Leggi l`articolo - Dal Volturno a Cassino

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ASSOCIAZIONE CULTURALE
La Città del Sole
PIGNATARO MAGGIORE
ECCIDI NAZISTI
Pignataro Maggiore
Ottobre 1943
Una comunità ferita si racconta
Documenti di storia orale
a cura di
GIOVANNI BORRELLI
Prefazione di Felicio Corvese
SANTABARBARA
In copertina, immagine tratta da Imperial war museum, photograph
archive, NA 8064 - Collezione Giuseppe Angelone, Mediawar.
Elaborazione grafica: arch. Dario Corvese
Eccidi nazisti
Pignataro Maggiore
Ottobre 1943
A cura di Gianni Borrelli
Sb L043
ISBN 978-88-87512-27-4
© 2010 Tutti i diritti riservati per tutti i Paesi - All rights reserved for all Countries
Edizioni Santabarbara
Piazza C. Rosselli 10
81041 Bellona CE (Italy)
tel e fax: 0823.965008
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GIUSEPPE ANGELONE
«… quanti ne incontravano, tanti ne ammazzavano …».
Le fonti per la ricostruzione delle stragi di Pignataro Maggiore
Il ritrovamento, nel 1994, presso la Procura generale militare di Roma dell’ormai
ben noto “armadio della vergogna” ha stimolato da più parti una seria riflessione
sulle violenze perpetrate a danno dei civili italiani durante i venti mesi di occupazione nazista e sulla rimozione della memoria di quegli avvenimenti, attuata
consapevolmente per decenni.
Si trattava di un vecchio armadio di legno in stile ministeriale, “dimenticato” in
un seminterrato della stessa Procura con le ante rivolte verso la parete, nel quale
erano stati volutamente occultati 2.274 procedimenti iscritti al «Ruolo generale dei
procedimenti contro i criminali di guerra tedeschi»1. La casuale scoperta era avvenuta in seguito alle pressanti richieste formulate dal Procuratore militare presso il
Tribunale militare di Roma, dott. Antonino Intelisano, per ottenere gli incartamenti relativi alla posizione giuridica di Erich Priebke - uno dei maggiori responsabili
della strage delle Fosse Ardeatine, rintracciato in Argentina dopo mezzo secolo di
latitanza - per poterne chiedere l’estradizione e istruire un nuovo processo. Sono
stati, soprattutto, la caparbietà del giornalista Franco Giustolisi2, gli studi approfonditi di Mimmo Franzinelli e di Michele Battini e i lavori di una «Commissione
Parlamentare di inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti» (istituita con legge 15 maggio 2003, n. 107) a chiarire le responsabilità politiche dell’«insabbiamento» e dell’«imposizione del silenzio». Un’attività intensa che ricostruiva un fil rouge che conduceva direttamente al Presidente
del Consiglio dell’epoca, Alcide De Gasperi, e al suo più ristretto entourage. Lo
stato maggiore del centrismo, infatti, avrebbe allora garantito agli ufficiali italiani
di evitare di essere processati dalle autorità alleate per i crimini di guerra commessi soprattutto nell’area balcanica; inoltre, garantiva una coeva impunità per
responsabili tedeschi di stragi commesse in Italia in nome della superiore esigenza
di non turbare l’inserimento della Germania federale post-nazionalsocialista nella
NATO, trasformatasi così in un cardine dell’alleanza politico-militare occidentale
in funzione «anti-sovietica» all’alba della guerra fredda.
Gli Alleati avevano preparato accuratamente quel “maxiprocesso” ai criminali nazi-fascisti sulla stessa base «giuridica e tecnica» del processo di Norimberga. Ma la «ragion di stato» impose di non farlo celebrare. È evidente che la
sospensione delle inchieste agli inizi del 1960 non era stata determinata dalla
mancanza di prove, perché molti degli autori delle stragi non erano affatto “igno1
2
M. FRANZINELLI, Le stragi nascoste. L’armadio della vergogna: impunità e rimozione dei
crimini di guerra nazifascisti, Milano 2002, p. 137.
F. GIUSTOLISI, L’armadio della vergogna, Roma 2004.
57
ti”: tanto che per moltissimi di quei crimini le responsabilità erano state accertate
sin dal 1945 da una commissione governativa all’uopo istituita, collaborando
con le autorità alleate per individuare le generalità degli autori, il loro rango militare e le unità di appartenenza. Considerando, poi, che i fatti erano accaduti da
un lasso di tempo non eccessivo, sarebbe stato senza dubbio più semplice poter
individuare i responsabili di circa 10-15.000 vittime civili delle rappresaglie naziste e processarli3.
Quella «mancata Norimberga italiana», quell’«atto di giustizia mancato»
provocherà conseguenze «sui due terreni del diritto e della memoria pubblica»,
dando luogo a «effetti pesanti di rimozione, di ricostruzione selettiva e parziale
del passato prossimo»4.
I primi incartamenti giungeranno alle procure militari territoriali competenti
solamente tra il 1994 ed il 1996, solo in seguito alla scoperta dell’armadio; ma il
notevole lasso di tempo trascorso – ben 50 anni – e, forse, la scarsa attenzione prestata dai procuratori, solo in rari casi porterà ad investigare le responsabilità e ad
istruire i processi5, come avverrà, citando ad esempio un caso campano, per l’accertamento della colpevolezza del tenente Wolfgang Lehnigk-Emden, responsabile della strage di Caiazzo, che verrà condannato in contumacia a causa del rifiuto
della richiesta di estradizione da parte del tribunale militare tedesco di Coblenza.
A livello nazionale, ancora oggi manca un censimento sistematico delle località e delle diverse cause che condussero alle violenze contro i civili per poterle
collocare in un contesto storico e sociale ben preciso. Un primo passo è stato
compiuto dall’unità di ricerca nazionale coordinata da Paolo Pezzino alla quale
hanno partecipato gli atenei di Pisa, Bologna, Bari e Napoli6.
Alle pionieristiche ricerche di Giuseppe Capobianco – soprattutto per il casertano – hanno fatto seguito quelle di Gloria Chianese e di Gabriella Gribaudi
che hanno evidenziato quanto la memoria pubblica ufficiale, imperniata sulla
retorica della «resistenza armata e politicamente organizzata» nel centro-nord,
abbia messo in ombra i numerosi «atti di disubbidienza civile e di resistenza» nei
confronti dell’occupazione tedesca verificatisi nel Mezzogiorno e che avrebbero
3
4
5
6
La cifra di 10.000 vittime è indicata da E. COLLOTTI-T. MATTA, Rappresaglie, stragi, eccidi, in
«Dizionario della Resistenza», I, Storia e geografia della Liberazione, a cura di E. Collotti, R.
Sandri, F. Sessi, Torino 2000, p. 254; circa 15.000 sarebbero, invece, le vittime secondo M.
E. TONIZZI, Nazisti contro i civili: le stragi in Italia (1943-1945), in «Storia e memoria», IX
(2000), 1, p. 147. Questa seconda cifra è presa a riferimento anche nel documento sulle stragi
elaborato dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati istituita nel 1999 in seguito
alle forti pressioni dell’opinione pubblica sulla questione dell’armadio (Indagine conoscitiva
sul rinvenimento di fascicoli relativi a crimini nazi-fascisti, approvato il 6 marzo 2001).
M. BATTINI, Peccati di memoria. La mancata Norimberga italiana, Roma-Bari 2003, p. 5.
M. FRANZINELLI, Le stragi nascoste, cit., p. 44.
P. PEZZINO, Guerra ai civili, le stragi tra storia e memoria, in Crimini e memorie di guerra.
Violenze contro le popolazioni e politiche del ricordo, a cura di L. Baldissarra e P. Pezzino,
Napoli 2005, p. 6.
58
“meritato” di essere annoverati alla stessa stregua nella memoria nazionale.
Il lavoro di recupero, soprattutto in Campania, della «memoria ancora viva»
delle stragi perpetrate a danno dei civili dalle truppe germaniche7 e la riflessione sulle diverse strategie di «resistenza civile» con le quali la popolazione
reagì all’oppressione nazista, hanno favorito il superamento dello stereotipo di
una popolazione civile assolutamente passiva, o al massimo capace soltanto di
«jacqueries»8 e di sommosse reazionarie. Esse, infatti, erano state “declassate”
dalle correnti negazioniste a movimenti spontanei e non organizzati dai partiti
del CLN, etichettate pertanto come “non resistenziali” dalla sinistra antifascista,
come «un’azione plebea», un «pullulìo di scugnizzi e di scamiciati senza arte né
parte» dalla destra9. Le indagini hanno stabilito che sono stati molteplici gli episodi di opposizione armata di civili e di militari determinati, in molti casi, dalla
volontà di difendere il territorio, la sua gente e le sue risorse, presi di mira dalle
truppe tedesche in attuazione delle direttive di occupazione militare. È in quel
momento che si determina, infatti, la rapida trasformazione della concezione
del “tedesco” «da alleato, sia pure mal sopportato, in nemico» e la costruzione
dell’immagine del «nazista-massacratore»10.
