chimica generale e propedeutica biochimica

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CHIMICA GENERALE E PROPEDEUTICA BIOCHIMICA
CHIMICA GENERALE
Materia
La materia può avere:
- Proprietà fisiche: se studiate non comportano trasformazione della materia (es.: temperatura di ebollizione,
temperatura di fusione, stato di aggregazione);
- Proprietà chimiche: se studiate comportano trasformazione della materia (es.: reazioni chimiche).
Legge di conservazione della massa
Quando si verifica una reazione chimica la somma delle masse dei reagenti è uguale alla somma delle masse dei
prodotti.
∑ masse reagenti = ∑ masse prodotti
Stati di aggregazione
- Solido: particelle ordinate in un reticolo cristallino ben strutturato, regolare;
- Liquido: particelle meno interagenti tra loro, meno strutturate;
- Gassoso: nessuna interazione tra le particelle, completamente libere.
Definizioni
 Sostanza pura: tipo particolare di materia con composizione ben definita e costante e caratteristiche chimicofisiche conosciute (es.: H2O).
Le sostanze possono essere costituite da:
o Elementi: specie chimiche elementari, inscindibili in componenti più semplici e formate da atomi
dello stesso tipo;
o Composti: specie chimiche composte da più elementi diversi, combinati secondo rapporti ponderali
fissi, precisi e costanti e formate da atomi di diverso tipo.
I composti possono essere scissi in elementi tramite operazioni chimiche o elettriche.
 Sistema: qualsiasi porzione dell’universo oggetto di studio.
 Ambiente esterno o intorno del sistema: rimanente parte dell’universo.
Un sistema può essere:
o Fisicamente:
 Omogeneo: presenta in ogni suo punto le medesime qualità fisico-chimiche; costituito da
una sola fase.
 Eterogeneo: presenta qualità diverse a seconda della zona osservata; è costituito da più fasi,
separate da superfici di discontinuità.
o Chimicamente:
 Omogeneo: presenta una sola sostanza;
 Eterogeneo: presenta più di una sostanza.
Un sistema inoltre può essere:
o Aperto: può scambiare con l’ambiente sia materia che energia;
o Chiuso: può scambiare con l’ambiente solo energia, non materia;
o Isolato: non può scambiare con l’ambiente né materia né energia.
 Soluzione: sistema fisicamente omogeneo ma chimicamente eterogeneo.
 Miscela: sistema fisicamente e chimicamente eterogeneo, formato da due o più sostanze incapaci di unirsi tra
loro e composte in rapporti variabili.
L’atomo
L’atomo è la più piccola particella che conserva le caratteristiche strutturali necessarie alla sua identificazione; atomi
dello stesso tipo presentano caratteristiche uguali, anche se possono presentare masse leggermente diverse. Gli atomi
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possono legarsi tra loro per formare strutture stabili: le molecole. La stabilità è caratterizzata da un contenuto energetico
basso, perciò con la formazione di molecole si ha liberazione di energia.
Un elemento è formato da più atomi dello stesso tipo; un composto è formato da più atomi di diverso tipo.
L’atomo è composto da una parte centrale, molto compatta, positiva, chiamata nucleo, che è circondata da una nube
elettronica negativa, determinata dalla presenza di elettroni.
Il nucleo è composto da nucleoni, ovvero da protoni e neutroni: i nucleoni determinano la massa dell’atomo, in quanto
la massa degli elettroni è trascurabile, anche se essi contribuiscono a determinare le caratteristiche chimico-fisiche
dell’elemento; la funzione dei neutroni è principalmente quella di annullare le interazioni tra protoni ed elettroni.
Gli atomi sono elettricamente neutri, in quanto il numero di elettroni ed il numero di protoni si equivalgono.
Un atomo si identifica secondo un simbolo (es.: Cloro  Cl), correlato solitamente da due numeri:
- Numero atomico (Z), che indica il numero di protoni ed identifica l’atomo; si pone in basso a sinistra del
simbolo dell’elemento. Z indica soltanto il numero di protoni, non di elettroni, in quanto alcuni atomi
elettricamente carichi (ioni) hanno diverso numero di elettroni e protoni.
- Numero di massa (A), che indica il numero di nucleoni (protoni + neutroni) e determina la massa dell’atomo;
si pone in alto a sinistra del simbolo dell’elemento.
A
Z
X
Possono inoltre esistere atomi dello stesso elemento che però hanno numero diverso di neutroni: gli isotopi, che avranno
uguale numero atomico ma diverso numero di massa (es.:
12
6
C , 136C , 146 C ).
L’abbondanza percentuale naturale indica la percentuale del numero di atomi di un determinato isotopo in un
campione di un determinato elemento; essa è uguale indipendentemente dal luogo del prelievo (es.: 11 H Idrogeno,
99%; 12 H Deuterio e 13 H Trizio meno dell’1%).
L’unità di massa atomica unificata (u.m.a.) è definita come la dodicesima parte della massa del 12C e corrisponde alla
massa di un protone (o di un neutrone), ovvero a 1,66x10-27 kg.
La massa atomica assoluta (A) è la massa reale dell’atomo mentre la massa atomica relativa (Ar) definisce il numero
di volte che l’u.m.a. è contenuta nella massa atomica assoluta (es.: 12C, Ar = 12).
A
u.m.a.
Ar 
I valori di massa atomica non sono numeri interi in quanto i vari isotopi (in percentuale di presenza diversa) presentano
masse leggermente diverse: perciò la massa atomica è definita dalla massa atomica media, ovvero dalla media
ponderata delle masse dei vari isotopi per le rispettive abbondanze percentuali naturali.
Am 
 Ar a. p.n.
n
Il peso atomico è invece definito come il rapporto tra massa atomica media e u.m.a.
P
Am
u.m.a.
La concentrazione
La concentrazione esprime i rapporti quantitativi delle specie chimiche del sistema.
Per esprimere la concentrazione è necessario conoscere la mole, definita come la quantità di sostanza che contiene un
numero di particelle uguale al numero di atomi contenuti in 0,012 kg esatti di 12C, il cui numero è pari al numero di
Avogadro, 6,022x1023.
La massa molare è anche indicabile come il peso atomico indicato in grammi (es.: O2 Ar = 16; 16x2=32 g).
Il numero di moli (n) è definito come il rapporto tra la massa della sostanza in grammi ed il suo peso molecolare.
n
m
Pm
La concentrazione può essere espressa in vari modi:
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 Frazione molare (X): indica il rapporto tra il numero di moli di un dato componente e il numero totale delle
moli di tutti i componenti della soluzione.
X

ncomponente
ntotali
La frazione molare di ciascun componente può assumere valori compresi tra 0 e 1; la somma delle frazioni
molari di tutti i componenti in soluzione è 1.
Molalità (m): indica il numero di moli di soluto in 1kg di solvente.
m
nsoluto
msolvente
 Molarità (M o [X]): indica il numero di moli di soluto in un litro di soluzione.
M
nsoluto
Vsoluzione
Configurazioni elettroniche
Secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg non è possibile definire contemporaneamente e con esattezza
posizione e velocità di un elettrone, mentre è possibile determinare la probabilità che l’elettrone si trovi in una
determinata posizione. Per questo motivo sono stati introdotti gli orbitali, le zone dove vi è la massima probabilità di
individuare un elettrone con una determinata energia. Gli orbitali sono definibili tramite delle funzioni d’onda, definite
da numeri quantici, che descrivono l’energia, la forma e l’orientamento nello spazio di un determinato orbitale.
I numeri quantici sono:
 Numero quantico principale (n)
1 n  

Determina il livello energetico dell’orbitale, in relazione alla distanza dal nucleo;
Numero quantico secondario (l)

Determina il sottolivello energetico dell’orbitale, in relazione alla forma dell’orbitale;
Numero quantico magnetico (m)
0 l  n 1
m   l ,0,l
Determina l’orientamento dell’orbitale, sottoposto al campo magnetico;
 Numero quantico di spin (+ ½ , - ½ ) ( ,  )
Determina il verso di rotazione dell’elettrone attorno al proprio asse.
Principio di esclusione di Pauli: in un atomo non è possibile trovare orbitali con più di due elettroni.
Casi di orbitali:
 n=1
o l = 0  m = 0  1s (sferico)
 n=2
o l = 0  m = 0  2s (sferici)
o l = 1  m = -1,0,+1  2p (bilobati)
 n=3
o l = 0  m = 0  3s (sferici)
o l = 1  m = -1,0,+1  3p (bilobati)
o l = 2  m = -2,-1,0,+1,+2  3d (tetralobati)
 n=4
o l = 0  m = 0  4s (sferici)
o l = 1  m = -1,0,+1  4p (bilobati)
o l = 2  m = -2,-1,0,+1,+2  4d (tetralobati)
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4
o l = 3  m = -3,-2,-1,0,+1,+2,+3  4f (polilobati)
La configurazione elettronica rappresenta perciò la disposizione degli elettroni attorno al nucleo ed è regolata da alcuni
principi:
- Tensione a minore energia: occupazione primaria di orbitali a livello energetico più basso, quindi più vicini al
nucleo;
- Principio di esclusione di Pauli;
- Legge della massima molteplicità di Hund: in presenza di orbitali isoenergetici, gli elettroni si dispongono
ognuno in un orbitale ed assumono spin parallelo.
La configurazione può essere scritta:
- Condensata: solo tramite gli orbitali;
- Espansa: definendo anche la posizione degli orbitali sugli assi;
- Rappresentazione di spin: includendo anche la raffigurazione dello spin.
Solitamente sulla tavola periodica viene raffigurata solo la configurazione elettronica esterna, ovvero quella del livello
o guscio di valenza, che maggiormente influisce sulle proprietà dell’elemento; il core, ovvero gli orbitali più interni,
non vengono raffigurati.
In una configurazione elettronica si riempiono in ordine:
ns
(n-2)f
(n-1)d
np
La tavola periodica
Sulla tavola periodica gli elementi sono ordinati secondo massa atomica crescente e presentano una chiara periodicità
delle loro proprietà: la tavola periodica è perciò definita come rappresentazione visiva della legge periodica.
Gli elementi con proprietà simili sono raggruppati in gruppi verticali, mentre i periodi orizzontali indicano il livello
elettronico che si sta riempiendo.
Le proprietà degli atomi sono correlate alla loro struttura elettronica: nell’ambito di uno stesso gruppo gli atomi hanno
stessa configurazione elettronica esterna.
IA, IIA  ns
IIIA, IVA, VA, VIA, VIIA, VIIIA  np
Gruppi B  (n-1)d
Elementi di transizione interna (lantanidi ed attinidi)  (n-2)f
Gli elementi dei gruppi A sono anche chiamati rappresentativi, in quanto rappresentano tutte le possibili varietà di
proprietà; gli elementi dei gruppi B sono invece definiti di transizione e presentano tutti proprietà simili.
Proprietà fisiche degli elementi
La configurazione elettronica esterna determina le proprietà chimico-fisiche degli atomi.
- Carica nucleare effettiva (Zeff): entità dell’attrazione realmente esercitata dal nucleo su un dato elettrone; è
determinata dall’attrazione dei protoni e dalla repulsione dei neutroni, che schermano l’attrazione.
Z eff  Z  S
-
Dove Z è il numero di protoni ed S è l’effetto di schermo.
La carica nucleare effettiva aumenta lungo un periodo e tende a rimanere costante (o al massimo a diminuire
leggermente) lungo un gruppo.
Raggio atomico: distanza tra il nucleo e l’elettrone più esterno (ovvero il punto dove è più probabile trovarlo).
Il raggio atomico diminuisce lungo un periodo ed aumenta lungo un gruppo.
Energia di ionizzazione: energia necessaria per allontanare a distanza infinita da un atomo allo stato gassoso
l’elettrone più debolmente legato.
L’energia di ionizzazione aumenta lungo un periodo e diminuisce lungo un gruppo.
Affinità elettronica: variazione di energia che si verifica quando un atomo accetta un elettrone.
L’affinità elettronica aumenta lungo un periodo e diminuisce lungo un gruppo.
Elettronegatività: capacità di un atomo di attrarre la coppia di elettroni di legame in una molecola; nella tavola
periodica è espressa l’elettronegatività relativa di un atomo.
L’elettronegatività aumenta lungo un periodo e diminuisce lungo un gruppo.
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Legami chimici
Ogni atomo in natura tende a raggiungere una configurazione elettronica esterna stabile, ovvero con otto elettroni sul
livello più esterno (regola dell’ottetto). Il legame chimico è una qualsiasi interazione capace di tenere uniti due o più
atomi, portando alla formazione di un sistema stabile, con energia inferiore rispetto a quella del sistema “atomi isolati”;
la formazione di un legame chimico porta sempre ad una diminuzione di energia del sistema.
L’energia di legame è la differenza di energia tra il sistema “atomi isolati” ed il sistema “atomi legati”, ovvero l’energia
emessa con la formazione di un legame chimico o l’energia necessaria per rompere un legame chimico. L’energia di
legame è espressa in kCal o in kJ.
Le molecole possono essere rappresentate attraverso la formula bruta (es.: H2O) oppure tramite la formula di struttura
I legami possono essere:
- Semplici: presentano condivisione di una sola coppia di elettroni;
es.: H : H  H – H  H2
- Multipli: presentano condivisione di due o più coppie di elettroni;
˙˙ :: O
˙˙ :  O = O  O2 (legame doppio)
es.: : O
es.:
: N ⋮N :  N ≡ N  N2 (legame triplo)
Inoltre ogni coppia di elettroni di legame può essere:
- Legame  : sovrapposizione degli orbitali lungo la linea che congiunge i due nuclei, dove si ha la massima
densità elettronica.
- Legami  : sovrapposizione degli orbitali sopra e sotto la linea che congiunge i due nuclei.
Nei legami doppi il primo legame è di tipo  , il secondo è di tipo  .
Non è comunque possibile formare più di tre legami.
Tipologie di legami
 Legami forti: trasferimenti o condivisione di elettroni.
o Legame covalente: condivisione di una coppia di elettroni tra due atomi; si può instaurare tra due non
metalli o tra un non metallo ed un metalloide.
 Legame covalente puro (o omopolare): entrambi gli atomi attraggono con forza uguale gli
elettroni di legame ed hanno quindi uguale elettronegatività ( en  0,5 ); non si instaurano
cariche sugli atomi. Questo legame si forma tipicamente tra atomi uguali (es.: H2  H – H).
 Legame covalente eteropolare: gli atomi attraggono con forza diversa gli elettroni di legame
ed hanno quindi diversa elettronegatività ( 0,5  en  1,9 ); si instaurano cariche parziali
sugli atomi. Questo legame si forma tipicamente tra atomi diversi (es.: FH  Fδ- – Hδ+).
o Legame ionico: si instaura tra atomi con valori molto diversi di elettronegatività ( en  1,9 ); in
questo caso l’atomo più elettronegativo strappa l’elettrone a quello meno elettronegativo. In questo
modo si formano un catione ed un anione legati da forti interazioni elettrostatiche (es.: NaCl  Na+ +
Cl-). Questo tipo di legame si instaura tra un metallo ed un non metallo.
Caratteristiche dei composti ionici:
- Non formano molecole ma strutture cristalline regolari e caratteristiche, i cristalli ionici,
molto rigidi, isolanti e che si frantumano facilmente;
- Solidi;
- Spesso alto-fondenti;
- Elettroliti.
o Legame metallico (reticolo cristallino elettronico): costituito da atomi che presentano elettroni
mobili, cioè che hanno basso potenziale di ionizzazione e quindi bassa elettronegatività; si forma
prevalentemente tra i metalli (alcalini, alcalino-terrosi).
Caratteristiche dei composti metallici:
- Duttili e malleabili;
- Conduttori;
- Opachi.
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o Legame dativo (o di ipercoordinazione): caratterizzato dalla condivisione di elettroni da parte di un


