Book in progress Scienze Integrate - Chimica secondo anno Scienze Integrate/Chimica - secondo anno INDICE MODULO 1: IL LEGAME CHIMICO ............................. 3 MODULO 6: L’EQUILIBRIO CHIMICO ...................... 71 1. 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 2. 2.1 2.2 2.3 2.4 3. 3.1 3.2 3.3 4. 4.1 4.2 5. 5.1 5.2 5.3 5.4 6. 1. 2. 3. 4. Legami primari ........................................................... 3 Caratteristiche di un legame ...................................... 3 Il legame covalente .................................................... 5 Il legame ionico .......................................................... 7 Il legame dativo ......................................................... 9 Il legame metallico ................................................... 10 La struttura di qualche molecola ............................. 11 Strutture di Lewis .................................................... 11 Strutture di Lewis nei composti a carattere ionico ... 13 Le eccezioni alla regola dell’ottetto ............................13 La risonanza ............................................................ 16 La geometria molecolare ......................................... 16 Come sono orientati i legami tra di loro? ................. 16 Il modello VESPR .................................................... 16 Le strutture molecolari...............................................17 La struttura elettronica delle molecole ..................... 22 Teoria del legame di valenza (V. B.) .......................... 22 L’ibridizzazione degli orbitali ..................................... 26 I legami secondari ................................................... 33 La polarità delle molecole ........................................ 33 Cosa unisce le molecole tra loro? ............................ 33 Interazione Ione-Dipolo .............................................34 Interazione Dipolo-Dipolo ........................................ 34 Sommario delle forze di interazione fra gli atomi ...... 36 Reazioni reversibili e irreversibili ............................... 71 L’equilibrio chimico .................................................. 71 Costanti di equilibrio e relazioni tra le stesse ............ 72 Il principio di Le Chatelier ......................................... 73 MODULO 7: ACIDI E BASI ........................................ 75 1. Cosa sono gli acidi e le basi .................................... 75 2. Teorie acido base .................................................... 75 3. Equilibri acido-base: i sistemi coniugati ................... 77 4. Il pH ......................................................................... 79 5. La forza relativa degli acidi e delle basi .................... 82 6. Misura del pH ......................................................... 83 Esercizi ............................................................................ 85 MODULO 8: ELETTROCHIMICA ............................... 87 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Introduzione ............................................................ 87 Celle galvaniche o pile ............................................. 87 Potere ossidante e potere riducente ........................ 89 Il potenziale standard di riduzione (E°) ..................... 92 La forza elettromotrice di una pila ........................... 94 L’equazione di Nernst .............................................. 95 La corrosione metallica ............................................ 96 Trasformazione di energia elettrica in energia chimica: elettrolisi ..................................................... 96 Esercizi ............................................................................ 98 MODULO 2: LE SOLUZIONI ...................................... 39 1. 2. 3. Introduzione ............................................................ 39 Concentrazione delle soluzioni ................................ 40 Trasformazione da un’unità di concentrazione ad un’altra .................................................................... 44 4. Diluizione delle soluzioni .......................................... 45 Stechiometria delle reazioni in soluzione acquosa ... 45 Esercizi ............................................................................ 47 MODULO 3: REAZIONI CHIMICHE II ....................... 49 1. 2. 3. Introduzione ............................................................ 49 Reazioni di ossidoriduzione ..................................... 49 Stechiometria delle reazioni chimiche in soluzione acquosa .................................................................. 54 MODULO 4: ASPETTI CINETICI ED ENERGETICI .. 57 1. 2. 3. Introduzione ............................................................ 57 Cinetica chimica ...................................................... 57 L’energia nelle reazioni chimiche .............................. 60 MODULO 5: I GAS ..................................................... 63 1. Lo stato gassoso ..................................................... 63 2. Grandezze fisiche .................................................... 63 3. Le leggi dei gas ....................................................... 65 4. Densità dei gas ........................................................ 70 Esercizi da svolgere ......................................................... 70 2 MODULO 9: CHIMICA ORGANICA ......................... 103 1. 2. 3. 4. 5. Introduzione .......................................................... 104 L’importanza della chimica organica ...................... 106 Gli idrocarburi ........................................................ 109 I derivati funzionali ................................................. 114 Le biomolecole ...................................................... 118 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno MODULO 1 IL LEGAME CHIMICO • Caratteristiche di un legame • Il legame metallico • La risonanza • Il legame covalente • Strutture di Lewis • La geometria molecolare • Il legame ionico • Strutture di Lewis nei composti a carattere ionico • I legami secondari 1. I legami primari 1.1. Quali sono le caratteristiche di un legame? Uno dei risultati che sicuramente abbiamo raggiunto con il primo libro è stato capire che tutta la reattività chimica delle sostanze esistenti in natura parte in realtà dalla configurazione elettronica degli atomi i quali, attraverso un’e voluzione spontanea, tendono ad assumere configurazioni a bassa energia con la formazione di legami. La tipologia di questi ultimi risulta naturalmente differente e presenta caratteristiche che dipendono essenzialmente dalla tendenza relativa che manifestano gli atomi coinvolti nel legame ad acquistare (affinità elettronica) o a perdere elettroni (energia di ionizzazione). Diciamo che tra due o più atomi esiste un legame chimico se le interazioni (forze) agenti tra di loro danno luogo alla formazione di un aggregato sufficientemente stabile da poter essere studiato (individuato) (L. Pauling). La tipologia dei legami finora trattati riguarda i cosiddetti LEGAMI PRIMARI, legami forti che si trovano all’interno delle sostanze ed il cui studio, come abbiamo visto, può fornire informazioni sulla: • Esistenza di una determinata sostanza, associata alla possibilità che si formino dei legami tra gli atomi coinvolti • Composizione chimica, in quanto il numero di legami possibili determina il rapporto di combinazione tra gli atomi nella sostanza • Reattività chimica, associata alla tipologia dei legami presenti Ricordiamo che LEGAME COVALENTE si presenta tra atomi con elevata affinità elettronica (atomi di elementi non metallici) e può essere omopolare o eteropolare LEGAM I PRIM ARI LEGAME IONICO si presenta tra atomi con elevata affinità elettronica (non metalli) ed atomi a bassa energia di ionizzazione (metalli) LEGAME METALLICO si presenta tra atomi di elementi con bassa energia di ionizzazione (metalli). Per semplicità consideriamo solo gli elementi principali e suddividendo grossolanamente in tre parti la Tavola Periodica Sinistra (Metalli...) Centro (Semimetalli...) Destra (Non metalli) A B C 3 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno possiamo rappresentare, in modo schematico ed un po’ approssimato ma sicuramente utile, la tipologia di legame possibile tra i vari elementi AA, AA' METALLICO (struttura infinita) BB, BB' COVALENTE APOLARE (struttura infinita) CC, CC' COVALENTE APOLARE (struttura molecolare) AC IONICO (struttura infinita) AB IONICO o COVALENTE POLARE (struttura infinita) BC COVALENTE POLARE (struttura molecolare ) RICORDA Come regola generale, valida per gli elementi più rappresentativi, la massima carica positiva che un atomo può assumere in un composto ionico è uguale al numero dei suoi elettroni di valenza mentre la massima carica negativa è uguale al numero di elettroni mancanti al raggiungimento della configurazione del gas nobile successivo. La carica dello ione quindi corrisponde al suo numero di ossidazione, mentre nel caso in cui non ci sia una completa cessione ma solo uno spostamento degli elettroni verso l’atomo più elettronegativo, il numero di ossidazione è rappresentato dalla “carica formale” corrispondente al numero di elettroni spostatisi. Definire la tipologia dei legami presenti in una sostanza è fondamentale perché come sappiamo ne determina le caratteristiche fisiche e chimiche ma se consideriamo i due cristalli raffigurati di seguito, ci renderemo conto che questo non è l’unico parametro da considerare, il Diamante e la Grafite infatti, hanno caratteristiche evidentemente differenti ed a nessuno verrebbe in mente di regalare un anello con grafite al posto di un anello con diamante ma da un puno di vista prettamente chimico la cosa potrebbe essere lecita, visto che entrambi non sono altro che due forme cristalline del Carbonio (si dice forme allotropiche) che essendo puro non può fare altro che formare legami covalenti con sé stesso. Le enormi differenze tra le due sostanze possono essere DIAMANTE GRAFFITE quindi spiegate solo se si ammette che il legame sia caratterizzato da altri tipi di parametri oltre la sua natura chimica ed in effetti un legame all’interno di una sostanza si può considerare univocamente determinato se si conoscono la sua a ENERGIA a a LUNGHEZZA ORIENTAZIONE I primi due parametri sono facilmente identificabili approfondendo il concetto della variazione di energia di un sistema in seguito all’associazione di uno o più atomi. Come abbiamo già accennato nel primo libro durante il processo di formazione di un legame, tra i due atomi, si esercitano sia forze attrattive (elettroni - nuclei) che forze repulsive (nucleo-nucleo, elettroni-elettroni). Il fenomeno è stato studiato da P. Morse e E.U. Condon ed espresso attraverso un grafico che utilizza l’andamento dell’energia potenziale rispetto alla distanza internucleare per evidenziare l’evoluzione dello stato energetico del sistema formato da due atomi che si uniscono in un legame stabile. Le forze attrattive prevalgono a grandi distanze, consentendo in questo modo ai due atomi di avvicinarsi e legarsi; naturalmente le forze repulsive diventano sempre più importanti e significative quanto più piccola è la distanza tra gli atomi. Se per convenzione poniamo uguale a zero l’energia potenziale di due atomi quando tra loro non esiste nessun tipo di interazione cioè quando si trovano idealmente a distanza infinita, possiamo presupporre che durante il loro avvicinamento sia le forze attrattive che quelle repulsive diventino più intense ma che le prime evidentemente prevalgano, rendendo il sistema più stabile rispetto alla situazione di partenza. Man mano che diminuisce la distanza, infatti, l’energia potenziale complessiva dei due atomi diminuisce, tutto ciò sino 4 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno ad arrivare ad una: distanza internucleare critica o distanza di legame, in corrispondenza della quale le due forze risulteranno perfettamente uguali, l’energia potenziale raggiungerà quindi il suo valore minimo ed il sistema sarà in equilibrio. CURIOSITÀ FULLERENI e NANOTUBI Nell’ottobre del 1996 fu assegnato il premio Nobel per la scoperta della molecola di fullerene, l’unica forma finita del carbonio (il diamante e la grafite sono solidi a reticolo infinito). I fullereni vengono ora prodotti artificialmente con un sistema di vaporizzazione del carbonio ad alta temperatura ma sono stati ritrovati in minime percentuali anche nella miniera di carbone di Yinpinglang, in Cina e in un meteorite caduto in Messico. La molecola di fullerene si combina in aggregati C60, con una struttura simile a quella di un pallone da calcio (icosaedro) ed è formata da 12 pentagoni e 20 esagoni. Questa molecola ha aperto le frontiere per lo studio delle nanotecnologie ed ha svariate applicazioni ad esempio nel campo della cura e della diagnostica medica in cui viene usato per trasportare atomi o traccianti radioattivi fino alle cellule tumorali. I primi SWNT (Single Wall Nano Tube) sono stati prodotti nel 1993 e possono essere descritti come tubi in carbonio formati da uno strato di grafite arrotolato su se stesso a formare un cilindro, chiuso alle due estremità da due calotte emisferiche. Il corpo del nanotubo e' formato da soli esagoni, mentre le strutture di chiusura (le sue semisfere) sono formate da esagoni e pentagoni, come i normali fullereni. La distanza corrispondente alla condizione di equilibrio e quindi di stabilità del legame, è defini ta lunghezza del legame, parametro dell’ordine di grandezza dei Picometri (1pm=10-12m); ogni ulteriore avvicinamento degli atomi causerà un aumento delle forze repulsive in misura maggiore di quelle attrattive, con conseguente tendenza del sistema a ritornare alla distanza di equilibrio. 1.2. Il legame covalente La condivisione degli elettroni conseguente alla formazione di un legame covalente è quindi caratterizzata da un ben determinato valore di energia L’energia di legame, misurata in KJ/mol, è l’energia che si libera quando due atomi allo stato gassoso passano da sistanza infinita alla distanza di legame ed ovviamente coincide con l’enegia che è necessario fornire al sitema ( allo stato gassoso) per rompere il legame, prtando i due atomi a distanza infinita. X--X(g) + Eleg (Kcal/mol) > X·(g) + X·(g) 5 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno E’ una misura della “forza” di un legame chimico e, per questo motivo, viene a volte impropriamente chiamata forza di legame. Consideriamo come esempio reale la formazione del legame covalente in una molecola di H2. Come abbiamo già visto nel primo libro, i due atomi di Idrogeno condividono il loro unico elettrone per raggiungere la configurazione stabile dell’Elio e leggendo sulla curva di Morse il valore di r corrispondente al minimo di energia potenziale, vediamo che la lunghezza del legame nella molecola di Idrogeno è di 74 pm, mentre l’energia del legame si determina dal valore della “buca di potenziale”, cioè dalla differenza tra l’energia della molecola (corrispondente al minimo della curva) e quella dei due atomi separati, (corrispondente allo zero) ed ha un valore di 436 KJ/mol. Il legame nella molecola di H2 è covalente apolare e l’analisi effettuata ci permette di affermare che è “forte” e direzionato, visto che la probabilità che gli elettroni si trovino nello spazio compreso tra i due nuclei è molto elevata sia perché in questa zona risentono dell’attrazione di entrambi i nuclei sia perché in questo modo diminuiscono le forze di repulsione tra i nuclei stessi (una molecola simmetrica con la massima densità elettronica tra i due atomi di idrogeno). Naturalmente, ogni legame possiede una propria stabilità ed una propria lunghezza, come si evidenzia nella seguente tabella: Legame Energia di legame (Kj/mole) Lunghezza di legame (nm) C-C 370 0.154 C=C 680 0.13 C≡C 890 0.13 C=C 435 0.11 C-H 305 0.15 C-N 360 0.14 C-0 535 0.12 C-F 450 0.14 C-CI 340 0.18 O-H 500 0.10 O-O 220 0.15 O-Si 375 0.16 N-O 250 0.12 N-H 430 0.10 F-F 160 0.14 H-H 435 0.074 Esaminiamo il legame idrogeno - cloro, dove la tendenza ad acquistare l’elelttrone da parte del cloro è complementare alla tendenza dell’idrogeno a cederlo. Da tabelle possiamo ricavare che la distanza di equilibrio è di 127 pm e che l’energia di legame è di 411 KJ/mol, valore che evidenzia una molecola notevolmente stabile, tipico risultato di un legame covalente ma, come sappiamo, in questo caso la coppia elettronica, pur avendo la massima probabilità di trovarsi tra i due nuclei, non è condivisa equamente e staziona preferenzialmente più vicino all‟atomo di Cloro. Approfondendo il concetto di LEGAME COVALENTE POLARE, già noto dal primo anno, possiamo affermare che Il legame è ancora direzionato e forte ma il decentramento degli elettroni determina una maggiore densità di carica negativa verso il cloro ed una carenza di cariche negative sull‟idrogeno. Le cariche quindi si differenziano con la formazione di una parziale carica negativa (δ-) sul cloro ed una parziale carica positiva (δ+) sull‟idrogeno (DIPOLO) 6 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Parziale carica negativa μ δ- δ+ Cl H r Parziale carica positiva LEGAME COVALENTE POLARE (possiede un Momento Dipolare) Per chi vuole saperne di più Per DIPOLO ELETTRICO in fisica, si intende un sistema costituito da due cariche elettriche di segno opposto, poste ad una certa distanza (r). Ogni dipolo è caratterizzato numericamente da un MOMENTO DIPOLARE, indicato con la lettera greca μ (mi) e definito dall’equazione μ = q·r dove q = (1.16·10-19C)·P • P rappresenta un numero compreso tra 0 ed 1, che, moltiplicato per 100 fornisce la % di ionizzazione del legame (%I) • (1.16·10-19 C) rappresenta la carica unitaria dell’elettrone • il loro prodotto permette di ottenere la densità di carica q (quantità di carica nell’unità di volume) Il momento dipolare è una grandezza vettoriale, il cui verso va, per convenzione, dalla carica negativa a quella positiva. Se indichiamo con %I mediamente la percentuale di ionizzazione di un legame, possiamo dire che: Se %I supera il 60%, cioè quando la differenza di elettonegatività, XA-XB ≥ 2, il legame è già da considerarsi a prevalenza ionica Mentre per 0 ≤ XA-XB ≤ 2 il legame aumenta la sua polarità passando da covalente puro a covalente polare, Per XA-XB ≥ 3 il legame è da considerarsi totalalmente ionico ma questo succede realmente solo per pochi composti come è evidenziato nel grafico. 1.3. Il legame ionico Un LEGAME IONICO può essere considerato in definitiva, come un caso limite di un legame covalente polare che si instaura quando esiste una forte differenza di elettronegatività tra i due atomi che sono caratterizzati, quindi, l’uno (il metallo) da un potenziale di ionizzazione molto basso e l’altro (il non metallo) da un‟affinità elettronica molto elevata. Me →Me + n ebassa energia di ionizzazione n+ X + n e- →Xn elevata affinità elettronica La teoria del legame chimico si fonda sulla legge di Coulomb che definisce la forza di interazione tra due cariche 1 Q1 · Q2 • F= 4 πε o d dove Q1 e Q2 rappresentano il valore delle cariche elettriche, d la distanza che le separa ed F la forza (attrattiva per cariche opposte, repulsiva per cariche concordi) che si esercita su di esse ed ε° la costante dielettrica nel vuoto 7 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno In questo caso nell’interazione tra i due atomi si ha un completo trasferimento dell’elettrone da un atomo all’altro, con la formazione di due ioni di carica opposta tra i quali si instaura una forza di tipo Coulombiano. Se consideriamo cosa succede nell’interazione del fluoro con il potassio verifichiamo immediatamente che entrambi gli atomi si ionizzano, stabilizzandosi; il primo assume infatti la configurazione del Neon ed il secondo quella dell’Argon, il rapporto di combinazione è quindi di 1 ad 1, rappresentato dal simbolo KF (fluoruro di potassio) come nel cloruro di sodio NaCl. Come abbiamo già accennato nel primo libro, in questo caso il legame è puramente elettrostatico e dato che la forza di natura coulombiana esercitata da una carica si genera uniformemente in tutte le direzioni dello spazio (campo elettrico), Il legame ionico a differenza di quello covalente non è direzionale. L'attrazione tra cariche di segno opposto, come sono cationi ed anioni, non si sviluppa solo in un'unica direzione, ma agisce uniformemente in tutte le direzioni, producendo aggregati ionici macroscopici aventi strutture ben definite, in cui anioni e cationi si alternano in un reticolo ordinato. Il Cloruro di Sodio, ad esempio, forma un grande reticolato cubico, in cui ioni di carica opposta si alternano ordinatamente nelle tre direzioni dello spazio per cui ogni ione Na+ risulta circondato da 6 ioni Cl- e viceversa. Tale disposizione ordinata è detta cristallina. Il numero di anioni che circonda un catione all’interno del reticolo cristallino è detto numero di coordinazione del catione. Il numero di cationi che circonda un anione all’interno del reticolo cristallino è detto numero di coordinazione dell’anione. Nei composti ionici dunque, la formula chimica non descrive una struttura molecolare autonoma, ma indica il rapporto numerico esistente nel cristallo tra ioni positivi e negativi (formula minima) ed in questo caso è più corretto parlare di massa (peso) formula piuttosto che di massa (peso) molecolare. Se la reazione fosse avvenuta tra il Calcio ed il Fluoro, il Calcio avrebbe ceduto i suoi due elettroni a 2 atomi di Fluoro, ciascuno dei quali ne avrebbe acquistato uno raggiungendo la configurazione dell’Argon e del Neon. In tal caso quindi il reticolo ionico è nel complesso neutro se per ciascun ione Ca2+ sono presenti 2 ioni F-. La formula CaF2 (sale binario, Fluoruro di calcio) indica dunque che nel reticolo cristallino il rapporto tra ioni Calcio e ioni Fluoro è 1:2. In realtà il processo di formazione del legame ionico deve essere considerato come la somma di due processi differenti. • il primo consiste nel vero e proprio processo di ionizzazione, con formazione degli ioni allo stato gassoso, idealmente posti a distanza infinita l’uno dall’altro Na(g) + 118,5 kcal (energia di ionizzazione) = Na+(g) + eCl(g) + e- = Cl-(g) + 83,4 kcal (affinità elettronica) + = Na(g) + Cl(g) + 35,1 kcal = Na+(g) + Cl-(g) Energia necessaria per determinare il processo di ionizzazione • successivamente gli ioni, sotto l’azione delle forze di attrazione si avvicinano fino ad una distanza uguale alla somma dei loro raggi ionici alla quale il sistema raggiunge un valore di energia minimo (inferiore al sistema iniziale dei due ioni a distanza infinita) determinando un’interazione stabile che porta alla formazione del composto ionico L’energia guadagnata è “energia in più” che il sistema formato dal composto ionico stabile libera verso l’ambiente. L’energia liberata nella formazione del reticolo cristallino dagli ioni allo stato gassoso, portati da distanza infinita a distanza di legame, è definita come energia reticolare. In prima approssimazione un composto ionico si formerà se l’energia spesa per la ionizzazione verrà compensata dall’energia reticolare. 8 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno 1.4. Il legame dativo Ritorniamo ora su un tipo particolare di legame covalente che si può formare a partire da un doppietto elettronico non impegnato in alcun legame, messo a disposizione da un atomo donatore (datore) e da un orbitale vuoto messo a disposizione da un atomo accettore. Tale legame è detto legame covalente dativo o di coordinazione ed una volta formatosi, è indistinguibile da un normale legame covalente. Il legame dativo può essere rappresentato con una freccia che va dal doppietto solitario dell’atomo D (datore) e si dirige verso l’atomo A (accettore). D:→A Molto importante è il caso in cui, nell’atomo accettore, l’orbitale vuoto sia il frutto di una promozione di elettroni da un orbitale ad un altro, generalmente degenere. E’ il caso dell’Ossigeno per il quale si ammette che, quando sia impegnato in legami di questo tipo, possa avvenire una transizione dalla configurazione più stabile, prevista dalla regola di Hund ad una configurazione meno stabile, nella quale un elettrone viene spostato da un orbitale p semisaturo all’altro orbitale p, generando un orbitale vuoto. 2s 2p 2p 2p 2s 2p 2p 2p Questa configurazione è leggermente più instabile della precedente, ma permette successivamente la formazione di una molecola stabile, con un guadagno energetico complessivo. Il ragionamento è simile a quello che compie una persona che acquista un bene leggermente più costoso sapendo che comunque ha risparmiato perché ammortizzerà successivamente la sua spesa ad esempio nella manutenzione o nella durata dell’apparecchio. La formazione del legame dativo giustifica la capacità che hanno molti elementi (in particolare gli elementi alla fine di un periodo) di formare un numero variabile di legami con l'ossigeno (valenza variabile) legandosi con esso in diverse proporzioni. Il Cloro, ad esempio, che possiede una configurazione superficiale s2 p5, presenta un elettrone spaiato e ben tre doppietti non condivisi disponibili per legami dativi, attirati dall’ossigeno, che come sappiamo è l’elemento più elettronegativo dopo il fluoro e accolti in uno degli orbitali p, vuoto. Si giustifica in tal modo l'esistenza dei quattro composti ossigenati del cloro che abbiamo studiato: l'anidride ipoclorosa Cl2O, l'anidride clorosa Cl2O3, l'anidride clorica Cl2O5 e l'anidride perclorica Cl2O7 ed i rispettivi numeri di ossidazione del cloro: +1 corrispondente all’unico elettrone spaiato, +3 corrispondente all’elettrone spaiato ed ad un doppietto solitario, +5 corrispondente all’elettrone spaiato ed ai due doppietti impegnati con i rispettivi atomi di ossigeno ed infine +7 corrispondente all’elettrone spaiato ed ai tre doppietti solitari, il massimo numero di elettroni che il cloro può impegnare. Altra applicazione importante del legame dativo si ha nella reazione di dissociazione ionica dell’acqua in ioni H+ e ioni OH-. In realtà in soluzione non esistono ioni H+ liberi poiché essi usano il loro orbitale 1s vuoto per legarsi, tramite legame dativo, ad uno dei due doppietti solitari dell’Ossigeno di una molecola d’acqua, con formazione di ioni ossonio (idrossonio) H3O+, H+acq H2Ol → H+ => H3O+ H2Ol → H+ => H+acq Una volta che lo ione ossonio si è formato, i 3 atomi di idrogeno sono perfettamente equivalenti ed i tre legami covalenti che li legano all’ossigeno risultano indistinguibili. 9 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Questo tipo di legame, insieme a quello ad idrogeno, ha una grande importanza a livello biochimico, perché essendo meno forte degli altri tipi di legame può formarsi ma anche rompersi facilmente, in una specie di equilibrio regolato dalle condizioni esterne. E’ quello che succede ad esempio nell’emoglobina contenuta nei globuli rossi dove quattro gruppi chiamati EME contengono Fe2+ che è in grado di legarsi con un legame di coordinazione con l’O2 atmosferico, secondo un equilibrio che determina la formazione e la rottura del legame a seconda della pressione parziale dell’ossigeno. In questo modo l’emoglobina è in grado di fissare l’O2 in un ambiente ricco di tale gas (i polmoni), trasportarlo e rilasciarlo nei vari tessuti ed organi dove la pressione di O2 è bassa. In assenza di questo meccanismo la quantità di ossigeno che si potrebbe solubilizzare sarebbe troppo bassa per le esigenze metaboliche di Globuli rossi un animale di dimensioni superiori ad 1 mm. 1.5. Il legame metallico Il legame metallico è determinato dall’unione di atomi metallici all’interno di un solido. Tra i modelli più semplici ed intuitivi che descrivono il legame metallico vi è quello di P. Drude (1863-1906), secondo il quale gli atomi metallici perdono gli elettroni superficiali trasformandosi in ioni positivi. Gli ioni si ordinano in modo da lasciare il minor spazio vuoto possibile (massimo impaccamento), andando così ad occupare posizioni ben determinate all'interno di precise strutture geometriche. Gli elettroni persi non appartengono più ai singoli atomi, ma a tutto il reticolo solido (modello a mare di elettroni). Essi sono liberi di muoversi (elettroni delocalizzati) tra gli ioni positivi garantendo la neutralità del sistema e agendo da collante per i cationi. La libertà di movimento degli elettroni all’interno del reticolato cationico fa sì che il legame metallico evidenzi una natura non direzionale, non vi sono elettroni localizzati tra i due nuclei che li condividono, come nel legame covalente, che irrigidiscono la struttura. Gli elettroni, carichi negativamente, attraggono gli ioni positivi e tengono insieme i nuclei, garantendo la stabilità della struttura. Gli stessi cationi possono, se sollecitati meccanicamente, muoversi all’interno del mare di elettroni senza che il legame venga spezzato, a differenza di quanto accade in un legame ionico in cui anioni e cationi devono mantenere le loro posizioni reciproche. Il legame metallico non è direzionale e ciò spiega le caratteristiche di duttilità e malleabilità dei metalli i quali, se sottoposti a sollecitazioni meccaniche, si deformano in modo permanente senza spezzarsi I materiali duttili si deformano permettendo lo scorrimento degli atomi l’uno rispetto agli altri, in questo modo si riduce la sollecitazione sui legami chimici determinando l’assorbimento di grandi quantità di energia, cosa che non avviene in altri materiali che sottoposti ad una sollecitazione concentrata vanno incontro ad una rottura totale. La presenza di elettroni liberi è in grado di spiegare anche le proprietà di conducibilità elettrica dei metalli che, sottoposti ad una differenza di potenziale, trasformano il moto caotico degli elettroni in un flusso ordinato (corrente). Generalmente le forze di coesione nei metalli aumentano al crescere del numero di elettroni di valenza (da Li a Be; da Na a Al; ecc.) e diminuiscono, a parità di elettroni di valenza, all’aumentare delle dimensioni atomiche (da Li a Cs, ecc.) 10 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno CURIOSITÀ Le leghe metalliche sono miscele di metalli o di metalli e non-metalli (soluzioni solide quindi) che solidificando presentano proprietà metalliche. Sono ottenute generalmente a partire dai metalli allo stato fuso e poi raffreddando con cautela. L’acciaio o la ghisa sono leghe ferrose in cui il ferro supera il 50% del peso della lega e costituisce il metallo base ed il carbonio nel primo caso non supera il valore di 1,7% mentre nella seconda presenta un tenore compreso tra 2 e 4. L’idrogeno è l’unico elemento del I gruppo che NON si comporta da metallo ma questo è vero solo sul nostro pianeta. Alla temperatura di 1700° C e per Pressioni dell’ordine di 1011Pa (circa 106atm) l’idrogeno elementare acquista carattere metallico. Sebbene tali condizioni non siano normali sulla Terra esse sono simili alle caratteristiche della parte più interna di un grande paneta come Giove, costituito per più del 90% da idrogeno metallico. 2. La struttura di qualche molecola 2.1 Strutture di Lewis Ora che il concetto di legame è stato sufficientemente approfondito, cerchiamo di riutilizzare il metodo di Lewis, questa volta per evidenziare la struttura di qualche molecola, cominciando da una sostanza molto diffusa ed importante per la vita, l’ossigeno che noi respiriamo. Se consideriamo la configurazione elettronica dell’atomo di ossigeno con i suoi due elettroni spaiati, verifichiamo che il completamento dell’ottetto, si raggiunge contemporaneamente dalla interazione di due atomi che quindi formano un aggregato stabile, O2. Ogni legame è covalente puro (OMOPOLARE), però a differenza dell’idrogeno o del cloro, l’ossigeno ha messo in compartecipazione due coppie di elettroni formando due legami. Se indichiamo gli elettroni di legame con dei trattini potremo rappresentare la molecola che si forma in questo modo e dire che l’ossigeno forma un doppio legame. O + O O=O Da analisi energetiche si evidenzia che il doppio legame è più corto e più forte di un legame semplice Se ci riferiamo all‟atomo di azoto verifichiamo che dall’interazione delle tre coppie di elettroni spaiati .. .. .. anche in questo caso si forma una molecola biatomica ed ogni legame è COVALENTE APOLARE ma questa volta i legami sono tre: l’azoto possiede cioè un triplo legame. Un legame triplo è più corto e più forte energeticamente di un legame doppio. E’ chiaro quindi che in alcune situazioni una coppia di atomi può dar luogo a più interazioni, mettendo in compartecipazione più doppietti. Vediamo ora la struttura di Lewis della molecola che si formerà se facciamo reagire insieme idrogeno ed azoto (idruro covalente) e, per non dimenticare quello che abbiamo studiato precedentemente, ricolleghiamo la struttura di Lewis al simbolismo utilizzato per rappresentare la configurazione elettronica. 2p 1 AZOTO AZOTO 2s 1 1 1 1 H 1s 1 1 1 H H H .. N H H 11 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Conosci già questa molecola, l’AMMONIACA, ed utilizzando il modello di Lewis se ne chiarisce la struttura. L’azoto ha tre elettroni spaiati mentre l’idrogeno ne ha solo uno per cui, perché si formi una molecola stabile servono tre atomi di idrogeno, con cui l’azoto forma dei legami semplici. Soffermiamoci su una molecola molto importante che si ottiene dalla combinazione tra idrogeno e carbonio perchè rappresenta un altro esempio legato alla possibilità che ci sia un riassestamento interno degli elettroni, finalizzato alla formazione di molecole più simmetriche e quindi più stabili. Il Carbonio infatti pur dovendo possedere in base al principio dell’AufBau la prima delle configurazioni elettroniche rappresentate nello schema successivo, quando si combina con altri elementi, in questo caso con l’Idrogeno, assume una configurazione leggermente più energetica, promuovendo un suo elettrone nell’orbitale p; in questo modo, nella formazione di legami, il Carbonio acquista la possibilità di stabilizzare quattro atomi di idrogeno formando la molecola CH4 che, essendo perfettamente simmetrica, risulta particolarmente stabile. Un grande guadagno energetico complessivo, con una piccola “spesa“ iniziale, il meccanismo sarà più chiaro successivamente quando introdurremo il concetto di ibridizzazione degli orbitali. CARBONIO AZOTO 2s 2p 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 H H H H 1 H H 1s C H H Si dice che la chimica del carbonio è TETRAVALENTE cioè che con i suoi quattro elettroni spaiati, tende a formare quattro legami per poter raggiungere la configurazione otteziale e questo comportamento caratterizza quasi tutti i composti del carbonio. CURIOSITÀ Il CH4 è il più piccolo composto che il carbonio può formare ed è quindi il primo di una grandissima famiglia che rappresenta un ramo della chimica, detta Chimica Organica perché il C e i suoi composti sono alla base dello sviluppo degli organismi viventi sulla Terra. Il CH4 si chiama Metano ed è considerato un combustibile pulito perché essendo una molecola piccola, con un solo atomo di C, quando brucia nel rapporto stechiometrico previsto con l’ossigeno dell’aria, può formare solo anidride carbonica ed acqua, senza formare altri prodotti intermedi che potrebbero essere nocivi. CH4 + 2O2 CO2 + 2H2O In tutti questi casi la previsione sul rapporto di combinazione era .. .. .. .O . .O . abbastanza semplice perché l’idrogeno ha un solo elettrone esterno, . O . .. .. .. proviamo ora a prevedere una molecola formata da alluminio ed ossigeno. . . L’alluminio ha tre elettroni mentre l’ossigeno ne ha solo due, vediamo cosa succede utilizzando questa volta solo la struttura di Lewis. . Al . . Al . Come sai già, un atomo di ossigeno possiede due elettroni spaiati che può utilizzare acquistando due elettroni dell’alluminio per formare due legami e O raggiungendo la configurazione del Neon. L’atomo di alluminio però in questo modo non si è stabilizzato Al perchè possiede ancora un elettrone spaiato e, per raggiungere l’ottetto, deve cederlo ad un altro O atomo di ossigeno che però in questo modo impegna solo uno dei suoi due elettroni spaiati e quindi Al reagirà con un’altro atomo di alluminio. Lo spostamento continuerà finchè tutti gli atomi coinvolti nella O formazione della molecola, complessivamente raggiungeranno l’ottetto. A questo punto la molecola che si è formata è stabile e gli atomi non reagiscono più. 12 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno CURIOSITÀ L’ossido di alluminio Al2O3 è il costituente del “corindone” un cristallo naturale che può essere rosso (variazione rubino), blu (variazione zaffiro), arancio (variazione padparadshah) la cui lavorazione dà luogo alle gemme preziose corrispondenti. Sembra un gioco ma è ciò che realmente succede in natura e spiega perché il rapporto di combinazione nell’OSSIDO DI ALLUMINIO è di due a tre (Al2O3). In questa molecola Δχ=1,5 quindi il legame è covalente polare e questo giustifica le caratteristiche di quest’ossido, la cui reattività chimica è caratterizzata da un comportamento intermedio tra un ossido basico ed un ossido acido (OSSIDO ANFOTERO). 