n.25 ANNO V QVADERNI DI STORIA 30/01/2007

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n.25 ANNO V
QVADERNI DI STORIA
30/01/2007
DUE PAROLE SUL…
……..CONFINE ORIENTALE
A cura della redazione dei Quaderni di Storia
C.P. 4 – 25075
Nave ( BRESCIA )
C.P. 19 – 71016 SAN SEVERO ( FG )
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[email protected]
C. Corr. Postale n. 21882766
intestato a Ezio Sangalli
Prefazione
Il 10 febbraio è il “Giorno del Ricordo”, istituito dalla classe politica che
spreme l’Italia e gli italiani, fingendo di governare, dopo 60 anni di silenzio
vigliacco e complice da quando tanti autentici italiani d’Istria, Venezia
Giulia e Dalmazia furono brutalmente assassinati dai partigiani comunisti
jugoslavi, con l’aiuto dei partigiani comunisti italiani.
Un giovane socio dell’“Associazione Nazionale Venezia Giulia e
Dalmazia” ci racconta lucidamente cosa fu quell’orrore; perché accadde,
chi ne fu responsabile, chi i complici politici e chi cercò di difendere quegli
italiani.
È un racconto interessante e dettagliato, che vi porterà a conoscenza di una
pagina della nostra Storia che si è cercato di insabbiare per ragioni
politiche.
Tutto ciò infatti, che può mettere in dubbio la legittimità morale dei
vincitori della Seconda Guerra Mondiale, è ancora oggi accuratamente
tenuto nascosto, o distorto o calunniato. Tutto senza possibilità di sentire
anche l’altra campana.
Non vi illuda perciò questa ventata di revisionismo pubblico, portata avanti
da scrittori come Pansa, o da pubblici mea culpa, come quello di
Napolitano (ex partigiano comunista). E’ solo un’abile manovra per
mettere tranquilli quei vecchi nostalgici rompiballe (come li considerano
loro) e portarli nella grande “Famiglia” democratica, permettendogli di
commemorare i propri morti, ma senza scocciare la gente sul perché
morirono, e che differenza c’è tra quegli uomini e quelli che comandano
oggi.
È importante insomma, che la gente comune non sia tentata di fare
confronti approfonditi tra oggi e allora.
Sia ben chiaro dunque: Noi non vogliamo la carità da questi ipocriti
voltagabbana di professione; non abbiamo e non vogliamo il loro
democratico permesso per commemorare i nostri caduti; siamo
contrari ad ogni forma di pacificazione con chi oggi sta distruggendo la
nostra bella Italia e tutta l’Europa.
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Noi ci consideriamo gli eredi di chi, come dice Pansa, “si schierò nel
1943 dalla parte sbagliata”, solo che siamo certi che quella, fosse… LA
PARTE GIUSTA !
Il 10 febbraio in Italia si commemorerà il “Giorno del Ricordo”, istituito
con la Legge 30 marzo 2004 n. 92, dal Parlamento italiano, a larghissima
maggioranza.
Il 10 febbraio è la data della firma dell’iniquo
Trattato di Pace di Parigi del 1947, nel quale
l’Italia aveva ceduto la gran parte della Venezia
Giulia, l’Istria, Fiume e le isole della Dalmazia.
Quel Trattato fu una resa senza condizioni!
Incominciò così l’esodo dal confine orientale
italiano
e,
contemporaneamente,
iniziò
la
rimozione della questione adriatica dalla storia
d’Italia.
Il Giorno del Ricordo restituisce, così, dignità alla
memoria
delle
migliaia
di
italiani
trucidati
barbaramente sul confine orientale e agli oltre 350.000 connazionali
costretti all'esilio dalle terre natie dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, per
sfuggire alla repressione dei partigiani del maresciallo Josip Broz, detto
Tito e alla sistematica pulizia etnica attuata nei confronti dei cittadini
italiani.