unico atomo (es.: NH 3  H  NH 4 ; in questo caso è presente un catione H + ed N cede entrambi

i suoi elettroni).
Questo legame è alla base dei complessi di coordinazione, solitamente formati da un catione centrale
che si lega a vari ligandi tramite legami dativi (es.: nel gruppo –eme dell’emoglobina il catione
centrale Fe+ si lega dativamente con l’Ossigeno; nella clorofilla il catione centrale è invece Mg+).
Legami deboli: deboli interazioni elettrostatiche tra atomi e molecole e tra molecole e ioni che non implicano
condivisione o trasferimento di elettroni. Queste forze intermolecolari influenzano molto le proprietà fisiche
delle sostanze, contribuendo a definire e stabilizzare le strutture tridimensionali delle macromolecole
organiche. In ordine di energia crescente sono:
o Interazione ione – dipolo permanente: legame ipocoordinato in cui un catione [anione] risente della
carica parziale negativa [positiva] di un dipolo elettrico. Questa interazione interviene nei processi di
solubilizzazione di solidi ionici in H2O, in cui il dipolo permanente è costituito dall’acqua. Nel caso
del sale NaCl sciolto in acqua, l’H2O attrae il sale e si libera energia, che viene utilizzata per rompere
il legame: l’interazione è data dal catione Na + e dall’anione Cl- che risentono della carica parziale
rispettivamente negativa (Oδ=) e positiva (Hδ+) del dipolo elettrico (H2O); si forma così attorno agli
ioni un alone di idratazione costituito dal dipolo elettrico e gli ioni vengono chiamati “ioni idratati”.
o Interazione ione – dipolo indotto;
o Interazione dipolo permanente – dipolo permanente (forza di Van Der Waals): caratterizzata
dall’interazione attrattiva tra molecole con momenti dipolari; la sua forza dipende dall’entità delle
cariche dipolari. Nel caso del legame idrogeno H è legato covalentemente ad atomi molto
elettronegativi (N, O, F) ed assume quindi una carica parziale grande: il legame idrogeno si forma
quindi tra un atomo di H di una molecola ed un atomo molto elettronegativo di un’altra molecola.
Questi legami si dispongono di solito linearmente.
o
o
Ogni molecola d’acqua potrà formare quattro legami idrogeno, in quanto in ogni molecola sono
presenti due cariche parziali positive e due cariche parziali negative.
Questo tipo di legame spiega alcune proprietà fisiche dell’acqua:
- La struttura tridimensionale ad anelli esagonali del ghiaccio che rende il volume del ghiaccio
maggiore rispetto a quello dell’acqua e la densità del ghiaccio maggiore di quella dell’acqua;
- L’alta temperatura di ebollizione dell’acqua (che dovrebbe essere -140° a causa della bassa
energia dei legami).
Interazione dipolo permanente – dipolo indotto (forza di Van Der Waals): questa interazione avviene
se una sostanza apolare è posta in acqua: l’H 2O forma una “gabbia” in cui le molecole di acqua sono
legate tramite legami idrogeno ed esclude la sostanza apolare dalla fase acquosa, formando un
clatrato. Ciò avviene prevalentemente nelle interazioni idrofobiche.
Interazione dipolo indotto – dipolo indotto (forza di London): questa interazione si può instaurare tra
atomi (es.: gas nobili) e/o tra molecole apolari (es.: H2, CH4); in questi casi il rapido spostamento delle
molecole e degli elettroni e la casuale densità maggiore di elettroni in una data zona possono indurre
dei dipoli temporanei o istantanei. Ad esempio nelle code fosfolipidiche si crea questo tipo di
interazione.
Alcuni fattori influenzano l’intensità della forza di London:
- Numero degli elettroni: un alto numero di elettroni implica l’aumento della probabilità di
scontro e della creazione di dipoli istantanei;
- Forma delle molecole: le molecole sferiche o simmetriche danno interazioni di minore entità
rispetto a molecole di forma allungata;
- Temperatura: l’aumento della temperatura favorisce l’aumento della velocità di movimento
degli elettroni creando dipoli in tempi più brevi e quindi interazioni meno intense.
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Geometria molecolare
La geometria molecolare studia la disposizione nello spazio delle molecole, secondo il metodo VSEPR (modello di
repulsione tra coppie di elettroni del guscio di valenza): gli elettroni si disporranno in modo da essere più lontani da altri
elettroni, costituendo delle coppie stereoattive, ovvero che entrano in gioco nelle forze di repulsione che determinano la
disposizione della molecola nello spazio.
Le coppie di elettroni stereoattive sono quelle che formano legami di tipo σ e le coppie non impegnate in legami, mentre
le coppie di elettroni che formano legami di tipo π non sono stereoattive. La forma delle molecole non corrisponde
all’orientamento degli orbitali nello spazio.
Si prendono in considerazione le coppie stereoattive di un singolo atomo e se la molecola è simmetrica basta
considerarne una metà e poi attuare lo stesso ragionamento con la metà restante.
(STEREOATTIVE – NON STEREOATTIVE)
Es.: metano  4 coppie stereoattive  forma tetraedrica (angoli di 109°).
Es.: ammoniaca  4 coppie stereoattive  forma tetraedrica (angoli di 107°, ridotti perché presente una coppia libera).
Es.: acqua  4 coppie stereoattive  forma tetraedrica (angoli di 104°, ulteriormente ridotti perché presenti due
coppie libere). Questa forma influisce sulla polarità dell’acqua.
Es.: trifluoruro di boro (eccezione alla regola dell’ottetto)  3 coppie stereoattive  forma trigonale planare (angoli di
120°).
Es.: acetilene  2 coppie stereoattive (per ciascuna metà della molecola simmetrica)  forma lineare (angoli di 180°).
Es.: anidride carbonica  2 coppie stereoattive  forma lineare (angoli di 180°).
Quando si formano legami gli atomi non utilizzano orbitali puri ma orbitali ibridi.
L’ibridazione è la ricombinazione della funzione d’onda di orbitali puri che porta alla formazione di nuovi orbitali detti
ibridi.
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Questi orbitali presentano orientamenti spaziali che consentono di minimizzare le interazioni repulsive tra le coppie di
elettroni ed inoltre consentono una maggiore sovrapposizione delle nuvole di carica elettronica.
Es.:
Il numero di orbitali ibridi rimarrà uguale al numero di orbitali puri da cui derivano, mentre la forma e l’energia saranno
intermedie rispetto a quelle degli orbitali da cui derivano.
L’ibridazione riguarda un atomo (es.: C) e pertanto prenderemo in considerazione solo i legami stereoattivi formati da
quello specifico atomo.
Es.: metano  4 coppie stereoattive  4 orbitali ibridi (1 orbitale s + 3 orbitali p)  sp3
Es.: etilene  3 coppie stereoattive  3 orbitali ibridi (1 orbitale s + 2 orbitali p)  sp2
*l’orbitale p puro rimasto al C (legame π) si trova in posizione perpendicolare rispetto al piano degli orbitali ibridi.
Es.: acetilene  2 coppie stereoattive  2 orbitali ibridi (1 orbitale s + 1 orbitale p)  sp
*i due orbitali p puri rimasti al C (legami π) si trovano in posizione perpendicolare tra loro.
Una molecola è definita polare non solo quando presenta delle cariche, ovvero atomi con diversa elettronegatività, ma
soprattutto quando la struttura è asimmetrica.
Es.: acqua  differenza di elettronegatività – molecola asimmetrica: somma vettoriale positiva  polare
Es.: anidride carbonica  differenza di elettronegatività – molecola simmetrica: somma vettoriale nulla  apolare
Cinetica chimica
La cinetica chimica è lo studio sperimentale della velocità delle reazioni.
La velocità media di una reazione è la variazione di concentrazione molare di un reagente o di un prodotto nell’unità di
tempo.
v
 R
 P
oppure v 
t
t
La diminuzione di concentrazione è proporzionale alla velocità di reazione.
La velocità istantanea è la variazione di concentrazione di reagenti o prodotti in un tempo infinitamente piccolo, in
modo da renderla indipendente dalla concentrazione.
Modelli teorici per la cinetica chimica
 Teoria delle collisioni o degli urti efficaci: secondo questo modello teorico per dare luogo alla reazione le
molecole devono collidere ed avere orientamento favorevole, ovvero presentare un contenuto energetico
minimo: l’energia di attivazione (Ea).
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 Teoria del complesso attivato o dello stato di transizione: in questa teoria viene introdotta una specie ipotetica
ed intermedia, il complesso attivato, che si forma dalle collisioni molecolari ed ha caratteristiche intermedie tra
i reagenti ed i prodotti. Il complesso attivato può dare origine ai prodotti o dissociarsi nuovamente nei reagenti;
in questo caso l’energia di attivazione è la differenza tra energia dello stato di transizione ed energia dei
reagenti.
Ea = Ecomplesso attivato – Eattivazione reagenti
Le reazioni inoltre possono avvenire con emissione o assorbimento di energia.
Fattori che influenzano la velocità di reazione
La velocità di una reazione può essere influenzata da vari fattori, ognuno studiato a parità degli altri.
 Natura dei reagenti: la velocità dipende dal tipo di sostanze interagenti.
 Concentrazione dei reagenti: la probabilità di urti intermolecolari è direttamente proporzionale alla concentrazione
dei reagenti; aumentando la concentrazione dei reagenti aumenta il numero di particelle che hanno energia di
attivazione minima.
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Equazione cinetica:
aA  bB  cC  dD
v  k[ A]n [ B ]m con n, m verificabili sperimentalmente;
k è la costante specifica di velocità o costante cinetica, dipende dalla temperatura e rappresenta la velocità della
reazione quando le concentrazioni sono unitarie ( v  k[1]n [1]m  k ).
L’ordine della reazione è determinato dalla somma degli esponenti ed è correlato alla forza con cui la
concentrazione dei reagenti influisce sulla velocità di reazione.
Es.: ordine 0  v  k ( v  k[ A]0 [ B ]0 ) velocità costante
v  k[ A]
Es.: ordine 2  v  k[ A][ B ]
Es.: ordine 1 

