Ottobre-Dicembre 2012 • Vol. 42 • N. 168 • pp. 226-230
diabetologia
Diagnosi del diabete nel bambino:
quando pensare anche al diabete
non-autoimmune
Franco Meschi, Valeria Favalli, Giusy Ferro
Clinica Pediatrica, Istituto Scientifico Universitario, Ospedale San Raffaele, Milano
Sommario
La maggioranza di casi di diabete mellito dell’infanzia e dell’adolescenza è rappresentata dal diabete di tipo 1 (autoimmune). Negli ultimi anni sono però
aumentati in tutto il mondo i casi di diabete a eziologia differente, ovvero diabete mellito di tipo 2 (correlato all’aumento dell’obesità infantile) e diabete monogenico. Riguardo a quest’ultimo, tecniche diagnostiche e conoscenze genetiche sempre più accurate ne hanno permesso una caratterizzazione sempre
più precisa. Anamnesi familiare e personale e caratteristiche cliniche peculiari permettono di formulare un corretto sospetto diagnostico e di orientare la
diagnosi differenziale tra i diversi tipi di diabete, per un adeguato approccio diagnostico terapeutico.
Summary
Type 1 (autoimmune) diabetes still represents the majority of cases of diabetes mellitus in children and adolescents. However, cases of different types of
diabetes have recently increased, mainly type 2 diabetes (due to the global obesity epidemic) and monogenic diabetes. More accurate diagnostic techniques and genetic knowledge have led to a better characterization of monogenic diabetes. Personal/family medical history and specific clinical features
allow a correct clinical suspect and to distinguish between types of diabetes, in order to implement an appropriate diagnostic and therapeutic approach.
Introduzione
Il diabete è definito come un gruppo di patologie metaboliche caratterizzate da iperglicemia, che può derivare da un difetto nella
secrezione di insulina, nell’azione dell’insulina o in entrambi. Diversi meccanismi eziopatogenetici possono condurre allo sviluppo di
diverse forme di diabete.
Tradizionalmente i pediatri hanno avuto esperienza clinica del diabete nella forma definita come insulino dipendente o giovanile e
successivamente, in modo più preciso in base alla patogenesi, come
autoimmune o di tipo 1 (DMT1), contrapposto al diabete di tipo 2
(DMT2), tipico dell’età adulta.
Negli ultimi 10-20 anni con il perfezionamento delle metodiche di
indagine di biologia molecolare e di studio dell’autoimmunità, il
quadro si è modificato, consentendo di identificare nuove forme di
diabete causate da mutazioni monogeniche, in particolare per ciò
che riguarda il diabete neonatale. Si tratta diagnosi rare che hanno
importanti implicazioni patogenetiche e terapeutiche
Inoltre come conseguenza dell’attuale epidemia di obesità è atteso
un importante incremento del diabete tipo 2 già in età adolescenziale.
Obiettivo
Presentare le diverse forme di diabete non autoimmune, l’iter diagnostico da seguire in base al sospetto clinico e le conseguenti possibilità terapeutiche
Modalità di ricerca
I dati per questo articolo sono stati selezionati da una Medline utilizzando le parole “type 2 diabetes children”, “MODY”, “neonatal dia-
226
betes”, con filtro per articoli successivi al 2008. Sono inoltre stati inclusi studi noti agli autori, anche se pubblicati prima di questa data.
I criteri diagnostici per la diagnosi di diabete mellito sono stati rivisti
dall’“American Diabetes Association” nel gennaio 2011 (Tab. I)”; la
novità più rilevante è l’introduzione di un valore di emoglobina glicosilata pari a 6.5% come criterio diagnostico isolato sufficiente alla
diagnosi. (ADA, 2012). Tuttavia ci sono difficoltà nella standardizzazione dei metodi analitici e nella variabilità inter-individuale nella
relazione tra glicemia e HbA1c.
