n.25 ANNO V QVADERNI DI STORIA 30/01/2007 DUE PAROLE SUL… ……..CONFINE ORIENTALE A cura della redazione dei Quaderni di Storia C.P. 4 – 25075 Nave ( BRESCIA ) C.P. 19 – 71016 SAN SEVERO ( FG ) 1 [email protected] C. Corr. Postale n. 21882766 intestato a Ezio Sangalli Prefazione Il 10 febbraio è il “Giorno del Ricordo”, istituito dalla classe politica che spreme l’Italia e gli italiani, fingendo di governare, dopo 60 anni di silenzio vigliacco e complice da quando tanti autentici italiani d’Istria, Venezia Giulia e Dalmazia furono brutalmente assassinati dai partigiani comunisti jugoslavi, con l’aiuto dei partigiani comunisti italiani. Un giovane socio dell’“Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia” ci racconta lucidamente cosa fu quell’orrore; perché accadde, chi ne fu responsabile, chi i complici politici e chi cercò di difendere quegli italiani. È un racconto interessante e dettagliato, che vi porterà a conoscenza di una pagina della nostra Storia che si è cercato di insabbiare per ragioni politiche. Tutto ciò infatti, che può mettere in dubbio la legittimità morale dei vincitori della Seconda Guerra Mondiale, è ancora oggi accuratamente tenuto nascosto, o distorto o calunniato. Tutto senza possibilità di sentire anche l’altra campana. Non vi illuda perciò questa ventata di revisionismo pubblico, portata avanti da scrittori come Pansa, o da pubblici mea culpa, come quello di Napolitano (ex partigiano comunista). E’ solo un’abile manovra per mettere tranquilli quei vecchi nostalgici rompiballe (come li considerano loro) e portarli nella grande “Famiglia” democratica, permettendogli di commemorare i propri morti, ma senza scocciare la gente sul perché morirono, e che differenza c’è tra quegli uomini e quelli che comandano oggi. È importante insomma, che la gente comune non sia tentata di fare confronti approfonditi tra oggi e allora. Sia ben chiaro dunque: Noi non vogliamo la carità da questi ipocriti voltagabbana di professione; non abbiamo e non vogliamo il loro democratico permesso per commemorare i nostri caduti; siamo contrari ad ogni forma di pacificazione con chi oggi sta distruggendo la nostra bella Italia e tutta l’Europa. 2 Noi ci consideriamo gli eredi di chi, come dice Pansa, “si schierò nel 1943 dalla parte sbagliata”, solo che siamo certi che quella, fosse… LA PARTE GIUSTA ! Il 10 febbraio in Italia si commemorerà il “Giorno del Ricordo”, istituito con la Legge 30 marzo 2004 n. 92, dal Parlamento italiano, a larghissima maggioranza. Il 10 febbraio è la data della firma dell’iniquo Trattato di Pace di Parigi del 1947, nel quale l’Italia aveva ceduto la gran parte della Venezia Giulia, l’Istria, Fiume e le isole della Dalmazia. Quel Trattato fu una resa senza condizioni! Incominciò così l’esodo dal confine orientale italiano e, contemporaneamente, iniziò la rimozione della questione adriatica dalla storia d’Italia. Il Giorno del Ricordo restituisce, così, dignità alla memoria delle migliaia di italiani trucidati barbaramente sul confine orientale e agli oltre 350.000 connazionali costretti all'esilio dalle terre natie dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, per sfuggire alla repressione dei partigiani del maresciallo Josip Broz, detto Tito e alla sistematica pulizia etnica attuata nei confronti dei cittadini italiani. Celebrando il Giorno del Ricordo noi intendiamo riaffermare l'italianità storica delle nostre terre d'oriente: l'Istria, Fiume e il bellissimo golfo del 3 Quarnaro e la Dalmazia, regioni di frontiera con altre culture, che avevano saputo convivere pacificamente per secoli; onorare i sacrifici e l'eroismo di tutti gli italiani che hanno difeso l’identità nazionale, latina e veneta, di quelle terre; ricordare gli eccidi delle Foibe, le persecuzioni patite sotto le occupazioni straniere e l'Esodo di 350.000 italiani dalla terra natale tra il 1944 e il 1954; rivendicare il diritto degli esuli di far parte della memoria condivisa della Nazione e costruire intorno alle loro vicende una memoria comune; lanciare un monito all'Europa e a tutti i popoli per la salvaguardia