Celebrando il Giorno del Ricordo noi intendiamo riaffermare l'italianità
storica delle nostre terre d'oriente: l'Istria, Fiume e il bellissimo golfo del
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Quarnaro e la Dalmazia, regioni di frontiera con altre culture, che avevano
saputo convivere pacificamente per secoli; onorare i sacrifici e l'eroismo di
tutti gli italiani che hanno difeso l’identità nazionale, latina e veneta, di
quelle terre; ricordare gli eccidi delle Foibe, le persecuzioni patite sotto le
occupazioni straniere e l'Esodo di 350.000 italiani dalla terra natale tra il
1944 e il 1954; rivendicare il diritto degli esuli di far parte della memoria
condivisa della Nazione e costruire intorno alle loro vicende una memoria
comune; lanciare un monito all'Europa e a tutti i popoli per la salvaguardia
delle diversità territoriali e il rispetto dei diritti delle minoranze etniche,
linguistiche e religiose, affinché possano essere difesi i diritti dei nostri
connazionali che, tuttora, risiedono nella loro terra d'origine.
L’Italia, con oltre 50 anni di voluto oblio, ricorda, così, le vittime delle
foibe, la tragedia degli italiani di Venezia Giulia, Istria, Fiume e Dalmazia,
l’esodo dalle loro terre nel secondo dopoguerra e la più complessa vicenda
del confine orientale.
Le cause di questa amnesia sono tutte politiche e, certamente, non
depongono a favore della “libertà”, riconquistata con la “liberazione angloamericana”. Siamo vissuti per cinquant’anni in un sistema libero o non
piuttosto in un paese a sovranità limitata, per cui tutti fingevano di non
vedere? In realtà solo una censura pesante, dettata dal regime consociativo
che univa il quadripartito democristiano, socialdemocratico, liberale e
repubblicano insieme all’opposizione social - comunista poteva riuscire in
ciò. Alla verità si erano, così, sostituite due mezze verità, la mezza verità
del Governo democristiano e la mezza verità dell’opposizione social 4
comunista. Gli esuli non rientravano in nessuna delle due, per cui sono
rimasti cancellati e senza voce. Non conveniva all’Italia, nata dalla
resistenza e che sosteneva di aver vinto la guerra, far sapere che invece
l’Italia quella guerra l’aveva perduta e, dopo aver perso l’onore, aveva
pagato la sconfitta cedendo territori nazionali.
Per sostenere che avevano vinto la guerra cancellarono i territori ceduti e
per difendere l’immagine del paradiso comunista di Tito accusarono gli
esuli di essere criminali fascisti! Il sistema consociativo tollerava che in
qualche comizio missino si ricordasse il dramma del confine orientale, ma
ciò doveva servire solo a convalidare la tesi che gli esuli, in realtà, erano
criminali fascisti che solo i missini potevano difendere.
Alla tragedia delle Foibe e dell'Esodo, per i giuliani, gli istriani, i fiumani e
i dalmati si aggiunse la particolarità di vivere da esuli in Patria. Forse anche
questo permise a quegli italiani, di sentire la vicinanza alla cultura e alle
tematiche della Destra. Poi, finalmente, qualcosa è cambiato.
Dopo cinquant’anni di penose amnesie, di silenzi, di censure per quei
350.000 esuli, nostri connazionali, improvvisamente gli storici hanno
riacquistato la memoria, dando un minimo riconoscimento a tutti gli esuli
adriatici.
Così come la maggior parte dei giornalisti, degli scrittori e dei
letterati, sofferenti anch’essi di questa grave forma di amnesia.
Costoro, però, per la storia degli italiani di Dalmazia, perseverano nel loro
oblio. Questa ulteriore pagina di storia continua ad essere imbarazzante e
scomoda.