La maggioranza dei casi di DM rientra nelle categorie DMT1 o DMT2,
a seconda che l’eziologia sia il danno auto immune delle beta-cellule pancreatiche, con conseguente mancata produzione di insulina,
o anomalie che si traducono in una resistenza all’azione dell’insulina
e in un’inadeguata aumentata produzione compensatoria.
Il DMT1 rappresenta circa il 90% delle forme ad esordio in età pediatrica; la diagnosi clinica (poliuria, polidipsia, calo ponderale associati a riscontro di iperglicemia) viene confermata dalla presenza di
positività per almeno uno dei noti autoanticorpi contro le beta cellule
pancreatiche: ICA (anti isola pancreatica), IAA (anti insulina), GAD
(anti glutammico decarbossilasi), IA2 (anti fosfo-tirosin-fosfatasi),
ZnT8 (anti trasportatore dello zinco).
Un inquadramento anamnestico (che comprenda anche un’accurata
anamnesi familiare) del paziente affetto da DM è fondamentale per
avanzare un sospetto clinico di diabete non autoimmune. Dati che
devono far porre il sospetto di diabete su base non autoimmune:
• età di esordio inferiore ai 6 mesi;
• insulinoresistenza importante (valori di insulinemia anche 100
volte superiori alla norma) (eventualmente associata a iperlipemia, ipertensione, acanthosis nigricans, policistosi ovarica, steatosi epatica);
Diagnosi del diabete nel bambino: quando pensare anche al diabete non-autoimmune
Tabella I.
Diabete Mellito: criteri diagnostici (IDF/ISPAD/ADA 2011).
Sintomi di diabete + riscontro di glicemia casuale ≥ 200 mg/dL
Oppure
Glicemia a digiuno ≥ 126 mg/dL
Oppure
Glicemia a 2 ore dopo carico orale di glucosio** ≥ 200 mg/dL
Oppure
HbA1c ≥ 6.5%
* per digiuno si intende la non assunzione di calorie per almeno 8 ore.
** il test deve essere eseguito secondo le indicazioni OMS usando un carico di
glucosio pari a 75 g di glucosio dissolto in acqua o 1,75 g glucosio/Kg di peso fino
ad un massimo di 75 g.
• storia familiare di diabete ad eredità autosomica dominante;
• iperglicemia lieve (valori compresi tra 100 mg/dl e 150 mg/dl a
digiuno) in paziente con familiarità;
• fabbisogno insulinico minimo al di fuori della fase di parziale
remissione;
• diabete associato a peculiari caratteristiche sintomatologiche/
cliniche extrapancreatiche (sordità, atrofia ottica, facies sindromica);
• storia di esposizione a farmaci responsabili di tossicità nei confronti delle beta cellule o responsabili dello sviluppo di insulinoresistenza.
Il sospetto clinico è avvalorato dalla negatività dello screening per
autoimmunità correlata a DMT1.
Diabete mellito tipo 2
Sta diventando un problema sanitario sempre più importante in tutto
il mondo, ed è correlato in primo luogo al progressivo incremento
della percentuale di bambini e adolescenti obesi (Gupta et al., 2012).
Negli Stati Uniti il DMT2 in età adolescenziale rappresenta circa il
50% di tutte le diagnosi di DM (Reiner et al., 2006) mentre in Italia
non si è ancora avuto un simile aumento della frequenza.
Diventa quindi importante anche per il pediatra avere le competenze necessarie per effettuare una diagnosi tempestiva di questa
forma di diabete al fine di limitarne i rischi sul breve e sul lungo
termine.
Sospetto DMT2 nei seguenti casi:
• Insorgenza in età puberale (fisiologico picco di insulinoresistenza);
• Associazione con obesità e segni di insulinoresistenza (iperlipidemia, ipertensione, acanthosis nigricans, policistosi ovarica,
steatosi epatica);
• Razza non caucasica;
• Familiarità per DMT2;
• Assenza di autoanticorpi contro le beta cellule pancreatiche e
assenza di HLA predisponente.