La molecolarità di una reazione elementare indica il numero di molecole dei reagenti; è data dalla somma dei
coefficienti stechiometrici della reazione.
Es.: 3 A  B  prodotti molecolarità 4
Le reazioni più frequenti sono monomolecolari o dimolecolari, più probabili secondo il modello teorico degli urti
efficaci.
Una reazione è composta da uno o più stadi che costituiscono il meccanismo di reazione; per reazioni con un unico
stadio (reazioni elementari) la molecolarità coincide con l’ordine mentre per reazioni a più stadi la molecolarità è
diversa dall’ordine: nel caso delle reazioni non elementari la velocità del processo globale è determinata dalla
velocità del processo più lento, così come l’ordine dell’intero processo coincide con l’ordine dello stadio più lento.
Temperatura: la velocità di una reazione è direttamente proporzionale alla temperatura; l’aumento della
temperatura implica aumento degli urti e quindi aumento della probabilità di urti favorevoli; inoltre la temperatura
aumenta il numero di particelle con urti favorevoli.
In una reazione tipo R  P dove v  k[R ] , se [R] è costante, l’aumento di temperatura favorisce l’aumento di
velocità e quindi implica una variazione di k, la costante cinetica:
 Ea
k  A e RT
Dove k è la costante cinetica, A è la costante specifica di reazione (tiene conto delle caratteristiche, del numero di
urti, ecc.), Ea è l’energia di attivazione, R è la costante universale dei gas e T è la temperatura assoluta.
In definitiva k è direttamente proporzionale alla temperatura ed inversamente proporzionale all’energia di
attivazione.
 Catalizzatori: i catalizzatori sono sostanze che modificano la velocità di una reazione; possono essere positivi

(provocano un aumento della velocità) o negativi (inibitori, provocano una diminuzione di velocità); l’azione dei
catalizzatori viene detta catalisi. Frequentemente catalizzatori biologici positivi (enzimi) agiscono sull’energia di
attivazione, abbassandola. Esiste sempre un rapporto ben definito tra moli di reagenti e moli di catalizzatore. La
struttura del catalizzatore risulta chimicamente inalterata al termine della reazione.
Inoltre i catalizzatori si suddividono in:
- omogenei, se si trovano nella stessa fase di reagenti e prodotti (es.: catalizzatore liquido in soluzione liquida);
nella catalisi omogenea il catalizzatore entra nella reazione modificando il percorso e rendendolo più semplice
e veloce;
- eterogenei, se si trovano in una fase diversa da quella di reagenti e prodotti (es.: catalizzatore solido in
soluzione liquida); nella catalisi eterogenea il catalizzatore presenta un sito attivo a cui si lega il reagente,
cosicché vengono modificate le forze dei legami; in questo caso la catalisi dipenderà dalla superficie del
catalizzatore.
Pressione: la pressione influisce su reazioni di tipo gassoso; l’aumento di pressione induce un aumento di
concentrazione e quindi un aumento della velocità.
Equilibrio delle reazioni
Una reazione può essere:
- Quantitativa, quando tutti i reagenti si trasformano in prodotti ( R 
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P );
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-
All’equilibrio, quando vi è la compresenza di reagenti e prodotti le cui concentrazioni rimangono costanti (
R  P ).
Spesso nelle reazioni viene raggiunta una condizione di equilibrio chimico, dove la concentrazione di reagenti e prodotti
rimane costante nel tempo.
Le reazioni in questo caso continuano ad avvenire, ma le concentrazioni di reagenti e prodotti rimangono costanti,
ovvero la velocità della reazione diretta e la velocità della reazione inversa si equivalgono.
Vreazione diretta = Vreazione inversa
Viene così raggiunto un equilibrio detto equilibrio dinamico.
Legge dell’equilibrio dinamico (o legge dell’azione di massa):
In una reazione chimica, a temperatura fissa e costante
aA  bB  cC  dD
ke 
[C ]c [ D]d
[ A]a [ B ]B
Dove le concentrazioni si intendono all’equilibrio.
Se ke>>1 (es. ke>1010) allora la concentrazione dei prodotti supera di molto quella dei reagenti e la reazione è quasi
definibile quantitativa.
Se ke<<1 (es. ke<10-10) allora la concentrazione dei reagenti supera di molto quella dei prodotti e la reazione non
presenta nessuna tendenza ad avvenire.
Se 10-10<ke<1010:
ke>103  prevalgono i prodotti;
ke=1  prodotti = reagenti;
ke<10-3  prevalgono i reagenti.
Se ke non risulta costante la reazione non ha ancora raggiunto l’equilibrio.
Per quanto riguarda le reazioni di dissociazione si parla di kd (costante di dissociazione): ka per gli acidi e kb per le basi.


Es.: CH 3COOH  CH 3COO  H  k d  k a 
[CH 3COO  ][ H  ]
 10  5
[CH 3COOH ]
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Questo indica che vi è una grande quantità di reagenti, ovvero l’acido si è dissociato poco ed è quindi un acido debole.
Fattori che influenzano l’equilibrio:
 Concentrazione dei reattanti (reagenti e prodotti): se viene variata la concentrazione di un reagente o di un
prodotto, secondo il principio di Les Chatelier la reazione tende a contrastare la variazione di concentrazione
modificando la velocità.
Se viene aumentata la concentrazione di un reagente [prodotto] la velocità della reazione diretta [inversa]
aumenta e la reazione raggiunge un nuovo equilibrio; se viceversa viene diminuita la concentrazione di un
reagente [prodotto] la velocità della reazione diretta [inversa] diminuisce e la reazione raggiunge un nuovo
equilibrio.
Es.:



H 2O  H   OH   k d 
[ H  ][OH  ]
 10  16 (elettrolita molto debole)
[ H 2O ]
Se aggiungiamo HCl  H   Cl  aumenta la concentrazione [H+] e quindi la velocità della reazione
inversa aumenta, raggiungendo un nuovo equilibrio a kd=10-16.
Questo effetto viene anche chiamato “retrocessione ionica” o “effetto dello ione comune”.
Temperatura: la stessa differenza di temperatura ha un effetto maggiore sulla velocità della reazione con
energia di attivazione più alta: se l’energia di attivazione dei reagenti è più alta, la temperatura influisce sulla
velocità della reazione diretta spostando l’equilibrio verso i prodotti cosicché la k e aumenta, in quanto aumenta
la concentrazione dei prodotti; se viceversa l’energia di attivazione dei prodotti è più alta, la temperatura
influisce sulla velocità della reazione inversa spostando l’equilibrio verso i reagenti, cosicché la k e diminuisce,
in quanto aumenta la concentrazione dei reagenti.
Pressione: la pressione influisce solo sugli equilibri in fase gassosa che comportano variazione del numero di
molecole.
Es.: N 2  3H 2  2 NH 3  calore (4 molecole  2 molecole)
L’aumento di pressione implica una diminuzione del volume, perciò l’aumento della pressione tende a favorire
un tipo di reazione che porta alla formazione di un minor numero di molecole.
Catalizzatori: in presenza di catalizzatori si abbassano le energie di attivazione delle reazioni diretta ed
inversa, cosicché l’equilibrio viene raggiunto più velocemente; ciò non comporta uno spostamento
dell’equilibrio.
Acido – Base
Teorie acido - base
Le caratteristiche di acidità e di basicità sono classificate in base a più teorie acido-base:
 Teoria di Arrenius
Questa teoria definisce l’acidità e la basicità di soluzioni acquose;
Acido: sostanza che in soluzione acquosa dissocia ioni H+;
es.: HCl  H+ + ClBase: sostanza che in soluzione acquosa dissocia ioni OH-;
es.: NaOH  Na+ + OHLe reazioni acido-base sono pertanto reazioni tra un acido ed una base che portano alla formazione di acqua e
di un sale che deriva dal catione della base e dall’anione dell’acido.
Es.: HCl + NaOH  NaCl + H2O
 Teoria di Bronsted – Lowry
Questa teoria tenta di rendere più generali le definizioni di acidi e basi.
Acido: sostanza in grado di donare protoni;
es.: CH3COOH + H2O  CH3COO- + H3O+
Base: sostanza in grado di accettare protoni;
es.: NH3 + H2O  NH4+ + OHNella teoria di Bronsted – Lowry non si fa riferimento al solvente, ma è chiaro che, come nel caso
dell’ammoniaca, il solvente ha molta importanza: nel caso dell’ammoniaca l’H 2O si comporta da acido, nel
caso dell’acido acetico l’H2O si comporta da base; l’acqua è perciò definita sostanza anfotera, in quanto si
comporta da acido o da base a seconda della sostanza con cui è posta.
Nelle reazioni di acido-base l’acido e la base reagiscono formando rispettivamente la base e l’acido coniugato.
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Es.: NH3 + H2O  NH4+ + OH(base + acido  acido coniugato + base coniugata)
Inoltre quanto è più forte un acido [una base], tanto più debole è la sua base [il suo acido] coniugato, e
viceversa.
Per forza di un acido o di una base si intende la capacità più o meno spiccata di donare o accettare protoni.
 Teoria di Lewis
Questa teoria caratterizza gli acidi e le basi basandosi sugli elettroni del livello di valenza.
Acido: sostanza formata da almeno un atomo che presenta nel livello di valenza una lacuna di doppietto
elettronico; accettore di doppietto elettronico.
Es.: H+
Base: sostanza formata da almeno un atomo che presenta nel livello di valenza un doppietto di elettroni libero,
disponibile a formare legami; donatore di doppietto elettronico.
Es.: NH3
Le reazioni acido-base sono secondo questa teoria reazioni in cui avviene la formazione di un legame dativo.
Il grado di dissociazione
Il grado di dissociazione indica quanto un elettrolita è in grado di dissociarsi ed è dato dal rapporto tra la
concentrazione della parte dissociata e la concentrazione totale.

