Dott.ssa Felicita Andreotti Ricercatrice presso Università Cattolica

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Dott.ssa Felicita Andreotti
Ricercatrice presso Università Cattolica del Sacro Cuore
Facoltà di Medicina e Chirurgia
IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE IN UN’OTTICA DI MEDICINA DI GENERE
Oggi nel mondo siamo 7 miliardi di persone, in Italia 60 milioni: 31 milioni donne e 29 milioni uomini. Nel
comune di Roma 2,6 milioni. Le donne sono più della metà in Italia e nel mondo. Meritiamo attenzione?
Eppure la medicina è tarata sul genere maschile. Scopo di questo evento è seminare cultura presso gli
individui e le istituzioni per modificare la situazione.
Qual è il rischio cardiovascolare della donna? E’ opinione diffusa che le malattie cardiovascolari
riguardino prevalentemente gli uomini; la realtà dei fatti è che queste sono più frequenti nelle donne. Il
40% della mortalità femminile è dovuta a infarto, ictus e altre forme di malattie cardiocircolatorie; le
donne muoiono molto di più per malattie cardiocircolatorie che per tumore.
L’allungarsi della vita porta le malattie cardiocircolatorie a rappresentare una vera emergenza per la
salute delle donne. Cinquant’anni fa in Italia c’è stato il boom demografico e la fascia di popolazione più
rappresentata era quella dei bambini; oggi la popolazione di età superiore a 40-50 anni rappresenta la
metà della popolazione italiana; un terzo della popolazione italiana ha più di 55 anni.
Le donne vivono più a lungo degli uomini e sono più spesso vedove, quindi sole. Tutti i paesi devono
affrontare i problemi dell’invecchiamento in campo sanitario, e le malattie cardiovascolari sono tipiche
dell’individuo anziano. Muoiono più uomini o donne di malattie cardiache o ictus? Di malattie
cardiocircolatorie muore il 56% di donne a fronte del 43% di uomini. Nonostante l’evidenza di questi dati,
la percezione che le donne hanno nei confronti dei pericoli causati da queste malattie è molto bassa. La
medicina di genere sta portando però i suoi frutti.
La percezione è bassa perché ancora non tutti i medici forniscono informazioni sulle malattie
cardiocircolatorie quando discutono problemi di prevenzione e salute delle donne. Questa carenza va
colmata; essere consapevoli del rischio permette di mettere in atto un’adeguata prevenzione: la strategia
delle tre “A”: Accorgersi, Accettare (la realtà), e Agire.
In cosa consiste il rischio cardiovascolare (cioè la probabilità di sviluppare infarto o ictus)? Nell’uomo e
nella donna il rischio è associato in buona parte a ipercolesterolemia, ipertensione arteriosa, diabete
(cioè elevata glicemia o emoglobina glicosilata), obesità e fumo. Obesità e diabete sono in aumento tra le
donne, anche fra quelle giovani. Alcuni fattori di rischio sembrano avere un peso più forte nelle donne
rispetto agli uomini: per esempio, si stima che il rischio associato al diabete sia due volte maggiore nelle
donne.
L’interazione tra fumo e ipertensione si associa a maggior rischio di ictus nelle donne rispetto agli uomini.
L’abitudine al fumo di sigaretta risulta in aumento nelle donne perché sottoposte a un grado di stress
maggiore che in passato. Si stima che il 40% di donne al di sopra di 55 anni abbia valori di colesterolo nel
sangue elevati, e un aumento di colesterolemia si osserva anche nelle donne più giovani. La metà delle
donne al di sopra dei 45 anni presenta valori elevati di pressione arteriosa; una su quattro non svolge
attività fisica regolare. Di questi fattori di rischio, peraltro modificabili, bisogna essere consapevoli,
soprattutto se abbiamo familiarità per malattie cardiocircolatorie (per esempio un parente di primo
grado colpito prima dei 60 anni).
I valori ottimali sono i seguenti:
Pressione arteriosa intorno a 120 su 80 millimetri di mercurio
Colesterolo totale <200 mg/dl
Colesterolo cattivo (LDL) < 100 mg/dl
Colesterolo buono (HDL) > 50 mg/dl
Trigliceridi < 150 mg/dl
Emoglobina glicosilata <7%
Indice di massa corporea (rapporto tra peso in kg e altezza al quadrato in metri) non superiore a 25 kg/m2
Giro vita < 89 cm
Questa è una semplice ricetta che si può applicare con l’uso di strumenti comuni come la bilancia, il
centimetro da sarto, lo sfigmomanometro. Inoltre, usare intelligenza e amore per se stessi evitando di
fumare, facendo attività fisica e ogni tanto un prelievo di sangue (almeno una volta l’anno).
