REGATT 04-2009.qxd 25/02/2009 14.44 Pagina LEFEBVRIANI l L a remissione della scomunica ai quattro vescovi della Fraternità sacerdotale San Pio X (lefebvriani), annunciata il 24 gennaio, ha assunto nell’arco di una decina di giorni l’apparente movimento di un gorgo: da una piena comunione del movimento scismatico a indicazioni severe circa il definitivo rientro nella Chiesa; dalle affermazioni antisemite di uno dei vescovi interessati alle domande circa la capacità della Santa Sede di gestire e comunicare scelte ecclesiali di rilievo. Rimandando a Il Regno-documenti 3,2009 per i documenti, mi limito a indicare i fatti maggiori secondo alcuni capitoli. L a re m i ss i o n e La rimozione di una scomunica è sempre una lieta notizia per la Chiesa. Così è stato nei rapporti fra ortodossi e cattolici nel 1965 («Ci rallegriamo che sia stato dato a noi di compiere questo dovere di fraterna carità»: PAOLO VI, EV 2/499); e lo stesso in quelli fra cattolici e protestanti sulla dottrina della giustificazione nel 1999 (EV 18/1728). Nella vicenda attuale la gioia è stata oscurata da molte domande e inquietudini. La cancellazione dell’illiceità delle ordinazioni episcopali effettuate da mons. Lefebvre il 30 giugno 1988 (cf. EV 11/1196ss) è motivata dal ministero di unità del papa, dalla sofferenza degli interessati e dalla previsione di procedere verso una «piena e soddisfacente soluzione del problema». «Si auspica che questo passo sia 76 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2009 76 Santa Sede a revoca della scomunica Il negazionismo del Concilio e della Shoah, ostacoli alla comunione seguito dalla sollecita realizzazione della piena comunione con la Chiesa di tutta la Fraternità San Pio X». Il gesto di Benedetto XVI è unilaterale, pienamente gratuito, e purtroppo non ha ancora trovato riscontro in alcuna ammissione di responsabilità da parte dei quattro vescovi, mentre nella recezione della Fraternità riappaiono tutte le ambiguità precedenti. La «sofferenza» cui allude il decreto diventa, nella lettera di mons. Bernard Fellay ai fedeli, la sofferenza per «la situazione attuale della Chiesa». Così l’affermazione del primato di Pietro diventa una sottolineatura delle «riserve» nei confronti del Vaticano II, e la tradizione della Fraternità diventa la «tradizione cattolica» che «non è più scomunicata». Lo sviluppo dell’attenzione del papa nei loro confronti (l’udienza a Fellay nell’agosto 2005,1 il discorso alla curia sull’ermeneutica conciliare nel dicembre 2005,2 la liberalizzazione del rito preconciliare nel luglio del 20073 e l’attuale rimozione della scomunica) non cambia la denuncia della Fraternità sulla «crisi senza precedenti che attraversa la Chiesa odierna», né l’indicazione di «apostasia silenziosa» in atto, formalmente ripresa da Giovanni Paolo II, ma in realtà riferita al supposto quarto segreto di Fatima e all’infedeltà della Chiesa al suo Signore. Tanto da giustificare, nelle pubblicazioni interne, la constatazione che «niente è cambiato nelle sue (della Fraternità) posizioni e nella sua dottrina» ( Christus imperat , 28.1.2009). Questioni giuridiche Il quadro giuridico dell’evento diventa chiaro nella nota della Segreteria di stato del 4 febbraio: «Lo scioglimento della scomunica ha liberato i quattro vescovi da una pena canonica gravissima, ma non ha cambiato la situazione giuridica della Fraternità San Pio X che, al momento attuale, non gode di alcun riconoscimento canonico nella Chiesa cattolica. Anche i quattro vescovi, benché sciolti dalla scomunica, non hanno una funzione canonica nella Chiesa e non esercitano lecitamente un ministero in essa». Nel decreto non appariva con evidenza né l’assoluta gratuità del gesto del santo padre, né la condizione giuridica dei vescovi e dei circa 500 preti della Fraternità, né la condizione dei fedeli che a essi fanno riferimento. Sono stati i vescovi svizzeri per primi a ricordare la permanenza dalla sospensione a divinis del clero della Fraternità. Rimane da definire che ne sarà delle scomuniche emesse da Chiese cattoliche sui iuris (come quella Ucraina) a preti che fanno riferimento alla Fraternità pur non essendovi formalmente inclusi. Margini di ambiguità vi sono anche nella determinazione di chi siano gli scomunicati. La lettera e le considerazioni del Pontificio consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi del 19964 manca di una premessa (che appare invece nella pubblicazione dei materiali da parte del vescovo