Si ascoltano talvolta alcune voci che dicono: “la Fede o c`è o non c`è

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Si ascoltano talvolta alcune voci che dicono: “la Fede o c'è o non c'è e non sono i ragionamenti che
la danno o la tolgono”
Dalla parabola “il seminatore” ci si insegna che i doni Dio, sono distribuiti in maniera uguale ma è
il come li si accoglie, come si è predisposti nei confronti di essi che se ne differenziano i risultati.
La fede e la ragione ( peculiare attività “mentale” dell'essere umano) sono dunque doni del Buon
Dio e come doni che Lui ci ha dato vanno percepiti nella giusta misura, assimilati nel profondo
dell'anima, mantenuti saldi e uniti, coltivati e arricchiti sempre, anche l’uno in funzione dell’altro.
Un'espressione del libro dei Proverbi è significativa in proposito: « La mente dell'uomo pensa molto
alla sua via, ma il Signore dirige i suoi passi » (16, 9). Come dire, l'uomo con la luce della ragione
sa riconoscere la sua strada, ma la può percorrere in maniera spedita, senza ostacoli e fino alla fine,
se con animo retto inserisce la sua ricerca nell'orizzonte della fede. La ragione e la fede, con
l’ausilio della Parola, pertanto, non possono essere separate senza che venga meno per l'uomo la
possibilità di conoscere in modo adeguato se stesso, il mondo e Dio.
La ragione o filosofia ha nel corso dei secoli seguito un suo percorso attinente strettamente al
progredire dell'essere umano. Sono stati così costruiti sistemi di pensiero complessi, che hanno dato
i loro frutti nei diversi ambiti del sapere, favorendo lo sviluppo della cultura e della storia.
L'antropologia, la logica, le scienze della natura, la storia, il linguaggio..., in qualche modo l'intero
universo del sapere è stato abbracciato, ma da questo abbraccio è stata lentamente esclusa ciò che
trascende la ragione dell'uomo e verso cui l'uomo per sua natura è chiamato, destinato. E' così
accaduto che, invece di esprimere al meglio la tensione verso la verità, la ragione sotto il peso di
tanto sapere si è curvata su se stessa diventando, giorno dopo giorno, incapace di sollevare lo
sguardo verso l'alto per osare di raggiungere la verità dell'essere. Ne sono derivate varie forme di
agnosticismo e di relativismo, che hanno portato l'uso della ragione a smarrirsi nelle sabbie mobili
di un generale scetticismo, lo stesso vale sia per quelle dottrine che tendono a svalutare perfino
quelle verità che l'uomo era certo di aver raggiunte sia per lo stesso razionalismo che si attesta
unicamente su tutto ciò che è logico e legato alla evidenza dei fatti. La legittima pluralità di
posizioni ha ceduto il posto ad un indifferenziato pluralismo, fondato sull'assunto che tutte le
posizioni si equivalgono: è questo uno dei sintomi più diffusi della sfiducia nella verità che è dato
verificare nel contesto contemporaneo. A questa riserva non sfuggono neppure alcune concezioni di
vita che provengono dall'Oriente; in esse, infatti, si nega alla verità il suo carattere esclusivo,
partendo dal presupposto che essa si manifesta in modo uguale in dottrine diverse, persino
contraddittorie tra di loro. In questo orizzonte, tutto è ridotto a opinione. Si ha l'impressione di un
movimento di per sé fragile e mancante di una “pietra d'angolo”, ovvero che assume connotati del
momento, privo di forma e sostanza propria che porta però con “supponenza superiorità” a
dichiarare assolute le proprie convinzioni, di conseguenza sono emersi nell'uomo contemporaneo
atteggiamenti di diffusa sfiducia nei confronti delle grandi risorse conoscitive dell'essere umano.
Con falsa modestia ci si accontenta di verità parziali e provvisorie, del “momento”, senza più
tentare di porre domande radicali sul senso e sul fondamento ultimo della vita umana, personale e
sociale; assurgendo poi a presunta infallibilità in alcune discipline si è giunti a sostituire il naturale e
operoso percorso tracciato da Dio con interventi volti a eliminare il divino equilibrio. L'essere
umano possiede, quindi, il dono della ragione , la ragione, tuttavia, sia in quanto legata ai sensi sia
perché consapevole di un proprio limite di conoscenza("…l’ultimo atto della ragione sta nel
riconoscere che vi è una infinità di cose che la sorpassano: essa non è che debole cosa, se non arriva
a riconoscere questo…” – Pascal -), ha un’efficacia “limitata” e non può quindi conoscere le verità
che eccedono la sua capacità naturale. In questo caso, la mente umana ha bisogno di un altro dono
ovvero della luce della fede, e affinché essa non appaia come cieco moto dello spirito, Dio ha fatto
sì che all'aiuto interiore dello Spirito Santo si accompagnino ad esso prove tangibili della Sua
Rivelazione: miracoli, segni, profezie, la diffusione e la Santità della Chiesa.