Le modalità di presentazione sono:
• iperglicemia occasionale rilevata in corso di esami di routine o
episodi infettivi;
• poliuria, polidipsia, glicosuria ed eventuale chetosi/chetoacidosi
(in questi casi molto spesso viene erroneamente posta diagnosi
di DMT1);
• in rari casi disidratazione severa e potenzialmente fatale (coma
iperglicemico iperosmolare, iperkaliemia).
La modalità di presentazione alla diagnosi influenzerà anche il tipo
di trattamento (terapia dietetica ed esercizio fisico, metformina o
insulina) e gli esami diagnostici da effettuare
Nei soggetti asintomatici con riscontro di iperglicemia occasionale sarà necessaria la conferma del dato su almeno due prelievi ed
eventualmente un test da carico orale con glucosio. Non esiste possibilità di diagnosi genetica in quanto si tratta di forme a eziologia
poligenica con il coinvolgimento di numerosi geni in buona parte
ancora ignoti.
Nei soggetti sintomatici, per la diagnosi è sufficiente un singolo valore di glicemia superiore a 200 mg/dl.
È inoltre fondamentale indagare già al momento della diagnosi la
presenza di eventuali comorbilità e complicanze che possono associarsi al DMT2 attraverso:
•
•
•
•
Misurazione della pressione arteriosa;
Ricerca della microalbuminuria;
Profilo lipidico;
Tests di funzionalità epatica ed eventualmente esame ecografico
del fegato.
Dovranno essere infine effettuati il dosaggio dell’insulinemia e del
C-peptide e lo screening autoanticorpale: la distinzione tra DMT1e
DMT2 non è però sempre così chiara, andandosi a delineare soprattutto negli ultimi anni (a causa dell’aumento del numero dei bambini
sovrappeso) il “diabete doppio” o “diabete uno e mezzo” (Badaru
and Pihoker, 2012).
Si tratta della presenza di autoanticorpi (solitamente uno) contro la
beta cellula in bambini con caratteristiche di insulinoresistenza e
spesso familiarità per DMT2. Un confronto tra pazienti affetti da
DMT2 con o senza autoanticorpi non pare evidenziare differenze in termini di età alla diagnosi, profilo lipidico, pressione, peso
all’esordio, livelli di C-peptide e emoglobina glicosilata (Rheiner et
al., 2006). Un altro studio indica l’importanza di una corretta classificazione eziologica del diabete con esordio in età giovanile: seb-
Figura 1.
Acantosis nigricans in paziente affetto da sindrome da insulinoresistenza severa.
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F. Meschi, V. Favalli, G. Ferro
bene la maggior parte rientri nelle categorie DMT1 (autoimmunità e
insulinosensibilità) o DMT2 (non autoimmunità, insulinoresistenza),
esiste una significativa percentuale di pazienti che si colloca al confine tra i due gruppi (circa il 20% presenta sia autoimmunità sia
insulinoresistenza, circa il 10% non presenta né autoimmunità né
insulinoresistenza) (SEARCH, Dabelea et al., 2011).
Diabete monogenico
È dovuto a mutazioni in singolo gene, spesso di geni che regolano la
funzione beta cellulare; in rari casi possono essere mutati geni che
si rendono responsabili di quadri di grave insulinoresistenza, oppure
può essere mutato direttamente il gene dell’insulina.
Deve essere sottolineato che le diverse forme di diabete monogenico rappresentano una piccola percentuale (1-5%) di tutti i casi di
diabete (Massa et al., 2005).
Il sospetto clinico deve insorgere nei casi di diabete neonatale, di
diabete associato a particolari caratteristiche extrapancreatiche, di
marcata familiarità per diabete, e di modesta iperglicemia a digiuno.
A questo si andranno poi ad aggiungere elementi che permettano di
escludere DMT1 e il DMT2: assenza di autoanticorpi, obesità, acanthosis nigricans, insulinoresistenza.
