CONTRIBUTI PER UNA COSTRUZIONE DELLA REALTÀ POLITICA Il costruttivismo sociale di John Rogers Searle di FILIPPO CASONATTO L’Italia è restituita a se stessa e a Roma. Qui dove noi riconosciamo la patria dei nostri pensieri ogni cosa ci parla di grandezza ma nel tempo stesso ogni cosa ci ricorda dei nostri doveri1. L’oggetto dell’articolo sono le conseguenze per la filosofia politica delle tesi di ontologia sociale proposte dal filosofo americano John Rogers Searle. A questo scopo ci si propone di ricostruire brevemente le sue tesi, per poter comprendere le conseguenze che esse implicano per la teorizzazione politica. Si intende quindi mettere in luce, anche se in maniera sintetica, il meccanismo logico sotteso nel costruttivismo sociale dell’autore, associando alcune voci critiche e qualche spunto personale, per poi analizzare due recenti contributi sull’origine del potere politico. 1. Un’ontologia naturalistica della realtà sociale Il risultato di questa analisi è che noi non viviamo in tre mondi, come sostengono Popper e Frege, e nemmeno in due mondi, come sostiene Cartesio e tutta la tradizione dualistica, ma noi viviamo soltanto in un mondo, e, da un punto di vista logico, tutto in questo mondo sta assieme. [...] 1 Discorso pronunciato il 27 novembre 1871 da Vittorio Emanuele II in occasione dell’inaugurazione dell’Aula del Senato del Regno; in particolare questa frase campeggia tuttora sopra lo scranno del Presidente del Senato, a Palazzo Madama. 7 In questo unico mondo c’è una linea continua dal fatto che l’atomo dell’idrogeno ha un elettrone al fatto che la Seconda Guerra Mondiale sia cominciata nel Settembre 1939. Ci sono alcuni punti chiave in tale progressione. Uno è lo sviluppo di esseri viventi da sistemi basati su molecole di carbonio. Un secondo è lo sviluppo del sistema nervoso da forme organiche più semplici, un terzo è lo sviluppo della coscienza e dell’intenzionalità in certe forme di sistema nervoso. Un quarto è lo sviluppo della realtà istituzionale a partire dall’intenzionalità collettiva2. Innanzitutto va ricordato che lo scopo principale del nostro autore nello scrivere La costruzione della realtà sociale3 è quello di un’estensione coerente alla realtà sociale dell’apparato delle sue prime opere di filosofia del linguaggio e filosofia della mente. Praticamente tutti i concetti che vengono ordinati a questo fine ne La costruzione sono stati teorizzati altrove. Buona parte della teoria delle istituzioni era già implicita nel 1969, all’epoca di Atti linguistici, saggio di filosofia del linguaggio. La sfida che qui Searle raccoglie è quella di rendere conto, all’interno del suo «naturalismo biologico», delle categorie socio-politiche che, storicamente, sono sempre state poco compatibili con impostazioni di questo tipo. Quella di Searle è una sorta di fisica degli enti sociali, ma non si tratta di una forma di riduzionismo materialista: ricordiamo che il nostro autore rifiuta con forza tanto il funzionalismo computazionale da intelligenza artificiale4 (per il quale la mente umana è assimilabile a un calcolatore) quanto il materialismo eliminativista e il determinismo comportamentale tipico del materialismo in genere5, e postula invece la presenza di una lacuna6, in cui si innestano fenomeni quali la coscienza e il libero arbi2 J.R. SEARLE, Speech Acts, Mind and Social Reality, in Speech Acts, Mind and Social Reality: Discussions with John R. Searle, a cura di G. GREWENDORF e G. MEGGLE, Kluwer, Dordrecht 2002, pp. 3-16, qui p. 15. 3 ID., The Construction of Social Reality, Free Press, New York 1995; trad. it. di A. BOSCO, La Costruzione della realtà sociale, Edizioni di Comunità, Milano 1996. 4 ID., Minds, Brains and Programs in «Behavioral and Brain Sciences», 3 (1980) pp. 417457; trad. it. di G. LONGO in L’io della mente. Fantasie e riflessioni sul sé e sull’anima, a cura di D.C. DENNETT e D.R. HOFSTADTER, Adelphi, Milano 1997. 5 Per una trattazione sintetica ed efficace di tali punti cfr. J.R. SEARLE, The Rediscovery of Mind, MIT Press, Cambridge (Mass.) 1992; trad. it. di S. RAVAIOLI, La riscoperta della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1994. 6 J.R. SEARLE, Rationality in Action, MIT Press, Cambridge (Mass.) 2001; trad. it. e cura di E. CARLI e M.V. BRAMÈ, La razionalità dell’azione, Raffaello Cortina Editore, Milano 2003, pp. 57-90. 8 trio, che sarebbero innegabilmente esperiti dall’esperienza quotidiana. Come viene più volte ribadito, questi fenomeni tuttavia non giustificano un’impostazione metodologica distinta dell’indagine delle funzioni celebrali e quella relativa agli altri organi umani e agli oggetti naturali, poiché esse non sono altro che facoltà sistemiche del cervello umano. Anche se esse non sono riducibili all’epifenomenismo, rimangono pur sempre a livello neuronale (e non si dimentichi che nelle indagini di filosofia della mente Searle attinge ampiamente alle ricerche dei neurobiologi7). Ecco il senso in cui si parla di «ontologia sociale» per Searle: essa non postula l’esistenza di una particolare classe di enti da indagare, poiché gli unici enti esistenti nella sua impostazione ontologica monista sono quelli naturali. Ciò che dobbiamo spiegare è appunto l’organizzazione di questo «mondo di particelle fisiche e campi di forze»8 in