UNIVERSITÀ DI FIRENZE
MUSEO DI STORIA NATURALE
SEZIONE DI ANTROPOLOGIA E ETNOLOGIA
NUOVO SETTORE ESPOSITIVO
“STORIA NATURALE DELL’UOMO”
A. Genesi del progetto
Il Museo di Storia Naturale ha fra le sue finalità, definite nel Regolamento, quella di “assicurare la
fruizione delle collezioni scientifiche al pubblico attraverso una unità ostensiva permanente, unità ostensive
specialistiche, attivate presso le Sezioni, e mostre temporanee“.
Nella Premessa della Carta dei Servizi si legge che “Il Museo di Storia Naturale dell’Università degli
Studi di Firenze è un’istituzione che garantisce un servizio di ricerca scientifica e museologica, di
promozione e divulgazione della cultura scientifica e naturalistica nonché di conservazione ed incremento
delle collezioni“.
Il Consiglio Scientifico del Museo di Storia Naturale ha avviato, fin dal suo insediamento, una serie di
interventi mirati alla riqualificazione del Museo, alla valorizzazione delle sue collezioni e ad una maggiore
fruibilità da parte del grande pubblico.
Dopo una ricognizione delle necessità delle varie sezioni, delle potenzialità espositive e di interesse
per il pubblico, insieme a precise scelte culturali e scientifiche, il Consiglio Scientifico del Museo ha ritenuto
prioritario dare vita ad un forte investimento per la realizzazione di un intervento completamente nuovo in
una delle sezioni del Museo piuttosto che intervenire in una serie di operazioni di miglioramento ostensivo
dell’esistente per ciascuna delle sezioni.
Dopo un dibattito che si è sviluppato nell’arco di alcuni mesi, è emersa la volontà di intervenire sulla
sezione di Antropologia ed Etnologia.
L’attuale allestimento della sezione di Antropologia ed Etnologia risale agli anni Trenta del secolo
scorso (anche se è stato più volte rimaneggiato in anni recenti) ed è dedicato esclusivamente all’Etnologia
delle popolazioni umane attuali. Da quell’epoca, a parte un allestimento relativo all’evoluzione dell’uomo
realizzato dal conservatore delle collezioni antropologiche, dr. M. Piccardi, negli anni ’90 (e poi smantellato),
non vi è più stato spazio per temi relativi all’Antropologia intesa come Storia biologica delle popolazioni
umane viventi; la sezione di Antropologia ed Etnologia è stata, di fatto, un museo esclusivamente etnologico.
Questo non era nei propositi del suo fondatore né appare oggi scientificamente accettabile. Lo studio
della specie umana e della sua evoluzione nel tempo fu uno dei cardini del pensiero di Mantegazza:
l’antropologia, egli scriveva nel 1870, “non ha altra pretesa che quella di studiare l’uomo con lo stesso
criterio sperimentale con cui si studiano le piante, gli animali, le pietre […]. Non ha altra aspirazione che
quella di misurare, di pesare l’uomo e le sue forze senza il giogo di tradizioni religiose, di teorie filosofiche
preconcette, senza orgoglio, ma senza paure”.
In questa prospettiva, e sotto la direzione di Mantegazza, il museo di Antropologia ed Etnologia
cominciò a riunire collezioni antropologiche relative a popolazioni di varie parti del mondo. Grazie ai contatti
con naturalisti in tutta Europa e con viaggiatori, Mantegazza contribuì a costituire – e fu il primo, in Italia, a
concepire un museo di questo tipo – quello che è oggi un patrimonio di collezioni scheletriche unico al
mondo. Fra di esse vi sono documentate popolazioni ora estinte, quali i Fuegini, od ormai integrate con
popolazioni occidentalizzate quali, ad esempio, i Melanesiani. Mantegazza volle raccogliere collezioni
osteologiche e paleoantropologiche per lo studio dell’evoluzione dell’uomo. La sua attività fu tanto intensa da
radunare una importante raccolta di reperti comprendenti resti umani dell’età neolitica, eneolitica, del Bronzo
e del Ferro, importanti testimonianze della paleoantropologia italiana, una serie cospicua di resti etruschi ed
una collezione osteologica moderna di oltre 7.000 esemplari, provenienti da missioni scientifiche effettuate
nella prima metà del 1900 in Italia ed in diversi Paesi europei ed extraeuropei, rara testimonianza della
variabilità delle popolazioni contemporanee.
In seguito al suo interesse per lo studio degli aspetti osteologici e morfologici , Mantegazza fu pioniere
nell’utilizzo della fotografia quale metodo di osservazione e indagine e fondò, nel 1899, la Società
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Fotografica Italiana, di cui divenne presidente. Solo pochi anni dopo (1901) fondò il Laboratorio
Antropometrico, dove si raccolsero gli strumenti per la rilevazione dei dati morfometrici sia sullo scheletro
che sul vivente, strumenti che oggi costituiscono un ulteriore patrimonio scientifico e documentario
dell’attività del Museo e delle Istituzioni ad esso correlate.
