questo certamente non è secondario quanto la tecnologia abbia messo a disposizione dei musicista soprattutto attraverso l'elettronica. La popular music, nella molteplicità caleidoscopica delle sue manifestazioni, è un bacino nel quale confluiscono tutte le esperienze ritenute più interessanti della nostra cultura musicale Un esercizio sicuramente fruttuoso, volendo conoscere meglio la popular music, è quello di ascoltare e suonare musiche di epoche differenti, e di trascriverne i giri armonici. 189 Bibliografia capitolo VI Dahlhaus, C - Eggebrecht, H. H., Che cos'è la musica?, Bologna, 1988. Drakbin, W. - Pasticci, S. - Pozzi, E., Anallisi schenkeriana. Per un’interpretazione organica della struttura musicale, Lucca, Lim, 1995. Sabbatini, G., Regola fecile e breve per sonare sopra il basso, Venezia, Salvadori, 1628, Tagg, P., La tonalità di tutti i giorni. Armonia, modalità nella popular music: un manuale, a c. di F. Fabbri, Il Saggiatore, Milano, 2011 190 Ipertesti capitolo VII: Accordi dissonanti con funzione di dominante Ipertesto 7.1: gli accordi del gruppo della dominante La funzione di dominante è svolta dagli accordi costruiti sul V e sul VII del modo maggiore e di quello minore (in VII del minore andrà alterato in senso ascendente per avere la sensibile). L’argomento è stato già toccato nell’ipertesto 8 del terzo capitolo. Ripartiamo di lì, ovvero dal fatto che alcuni accordi vengono considerati secondo alcune teorie, come derivati da altri accordi. Così, quelli sul VII altro non sarebbero che degli accordi originariamente costruiti sul V, privati della fondamentale; la triade costruita sulla sensibile sarebbe in origine una settima di dominante in cui viene soppressa la fondamentale. Esattamente come mostrato nell'esempio seguente: Esempio 7.1 È evidente come questa spiegazione sia generata all'interno di una teoria che individua le funzioni fondamentali dell’armonia negli accordi costruiti sul I, Vi e IV della tonalità. Si tratta di una argomentazione puramente logica, che presume un sistema musicale “a priori” fatto in un certo modo e che esprime la tendenza umana a innamorarsi delle teorie quando queste assumono l'aspetto di sintesi razionalmente convincenti. Dal punto di vista pratico e storico la spiegazione va rigettata totalmente: non ha alcun senso e compromette la corretta comprensione delle cose, sia dal punto di vista armonico, che contrappuntistico. Basti dire che la triade costruita sul VII, usata allo stato di rivolto, ha iniziato a essere impiegata nella musica pre-tonale giusto qualche secolo prima della settima di dominante da cui essa sarebbe derivata... Se la funzione di dominante può essere svolta dagli accordi costruiti sul V e sul VII, si dovrà andare a cercare il perché nella musica pre-tonale. Anticamente, come già accennato, la clausola finale di una parte della musica o dell'intera musica, in un contesto contrappuntistico a due voci veniva realizzata univocamente come nell'esempio seguente, ovvero con un doppio movimento per grado congiunto delle due voci verso la nota finale; ciò genera un passaggio da una 6ª maggiore a una 8ª giusta Esempio 7.2 Usando come riferimento l’esempio appena fatto, immaginiamo ora il passo successivo, quando il numero delle voci si doveva portare a tre o a quattro; la regola della composizione contrappuntistica per intervalli consonanti sul tempo rispetto al suono più grave non dava spazio, se non a due uniche alternative a seconda che il grado congiunto discendente fosse intonato dalla voce grave, o da una voce intermedia. Se il II che scende al I (negli esempi il mi che scende sul re) si trova al basso, sopra il mi non può essere usato che il sol (se sopra al mi come nota del basso mettessimo il la, questo genererebbe con il mi un intervallo di 4ª, e la 4ª, in queste condizioni, è dissonante); se il mi è in una voce intermedia e devo aggiungere una parte di basso, sotto il mi non può che andare il la; ogni