svizzero di Sion)5 che specifica la scomunica per i soli vescovi. Rimane la constatazione che vescovi non più scomunicati non hanno più la «necessità» né soggettiva REGATT 04-2009.qxd 25/02/2009 14.44 Pagina 77 30 giugno 1988: mons. Lefebvre e i quattro vescovi da lui ordinati. né oggettiva di ordinare altri vescovi per garantire il futuro della propria comunità. Del tutto ipotetico è il futuro volto che la Fraternità potrà assumere. Sui giornali si parla di una possibile prelatura personale, ma il comunicato del 24 gennaio si limita a sottolineare la «volontà di procedere per gradi e in tempi ragionevoli» per una «completa riconciliazione» e «piena comunione». La soluzione prevista nel protocollo di accordo del 1988 (firmato e smentito da mons. M. Lefebvre) prevedeva una società di vita apostolica. Nel caso del rientro del lefebvriano mons. Licinio Ranger col suo popolo e presbiterio (la comunità di Campos, Brasile),6 si erigeva un’amministrazione apostolica di carattere personale direttamente dipendente dalla Santa Sede. Di prelatura si parla anche per la Comunione anglicana tradizionale (spezzone dissidente della Comunione anglicana, che nel 2007 ha chiesto l’adesione alla Chiesa cattolica).7 Se tali previsioni si realizzassero avremmo una crescita significativa del modello prelatura, forse appetibile anche per altre forze ecclesiali, a scapito delle Chiese locali. Di fatto mons. Fellay in un’intervista del giugno 2008 indica la remissione della scomunica come «una tappa intermedia nella quale la Fraternità non sarebbe né scomunicata, né riconosciuta canonicamente, ma questo stato, senza essere regolare nei confronti del diritto canonico, sarebbe già un miglioramento», in una condizione di «indipendenza di fatto rispetto alle conferenze episcopali». Il concilio Vaticano II Né nel comunicato della Sala stampa, né nel decreto della Congregazione per i vescovi (24 gennaio) appare la citazione del Vaticano II. Essendo notoria l’opposizione formale della Fraternità al Concilio e radicalizzando per induzione l’«ermeneutica della riforma» (di Benedetto XVI) in quella «della continuità» (di alcuni dei suoi interpreti), si poteva ragionevolmente porre l’interrogativo se il magistero conciliare fosse fra le materie negoziabili. Se dopo la «continuità» si dovesse parlare di «irrilevanza». Una prima risposta è contenuta nella catechesi papale di mercoledì 28 gennaio. Al termine, Benedetto XVI ha fatto alcune comunicazioni fra cui quella relativa alla remissione della scomunica ai lefebvriani. «Auspico che a questo mio gesto faccia seguito il sollecito impegno da parte loro di compiere gli ulteriori passi necessari per realizza- re la piena comunione con la Chiesa, testimoniando così vera fedeltà e vero riconoscimento del magistero e dell’autorità del papa e del concilio Vaticano II». Ancora più chiara l’affermazione contenuta nella citata nota della Segreteria di stato: «Per un futuro riconoscimento della Fraternità San Pio X è condizione indispensabile il pieno riconoscimento del concilio Vaticano II e del magistero dei papi Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e dello stesso Benedetto XVI». Nel lungo arco di una decina di giorni si sono moltiplicate dentro e fuori la Chiesa le domande sulla normatività e l’autorevolezza del Concilio. Praticamente in tutte le decine e decine di interventi episcopali, sia singoli sia collettivi, nei molti commenti dei teologi e dei giornali, nelle osservazioni di altre confessioni e religioni, nelle stesse risposte della stampa cattolica istituzionale ritorna la domanda relativa al Vaticano II. «A un certo momento (dei dialoghi con la Fraternità) la questione del testo stesso del concilio Vaticano II come documento magisteriale di prima importanza dovrà essere posta. È fondamentale» (card. J.