A questo si aggiunge un’importante collezione primatologica, che annovera fra l’altro il cranio sul quale
il naturalista ed etnologo Enrico Giglioli descrisse una nuova specie di scimpanzé (Troglodytes
schweinfurthii, ora Pan troglodytes schweinfurthii). La collezione primatologica rispondeva alla precisa
esigenza di studiare la specie umana in un contesto evoluzionistico e in maniera comparativa rispetto alle
scimmie antropomorfe.
Mantegazza era un convinto assertore della unità dell’uomo e del sapere su di esso: non si può
comprendere la nostra specie se non la si studia sia dal punto di vista biologico sia da quello culturale. La
necessità di un approccio integrato emerse immediatamente nella sua attività scientifica, tanto che nel 1871,
solo due anni dopo la fondazione del Museo, egli creò la Società di Antropologia, Etnologia e Psicologia
comparata, che raccolse studiosi di discipline diverse e di cui lo stesso Charles Darwin fu socio onorario.
Da queste premesse risulta chiaro che la proposta di allestimento del nuovo settore espositivo sulla
Storia Naturale dell’Uomo è saldamente radicata nella tradizione del Museo, che vede l’Antropologia come
integrazione delle sue componenti, quella naturalistica e quella culturale.
Il Consiglio scientifico del Museo è convinto della necessità di un approccio integrato all’uomo,
giudicando per un verso scientificamente scorretto e per un altro culturalmente inopportuno tanto il prevalere
delle sue componenti fisiche e biologiche quanto quello delle sue componenti culturali ed etnologiche. Senza
niente sottrarre agli spazi dedicati all’ostensione dell’Etnologia, il Consiglio ha pertanto deliberato
all’unanimità, nella seduta del 9 settembre 2005, di dedicare parte del piano terreno del Palazzo Nonfinito,
che non è interessato dall’attuale percorso espositivo, all’ostensione dell’Antropologia.
La decisione di recuperare l’Antropologia ha un significato scientifico e culturale molto forte, in
particolare in questo momento storico nel quale sembrano ricomparire più o meno latenti disegni
creazionistici.
Lo scopo, convenuto nella seduta del Consiglio Scientifico del 2 marzo 2006, è quello di comunicare
(1) che l’uomo è una specie biologica appartenente all’ordine dei Primati, con affinità genetiche con le altre
specie di Primati, in modo particolare lo scimpanzé, (2) che esso ha avuto un’origine naturale e che la nostra
specie Homo sapiens è il risultato di un lungo cammino evolutivo nel corso del quale si sono succedute
numerose specie del genere Homo, molte delle quali hanno coesistito sulla Terra fino a poche decine di
migliaia di anni fa, e (3) che le attuali popolazioni umane non sono razze distinte ma popolazioni appunto
della stessa specie, le cui diversità sono il risultato di specifici fenomeni di adattamento biologico ad ambienti
naturali differenti. Ciò in linea con la finalità del Museo, che è quella di promuovere e diffondere la cultura
naturalistica.
Le modalità di raggiungimento dei suddetti obiettivi sono quelle
(1) di utilizzare la storia delle scienze naturali, per documentare le controversie scientifiche che si sono
succedute;
(2) di puntare sulle collezioni e le ricerche fiorentine. È stata una precisa scelta del Consiglio
Scientifico del Museo di Storia Naturale quella di presentare al pubblico quanto più possibile materiali facenti
parte delle collezioni del Museo, alcuni dei quali unici al mondo e di elevato interesse storico. Vi è infatti tra
gli obiettivi dell’esposizione quello della valorizzazione della sezione di Antropologia nella sua componente
naturalistica, basata in larga misura su collezioni ed oggetti che uniscono l’interesse scientifico con
l’interesse storico. Reperti scheletrici, resti fossili, fotografie, calchi in gesso, etc. – tutti elementi che fanno
parte delle collezioni del museo, alcuni risalenti ai primi anni dopo la sua fondazione nel 1869 e che per
troppo tempo sono rimasti nelle soffitte o nei magazzini senza che il loro significato potesse essere
comunicato al grande pubblico. Ora, in molti casi per la prima volta, il nuovo allestimento darà la possibilità
di far conoscere questi elementi finora trascurati del patrimonio scientifico;
(3) di informare sui dibattiti in corso, senza acriticamente accogliere l’una o l’altra delle soluzioni che
vengono attualmente prospettate. Ciò per la natura del Museo, che è istituzione universitaria, di ricerca.
