Signor Presidente del Senato, Signor Prefetto, signora Presidente della Regione, Signor Sindaco di Trieste, Signori rappresentanti delle Associazioni degli esuli, gentili ospiti, la giornata odierna è stata intensa ed emotivamente sentita per le cerimonie che si sono susseguite in luoghi simbolo della storia tragica e martoriata del Novecento. Luoghi incastonati in questa terra di confine che più di altre, per posizione geografica, composizione etnica, complessità culturale, ha sofferto i drammi dei conflitti e dei grandi mutamenti del secolo passato. Una distanza temporale che non diminuisce il peso di quanto accaduto e che oggi, anche da queste sale e alla presenza del Presidente Grasso, impegna noi tutti a diffondere la conoscenza dei fatti che hanno segnato il confine orientale. Il dovere delle istituzioni è di riconoscere sia la sanguinosa vicenda delle foibe, sia la tormentata odissea dell’esodo. Queste vicende, come quella della Shoah e degli altri episodi di barbarie perpetrati nel Novecento in nome di presunte supremazie nazionali, ideologiche e politiche, ci impongono, contro ogni revisionismo e negazionismo, di riconoscere i drammi vissuti, la violenza prevaricatrice, la necessità di superare il troppo lungo silenzio dei decenni successivi. 1 Il “Giorno del Ricordo”, ricorrenza nazionale di cui oggi celebriamo il decimo anniversario dell’istituzione, ha contribuito a far conoscere la storia degli italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, rompendo l’oblio. In questi anni intenso è stato l’impegno degli storici nell’indagare la tragedia delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata (1944-1956). Altrettanto fondamentale è stata la responsabilità delle Istituzioni italiane, slovene e croate sul fronte del reciproco riconoscimento di quanto accaduto. Aspetti che non riescono a lenire la sofferenza di chi ha vissuto la tragedia dell’emigrazione forzata, che non possono mitigare il dolore del distacco, ma che riconsegnano il diritto di ricordare e poter esser ricordati, sanciscono il valore, per la storia del nostro Paese e dell’Europa, di quella memoria individuale e collettiva. Claudio Magris scrisse qualche tempo fa in un suo attento articolo apparso sul “Corriere della sera”, che “la memoria è il senso della coralità di tutti gli uomini….La memoria è il fondamento di ogni identità, individuale e collettiva, che si basa sulla libera conoscenza di se stessi, anche delle proprie contraddizioni e carenze, e non sulla rimozione, che crea paura e aggressività. Custode e testimone, il ricordo è pure garanzia di libertà”. Dopo l’abbandono delle case e dell’ancor più straziante e profondo distacco dagli affetti, da una terra sentita propria nei 2 colori, odori, tradizioni, è stata la dimenticanza diffusa di ciò che era avvenuto ad apparire gratuita ingiustizia, una negazione della soggettività individuale e della storia di un popolo. Mi sovviene il ricordo di un’esule, Anna Maria Crasti Fragiacomo, che nel ripercorrere la sua vicenda e quella dei suoi cari, si è soffermata sulla morte delle nonne: “Si sono lasciate morire nonostante la famiglia, i figli, i nipoti, perché la loro vita era finita nel giorno in cui avevano lasciato tutto e per l’ultima volta avevano chiuso l’uscio di casa…Anche questi morti, che sono numerosissimi, dovrebbero esser considerati alla stregua degli infoibati, annegati, fucilati: sono morti per un dolore troppo forte da sopportare, soffocati dal desiderio di ritornare”. Riconciliazione, come ha ricordato il Presidente Napolitano, “non significa rinuncia alla memoria e alla solidarietà”. L’esodo è un riferimento imprescindibile della memoria collettiva di queste terre, per molti è un’identità. Quanto avvenuto ha determinato un lungo e doloroso processo di dispersione dell’italianità adriatica, sparpagliatasi in tanti luoghi. Ciò nonostante, grazie alle tante associazioni, i