sistemi coerenti dal punto di vista dell’osservatore, e rendere conto della loro natura ultima, ontologicamente soggettiva ma epistemicamente oggettiva. Non dobbiamo dimenticare che l’altra faccia della medaglia rispetto alla definizione di Elizabeth Anscombe di «fatto bruto»9 è la creazione della dicotomia tra fatti relativi o meno all’osservatore. I fatti sociali sono per loro natura ontologicamente dipendenti dall’osservatore (potrebbero mai esistere se nella terra non ci fossero esseri umani?), ma epistemicamente indipendenti da esso. Nessuno mette in discussione l’oggettività di istituzioni come il denaro, il matrimonio o il Seanto della Repubblica, né ha senso una proposizione del tipo: «secondo me non sono sposato» (o almeno ha più il sapore di una sciocca giustificazione che dell’esternazione di uno stato di cose mentale del parlante). Proprio l’origine di questa oggettività epistemica è l’oggetto dell’analisi condotta, che ci porta alla conclusione per cui questa oggettività è di natura interpersonale e riposa nella sua totalità nell’intenzionalità collettiva, che, associata ad alcune precise facoltà peculiari all’uomo, crea e conserva l’ente sociale. Ma se la realtà sociale è ontologicamente relativa all’osservatore, la sua natura deve includere una razionalità epistemica che gli proviene dalla logica umana. La ricerca della logica sottesa alle istituzioni sociali è proprio lo scopo che l’autore tenta di perseguire. In 7 Sono utilizzati esplicitamente i contributi di alcuni famosi neurobiologi per es. in J.R. SEARLE, The Mystery of Consciousness, New York Review Books, New York 1990; trad. it. di E. CARLI, Il mistero della coscienza, Raffaello Cortina editore, Milano 1998. 8 G. FAIGENBAUM, Conversation with John Searle, Libros en Red, Montevideo 2001, p. 184. 9 Cfr. G.E.M. ANSCOMBE, On Brute Facts, in «Analysis», 18 (1958), pp. 69-72. 9 particolare, egli ritiene di individuare un meccanismo logico (la sua è un’interpretazione costruttivista) comune a ogni forma di società; tenteremo di esporre questo meccanismo, almeno sinteticamente, cercando di trarne le dovute conseguenze nei termini di una propedeutica al pensiero politico. 2. La logica delle istituzioni L’analisi deve partire dai concetti chiave presupposti dal costruttivismo e dalle loro implicazioni; il fatto che la schematizzazione proposta sia quella che va per la maggiore nella letteratura su Searle fa ben sperare di essere riusciti a praticare i tagli secondo le venature. I tre strumenti (tools) alla base del meccanismo sono i concetti di «ascrizione funzionale», «intenzionalità collettiva» e «regole costitutive», a cui va a sommarsi il concetto di «sfondo». Attraverso la combinazione di queste facoltà peculiari (o quasi) dell’uomo, l’autore può individuare il nucleo centrale di ogni tipo di associazionismo. Vediamole brevemente una ad una. 2.1. Intenzionalità collettiva e attribuzione di funzioni L’intenzionalità collettiva è il concetto chiave di ogni aggregato sociale: rappresenta la condizione necessaria e sufficiente per la creazione dei fatti sociali più semplici, comuni anche agli animali, che sono espliciti in casi come quello della caccia condotta in branco. Questa facoltà in Searle precede il linguaggio e va considerata come una forma di intenzionalità primitiva, del tipo «noi cacciamo X». Questo è forse l’aspetto più problematico dell’intero resoconto proposto, viste anche la gravità di molte obiezioni sollevate10. Tuttavia, l’intenzionalità collettiva non è sufficiente per poter rendere conto delle forme aggregative che contraddistinguono l’uomo rispetto alle altre specie, che hanno un’organizzazione molto più complessa di quella di un branco di lupi, dal momento che evidentemen10 Per farsi un’idea dell’ampio dibattito in corso si può consultare il numero monografico dedicato a Searle della rivista «American Journal of Economics and Sociology», 62 (2003), di cui in particolare ricordiamo gli interventi di A. VISKOVATOFF, Searle, Rationality, and Social Reality, pp. 7-44; D. FITZPATRICK, Searle and Collective Intentionality. The Self-Defeating Nature of Internalism with respect to Social Facts, pp. 45-65; L.A. ZAIBERT, Collective Intentions and Collective Intentionality, pp. 209-231, tutti corredati da ampia bibliografia. 10 te intervengono altri fattori. Per rendere conto di essi può essere utile, a livello puramente esplicativo, riferirsi a quanto ci dice la paleoantropologia sui primi insediamenti umani. Nei primordi l’uomo ha cominciato a usare utensili, attribuendo loro una funzione: in un primo tempo probabilmente si limitava ad adoperarli per aumentare le proprie facoltà fisiche, per es. i sassi scagliati come proiettili o per i bastoni, appendici del proprio corpo con cui raccogliere frutta. In un secondo momento ha cominciato a modificare gli oggetti naturali affinché espletassero più efficacemente la funzione loro imposta, per es. facendo la punta ad alcuni bastoni per cacciare o ai sassi per incidere. Questa facoltà, ribadiamo, è comune anche a certi animali evoluti, come dimostrato dagli esperimenti che Köhler ha condotto sugli scimpanzé11. La struttura logica dell’imposizione di una funzione di questo tipo si configura così: Io intendo: «X conta come Y in C» Il tronco viene da me adoperato