Attraverso la conoscenza delle scoperte degli ominidi fossili e le teorie sulla evoluzione dell’uomo, il
grande pubblico e gli studenti acquisiranno gli strumenti per considerare l’uomo come parte della Natura e
per comprendere come l’esistenza degli esseri viventi sia strettamente legata alle condizioni dettate dalla
Natura stessa: mutamenti climatici, orogenetici, ecologici, hanno favorito l’evoluzione di alcune specie e
determinato l’estinzione di altre. Nella società contemporanea, dove la vita degli esseri umani è
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completamente avulsa dai ritmi naturali, ricondurre i giovani alla coscienza della natura dell’Uomo, della sua
appartenenza alla Terra, apre a nuove forme e possibilità del sapere, ad una nuova chiave di lettura della
realtà circostante, ad una nuova considerazione di noi stessi, dell'altro, della natura, degli animali.
Il percorso si orienta in definitiva verso la rivalutazione di una figura filosofica che per secoli è stata
considerata come un ostacolo: la diversità. Diversità animali, diversità biologiche, complessità
ecosistemiche, diversità culturali, etniche, mentali, che sono oggi a pieno titolo il perno attorno a cui ruotano
le domande sulla realtà e i progetti sul presente e sul futuro.
Oltre che colmare un vuoto inaccettabile, l’ostensione dell’Antropologia o “Storia naturale dell’uomo”
(Paolo Mantegazza) documenta l’uniformità biologica delle popolazioni umane, in un quadro evoluzionistico
che impedisce di pensare in termini di arretratezza/progresso, e, più in generale, all’interno della lunga
tradizione scientifica che impedisce di pensare in termini razziali, contribuisce a favorire la convivenza civile
in una società multietnica.
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B. Presentazione dei contenuti
Parte prima: il posto dell’Uomo nella Natura
SALA 1:
l’uomo è un primate
La prima sala del percorso è dedicata ai Primati non umani ed alla appartenenza della specie umana
a questo ordine, alle caratteristiche dei Primati all’interno della classe dei Mammiferi, alla distribuzione dei
Primati attualmente viventi sulla terra e alla loro suddivisione sistematica.
Postazioni multimediali consentono al visitatore di visionare filmati di specie diverse di Primati ripresi
nel loro ambiente naturale e di acquisire conoscenze relative al loro habitat, al tipo di dieta, alla biologia
riproduttiva, alle cure parentali e alle varietà di sistemi sociali messi in atto. Nel menù di scelta dei vari filmati
è inserita la possibilità di visualizzare immagini storiche che documentano i grandi cambiamenti avvenuti
all’interno delle conoscenze relative a queste specie dal XVII secolo ad oggi, grazie al continuo
miglioramento dei metodi di osservazione (prima raffigurazione dello Scimpanzé, Tulp 1641; prima
raffigurazione
dell’Orang-utan, Bondt 1658; prima raffigurazione del Bonobo, Tyson 1699; prima
raffigurazione del Gibbone, Buffon 1776; prima raffigurazione del Gorilla, Milne Edwards 1847).
L’appartenenza dell’uomo all’ordine dei Primati viene evidenziata con l’illustrazione delle particolarità
anatomiche e genetiche che li caratterizzano tra i Mammiferi e le prove biologiche della parentela tra l’Uomo
e lo Scimpanzé è argomentata con immagini e testi relativi all’origine del cariotipo umano, agli studi
immunologici e biomolecolari e sul DNA mitocondriale.
In relazione a questi contenuti specifici viene offerto un quadro delle conoscenze e delle controversie
in epoche storiche, con richiami alla prima classificazione dell’uomo tra i Primati (Linneo, 1735), al testo di
T.H.Huxley “Il posto dell’uomo nella natura” del 1863, alla conferenza su “La parentela fra l’uomo e le
scimmie” tenuta a Firenze da Alessandro Herzen nel 1869, allo scontro tra Huxley e Wilbeforce e al dibattito
che si accese anche a Firenze proprio nell’anno in cui Paolo Mantegazza, raccogliendo parte dell’eredità del
Regio Museo di Fisica e Storia Naturale, fondava il Museo di Antropologia e Etnologia.
Parte seconda: Uomini per caso
Il percorso illustrativo dell’evoluzione dell’Uomo, dalla comparsa della superfamiglia degli
Hominoidea a quella del genere Homo, fino ai primi uomini anatomicamente moderni che colonizzarono il
continente europeo, viene sviluppato in cinque sezioni del settore espositivo, attigue l’una all’altra. I
contenuti sono incentrati sulle testimonianze fossili che consentono di analizzare le trasformazioni
anatomiche di cui furono protagonisti i primi ominidi bipedi e le modificazioni morfologiche e funzionali cui
andarono incontro organi e apparati. Parallelamente, il percorso affronterà alcuni argomenti correlati, come il
processo di fossilizzazione, i metodi di datazione, l’andamento delle variazioni climatiche, consentendo al
visitatore una migliore comprensione delle tematiche affrontate in questa sezione. Anche in questa parte i
richiami alla Storia della Scienza arricchiscono l’esposizione di stimolanti spunti di riflessione.
