CONDOTTA ANTISINDACALE Il comportamento antisindacale è ritenuto tale qualora incida in modo diretto su i diritti sindacali riconosciuti dai contratti collettivi di lavoro, dalla legge, e/o dalla Costituzione. Nel caso in cui il datore di lavoro si comporti in modo tale da impedire o limitare l’esercizio e la libertà dell’attività sindacale, il sindacato può denunciare ciò al giudice del lavoro; nel caso si accerti dell’effettivo comportamento lesivo, il giudice può ordinare al datore di cessare il comportamento antisindacale e di rimuovere gli effetti dello stesso. La giurisprudenza ha precisato che la violazione dei diritti esplicitamente stabiliti da norme legali o contrattuali, non esaurisca l'ambito dei comportanti antisindacali. Il procedimento citato è destinato a tutelare il sindacato da quei comportamenti del datore di lavoro tali da ledere, ingiustificatamente, le prerogative del sindacato stesso, danneggiandone l'immagine. E’ stato sostenuto che, una volta aperta una trattativa tra il sindacato e il datore di lavoro, entrambe le parti sono tenute a condurre tali trattative con correttezza e buona fede. Un aspetto di particolare rilevanza riguarda i diritti di informazione previsti dai contratti collettivi, il cui esercizio rappresenta uno dei diritti sindacali di maggior rilievo. La giurisprudenza ha, inoltre, chiarito diversi aspetti relativi ai diritti sindacali e alle violazioni che hanno dato seguito a condanna per condotta antisindacale. Tra queste va ricordato il disconoscimento del delegato sindacale a seguito di cessione di ramo d’azienda: la Corte di cassazione ha precisato che il delegato sindacale mantiene le proprie prerogative e continua ad esercitare le funzioni per cui è stato eletto anche nella società cessionaria. Disconoscimento del delegato sindacale a seguito di trasferimento di ramo d’azienda Nel caso di trasferimento di un’intera azienda, i lavoratori passano alle dipendenze del datore di lavoro che subentra nella titolarità dell’azienda ceduta. Il datore di lavoro acquisisce, insieme all’azienda, anche i relativi rapporti di lavoro che proseguono inalterati alle sue dipendenze. La medesima regola vale nel caso in cui la cessione riguardi non l’azienda nel suo complesso, ma un ramo autonomo di essa. Il trasferimento di ramo d'azienda non comporta, nè l'interruzione dei rapporti di lavoro dei dipendenti ceduti, né l'automatica decadenza dalle cariche e dai diritti sindacali preesistenti, tanto più quando il trasferimento riguardi anche i lavoratori costituenti la "base elettorale" del rappresentante sindacale trasferito. Quando la violazione di una norma del contratto collettivo pone in essere un comportamento antisindacale Non tutte le disposizioni di un contratto collettivo dispongono diritti e obblighi tra il datore di lavoro e il sindacato: accanto a queste disposizioni, dette obbligatorie, ve ne sono altre, dette normative, che disciplinano il rapporto di lavoro, i diritti e gli obblighi del datore di lavoro direttamente nei confronti dei singoli lavoratori. Nel caso di violazione di una norma contrattuale di tipo obbligatorio, il datore di lavoro porrebbe in essere una condotta antisindacale, in quanto violerebbe un diritto del sindacato. Per esempio, questo si verifica quando il datore di lavoro viola l’obbligo, specificamente previsto dal contratto collettivo, di informare o di consultare il sindacato o di disciplinare una determinata materia solo previo accordo con il sindacato e non unilateralmente. In casi come questi il sindacato potrebbe agire in giudizio al fine di ottenere l’accertamento della natura antisindacale di quella condotta e la rimozione degli effetti che ne conseguono. Al contrario, la violazione da parte del datore di lavoro delle disposizioni contrattuali a contenuto normativo non configura ipotesi di condotta antisindacale. Infatti, il diritto leso non appartiene al sindacato, ma al singolo lavoratore che potrà rivolgersi al giudice del lavoro nelle forme ordinarie per ottenere il risarcimento dei danni derivanti da una simile violazione. Nel caso in cui il datore di lavoro, oltre a ledere i diritti