Soprattutto nell’Italia meridionale ciò appare nella sua tragica evidenza, poiché gran parte delle rappresaglie non sono riferibili a episodi di lotta organizzata,
ma a tentativi di civili di reagire alle requisizioni, ai saccheggi, ai rastrellamenti
e all’obbligo di abbandonare le proprie abitazioni imposti dai tedeschi. Ed è
proprio in quest’ottica che vanno letti gli eventi di Pignataro, che agli inizi della
seconda decade di ottobre del 1943 era teatro di numerosi episodi di violenza
sui civili. La cittadina, poco a nord di Capua, in quei giorni brulicava di soldati
germanici perché ubicata in una posizione intermedia tra la prima linea e la posizione difensiva Barbara. Il fronte, infatti, si era bloccato lungo il corso del fiume
Volturno, una barriera naturale utilizzata dai tedeschi per rallentare l’avanzata
degli Alleati che stavano risalendo verso nord dopo l’insurrezione di Napoli.
Ancora una volta, quindi, si potrebbe tentare di stabilire un nesso tra le violenze
ai civili e l’arretramento della linea del fronte – da considerarsi come una fascia
territoriale profonda, all’incirca, una trentina di chilometri dalla prima linea –,
Per il casertano, le attività del Centro Studi “F. Daniele” e della sezione provinciale dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza, coordinati da Felicio Corvese, sono orientate da
anni al recupero della memoria delle stragi e dei rastrellamenti di civili. A tal proposito, va
menzionata la mostra fotografica e documentaria Erba Rossa (2003) ed il relativo catalogo, e
gli audiovisivi Cavalli 8-Uomini 40 (2007) e Liberatori/Liberati (2009).
8
D. FREZZA, Cassino 1943-44: la memoria, in «Passato e Presente», 61, 2004, p. 3.
9
M. ISNENGHI, Percorsi della memoria italiana nella Seconda Guerra Mondiale 1940-45, in
Percorsi della memoria 1940-45. La storia, i luoghi, a cura di V. Paticchia e P. Zurzolo, Bologna 2005, pp. 45-60.
10
G. CHIANESE, “Quando uscimmo dai rifugi”. Il Mezzogiorno tra guerra e dopoguerra (194346), Roma 2004, p. 51.
7
59
osservando che almeno sei stragi e numerosi episodi “sparsi” avvennero proprio in quest’area nel giro di pochi giorni: Bellona (7 ottobre), Campagnola di
Marzano Appio (10 ottobre), Caiazzo (13 ottobre), Pignataro (12 e 14 ottobre),
Sparanise (22 ottobre).
Il rancore della popolazione nei confronti degli occupanti era palpabile, soprattutto a causa della demolizione delle abitazioni, delle requisizioni di bestiame e di derrate alimentari che l’avevano condannata letteralmente ‘alla fame’,
dei rastrellamenti degli uomini abili al lavoro da utilizzare per l’allestimento
delle linee difensive più a nord (Bernhardt e Gustav) o come manodopera coatta
nelle fabbriche in Germania11.
In attuazione della direttiva hitleriana del 12 settembre, nella quale si ordinava di fare «terra bruciata», veniva effettuata una distruzione sistematica, «senza
scrupoli», di tutte le infrastrutture e delle abitazioni per renderle inutilizzabili al
nemico e per ostacolarne le operazioni12. Una modalità d’azione che risulta in
maniera chiarissima da un appunto nei diari giornalieri della divisione corazzata
Hermann Goering della prima decade di ottobre:
… nel settore del gruppo di combattimento Corwin sono stati distrutti edifici
importanti della località Pignataro e nella notte tra il 10 e l’11 sono state
distrutte in questa città 141 case, e 36 nei dintorni…13.
Testimoni del luogo hanno raccontato che i tedeschi, con l’aiuto di collaborazionisti locali, segnavano con una vernice rossa le case da minare e distruggere,
ma alcune di esse vennero “miracolosamente” risparmiate in seguito ad “accordi” economici tra i proprietari e i guastatori.
La pressione degli anglo-americani per il superamento del Volturno e gli atti
di insubordinazione e di sabotaggio diventavano le cause scatenanti della distruF. CORVESE, L’autunno di sangue in Campania, in «Resistenza/Resistoria», Bollettino
dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza “Vera Lombardi”, n. s., 2/2004, pp. 29-34;
IDEM, La guerra nazista contro i civili dell’autunno 1943 nella Campania settentrionale, in
«Resistenza/Resistoria», cit., terza serie, 2007-2008, pp. 117-139.
12
L. KLINKHAMMER, L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Torino 1996, pp. 41-42; cfr.
p. 455, nota 103. F. ANDRAE, La Wehrmacht in Italia. La guerra delle forze armate tedesche
contro la popolazione civile 1943-1945, Roma 1997, p. 57.
13
G. GRIBAUDI, Guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste. Napoli e il fronte meridionale
1940-44, Torino 2005, p. 318. Notizie del saccheggio e delle distruzioni sono sul Risorgimento,
a. I, n. 22, 27 ottobre 1943 («Nuovi documenti della barbarie tedesca. Il saccheggio di Pignataro
Maggiore»); a. II, n. 24, 28 gennaio 1944 («Lo scempio di Pignataro Maggiore operato dai
soldati tedeschi»). Un rapporto della Tenenza dei Carabinieri di Capua, datato 2 dicembre 1943,
riferisce della distruzione di circa 100 abitazioni ed oltre 80 case coloniche; cfr.: P. DE MARCO,
La politica del terrore preventivo dei tedeschi in Terra di Lavoro (settembre-dicembre 1943),
in «La Resistenza nel Sud. Le azioni spontanee partigiane», atti del Congresso Internazionale
di studi (Caserta-Mignano Monte Lungo-San Pietro Infine, 21-24.10.2004), Società di Storia
Patria di Terra di Lavoro, Caserta 2005, pp. 135-136, nota 70.
11
60
zione dell’abitato e delle violenze inaudite nei confronti della popolazione. La
reazione contro alcuni civili potrebbe essere connessa alla sistemazione di filo
spinato per ostacolare il movimento degli automezzi tedeschi, all’interruzione
dei cavi di collegamento telefonico o, con maggiore probabilità, ad agguati nei
quali furono uccisi due militari tedeschi: un portaordini in transito lungo la statale Casilina e un soldato nella periferia dell’abitato.
In applicazione della direttiva Merkblatt 69/1, che prevedeva la lotta alle bande con la pena di morte per gli aderenti e i fiancheggiatori, nonché di un ordine
del giorno del 12 settembre 1943 – con il quale il feldmaresciallo Kesselring,
comandante in capo del settore meridionale, rendeva noto che a garanzia della
calma e dell’ordine sarebbero state applicate una serie di misure repressive nei
confronti della popolazione civile responsabile di «atti penalmente rilevanti»
verso le forze armate tedesche14 –, il 12 ottobre venivano passate per le armi
quattro persone nella contrada “Taverna” ed almeno altre cinque – tra cui un
bambino di pochi mesi – nei pressi del cimitero. Due giorni dopo ne furono trucidate altre undici nella contrada “Arianova”.
Per i comandanti tedeschi l’assimilazione dei civili ai «banditi» avrebbe giustificato e legittimato i comportamenti repressivi delle truppe che si dimostreranno «più affini al macello che alla guerra». Gli studi sull’argomento hanno
tentato di stabilire le cause dell’escalation della violenza che potrebbero essere
connesse al logorio dei soldati inviati a combattere su vari fronti, in Paesi a loro
sconosciuti, e, soprattutto, con una sorta di macabra «abitudine alla morte» che
avrebbe liberato i soldati da qualsiasi freno inibitorio.
La possibilità di infliggere impunemente la morte (anche in forme massificate)
rappresentava la più brutale espressione di potenza e di senso del comando, in
ristabilimento del dominio contestato e violato15.