delle diversità territoriali e il rispetto dei diritti delle minoranze etniche, linguistiche e religiose, affinché possano essere difesi i diritti dei nostri connazionali che, tuttora, risiedono nella loro terra d'origine. L’Italia, con oltre 50 anni di voluto oblio, ricorda, così, le vittime delle foibe, la tragedia degli italiani di Venezia Giulia, Istria, Fiume e Dalmazia, l’esodo dalle loro terre nel secondo dopoguerra e la più complessa vicenda del confine orientale. Le cause di questa amnesia sono tutte politiche e, certamente, non depongono a favore della “libertà”, riconquistata con la “liberazione angloamericana”. Siamo vissuti per cinquant’anni in un sistema libero o non piuttosto in un paese a sovranità limitata, per cui tutti fingevano di non vedere? In realtà solo una censura pesante, dettata dal regime consociativo che univa il quadripartito democristiano, socialdemocratico, liberale e repubblicano insieme all’opposizione social - comunista poteva riuscire in ciò. Alla verità si erano, così, sostituite due mezze verità, la mezza verità del Governo democristiano e la mezza verità dell’opposizione social 4 comunista. Gli esuli non rientravano in nessuna delle due, per cui sono rimasti cancellati e senza voce. Non conveniva all’Italia, nata dalla resistenza e che sosteneva di aver vinto la guerra, far sapere che invece l’Italia quella guerra l’aveva perduta e, dopo aver perso l’onore, aveva pagato la sconfitta cedendo territori nazionali. Per sostenere che avevano vinto la guerra cancellarono i territori ceduti e per difendere l’immagine del paradiso comunista di Tito accusarono gli esuli di essere criminali fascisti! Il sistema consociativo tollerava che in qualche comizio missino si ricordasse il dramma del confine orientale, ma ciò doveva servire solo a convalidare la tesi che gli esuli, in realtà, erano criminali fascisti che solo i missini potevano difendere. Alla tragedia delle Foibe e dell'Esodo, per i giuliani, gli istriani, i fiumani e i dalmati si aggiunse la particolarità di vivere da esuli in Patria. Forse anche questo permise a quegli italiani, di sentire la vicinanza alla cultura e alle tematiche della Destra. Poi, finalmente, qualcosa è cambiato. Dopo cinquant’anni di penose amnesie, di silenzi, di censure per quei 350.000 esuli, nostri connazionali, improvvisamente gli storici hanno riacquistato la memoria, dando un minimo riconoscimento a tutti gli esuli adriatici. Così come la maggior parte dei giornalisti, degli scrittori e dei letterati, sofferenti anch’essi di questa grave forma di amnesia. Costoro, però, per la storia degli italiani di Dalmazia, perseverano nel loro oblio. Questa ulteriore pagina di storia continua ad essere imbarazzante e scomoda. Infatti, la persecuzione dei dalmati, di lingua, tradizione e nazionalità italiana, precede la nascita del fascismo e, quindi, non può 5 essere in alcun modo imputata a Mussolini ed ai suoi seguaci. Questa è la ragione per la quale molte memorie ritrovate, sono ancora colpite da amnesia per tutto quanto riguarda la Dalmazia. Ultimamente, però, sugli esuli vi è un incremento di studi, monografie, libri e testimonianze (ovviamente false), tesi a dimostrare che gli infoibati e gli altri uccisi erano un numero irrilevante, così come gli esuli e che tra questi i più numerosi erano croati e sloveni in cerca di miglior fortuna, e che, infine, gli istriani e i fiumani erano responsabili di aver infierito contro gli slavi e quindi questi ultimi si erano vendicati. Come si può ben comprendere, ora vi è nuovamente il rischio concreto della distorsione della verità, di continuare, nonostante i passi in avanti compiuti, a falsare la storia; l’ennesimo tentativo di disinformazione. Giova allora ricordare la storia della componente latina e veneta della Dalmazia, incomprensibilmente ignorata anche nei testi di storia antica, nonostante abbia dato a Roma quattro imperatori tra i quali Diocleziano l’Illirico, due papi ed alcuni santi tra cui San Girolamo traduttore della Vulgata, cioè delle Sacre Scritture, della Messa e di varie preghiere tra le quali il Pater