IL COLONIALISMO IN AFRICA
Introduzione
CAPITOLO 1
Problematiche e premesse storiche
I protagonisti del colonialismo africano: i funzionari coloniali, i militari ed i meticci
La storia sociale
La colonizzazione agricola
L’istruzione ed il razzismo
I contrasti sociali
Conclusioni
Bibliografia
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Le truppe coloniali di tutti i Paesi europei ricorrevano spesso, per incutere timore negli
indigeni e sedare le loro ribellioni, a metodi spietati e atrocità, come la distruzione di villaggi, la
cattura di ostaggi che subivano torture, esecuzioni di massa e massicce deportazioni. Talvolta si
arrivava addirittura allo sterminio di interi popoli indigeni che si erano dimostrati contrari al
predominio. Le popolazioni nere si ritrovano integrate nelle strutture politiche ed economiche create
dai colonizzatori bianchi europei, trovandosi a loro sottomesse: esse sono perciò costrette ad
accettare lingua, religione cristiana e cultura europea. Tuttavia le elites delle popolazioni indigene
(come capi di tribù) spesso possono trarre alcuni vantaggi dal colonialismo: infatti essi possono
avere qualche speranza di ascesa sociale. Per esempio essi possono presiedere a posti di non molta
importanza nell’amministrazione coloniale creata dagli europei e assorbire la loro cultura, studiando
presso scuole europee. Ma i ceti popolari neri sono completamente esclusi dalle decisioni politiche
in quanto sono ridotti ad essere dipendenti dai bianchi (come manodopera sottopagata al loro
servizio o soldati semplici nell’esercito coloniale), vivendo in condizione di povertà ed ignoranza. Il
colonialismo ha quindi portato a un impoverimento dei popoli neri delle colonie, sia in termini
economici sia in termini culturali (infatti, i bianchi hanno distrutto la cultura e lo stile di vita dei
popoli indigeni neri, imponendo il proprio, e sfruttano le loro ricche risorse naturali). Inoltre la
soggezione politica dei neri (imposta dai colonizzatori bianchi) impedisce loro di sviluppare una
coscienza politica e nazionale e di essere capaci di governarsi autonomamente. In generale
possiamo dire che i benefici economici che le nazioni europee trassero dai loro possedimenti
coloniali africani furono sempre molto minori di quelli che i promotori delle imprese coloniali si
aspettavano (se non proprio assenti). Questo non toglie ogni validità alla spiegazione economica
(quello che gli europei credevano poteva essere più importante dell'effettiva importanza economica
dei territori che conquistarono) ma spinge a rivalutare i fattori politici. Spiega inoltre perché le
potenze europee si siano rassegnate con relativa facilità a rinunciare ai loro imperi coloniali dopo la
seconda guerra mondiale. Il canale di Suez costituiva per la Gran Bretagna una via di
comunicazione strategica di vitale importanza, considerati i rapporti commerciali che intratteneva
con l'India (sottoposta già da tempo alla sua dominazione coloniale) e con la Cina. Dall'Egitto le
truppe inglesi sarebbero state in grado di controllare l'accesso all'Africa, all'Asia e al Medio Oriente.
Nel 1869, per la costruzione del canale, il sovrano dell'Egitto, Ismail, aveva preso in prestito
un'enorme somma dai banchieri francesi ed inglesi. Nel 1875 il governo inglese riuscì ad
appropriarsi delle azioni del Canale di proprietà di Ismail. Quando nel 1879 Ismail annunciò che
non avrebbe rimborsato il debito Gran Bretagna e Francia assunsero insieme il controllo sulle
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finanze del paese e lo costrinsero ad abdicare. Nel 1882 scoppiò una rivolta nel paese guidata da
Arabi Pasha. La Gran Bretagna la represse e inaugurò la sua dominazione informale (solo nel 1914
il paese fu dichiarato protettorato). Alla popolazione locale fu lasciata la sua autonomia
amministrativa obbligandola però a dipendere dai conquistatori per tutte le questioni economiche.