Infatti, la persecuzione dei dalmati, di lingua, tradizione e
nazionalità italiana, precede la nascita del fascismo e, quindi, non può
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essere in alcun modo imputata a Mussolini ed ai suoi seguaci. Questa è la
ragione per la quale molte memorie ritrovate, sono ancora colpite da
amnesia per tutto quanto riguarda la Dalmazia. Ultimamente, però, sugli
esuli vi è un incremento di studi, monografie, libri e testimonianze
(ovviamente false), tesi a dimostrare che gli infoibati e gli altri uccisi erano
un numero irrilevante, così come gli esuli e che tra questi i più numerosi
erano croati e sloveni in cerca di miglior fortuna, e che, infine, gli istriani e
i fiumani erano responsabili di aver infierito contro gli slavi e quindi questi
ultimi si erano vendicati.
Come si può ben comprendere, ora vi è nuovamente il rischio concreto
della distorsione della verità, di continuare, nonostante i passi in avanti
compiuti, a falsare la storia; l’ennesimo tentativo di disinformazione.
Giova allora ricordare la storia della componente latina e veneta della
Dalmazia, incomprensibilmente ignorata anche nei testi di storia antica,
nonostante abbia dato a Roma quattro imperatori tra i quali Diocleziano
l’Illirico, due papi ed alcuni santi tra cui San Girolamo traduttore della
Vulgata, cioè delle Sacre Scritture, della Messa e di varie preghiere tra le
quali il Pater Noster. La storia della
Dalmazia medievale ha pesato non
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poco sulle vicende dell’Impero Romano d’Oriente, tramite l’Esarcato di
Ravenna, sulle sorti della Serenissima di Venezia e che la Repubblica di
Ragusa era a tutti gli effetti la Quinta Repubblica marinara d’Italia.
Nell’età moderna, poi, la Dalmazia annovera nella sua storia le vicende di
Venezia, di Ragusa, del regno d’Italia di
Napoleone di cui faceva parte integrante,
dell’Impero degli Asburgo ed infine dei
Regni d’Italia dei Savoia e di quello di
Croazia di Aimone di Savoia Duca
d’Aosta
e
di
Spoleto.
Tutti
fatti
regolarmente e sistematicamente ignorati,
così come le notizie riguardanti gli italiani
della Dalmazia, che furono costretti ad abbandonare altre volte la propria
terra, prima dell’esodo avvenuto dopo il Trattato di Parigi del 1947. Un
primo esodo si ebbe, infatti, tra il 1861 e il 1918 e fu sponsorizzato dagli
austriaci. I dalmati abbandonarono i centri minori e si rifugiarono nelle
altre città dell’Impero, dove potevano godere della tutela delle popolazioni
maggioritarie italiane quali Zara, Lussino e soprattutto Trieste.
In Istria invece, all’inizio degli anni venti, dopo la guerra mondiale e
comunque prima dell’avvento del Fascismo, molte città quali ad esempio
Parenzo, Rovigno, Pirano, Pisino, Capodistria, Pola, Umago, ecc. erano
a maggioranza, se non completamente italiane. Vigeva inoltre per alcune di
esse la denominazione bilingue (ad esempio Pola- Pula). Con l’avvento del
Fascismo si cercò di italianizzare i cognomi slavi, ma bisogna anche
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ricordare che tantissimi hanno mantenuto il cognome di origine, come ad
esempio il famoso calciatore goriziano Tarcisio Burgnich .
Fiume e il golfo del Quarnaro furono al centro delle controversie sorte in
seguito alla vittoria della Prima Guerra Mondiale che D’Annunzio definì
mutilata. D’Annunzio, che non aveva mai rinunciato a rivendicare i diritti
dell’Italia su Fiume, il 12 settembre
1919 occupò militarmente Fiume al
grido di “O Fiume o morte!”,
costituendo, l’8 settembre 1920, la
Reggenza del Quarnaro, che finirà
dopo il Natale di sangue del 1920, a
causa degli scontri fratricidi tra i
suoi legionari e i reparti regolari del
regio esercito.