Noster. La storia della Dalmazia medievale ha pesato non 6 poco sulle vicende dell’Impero Romano d’Oriente, tramite l’Esarcato di Ravenna, sulle sorti della Serenissima di Venezia e che la Repubblica di Ragusa era a tutti gli effetti la Quinta Repubblica marinara d’Italia. Nell’età moderna, poi, la Dalmazia annovera nella sua storia le vicende di Venezia, di Ragusa, del regno d’Italia di Napoleone di cui faceva parte integrante, dell’Impero degli Asburgo ed infine dei Regni d’Italia dei Savoia e di quello di Croazia di Aimone di Savoia Duca d’Aosta e di Spoleto. Tutti fatti regolarmente e sistematicamente ignorati, così come le notizie riguardanti gli italiani della Dalmazia, che furono costretti ad abbandonare altre volte la propria terra, prima dell’esodo avvenuto dopo il Trattato di Parigi del 1947. Un primo esodo si ebbe, infatti, tra il 1861 e il 1918 e fu sponsorizzato dagli austriaci. I dalmati abbandonarono i centri minori e si rifugiarono nelle altre città dell’Impero, dove potevano godere della tutela delle popolazioni maggioritarie italiane quali Zara, Lussino e soprattutto Trieste. In Istria invece, all’inizio degli anni venti, dopo la guerra mondiale e comunque prima dell’avvento del Fascismo, molte città quali ad esempio Parenzo, Rovigno, Pirano, Pisino, Capodistria, Pola, Umago, ecc. erano a maggioranza, se non completamente italiane. Vigeva inoltre per alcune di esse la denominazione bilingue (ad esempio Pola- Pula). Con l’avvento del Fascismo si cercò di italianizzare i cognomi slavi, ma bisogna anche 7 ricordare che tantissimi hanno mantenuto il cognome di origine, come ad esempio il famoso calciatore goriziano Tarcisio Burgnich . Fiume e il golfo del Quarnaro furono al centro delle controversie sorte in seguito alla vittoria della Prima Guerra Mondiale che D’Annunzio definì mutilata. D’Annunzio, che non aveva mai rinunciato a rivendicare i diritti dell’Italia su Fiume, il 12 settembre 1919 occupò militarmente Fiume al grido di “O Fiume o morte!”, costituendo, l’8 settembre 1920, la Reggenza del Quarnaro, che finirà dopo il Natale di sangue del 1920, a causa degli scontri fratricidi tra i suoi legionari e i reparti regolari del regio esercito. Il confine italiano veniva comunque risolto con il Trattato di Rapallo nel novembre 1920, in cui Fiume veniva dichiarata città libera e venivano assegnate all’Italia l’intera Istria e, in Dalmazia, Zara e le isole di Cherso, Lussino, Lagosta e Pelagosa. Con il Trattato di Roma, il 17 gennaio 1924, veniva riconosciuta la sovranità dell’Italia su Fiume , mettendo, così, fine alla questione fiumana, sorta in seguito alla vittoria mutilata, fino al termine della Seconda Guerra Mondiale. Il 16 marzo 1924 8 veniva proclamata l’annessione di Fiume all’Italia. Ma tornando all’esodo dei nostri connazionali, almeno inizialmente, cioè all’indomani dell’8 settembre 1943, non tutti i nostri connazionali del confine orientale scelsero la via dell’esilio; tra coloro che decisero di restare, oltre ventimila furono uccisi dopo aver subito il più assurdo campionario di atti sadici; le foibe, voragini profondissime di origine carsica, presenti a migliaia in quelle zone, furono la tomba dei nostri connazionali, rei di avere sangue italiano. Furono infoibati, ovvero scaraventati giù nelle foibe dai partigiani titini, tantissimi italiani, molti dei quali ancora vivi; era il miglior modo per far sparire la gente, senza che ne rimanesse traccia alcuna. Fu un genocidio, voluto dagli slavi per realizzare 9 la politica annessionistica di quelle terre e volutamente dimenticato dallo Stato, o meglio dalla Prima Repubblica, quella del cosiddetto arco costituzionale. Ivan Motika, ricordato dagli esuli come il boia di Gimino per i molti crimini compiuti e rinviato a giudizio dall’allora pubblico ministero Giuseppe Pititto, morì ultra-ottantenne in Istria da pensionato dell’INPS! Tra le vittime delle foibe certamente non si può non ricordare Norma Cossetto (vedi QVADERNI n.14). Aveva 24 anni ed era una splendida ragazza istriana di S. Domenico di Visinada, laureanda in lettere e filosofia presso