La seconda parte del percorso dedicato alla Storia Naturale dell’Uomo si chiude con uno spazio
intitolato “un’altra umanità”, dedicato ai recenti (2004) ritrovamenti avvenuti in Indonesia (Homo floresiensis,
vissuto fino a 18.000 anni fa), a sottolineare come l’evoluzione degli Ominidi si sia svolta non linearmente,
con Homo sapiens quale unico punto di arrivo, ma approdando a specie di Homo diversi, che convissero
sulla Terra e delle quali oggi noi siamo l’unica specie vivente.
La ricerca continua, nuove scoperte porteranno nuovi contributi a far sempre più chiara la risposta
alle domande dell’Umanità: “chi siamo?” ; “da dove veniamo?”
Sala 1a:
dalle origini a 5 milioni di anni fa
Spazio dedicato in parte al processo di fossilizzazione, dalla deposizione dell’organismo dopo la sua
morte fino al suo recupero nel corso dello scavo ed in parte dell’evoluzione dei Primati, dalle forme più
antiche (Purgatorius) fino a quelle attribuite alla fine del Miocene. Le immagini dei vari Primati fossili sono
corredate da disegni di ricostruzioni e di calchi quando disponibili (es. Aegyptopithecus, Proconsul africanus,
etc.). Viene illustrato anche l’andamento delle fluttuazioni climatiche nel periodo temporale considerato.
Il calco dello scheletro di Oreopithecus bambolii, un Hominoidea tutto italiano, chiude questo settore,
con commento e rimando alla Sezione di Geologia e Paleontologia del Museo di Storia Naturale.
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Sala 2:
da 5 a 2 milioni di anni fa.
I cambiamenti avvenuti nello scheletro in seguito all’acquisizione della postura eretta e dell’andatura
bipede vengono proposti in una postazione comprendente il calco dello scheletro di Lucy (Australopithecus
afarensis) e le famose impronte di Laetoli, corredate dalla illustrazione dell’ evoluzione di alcuni elementi
scheletrici (mano, piedi, testa, bacino) ed i vantaggi e svantaggi della postura eretta.
La variabilità degli Ominidi che popolarono alcune regioni della Terra durante il Pliocene, si esprime
nelle diverse specie di cui viene esposto il calco, quando disponibile, corredato da notizie su ambienti e modi
di vita e sulle relazioni filogenetiche reciproche, con possibilità di scelta, da parte del visitatore, tra le varie
possibili ipotesi di interpretazione.
Viene proposta una postazione di osservazione della morfologia dei primi utensili comparsi in
relazioni a resti di Ominidi pliocenici, una descrizione dei tipi di depositi nei quali si trovano i resti fossili (es.
Etiopia, Sudafrica) ed una illustrazione dei metodi di datazione.
In questa sezione trovano spazio anche le ipotesi sull’ origine dell’uomo che si sono succedute nella
Storia (da un presunto «uomo marino», Maillet 1748; dallo scimpanzé, Lamarck 1809; da un lontano
progenitore comune allo scimpanzé, Darwin 1871) e i primi tentativi di filogenesi (Haeckel 1874).
Sala 3.
da 2 a 0.5 milioni di anni fa.
Prima parte della sala, da 2 a 1 milioni di anni fa.
Viene proposto lo schema dell’evoluzione degli Ominidi tra 2 e 1 milioni di anni fa, comprensivo della
distribuzione temporale delle varie specie di Ominidi pleistocenici conosciuti. Per ciascuna di queste, dove
possibile, sono esposti i calchi dei resti fossili, tra i quali viene dato risalto al calco dello scheletro del
ragazzo del Turkana (Homo ergaster) un adolescente morto un milione e mezzo di anni fa, con una struttura
sorprendentemente moderna dello scheletro post-craniale ed un cranio con caratteristiche arcaiche.
Seguiranno le prime evidenze di presenza umana anche al di fuori dell’Africa, con descrizione dei
ritrovamenti della Georgia (Dmanisi) e dell’Indonesia e indicazione dei siti con resti di industrie (es. Ain
Ainech). Vengono documentate le scoperte dei primi bifacciali e le modalità di preparazione di questo tipo di
utensili. A sottolineare la specificità del Museo di Storia Naturale in qualità di Museo universitario, uno spazio
è dedicato alle ricerche di paleoantropologia dell’Università di Firenze (Eritrea, Sudafrica).
Seconda parte della sala, da 1 milione a 500.000 anni fa.
L’evoluzione degli Ominidi tra 1 milione e 500.000 anni fa con la distribuzione temporale delle varie
specie di ominidi pleistocenici conosciuti e descrizione delle loro caratteristiche. Le prime evidenze di
presenza umana in Europa. Sono esposti i calchi dell’Italia (Ceprano) e della Spagna (Atapuerca - Gran
Dolina) e sono indicati i siti con resti di industrie (es. Orce, etc. ).
Una postazione è dedicata all’evoluzione del cervello, con illustrazione dell’aumento della capacità
cranica dalle Australopitecine all’uomo moderno e dell’aumento differenziale di specifiche aree del cervello
umano, rispetto, ad esempio, allo scimpanzé.