La Fede
anch'essa è un dono, un dono impegnativo per noi cristiani che ci pone continuamente
“sotto esame”, un impegno, però, conforme ad ogni cristiano capace di impegnarsi. L’uomo può
cercare di conoscere Dio partendo dagli effetti della sua creazione giacché è dai sensi che trae
sempre origine la nostra conoscenza. Gli effetti sensibili, però, ci mostrano l’esistenza di una causa,
ma non ci dicono niente “dell’essenza” di tale causa. Per questo motivo e per il fatto che Dio supera
all’infinito i suoi effetti, l’intelletto umano non può conoscere Dio, vale a dire la sua essenza o che
cosa Dio è, ma può soltanto arrivare a conoscere che Dio è, vale a dire a riconoscere l’esistenza di
Dio. Quindi con un atto di “umiltà” la ragione lascia spazio ed invoca la fede, la quale invece,
sebbene non possa mostrarci Dio nella sua essenza, in quanto ciò è impossibile in questa vita, ci
permette di comprendere che Dio supera tutto ciò che si conosce per via naturale. Scrive
Sant'Agostino:”..crede ut intelligas et intellige ut creda..” ovvero “ credi per capire e capisci per
credere”. La Fede è un dono di Dio per tutti, ma differente poi è come la si accoglie e ad essa ci si
abbandona, da cui citando ancora Sant'Agostino: fides qua, la fede con cui si crede, cioè la fiducia
con cui ci si abbandona a Dio, e fides quae, la fede che crede nell’unico e identico Dio nel quale
credono tutti i cristiani, la fede che ha accolto la rivelazione del Padre nel suo figlio Gesù, la fede
sintetizzata e proclamata nel Simbolo di fede. Ulteriore insegnamento in merito ci viene dalla
parabola in Mt. 25, 14-29 “..."Inoltre il regno dei cieli è simile a un uomo che, partendo per un
viaggio chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un
altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità; e subito partì…” Quindi la Fede di per se non è una
fase statica ma “esige di essere pensata” nella sua professione e nell'assenso ad essa, ed esige
operosa attuazione nella carità. E’ la natura stessa dell’assenso, in cui consiste la fede, che spinge il
credente a pensare ciò che ha creduto: a far divenire sempre più la sua fede, fede che pensa, ed il
suo credere intelligenza.
Mediante questo assenso, la persona umana si pone in rapporto con la persona di Cristo: non credo
in qualcosa, credo in Qualcuno. Ma proprio a causa di questo atto di intero abbandono (cfr. Dei
Verbum 5), il credente intende penetrare sempre più profondamente nella conoscenza della Persona
cui si è affidato attraverso un ascolto sempre più intelligente di ogni Sua parola.
Fermo restando che è la Ragione ad invocare la Fede, una sorta di equilibrio deve permanere tra
esse altrimenti si incorrerebbe in insidie che altererebbero l’armonia.
Insidie che possono essere riscontrate in forme di una personalizzazione della Fede, un’assuefarsi al
culto sino a generalizzarlo asserendo che tutte le religioni sono uguali, un cedere della ragione a
un’interpretazione “materiale” della vita allontanandola così dalla sua pienezza di essere vissuta con
una finalità che va oltre la morte, un rivolgersi al prossimo non con compassione ma mera
“beneficenza” confondendo la carità con la filantropia.
A mantenerci lontani o per lo meno a “cercare” di evitare simili insidie noi Cristiani abbiamo la
Parola, come guida sicura, vivificante, educante.
La lettura della Parola è anch’essa un impegno non esente da un non corretto avvicinamento alla
Parola stessa. Da diversi anni si possono trovare commentari e pre-confezionate interpretazioni che
pur nelle loro legittime buone intenzioni di aiutare chi si avvicina alla Parola purtroppo ne rendono
atto passivo la lettura, così come risulta sterile, impersonale una interpretazione tout-court del
momento;
altra leggerezza
è il non rendersi conto della pienezza e continuità della Parola
preferendo parte della Sacra Scrittura ad un'altra o anche passare da un passo all'altro cercando,
come unico parametro di riferimento il proprio io, una spiritualità egocentrica laddove una lettura
autentica è sempre Cristocentrica per giungere a Dio. Non da meno ci sono novelli scribi che
illuminati da una loro presunta sapienza trasmettono messaggi falsati confondendosi come seme di
zizzania con semi di buon grano...ma il tempo, espressione di Dio, al momento del raccolto ne darà
giusta evidenza e conseguente cernita. La Parola quindi va ascoltata, letta, rimuginata, accolta nel
cuore e poi nella mente. Nell'accostarci alla Parola non dobbiamo cercare conferma di una nostra
ideologia né tanto meno accostarci in un modo più intellettuale che sapienziale, ma il nostro deve
essere un impegno che ci renda pronti, cercatori attivi, vigilanti e non dormienti, propositivi
nell'attuazione a stipulare un alleanza tra Cristo e noi, un'alleanza che ci porti dal Padre.
Fede e ragione, dunque, ma con uno spirito tale da comprendere e far proprie le parole di Giovanni
Paolo II :”...La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la
contemplazione della verità....”
Gruppo catechesi del lunedì h.18,00
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