La diagnosi di diabete monogenico può essere confermata da specifici test genetici, che andranno effettuati in modo mirato in base
alla storia clinica e all’età di esordio in pazienti selezionati (ISPAD,
2009).
Diabete neonatale
La definizione classica è quella di presenza di iperglicemia persistente (valori superiori a 126 mg/dl dopo 4 ore di digiuno) che necessiti di terapia insulinica per almeno 3 giorni e compaia nel primo
mese di vita (incidenza 1: 90.000 circa in Italia negli anni 20052010) (Iafusco et al., 2011).
In seguito alla definizione di eziologia prevalentemente genetica del
diabete ad esordio nei primi sei mesi di vita, anche grazie ad uno
studio italiano è stata proposta la definizione di Diabete Monogenico
dell’Infanzia, che include tutti i casi di diabete mellito non autoimmune nei quali la diagnosi è effettuata nei primi sei mesi di vita
(ADA, 2012).
Gli esami ematici da effettuare sono: profilo glicemico, dosaggio insulinemia e C-peptide basale e post-prandiale, autoimmunità correlata a DMT1 e fruttosamina.
A seconda dell’esito di tali esami la diagnostica verrà indirizzata
verso una forma di deficit funzionale della beta cellula (insulinemia
e C-peptide indosabile), una forma autoimmune da inquadrarsi verosimilmente in IPEX (sindrome da immunodisregolazione, poliendocrinopatia, enteropatia, legata alla X) o APECED (poliendocrinopatia
autoimmune, candidosi, distrofia ectodermica) o una forma di insulinoresistenza ad esordio precoce (Insulinemia e C-peptide francamente elevati).
Dopo la stabilizzazione del quadro clinico ogni caso di diabete ad
esordio in età inferiore ai 6 mesi (e i genitori) deve essere sottoposto
insieme con i suoi genitori a screening per le alterazioni genetiche
più probabili in base alla storia clinica (Greeley et al., 2011).
Le indagini genetiche unitamente alla clinica permetteranno di differenziare:
• diabete mellito neonatale transitorio: una forma compare entro
le prime 6 settimane di vita e va in remissione entro i primi 18
mesi; una forma transitoria recidivante può invece ricomparire nelle età successive (50% dei casi). Le basi genetiche sono
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spesso anomalie del cromosoma 6q24 (disomia uniparentale) o
mutazioni in KCNJ11 o ABCC8 (che codificano per le subunità
proteiche Kir 6.2 e SUR1 del canali ATP-potassio dipendenti per
l’insulina) (Greeley et al., 2011);
• diabete mellito neonatale permanente: la maggior parte dei casi
è dovuta a mutazione in eterozigosi o omozigosi di uno dei geni
che codificano per il canale dell’insulina (talvolta inquadrabile
nel contesto della sindrome DEND-Developmental delay, Epilepsy, Neonatal Diabetes) o del gene INS che codifica per l’insulina.
Il deficit assoluto di glucochinasi da omozigosi è una causa non
frequente di diabete mellito neonatale permanente, che determina perdita della funzione di glucose sensor, con conseguente
incapacità a produrre insulina in presenza di iperglicemia (Russo et al., 2012, Massa et al., 2005, Ashcroft and Harris, 1984);
• Sindrome da insulinoresistenza severa: mutazione a carico del
gene che codifica per il recettore dell’insulina. L’esordio in età
neonatale è tipico delle mutazioni responsabili delle espressioni
fenotipiche particolarmente severe (leprecaunismo e sindrome
di Rabson Mendenhall) (Fig. 1).
La terapia con insulina deve essere instaurata precocemente e
mantenuta finché pemane l’iperglicemia, con l’importante eccezione delle mutazioni del canale del potassio, che beneficiano di un
trattamento con sulfaniluree per via orale con migliore controllo glicometabolico e qualità di vita (Tonini et al., 2006). Non esiste invece
terapia efficace per il diabete da mutazioni del recettore per l’insulina: tentativi terapeutici sono stati effettuati con Insulin Like Growth
Factor (IGF1) con incerti risultati.