2.2 Strutture di Lewis nei composti a carattere Ionico Ritorniamo alla definizione del legame ionico inteso come caso limite del legame covalente polare e in quest’ottica rappresentiamo la struttura di alcune molecole che contengano legami ionici, servendoci delle regole di Lewis: Ossido di Bario . MgCl2 Mg Cloruro di Magnesio Anche in questo caso la struttura di Lewis, evidenziando il numero di legami presenti, ci aiuta a capire il rapporto in cui gli ioni si combinano nel cristallo ionico. Nell’Ossido di Bario il legame ha un Δχ=2,6 mentre nel Cloruro di Magnesio il Δχ=2,0; in entrambi i casi il legame è a componente ionica predominante. Questi semplici esempi chiariscono il successo che il modello di Lewis ha dimostrato nel tempo, permette infatti di intuire, in modo semplice e chiaro, la struttura di molti composti ma sicuramente sono chiari anche i suoi limiti. Il comportamento che finora abbiamo considerato infatti è generale e abbiamo visto che sono tantissimi i composti che seguono la regola dell’ottetto ma in realtà ci sono parecchie eccezioni e sono molti i rapporti di combinazione e le osservazioni sperimentali che questa teoria non è in grado di interpretare. 2.3 Le eccezioni alla regola dell’ottetto Ad esempio se consideriamo la combinazione del Berillio (2° Periodo, II Gruppo) con l’Idrogeno, non dovrebbero formarsi legami visto che il Berillio non ha elettroni spaiati da condividere in legami covalenti. Be 1s2 2s2 2p 1 Be*1s2 2s1 2p1 +2 H 1s BeH2 Ma come abbiamo visto l’eccitazione di un elettrone permette la separazione del doppietto di non legame e la possibilità di stabilizzare due atomi di idrogeno con la formazione del composto BeH2 , idruro di berillio, che non segue però la regola dell’ottetto (solo due coppie di legame, in tutto 4 elettroni). Un comportamento simile si ha anche con il Boro (2° Periodo III gruppo) che con il suo elettrone spaiato dovrebbe formare solo un legame con l’Idrogeno, in realtà l’eccitazione di un elettrone anche questa volta permette con la formazione dei rispettivi legami, di stabilizzare tre atomi di idrogeno formando il composto BH3, idruro di boro, che anche in questo caso non segue la regola dell’ottetto (6 elettroni). 13 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno B 1s2 2s2 2p1 B*1s2 2s1 2p1+ 3H 1s1 BH3 Anche per i non metalli del 3° Periodo (Si,P,Cl), la regola dell ottetto non è sempre rispettata perché nello strato di valenza compaiono gli orbitali di tipo d e questi elementi possono utilizzarli per disaccoppiare degli elettroni di non legame che poi impegnano per formare un nuovo legame, sempre con un guadagno energetico finale. I composti del fosforo con il cloro ad esempio sono due, PCl3 (TRIVALENTE) e PCl5 (PENTAVALENTE). Tricloruro di fosforo Pentacloruro di fosforo Nel primo caso il fosforo segue la regola dell’ottetto impegnando otto elettroni, ma nell’altro composto gli elettroni impegnati sono dieci, contraddicendo apparentemente tutto quello che è stato detto finora. In realtà il comportamento del fosforo può essere chiarito se si considera lo schema riportato di seguito, da cui si capisce che nello stato eccitato l’atomo può stabilizzare un numero di atomi di cloro superiore, per cui se la quantità di atomi di cloro è sufficiente, il fosforo diventa pentacovalente. FOSFORO 3s2 3s2 3p2 Stato fondamentale: TRICOVALENTE 3 3p3 3 3s 3p3 3d Stato eccitato: PENTACOVALENTE In questo caso parliamo di ESPANSIONE DELL’OTTETTO nel senso che gli elettroni utilizzati per i legami sono più di otto e generalmente questo comportamento si manifesta quando sono impegnati nel legame elementi non metallici che posseggono orbitali di tipo d. Questo comportamento del Fosforo è comune agli altri elementi che lo seguono nel quindicesimo gruppo (V-A). Consideriamo ora il cloro, abbiamo già visto dalla configurazione di Lewis che ha un solo elettrone spaiato e che quindi ogni suo atomo forma un legame singolo con l‟atomo con cui interagisce, tendendo, per la sua elettronegatività elevata, ad attrarre verso di sé gli elettroni di legame (HCl, KCl, CaCl2,ecc.). Questo però è solo un tipo di comportamento, in realtà in altri casi, ed in particolare con l’ossigeno (l’atomo più elettronegativo dopo il fluoro), la possibilità di formare legami aumenta ed il cloro diventa TRIVALENTE, PENTAVALENTE o al massimo EPTAVALENTE dato che gli elettroni di valenza sono sette. In questo modo a seconda della quantità di reattivo presente, il rapporto di combinazione nelle molecole cambia e la regola dell’ottetto non è rispettata. 14 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno CLORO 3s2 3s322 3 5 3s 3p Stato fondamentale: MONOCOVALENTE 3p3 3 3p33 3 3 3s 3p 3d Disaccoppiamento Completo: EPTACOVALENTE 3p3 3 3p33 3 2 3d 3s 3p Disaccoppiamento Parziale: PENTACOVALENTE 3p5 3 3p55 3 3s 3p 3d 1° Stato eccitato: TRICOVALENTE 2 In genere gli elementi del diciasettesimo gruppo (VII-A) dopo il Cloro possono avere fino a 14 elettroni superficiali. Un altro esempio importante di questo tipo di comportamento si ha nello zolfo, che come gli altri elementi del sedicesimo gruppo (VI-A) che lo seguono può arrivare a 12 elettroni superficiali. ZOLFO 3p3 3s 3 3p33 3d2 3p 3 Disaccoppiamento Completo: ESACOVALENTE 3s2 33s2 3p4 2 3s fondamentale: 3 Stato DICOVALENTE 3p23 3s 3p33 3 3d 3p 3 T 1° Stato eccitato: 1° Stato eccitato: TETRACOVALENTE 1° Stato eccitato: T Ad esempio Lo Zolfo completa l‟ottetto nell’acido solfidrico (bicovalente), mentre arriva a 10 elettroni nell’acido solforoso (tetracovalente) e a 12 elettroni nell’acido solforico (esacovalente). CURIOSITÀ Lo zolfo, in natura, si trova sotto forma di solfati e di solfuri, tuttavia si può presentare anche allo stato elementare, in grandi giacimenti per lo più in zone vulcaniche; si ritiene che derivi dalla reazione tra anidride solforosa e acido solfidrico, presenti nei gas vulcanici: S + H2O SO2+ H2S 3 Abbondanza sulla crosta terrestre Ossigeno: 46,1% Zolfo: 0,05% Lo zolfo, a temperatura ambiente, si presenta come un solido giallo trasparente (se ben cristallizzato), costituito da molecole ad anello, non planari (a corona), contenenti otto atomi (S8), una delle sue forme allotropiche (oltre dieci), 15 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno 2.4 La risonanza In alcune molecole e ioni, il legame non può essere adeguatamente descritto da una singola struttura di Lewis, ad esempio nell’ozono O3, uno stato allotropico dell‟Ossigeno, il legame che si forma con il terzo atomo di ossigeno può essere spiegato solo con un legame dativo . :O .: + .+ :O .: . :O .: . :O .: . :O .: .. O ..: ma sperimentalmente le distanze di legame O-O sono identiche, mentre utilizzando la struttura di Lewis otteniamo un legame semplice ed uno doppio distinti. Per poter spiegare questo fenomeno e continuare ad utilizzare la configurazione di Lewis, si può considerare che dato che gli atomi di ossigeno esterni sono perfettamente identici, il legame dativo possa formarsi in modo indifferente su uno o l’altro dei due atomi. La molecola quindi può essere rappresentata da entrambe le forme di struttura che sono indistinguibili. Questa situazione è comune a molte altre molecole o ioni ed introduce il concetto di RISONANZA. Le due strutture sono equivalenti, nessuna di esse descrive correttamente la molecola O3 dal momento che è stato osservato sperimentalmente che i due legami O-O sono equivalenti ed hanno una lunghezza di legame intermedia fra quelle di un legame singolo e di un legame doppio. La struttura elettronica reale dello ione sarà quindi descritta dalla combinazione delle due strutture possibili, dette forme limite. Si parla di risonanza quando per una molecola (o uno ione) sono possibili più strutture di Lewis ugualmente valide. La combinazione delle forme limite, che si differenziano solamente per la posizione degli elettroni del doppio legame e dei doppietti solitari, è detta IBRIDO DI RISONANZA. 3. La Geometria Molecolare 3.1 Come sono orientati i legami tra di loro? L’ultimo parametro che caratterizza un legame è la sua orientazione che, insieme alla lunghezza, determina l’intera struttura della molecola, che possiede infatti geometrie spaziali ben definite. Queste possono essere determinate sperimentalmente ad esempio utilizzando raggi X, in tal caso si può vedere che molecole con rapporto di combinazione simile, possono avere geometrie totalmente diverse, come ad esempio la CO2 e la H2O. Le strutture di Lewis, in realtà, non danno alcuna indicazione sulla geometria molecolare ma solo su come gli atomi, attraverso i legami, sono connessi fra di loro; tuttavia è possibile assegnare una geometria molecolare ad una molecola di cui è nota la formula di Lewis, facendo uso di un semplice modello chiamato VSEPR, dall'inglese Valence Shell Electron Pair Repulsion. E' un modello concettualmente molto semplice che permette di trarre conclusioni qualitativamente corrette riguardo la geometria, senza spiegare i legami chimici all'interno della molecola. 3.2 Il modello VESPR Come abbiamo accennato il modello VESPR è' basato sull'assunzione che le coppie di valenza di un atomo si dispongano in modo tale da rendere minima la repulsione reciproca, cioè alla massima distanza possibile. Le coppie elettroniche non condivise si comportano come quelle di legame, ma occupano un volume di spazio maggiore rispetto a queste ultime in quanto risentono dell‟attrazione di un solo nucleo, determinando di conseguenza una maggiore repulsione. Nella teoria VSEPR i legami doppi e tripli vengono considerati alla stregua di legami semplici e la geometria di una molecola dipende unicamente dal numero di legami e dalle coppie solitarie che presenta l’atomo centrale (A), la cui somma fornisce il numero sterico (NS) numero sterico (NS) dell’atomo centrale A = numero legami + numero coppie solitarie 16 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Ad ogni valore del numero sterico corrisponde una particolare geometria In generale, ricordando che in una coppia solitaria entrambi gli elettroni sono vicini ad un solo nucleo e quindi tendono ad occupare uno spazio maggiore rispetto ad una coppia di legame i cui elettroni sono condivisi tra due nuclei, possiamo rifarci allo schema successivo per fare delle previsioni generali sull’angolo di legame Coppia non condivisa Coppia non condivisa > Coppia non condivisa Coppia di legame > Coppia di legame Coppia di legame Bisogna sottolineare che la geometria molecolare vera e propria si riferisce alle posizioni degli atomi e non delle coppie solitarie ed è quindi determinata direttamente solo dalla disposizione delle coppie leganti in quanto solo a queste corris ponde un atomo legato all’atomo centrale. Tuttavia la presenza di coppie solitarie altera la disposizione delle coppie leganti e pertanto ne influenza indirettamente la geometria molecolare. 3.3 Le strutture molecolari Se indichiamo con A l’atomo centrale, Xm il numero di atomi legati a quello centrale (quindi il numero di legami presenti nella molecola) e con En il numero i doppietti solitari dell’atomo centrale, si può schematizzare nella formula generale AXmEn la tipologia di struttura della molecola, dato che abbiamo in questo modo evidenziato in modo simbolico, il numero di coppie leganti e non leganti. Le strutture molecolari più semplici sono del tipo AX2 Sono molecole triatomiche, con due soli legami e nessun doppietto solitario sull’atomo centrale, in base alla ipotesi della teoria VESPR risultano lineari , in quanto le due coppie di legame, respingendosi, si dispongono in modo simmetrico alla massima distanza, corrispondente ad un angolo di 180°. Due coppie elettroniche di legame Repulsione minima, disposizione a 180° Molecola lineare NS= 0+2 = 2 - Geometria lineare Come abbiamo detto, i legami possono essere indifferentemente singoli, doppi o tripli. Presentano, ad esempio, geometria lineare l’Idruro di Berillio (BeH2 ), l’Anidride Carbonica (CO2 ) e l’Acido Cianidrico (HCN) H―Be―H -G O=C=O H―C ≡ N 17 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Molecole AX3 e AX2E Entrambe le tipologie presentano NS=3. AX3 Molecole con tre legami e nessun doppietto solitario, in base all’ipotesi della teoria VESPR le coppie di legame, respingendosi, si dispongono alla massima distanza in modo equidistante su di un piano, a 120° l’una dall’altra. Presentano, ad esempio, geometria trigonale planare il cloruro di Boro (BeCl3) e l’aldeide formica (H2CO). AX2E Molecole con struttura AX2E possiedono due legami ed un doppietto solitario, in base alla ipotesi della teoria VESPR le coppie di legame, respingendosi, si dispongono alla massima distanza assumendo una geometria trigonale planare ma con un angolo di legame leggermente inferiore a 120° a causa della maggior repulsione del doppietto solitario sui doppietti di legame. Presenta una geometria di questo tipo l’anidride solforosa, SO2 18 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Molecole AX4, AX3E, AX2E2 Tutte queste tipologie di molecole possiedono un NS= 4. AX4 Molecole con quattro legami e nessun doppietto solitario, in base alla ipotesi della teoria VESPR le coppie di legame, respingendosi, si dispongono alla massima distanza e risultano tetraedriche, con le coppie di legame disposte equidistanti ed angoli di legame di 109,5°. E’ il caso del metano, CH4. AX3E Molecole con tre legami ed un doppietto solitario in base alla ipotesi della teoria VESPR le coppie di legame, respingendosi, si dispongono alla massima distanza assumendo una geometria piramidale di derivazione tetraedrica, con la coppia solitaria ad un vertice del tetraedro che comprime gli angoli di legame, portandoli ad un valore inferiore rispetto a quello caratteristico della geometria tetraedrica. E’ il caso dell’ammoniaca, NH3, la cui molecola piramidale presenta angoli di legame di circa 107°. 19 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno AX2E2 Molecole con due legami e due doppietti solitari in base alla ipotesi della teoria VESPR le coppie di legame, respingendosi, si dispongono alla massima distanza assumendo una geometria angolata di derivazione tetraedrica, con le due coppie solitarie ai due vertici del tetraedro che esercitano una forte repulsione e comprimono l’angolo di legame, portandolo ad un valore inferiore rispetto a quello caratteristico della geometria tetraedrica. E’ il caso dell’acqua (H2O) la cui molecola angolata presenta un angolo di legame di 104,5°. Molecole AX5, AX4E, AX3E2, AX2E3 Tutte queste tipologie di molecole possiedono un NS = 5. Per il nostro grado di approfondimento consideriamo solo la prima. AX5 Molecole con cinque legami e nessun doppietto solitario, in base alla ipotesi della teoria VESPR le coppie di legame, respingendosi, si dispongono alla massima distanza assumendo una configurazione bipiramidali trigonali, con tre legami che si dispongono su di un piano (legami equatoriali) a 120° l’uno dall’altro e gli altri due legami (legami assiali) disposti perpendicolarmente, uno sopra e l’altro sotto al piano equatoriale, a formare due piramidi a base triangolare unite per la base. Sono molecole in cui si verifica l’espansione dell’ottetto. E’ il caso del Pentacloruro di Fosforo, PCl5 20 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Molecole AX6, AX5E, AX4E2, AX3E3, AX2E4 Tutte queste tipologie di molecole possiedono un NS=6. Per il nostro grado di approfondimento consideriamo solo la prima. AX6 Molecole con sei legami e nessun doppietto solitario, in base alla ipotesi della teoria VESPR le coppie di legame, respingendosi, si dispongono alla massima distanza assumendo una configurazione con quattro legami equatoriali distanziati di 90° e due legami assiali, anch’essi a 90°, per cui la configurazione risulta ottaedrica. 21 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Presenta questa geometria l’Esafluoruro di Zolfo SF6. 4. La struttura elettronica delle molecole Abbiamo Abbiamo finora trattato l’argomento legame in modo da soffermare la nostra attenzione sugli elettroni, proviamo adesso a cambiare la nostra prospettiva e a considerare la struttura elettronica di una molecola in modo concettualmente analogo a quello della struttura elettronica di un atomo. Come ben ti ricorderai è stato possibile individuare la zona dello spazio in cui si ha la massima probabilità di trovare l’elettrone (orbitale atomico) risolvendo l‘equazione di Scrödinger, in questo caso il problema è più difficile perché si introducono molte più variabili e l’equazione può essere risolta solo in modo approssimato ma comunque il risultato dell’equazione permette di individuare la zona dello spazio in cui si ha la massima probabilità di trovare gli elettroni del legame. Le tipologie di approssimazione sono due Sono approcci differenti allo stesso problema, noi svilupperemo solo il primo, più intuitivo, considerandone gli aspetti generali senza entrare nella trattazione matematica. 4.1 Teoria del legame di valenza (V. B.) La teoria del legame di valenza (Valence Bond Theory) fu proposta nel 1927 da W. Heitler e F. London e successivamente ampliata e sviluppata da L. Pauling con l’introduzione dei concetti di risonanza (1928) e di ibridazione orbitalica (1930). La teoria è la traduzione, nel linguaggio della meccanica ondulatoria, del concetto di condivisione di elettroni: 22 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Il nuovo orbitale appartiene ad entrambi gli atomi legati, ospitando i due elettroni con spin antiparallelo e sarà tanto più forte quanto maggiore è la sovrapposizione degli orbitali atomici, (cioè degli spazi in cui si ha la massima probabilità di trovare gli elettroni che stanno interagendo). Per riuscire ad intuire meglio questo concetto puoi riferirti a ciò che succede quando due stazioni radio emettono su frequenze che danno origine a interferenza, in seguito alla sovrapposizione delle onde radio emesse; da un punto di vista matematico le funzioni d’onda (ΨA e ΨB) dei due orbitali si sommano per dare una nuova funzione d’onda che descrive un nuovo orbitale (ΨA + ΨB), appartenente alla molecola. Dal punto di vista qualitativo la Teoria del Legame di Valenza, per la sua applicazione, prevede: Che la differenza di elettronegatività dei 2 atomi non sia maggiore di 2 (altrimenti il legame assume carattere prevalentemente ionico). Che ognuno dei due atomi debba contribuire alla formazione del legame con un suo orbitale atomico Che le energie dei due orbitali coinvolti non debbano essere troppo diverse tra loro. Che si utilizzino solo orbitali atomici contenenti elettroni spaiati, trascurando gli altri Che gli atomi formino un numero di legami pari al numero di elettroni disaccoppiati nel loro livello energetico più esterno, questo indipendentemente dal raggiungimento dell’ottetto. Che gli atomi debbano congiungersi lungo una direzione che permetta la massima sovrapposizione degli orbitali. Che la sovrapposizione degli orbitali, quando possibile, debba avvenire lungo l’asse internucleare, dove gli elettroni subiscono l’attrazione contemporanea di entrambi i nuclei, in tal modo si formano legami particolarmente forti chiamati legami σ. L’elevata densità elettronica nella zona internucleare agisce da “collante” fra i due atomi, rendendo minime le repulsioni internucleari ed interelettroniche e massima l’attrazione elettrone- nucleo. 23 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Tale tipo di sovrapposizione, detta testa a testa, è possibile tra due orbitali di tipo s o uno di tipo s e uno di tipo px o ancora tra due orbitali di tipo px (se con l’asse x indichiamo l’asse internucleare). L’energia dei legami corrispondenti è direttamente proporzionale alla densità elettronica internucleare, per cui l‘ordine di stabilità crescente è Quando gli orbitali non hanno la simmetria corretta per dare origine ad una sovrapposizione testa a testa è possibile una sovrapposizione laterale, questo accade con gli orbitali di tipo p che hanno direzioni parallele tra loro e perpendicolari all’asse internucleare. Alla distanza di legame, gli elettroni dei due atomi non sono più distinguibili ed occupano prevalentemente lo spazio sopra e sotto la congiungente dei due nuclei formando un legame chiamato π. Questo orbitale presenta quindi due calotte simmetriche, che rappresentano lo spazio in cui si ha la massima probabilità di trovare gli elettroni di legame, mentre nel piano compreso tra queste due zone (piano nodale), che contiene l’asse internucleare e quindi i due nuclei, c’è una probabilità nulla di trovare gli elettroni di legame (pensa ad un panino con una fetta di formaggio). La minore sovrapposizione degli orbitali e l’impossibilità per gli elettroni in questo tipo di orbitale di trovarsi nella zona internucleare, per diminuire le repulsioni nucleo–nucleo, rendono il legame π meno forte di quello σ. Cambiando la direzione dei due orbitali p (naturalmente sempre paralleli tra loro), cambia di conseguenza anche la direzione del legame π e del piano nodale. 24 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Quando gli atomi della molecola che si è formata posseggono più elettroni spaiati in diversi orbitai p, solo una coppia di orbitali p può generare un legame σ lungo la congiungente i due nuclei mentre gli altri genereranno uno o, al massimo, due legami π costituiti da due nuvole elettroniche disposte simmetricamente (sopra e sotto) rispetto al legame σ. Nel primo caso avremo un legame doppio e nel secondo un legame triplo, il legame σ avrà la direzione dell’asse internucleare mentre il o i legami π, saranno perpendicolari all’asse internucleare e fra di loro. Sintentizzando possiamo dire che in una molecola Un esempio tipico è fornito dalla molecola biatomica dell’azoto N2, in cui ogni atomo di N ha una configurazione 1s2 2s22p3 ed il cui ordine di legame, come abbiamo visto, è 3. 25 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno I due atomi di Azoto sovrappongono le tre coppie di orbitali p formando un legame covalente triplo, gli orbitali px si compenetrano lungo la congiungente i due nuclei, formando un legame di tipo σ, mentre gli altri orbitali p si sovrappongono lateralmente dando origine a due legami π che presentano un massimo di densità elettronica sopra e sotto l’asse internucleare. 4.2 L’ibridizzazione degli orbitali L’applicazione della teoria del legame di valenza non è però in grado di spiegare le caratteristiche geometriche di molte molecole tra cui due particolarmente importanti, il metano e l’acqua. Nel primo, abbiamo visto che la capacità del Carbonio di formare quattro legami invece di due, come farebbe pensare la configurazione atomica fondamentale, è la conseguenza della promozione di un elettrone in un orbitale p. Ma questo non riesce a spiegare la simmetria della molecola ed il fatto che i quattro legami siano tutti identici per lunghezza, orientamento e forza. Nell’acqua il criterio della massima sovrapposizione degli orbitali prevedrebbe un angolo di 90°, che non è rispettata nella geometria della molecola in cui, come abbiamo visto qualitativamente, applicando la teoria VESPR, l’angolo di legame è di 104,5°. L. Pauling per poter spiegare questa realtà sperimentale, ampliò la teoria del legame di valenza ipotizzando la possibilità che gli atomi per formare molecole più stabili potessero utilizzare, oltre che gli orbitali atomici noti s,p,d, anche una loro ricombinazione, i cosiddetti orbitali ibridi. Questo processo, detto ibridazione, è un procedimento di combinazione matematica delle funzioni d’onda originarie, che comporta la formazione di nuove funzioni d’onda che permettono di individuare nuove zone dello spazio in cui si ha la massima probabilità di trovare gli elettroni, cioè degli orbitali che hanno caratteristiche (energia, forma, dimensioni, direzioni) intermedie rispetto agli orbitali originari. L’ibridazione interessa orbitali esterni (di valenza) con contenuto energetico non molto diverso. Per ogni combinazione, gli orbitali ibridi che si formano sono tutti di uguale forma ed energia e sono orientati in modo da interferire il meno possibile fra di loro, in questo modo consentono agli atomi di formare legami più forti e più stabili di quanto non possa essere fatto dagli orbitali atomici semplici da cui originano. Gli orbitali ibridi più importanti sono quelli che si formano dalla combinazione di un orbitale s con uno o più orbitali p, Il numero degli orbitali ibridi che si formano coincide con quello degli orbitali atomici semplici uitlizzati per l’ibridazione. Naturalmente, utilizzando sempre lo stesso tipo di orbitali atomici, il risultato della combinazione cambia se cambia il numero di orbitali atomici utilizzato. Consideriamo quindi le possibili combinazioni numeriche tra questi due tipi di orbitali. Dalla combinazione di tre orbitali di tipo p ed uno di tipo s per quanto detto finora si formeranno quattro nuovi orbitali con caratteristiche intermedie rispetto agli orbitali di partenza. 26 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Tali orbitali sono detti orbitali ibridi sp3 e possiedono 1/4 di carattere s e 3/4 di carattere p, (25% s, 75% p) dal momento che sono ottenuti dalla combinazione di un orbitale 2s e tre orbitali 2p. Gli orbitali ibridi sp3 sono diretti verso i vertici di un tetraedro e, secondo la teoria del Valence Bond, possono sovrapporsi con gli orbitali atomici semplici, o anche ibridati, dell’atomo con cui interagisce per formare altrettanti legami. E’ quello che accade nella molecola del METANO, in cui si formano quattro legami σ perfettamente identici che sono il risultato della sovrapposizione dei quattro orbitali ibridi sp3 del carbonio con i quattro orbitai s dei quattro atomi di idrogeno, confermando le osservazioni sperimentali. Dalla combinazione di due orbitali di tipo p ed uno di tipo s invece si formeranno tre nuovi orbitali che, avendo un diverso rapporto numerico di combinazione e quindi una minore influenza della tipologia di orbitale p sul risultato finale, risulteranno più corti rispetto agli orbitali sp3. 27 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Tali orbitali sono detti orbitali ibridi sp2 e possiedono 1/3 di carattere s e 2/3 di carattere p, dal momento che sono ottenuti dalla combinazione di un orbitale 2s e due orbitali 2p. Gli orbitali ibridi sp2 sono diretti verso i vertici di un triangolo equilatero e possono sovrapporsi con gli orbitali degli atomi con cui c’è interazione per formare altrettanti legami σ posti a 120° fra loro. Infine considerando l’unione di un orbitale p ed uno s si ottiene un orbitale ibrido che, per l’ulteriore diminuzione dell’influenza dell’orbitale nel rapporto di combinazione, risulta essere meno allungato rispetto ai precedenti. 28 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Tali orbitali sono detti orbitali ibridi sp e possiedono 1/2 di carattere s e 1/2 di carattere p, dal momento che sono ottenuti dalla combinazione di 1 orbitale 2s e 1 orbitale 2p. Gli orbitali ibridi sp hanno la stessa direzione ma verso opposto e possono sovrapporsi con gli orbitali degli atomi con cui c’è interazione per formare altrettanti legami σ posti a 180° fra loro. Nel caso della formazione degli orbitali ibridi sp2 ed sp, non tutti gli elettroni contenuti negli orbitali atomici p sono utilizzati nel processo di ibridizzazione, per cui è possibile che l’elettrone spaiato contenuto nell’orbitale p atomico rimasto tal quale, possa formare altri legami questa volta di tipo π, in seguito alla “sovrapposizione parallela” con orbitali p di altri atomi presenti nella molecola. In alcuni casi lo stesso atomo può utilizzare diversi tipi di orbitali ibridi a secondo del tipo di atomo con cui è legato o in base al diverso tipo di rapporto di combinazione esistente nella molecola; naturalmente sarà utilizzata la situazione che porterà allo stato energetico più stabile e tutto ciò influirà sulla geometria molecolare, determinata essenzialmente dalla direzione degli orbitali ibridi e dei conseguenti legami. 29 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Quando gli atomi coinvolti nei legami contengono un numero elevato di elettroni è possibile che la configurazione elettronica presenti qualche elettrone spaiato negli orbitali di tipo d o che in seguito a delle promozioni energetiche, degli elettroni possano passare da orbitali p ad orbitali d. Per questo tipo di atomi quindi, sono ipotizzabili ibridazioni più complesse che coinvolgono anche quest’ultima tipologia di orbitali e che permettono di spiegare, con migliore rigore matematico, l’“’espansione dell’ottetto” della teoria di Lewis e le geometrie molecolari che abbiamo studiato con la teoria VSEPR. 30 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno 31 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Nella tabella che segue sono elencate le varie strutture molecolari. Riassumendo 0 Geometrie VSEPR Coppie solitarie 1 2 3 4 NS=2 lineare NS=3 Trigonale planare Angolata Tetraedrica Piramidale trigonale Angolata Bipiramidale trigonale Altalena o cavalletto (Seesaw o sawhorse) a forma di T Lineare Ottaedrica Piramidale quadrata Planare quadrata a forma di T NS=4 NS=5 NS=6 32 Lineare Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno 5. I legami secondari 5.1 La polarità delle molecole Abbiamo già definito il momento polare associato ad un legame chimico e abbiamo visto come questo influisca sulle sue caratteristiche di reattività e sulla sua “forza”, adesso allarghiamo il concetto di polarità passando dal singolo legame all’intera molecola. E’ chiaro che in questo caso diventa importantissimo lo studio fatto sulla geometria molecolare, perché l'orientazione dei singoli legami ed in generale la struttura della molecola, influirà sul momento dipolare totale che, come tutti i vettori, sarà il risultato della somma vettoriale dei singoli vettori. Consideriamo il caso emblematico della molecola di CF4 , singolarmente il legame C-F possiede un momento dipolare abbastanza alto per la differenza di elettronegatività tra i due atomi e la lunghezza ridotta del legame, ma se consideriamo il contributo di tutti e i quattro legami le cose cambiano. La struttura di questa molecola presenta infatti quattro legami perfettamente identici orientati secondo di vertici i un tetraedro, la perfetta simmetria della struttura determina come conseguenza che la somma vettoriale dei dipoli associati ad i singoli legami si annulli. Nonostante la forte polarità del legame C-F, la molecola nel suo insieme è APOLARE. La stessa situazione di simmetria, anche se questa volta lineare, si ritrova nella molecola della CO2 in cui i doppi legami C-O possiedono due momenti dipolari esattamente uguali in modulo e direzione ma con verso opposto, il risultato è l’annullamento del dipolo totale. Riassumendo Polarità Molecola Polarità LEGAME STRUTTURA MOLECOLARE Naturalmente esistono tantissime molecole in cui la simmetria non annulla la polarità come l’ammoniaca, il cui momento dipolare è μ =4,9 ·10-30 C·m, o l’anidride solforosa il cui momento dipolare è μ = 5,3 · 10-30 C·m. In questo caso la molecola possiede (o è) un DIPOLO PERMANENTE. Tra tutte le sostanze assume una particolare importanza la molecola dell’acqua, in cui l’elevata polarità del legame e la struttura angolare planare determinano un valore di μ = 6,2 · 10-30 C·m. Data l’enorme diffusione di questa molecola sul pianeta e la sua importanza a livello biochimico, questa caratteristica dell’acqua comporta delle enormi e vitali conseguenze. 4.2 Cosa unisce le molecole tra loro Fino ad ora abbiamo parlato di legami che si formano tra atomi all’interno delle molecole, ma per completare l’argomento dobbiamo accennare al fatto che in realtà esistono anche delle forze intermolecolari, cioè dei legami che si vengono a formare TRA le molecole e per questo motivo sono anche indicate come forze molecolari o di coesione. Sono essenzialmente interazioni di tipo elettrostatico e, anche se molto più deboli di quelle che esistono tra gli ioni di carica opposta, sono responsabili di importanti caratteristiche fisiche che Legame primario contraddistinguono le sostanze, come l’esistenza degli stati di aggregazione, la capacità di passare in soluzione, la possibilità per le MACROMOLECOLE di formare delle strutture tridimensionali molto complesse come ad esempio il DNA. Alcune di queste interazioni sono il risultato dell‟esistenza di DIPOLI, altre sono dovute solamente alla natura elettrica degli elettroni, tutti questi tipi di legame sono Legame secondario 33 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno comunque molto più deboli dei quelli interni alla molecola e la loro intensità iminuisce molto velocemente con la distanza. IONE-DIPOLO LEGAMI SECONDARI DIPOLO-DIPOLO 5.3 Interazioni ione dipolo Se le due molecole che interagiscono sono di natura diversa ed una delle due possiede dei legami di natura ionica, allora il polo negativo del legame polare sarà attratto dalla carica positiva ------- δ + dello ione o viceversa. Questo tipo di interazione è detta ione-dipolo e si verifica quando le δ+ molecole polari sono in quantità molto superiore a quelle ioniche, come succede quando un soluto ionico, quale un sale, viene disperso da un solvente polare come l‟acqua. In questo modo il reticolo cristallino “collassa” ed il sale passa in soluzione; gli ioni di carica opposta vengono circondati, isolati e quindi dispersi in un processo che si indica in generale con il termine di solvatazione o idratazione se il solvente è l’acqua. Lo ione in soluzione acquosa quindi è idratato ed è grazie a questo tipo di interazione che un sale ionico può passare facilmente dallo stato solido a quello di soluzione. 5.4 Interazioni dipolo dipolo Dipolo Permanente Dipolo Permanente Legame Idrogeno Dipolo Permanente Dipolo Indotto Interazioni Dipolo - Dipolo Dipolo Istantaneo Dipolo Indotto Quando un dipolo permanente incontra un altro dipolo permanente, la sua estremità positiva è attratta dalla estremità negativa dell’altra molecola. In questo caso si parla di interazioni dipolo-dipolo che influenzano l’evaporazione dei liquidi (e la condensazione dei gas). Naturalmente, maggiore è la polarità della molecola, maggiore sarà la forza di attrazione tra le molecole e maggiore è l’energia che deve essere fornita loro per separarle e questo influisce direttamente sulle temperature di ebollizione Un tipo particolare di legame dipolo-dipolo è il cosiddetto legame idrogeno che si manifesta tra molecole in cui è presente un atomo di H legato a N, O oppure F, tre atomi piccoli, con doppietti di non legame e tra i più elettronegativi della tavola periodica. E’ un’interazione dipolo – dipolo particolarmente forte, che si viene a creare tra l’idrogeno ed un doppietto di non legame del non metallo, conseguente alla grande differenza di elettronegatività tra gli atomi impegnati nel legame covalente, fortemente polare. δ+ H-Fδ- --- δ+H-Fδ Un esempio molto importante di questo tipo di legame, è quello che si verifica nell’acqua, il cui momento dipolare è alto dato che l’atomo di idrogeno ha quasi ceduto completamente la propria coppia di legame e viene attratto dal doppietto di non legame dell’ossigeno, formando un legame che si distingue da quello covalente, interno alla molecola di acqua, per la sua lunghezza e quindi la sua forza. La presenza di questo tipo di legame intermolecolare così forte, è la causa di molte proprietà fisiche caratteristiche 34 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno dell’acqua come ad esempio l’elevato punto di ebollizione e la struttura poco compatta del suo stato solido che, al contrario della maggior parte delle altre sostanze, presenta un volume maggiore rispetto allo stato liquido. CURIOSITÀ Una delle manifestazioni più interessanti del legame a idrogeno è la struttura del ghiaccio. Al di sopra dei 2 kbar esistono parecchie fasi diverse del ghiaccio, ma a bassa pressione l’acqua cristallizza fornendo celle elementari esagonali, in cui ciascun atomo di O è attorniato tetraedricamente da quattro altri, tenuti insieme da legami a idrogeno; la struttura risultante è aperta e spiega perchè la densità del ghiaccio è minore di quella dell'acqua allo stato liquido (d Ih = 0.92, il ghiaccio ad alta pressione ha invece densità superiore). Quando il ghiaccio fonde, il reticolo dei legami a idrogeno si dissolve parzialmente (circa 1 su 4 legami). La forma più comune di precipitazione gelata è il fiocco di neve, una struttura composita formata da molti minuti cristalli esagonali congelati insieme. La brina è un tipo di ghiaccio che si forma per passaggio diretto dallo stato aeriforme a quello solido del vapore presente nell'aria a contatto con oggetti freddi, contiene un'alta porzione di aria intrappolata, che la fa apparire bianca invece che trasparente e le conferisce una densità che è circa un quarto di quella del ghiaccio puro. La galaverna si forma invece per il congelamento delle gocce d'acqua contenute nella nebbia sulle superfici, quando la temperatura è inferiore a 0°. Come nel ghiaccio si forma un reticolo a legami idrogeno, così aggregati di molecole d’acqua (H2O)n possono formare strutture contenenti cavità che possono ospitare altre molecolee. L’idrato (o clatrato) di metano. La molecola di metano è in rosso. Me tanodotto in zone a clima freddo. Idrato di metano che brucia. Ad esempio, quando una molecola non polare,come un idrocarburo, è posta in acqua, alcuni dei legami idrogeno tra le molecole di acqua debbono rompersi per formare legami con le molecole di soluto. Nuovi legami idrogeno si formano che possono compensare, parzialmente o totalmente, i legami idrogeno distrutti. Ciascuna molecola di soluto viene intrappolata in una struttura a gabbia, tipo ghiaccio, rigida e ordinata per l’organizzazione delle molecole di acqua. Tale struttura, chiamata "gabbia a clatrato", consiste di un numero ben definito di molecole d’acqua tenute insieme da legami idrogeno. L’idrato di metano assomiglia ad un cubo di ghiaccio, ma si comporta molto diversamente, è anche noto come "ghiaccio che brucia", perché brucia se si avvicina una fiamma. Le maggiori quantità di idrati di metano si trovano sui fondali oceanici, dove sono stabili ad una profondità maggiore di 300 metri. I batteri nei sedimenti sul fondo degli oceani consumano materiale organico e generano metano e in condizioni di alta pressione e bassa temperatura, cioè ad elevata profondità, si forma l’idrato (o clatrato) di metano. Si stima che le riserve di idrato di metano sui fondali degli oceani contengano circa diecimila miliardi di tonnellate di carbonio, circa il doppio di quello contenuto in tutti i giacimenti di carbone, petrolio e gas naturale sulla Terra. Gli idrati di metano, quindi, costituiscono un’eccezionale riserva di gas metano, e potrebbero essere sfruttati come combustibile. 