come sedia nel contesto della caverna. Se però combiniamo queste facoltà, noteremo che non vi sono particolari difficoltà nel ritenere possibile il passaggio a uno stadio ulteriore, in cui verranno attribuite funzioni da parte dell’intenzionalità collettiva ad alcuni oggetti come, per es., un ceppo comunemente usato come sedia dall’intero clan o un particolare bastone, conservato e utilizzato in quanto costituisce un’ottima leva o, addirittura, che vengano progettate ed elevate barriere contro le belve da parte degli uomini del clan. Non vi sono particolari difficoltà nel ritenere possibile che il luogo dove il clan si sedeva anticamente assuma via via lo status di sedia, e che a nessuno dei componenti del clan venga in mente di usarlo per il fuoco. La struttura logica in questo caso sarebbe: Noi intendiamo: «X conta come Y in C» Il tronco viene adoperato come sedia nel contesto della caverna da tutti i componenti del mio clan. 11 W. KÖHLER, Intelligenzprüfungen und Anthropoiden, in «Abhandlungen der Koeniglich Preussischen Akademie der Wissenschaften», Berlin 1917, ripubblicato in The Mentality of Apes, Kegan Paul & Co., Londra 1925, e più recentemente da Routledge, Londra 1999; trad. it. di G. PETTER, L’intelligenza delle scimmie antropoidi, Editrice Universitaria, Firenze 1960. 11 2.2. Il linguaggio A questo punto dobbiamo chiederci cosa renda pubblico il riconoscimento di tale funzione e perché a nessuno venga in mente, per es., di adoperare quel legno come combustibile. Il vero salto qualitativo, il gap che si viene a creare tra l’uomo e il regno animale consiste nella facoltà umana di attribuire funzioni simboliche (rimandanti ad altro), le quali sono il mezzo per rendere pubbliche le funzioni di status e permettono il passaggio dall’ente naturale «tronco» alla sedia. La facoltà linguistico-simbolica non ha solamente una funzione comunicativa: dal punto di vista dell’ontologia sociale è molto più interessante la possibilità, attraverso di essa, di attribuire funzioni indipendentemente dalle caratteristiche fisiche dell’oggetto funzionale. Pensiamo alla barriera, elevata con lo scopo di proteggere il clan dalle belve: anche una volta venuta meno la minaccia e le caratteristiche fisiche di robustezza e compattezza della barriera, i suoi resti potrebbero comunque mantenere lo status pubblico di «confine». Semplicemente si accetta (almeno implicitamente) che Noi intendiamo: «la barriera (o ciò che ne resta) conta come confine tra clan». Secondo Searle, il meccanismo ha il suo fulcro in questo punto, cioè nelle facoltà linguistico-simboliche che permettono il cruciale passaggio dal fatto bruto al fatto istituzionale. Il concetto centrale di «attribuzione collettiva di funzione» gode infatti di queste due fondamentali caratteristiche: 1. Agisce indipendente dalla struttura fisica dell’oggetto in questione: il denaro non svolge la funzione di denaro perché i pezzi di carta hanno una particolare proprietà fisica che permette lo scambio di merci, bensì il valore del denaro è convenzionale, come lo è quello dell’oro. 2. È sempre un’attribuzione di un potere di tipo deontico, relativamente quindi a delle persone: attraverso un’imposizione collettiva di funzione status l’oggetto può compiere funzioni che prima gli erano assolutamente precluse e che riguardano principalmente la sfera deontica (il possessore di una banconota ha un diritto all’acquisto che altrimenti non possiederebbe, come chi oltrepassa il confine accetta particolari conseguenze). 12 2.3. Regole costitutive Ma in che senso intervengono le regole costitutive? Esse rappresentano l’adesione collettiva e la pubblica accessibilità delle funzioni di status una volta che queste vengono regolarizzate in modo da costruire le istituzioni sociali, valide solo se sono almeno implicitamente condivise dalla collettività (che detiene di fatto il potere della forza bruta). Le regole costitutive creano i fatti istituzionali nella misura in cui rappresentano le funzioni di status regolarizzate: le stesse lingue naturali sono un insieme di regole convenzionali, ed è di fatto un’istituzione sociale non molto differente dal denaro, nella sua struttura logica. Abbiamo visto in che modo Searle sfugga alle critiche di circolarità rispetto al ruolo genetico dato al linguaggio (istituzione) nella creazione delle istituzioni. Accettare che una pratica regolare possa diventare regola costitutiva non sempre significa che debba necessariamente esistere una regola costitutiva affinché sia imposta una funzione di status, come nel caso più semplice che abbiamo visto12. 2.4. Poteri deontici «I fatti istituzionali sono sempre una questione di poteri deontici»13: rimane quindi da spiegare dove si innesti la normatività delle istituzioni sociali. Un’adeguata comprensione di questo punto implica molte delle tesi di filosofia del linguaggio che l’autore ha sostenuto a partire dai primi anni Sessanta per concludere che, in ultima istanza, il problema dell’insorgenza della normatività è una sorta di dilemma fasullo, in coerenza con la sua impostazione di «naturalista biologico». Searle risolve la questione proponendo un appiattimento dei livelli deontico e descrittivo, attraverso un’analisi linguistica che molto ha fatto discutere14. Ma ha ve12 J.R. SEARLE, Social Ontology and Political Power, in Socializing Metaphysics. The Nature of Social Reality, a cura di F.F. SCHMITT, Rowman & Littlefield, Oxford 2003, pp. 195–210; trad. it. di P. DI LUCIA e S. SPUNTARELLI, Ontologia sociale e potere politico, in Ontologia sociale. Potere deontico e regole costitutive, a cura di P. DI LUCIA, Quodlibet, Macerata 2003, pp. 27-44, qui p. 34. 