l’Università di Padova. Fu prelevata da casa sua il 26 settembre 1943 dai partigiani titini. Le chiesero di collaborare, ma al suo rifiuto i partigiani titini la trasferirono nella scuola di Antignana, dove Norma iniziò il suo vero martirio. Fissata ad un tavolo con alcune corde, fu violentata da diciassette aguzzini, ubriachi ed esaltati, quindi gettata nuda nella foiba poco distante. In quella foiba vi erano già numerosi cadaveri di italiani dell’Istria. Quando nel dicembre del 1943 i Vigili del Fuoco di Pola recuperarono la sua salma, la trovarono supina, nuda, con le braccia legate con il filo di ferro, su un cumulo di altri cadaveri; aveva i seni pugnalati ed altre parti del corpo sfregiate. La federazione della Jugoslavia, in realtà, fu un’invenzione internazionale, ispirata da Inghilterra e Francia, per impedire che l’Italia s’impossessasse dei territori da sempre romani e poi veneziani. Dove 10 nascevano le pretese jugoslave e titine su tutta la Venezia Giulia, se non dalle formali promesse del governo britannico fatte al giovane reggente Paolo II, prima che quest’ultimo aderisse all’Asse italo - germanico, di concedere alla Serbia gran parte dell’Italia, almeno fino la Tagliamento, a guerra conclusa? Francia e Inghilterra, malgrado l’apporto indispensabile dell’Italia alla vittoria della Prima Guerra Mondiale, non vedevano di buon occhio la nostra espansione nelle ex province asburgiche e, di conseguenza, prestavano attenzione alle rivendicazioni jugoslave. Sloveni, croati e serbi, in minoranza rispetto agli italiani e assolutamente disomogenei tra di loro, furono sempre visti di buon occhio, già dagli imperatori austroungarici, al fine di spegnere ogni pretesa dell’Italia sul confine orientale. Pretese che esplosero tra il 1800 ed il 1900 come reazione naturale alla politica del regno asburgico attraverso l’Irredentismo, da considerarsi ragionevoli, soprattutto alla luce della disgregazione del fantoccio Jugoslavia, che riuniva in sé popoli tra loro ostili ed in lotta per l’egemonia. Ma la storia del confine orientale è così ricca di avvenimenti mai raccontati da poter mettere in discussione la storiografia ufficiale. Lungo il confine orientale si consumarono episodi che in nessun’altra parte del territorio italiano avvennero: un esempio? La X Mas (R.S.I.) e la divisione partigiana Osoppo, pur su fronti contrapposti, cercarono di impedire la slavizzazione di quel lembo di terra italiano. La X Mas, dopo il tradimento dell’8 settembre del 1943, grazie anche al suo comandante Valerio Borghese salvò numerosi connazionali dalla minaccia di 11 deportazioni tedesche. Lo storico De Felice indicava la X Mas come il punto di riferimento per coloro che anteponevano a tutto la difesa dell’onore nazionale e dei confini; questa è la spiegazione del consenso che ebbe, soprattutto nella Venezia Giulia dove raccolse moltissimi volontari. La strage di Porzus del 7 febbraio 1945, con 22 partigiani “bianchi” della Osoppo uccisi dai partigiani comunisti della Garibaldi - Natisone, come interpretarla se non tenendo presente che all’interno dei partigiani vi erano, sul confine orientale, visioni diametralmente opposte? La Osoppo si batteva per non perdere l’italianità di quelle terre, mentre la Garibaldi Natisone, filocomunista, non esitò a passare alle dipendenze del IX Corpus sloveno. Indagini accurate hanno ormai accertato che la Osoppo, capitanata da Francesco De Gregori, zio del più famoso cantautore, era sul punto di stabilire, se non addirittura aveva già stabilito, dei contatti con esponenti della X Mas, per difendere il confine orientale. Il I maggio 1945 le truppe titine occuparono Trieste; Togliatti chiese ai triestini di accogliere il compagno Tito come un vero amico; quest’amicizia i triestini, ma anche i giuliani, gli istriani, i dalmati, i fiumani l’hanno pagata a caro prezzo sulla propria pelle. Purtroppo a tutto questo contribuì, forse involontariamente, il governo di allora. Alla guerra persa, all’onore perso, si aggiunsero altri errori davvero clamorosi. 