Cdissociata
Ctotale
Se   1 l’elettrolita è forte in quanto dissocia molto;
se   0 l’elettrolita è debole in quanto dissocia poco.
L’H2O ha
  1,81 10  9  elettrolita molto debole
Prodotto ionico dell’acqua
Consideriamo la reazione H 2O
ke 
 H   OH 
[ H  ][OH  ]
 10 16  ke [ H 2O]  [ H  ][OH  ]  10  14  k w (prodotto ionico dell’acqua)
[ H 2O ]
A temperatura costante il prodotto delle concentrazioni ioniche dell’acqua è costante e vale 10 -14.
Solo nell’acqua [H+]=[OH-]=10-7 M
Se aggiungiamo H+ aumenta la concentrazione [H +] e di conseguenza l’acqua produrrà ancor meno H +, per effetto della
retrocessione ionica, di quello che dissocia solitamente (avendo l’acqua basso grado di dissociazione), ovvero sarà
presente una concentrazione [H+]<10-7, quindi trascurabile; analogamente se aggiungiamo OH- aumenta la
concentrazione [OH-] e di conseguenza l’acqua produrrà ancor meno OH -, per effetto della retrocessione ionica, di
quello che dissocia solitamente (avendo l’acqua basso grado di dissociazione), ovvero sarà presente una concentrazione
[OH-]<10-7, quindi trascurabile.
Quindi, se in un sistema acquoso sappiamo che
k w  [ H  ][OH  ]  10  14 , conoscendo una delle due concentrazione
possiamo calcolare l’altra.
[H  ] 
10 14
10  14

[
OH
]

e
[OH  ]
[H  ]
In conclusione:
- Quando in un sistema [H+]=[OH-]=10-7 M il sistema è neutro;
- Quando in un sistema [H+]>[OH-] ([H+]>10-7 M se il sistema è acquoso) il sistema è acido;
- Quando in un sistema [H+]<[OH-] ([H+]<10-7 M se il sistema è acquoso) il sistema è basico.
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Il pH
Per semplificare l’indice di acidità o basicità di una soluzione è stato introdotto il pH, un operatore matematico.
pH   log10 [ H  ]
pOH   log10 [OH  ]
pH + pOH = 14
Quindi, in un sistema acquoso:
- soluzione neutra pH=pOH=7
- soluzione acida pH<7 (pOH>7)
- soluzione basica pH>7 (pOH<7)
Es.:
H 2O  H   OH 
Aggiungendo HCl 10-2 M
HCl  H   Cl 
La concentrazione [H+]=10-2 essendo la quantità di H+ dissociata dall’acqua trascurabile, quindi
pH   log(10 2 )  2 (acido forte, dissocia molto).
Es.:
H 2O  H   OH 
Aggiungendo NaOH 10-2 M
NaOH  Na   OH 
-
-2
La concentrazione [OH ]=10 essendo la quantità di OH- dissociata dall’acqua trascurabile, quindi
pOH   log(10 2 )  2  pH  14  pOH  12 (base forte, dissocia molto).
Per quanto riguarda i Sali è necessario conoscere l’idrolisi salina, ovvero la possibile interazione tra soluto ed acqua;
l’idrolisi salina è difatti un caso particolare in cui soluto e solvente interagiscono chimicamente.
Per studiare l’acidità e la basicità dei Sali è necessario distinguere più casi:
 Se il sale deriva da acido forte e base forte il pH=7 e la soluzione sarà neutra in quanto non avviene idrolisi salina.
Es.:
(elettrolita forte) NaCl  Na   Cl 
H 2O  H   OH 

Non avverrà idrolisi salina in quanto non si formeranno né NaOH né HCl, quindi Na + e Cl- non interagiranno con
gli equilibri acido-base e la soluzione sarà neutra: Na+ e Cl- sono anche detti “ioni spettatori”.
Se il sale deriva da acido debole e base forte il pH>7 e la soluzione sarà basica in quanto avviene idrolisi salina
basica: vi è un’interazione dell’anione dell’acido con l’H2O ed aumenta la concentrazione [OH] con conseguente variazione del pH.
Es.:
CH 3COONa  CH 3COO   Na 
H 2O  H   OH 
Na+ non interagirà con OH-, però CH3COO- in parte interagirà con H+ per riformare acido acetico.
CH 3COOO   H   CH 3COOH
Così H 2O  H   OH  non è all’equilibrio in quanto vi è minore concentrazione [H +] e per effetto della
retrocessione ionica il suo equilibrio si sposta verso destra, aumentando la concentrazione [OH -].
CH 3COOO   H   CH 3COOH
H 2O  H   OH 
-----------------------------------------
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CH 3COO   H   H 2O  CH 3COOH  H   OH 
Ovvero

CH 3COO  H 2O  CH 3COOH  OH 

Vi è quindi l’aumento di OH- e la conseguente variazione di pH.
Se il sale deriva da acido forte e base debole il pH<7 e la soluzione sarà acida in quanto avviene idrolisi salina
acida: vi è un’interazione del catione della base con l’H 2O ed aumenta la concentrazione [H +] con conseguente
variazione del pH.
Es.:

NH 4Cl  NH 4  Cl 
H 2O  H   OH 
Cl- non interagirà con H+, però NH4+ in parte interagirà con OH- per riformare idrossido di ammonio.

NH 4  OH   NH 4 (OH )
Così H 2O  H   OH  non è all’equilibrio in quanto vi è minore concentrazione [OH -] e per effetto della
retrocessione ionica il suo equilibrio si sposta verso destra, aumentando la concentrazione [H+].

NH 4  OH   NH 4 (OH )
H 2O  H   OH 
----------------------------------------
NH 4  OH   H 2O  NH 4 (OH )  H   OH 
Ovvero

NH 4  H 2O  NH 4 (OH )  H 
Vi è quindi l’aumento di H+ e la conseguente variazione di pH.
 Se il sale deriva da acido debole e base debole il pH=7 e la soluzione sarà neutra in quanto avviene idrolisi salina
sia acida che basica
in uguale quantità
.
Riassumendo:
- acido forte + base forte  NO idrolisi  soluzione neutra
- acido debole + base forte  idrolisi basica  soluzione basica
- acido forte + base debole  idrolisi acida  soluzione acida
- acido debole + base debole  idrolisi acida = idrolisi basica  soluzione neutra
Soluzioni tampone
Le soluzioni tampone sono soluzioni la cui funzione è di mantenere costante il pH del sistema anche se ad esso vengono
aggiunti acidi o basi, entro però limiti ben definiti; esse sono molto importanti soprattutto dal punto di vista biologico.
Le soluzioni tampone sono costituite da soluzioni acquose di opportune specie chimiche e possono essere:
 Soluzioni molto concentrate di acidi o basi forti; questi sistemi non sono biologicamente importanti perché
spesso il pH dell’organismo è circa 7, ma soluzioni tampone di questo tipo si trovano comunque in alcuni
ambienti dell’organismo come lo stomaco.
 Soluzioni costituite da un acido [base] debole e la sua base [acido] coniugata in concentrazioni uguali; in
questo tipo di soluzioni sono presenti donatori ed accettori di protoni in egual misura.
Es.: CH 3COOH  CH 3COONa (sistema tampone)
In questo sistema la concentrazione del donatore di H + è praticamente pari a quella dell’acido, mentre la
concentrazione dell’’accettore di protoni è praticamente pari a quella del sale.
Se aggiungiamo ad esempio HCl  H   Cl  aumenta la concentrazione di H + e quindi per effetto della
retrocessione ionica gli equilibri della reazione si sposteranno verso sinistra, cosicché
CH 3COO   H   CH 3COOH e la concentrazione di H+ non varierà. Non varierà in questo modo
neanche il pH.
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Se aggiungiamo ad esempio NaOH  Na  OH  aumenta la concentrazione degli OH- e quindi per
effetto della retrocessione ionica gli equilibri della reazione si sposteranno verso sinistra, cosicché
H   OH   H 2O e la concentrazione degli H+ diminuisce: ciò fa spostare la reazione di CH3COOH
verso destra equilibrando la concentrazione di H+.
k d [CH 3COOH ]
[CH 3COO  ][ H  ]

kd 
 [H ] 
[CH 3COO  ]
CH 3COOH ]
[donatore] 
pH  pkd  log
[accettore] 


(equazione di Anderson)
Attraverso questa formula è possibile determinare l’intervallo di pH in cui il sistema tampone funziona meglio;
se [accettore]=[donatore] allora pH=pkd.
Soluzioni
Le soluzioni sono sistemi composti da solvente (solitamente H2O) e soluto.
Solubilità
La solubilità di un soluto in un solvente è la quantità massima di quel determinato soluto che è possibile sciogliere in un
determinato solvente ad una temperatura definita, ovvero la concentrazione del soluto in soluzione satura; la solubilità
può perciò essere espressa con le modalità di espressione della concentrazione classiche.
Ogni sostanza ha una ben definita solubilità in un determinato solvente.
In un processo di solubilizzazione all’equilibrio la velocità di solubilizzazione e la velocità di precipitazione sono eguali
(equilibrio dinamico); la solubilizzazione è un processo fisico.
Fattori che influenzano la solubilità:
 Tipo di soluto e tipo di solvente:
Il solvente può essere:
o Polare (es.: H2O): presenza di legami covalenti eteropolari e struttura asimmetrica;
o Apolare (es.: idrocarburi): presenza di cariche parziali o nulle.
Il soluto può essere:
o Ionico (es.: Sali);
o Molecolare:
 Polare (es.: zuccheri);
 Apolare (es.: lipidi).
La solubilità è influenzata dal tipo di legami dei solventi e dei soluti: affinché ci sia buona solubilizzazione è
necessario che le nuove interazioni formatesi tra solvente e soluto siano paragonabili alle interazoni presenti
nel solvente e nel soluto precedentemente, in quanto l’energia necessaria per rompere i legami del solvente e
del soluti è fornita dai nuovi legami che si formano tra solvente e soluto.
“Il simile scioglie il simile”, ovvero solvente polare [apolare] scioglie meglio soluto polare [apolare], in quanto
i legami di solventi e soluti sono simili.
Es.: per sciogliere NaCl in acqua è necessario rompere il reticolo cristallino del sale ed il legame idrogeno
dell’H2O, quindi è necessaria l’energia liberata dalla formazione dei legami deboli ione – dipolo permanente
tra H2O e Na+ e tra H2O e Cl-; la solubilizzazione dei Sali in acqua è un processo di tipo endotermico, mentre la
solubilizzazione di gas in acqua è un processo di tipo esotermico.
 Temperatura: la temperatura favorisce la solubilità dei Sali in acqua e sfavorisce la solubilità dei gas in acqua.
 Pressione: la solubilità dipende dalla pressione secondo la legge di Henry: la solubilità di un gas in un liquido,
a temperatura costante, espressa come massa disciolta in un determinato volume di liquido, è direttamente
proporzionale alla pressione parziale del gas sul liquido.
m
 c  k Pp
V
Dove k è il coefficiente di proporzionalità, Pp è la pressione parziale del gas sul liquido.
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Il coefficiente di assorbimento di Bunsen indica i millilitri di gas sciolti in un millilitro di solvente alla
pressione di 1 atmosfera e a temperatura costante.
*L’ossigeno ha maggiore solubilità nel sangue in quanto reagisce anche con l’Hb, così come la CO2.
A seconda della diversa solubilità le sostanze si dividono in:
- Idrofiliche: polari, si sciolgono in H2O;
- Idrofobiche (o lipofiliche): apolari, non si sciolgono in H2O;
- Anfifiliche (o anfipatiche): presentano una porzione polare ed una porzione apolare (es.: acidi grassi,
fosfolipidi).
Costante del prodotto di solubilità
La costante del prodotto di solubilità riguarda i soluti poco solubili, ovvero che hanno una solubilità minore di 10-2 M.
In un processo di solubilizzazione all’equilibrio
rR  aA  bB
La velocità di solubilizzazione e quella di precipitazione sono uguali.
 
