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Santa Sede
Lefebvriani
Superare il Concilio
all’indietro
I
l 26 ottobre sono cominciati i dialoghi
fra la Pontificia commissione «Ecclesia
Dei» e la Fraternità sacerdotale San Pio X
(lefebvriani). Dopo l’udienza papale a mons.
Bernard Fellay, superiore generale della Fraternità (agosto 2005), il discorso di Benedetto XVI alla curia romana sull’ermeneutica
conciliare (dicembre 2005), la liberalizzazione del rito preconciliare (luglio 2007), la rimozione della scomunica ai quattro vescovi
lefebvriani (gennaio 2009), la lettera ai vescovi sulle vicende concernenti la ricezione
della decisione (marzo 2009; cf. Regno-att.
10,2009,311), la conferma dell’irregolarità canonica delle ordinazioni lefebvriane (giugno
2009), la ristrutturazione della Commissione
«Ecclesia Dei» (luglio 2009; cf. Regno-doc.
15,2009,495), siamo giunti ora al confronto
sui temi del dissenso.
I protagonisti del dialogo sono per parte
vaticana: mons. G. Pozzo, segretario della
Commissione, dipendente dalla Congregazione per la dottrina della fede, quindi dal
presidente, card. W.J. Levada, e dal segretario, mons. L.F. Ladaria Ferrer; il domenicano
C. Morerod, segretario della Commissione
teologica internazionale, decano della Facoltà di filosofia dell’Angelicum ed esperto
di ecumenismo; mons. F. Ocariz Braña, vicario generale della prelatura Opus Dei, esperto di libertà religiosa; p. K.J. Becker, gesuita, a
lungo docente di Dogmatica alla Pontificia
università gregoriana. Per parte lefebvriana:
mons. A. de Galarreta, argentino, il meno
esposto dei 4 vescovi già scismatici; don B.
de Jorna, direttore del seminario di Ecône
(Svizzera); don J.-M. Gleize, docente di Ecclesiologia allo stesso seminario; don P. de La
Rocque, priore a S. Louis a Nantes (Francia).
Le materie sono espresse nel comunicato vaticano successivo ai primi colloqui: «Si
esamineranno le questioni relative al concetto di Tradizione, al Messale di Paolo VI,
all’interpretazione del concilio Vaticano II in
continuità con la Tradizione dottrinale cattolica, ai temi dell’unità della Chiesa e dei
principi cattolici dell’ecumenismo, del rapporto tra il cristianesimo e le religioni non
cristiane e della libertà religiosa». Mons. Tissier de Mallerais le aveva indicate così: la liturgia, la messa, l’ecumenismo, la libertà religiosa, la collegialità. Mentre mons. B. Fellay
preferiva: libertà religiosa, ecumenismo, collegialità, influssi della filosofia moderna nella Chiesa. Il clima dell’incontro viene definito «cordiale, rispettoso e costruttivo»; sono
stati precisati «il metodo e l’organizzazione
del lavoro» e la scadenza dei dialoghi, «probabilmente bimestrale».
Fra i comportamenti accettati vi è la discrezione sui contenuti dei colloqui e l’uso
della comunicazione via Internet per scambiarsi materiali e pareri. I siti web lefebvriani
hanno anche segnalato come credibili i tre
criteri ispirativi evocati dal vaticanista di Le
Figaro, J.-M. Guénois: un’ermeneutica della
continuità nel giudizio sul Vaticano II; il deposito della fede come una totalità (su cui il
consenso lefebvriano è minore); il ritorno alla lettera del Concilio (con ulteriori perplessità degli ex scismatici).
Fe l lay d e t t a l ’age n d a
Il punto critico è comunque legato al
Vaticano II. Mons. Fellay ha invitato a superare all’indietro l’assise: «Dobbiamo superare
il Concilio per tornare a ciò che la Chiesa ha
sempre insegnato e da cui la Chiesa non può
separarsi». Mallerais è più esplicito: «Non firmeremo compromessi; le discussioni proseguiranno solo se Roma rivede i suoi giudizi e
riconosce gli errori in cui il Concilio ha condotto la Chiesa». Il card. C. Schönborn, vescovo di Vienna, in un’intervista a settembre
aveva detto: «Sarà proposto alla Fraternità
molto chiaramente quello che la Santa Sede
non ritiene negoziabile. Tutto ciò che appartiene ai risultati di fondo del Vaticano II,
ossia l’atteggiamento verso l’ebraismo, verso
le altre religioni non cristiane, verso le altre
Chiese cristiane, sulla libertà religiosa e i diritti fondamentali dell’uomo». Sulla questio-
ne era intervenuto a suo tempo Benedetto
XVI. Il 28 gennaio aveva chiesto un «vero riconoscimento del magistero e dell’autorità
del papa e del concilio Vaticano II» e nella
lettera ai vescovi aveva affermato: «Non si
può congelare l’autorità magisteriale della
Chiesa all’anno 1962 – ciò deve essere ben
chiaro alla Fraternità».
I tempi dei colloqui non sono determinati. Galarreta parla di «più anni di discussione», Fellay di «tempi abbastanza lunghi»,
mentre da parte della Santa Sede non ci si
sbilancia. Sulla condizione canonica niente è
per ora mutato. L’attuale è così indicata nel
motu proprio Ecclesiae unitatem: «Finché
non saranno chiarite (le questioni dottrinali)
la Fraternità non ha uno statuto canonico
nella Chiesa e i suoi ministri non possono
esercitare in modo legittimo alcun ministero». In prospettiva nessuno avanza previsioni. Il desiderio espresso da mons. Fellay è
per una prelatura che garantisca «indipendenza di fatto dalle conferenze episcopali».
Infine, un silenzio e due assenze. Il silenzio dei lefebvriani riguarda il papa, indicato
da mons. Fellay come «persona integra, che
prende molto sul serio la situazione e la vita
della Chiesa». In un’intervista del 2005 lo
aveva giudicato come «guardiniano», «hegeliano», «soggettivista» e sostanzialmente reticente rispetto alla sua visione del futuro
della Chiesa. Un pensatore, non un combattente, con «un vero sfasamento tra l’analisi e
l’individuazione delle cause. Ci si accorge
che la conclusione è sproporzionata, che essa non corrisponde alla descrizione che egli
fa della situazione». Solo se messo con le
spalle al muro «farebbe la scelta giusta».
Le due assenze riguardano l’ebraismo
(forse evocato, ma non nominato) e la dimensione politica reazionaria del lefebvrismo. Nell’intervista del 31 luglio mons. Fellay
relativizzava drasticamente l’«affare Williamson» («È un problema totalmente marginale») e si sente «imbarazzato» nel vedere gli
ebrei occuparsi della Chiesa. «La questione
di sapere in quale numero e come gli ebrei
siano morti non è una questione di fede e
neppure religiosa. È solo una questione storica». La dimensione politica del lefebvrismo
è stata evocata in un saggio di F. Michel su
Études (settembre 2009): «Mostrerò come
la posta in gioco politica è costitutiva dell’integralismo». Il rifiuto di Maritain e la filiazione diretta con l’Action française confermano l’intuizione di Y. Congar dell’integralismo come un «atteggiamento di destra», caratterizzato dal sospetto verso il singolo e
favorevole alla determinazione delle cose
per via di autorità.
L. Pr.
IL REGNO -
AT T UA L I T À
20/2009
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