12 Le continue critiche che Togliatti rivolgeva al governo, indussero quest’ultimo ad indugiare oltremodo per trovare una soluzione valida per tutti; l’assurda decisione di non svolgere alcun plebiscito, proposto dagli alleati e atteso con ansia da istriani e giuliani, che, aldilà delle spocchiose dichiarazioni di Tito, ci avrebbe visto assegnare quelle terre, determinò l’esodo di quasi 400.000 dei nostri connazionali che, abbandonando quel lembo d’Italia, regalò a Tito il pretesto di rivendicare le terre “irredente”. Gli esuli furono addirittura “accolti” ad Ancona e a Bologna al grido di “Via i fascisti!”; quest’equivoco ancor oggi è radicato in molti italiani che ignorano la storia d’Italia. Purtroppo la nostra memoria ha un grosso buco nero, grazie all’abile lavoro di moltissimi pseudo storici, che da anni cercano di obliare questa pagina di storia. L’Istria, eccezion fatta per l’arco temporale compreso tra il 1797 (caduta della Repubblica di Venezia) e il 1918 (vittoria nella Prima Guerra Mondiale) è sempre stata italiana e in quanto tale non poteva essere “occupata” dagli stessi italiani! Quindi non risponde al vero che tutto quanto accaduto lungo il confine orientale sia stata la reazione all’occupazione e alla fascistizzazione di quelle terre. Il dramma delle popolazioni del confine orientale è avvenuta nel silenzio e nel disinteresse dello Stato. Invece c’è da riscontrare la vicinanza della Chiesa al dramma degli esuli. A questo proposito è doveroso ricordare una personalità straordinaria di rilievo nell'assistenza e nell'organizzazione dei 13 profughi: Padre Flaminio Rocchi, frate francescano, esule da Neresine sull'isola di Cherso, fin dal 1947 colonna dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, la prima associazione a carattere nazionale degli esuli, venuto a mancare il 9 giugno 2003. Nel 1947 il Trattato di Pace di Parigi tolse la gran parte della Venezia Giulia e dell’Istria all’Italia e costituì il Territorio Libero di Trieste (TLT); il TLT viene diviso in due zone: zona A amministrata dagli angloamericani e zona B amministrata dalla Jugoslavia. Da questa decisione nacquero ulteriori problemi che portarono al Memorandum di Londra nel 1954: la zona A venne assegnata all’amministrazione italiana e la zona B restò all’amministrazione della Jugoslavia. Non si parlò mai nel modo più assoluto di sovranità che restò chiaramente italiana. Nel 1974 l’allora ministro degli esteri Mariano Rumor (Democrazia cristiana) annunciava, inspiegabilmente, che era necessario rinunciare alla sovranità della zona B in favore della Jugoslavia. Il 10 Novembre 1975 veniva firmato il Trattato di Osimo. Con la firma Trattato si di questo verificò un’ulteriore esodo di circa 35.000 persone che non il democristiano Rumor vende un pezzo d'Italia volevano assoggettarsi al regime comunista. La firma del Trattato fu una decisione autolesionista. L’Italia rinunciava definitivamente alla 14 sovranità sulla zona B. Qualunque giustificazione si possa o si voglia dare, la firma del trattato di Osimo conferma che la politica estera dell’Italia riguardo al confine orientale fu a dir poco indecorosa. Il Trattato di Osimo è solitamente definito infame! Mancano pochi giorni, dunque, alla commemorazione ufficiale di questa ricorrenza, e questa dovrà essere l'occasione per dimostrare che la storia deve essere parte integrante della cultura e della tradizione di un popolo, senza amnesie, né colpevoli dimenticanze. Finalmente lo Stato italiano ha cominciato a fare i conti con il proprio passato, ricordando questa pagina di storia che ancor oggi in tanti cercano di obliare. Parafrasando un libro di Claudio Schwarzenberg, i nostri connazionali lasciarono tutto tranne l’orgoglio di sentirsi italiani; Marzia Schiavon salutò la cara terra natia con queste splendide parole: “Addio cara Istria, Golgota di chi non ha ancora risposte, e orgoglio dei “Forse”, dei Veri Italiani”. In questi anni sono stati fatti alcuni passi in avanti, ma il completo ristabilimento della verità storica resta però, per l’Italia, ancora un sogno da realizzare. Moltissime sono, infatti, le resistenze che ancor oggi da sinistra