legami propri di una “comunità” sono stati mantenuti, saldi e fermi. Per questa ragione la memoria di quanto accaduto non può essere ancora diffusa e raccontata divenendo monito per il futuro e segno di un’epopea collettiva e familiare al contempo. “La memoria – dice 3 Italo Calvino - conta veramente per gli individui, la collettività, le civiltà, solo se conserva l’impronta del passato e insieme il progetto del futuro, solo se permette di diventare senza smettere di essere”. Da diverso tempo la Provincia di Trieste è impegnata nel dare impulso alla conoscenza degli avvenimenti della storia più recente. Tra le diverse iniziative si colloca anche la realizzazione nel 2010, in sinergia con le associazioni degli esuli, di un monumento dedicato all’esodo. Si trova vicino al confine sloveno, lungo la strada percorsa da chi, dopo il 1944, lasciava l’Istria, Fiume e la Dalmazia alla volta dell’Italia. Come molti altri monumenti in questa terra che ha dovuto patire alcune tra le più grandi tragedie dell’età contemporanea, ideologie e totalitarismi, persecuzioni razziali e trasferimenti forzati di popolazioni, è un simbolo di quanto accaduto. La ruota è l’elemento principale dell’opera e la sua chiave di lettura: metafora dei carri su cui gli esuli posarono ricordi, memorie e frammenti di vita, e rappresentazione degli ingranaggi della storia. I dischi, replicati cinque volte, corrono in direzione opposta al confine, lasciando sul terreno tracce divergenti: solchi profondi, le aperte ferite dell’esilio, ma anche vie che inesorabilmente si separano e conducono, come linfe vitali, nel mondo. 4 La memoria liberata dal rimpianto diviene ricchezza per costruire un futuro diverso, capace di trarre forza da quanto avvenuto. Altri luoghi parlano di quanto accaduto: il Campo profughi di Padriciano, l’unico sito in Italia che abbia conservato la sua conformazione originaria, e il Museo della Civiltà istriana, fiumana e dalmata. Non solo. La Risiera di San Sabba, campo di transito, detenzione, tortura ed eliminazione. La Risiera è stata l’unica struttura nazista dotata di forno crematorio in Italia e nell’Europa occidentale occupata. Alla fine della guerra divenne campo profughi per gli italiani in esodo. Ancora, il Magazzino 18, dove oggi, in seduta straordinaria, si è riunito il Consiglio provinciale: ampia struttura del Porto Vecchio, raccoglie le masserizie degli esuli, resti della quotidianità abbandonata. Quasi una grande e immensa installazione, restituisce emotivamente il senso dello sradicamento. Piccole cose e arredi, spesso semplici, si sovrappongono facendosi naturalmente simbolo di un mondo abbandonato cui solo la memoria può dare nuovo senso. La Provincia nel 2012 ha promosso, anche con il contributo, unitario, delle Associazioni degli Esuli, la costituzione di un “Laboratorio della memoria”, che, attraverso la collaborazione di numerosi storici e la realizzazione di convegni, seminari e incontri possa contribuire alla ricostruzione delle memorie individuali e collettive, osteggiandone la distorsione, a cominciare da quella 5 oggi dilagante che prevede la negazione delle tragedie di massa verificatesi nel Novecento. Nel 2014 il Laboratorio si occuperà del trauma della perdita e del valore del ricordo. Non riservato solo agli studiosi, ma aperto a tutti coloro che desiderano confrontarsi con i grandi temi della storia, il percorso promosso sono certa vada a costituire un altro importante tassello nella conoscenza di quanto avvenuto, nella valorizzazione delle specificità, del valore del pluralismo etnico, linguistico, culturale e religioso di questo territorio e, più in generale, di un’Europa unita per cui, contro la nascita di derive nazionalistiche, tutti noi dobbiamo impegnarci affinché le tante differenti storie siano concretamente e realmente la ricchezza del futuro. MARIA TERESA BASSA POROPAT, Presidente della Provincia di Trieste 6