13 Ibid., p. 35; e ancora: «The essential role of human institutions and the purpose of having institutions is not to constrain people as such, but, rather to create new sorts of power relationships. Human institutions are, above all, enabling because they create power marked by such terms as: rights, duties, obligations, authorizations, permissions, empowerments, requirements, and certifications. I call of these deontic powers». 14 Cfr. ID., How to Derive «Ought» From «Is», in «Philosophical Review», 73 (1964), pp. 43- 13 ramente senso dire che un biglietto da 5 Euro ha potere d’acquisto, o è più sensato dire che il portatore di questo oggetto ha tale potere? Un tale fatto secondo Searle suggerisce che il concetto di attribuzione funzionale sia intercambiabile con l’attribuzione di qualche potere, conferito attraverso strumenti linguistico-simbolici. In questo senso le funzioni di status, che in un primo momento si distinguerebbero in alcune ampie categorie (simbolica, deontica, onorifica15e procedurale) sono in realtà, a un’analisi più attenta, riducibili alla categoria dei poteri deontici, poiché le funzioni di status sono essenzialmente facoltà di fare qualcosa. Ecco quindi che la formula deontica «Noi accettiamo (S ha il potere (S fa A))» è la forma nella quale l’istituzione si presenta, l’altra faccia della medaglia rispetto alla formulazione «X conta come Y in C», investita dall’intenzionalità collettiva. L’istituzione è per sua natura permeata da potere deontico. Questo punto è molto importante e va bene inteso: Searle infatti spiega così come non vi sia necessità alcuna di dedurre una qualche normatività dalla sua teoria delle istituzioni, poiché essa è parte integrante, condizione di possibilità della stessa realtà sociale e istituzionale. I passaggi non sono distinti, ma sono due aspetti di un’unica operazione mentale. Possiamo dire quindi che il potere deontico risiede, in ultima analisi, nell’intenzionalità collettiva e ha le sue condizioni di possibilità nel linguaggio. Il passaggio da X a Y è per sua natura linguistico e, quindi, anche deontico: il piano deontico si innesta naturalmente nel linguaggio, poiché esso è l’attribuzione di funzione a dei simboli verso cui ci impegniamo socialmente (né la posizione di un naturalista è compatibile con qualche forma di trascendentalismo morale). Quello che spesso ci sfugge è che siamo sempre impegnati rispetto alle condizioni di soddisfazione delle nostre proposizioni. Dire «ora sta piovendo» o «ti prometto di falciare il 58. 15 Il caso del potere onorifico per Searle è da trattare a parte: esso apparentemente non sembrerebbe dare nessun potere a chi lo possiede: «Bene, che dire dei casi onorifici? È meglio pensare ad essi come casi limite dei deontici. Uno status valutato di per se stesso e non per il potere connesso ad esso, è un caso limite di una funzione di status. I casi onorifici sono, in un certo senso, casi degenerati del deontico, perché i diritti e gli obblighi che generalmente si accompagnano alle funzioni di status si sono ridotti fino al punto in cui lo status è valutato o svalutato solo di per se stesso. La domanda “I casi onorifici sono realmente deontici?” è come la domanda “Lo zero è realmente un numero?”» in ID., La costruzione della realtà sociale, cit., p. 126. 14 prato» non è molto diverso dal punto di vista dell’impegno ontologico della persona verso le proposizione (anche se ha condizioni di soddisfazione diverse rispetto alla direzione di adattamento): nel primo caso infatti ci impegniamo rispetto a uno stato di cose del mondo, nel secondo caso ci impegniamo rispetto a un nostro atteggiamento futuro. Infatti ogniqualvolta propongo un’asserzione «descrittiva» non faccio altro che assumere un impegno rispetto alle condizioni di soddisfazione della proposizione e alla loro corrispondenza agli stati di cose del mondo, secondo le regole costitutive che li tengono assieme e che mi sono date con lo «sfondo». Vediamo quindi come, per il nostro autore, questo binomio è solo apparente e non resiste a un’analisi approfondita. 2.5. Lo sfondo La categoria dello «sfondo» è inoltre indispensabile per rendere possibile la pratica quotidiana all’interno delle istituzioni: si tratta di una «rete olistica» di credenze di tipo pre-intenzionale, condizione di possibilità del nostro agire complesso. La tesi dello sfondo è sviluppata nella trattazione sull’intenzionalità, ed è un tema delicato. La giustificazione che Searle dà di questo apparato è di tipo euristico: ci troviamo di fronte questa facoltà umana innegabile nella misura in cui nessuno sosterrebbe mai di intenzionare con il pensiero ogni atto agito. Dobbiamo chiederci se senza questa struttura sarebbero possibili azioni complesse, quali sciare, suonare il pianoforte etc., e pare proprio che la risposta sia negativa. Trovandosi di fronte a questa realtà, la spiegazione naturalistica che Searle propone è quella di una tipologia di causazione neurofisiologica. Lo sfondo consiste in un sistema di «sentieri neurali» che vengono a crearsi attraverso l’adattamento sistemico del cervello «bianco» del bambino a seguito di azioni abitudinarie. Questi sentieri ci permettono, dopo un periodo di apprendimento, di agire a un livello superiore, dando le conoscenze pregresse per scontate: il pianista durante l’esecuzione non pensa alle regole notazionali di base, ma ha acquisito un linguaggio che coglie in maniera immediata e può concentrarsi sull’impronta da dare all’esecuzione16. 