ASSOCIATED PRESS chiesa Lefebvriani al bivio Michel Souchon S.I. Parigi L e origini del movimento lefebvriano sono da ricercare nella storia del Concilio Vaticano II (1962-1965). Bisogna ricordare che nessun documento di questo Concilio (costituzioni, decreti e dichiarazioni) fu votato all’unanimità. Durante il suo svolgimento, una minoranza di vescovi si oppose alla maggioranza conciliare. L’opposizione fu particolarmente netta riguardo ai testi sulla libertà religiosa e sull’ecumenismo. Si poteva, dunque, già prevedere che la «ricezione» del Concilio da parte di alcuni padri conciliari sarebbe stata difficile. Quando furono pubblicati i nuovi riti per la celebrazione dei sacramenti, nella linea della Costituzione del Concilio sulla liturgia, questa opposizione si manifestò in maniera forte. La battaglia più dura si ebbe sul messale di Paolo VI, introdotto nel 54 Popoli aprile 2009 Chi sono e che cosa rappresentano nel mondo cattolico di oggi gli eredi di Marcel Lefebvre? Un gesuita francese ripercorre le tappe della frattura tra il papato e gli oppositori del Concilio Vaticano II che, malgrado gli sforzi recenti, non si riesce a sanare 1970, con il rifiuto di abbandonare il L’invio da parte del papa di due vimessale di san Pio V del 1570. sitatori apostolici a Écône nel 1974 In Francia, mons. Marcel Lefebvre, già accese le polveri. Questa visita venne superiore generale degli spiritani ed contestata da Lefebvre in una dichiaex arcivescovo di Dakar in Senegal razione estremamente violenta contro (all’epoca vescovo di Tulle) si mise i cambiamenti introdotti nel corso del alla guida di un piccolo gruppo di Concilio: «Tutte queste riforme, infatti, preti che si opponevano allo spirito hanno contribuito e contribuiscono di apertura del Concilio, a numerosi ancora alla demolizione della Chietesti e ai cambiamenti nella liturgia. sa […], a un insegnamento naturaliD’accordo con il vescovo sta e teilhardiano nelle di Friburgo (Svizzera), nel Nel 1988 università, nei seminari, 1970 creò la Fraternità Lefebvre e un nella catechesi, a un insacerdotale internaziona- altro vescovo che segnamento derivato dal le san Pio X e aprì un aveva aderito liberalismo e dal proteseminario che in seguito alla sua causa stantesimo, tante volte si trasferì a Écône, nel procedettero condannato dal solenne all’ordinazione canton Vallese. magistero della Chiesa». di nuovi vescovi senza il consenso del Vaticano, che li scomunicò Una celebrazione secondo il rito tridentino in una chiesa del centro di Roma. Anche il messale romano di Paolo VI venne contestato: «A nuova messa corrisponde un nuovo catechismo, un nuovo sacerdote, nuovi seminari, nuove università, una Chiesa carismatica, pentecostale, tutte cose opposte all’ortodossia e al magistero di sempre». Le prime ordinazioni sacerdotali, nel 1976, segnarono una ulteriore rottura. Nella sua omelia, mons. Lefebvre rinnovò gli attacchi contro la «nuova messa», «l’espressione di una nuova fede, di una fede modernista». E non risparmiò il Concilio Vaticano II: «Girando le spalle alla Tradizione e rompendo con la Chiesa del passato è un concilio scismatico», dichiarò il vescovo francese che, per la prima volta, mise in causa la validità del ministero pontificale di Paolo VI. Lefebvre nel 1986 arrivò ad affermare: «È possibile che noi ci troviamo nell’obbligo di credere che questo papa non sia papa». Questo significò assumere la posizione «sedevacantista», cioè dire che il seggio pontificio era «vacante», come tra la morte di un papa e l’elezione del suo successore. Il 30 giugno 1988, mons. Lefebvre e un vescovo che aveva aderito alla sua causa procedettero all’ordinazione di nuovi vescovi senza il consenso del Vaticano, consapevoli che questa azione avrebbe comportato ipso facto, in virtù del Diritto della Chiesa cattolica (canone 1382), la scomunica dei vescovi che avevano proceduto alle ordinazioni e dei vescovi ordinati. Fu un atto di rottura. Dal Vaticano arrivò la scomunica, come previsto. Alcuni preti e seminaristi della Fraternità (in tutto una trentina) si separarono da mons. Lefebvre e fecero sapere di volere restare in comunione con la Chiesa cattolica. NEGOZIATI E CONCESSIONI Fin da subito si intrapresero negoziati da parte del Vaticano con questi preti e seminaristi, ma anche con lo stesso