La conquista inglese allarmò la Francia, mentre la Germania intervenne come mediatrice, nella
speranza di guadagnare a sua volta compensi territoriali. Intanto Leopoldo II, sovrano del Belgio,
stava progettando di trasformare il bacino del fiume Congo in una colonia sotto il suo diretto
controllo e a questo scopo aveva mandato in Africa il celebre esploratore Henry Morton Stanley. Il
risultato fu una complessa spartizione dell'Africa che prese le mosse nel 1885 con la conferenza di
Berlino. La conferenza sancì la creazione dello Stato Libero del Congo, colonia personale di
Leopoldo II e stabilì che da quel momento in poi un paese europeo che accampasse diritti sulle
coste africane doveva dimostrare di poter avere un controllo effettivo del territorio. I capi delle
popolazioni indigene spesso accettavano spontaneamente di firmare i "trattati" con cui cedevano la
loro sovranità alle potenze europee, non rendendosi conto di cosa stavano facendo o di quale
sarebbe stata la portata dell'occupazione colonialista. Quando le gravi conseguenze si fecero sentire,
i vari popoli spesso si ribellarono, ma non riuscirono a contrastare gli europei che portavano con sé
armi ed equipaggiamento moderno.1 Il colonialismo italiano venne poi rilanciato dal regime fascista
nella seconda metà degli anni '30, che comportò la conquista dell'Etiopia. Le colonie africane si
distinguevano in territori che gli europei speravano di utilizzare come fonte di materie prime e
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Randazzo, Il colonialismo in Africa, Kaso, 2006, pag. 124, afferma che lo scontro tra una potenza colonialista
e l'unica popolazione bianca di origine europea che si considerava africana a tutti gli effetti diede vita a una guerra. Si
tratta del conflitto che oppose gli Inglesi ai Boeri o Afrikaner dal 1899 al 1902. I boeri discendevano da coloni olandesi
stanziatisi presso il Capo di Buona Speranza fin dalla metà del XVII secolo. Un secolo e mezzo più tardi, ai tempi di
Napoleone, la colonia del capo era passata agli inglesi. Non sopportandone il dominio i boeri si erano spostati verso
l'interno, dove avevano proclamato, due repubbliche indipendenti, il Transvaal e l'Orange. La situazione divenne
incandescente quando si scoprì che quelle terre erano ricche d'oro e diamanti. Gli inglesi incominciarono a giungere
numerosi nelle terre dei boeri: derivò nacque una guerra sanguinosa, nella quale i boeri furono sconfitti. Sotto il
controllo economico inglese fu allora fondata l'Unione sudafricana, che riuniva l'inglese colonia del capo alle due
repubbliche Boere. Dopo la seconda guerra mondiale la Repubblica Sudafricana indipendente avrebbe dato vita al
regime dell'apartheid. L’Italia, in questa situazione ebbe, per lo più, un ruolo secondario e di rappresentanza. Le mire
espansionistiche del governo italiano si indirizzarono inizialmente verso una zona dell'Africa orientale, nella quale
l'insediamento coloniale appariva più agevole, sia perché esploratori e missionari avevano aperto un varco in quella
regione, sia perché la concorrenza degli altri Paesi, nella zona era meno agguerrita. Dopo aver acquistato nel giugno del
1882 la baia di Assab, sulla costa meridionale del Mar Rosso, nel febbraio del 1885 il governo italiano inviò i primi
contingenti dell'esercito in quella che avrebbe formato la futura colonia dell'Eritrea, stanziandosi poi in Somalia e
ponendo le basi per la successiva avanzata in Abissinia, attualmente l’Etiopia; ma la pronta reazione delle truppe
abissine costrinse inizialmente alla resa. Dopo questa prima sconfitta l'Italia subì, il 1° marzo 1896, la pesante disfatta di
Adua, nella quale perirono sul campo circa 7.000 uomini. Il 26 ottobre 1896 fu conclusa la pace di Addis Abeba, con la
quale l'Italia rinunciava alle sue mire espansionistiche in Abissinia. La disfatta provocò forti reazioni in tutta Italia, dove
vi fu chi propose un immediato rilancio del progetto coloniale e chi, come una parte del partito socialista, propose di
abbandonare immediatamente queste imprese.Tra il 1911 ed il 1912 il Governo italiano guidato dal Primo Ministro
Giovanni Giolitti, dopo una serie di accordi con la Gran Bretagna e la Francia, che ribadivano le rispettive sfere
d'influenza nell'Africa settentrionale, dichiarò guerra all'Impero ottomano (Guerra italo-turca) ed occupò la Tripolitania
e la Cirenaica, dando vita alla formazione della colonia della Libia italiana, il cui possesso venne consolidato nel corso
degli anni Venti.
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sbocco commerciale per i loro prodotti (colonie di sfruttamento come la Costa d’Avorio, lo Stato
Libero del Congo, la Nigeria) e colonie in cui veniva incoraggiata l'emigrazione europea (colonie di
popolamento come l'Algeria o la Colonia del Capo). I confini erano tracciati in modo arbitrario e
popolazioni tradizionalmente nemiche erano costrette a convivere mentre altre, unite dalla stessa
lingua e dalla stessa storia, venivano divise. Questo avrebbe creato gravi problemi agli Stati
africani anche dopo la propria decolonizzazione. Le politiche coloniali delle potenze europee erano
tra loro diversificate. La Francia proponeva un modello “assimilazionista” in cui gli africani
potevano ottenere gli stessi diritti dei francesi se acquisivano la cultura e i valori della nazione
francese (queste persone erano dette évolués). Nella pratica tuttavia le possibilità per gli africani di
partecipare realmente all'amministrazione e agli affari pubblici su un piano di parità con i bianchi
erano in realtà limitatissime. La Francia incontrò di fatto alcune resistenze, ben nota quella
incarnata dalla figura di Lalla Fadhma n’Soumer in Algeria.
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