Vengono anche ripercorsi i primi tentativi di localizzazione delle funzioni cerebrali (Spurzheim 1818)
e di interpretazione della morfologia superficiale del cranio con le teorie di Gall (1825) e l’ esposizione di una
collezione di calchi frenologici dell’800.
Sala 4.
da 500.000 a 30.000 anni fa
Le evidenze di presenza umana in Europa, Africa e Asia costituiscono l’argomento centrale di questa
sezione, dove sono considerate le loro caratteristiche e la loro distribuzione spaziale e temporale.
L’uomo di Neandertal viene presentato sia nelle sue caratteristiche anatomiche e genetiche che nel
suo ambiente, stile di vita e cultura materiale prodotta. Vengono messi a confronto il cranio di un
neandertaliano con quello di un uomo moderno per evidenziarne differenze e similitudini. Una postazione è
dedicata alla estinzione dei neandertaliani ed alle sue probabili cause, nonché alle ipotesi e relative
confutazioni di una avvenuta commistione genetica con l’Uomo moderno.
La comparsa dell’umanità moderna in Africa e Asia, avvenuta tra 500.000 e 30.000 anni fa, viene
documentata con i calchi dei resti scheletrici, l’illustrazione degli ambienti e dei modi di vita e delle
innovazioni tecnologiche dei primi Homo sapiens.
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L’arrivo dell’uomo moderno in Europa ed in Italia è illustrato con l’esposizione di resti scheletrici del
Paleolitico e con il calco di una sepoltura. Parallelamente, viene data informazione sul contributo della
genetica e delle ricerche sul mtDNA. allo studio dell’origine della specie Homo sapiens.
Sala 5.
un’altra umanità
In questa sezione, accanto alla illustrazione della teoria OAR (Origine Africana Recente)e dei dati
che la accreditano, viene documentata la scoperta di Homo floresiensis, dall’isola indonesiana di Flores
nella quale sono avvenuti i ritrovamenti nell’autunno del 2004. Questi ominidi rappresentano una specie
diversa da H. sapiens, avevano statura da adulti di circa un metro, e capacità cranica intorno a 400 cc.
Quindi fra 40.000 e 30.000 anni fa esistevano sulla terra tre diverse specie di Homo: Homo sapiens, Homo
neanderthalensis (di struttura più robusta, che ha convissuto con H.sapiens nelle stesse aree continentali )
ed Homo floresiensis.
Accanto alla presentazione di questa specie, uno spazio vuoto, illuminato, sta a rappresentare il
futuro della ricerca. In esso possono essere collocati poster rinnovabili o articoli di riviste scientifiche, che
riportino gli esiti delle nuove ricerche, o uno schermo su cui proiettare immagini e testi delle scoperte recenti.
Parte terza: tutti parenti, tutti differenti
La terza parte dell’esposizione è incentrata sul tema della variabilità della specie umana (il titolo
volutamente riprende quello dato alla nota esposizione “Tous parents, tous différents” ideata da André
Langaney dell’Università di Ginevra ed allestita negli anni 1990 al Musée de l’Homme di Parigi). La Storia
Naturale dell’Uomo non finisce con la comparsa di Homo sapiens tra le altre specie di Ominidi ma continua
con il popolamento del Pianeta Terra, avvenuto in epoche successive nei diversi continenti, accompagnato
da una trasformazione dello stile di vita, passato dal nomadismo sostenuto da una economia di caccia e
raccolta alla vita sedentaria legata ad una economia di agricoltura e domesticazione delle specie animali.
Durante la colonizzazione del globo, la specie umana ha dato prova di grande plasticità e capacità di
adattarsi ad ambienti molto diversi tra loro, utilizzando quella caratteristica naturale che gli è specifica: la
produzione di una cultura materiale. I gruppi umani, insediatisi
in ambienti estremi ed isolati
geograficamente, si sono progressivamente differenziati tra loro ed hanno dato origine a diversi fenotipi e
genotipi, grazie all’azione combinata delle caratteristiche ambientali, delle mutazioni, della selezione
naturale, della deriva genetica.
Le cause della variabilità umana sono oggi in buona parte conosciute (si pensi alle ricerche di
auxologia o a quelle di genetica delle popolazioni), ma nella storia queste differenze sono state interpretate
nell’ambito di climi culturali diversi, strumentalizzate a fini ideologici ed asservite a teorie razziali che oggi
risultano chiaramente prive di qualsiasi giustificazione scientifica. Il Museo di Antropologia e Etnologia di
Firenze conserva la testimonianza, nelle centinaia di foto “antropologiche” e nelle “maschere facciali” di
Puccioni e Cipriani, di metodologie praticate nell’intento di suddividere l’umanità in “categorie” e di
individuare tra esse una gerarchia.