16 Questa tesi è molto discussa e in questa sede potrebbe addirittura risultare oscura. Ci limitiamo ad assumerla con Searle e, per motivi di spazio, siamo costretti a rimandare al suo Intentionality. An Essay in the Philosophy of Mind, Cambridge University Press, Cambridge 1983; trad. it. di D. BARBIERI, Della Intenzionalità. Un saggio di filosofia della conoscenza, Bompiani, Milano 1985, in part. pp. 145-165; e a La riscoperta della mente, cit., 15 3. Alcuni problemi Tra tutte le obiezioni mosse a Searle va sicuramente ricordata quella sollevata da Barry Smith17: se il termine Y non è altro che il termine X rappresentato in un certo modo, questa impostazione non è immune da controesempi, come nei casi del denaro elettronico, delle corporation e di altre sempre più comuni istituzioni sociali completamente indipendenti dal «sostrato fisico». Quanto Smith vuole sottolineare è appunto che esistono istituzioni sociali a pieno titolo che sono completamente indipendenti da quel sostrato fisico su cui, secondo Searle, poggerebbe la funzione di status. Maurizio Ferraris tenta di risolvere i problemi creati da queste obiezioni con una nuova tesi sulla «origine documentale» delle istituzioni sociali18, ma la sua impostazione non risolve il problema alla base, in quanto rimane anche qui una forte dipendenza dalla fisicità, seppure quella più limitata, «composta da molte meno molecole»: il rimando idiomatico che propone Ferraris, infatti, rappresenta una sorta di «documento» (categoria da intendersi nel senso più largo possibile: il rimando può essere costituito semplicemente dai neuroni coinvolti dalla intenzionalità umana), che rimane comunque un sostrato fisico, una traccia nel mondo che lega l’istituzione alla realtà fisica, e quindi porge il fianco allo stesso tipo di obiezioni. Ricordiamo anche che i fatti bruti, la sfera della fisicità in cui questa realtà si innesta, nella visione monistica di Searle non dipendono ontologicamente in nessun modo dall’osservatore, quindi una delle conclusioni da trarre è che anche le funzioni che noi rinveniamo in natura (del tipo: il cuore serve a pompare il sangue) sono del tutto observer-relative. Searle sostiene che il maggior merito di Darwin è l’estromissione di ogni teleologia dalla natura, ma nonostante ciò su questo punto anch’egli am- pp. 189-209. 17 Cfr. B. SMITH, The Ontology of Social Reality, in B. SMITH e J.R. SEARLE, The Construction of Social Reality. An Exchange, in «American Journal of Economics and Sociology», 62 (2003), pp. 285-299. 18 M. FERRARIS, Ontologia sociale e Documentalità, in «Networks», 6 (2006), p. 21-35, qui p. 28. La rivista è un periodico elettronico, disponibile integralmente sul sito SWIF all’indirizzo: http://lgxserve.ciseca.uniba.it/lei/ai/networks/index.html; e in ID., Lineamenti di una teoria degli oggetti sociali, in L’ ontologia della proprietà intellettuale. Aspetti e problemi, a cura di A. BOTTANI e R. DAVIES, Franco Angeli, Milano 2005, pp. 32-69. 16 mette di essere in difficoltà19, data tutta la resistenza che un’operazione di questo tipo trova nella filosofia della biologia. In questo campo, infatti, Larry Wright e Ruth Millikan su tutti hanno proposto nozioni di funzione naturale in perfetta coerenza con l’evoluzionismo, tenendo conto della loro applicabilità scientifica, soprattutto in biologia20. Archiviarle con un semplice «colpo di spugna», sostenendo, come Searle, che la proposizione «la funzione del cuore è di pompare il sangue» dipende completamente dal quadro assiologico di un osservatore che valuta la sopravvivenza come un valore, appare perlomeno un operazione sotto-teorizzata. Per comprendere fino in fondo l’ontologia che qui è proposta non si può non dare il giusto peso al fatto che vi è una priorità logica dei fatti bruti rispetto quelli sociali, con le conseguenti difficoltà sollevate da Smith riguardo ai controesempi che sembrano attestare la possibilità di oggetti sociali indipendenti da fatti bruti, i free-standing Y-terms. La peculiarità della analisi searliana è infatti il rovesciamento del metodo di indagine adottato con gli oggetti naturali: la sua impostazione monista presuppone per le istituzioni sociali (sempre relative all’osservatore) la precedenza ontologica del processo rispetto al prodotto, dell’atto sociale rispetto all’oggetto sociale, che deve interamente la sua esistenza alla facoltà naturale dell’intenzionalità collettiva. Una realtà costruita socialmente presuppone tra le sue condizioni di possibilità una realtà non costruita socialmente, ma indipendente da tutte le rappresentazioni. Questo rovesciamento ha le sue radici nel tentativo di coordinare un’impostazione antidualistica particolare con l’ontologia sociale. Non dimentichiamo che l’ontologia di fondo di Searle prevede l’adesione a un «realismo esterno», per sua natura indimostrabile, che va concepito come condizione di possibilità di ogni verifica. 