Uno studio sui fattori di rischio cardiovascolare pubblicato nel Lancet alcuni anni fa, condotto su 15.000
uomini e donne con infarto cardiaco (o miocardico) e 15.000 soggetti analoghi senza infarto, ha fatto
emergere un’osservazione molto semplice ma di grande impatto: ha messo insieme 9 fattori di rischio
modificabili che si potrebbero abbattere ed ha scoperto che se un individuo li avesse tutti e nove e
riuscisse a controllarli non avrebbe l’infarto.
Questi 9 fattori di rischio sono: Fumo, Diabete, Ipertensione arteriosa, Obesità addominale, Depressione,
Consumo di frutta e verdura inferiore a 5 porzioni/dì, scarso Esercizio fisico, alterato consumo di Alcool, e
assetto Lipidico sfavorevole (per esempio alterati livelli di colesterolo e trigliceridi).
Le malattie cardiovascolari, quando compaiono, sono più gravi nella donna. Ciò dipende da molti fattori,
forse uno dei principali è che queste nella donna si manifestano in media 10 anni più tardi rispetto
all’uomo (età media di infarto nell’uomo 55-60 anni). Certamente è un bene che la donna sia protetta,
presumibilmente dagli estrogeni; d’altra parte, quando arrivano in ospedale, le donne con l’infarto in
media hanno 10 anni di più (65-70 anni), sono quindi molto più fragili.
Inoltre, rispetto all’uomo, è più frequente la coesistenza di numerosi fattori di rischio; i disturbi (sintomi)
nella donna con infarto in media sono meno intensi e meno “tipici” (essendo il “tipico”preso da ciò che
avviene nell’uomo) con la conseguente tendenza a sottovalutare i disturbi, il che fa ritardare la richiesta
d’aiuto e , quindi, l’intervento del cardiologo.
Bisogna essere consapevoli che il danno dell’infarto miocardico (come per l’ictus) si fa tanto più grave
con il passare delle ore e l’efficacia degli interventi terapeutici è tanto maggiore quanto più
precocemente iniziati. L’ideale sarebbe metterli in atto entro la prima ora dall’inizio dei sintomi; non
bisogna sottovalutare mai un fastidio che insorge al centro del petto o alla bocca dello stomaco:
chiamare subito il 118, un elettrocardiogramma (ECG) può essere sufficiente a distinguere un infarto da
un semplice malessere.
Quali sono le differenze nei sintomi di infarto tra uomo e donna? Come nell’uomo così nella donna il
sintomo più frequente è il dolore, o peso o fastidio, toracico di cui la sede tipica è al centro del petto,
retrosternale, di durata protratta (almeno 20 minuti); tuttavia la donna presenta più spesso dolori anche
in sedi diverse, come mandibola, spalla, dorso, addome. Inoltre questi sintomi si associano ad altri che
possono anche essere predominanti o essere gli unici sintomi in assenza di dolore toracico: per esempio,
affanno, dolore al braccio destro anziché sinistro, nausea, vomito, stanchezza inusuale, sudorazione
fredda.
Infine, nelle donne, secondo diversi studi, l’infarto viene curato in maniera meno efficace che nell’uomo;
la percentuale di donne che viene sottoposta a terapie invasive di rivascolarizzazione come angioplastica
o bypass coronarico è più bassa rispetto all’uomo, e questo potrebbe spiegare un altro studio, pubblicato
15 anni fa in una prestigiosa rivista, che fu abbastanza rivoluzionario e che ha un po’ scosso il concetto di
malattie cardiovascolari nella donna. Questo sottovalutare e sottotrattare le donne con malattie
cardiovascolari potrebbe spiegare l’elevata mortalità precoce dopo infarto, soprattutto nella frazione di
donne colpite in giovane età (quando meno ce lo si aspetterebbe) rispetto agli uomini di pari età. Lo
studio riporta la percentuale di morti rilevata in registri ospedalieri americani su migliaia e migliaia di casi
di infarto suddivisi per fasce d’età e per sesso. Muoiono di più le donne, soprattutto quelle giovani, nelle
prime ore, giorni o settimane dal ricovero rispetto ai maschi. Non si è ancora ben capito perché, si pensa
che ciò in parte sia dovuto al sottovalutare i sintomi nella donna giovane.
Indirettamente questo ci fa capire che non è da sottovalutare il rischio cardiovascolare neanche nella
donna più giovane. E’ importante informare tutti noi di particolari situazioni che possono aumentare il
rischio cardiovascolare anche in età fertile; ad esempio, la pillola anticoncezionale oltre a favorire la
trombosi venosa può favorire l’insorgenza di ipertensione arteriosa.
