SETTIMANA n. 4/03

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approfondimenti
A COLLOQUIO CON IL RESPONSABILE VATICANO PER I CONGRESSI EUCARISTICI
La Chiesa irlandese
riparte dall’eucaristia
Dopo un’impressione generale sul congresso eucaristico internazionale di Dublino (10-17
giugno), mons. Piero Marini analizza la portata dell’evento in rapporto alle ferite della
Chiesa irlandese, all’intervento del papa, alla nuova evangelizzazione, alla crisi economica
e ai rapporti tra Chiesa e autorità civili. Ci sono segnali positivi per una ripartenza.
L o abbiamo visto molte accanto a due papi, Giovanni Paolo II prima
e Benedetto XVI poi. È l’arcivescovo Piero Marini, attuale presidente
del Pontificio comitato per i congressi eucaristici internazionali e, per
vent’anni, tra il 1987 e il 2007, maestro delle cerimonie liturgiche pontificie. Settant’anni il prossimo dicembre, ha lavorato nella Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. In qualità del suo
ruolo attuale, gli abbiamo sottoposto alcune domande sul recente congresso eucaristico internazionale di Dublino (cf. Sett. n. 25/2012 p. 13).
settimana 8 luglio 2012 | n° 27
n Mons. Marini, com’è andato il congresso?
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È andato bene, anche se la sua eco sui mezzi di comunicazione sociale
è stata contenuta. I media, anche quelli cattolici, qualche volta fanno fatica a cogliere il senso vero degli eventi che segnano il percorso della
Chiesa.
Il 50° congresso eucaristico internazionale, l’ultimo di una lunga serie iniziata in Francia nel 1881, ha preso avvio a Dublino, nell’arena
della Royal Dublin Society, la più grande struttura fieristica d’Irlanda,
domenica 10 giugno, festa del Corpus Domini. Alla presenza di circa 15
mila fedeli e in diretta sulla RTE (televisione di stato irlandese), la cerimonia introduttiva ha visto sfilare le diocesi delle quattro province ecclesiastiche dell’Irlanda (Armagh, Cashel, Dublino e Tuam) insieme con
le bandiere e l’entusiasmo dei rappresentanti di tutti i paesi del mondo
lì convenuti.
Il legato pontificio, card. Marc Ouellet, prefetto della Congregazione
per i vescovi, nell’omelia, ha sottolineato che la celebrazione del congresso in Irlanda è un «segno della Provvidenza di Dio» in un paese che
«è conosciuto per la sua naturale bellezza, per la sua ospitalità e ricca cultura, ma soprattutto per sua lunga storia di fedeltà alla fede cattolica».
Ed ha sostenuto che, «mentre la Chiesa irlandese affronta nuove e serie
sfide alla fede…, un evento come questo porta molte grazie alla Chiesa
locale e a tutti i partecipanti, compresi quelli che lo sostengono con la
preghiera, il volontariato e la solidarietà».
Naturalmente è ancora presto per offrire una visione unitaria del congresso e per cogliere l’importanza di tutti i suoi snodi, ma posso dire
che questo evento ha radunato in semplicità, senza trionfalismi, il popolo di Dio per celebrazioni gioiose e curate della liturgia; ha offerto
un’efficace evangelizzazione attraverso grandi catechesi pubbliche e
toccanti testimonianze; ha lasciato ai pellegrini la scelta tra quasi 150
workshop in cui, sotto la guida di oratori provenienti da ogni parte del
mondo, è stato possibile avere uno specchio della Chiesa universale e
della sua vitalità. Così, il congresso eucaristico ha assunto il carattere di
una grande assemblea di persone che, seguendo gli insegnamenti del
concilio, hanno imparato ad approfondire la partecipazione alla messa
e a trarre da essa la forza per una rinnovata vita evangelica.