19 «La sola parte controversa del mio resoconto è la mia pretesa che tutte le funzioni siano relative all’osservatore» in J.R. Searle, Responses to Critics of The Construction of Social Reality, in «Philosophy and Phenomenological Research», 57 (1997), pp. 449-458, qui p. 452. 20 Un’ottima introduzione al problema sulla validità della spiegazione teleologica in biologia è fornito dal volume miscellaneo Functions, Selection, and Design, a cura di D.J. BULLER, State University of New York Press, Albany 1999. Questa pubblicazione, oltre a una preziosa introduzione, mette a disposizione i maggiori contributi in materia nei cinque decenni che separano Carl G. Hempel da Denis Walsh, passando per Larry Wright e Ruth G. Millikan. Altro testo utile è sicuramente W.C. SALMON, Four Decades of Scientific Explanation, Regents of the University of Minnesota, Minneapolis 1989; trad. it. di M.C. DI MAIO, 40 anni di Spiegazione Scientifica, Franco Muzzio Editore, Padova 1992. 17 Gli ultimi tre capitoli de La costruzione della realtà sociale sono dedicati alle opinioni dell’autore in materia di ontologia – «opinioni», appunto, perché Searle ritiene circolare qualsiasi dimostrazione della verità del realismo esterno: in modo simile «si può stabilire se una frase inglese sia grammaticalmente corretta o grammaticalmente scorretta, ma non si può stabilire che l’inglese come linguaggio sia grammaticalmente corretto o grammaticalmente scorretto, perché è l’inglese che stabilisce il modello di grammaticalità inglese»21. Né ha senso sostenere che il mondo esterno esiste in base a una qualche prova empirica, poiché la stessa discussione sul fatto che le varie tesi fisiche convergano o non convergano presuppone il realismo. Il realismo non è una teoria semantica, anzi: in senso stretto, non è neppure una teoria. Il realismo fa parte di quei presupposti di «sfondo» che sono condizione per l’azione, e questa è una sorta di dimostrazione «trascendentale» (in senso kantiano) della sua validità. Così vale anche per la teoria della verità come corrispondenza. In ogni caso Searle non ritiene l’adesione alla teoria della verità come corrispondenza un requisito logico per la sua ontologia sociale22. Un’obiezione veramente radicale a questo tipo di impostazione dovrebbe muovere dal presupposto opposto, quello cioè della precedenza logica del linguaggio rispetto al pensiero, di un «costrutto sociale» rispetto a un «ente naturale». Bisogna però dire che al riguardo il nostro autore difende molto bene la sua proposta. Proviamo a seguirne il ragionamento. Le caratteristiche che un oggetto ha, in virtù delle quali la parola «cane» è vera rispetto ad esso, cioè le caratteristiche in virtù delle quali è un cane, sono caratteristiche che esistono indipendentemente dal linguaggio. E nella misura in cui si possono pensare indipendentemente da un linguaggio, si può avere quel pensiero indipendentemente dal linguaggio.23 Il pensiero che «oggi è martedì 26 ottobre» può essere tradotto in varie lingue, a patto che esse abbiano un calendario compatibile. I Maya avrebbero potuto altresì indicare uno spazio temporale sovrapponibile a quello cui si riferisce l’affermazione pronunciata in Occidente: il senso cambierebbe ma il riferimento rimarrebbe immutato, come per l’esempio 21 J.R. SEARLE, La costruzione della realtà sociale, cit., p. 200. Cfr. ibid., p. 223. 23 Ibid., pp. 76-77. 22 18 classico della «stella del mattino» e della «stella della sera», entrambe descrizioni del pianeta Venere. Ma se approfondiamo l’analisi nel senso delle «condizioni di soddisfazione», vediamo come gli enunciati di una certa complessità, per es. il fatto «oggi è martedì 26 ottobre» non possono esistere indipendentemente da un sistema verbale, bensì «questo pensiero è dipendente dal linguaggio, perché parte del contenuto del pensiero è che questo giorno soddisfa le condizioni che esistono solo relativamente alle parole»24. Possiamo estendere il concetto anche alle istituzioni, che esistono secondo una modalità analoga in maniera radicalmente dipendente dal linguaggio. Questo ragionamento impone due riflessioni. La prima verte sulla vastità dell’ontologia sociale. Essa ha per oggetto tutto ciò che è organizzato rispetto al sostrato dei fatti bruti, tuttavia con la premessa sostanziale che non tutti gli oggetti sono dipendenti dal linguaggio, nel senso che, mentre per definire «oggi è martedì 26 ottobre» ho bisogno di un sistema linguistico, per individuare una persona non è così. «I punti non sono “là fuori” nel senso in cui i pianeti, gli uomini, le linee e le palle sono là fuori»25. Il mondo per come noi siamo a esso abituati, è essenzialmente sociale, ma basato pur sempre su una facoltà innata di rapporto con il mondo. Questa facoltà non dipende dalla presenza nel mondo di oggetti, bensì dalla loro individuazione grazie alle capacità intenzionali, indipendenti dal linguaggio. Secondariamente, va rilevata la centralità del ruolo del linguaggio: esso non svolge infatti solamente funzioni comunicative, bensì è anche costitutivo dell’intera realtà istituzionale, fondamentale per l’esistenza di tutte le istituzioni che presentano un minimo di complessità26. Il linguaggio è quella facoltà che permette la creazione di motivazioni all’agire indipendenti dai desideri ed è quindi alla base di ogni imposizione di funzione. Esso costituisce le condizioni di possibilità di una vita autenticamente politica, nel senso dell’«adesione libera». 