Il confine italiano veniva comunque risolto con il Trattato di Rapallo nel
novembre 1920, in cui Fiume veniva dichiarata città libera e venivano
assegnate all’Italia l’intera Istria e, in Dalmazia, Zara e le isole di
Cherso, Lussino, Lagosta e Pelagosa. Con il Trattato di Roma, il 17
gennaio 1924, veniva riconosciuta la sovranità dell’Italia su Fiume ,
mettendo, così, fine alla questione fiumana, sorta in seguito alla vittoria
mutilata, fino al termine della Seconda Guerra Mondiale. Il 16 marzo 1924
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veniva
proclamata
l’annessione di Fiume all’Italia.
Ma tornando all’esodo dei nostri connazionali, almeno inizialmente, cioè
all’indomani dell’8 settembre 1943, non tutti i nostri connazionali del
confine orientale scelsero la via dell’esilio; tra coloro che decisero di
restare, oltre ventimila furono uccisi
dopo
aver
subito
il più
assurdo
campionario di atti sadici; le foibe,
voragini
profondissime
di
origine
carsica, presenti a migliaia in quelle
zone, furono la tomba dei nostri
connazionali, rei di avere sangue
italiano.
Furono
infoibati,
ovvero
scaraventati giù nelle foibe dai partigiani titini, tantissimi italiani, molti dei
quali ancora vivi; era il miglior modo per far sparire la gente, senza che ne
rimanesse traccia alcuna. Fu un genocidio, voluto dagli slavi per realizzare
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la politica annessionistica di quelle terre e
volutamente dimenticato dallo Stato, o meglio
dalla Prima Repubblica, quella del cosiddetto arco
costituzionale. Ivan Motika, ricordato dagli esuli
come il boia di Gimino per i molti crimini
compiuti e rinviato a giudizio dall’allora pubblico
ministero Giuseppe Pititto, morì ultra-ottantenne
in Istria da pensionato dell’INPS!
Tra le
vittime delle foibe certamente non si può non
ricordare Norma Cossetto (vedi QVADERNI n.14). Aveva 24 anni ed era
una splendida ragazza istriana di S. Domenico di Visinada, laureanda in
lettere e filosofia presso l’Università di Padova. Fu prelevata da casa sua il
26 settembre 1943 dai partigiani titini. Le chiesero di collaborare, ma al
suo rifiuto i partigiani titini la trasferirono nella scuola di Antignana, dove
Norma iniziò il suo vero martirio. Fissata ad un tavolo con alcune corde, fu
violentata da diciassette aguzzini, ubriachi ed esaltati, quindi gettata nuda
nella foiba poco distante. In quella foiba vi erano già numerosi cadaveri di
italiani dell’Istria. Quando nel dicembre del 1943 i Vigili del Fuoco di Pola
recuperarono la sua salma, la trovarono supina, nuda, con le braccia legate
con il filo di ferro, su un cumulo di altri cadaveri; aveva i seni pugnalati ed
altre parti del corpo sfregiate.
La
federazione
della
Jugoslavia,
in
realtà,
fu
un’invenzione
internazionale, ispirata da Inghilterra e Francia, per impedire che l’Italia
s’impossessasse dei territori da sempre romani e poi veneziani. Dove
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nascevano le pretese jugoslave e titine su tutta la Venezia Giulia, se non
dalle formali promesse del governo britannico fatte al giovane reggente
Paolo II, prima che quest’ultimo aderisse all’Asse italo - germanico, di
concedere alla Serbia gran parte dell’Italia, almeno fino la Tagliamento, a
guerra conclusa? Francia e Inghilterra, malgrado l’apporto indispensabile
dell’Italia alla vittoria della Prima Guerra Mondiale, non vedevano di buon
occhio la nostra espansione nelle ex province asburgiche e, di conseguenza,
prestavano attenzione alle rivendicazioni jugoslave.