Le uccisioni sparse nella contrada “Taverna”
È possibile effettuare una ricostruzione abbastanza dettagliata degli avvenimenti
di Pignataro attraverso una duplice tipologia di informazioni: la documentazione
ufficiale inserita nel fascicolo relativo alle indagini effettuate dalle autorità anglo-americane, tra novembre 1943 e gennaio 1944, per ricomporre gli eventi e
identificare i responsabili al fine di istruire un processo, e le testimonianze orali
raccolte negli ultimi anni per la redazione di questo volume. La documentazione americana fornisce informazioni utilissime per la ricostruzione degli eventi,
soprattutto perché restituisce alcune dichiarazioni raccolte nelle settimane suc14
15
F. ANDRAE, La Wehrmacht in Italia, cit., pp. 38-39.
L’«armadio della vergogna». Intervista a Mimmo Franzinelli, «l’Unità», 14.07.2003, in Memoria e giustizia. Stragi, crimini di guerra, processi - Italia 1943-1945, «Giorni di Storia», 8,
Roma 2003, p. 2.
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cessive allo svolgimento dei fatti. Essa si riferisce ad un’unica inchiesta su due
episodi di esecuzioni sommarie16 avvenuti in altrettante masserie, una denominata Massaria Canale, l’altra Massaria Carcereri17.
Tralasciando la prima - che ha a che fare con la strage della contrada “Arianova” della quale discuteremo in seguito - focalizziamo l’attenzione sulla seconda, che cronologicamente la precede. Un’indagine effettuata recentemente
ha potuto stabilire che la denominazione Masseria Carcerari o Carcereri non è
storicamente attestata nella toponomastica cittadina. È plausibile che nella fase
di acquisizione delle dichiarazioni i redattori della documentazione - afferenti
al X Corpo d’Armata britannico - abbiano trascritto erroneamente l’appellativo
Carcerieri che può essere collegato ad una famiglia di coloni dimorante in una
fattoria poco distante dal locale cimitero, «circa un miglio sud ovest di Pignataro», cioè proprio nell’area dove avvengono le uccisioni18.
Occorre precisare, però, che nella sezione dell’indagine dedicata alla Masseria Carcerieri l’unico riferimento è all’uccisione di Pasquale De Riso per la
quale, il 20 dicembre 1943, il soldato P. Vassale ed il caporale E. Moore acquisirono la dichiarazione della moglie, Colomba, che la sottoscrisse insieme ai figli
Antonio, Concetta e Donetta a garanzia della veridicità19:
La famiglia, con il padre, DE RISO, Pasquale, stava lavorando il nostro
terreno quando all’incirca il 18 settembre 43 fummo avvisati dai Tedeschi
di lasciare la fattoria se non volevamo essere sparati. Mio marito mi disse
di prendere i bambini e qualche indumento ed andare a PIGNATORE [è
Pignataro, n.d.A.]. Lui si fermò dietro alla fattoria per irrigare il terreno, e
poi venne a PIGNATORE. Rimase là per uno o due giorni e poi fu catturato
dai Tedeschi, con qualche altro civile, alla volta di CASCANO. Da lì furono
trasferiti al Campo di Concentramento di SPARANISE, dove c’erano numerose
persone. Pochi giorni dopo, riuscì a scappare, e ritornò a casa a PIGNATORE.
Si nascose per qualche giorno con la sua famiglia alla massaria CARCERERI,
In base alla casistica definita dal gruppo di ricerca napoletano, coordinato da Gabriella Gribaudi,
per “stragi” devono intendersi eventi con tre o più vittime; gli altri sono da classificare come
episodi “sparsi”. Cfr. lo schema riassuntivo delle più importanti stragi in Campania e in
provincia di Frosinone in P. PEZZINO, Guerra ai civili, cit., p. 55.
17
NARA, RG338, Major Case Reports of the Inspector General, 5th Army, Entry 42844 (A1),
290/64/25/03, box 3, Case n. 70, Consolidated Report on Massaria Canale and Massaria
Carcereri, 27 dicembre 1943 (foto 1-3). Un tentativo di ricostruzione degli eventi, sulla
scorta delle notizie tratte dal fascicolo americano, è stato effettuato da G. CHIANESE (“Quando
uscimmo dai rifugi”, cit., p. 65).
18
Sull’ipotesi dell’errore di trascrizione dei toponimi credo non vi siano dubbi: nella stessa
relazione, ad esempio, in riferimento al campo di raccolta di civili rastrellati, ubicato a ridosso
della stazione ferroviaria di Sparanise, la località è menzionata per ben due volte come
Paranise, mentre Pignataro è riportato come Pignatore.
19
NARA, RG338, cit., box 3, Translation of Statement of Colomba, Deriso, born at S. Maria C.
V., 8 Sep. 1885, now living at Via Caselino, 128, Pignatore Maggiore.
16
62
vicino al cimitero. Alcuni Tedeschi vennero e ci intimarono di lasciare la casa,
dicendoci che stavano per minarla.
Trascorremmo la notte nei campi, e la mattina altri due soldati vennero e
portarono mio marito a qualche metro di distanza da noi, e gli spararono. Io
e miei figli iniziammo a piangere e non sapevamo cosa fare, e i due soldati
andarono via. Quando stavo trasportando mio marito al cimitero, vennero altri
sei soldati e mi dissero di dare loro i miei soldi se non volevo essere sparata
insieme ai miei bambini. Io diedi loro 1000 lire che avevo in tasca.
Mio marito è stato ucciso il 12 Ottobre 43.
Il 27 dicembre, sulla scorta di questa dichiarazione, il capitano Milton R.
Wexler, già incaricato di investigare sulla strage di Bellona il mese precedente,
redigeva un rapporto riassuntivo definitivo sulle stragi di Pignataro, descrivendo sinteticamente i fatti accaduti. Questo è il resoconto sui fatti della Masseria
Carcerieri:
Il 18 settembre Pasquale De Riso fu informato dai soldati nemici che avrebbe
dovuto evacuare la sua fattoria. De Riso e la sua famiglia, che includeva la
moglie, Columba, e tre (3) figlie, si spostò a Pignataro. Dopo uno o due giorni,
De Riso fu strappato alla sua famiglia dai Tedeschi e messo in un campo di
concentramento a Paranise [è Sparanise, n.d.A]. Poco tempo dopo, De Riso
fuggì, ricongiungendosi con la sua famiglia a Pignataro, e dopo si rifugiò con
la sua famiglia nella fattoria Carcereri. I soldati tedeschi ancora una volta
ordinarono l’evacuazione, dicendo loro che l’abitazione sarebbe stata minata.
De Riso e la sua famiglia trascorsero la notte nel campo confinante. Nella
mattinata del 12 ottobre 1943, due soldati Tedeschi presero Pasquale De Riso,
gli spararono uccidendolo a pochi metri dal luogo in cui era stato strappato
alla sua famiglia. La vedova, Colomba De Riso, fu avvicinata da sei (6) soldati
Tedeschi mentre trasportava il corpo del suo deceduto marito al cimitero. I
Tedeschi minacciarono di morte la vedova e i suoi bambini se non avesse dato
loro dei soldi. Columba De Riso quindi diede ai soldati mille (1.000) lire.
In effetti, i dati acquisiti negli ultimi anni permettono di stabilire che i civili uccisi il 12 ottobre nella contrada “Taverna”, ubicata a ridosso della statale Casilina,
furono almeno quattro. Le esecuzioni, però, non avvennero simultaneamente, ma
nel giro di qualche ora. Dalle testimonianze traspare l’efferatezza dei comportamenti dei soldati germanici che danno luogo a violenze che, ad una prima analisi,
non sarebbe errato definire «gratuite». Appaiono sintomatici in tal senso i casi di
Domenico Stellato, prelevato mentre dorme, colpito a morte e sepolto «nel fosso
che a lui stesso gli avevano fatto scavare»; di Vincenzo Rinaldi e Francesco Rotoli, falcidiati da una raffica di mitra mentre si stavano recando insieme verso l’abitazione del secondo per verificare l’entità dei danni provocati dallo scoppio di una
granata e i loro corpi occultati dai tedeschi; quello citato di Pasquale De Riso che
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fu freddato con un colpo di pistola alla nuca, mentre stava trasportando una balla
di fieno per gli animali, nonostante il fatto che avesse ottenuto un lasciapassare
dal comando tedesco, concessogli per il rifornimento dell’acqua agli stessi soldati
(testimonianza del figlio Antonio De Riso). La causa delle uccisioni non sembra
del tutto chiara. Nell’inchiesta americana il capitano Wexler tentava di ricollegare
l’esecuzione del De Riso alla fuga dal campo di Sparanise:
In nessuna parte delle dichiarazioni allegate appare che sia stata una
provocazione da parte di civili Italiani la causa delle esecuzioni. Nel caso del
De Riso, è possibile che sia stato riconosciuto come prigioniero fuggito dal
Campo di Concentramento di Paranise20.
