ESSERE RAZIONALE! Basta con
la retorica!
Malghe di Porzus
Siamo ancora oggi vittime della retorica: resistenza,
liberazione, dopoguerra ci sono stati raccontati sempre in maniera
parziale, ideologica, mitizzata. Questo ci ha allontanato dalla verità
storica.
In verità celebrare il 25 aprile accende ancora oggi gli
animi. Infatti, per motivi diversi, celebrare la festa della
liberazione significa ricordare un momento storico complesso, il
passaggio dal regime fascista al dopoguerra. Inoltre chiama in gioco
le
decisioni
individuali
sulle
scelte
politiche,
identitarie,
religiose e di visione del mondo è normale allora che ci sia
disaccordo, anzi, il contrasto è salutare, ma mi sorprende e mi
dispiace che ci siano, dopo settanta anni, ancora polemiche politiche
che non tengano conto della complessità della situazione di allora.
Tutti abbiamo capito che è stata la politica a strumentalizzare
le posizioni. E’ noto che, da schieramenti diversi e contrapposti e
per molto tempo, la politica ha proposto una lettura semplificata, e
quindi imprecisa, dei fatti. All’inizio la situazione politica
dell’Italia del dopoguerra era delicata, per cui si è creata una
“mitologia” sulla resistenza che è servita a pacificare e unificare il
Paese. Per esempio, discende da qui il mito che tutti gli italiani
fossero da sempre antifascisti. In realtà durante il regime, la
maggioranza antifascista è rimasta silenziosa. Dall’8 settembre,
invece, molti hanno trovato il coraggio di esporsi e di mettersi in
gioco
in
prima
persona.
Questo
non
vuol
dire
che
tutti
si
riconoscessero nei valori della resistenza e dei partigiani in
particolare. Anzi, la lettura “mitologica” di quel periodo ha da un
lato
ridotto
l’effettiva
spinta
rivoluzionaria
dei
movimenti
partigiani, dall’altro ha tagliato fuori gli estremi: comunisti e
filofascisti sono di fatto rimasti forze extraparlamentari. In tale
contesto, è consequenziale la radicalizzazione delle posizioni di chi
si è sentito espulso dalla dinamica democratica, ex partigiani che si
sono sentiti poco apprezzati ed ex repubblichini che sono stati
additati come criminali. Questa doppia lettura dei fatti è stata
portata avanti troppo a lungo e ha travisato gli avvenimenti, portando
a una interpretazione più ideologica che altro.
Stessa cosa è successo per gli episodi storici delle foibe
della
malga
Porzus.
Entrambi
sono
stati
raccontati
come
o
una
contrapposizione tra i buoni e cattivi. Non si tratta di giustificare
tragici fatti di sangue, ma nemmeno di darne interpretazioni
arbitrarie. Sulle Foibe, per esempio, sono state dette molte
inesattezze. Una su tutte: si parlò per anni di pulizia etnica, ma si
trattò di pulizia politica, effettuata per costruire un nuovo stato
socialista, la Jugoslavia, senza opposizioni interne. La violenza non
si rivolse solo contro gli italiani, ma anche contro sloveni e croati
contrari alle ideologie della nascente federazione. Aberrante lo
stesso, ma si tratta di correttezza storica. Anche in questo caso poi,
la politica è passata dal quasi totale silenzio sulle foibe alla
costruzione, dopo la caduta del muro di Berlino e la disgregazione
dello Stato Jugoslavo, di una “mitologia” funzionale a portare avanti
certe posizioni.
Tutto questo, oggi, ci deve servire da esempio positivo,
affinché non restiamo nella zona grigia dell’indifferenza, ma
prendiamo coscienza delle nostre scelte e valutiamo da che parte
stare. Accadde anche durante la resistenza: non tutti quelli che vi
presero parte lo fecero animati da una forte coscienza civile e da
alto impegno politico. In molti casi la scelta fu dettata da necessità
contingenti. Non si può dire però, che ogni scelta sia uguale
all’altra, anche se il rispetto per i caduti va garantito. Far parte
della resistenza o collaborare con i nazisti, era, ed è, diverso.
Impossibile dire il contrario. D’altra parte, oggi, possiamo anche
imparare ad ascoltare gli altri e cercare di capire le motivazioni di
tutti, per ricostruire le vere dinamiche dal punto di vista storico.
In conclusione, caro Direttore,
desidero evidenziare i fini
della persona equilibrata. La mia è una voce che, volendo essere
testimonianza di responsabile libertà creativa in un contesto
culturale fin troppo oggi profanato, concorre a dire il senso della
storia nella sua globalità, la storia realmente vissuta. Nei libri di
storia che circolano nelle scuole oppure nei volumi e nelle antologie,
predominano, malafede, faziosità, omissioni di fatti, in particolare
sulla sanguinosa guerra civile che ha travagliato il nostro Paese. Ciò
che mortifica ogni essere libero, è la constatazione che, a distanza
di 70 anni circa dalla fine del conflitto mondiale, coloro che hanno
vinto pretendono di dettare le loro regole, di classificare di serie
“B” i loro avversari politici, di imporre le loro tendenze culturali,
impregnate di una ideologia, quella comunista, che non è ancora
scomparsa nonostante il crollo del Muro di Berlino.
La sinistra, le tante sinistre che abbondano oggi nel nostro
Paese, vorrebbero che tutti gli italiani abbracciassero la loro
“memoria”, alla faccia della “memoria condivisa” di cui ha parlato
qualche anno fa il Presidente Napolitano. Ma una “memoria” che si
rispetti e abbia come meta quella della pacificazione, deve anzitutto
rivisitare, rivedere gli anni della guerra civile. Nel nome della
verità e della giustizia.
In sintesi, per poter parlare di memoria condivisa bisogna prima
passare attraverso la “memoria accettata”, occorre cioè che ciascuna
parte sia disposta ad accettare le ragioni dell’altra parte pur non
condividendole.
Accettare
l’altro,
rispettare
l’altro,
senza
pretendere di annientarlo o assimilarlo. Per certa storiografia di
sinistra, e per molti esponenti politici di quella parte, purtroppo è
un traguardo ancora ben lungi dall’essere raggiunto.
Oggi la via migliore da battere è quella della “memoria aperta”,
ossia la convergenza di un contenitore storico delle testimonianze
dirette o indirette, delle analisi, delle indagini, degli studi, di
tutti coloro che, lontani dalla demagogia e dalle strumentalizzazioni,
cercano effettivamente la verità.
Senza obiettività e pacificazione non si va da nessun parte.
Mario Biscotti