 
v  k [ R ]r e v  k [ A]a [ B]b
 
v v


k [ R ]r  k [ A]a [ B ]b
Considerando il rapporto tra le costanti diretta e inversa pari a keq

k
[ A]a [ B ]b
 keq 
[ R ]r
k
Sapendo che [R] è costante allora keq[R]r è costante ed è kps (costante del prodotto di solubilità)
keq [ R ]r  k ps  [ A]a [ B ]b
In un sistema che contiene un sale poco solubile, in condizioni di saturazione (ovvero di equilibrio), il prodotto delle
concentrazioni ioniche, ognuna elevata al proprio coefficiente stechiometrico, è costante.
*Questo processo entra ad esempio in gioco durante la formazione delle ossa o nella formazione dei calcoli renali.
La conoscenza della kps può essere utile per calcolare la solubilità, sapendo che essa è il prodotto delle concentrazioni
degli ioni, ognuna delle quali indica la solubilità.
Proprietà colligative
le proprietà colligative sono proprie di soluzioni ideali, in cui le nuove interazioni tra soluto e solvente sono identiche
alle interazioni precedenti nel soluto e nel solvente, ma possono essere proprie anche di soluzioni non ideali, se
abbastanza diluite.
Le proprietà colligative dipendono dal numero di particelle di soluto presenti in soluzione.
 Abbassamento della tensione di vapore del solvente in soluzione
La tensione di vapore è la pressione esercitata dal vapore sul liquido, quando esso si trova in equilibrio
dinamico con il vapore e a temperatura costante.
La tensione di vapore sarà tanto minore quanto maggiore è la quantità di particelle di soluto.
P0  P  Ps  k m
Dove P0 è la tensione di vapore allo stato puro, P la tensione di vapore in soluzione, ΔP s l’abbassamento della
tensione di vapore del solvente in soluzione, m la concentrazione molale del soluto (numero di moli di soluto
in 1kg di solvente).
L’abbassamento della tensione di vapore è quindi direttamente proporzionale alla concentrazione molale del
soluto.
 Innalzamento della temperatura di ebollizione del solvente in soluzione
La temperatura di ebollizione sarà tanto maggiore quanto maggiore è la quantità di particelle di soluto.
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Teb  keb m
Dove ΔTeb è la variazione di temperatura di ebollizione, k eb è la costante ebullioscopica (correlata alla natura
del solvente), m la concentrazione molale del soluto (numero di moli di soluto in 1kg di solvente).
L’innalzamento della temperatura di ebollizione è quindi direttamente proporzionale alla concentrazione
molale del soluto.
 Abbassamento della temperatura di congelamento del solvente in soluzione
La temperatura di congelamento sarà tanto minore quanto maggiore è la quantità di particelle di soluto.
Tcr  kcr m
Dove ΔTcr è la variazione di temperatura di congelamento, kcr è la costante crioscopica (correlata alla natura
del solvente), m la concentrazione molale del soluto (numero di moli di soluto in 1kg di solvente).
L’abbassamento della temperatura di congelamento è quindi direttamente proporzionale alla concentrazione
molale del soluto.
 Pressione osmotica
Considerando due porzioni di un contenitore separate da una membrana semipermeabile, contenenti una acqua
pura e l’altra una soluzione
Inizialmente vi è un passaggio netto di acqua dalla porzione 1 alla porzione 2, in quanto alcune particelle di
soluto ostruiscono il passaggio attraverso i fori delle membrana semipermeabile; aumenta così la pressione
osmotica che ostacolerà a questo punto un ulteriore passaggio di acqua verso la soluzione: il flusso dalla
porzione 1 alla porzione 2 tenderà a rallentare e si raggiungerà una situazione di equilibrio dinamico con
passaggio di H2O ad eguale velocità. All’equilibrio i livelli di altezza delle due porzioni rimangono uguali.
Si è verificata osmosi, ovvero passaggio netto di solvente dal solvente puro in soluzione; l’osmosi è un
passaggio secondo gradiente.
La pressione osmotica risulta quindi essere la pressione da esercitare sulla soluzione affinché non si verifichi
osmosi; essa è data dalla pressione idrostatica della differenza di livello di altezza delle due porzioni.
La pressione osmotica si indica con π ed è proporzionale alla concentrazione molare del soluto.
  R M T
Dove R è la costante universale dei gas, M è la molarità e T è la temperatura (espressa in °K).
Rispetto alle altre proprietà colligative la pressione osmotica dipende dalla concentrazione molare e non
dipende né dalla natura del soluto né dalla natura del solvente.
Per definire la pressione osmotica occorre considerare sempre il solvente puro.
Se vi sono due soluzioni separate da membrana semipermeabile, ognuna con una determinata pressione
osmotica (calcolata in base al solvente puro), avverrà osmosi dalla soluzione meno concentrata a quella più
concentrata, ovvero dalla soluzione con pressione osmotica minore a quella con pressione osmotica maggiore.
flusso
 min  netto
   mag
Le soluzioni possono essere:
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19
-
isotoniche  sol   x
es.: πsol = πsangue  soluzioni fisiologiche;
-
ipotoniche  sol   x
es.: πsol < πsangue  flusso di soluzione verso l’interno dei globuli rossi, emolisi;
-
ipertoniche  sol   x
es.: πsol > πsangue  flusso di soluzione verso l’esterno dei globuli rossi, raggrinzimento;
Inoltre se il soluto non è elettrolitico, la concentrazione molare è pari a quella della soluzione, mentre se un
soluto è elettrolitico la concentrazione molare è diversa da quella della soluzione, in quanto l’elettrolita
dissociandosi produce una concentrazione molare maggiore.
In questo caso tutte le proprietà colligative vanno corrette tramite la costante i (coefficiente di Van’t Of), che
tiene conto della dissociazione dell’elettrolita.
Nel caso della pressione osmotica
  i M R T
Per i non elettroliti i=1 mentre per gli elettroliti 1  i   , dove υ indica il numero massimo di ioni dissociati
dall’elettrolita.
Es.:
NaCl  Na   Cl 
i=2
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BIOCHIMICA STRUTTURALE
Amminoacidi e Proteine
Amminoacidi
Composti organici.
Gruppi funzionali: gruppo amminico [H2N] (basico), gruppo carbossilico [COOH] (acido).
Elettroliti anfoteri.
La formula generale mostra come tutti (a parte la glicina in cui RàH e la prolina, che non si adatta alla formula
generale ma ha comunque struttura simile) sono chirali, ovvero presentano uno stereocentro, Cα, legato a quattro atomi
diversi. Gli atomi di C della catena laterale vengono indicati da lettere greche, partendo appunto dal Cα.
Se il gruppo amminico è a destra del C l’amminoacido viene chiamato D-amminoacido, se invece il gruppo amminico è
a sinistra viene chiamato L-amminoacido; gli L-amminoacidi sono gli amminoacidi presenti in natura.
Classi di amminoacidi
Gli amminoacidi vengono indicati tramite tre lettere oppure tramite una lettera (che non corrisponde all’iniziale del
nome dell’amminoacido).
Gli amminoacidi sono classificati secondo la natura del gruppo –R.
I criteri di classificazione sono:
- la natura polare – non polare ella catena laterale (la polarità è una caratteristiche fondamentale per gli
amminoacidi in quanto ne determina la forma e l’idrofilia; la polarità della molecola non implica che essa sia
carica, ma vuol dire che una parte della molecola è polare);
- la presenza di un gruppo acido o basico nella catena laterale.
Classi:
 Gruppo I: amminoacidi che presentano catene laterali non polari
(glicina, alanina, valina, leucina, isoleucina, prolina, fenilalanina, triptofano, metionina)
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21