Di diversa opinione sono i testimoni che negli anni seguenti hanno tentato di
“motivare” il gesto come vero e proprio atto di rappresaglia in quanto «avevano
trovato un portaordini tedesco morto … girava la voce che delle persone l’avevano sparato …». E la stessa motivazione traspare anche dalle testimonianze
relative alle altre tre vittime, nelle quali si conferma che «quel fatto ha provocato l’accaduto» (testimonianze di Vincenza Rotoli, Antonio Rinaldi e Eugenio
Minieri).
Attraverso i racconti viene a delinearsi anche la figura del probabile responsabile dell’uccisione del portaordini, tal Secondino Cafaro di Pantuliano, «un
uomo che si comportava come un partigiano … prendeva i tedeschi e li ammazzava …»; che «… non ha sparato ai tedeschi solo qua …». Emigrante espulso
dagli Stati Uniti, viene ricordato come un uomo che «non si faceva passare la
mosca per il naso». Un personaggio “idealizzato” la cui storia ad un certo punto
«si smarrisce», forse vittima di un vero e proprio «complotto» ordito da qualche
«spione dei tedeschi» ed il cui corpo «non fu trovato più». Ma «non furono i
tedeschi ad ammazzarlo, ci fu qualche altra cosa …». Nondimeno, anche nei
ricordi di alcuni parenti delle vittime bisogna registrare un certo risentimento
verso l’attentatore: un testimone, in particolar modo, tende a stigmatizzare il
comportamento del Cafaro, che avrebbe compiuto quell’azione «per apparire
bello agli occhi degli americani», ma «doveva pure pensare cosa poteva succedere dopo … e voi sapete i tedeschi come sono… se uccidevi un tedesco loro
uccidevano dieci italiani e quelli così fecero…».
In seguito ad un’accurata analisi della documentazione in suo possesso e dalle
indicazioni fornite dalla G-2 Section, ovvero dall’intelligence della Quinta Armata americana, il capitano Wexler tentava di stabilire quali fossero le unità tedesche
impegnate in quell’area nel periodo in cui avvennero le esecuzioni, cercando di
definire le responsabilità degli ufficiali e dei soldati afferenti a tali unità, addebitando loro anche la strage della Masseria Canale nella contrada “Arianova”:
20
Ivi, Consolidated Report cit.
64
Responsabilità.
In nessuna parte delle dichiarazioni appare che qualcuno dei soldati sia stato
identificato con il nome o con l’unità di appartenenza. Tuttavia è attestato che
i soldati intendessero minare la Masseria Carcereri, aumentando la possibilità
che le truppe erano di un’unità di genieri. Questo si deduce da un grafico,
Rapporto Periodico, del G-2, di questo quartier generale, che posiziona il
Battaglione Genio, della Divisione Hermann Goering, lì vicino. Esso rivela
anche che nelle vicinanze è stato il 3° Battaglione, 115° Reggimento Granatieri
corazzati, Divisione Hermann Goering. È considerato pertinente indicare che i
“pionieri” della Divisione Hermann Goering furono implicati nel riprovevole
“Massacro di Bellona” […].
Dall’Elenco degli Ufficiali Nemici, Divisione Hermann Goering, sono stati
individuati i seguenti nomi:
Maggiore Dederkind, Ufficiale Comandante del 3° Battaglione, 115°
Reggimento Granatieri corazzati, Divisione Hermann Goering21.
Capitano Haeffner, Ufficiale Comandante, Battaglione Genio,
Divisione Hermann Goering22.
Raccomandazioni.
Che i nomi dei due ufficiali menzionati nel precedente paragrafo siano distribuiti
diffusamente […] e che questo quartier generale sia avvisato sull’evento della
loro cattura.
Ulteriori indagini dovettero essere effettuate per accertare anche le cause della morte di Vincenzo Rinaldi e di Francesco Rotoli, dal momento che i loro nomi
appaiono in un fascicolo (n. 733) a carico di “ignoti militari tedeschi” menzionato nel Registro dei crimini di guerra nazifascisti, rinvenuto nel citato “armadio
della vergogna”. Anche questo fascicolo venne “provvisoriamente” archiviato
nel gennaio del 1960; sei anni dopo verrà trasmesso al Tribunale Militare Territoriale di Napoli, competente anche per l’area casertana, che stabilirà, con sentenza n. 269 del 28 giugno 1968, di non doversi procedere a carico di “ignoti”
Nel fascicolo dell’inchiesta il cognome dell’ufficiale tedesco è trascritto erroneamente: si tratta,
infatti, del maggiore Adolf Dedekind, nato il 24 giugno 1911, comandante del III Battaglione,
115° Reggimento Granatieri corazzati. Il battaglione, originariamente afferente alla 15. Panzer
Grenadier Division, in estate venne aggregato alla divisione corazzata Hermann Goering.
Il maggiore Dedekind era stato titolare di un gruppo omonimo (Kampfgruppe Dedekind)
formato il 25 giugno 1942 per combattere in Nord Africa proprio con elementi della 15.
Panzer-Division (Infanterie-Regiment 115 - III. /115, due compagnie, I. /115 - e I. / ArtillerieRegiment 33); cfr.: Formationsgeschichte und Stellenbesetzung der deutschen Streitkräfte:
1815-1990, Tl. IV, Abt.1, Stellenbesetzung des deutschen Heeres 1935-1945. Die Dienststellen,
Kommandobehörden u. Truppenteile des Heeres ... , Bd. 1. Nr.1-10.
22
Il capitano Paul Haeffner comandò il battaglione del Genio (Panzer Pioniere Battalion) della
divisione Goering dal dicembre 1942 al gennaio 1944.
21
65
per l’impossibilità di individuare i responsabili in considerazione del lasso di
tempo trascorso23. Ma non si trattava affatto di “ignoti”, in quanto l’inchiesta
americana relativa al Di Riso era giunta all’individuazione del maggiore Dedekind e del capitano Haeffner. Purtroppo, il giudice istruttore napoletano non
avendo la possibilità di consultare il fascicolo dell’inchiesta americana, perché
“occultato”, non poté istituire alcun collegamento tra le uccisioni avvenute il 12
ottobre nella stessa località, imputabili alle medesime unità tedesche.
La strage del Cimitero
Quasi del tutto assente nella documentazione e nella “memoria” locale è un altro
episodio di violenza perpetrato dai tedeschi presso il locale camposanto, ubicato
a pochi metri di distanza dalla contrada “Taverna” in cui avvengono le esecuzioni sopra menzionate. Notizie in merito alla vicenda sono state individuate
presso l’Imperial War Museum di Londra nel corso di una ricerca, coordinata
da Paolo De Marco, sulla documentazione “visiva” della guerra in Campania.
Sfogliando le innumerevoli immagini e le «dope sheets» (sommari delle riprese)
dei rulli realizzati nel corso dell’autunno 1943 dai fotografi e dai cineoperatori
britannici nel territorio casertano, sono balzati all’occhio quattro scatti (foto 4-7)
e un filmato di circa un minuto che documentano «German atrocities at Maggiore, near Pignataro» (atrocità tedesche a Maggiore, vicino Pignataro). Esse
rappresentano, tra l’altro, l’unica testimonianza visiva delle stragi nel casertano
rinvenuta a tutt’oggi.
Il sergente inglese Taylor, che realizzò il breve filmato il 22 ottobre, nell’introduzione al sommario delle riprese riportava alcune notizie che aveva ottenuto
da un civile italiano due giorni prima:
[…] Quest’area era nelle mani nemiche, e sotto il fuoco della nostra artiglieria.
Il muro di recinzione della chiesa era usato dai mitraglieri tedeschi. Un gruppo
di civili, che includeva 3 uomini, una donna e un bambino provarono ad entrare
nel recinto per proteggersi, sapendo che noi evitavamo di colpire quei luoghi.
Quando giunsero ai cancelli, i Tedeschi puntarono le mitragliatrici su di loro,
uccidendoli tutti.