Il rischio di ipertensione aumenta nelle donne di età superiore a 35 anni che siano in sovrappeso e
abbiano familiarità per ipertensione o malattie renali. Dunque quando si assume la pillola bisogna
smettere di fumare, misurare la pressione arteriosa almeno ogni sei mesi e sottoporsi a visita medica
accurata prima di iniziarne l’assunzione.
Un’altra situazione in età fertile è la gravidanza durante la quale possono comparire ipertensione e
diabete proprio in rapporto alla gravidanza.
L’ipertensione compare nell’8% delle gravidanze e costituisce in tutto il mondo una delle cause principali
di complicanze anche mortali per la madre e per il neonato. Negli ultimi anni è cresciuto il numero delle
donne che iniziano la gravidanza in età matura, circa il 5% di esse presenta valori pressori già elevati che
aumentano durante la gravidanza il rischio di complicanze. La coesistenza di obesità, ipertensione e
diabete prima della gravidanza favorisce la comparsa di una grave forma di ipertensione che prende il
nome di preclampsia. Questa compare dopo la 20° settimana di gestazione, causa la perdita di proteine
con le urine; il trattamento antiipertensivo è utile ma la scelta del farmaco deve essere molto attenta per
abbassare la pressione senza causare danni al feto. La preclampsia, nella casistica mondiale di morte al
parto, è una delle principali cause dirette. In generale, le cause cardiache, seppure in maniera indiretta,
sono le principali cause di morte post-partum.
Concludo il discorso sulla ipertensione gravidica per dire che alcuni farmaci molto utilizzati al di fuori
della gravidanza, come gli antagonisti dell’angiotensina II, non devono essere utilizzati in gravidanza per
gli effetti negativi sul feto, mentre altri farmaci, come betabloccanti, calcio antagonisti e alfametildopa,
garantiscono una relativa sicurezza per la crescita del feto.
Il diabete che compare in gravidanza danneggia madre e bambino, quindi deve essere curato. È più
frequente in donne con familiarità diabetica; regredisce dopo il parto. Tuttavia, le donne che sviluppano
il diabete in gravidanza corrono un rischio superiore alle altre di sviluppare diabete in epoche successive.
Infine, il fumo di sigaretta provoca gravi danni al bambino; nessuna donna dovrebbe fumare o essere
sottoposta a fumo passivo neanche durante l’allattamento perché il fumo riduce la produzione del latte
materno e nel latte passano i prodotti di degradazione del tabacco.
Nel riconsiderare il problema dell’invecchiamento della popolazione e il fatto che le donne in media sono
protette per un certo numero di anni dalle malattie cardiovascolari, va precisato che il 23% dei maschi tra
60 e 70 anni è colpito da malattie cardiovascolari; una percentuale simile si riscontra nelle donne che
hanno 10 anni di più; però man mano che si procede nelle fasce di età più avanzata, c’è una inversione di
tendenza e la percentuale di donne con malattie cardiovascolari supera quella degli uomini.
La protezione presumibilmente esercitata dagli ormoni estrogeni dura finché questi sono prodotti
dall’organismo, quando questi vengono meno, come succede in menopausa o dopo un intervento
chirurgico di rimozione delle ovaie, il vantaggio che le donne hanno avuto durante il periodo fertile
scompare e l’incidenza di malattie cardiovascolari diventa uguale a quella negli uomini. In questo periodo
è possibile che si riduca il colesterolo buono HDL, che aumenti quello cattivo LDL, che si riscontri
ipertensione arteriosa, anche se prima i valori erano stati normali, che le donne tendano ad ingrassare e
che i valori glicemici aumentino.
Prima di concludere desidero parlare di altre 2 condizioni. Una è la sindrome del cuore spezzato, perché
l’incidenza di questa sindrome è 9 volte più frequente nella donna che nell’uomo. In cosa consiste? E’ una
miocardiopatia, le cui cause non sono completamente chiarite. E’ stata descritta per la prima volta in
Giappone con il nome Takotsubo (dalla forma di un vaso panciuto a collo stretto usato per la pesca del
polpo) ed è un temporaneo improvviso indebolimento del muscolo cardiaco che cambia forma e perde
forza; si chiama anche miocardiopatia da stress acuto o da cuore spezzato o da dilatazione apicale.
I sintomi sono simili a quelli dell’infarto: dolore al petto o nelle sedi dette, affanno ecc.; se questi sintomi
dovessero presentarsi improvvisamente ci si deve allertare e agire con rapidità.