Sloveni, croati e serbi, in minoranza rispetto agli italiani e assolutamente
disomogenei tra di loro, furono sempre visti di buon occhio, già dagli
imperatori austroungarici, al fine di spegnere ogni pretesa dell’Italia sul
confine orientale. Pretese che esplosero tra il 1800 ed il 1900 come
reazione
naturale
alla
politica
del
regno
asburgico
attraverso
l’Irredentismo, da considerarsi ragionevoli, soprattutto alla luce della
disgregazione del fantoccio Jugoslavia, che riuniva in sé popoli tra loro
ostili ed in lotta per l’egemonia.
Ma la storia del confine orientale è così ricca di avvenimenti mai raccontati
da poter mettere in discussione la storiografia ufficiale.
Lungo il confine orientale si consumarono episodi che in nessun’altra parte
del territorio italiano avvennero: un esempio? La X Mas (R.S.I.) e la
divisione partigiana Osoppo, pur su fronti contrapposti, cercarono di
impedire la slavizzazione di quel lembo di terra italiano. La X Mas, dopo il
tradimento dell’8 settembre del 1943, grazie anche al suo comandante
Valerio Borghese salvò numerosi connazionali dalla minaccia di
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deportazioni tedesche. Lo storico De Felice indicava la X Mas come il
punto di riferimento per coloro che anteponevano a tutto la difesa
dell’onore nazionale e dei confini; questa è la spiegazione del consenso che
ebbe, soprattutto nella Venezia Giulia dove raccolse moltissimi volontari.
La strage di Porzus del 7 febbraio 1945, con 22 partigiani “bianchi” della
Osoppo uccisi dai partigiani comunisti della Garibaldi - Natisone, come
interpretarla se non tenendo presente che all’interno dei partigiani vi erano,
sul confine orientale, visioni diametralmente opposte? La Osoppo si
batteva per non perdere l’italianità di quelle terre, mentre la Garibaldi Natisone, filocomunista, non esitò a passare alle dipendenze del IX Corpus
sloveno. Indagini accurate hanno ormai accertato che la Osoppo, capitanata
da Francesco De Gregori, zio del più famoso cantautore, era sul punto di
stabilire, se non addirittura aveva già stabilito, dei contatti con esponenti
della X Mas, per difendere il confine orientale.
Il I maggio 1945 le truppe titine occuparono Trieste; Togliatti chiese ai
triestini di accogliere il compagno Tito come un vero amico; quest’amicizia
i triestini, ma anche i giuliani, gli istriani, i dalmati, i fiumani l’hanno
pagata a caro prezzo sulla propria pelle. Purtroppo a tutto questo contribuì,
forse involontariamente, il governo di allora. Alla guerra persa, all’onore
perso, si aggiunsero altri
errori davvero clamorosi.
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Le continue critiche che Togliatti rivolgeva al governo, indussero
quest’ultimo ad indugiare oltremodo per trovare una soluzione valida per
tutti; l’assurda decisione di non svolgere alcun plebiscito, proposto dagli
alleati e atteso con ansia da istriani e giuliani, che, aldilà delle spocchiose
dichiarazioni di Tito, ci avrebbe visto assegnare quelle terre, determinò
l’esodo di quasi 400.000 dei nostri connazionali che, abbandonando quel
lembo d’Italia, regalò a Tito il pretesto di rivendicare le terre “irredente”.
Gli esuli furono addirittura “accolti” ad Ancona e a Bologna al grido di
“Via i fascisti!”; quest’equivoco ancor oggi è radicato in molti italiani che
ignorano la storia d’Italia. Purtroppo la nostra memoria ha un grosso buco
nero, grazie all’abile lavoro di moltissimi pseudo storici, che da anni
cercano di obliare questa pagina di storia. L’Istria, eccezion fatta per l’arco
temporale compreso tra il 1797 (caduta della Repubblica di Venezia) e il
1918 (vittoria nella Prima Guerra Mondiale) è sempre stata italiana e
in quanto tale non poteva essere “occupata” dagli
stessi italiani! Quindi non risponde al vero che
tutto quanto accaduto lungo il confine orientale sia
stata
la
reazione
all’occupazione
e
alla
fascistizzazione di quelle terre.