Ad altri civili fu ordinato di scavare delle fosse, sei in tutto, pensando che
fossero destinate alle sfortunate persone che erano con loro, ma invece furono
costretti a seppellire i soldati Tedeschi, che erano stati uccisi sulla linea del
fronte. [...]24.
Il fascicolo suddetto fa parte di quel blocco di circa 1.300 altri incartamenti inviati alle procure
militari competenti tra il 1965 ed il 1968. Tutti, nessuno escluso, erano rubricati “contro
ignoti”, quindi tendenzialmente «inoffensivi»; gli altri 695, riscoperti nell’“armadio” nel 1994,
riportavano, invece, anche i nomi dei responsabili (cfr.: M. FRANZINELLI, Le stragi nascoste,
cit., p. 138).
24
Imperial War Museum, Film and Video Archive, A574/1/5.
23
66
Le quattro scene, seppur nella loro brevità, sono raccapriccianti: in esse vengono mostrati i corpi privi di vita che giacciono all’interno della cancellata d’ingresso, già ad un primo stadio di decomposizione. La cinepresa fu soffermata su
un uomo con una corda al collo con la quale - secondo l’ipotesi formulata sia dal
cineoperatore, sia dal fotografo, il sergente Wackett, entrambi presenti sul luogo
- la vittima sarebbe stata trascinata dall’esterno del cimitero al suo interno. Il filmato continua con la sepoltura dei corpi di un padre e un figlio, rispettivamente
di cinquanta e quattordici anni, posti accanto a quelle dei soldati tedeschi. Tuttavia, l’immagine più cruda è certamente quella del bimbo di pochi mesi, il cui
corpo era stato deposto all’interno di una vecchia cassa di legno25.
La presenza di quei corpi all’interno del cimitero è menzionata anche da una
testimone oculare, Antonio De Riso, che ha dichiarato di averli visti quando vi
trasportò il corpo del padre Pasquale, ucciso il giorno prima alla “Taverna”:
… io e mia sorella Cuncetta lo mettemmo con tutto il materasso sulla carretta
e lo portammo al Camposanto… A terra … fuori … giaceva una creatura morta
… Era tutta scoperta … mia sorella quando la vide disse: “pecchè na purtamm’
rent’ sta criatur’ ”. Poi la prese in braccio e la portò dentro, nel Camposanto …
a terra c’erano delle lenzuola con dentro arrotolati altri cadaveri … saranno
stati sette o forse otto … mi ricordo come fosse stato ieri … li abbiamo lasciati
nella sala mortuaria …
Questa testimonianza permette di circoscrivere un periodo abbastanza preciso
in cui l’eccidio del cimitero si verifica, cioè intorno al 12 ottobre. Essa, inoltre, va attentamente valutata sul dato numerico delle vittime. Ad integrazione
e avallo di quanto dichiarato dal testimone, infatti, vi è un breve inciso presente in una dichiarazione “ufficiale” allegata alla citata documentazione raccolta
per l’inchiesta anglo-americana sulle stragi delle masserie Carcerieri e Canale.
È il maggiore inglese G. E. Dashwood, comandante della 18ª batteria del 56°
reggimento di artiglieria (18 Bty, 56 Hy Regt, RA), a redigere la sua personale
testimonianza qualche giorno prima del 13 novembre, data in cui risulta trasmessa, insieme ad altra documentazione, dal tenente generale M. W. Cooke,
comandante del X Corpo britannico, al Comandante generale e al Psycological
Warfare Branch26 della Quinta Armata, nonché al Comandante generale del 15°
Gruppo di Armate.
L’ufficiale inglese, descrivendo le operazioni di recupero e di sepoltura delle vittime della strage della Masseria Canale - alle quali avevano partecipato i
soldati britannici con l’ausilio anche di automezzi per il trasporto delle salme al
25
26
Ivi, Photograph Archive, NA 8061-64.
Il PWB era un organismo posto alle dirette dipendenze del Comando Generale delle Forze
Alleate (AFHQ), istituito dal Governo militare anglo-americano durante il periodo di
occupazione ed incaricato di esercitare il controllo sui mezzi di comunicazione italiani.
67
cimitero di Pignataro - riportava testualmente:
Al cimitero il mio attendente e l’autista del camion avevano visto altri sei
corpi uno dei quali di un bambino di circa tre mesi che era stato colpito
nell’inforcatura, e cinque uomini di mezza età. Non è stato possibile accertare
le cause della loro morte.
Che vi fossero altri corpi, quindi, non vi è alcun dubbio. Ma allo stato attuale
delle ricerche non è possibile attribuire loro alcuna generalità. Neppure le reali
cause che provocarono l’eccidio sono del tutto chiare: davvero i tedeschi spararono all’impazzata sul gruppo di civili che tentava di entrare nel cimitero? Oppure fu ancora un’azione per vendicare l’uccisione del portaordini e ristabilire
il «rapporto 10:1»27 che i tedeschi praticavano per rappresaglia per ogni soldato
ucciso?
La ricostruzione dell’evento, seppur basata su notizie frammentarie attinte da
più fonti, permette di definire, tuttavia, un ulteriore tassello da inserire nell’atlante delle stragi tedesche nel casertano.
La strage dell’“Arianova”
Nel fascicolo dell’indagine americana la Massaria Canale, luogo in cui ebbe luogo l’eccidio, viene posizionata geograficamente «near Capua» (vicino Capua) e,
più precisamente, «about five miles northwest» (circa cinque miglia nord ovest)
dalla città. Le testimonianze orali acquisite negli ultimi anni hanno permesso di
stabilire, con maggiore precisione, che la rappresaglia si verificò proprio nel territorio di Pignataro28. Per questo eccidio la documentazione archivistica americana ci restituisce un numero maggiore di testimonianze – due di ufficiali inglesi
e tre di civili italiani – acquisite tra novembre e dicembre 1943, che forniscono
un supporto importante solo per “tratteggiare” le dinamiche dell’evento, senza
poterle chiarire con certezza. Infatti, le dichiarazioni rese appaiono diversificate
e, in parte, discordanti, soprattutto sull’entità della strage.
La prima fase dell’inchiesta venne svolta dal personale britannico nei giorni
M. FRANZINELLI, Le stragi nascoste, cit. p. 27, riferisce di alcune «istruzioni di massima»
fornite dal comandante supremo della Wehrmacht, Wilhelm Keitel, secondo le quali le forze
di occupazione avrebbero potuto fucilare dieci italiani per ogni soldato tedesco vittima di
un’imboscata.
28
La Masseria Canale, infatti, è ubicata nella località “Pezzasecca”, riportata nella Carta
topografica d’Italia IGM, foglio n. 172, ed è conosciuta dai residenti e dai testimoni con
l’appellativo di Masseria “Fratta”. Un primo tentativo di ricostruzione della strage è in A.
FORMICOLA, Pagina dolorosa nella storia di P.M., in «Il Pino», a. 1, n. 5, settembre-ottobre
1984, pp. 21 e 25; cfr. anche G. CAPOBIANCO, La giustizia negata: l’occupazione nazista in
Terra di Lavoro dopo l’8 settembre 1943, Centro C. Graziadei, Caserta 1990, p. 14.
27
68
immediatamente successivi all’ingresso delle truppe nell’abitato di Pignataro.
Non saranno acquisite testimonianze di civili, ma solo due dichiarazioni di ufficiali inglesi che verranno inoltrate il 13 novembre alle autorità americane.
Anche per questo drammatico evento, è ancora il maggiore inglese G. E.
Dashwood ad offrirci una testimonianza diretta delle operazioni di recupero e di
sepoltura delle vittime della strage alle quali aveva assistito:
Il 20 Sett. [è Ott., n.d.A.] stavo effettuando una ricognizione di una postazione
di mitragliatrici a circa cinque miglia nord-ovest di CAPUA, ed andai in una
fattoria localizzata a 125845. All’esterno c’erano resti di fieno e all’interno un
granaio, dove rimaneva una scorta di carne bovina. Un forte odore di corpi
bruciati mi condusse in un piccolo frutteto dove trovai tre fosse parzialmente
riempite. Dalla prima fuoriusciva un paio di stivali che erano agganciati a
qualcosa sotto terra. In cima alla seconda c’era il cappello di un soldato
Italiano, ed un accessorio di una divisa militare.
Nella casa c’erano due uomini, uno dei quali mi raccontò la seguente storia:
I tedeschi avevano lasciato la fattoria tre giorni prima. Al loro arrivo, qualche
giorno prima, avevano ordinato agli abitanti di evacuare. Ma furono lenti nel
rispettare quest’ordine, quindi gli fu ordinato di scavare le loro tombe e vennero
uccisi con mitragliatrici mentre erano in piedi sui bordi delle fosse.