All’insorgere dei sintomi, ci si reca in ospedale dove viene effettuato un ECG e un prelievo di sangue; se
questi mostreranno alterazioni tipiche di un attacco cardiaco, si procederà in tempi molto rapidi ad
un’angiografia che permetterà di vedere radiograficamente se dentro le arterie coronariche (le arterie
del cuore) ci sono ostruzioni. A differenza dell’infarto cardiaco classico, nella cardiopatia di Takotsubo
non c’è un’ostruzione di un’arteria del cuore ma vi è un’alterata forma e funzione del cuore stesso. E’
interessante che circa il 75% dei casi con la sindrome riferisce un evento di grandissimo stress poco prima
della malattia (ad esempio, grave lutto, chirurgia maggiore, disastro ambientale). La buona notizia è che
la condizione è reversibile e di solito non si ripresenta.
L’altra condizione che voglio descrivere è un tipo di infarto al cervello (ictus ischemico) causato da una
aritmia cardiaca assai frequente detta fibrillazione atriale. Durante questa aritmia il cuore si contrae con
irregolarità e al suo interno si formano frustoli o coaguli; il cuore “spara” queste “pallottole” di sangue
coagulato verso il cervello con possibile blocco improvviso del flusso di sangue in aree cerebrali. Questo
ictus cardioembolico è più frequente nella donna rispetto all’uomo.
Per ridurre il rischio di essere colpiti da ictus cardioembolico è importante imparare a percepire il proprio
“polso”. Si appoggiano due dita alla radice della palma della mano dal lato del pollice. Lì si percepiranno i
battiti cardiaci trasmessi dal cuore all’arteria radiale; si capisce se il battito è regolare (normale) o
continuamente irregolare (possibile fibrillazione atriale). In quest’ultimo caso ci si organizzerà per
effettuare un ECG che potrà confermare o escludere la presenza di un’aritmia pericolosa; se indicato,
verrà iniziato un trattamento protettivo contro l’ictus cardioembolico.
Anche per l’ictus, come per l’infarto del miocardio, ci sono sintomi in comune tra uomo e donna che sono
l’insorgenza improvvisa di:
-debolezza, paralisi, assenza di sensibilità a viso, braccio, gamba, specie se da un solo lato del corpo;
-confusione, difficoltà nel parlare o nel capire;
-disturbi della vista;
-alterazioni di equilibrio o della camminata;
-grave mal di testa senza causa evidente.
Più frequenti tra le donne rispetto agli uomini con ictus sono l’improvvisa insorgenza di dolore al viso, a
un arto, o al torace, e lo sviluppo di nausea, debolezza generale, affanno, palpitazioni.
Se ritieni che tu o un altro sia colpito da ictus , come per l’infarto miocardico, è importante agire
rapidamente. Può essere utile pensare all’acronimo F.A.S.T. (in inglese fast = rapido). F (face, inglese =
viso): ci sono alterazioni Facciali, per esempio nel sorridere? A (arms, arti): ci sono disturbi agli arti, per
esempio nel sollevare le braccia? S (speech, parlare, sillabare): ci sono difficoltà nel ripetere una semplice
frase? T (time, tempo): in presenza di uno di questi disturbi si deve agire Tempestivamente (chiamare il
118) e registrare l’ora di insorgenza dei primi disturbi. Entro le prime 4,5 ore dall’insorgenza dei sintomi è
possibile somministrare una medicina in grado di sciogliere il coagulo che ha causato la patologia
cerebrale; questa medicina aumenta la probabilità di recupero dopo un ictus, ma va somministrata nelle
prime 4,5 ore.
Le abitudini comportamentali e dietetiche che influenzano la comparsa delle malattie cardiovascolari si
assumono in buona parte durante l’infanzia e l’adolescenza. Le donne hanno spesso un ruolo molto
rilevante nell’educare e influenzare le abitudini di figli e figlie. Per questo un proverbio preso dalla
cultura inglese recita: la mano che dondola la culla è la mano che governa il mondo, come si educano i
figli così si determinerà il futuro del mondo.
Le donne rappresentano spesso il primo riferimento per i familiari per quanto riguarda il riconoscimento
dei sintomi e l’adesione ai programmi sanitari, quindi hanno la responsabilità di educare se stesse e i
propri familiari.
In conclusione:
educhiamo noi stesse e le persone vicine a noi;
conosciamo e modifichiamo i fattori di rischio cardiovascolare fin da piccoli;
promuoviamo gravidanze sane;
reagiamo con intelligenza ai sintomi di infarto e ictus;
controlliamo il ritmo cardiaco al polso soprattutto se abbiamo più di 50-60 anni.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: 20 voci citate nelle diapositive che accompagnano questa relazione.
Roma, 6 marzo 2014
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