Questo periodo della Storia dell’Antropologia non deve essere occultato ma rivisitato in chiave critica
e riproposto al pubblico, proprio per risvegliare una chiara coscienza della impossibilità di “classificare gli
uomini”, poiché i caratteri che fanno le differenze tra individui e popolazioni variano in maniera continua e le
differenze fra individui anche molto lontani sono appena più grandi di quelle esistenti tra i membri di una
stessa popolazione.
Il richiamo alla scuola fondata, con il Museo e la “Società”, da Paolo Mantegazza, conduce il
visitatore a scoprire l’eredità scientifica che questo illustre studioso ha lasciato alle Scienze Antropologiche,
che viene raccolta oggi dagli studenti universitari e dai ricercatori che operano nei Laboratori di Antropologia
del Dipartimento di Biologia Animale e Genetica.
Il percorso continua con uno spazio dedicato alla biologia umana e ai meccanismi di trasmissione
dei caratteri ereditari che da una parte rendono gli uomini diversi l’uno dall’altro e dall’altra ne riconfermano
l’unità specifica.
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SALA 6:
Variabilità della specie umana e delle popolazioni
La prima postazione di questa sezione è dedicata alla diffusione di Homo sapiens sul pianeta e le
diverse epoche di popolamento dei continenti. Vengono illustrate le conseguenze sul piano demografico e
sociale di una economia basata sulla caccia e la raccolta ed è documentata la vita di popoli che ancora oggi
vivono di caccia e raccolta (Pigmei, Boscimani, Semang, alcuni gruppi di Inuit…) con l’esposizione di piccoli
oggetti di uso quotidiano (arco, frecce, fionde, contenitori per la raccolta, bastoncini per l’accensione del
fuoco)
Viene spiegato il concetto di “rivoluzione neolitica”, passaggio da economia di caccia e raccolta a
agricoltura e allevamento, sedentarizzazione e nascita delle prime città, evidenziando che questo processo
si è verificato in tempi diversi tra le popolazioni delle varie regioni del Pianeta e che in molti casi non si è
verificato affatto. Sono individuati i principali centri di diffusione delle specie coltivate e di domesticazione
degli animali, con commenti sulle conseguenze sul piano demografico e sociale di una economia basata
sull’agricoltura e l’allevamento. La vita di popoli che ancora oggi vivono di agricoltura estensiva (Indios
del’Amazzonia, Asmat Nuova Guinea) è documentata con l’esposizione di oggetti di uso quotidiano (bastoni
da scavo, zappe, macine, battisago…)
La colonizzazione di regioni della Terra a latitudini e condizioni climatiche molto diverse spiegano le
ragioni della diversa intensità di pigmentazione di pelle, occhi e capelli, delle diverse proporzioni corporee,
dello spessore del pannicolo adiposo. Ambienti estremi (artico, deserti, foreste) e loro azione selettiva a
livello della affermazione di particolari
fenotipi umani, vantaggi che hanno questi fenotipi nella
sopravvivenza in quel dato ambiente. Video con scene di vita di popolazioni che vivono in ambienti estremi
(Eschimesi, Boscimani, Pigmei, Tuareg).
L’illusione delle razze, la variabilità continua dei caratteri fisici
Sono esposte le maschere facciali delle collezioni Puccioni e Cipriani e le foto antropologiche
dell’archivio fotografico: durante la prima metà del XX secolo l’antropologia costruisce l’impalcatura
“scientifica” sulla quale il regime elabora la propria politica coloniale e razzista. Sia le foto che le maschere
diventano strumento per individuare gli indizi somatici della inferiorità africana e per avviare una prassi
comparativo-classificatoria tesa a individuare, misurare e fissare caratteri tipologici rappresentativi di interi
gruppi etnici, geografici e sociali.
Nella stessa postazione, una immagine in movimento con sequenza ciclica di volti che sfilano e si
trasformano gradualmente l’uno nell’altro mette in evidenza che i volti alle estremità opposte del ciclo sono
molto diversi tra loro ma che a questa diversità si arriva attraverso i cambiamenti quasi impercettibili dei volti
intermedi: è il concetto di variazione continua.
Si spiega che i tentativi di classificare i tipi umani in categorie finisce per crollare sotto il suo stesso
peso. Le migrazioni e la continua fusione delle popolazioni tra loro ha sempre caratterizzato la storia
dell’umanità anche prima dello sviluppo dei moderni mezzi di trasporto e comunicazione e le variazioni dei
caratteri fisici sono dei gradienti che si osservano sia tra una popolazione e l’altra che tra gli individui della
stessa popolazione. Il concetto può essere reso efficacemente con l’immagine della variazione continua del
colore della pelle (planisfero con gradiente da sud a nord e distribuzione gaussiana).