C’erano tre donne e un uomo nella prima, sette uomini nella seconda, e un
ragazzo di 15 anni nella terza sepoltura. Quest’ultimo era il figlio di uno degli
uomini al quale era stato chiesto se fosse stato nell’Esercito Italiano. Quando
lui disse “si”, fu messo in piedi accanto a suo padre e gli fu riservato lo stesso
destino. Quattro di queste persone erano state evacuate dalla SICILIA. I restanti
erano abitanti del luogo.
Il narratore spiegò la sua fuga, dicendo che egli era stato sparato mentre
correva via, ma era riuscito a ripararsi e a non essere colpito.
Il giorno successivo un gruppo di civili, in maggior parte donne e bambini,
arrivarono per esumare i corpi. Il dissotterramento fu effettuato da una mezza
dozzina di uomini, mentre le donne guardando la scena gemevano quasi come
se fosse stato un rito Orientale.
Ci fu una scena drammatica quando uno degli uomini recuperò il corpo del
figlio e si inginocchiò sul cadavere fino a quando fu portato via da uno degli
uomini.
Gli uomini furono implorati di prendere i corpi e trasportarli al cimitero […].
Tre corpi furono deposti in altrettante bare che furono recuperate. […]
Questa dichiarazione è affiancata dalla testimonianza di un altro ufficiale inglese, il capitano L. F. Anderson, della 2ª compagnia/4° battaglione del reggimento King’s Own Yorkshire Light Infantry (Koyli):
Le truppe tedesche occupavano la fattoria precedentemente al 18 Ott. 43,
giorno in cui furono commesse le atrocità. Occuparono l’edificio, e tutti quelli
vicini, intimando che fossero consegnate tutte le scorte di viveri che vi erano
conservate, uccidendo quasi tutto il bestiame, compresi 75 polli e alcune mucche.
I civili italiani che lavoravano nella fattoria e in quelle vicine, diedero qualsiasi
69
cosa per tenere calme le truppe Tedesche. Quando i Tedeschi vennero a sapere
dell’avanzata delle truppe Britanniche e Americane verso la fattoria, andarono
verso le fattorie vicine rastrellando i civili Italiani che vi lavoravano. Alle 3.00
del 18 Ott. 43, un gruppo di 12 Italiani fu portato alla fattoria (era composto
da sei uomini, rispettivamente, di 67, 45, 35, 30, 20 e 21 anni; due ragazzi di 13
anni; due giovani fratelli di età sconosciuta e due soldati Italiani).
Alle 10.00 del 18 Oct. 43 ai dieci civili e ai due soldati Italiani fu ordinato
con la forza di scavare le loro tombe. A mani giunte, gli Italiani implorarono i
Tedeschi di dire loro il motivo per il quale sarebbero stati uccisi.
Non mostrando alcuna compassione, il sottufficiale Tedesco che li comandava
fece disporre gli Italiani di spalle e ordinò ai suoi uomini di sparare.
I corpi furono ammassati in due fosse e vennero ricoperti solo da un piccolissimo
strato di terreno. Dopo la fucilazione, le truppe Tedesche lasciarono la fattoria
ma prima del loro allontanamento diedero fuoco agli edifici della fattoria e ai
mucchi di fieno; distrussero tutti gli attrezzi agricoli, incluso un impianto per
la produzione dell’olio d’oliva e resero inutilizzabili tutte le scorte di grano che
erano state immagazzinate.
L’autenticità della suddetta dichiarazione è assolutamente affidabile ed è posta
in evidenza in quella fornita da un contadino Italiano, BONACCI GIOVANNI,
che lavorava nella fattoria. Era riuscito a sfuggire al destino degli altri Italiani
perché si era nascosto in una buca profonda scavata in un terreno della
fattoria. Nello stesso modo riuscì a salvare la vita anche ad un giovane ragazzo
Italiano.
Questo Italiano ha dichiarato che tutti i ragazzi Italiani tra i 13 e i 16 anni d’età
in questa area sono stati portati in Germania come forza-lavoro.
Ha anche citato alcuni esempi di crudeltà dei Tedeschi verso gli Italiani,
incluso il brutale trattamento di donne, che erano state portate via dalle truppe
Tedesche con dei veicoli e non avevano fatto più ritorno alle loro abitazioni.
Un contadino Italiano di una fattoria limitrofa era stato colpito a morte,
lasciando sei bambini piccoli, il più grande dei quali aveva solo sette anni.
[…]
Le sepolture dei civili Italiani sono state viste da tutte le truppe Britanniche
presenti in quest’area, e non ci sono dubbi sulla veridicità di queste atrocità.
I corpi di qualcuno dei morti ora è stato rimosso e portato al cimitero dai
familiari, essendo aiutati in queste operazioni dai membri della 18ª batteria del
56° reggimento di artiglieria.
In seguito alla trasmissione della documentazione alle autorità americane, il
20 dicembre, per la prosecuzione delle indagini, gli stessi militari sopra citati, il
soldato P. Vassale ed il caporale E. Moore, ottenevano la dichiarazione autografa
di Francesco Di Gaetano, scampato miracolosamente alla strage nella quale aveva perso la vita il padre Mattia:
Io sottoscritto dichiaro che ero presente alla fucilazione delle seguenti persone:
DI GAETANO, Mattia, VALIVELI [è Vagliviello, n.d.A.], Antonio, DI RAUSO,
Antime [è Antimo, n.d.A.], e SILVESTRO, Antonio, e molti altri, di cui non
conosco i nomi. In tutto erano 12 persone, ma uno era stato ucciso intorno al 6
ottobre 43 ed era stato sepolto dietro la fattoria.
70
Io e mio padre stavamo lavorando nella nostra fattoria, quando vedemmo
arrivare tre soldati Tedeschi armati con armi automatiche, che erano alloggiati
a Massaria CANALE. Ci portarono alla massaria CANALE. Presero tutti
i nostri soldi e un orologio. Ci fecero pulire l’aia e la casa e sotterrare la
spazzatura. Ci presero tra le 12.00 e le 18.00.
Ci portarono a dormire in una casa rurale, dove trovammo altre persone che
stavano dormendo lì da prima di noi, fra cui c’erano due soldati Italiani. Alle
3.00 circa la porta si spalancò e la sentinella disse ai due soldati Italiani che
erano liberi di andare via. Appena i soldati fecero qualche passo, i soldati
Tedeschi li colpirono con una mitragliatrice. I soldati furono trovati ancora in
vita, così furono riportati alla fattoria, e lì furono uccisi.
Allora uscimmo fuori dall’edificio e formammo un cerchio intorno ai due corpi.
I soldati tedeschi iniziarono a parlare fra loro, fummo messi in fila e ci fecero
dirigere verso le tre fosse che precedentemente avevamo scavato. Così mentre
stavamo camminando, i Tedeschi iniziarono a spararci, e io ebbi l’opportunità
di scappare. Mentre scappavo non mi fu possibile vedere chi stavano sparando
in quel momento. Scappai, non sapendo dove stavo andando.
Dopo aver corso per circa due chilometri trovai un ponte su un torrente, alto
circa 4 metri. La fame e il freddo mi spronarono ad andare più lontano. Quella
notte scappai sulle montagne, dove trovai mia madre e la famiglia. Tre giorni
dopo arrivarono le prime truppe inglesi. Aspettai altri due giorni e poi decisi
di ritornare alla fattoria per vedere cosa era successo a mio padre e ai suoi
compagni.
Quando arrivai alla massaria CANALE, trovai le sepolture, e capii cosa
era successo. C’erano anche i familiari degli altri uomini uccisi. Iniziammo
ad aprire le fosse e a prendere i corpi per dare loro una degna sepoltura al
cimitero.
Noi non avevamo mai ricevuto ordini di evacuare la fattoria o l’area.
C’erano diciassette soldati presenti all’eccidio, incluso un Sergente Maggiore e
un Caporale, che avevano vissuto in precedenza a massaria CANALE per circa
venti giorni.
I civili italiani furono portati alla fattoria [...], senza sapere la ragione. Furono
costretti a lavorare in condizioni di schiavitù, con una pistola sempre dietro la
nuca, senza concedergli neanche un momento di riposo [...]29.