35 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno L’interazione dipolo dipolo oltre che tra molecole polari può determinarsi anche tra molecole polari e molecole apolari, è quello che succede ad esempio tra l’O2 e l’acqua ed è dovuto alla formazione di un cosiddetto dipolo indotto. La molecola polare dell’acqua avvicinandosi all’ossigeno determina infatti una distorsione della distribuzione elettronica del legame, determinando una separazione delle cariche, in questo modo è possibile spiegare la solubilità di gas apolari nell‟acqua. Anche le sostanze apolari come l'idrogeno o il neon al diminuire della temperatura diventano liquide e poi Dipolo Molecola Dipolo Dipolo Permanente Apolare Permanente Indotto solide sebbene il loro momento dipolare sia nullo. In effetti in queste molecole gli elettroni sono distribuiti mediamente in modo uniforme ma comunque si muovono, e quindi anche il centro delle cariche negative si muove, creando dei dipoli istantanei, che invertono continuamente la loro polarità ma che determinano l’instaurarsi di deboli interazioni elettrostatiche deformando conseguentemente altre “nuvole elettroniche”. Queste interazioni sono dette forze di London (o forze di dispersione), ed esistono per tutte le molecole, ma per molecole apolari sono le uniche interazioni possibili. MOLECOLE APOLARI DIPOLI ISTANTANEI INTERAZIONI (FORZE DI LONDON) CURIOSITÀ I gas si possono disciogliere in acqua perchè vengono continuamente scambiati tra l’atmosfera e l’acqua e questo passaggio è favorito dalle onde, soprattutto quando si infrangono spumeggiando. E’ questo il motivo per cui, sebbene la solubilità de i gas nell’acqua aumenti con la pressione, il contenuto di ossigeno diminuisce notevolmente con la profondità dato che non c’è più scambio con l’atmosfera. La solubilità dei gas diminuisce invece con l’aumentare della temperatura , perchè l‟energia fornita con il calore è sufficiente a rompere le deboli interazioni dipolo dipolo che uniscono i gas allacqua. L’ossigeno è uno degli elementi fondamentali della vita, anche di quella acquatica, in acqua però ha una diffusione estremamente lenta ed il suo trasporto in profondità è legato soprattutto alle correnti. Nelle acque superficiali si trovano disciolti in media 8 mg/l di ossigeno. L’anidride carbonica, ha un’elevata solubilità in acqua e in mare raggiunge una concentrazione media di 10 mg/l, questo valore aumenta con la respirazione mentre diminuisce con i processi fotosintetici, è importantissima poiché permette la formazione del carbonato di calcio, indispensabile per la formazione di gran parte delle strutture scheletriche degli organismi marini e dei gusci calcarei delle conchiglie (ciclo del carbonio), inoltre mantie ne costante il tasso di acidità nell’ecos istema. In acqua, l’azoto (N2) che deriva dall’atmosfera, può essere fissato da alcuni organismi come ad esempio le alghe azzurre (Cianoficee) che sono in grado di trasformare l’azoto molecolare in ammoniaca (NH3) attraverso un processo che costituisce il punto di partenza per la sintesi dei composti azotati. 6. Sommario delle forze di interazione fra gli atomi I legami studiati forniscono un quadro abbastanza completo della tipologia di interazioni esistenti tra gli atomi e sono di fondamentale importanza perché definiscono di conseguenza il comportamento fisico e chimico delle MOLECOLE. Abbiamo già considerato alcune delle conseguenze della natura dei legami intermolecolari ma ce ne sono tantissime che determinano conseguenze essenziali non solo per la chimica ma anche nel campo della biologia, della geologia, della medicina, della fisica e di tutte le altre scienze che si basano sul comportamento della materia, sia essa di natura inorganica che organica. Nel campo più prettamente chimico la possibilità di formazione di LEGAMI INTERMOLECOLARI definirà ad esempio la 36 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno distinzione tra sostanze solubili e non solubili in un determinato solvente o la possibilità a pressione ambiente, di esistenza nella forma solida, liquida o gassosa di alcune sostanze come lo iodio. Dal punto di vista chimico la possibilità di comportamento acido o basico o di inerzia è naturalmente legata al tipo di LEGAMI INTRAMOLECOLARI ed alla possibilità di formare legami intermolecolari per cui è possibile che il comportamento chimico oltre che da sostanza a sostanza, per una stessa sostanza cambi a seconda del tipo di solvente utilizzato. Lo schema successivo, se pur in forma qualitativa, ha lo scopo di illustrare tutte le tipologie di interazioni esistenti e la scala di forza del legame associata, completando quindi il percorso iniziato con questo capitolo. 37 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno 38 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno MODULO 2 LE SOLUZIONI • Introduzione • Diluizione delle soluzioni • Concentrazione delle soluzioni • Stechiometria delle reazioni in soluzione acquosa • Trasformazione da un’unità di concentrazione ad un’altra • Esercizi 1. Introduzione Per definizione, una soluzione è una miscela omogenea di due o più sostanze, ossia un sistema costituito da UNA sola fase, che presenta proprietà chimico-fisiche costanti in ogni punto. In generale, il solvente è il componente presente in maggiore quantità, mentre i soluti sono tutti gli altri componenti (per parlare di soluzione ci deve essere almeno 1 soluto). • il solvente, è il componente “che scioglie” • il soluto, è il componente “che si scioglie” SOLUZIONE = SOLUTO + SOLVENTE Una soluzione si può presentare in uno qualsiasi dei 3 stati di aggregazione: ci sono le soluzioni gassose, come nel caso di tutte le miscele gassose, prima tra tutte l‟aria che respiriamo ci sono le soluzioni solide, come ad esempio alcune leghe metalliche; acciaio = ferro + carbonio bronzo = rame + stagno ci sono infine le soluzioni liquide, che sono le più comuni. Ci occuperemo solo delle soluzioni liquide, ossia di quei sistemi omogenei in cui uno o più soluti (che possono essere gassosi, liquidi o solidi allo stato puro) vengono disciolti in un solvente liquido. I meccanismi di dissoluzione dipendono dalla natura del soluto e del solvente. Nel caso di solvente polare e solido ionico la solubilizzazione porta alla distruzione dell’edificio cristallino che costituisce il solido ionico con formazione di ioni che sono stabilizzati in soluzione dal solvente stesso (solvatazione). Nel caso di solvente polare e composti molecolari polari la dissoluzione avviene a causa della formazione di legami dipolo-dipolo tra solvente e soluto. E’ anche abbastanza frequente il caso in cui il soluto si “scioglie” attraverso una vera e propria reazione con il solvente che generalmente porta alla formazione di ioni. Se invece il soluto è una molecola apolare questa potrà essere opportunamente disciolta in un solvente apolare. In ogni caso: “il simile scioglie il simile”. E’ questa la regola generale per prevedere se un soluto è solubile in un solvente. Certo è che la quantità di soluto che può solubilizzarsi in un solvente dipende da vari fattori come la costante dielettrica del solvente (maggiore è il suo valore maggiore sarà la quantità di soluto ionico o polare che è possibile sciogliere in esso) o la temperatura. In ogni caso, per ogni temperatura, possiamo conoscere, perlomeno sperimentalmente, la quantità massima di soluto che può essere disciolto in un solvente che chiamiamo solubilità. Quando in una soluzione è presente la quantità massima solubile di soluto, la soluzione si definisce satura: oltre tale limite la soluzione non è capace di sciogliere altro soluto, e questo resta sul fondo del recipiente costituendo il cosiddetto corpo di fondo e il sistema diventa un miscuglio eterogeneo. La solubilità è la massima quantità di soluto che può essere sciolta in una quantità fissata di solvente ad una certa temperatura. 39 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno 2. Concentrazione Delle Soluzioni Ora cercheremo di capire come si esprime la composizione di una soluzione liquida. Quando dobbiamo studiare una soluzione, abbiamo bisogno fondamentalmente di 2 informazioni su di essa: • da un lato ci serve la composizione qualitativa della soluzione, ossia ci serve sapere QUALI componenti sono presenti; • dall’altro lato, ci serve la composizione quantitativa della soluzione, ossia dobbiamo conoscere la QUANTITA‟ o “concentrazione” di ciascun componente nella soluzione. Proprio sulla concentrazione vogliamo soffermarci e in particolare, vogliamo far vedere le diverse unità di misura in cui essa può essere espressa. Possiamo differenziare queste unità di misura in: • unità fisiche di concentrazione (percentuale in peso, percentuale in volume, rapporto massa/volume) • unità chimiche di concentrazione (frazione molare, molarità, molalità, normalità). Va precisato che ci sono altri modi per esprimere la concentrazione delle soluzioni, ma qui esamineremo quelli di uso più frequente. 2.1 Percentuale in peso: rappresenta il rapporto tra il peso (o la massa) di un soluto presente in una quantità in peso (o in massa) definita di soluzione moltiplicato per cento: peso soluto Percentuale in peso = massa soluto x 100 = peso soluzione x100 massa soluzione 2.2 Percentuale in volume: rappresenta il rapporto tra il volume di un soluto presente in un certo volume di soluzione moltiplicato per cento: volume soluto Percentuale in volume = x 100 volume soluzione 2.3 Rapporto massa/volume: rappresenta il rapporto tra la massa di un soluto presente in un certo volume di soluzione: massa soluto Rapporto massa / volume = x 100 volume soluzione Esercizio svolto n° 1 Determinare la concentrazione di una soluzione costituita da 15 g di cloruro di sodio in 327 g di acqua espressa come percentuale in peso. Soluzione Poiché la percentuale in peso è il rapporto tra massa del soluto e massa della soluzione e la nostra soluzione è costituita da cloruro di sodio e acqua la massa complessiva della soluzione sarà: massa soluzione = 15 (g) + 327 (g) = 342 (g) La percentuale in peso sarà dunque: 15 (g) Percentuale in peso = x 100 = 4,4% 342 (g) Esercizio svolto n° 2 Determinare la massa di soluto in 125 g di una soluzione al 31 % in peso. Soluzione Per la soluzione dell’esercizio basta calcolare direttamente la percentuale sui 125 g di soluzione: 125 (g) x 31 massa soluto = = 38,75 (g) 100 40 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Esercizio svolto n° 3 Calcolare le quantità di KBr e di acqua da pesare necessarie per preparare 340 g di una soluzione al 7% in peso. Soluzione Poiché la soluzione è al 7% la quantità in peso di soluto da pesare sarà: 340 (g) x 7 massa soluto = = 23,8 (g) 100 La quantità di solvente da pesare sarà quindi uguale alla differenza tra la massa della soluzione e quella del soluto: massa H2O = massa soluzione - massa KBr = 340 (g) 23,8 (g) 316,2 (g) Esercizio svolto n° 4 Calcolare i volumi di alcol etilico e di acqua necessari per preparare 500 ml di una soluzione al 30% in volume. Soluzione Calcoliamo intanto il volume di alcol che bisogna prelevare: 500 ml x 30 volume di alcol etilico = = 150 ml 100 In laboratorio come si procede in questi casi? Intanto c’è da fare una puntualizzazione. I volumi dei liquidi, in generale, non sono additivi diversamente da quanto succede per le masse. Questo vuol dire che se andiamo a miscelare 50 ml di un liquido A con 50 ml di un liquido B non è detto che si ottengano 100 ml di soluzione finale ma il volume complessivo potrebbe essere inferiore o superiore a 100 ml. Quindi in un matraccio da 500 ml si introducono i 150 ml di alcole e poi si porta a volume con acqua (non interessandoci al volume utilizzato) , solo in questo modo siamo sicuri di aver preparato 500 ml di una soluzione di alcole in acqua al 30%. Esercizio svolto n° 5 Calcolare la massa di NaCl presente in 30 ml di una soluzione a concentrazione 25 mg/L. Soluzione Per risolvere l‟esercizio è opportuno impostare una proporzione: 25 (mg) :1000 (ml) = X (mg) : 30 (ml) 25 (mg) x 30 (ml) da cui: X= 1000 (ml) Esercizio svolto n° 6 Indicare come possono essere preparati 350 ml di una soluzione contenente 60 mg/L di glucosio. Soluzione La massa di glucosio da solubilizzare in 350 ml di soluzione può essere ricavata impostando una semplice proporzione: 60 (mg) :1000 (ml) = X (mg) : 350 (ml) 60 (mg) x 350 (ml) da cui: X= = 21 (mg) 1000 (ml) Per preparare correttamente la soluzione bisogna prima solubilizzare il glucosio in una certa quantità di acqua (chiaramente inferiore a 350 ml) e poi portare la soluzione ottenuta al volume di 350 ml sempre con acqua. 41 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno 2.4 Frazione molare: si indica con χ e rappresenta il rapporto tra il numero di moli di un componente la soluzione e la somma del numero di moli di tutti i componenti: ni χi = Σni i dove χi rappresenta la frazione molare del componente iesimo, ni il numero di moli dello stesso componente e Σ ni la somma del numero di moli di tutti i componenti la soluzione. La frazione molare risulta chiaramente un numero compreso tra 0 e 1 e la somma delle frazioni molari di tutti i componenti è sempre uguale a 1. 2.5 Molarità o concentrazione molare: si indica con M e rappresenta il rapporto tra il numero di moli di soluto presenti in un litro di soluzione: moli soluto (mol) M= V soluzione (L) 2.6 Molalità o concentrazione molale: si indica con m e rappresenta il rapporto tra il numero di moli di soluto presenti in un kg di solvente: moli soluto (mol) m= massa solvente (kg) 2.7 Normalità o concentrazione normale: rappresenta il rapporto tra il numero di equivalenti di soluto presenti in un litro di soluzione: equivalenti soluto (eq) N= V soluzione (L) E’ importante far rilevare subito che la molarità e la normalità di una soluzione sono riferite al volume della soluzione mentre la molalità è riferita alla massa del solo solvente. Per quanto riguarda la normalità, inoltre, compare una nuova grandezza che è il numero di equivalenti. Il numero di equivalenti dipende dal soluto considerato e può variare, per la stessa sostanza, dipendentemente dalla reazione nella quale il soluto è coinvolto. Esercizio svolto n° 7 Calcolare la frazione molare di una soluzione costituita da 1,7 moli di NaCl, 0,4 moli di KOH in 750 g di H2O. Soluzione Bisogna subito convertire la massa di acqua in moli: m(g) n (mol) = 750 (g) = MM (g/mol) 18 ( g ) mol = 41,67 (mol) Le frazione molari saranno dunque: χNaCl = χKOH = χacqua = 42 nNaCl 1,7 = nNaCl + nKOH + nacqua nKOH 1,7 + 0,4 + 41,67 0,4 = nNaCl + nKOH + nacqua nacqua nNaCl + nKOH + nacqua = 3,9 x 10 -2 = 9,1 x 10 -3 1,7 + 0,4 + 41,67 41,67 = = 0,95 1,7 + 0,4 + 41,67 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Può essere facilmente verificato che la somma delle frazioni molari è uguale a 1. Esercizio svolto n° 8 Calcolare la molarità di una soluzione che contiene 0,315 g di HNO3 in 250 ml di soluzione. Soluzione Bisogna intanto calcolare il numero di moli di HNO3: m(g) n (mol) = 0,315 (g) = MM (g/mol) g 63 ( ) mol = 5x10-3 (mol) E successivamente la molarità: 5x10-3 moli soluto (mol) M= = V soluzione (L) = 2 x 10-2 (mol/L) 0,250 (L) Esercizio svolto n° 9 Determinare la quantità di KNO3 necessaria per preparare 450 ml di una soluzione 0,05 molare. Soluzione Devono, intanto, essere calcolate le moli che devono essere presenti nella soluzione. Questo può essere fatto o impostando una proporzione: 0,05 (mol) : 1000 (ml) = X (mol) : 450 (ml) e risolvendo rispetto a X: 0,05 (mol) x 450 (ml) X (mol) = = 0,0225 (mol) 1000 (ml) oppure con la formula inversa derivante della definizione di molarità: n (mol) = M (mol / L) x V (L) = 0,05 (mol / L) x 0,450 (L) = 0,0225 (mol) Successivamente si procede al calcolo della massa di KNO3 che deve essere solubilizzata in tanta acqua da avere alla fine 450 ml di soluzione: m(g) = n(mol) x MM(g /mol) = 0,225 (mol) x 101(g /mol) = 22,725(g) Esercizio svolto n° 10 Determinare la quantità di KNO3 necessaria per preparare 450 g di una soluzione 0,05 molale. Soluzione Il procedimento risulta qui più complesso poiché, in questo caso, la concentrazione della soluzione è riferita alla massa del solo solvente. Quindi intanto bisogna calcolare la massa di soluto che dovrebbe essere sciolta in 1000 g di solvente partendo dalla molalità: m(g) = n(mol) x MM(g /mol) = 0,05 (mol) x101 (g /mol) = 5,05 (g) che deve essere sommata alla massa di solvente per conoscere la massa totale della soluzione: massa soluzione = 1000 (g) + 5,05 (g) = 1005,05 (g) Successivamente occorre determinare la massa di soluto da sciogliere attraverso una proporzione: 5,05 : 1005,05 = X : 450 da cui: 5,05 (g) x 450 (g) X = = 11,42 (g) 1005,05 (g) La massa del solvente nel quale devono essere sciolti gli 11,42 g di sale viene determinata per differenza: massa solvente = 450 (g) - 11,42 (g) = 438,58 (g) 43 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno 3. Trasformazioni da una unità di concentrazione ad un’altra Una volta definite le unità di concentrazione occorre vedere come un’unità può essere trasformata in un’altra. Poiché alcune unità sono riferite ad una quantità di soluzione o di solvente espressa in massa ed altre ad una quantità espressa in volume, gioca un ruolo importante, nell‟effettuare queste conversioni, la densità delle soluzioni. Ricordiamo che la densità è definita come il rapporto tra massa e volume e, quindi, rappresenta l’anello che collega queste due grandezze: m d = V Esercizio svolto n° 11 Supponendo di avere una soluzione di acido solforico al 15% (m/m) calcolarne la molarità e la molalità. La densità della soluzione è 1,105 (g/ml). Soluzione Calcolo della molarità. Supponendo di prendere un litro di soluzione, dalla densità possiamo ricavare la sua massa: m = d x V = 1,105 (g /ml) x 1000 (ml) = 1105 (g) e attraverso la percentuale in massa possiamo calcolare la massa di acido solforico “puro”: macidosolforico = 1105 (g) x 15 = 167,75 (g) 100 e da questa il numero di moli di acido solforico: m n= 167,75 (g) = PM = 1,71 (mol) 98 (g/mol) Poiché siamo partiti da un litro di soluzione, le moli calcolate rappresentano esattamente la molarità della soluzione. Calcolo della molalità. Partendo dalla percentuale in massa possiamo calcolare la quantità di acido solforico in 1000 g di soluzione: macidosolforico = 1000 (g) x 15 = 150 (g) 100 e da questa, per differenza, la quantità di solvente “puro”: msolvente = 1000 (g) - 150 (g) = 850 (g) Le moli di acido solforico sono: m n= 150 (g) = PM = 1,53 (mol) 98 (g/mol) e quindi la molalità risulta: 1,53 (mol) m= 0,850 (Kg) = 1,8 (mol/Kgsolvente) Esercizio svolto n° 12 Supponendo di avere una soluzione di NH3 a concentrazione 10,52 (mol/L) e di densità 0.895 (kg/L) calcolarne la concentrazione espressa come percentuale in massa. Soluzione Intanto occorre calcolare la massa totale di un litro di soluzione partendo dalla densità: m = d x V = 0,895 (kg / L) x 1 (L) = 0,895 (kg) La massa corrispondente alle 10,52 moli contenute in un litro e quindi in 0,895 kg di soluzione è: m = n x PM = 10,52 (mol) x 17 (g /mol) = 178,84 (g) e quindi la percentuale in massa risulta: % in massa = massasoluto massasoluzione 44 178,84 (g) = x 100 = 19,98 % 895 (g) Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Esercizio svolto n° 13 Calcolare la percentuale in massa di una soluzione 0,5 molale di HCl. Soluzione: Questa soluzione è costituita da 0,5 moli di acido cloridrico in 1000 g di solvente. Quindi intanto bisogna convertire le moli in massa: m = n x PM = 0,5 (mol) x 36,5 (g /mol) = 18,25 (g) e calcolare la massa totale della soluzione: msoluzione = msoluto = msolvente = 18,25 (g) + 1000 (g) = 1018,25 (g) La percentuale in massa risulta: 18,25 (g) % in massa = x 100 = 1,79 % 1018,25 (g) 4. Diluizione delle soluzioni Le soluzioni possono essere preparate mescolando, secondo adeguati accorgimenti sperimentali, le opportune quantità di soluto e solvente, precedentemente misurati oppure attraverso le diluizioni. Il processo consiste nel prelevare una quantità calcolata di una soluzione più concentrata e diluire questa con un’opportuna quantità di solvente fino ad avere una nuova soluzione a concentrazione più bassa. Per effettuare le diluizione il primo passo è quello di effettuare gli opportuni calcoli per conoscere le quantità esatta di soluzione più concentrata e di solvente che bisogna tra loro mescolare. Con gli esempi che seguono vediamo praticamente come si opera: Esercizio svolto n° 14 Avendo a disposizione una soluzione di HCl 0,5 M, calcolare la quantità di soluzione da prelevare per ottenere un litro di soluzione 0,1 M. Soluzione Per effettuare correttamente il calcolo, in questo caso, è opportuno partire dai dati della soluzione più diluita. Si calcolano quindi le moli di HCl che devono essere presenti alla fine in questa soluzione: n (mol) = Md (mol / L) x Vd (L) = 0,1(mol / L) x 1(L) = 0,1(mol) Queste moli devono essere “prelevate” dalla soluzione più concentrata e perciò bisogna calcolare il volume della stessa soluzione che le contiene: n (mol) Vc (L) = 0,1 (mol) = = 0,2 (L) = 200 (ml) Mc (mol/L) 0,5 (mol / L) In pratica si prelevano accuratamente 200 ml dalla soluzione più concentrata e si diluisce con acqua fino a 1000 ml (1 L). in questo modo siamo sicuri di aver preparato un litro di una soluzione di HCl 0,1 (mol/L). Nelle formule usate in questo esercizio Md è la concentrazione della soluzione più diluita (la soluzione di arrivo), Mc è la concentrazione della soluzione più concentrata (la soluzione di partenza), Vd e Vc rappresentano rispettivamente il volume di soluzione che volevamo ottenere e il volume di soluzione più concentrata che deve essere prelevato. Sostituendo il numero di moli (n) che troviamo nella prima formula all’interno della seconda otteniamo: Vc (L) = Md (mol/L) x Vd (L) Mc (mol/L) che rappresenta l’espressione attraverso la quale è possibile calcolare direttamente il volume di soluzione concentrata da diluire. Esercizio svolto n° 15 Calcolare il volume di soluzione 2 M che bisogna prelevare per preparare 500 ml di una soluzione 0,7 M. 45 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Soluzione Applicando direttamente la relazione dell‟esercizio precedente si ottiene: Vc (L) = Md (mol/L) x Vd (L) Mc (mol/L) 0,7 (mol/L) x 0,5 (L) = = 0,175 (L) = 175 (ml) 2 (mol / L) In pratica si prelevano 175 ml della soluzione più concentrata (che potremmo a questo punto chiamare per ovvi motivi anche soluzione madre) e si diluisce con acqua fino a 500 ml. Esercizio svolto n° 16 Determinare la quantità di soluzione di NH3 0,8 (g/L) che occorre prelevare per preparare 200 ml di una soluzione a concentrazione 0,15 (g/L). Soluzione Anche in questo caso si parte dalla soluzione di arrivo (più diluita) e si calcola la massa che deve essere presente in questa soluzione attraverso una proporzione: 0,15 (g) :1000 (ml) = X (g) : 200 (ml) da cui: 0,15 (g) x 200 (ml) X (g) = = 0,03 (g) 1000 (ml) La massa così calcolata deve essere prelevata dalla soluzione madre. Si procede quindi al calcolo del volume di soluzione da prelevare sempre attraverso una proporzione: 0,8 (g) :1000 (ml) = 0,03 (g) : X (ml) da cui: 1000 (ml) x 0,03 (g) X (g) = = 37,5 (ml) 0,8 (g) L’equazione sopra riportata è assolutamente analoga a quella usata per calcolare i volumi di soluzione da diluire quando le concentrazioni sono espresse in mol/L; in questa, però, al posto delle concentrazioni molari troviamo le concentrazioni espresse come rapporto m/V. Esercizio svolto n° 17 Preparare 250 ml di una soluzione di acido cloridrico 0,5 molare partendo da una soluzione di acido cloridrico concentrato commerciale. Si ammetta per l’acido cloridrico concentrato commerciale una concentrazione del 38 % (m/m) e una densità di 1,19 (g/ml). Possiamo risolvere l’esercizio seguendo due diversi metodi. Primo metodo La prima operazione da fare è il calcolo del numero di moli che devono essere presenti nella soluzione finale: n (mol) = M (mol / L) x V (L) = 0,5 (mol /ml) x = 0,250 (ml) = 0,125 (mol) che corrispondono ad una massa di acido cloridrico “puro” uguale a: m(g) = n(mol) x PM(g /mol) = 0,125 (mol) x 36,5 (g /mol) = 4,56 (g) La massa di acido cloridrico “puro” così calcolata deve essere prelevata dalla soluzione al 38 % (soluzione madre). La massa di soluzione da prelevare può essere calcolata attraverso una proporzione 38 :100 = 4,56 : X dalla quale 4,56 x 100 X (g) = = 12 (g) 38 Poiché in laboratorio la misura dei volumi può risultare più agevole rispetto alla misura della massa è opportuno convertire la massa di soluzione madre così calcolata in volume avendo a disposizione la densità: 46 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno m (g) 12 (g) V (ml) = = d (g/ml) = 10,1 (ml) 1,19 (g/ml) Il risultato rappresenta, quindi, il volume di acido cloridrico concentrato necessario per preparare 250 ml di una soluzione 0,5 molare. Secondo metodo Si trasforma prima la concentrazione della soluzione concentrata espressa come rapporto m/m in molarità come già descritto nell‟esercizio svolto n° 11: Supponendo sempre di prendere un litro di soluzione, dalla densità possiamo conoscere la sua massa: m = d x V = 1,19 (g /ml) x 1000 (ml) = 1190 (g) e attraverso la percentuale in massa calcoliamo la massa di acido cloridrico “puro”: macidosolforico = 1190 (g) x 38 = 452,2 (g) 100 dalla quale possiamo successivamente calcolare il numero di moli: m n (ml) = 452,2 (g) = PM = 12,39 (mol) 36,5 (g/mol) che rappresentano esattamente la molarità della soluzione dato che siamo partiti da un litro di soluzione. Calcolata la molarità della soluzione concentrata applicando la relazione trovata nell’esercizio svolto n° 14 possiamo calcolare il volume di soluzione madre da diluire a 250 ml per ottenere la soluzione richiesta: Vc (L) = Md (mol/L) x Vc (L) Mc (mol/L) 0,5 (mol/L) x 0,250 (L) = = 1,01 x 10-2 (L) = 10,1 ml 12,39 (mol/L) ESERCIZI DA SVOLGERE Concentrazione delle soluzioni a) Una soluzione di KCl è stata ottenuta solubilizzando 30 g di sale in 8500 g di acqua. Calcolare la percentuale in peso. b) Calcolare la massa di HNO3 contenuta in una 820 g di una soluzione al 21% di acido. c) Quanta acqua bisogna aggiungere a 1,2 g di Na2SO4 per ottenere una soluzione allo 0,7 % in peso? d) Calcolare la percentuale in peso di una soluzione ottenuta sciogliendo 2 x 1023 molecole di carbonato di calcio in 350 g di acqua. e) Determinare il volume di alcool metilico che occorre miscelare con acqua per ottenere 500 ml di soluzione al 3% V/V. Descrivere come la soluzione può essere preparata in laboratorio. f) Quale è il volume di acetone che bisogna miscelare con acqua per ottenere 250 ml di soluzione al 25% V/V. g) A quale volume bisogna portare con acqua 25 ml di alcole per ottenere una soluzione al 3% V/V? h) Cosa si intende per titolo alcolometrico di una bevanda alcolica? Effettuare una ricerca. Perché nella definizione di titolo alcolometrico si parla di temperatura? i) Calcolare la quantità in grammi di KNO3 che bisogna utilizzare per preparare 500 ml di una soluzione contenente 3 g/L di sale e descrivere il procedimento da seguire in laboratorio per la sua preparazione. j) Determinare la quantità di NaCl contenuto in 700 ml di una soluzione a concentrazione 0,2 g/L. k) Calcolare la concentrazione di una soluzione, espressa in g/L, ottenuta sciogliendo 0,4 moli di glucosio (C6H12O6) in 2,8 L di acqua. l) Calcolare la percentuale in peso e la frazione molare di solfato ferroso in una soluzione ottenuta mescolando 0,3 moli di sale e 78 moli di acqua. m) Determinare la frazione molare di KOH e acqua in una soluzione che contiene il 3% di idrossido. n) Quali sono le frazioni molari di HCl e acqua in una soluzione che contie ne l’1% di ac ido? o) Calcolare la molarità della soluzione in 2550 ml della quale sono sciolti 35 g di fosfato di litio. p) Quanti sono i grammi di cloruro di magnesio necessari per ottenere 250 ml di una soluzione 1,7 molare. Descrivere, inoltre, come deve essere preparata la soluzione stessa. q) Descrivere come deve essere preparato un litro di soluzione di iodio 0,1 molare. r) Quante sono le moli e la massa di ipoclorito di sodio presenti in 350 ml di soluzione 0,2 molare? 47 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno s) Quale volume deve avere una soluzione contenente 250 g di fosfato di calcio perché risulti 1,2 molare? t) Calcolare molalità e frazione molare di una soluzione costituita da 17 g di HNO3 e 560 g di acqua. u) Determinare le moli e la massa di acido solforico conte nute in 700 g di una soluzione 2 molale. Conversione tra le unità di concentrazione. a) Una soluzione di acido cloridrico ha concentrazione di 42 g/L. Calcolare molarità e molalità della soluzione sapendo che la sua densità è di 1,020 g/ml. (R: M = 1,15 mol/L; m = 1,18 mol/kgsolvente) b) Una soluzione al 24,18 % in massa di carbonato di sodio ha una densità di 1,263 g/ml. Calcolare molarità e molalità della soluzione. (R: M = 2,75 mol/L; m = 3 mol/kgsolvente) c) Una soluzione acquosa è costituita da un soluto con PM 63 g/mol e la cui frazione molare è 0,15. Supponendo che la soluzione ha densità pari a 1,2 g/ml calcolare percentuale in massa, molarità e molalità. (R: % in massa di soluto = 38,18%; M = 7,27 mol/L; m = 9,80 mol/kgsolvente) d) Determinare la molarità di una soluzione alcolica al 12 % in volume in alcool etilico. La densità dell’alcol etilico puro (R: M = 2,10 mol/L) (C2H5OH) è 0,806 g/ml. e) L’acido nitrico a l 25 % in massa ha una dens ità di 1,15 kg/L. Determinare la molarità de lla soluzione. (R: M = 4,57 mol/L) Diluizione delle soluzioni a) L’acido solforico puro ha densità 1,89 g/ml. Calcolare il volume di questo acido che occorre diluire per preparare un litro di soluzione 0,1 molare. (R: V = 5,2 ml) b) Determinare il volume di acido cloridrico al 90 % in massa (d = 1,20 g/ml) che occorre prelevare per preparare un litro di soluzione 0,2 molare. (R: V = 6,7 ml) c) Avendo a disposizione una soluzione a concentrazione 1 molare di un acido, determinare il volume che occorre prelevare per preparare 250 ml di una soluzione 0,5 molare dello stesso acido. (R: V = 125 ml) d) Calcolare la concentrazione molare della soluzione che si ottiene diluendo con acqua fino a un litro 25 ml di una soluzione di acido acetico 2 molare. (R: M = 0,05 mol/L) e) L’acido nitrico a l 90% in massa ha una densità 1,5 kg/L. Calcolare il volume di questa soluzione che bisogna diluire con acqua per ottenere 250 ml di una soluzione 1 molare. (R: V = 11,7 ml) 48 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno MODULO 3 REAZIONI CHIMICHE II • Introduzione • Stechiometria delle reazioni chimiche in soluzione acquosa • Reazioni di ossidoriduzione 1. Introduzione Nel quinto modulo del testo del primo anno sono stati trattati alcuni aspetti delle reazioni chimiche come la loro classificazione, il bilanciamento e la stechiometria. Tuttavia l’analisi fatta non è sufficientemente esaustiva per diversi motivi: è stato analizzato il bilanciamento solo di reazioni all’interno delle quali non varia il numero di ossidazione (n.o.) degli elementi e invece noi sappiamo che ci sono reazioni (reazioni di ossidoriduzione) in cui lo stesso può variare passando da reagenti a prodotti. i calcoli stechiometrici sono stati eseguiti prendendo in considerazione solo sostanze pure. In questo modulo quindi verrà: trattato il bilanciamento delle reazioni di ossidoriduzione; affrontato il calcolo stechiometrico delle reazioni in soluzione acquosa 2. Reazioni di ossidoriduzione In questo tipo di reazioni il numero di ossidazione degli elementi, passando da reagenti a prodotti, cambia. Ma cosa significa questo? Riprendiamo la definizione di numero di ossidazione già data nel modulo sul MONDO DELLE MOLECOLE del testo del primo anno. Il NUMERO DI OSSIDAZIONE rappresenta la carica reale o formale che un elemento assumerebbe, all interno di una molecola, se gli elettroni coinvolti nei legami si attribuissero completamente all’elemento più elettronegativo. Se il numero di ossidazione cambia, evidentemente, la carica formale o reale di alcuni elementi che partecipano alla reazione può aumentare o diminuire. E’ ovvio che gli atomi dei vari elementi non possono assumere un valore qualsiasi come n.o. ma valori determinati dalla configurazione elettronica di un dato elemento e dai legami che questo forma con atomi di altri elementi all’interno delle molecola. Ma perchè avviene il cambio del numero di ossidazione degli elementi? Questo avviene perché c’è un trasferimento di elettroni da un atomo ad un altro. Cerchiamo di spiegare meglio! Se un elemento, passando dai reagenti ai prodotti, vede il proprio numero di ossidazione aumentato vuol dire che sta perdendo elettroni e, viceversa, un elemento che vede il proprio numero di ossidazione diminuire significa che sta acquistando elettroni dall’elemento che li ha persi. Le reazioni in cui si ha perdita di elettroni sono reazioni di ossidazione mentre quelle in cui c’è un acquisto di elettroni sono le reazioni di riduzione. Una reazione di ossidazione non può avvenire senza una contemporanea reazione di riduzione,non solo anche il numero degli elettroni persi nella ossidazione deve essere uguale al numero degli elettroni acquistati nella riduzione. Esempio Cu → Cu++ + 2eZn++ + 2e- → Zn (reazione di ossidazione) (reazione di riduzione) 49 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Poiché in una reazione di ossidoriduzione non possono esserci reazioni di ossidazione senza reazioni di riduzione e viceversa, chi si ossida induce la riduzione in altre specie chimiche e agisce, quindi, come riducente. Viceversa chi si riduce induce l’ossidazione e agisce come ossidante. La maggiore difficoltà nel bilanciamento delle reazioni di ossidoriduzione sta, quindi, nel fatto che non basta effettuare un bilanciamento degli atomi dei diversi elementi che partecipano alla reazione(bilanciamento delle masse), ma devono anche essere bilanciati gli elettroni (le cariche), e questo perché,come già detto, gli elettroni persi da alcuni atomi devono essere necessariamente acquistati da altri. Per bilanciare correttamente le reazioni di ossidoriduzione deve essere seguito il seguente schema: 1) Determinare il numero di ossidazione di tutti gli elementi della reazione sia tra i reagenti che tra i prodotti e stabilire quali sono gli elementi che si ossidano e quali si riducono; 2) Effettuare un bilancio preventivo degli atomi degli elementi che si ossidano o che si riducono (come in una reazione non di ossidoriduzione); 3) Stabilire il numero di elettroni di ossidazione e di riduzione; 4) Determinare quali sono i coefficienti per i quali devono essere moltiplicate le formule che contengono gli elementi che si ossidano e che si riducono (questa operazione serve per rendere uguali gli elettroni di ossidazione a quelli di riduzione e, matematicamente, viene effettuata con il calcolo del minimo comune multiplo); 5) Bilanciare le cariche se la reazione è posta in forma ionica (normalmente il bilanciamento va fatto utilizzando ioni H+ o ioni OH-, dipende sempre dal tipo di molecole che partecipano alla reazione); 6) Bilanciare tutti gli altri elementi il cui n.o. non è cambiato come se si trattasse di una reazione non di ossidoriduzione evitando di anteporre i coefficienti stechiometrici alle formule che contengono gli elementi che si sono ossidati o ridotti; 7) Infine bilanciare gli atomi di idrogeno, se presenti, con acqua. A questo punto se gli atomi di ossigeno risultano bilanciati vuol dire che la reazione è stata bilanciata correttamente. Questo schema proposto è la procedura di massima da seguire per il bilanciamento delle reazioni di ossidoriduzione, ma, ovviamente, tutto dipende dall‟esercizio e dall‟esperienza acquisita. Esercizio svolto n° 1 Bilanciare la seguente reazione di ossidoriduzione: HCl + HNO3 + FeCl2 → NO + FeCl3 + H2O Seguendo lo schema precedentemente proposto si calcolano i numeri di ossidazione e si scrivono sugli atomi +1 -1 +1 +5 -2 +2 -1 +2 -2 +3 -1 +1 -2 HCl + H N O3 + FeCl2 → N O + FeCl3 + H2O Nella reazione l’azoto passa da n.o. = +5 ad n.o.