mons. Lefebvre e con chi gli era restato fedele. Vennero fatte concessioni, in particolare sulla celebrazione secondo il messale tridentino (nella forma del 1962), a condizione che fossero riconosciuti pienamente il valore e la validità del messale scaturito dal Concilio. Nel 2007 venne creato a Bordeaux l’Istituto del Buon Pastore per accogliere quelli che ritornavano alla comunione con Roma. Il Vaticano impose all’arcivescovo della città francese di concedere una chiesa al nuovo istituto. La coabitazione tra i preti dell’Istituto e il clero e i fedeli della diocesi di Bordeaux si è rivelata però difficile: il rifiuto da parte dei primi di partecipare alla celebrazione delle grandi feste della diocesi segnala un rifiuto di comunione con il presbiterio diocesano. Un nuovo gesto di buona volontà è stato dato da Benedetto XVI lo scorso gennaio: il ritiro della scomunica del 1988. Il ritiro di questa sanzione canonica risponde a una domanda espressa dai membri del movimento lefebvriano, in particolare dal superiore generale della Fraternità, mons. Bernard Fellay, successore di Lefebvre, e dai vescovi scomunicati. Può essere inteso come la rinuncia a una misura di un’epoca considerata superata, quella degli anatemi e delle scomuniche. E come eliminazione di un ostacolo sulla via del ritorno alla comunione, in un quadro di attenzione ecumenica. Sembra che sia stata accordata senza condizioni né contropartite, come gesto di buona volontà unilaterale. Questa misura è stata presentata dalla maggior parte dei media come una implicita approvazione delle tesi e delle posizioni dei lefebvriani. L’imbarazzo di molti cattolici è stato ancora più grande perché nello stesso momento è stato rivelato il contenuto di un’intervista in cui uno dei vescovi, Richard Williamson, minimizzava la Shoah e negava l’esistenza delle camere a gas. In questo contesto, alcuni media hanno accusato il papa di approvare queste posizioni Fino a dove potranno spingersi negazioniste. La nota della Se- i lefebvriani greteria di Stato nel rifiuto del 4 febbraio è dello spirito forse tardiva, ma e della lettera è molto chiara: del Concilio, «Le posizioni di restando nella mons. Williamson comunione sulla Shoah so- della Chiesa no assolutamente cattolica? inaccettabili e fermamente respinte dal Santo Padre». Queste posizioni - aggiunge la nota - «non erano conosciute dal Santo Padre al momento del ritiro della scomunica». La nota ricorda inoltre che la remissione della scomunica non costituisce né una riabilitazione né una reintegrazione: «Il pieno riconoscimento del Concilio Vaticano II e del magistero dei papi Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI è condizione indispensabile a un futuro riconoscimento della Fraternità san Pio X». Geografia dei lefebvriani I nsieme a mons. Marcel Lefebvre altri cinque vescovi furono scomunicati nel 1988: il brasiliano Antonio de Castro-Mayer, che ordinò i nuovi vescovi insieme al vescovo francese e, come Lefebvre, è scomparso nel 1991; i quattro nuovi vescovi ordinati: lo svizzero Bernard Fellay, il francese Bernard Tissier de Mallerais, l’argentino Alfonso de Galarreta e l’inglese Richard Williamson. Quest’ultimo, già direttore di un seminario in Argentina, è stato al centro di polemiche in tutto il mondo per le sue posizioni negazioniste che hanno portato Buenos Aires a espellerlo dal Paese. I seguaci di mons. Lefebvre sono organizzati nella Fraternità internazionale san Pio X (Fsspx) e presenti in circa sessanta Paesi. Bernand Fellay è il successore di Lefebvre al vertice della Fraternità. I lefebvriani affermano di raccogliere circa 600mila fedeli nel mondo, anche se secondo altre fonti non sarebbero più di 150mila in tutto. Sono concentrati soprattutto in Europa e in Nord America. La Fsspx raccoglie 491 sacerdoti (dati del 2008, erano 30 nel 1976), 117 frati e 164 suore. La Fraternità gestisce sei seminari (in Svizzera, Francia, Germania, Usa, Australia e Argentina) con circa duecento seminaristi, una novantina di scuole e due istituti universitari. In Italia operano una dozzina dei suoi sacerdoti. f.p. chiesa Mons. Marcel Lefebvre durante l’ordinazione episcopale del 1988 che gli valse la scomunica da parte della Santa Sede. Ancora più esplicita e chiarificatrice è stata poi la lettera firmata lo scorso 10 marzo che