Classificare gli uomini? l’Antropologia del XIX secolo
Il desiderio di “mettere ordine nelle conoscenze” ha spinto vari studiosi a classificare gli esseri
umani, così come la flora e la fauna. A partire da Linneo (1707-1778 ) che individuò 5 varietà (Homo sapiens
americanus, europaeus, asiaticus, afer e monstruosus), seguito da Blumenbach (1795) e da molti altri:
comparando i tentativi di classificazione è evidente che il numero di “razze” varia enormemente da un autore
all’altro e che spesso le caratteristiche considerate dagli autori delle classificazioni non avevano una base
biologica. Il contesto culturale di fine ‘800, quando il desiderio di “mettere ordine nelle conoscenze” trova
nuova linfa nel Positivismo, coltiva l’ idea di una realtà oggettiva, indagabile attraverso strumenti e categorie
della conoscenza validi per tutti, conduce studiosi di ogni branca del sapere ad una “frenesia classificatoria”.
Il “metodo scientifico”, proficuamente sperimentato nelle scienze naturali, viene applicato anche ad altri
campi del sapere (linguistica, storia, economia, psicologia…).
Sono esposti gli “strumenti per classificare gli uomini”: scala di Von Luschan per il colore della pelle;
tavola colorimetrica di R.Martin per il colore degli occhi; scala di Fisher per il colore dei capelli, il goniometro
facciale (Morton 1839), il goniometro mandibolare (1875), il craniometro, con didascalie di commento.
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I meccanismi della diversità e dell’evoluzione
Sono illustrati i caratteri fisici che rendono gli uomini diversi gli uni dagli altri all’interno di una stessa
popolazione e tra una popolazione e l’altra e i meccanismi che determinano questa variabilità.
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Dimorfismo sessuale: i caratteri che rendono uomini e donne diversi tra loro
Statura: distribuzione della statura degli individui di una popolazione (uomini e donne), il concetto di
“statura media”, la variabilità della statura media delle popolazioni umane: si trovano popolazioni di
“bassi” e di “alti” in tutti i continenti. L’evoluzione secolare della statura media (influenza delle
condizioni ambientali).
Corpulenza (rapporto tra peso e statura). Notare che questo carattere è molto influenzato da
comportamenti e convenzioni sociali.
Colore della pelle (approfondimento degli aspetti istologici). A cosa è dovuto il colore della pelle?
Melanina e melanociti, sezione (preparato istologico o disegno) di una pelle chiara e sezione di una
pelle scura dove sia visibile la diversa concentrazione di melanina. Spiegare che gli uomini non sono
“neri”, “gialli” o “bianchi” ma variano dal più chiaro al più scuro secondo una gamma di variazioni
continue: ci sono asiatici chiari come svedesi, indo-europei scuri come africani e africani chiari come
italiani….Anomalie della pigmentazione (albinismo, vitiligine, macchia mongolica, melanoma)
Colore degli occhi. Non ci sono semplicemente occhi azzurri, verdi o marroni, ma il colore degli occhi
è dovuto alla quantità di melanina (la stessa sostanza che determina il colore della pelle e dei
capelli) presente in uno strato dell’iride (strato anteriore dello stroma). Quando l’iride è priva di
pigmento, la diffrazione della luce determina le sfumature chiare.
Colore e forma dei capelli. Il colore dei capelli è una conseguenza della ubicazione del pigmento
nella struttura del capello stesso. Ingrandimento di sezioni trasversali di diversi tipi di capelli
(lissotrichi, ulotrichi, cimotrichi).
Dermatoglifi: solchi presenti su palmo e polpastrelli determinati dall’ordinato allinearsi delle papille
del sottostante derma, hanno il compito di migliorare la funzione prensile e tattile. Possono essere
divisi in tre tipi: ad arco, a laccio e a vortice. La ripartizione di questi tre tipi di dermatoglifi varia nel
mondo, ma una stessa persona può avere tutti e tre i tipi sulle sue dita. Patologie genetiche che
determinano particolari forme di dermatoglifi (Down, Turner, Klinefelter).
Forma del cranio: spiegare come si arriva a definire crani dolicocefali, brachicefali o mesocefali.
Punti craniometrici principali: gnathion, nasion, glabella, bregma, lambda e inion. Diametri
longitudinale, trasverso e verticale. Distribuzione delle forme del cranio nelle popolazioni.
Fenotipo e genotipo,
Mutazioni e selezione naturale,
Pool genico,
Isolamento (barriere geografiche, barriere culturali)
Migrazioni, deriva genetica, effetto del fondatore (fumetti che spieghino la deriva genetica e l’effetto
del fondatore)
“Selezione del più adatto” . Possono essere rappresentati: l’affermazione (raggiungimento dell’età
riproduttiva) di individui a pelle chiara in ambienti con bassa intensità di irradiazione solare;
l’affermazione di individui talassemici in ambienti malarici.
L’Antropologia fiorentina, l’eredità di Mantegazza
È documentata la figura di Paolo Mantegazza, titolare della prima cattedra di Antropologia d’Italia,
fondatore del Museo di Antropologia e Etnologia, della Società Italiana di Antropologia e Etnologia,
dell’Archivio per l’ Antropologia e l’Etnologia. Viene illustrata l’attività dei Laboratori di Antropologia e
Etnologia presso il Dipartimento di Biologia Animale e Genetica dell’Università di Firenze e le varie direzioni
della ricerca intraprese dalla scuola fondata dal celebre antropologo.