altra nota darebbe infatti intervalli dissonanti: Esempio 7.3 191 Nell'esempio che segue, nella tonalità di Do mag., a breve distanza l'uno dall'altro si trovano entrambi gli esempi di cadenza appena spiegati: Esempio 7.4, da A. Scarlatti, Exsultate Deo, seconda parte Jubilate Deo Ecco dunque gli accordi del gruppo della Dominante usati nell’armonia classica: Accordi con finzione di dominante Costruiti sul V Triade di dominante Settima di dominante Nona di dominante Costruiti sul VII Triade di sensibile Settima di sensibile Bisogna intendersi quando si dice “nell’armonia classica”, perché l’armonia di Bach non è quella di Puccini. Si può dare per scontato che dal ‘700 in poi sia le triadi che gli accordi di 7ª fossero parte del patrimonio musicale comune, come sempre prima sul piano pratico, poi su quello teorico. Più complicata è la considerazione degli accordi di 9ª, tutti, non solo quello di Dominante. E’ difficile dire quand’è che nella pratica si è cominciato ad avere la “sensazione” degli accordi di 9ª; sicuramente non prima di Beethoven, ed in ogni caso è dall’epoca tardo-romantica, dalla seconda metà dell’Ottocento, che la musica mostra un impiego autonomo degli accordi di 9ª, tale da rendere credibile che la l’intervallo di 9ª non sia considerato come un ritardo o un’appoggiatura dell’8ª (a proposito dei ritardi e delle appoggiature vedi il capitolo dedicato). Gli accordi di 7ª sono divenuti accordi di 7ª quando si è cominciata ad apprezzare e a ricercare la loro sonorità, a prescindere dalle condizioni contrappuntistiche che potevano provocarne la costruzione anche quando non fossero concepiti come tali, cioè come accordi di 7ª: nella musica di Palestrina sono frequentissimi gli accordi di 7ª, ma la loro costruzione rientra nella prassi corrente del trattamento della dissonanza in sincope; alla fine del ‘600, ormai, gli accordi di 7ª non vengono costruiti solo in sincope sui tempi forti della battuta, ma anche su quelli deboli. È il segno del cambiamento. Nel nostro repertorio non c’è un segno altrettanto chiaro del periodo in cui si sia cominciato a usare gli accordi di nona in quanto tali. La rilevanza statistica e la considerazione dell’armonia in una dimensione sempre più coloristica sono gli elementi decisivi; in questo senso, è corretto dire che l’armonia accoglie gli accordi di nona all’interno della prassi dal terzo, quarto decennio del XIX secolo; di lì in avanti gli accordi di nona poi quelli ancora più complessi di undicesima e tredicesima contribuiscono a definire un quadro nel quale la dimensione del timbro diventa sempre più rilevante. Ipertesto: la triade di sensibile La 5ª diminuita dell'accordo, come ogni dissonanza, dovrebbe risolvere scendendo per grado congiunto; ma nella musica non funziona sempre così, senza che ciò si debba considerare un’eccezione. La triade diminuita, nel corso del XVIII secolo, è stata sostituita pressoché definitivamente con gli accordi costruiti sul V, in particolare con la 7^ di dominante. Per trovare la triade diminuita impiegata con una certa frequenza si deve andare indietro nel tempo, al Rinascimento e al primo e medio Barocco. Bene, in questo 192 periodo la costruzione delle armonie avviene, come ampiamente descritto nel secondo capitolo, per sovrapposizione d’intervalli rispetto alla nota più grave, non ancora per sovrapposizione di terze. È per questo che nell'esempio 7.4 Scarlatti fa salire tranquillamente la quinta diminuita dell'accordo che si trova nella parte dell'alto, perché, dal suo punto di vista, il fa non è quinta diminuita dell'accordo, ma una terza minore sul re del basso; la terza minore è consonante e risolve scendendo o salendo, liberamente. Nell'esempio seguente sono indicate gli usi possibili di questo accordo. Esempio 7.5 I casi rappresentati qui sotto devono ritenersi ipotesi di valore puramente scolastico; nella prassi musicale non s’impiegano se non in casi assai rari. Esempio 7.6 193