= +2 cioè si riduce, acquistando tre elettroni, il ferro,invece, si ossida, perdendo un elettrone, passando da n.o. +2 a +3. E’ evidente che per un atomo di azoto, che acquista tre elettroni, sono necessari tre atomi di ferro, ciascuno dei quali ne perde uno. Quindi, per rendere uguali gli elettroni di ossidazione a quelli di riduzione le formule che contengono il ferro devono essere moltiplicate per tre: +1 -1 +1 +5 -2 +2 -1 +2 -2 +3 -1 +1 -2 HCl + H N O3 + 3FeCl2 → NO + 3FeCl3 + H2O A questo punto sono bilanciati gli elettroni e gli atomi di azoto e di ferro. Rimane da bilanciare il cloro, l’idrogeno e l’ossigeno (elementi che non hanno partecipato alla di ossidoriduzione). Di cloro abbiamo tra i reagenti 6 atomi e tra i prodotti 9 atomi e quindi tra i reagenti andranno aggiunti altri tre atomi di cloro moltiplicando per 3 la formula dell‟acido cloridrico: +1 -1 +1 +5 -2 +2 -1 +2 -2 +3 -1 +1 -2 3HCl + H N O3 + 3FeCl2 → NO + 3FeCl3 + H2O Bisogna adesso bilanciare gli atomi di idrogeno. Tra i reagenti ce ne sono 4 e, quindi, occorre moltiplicare la formula dell’acqua per 2 per avere quattro atomi di idrogeno tra i prodotti: +1 -1 +1 +5 -2 +2 -1 +2 -2 +3 -1 +1 -2 3HCl + H N O3 + 3FeCl2 → NO + 3FeCl3 + 2H2O Se adesso si contiamo gli atomi di ossigeno ci rendiamo conto che risultano bilanciati. La reazione risulta quindi bilanciata. Esercizio svolto n° 2 Riproponiamo il bilanciamento della reazione precedente, scritta, però, in forma ionica e con i numeri di ossidazione già calcolati +1 +5 -2 +2 +2 -2 +3 +1 -2 H+ + N O3- + Fe2+ → N O + Fe3+ + H2O Bilanciando gli elettroni come fatto in precedenza otteniamo: H+ + N O3- + 3Fe2+ → N O + 3Fe3+ + H2O 50 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Poiché la reazione adesso è in forma ionica bisogna bilanciare le cariche. Tra i prodotti abbiamo 9 cariche positive, mentre tra i reagenti, esclusa la carica del protone, abbiamo complessivamente 5 cariche positive. Quindi per avere nove cariche positive tra i reagenti dobbiamo aggiungere 4 ioni H+ tra i reagenti. La reazione diventa quindi: 4H+ + N O3- + 3Fe2+ → N O + 3Fe3+ + H2O Rimangono da bilanciare i 4 idrogeni che ci sono tra i reagenti anteponendo il 2 alla formula dell’acqua: 4H+ + N O3- + 3Fe2+ → N O + 3Fe3+ + 2H2O In questo modo si può verificare che sono bilanciati anche gli atomi di ossigeno e la reazione intera. Quello qui proposto è solo un metodo per bilanciare le reazioni di ossidoriduzione. Vediamo adesso come la stessa reazione può essere bilanciata con un altro metodo: il metodo delle semireazioni. In pratica la reazione completa viene scomposta in reazioni più semplici (semireazioni) di ossidazione e di riduzione e queste vengono bilanciate autonomamente seguendo lo schema proposto escludendo il punto 4). Il bilanciamento degli elettroni, che questa volta compaiono all’interno delle semireazioni, avviene in una fase successiva come riportato nell’esempio seguente. Un’ultima fase, non contemplata nello schema precedente prevede la somma membro a membro delle semireazioni per ottenere la reazione complessiva finale bilanciata. Esercizio svolto n° 3 La reazione che si propone con i n.o. già calcolati è la stessa degli esempi precedenti: +1 -1 +1 +5 -2 +2 -1 +2 -2 +3 -1 +1 -2 HCl + H N O3 + FeCl2 → N O + FeCl3 + H2O Scomponiamo adesso la reazione nelle semireazioni di ossidazione: +2 -1 +3 -1 FeCl2 → FeCl3 e di riduzione: +1 +5 -2 +2 -2 H N O3 → N O Queste reazioni adesso devono essere bilanciate separatamente. Vediamo che nella reazioni di ossidazione il n.o. del ferro passa da +2 a +3 e quindi si ha la perdita di un elettrone. La reazione diventa quindi: +2 -1 +3 -1 FeCl2 → FeCl3 + 1eA questo punto ci si accorge che tra i prodotti c’è una carica negativa mentre tra i reagenti la somma delle cariche è zero, per cui bisogna aggiungere tra i prodotti una carica positiva ( H+ ) +2 -1 +3 -1 FeCl2 → FeCl3 + 1e- + H+ Per bilanciare l’idrogeno e il cloro in più presenti tra i prodotti si aggiunge tra i reagenti una molecola di HCl. La reazione di ossidazione è così completamente bilanciata: +2 -1 +3 -1 FeCl2 + HCl → FeCl3 + 1e- + H+ Nella reazione di riduzione l’azoto passa da +5 a +2 e questo avviene con l’acquisto di 3 elettroni: +1 +5 -2 +2 -2 H N O3 + 3e-→ N O Le tre cariche negative devono essere bilanciate, tra i reagenti, con tre ioni H+ : H N O3 + 3e- + 3H+ → N O Gli idrogeni e gli ossigeni sono adesso bilanciati con acqua per ottenere la reazione di riduzione finale: 51 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno H N O3 + 3e- + 3H+ → N O + H2O Le due semireazioni bilanciate sono: FeCl2 + HCl → FeCl3 + 1e- + H+ X3 H N O3 + 3e- + 3H+ → N O + 2H2O X1 Si ottiene dunque: 3FeCl2 + 3HCl → 3FeCl3 + 3e- + H+ H N O3 + 3e- + 3H+ → N O + 2H2O Sommando membro a membro le due semireazioni e dopo le opportune semplificazioni, trattando la reazione come se fosse un’equazione matematica, abbiamo la reazione finale bilanciata: 3HCl + H N O3 + 3FeCl2 → N O + 3FeCl3 + 2H2O Esistono delle reazioni di ossidoriduzione nelle quali non necessariamente due elementi diversi si ossidano e si riducono ma gli atomi di un solo elemento, contemporaneamente, si ossidano e si riducono. Queste reazione sono chiamate di disproporzione o disproporzianamento o dismutazione. Un tipico esempio è la dismutazione del Cl2 in ambiente basico che andremo qui a bilanciare. Esercizio svolto n° 4 Bilanciare la seguente reazione di dismutazione: Cl2 + OH- → Cl- + ClOSoluzione La prima fase è sempre il calcolo del numero di ossidazione degli elementi: +1 0 -1 Cl2 + OH- → +ClO- + ClVediamo che il cloro contemporaneamente si ossida (a ipoclorito) e si riduce (a cloruro). Usiamo il metodo delle semireazioni 0 -1 Cl2 → +ClO0 semireazione di ossidazione -1 Cl2 → +Cl- semireazione di riduzione La due semireazioni bilanciate sono: Cl2 + 4OH- → 2ClO- + 2e- + 2H2O e Cl2 + 2e- → 2ClEssendo il minimo comune multiplo tra il numero di elettroni di ossidazione e di riduzione uguale a 2, entrambe le reazioni vengono moltiplicate per 1. Sommando membro a membro e semplificando gli elettroni si ottiene la reazione finale bilanciata: 2Cl2 + 4OH- → 2Cl- + 2ClO- + 2H2O Notiamo qui che tutti i coefficienti stechiometrici sono multipli o uguali a 2 per cui possiamo effettuare un ulteriore semplificazione dividendo tutto per 2. La reazione finale bilanciata è: Cl2 + 2OH- → Cl- + ClO- + H2O 52 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Negli esempi proposti sono state prese in esame solo reazioni nelle quali un elemento si ossida e un altro si riduce. In altre reazioni diversi elementi, presenti tra i reagenti, possono ossidarsi e ridursi. Queste possono essere agevolmente bilanciate usando il metodo delle semireazioni facendo attenzione a usare nel calcolo del m.c.m., per il bilanciamento degli elettroni, gli elettroni totali di ossidazione e di riduzione. Esercizi da svolgere 1. Individua tra le seguenti le reazioni di ossidoriduzione: a) b) c) d) 2. Data la reazione non bilanciata: Sn + HNO3 + HCl → SnCl4 → NO + H2O a) quale elemento si ossida? b) quale elemento si riduce? c) qual è l’agente ossidante? d) qual è l’agente riducente? e) bilanciare la reazione. 3. Data la reazione non bilanciata: a) quale elemento si ossida? b) quale elemento si riduce? c) qual è l’agente ossidante? d) qual è l’agente riducente? e) bilanciare la reazione. 4. Data l’equazione non bilanciata: quale delle affermazioni che seguono è falsa? a) l’agente riducente della reazione è l’argento b) nella reazione si ossida l’argento c) nella reazione si riduce l’idrogeno d) la reazione avviene in ambiente acido. 5. Quale elemento si ossida nella seguente reazione non bilanciata? NH3 + O2 → NO + H2O 6. Quale elemento si riduce nella seguente reazione non bilanciata? 7. Bilancia le reazioni degli esercizi n° 4,5 e 6. 8. Bilancia le seguenti reazioni di ossidoriduzione: 53 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno 9. Poni l’attenzione sugli elementi in grassetto e completa la tabella come indicato nell’esempio. Reagente Elettroni scambiati Prodotto Mg N.O. 0 N.O. N2 N.O. ..... 2N N.O. ..... Fe2O3 N.O. ..... 2FeO N.O. ..... Al N.O. ..... Al (OH)3 N.O. ..... Cr2O3 N.O. ..... 2CrO4 N.O. ..... IO3 N.O. ..... Γ N.O. ..... P4 N.O. ..... 4PH3 N.O. ..... CoCl2 N.O. ..... Co(OH)3 N.O. ..... Mg+2 -3 +2 Semireazione di Semireazione di ossidazione ossidazione 2 X 3. Stechiometria delle reazioni in soluzione acquosa Nella pratica comune, di laboratorio o dell’industria, raramente le reazioni sono realizzate usando reagenti allo stato puro, ma piuttosto in soluzione e con diversi solventi. Negli esempi proposti i reagenti sono in soluzione acquosa, ma sia chiaro che la trattazione è valida anche per le soluzioni dove il solvente è diverso dall’acqua. La conoscenza della stechiometria e delle concentrazioni delle soluzioni sono il prerequisito essenziale per effettuare i calcoli stechiometrici per reazioni in soluzione. Si ricordi, inoltre, che: i rapporti tra i reagenti, tra i prodotti e tra reagenti e prodotti, stabiliti dai coefficienti stechiometrici valgono in molecole o in moli e MAI IN GRAMMI. Esercizio svolto n° 5 Determinare il volume di soluzione 0.2 M di NaOH che reagisce con 40 ml di HCl 0.15 M. Soluzione Bisogna intanto scrivere la reazione bilanciata: HaOH + HCl → NaCl + H2O Poiché sappiamo che la molarità è: moli soluto (mol) M= Vsoluzione(L) possiamo calcolare le moli contenute in 40 ml di HCl 0.15M: moliHCl (mol) = M (mol/L) x Vsoluzione(L) = 0,15 (mol/L) x 0,040 (L) = 6 x 10-3 (mol) Poiché dalla reazione il rapporto stechiometrico tra l’acido cloridrico e l‟idrossido di sodio è 1:1 allora possiamo certamente dire che le moli di idrossido di sodio che reagiscono con l‟acido acido cloridrico sarà uguale a 6x10-3. Il volume che contiene le 6x10-3 moli di idrossido può essere sempre calcolato con la formula inversa della molarità: VNaOH (L) = 54 moliNaOH MNaOH 6 x 10-3 (mol) = = 0,03 (L) = 30 (ml) 0,2 (mol/L) Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno NEUTRALIZZAZIONE Il termine deriva direttamente dalle reazione tra un acido e una base (idrossido) e che porta alla formazione di una soluzione che non è né acida né basica bensì neutra. In realtà la soluzione è perfettamente neutra (l’argomento sarà approfondito successivamente) solo in alcuni casi. Il concetto di neutralizzazione è la base di un percorso sperimentale atto alla determinazione di quantità non conosciute (incognite) di una sostanza nota all’interno di una soluzione (titolazione). In generale, si può affermare che una sostanza A neutralizza una sostanza B quando, a questa, la sostanza A è aggiunta in quantità stechiometrica. Esercizio svolto n° 6 Calcolare quale è il volume di soluzione di acido solforico al 15% in massa (d=1.105(g/ml) necessaria per neutralizzare 25 ml di soluzione di KOH 2M. Soluzione Si calcolano le moli di KOH da neutralizzare: moliKOH (mol) = M (mol/L) x Vsoluzione(L) = 2 (mol/L) x 0,025 (L) = 5 x 10-2 (mol) e si scrive correttamente la reazione che avviene in soluzione: H2SO4 + 2KOH → K2SO4 + 2H2O Si vede che il rapporto stechiometrico tra acido solforico e idrossido di potassio è 1:2. Quindi per calcolare le moli di acido solforico che servono per neutralizzare l’idrossido è necessario impostare la proporzione: 1 : 2 = KOH H2SO4 X : 5 x 10-2 H2SO4 KOH da cui: 5 x 10-2 = 2,5 x 10-2 moli di H2SO4 = 2 Poiché la concentrazione dell’acido solforico è espressa come percentuale in massa c’è la necessita di trasformare le moli di acido in massa: mH2SO4 (g) = n x MM = 2,5 x 10-2 (mol) x 98 (g/mol) = 2,45 (g) Quella così calcolata è la massa di acido puro richiesta per neutralizzare la base, ma essendo la soluzione al 15% in massa dobbiamo calcolare la massa di soluzione di acido: 15 : 100 = 2,45 : X H2SO4 soluzione H2SO4 soluzione 2,45 x 100 X= = 16,33 (g) 15 Una volta conosciuta la massa di soluzione il volume di acido che serve per la neutralizzazione lo possiamo determinare utilizzando la densità: m 16,33 (g) V= = = 14,78 (ml) d 1,105 (g/ml) Esercizio svolto n° 7 Determinare la concentrazione del sale e del reagente in eccesso che si ottengono dalla reazione tra 30 ml di HCl 0.2M e 45 ml di Mg(OH)2 0.15M. Soluzione In questo caso si deve vedere quale tra i due reagenti è il reagente limitante e quale quello in eccesso. La reazione bilanciata è la seguente: 2HLC + Mg(OH)2 → MgCl2 + 2H2O Si calcolano le moli di acido cloridrico e di idrossido di magnesio: moliHCl (mol) = M (mol/L) x Vsoluzione(L) = 0,2 (mol/L) x 0,030 (L) = 6 x 10-3 (mol) moliMg(OH)2 (mol) = M (mol/L) x Vsoluzione(L) = 0,15 (mol/L) x 0,045 (L) = 6,75 x 10-3 (mol) 55 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Si imposta la proporzione per il calcolo del reagente limitante 2 : 1 - 6 x 10-3 : X HCl Mg(OH)2 HCl Mg(OH)2 da cui: 6 x 10-3 = 3 x 10-3 X= 2 Quelle così calcolate sono le moli di idrossido di magnesio che reagiscono con 6 x 10-3 moli acido cloridrico. Pertanto, poiché le moli di idrossido di magnesio nell’ambiente di reazione sono maggiori di quelle richieste per la reazione con l’acido, l’idrossido risulta essere in eccesso della quantità: moli di Lg(OH)2 in eccesso = 6,75 x 10-3 -3 x 10-3 = 3,75 x 10-3 La concentrazione di idrossido di magnesio in eccesso risulta: 3,75 x 10-3 (mol) = 5 x 10-2 (mol/L) MMg(OH)2 = 0,075 (L) dove 0.075 è la somma dei volumi iniziali delle due soluzioni espressa in litri. Il calcolo della concentrazione del cloruro di magnesio che si forma dalla reazione viene effettuato calcolando intanto le moli di sale che si forma usando le moli di reagente limitante: 2 : 1 - 6 x 10-3 : X HCl MgCl2 HCl MgCl2 da cui: 6 x 10-3 = 3 x 10-3 X= 2 La concentrazione risulta quindi. 3 x 10-3 (mol) MMgCl2 = = 4 x 10-2 (mol/L) 0,075 (L) Dove 0.075 è il volume di soluzione complessivo espresso in litri. 56 Book in Book in progress progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Scienze Integrate/Chimica - secondo anno MODULO 4 ASPETTI CINETICI ED ENERGETICI • Introduzione • L’energia nelle reazioni chimiche • Cinetica chimica 1. Introduzione Nel modulo sul legame chimico si è visto come si formano le molecole dipendentemente dalla struttura degli atomi che le costituiscono, mentre nel capitolo riguardante la nomenclatura sono state passate in rassegna le classi dei composti della chimica inorganica associando spesso alla formazione di questi delle reazioni chimiche. Ma realmente, e quindi non solamente sulla carta, queste reazioni avvengono? E se avvengono, quale è il motivo? E quanto tempo occorre perché avvenga una reazione? Potremmo dire che le reazioni avvengono perchè, evidentemente, l’energia dei prodotti è minore rispetto a quella dei reagenti. Ma questa risposta è piuttosto semplicistica! Oltretutto potrebbe succedere che dal punto di vista energetico la reazione sia favorita ma che serva un tempo lunghissimo perché questa avvenga. L’esempio tipico è la trasformazione del diamante in grafite. Diamante e grafite sono entrambi costituiti da carbonio ma con una disposizione spaziale degli atomi diversa (ricercare Allotropia). Tra le due forme quella meno stabile è il diamante e quindi ci si aspetterebbe, perlomeno a temperatura ambiente, che la sua trasformazione in grafite avvenisse con estrema semplicità. Invece non è così, anzi è tanto lenta che gli amanti del pregiato minerale possono dormire sonni tranquilli! Le risposte a queste domande sono date dalla cinetica chimica e dalla termodinamica chimica. 2. Cinetica chimica La cinetica chimica studia la velocità delle reazioni. Ma cosa si intende per velocità delle reazioni? Per capire bene il concetto facciamo una parallelismo con la velocità media di un corpo. Questa è data dallo spazio percorso nell’unità di tempo: dove Δs rappresenta la distanza tra due punti che il corpo percorre lungo la sua traiettoria e Δt il tempo impiegato per passare da un punto ad un altro. Supponiamo ora di avere una generica reazione in cui A e B sono i reagenti, C e D i prodotti, mentre a,b,c e d rappresentano i coefficienti stechiometrici La velocità di questa reazione può essere definita come la variazione della concentrazione di uno dei prodotti nell’unità di tempo: dove ΔC rappresenta la differenza tra le concentrazioni molari del prodotto C ai tempi t2 e t1. Ovviamente, la velocità con la quale si formerà il prodotto D sarà esattamente uguale alla velocità con la quale si è formato C e quindi: E con quale velocità invece i reagenti A e B si trasformano? Evidentemente con la stessa velocità con la quale si formano i prodotti. Quindi la velocità per la generica reazione prima scritta può essere espressa considerando uno qualsiasi dei suoi termini ottenendo una serie di relazioni: c, d, a, b sono i coefficienti stechiometrici della reazione bilanciata. 57 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Mentre per i prodotti la variazione delle concentrazioni è sempre positiva, la variazione delle concentrazioni dei reagenti è sempre negativa, il segno negativo davanti alle espressioni della velocità per i reagenti ci consente di avere sempre un risultato positivo. Per una reazione che vede i reagenti destinati alla loro completa scomparsa possiamo affermare che le concentrazioni dei reagenti tenderanno nel tempo a zero, mentre le concentrazioni dei prodotti, partendo da zero, tenderanno ad aumentare fino ad un valore determinato dalle quantità dei reagenti e dalla stechiometria della reazione. Occorre, però, fare una puntualizzazione. Non tutte le reazioni vedono la completa scomparsa dei reagenti e la loro trasformazione in prodotti, ma piuttosto si arriva ad un punto in cui le concentrazioni di reagenti e prodotti rimangono costanti nel tempo. Ciò avviene quando, nel momento in cui si formano, i prodotti cominciano a reagire tra loro per ridare i reagenti con un velocità diversa da quella con la quale si formano. Le velocità variano nel tempo ma si arriverà ad un punto in cui la velocità di formazione dei prodotti sarà uguale a quella della loro scomparsa. Il concetto verrà approfondito nella parte del testo riguardante l’equilibrio chimico. Esaminiamo, come esempio, la reazione di sintesi dell’ammoniaca: L’espressione della velocità di reazione è la seguente: Dal grafico si può vedere come variano le concentrazioni di reagenti e prodotti nel tempo nel caso della reazione di sintesi dell’ammoniaca. La velocità di reazione dipende da diversi fattori: natura dei reagenti, concentrazione, temperatura, presenza di catalizzatori. La dipendenza della velocità dalla natura dei reagenti è abbastanza ovvia se si considera il fatto che normalmente molecole diverse presentano diversa reattività in funzione degli atomi che le costituiscono e dei legami che questi formano tra loro. La velocità può dipendere dalla concentrazione di uno dei reagenti o da entrambi. Per esempio per la generica reazione vista in precedenza aA+ bB → cC + dD la velocità potrebbe essere rappresentata con una delle seguenti equazioni cinetiche: dove k è la costante cinetica e i coefficienti n ed m, quasi sempre numeri interi, in generale diversi dai coefficienti stechiometrici, sono determinati sperimentalmente. La loro somma rappresenta l’ordine della reazione. Esistono tuttavia reazioni nelle quali la concentrazione non ha nessuna influenza sulla velocità e per queste l’equazione cinetica è v = k . Chiaramente in questo caso l’ordine di reazione è zero. Si vedrà adesso come due teorie, la teoria delle collisioni e la teoria del complesso attivato, interpretano a livello microscopico le reazioni chimiche chiarendo la dipendenza della velocità dalla temperatura e dalla presenza di catalizzatori. Teoria delle collisioni o degli urti Nel 1889 Arrhenius propose un’equazione empirica che associava la costante cinetica alla temperatura: Questa equazione consta di due termini: il fattore preesponenziale A ed il fattore esponenziale che al suo interno incorpora la costante universale dei gas (R) e la temperatura assoluta (T). Egli ipotizzò che per moderate variazioni di temperatura il termine pre-esponenziale A non subisse variazioni considerevoli e quindi la variazione della costante cinetica poteva essere attribuita quasi interamente alla variazione del termine esponenziale. 58 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Nel 1916 Max Trautz e William Lewis, basandosi sull’equazione di Arrhenius, formalizzarono la teoria delle collisioni. Secondo gli scienziati una reazione avviene se sono soddisfatte le tre seguenti condizioni: 1. le molecole devono urtarsi (collidere); 2. l’urto deve avvenire con una ben determinata orientazione delle molecole; 3. l’urto, deve essere efficace nel senso che deve avere una certa energia (energia di attivazione). In definitiva ipotizzarono che il termine pre-esponenziale A dell’equazione di Arrhenius fosse composto da due fattori: un fattore di frequenza (Z) che tiene conto del numero di urti tra molecole nell’unità di tempo e un fattore statistico (ρ) che tiene conto della probabilità che l‟urto possa avvenire secondo una direzione utile. L’equazione di Arrhenius diventa quindi: Esaminando sperimentalmente questa equazione, Trautz e Lewis videro che ρ non è influenzato da variazioni di temperatura mentre Z aumenta leggermente con l’aumento della stessa a causa dell’aumento dell’energia cinetica media delle molecole, ma sicuramente il termine più sensibile alle variazioni di temperatura rimane il termine esponenziale. In generale si può affermare che la costante cinetica aumenta all’aumentare della temperatura. Teoria del complesso attivato Nella teoria del complesso attivato si ipotizza che, in seguito all’urto tra i reagenti si formi una specie instabile nella quale si vede un inizio della rottura dei vecchi legami e un inizio della formazione dei nuovi legami come descritto nella figura seguente relativa alla generica reazione: AB + C → A+ BC Le molecole dei reagenti posseggono una propria energia cinetica e, poiché nell’urto l’energia deve essere conservata, parte dell’energia cinetica si trasforma nell’energia potenziale indispensabile per la rottura deilegami preesistenti. L’energia necessaria affinché venga raggiunto quello stato particolare ad elevata energia, chiamato stato di transizione, che ospita il complesso attivato, è l’energia di attivazione (Ea). Questo stato può essere raggiunto solo dalle molecole che, prima dell’urto, posseggono un’energia cinetica maggiore dell’energia di attivazione. Una volta formatosi il complesso attivato, il sistema può evolvere verso la formazione dei prodotti o ritornare verso la formazione dei reagenti. L’energia di attivazione rappresenta, dunque, una barriera energetica che bisogna superare se vogliamo che la reazione proceda verso la formazione dei prodotti. I catalizzatori Possono presentarsi dei casi in cui l’energia di attivazione risulta molto elevata. Per abbassarne il valore, nell’ambiente di reazione vengono aggiunte altre sostanze: i catalizzatori . Questi non sono considerati reagenti ma molecole che favoriscono la rottura dei legami nei reagenti e la formazione dei legami nei prodotti restando inalterati alla fine della reazione. 59 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno 3. L’energia nelle reazioni chimiche Nelle generiche reazioni proposte il contenuto energetico dei reagenti è maggiore rispetto a quello dei prodotti ma, chiaramente, potrebbe anche essere il contrario; tutto dipende dalle energie di legame tra gli atomi nei reagenti e nei prodotti. La regola generale è che sostanze che hanno energia maggiore rispetto ad altre saranno meno stabili poiché nelle prime i legami tra gli atomi sono più deboli rispetto alle seconde. Per come è stato rappresentato il cammino della nostra generica reazione si passa da reagenti aventi una loro propria stabilità a prodotti con una stabilità maggiore. In pratica si possono prospettare due casi riportati. Il primo (Fig.1) si riferisce ad una reazione in cui, essendo l’energia dei prodotti inferiore rispetto a quella dei reagenti, la reazione avviene con sviluppo di energia sotto forma di calore (reazione esotermica). Il secondo (Fig.2) si riferisce ad una reazione in cui l’energia dei prodotti è maggiore rispetto a quella dei reagenti e quindi avviene con assorbimento di calore (reazione endotermica). La maggior parte delle reazioni avviene a pressione costante (pratica normalmente seguita in laboratorio) e il calore scambiato (assorbito o ceduto) prende il nome di entalpia (H). L’entalpia è una funzione di stato e per una data reazione chimica ne possiamo calcolare la variazione: ΔH = Hprodotti - Hreagenti = calore scambiato Si definisce funzione di stato una grandezza i cui valori dipendono solo dallo stato iniziale e finale del sistema e non dal percorso che il sistema stesso compie dall inizio alla fine della trasformazione. Esempio di reazione esotermica è il seguente: Cioè quando 1 mole di propano ( C3H8 ) reagisce con 5 moli di O2 si formano 3 moli di CO2 , 4 moli di H2O e viene ceduto dal sistema all’ambiente 2044 kJ di energia termica. Osservazione: 2044 kJ è il calore svolto quando reagisce 1 mol di propano, se reagiscono 0,5 moli di propano si libererà una quantità di calore pari a: 0.5 mol x 2044 kJ mol =1022 kJ Esempio di reazione endotermica è il seguente: Se una mole di C reagisce con 1 mole di H2O (g) si forma 1 mole di CO(g), 1 mole di H2 (g) e 131 kJ di energia termica viene trasferita dall’ambiente al sistema. Se di una reazione chimica conosciamo anche il valore dell entalpia la reazione è chiamata equazione termochimica. ENTALPIA STANDARD La variazione di entalpia di una reazione dipende dalla temperatura, dalla pressione e dallo stato fisico dei reagenti e dei prodotti, quindi per poter confrontare le variazioni di entalpia di reazioni diverse bisogna farle avvenire nelle stesse condizioni. Si definisce stato standard di un sistema lo stato in cui la temperatura è di 25°C, la pressione di 1 atm e, per reagenti in soluzione la concentrazione è 1 M. In queste condizioni la variazione di entalpia ΔH prende il nome di entalpia standard di reazione e si indica con ΔH°. Questa si può calcolare conoscendo l’entalpia standard di formazione (ΔH°f) dei reagenti e dei prodotti. Il ΔH°f di un composto è la variazione di entalpia della reazione di formazione di una mole di composto nel suo stato standard a partire dai suoi elementi ciascuno nel proprio stato standard (per convenzione il valore di entalpia di tutti gli elementi nello stato standard è uguale a zero). Il ΔH°f della maggior parte dei composti chimici è un valore ottenuto sperimentalmente e tabulato; l’unità di misura è il kJ/mol. La variazione di entalpia calcolata nelle reazioni degli esempi precedenti non è altro che ΔH°; per capire meglio come viene calcolato e comprendere il suo significato seguiamo nel dettaglio il calcolo di uno di essi: dalle tabelle cerchiamo i valori di ΔH°f (entalpia standard di formazione) dei componenti la reazione: 60 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno ENTROPIA Una trasformazione chimica è spontanea se avviene senza alcun intervento dall’esterno e se è spontanea in un verso non lo sarà nel verso opposto. Una reazione esotermica, allora, può essere considerata spontanea? No, un ΔH < 0 non basta per individuare il verso spontaneo di una reazione. Ci sono reazioni che pur avendo un ΔH > 0 sono spontanee. C’è quindi un altro fattore da considerare: l’entropia. L’entropia è una misura del disordine molecolare. Il secondo principio della termodinamica afferma che l’entropia dell’Universo è in continuo aumento (per universo si intende l’insieme sistema + ambiente). L’entropia si indica con la lettera S ed è anch’essa una funzione di stato la cui unità di misura è J/mol °K. Di una reazione chimica è importante conoscere anche la variazione di entropia ΔS: ΔS = Sprodotti - Sreagenti • se Sprodotti > Sreagenti • se Sprodotti < Sreagenti ΔS > 0 il grado di disordine aumenta ΔS < 0 il grado di disordine diminuisce Un esempio di processo spontaneo endotermico è la fusione del ghiaccio: il ghiaccio per fondere deve assorbire calore dall’ambiente quindi il ΔH è > 0 (non spontaneo), ma il passaggio dallo stato solido (il ghiaccio) allo stato liquido avviene con un aumento del disordine quindi ΔS > 0 (spontaneo). Riassumendo: in una trasformazione potrebbero verificarsi i seguenti casi: • ΔH < 0 ΔS > 0 processo spontaneo sempre • ΔH > 0 ΔS < 0 processo non spontaneo sempre • ΔH < 0 ΔS < 0 la spontaneità o meno del processo dipende da quale fattore prevale • ΔH > 0 ΔS > 0 la spontaneità o meno del processo dipende da quale fattore prevale Il problema dei due casi incerti fu risolto dallo scienziato americano Gibbs con l’introduzione di una nuova funzione di stato che collega entalpia, temperatura ed entropia in un‟unica relazione: l‟energia libera (G): G=H-TxS Anche per questa grandezza termodinamica, per una reazione chimica, si valuta la differenza tra i valori dello stato iniziale e dello stato finale: ΔG = ΔH - T x ΔS Cioè la variazione di energia libera di una reazione è uguale alla variazione di entalpia meno il prodotto della temperatura per la variazione di entropia. Il valore del ΔG fornisce il criterio di spontaneità e di equilibrio delle reazioni chimiche che avvengono a pressione costante. ΔG < 0 ΔG > 0 ΔG = 0 reazione spontanea reazione non spontanea reazione in condizioni di equilibrio 61 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno 62 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno MODULO 5 I GAS • Lo stato gassoso • Densità dei gas • Grandezze fisiche • Esercizi da svolgere • Le leggi dei gas 1. Lo stato gassoso Lo stato gassoso rappresenta uno dei tre stati di aggregazione della materia ed è caratterizzato dal fatto che la materia, in questo stato, non occupa un volume proprio e non ha forma propria. In pratica la forma dipende dal tipo di contenitore che ospita il gas e il volume che il gas occupa è esattamente il volume del contenitore stesso. In pratica se si riesce a far passare un gas da un primo contenitore ad un secondo contenitore il gas assumerà la forma del secondo contenitore e occuperà tutto lo spazio disponibile del secondo contenitore. Questo perché nello stato gassoso le distanze tra le molecole risultano molto elevate, in quanto le particelle posseggono energia cinetica sufficiente a vincere le forze di attrazione intermolecolari e quindi sono in grado di separarsi. Il moto caotico delle particelle allo stato gassoso determina il fenomeno della diffusione, secondo il quale un gas occupa sempre tutto lo spazio a sua disposizione. Alcuni elementi della tavola periodica che esistono allo stato naturale come molecole biatomiche, quali H2, N2, O2, F2, Cl2, oppure gas nobili come He, Ne, Ar, etc., e molti dei loro composti, purché a basso peso molecolare (ad esempio CH4, CO2, NH2, H2S, HCl, etc.) sono GASSOSI a temperatura ambiente ed alla pressione atmosferica. Tra i vari stati di aggregazione della materia, quello gassoso è il più semplice, in quanto le sostanze allo stato aeriforme, sono caratterizzate, indipendentemente dalla loro natura chimica, da una notevole uniformità di comportamento e dal fatto che le interazione intermolecolari siano relativamente deboli. Tale comportamento può essere descritto, con ottima approssimazione attraverso una semplice relazione (l’equazione di stato dei gas), che correla le grandezze fisiche che caratterizzano lo stato del gas e cioè Temperatura, Pressione, Volume e numero di moli. 2. Grandezze fisiche dei gas Il Volume Il Volume è definito come la porzione di spazio occupata da un corpo. L’unità di misura del S.I è il m3 ma in chimica, in special modo quando si parla di fluidi, lo si misura in litri (L). La Temperatura La Temperatura è una proprietà associata alle sensazioni di caldo e freddo e determina la direzione del flusso di calore. In modo rigoroso si può affermare che la temperatura è correlata all'energia cinetica media delle particelle, ma la sua definizione è di tipo puramente operativo nel senso che per definire e misurare questa proprietà è necessario avere a disposizione un termometro. Celsius, sfruttando il principio della dilatazione termica dei liquidi, costruì , in modo convenzionale, un termoscopio costituito da un tubo di vetro con all’interno del mercurio, assegnando, alla pressione di 1 atm, al ghiaccio fondente la temperatura di 0 °C e all'acqua bollente la temperatura di 100 °C. Egli operò rispettando le seguenti fasi: • immerse il termoscopio in un becker contenente ghiaccio ed assegnò al livello raggiunto dal mercurio la temperatura di 0°; • successivamente immerse lo stesso termoscopio in acqua portata all’ebollizione ed assegnò al livello raggiunto dal mercurio la temperatura di 100°; • divise lo spazio rappresentato dai due livelli in 100 parti uguali e postulò che ogni spazio rappresentava un grado centigrado (grado Celsius). 63 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno In questo modo aveva operativamente costruito un termometro, aveva dato una definizione operativa della temperatura e aveva creato la scala della temperatura in gradi centigradi (o Celsius). Esistono tuttavia altre scale per la misura della temperatura: • la scala Kelvin è costruita partendo dal dato sperimentale che la più bassa temperatura Celsius raggiungibile corrisponde a -273,15°C in quanto a tale temperatura si annulla il volume e quindi il gas non esiste. Tale valore rappresenta lo zero assoluto delle temperature. La scala delle temperature assolute si ottiene quindi aggiungendo alla temperatura in gradi Celsius il valore 273,15 °C. T(K) = t (°C) + 273,15 Così, ad esempio, lo zero della scala Celsius corrisponde a 273,15 K, mentre l'acqua bolle a 373,15 K. Quella Kelvin è la scala delle temperature assolute (nel S.I. il Kelvin è l‟unità di misura della temperatura). • la scala Fahreneit nella quale al ghiaccio fondente ad 1 atm. di pressione è assegnata convenzionalmente una temperatura di 32 °F, mentre all'acqua bollente è assegnata convenzionalmente la temperatura di 212 °F . A differenza della scala centigrada dunque, dove tale intervallo è diviso in 100 gradi, nella scala Fahreneit è suddiviso in 180 gradi. Un grado Fahreneit risulta perciò più piccolo di un grado centigrado. La relazione che correla la temperatura in gradi Fahreneit alla temperatura in gradi centigradi è la seguente: t(°F) = ( 9/5 t(°C) +32) La Pressione La Pressione si definisce come il rapporto tra l‟intensità di una forza che agisce perpendicolarmente su una superficie e la superficie stessa: L’unità di misura della pressione nel S.I. è il Pascal (Pa) che è la pressione eserci tata su una superficie di un m2 da una forza di un Newton. Esperimento di Torricelli Evangelista Torricelli valutò la pressione atmosferica attraverso un esperimento. Egli riempì completamente un tubo di vetro chiuso ad una estremità lungo un metro con del mercurio. Successivamente capovolse il tubo in una vaschetta contenente sempre mercurio, facendo attenzione a non far entrare aria nel tubo stesso, e misurò il livello del mercurio. Si accorse che la colonnina di mercurio si stabilizzò fino all’altezza di 760 mm e giustificò questo fenomeno immaginando che il peso del mercurio controbilanciasse la pressione che l’aria atmosferica esercitava sul mercurio nella vaschetta. Volendo valutare la pressione in Pascal lo si può fare applicando la legge di Stevino: nella quale ρ è il peso specifico del mercurio, g l’accelerazione di gravità e hHg l’altezza del mercurio nel tubo. Ma in questo modo venne anche introdotta un‟altra unità di misura molto utilizzata: l’atmosfera (atm). La pressione atmosferica normale è definita come il peso che la colonna d’aria dell’atmosfera terrestre esercita a livello del mare a 15 °C, ad una latitudine di 45° e con umidità relativa pari allo 0%. Sottomultiplo dell‟atmosfera è, naturalmente, il mmHg o torr in onore di Torricelli. Altre unità di misura della pressione sono: Il Bar definito, nel sistema cgs, come la forza esercitata da 106 dine su 1 cm2 (1 dina è la forza che, applicata alla massa di 1 g produce un'accelerazione di 1 cm/s2). 1bar = 105 Pa = 0.987 atm Sottomultiplo del Bar e il millibar (mbar): 1 Bar = 1000 mbar 2 2 Il chilogrammo su cm (kg/cm ) 1kg/cm2 = 98066 Pa = 0.968 atm 64 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno La Mole Per la definizione e il concetto di mole si rimanda alla trattazione fatta nel testo del primo anno. E’ però importante, per lo studio dei gas, introdurre il Principio di Avogadro e, attraverso questo, definire il volume molare. Il Principio di Avogadro: il Volume Molare Prima di procedere alla formulazione del Principio di Avogadro è necessario definire quelle che, per convenzione, sono le condizioni normali di un gas. Si dice che un gas è in condizioni normale quando la temperatura alla quale si trova è 0°C (273.15 K) ed esercita la pressione di una atmosfera. Agli inizi dell'800, Amedeo Avogadro formulò l'ipotesi che “nelle stesse condizioni di pressione e di temperatura volumi uguali di gas diversi contengono lo stesso numero di molecole”. Poiché questa ipotesi non è mai stata finora contraddetta da nessuna osservazione sperimentale, essa è accettata come un principio. In sostanza, per il principio di Avogadro, il volume occupato da 1 mole di un qualsiasi gas (volume molare, Vm) deve essere lo stesso a prescindere dalla composizione del gas e ciò si evince analizzando la tabella sottostante. Volume molare in litri di alcuni gas in condizioni normali: Idrogeno 22.43 Azoto 22.40 Ossigeno 22.39 Metano 22.38 Ammoniaca 22.14 Monossido di carbonio 22.40 Protossido d’azoto 22.27 Anidride carbonica 22.26 Sperimentalmente si è visto che 1 mole di un gas qualunque in condizioni normali (0°C e 1 atm) occupa un volume di 22,414 litri, detto appunto volume molare. Ma se è vero che il principio di Avogadro dice “volumi uguali di gas diversi misurati nelle stesse condizioni di temperatura e pressione contengono lo stesso numero di molecole”, sarà altrettanto vera la riflessione secondo la quale “lo stesso numero di molecole di gas nelle stesse condizioni di temperatura e pressione occupano lo stesso volume”. 