Diabete familiare (mody: maturity onset diabetes of the young)
È la forma più comune di diabete monogenico in Europa (1-2%) e
rappresenta una forma autosomica dominante di diabete non insulino-dipendente, solitamente diagnosticata entro i 25 anni di vita.
Diverse forme con specifiche mutazioni genetiche vengono raggruppate sotto l’acronimo MODY, e differiscono per a età d’esordio, entità
dell’iperglicemia e caratteristiche cliniche associate.
Molte forme di MODY vengono ancora erroneamente classificate
come DMT1 o DMT2 (Shield et al., 2010); i test genetici molecolari
attualmente disponibili permettono di effettuare diagnosi accurate,
di definire il decorso clinico, il rischio di complicanze e il corretto trattamento (dieta, ipoglicemizzanti orali, insulina). Dato il costo
ancora elevato dell’analisi genetica molecolare, viene sottolineata
l’importanza di effettuare un’accurata selezione clinica dei pazienti
sui quali effettuare tali indagini.
I difetti genetici più frequenti (75-90%), sono mutazioni a carico
della glucochinasi (MODY 2) e a carico del fattore nucleare degli
epatociti (HNF) (MODY 3) (Tab. II) (Thanabalasingham et al., 2011).
Il sospetto di MODY2 insorge in caso di:
• Persistente iperglicemia a digiuno (110-140 mg/dl), confermata
su un periodo di mesi o anni;
• Emoglobina glicosilata lievemente superiore ai limiti (raramente
oltre 7,5%);
• Minimo incremento della glicemia dopo esecuzione di test da
carico orale con glucosio (OGTT);
• Genitori, fratelli, zii, nonni con diagnosi di DMT2 senza complicanze o di diabete gestazionale o di iperglicemia persistente
diagnosticate in età giovanile;
• È raccomandato, prima di procedere a test genetici, effettuare misurazione di glicemia e C-peptide nei genitori: si evidenzierà nella
madre o nel padre la presenza di iperglicemia a digiuno (tranne
rari casi di mutazione de novo nel bambino) (Ellard, 2008).
Diagnosi del diabete nel bambino: quando pensare anche al diabete non-autoimmune
Tabella II.
Caratteristiche del MODY (Maturity Onset Diabetes of the Young).
Mutazione
Prevalenza
Clinica
Età diagnosi
Terapia
MODY 1
HNF 4α
<5%
Marcata sensibilità alle sulfaniluree,
macrosomia fetale e ipoglicemia
neonatale, HDL basse, LDL elevate
Prepubere
dieta/insulina
MODY 2
GCK
30-70%
Iperglicemia a digiuno moderata, scarso
incremento dopo OGTT
Neonatale o prima infanzia
dieta
MODY 3
HNF 1α
30-70%
Bassa soglia renale per glicosuria,
marcata sensibilità alle sulfaniluree
Prima infanzia
ipoglicemizzanti orali, insulina
MODY 4
IPF1
<1%
Agenesia pancreatica
Neonatale (omozigote) /
giovane adulto (eterozigote)
insulina (omozigote) / dieta
(eterozigote)
MODY 5
HNF 1β
5-10%
Malformazioni genitourinarie (cisti renali),
atrofia pancreatica, insufficienza esocrina
In uno studio italiano del 2009, condotto su una popolazione pediatrica emerge che circa un quarto dei pazienti con riscontro di iperglicemia occasionale rientra dei criteri diagnostici per MODY: di questi
il 63% risulta positivo per una mutazione del gene della glucochinasi
(Massa, 2001, Lorini, 2009). La glucochinasi converte il glucosio in
glucosio 6 fosfato, il cui metabolismo stimola la secrezione insulinica da parte delle beta cellule pancreatiche. Un difetto nell’enzima
causa la necessità di una soglia glicemica più elevata per innescare
la secrezione insulinica.