La glicina presenta caratteristiche peculiari e può perciò appartenere a vari gruppi, in quanto
RàH;
 Alanina, valina, leucina ed isoleucina presentano nella catena laterale un gruppo
idrocarburico alifatico;
 La prolina (imminoacido) presenta struttura ciclica alifatica;
 La fenilalanina presenta un gruppo idrocarburico aromatico;
 Il triptofano presenta un anello indolico, aromatico;
 La metionina presenta un atomo di zolfo.
Gruppo II: amminoacidi che presentano catene laterali polari
(serina, treonina, tirosina, cisteina, glutammina, asparagina)
 Serina e treonina presentano un gruppo –OH legato ad idrocarburi alifatici;
 La tirosina presenta un gruppo –OH legato a idrocarburi aromatici (fenolo);
 La cisteina presenta un gruppo –SH (tiolo);
 Glutammina e asparagina presentano gruppi ammidici derivanti da gruppi carbossilici.
Gruppo III: amminoacidi che presentano catene laterali con gruppi carbossilici (acide)
(acido glutammico e acido aspartico)
In questi amminoacidi il gruppo carbossilico può perdere un protone e le catene a pH neutro sono cariche
negativamente.
Gruppo IV: amminoacidi che presentano catene laterali con gruppi amminici (basiche)
(istidina, lisina, arginina)
 L’istidina ha pKa=6.0, vicino al pH fisiologico, e pertanto le proprietà di molte proteine sono
condizionate dalle caratteristiche dei residui neutri di istidina;
 La lisina presenta gruppo amminico –NH2 legato ad un idrocarburo alifatico;
 L’arginina presenta una struttura complessa legata ad un idrocarburo alifatico.
Amminoacidi non comuni: amminoacidi presenti in alcune proteine derivanti da modificazioni post
traduzionali
(idrossiprolina, idrossilisina, tiroxina)
 Idrossiprolina e idrossilisina derivano rispettivamente da prolina e lisina è presentano gruppi
ossidrilici; sono presenti nel collagene del tessuto connettivo;
 La tiroxina deriva dalla tirosina e presenta un ulteriore gruppo aromatico contenente Iodio;
viene prodotta dalla tiroide.
Inoltre vi è un’ulteriore classificazione, in quanto non tutti gli esseri viventi riescono a sintetizzare gli amminoacidi a
partire dal NH4+, come fanno piante, batteri e lieviti:
NO3- à NH4+ à glutammato à amminoacidi
Gli amminoacidi negli Animali sono quindi suddivisi in:
- Amminoacidi essenziali (AAE): amminoacidi che non possono essere sintetizzati dall’organismo. Sono
arginina (Arg)*, istidina (His)*, isoleucina (Ile), leucina (Leu), lisina (Lys), metionina (Met), fenilalanina
(Phe), treonina (Thr), triptofano (Trp), valina (Val).
- Amminoacidi non essenziali: amminoacidi che possono essere sintetizzati dall’organismo. Sono alanina,
arginina*, asparagina, aspartato, cisteina°, glutamato, glutamina, glicina, istidina*, prolina, serina, tirosina°.
* Arginina e istidina sono essenziali nei neonati, non essenziali per gli adulti sani.
° Cisteina e tirosina sono definiti amminoacidi semi-essenziali, in quanto sono essenziali per neonati prematuri e adulti
malati.
Proprietà
Gli amminoacidi sono elettroliti anfoteri, in quanto presentano un gruppo acido ed un gruppo basico, e possono quindi
comportarsi sia da acidi che da basi a seconda del sistema in cui si trovano; in soluzione si presentano come zwitterioni,
ovvero hanno un gruppo carbossilico carico negativamente (-COO -) ed un gruppo amminico carico positivamente (NH3+).
Al variare del pH può prevalere la forma cationica o quella anionica: in caso di pH acido COO - à COOH, in caso di pH
basico NH3+ à NH2.
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Il pH al quale una molecola non ha carica netta, in quanto possiede un egual numero di cariche positive e negative, è
chiamato pH isoionico: nel caso delle proteine viene detto pH isoelettrico, pari al pH al quale una molecola non migra
in campo elettrico.
Se pH > pHisoelettrico molecola ha carica negativa
Se pH < pHisoelettrico molecola ha carica positiva
Le proteine possono quindi anche fungere da soluzioni tampone.
Questi concetti sono alla base dell’elettroforesi, una metodica comune utilizzata per la separazione delle molecole in un
campo elettrico, in base alla loro carica.
Altre proprietà specifiche delle proteine sono correlate alle catene laterali –R, diverse per ogni amminoacido. La cistina
(cisteina + cisteina, dimero), ad esempio, presenta il gruppo tiolico –SH, facilmente ossidabile; la fenilalanina, il
triptofano e la tirosina posseggono anelli aromatici nella catena che permettono dunque di individuare e dosare le
proteine che li compongono ed inoltre sono precursori di neurotrasmettitori; l’istidina concorre a formare l’stamina,
potente vasodilatatore; la carnosina (istidina + β-alanina) è presente nei muscoli; il glutatione è un antiossidante.
Legame peptidico
Il legame peptidico è un legame covalente, ammidico, che lega i singoli amminoacidi e che si instaura tra il gruppo αcarbossilico di un amminoacido ed il gruppo α-amminico del successivo, con eliminazione di una molecola d’acqua. Gli
amminoacidi si legano a formare peptidi (da 2 a 30 amminoacidi) o proteine, catene polipeptidiche formate spesso da
più di 100 amminoacidi: gli amminoacidi che compongono le proteine vengono detti residui.
Per denominare peptidi e proteine vengono utilizzate abbreviazioni a una o tre lettere, formate dai simboli dei residui.
L’amminoacido C-terminale è il residuo che presenta il gruppo α-carbossilico libero, mentre l’amminoacido Nterminale è il residuo che presenta il gruppo α-amminico libero; per convenzione le proteine vengono rappresentate con
il residuo N-terminale a sinistra.
La geometria del legame è trigonale planare in quanto il C ha ibridazione sp2.
Il legame C—N può presentare risonanza:
Inoltre tutti i legami peptidici hanno configurazione trans.
Proteine
Struttura
Ogni proteina presenta varie conformazioni, strutture tridimensionali, di cui solo una o poche di queste hanno attività
biologica: le conformazioni native. Alcune proteine inoltre non presentano strutture regolari ripetute ma hanno ampi
tratti di struttura ad avvolgimento casuale (random coil).
Livelli di organizzazione strutturale:
- Struttura primaria: ordine in cui sono legati tra loro gli amminoacidi della catena principale; si basa su
legami covalenti.
- Struttura secondaria: disposizione nello spazio degli atomi dello scheletro peptidico, privo delle catene
laterali, caratterizzata da strutture ripetitive di legami-H tra un gruppo amminico e un gruppo carbossilico dello
scheletro peptidico. Alcune di queste strutture si ripiegano indipendentemente e sono dette strutture
supersecondarie.
- Struttura terziaria: disposizione nello spazio di tutti gli atomi della proteina, comprese le catene laterali ed i
gruppi prostetici (composti da atomi diversi da quelli presenti negli amminoacidi); si basa su legami-H,
interazioni di Van der Waals e interazioni ioniche.
- Struttura quaternaria: costituita da catene multiple, dette subunità; questa struttura è presente solo in proteine
con più subunità.
Struttura primaria.
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Ordine amminoacidico in cui l’assegnazione delle posizioni nella sequenza inizia dall’estremità N-terminale; la struttura
primaria influenza le caratteristiche di struttura secondaria e terziaria.
Un cambiamento della sequenza può avere effetti più o meno rilevanti sulla struttura e sulla funzione proteica.
Struttura secondaria.
Disposizione nello spazio degli atomi dello scheletro proteico, che descrive le posizioni ordinate assunte dagli
amminoacidi in determinate zone della molecola.
La struttura secondaria è condizionata dalla variazione degli angoli di legame C-N e C-C, detti angoli di
Ramachandran: la struttura regolare presenta gli angoli con valori costanti. Gli angoli influenzano la costituzione delle
due strutture secondarie più comuni, la struttura α-elica e la struttura β-foglietto ripiegato; le porzioni di catena che non
presentano questa conformazione sono random coil e hanno angoli di Ramachandran variabili. Le proteine possono
contenere percentuali variabili di strutture α-elica e β-foglietto ripiegato.
- Struttura α-elica: struttura più comune, forma una spirale elicoidale avvolta in senso orario ed è sostenuta dai
legami-H tra gruppi C=O e H-N intramolecolari.
La conformazione α-elica consente la linearità degli atomi legati con legami-H (paralleli all’asse maggiore
dell’elica) e quindi rende particolarmente stabile la struttura. Le catene laterali si dispongono verso l’esterno.
I fattori che ostacolano l’α-elica sono principalmente la presenza di un anello ciclico che impedisce la
rotazione dei legami di Ramachandran e l’ingombro sterico per la vicinanza di catene laterali ingombranti (la
glicina ha particolare importanza in quanto, priva di catena laterale, presenta minimo ingombro sterico).
- Struttura β-foglietto ripiegato: conformazione più estesa rispetto all’α-elica, forma un foglietto ripiegato a zigzag. Possono essere presenti legami-H (perpendicolari all’asse lungo della struttura) intracatena (tra porzioni
diverse di una stessa catena, che curva su se stessa) o intercatena (tra catene diverse).
La struttura β-foglietto ripiegato può avere un orientamento parallelo, se i gruppi N-terminali dei due tratti di
catena sono sulla stessa estremità, o antiparallelo, se su ogni estremità il gruppo N-terminale di una catena è
allineato con il C-terminale dell’altra.
Sono inoltre possibili altre strutture secondarie, come le strutture elicoidali (elica 310), i ripiegamenti β (catene che
presentano anomalie) ed i ripiegamenti inversi (che presentano inversione del verso di avvolgimento).
Le proteine globulari hanno aspetto compatto in quanto sono caratterizzate da inversioni, causate dalla presenza sulla
superficie proteica di reverse turn di varie tipologie.
I vari elementi della struttura secondaria si arrangiano per formare strutture supersecondarie (motivi), che
successivamente si organizzano a formare domini, le unità costitutive della struttura terziaria.
I motivi si formano quando le catene delle strutture secondarie si ripiegano tra loro; sono strutture supersecondarie
ripetitive e possono essere:
- Motivi α:
α-loop-α: composto da due eliche antiparallele collegate da una porzione di loop (α-hairpin),
composto da due amminoacidi (di cui uno è sempre la glicina); è presente in alcune porzioni di DNA.
EF-hand: struttura caratterizzata da legami calcio (calmodulina, tropina).
- Motivi β:
β-hairpin: due filamenti β-foglietto antiparalleli collegati da una porzione di loop.
- Motivi α-β:
Cross over connection (β-α-β): due filamenti β-foglietto uniti da un α-elica.
Dito di zinco: forma di dito con due β-foglietti ed un α-elica.
Struttura terziaria.
Disposizione di tutti gli atomi della proteina.
La struttura terziaria, estremamente stabile e compatta, presenta un gran numero di interazioni deboli (quando possibile
legami-H e ponti disolfuro) e, se sono presenti cariche interne, esse si dispongono accoppiate tramite legami ionici,
ammortizzando così la carica totale.
L’unità fondamentale e funzionale della struttura terziaria è il dominio, un ripiegamento della catena polipeptidica
indipendente che forma strutture stabili e compatte; i domini hanno dimensioni variabili (50-150 aa.), sono spesso
caratterizzati dall’abbondante presenza di un amminoacido specifico, da sequenze comuni o motivi particolari e
presentano un cuore idrofobico: le molecole idrofobiche si posizionano infatti internamente, così da limitare interazioni
sfavorevoli. Possono esserci fino a 13 domini presenti in una singola proteina.