dei singoli lavoratori, dovesse anche screditare il sindacato agli occhi degli stessi dipendenti, il giudice del lavoro ritiene che tale comportamento provochi la violazione di una disposizione normativa prevista dal contratto collettivo; di conseguenza, in questo caso, possiamo parlare di condotta antisindacale. Per esempio, è stato ritenuto antisindacale il licenziamento collettivo, in presenza di un accordo che ne escludeva il ricorso; similmente è accaduto in un caso in cui il datore di lavoro aveva violato un accordo di natura economica mentre stava trattando con il sindacato il rinnovo del medesimo; ancora, è stata dichiarata antisindacale la violazione di un accordo sulle pause retribuite, appunto in considerazione della perdita di credibilità del sindacato in un caso in cui la violazione di una disposizione contrattuale normativa aveva un significativo impatto su tutti i dipendenti. La causa per comportamento antisindacale, consistente nella violazione di un contratto collettivo, può essere promossa solamente dal sindacato che aveva sottoscritto quell’accordo. In caso contrario, il sindacato non può lamentare la violazione di un proprio diritto poichè le norme obbligatorie del contratto non sono applicabili nei suoi confronti, né può lamentare una perdita di credibilità per la violazione di un accordo che non aveva sottoscritto. Diritti di informazione e comportamento antisindacale Il diritto di informazione a favore del sindacato non è previsto dal nostro ordinamento giuridico. Pertanto, il sindacato che non ottenga risposta alle proprie richieste, può esclusivamente far ricorso agli strumenti di lotta di cui egli dispone (primo tra tutti, lo sciopero) per indurre il datore di lavoro a rendere le informazioni richieste. Vi sono, però, alcuni casi contemplati dalla Legge in cui è obbligatoriamente previsto l’obbligo per il datore di lavoro di rendere certe informazioni al sindacato o alla sua rappresentanza aziendale. Ad esempio, il diritto di informazione è previsto a fronte della decisione del datore di lavoro di adottare provvedimenti a forte impatto sui lavoratori: ciò accade specificatamente nel caso in cui il datore di lavoro intenda mettere i lavoratori in mobilità, o sospenderli in cassa integrazione, o trasferire la propria azienda o un ramo autonomo di essa. Altri diritti di informazione sono, invece, previsti dalla contrattazione collettiva di categoria. Tali diritti di origine contrattuale sono numerosi e si applicano solo al sindacato di riferimento del contratto che ne costituisce la fonte. Per esempio, i contratti di categoria possono prevedere diritti di informazione in tema di fruizione dei permessi per riduzione dell’orario di lavoro, o di individuazione del periodo feriale, o di superamento di certi limiti di lavoro straordinario. Per il datore di lavoro inadempiente, la sanzione prevista dall’ordinamento giuridico è la condotta antisindacale. Si considera, inoltre, che l’inadempienza dell’obbligo in questione, provochi la perdita di credibilità per il sindacato interessato agli occhi dei propri rappresentati. Naturalmente, la condanna per condotta antisindacale non è fine a se stessa, ma ha importanti conseguenze finalizzate a salvaguardare il diritto che era stato leso. Infatti, l’art. 28 (Statuto dei Lavoratori) dispone che il giudice del lavoro, accertata la natura antisindacale di un determinato comportamento, disponga anche la rimozione dei suoi effetti. Ciò, nel caso di cui si sta parlando, significa che il giudice del lavoro può ordinare al datore di lavoro di rendere le informazioni che erano state negate. In alcuni casi, la conseguenza è ancora più efficace, dal momento che il giudice del lavoro può addirittura revocare il provvedimento che era stato adottato in assenza della preventiva informazione. Questo è, in particolare, il caso della mobilità o della cassa integrazione: in questi casi il giudice del lavoro, accertato che il datore di lavoro ha disposto la mobilità o la cassa integrazione senza aver preventivamente informato il sindacato, dispone la immediata riammissione in servizio dei lavoratori licenziati o sospesi.