Il dramma delle popolazioni del confine orientale è
avvenuta nel silenzio e nel disinteresse dello Stato.
Invece c’è da riscontrare la vicinanza della Chiesa
al dramma degli esuli. A questo proposito è doveroso ricordare una
personalità straordinaria di rilievo nell'assistenza e nell'organizzazione dei
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profughi: Padre Flaminio Rocchi, frate francescano, esule da Neresine
sull'isola di Cherso, fin dal 1947 colonna dell’Associazione Nazionale
Venezia Giulia e Dalmazia, la prima associazione a carattere nazionale
degli esuli, venuto a mancare il 9 giugno 2003.
Nel 1947 il Trattato di Pace di Parigi tolse la gran parte della Venezia
Giulia e dell’Istria all’Italia e costituì il Territorio Libero di Trieste
(TLT); il TLT viene diviso in due zone: zona A amministrata dagli angloamericani e zona B amministrata dalla Jugoslavia. Da questa decisione
nacquero ulteriori problemi che portarono al Memorandum di Londra nel
1954: la zona A venne assegnata all’amministrazione italiana e la zona B
restò all’amministrazione della Jugoslavia. Non si parlò mai nel modo più
assoluto di sovranità che restò chiaramente italiana.
Nel 1974 l’allora ministro degli esteri Mariano Rumor (Democrazia
cristiana) annunciava, inspiegabilmente, che era necessario rinunciare
alla sovranità della zona B
in favore della Jugoslavia. Il
10 Novembre 1975 veniva
firmato il Trattato di Osimo.
Con
la
firma
Trattato
si
di
questo
verificò
un’ulteriore esodo di circa
35.000
persone
che
non
il democristiano Rumor vende un pezzo d'Italia
volevano assoggettarsi al regime comunista. La firma del Trattato fu una
decisione autolesionista. L’Italia rinunciava definitivamente alla
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sovranità sulla zona B. Qualunque giustificazione si possa o si voglia
dare, la firma del trattato di Osimo conferma che la politica estera
dell’Italia riguardo al confine orientale fu a dir poco indecorosa. Il Trattato
di Osimo è solitamente definito infame!
Mancano pochi giorni, dunque, alla commemorazione ufficiale di questa
ricorrenza, e questa dovrà essere l'occasione per dimostrare che la storia
deve essere parte integrante della cultura e della tradizione di un popolo,
senza amnesie, né colpevoli dimenticanze.
Finalmente lo Stato italiano ha cominciato a fare i conti con il proprio
passato, ricordando questa pagina di storia che ancor oggi in tanti cercano
di obliare. Parafrasando un libro di Claudio Schwarzenberg, i nostri
connazionali lasciarono tutto tranne l’orgoglio di sentirsi italiani;
Marzia Schiavon salutò la cara terra natia con queste splendide parole:
“Addio cara Istria, Golgota di chi non ha ancora risposte, e orgoglio dei
“Forse”, dei Veri Italiani”.
In questi anni sono stati fatti alcuni passi in avanti, ma il completo
ristabilimento della verità storica resta però, per l’Italia, ancora un sogno da
realizzare.
Moltissime sono, infatti, le resistenze che ancor oggi da sinistra
provengono nel tentativo di minimizzare la realtà. La pulizia etnica degli
italiani, fascisti e antifascisti, rei di avere sangue italiano, consumatasi in
più riprese, prima e soprattutto dopo la fine del secondo conflitto mondiale
in Istria, nella Venezia Giulia, nel Quarnaro e in Dalmazia ha una sola
spiegazione: la dittatura comunista del maresciallo Tito.
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Quanto di tutto ciò è riportato sui libri di scuola? Poco o nulla e quando
qualcosa è stata scritta si è cercato sempre di creare confusione nella testa
già confusa degli italiani, che non hanno memoria storica.