I domini sono classificati secondo le strutture secondarie ed i motivi presenti:
- Domini α:
Fascio α-elica: quattro α-eliche con assi paralleli; presente nel citocromo-c.
Fold globinico: otto α-eliche disposte a gomitolo, in cui è presente una tasca per il sito attivo del
gruppo –eme; presente in emoglobina e mioglobina.
- Domini β: caratterizzati da filamenti β disposti a formare foglietti sovrapposti.
Up-down: ultimo filamento collegato al primo, forma cilindroide.
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24
Chiave greca: disegno a chiave greca, legami vari.
Jelly roll: disegno a labirinto, legami vari.
β elica: solenoide.
- Domini α-β: caratterizzati da disposizioni cross over connection.
α-β barrel: forma a barile, tipico di molti enzimi.
A ferro di cavallo: ricchi di leucina.
α-β open shit: forma a foglio aperto.
È difficile distinguere nettamente la struttura secondaria da quella terziaria.
Le proteine grazie alle caratteristiche delle strutture secondarie e terziarie possono essere distinte in fibrose (forma
bastoncellare: collagene, cheratina), caratterizzate da resistenza meccanica e funzionali al sostegno o al movimento, e
globulari (scheletro ripiegato a sfera: mioglobina), che sono solubili in H 2O e presentano strutture compatte e
complesse, altamente specifiche e caratterizzate da funzionalità di trasporto, di regolazione o enzimatiche. La struttura
tridimensionale influisce sulle funzioni proteiche, ma il ripiegamento dipende dall’ordine amminoacidico dei residui, in
quanto con la sostituzione di un singolo residuo si modifica la conformazione, il ripiegamento e quindi la struttura
tridimensionale (es. Anemia falciforme, causata dalla sostituzione di un singolo amminoacido).
Struttura quaternaria.
Presente solo nelle proteine costituite da più catene polipeptidiche, in cui ogni catena è detta subunità: le varie subunità
possono essere uguali o diverse tra loro e di numero variabile; esse interagiscono tramite interazioni non covalenti,
elettrostatiche, idrofobiche e legami-H.
Dinamica del ripiegamento delle proteine.
Modello gerarchico. Formazione della struttura I e successivamente della II, della III ed infine della IV.
Modello “a collasso”. Collasso non consequenziale delle strutture molecolari e formazione di un nucleo compatto.
Il processo di ripiegamento è spontaneo grazie alla presenza delle interazioni idrofobiche.
Se il ripiegamento avviene in modo errato possono nascere patologie (Alzheimer, Parkinson, BSE), perciò esistono
proteine regolatrici del folding: i chaperoni molecolari.
Ruolo enzimatico
Le proteine svolgono un importante funzione enzimatica all’interno dell’organismo come catalizzatori positivi; le
reazioni catalizzate dagli enzimi avvengono in condizioni di reazione moderate, alla temperatura fisiologica
dell’organismo, ad un pH vicino alla neutralità e a pressione atmosferica. Le reazioni enzimatiche sono associabili a
reazioni eterogenee.
Gli enzimi aumentano la velocità di una reazione fino a 10 12 volte rispetto alla velocità della reazione non catalizzata,
abbassando l’energia di attivazione. Sono inoltre altamente specifici e posseggono una grande capacità di regolazione:
funzionano in modo migliore in base alle esigenze dell’organismo; l’elevata specificità degli enzimi è dovuta alla loro
forma, in quanto il sito attivo è complementare solo ad un certo tipo di substrato.
L’enzima, durante la reazione, si lega al substrato formando il complesso enzima-substrato: esiste un rapporto ben
definito tra moli di enzima e moli di substrato.
Unità di misura della catalisi.
Attività molecolare. Numero di moli di substrato che possono essere trasformate in prodotto per mole di enzima
nell’unità di tempo (minuto).
Attività specifica. Numero di moli di substrato catalizzate nell’unità di tempo per milligrammo di catalizzatore.
Unità internazionale (U.I.). quantità di enzima che catalizza la trasformazione di una micro-mole di substrato al minuto,
in condizioni ben definite di temperatura (25°C), concentrazione di substrato e pH.
Katal (kat). Nel S.I., attività di un enzima che catalizza la trasformazione di una mole di substrato al secondo in
condizioni standard. 1 kat = 6∙107 U.I.
Cinetica enzimatica.
Velocità iniziale. La velocità iniziale è la velocità della reazione nel momento in cui la concentrazione del substrato è
tanto più elevata rispetto a quelle dell’enzima che la differenza di concentrazione non è influente.
Stato stazionario.
Reazione intera:
k1
E  S  ES  k 2  E  P
k 1
Stadio veloce (formazione del complesso enzima-substrato):
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k1
E  S  ES
k 1
Stadio lento (formazione dei prodotti e rilascio dell’enzima):
Condiziona e limita la velocità dell’intero processo
ES  k 2  E  P
Si raggiunge uno stadio in cui la concentrazione [ES] è costante (k 1 = k2), in quanto tanto complesso si forma nello
stadio veloce, tanto se ne scinde nello stadio più lento: questo stadio è detto stadio stazionario.
La velocità iniziale è influenzata da diversi fattori, ognuno studiato considerando gli altri costanti:
- Concentrazione di substrato:
A basse concentrazioni di substrato vi è una proporzionalità diretta tra [S] e velocità iniziale, fino a quando i
siti attivi vengono occupati tutti e di conseguenza la V 0 non varia più, raggiungendo così il suo valore
massimo. Questa curva è descritta dall’equazione di Michaelis-Menten:
v0 
vmax [ S ]
km  [ S ]
Dove km è la costante di Michaelis e corrisponde alla concentrazione di substrato quando la velocità è metà
della velocità massima: questa costante è un indicatore dell’affinità tra enzima e substrato, in quanto tanto
minore è km, tanto più il substrato è compatibile con l’enzima, ovvero tanto prima si raggiunge un’alta velocità
di reazione.
In quanto questa curva non è funzionale all’identificazione precisa di V max e km è stata introdotta una
linearizzazione della curva, descritta dall’equazione di Limeweaver-Burk, anche detta curva dei doppi
reciproci:
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1
k
1
1
 m  
v0 vmax [ S ] vmax
km
equazione di Limeweaver-Burk, dove
è la pendenza, ovvero tg(x)
vmax
-
Concentrazione dell’enzima:
v0  k [ E ]
-
Temperatura:
La velocità aumenta proporzionalmente alla temperatura, fino ad una certa temperatura, caratteristica per ogni
enzima, raggiunta la quale la velocità diminuisce bruscamente e si azzera, in quanto l’enzima, sensibile alle
variazioni termiche, si denatura.
-
pH:
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Ogni enzima presenta un valore di pH caratteristico ed ottimale al quale si osserva la massima velocità.
-
Inibitori: gli inibitori interferiscono nella reazione catalizzata diminuendone la velocità.
Possono essere:
 Inibitori irreversibili: l’inibitore si lega al sito attivo dell’enzima inattivandolo irreversibilmente.
 Inibitori reversibili: possono agire secondo tre meccanismi di inibizione:
 Inibizione competitiva: aumento km e nessun effetto su Vmax;
 Inibizione non competitiva (caso particolare di inibizione mista): diminuzione Vmax e nessun
effetto su km;
 Inibizione incompetitiva: diminuzione di km e Vmax.
Per studiare i meccanismi di inibizione è necessario studiare V 0 in caso di presenza di inibitori ed in caso di
assenza di inibitori.
Inibizione competitiva. L’inibitore compete con il substrato per il legame con il sito attivo.
Se però si aumenta la concentrazione del substrato l’interferenza dell’inibitore diventerà minima e la velocità
massima verrà raggiunta comunque.
In presenza di inibitore competitivo la km è più alta, ovvero è maggiore la quantità di substrato necessaria per
raggiungere la metà della velocità massima.
Inibizione non competitiva. Caso particolare di inibizione mista, in cui l’inibitore può legarsi all’enzima libero
o al complesso in un sito diverso, rendendo inattivo l’enzima in entrambi i casi (come se fosse presente meno
enzima). Non vi è quindi competizione tra substrato ed inibitore per il sito attivo. Questo tipo di inibitori si lega
a gruppi tiolici o per rimozione di H.
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In questo caso se presente l’inibitore non viene raggiunta la velocità massima in nessun caso.
In presenza di inibitore non competitivo la k m delle due velocità è uguale, ovvero è uguale la quantità di
substrato necessaria per raggiungere la metà delle velocità massime con e senza substrato.
Inibizione incompetitiva. Molto rara, presenta un inibitore che si lega solo al complesso ES. Non viene
raggiunta in nessun caso la velocità massima.
In presenza di inibitore incompetitivo la k m è più bassa, ovvero è minore la quantità di substrato necessaria per
raggiungere la metà della velocità massima della reazione con inibitore.
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29
Regolazione enzimatica.
L’attività enzimatica è regolata perfettamente dalla cellula, spesso per risparmiare energia; la regolazione enzimatica è
attuata secondo due modalità:
 Modulazione della quantità di enzima: più semplice; produzione di enzima solo in presenza del substrato.
 Regolazione dell’attività enzimatica tramite enzimi regolatori: modulano l’attività catalitica in risposta a
segnali specifici; in una reazione catalitica è presente almeno un enzima regolatore, che regola la velocità
complessiva (regolando la reazione più lenta), situato solitamente all’inizio della catena enzimatica. Possono
essere:
 Enzimi allosterici.
L’allostericità è la capacità di una proteina di variare l’affinità dei suoi siti attivi quando ad
uno di essi si lega il ligando.
Una proteina allosterica presenta più siti di legame per il ligando, è costituita da più subunità,
presenta diverse possibili conformazioni con diversa affinità ed inoltre è provvista di ulteriori
siti per l’interazione con i modulatori allosterici.
Gli enzimi allosterici presentano siti attivi modificabili dal legame di modulatori: i
modulatori si legano non covalentemente, in modo reversibile, al sito di modulazione, posto
su una subunità diversa da quella del sito attivo, e possono avere effetti diversi:
- Allosterismo (modulazione) negativo: inattivazione dell’enzima allosterico;
- Allosterismo (modulazione) positivo: aumento dell’affinità dell’enzima allosterico
per il ligando.
I modulatori possono quindi favorire l’uno o l’altro tipo di allosterismo, favorendo così una
delle due possibili conformazioni dell’enzima allosterico: una conformazione R (rilassata),
che presenta alta affinità (modulazione positiva), ed una conformazione T (tesa), che presenta
bassa affinità (modulazione negativa), in equilibrio tra loro.
Quando il modulatore è il substrato stesso, l’enzima si dice omotropico, mentre se il
modulatore è rappresentato da una molecola diversa, l’enzima è eterotropico.
I modelli che spiegano il comportamento degli enzimi allosterici sono:
Modello concertato. Ciascuna delle subunità dell’enzima può sussistere nelle due
conformazioni T ed R, ma il passaggio da una forma all’altra avviene contemporaneamente
per tutte le subunità; esisteranno perciò secondo questo modello enzimi allosterici
completamente T o completamente R.
Modello sequenziale. Il passaggio da una forma all’altra avviene in modo sequenziale, in più
stadi intermedi, cosicché sarà possibile trovare contemporaneamente in uno stesso enzima,
negli stadi intermedi, subunità T e subunità R.
I due modelli non si escludono tra loro.
Gli enzimi allosterici con modulazione positiva presentano un grafico di saturazione
sigmoidale.