lo stesso pontefice ha inviato a tutti i vescovi (vedi box sotto). LE REAZIONI IN FRANCIA Dato che la Francia è, in qualche modo, la terra d’origine del movimento lefebvriano, le reazioni nel Paese sono state molto accese. Inoltre i cristiani francesi sono particolarmente sensibili alle posizioni negazioniste a causa della partecipazione di funzionari dello Stato alla deportazione di ebrei durante la seconda guerra mondiale. Al punto che Jean-Marie Le Pen, il leader del partito di estrema destra, Fronte nazionale, è stato più volte processato e condannato per queste affermazioni che in Francia hanno una connotazione politica e morale particolarmente detestabile. Numerose personalità hanno dunque protestato contro le dichiarazioni di Williamson, mentre altri ne hanno approfittato per denunciare un legame stretto tra l’antisemitismo e la religione cristiana. Numerosi vescovi hanno subito fatto conoscere la loro analisi sul ritiro delle scomuniche e la loro condanna delle dichiarazioni del vescovo negazionista. 56 Popoli aprile 2009 Hanno chiesto scusa alla comunità ebraica per queste affermazioni. Il 28 gennaio 2009 è stata pubblicata una dichiarazione del Consiglio permanente dei vescovi di Francia. Alcuni passi indicano il tono dei contenuti: «I vescovi francesi condannano fermamente le parole inaccettabili e scandalose di mons. Williamson. Ribadiscono alla comunità ebraica di Francia il loro impegno incrollabile per il dialogo e l’amicizia. Ricordano che Benedetto XVI non smette di indicare il suo attaccamento a una relazione fruttuosa tra ebrei e cristiani. […] Precisano con insistenza che la cancellazione della scomunica non è una riabilitazione, ma costituisce un punto di partenza di un cammino lungo che presuppone un dialogo preciso. In nessun caso, il Concilio Vaticano II sarà negoziabile e nessun gruppo ecclesiale si può sostituire al magistero. I vescovi salutano la volontà del Santo Padre di andare fino in fondo in ciò che poteva fare come invito a una riconciliazione. Sono in comunione con lui nell’esercizio di vigilanza che spetta ai vescovi». E ora che cosa succederà? Per i lefebvriani il dilemma è il seguente: restare fedeli al messaggio di mons. Lefebvre o tornare al magistero della Chiesa cattolica. Finora hanno preteso un «diritto di lettura» del Concilio Vaticano II e opposto una lettura «buona» e tradizionale (la loro) alla lettura che chiamano «modernista» (quel modernismo condannato da Pio IX e Pio X). Fino a dove potranno spingersi nel rifiuto dello spirito e della lettera del Concilio, restando nella comunione della Chiesa cattolica? Possono ricredersi sulle grandi questioni, come il rifiuto della libertà religiosa, il rifiuto del dialogo ecumenico e del dialogo interreligioso, il rifiuto della liturgia emersa dal Concilio? Alcuni ritorni individuali sono possibili, ad esempio integrando l’Istituto del Buon Pastore o facendo incardinare a titolo personale qualche sacerdote in una diocesi che lo accolga. Bisogna però riconoscere che i comportamenti passati e la violenza delle polemiche non consentono di essere molto ottimisti. Ogni gesto di apertura e di benevolenza delle autorità romane, dalle concessioni liturgiche alla revoca della scomunica, è stato interpretato dai lefebvriani come il riconoscimento del fondamento delle loro posizioni. Non è necessario essere profeti per prevedere che il cammino dell’unione sarà lungo e arduo. DAL PAPA, «UNA PAROLA CHIARIFICATRICE» I n una lettera ai vescovi di tutto il mondo resa nota il 12 marzo, Benedetto XVI è tornato sulla remissione della scomunica ai vescovi consacrati da mons. Lefebvre nel 1988. In essa il papa esprime il suo dolore causato dalla mancata comprensione o dalle interpretazioni distorte del suo gesto di apertura, amore e benevolenza. Ribadisce la posizione che ha sempre tenuto in merito all’amicizia e al dialogo ebraico-cristiano, pur ammettendo che ci sono stati problemi di raccolta delle informazioni e comunicazione. Fa una distinzione tra il piano disciplinare e quello dottrinale, spiegando che la remissione della scomunica non comporta la riabilitazione delle tesi dottrinali della Fraternità san Pio X, e conclude con un forte appello all’unità. Il testo integrale della lettera è reperibile in Internet, ad esempio sul sito www.vatican.va.