Il MODY 2 costituisce la forma di diabete monogenico più spesso
diagnosticata in stati dove il dosaggio della glicemia viene effettuato
di routine in pazienti asintomatici (Italia, Francia, Spagna), mentre
il MODY 3 rappresenta la forma più frequentemente diagnosticata
laddove si ricorre meno frequentemente al dosaggio della glicemia
come indagine di routine (Thanabalasingham et al., 2011).
MODY 3 e il più raro MODY 1 sono causati da mutazioni a carico
di un fattore di trascrizione epatico che causa una diminuzione del
riassorbimento renale di glucosio. Sono caratterizzate da minima
iperglicemia a digiuno ma importante rialzo dopo OGTT e presenza
di glicosuria per valori glicemici inferiori alla soglia renale.
Le altre forme di devono essere sospettate in base alle caratteristiche cliniche riportate in tabella II.
Negli ultimi anni sono state identificate altre mutazioni, non riportate
in tabella, che rappresentano forme rarissime di diabete monogenico.
dieta/insulina
Mutazioni del gene dell’insulina
Mutazioni del gene dell’insulina sono state individuate come responsabili dell’insorgenza di diabete neonatale o della prima infanzia:
hanno un effetto proteotossico che causa un danno persistente al
reticolo endoplasmatico e risulta in ultima istanza nell’apoptosi della
cellula beta. Studi recenti hanno evidenziato casi in cui il diabete
dovuto a mutazione del gene dell’insulina si presenta al di fuori del
periodo neonatale e viene quindi erroneamente diagnosticato come
diabete di tipo 1. Si tratta di casi rari che devono essere presi in considerazione nel caso di pazienti che risultano negativi allo screening
autoanticorpale (Bonfanti et al., 2009).
Sindrome di Wolfram
Una rara forma di diabete non autoimmune è presente nella sindrome di Wolfram: diabete mellito, atrofia del nervo ottico,diabete insipido, anomalie renali (acronimo DIDMOAD). La sindrome è autosomica recessiva ed il diabete ha patogenesi ignota, con età media di
esordio a 6 anni. L’associazione di diabete non autoimmune e atrofia
del nervo ottico e/o diabete insipido consente di porre la diagnosi
che può essere confermata con la ricerca di mutazione specifica
(Wolframina – WFS1). La sindrome richiede terapia insulinica per
tutta la vita, ha una prognosi severa, con progressione della atrofia
del nervo ottico fino alla cecità, possibilità di insufficienza renale e
deterioramento cognitivo (Greeley et al., 2011).
Box di orientamento
Cosa si sapeva prima
Il diabete in età evolutiva viene tradizionalmente identificato con la forma insulino dipendente, dovuta al danno beta cellulare su base autoimmune
diagnosticabile per la presenza di autoanticorpi specifici (Diabete mellito di tipo 1).
Cosa sappiamo adesso
Il perfezionamento delle tecniche di biologia molecolare e di studio dell’autoimmunità hanno consentito di identificare forme di diabete monogenico
non autoimmune.
L’attuale “epidemia” di obesità porta a prevedere un aumento della prevalenza di diabete di tipo 2 con necessità di sicura diagnosi differenziale rispetto
al tipo 1.
Quali ricadute
La somministrazione di insulina per via sottocutanea rimane la terapia di gran lunga più comune in età evolutiva, tuttavia esistono alternative terapeutiche, come le sulfaniluree nel diabete monogenico neonatale e la metformina nel diabete tipo 2.
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Corrispondenza
Franco Meschi, Clinica Pediatrica, Istituto Scientifico Universitario, Ospedale San Raffaele, Via Olgettina 60, 20139 Milano. Tel. +39 02 2643 2624.
Fax 02 2643 4050. E-mail: [email protected]
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