Sull’effettiva presenza dei soldati tedeschi all’interno della masseria, tra i
quali un sergente ed un caporale, è fondamentale la testimonianza rilasciata nella
stessa giornata dal colono della stessa, Giovanni Bonacci30, che avvalorava la
precedente dichiarazione del Di Gaetano. Nella stessa si faceva anche riferimento a beni, viveri ed animali razziati nelle fattorie limitrofe. Con il precipitare
NARA, RG338, cit., box 3, Translation of Statement of Di Gaetano, Francesco, born at
Camigliano, 17 Nov. 14, now living at Pignatore Maggiore, nr. Capua. A molti anni di distanza
dagli eventi una dichiarazione dello stesso testimone è stata acquisita e pubblicata da G. MOTTI,
Podestà e poi Sindaci.“La guerra sotto i piedi, la storia sotto i passi, i fatti sotto la pelle”,
Aversa 1998, pp. 146-147, nella quale si riferisce che i soldati italiani, di origine siciliana,
sarebbero stati ben cinque.
30
Ivi, Translation of Statement of Bonacci, Giovanni, born at Camigliano, 28 Sept. 1888. Now
living at Pantigliano [è Pantuliano, n.d.A.], nr. Capua.
29
71
degli eventi il colono aveva deciso di lasciare la masseria e di dirigersi con la sua
famiglia verso Pantuliano.
[…] Tornai alla mia fattoria CANALE dopo l’arrivo delle truppe inglesi, senza
sapere cosa fosse successo lì. Quando arrivai alla fattoria, la trovai bruciata e
la paglia e le piante di ulivi stavano ancora bruciando.
Il giorno successivo, Di GAETANO venne alla fattoria per cercare suo padre.
Cercando nel terreno, trovammo le sepolture. Rimuovemmo il terreno e lì trovò
il corpo che riconobbe come quello di suo padre. […]
Il giorno successivo è il padre di un’altra vittima a rilasciare la sua dichiarazione agli inquirenti. Si tratta di Gennaro Di Rauso31, padre del quattordicenne
Antimo (detto Antimiello):
Dichiaro di aver ricevuto dai Tedeschi l’ordine di evacuare la mia fattoria, e
l’8 Ott. 43 decisi di andare a CAMIGLIANO con la mia famiglia, lasciando
dietro di me i miei figli, Andrea, Baltazale e Antime, per prendere un orologio
sopra la fattoria e gli animali. Loro li nascosero per evitare che fossero razziati
dai Tedeschi. Il 9 Ott. 43 Antime arrivò, mandato dal fratello a vedere come ci
fossimo sistemati. Lui stette con noi circa mezz’ora, e ci lasciò nuovamente per
recarsi alla fattoria, portando con sé una bicicletta.
Fu preso dai Tedeschi vicino alla Massaria CANALE, e nessuno di noi seppe
più nulla di lui.
Lunedì, 11 Ott. 43, un certo Francesco arrivò, dicendomi che era stato mandato
da mio figlio Andrea, e stava cercando Antime. Rimasi stupito, sapendo che
Antime era andato via sabato. Non potei uscire per la paura dei Tedeschi, fino al
19 Ott. 43, quando vedemmo Di GAETANO, Francesco, che stava cercando suo
padre. Lui mi disse che avrei trovato Antime alla Massaria CANALE. Stemmo
nascosti ancora per qualche giorno fino a quando sapemmo che le truppe
Britanniche erano in zona, e decisi di andare a cercare Antime. Quando arrivai
alla Massaria CANALE, mi fu detto che mio figlio era stato ucciso dai Tedeschi
insieme a qualche altro.
Scoprii la sepoltura e trovai il corpo di mio figlio.
Mio figlio Antimo aveva 14 anni, essendo nato il 25 Maggio 1929.
Il 27 dicembre, il capitano Milton R. Wexler redigeva un resoconto finale
anche sui fatti verificatisi nella Masseria Canale, sulla scorta delle dichiarazioni
acquisite, in particolar modo quella del Di Gaetano che era l’unico testimone
oculare dell’accaduto. I dati salienti possono essere così sintetizzati: l’eccidio
sarebbe avvenuto intorno al 18 ottobre; erano presenti, tra gli altri, due soldati
italiani che furono i primi ad essere uccisi. Vennero scavate tre fosse per la sepoltura; in tutto furono fucilate undici persone nello stesso momento. Ad esse
andrebbe sommata un’altra vittima, uccisa intorno al 6 ottobre. Infine, il plotone
d’esecuzione sarebbe stato formato da diciassette soldati tedeschi.
31
Ivi, Translation of Statement of Di Rauso, Gennaro, born at Capua, 16 Oct. 1884. Now living
at Pignatore Maggiore, nr. Capua.
72
Due giorni dopo, il 29, Wexler trasmetteva il fascicolo delle indagini preliminari alle autorità superiori, affinché si potesse procedere all’individuazione
dei responsabili dell’esecuzione - magari tra i prigionieri di guerra internati nel
campo di Aversa - oltre ai già citati maggiore Dedekind e capitano Haeffner
che rappresentavano gli unici nominativi fino a quel momento acquisiti. Venti
giorni dopo, il 18 gennaio 1944, il tenente colonnello Charles H. Warren, comandante del Quartier Generale del Campo d’internamento per i prigionieri di
guerra (Headquarters Prisoner of War Enclosure) n. 326, redigeva un rapporto
nel quale segnalava i nomi di appartenenti alla 9ª compagnia del III battaglione,
115° reggimento della 15ª Divisione tedesca. Gli inquirenti ritenevano che tale
unità fosse responsabile delle violenze commesse a danno dei civili nell’area di
Pignataro:
EBERHART Franz
FIEDLER Kurt
HOLLAND Georg
MATERA Ludwig
MOELLER Otto
MUELLER Werner
PLODER Franz
SIKORA Franz
SIRSCH Gerhard
Gefr. [Gefreiter, caporale]
Ogefr. [Obergefreiter, caporal maggiore]
Ogefr. [Obergefreiter, caporal maggiore]
Sold. [Soldat, soldato]
Uffz. [Unteroffizier, sottufficiale]
Gefr. [Gefreiter, caporale]
Gefr. [Gefreiter, caporale]
Sold. [Soldat, soldato]
Uffz. [Unteroffizier, sergente]
In alcuni appunti manoscritti allegati al fascicolo sono riportati altri nomi di
militari tedeschi appartenenti allo stesso reggimento ma, allo stato delle ricerche, non è possibile stabilire alcun nesso con le vicende narrate. Infatti, questa
fase dell’inchiesta americana si chiude con la segnalazione dei nominativi dei
presunti responsabili.
Come si evince dalla documentazione, la data esatta della strage non è mai
menzionata, nemmeno tra le dichiarazioni dei testimoni. Infatti, in una comunicazione del 23 dicembre 1943 del tenente generale Cooke al Deputy Chief
of Staff della Quinta Armata americana è scritto testualmente: «Witnesses do
not remember the exact date, but it was obviously between 9 Oct 43 and 19
Oct 43» (i testimoni non ricordano la data esatta, ma ovviamente era tra il 9
ottobre 1943 ed il 19 ottobre 1943). Nella memoria popolare, tuttavia, la strage
dell’“Arianova” è collocata nella giornata del 14 ottobre. Tale data può essere
confermata da un documento ritrovato dal curatore di questo volume: si tratta
di una sentenza del Tribunale Civile e Penale di S. Maria Capua Vetere, n. 1291
del 27 febbraio 1947, con la quale si ordinava all’Ufficiale dello Stato Civile di
Pignataro Maggiore di redigere gli atti di morte di un padre ed un figlio originari
di S. Cipriano d’Aversa, Diana Cipriano fu Saverio e Diana Mario di Cipriano,
entrambi uccisi dai nazisti in quel luogo. Nella sentenza si affermava che, in seguito alle informazioni ottenute dal Comune e all’accertamento dei Carabinieri,
73
era stato possibile stabilire che la data di morte dei suddetti – quindi della strage
– era, appunto, il 14 ottobre 1943.