Non ci può essere nessun avvenire per una Nazione che non fa i conti con
la propria storia!
Ancor oggi ci si commuove per i martiri delle Fosse Ardeatine, ma non si
sa nulla o quasi dei martiri delle Foibe.
La Patria non ha morti di serie A e morti di serie B.
i QVADERNI di STORIA
Bandiera dell’ ANVGD
Nel settembre 1994 la Procura di Roma ha aperto un'inchiesta sul genocidio degli italiani
in Istria, Dalmazia e Venezia Giulia. I carabinieri del Tenente Colonnello Antonio
Maione hanno sequestrato documenti riservati dall'archivio del ministero degli Esteri,
dagli schedari della Marina militare e rintracciato decine di testimoni, compresi alcuni
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sopravvissuti alle foibe.. Il sostituto procuratore Giuseppe Pititto ha una lista d'indagati. Vi
compaiono almeno trenta italiani, dei quali un terzo sicuramente in vita. Molti, residenti in
Croazia o in Slovenia, sono sospettati di aver partecipato al genocidio.
La cosa più sconvolgente è che alcuni presunti responsabili sono stati rintracciati dai
carabinieri grazie ai registri dell'INPS. Infatti lo Stato italiano continua a pagare la
pensione minima a 29.149 persone residenti nell'ex Jugoslavia spendendo 100 milioni di
euro l’anno, in seguito al riconoscimento ai fini contributivi dei periodo militare svolto
nelle file partigiane.
Fra questi vecchietti che hanno diritto alla "minima" si annidano alcuni" presunti"
responsabili della pulizia etnica perpetrata dai partigiani comunisti del maresciallo Tito
Fino ad oggi abbiamo sborsato oltre 5 mila miliardi e non sono servite denunce,
interrogazioni parlamentari e inchieste della magistratura a bloccare questa vergogna.
Ecco uno di questi “signori” :
CIRO RANER, età: 83 anni,
residente: Croazia
Incarico: comandante nel 1945-46 dei lager di Borovnica vicino Lubiana.
Testimonianze: il racconto di un sopravvissuto, deposizioni scritte degli ex deportati e
un documento del ministero degli Affari Esteri.
Pensione INPS: 569.750 lire per tredici mensilità.
50 milioni circa di arretrati
Dal maggio 1945 al marzo 1946 Ciro Raner comandò il campo di concentramento di
Borovnica in cui sono stati deportati oltre duemila italiani, in gran parte militari che si
erano arresi. "Eravamo in fila con un scodellino per avere un mestolo d'acqua sporca e
patate (...), quello davanti a me cercò per fame di raschiare il fondo della pentola. Subito la
guardia partigiana lo colpì con una fucilata trapassandogli il torace. Arrivò il Raner che,
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dopo aver preso la mira, diede il colpo di grazia al ferito sparandogli alla nuca". Questo il
racconto di Giovanni Prendonzani, sopravvissuto a Borovnica e ancora in vita a Trieste,
città nella quale ha rilasciato la sua testimonianza ai Carabinieri. Sempre nel lager di
Borovnica: " Il 15 maggio 1945 due italiani lombardi per essersi allontanati duecento
metri dal campo furono richiamati e martorizzati col seguente sistema: presi i due e
avvicinati gomito a gomito li legarono con un fil di ferro fissato per i lobi delle orecchie
precedentemente bucate a mezzo di un filo arroventato. Dopo averli in questo senso
assicurati li caricavano di calci e di pugni fino a che i due si strapparono le orecchie. Come
se ciò non bastasse furono adoperati come bersaglio per allenare il comandante e le
drugarize (sentinelle, N.d.R.) che colpirono i due con molti colpi di pistola lasciandoli
freddi sul posto". Questo racconto è riportato sul documento n. 62, archiviato nella stanza
30 al primo piano del ministero degli Affari Esteri e consegnato al giudice Pititto.
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