3. Le leggi dei gas Le ricerche sperimentali effettuate sullo stato aeriforme (a partire dai lavori di Robert Boyle verso la metà del Seicento) dimostrarono che se un gas è sufficientemente rarefatto (bassissima pressione) e/o possiede una temperatura elevata (basso valore delle forze intermolecolari), il suo comportamento fisico risulta indipendente dalla sua natura chimica e il gas che si trova in queste condizioni viene definito ideale. Le particelle che compongono il gas “ideale” possono quindi essere considerate come punti materiali le cui interazioni dipendono esclusivamente dal loro numero per unità di volume e dalla loro energia cinetica media. Caratterizziamo il gas ideale. Un gas si dice ideale o perfetto quando: • ogni massa gassosa è costituita da un numero enorme di particelle indistinguibil i ed identiche per una stessa specie chimica; • le particelle del gas si considerano sferette rigide indeformabili, di dimensioni tali da essere rappresentate come oggetti puntiformi, il cui volume è una frazione trascurabile del volume del recipiente che le contiene; • le particelle si muovono in un moto continuo e caotico, con la conseguenza che tutte le direzioni del moto sono ugualmente probabili; • nell'intervallo di temperatura e di pressione in cui vale l'ipotesi di gas perfetti, le forze di interazione tra le molecole si considerano praticamente nulle, così che il moto delle molecole tra un urto e l'altro è rettilineo ed uniforme; • gli urti delle particelle contro le pareti del recipiente sono perfettamente elastici, per cui l'energia cinetica si conserva. E' evidente che un gas perfetto in realtà non esiste e si tratta solo di una utile astrazione al fine di legare le variabili macroscopiche P,V,T. Ma in opportune condizioni di pressione molto bassa il comportamento di un gas reale si avvicina a tale modello ideale. Le leggi sui gas perfetti sono tre. Sono state ottenute mantenendo costante una delle tre variabili (P,V,T) ed osservando sperimentalmente la relazione esistente nelle variazioni delle due rimanenti. 65 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Legge di Boyle Nel 1662 Boyle dimostrò che mantenendo costante la temperatura, il volume di una data massa di gas è inversamente proporzionale alla pressione esercitata su di esso. Questo vuol dire che in una trasformazione (compressione o espansione), a temperatura costante, prendendo due stati dello stesso gas, che chiamiamo 1 e 2, il prodotto tra la pressione per il volume dello stato 1 sarà esattamente uguale al prodotto tra la pressione e il volume dello stato 2: P1 x V1 = P2 x V2 = k ed in definitiva: PV = k La curva che si ottiene ponendo in ascisse il volume ed in ordinata la pressione è un ramo di iperbole equilatera detta isoterma. Si evince dai dati sperimentali che a diverse temperature si ottengono diverse isoterme ed in particolare aumentando la temperatura l'isoterma si sposta verso l'esterno. Legge di Charles o 1a legge di Gay-Lussac Nel 1787 il francese J.A.C. Charles dimostrò che gas diversi mantenuti a pressione costante subiscono la stessa dilatazione quando vengono portati da 0°C a 100°C. Nel 1802 Gay-Lussac, riprendendo le esperienze di Charles, formulò una relazione che lega il Volume alla Temperatura mantenendo la pressione costante Vt=V0(1 +αt) dove: α è il coefficiente di espansione e vale 1/273 Vt = Volume alla temperatura di t°C V0 = Volume alla temperatura di 0°C In altre parole ogni aumento di 1°C della temperatura produce un aumento del volume pari ad 1/273 del volume che il gas occupava alla temperatura di 0°C. Infatti da cui si osserva che il volume alla temperatura di t°C (Vt) è pari al volume alla temperatura di 0°C (Vo) aumentato di un valore pari a t/273 del volume V0. La precedente relazione può essere ulteriormente scritta come: e ricordando che 273 + t (°C)= T (K) Poiché infine il volume a pressione costante e alla temperatura di 0°C assume sempre lo stesso valore, il rapporto Vo/273 è una costante. Se quindi esprimiamo la temperatura in gradi assoluti (Kelvin), la legge di Gay-Lussac afferma che il volume a P costante è direttamente proporzionale alla temperatura assoluta secondo la seguente relazione: 66 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Il valore della costante di proporzionalità K dipende ovviamente dalla pressione alla quale si propone l'esperimento e dalla quantità di gas che si considera. Se in ascissa poniamo la temperatura in gradi centigradi, la retta incontra l'asse delle ordinate in Vo. e quello delle ascisse in -273. Se in ascissa poniamo la temperatura assoluta la retta attraversa l'origine. La retta ottenuta è detta isobara. Naturalmente i valori espressi dalla retta hanno significato solo fino ad una certa temperatura, al di sotto della quale il gas liquefa e diventa in pratica incomprimibile. Facendo comunque proseguire idealmente la retta (linea tratteggiata) si raggiunge lo zero assoluto ( -273°C) al di sotto del quale si otterrebbe il risultato assurdo di un volume negativo della materia. Tale temperatura è stata calcolata in modo preciso ed è risultata essere circa -273,15°C ( temperatura irraggiungibile). Anche in questo caso, così come per la legge di Boyle, è importante osservare che, in una trasformazione isobara di un gas, per due stati della trasformazione vale la relazione: 2a legge di Gay-Lussac Analogamente a quanto avviene nella prima legge di Gay-Lussac, la pressione di un gas a volume costante è direttamente proporzionale alla temperatura. Se si utilizza la temperatura espressa in gradi centigradi si ha: con: αt = 1/273 Pt = Pressione alla temperatura di t°C Po = Pressione alla temperatura di 0°C In altre parole, mantenendo costante il volume, ogni aumento di 1° della temperatura produce un aumento della pressione pari ad 1/273 della pressione che il gas esercitava alla temperatura di 0°C. Joseph Louis Gay-Lussac Infatti dove si osserva che la pressione alla temperatura di t°C (Pt) è pari alla pressione alla temperatura di 0°C (P0) aumentata di un valore pari a t/273 della pressione Po. La precedente relazione può essere ulteriormente scritta come: e ricordando che 273 + t (°C)= T (K) Poiché infine la pressione a volume costante e alla temperatura di 0°C assume sempre lo stesso valore, il rapporto Po/273 è una costante. Se quindi esprimiamo la temperatura in gradi assoluti (Kelvin), la legge di Gay-Lussac afferma che la pressione a V costante è direttamente proporzionale alla temperatura assoluta e può essere rappresentata come una retta passante per l’origine di equazione: 67 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Anche qui, come per le leggi di Boyle e di Charles, si può affermare che tra pressione e temperatura per due stati di una trasformazione a volume costante vale la relazione: Equazione di stato dei gas ideali Le tre leggi dei gas prima viste possono essere opportunamente combinate ottenendo una legge più generale detta equazione di stato dei gas ideali. Supponiamo che una mole di gas si trovi inizialmente alla temperatura di 0°C, eserciti la pressione P0 e occupi un volume V0. Supponiamo di riscaldare il gas fino alla temperatura t (°C) mantenendo costante la pressione. Per la legge isobara avremo: Ora, mantenendo costante la temperatura, facciamo variare la pressione fino a un valore generico P. Il gas e assumerà un nuovo volume generico V che dovrà soddisfare la legge di Boyle: ovvero: da cui: Introducendo la temperatura assoluta (T = t + 273) si ha: Se ci riferiamo ad una sola mole di gas, assumendo per la pressione iniziale P0 il valore normale (P0 = 101325 Pa) e per il volume il valore del volume molare (V0 = 22.414 L/mol), il termine P0 ·V0 /273 assume un valore ben definito che si indica abitualmente con la lettera R e rappresenta la costante universale dei gas. Si ha quindi: PV = RT Per il calcolo di R si sostituiscono i valori numerici di P0 e V0 e si ottiene: essendo 1Pa = N/m2 Se, invece, come unità di misura della pressione si usa l’atm si ha: PV = nRT che rappresenta l’equazione di stato dei gas ideali. Essa è valida con buon approssimazione anche per i gas reali alle condizioni ambientali di temperatura e pressione. In condizioni differenti si ha di una forma modificata di equazione di stato detta equazione di van der Waals. Pressioni parziali: Legge di Dalton Dalton, agli inizi del 19° secolo, osservò che “Quando due o più gas vengono mescolati in un recipiente, senza che tra essi avvenga alcuna reazione, la pressione totale esercitata dalla miscela gassosa è uguale alla somma delle pressioni che ciascun componente la miscela eserciterebbe se occupasse da solo tutto il recipiente (pressione parziale del componente)”. Se indichiamo con A e B due distinti gas contenuti nel medesimo volume V possiamo osservare che: P = PA + PB dove 68 sono le pressioni parziali che ciascun gas eserciterebbe, Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno se occupasse da solo il medesimo volume V. Ne risulta che: in cui nA e nB indicano rispettivamente il numero di moli del gas A e del gas B per cui in generale: La pressione parziale del generico componente iesimo sarà pari a: Ciascun componente gassoso si comporta dunque come fosse da solo e contribuisce alla pressione totale in proporzione al suo numero di moli. Se in un recipiente vi sono n1 moli del gas 1, n2 moli del gas 2,.....nn moli del gas n, l'effetto complessivo sarà equivalente alla presenza di n1+ n2 +......+ nn = n moli di un unico gas nel recipiente. da cui: Dividendo membro a membro l'equazione di stato di ciascun componente per l'equazione di stato della miscela si ottiene: dalla quale, ricordando che la frazione molare di un componente all’interno di un miscuglio è: si ricava la seguente relazione alternativa per la legge di Dalton, valida per il generico componente iesimo: La legge di Dalton, quindi, può anche essere espressa nel seguente modo: "la pressione parziale di un componente gassoso è pari al prodotto tra la sua frazione molare e la pressione totale della miscela". Legge di Amagat La legge di Amagat, riguardante i volumi dei singoli gas appartenenti alla miscela gassosa, è analoga alla legge di Dalton sulle pressioni parziali ed è enunciata nel seguente modo: “il volume occupato da una miscela gassosa costituita da n componenti che, non reagiscono tra loro, è uguale alla somma dei volumi che ciascun gas occuperebbe nelle stesse condizioni di pressione e temperatura”. dove Importante è il calcolo del peso molecolare di una miscela di gas. Questo in pratica è una medi a ponderata dei pesi molecolari ( PM ) dei singoli gas: e ricordando la definizione di frazione molare si ha: 69 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno 4. Densità dei gas Anche per i gas, come per i solidi e i liquidi, possiamo definire la densità assoluta come: ed essendo V, come già visto, una funzione variabile rispetto a T e P anche la densità d sarà una funzione di T e P. Infatti: da cui: La densità di un gas pertanto aumenta al diminuire della temperatura, all’aumentare della Pressione e del PM (Peso molecolare) del gas. I valori delle densità dei gas sono, ovviamente, molto più bassi rispetto a quelli di liquidi e solidi. Molto spesso però si parla di densità relativa di un gas rispetto ad un altro. Supponiamo che sia d1→2 la densità del gas 1 rispetto a quella del gas 2 d2→1 la densità relativa del gas 2 rispetto a quella del gas 1. Le densità assolute dei gas 1 e 2 sono: La densità del gas 1 rispetto a quella del gas 2 è: Ricavando le masse dei due gas dall’equazione di stato del gas ideale e sostituendole nell’equazione precedente si ha: da cui, dopo aver fatto le opportune semplificazioni, è evidente che la densità relativa è data dal rapporto tra i pesi molecolari dei due gas. ESERCIZI DA SVOLGERE 1) Calcolare il volume che un gas, inizialmente in condizioni normali, occupa quando la sua pressione viene portata a 64000 Pa mantenendo la temperatura costante. 2) Un gas, inizialmente alla pressione di 200000 Pa, viene fatto espandere isotermicamente fino ad occupare un volume uguale al triplo del volume iniziale. Calcolare la pressione, in pascal e in atmosfere, che il gas esercita dopo l’espansione. 3) In un recipiente del volume di 2 L è stato introdotto idrogeno alla pressione di 5 atm e alla temperatura di 28 °C. Quale sarà il nuovo valore di pressione (in Pa) se la temperatura viene portata a 430 K? 4) Una certa quantità di ossigeno, posta all’interno di un cilindro munito di pistone viene portata, isobaricamente, da 30 °C a 768 K. Calcolare quanto è l’aumento del volume rispetto al volume iniziale. 5) Un gas inizialmente alla pressione di 23 atm è portato a volume costante dalla temperatura di 12 °C alla temperatura di 128 °C. Calcolare la pressione finale in Pascal. 6) Calcolare il volume che 100 g di azoto elementare occupano alla pressione di 230000 Pa ed alla temperatura di 28 °C. 7) Quale pressione esercita un gas, inizialmente alla temperatura di 25 °C, alla pressione di 3 atm ed occupante il volume di 13 L, quando viene fatto espandere fino al volume di 50 L e portato alla temperatura di 100 °C. 70 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno MODULO 6 L’EQUILIBRIO CHIMICO • Reazioni reversibili e irreversibili • Costanti di equilibrio e relazioni tra le stesse • L’equilibrio chimico • Il principio di Le Chatelier 1. Reazioni reversibili e reazioni irreversibili Sono irreversibili (o complete) le reazioni in cui tutta la massa dei reagenti scompare per formare prodotti. Questi casi non rappresentano però la norma, poiché spesso le reazioni si arrestano prima che i reagenti siano del tutto consumati cioè la trasformazione dei reagenti in prodotti avviene solo parzialmente. In ogni caso il risultato finale di una reazione non è un prodotto puro ma una miscela di reagenti e prodotti la cui composizione dipende dal tipo di reazione e dalle condizioni in cui questa si verifica: le definiamo reazioni reversibili. Sono reversibili ( o incomplete ) le reazioni nelle quali si instaura una condizione di equilibrio tra reagenti e prodotti, le cui quantità si mantengono costanti nel tempo. La condizione di equilibrio si instaura perché i prodotti della reazione, mano a mano che si formano, reagiscono a loro volta per ricostituire i reagenti iniziali. 2. L’equilibrio chimico Per chiarire cosa accade in un processo reversibile, consideriamo una generica reazione che avviene a temperatura costante: → cC + dD aA + bB ← La doppia freccia indica che si tratta di un equilibrio chimico e che la reazione avviene contemporaneamente nelle due direzioni. All’inizio della trasformazione avviene esclusivamente la reazione diretta, la cui velocità Vdir, è proporzionale alla concentrazione dei reagenti ed è molto elevata. Mentre la reazione procede, le concentrazioni dei reagenti diminuiscono, aumentano le concentrazioni dei prodotti di reazione ed avviene contemporanemente anche la reazione inversa, la cui velocità Vinv è naturalmente proporzionale alla concentrazione dei prodotti di reazione. Pertanto all’inizio della trasformazione, la velocità della reazione diretta è maggiore di quella inversa ( Vdir > Vinv ), in quanto nell‟ambiente di reazione sono presenti essenzialmente reagenti e pochi prodotti ; nelle fasi iniziali della reazione si verificherà quindi: da cui separando le costanti dai termini concentrazione si ha: Durante una reazione qualsiasi la conoscenza delle concentrazioni molari dei reagenti e dei prodotti ci permette di calcolare il rapporto definito quoziente di reazione ed indicato con la lettera Q. 71 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Con il procedere della reazione, da sinistra verso destra, a temperatura costante, le concentrazioni dei reagenti diminuiscono mentre quelle dei prodotti aumentano. Il quoziente di reazione, durante la trasformazione chimica, tende quindi ad aumentare sino a quando le due velocità (diretta ed inversa ) dinentano uguali. Vdir = Vinv Quindi possiamo ancora scrivere che: da cui si ricava il quoziente di reazione definito in questo caso Costante di Equilibrio Una possibile descrizione grafica (velocità di reazione/coordinata di reazione) è rappresentata nella figura sottostante. Il punto in cui le due velocità (diretta e inversa) si uguagliano determina la condizione di equilibrio. La reazione sembra ferma ma, in realtà, essa continua senza che vi sia una variazione nelle concentrazioni raggiunte, pertanto l’equilibrio così definito è detto dinamico, cioè particelle di reagenti si trasformano in prodotti e contemporaneamente particelle di prodotti si trasformano in reagenti. Il valore della Costante di Equilibrio è caratteristico per ogni reazione e varia solo in funzione della temperatura, mentre è indipendente da ogni altra condizione (pressione, concentrazione, catalizzatori etc). Tale relazione è fondamentale nella descrizione degli equilibri chimici ed è nota come legge di azione di massa o legge di Guldberg-Waage che afferma: “in una reazione chimica che ha raggiunto l'equilibrio, il rapporto tra il prodotto delle concentrazioni dei prodotti e quello dei reagenti, ciascuna elevata al proprio coefficiente stechiometrico è una costante.” 3. Costanti di equilibrio e relazioni tra le stesse Riprendiamo la reazione generale vista precedentemente → cC + dD aA + bB ← se essa avviene tra sostanze gassose è utile esprimere la costante di equilibrio come rapporto tra le pressioni parziali (pressioni che avrebbero ciascun componente se da soli occupassero l’intero recipiente di reazione) La costante che si ottiene in questo caso è detta kp. tenendo conto che la pressione parziale del reagente A vale 72 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno e che la stessa relazione vale anche per tutte le altre specie chimiche gassose, possiamo esprimere la kp in funzione delle molarità dei singoli reagenti Dove Δn rappresenta la differenza tra i coefficienti stechiometrici dei prodotti di reazione e i coefficienti stechiometrici dei reagenti. Tale relazione ci permette di affermare che, per una medesima reazione, il valore di kc coincide con il valore di kp solo se reagenti e prodotti sono presenti con lo stesso numero di moli in quanto Δn=0, quindi È inoltre possibile esprimere la costante di equilibrio in funzione del numero di moli presenti all’equilibrio. La costante che si ottiene è detta kn. E’ semplice verificare che tra kc e kn esiste la seguente relazione Il valore assunto dalla costante di equilibrio (kc, kp o kn) ci informa se la reazione avviene in modo più o meno completo. Se il valore della costante di equilibrio è elevato (in genere molto maggiore di 1), significa che il numeratore è molto più grande del denominatore: l'equilibrio viene cioè raggiunto quando le concentrazioni dei prodotti di reazione sono molto più grandi delle concentrazioni dei reagenti. In tal caso si dice che l'equilibrio è spostato verso destra (verso i prodotti). Se il valore della costante di equilibrio è basso (in genere molto minore di 1), significa che il numeratore è molto più piccolo del denominatore: l'equilibrio viene cioè raggiunto quando le concentrazioni dei reagenti sono molto più grandi delle concentrazioni dei prodotti di reazione . In tal caso si dice che l'equilibrio è spostato verso sinistra (verso i reagenti). Si tenga presente che il valore della costante di equilibrio non fornisce alcuna indicazione sulla velocità della reazione, la quale dipende essenzialmente dall'energia di attivazione, dalla temperatura e dalle concentrazioni dei reagenti. I valori delle costanti di equilibrio sono, per le diverse trasformazioni, tabulati. Conoscendo tali valori possiamo ricavare le concentrazioni delle specie chimiche all'equilibrio. L’unità di misura delle costanti di equilibrio varia a seconda della stechiometria della reazione ed in genere sarà pari per la kc a (mol l -1)Δn per la kp a (atm )Δn e per kn a (mol)Δn 4. Il principio di le chatelier Di particolare interesse pratico nello studio degli equilibri chimici è l'analisi dei fattori che in qualche modo possano influire sull'equilibrio, spostandolo verso le specie chimiche che si desidera ottenere. Il principio di Le Chatelier, o principio dell equilibrio mobile, ci offre un criterio generale per prevedere lo spostamento di un equilibrio in relazione a sollecitazioni esterne. Il principio afferma che quando l’equilibrio chimico di un sistema è perturbato da fattori esterni esso tende a mantenere inalterato il suo equilibrio reagendo in modo da controbilanciare, per quanto possibile, l’effetto dell’azione perturbatrice. Vi sono in generale tre modi per perturbare un equilibrio chimico: 1) Cambiare le concentrazioni dei reagenti o dei prodotti 2) Modificare la temperatura del sistema 3) Se sono presenti dei gas (reagenti o prodotti), variare la pressione cui sono sottoposti ( ossia variare il volume a disposizione) 73 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Prima di analizzare le diverse perturbazioni cui può essere sottoposto un equilibrio chimico e gli spostamenti relativi, prevedibili sulla base del principio di Le Chatelier, ricordiamo che il valore della costante di equilibrio viene modificato solo da variazioni della temperatura, mentre rimane costante per ogni altra modificazione delle condizioni sperimentali. 1) Variazione delle concentrazioni delle specie presenti all’equlibrio chimico Applicando il principio di Le Chatelier possiamo prevedere che in risposta ad una variazione della concentrazione di una delle specie chimiche che partecipa alla reazione, l'equilibrio si sposta verso destra o sinistra in modo da mantenere sempre lo stesso valore della Kc. PERTURBAZIONE EFFETTO PERTURBAZIONE EFFETTO Aumento di un reagente o dimunuizione di un prodotto spostamento a destra Diminuzione di un reagente o aumento di un prodotto spostamento a sinistra 2) Variazione della pressione Le variazioni della pressione delle specie presenti all’equilibrio chimico, incidono solo sulle reazioni che decorrono in fase gassosa, in quanto liquidi e solidi sono praticamente incomprimibili. In base al principio di Le Chatelier possiamo prevedere che una reazione in fase gassosa reagisca ad un aumento di pressione esterna spostando il suo equilibrio in modo da rendere minimo tale aumento. PERTURBAZIONE EFFETTO PERTURBAZIONE EFFETTO PERTURBAZIONE EFFETTO PERTURBAZIONE EFFETTO Moli reagenti > moli prodotti Aumento di P Diminuzione di P spostamento a destra spostamento a sinistra Moli reagenti < moli prodotti Aumento di P Diminuzione di P spostamento a sinistra spostamento a destra Moli reagenti = moli prodotti Aumento o diminuzione di P Nessuno Reattivi e prodotti tutti solidi,liquidi o in soluzione Aumento o diminuzione di P Nessuno 3) Variazione della temperatura In base al principio di Le Chatelier una reazione reagisce ad un aumento di temperatura modificando le condizioni di equilibrio al fine di rendere minimo l'effetto dell'apporto di calore. Lo spostamento sarà quindi differente a seconda che la reazione sia esotermica o endotermica. Per prevedere in modo semplice le variazioni dell'equilibrio è possibile trattare il calore di reazione come un reagente nelle reazioni endotermiche e come un prodotto di reazione nelle reazioni esotermiche. reazione endotermica →C + D A + B + calore ← reazione esotermica → C1 + D1 + calore A1 + B1 ← PERTURBAZIONE EFFETTO PERTURBAZIONE EFFETTO 74 Reazione esotermica Aumento di T Diminuzione di T spostamento a sinistra spostamento a destra Reazione endotermica Aumento di T Diminuzione di T spostamento a destra spostamento a sinistra Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno MODULO 7 ACIDI E BASI • Cosa sono gli acidi e le basi • Il pH • Misura del pH • Teorie acido base • La forza relativa degli acidi e delle basi • Esercizi • Equilibri acido-base: i sistemi coniugati 1. Cosa sono gli acidi e le basi? Acidi e basi sono di grande utilità nella vita di tutti i giorni: termini come pH, neutralità, acidità e basicità, sono entrati a far patte del linguaggio quotidiano. Se prendiamo in considerazione i prodotti che si utilizzano in casa, scopriamo che gli acidi sono utilizzati per sciogliere determinate sostanze, depositi di calcare, che si formano intorno ai rubinetti o nel lavello o nei sanitari in genere. I preparati commerciali hanno come componenti principali l'acido cloridrico (HCl), l'acido fosforico (H3PO4), o l'acido acetico (CH3COOH ). L'acido acetico possiede un odore pungente infatti è il componente acido dell'aceto di vino ed è ciò che conferisce il sapore aceto ai vini scadenti. Le Basi trovano il loro maggior impiego come detergenti, da quelli per bucato a quelli per i pavimenti. Spesso, come sinonimo di basico, si usa il termine alcalino, (dall'arabo al-chaest), che richiama la cenere delle piante, un tempo usata proprio come detersivo per il bucato, in quanto ricca di carbonato di potassio (K2CO3) ! Anche l'uso del limone come deodorante è un’applicazione delle reazioni acido base: infatti, molte sostanze che sviluppano cattivi odori (le ammine che si formano dalla degradazione dei cibi) sono sostanze alcaline; il loro odore scompare quando reagiscono con acidi e si trasformano in Sali. Anche l’uso del comune bicarbonato ( NaHCO3 ) è un esempio di reazione acido-base. Le caratteristiche degli acidi e delle basi erano già note nei tempi passati: alcuni prodotti naturali, per esempio alimenti o detergenti manifestavano caratteristiche acide, evidenziabili mediante prove macroscopiche: - il sapore aspro (tipo limone) - la colorazione rossa impartita alle cartine al tornasole - la reazione spontanea con alcuni metalli, accompagnata dallo sviluppo di idrogeno gassoso Viceversa alcuni materiali possedevano caratteristiche basiche - il sapore amarognolo - la sensazione untuosa al tatto - la colorazione blu impartita alle cartine al tornasole 2. Teorie acido base Per spiegare tali comportamenti i chimici hanno cercato di trovare dei modelli per le reazioni acido/base. Può essere utile riportare in sequenza l'evoluzione del concetto di acido/base attraverso le teorie proposte da S. Arrhenius nel 1887, da Bronsted e Lowry nel 1923 e da Lewis nel 1916 TEORIA DI ARRHENIUS Nel 1887 Arrhenius, (nel 1903, Nobel per la Chimica) definì il concetto di acido e di base, partendo dal concetto che la materia fosse costituita da ioni che si dissociavano in acqua. 75 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Un acido, secondo Arrhenius è una specie chimica che in acqua si dissocia liberando ioni H+, mentre una base è una specie chimica che in acqua si dissocia liberando ioni OH-. In generale, indicando con HA un acido , la sua dissociazione in acqua può essere così schematizzata: mentre indicando con BOH una base la sua dissociazione in acqua viene così schematizzata: il simbolo ( aq ) indica che le molecole e gli ioni sono idratati cioè circondati da molecole di acqua. La teoria si basa sui seguenti punti: 1) ha come riferimento le soluzioni acquose; 2) ipotizza che le sostanze siano costituite da ioni, in particolare lo ione H+ o lo ione OH-, che possono essere “liberati” grazie alla forza dell‟acqua; 3) considera l'acqua solamente come il solvente che favorisce la “dissociazione ionica” delle sostanze e non partecipa attivamente alle reazioni. ESEMPI DI ACIDI: Le sostanze che hanno nella formula atomi di idrogeno (H), per esempio HCl (Acido cloridrico) HNO3 (Acido nitrico), H2SO4, (Acido solforico) sono acidi, secondo Arrhenius, in quanto in acqua liberano ioni H+ secondo le reazioni: l’acido solforico ha due idrogeni e libera 2 ioni H+ ESEMPI DI BASI Le sostanze che hanno nella formula gruppi OH(ossidrili), per esempio NaOH (Idrossido di sodio), KOH (Idrossido di potassio) Ca(OH)2(Idrossido di calcio) NH4OH (Idrossido di ammonio) sono basi, secondo Arrhenius, in quanto in acqua liberano ioni OH- secondo le reazioni: l’idrossido di calcio ha due gruppi ossidrile e libera 2 ioni OHLa definizione di Arrhenius è stata rivoluzionaria e ancora oggi spiega bene la reattività degli idrossidi ionici che in acqua si comportano da basi, ma non spiega il comportamento da base di composti come l’ammoniaca (NH3) e il carbonato di sodio (Na2CO3 ) in acqua pur non possedendo gruppi OH. Inoltre, in acqua, non è rilevata la presenza di protoni isolati (H+). A causa di questi limiti la teoria di Arrhenius non può essere di applicazione generale. TEORIA DI BRÖNSTED-LOWRY La teoria di Brönsted-Lowry allarga il concetto di acidità e basicità anche a soluzioni non acquose, non presuppone l’esistenza di ioni OH- nelle basi e spiega il comportamento di acido o di base con il trasferimento del protone H+ tra una coppia di specie chimiche. Un acido, secondo Brönsted-Lowry è una specie chimica che è in grado di cedere protoni H+ ad un’altra specie chimica che si comporta da base. Si definisce, invece, base una specie chimica che accetta protoni H+ da un’altra specie chimica la quale si comporta da acido. REAZIONE DI UN ACIDO, HA, in H2O: HA + H2O → H3O+ + AREAZIONE DI UNA BASE, B, in H2O: B + H2O → OH- + BH+ 76 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno L’acqua è un acido o una base? Come si osserva dalle reazioni precedenti H2O può comportarsi da base, quando reagisce con gli acidi e da acido quando reagisce da base: questo comportamento viene detto anfotero. ESEMPI DI ACIDI Le specie chimiche che hanno nella formula idrogeni H, per esempio HCl (Acido cloridrico), HNO3 (Acido nitrico), H2SO4, (Acido solforico) sono acidi quando cedono ioni H+: le reazioni in acqua sono: HCl + H2O → H3O+ + ClHNO3 + H2O → H3O+ + NO3H2SO4 + H2O → H3O+ + HSO4- l’acido solforico ha due idrogeni e cede 2 ioni H+ in due reazioni consecutive HSO4 -+ H2O → H3O+ + SO42ESEMPI DI BASI Le specie chimiche che hanno coppie di elettroni di non legame, per esempio NH3 (Ammoniaca), RNH2 (Ammine primarie) o gli ioni CO3 2- (ionecarbonato) sono basi in quanto acquistano ioni H+: Le reazioni in acqua sono: NH3 + H2O → OH- + NH4+ RNH2 + H2O → OH- + RNH3+ CO32-+ H2O → OH- + HCO3lo ione carbonato ha due coppie di e- di non legame e acquista 2 ioni H+ in due reazioni consecutive HCO3-+ H2O → OH- + H2CO2In questi esempi l’acqua partecipa direttamente alla reazione mentre secondo Arrhenius svolge solo il ruolo di solvente. La teoria di Brönsted-Lowry è successiva a quella di Arrhenius e si basa sulle conoscenze della struttura covalente delle molecole, pertanto è più coerente con il reale comportamento acido/base delle specie chimiche, per esempio giustifica il comportamento da base di una sostanza come l’ammoniaca NH3, che non possiede gruppi OH nella molecola. Anche se la teoria di Arrhenius permette di scrivere la reazione di un idrossido, Me(OH)n dove per Me si intende un generico elemento metallico, come dissociazione ionica, la teoria di Brönsted- Lowry interpreta comunque il comportamento acido – base in soluzione acquosa e lo generalizza a tutte le coppie acido – base in grado di scambiarsi protoni. 3. Equilibri acido base: i sistemi coniugati Riprendiamo alcuni concetti fondamentali e consideriamo un acido o una base come un sistema in equilibrio chimico, la definizione di acido secondo Brönsted-Lowry sarà utilissima per questa trattazione L'equazione chimica per l’acido HA diventa: Si definisce base coniugata di un acido, HA, la specie chimica, A- ottenuta dopo che l'acido ha ceduto il protone, H+. Il sistema HA/A- si definisce coppia coniugata HF è un esempio di acido di Bronsted-Lowry che reagisce con acqua secondo la reazione e forma la base coniugata F-. Analogamente HNO2 è un acido e reagisce con acqua secondo la reazione e forma la base coniugata NO2-. L'equazione chimica per la base B diventa: 77 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Si definisce acido coniugato di una base B, la specie chimica ottenuta dopo che la base haacquistato il protone, H+ e si indica con BH+ . Il sistema B / BH+ , si definisce coppia coniugata NH3 è un esempio di base di Brönsted-Lowry e reagisce con acqua secondo la reazione e forma l‟acido coniugato NH4+ Una reazione generica tra un Acido 1 e una Base 2 si può scrivere come reazione di equilibrio con le coppie coniugate Acido1/Base 1 e Base 2/Acido 2 Tutte le reazioni precedenti sono state scritte come delle reazioni di equilibrio (doppia freccia). Questa rappresentazione è più generale rispetto a quella che vede i reagenti trasformarsi completamente in prodotti. Il fatto che acidi o basi si ionizzino completamente in soluzione acquosa rappresenta il caso di acidi e basi forti (equilibrio spostato verso destra). Ciò implica che se un acido è completamente ionizzato (acido forte) genera una base coniugata debole e, viceversa, una base completamente ionizzata (base forte) genera un acido coniugato debole. In tutti gli altri casi le reazioni sono sempre degli equilibri. Dalla tabella seguente si può notare che ad un acido forte corrisponde una base coniugata debole e viceversa acidità massima ↑ acido A1 base B1 HCIO4 CIO4- HMnO4 HCIO3 basicità - MnO4 minima ↓ - CIO3 ↑ H2SeO4 HSeO4 ↓ ↑ HI I- ↓ ↑ HBr Br- ↓ HCI - ↓ ↑ ↑ - CI 2- ↓ HCIO2 - CIO2 ↓ ↑ HNO2 - NO2 ↓ ↑ HF F- ↓ ↑ CH3COOH CH3COO- ↑ - HSO4 SO4 ↓ ↑ HCIO CIO ↓ ↑ + NH3 ↓ NH4 - ↑ HCO3 CO3 ↓ ↑ H2O2 HO2- ↓ ↑ H2O OH- ↓ acidità HS- S2- basicità minima - 2- - OH O 2- massima TEORIA DI LEWIS In base alla teoria di Lewis "si definisce acido una specie chimica in grado di accettare una coppia di elettroni (LONE PAIRS) da un'altra e base una specie chimica che cede una coppia di elettroni”. Questa teoria include composti che non erano considerati acidi o basi né da Arrhenius né da Brönsted e Lowry e vengono chiamati acidi di Lewis e basi di Lewis. Sono acidi di Lewis : BF3 , AlCl3 , H+ , Na+ , SO4Sono basi di Lewis : NH3 , OH- , H2O , Cl-. 