Come nel caso della “Taverna”, anche per questa strage furono svolte ulteriori
indagini, almeno per accertare le cause della morte di Antonio Vagliviello (erroneamente segnalato come Vagliaviello) e di Mattia Di Gaetano. Anche i loro
nomi, infatti, appaiono nel summenzionato fascicolo (n. 733) a carico di “ignoti
militari tedeschi” tanto a lungo occultato nei sotterranei del tribunale militare
generale di Roma. Come già osservato per gli episodi della “Taverna”, la scomparsa della pratica non permetterà di individuare e punire i responsabili. Infatti,
la tardiva trasmissione degli atti al Tribunale Militare Territoriale di Napoli darà
luogo alla medesima decisione, cioè di non doversi procedere a carico di “ignoti”. In questo caso, più che nel precedente – come è stato possibile segnalare in
seguito all’acquisizione del fascicolo dell’inchiesta americana – la rosa dei nomi
era ancora più ampia: accanto ai nomi del maggiore Dedekind e del capitano
Haeffner, venivano riportati infatti anche quelli di ben nove militari dei diciassette che, presumibilmente, avevano partecipato alla strage.
Le stragi dimenticate e la memoria sopravvissuta
La frenetica attività degli storici che negli ultimi tre lustri hanno prestato particolare attenzione alla ricostruzione dei tragici episodi legati all’occupazione nazista del territorio casertano ha stimolato positivamente la “memoria” sopita dei
testimoni di quegli eventi. Fortunatamente, essa è risultata ancora vivida, tanto
che in alcuni casi i fatti vengono ricordati «come se fosse stato ieri». Quando
non è stato possibile riscontrare documentazione archivistica sugli eccidi nazisti,
la testimonianza diretta di quanti furono coinvolti direttamente o indirettamente
agli eventi è stata fondamentale per gettare nuova luce su episodi completamente
dimenticati.
Si segnalava in apertura di questo saggio il concetto della rimozione “consapevole” della memoria di quegli eventi registrato a livello nazionale: ma tutto
ciò è accaduto anche nelle piccole realtà locali, dove, al contrario, più forte si
sarebbe dovuto sentire il senso di appartenenza ad una comunità e la condanna
contro qualsiasi forma di sopruso che ne avesse minato la sopravvivenza.
Negli ultimi anni sono state scritte alcune pagine fondamentali su tutto ciò,
su come le classi dirigenti post-fasciste abbiano operato in favore di una rimozione della memoria degli eccidi nazifascisti e sulla mancata elaborazione delle
memorie comunitarie:
Le stragi più dimenticate sono proprio quelle in cui a morire furono dei
“poveracci”: contadini, popolani, gente comune che non scappò, che non volle
abbandonare le proprie case, che non poté lasciare il lavoro dei campi o la
cura degli animali, e non ebbe poi parenti letterati che scrivessero di loro o
74
che pretendessero l’attenzione delle autorità. E le autorità li dimenticarono
facilmente32.
D’altronde, anche in questo volume è stata più volte denunciata l’azione di
rimozione svolta dalla classe dirigente locale. Ed è sintomatico il fatto che sugli
eventi di Pignataro per oltre quarant’anni sia calato un vero e proprio velo di
oblìo, una «coltre di gelido silenzio». Infatti, si dovranno attendere solo gli anni
Ottanta per elaborare i primi tentativi di ricostruzione delle stragi: fino ad allora
nulla era stato fatto per salvaguardarne il ricordo. Situazioni analoghe si sono
verificate, però, anche in altre località ubicate nella stessa area. Al contrario,
Bellona è l’unico luogo nel quale già nei momenti immediatamente successivi
all’eccidio si cerca di definirne le dinamiche e costituire un comitato che si occupi della “sopravvivenza” della memoria.
Anche nelle testimonianze raccolte a Pignataro si è invece assistito ad una
sorta di «metamorfosi della memoria» la cui conseguenza è stato il colpevole «oblio dei massacratori tedeschi» e la «ricerca di un capro espiatorio»33. A
Caiazzo per lungo tempo nella memoria collettiva la colpa del massacro di Monte Carmignano fu addossata alle stesse vittime che avrebbero fatto delle segnalazioni luminose agli americani per avvertire della presenza dei tedeschi nell’area;
a Bellona la colpa dell’uccisione di 56 civili fu imputata ad un uomo che avrebbe
lanciato una bomba verso tre soldati tedeschi, uccidendone uno e ferendone un
altro, per salvaguardare l’onore delle sorelle insidiate da questi; a Campagnola
di Marzano Appio la colpa della strage di sette civili è stata addossata ad un
uomo che avrebbe lanciato una bomba contro un soldato tedesco che tentava di
razziare il bestiame; a Sparanise la colpa sarebbe stata dell’esecutore di un furto
ai danni dei tedeschi di una borsa contenente documenti militari; a Conca della
Campania è stata stigmatizzata l’azione di un ufficiale italiano operante per gli
americani che, vestito da frate, avrebbe ucciso un militare tedesco, provocando
la rappresaglia dei suoi commilitoni sui civili.
Se controverse sono le cause delle stragi, ancor più appaiono tali le “memorie” delle stesse. Tuttavia, i molteplici tentativi di individuare un «colpevole
certo, vicino e riconoscibile» hanno determinato l’allontanamento dei soldati
tedeschi dal quadro narrativo, considerandoli «più astratti e distanti» dai fatti ed
attribuendo loro solamente una funzione strumentale e secondaria, pur essendo
gli effettivi colpevoli di quelle tragedie:
G. GRIBAUDI, Retorica pubblica e memorie private, in Terra bruciata. Le stragi naziste sul
fronte meridionale, a cura di EADEM, Napoli 2003, p. 367.
33
G. CONTINI, I massacri di civili toscani nell’estate del 1944 e la loro memoria, in Politiche
della memoria, a cura di A. Rossi-Doria e G. Fiocco, «Annali del Dipartimento di Storia»,
Università di Roma “Tor Vergata”, 3/2007, pp. 42-43.
32
75
Sembrano, piuttosto che uomini, meccanismi impersonali e incolpevoli che
scattano per effetto di un’azione compiuta da protagonisti veramente umani, loro
sì colpevoli di aver azionato il dispositivo della strage e liberato la sua cieca
energia distruttiva34.
Paradossalmente, quindi, i veri carnefici, cioè i soldati della Wehrmacht, cedono il posto a personaggi locali, additati immeritatamente al pubblico ludibrio
come responsabili degli eccidi. Il caso di Bellona è significativo: i tre protagonisti
- l’uomo che avrebbe lanciato la bomba e le sue sorelle - vengono “criminalizzati” e sottoposti ad una vera e propria “ghettizzazione” da parte della comunità
locale. Per molti massacri nel nord Italia, invece, saranno le azioni dei partigiani
ad essere indicate quali cause degli eccidi, dando luogo a un risentimento, a una
«memoria divisa» che avrebbe minato le stesse fondamenta del “mito” resistenziale, ponendo l’accento sul concetto della sua presunta «moralità»35.
Nelle dichiarazioni dei testimoni di Pignataro, appunto, i tedeschi appaiono
solo nel ruolo di “co-protagonisti” o, addirittura, di “comparse” nell’ambito degli eventi di sangue. Solo tra le righe dei ricordi di parenti e amici delle vittime
può leggersi qualche imprecazione nei confronti dei carnefici, mentre appare
evidente la ricerca del capro espiatorio, di una motivazione basata sul rapporto tra azione e reazione: l’uccisione del portaordini, infatti, viene interpretata
come la causa delle esecuzioni “sparse” nell’area della “Taverna”; quella a colpi
di ascia di un soldato nella periferia dell’abitato avrebbe determinato la strage
dell’“Arianova”. Non è possibile stabilire quando ha avuto inizio questa “metamorfosi” delle interpretazioni e il loro radicamento nella memoria pubblica, ma
è evidente che ciò dovette avvenire nel corso dei decenni, in quanto non ve n’è
alcun accenno nelle testimonianze rilasciate per l’inchiesta americana.
In conclusione, quali che siano le motivazioni – consapevoli o inconsce – che
hanno prodotto questa trasformazione delle interpretazioni, bisogna senza dubbio sottolineare che l’acquisizione delle nuove fonti, scritte e orali, effettuata per
la redazione di questo volume è da considerarsi certamente un’operazione fondamentale per il recupero della memoria di quelle violenze “dimenticate” sui civili, nell’ottica di una sua più consapevole trasmissione alle future generazioni.
34
35
Ibidem.
C. PAVONE, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza, Torino 1991.
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Foto 1-3 : Il rapporto americano sulle stragi di Pignataro
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Foto 2
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Foto 3
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Foto 4-7 : Le vittime della strage del Cimitero di Pignataro Maggiore
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Foto 5
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Foto 6
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Foto 7
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Il grafico allegato alla documentazione americana relativo alla dislocazione delle truppe tedesche
tra il 12 e il 13 ottobre 1943.
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