Enzimi regolati mediante modifiche covalenti reversibili.
In questo tipo di enzimi vengono modificati i residui amminoacidici della molecola tramite
l’attacco covalente di gruppi specifici (fosforici, acetilici, ammidici, carbossilici, ecc.); questi
gruppi vengono inseriti e rimossi mediante altri enzimi. L’introduzione di un gruppo può
modificare la conformazione e la struttura enzimatica.
Fosforilazione: legame di un gruppo fosfato ad un residuo di serina, treonina o tirosina; la
fosforilazione spesso rende un enzima attivo o più affine al ligando (es.: ATP-asi).
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30

Alcuni enzimi inoltre possono essere regolati sia da modulatori allosterici sia da modificazioni
covalenti.
Altri meccanismi di regolazione:
o Controllo feedback: azione di controllo retroattiva; il prodotto della reazione inibisce la catalisi della
reazione stessa, spesso influenzando l’attività del primo enzima della catena; è rilevante in un sistema
complesso. Quando il prodotto è scarso la reazione procede velocemente mentre se è presente molto
prodotto la reazione si inibisce.
o Proenzimi (o zimogeni): forme inattive attivabili tramite scissione di legami covalenti di una piccola
porzione di catena polipeptidica (es.: tripsinogeno e chimotripsina nei processi digestivi).
o Isoenzimi: stesso enzima presente in forme diverse nei diversi tessuti.
Es.: lattato deidrogenasi (LDH) (lattato à piruvato): tetramero di cui esistono due subunità, H
(“heart”) e M (“muscle”); nel tessuto cardiaco è presente lattato deidrogenasi con più subunità H,
mentre nel tessuto muscolare è presente lattato deidrogenasi con più subunità M.
Le diverse subunità conferiscono piccole differenze, che sono però importanti per la funzione
dell’enzima in un tessuto specifico.
o Cofattori: molecole talvolta necessarie alla funzionalità enzimatica. La proteina enzimatica unita al
cofattore viene detta apoenzima, mentre la proteina enzimatica priva del cofattore è detta oloenzima. I
cofattori possono essere piccole molecole organiche (coenzimi) o metalli.
Mioglobina ed emoglobina
La mioglobina e l’emoglobina sono negli organismi animali proteine di trasporto per l’ossigeno: la mioglobina è una
proteina che assicura ai muscoli una riserva di ossigeno mentre l’emoglobina, presente nei globuli rossi, funge da
proteina di trasporto dell’ossigeno negli animali superiori.
Mioglobina.
Piccola proteina composta da un’unica catena polipeptidica (unica subunità) di 153 amminoacidi disposti in 8 tratti di αelica, indicati da lettere (A-H) e collegati da anse, in cui è presente una tasca per il gruppo –eme.
Il gruppo –eme è costituito da una struttura organica aromatica (protoporfirina IX), alla quale è legato uno ione ferroso
(Fe2+) che presenta geometria ottaedrica.
Il ferro può formare 6 legami: 4 con atomi di N, uno con la catena peptidica della mioglobina (tramite un residuo di
istidina) ed uno con l’ossigeno.
Il ferro lega l’ossigeno solo quando è ione ferroso, mentre quando è ione ferrico (N.O. +3) non lega l’ossigeno:
l’ossidazione del ferro è perciò inibita dal legame con la mioglobina tramite istidina.
Il legame dell’ossigeno al gruppo –eme è imperfetto, ovvero non lineare, a causa della presenza dell’istidina: questa
caratteristica influenza la forza del legame, debole, cosicché l’ossigeno può facilmente staccarsi dopo essere stato
trasportato.
Emoglobina.
L’emoglobina è un tetramero (α 2β2), formata da quattro catene polipeptidiche (simili a quelle della mioglobina): due
subunità α (ognuna da 141 residui) e due subunità β (ognuna da 146 residui). Molti amminoacidi delle catene α, β e
della mioglobina sono omologhi: gli stessi residui occupano le stesse posizioni.
Ogni subunità presenta un gruppo –eme (stessa struttura del gruppo –eme della mioglobina) cosicché l’emoglobina lega
quattro molecole di ossigeno:
Hb  4O2  Hb(O2 ) 4
deossiemoglobina + ossigeno à ossiemoglobina
L’emoglobina è una proteina allosterica che modifica la sua struttura in base al legame con l’ossigeno: le interazioni tra
i dimeri α e β non vengono modificate con l’ossigenazione, ma le deboli interazioni tra i dimeri subiscono delle
modifiche, tali per cui i dimeri possono scorrere l’uno sull’altro. Come tutte le proteine allosteriche, l’emoglobina
presenterà perciò uno stato T (forma deossigenata) ed uno stato R (forma ossigenata), con diverse affinità per
l’ossigeno: il primo legame dell’emoglobina in forma T (poco affine) è piuttosto faticoso, ma, una volta avvenuto,
influenza l’affinità degli altri siti attivi per l’ossigeno modificando così la forma dell’emoglobina (scorrimento dei
dimeri) e portandola allo stato R (più affine).
La forma T (bassa affinità) dell’emoglobina richiede perciò un’alta concentrazione di ossigeno, mentre la forma R (alta
affinità) lega ossigeno più facilmente.
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31
Se la transazione da stato T a stato R è indotta dall’ossigeno, sia modulatore allosterico sia ligando, l’emoglobina sarà
proteina allosterica omotropica.
Se la transazione da stato T a stato R è indotta da un modulatore allosterico diverso dall’ossigeno, l’emoglobina sarà
proteina allosterica eterotropica.
Questa facilitazione di affinità tramite la variazione di conformazione è detto meccanismo di cooperatività positiva (non
avviene nell’emoglobina) ed è spiegato secondo i due modelli di comportamento degli enzimi allosterici: concertato o
sequenziale.
La differenza di meccanismi di affinità di legame tra emoglobina e mioglobina è identificabile tramite le curve di
saturazione.
Lipidi
I lipidi sono sostanze molto abbondanti in natura, presenti in sedi diverse e costituenti principali delle membrane
biologiche.
Tutti i lipidi sono insolubili in acqua e solubili in solventi organici non polari.
I lipidi sono una classe eterogenea e sono caratterizzati da una grande presenza di gruppi non polari; vengono
classificati secondo varie modalità.
 Classificazione funzionale:
o Lipidi di deposito: (98%) trigliceridi; fungono da riserva energetica chimica. Non sono anfifilici e
sono conservati nella cellula (es.: adipociti).
o Lipidi cellulari delle membrane: (2%) fosoflipidi, glicolipidi, colesterolo; hanno funzione strutturale.
Sono anfifilici e si trovano nella membrana cellulare.
o Lipidi con specifiche attività biologiche: (tracce) ormoni, prostaglandine, vitamine liposolubili; hanno
funzione di messaggeri chimici. Si identificano con la frazione degli insaponificabili.
 Classificazione in base alla polarità:
o Lipidi non polari (neutri);
o Lipidi polari.
 Classificazione semplici - complessi:
o Lipidi semplici: per idrolisi basica formano acidi grassi, glicerolo o alcoli alifatici (acilgliceroli, cere).
o Lipidi complessi: per idrolisi basica formano acidi grassi, glicerolo e almeno una terza sostanza
(glicerofosfolipidi, sfingolipidi).
o Frazione insaponificabile:
 Classificazione in saponificabili – insaponificabili:
o Saponificabili: caratterizzati dalla presenza di una o più molecole di acidi grassi che per idrolisi
alcalina si staccano sotto forma di saponi (Sali alcalini degli acidi grassi); contengono nella molecola
un gruppo –COOH libero o esterificato.
R-COOH + BOH  R-COO- B+ + H2O
R-COOR’ + BOH  R-COO- B+ + R’OH
o Insaponificabili: non contengono acidi grassi e non sono quindi idrolizzabili.
Acidi grassi
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Gli acidi grassi sono acidi carbossilici alifatici e sono i costituenti principali dei lipidi saponificabili; sono composti da
una catena idrocarburica (satura o insatura), formata da 4-24 atomi di carbonio e da un gruppo carbossilico.
Es.:
Gli acidi grassi possono essere insaturi (presentano fino a 6 doppi legami) o saturi (presentano solo legami singoli). In
natura si trovano solitamente sotto forma di esteri.
È possibile identificarli tramite un codice (X:Y) composto da due numeri, da cui si desume:
- La lunghezza della catena, ovvero il numero di atomi di C presenti (X);
- La presenza ed il numero di doppi legami (Y).
Es.: 18:2 (18 atomi di C, 2 doppi legami) à n. atomi di C : n. doppi legami
Inoltre per individuare la posizione dei doppi legami si possono sfruttare due modalità:
- Metodo Δ (nomenclatura classica): i numeri che seguono il simbolo Δ indicano la posizione dei doppi legami,
avendo numerato gli atomi di C partendo dal C carbossilico.
Es.: 9:2 Δ3,5
-
Metodo ω o n- (nomenclatura PUFA): questo metodo è usato quanto i lipidi presentano un ordine ripetitivo nel
quale sono presenti doppi legami ogni 4 atomi di C; il numero che seguono il simbolo ω o n- indica la
posizione del primo legame, avendo però numerato gli atomi di C partendo dal C terminale.
Es.: 9:2 ω3 (oppure 9:2 n-3)
Gli acidi grassi possono essere:
 Pari (numero di atomi di C pari) o dispari (numero di atomi di C dispari);
 Saturi (assenza di doppi legami) o insaturi (presenza di doppi legami);
 A catena lineare, ciclici o a catena ramificata.
Gli acidi grassi insaturi possono essere:
 Monoinsaturi (presenza di un solo doppio legame).
 Poliinsaturi (presenza di più di un doppio legame):
o Non coniugati: i doppi legami sono presenti ogni 4 atomi di C ed intervallati da gruppi metilici;
o Coniugati: i doppi legami sono più vicini rispetto ai lipidi non coniugati.
o NMI (non-methylene-interrupted): i doppi legami non sono separati da alcun gruppo metilico.
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La presenza di doppi legami influisce sulla presenza dell’isomeria cis-trans: i lipidi assumono così diversa
conformazione spaziale a seconda del tipo di isomeria; nella conformazione cis l’acido grasso assume una posizione
caratterizzata da una piega, che influisce sulla fluidità delle membrane biologiche, aumentandola, e sul punto di fusione,
rendendolo più basso.
Acidi grassi saturi:
N°. atomi C
4:0
10 : 0
14 : 0
16 : 0
17 : 0
18 : 0
20 : 0
Acidi grassi monoinsaturi (MUFA):
N°. atomi C : N°. doppi legami
(posizione)
16 : 1 (7)
18 : 1 (cis-9)
18 :1 (11)
Acidi grassi polinsaturi (PUFA):
N°. atomi C : N°. doppi legami
(posizione)
18 : 2 (9-12)
18 : 2 (9-11)
18 : 3 (9-12-15)
20 : 4 (5-8-11-14)
20 : 5 (5-8-11-14-17)
22 : 5 (7-10-13-16-19)
22 : 6 (4-7-10-13-16-19)
Nome comune
Acido butirrico
Acido caprinico
Acido miristico
Acido palmitico
Acido margarico
Acido stearico
Acido arachico
Nome IUPAC
Acido butanoico
Acido decanoico
Acido tetradecanoico
Acido esadecanoico
Acido eptadecanoico
Acido ottadecanoico
Acido eicosanoico
Nome comune
Tipologia
Acido palmitoleico
Acido oleico
Acido vaccenico
ω9
Nome comune
Tipologia
Acido linoleico (LA)
Acido rumenico (è coniugato)
Acido (α) linolenico (ALA)
Acido arachidonico (AA)
Acido timnodonico (EPA)
Acido clupanodonico
Acido cervonico (DHA)
ω6
ω3
ω6
ω3
Gli acidi grassi insaturi sono divisi in:
- ω9: acido oleico e derivati;
- ω6: acido linoleico e derivati;
- ω3: acido (α) linolenico e derivati.
Gli animali hanno perso la capacità di inserire doppi legami tra l’ultimo doppio legame ed il metile terminale, cosicché i
componenti delle varie famiglie di acidi grassi insaturi non possono essere trasformati gli uni negli altri. Gli ω3 hanno
grande importanza nella nutrizione e nella fisiologia e devono perciò essere assunti con la dieta, essendo essenziali
(EFA, essential fatty acid).
Tra gli acidi grassi coniugati sono presenti gli acidi linoleici coniugati (CLA), isomeri posizionali e geometrici
dell’acido linoleico (LA) (18:2 ω6), che presentano doppi legami in posizioni variabili. Nei CLA i doppi legami sono
coniugati, ovvero non separati da alcun gruppo etilenico (-CH2-).
Lipidi di deposito: i gliceridi
La maggior parte degli acidi grassi si trova sotto forma di esteri del glicerolo (o gliceridi o acilgliceroli). I gliceridi si
ottengono dal legame di una, due o tre molecole di acidi grassi con una molecola di glicerolo (un alcol trivalente, in
quanto presenta 3 gruppi ossidrilici).
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La reazione di formazione dei gliceridi può essere:
- glicerolo + 1 acido grasso à monogliceride
- glicerolo + 2 acidi grassi à digliceride
- glicerolo + 3 acidi grassi à trigliceride
I trigliceridi costituiscono il 98% dei lipidi neutri e possono essere scissi tramite lipasi.
I trigliceridi hanno alcuni vantaggi come riserva energetica in quanto sono più ridotti degli zuccheri, quindi la loro
ossidazione libera più energia, e sono idrofobici, non idratati, cosicché da un minor peso è possibile ricavare più
energia.
Lipidi di membrana
I lipidi di membrana sono molecole polari anfipatiche; sono costituiti da fosfolipidi, contenenti nella molecola un
residuo di acido fosforico, da glicolipidi, privi del residuo di acido fosforico, dalle cere e dagli steroli.
Fosfolipidi
I fosfolipidi possono essere:
- Fosfogliceridi: presentano glicerolo;
- Sfingolipidi: presentano sfingosina (un amminoalcol).
Fosfogliceridi.
I fosfogliceridi sono fosfolipidi caratterizzati dalla presenza di glicerolo; sono i lipidi più presenti in natura dopo i
trigliceridi e entrano nella costituzione delle membrane cellulari.
Struttura:
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Gli alcol più rappresentati sono l’etanolammina, la colina e la serina; inoltre nella membrana interna dei mitocondri è
presente il difosfatidilglicerolo (cardiolipina) che assicura l’impermeabilità ai protoni.
In alcuni casi è possibile trovare dei lipidi-eteri, che presentano una delle due catene legata al glicerolo con un legame
etere (non estere); si trovano soprattutto nel tessuto cardiaco e sono anche attivatori delle piastrine.
Sfingolipidi.
Gli sfingolipidi sono fosfolipidi caratterizzati dalla presenza di sfingosina (un amminoalcol) che hanno una struttura
simile a quelle dei fosfogliceridi, con sostituzione del glicerolo con la sfingosina.
In questi lipidi una coda è costituita da un acido grasso, mentre l’altra è costituita dalla sfingosina stessa; alla sfingosina
è inoltre attaccato un gruppo diverso (es.: nella fosfocolina il gruppo è quello della sfingomielina).
Glicolipidi
I glicolipidi sono una tipologia particolare di sfingolipidi che non contiene il residuo di acido fosforico e la cui testa
polare presenza zuccheri.
Cere
Le cere sono monoesteri di acidi grassi, in cui un acido grasso è legato ad un alcol grasso tramite legame estereo.
Steroli
Gli steroli sono lipidi che fungono anche da precursori di alcune vitamine (vitamina D) e di alcuni ormoni (ormoni
steroidei).
Il più importante degli steroli è il colesterolo, costituito da una coda (catena laterale alchilica) unita ad una testa polare
(OH) da un nucleo steroideo.
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