78 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno acido + → prodotto - base H3O + OH → 2 H2O BF3 + NH3 → H3N → BF3 AICI3 + CI- → AICI4- + La teoria di Lewis estende ulteriormente le definizione di acido e base anche a specie chimiche che non scambiano protoni. ESEMPI DI REAZIONI TRA UN ACIDO E UNA BASE DI LEWIS Le specie chimiche che hanno atomi con pochi elettroni di valenza, per esempio AlCl3 (nel cloruro di alluminio l’Al non ha l’ottetto completo), Cu++ (ione rame con configurazione elettronica esterna incompleta) sono acidi in quanto possono formare un legame con un donatore di coppie di elettroni (legante) Le specie chimiche che hanno atomi con almeno una coppia di elettroni di non legame, per esempio Cl- (Ione cloruro), NH3 (Ammoniaca), sono basi in quanto possono formare un legame con un accettore di coppie di elettroni. Riepilogando: Acido : in soluzione acquosa libera ioni H+ ARRHENIUS Base : in soluzione acquosa libera ioni OHAcido: in grado di donare ioni H+ BRÖNSTED e LOWRY Base : in grado di acquistare ioni H+ Acido: in grado di accettare coppie di elettroni LEWIS Base : in grado di cedere coppie di elettroni 4. Il pH Il sistema di riferimento per confrontare il comportamento acido/base delle diverse soluzioni acquose è rappresentato dall'acqua pura: poiché è una specie anfotera, può comportarsi da acido e cedere uno ione H+ a un'altra molecola di acqua, che si comporta da base, secondo la reazione Tale equilibrio viene detto di autoprotolisi dell'acqua e la sua costante di equilibrio è data dalla relazione: Poiché l’acqua è il solvente, la sua concentrazione praticamente non cambia per effetto della scarsa ionizzazione e coincide in pratica con il valore che avrebbe se non fosse per niente dissociata. Dato che a 25°C la massa di 1 L d'acqua è circa 1000 g, si ottiene: Il valore ottenuto si ingloba nella Kc dando una nuova costante che viene indicata con Kw (dove w sta per water), chiamata prodotto ionico dell'acqua, quindi: 79 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno da cui Se si considera la reazione di autoprotolisi dell’acqua pura si evince che per ogni molecola di acqua dissociata si forma uno ione H3O+ e uno ione OH-. In condizioni di neutralità si ha che: Risolvendo l’equazione: si ottiene: Pertanto, nell'acqua pura, risulta ionizzata circa una molecola per ogni 500 milioni tale da determinare una conducibilità bassissima. Il valore di Kw rimane costante a 1.0.10-14 anche in presenza di altre specie chimiche che possono alterare l'equilibrio di autoprotolisi dell'acqua. La scala del pH I valori delle concentrazioni di [H3O+] e [OH-] sono molto basse, pertanto nel 1909, il chimico danese S. P. L. Sørensen (1868-1939), al fine di utilizzare numeri più semplici, introdusse un nuovo parametro chiamato pH (pi-acca"potential hydrogen".) definito come il logaritmo, cambiato di segno della concentrazione degli ioni H3O+ che da allora è diventato la misura dell’acidità o della basicità di una soluzione: pH = - log10 [H3O+] L’operazione può essere eseguita con una semplice calcolatrice, utilizzando la funzione log (il segno negativo prima del logaritmo rende positivi i valori di pH nel caso, comune, di soluzioni in cui la [ H+ ] <1.0 M. Poiché dall‟equilibrio di dissociazione per ogni molecola di H2O che si dissocia si forma uno ione H+ ed uno ione OH – ossia [ H+] = [ OH- ] quindi valido per soluzioni neutre. Quindi in una soluzione neutra quella in cui [H3O+] = [OH-] cioè [H3O+] = 10-7 mol/L Analogamente al pH si può calcolare il pOH tenendo presente la concentrazione degli ioni OH- Se viene aggiunto un acido si ha una soluzione acida: Se viene aggiunta una base si ha una soluzione basica: Per tutti i valori di pH vale la relazione: pKw = pH + pOH 80 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Nella tabella che segue sono riportati i valori delle concentrazioni e dei rispettivi pH e pOH Da notare che il pH è tanto minore quanto maggiore è l'acidità di una soluzione TABELLA pH di alcune soluzioni utilizzate nei laboratori pH di alcune soluzioni (a temperatura ambiente) Sostanza Conc. pH Sostanza Conc. pH acido acetico 1 2,4 ammonio cloruro 0,1 M 4,6 acido acetico 0,01 N 3,4 calcio idrossìdo sat 12,5 N 0,1 N 2,9 0,1 M 5,2 fenolo 0,1 M sat. 10,5 acido citrico 0,1 N 2,2 potassio allume 0,1 M 4,2 acido cloridrico 0,1 N 1,1 potassio cianuro 0,1 M 11,0 0,1 M 8,3 acido acetico acido borico acido carbonico acido cloridrico acido cloridrico acido formico acido fosforico acido ossalico sat. 1 N 0,01 N 3,8 0,1 2,0 ammonio solfato magnesio idrossido potassio fosfato KH2 PO4 0,1 M sodio acetato 0,1 M sodio bisolfato 0,1 M 0,1 N 2,3 sodio bicarbonato 0,1 N 1,6 sodio carbonato 0,1 N 5,5 6,0 4,5 8,9 1,4 0,1 M 11,6 N 0,3 sodio dietilbarbiturato 0,1 M acido solforico 0,1 N 1,2 sodio fosfato NaH2 PO4 0,1 M 4,5 acido tartarico 0,1 N sodio fosfato Na3PO4 0,1 N 12,0 sodio idrossido 0,1 N 13,0 9,2 acido solforico 1 1,5 0,1 M 0,01 N 2,1 sodio fosfato Na2HPO4 acido tricloroacetico 0,1 N 1,2 sodio idrossido ammoniaca 0,1 N 11,2 sodio idrossido 0,01 N ammoniaca 0,01 N 10,7 sodio tetra borato 0,1 N acido solforico ammoniaca 1 N 2,2 11,7 0,1 M 1 N 9,4 9,2 14,0 12,0 [A. Caudiano, C. Gaudiano, // laboratorio di chimica, Masson 1998] 81 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno 5. La forza relativa degli acidi e delle basi Ora che sappiamo come viene misurata l’acidità (o la basicità) di una soluzione poniamoci il quesito: come si può valutare la forza di un acido o di una base? La forza di un acido o una base di Brönsted-Lowry, dipende dalla tendenza a donare protoni o ad accettare protoni: si definiscono acidi forti (HCl, HBr, HI, HClO4, HNO3, H2SO4, ecc,), quelli che trasferiscono completamente il loro protone all'acqua; si definiscono acidi deboli quelli per cui la reazione di trasferimento di protone è di equilibrio. In sintesi la forza di un acido o di una base, viene espressa dalla costante di equilibrio della reazione di trasferimento del protone all acqua COSTANTE DI ACIDITÀ PER ACIDI DEBOLI Un acido generico HA debole, in acqua si dissocia secondo il seguente equilibrio: La costante di equilibrio Kc della reazione è data da: Poiché si può considerare costante la [H2O] perché la quantità di H2O che si dissocia è trascurabile, la inglobiamo nella costante di equilibrio Kc che chiameremo Ka: Ka è tanto più grande quanto più grande è il numeratore rispetto al denominatore, quanto più la reazione di dissociazione è spostata verso destra, quanto più forte è l’acido: Ka è la costante di dissociazione acida. Nell’espressione di Ka non compare [H2O], che risulta costante in quanto in grande eccesso perché si tratta del solvente. Ka ha un valore caratteristico per ogni acido e dipende dalla temperatura. Per una generica base B debole, in acqua si ha il seguente equilibrio : La costante di equilibrio è: Anche in questo caso la [ H2O ] la consideriamo costante e la inglobiamo nella Kc che chiameremo Kb: Kb è tanto più grande quanto più grande è il numeratore rispetto al denominatore,quanto più dissociata è la base, quanto più l’equilibrio è spostato verso destra. Kb è la costante di dissociazione basica. In modo analogo si definisce la costante di ionizzazione (o di dissociazione) di una base, detta costante di basicità la costante di equilibrio della reazione: Il valore della Ka e, analogamente della Kb, rappresenta la forza relativa di un acido o di una base, in altre parole, a parità di concentrazione, la Ka (o la Kb) ci permette di stabilire quale acido o quale base è più forte. Per esempio gli acidi ossigenati del cloro hanno una diversa forza acida: 82 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Si può notare che la maggior presenza di atomi elettronegativi (O) aumenta la forza di un acido perché permette alla base coniugata di distribuire meglio la carica negativa e di essere più stabile. Alcuni acidi e alcuni basi si considerano completamente dissociati e pertanto non hanno Ka o Kb: vengono detti acidi forti e basi forti. Gli acidi e le basi che possiedono una K di dissociazione sono definiti deboli. La forza di un acido o di una base, dipendono pertanto dal solvente con cui scambiano il protone, per cui un acido o base forte in un solvente generalmente non lo è nella stessa misura in un altro. 6. Misura del ph Il pH di una soluzione è di fondamentale importanza non solo per la chimica ma anche per la vita quotidiana di ciascuno di noi: è per questo motivo che sono stati messi a punto metodi sperimentali per misurare in pratica il valore di pH e metodi numerici per effettuare calcoli teorici. IN LABORATORIO: le misure di pH si possono realizzare in diversi modi, i più comuni sono A) con soluzioni colorate (Indicatori di pH) B) con cartine imbevute di tali indicatori Nella figura a destra si osservano le diverse colorazioni che assume la cartina all’indicatore universale in soluzioni a diverso pH C) con strumenti che, opportunamente tarati, misurano direttamente il valore GLI INDICATORI ACIDO BASE Le sostanze che si utilizzano per misurare il pH si chiamano indicatori acido-base. Gli indicatori acido-base sono sostanze organiche che hanno la caratteristica di assumere colori diversi a seconda del pH. In figura si osservano le diverse colorazioni che assume il succo di cavolo rosso in soluzioni a diverso pH. Tale proprietà è dovuta al fatto che essi possono cedere H+ e trasformarsi in anioni: ad esempio se si rappresenta un indicatore con la formula generale HInd, possiamo così scrivere il suo equilibrio di ionizzazione + HInd + H2O → ← H3O +Ind colore A colore B La caratteristica di queste sostanze è che le due forme (quella molecolare HInd e quella ionica Ind- hanno un diverso colore. Per esempio, la forma HInd del metilarancio è rossa, mentre lo ione Ind- è giallo. → H3O+ + Ind HInd + H2O ← rossa gialla ne deriva che se aumentano gli ioni H3O+ (soluzione acida), la reazione di equilibrio è spostata a sinistra e la forma dominante sarà quella rossa; + HInd + H2O → ← H3O + Ind gialla mentre se aumentano gli ioni OH- (soluzione basica), e di conseguenza diminuiscono gli ioni H3O+, la reazione sarà spostata a destra, con prevalenza della forma gialla. Il passaggio da un colore all'altro (in cui le due specie si trovano alla medesima concentrazione [HInd] = [Ind- ]) viene detto viraggio e può essere osservato dall'occhio umano in un certo intervallo di pH, che dipende a sua volta dalla Ka dell'indicatore. Per il metilarancio si colloca intorno a pH 4. 83 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno In altre parole, facendo cadere alcune gocce di soluzione di metilarancio in una soluzione, poniamo, a pH 2,5 essa apparirà rossa, mentre se la soluzione si trova a pH 6 sarà gialla. A tale proposito, va anche citato il cosiddetto indicatore universale: una miscela di indicatori, studiata in modo da assumere colori diversi in certi intervalli di pH. Impregnando con esso un‟apposita striscia di carta, si ottiene la cartina universale. Tabella: Intervalli e colori di viraggio di alcuni indicatori Nella figura seguente si osservano le diverse colorazioni che assume l’indicatore universale in soluzioni a diverso pH pH-METRO Lo strumento per misurare direttamente il pH si chiama piaccametro (pHmetro): in figura è riportato un esempio di potenziometro che funziona anche da pH-metro 84 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno ESERCIZI DA SVOLGERE 1) Scrivi la definizione di acido e di base secondo le tre teorie studiate 2) Riconosci tra le seguenti equazioni quali rappresentano reazioni acido/base a) HCl + NH3 → NH4Cl + H2O b) NaCl + AgNO3 → AgCl +NaNO3 c) H2S + KOH → K2S + H2O d) Li2CO3 + CaCl2 → LiCl + CaCO3 3) Completa le seguenti equazioni a) HF + H2O → ......... + Fb) NH3 + H2O →OH- + ......... 4) Individua nei seguenti equilibri le coppie coniugate acido-base HF + H2O → F- + H3O+ H3PO4 + H2O → H2PO4- + H2O+ HSO4- + NH3 →NH4 + + SO4 2CO32- + H2O → HCO3- + OHS2- + H3O+ → HS- + H2O 5) Scrivi l'equazione della reazione di equilibrio con acqua per i seguenti acidi b) H2SO3 d) HClO2 e) HSO4a) H2S 6) Scrivi l'equazione della reazione di equilibrio con acqua per le seguenti basi b) HCO3c) S2d) CH3COOa) NH3 7) Completa le equazioni seguenti e individua le coppie coniugate → + CH3COO... + H2O ← → ..... + H2S .... + H2O ← → CO32- + ...... .....+ OH- ← 2→ H2O +.... HPO4 +...← 8) Qual è il riferimento per stabilire la neutralità in soluzione acquosa ? 9) Come può essere valutata la forza di un acido o di una base? 10) Indica se le seguenti soluzioni saranno acide o basiche a) soluzione in cui [H3O+] = 5.10-3 M b) soluzione in cui [H3O+] = 15.10-11 M c) soluzione in cui [OH- ] = 3.10-3 M d) soluzione in cui [H3O+] = 0,9.10-1 M e) soluzione in cui [OH- ] = 1,7.10-10 M 12) Scrivi la costante di ionizzazione o costante di acidità per HF 13) Scrivi la costante di ionizzazione o costante di basicità per NH3 14) Scrivi l'equazione della reazione con acqua per i seguenti acidi e individua gli acidi completamente ionizzati c) HClO d) HBr a) HCl b) HNO3 15) Scrivi l'equazione della reazione con acqua per le seguenti basi e individua le basi completamente ionizzate c) S2d) Ca(OH)2 a) NaOH b) CO32- 85 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno 16) Indica quali tra le seguenti basi sarà più forte (a parità di concentrazione) b) Cl- o Fc) NO3- o NO2a) CH3COO- o CH2ClCOO- d) SO42- o S2- e) CN- o S2- 17) Indica quali tra i seguenti acidi sarà più forte (a parità di concentrazione) b) HCl o CH2ClCOOH c) H3O+ o HSO4a) CH3COOH o NH3 18) Bilancia le seguenti equazioni acido-base → Na3PO4 + H2O NaOH + H3PO4 ← → MgCO3 + H2O Mg(OH)2 + H2CO3 ← → H2S + Al(OH)3 ← Al2S3 + H2O 19) Completa e bilancia le seguenti equazioni → Ba(NO3)2 + H2O Ba(OH)2 + ..... ← → Li2SO4 + H2O H2SO4 + ..... ← → ..... + H2S ← CuS + H2O → CaF2 + H2O ..... + HF ← Problemi con l’uso di calcoli stechiometrici → Na3PO4 + H2O 20) Bilancia la seguente equazione acido-base H3PO4 + NaOH ← e calcola a) le mol di acido fosforico che reagiscono con 0,34 litri di sodio idrossido 0,23 M b) le mol di OH- che rimangono in eccesso se si aggiungono 0,16 l di acido fosforico 0,12 M a 0,34 l di sodio idrossido 0,23 M c) la concentrazione degli OH- finale → K2SO4 + H2O 21) Bilancia la seguente equazione acido-base KOH + H2SO4 ← e calcola: a) le mol di idrossido di potassio che reagiscono con 0,15 litri di acido solforico 0,16M b) la concentrazione degli H3O+ che rimangono in eccesso, quando 0,25 L di idrossido di potassio 0,18 M vengono aggiunti a 0,15 L di acido solforico 0,16 M 86 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno MODULO 8 ELETTROCHIMICA • Introduzione • Il potenziale standard di riduzione (E°) • La corrosione metallica • Celle galvaniche o pile • La forza elettromotrice di una pila • Trasformazione di energia elettrica in energia chimica: elettrolisi • Potere ossidante e potere riducente • L’equazione di Nernst • Esercizi 1. Introduzione Le reazioni di ossidoriduzione permettono due tipi di trasformazioni energetiche: la trasformazione di energia chimica in energia elettrica e la trasformazione di energia elettrica in energia chimica. La branca della Chimica che studia tali trasformazioni è l'elettrochimica. Il dispositivo fisico in cui avvengono tali trasformazioni è la cella elettrochimica. Le celle elettrochimiche vengono classificate in: • celle galvaniche (celle voltaiche) o pile sistemi in cui un processo redox avviene spontaneamente fornendo lavoro elettrico, la differenza di energia tra reagenti e prodotti viene convertita in energia elettrica • celle elettrolitiche: sistemi che usano energia elettrica per far avvenire una reazione redox non spontanea, l'energia elettrica fornita da una sorgente esterna serve per trasformare i reagenti a minor contenuto di energia in prodotti a maggior contenuto di energia. 2. Celle galvaniche o pile Il comportamento dei metalli in soluzione acquosa Per comprendere come si possano utilizzare reazioni redox spontanee per produrre energia elettrica possiamo partire da alcune osservazioni sperimentali sul comportamento dei metalli in soluzione acquosa. Esperienza n°1: Immergiamo una lamina di zinco metallico (Zn) in una soluzione acquosa di tetraossosolfato di rame (II), CuSO4 (il cui colore blu-azzurro è dovuto ad un complesso degli ioni Cu2+ con l'acqua) ed osserviamo che cosa succede. Lo zinco si ricopre progressivamente di polvere marrone, mentre la soluzione scolora. Se si pesa la lamina di zinco dopo aver eliminato lo strato che si è depositato, si osserva che la sua massa è diminuita rispetto alla massa posseduta prima di essere immersa nella soluzione. I fenomeni osservati si possono così interpretare: -Il deposito che si è formato sullo zinco (Zn) è costituito da atomi di rame metallico (Cu) provenienti dalla riduzione degli ioni Cu2+ presenti in soluzione, infatti contemporaneamente la concentrazione di questi ioni in soluzione diminuisce, come dimostra la perdita progressiva del colore blu-azzurro della soluzione. 87 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno La semireazione di riduzione è la seguente: Cu2+(aq) +2 e- → Cu(s) - La perdita di massa da parte della lamina di zinco è causata dall'ossidazione degli atomi di zinco che passano in soluzione come ioni Zn2+ (questo processo non è visibile, dato che Zn2+ è incolore)e cedono ciascuno due elettroni. La semireazione di ossidazione è la seguente: Zn(s) → Zn2+(aq) + 2 eLa reazione complessiva deriva dalla somma delle due semireazioni ed è la seguente : Zn(s) + Cu2+(aq) → Zn2+(aq) + Cu(s) Il numero di elettroni ceduti dalla specie che si ossida, in questo caso, risulta uguale al numero di elettroni acquistati dalla specie che si riduce e quindi la reazione finale è già bilanciata. Esperienza n°2 Un'altra attività sperimentale che permette di osservare il comportamento dei metalli in soluzione acquosa è quella che coinvolge il rame metallico quando viene immerso in una soluzione di triossinitrato di argento(AgNO3). Il rame Cu(s) passa in soluzione ossidandosi come ione Cu2+ ed infatti la soluzione, inizialmente incolore,si tinge di blu, mentre gli ioni Ag+ presenti nella fase liquida si riducono ad argento metallico Ag(s) e si depositano sulla lamina di rame. Le semireazioni sono: Cu(s) → Cu2+(aq)+ 2 e_ 2 Ag+(aq) + 2e_ → 2Ag(s) La reazione globale è: Cu(s) + 2 Ag+(aq) → Cu2+(aq) + 2 Ag+(aq) In questo caso necessita bilanciare gli elettroni affinché quelli persi e quelli guadagnati si uguaglino. Esperienza n°3 Anche la reazione che avviene tra una lamina di alluminio (Al) immersa in una soluzione acquosa di tetraossosolfato di rame (II),CuSO4 è una reazione di ossidoriduzione. In questo caso l'alluminio Al(s) si consuma perché passa in soluzione come ione Al3+ cedendo 3 elettroni, quindi subisce un'ossidazione , mentre il rame metallico Cu(s) si forma, depositandosi sulla lamina di alluminio, perché lo ione Cu2+ presente in soluzione acquista 2 elettroni e quindi si riduce. Le semireazioni sono: 2Al(s) → 2Al3+(aq) + 3 e_ 3 Cu2+(aq) + 2 e _ → 3 Cu(s) La reazione globale è: 2Al(s) + 3 Cu2+(aq) → 2Al3+(aq) + 3 Cu(s) Nei tre casi esaminati vi è il trasferimento di elettroni ma il sistema non produce energia elettrica perchè l’agente ossidante e l’agente riducente sono in contatto fisico nello stesso recipiente. Le reazioni di ossidoriduzione che abbiamo appena esaminato avvengono spontaneamente,ma non sempre ciò è possibile. Infatti se immergiamo una lamina di rame in una soluzione di tetraossosolfato di zinco non si nota nessun cambiamento, ossia il rame Cu non si ossida a ioni Cu2+ e gli ioni Zn2+ non si riducono a zinco metallico Zn, ossia la reazione: non si verifica Cu(s) + Zn2+ → Cu2+(aq)+ Zn(s) 88 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno 3. Potere ossidante e potere riducente Nel paragrafo precedente abbiamo visto che cosa succede se mettiamo una lamina di zinco in una soluzione di tetraossosolfato di rame (II). Per capire la tendenza degli atomi di zinco ad ossidarsi e degli ioni di rame a ridursi dobbiamo interpretare le reazioni di ossidoriduzione in termini di equilibrio chimico. Riscriviamo quindi la reazione globale del processo osservato utilizzando la doppia freccia per indicare l’equilibrio chimico: Zn(s) + Cu2+(aq) Zn2+(aq) + Cu(s) La reazione procede in entrambe le direzioni finché non si raggiunge uno stato di equilibrio e i fenomeni osservati ci inducono a ritenere che tale equilibrio sia spostato verso destra, ossia che lo Zinco si ossidi ed il Rame si riduca. L’introduzione della freccia grande evidenzia tale situazione. Le coppie costituite dalle specie chimiche Zn2+/Zn e Cu2+/Cu, analogamente alle coppie coniugate acido-base, si possono definire coppie di ossidoriduzione o coppie redox. In una coppia redox la specie che perde elettroni si ossida (il suo n° di ossidazione diventa più grande in termini algebrici) ed è un agente riducente o più semplicemente riducente; la specie che acquista elettroni si riduce (il suo n° di ossidazione diventa più piccolo sempre in termini algebrici) ed è un agente ossidante o più semplicemente ossidante. Nel caso delle coppie redox Zn2+/Zn e Cu2+/ Cu , la prima agisce da riducente e la seconda da ossidante. L’intensità o forza del potere ossidante e/o riducente di una coppia redox è un concetto relativo perché dipende dal sistema chimico preso in considerazione. Se si mettono a confronto diverse coppie redox, tutte alla medesima concentrazione 1 molare ,si possono ottenere informazioni sulla forza del loro potere ossidante o riducente. I tre sistemi redox precedentemente esaminati portano alle seguenti conclusioni: Poiché le coppie Zn2+/Zn e Al3+/ Al sono entrambe riducenti rispetto alla coppia Cu2+/ Cu, bisogna confrontarle tra loro. Immergendo una lamina di alluminio in una soluzione di ioni Zn2+ si nota che lo zinco si deposita sull'alluminio metallico,mentre la massa di quest'ultimo diminuisce. L'alluminio Al(s) passa quindi in soluzione come Al3+(aq), ossidandosi, gli ioni Zn2+(aq) invece si riducono a Zn(s) e si depositano sulla lamina di alluminio. La reazione che avviene tra le due coppie redox è la seguente: 2Al(s) + 3 Zn2+(aq) 2Al3+(aq) + 3 Zn(s) In termini di forza ossidante e riducente: Potere riducente Al3+/ Al > Zn2+/Zn Potere ossidante Zn2+/Zn > Al3+/ Al 89 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno I risultati ottenuti possono essere rappresentati mediante la seguente scala: Potere riducente Potere ossidante Al 3+ / Al Zn2+ / Zn Cu2+ / Cu Ag+ / Ag Questa scala consente di individuare la coppia redox più o meno riducente rispetto ad un altra, ma non fornisce alcun valore numerico che ci permetta di quantificare il potere ossidante (o riducente) di ogni coppia redox rispetto ad un'altra. Per un confronto numerico tra le diverse coppie redox bisogna individuare una proprietà che sia correlata al loro potere ossidante/ riducente. Tale proprietà, che deve essere misurabile tramite un opportuno dispositivo fisico, corrisponde al potenziale di elettrodo o potenziale elettrochimico. Il potenziale elettrochimico di una coppia redox, E , indica la sua tendenza ad ossidarsi (potere riducente) o a ridursi (potere ossidante). Il dispositivo che permette di confrontare il potenziale elettrochimico di coppie redox è la pila il cui funzionamento è descritto nel prossimo paragrafo. La pila: un modo di confrontare coppie redox trasformando energia chimica in energia elettrica Nelle reazioni di ossidoriduzione sopra esaminate (metalli e ioni metallici in soluzione) il trasferimento di elettroni da un reagente all'altro avviene direttamente perché l’agente ossidante e l’agente riducente sono in contatto fisico nello stesso recipiente; l'energia che accompagna queste reazioni spontanee si libera sotto forma di calore, come si può facilmente verificare toccando il recipiente o immergendo un termometro nell'ambiente di reazione. Gli elettroni passano dal riducente all’ossidante, ma tali passaggi avvengono in maniera caotica nella soluzione e non sono utilizzabili per produrre energia elettrica, che corrisponde invece ad un movimento ordinato di cariche elettriche. Il dispositivo che permette di ottenere energia elettrica dalle reazioni redox spontanee è appunto la Fig. 9 pila (o cella elettrochimica o cella galvanica). http://it.wikipedia.org/ In una pila si crea energia elettrica tramite la connessione tra due coppie redox a diverso potenziale wiki/Pila_di_Volta 25.gennaio elettrochimico. 2011ore20,25 Il primo a costruire un simile dispositivo fu Alessandro Volta (1745 - 1827). La Pila di Volta originale era costituita da una serie di dischi, uno sopra all'altro, di zinco e di argento (si può usare anche il rame) separati da carta assorbente o feltro, impregnati di acqua salata o acidulata. Collegando un filo elettrico ai due poli (uno di zinco ed uno di argento) si produceva corrente. Aggiungendo altri strati di metallo alla rudimentale pila, il voltaggio aumentava a seconda dei materiali usati. Per ottenere corrente elettrica è quindi sufficiente separare le due coppie redox facendo avvenire le due semireazioni di ossidazione e riduzione in due ambienti diversi e costringendo gli elettroni ceduti dalla coppia che si ossida (perde elettroni) a seguire un percorso obbligato, quale è per esempio un filo metallico esterno, per raggiungere la coppia che si riduce (acquista elettroni). Inoltre se nel circuito si introduce un galvanometro è possibile riconoscere il verso, l'intensità della corrente elettrica prodotta, la coppia ossidante e quella riducente e quantificare mediante un numero il potere ossidante e riducente delle due coppie in esame (definito dalla loro differenza potenziale elettrochimico o più brevemente d.d.p.). La Pila Daniell (1790-1845) si può considerare un perfezionamento della pila di Volta e permette di chiarire tutti i processi implicati nella produzione di energia elettrica mediante una reazione redox spontanea. In questo tipo di pila abbiamo due scomparti distinti , ciascuno chiamato semicella, ogni semicella consiste di un metallo immerso parzialmente in una soluzione acquosa di un suo sale. Le due coppie redox sono quindi costituite dal metallo e dagli ioni metallici presenti in soluzione. Generalmente si utilizza una lamina di Zn immersa in una soluzione di Zn2+( per esempio una soluzione di teraossosolfato 90 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno di zinco,ZnSO4) ed una lamina di Cu in una soluzione di Cu2+ (per esempio una soluzione di tetraossosolfato di rame, CuSO4). I due metalli sono gli elettrodi della pila. I due elettrodi sono collegati mediante un circuito elettrico esterno che può comprendere un galvanometro, per misurare la corrente, o un voltmetro, per misurare il potenziale generato dalla cella (concetto che tratteremo tra breve). Le due soluzioni sono collegate mediante il ponte salino P, costituito da un tubo a U di vetro o altro materiale isolante,contenente un gel mescolato con una soluzione acquosa concentrata di elettrolita (KCl, NH4Cl, Na2SO4). Durante il suo funzionamento si osservano i seguenti fenomeni: a) l'elettrodo di zinco Zn si consuma progressivamente; b) l'elettrodo di rame Cu aumenta il suo spessore poiché si ricopre di uno strato spugnoso, rosso-marrone, di rame metallico. La soluzione di tetraossosolfato di rame(II) (CuSO4) inizialmente azzurra, si decolora progressivamente. Lo strumento presente nel circuito esterno, indica il passaggio di elettroni dall'elettrodo di zinco a quello di rame. Cerchiamo di dare una spiegazione a quanto è accaduto: • L'elettrodo di zinco Zn si consuma perchè passa in soluzione come ione Zn2+ e quindi si ossida. La semireazione di ossidazione è la seguente: Zn(s) Zn2+(aq) + 2 e - il cui equilibrio è decisamente spostato destra. Come conseguenza gli elettroni liberati si accumulano sull'elettrodo di zinco, che quindi diventa il polo negativo della pila o anodo. Nella soluzione invece aumentano le cariche positive dovute agli ioni Zn2+(aq) che si sono formati a seguito dell'ossidazione. • L'elettrodo di rame Cu aumenta le sue dimensioni perchè su di esso si deposita il rame metallico proveniente dagli ioni Cu 2+(aq) presenti in soluzione. La semireazione di riduzione pertanto è la seguente: Cu(s) Cu2+(aq) +2 e Anche questo equilibrio è decisamente spostato destra. Come conseguenza l'elettrodo di rame, che cede elettroni alla soluzione, diventa il polo positivo della pila o catodo. • Nella soluzione invece diminuiscono le cariche positive degli ioni Cu2+(aq) a causa della riduzione, a rame metallico, e quindi la colorazione azzurra si attenua. • Gli elettroni prodotti sull'elettrodo di zinco si spostano tramite il circuito esterno sulla lamina di rame e qui riducono gli ioni Cu2+. Questo flusso ordinato di elettroni determina la corrente elettrica rilevata da un galvanometro. La reazione redox complessiva è quindi: Cu(s) + Zn2+(aq) Zn(s) + Cu2+(aq) Anche se nella pila gli elettroni si spostano dal polo negativo al polo positivo, il verso segnato da un galvanometro segnala una corrente dal polo positivo, catodo, a quello negativo anodo. La spiegazione di questa apparente contraddizione è di tipo storico. Nell'Ottocento si attribuiva alla corrente elettrica segno positivo perchè si pensava che fosse dovuta a cariche positive non ben identificate e queste cariche, anche se immaginarie, si spostano in senso opposto agli elettroni. Tale convenzione è attualmente ancora in vigore per cui ne segue che il verso della corrente elettrica è opposto al verso degli elettroni. 91 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno La funzione del ponte salino Durante le reazioni redox si crea, nelle due soluzioni, uno squilibrio di carica:nella semicella dell'anodo si determina un aumento di cariche positive dovute agli ioni Zn2+ (aq) che passano in soluzione, mentre nella semicella del catodo gli ioni Cu2+ (aq) diminuiscono e quindi si determina un eccesso di cariche negative. La differenza di carica che si viene a creare tra gli elettrodi e le soluzioni in cui sono immersi determinerebbe un immediato arresto delle reazioni redox e quindi la pila non funzionerebbe più. Il ponte salino ha la funzione di impedire che ciò avvenga. Il ponte salino, pur non partecipando alle reazioni che avvengono agli elettrodi, permette il contatto elettrico tra le due soluzioni e quindi di chiudere il circuito. Tramite il ponte salino si attua, per diffusione, il passaggio di ioni negativi, verso il recipiente contenente zinco e di ioni positivi verso il recipiente contenente rame in maniera tale da mantenere la neutralità elettrica delle due soluzioni. Quando i reagenti Zn e Cu2+ (aq) si sono in gran parte consumati e le reazioni redox hanno raggiunto l'equilibrio, la pila non funziona più: è quindi scarica. La rappresentazione convenzionale di una pila Possiamo ora riassumere le caratteristiche principali di una pila: Anodo ossidazione • all'anodo o polo negativo avviene l'ossidazione Catodo riduzione • al catodo o polo positivo avviene la riduzione La reazione globale è la seguente: Zn2+(aq) + Cu(s) Zn(s) + Cu2+ (aq) • Nelle due soluzioni l’elettroneutralità è assicurata dall’elettrolita presente nel ponte salino La rappresentazione schematica di una pila segue la seguente convenzione: • a sinistra si pone l’elettrodo negativo (ANODO) rappresentandolo con un (-) e la coppia redox che si ossida, indicando prima la forma ridotta e poi quella ossidata, separate da una barra: red / ox come Zn / Zn2+. • a destra si pone l’elettrodo positivo (CATODO) rappresentandolo con un (+) e la coppia redox che si riduce, indicando prima la forma ossidata e poi quella ridotta, separate da una barra. ox / red come Cu2+ / Cu. • Per simboleggiare il ponte salino si usa una doppia barra //. Nel caso della pila di Daniell lo schema è il seguente : Catodo Anodo Zn (s) / Zn2+ (aq) // Cu2+ (aq) / Cu(s) La pila di Daniell risulta ingombrante e scomoda per il trasporto, attualmente si usano le pile a secco di cui parleremo nella scheda di approfondimento. 4. Il potenziale standard di riduzione (e°) Come abbiamo visto la pila permette di confrontare i potenziali elettrochimici di coppie redox e fornisce informazioni qualitative sul loro potere ossidante/ riducente. Poiché è impossibile determinare il potenziale assoluto di una coppia redox, che d'ora in poi chiameremo elettrodo, si determina, invece, sperimentalmente la differenza di potenziale (d.d.p.) tra elettrodi. A tal fine si è scelto un elettrodo di riferimento al quale è stato assegnato un potenziale convenzionale uguale a zero in determinate condizioni. Il potenziale degli altri elettrodi è misurato, sperimentalmente, relativamente all’elettrodo di riferimento nelle stesse condizioni. L'elettrodo di riferimento è l’elettrodo standard a idrogeno costituito dalla coppia di ossidoriduzione H+/H2 dove le due specie sono in equilibrio secondo la seguente reazione: H2(g) 2 H+(aq) + 2 e- 92 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Tale elettrodo è costituito da una lamina di platino (Pt) immersa in una soluzione acquosa acida (H3O +) nella quale viene fatto gorgogliare idrogeno gassoso puro (H2), in modo da permettere il contatto tra le due forme, ossidata e ridotta, della coppia di riferimento. Le condizioni definite standard del dispositivo sono rappresentate dalla concentrazione 1 M degli ioni H3O +, dalla pressione di 1 atmosfera per l’idrogeno gassoso (H2) e dalla temperatura che è mantenuta costante e uguale a 25°C (298 K). Inoltre il valore del potenziale è convenzionalmente sempre uguale a zero per qualsiasi valore di temperatura (E° = 0.000 volt). Scelto l'elettrodo di riferimento e accoppiando questo con altri elettrodi si costruisce, di fatto, una pila e sperimentalmente, attraverso la misura di una differenza di potenziale (ddp), una scala relativa dei potenziali standard o serie elettrochimica dei potenziali standard di riduzione (tab.1). Nella serie elettrochimica dei potenziali standard di riduzione maggiore è il valore del potenziale di un elettrodo maggiore sarà la sua capacità di ossidare le specie con potenziale minore. Analogamente minore sarà il valore del potenziale di un elettrodo maggiore sarà la sua capacità nel ridurre specie con potenziale maggiore. Ciò determina la spontaneità delle reazioni di ossidoriduzione. TABELLA DEI POTENZIALI STANDARD DI RIDUZIONE A 25° C Semireazione di riduzione Pot. std Semireazione di riduzione Pot. std (E°) - F2 (g) + 2e- = 2F H2O2 + 2H+ + 2e- = 2H2O + - - 2+ MnO4 + 8H + 5e = Mn + 4H2O + - 2+ (E°) 4+ - 2+ + 2,87 V Sn + 2e = Sn + 1,77 V S (s) + 2H+ + 2e- = H2S (g) + 1,51 V + 0,15 V - - - NO3 + H2O + 2e = NO2 + 2OH + - + 0,14 V - + 0,01 V PbO2 + 4H + 2e = Pb + 2H2O + 1,44 V 2H + 2e = H2 (g) 0,00 V Au3+ + 3e- = Au (s) + 1,50 V Pb2+ + 2e- = Pb (s) - 0,13 V - Cl2 (g) + 2e = 2Cl 2- - + 1,36 V + - 3+ + - 2+ Cr2O7 + 14H + 6e = 2Cr + 7H2O + 1,33 V 2+ - - 0,14 V 2+ - - 0,25V 2+ - Sn + 2e = Sn (s) Ni + 2e = Ni (s) MnO2 (s) + 4H + 2e = Mn + 2H2O + 1,23 V Co + 2e = Co (s) - 0,28 V O2 (g) + 4H+ + 4e- = 2H2O + 1,23 V PbSO42- + 2e- = Pb (s)+ SO42- -0,35 V - - + 1,07 V Cd + 2e = Cd (s) - 0,40 V NO3-+ 4H+ + 3e- = NO (g) + 2H2O + 0,96 V *2H2O + 2e - = H2 (g) + 2OH- -0,42 V Br2 (l) + 2e = 2Br - *O2 (g) + 2H2O + 4e = 4OH - 2NO3- + 4H+ + 2e- = N2O4 (g) + 2H2O + - 2+ 2+ - - + 0,81 V Fe + 2e = Fe (s) - 0,44 V + 0,80 V Cr3+ + 3e- = Cr(s) -0,41 V 2+ Ag + e = Ag (s) + 0,80 V Zn + 2e- = Zn (s) - 0,76 V Hg22++ 2e- = 2Hg (l) + 0,79 V **2H2O + 2e - = H2 (g) + 2OH- - 0,83 V Fe 3+ + e- = Fe 2+ + + 0,77 V - 2+ - Mn + 2e = Mn (s) 3+ - (s) O2 (g) + 2H + 2e = H2O2 + 0,68 V Al + 3e = Al I2 + 2e- = 2I- + 0,54 V Mg2+ + 2e- = Mg (s) + - + - - 1,18 V - 1,66 V - 2,37 V Cu + e = Cu (s) + 0,52 V Na + e = Na (s) - 2,71 V Cu2+ + 2e- = Cu (s) + 0,34 V Ca2+ + 2e- = Ca (s) - 2,87 V 2- + + - SO4 +4H = SO2 +2H2O + 0,20 V K + e = K (s) - 2,93 V Cu2+ + e- = Cu+ + 0,15 V Li+ + e- = Li (s) - 3,04 V * ambiente neutro ** ambiente basico 93 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Esempio 1 Nella pila di Daniell, abbiamo visto che avviene spontaneamente la seguente reazione redox: Zn(s) + Cu2+(aq) → Cu(s) + Zn2+(aq) Questo risultato sperimentale è confermato dalla posizione reciproca occupata dalle due coppie redox nella serie elettrochimica dei potenziali standard di riduzione ( tab.1): la coppia Cu2+/ Cu ha un potenziale standard di riduzione maggiore rispetto alla coppia Zn2+/Zn, quindi il rame, riducendosi, induce l’ossidazione dello zinco. Alternativamente si può dire che lo zinco, ossidandosi, induce la riduzione del rame. Esercizio svolto n.1 In una pila avvengono le seguenti semireazioni: Sn Sn2+ + 2eAu3+ +3 eAu Individua quale è l‟anodo e quale il catodo e schematizza la pila. Soluzione: Lo Stagno, avendo potenziale inferiore, si ossida e quindi funziona da anodo (elettrodo negativo) L’oro, con potenziale maggiore, si riduce fungendo da catodo (elettrodo positivo) anodo (-) Sn / Sn2+ // Au3+/Au (+) catodo Esercizio svolto n.2 Individua le semireazioni che avvengono nella seguente pila: (-) Ni / Ni2+ // Cu2+/Cu (+) Soluzione: All’anodo avviene l’ossidazione di una delle due coppie redox, in questo caso Ni / Ni2+ La semireazione di ossidazione è la seguente: Ni Ni2+ + 2eAl catodo avviene la riduzione dell‟altra coppia redox, Cu2+/Cu La semireazione di riduzione è la seguente: Cu Cu2+ +2 e- 5. La forza elettromotrice di una pila Esiste una grandezza fisica che indica la forza con cui gli elettroni vengono spinti a muoversi nel circuito elettrico rappresentato da una pila, tale grandezza è definita forza elettromotrice della pila e si indica con l’abbreviazione f.e.m. La forza elettromotrice ha la stessa intensità della differenza di potenziale (d.d.p.) esistente tra i due elettrodi, quando il circuito è aperto e non circola corrente. Essa misura la massima differenza di potenziale e quindi il massimo lavoro elettrico che la pila può compiere. In condizioni standard si ha: f.e.m.= ΔE° = E°catodo - E°anodo quindi la forza elettromotrice si ottiene sottraendo algebricamente i due valori ricavati dalla tabella dei potenziali standard di riduzione. Ad esempio nella pila di Daniell: Zn/ Zn2+ || Cu2+/ Cu si ottiene: f.e.m. = ΔE° = E°catodo - E°anodo = +0.34 – (–0.76) = +1.1 Esercizio svolto n.2 In una pila gli elettrodi sono costituiti da un elettrodo di nichel immerso in una soluzione 1 M di ioni Ni2+ e da un elettrodo di argento immerso in una soluzione 1 M di ioni Ag+ a. Individua anodo e catodo utilizzando la tabella dei potenziali standard b. Scrivi le due semireazioni che avvengono agli elettrodi c. Scrivi lo schema convenzionale per rappresentarla d. Determina la f.e.m. della pila 94 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Soluzione a. In base alla tabella dei potenziali standard E°Ni = 0,25 V e E°Ag = +0,80 V quindi l’argento ha maggiore potenziale di riduzione, funge da catodo (+) e all’elettrodo avviene la riduzione, mentre il nichel ha potenziale minore e all’elettrodo avviene l’ossidazione, funzionando da anodo (-). b. Le due semireazioni (già bilanciate) sono le seguenti: anodo → ossidazione Ni → Ni 2+ + 2ecatodog → riduzione 2Ag+ +2 e- → 2Ag c. (-) Ni / Ni2+ || Ag+ / Ag (+) d. f.e.m. =ΔE° = E°catodo - E°anodo = 0,80 – 0,25 = 0,55 V. 6. La f.e.m di una pila in condizioni diverse da quelle standard: L’EQUAZIONE DI NERNST Quando una o entrambe le semicelle di una pila non sono in condizioni standard non è possibile utilizzare i potenziali standard di riduzione per individuare il catodo e l'anodo e, conseguentemente, è impossibile calcolare la f.e.m. della pila. Infatti è dimostrato sperimentalmente che il valore della differenza di potenziale di una pila varia con la concentrazione degli ioni in soluzione e con la temperatura. L'equazione di Nernst (1889) consente il calcolo del potenziale di riduzione in condizioni diverse da quelle standard. Per la generica reazione di riduzione: a Ox + neb Red il potenziale di elettrodo si ricava con l’equazione di Nernst dove: R = 8,314 J/(mol K) T=K n = elettroni F = 96500 coulomb /mol [ Ox ]a= moli/L [Red ]b= moli/L • costante universale dei gas • temperatura espressa in gradi assoluti • numero di elettroni coinvolti nella semireazione • costante di Faraday, corrisponde alla carica,in Coulomb, posseduta da una mole di elettroni. 