-P. Ricard). Il papa mostra che il ritorno alla piena comunione della Fraternità «non IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2009 77 REGATT 04-2009.qxd 25/02/2009 14.44 Pagina lascia permanere alcun dubbio sul fatto che le decisioni del Vaticano II siano un presupposto indispensabile per la vita della Chiesa» (mons. R. Zollitsch, presidente della Conferenza episcopale tedesca). Di «accettazione necessaria del concilio Vaticano II» parla mons. K. Koch, presidente della Conferenza episcopale svizzera. Si potrebbe ampiamente citare da mons. C. Dagens ai vescovi di Besançon, Metz e Strasburgo, da mons. G. Fürst a mons. G.L. Müller, da mons. H. Krätzl a mons. E. Kapellari, dai vescovi svizzeri a quelli italiani. Si dovrebbero aggiungere le proteste dei teologi e dei laici in Germania, Svizzera, Francia, Stati Uniti. L’effetto complessivo è quello di aprire due domande di fondo. La prima è quella sul tasso di collegialità della decisione presa. La seconda riguarda la debolezza inquietante di un’opinione pubblica nella Chiesa. Essa è particolarmente evidente in Italia. Le domande più pertinenti sono risuonate sui media laici, grazie a voci cattoliche marginalizzate o di altre fedi. La parresia sembra scomparsa dalle nostre sponde dell’informazione religiosa istituzionale. In compenso è ben evidente la posizione della Fraternità. Mons. Fellay nella lettera del 25 febbraio 2008 ricorda l’opposizione al Vaticano II: «L’ecumenismo, la libertà religiosa, la collegialità rimangono dei punti non superabili su cui resisteremo». Nella lettera dei quattro vescovi del 2004 sull’ecumenismo si dice: «Ha fatto di questa città santa che è la Chiesa una città in rovina». Mons. B. Tissier de Mallerais ha ripetuto a La Stampa quello che aveva già detto alla nostra rivista:8 «Noi non cambiamo le nostre posizioni, ma abbiamo intenzione di convertire Roma, cioè di portare il Vaticano verso le nostre posizioni» (1° febbraio). A n t i se m i t i s m o «Io credo che non ci fossero camere a gas» e «arrivo alla conclusione che fra i 200.000 e i 300.000 ebrei siano morti nei campi di concentramento, ma nessuno di questi in una camera a gas». Le intollerabili affermazioni antisemite del vescovo lefebvriano Richard Williamson, risuonate dalla tele- 78 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2009 78 visione pubblica svedese il 21 gennaio, scoppiano con fragore contestualmente alla rimozione della scomunica e rapidamente cambiano la percezione complessiva della decisione papale. Protestano immediatamente il rabbinato d’Israele, quello italiano e quello tedesco. Protestano vigorosamente i vescovi: dal card. W. Kasper («Parole inaccettabili, parole stolte») a K. Lehmann, da H. Mussinghof, responsabile per i vescovi tedeschi dei rapporti con gli ebrei («Ci opponiamo nella maniera più decisa a questa negazione esplicita della Shoah, che in Germania è già oggetto di inchieste giudiziarie»), a C. Schönborn («È vergognoso e angosciante che ci siano ancora voci che negano apertamente la Shoah»). Protestano vigorosamente gli esponenti ebraici. Fra questi cito il più vicino al mondo cattolico, il rabbino David Rosen: «Riammettere al proprio interno una persona chiaramente antisemita qual è Williamson, è un passo che contamina l’intera Chiesa cattolica». La Fraternità, che ha dapprima cercato di evitare o contenere la trasmissione dell’intervista televisiva, interviene con una dichiarazione di mons. Fellay (le affermazioni di Williamson «non riflettono in alcun modo le posizioni della nostra associazione»), poi con un’intervista a Famille chrétienne («Rifiutiamo ogni accusa di antisemitismo»), poi con una dichiarazione del responsabile per la Germania, F. Schmidberger («la sua non è la posizione della Fraternità»), infine con un’approssimata lettera dello stesso Williamson al card. Castrillón Hoyos, in cui esprime «il sincero dispiacere per aver causato a lei e al santo padre tante inutili sofferenze e problemi», senza rimangiarsi alcuna delle sue parole e senza alcuna scusa verso gli ebrei. Nonostante la rimozione del vescovo dal suo ruolo di rettore del seminario argentino, la posizione della Fraternità rimane inadeguata a causa della distanza dal riferimento decisivo, cioè dal documento conciliare Nostra aetate. In difficoltà il Vaticano. Alle parole severe del card. Kasper si aggiungono quelle del papa («Auspico che la memoria della Shoah induca l’umanità a riflettere sull’imprevedibile potenza del male quando conquista il cuore Mons. Marcel Lefebvre (1905-1991); a fianco, a Roma nel 1965 con gli altri vescovi del Coetus internationalis patrum, il gruppo di studio dei conservatori al Concilio, e il 5 maggio 1988, all’atto della firma del protocollo con la Santa Sede, poi sconfessato. dell’uomo. La Shoah sia per tutti monito contro l’oblio, contro la negazione o il riduzionismo») e quelle del portavoce, p. F. Lombardi («Chi nega il fatto della Shoah non sa nulla del mistero di Dio, né della croce di Cristo»). Dopo le esplicite e inusuali critiche del cancelliere tedesco, A. Merkel, e le proteste del ministro degli Esteri del governo d’Israele, la Segreteria di