24 Ibid., p. 78, corsivo nostro. Ibid., p. 79. 26 J.R. SEARLE, Ontologia sociale e potere politico, cit., p. 36. 25 19 4. Quale filosofia politica? La funzione del meccanismo proposto dal nostro autore è quella di indagare la struttura logica della realtà sociale. Essa deve infatti avere una struttura logica dal momento che la realtà sociale è un prodotto umano, ontologicamente relativo all’osservatore. La controindicazione alla nostra analisi è il rischio di smarrire la visione di insieme: concentrarsi sulle tesi componenti di un meccanismo, che è pur sempre uno strumento finalizzato a rendere comprensibile una struttura logica soggiacente, potrebbe far dimenticare di trarre le dovute conseguenze di questa impostazione, che è ciò che mi propongo ora di fare a partire da alcuni recenti contributi di Searle. Due sono gli articoli particolarmente interessanti per intuire le applicazioni politiche della sua ontologia sociale: Ontologia sociale e potere politico del 200327 e Linguaggio e potere politico (la trascrizione di una conferenza tenuta alla Sorbona nel 200128), oltre naturalmente alle molte interviste rilasciate. In questi interventi si traggono le conclusioni sulla forma che assume il potere politico se si mantiene coerente con l’ontologia sociale qui proposta. Abbiamo già visto che le istituzioni sono sostanzialmente una questione di poteri deontici, ma Searle tiene a far notare come anche i governi e le leadership politiche non si sottraggano a questo meccanismo e come anche il più totalitario dei governi tragga il suo potere dalla funzione attribuitagli dall’intenzionalità collettiva. Pensiamo a una occupazione condotta militarmente. Tra gli invasori esiste un sistema di funzioni di status e pertanto possono esistere relazioni politiche entro l’esercito, ma la relazione tra gli occupanti e gli occupati non è di natura politica a meno che gli occupanti non inizino ad accettare e non riconoscano la validità delle funzioni di status. Finché gli occupati accettano gli ordini degli occupanti senza accettare la validità delle funzioni di status, essi agiscono per paura e per prudenza. Agiscono per ragioni che sono dipendenti-dal-desiderio. […] Esiste una struttura logica differente per quanto riguarda l’ontologia a seconda che il 27 Ibid. ID., Le Langage et le pouvoir politique, in Liberté et neurobiologie, a cura di P. SAVIDAN, Edition Grasset & Fasquelle, Paris 2004; trad. it. di E. CARLI e Y. OUDAI CELSO, Linguaggio e potere politico, in Libertà e Neurobiologia, a cura di E. CARLI, Mondadori, Milano 2005, pp. 61-90. 28 20 potere sia deontico oppure che il potere sia basato sulla forza bruta o sull’interesse personale29. Questo concetto di politica è sicuramente molto fecondo. Esso enfatizza la provenienza dal basso del potere, che viene di fatto esercitato dall’alto: l’esempio che Searle usa spesso è quello della caduta del comunismo, che si è verificata quando l’intenzionalità collettiva non era più in grado di sostenere il sistema di funzioni a cui aveva aderito in precedenza. La chiave di lettura della realtà politica è quindi la struttura dell’accettazione di funzione da parte della collettività, un’accettazione che si basa su ragioni indipendenti dal desiderio. Questo tipo di ragioni è fondamentale per la comprensione della sfera politica: accettare qualcosa in base a ragioni indipendenti dal desiderio significa per Searle trovare motivazioni che siano legate a impegni linguistici e sottratte alla sfera della fisicità. Il linguaggio è fondamentale nel sistema: solo attraverso concetti linguistici è infatti possibile la formulazione di quegli impegni sociali che, a loro volta, permettono l’esistenza di desideri di questo tipo e, quindi, della stessa vita politica. Essa ha natura convenzionale ed è espressione della volontà (spesso inconsapevole) della collettività che riconosce ai governanti determinati poteri deontici. È importante ricordare come per Searle la vita politica sia un fatto squisitamente basato su ragioni indipendenti dal desiderio, cioè su motivazioni all’azione sempre libere dalla necessitazione di un sistema fisico causale chiuso, possibili grazie a quella lacuna lasciata aperta che, attraverso il linguaggio, riesce a imporre funzioni simboliche indipendenti dalla fisicità. Quella di Searle è di fatto una teoria non causale della razionalità, in netta rottura con il modello classico di deduzione delle azioni da un insieme coerente di motivazioni30. Se i conflitti devono rimanere linguistici, essi devono essere condotti a livelli indipendenti dal desiderio fisiologico, prudenziale o altro; perché essi siano definibili come conflitti politici, allora sarà requisito fondamentale della sfera pubblica avere il monopolio della violenza: Il miracolo, per così dire, delle società democratiche è che il sistema di funzioni di status dell’autorità politica è stato in grado (attraverso 29 ID., Ontologia sociale e potere politico, cit., p. 38. Cfr. la postfazione di E. CARLI, La teoria non causale della razionalità in John R. Searle in J.R. SEARLE, La razionalità dell’azione, cit., pp. 279-293. 