1 F = (6.022•1023)(e-/mol)x (1.602•10-19)(C/e-)= 96485 C/mol ≈ 96500 coulomb /mol • concentrazione molare (o pressione parziale nel caso di gas) della forma ossidata e ridotta della coppia redox in gioco, ciascuna elevata al coefficiente stechiometrico che compare nella semireazione di riduzione considerata. Alla temperatura di 25°C il rapporto RT/F è una costante e trasformando il logaritmo neperiano in un logaritmo in base 10 (coefficiente di conversione 2,3) , tramite i seguenti calcoli: (8.31 x 298 x 2.3)/96500 = 0.0592 si ottiene: Esercizio svolto n.4 Calcola il potenziale della coppia Zn2+/Zn a 25°C di una semicella formata da una lamina di zinco immersa in una soluzione 2.5· 10-2 M di Zn2+ sapendo che E°= - 0.76V. Soluzione: Applico l’equazione di Nernst: Esercizio svolto n.5 Calcola il potenziale di una semicella costituita da una sbarretta di Zn immersa in una soluzione contenente ioni Zn2+ in concentrazione 1,80 M e il potenziale di una semicella costituita da una sbarretta di Cu immersa in una soluzione 0,20 M in ioni Cu2+. Calcola la forza elettromotrice della cella che si ottiene abbinando queste due semicelle. Soluzione: I potenziali standard di riduzione per le reazioni considerate sono: Zn2+ + 2e- → Zn (s) E° = - 0,76 V Cu2+ + 2e- → Cu (s) E° = 0,34 V Applichiamo alla semireazione Zn2+ + 2e- → Zn(s) l'equazione di Nernst: 95 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Considerando la concentrazione dei solidi unitaria e sostituendo i valori noti si ottiene: Analogamente, per l’altra semireazione si ottiene: f.e.m.=Ecatodo - Eanodo= 0,32 V + 0,75 V = 1,07 V 7. LA CORROSIONE METALLICA Fig. 14 Con il termine corrosione si intende il graduale ed irreversibile deterioramento dei materiali,soprattutto metallici; in seguito a reazioni spontanee più o meno complesse si formano composti la cui resistenza chimica e meccanica è molto inferiore a quella del metallo. Si producono gravi alterazioni a carico dei manufatti (es, strutture in ferro e acciaio di ponti, ferrovie, macchine, condutture, tralicci). La corrosione metallica è determinata dal fatto che tutti i metalli, con poche eccezioni quale oro e platino tendono a ossidarsi facilmente (basta guardare la scala dei potenziali standard di riduzione) trasformandosi nei corrispondenti ossidi o idrossidi o formando vari sali minerali. Il fenomeno della corrosione è un processo spontaneo estremamente complesso che dipende da molteplici fattori. Si possono distinguere tre processi di corrosione: - corrosione chimica o in ambiente secco - corrosione elettrochimica o in ambiente umido - corrosione elettrolitica provocata da correnti vaganti presenti nel terreno La corrosione chimica si verifica quando il manufatto metallico viene in contatto con reagenti chimici (acido, base, sale) o reagenti atmosferici (ossigeno, anidride carbonica, cloro); non è accompagnata dalla produzione di corrente elettrica. La corrosione elettrochimica o galvanica è un processo che richiede la presenza di zone con differente potenziale elettrico all’intero di un manufatto metallico e di un elettrolita (acqua, umidità atmosferica,ecc) che chiuda il circuito. La corrosione elettrolitica è responsabile di notevoli danni a carico delle strutture metalliche interrate (tubature, armature di calcestruzzo, ecc.). Nel terreno sono spesso presenti correnti vaganti (normalmente disperse da apparecchiature con “presa a terra”, impianti radiofonici e telefonici, ecc.). 8. Trasformazione di energia elettrica in energia chimica: elettrolisi Abbiamo visto che la pila è un dispositivo nel quale si trasforma, spontaneamente, energia chimica in energia elettrica tramite la connessione tra due coppie redox a diverso potenziale elettrochimico. Tuttavia è possibile convertire, con altri dispositivi, l’energia elettrica in energia chimica facendo avvenire, forzatamente, delle reazioni redox agli elettrodi. A tale processo si dà il nome di elettrolisi e i sistemi all’interno dei quali viene condotta sono le celle elettrolitiche. Una cella elettrolitica consiste in un recipiente contenente l'elettrolita, in soluzione o allo stato fuso, nel quale è immersa una coppia di elettrodi collegati ai poli di un generatore di corrente continua (una pila o una batteria): l'elettrodo collegato al polo positivo si chiama anodo, quello collegato al polo negativo si chiama catodo. Ai due elettrodi è, quindi, imposta una differenza di potenziale che permette il passaggio di elettroni dall’elettrodo positivo (anodo) all’elettrodo negativo (catodo) e anche la migrazione degli ioni all’interno della cella. Gli ioni con carica positiva, presenti nell'elettrolita, migrano verso il catodo (-) da cui il nome cationi, dove avviene, sull‟elettrodo, l’acquisto degli elettroni 96 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno provenienti dal polo negativo del generatore. Verso l’anodo migrano invece gli ioni di carica negativa, anioni, e qui si verificano le reazioni di ossidazione con cessione di elettroni all’elettrodo. Affinché avvenga un processo elettrolitico è necessario che il generatore di corrente continua generi un differenza di potenziale superiore ed opposta alla f.e.m. della cella galvanica (pila) corrispondente alla reazione spontanea. Riassumendo: Catodo : elettrodo negativo (-) ⇒reazione di riduzione Anodo : elettrodo positivo (+) ⇒ reazione di ossidazione Confrontiamo quanto avviene in una pila ed in una cella elettrolitica: Come si può osservare sia nella pila che nella cella elettrolitica l‟anodo è sede di reazioni di ossidazione, mentre il catodo è sede di reazioni di riduzione, la polarità degli elettrodi è però invertita. Elettrolisi del cloruro di sodio fuso Per poter operare la riduzione di molti metalli occorre utilizzare sali fusi anidri invece che soluzioni acquose dei loro sali; infatti una soluzione acquosa di NaCl sottoposta ad elettrolisi produce idrogeno gassoso e non sodio metallico. Consideriamo una cella elettrolitica per l‟elettrolisi di NaCl fuso. Due elettrodi inerti, platino o grafite, sono immersi in NaCl fuso (costituito da ioni Na+ e Cl- liberi di muoversi) e connessi ad un generatore di corrente elettrica (batteria). All’elettrodo connesso con il polo negativo della batteria si ha la riduzione dell’Na+. All’altro elettrodo si ha la semireazione di ossidazione del Cl-. riduzione catodica ossidazione anodica da bilanciare moltiplicando per 2 reazione complessiva: Si formano Na elementare e Cl2 secondo il rapporto molare di 2 : 1. Affinché tale elettrolisi possa avvenire, la differenza di potenziale della batteria deve essere superiore (ed opposta) alla f.e.m. della pila corrispondente alla reazione spontanea, cioè: Cl2(g) + e- Cl- E° =1.36V Na+ + e- Na(s) E°= - 2.71V ΔE° = E°catodo- E° anodo =1.36V- (- 2.71V)= 4.07 V In realtà i valori numerici suddetti si riferiscono a condizioni standard con [Na+]=[Cl-]=1M in soluzione acquosa e non a Na+ e Cl- liquidi, per cui essi rappresentano solo una approssimazione. 2 faraday danno due equivalenti (= una mole) di idrogeno e due moli di ioni ossidrile (vedere semirazione catodica). Quindi si formano 1 x 10-3 moli di ossidrili che si troveranno in 50 ml, cioè 5 x 10-2 litri, di soluzione. 97 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno ESERCIZI DA SVOLGERE 1) Nella scala dei potenziali di riduzione standard le specie chimiche sono ordinate in base a: a) Il loro numero di ossidazione b) La tendenza ad acquistare elettroni c) La loro capacità di cedere elettroni d) L‟energia liberata nella reazione redox 2) Dopo aver consultato la tavola dei potenziali standard indica quali dei seguenti metalli è più facilmente ossidabile: α) Al β) Au χ) Fe δ) Cu 3) Indica il più forte OSSIDANTE tra le seguenti specie: E0 NO3 /NO(g) = + 0,96 V a. NO3-(aq) + b. Ag (aq) Ag Ag(s) E0 Ag /Ag(s) = + 0,80 V E0 Cr2O7 /Cr = + 1,33 V c. Cr2O7 2-(aq) 2- 3+ Cr2O7 Cr - + 2- 3+ 4) Scrivi le seguenti specie in ordine CRESCENTE di potere RIDUCENTE E0 I2 /2I = + 0,54 V a) I-(aq) b) Fe(s) (s) E0 Fe2 / Fe(s) = + 0,44 V c) Mn2+ 2- 2+ E0 MnO4 / Mn = + 1,51 V - + 2+ 2+ 5) Considera la reazione: I2 + Ag → Ag + + Iα) determina ossidante e riducente β) bilanciala χ) schematizza la pila della reazione spontanea δ) determinale la f.e.m in condizioni standard 6) Considera la reazione: Sn4+ +Fe2+ → Sn2+ +Fe3+ a. determina ossidante e riducente b. bilanciala c. verificane la spontaneità d. schematizza la pila della reazione spontanea e. determinale la f.e.m in condizioni standard 7) Considera la reazione: Pb2++Cd Pb + Cd 2+ a. determina ossidante e riducente b. bilanciala c. verificane la spontaneità d. schematizza la pila della reazione spontanea e. determinale la f.e.m in condizioni standard. 8) Una pila è formata dall’accoppiamento di un semielemento Zn(s)/Zn2+(aq) con un semielemento Sn2+(aq)/Sn(s). Dai dati dei potenziali di riduzione standard, calcola: a) la f.e.m standard della pila b) schematizza la pila, scrivi le reazioni agli elettrodi e la reazione totale. I due semielementi sono collegati tra loro mediante un ponte salino di KCl acquoso. 9) Una pila è formata dall’accoppiamento di un semielemento Cr(s) /Cr3+(aq) con un semielemento Ag+(aq)/Ag(s). Dai dati dei potenziali di riduzione standard, calcola: a) la f.e.m standard della pila; b) schematizza inoltre la pila, scrivere le reazioni agli elettrodi e la reazione totale. I due semielementi sono collegati tra loro mediante un ponte salino di KCl acquoso 98 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno 10) Quale affermazione riguardante il cosiddetto ponte salino è ERRATA? CORREGGILA! a) Il ponte salino contiene una soluzione elettrolitica b) Nel ponte salino possono circolare gli elettroni che vanno dalla semicella positiva a quella negativa c) Il ponte salino è necessario per chiudere il circuito, cioè per collegare le due soluzioni della pila d) Dal ponte salino fluiscono ioni che mantengono l’elettroneutralità delle soluzioni contenute in ogni semicella 11) Dati i potenziali standard di riduzione Fe3+ + e- → Fe2+ E° = 0,77 V E° = 1,07 V Br2 + 2e- → 2Br Cl2 + 2e → 2Cl E° = 1,36 V valuta se le reazioni ai punti a. b. e c. possono avvenire in condizioni standard e calcola la forza elettromotrice di ciascuna. a. Ossidazione di Fe2+ a Fe3+ usando come ossidante Br2 b. Ossidazione di Br- a Br2 usando come ossidante Cl2 c. Ossidazione di Cl - a Cl2 usando come ossidante un sale di Fe3+ Soluzione reazione a. In base ai valori di E°, il bromo ha maggiore tendenza a ridursi, mentre il ferro si ossida. catodo (riduzione) Br2 + 2e- → 2Br2Fe2+ → 2Fe3+ + 2eanodo (ossidazione) ______________________ Br2 + 2e- + 2Fe2+ → 2Fe3+ + 2e- + 2Br L’ossidazione di Fe2+ a Fe3+ con Br2 è possibile e la reazione complessiva è: Br2 + 2Fe2+ → 2Fe3+ + 2BrIl coefficiente 2 davanti al ferro è stato introdotto per bilanciare gli elettroni ceduti/acquistati (questo non modifica il valore del potenziale). La forza elettromotrice è data da: E° = E°c - E°a = 1,07 V - 0,77 V = 0,30 V Soluzione reazione b. In base ai valori di E°, il cloro ha maggiore tendenza a ridursi, mentre il bromo si ossida. Cl2 + 2e- → 2Cl- catodo (riduzione) 2Br- → Br2 + 2e- anodo (ossidazione) ______________________ Cl2 + 2e- + 2Br - → 2Cl- + 2e- + Br2 L’ossidazione di Br- a Br2 con Cl2 è possibile e la reazione complessiva è Cl2 + 2Br - → 2Cl- + Br2 La forza elettromotrice è data da: E° = E°c - E°a = 1,36 V - 1,07 V = 0,29 V Soluzione reazione c. In base ai valori di E°, il cloro ha maggiore tendenza a ridursi, mentre il ferro si ossida. Non è quindi spontanea una reazione in cui il cloro funge da anodo ed il ferro da catodo, la cui forza elettromotrice è: E° = E°c - E°a = 0,77 V - 1,36 V = - 0,59 V Il valore negativo dice che la reazione non avviene spontaneamente, mentre è spontanea la reazione nel verso opposto (ossidazione di Fe2+ a Fe3+ con Cl2) Cl2 + 2e- → 2Clcatodo (riduzione) 2Fe2+ → 2Fe3+ + 2eanodo (ossidazione) _________________________________ Cl2 + 2e- + 2Fe2+ → 2Fe3+ + 2e- + 2ClLa forza elettromotrice è data da: E° = E°c - E°a = 1,36 V - 0,77 V = 0,59 V 12) E’ possibile ossidare un sale di Fe(II) a Fe(III) usando un sale di Sn(IV) che si riduce a Sn(II)? Sn4+ + 2e- → Sn2+ E° = 0,15 V Fe3+ + e- → Fe2+ E° = 0,77 V 99 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Soluzione In base ai valori di E°, si osserva che il ferro ha maggiore tendenza a ridursi rispetto allo stagno, che quindi si ossida; l’ossidazione del ferro con Sn(IV) non è spontanea in condizioni standard ed avviene la reazione opposta. catodo (riduzione) 2Fe3+ + 2e- → 2Fe2+ anodo (ossidazione) Sn2+ → Sn4+ + 2e__________________________________ Sn2+ + 2e- + 2Fe3+ → Sn4+ + 2e- + 2Fe2+ La reazione complessiva è: Sn2+ + 2Fe3+ → Sn4+ + 2Fe2+ La forza elettromotrice è data da: E° = E°c - E°a = 0,77 V - 0,15 V = 0,62 V 13) Valuta se si ha sviluppo di H2 in una soluzione acquosa di acido forte 1 M a. per aggiunta di Fe b. per aggiunta di Cu Fe2+ + 2e- → Fe(s) E° = - 0,44 V 2H+ + 2e- → H2 E° = 0,00 V Cu2+ + 2e- → Cu(s) E° = 0,34 V Soluzione Lo ione H+ tende a dare riduzione più del ferro, ma meno del rame. Il ferro in soluzione acida viene ossidato con sviluppo di H2 secondo la reazione: 2H+ + Fe → Fe2+ + H2 E° = E°c - E°a = 0,00 V + 0,44 V = 0,44 V Se introduciamo un frammento di ferro in soluzione acquosa di acido forte, ad esempio di HCl 1 M, si ha sviluppo di idrogeno ed il metallo lentamente scompare, passando in soluzione come Fe2+, introducendo invece un pezzetto di rame, questo rimane inalterato e non si ha sviluppo di idrogeno. Generalizzando questo risultato, si può affermare che soltanto i metalli il cui potenziale standard è negativo sono in grado di sviluppare idrogeno da soluzioni acide; i metalli con E° > 0 non danno questa reazione. 14) Individua anodo e catodo e calcola la forza elettromotrice di una pila in cui una semicella sia costituita da una sbarretta di Zn immersa in una soluzione di ZnSO4 1,00 M e la seconda semicella da un elettrodo di Ag immerso in una soluzione 1,00 M di AgNO3. Zn2+ + 2e- → Zn(s) E° = - 0,76 V Ag+ + e- → Ag(s) E° = 0,80 V Soluzione In base ai valori di potenziale, l’Ag si riduce comportandosi da catodo, lo Zn si ossida e funge da anodo. La reazione complessiva si ottiene sommando la prima reazione scritta nel verso opposto alla seconda moltiplicata per due (in modo da tenere conto degli elettroni scambiati). 2Ag+ + 2e- → 2Ag catodo (riduzione) anodo (ossidazione) Zn → Zn2+ + 2e______________________ Zn + 2Ag+ → Zn2+ + 2Ag La forza elettromotrice è data da: E° = E°c - E°a = 0,80 V + 0,76 V = 1,56 V 15) Sapendo che E° (Cu2+/Cu) = 0,34 V e E°(Ag+/Ag) = 0,80 V, calcola il valore della f.e.m standard della pila ottenuta accoppiando un semielemento a rame con uno ad argento. [ R .0,46 V] 16) Sapendo che E° (Cl2/Cl-) = 1,36 V e E°(Br2/Br-) = 1,07 V, scrivi la reazione che in condizioni standard avviene tra queste due coppie redox . [R. Cl2 + 2Br-→ 2Cl- + Br2] 17) Sapendo che E° (Mg2+/Mg) = - 2,37 V e E°(Fe2+/Fe) = - 0,44 V, stabilisci quale delle seguenti reazioni ha luogo spontaneamente in condizioni standard. [ R. Mg + Fe2+→ Mg2+ + Fe] 100 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno 18) Date le seguenti coppie redox: Ce(IV)/Ce(III) E° = 1,44 V Au(III)/Au(I) E° = 1,29 V a) Individua la reazione spontanea Soluzione Gli ossidanti sono il Ce(IV) e l’Au(III) e dei due è più forte è il Ce(IV), avendo esso il potenziale di riduzione più alto. Perciò la reazione che può avvenire spontaneamente è: 2Ce4+ + Au+ 2Ce3+ + Au3+ b) Calcola la FEM di una pila con [Ce3+]=[Au3+]=[Au+] = 0,01M e [Ce4+] = 0,1M. Soluzione Si applica l’equazione di Nernst a ogni singolo semielemento della pila: 19) Calcola la fem della pila basata sulla reazione di ossidoriduzione 2 Ag+ + Cu 2Ag + Cu2+ nel caso in cui [Ag+] = 10-4 M e [Cu2+] = 0.1 M. Soluzione Il catodo è l’argento, Ag , che si riduce, l’anodo è il rame che si ossida, quindi si determina il ΔE°=E°catodo - E°anodo = + 0,80V - 0,34V = + 0,46 V Poi si applica l’equazione di Nernst 20) Nella pila mostrata in figura, una lamina di argento viene immersa in una soluzione di nitrato di argento e una lamina di piombo viene immersa in una soluzione di nitrato di piombo (II). I due becher sono collegati mediante un ponte salino. Stabilisci: a) Qual è l’anodo b) Qual è il catodo c) Dove avviene l’ossidazione d) Dove avviene la riduzione e) In quale direzione scorrono gli elettroni nel filo f) In quale direzione migrano gli ioni attraverso la soluzione Soluzione a) L’anodo e Pb b) Il catodo è Ag c) Pb (anodo) d) Ag (catodo) e) Gli elettroni scorrono lungo il filo metallico dal piombo all’argento 101 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno f) Gli ioni nitrato migrano dalla soluzione di nitrato di argento alla soluzione di nitrato di piombo 21) Sulla base dei potenziali di riduzione standard indica la specie che ha maggior tendenza a ridursi: a) F2 b) Co2+ c) Cl2 d) H+ 102 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno MODULO 9 CHIMICA ORGANICA • Introduzione • I derivati funzionali • L’importanza della chimica organica • Le biomolecole • Gli idrocarburi I composti del carbonio sono in numero gigante e compongon gli organismi delle bestie e delle piante. Quindi accade qualche volta di trovar cento composti che la formula hanno uguale e i caratteri hanno opposti; Una volta eran creduti dei composti assai speciali, non potendo riprodursi con sistemi artificiali: onde spesso ci si trova nella grave congiuntura che la greggia non ci basti: ci vuol quella di struttura. si pensava ad una forza che negli esseri viventi desse luogo a quei prodotti così strani e differenti; E a cercarla gioveranno due principi generali che s'avverano pur sempre, salvo casi eccezionali. finché Wöhler, ottenendo mercé sintesi l'urea e con metodi inorganici, non fugò la falsa idea. L'uno dice che un composto per esistere - badate vuol che gli atomi abbian tutte le valenze saturate; E se organica e inorganica restan campi separati, è perché forma il carbonio dei prodotti sconfinati, l'altro afferma che il carbonio può talor diversamente comportarsi, ma di norma si può dir tetravalente. in virtù dei suoi stessi atomi, che si posson molto bene collegare fra di loro per formar lunghe catene; E s'è inoltre constatato, senza tema ormai d'errore, che le sue quattro valenze han l'identico valore. vi concorre pure il fatto che il carbonio, alla fin fine, oltre che per altri corpi, per se stesso è molto affine. Le catene che fan gli atomi son di due grandi sistemi: o son chiuse, se ad anello si congiungono agli estremi, Fra i caratteri ai composti del carbonio peculiari, è che in essi assai prevalgono i legami non polari, o, al contrario, sono aperte, se ciascuna estremità, dritta oppur ramificata, per suo conto invece va. e perciò gli atomi assumono posizioni assai svariate, dando origine a molecole da stessi atomi formate, A catena aperta sono quei composti non invano detti grassi, o detti pure derivati del metano. mentre i corpi risultanti differiscon tuttavia ed è questa, in fondo in fondo, la famosa isomeria. Chi di chimica è digiuno, di comprendermi non speri: non è facile afferrare questi lugubri misteri Da “La chimica in versi” (1926) di Alberto Cavaliere (Mursia Ed.) 103 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno 1. Introduzione Breve viaggio nella chimica del carbonio Quando nel 1926 Alberto Cavaliere scrisse il suo curioso libro “La chimica in versi”, la chimica organica, come allora veniva chiamata la chimica del carbonio, era già molto sviluppata, per cui molti dei concetti da lui espressi sono validi ancora oggi. Proviamo quindi ad utilizzare la sua introduzione alla chimica del carbonio in modo critico, analizzandone i concetti ancora attuali ed eventualmente introducendo i correttivi che si sono sviluppati negli anni a seguire: I composti del carbonio sono in numero gigante e compongon gli organismi delle bestie e delle piante. I composti del carbonio finora conosciuti sono più di 18 milioni, molti di più di quelli già noti ai tempi del nostro chimicopoeta. Non solo: il progredire delle conoscenze fa si che nuovi composti, non esistenti in natura, vengano sintetizzati arricchendo cosi questa numerosa famiglia di composti. Una volta eran creduti dei composti assai speciali, non potendo riprodursi con sistemi artificiali: si pensava ad una forza che negli esseri viventi desse luogo a quei prodotti così strani e differenti; I composti organici vennero a lungo ritenuti di natura differente da quella dei composti inorganici e si pensava che la loro sintesi potesse avvenire solo negli organismi viventi - da cui la definizione di CHIMICA ORGANICA per la chimica che si occupava di questi composti così particolari - per azione di una “forza vitale” presente solo negli esseri viventi e capace di operare solo entro di essi. finché Wöhler, ottenendo mercé sintesi l'urea e con metodi inorganici, non fugò la falsa idea. Wolher era un chimico tedesco convinto che gli esseri viventi fossero dotati di una sorta di laboratorio chimico interno grazie al quale riuscivano a sintetizzare i composti organici, ed era perciò altrettanto convinto che in un laboratorio artificiale si potessero riprodurre le condizioni di sintesi di queste sostanze. Prova che ti riprova, Wolher riuscì a sintetizzare, a partire dall’ammoniaca (una sostanza inorganica) un grammo di urea, sostanza che era stata isolata dall’urina e che era quindi di sicura origine organica. Wolher dimostro quindi che non esisteva nessuna “forza vitale” e che quindi la chimica dei composti organici seguiva le stesse leggi di quella dei corpi inanimati! E se organica e inorganica restan campi separati, è perché forma il carbonio dei prodotti sconfinati, in virtù dei suoi stessi atomi, che si posson molto bene collegare fra di loro per formar lunghe catene In effetti la caratteristica peculiare che differenzia il carbonio dagli altri elementi e quella di dare luogo a lunghe catene di atomi di carbonio: questa caratteristica è all‟origine del grande numero di composti del carbonio esistenti e sintetizzabili. vi concorre pure il fatto che il carbonio, alla fin fine, oltre che per altri corpi, per se stesso è molto affine. Il concetto di affinità chimica risale agli alchimisti per i quali era una proprietà, degli elementi chimici, che indica la tendenza di uno di loro a legarsi con un altro. Goethe nel suo capolavoro “Le affinità elettive” utilizza gli argomenti dell'affinità chimica (da cui il titolo) come metafora per le relazioni interpersonali. Ora in effetti il carbonio ha affinità per se stesso… cioè si combina con se stesso e questa è una proprietà rara da riscontrarsi tra gli elementi che, tendenzialmente, preferiscono combinarsi con altri elementi. 104 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Fra i caratteri ai composti del carbonio peculiari, è che in essi assai prevalgono i legami non polari, Il carbonio nei composti organici si combina con se stesso dando legami covalenti puri, con l’idrogeno H dando legami sostanzialmente apolari, e con altri atomi più elettronegativi come ossigeno O, azoto N, zolfo S, alogeni, dando legami discretamente polari. Le molecole organiche risultano però nella maggior parte dei casi globalmente apolari. mentre i corpi risultanti differiscon tuttavia ed è questa, in fondo in fondo, la famosa isomeria. e perciò gli atomi assumono posizioni assai svariate, dando origine a molecole da stessi atomi formate, Gli atomi delle molecole organiche, come vedremo meglio parlando degli idrocarburici possono collegare tra loro in più modi per cui si possono avere molecole con caratteristiche chimico fisiche diverse ma composte dallo stesso tipo e numero di atomi. Tali molecole vengono dette isomeri ed il fenomeno è detto ISOMERIA. Quindi accade qualche volta di trovar cento composti che la formula hanno uguale e i caratteri hanno opposti; onde spesso ci si trova nella grave congiuntura che la greggia non ci basti: ci vuol quella di struttura A differenza delle sostanze inorganiche che possono essere spesso identificate solo dalla formula greggia (che descrive solo il tipo ed il numero di atomi che costituiscono la molecola), le sostanze organiche necessitano quindi anche della cosiddetta formula di struttura, che illustra in modo sintetico come sono collegati gli atomi tra loro e dà quindi una idea della disposizione nello spazio degli atomi oltre che della forma complessiva della molecola. E a cercarla gioveranno due principi generali che s'avverano pur sempre, salvo casi eccezionali. L'uno dice che un composto per esistere - badate vuol che gli atomi abbian tutte le valenze saturate; l'altro afferma che il carbonio può talor diversamente comportarsi, ma di norma si può dir tetravalente Anche il concetto di valenza è sostanzialmente superato. La valenza è un termine usato per indicare la capacità degli atomi di combinarsi con altri elementi: un atomo tetravalente è un atomo che può formare 4 legami. Oggi si preferisce usare il numero di ossidazione che esprime la carica fittizia che un atomo assume quando si combina con un altro atomo e che dipende dal numero di elettroni che l'atomo in questione assumerebbe se si assegnassero al più elettronegativo degli atomi interessati dal legame tutti gli elettroni che danno origine al legame. Nei composti organici l’atomo di carbonio forma sempre 4 legami. E s'è inoltre constatato, senza tema ormai d'errore, che le sue quattro valenze han l'identico valore Questa affermazione non è del tutto condivisibile: avremo infatti, abbiamo visto nel capitolo dei legami, legami singoli, doppi o tripli, e, quindi, lunghezze ed energie di legame diverse! Le catene che fan gli atomi son di due grandi sistemi: o son chiuse, se ad anello si congiungono agli estremi, o, al contrario, sono aperte, se ciascuna estremità, dritta oppur ramificata, per suo conto invece va. Abbiamo dunque detto che il carbonio forma lunghe catene: queste possono essere aperte o chiuse ad anello. Inoltre le catene possono avere delle ramificazioni come accade al ramo di un albero. A catena aperta sono quei composti non invano detti grassi, o detti pure derivati del metano. 105 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno La cosiddetta serie grassa indicava gli idrocarburi saturi, oggi con il termine grassi si indicano i trigliceridi ed altre sostanze di interesse prevalentemente biologico. Il metano è invece il composto più semplice tra carbonio ed idrogeno, di formula grezza CH4. Chi di chimica è digiuno, di comprendermi non speri: non è facile afferrare questi lugubri misteri! Speriamo che invece questo breve volo nel mondo della chimica organica vi aiuti a chiarire almeno alcuni di questi misteri! 2. L’importanza della chimica organica Per chimica organica dunque s’intende comunemente la chimica dei composti del carbonio. Già abbiamo incontrato dei composti con questo elemento, il monossido e il diossido di carbonio (CO e CO2) per esempio, l’anione carbonato (CO3=), formalmente derivante dall’acido carbonico, l’acido cianidrico (HCN) etc.; li consideriamo composti inorganici. La molecola dell’urea August Kekulé Oggi la distinzione in auge fino alla prima metà dell’800, ovvero tra chimica inorganica, che studia i composti provenienti dal mondo minerale e chimica organica, la quale invece si occupa dei composti Friedrich Wohler provenienti dal mondo animale e vegetale, è accettata solo a livello simbolico e storico; preferiamo considerare come “organici”, quei composti in cui compare l’atomo di carbonio con numero di ossidazione inferiore a + 4 (con l’eccezione del monossido di carbonio). Fu il chimico svedese Jacob Berzelius a usare per la prima volta il termine “chimica organica” nel 1807 e, come menzionato, fu il grande chimico tedesco Friedrich Wohler a dare l’avvio “ufficiale” all’epopea dei composti organici, quando si rese conto di essere stato “in grado di preparare l’urea senza l’ausilio di un rene” (lo scienziato la ottenne facendo reagire cianato d‟argento con cloruro d’ammonio, composti inorganici, con l’intenzione di ottenere cianato d’ammonio); la sua scoperta ovviamente aprì un orizzonte pressoché illimitato alla sintesi organica. D’altro canto Kekulè (Friedrich August Kekulé Von Stradonitz), che avrebbe in seguito studiato a fondo il benzene, stabilì nel 1858 la tetravalenza del carbonio, ovvero la proprietà di formare quattro legami. Come si è già detto, questo elemento ha una grande affinità per i legami chimici con altri atomi leggeri, tra cui il carbonio stesso; trovandosi inoltre al centro della tavola periodica (quarto gruppo, secondo periodo) il carbonio non manifesta una grande attitudine né a perdere, né ad acquistare elettroni, comportandosi quindi da non metallo con una elettronegatività media. Da qui l’attitudine a formare catene che possono, teoricamente, arrivare all’infinito. Oggi si conoscono oltre diciotto milioni di composti organici e un gran numero di questi si ottiene per sintesi. Il grande sviluppo della chimica organica parte dalla seconda metà del secolo XIX ed è parte integrante della seconda rivoluzione industriale, al pari dell’avvento dell’elettricità. Da allora tale sviluppo non conosce battute d’arresto e oggi questa branca della chimica riveste importanza vitale in molti campi; vediamone alcuni. 106 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Biologia Gli amminoacidi, costituenti primari delle proteine, le proteine stesse, gli enzimi, i carboidrati (zuccheri), i lipidi (grassi), i neuromediatori (adrenalina, acetilcolina, dopamina), strutture che hanno il compito di tradurre il messaggio a livello delle terminazioni nervose, sono tutte molecole di natura organica. Saccarosio DNA Watson e Crick Il saccarosio è il comune zucchero da tavola, un disaccaride formato da due zuccheri semplici, così come gli acidi nucleici (DNA, la cui complessa struttura a elica fu messa a punto da James Watson e Francis Crick nel 1953, RNA), depositari dei caratteri e della trasmissione biologica, e gli enzimi, veri e propri messaggeri biologici che “viaggiano” all’interno del nostro organismo. 1.1.1 Farmaci La preparazione di medicamenti utili a curare i disturbi più vari, è un’attitudine tanto antica quanto l’uomo; egli conosce e usa le erbe fin dall’alba della sua storia e intuisce già dall’inizio che queste contengono quelli che oggi chiamiamo “principi attivi” (la frazione di farmaco che possiede attività farmacologia). Già nel 3000 a.c. comparvero i primi scritti che tendevano a classificare le piante in base ai loro poteri magici e terapeutici. La molecola dell‟acido Gli antichi romani usavano succhiare la corteccia di salice allo scopo di alleviare il dolore; acetilsalicilico (Aspirina) questa contiene una sostanza (anche se i nostri antenati non lo sapevano), l’acido salicilico, una molecola organica che, opportunamente modificata, è alla base della moderna aspirina. Furono gli alchimisti del medioevo a decretare la nascita di una farmacologia chimica intesa in senso moderno, come sviluppo ragionato della fitoterapia (la scienza che studia le piante in senso più ampio, anche se il termine “fitoterapia” viene introdotto nel XIX secolo). Intendiamo per “farmaco” un composto chimico, di origine naturale o sintetica, in grado di effettuare un’azione terapeutica, inducendo una modificazione a livello dei processi biologici; gli antichi non ne avevano consapevolezza ovviamente, ma i principi attivi presenti in natura erano in realtà capolavori di ingegneria molecolare. Oggi la ricerca farmacologia ha raggiunto livelli straordinari, soprattutto a partire dagli anni sessanta del ventesimo secolo, grazie a un’approfondita conoscenza dei processi biologici e grazie anche ai recenti sviluppi della biologia molecolare. L’esatta individuazione dei vari processi biochimici, permette alla moderna industria farmaceutica di “disegnare” il farmaco più idoneo per quel tipo specifico di patologia; basti pensare ai moderni preparati contro l’ipertensione, o agli anti-ulcera che riducono la secrezione a livello dello stomaco. La molecola dell’atenololo principio introdotto nel 1976 per la cura dell’ipertensione 107 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Polimeri I polimeri sono delle macromolecole (ad altissimo peso molecolare), che si formano dall’unione di molecole semplici chiamate monomeri. Sono polimeri naturali l’amido e la cellulosa, polisaccaridi (cioè lunghi filamenti composti da zuccheri semplici) formati da lunghe catene di glucosio (il monomero) e molto diffuse nel regno vegetale (l’amido si trova nelle patate e nei cereali), il glicogeno, polisaccaride di riserva dei tessuti animali, le proteine, ovvero catene di amminoacidi, gli acidi nucleici (dna, rna), i cui monomeri sono rappresentati dai nucleotidi. Struttura dell‟amido Oggi praticamente gran parte dei materiali che ci circondano sono costituiti da polimeri sintetici, i quali, a partire dalla seconda metà del diciannovesimo secolo hanno sostituito i più costosi materiali naturali. L’industria dei polimeri sintetici è cresciuta di pari passo con quella petrolifera ed è con essa in stretta relazione. Nel 1844 si ha una prima produzione del “linoleum” a partire da olio di lino, mentre il primo polimero sintetico, la “parkesine”, usato come impermeabilizzante è del 1856. Nel 1865 John Hyatt utilizza un polimero analogo alla parkesine per ricoprire le palle da biliardo e all’inizio del secolo successivo, nel 1907, Leo Baekeland sintetizza la “bakelite”. Altre date importanti sono il 1912, anno in cui viene sintetizzato il PVC (polivinilicloruro), il 1930, anno della messa a punto del polistirene (polistirolo) e il 1940, che vede la prima produzione del nylon. Telefono di bakelite degli anni quaranta I nomi di molti polimeri sintetici ci risultano familiari e vengono impiegati per la fabbricazione di oggetti di uso molto comune. Vediamo alcuni esempi: - POLIPROPILENE (moquettes, imballaggi) - POLIVINILCLORURO (PVC) - POLISTIRENE (polistirolo espanso) - POLIESTERI (fibre tessili, dacron, terital) - TETRAFLUOROETILENE (teflon, pentole) - POLIAMMIDI (nylon) - POLIETILENE (isolanti, buste di plastica) - POLIVINILI (colla, vinavil) - POLIMETILMETACRILATO (plexigas) - POLIETILENTEREFTALATO (PET, bottiglie) Il nylon (che si ottiene dalla reazione di due molecole organiche, esametilendiammina e acido adipico), venne usato per la fabbricazione di paracadute durante la seconda guerra mondiale Le comuni buste di plastica sono realizzate in polietilene (il monomero è l’etilene, idrocarburo di formula CH2=CH2) Energia e Industria Petrolifera (idrocarburi) Gli idrocarburi (composti organici formati unicamente da carbonio e idrogeno) sono i componenti principali del petrolio e del gas naturale. Il petrolio è attualmente il più importante dei combustibili fossili e si trova in giacimenti sugli strati superficiali della crosta terrestre. È conosciuto da secoli (ne parla Marco Polo ne “Il Milione”, secolo XIII) ed era già noto nell’antico oriente. L'industria petrolifera nasce in USA nel 1850 e il primo pozzo viene aperto nel 1859. Il suo utilizzo ha influenzato in maniera fondamentale lo sviluppo industriale, politico e sociale a partire dalla seconda metà del XIX secolo; è stato inoltre fattore scatenante di numerosi conflitti (Guerra del Golfo, 1990). 108 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Il petrolio è una miscela complessa di idrocarburi formati nel corso di un tempo lunghissimo grazie alla decomposizione di organismi animali e sostanze vegetali; tale decomposizione è dovuta essenzialmente a batteri anaerobi. La teoria biogenica indica che il petrolio deriva dalla maturazione termica di materia organica rimasta sepolta. In condizioni di elevatissima temperatura e di fortissima pressione, vengono liberati idrocarburi. Si distinguono una fase liquida (petrolio) e una gassosa (gas naturale), principalmente costituita da metano, ma anche etano e propano. Sia la fase liquida che quella gassosa tendono a migrare verso l’alto attraverso rocce porose, finché incontrano degli strati impermeabili dove restano intrappolate. Il seguente schema illustra quali prodotti si ottengono dalla lavorazione (distillazione frazionata) del petrolio. Le varie frazioni ottenute sono composte da idrocarburi a vario numero di atomi di metano: gli idrocarburi gassosi (C1-C4), le benzine (C6-C12), il kerosene (C9-C15), il gasolio (C15-C18), olio combustibile (C16-C20). La benzina verde è ottenuta aggiungendo alla benzina una certa quantità di benzene (idrocarburo aromatico), per sostituire il piombo tetraetile un tempo usato come antidetonante; ma il benzene è una molecola molto stabile e dotata di tossicità e contribuisce notevolmente all’inquinamento atmosferico. L’industria petrolchimica, che si va affermando a partire dal 1930, si occupa di tutti quei processi di lavorazione del petrolio e dei prodotti da esso ottenibili; con lo sviluppo dell’industria del petrolio, il carbone, per lungo tempo fonte primaria dei prodotti chimici industriali, ha progressivamente perso la sua importanza. Diversi sono i processi possibili a carico del prezioso minerale, in particolare il cracking e il reforming, tesi ad ottenere prodotti “intermedi” di grande importanza,. Il “cracking” è un processo utilizzato per ricavare idrocarburi più leggeri, tramite rottura dei legami tra gli atomi di carbonio degli idrocarburi più pesanti; si possono ottenere in tal modo alcheni leggeri (etilene, propilene, butadiene), idrocarburi ramificati o acetilenici, alcuni di questi di fondamentale importanza per la produzione di materie plastiche, fibre tessili etc. Il “reforming” è un processo che consente di trasformare frazioni petrolifere per migliorarne le caratteristiche. Per esempio la trasformazione di idrocarburi saturi alifatici in composti aromatici, consente un miglioramento delle caratteristiche antidetonanti delle benzine. 