stato annota: «Il vescovo Williamson per un’ammissione a funzioni episcopali nella Chiesa dovrà anche prendere le distanze in modo assolutamente inequivocabile e pubblico dalle sue posizioni riguardanti la Shoah». Problemi di governo Passano i giorni, e cresce sempre di più una domanda trasversale circa le incongruenze e le contraddizioni nelle decisioni e nella trasmissione pubblica delle stesse da parte della Santa Sede. Traspaiono dai giornali le irritazioni reciproche di alcuni dei protagonisti: dal card. G.B. Re, prefetto della Congregazione dei vescovi, al card. D. Castrillón Hoyos, presidente della Pontificia commissione «Ecclesia Dei», a mons. F. Coccopalmerio, presidente del Pontificio consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi. Risulta stu- REGATT 04-2009.qxd 25/02/2009 14.44 Pagina 79 Come volete che possiamo riportare il dibattito su basi corrette? Vi si è impegnato in maniera molto apprezzabile il card. Ricard, ma il fuoco era partito e nessuno poteva più ascoltare una parola ragionevole». Nessuna informazione ai vescovi, nessuna informazione ad altri esponenti di curia, come il card. Kasper, che di lì a poco avrebbe dovuto tuttavia gestire le reazioni alla decisione. pefacente l’ammissione della nota della Segreteria di stato circa le posizioni di Williamson «non conosciute dal santo padre nel momento della remissione della scomunica». Il card. K. Lehmann, vescovo di Magonza, chiede apertamente le dimissioni di chi quelle informazioni le doveva avere, cioè il card. Hoyos, e che evidentemente le ha taciute. Suonano pietosamente implausibili le voci trasmesse dai giornalisti filo-tradizionalisti su complotti organizzati dai «dissidenti» in Vaticano. Vale la pena citare le parole di mons. H. Simon, vicepresidente della Conferenza episcopale francese. Esse non si riferiscono al portavoce vaticano, quanto all’insieme della comunicazione ecclesiale: «Sarà necessario interrogarsi sulla comunicazione delle istanze romane riguardanti argomenti così sensibili. Dopo la polemica del di- scorso di Regensburg (che meriterebbe di essere smontata attentamente…) spero – e mi riservo di parlarne all’interno (dei vescovi) – che i responsabili della curia procedano a una seria revisione dei fallimenti della loro comunicazione. Per dirla in una parola ecco come io ho vissuto la vicenda. Mercoledì 21 gennaio gli ambienti integralisti italiani che credevano di trionfare “organizzano una fuga di notizie” su Il Giornale. Immediatamente il tam-tam mediatico si mette in moto. Mentre noi, membri delle conferenze episcopali, non ne sappiamo niente! E per tre giorni informazioni – sbagliate, che parlano per giorni di “reintegrazione” – proliferano in tutte le direzioni come un fuoco nella stoppia. Ci passa di tutto. È solo il sabato mattina – tre giorni dopo, troppo tardi – che noi riceviamo il comunicato ufficiale del card. Re. A t te g g ia m e n t i p a s to rali Non vi è stata nell’episcopato e nelle Chiese, tra i teologi o fra i laici, alcuna ribellione. Non sono mancate le osservazioni positive come quella di P. Prodi, che apprezza il cammino della Fraternità in relazione alle doverose distanze dall’antisemitismo che ha dovuto prendere, o come quelle di mons. Capovilla sulla sapienza di attendere e sulla scommessa che il popolo credente sia in grado di accettare anche posizioni non facili come quelle sostenute dalla Fraternità. Vale la pena annotare due possibili derive. Quella indicata da mons. C. Dagens, che riconosce fra i lefebvriani molti «feriti dalla vita», con rotture traumatiche alle proprie spalle. Con una domanda espressa direttamente da Le Monde (27.1.2009): «Se agli integristi viene l’idea di bruciare un cinema o di occupare una Chiesa, i vescovi francesi non potranno più dire: “non sono dei nostri”». La seconda deriva possibile è su quanti silenziosamente si allontanano. Molti marginali o irregolari (pur non scomunicati) se ne andranno da una Chiesa sempre meno tale e sempre più setta (cf. La Croix, 3.2.2009). Per questo la conferma del Vaticano II e l’adesione alla sua ecclesiologia diventano così centrali e importanti. Lorenzo Prezzi 1 Cf. Regno-att. 16,2005,513. Cf. Regno-doc. 1,2006,5. 3 Cf. lettera apostolica Summorum pontificum, Regno-doc. 15,2007,457; Regno-att. 14,2007,434. 4 EV 15/962-972. 5 Regno-doc. 17,1997,529. 6 Cf. Regno-att. 2,2002,12; Regno-doc. 3,2002,87. 7 Cf. Regno-att. 20,2007,668. 8 Cf. Regno-att. 10,1994,257. 2 IL REGNO - AT T UA L I T À 4/2009 79