provengono nel tentativo di minimizzare la realtà. La pulizia etnica degli italiani, fascisti e antifascisti, rei di avere sangue italiano, consumatasi in più riprese, prima e soprattutto dopo la fine del secondo conflitto mondiale in Istria, nella Venezia Giulia, nel Quarnaro e in Dalmazia ha una sola spiegazione: la dittatura comunista del maresciallo Tito. 15 Quanto di tutto ciò è riportato sui libri di scuola? Poco o nulla e quando qualcosa è stata scritta si è cercato sempre di creare confusione nella testa già confusa degli italiani, che non hanno memoria storica. Non ci può essere nessun avvenire per una Nazione che non fa i conti con la propria storia! Ancor oggi ci si commuove per i martiri delle Fosse Ardeatine, ma non si sa nulla o quasi dei martiri delle Foibe. La Patria non ha morti di serie A e morti di serie B. i QVADERNI di STORIA Bandiera dell’ ANVGD Nel settembre 1994 la Procura di Roma ha aperto un'inchiesta sul genocidio degli italiani in Istria, Dalmazia e Venezia Giulia. I carabinieri del Tenente Colonnello Antonio Maione hanno sequestrato documenti riservati dall'archivio del ministero degli Esteri, dagli schedari della Marina militare e rintracciato decine di testimoni, compresi alcuni 16 sopravvissuti alle foibe.. Il sostituto procuratore Giuseppe Pititto ha una lista d'indagati. Vi compaiono almeno trenta italiani, dei quali un terzo sicuramente in vita. Molti, residenti in Croazia o in Slovenia, sono sospettati di aver partecipato al genocidio. La cosa più sconvolgente è che alcuni presunti responsabili sono stati rintracciati dai carabinieri grazie ai registri dell'INPS. Infatti lo Stato italiano continua a pagare la pensione minima a 29.149 persone residenti nell'ex Jugoslavia spendendo 100 milioni di euro l’anno, in seguito al riconoscimento ai fini contributivi dei periodo militare svolto nelle file partigiane. Fra questi vecchietti che hanno diritto alla "minima" si annidano alcuni" presunti" responsabili della pulizia etnica perpetrata dai partigiani comunisti del maresciallo Tito Fino ad oggi abbiamo sborsato oltre 5 mila miliardi e non sono servite denunce, interrogazioni parlamentari e inchieste della magistratura a bloccare questa vergogna. Ecco uno di questi “signori” : CIRO RANER, età: 83 anni, residente: Croazia Incarico: comandante nel 1945-46 dei lager di Borovnica vicino Lubiana. Testimonianze: il racconto di un sopravvissuto, deposizioni scritte degli ex deportati e un documento del ministero degli Affari Esteri. Pensione INPS: 569.750 lire per tredici mensilità. 50 milioni circa di arretrati Dal maggio 1945 al marzo 1946 Ciro Raner comandò il campo di concentramento di Borovnica in cui sono stati deportati oltre duemila italiani, in gran parte militari che si erano arresi. "Eravamo in fila con un scodellino per avere un mestolo d'acqua sporca e patate (...), quello davanti a me cercò per fame di raschiare il fondo della pentola. Subito la guardia partigiana lo colpì con una fucilata trapassandogli il torace. Arrivò il Raner che, 17 dopo aver preso la mira, diede il colpo di grazia al ferito sparandogli alla nuca". Questo il racconto di Giovanni Prendonzani, sopravvissuto a Borovnica e ancora in vita a Trieste, città nella quale ha rilasciato la sua testimonianza ai Carabinieri. Sempre nel lager di Borovnica: " Il 15 maggio 1945 due italiani lombardi per essersi allontanati duecento metri dal campo furono richiamati e martorizzati col seguente sistema: presi i due e avvicinati gomito a gomito li legarono con un fil di ferro fissato per i lobi delle orecchie precedentemente bucate a mezzo di un filo arroventato. Dopo averli in questo senso assicurati li caricavano di calci e di pugni fino a che i due si strapparono le orecchie. Come se ciò non bastasse furono adoperati come bersaglio per allenare il comandante e le drugarize (sentinelle, N.d.R.) che colpirono i due con molti colpi di pistola lasciandoli freddi sul posto". Questo racconto è riportato sul documento n. 62, archiviato nella stanza 30 al primo piano del ministero degli Affari Esteri e consegnato al giudice Pititto. 18