30 21 l’esercizio dei poteri deontici), di esercitare un controllo su quei sistemi di funzioni di status stessi che sono l’esercito e la polizia31. In pratica, la possibilità della realtà politica è radicata a un livello molto alto dell’ontologia sociale: essa infatti presuppone che il potere simbolico abbia in qualche modo la meglio sul piano della fisicità – la parola sulla spada, per così dire – per cui se non vi fosse un ente garante e neutrale che abbia il completo monopolio della violenza armata, producendo conseguentemente la minaccia concreta dell’uso della forza fisica, non si produce la culla del confronto politico32. A un livello più alto, quindi, il costruttivismo di Searle può in qualche modo prescindere da ogni tipologia di meccanismo astratto e di formula, ed è nel suo nucleo riducibile a un’attribuzione di poteri deontici nel rispetto di motivazioni indipendenti dal desiderio. Questo lo sottrarrebbe da quella parte della critica che punta a far notare l’inefficacia del meccanismo introdotto: esso può invece essere del tutto abbandonato perché ha una funzione per lo più esplicativa33. Quello che conta è riconoscere una funzione di status (per cui Tizio ha il potere di X) e avere una ragione per agire indipendente dal desiderio (qualora il potere deontico collegato non sia esercitato con la forza sulla collettività). In conclusione possiamo dire che Searle non punta, in questi due saggi, a rispondere alle domande peculiari della filosofia politica, come «Qual’è la società più giusta?» o «Cosa rende giusta una società?», bensì apporta un’analisi dell’ontologia soggiacente alle istituzioni: «In che mo31 J.R: SEARLE, Ontologia sociale e potere politico, cit., p. 43. Cfr. ibid., p. 42-43. Il concetto fondamentale è senza dubbio che il conflitto, per essere politico, deve essere non violento, così da far intervenire soltanto quelle ragioni indipendenti dal desiderio. Il discorso sulla minaccia delle forze armate è abbastanza «oscuro»: compare solo in questa sede e per poche righe, quindi si rimanda ai prossimi lavori di Searle, nella speranza che la questione venga chiarita. 33 «I find the formula “x counts as y in c” immensely useful because it gives us a way of articulating the distinction between those functions where the function is performed in virtue of an intrinsic physical feature of the object, and those functions which are performed in virtue of collective recognition of a status. If he finds the “x counts as y in context c” formula confusing, then my whole analysis can be stated without it, it is just much more long-winded, and indeed in the crucial chapter on the ontology of the deontic powers, I do not use this formula»; in ID., Reply to Barry Smith, in B. SMITH e J.R. SEARLE, The Construction of Social Reality. An Exchange, cit., p. 309. 32 22 do esistono le istituzioni?» o «Come è possibile, in un mondo regolato da leggi chimiche e fisiche, l’esistenza di enti come matrimoni, governi etc.?». Nonostante ciò, se consideriamo le tre tipologie weberiane di giustificazione (tradizionale, carismatica, razionale), Searle precisa che, al giorno d’oggi, saremmo in molti a pensare che soltanto una giustificazione razionale del sistema politico sarebbe razionalmente accettabile34. Tale tipologia di giustificazione ha avuto i suoi migliori risultati in The Theory of Justice di John Rawls. Il lavoro di Searle si propone, così, di essere una propedeutica35, di fornire cioè una teoria dell’ontologia sociale che permetta sviluppi in questo senso; il suo obiettivo è di rendere conto dell’oggettività epistemica dei fatti sociali, tentando di superare la distinzione tra «normativo» e «descrittivo» radicata in Hume, e di restituire dignità e rigore alle tesi di filosofia politica che sull’ontologia sociale dovranno appoggiarsi. [Quando ero studente] l’idea di una teoria politica sostantiva era ritenuta obsoleta. Io combattei contro questa concezione fin dal 1964, nel mio articolo How to Derive «Ought» From «Is». Ma debbo dire che la prova più stringente della prevalente ortodossia fu portata dalla pubblicazione del libro di Rawls, nel quale si è semplicemente fatto quello che si riteneva impossibile da fare, cioè di portare giustificazioni razionali alle pretese sostantive circa la giustizia36. 34 J.R: SEARLE, Linguaggio e potere, cit., p. 88. Forse in un futuro non troppo lontano possiamo aspettarci un completamento nel senso della filosofia politica delle tesi di Searle: «The book that I would like to write, as I was mentioning earlier, is an extension of really two books The Construction of Social Reality and Rationality in Action. And it started out to extend those to the area of politics, but it keeps expanding, it keeps spilling over the side. So I would like to write a book about the ontology of civilization. I don’t know if I can, that’s a hard book to write»; in Toward a Unified Theory of Reality. An Interview with John Searle, in «The Harvard Review of Philosophy», 12 (2004), pp. 93-135, qui p. 132-3. 36 J.R. SEARLE, What is to be done?, «Topoi», 25 (2006), pp. 101-108, qui p. 104. 35 23