Unità dell’uomo: siamo fatti di atomi
Richiamo ai principali elementi chimici che compongono un corpo umano: ossigeno, carbonio,
idrogeno, calcio, fosforo e altri 36 elementi rari. Illustrazione dei cambiamenti avvenuti nella osservazione e
descrizione della anatomia umana dai primi disegni anatomici fino ai metodi di indagine radioscopica e
microscopica.
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Patrimonio genetico, ereditarietà
Sezione dedicata al patrimonio genetico di un individuo. Le componenti paterna e materna del
genoma: 23 coppie di cromosomi. Geni e alleli. Come il genoma si trasmette da una generazione all’altra.
Mitosi e meiosi. La meiosi nell’uomo e nella donna. Formazione delle cellule germinali, fecondazione,
ricombinazione genetica. Dal genotipo al fenotipo: l’informazione del genoma guida la sintesi delle proteine.
Dal DNA al RNA messaggero (trascrizione), dall’ RNA alla proteina, attraverso i ribosomi.
Attraverso semplici esempi, viene spiegato come la combinazione delle varianti dei geni (alleli) può
dare origine ad un numero praticamente infinito di individui diversi. Allo stesso tempo, viene commentata
l’identità genetica di due gemelli monozigoti.
Somiglianze ingannevoli, diversità invisibili
Il sangue ha sempre lo stesso aspetto in tutti gli uomini, ma tra il sangue di un individuo e quello di
un altro possono esserci delle differenze invisibili che sono geneticamente determinate, e quindi ereditarie.
Spiegazione di cosa sono antigeni e anticorpi, di cosa significa compatibilità e incompatibilità per i gruppi
sanguigni AB0 e Rhesus, ripartizione dei geni A, B, 0 nel mondo, Rh + Rh -, incompatibilità tra il sangue
della madre e quello del bambino. La chimica dei gruppi sanguigni viene spiegata attraverso una postazione
interattiva.
Parte quarta: dalla Natura alla Cultura
L’ultima parte dell’esposizione introduce al ruolo della cultura come caratteristica propria dell’Uomo,
che lo rende unico tra le specie per la capacità di manipolare l’ambiente nella prospettiva dei propri bisogni.
La specie umana riesce a modificare a vari livelli il mondo fisico nel quale vive – a partire da se stessa fino
all’ambiente che la circonda.
L’interazione dell’Uomo con il territorio e l’ambiente naturale può avere gravi conseguenze per gli
equilibri ecologici della Terra.
L’esempio dei Popoli indigeni, oggi minacciati di estinzione, che conoscono e usano il mondo
naturale che li circonda in una prospettiva di rispetto e conservazione, è la grande eredità che l’Umanità del
terzo millennio è chiamata a raccogliere.
Ciò che Natura crea, Cultura trasforma
Sezione dell’esposizione dedicata alle modificazioni artificiali dei caratteri fisici, con esposizione di
crani deformati e trapanati e documentazione su altri tipi di manipolazione del corpo umano (limatura dei
denti, anelli labiali, orecchini e collari deformanti, tatuaggi, scarificazioni, tinture, modificazioni artificiali della
pigmentazione della pelle, della statura, della dimensione dei piedi e del punto vita, depilazioni, pitture
corporali, cosmesi, piercing, chirurgia plastica…).
Il divenire delle popolazioni
Viene illustrato come fenomeni quali natalità invecchiamento e migrazioni possano modificare la
struttura e la biologia delle popolazioni. Attraverso le “piramidi sesso-età” viene spiegata la struttura delle
popolazioni in declino e di quelle in divenire.
La cultura del “progresso”
Sezione dell’esposizione nella quale si documentano i comportamenti umani che compromettono
l’equilibrio ecologico del Pianeta: deforestazione, emissione gas serra, smaltimento rifiuti, cementificazione
del territorio, agricoltura intensiva (monocultura, pesticidi, fertilizzanti, OGM), spreco di acqua, iniqua
distribuzione delle risorse alimentari, che portano di conseguenza aumento di CO2 nell’atmosfera,
diminuzione strato di ozono, riscaldamento globale, scioglimento dei ghiacciai, avanzamento dei deserti,
diminuzione e inquinamento risorse idriche, diminuzione biodiversità, carestie, fame, conflitti, guerre…
L’eredità dei Popoli indigeni
Viene documentata l’esistenza dei popoli indigeni contemporanei e il rischio di estinzione che li
minaccia. Viene messo in evidenza come popoli diversi tra loro per storia, cultura e modo di vivere abbiano
in comune un rapporto con la natura mirato alla conservazione dell’ambiente e del territorio, base della loro
vita materiale e spirituale.
Giulio Barsanti, Jacopo Moggi Cecchi, Monica Zavattaro.
Firenze, 11 luglio 2006.