3. Gli idrocarburi Sono detti idrocarburi i composti che il carbonio forma con l’idrogeno. In questi composti ogni carbonio forma sempre quattro legami covalenti con atomi di idrogeno o altri atomi di carbonio. Idrocarburi saturi: Se i legami tra atomi di carbonio sono tutti singoli avremo i cosiddetti idrocarburi saturi. In essi il carbonio è sempre legato ad altri quattro atomi. Gli idrocarburi saturi a catena aperta vengono anche detti alcani, quelli a catena chiusa cicloalcani. Nella seguente tabella sono riportati i nomi, la struttura di Kekulé o formula di struttura (che indica come sono collegati tra di loro gli atomi), la struttura condensata ( che mette in evidenza i legami tra gli atomi di carbonio, cioè il cosiddetto scheletro carbonioso) e il modello a sfere e bastoncini (che dà un’idea della reale forma della molecola). 109 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Ovviamente il carbonio può dare anche composti con molti più atomi di carbonio che verranno battezzati con un nome che deriva dal numero di atomi di carbonio che li costituiscono ( pentano, esano, eptano, ottano, …). I nomi degli alcani semplici non ramificati sono costituiti da una radice che indica il numero di carboni che costituisce la catena e dalla desinenza ano (definita anche suffisso) che indica la classe di appartenenza. La tabella seguente riporta i nomi degli alcani lineari semplici. Rimuovendo un idrogeno da una catena alchilica si ottiene un radicale alchilico. Il nome di un radicale alchilico si ottiene sostituendo il suffisso ano dell’alcano corrispondente con il suffisso ile. 110 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Gli idrocarburi con 4 o più atomi di carbonio possono avere isomeri di struttura, cioè molecole che pur avendo la stessa formula greggia hanno una diversa concatenazione degli atomi. Queste molecole hanno anche diverso punto di fusione e diverso punto di ebollizione. Esistono ad esempio 2 possibili strutture che possiamo scrivere per un alcano con quattro atomi di carbonio (formula molecolare C4H10): una struttura lineare e una ramificata. Butano e isobutano sono isomeri di struttura. Per un alcano di formula C5H12 possiamo scrivere 3 possibili strutture: una lineare, il pentano, e due ramificate. Per assegnare il nome ad alcani ramificati dobbiamo utilizzare delle regole previste: 1. Individuare la catena carboniosa continua più lunga. 2. Individuare il sostituente e numerare la catena. 3. Il nome finale si costruisce scrivendo nell’ordine da sinistra a destra: posizione del sostituente, trattino, nome del sostituente, nome della catena principale (fusi in un'unica parola). Un alcano con 15 atomi di C può avere 4.347 isomeri diversi, mentre con 20 atomi di C possiamo costruire 366.319 isomeri diversi! Questo dà una idea del perché il numero di composti organici possa essere così grande. La formula generale degli alcani è CnH2n+2 dove n è uguale al numero di atomi di carbonio che costituiscono la molecola. Se quindi un alcano ha 15 atomi di carbonio la sua formula greggia sarà C15H32. 4-Etil Ottano Queste sono invece le formule di alcuni ciclo alcani, il più importante dei quali è il cicloesano: Gli alcani sono insolubili in acqua e solubili in solventi apolari (benzene, etere, cloroformio); hanno inoltre bassi punti di fusione e bassi punti di ebollizione (essendo infatti apolari, tra le molecole degli alcani si instaurano deboli forze di Van der Waals): 111 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno La fonte principale degli alcani è il petrolio e, poiché la loro combustione è fortemente esotermica, vengono utilizzati come combustibili . Questo utilizzo è in realtà poco razionale: essi sono infatti anche una importantissima fonte di materie prime (non inesauribile!) utilizzate per la sintesi di molti altri composti: finito il petrolio niente più materie plastiche, farmaci, pesticidi, collanti, vernici, etc etc!! Idrocarburi insaturi: Vengono denominati Idrocarburi insaturi quegli idrocarburi, denominati alcheni, che presentano doppi legami tra atomi di carbonio e quegli idrocarburi, denominati alchini, che presentano tripli legami tra atomi di carbonio. I loro nomi sono caratterizzati dalla desinenza. –ene per gli alcheni (es: pentene) e dalla desinenza –ino per gli alchini (es: esino). Se due molecole di idrocarburi insaturi hanno la stessa formula greggia ma differiscono per la posizione nella catena dei legami doppi o tripli ci troveremo di fronte ad un tipo di isomeria detta isomeria di posizione. Il seguente composto è l’etino, detto anche acetilene, il più semplice degli alchini. Viene utilizzato nei dispositivi di illuminazione utilizzati dagli speleologi dove viene prodotto in situ a partire dal carburo di calcio facendolo reagire con l'acqua. Idrocarburi Aromatici: Molte sono le sostanze, polveri, spezie o piante medicinali, utilizzate nel corso della storia. Cristoforo Colombo (1451-1506), Vasco De Gama (1469- 1524), Ferdinando Magellano (1480-1521), Sir Francis Drake (1549-1596), furono solo alcuni tra coloro che, durante i loro viaggi, approfondirono la ricerca delle spezie; queste, unitamente alle piante medicinali, furono le prime sostanze naturali studiate dai chimici organici. Vediamone alcune. Il toluene è un composto (idrocarburo) che si ottiene dal balsamo del tolù, grande pianta (fino a venticinque metri) della famiglia delle fabaceae, presente soprattutto in Venezuela; il balsamo è noto in erboristeria, perché in grado di favorire la fluidificazione del catarro presente nei bronchi e di ridurre la tosse. La benzaldeide è un composto isolato dall’olio di mandorle amare e dal caratteristico odore; inoltre tale composto è il più semplice membro della categoria delle aldeidi aromatiche nonché quello più sfruttato a livello industriale. L’alcol benzilico è un composto nocivo; una lozione al 5% di alcool benzilico è stata proposta come trattamento per la pediculosi (pidocchi). L’alcol benzilico si ottiene dalla resina del Benzoino, una pianta arbustiva delle Styracaceae che cresce nel sudest asiatico, dotata di proprietà emollienti ed espettoranti. Anche l’acido benzoico è un composto rintracciabile nella resina del Benzoino. L’acido benzoico e i suoi sali sono usati come additivi alimentari (E210); è inoltre usato nell’industria della plastica. Altro composto aromatico è l’azulene (dallo spagnolo AZUL, azzurro), molto usato in cosmetica, idrocarburo aromatico, solido di colore blu-violetto. Erodoto di Alicarnasso, storico greco vissuto quattro secoli prima di Cristo, narrò nelle sue “Storie” che esisteva un “popolo più resistente perché usava mangiare le foglie di salice”. Queste contenevano l’acido salicilico, antesignano della moderna Aspirina. 112 Alcol benzoico Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno E potremmo citare tantissimi altri casi. Ma cosa hanno in comune tutti i composti fin qui citati? Sono “composti aromatici” e il benzene è la struttura di base. Il termine “aromatico” identificava tradizionalmente quei prodotti profumati e dall’aroma caratteristico e i loro principi. In senso moderno tale termine identifica le proprietà specifiche dell‟anello benzenico (anello aromatico). Il benzene fu isolato per la prima volta nel 1825 dal chimico inglese Michael Faraday (1791-1867), che lo ottenne dal gas illuminante, ottenuto per distillazione dal litantrace (ovvero il carbon fossile, ancora oggi carburante di notevole importanza). Faraday lo chiamò Bicarburo d’Idrogeno. Nel 1845, il chimico inglese Charles Mansfield lo isolò dal catrame. Oggi il benzene viene estratto dal petrolio. La peculiare struttura a doppi legami alternati fu proposta nel 1865 da August Kekulè. Egli avanzò l'ipotesi che i legami doppi e semplici della molecola scambiassero la loro posizione lungo l'anello con velocità tanto elevata che le reazioni caratteristiche degli alcheni non potevano avvenire, conferendo la particolare stabilità e le proprietà chimiche del benzene. La leggenda narra come egli fu ispirato in sogno da un “serpente che si morde la coda” ed intuì che in realtà tali legami “ruotano” continuamente, proprio a formare una nuvola ad anello. Prima di essere scoperto come cancerogeno, veniva usato al posto del piombo tetraetile come antidetonante delle benzine (oggi il piombo ovviamente non si usa più). A temperatura ambiente è un liquido incolore e dall’odore caratteristico, poco solubile in acqua e molto solubile nei solventi organici. 113 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno 4. I derivati funzionali Gli idrocarburi sono solo una piccola parte dei composti organici. Da essi infatti derivano moltissimi altri composti caratterizzati dalla presenza di altri atomi: l’ossigeno, l’azoto, gli alogeni. Come conseguenza della presenza nella molecola, al posto di uno o più idrogeni, di questi atomi, avremo dei composti con caratteristiche e reattività molto diverse. La presenza di un certo gruppo funzionale nella molecola influenza la sua reattività conferendole caratteristiche chimiche peculiari. I composti organici vengono pertanto raggruppati a seconda del la presenza di questi gruppi di atomi, fermo restando che in una stessa molecola possono essere presenti più gruppi funzionali! Si tratta cioè di una comoda esemplificazione che ci consente di studiare la reattività di quel determinato gruppo. Passeremo ora a trattare sinteticamente i principali gruppi funzionali prendendo come esempi le molecole più comuni e diffuse di ogni gruppo. 114 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Gli alogenuri alchilici: Se uno o più idrogeni di un idrocarburo viene sostituito da uno o più atomi di alogeni avremo gli alogenuri alchilici. Vengono denominati anteponendo al nome dell’idrocarburo da cui derivano il nome e la posizione dell’alogeno. Nella nomenclatura tradizionali si assegna il suffisso -uro alla radice del nome dell’alogeno e si scrive il nome dell’alchile corrispondente (ad esempio CH3Cl si chiamerà cloruro di metile). Di seguito sono riportati gli alogenuri più interessanti e il loro utilizzo. È molto usato come solvente. È un anestetico. Più noti come clorofluorocarburi sono dei fluidi refrigeranti molto economici e venivano utilizzati nelle bombolette spray; ora sono proibiti perché danneggiano lo strato di ozono atmosferico che ci protegge dalle pericolose radiazioni UV. Il cloroformio è stata la prima sostanza ad essere usata come anestetico, ma è nocivo. Oggi è utilizzato come solvente. Il tricloroetilene è un ottimo solvente: si può usare per decaffeinare il caffè, per estrarre olio dai semi ma anche per il cosiddetto lavaggio a secco degli indumenti. Quest’ultimo uso è stato abbandonato per la sua tossicità ed al suo posto viene utilizzato il tetracloroetilene. Il tetracloretilene viene utilizzato nelle lavanderie a secco, come solvente per lo sgrassaggio dei metalli, nell'industria chimica e farmaceutica, nell'uso domestico. Il DDT (diclorodifeniltricloroetano) è stato il primo insetticida ad essere utilizzato (1939) ed ha contribuito, essendo efficace contro la zanzara che la trasmette, ad eliminare la malaria da vaste zone del mondo. Oggi è accusato di accumularsi nei tessuti e di essere cancerogeno. L’OMS però né ha consigliato l’uso nelle zone infestate dalla zanzara nelle quali i rischi per la salute legati alla malaria sono di molto superiori rispetto a quello di ammalarsi di cancro. La diossina è molto tossica e cancerogena. Si produce durante le combustioni (anche nel fumo di sigaretta…). Costituisce il principale ostacolo alla combustione indiscriminata dei rifiuti in quanto si produce se in questi ultimi sono presenti materiali plastici Gli alcoli: Sono molecole caratterizzate dalla presenza di un gruppo –OH (ossidrile). Vengono generalmente rappresentati con la formula generale ROH, dove R rappresenta la parte idrocarburica della molecola. Il loro nome deriva dall’idrocarburo: ad esempio se prendo il metano CH4 e sostituisco un suo idrogeno con un OH otterrò il metanolo o alcool metilico CH3OH, se prendo l’etano C2H6 e sostituisco un suo idrogeno con un OH otterrò l’etanolo o alcool etilico C2H5OH e così via. Il gruppo OH è fortemente polarizzato e può dare legami a idrogeno, pertanto gli alcoli a basso peso molecolare sono più alto bollenti degli idrocarburi da cui derivano e sono solubili in acqua. All’allungarsi della catena idrocarburica l’influenza del gruppo OH sulle proprietà della molecola diminuisce e gli alcoli diventano insolubili in acqua. 115 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Se nella molecola sono presenti due ossidrili avrò i dioli, se tre i trioli. L’alcool metilico (CH3OH) è un composto che si ottiene dalla distillazione del legno – veniva infatti chiamato spirito di legno (“spirito” è un vecchio modo di indicare gli alcoli) – ma si forma in piccole quantità anche durante la fermentazione alcolica. È un composto estremamente pericoloso anche in quantità molto piccole (non può superare lo 0,25% nei vini e l’1% nei superalcolici), in quanto il fegato lo trasforma in formaldeide, una sostanza molto tossica. Negli anni ‘80 si verificarono delle intossicazioni molto gravi, che portarono in qualche caso anche alla morte, causate dal consumo di vino adulterato con metanolo per aumentarne il grado alcolico. L’alcool etilico (C2H5OH) è il costituente principale del vino e delle bevande alcoliche. È noto sin dalla antichità e si ottiene dalla fermentazione (trasformazione ad opera di alcuni microrganismi) degli zuccheri contenuti nell’uva (vino) o in altre frutta (sidro, cherry…) o cereali (birra, whisky….). Nel fegato l’alcool etilico viene convertito nella tossica acetaldeide; per questo motivo è bene limitarne l’uso. Ha inoltre un effetto neurotossico (danneggia i neuroni) con conseguenze sulle funzioni psichiche e motorie. Se assunto in eccesso può dare il cosiddetto “coma etilico” che può portare anche alla morte. Dà dipendenza e danni fisici gravi soprattutto al fegato in caso di abuso prolungato nel tempo. Gli effetti sulla vigilanza,sulla memoria, sulla coscienza (fino al delirio…), sulla coordinazione motoria e sui tempi di reazione hanno indotto il legislatore a mettere dei limiti alla sua assunzione per i guidatori. Per i neopatentati tale limite è zero! Vuol dire divieto di assumere alcolici se ci si mette alla guida…. Il Glicol etilenico (CH2OHCH2OH) è un diolo e viene usato come additivo anticongelante nell’acqua di raffreddamento dei motori della automobili. È tossico se ingerito. La Glicerina (CH2OHCHOHCH2OH) è un triolo utilizzato come emolliente in molti prodotti cosmetici (saponi, creme, detergenti…); è anche il composto da cui si parte per produrre la nitroglicerina (un potente esplosivo ma anche un efficace vasodilatatore usato nelle malattie dell’apparato cardiovascolare). Se l’ossidrile è unito ad un anello benzenico, i composti vengono detti fenoli. Sono acidi deboli, tanto che il fenolo (il più semplice di questi composti) è anche detto acido fenico ed è usato come disinfettante. Le aldeidi: Sono composti caratterizzati dalla presenza di un carbonile, cioè di un ossigeno legato con un doppio legame ad un carbonio. L’aldeide più semplice ma anche la più famosa è la formaldeide. la sua soluzione acquosa al 37%, detta formalina, veniva usata per conservare reperti biologici o piccoli animali e come disinfettante. La maggior parte della produzione della formaldeide è utilizzata per produrre polimeri. Trova impiego come collante nei truciolati: i mobili con essi costruiti rilasciano formaldeide nel tempo e questo è un problema perché questo composto è inserito dal 2004 nell’elenco delle sostanze cancerogene. C’è da dire che la quantità emessa è veramente molto piccola, mentre per esempio fumare in una stanza quattro sigarette fa raggiungere il livello massimo tollerabile di formaldeide (visto che una delle schifezze che si sviluppa dalla loro combustione è proprio la formaldeide). Morale: abbiamo trovato un altro ottimo motivo per non fumare! Esistono altre aldeidi decisamente più piacevoli, come quella che dà il profumo alla citronella, la pianta con la cui essenza si possono preparare candele utili a tener lontane le zanzare nelle sere d’estate. La benzaldeide (di cui abbiamo già parlato a proposito dei derivati del benzene) è una aldeide aromatica dal caratteristico odore di mandorle amare. Viene utilizzata come aroma per i dolci a base di mandorle ed è da preferire alle mandorle amare perché queste ultime contengono acido cianidrico, un veleno molto pericoloso! Come vedete non tutte le cose “naturali” sono benefiche! 116 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno I chetoni: Sono parenti stretti delle aldeidi. Il chetone più conosciuto è l’acetone, quella sostanza che viene utilizzata per togliere lo smalto dalle unghie. L’acetone viene infatti utilizzato principalmente come solvente (riesce a sciogliere anche l’Attak!) ma trova utilizzo anche nella produzione di polimeri acrilici. Acidi carbossilici: Sono caratterizzati dalla presenza del carbossili, cioè il gruppo –COOH. L’acido carbossilico più importante è l’acido acetico che si ottiene dall’acetificazione del vino e che è noto sin dall’antichità. E’ un acido debole: per questo non è pericoloso condire l’insalata con l’aceto! Quest’ultimo è in grado di denaturare le proteine ( un processo che avviene durante la cottura degli alimenti che le contengono), per cui può essere utilizzato per preparare delle ottime acciughe marinate nell’aceto! (Se abitate in montagna prendete delle acciughe sotto sale, sciacquatele bene, mettetele sotto aceto per qualche ora, sgocciolatele, conditele con olio e un po’ di aglio tritato e scoprirete che la chimica non è fatta solo di schifezze!) L’acido carbossilico più semplice è l’acido formico, quello che le “simpatiche” formiche rosse vi iniettano se vi pizzicano. I corvi, animali più intelligenti di quel che si pensa, molestano le formiche in modo da farsi spruzzare di acido formico: in questo modo l’uccello si libera dei suoi parassiti! L’acido formico uccide la salmonella, il batterio responsabile di pericolose intossicazioni alimentari: può quindi essere addizionato ai mangimi dei pollami per prevenire la contaminazione delle loro carni e delle uova con la salmonella. Molto importanti sono anche gli acidi grassi, di cui parleremo nel paragrafo dedicato alle biomolecole. Gli esteri: Derivano dalla reazione tra alcoli e acidi carbossilici. Gli esteri hanno solitamente odori gradevoli e danno il loro profumo caratteristico a molti frutti. Le ammine: Sono composti molto interessanti caratterizzati dalla presenza del gruppo –NH2. Noi ci soffermeremo sull’anilina, dalla quale un chimico inglese, William Henry Perkin, ricavò nel 1856 un colorante viola, il primo colorante sintetico, detto polvere di anilina o malveina. Ovviamente in quell’anno il viola malva fu molto di moda, anche perché era un colorante molto meno costoso di quelli di origine naturale. Dall’anilina successivamente si sintetizzarono molti altri coloranti; oggi però si sa che l’anilina è cancerogena. Fate attenzione specialmente con le scarpe: se vi macchiano i piedi non le usate più perché potrebbero essere state colorate con coloranti all’anilina! 117 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno 5. Le biomolecole Gli organismi viventi, sono in grado di sintetizzare circa mille miliardi di molecole differenti, molte delle quali indispensabili per la vita; a ben pensarci i “pochi” milioni di molecole create artificialmente in laboratorio, sono poca cosa rispetto a tutto ciò! Noi traiamo energia da carboidrati e grassi, i nostri muscoli sono formati da proteine; non potremmo neanche funzionare tanto bene senza piccoli messaggeri dalla importante struttura detti “ormoni”, o senza le proverbiali vitamine. Il nostro sistema nervoso funziona per mezzo di certi mediatori chimici ai quali è affidato il compito di trasferire l’impulso; inoltre, le particolari informazioni riguardanti il nostro essere, sono fedelmente e impeccabilmente riportate nel nostro DNA (acido desossiribonucleico), esponente di spicco della categoria degli acidi nucleici insieme a RNA (acido ribonucleico). Proteine, zuccheri e acidi nucleici sono “polimeri”, ossia molecole ad altissimo peso molecolare formate da unità più semplici dette monomeri (rispettivamente, amminoacidi, monosaccaridi e nucleotidi); più precisamente, si usa definirli polimeri naturali, per distinguerli dalla categoria dei “polimeri sintetici” di cui abbiamo accennato in precedenza. Carboidrati: chiamati anche glucidi, zuccheri o saccaridi, i carboidrati sono composti organici tra i più abbondanti in natura e rappresentano una indispensabile fonte di energia. A questa categoria appartiene ad esempio il glucosio, prodotto dalle piante per mezzo della fotosintesi clorofilliana. Quest’ultima è un meccanismo biologico molto raffinato e intelligente, nel quale viene sintetizzata una molecola energeticamente molto utile a partire da molecole inorganiche comuni. Inoltre, durante questo processo, viene trasformata energia luminosa in energia chimica. Un grammo di glucosio contiene circa 17kJ di energia. 6CO2 + 6H2O Anitride Acqua carbonica CLOROFILLA C6H12O6 + 6C2 Glucosio Ossigeno I carboidrati erano classicamente indicati come “idrati di carbonio”, in quanto la loro formula generale è Cn(H2O)n. In base alla loro struttura vengono classificati come monosaccaridi zuccheri semplici che non possono essere ulteriormente idrolizzati a zuccheri più semplici, oligosaccaridi, formati da poche unità di monosaccaride (i disaccaridi sono i più importanti), e polisaccaridi, glucidi complessi che contengono numerosissime unità di monosaccaride; in tutti i casi, oligo e polisaccaridi, le molecole di monosaccaride sono saldate per mezzo di un legame detto legame glicosidico. I monosaccaridi rappresentano la più importante forma di energia; quando non utilizzati, vengono immagazzinati dagli organismi sotto varie forme (es. glicogeno nel fegato degli animali, amido nelle piante etc.). Caratteristica comune a tutti i monosaccaridi, è la presenza simultanea di un gruppo funzionale carbonilico, aldeidico o chetonico, e di gruppi ossidrile; li definiamo poliidrossialdeidi o poliidrossichetoni. Distinguiamo i monosaccaridi in aldosi e chetosi , a seconda che contengano la funzione aldeidica o chetonica, e in triosi, tetrosi , pentosi, esosi , a seconda che contengano, tre, quattro, cinque o sei atomi di carbonio. 118 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Più precisamente, il fruttosio sarà un cheto-esoso, in quanto contenente sei atomi di carbonio e il gruppo chetonico; per contro il glucosio sarà un aldo-esoso e il ribosio un aldo-pentoso e così via. Il glucosio è l’esponente di spicco della categoria dei monosaccaridi, oltre ad essere probabilmente il composto organico più presente in natura; attraverso il processo della glicolisi, è coinvolto nella produzione di ATP, strettamente connesso al contenuto energetico delle cellule. Altro monosaccaride estremamente importante è il fruttosio, che forma insieme al glucosio il disaccaride saccarosio (il comune zucchero da tavola!). I monosaccaridi si presentano sia in forma aperta, come quelle riportate finora, che in forma chiusa, ciclica, in equilibrio con la forma aperta. Come accennato, gli oligosaccaridi sono costituiti da due o più (in genere poche) unità di monosaccaride; a seconda del numero vengono denominati di-, tri- tetrasaccaridi etc. I disaccaridi sono i più importanti e sono formati da due unità di zucchero semplice. Nella formazione dei disaccaridi si instaura un legame tra le due molecole di monosaccaride (legame glicosidico), con perdita di una molecola di acqua. 119 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Tra i principali disaccaridi abbiamo: • Il lattosio, formato da glucosio e galattosio, è uno dei principali disaccaridi ed è il componente zuccherino del latte (vedi figura sopra). • Il maltosio è formato da due molecole di glucosio e deriva dall’idrolisi del malto. • Il saccarosio è lo zucchero di canna o di barbabietola ed è il dolcificante più comune nelle nostre tavole; è formato da una molecola di glucosio e una di fruttosio. Cellulosa, amido e glicogeno sono senz’altro tra i polisaccaridi più importanti in natura; i polisaccaridi sono polimeri naturali ad elevatissimo peso molecolare. La cellulosa è sicuramente il polisaccaride più presente in natura ed è materiale di sostegno dei tessuti vegetali (il legno è costituito per il 50% da cellulosa); è composta da lunghissime catene di β-D-Glucosio e da essa si ricava, tra gli altri prodotti, la carta. L’uomo, mancante degli enzimi appropriati, non è in grado di digerirla, al contrario dei ruminanti. L’amido rappresenta un’eccellente bacino di riserva delle piante; è presente nei cereali, nel grano e nel riso e consiste un una catena di molecole di α-D-Glucosio. Distinguiamo due forme, l’amilosio a catena lineare e l’amilopectina, a struttura ramificata. Il glicogeno, come accennato, è invece il polisaccaride di riserva degli organismi viventi ed è rintracciabile soprattutto nel fegato e nei muscoli; al momento del bisogno, l’organismo demolisce il glicogeno allo scopo di ottenere glucosio (glicogenolisi). La cellulosa è il principale materiale di sostegno delle piante Lipidi: alla classe dei lipidi appartengono sostanze strutturalmente molto diverse tra loro, con diverse funzioni; caratteristica comune a queste sostanze, è di essere insolubili in acqua e solubili in solventi apolari (etere). I lipidi (dal greco “lipos”, grasso) rappresentano un’importante riserva energetica; durante l’attività fisica vengono consumati insieme ai carboidrati (un grammo di “grasso” produce ben 37 kJ di energia contro i 17 kJ dei carboidrati!). Quella energetica non è l’unica funzione biologica dei lipidi, che svolgono anche mansione strut turale e di trasporto (fosfolipidi, lipoproteine, ormoni di natura steroidea etc.). Grassi e oli sono i lipidi più semplici e i più comuni, solidi i primi e liquidi i secondi; da un punto di vista strutturale essi sono esteri del glicerolo, o meglio triesteri, dato che il glicerolo è un alcol che contiene tre funzioni alcoliche. I trigliceridi si ottengono dall’esterificazione delle funzioni alcoliche del glicerolo con tre molecole di acido grasso. Gli acidi grassi sono acidi monocarbossilici alifatici, con un numero pari di atomi di carbonio (in genere tra 4 e 30). In base alla presenza o meno di doppi legami, distinguiamo gli acidi grassi in saturi e insaturi. Ecco alcuni esempi di acidi grassi saturi: 120 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno I grassi liquidi (oli), contengono invece una percentuale piuttosto elevata di acidi grassi insaturi , come l’oleico o il linoleico: Un opportuno processo di idrogenazione a carico dei doppi legami consente di ottenere un “indurimento” dei grassi liquidi di origine vegetale; tale processo è alla base della produzione delle cosiddette margarine. Proteine: sono polimeri naturali che si compongono di aminoacidi (i monomeri) legati tra loro mediante un legame ammidico (-CO-NH-) detto legame peptidico; sono essenziali per la struttura, il funzionamento e la riproduzione dei viventi. Gli aminoacidi, monomeri delle proteine, rappresentano il 15% del peso del corpo umano; dal nome si arguisce che sono caratterizzati da un gruppo amminico (-NH2) e da un gruppo carbossilico (-COOH). Il gruppo –R è quello che caratterizza i vari amminoacidi. Nonostante il gran numero di proteine conosciute, gli amminoacidi presenti in natura sono solo venti. Poiché l'organismo umano non è in grado di sintetizzare alcuni aminoacidi o, se lo è, la velocità di sintesi non è sufficiente al bisogno, esso deve assumere questi aminoacidi dall'esterno, mediante l'alimentazione, e ciò ad evitare la comparsa di manifestazioni morbose. Tali amminoacidi sono detti "aminoacidi essenziali" e sono: leucina, isoleucina, treonina, metionina, lisina, fenilalanina, triptofano, valina e, sicuramente per i neonati, istidina. Come detto, gli amminoacidi si saldano tra loro tramite legame peptidico per formare catene peptidiche; tale legame fu ipotizzato da Emil Fischer e riguarda il gruppo carbossile di un aminoacido e il gruppo amminico dell’amminoacido adiacente: Gli oligopeptidi (di-, tri-, tetra peptici etc. fino a circa dieci unità) sono catene costituite da pochi amminoacidi; catene più lunghe vengono definite propriamente peptidi. Alcuni peptidi sono molto importanti a livello biologico e fisiologico, pur non concorrendo alla formazione di proteine (ad esempio la bradichinina, nonapeptide che interviene nella regolazione della pressione sanguigna, l’ossitocina, secreta dal lobo posteriore dell’ipofisi, o la vasopressina, ancora un nonapeptide che concorre alla regolazione della pressione arteriosa). La descrizione della struttura delle proteine è abbastanza complessa; distinguiamo quattro tipi di struttura: primaria, secondaria, terziaria e quaternaria. La struttura primaria descrive il numero, il tipo e la sequenza degli amminoacidi impegnati nella catena: legame peptidico Gly –Ile-Val-Glu-Gln-Cys-Cys-Thr-Ser-Leu-Tyr Struttura primaria di un frammento della catena dell’insulina La struttura secondaria riguarda il modo in cui tale catena si dispone; fondamentalmente sono possibili due tipi di struttura, ad elica (α-elica) o a foglietto: Struttura dell’α-elica Struttura del foglietto β 121 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno A determinare la struttura secondaria concorrono deboli legami a idrogeno (quelli tratteggiati nelle figure) che si formano tra l’idrogeno legato all’azoto e l‟ossigeno del gruppo carbonilico. Il modo in cui si ripiegano le α-eliche o i foglietti, ovvero la sistemazione nello spazio tridimensionale, riguarda invece la struttura terziaria, dipendente in gran parte dai gruppi alchilici –R. Emoglobina Infine, alcune proteine sono in realtà costituite da due o più sub-unità (struttura quaternaria); è il caso dell’emoglobina, struttura formata da quattro sub-unità peptidiche. Acidi nucleici: sono svariati milioni gli organismi viventi in grado di riprodursi; ciò vale sia per gli organismi monocellulari, che per gli individui strutturalmente superiori. Questa capacità di riprodursi si esplica attraverso un meccanismo altamente sofisticato che porta alla generazione di un individuo del tutto simile al progenitore. Ogni cellula dovrà dunque possedere un “codice” in grado di tradurre tutte le informazioni necessari alla “progettazione” e alla costruzione del nuovo essere. Questo complesso “dossier” di informazioni, chiamato genoma, è contenuto nel DNA, acido desossiribonucleico, sostanza a cui si deve la biosintesi delle proteine, nonché la costruzione di un indispensabile messaggero, l’acido ribonucleico, RNA, l’altro esponente degli acidi nucleici. Il DNA fu isolato per la prima volta nel 1869 dal biochimico svizzero Friedrich Miescher, il quale gli assegnò il nome di “nucleina”. Una struttura definitiva fu invece proposta nel 1953 da James Watson e Francis Crick, in servizio presso il Cavendish Laboratori di Cambridge. Friedrich Miescher James Watson e Francis Crick Strutturalmente DNA e RNA sono piuttosto simili; entrambi sono polimeri costituiti da nucleotidi e questi ultimi sono formati da acido fosforico, da uno zucchero (ribosio nel caso dell’RNA e desossiribosio nel DNA) e da una base organica eterociclica, purinica o pirimidinica. Ciascun acido nucleico contiene quattro diverse basi, due puriniche, guanina e adenina, e due pirimidiniche, timina e citosina; nell’RNA l’uracile è al posto della timina. basi puriniche 122 basi pirimidiniche Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno La molecola di zucchero e quella della base (legate tramite legame glicosidico) costituiscono il nucleoside, il quale, legato al gruppo fosfato (mediante legame estereo) forma il nucleotide. un nucleotide La struttura a doppia elica proposta da Watson e Crick, prevede due catene di DNA in cui le basi si attraggono mediante legame a idrogeno. L’accoppiamento non è casuale; infatti l’adenina si lega sempre alla timina e la guanina alla citosina. Adenina Guanina Timina Citosina Come accennato prima, il DNA contiene le informazioni adeguate per la sintesi delle proteine; ad ogni tripletta di basi (codone) corrisponde un determinato amminoacido. Il codice genetico, universale e comune a tutti gli organismi, può essere definito come la relazione tra DNA, che contiene il “messaggio” e lo trascrive su un opportune frammento di RNA, detto messaggero, e la sequenza degli amminoacidi che vanno a costruire una data proteina. Le cellule contengono tre tipi di RNA: l’RNA messaggero (mRNA), il quale presiede alla trascrizione del codice genetico (il DNA è confinato nel nucleo e per “dirigere” la biosintesi delle proteine, che avviene nei ribosomi, ha bisogno di un mediatore, l’mRNA appunto); l’RNA transfer, che ha il compito di trasportare gli aminoacidi per la formazione dei legami peptidici (il t-RNA ha in altre parole il compito di tradurre le triplette del codice genetico nel “linguaggio” degli amminoacidi) e l’RNA ribosomiale (rRNA), principale componente dei ribosomi. L’essere umano è dunque “costruito” in base alle istruzioni impartite dal DNA; una cellula contiene circa due metri di acido nucleico, il quale a sua volta porta svariati miliardi di nucleotidi. Il DNA ha la capacità di replicarsi, cioè è capace di sintetizzare dei filamenti identici a sé stesso; il filamento serve per la sintesi dell’RNA, il tutto catalizzato da una serie di enzimi, tra cui DNA sintetasi e RNA sintetasi. 123 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno L’RNA messaggero passa dunque nei ribosomi, dove si trovano frammenti di RNA transfert, ognuna delle quali contenente una tripletta di nucleotidi in grado di trasportare un determinato amminoacido : Il codice genetico: a ogni tripletta di basi corrisponde un amminoacido Concludiamo il nostro viaggio nella chimica del carbonio così come lo avevamo iniziato, con il nostro amico chimico-poeta Alberto Cavaliere che, sempre a suo modo e cioè in versi, ci fornisce la scomposizione chimica del corpo umano: 124 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno IL CORPO UMANO Ecco un'analisi non troppo amena, che ha fatto un màcabro dottore a Jena: Ma ciò che supera le previsioni più catastrofiche sono i bottoni; preso un cadavere, l'ha decomposto, con molto scrupolo stimando il costo. ne ottieni un numero fenomenale, sì che un legittimo dubbio t'assale: L'ossa forniscono tanta calcina dal far l'intonaco d'una cucina, fece l'analisi quell'alchimista sopra lo scheletro d'un giornalista? e si ricupera tanta grafite da far al massimo cento matite Volendo vendere questi elementi ai poco modici prezzi correnti, I grassi abbondano - strano contrasto! pure in chi è solito saltare il pasto. ci si ricavano venti lirette: alcune scatole di sigarette! Da tutto il fosforo, piedi compresi, al più ci scappano mille svedesi, Che cifra misera! Solo conforto, se si considera che l'uomo morto, mentre distillasi dal corpo vile d'acqua…potabile tutto un barile. oscuro o celebre, ricco o pezzente, sciocco o filosofo, vale ugualmente. Il ferro è in minime tracce, di modo che non ci fabbrichi neppure un chiodo: Ed è ridicolo, in fondo in fondo, che, mentre vivono su questo mondo, fatto stranissimo perché da vivi di chiodi, in genere, non siamo privi. sia dian cert'arie tanti mortali, se poi gli scheletri son tutti uguali! 125 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno Hanno collaborato alla stesura dell opera: Caratto Alessandra ITI “Molinari” MI Fiorentino Giuseppe ITIS- Liceo Scientifico “Majorana “ BR Giuli Roberto ITIS “ Cassata” Gubbio PG La Torre Angela ITIS- Liceo Scientifico “Majorana “ BR Lasagna Cinzia ITCG “Maggiolini” Parabiago MI Margarito Gioacchino ITIS- Liceo Scientifico “Majorana “ BR Pellei Lucia ITIS “ Volterra Elia” AN Serio M. Rosaria ITIS- Liceo Scientifico “Majorana “ BR Vinjau Beatrice ITIS- Liceo Scientifico “Majorana “ BR Luglio 2015 126 Book in progress Scienze Integrate/Chimica - secondo anno NOTE _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ 127 Scienze Integrate/Chimica - secondo anno NOTE _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________________________________ 128