I pellegrini che vi hanno partecipato, guidati dai rispettivi delegati nazionali, provenivano da più di 120 paesi del mondo, dall’Albania allo
Zimbabwe. Bisogna pur ricordare che, prima che il “magistero itinerante” della Chiesa trovasse la sua espressione più visibile nelle Giornate mondiali della gioventù e della famiglia, i congressi eucaristici internazionali sono stati, per un secolo, l’unica occasione per riunire – in
ogni continente e da ogni continente – la Chiesa universale intorno all’eucaristia, considerata cuore della vita cristiana e spazio straordinario
per l’evangelizzazione della società. In questo senso, il ruolo dei 50 congressi internazionali celebrati fino ad oggi lungo gli ultimi 131 anni
della storia della Chiesa, è d’indubbia importanza.
Il congresso di Dublino è diventato un “festival del cristianesimo” attraverso il quale si è ricordato a tutti che l’eucaristia è il grembo della
Chiesa e, insieme, il suo cuore. Un evento che, a differenza delle Giornate mondiali della gioventù o della famiglia, non è settoriale ma aperto
a tutte le componenti del popolo di Dio, capace di dare spazio ad ogni
espressione di vita e di offrire a tutti possibilità di vivere in senso eucaristico la “comunione”.
Sono proprio i congressi che, nei primi anni del ’900, intrecciandosi
con il nascente movimento liturgico, hanno riproposto il rapporto essenziale tra Chiesa ed eucaristia, ricuperando l’ideale della “partecipazione attiva” già auspicato da Pio X nel 1903; sostenendo con convinzione i decreti eucaristici di papa Sarto e, in tempi più recenti, il vasto
programma rinnovatore di Pio XII. Insomma, il movimento eucaristico
innescato a livello mondiale dai congressi eucaristici, insieme agli altri
movimenti (liturgico, biblico, ecumenico, patristico), ha contribuito a disegnare il volto rinnovato della Chiesa così com’è uscita dal Vaticano II.
A tale proposito per una coincidenza degna di nota, il 50° congresso
eucaristico di Dublino è stato celebrato nel 50° anniversario dell’apertura
del concilio ecumenico Vaticano II. E proprio al concilio il congresso si
è riferito direttamente a partire dal tema L’eucaristia, comunione con
Cristo e tra noi, tratto dal n. 7 della Lumen gentium. Questo ricentramento progressivo sull’ecclesiologia di comunione, uno dei grandi fili
rossi dei documenti del concilio, è stato alla base dei lavori del simposio teologico che ha preceduto il congresso, organizzato e condotto dalla
facoltà teologica di Mynooth con la partecipazione di professori e teologi di ogni parte del mondo.
L’ecclesiologia eucaristica di comunione è stata anche il fulcro delle
grandi catechesi del congresso, delle testimonianze e, soprattutto, delle
grandi celebrazioni comunitarie. Proprio lì il richiamo al concilio si è
concretizzato nelle liturgie vissute come spazio di vera preghiera e di autentica partecipazione, con l’aiuto dei canti, con la centralità anche fisica
della parola di Dio, con la possibilità di comunicarsi sotto le due specie
ecc.
n Che impressione ha avuto dell’evento e di quella Chiesa, così gravemente turbata per la questione della pedofilia del clero e nella vita consacrata?
Durante la cerimonia d’apertura è stata benedetta dall’arcivescovo di
Dublino, Diarmuid Martin, una healing stone, una “pietra di guarigione”
su cui è incisa una preghiera composta da una persona che ha subito
abusi. Ciò per assumere la ferma determinazione a lavorare per la guarigione e il rinnovamento senza dimenticare il peccato.
Ma ora, secondo l’impressione maturata attraverso tanti rapporti con
i partecipanti, gli irlandesi si attendono che la loro Chiesa sia considerata anzitutto a partire dalla sua vitalità piuttosto che dalle sue difficoltà
le quali sono, in gran parte, quelle delle moderne società occidentali. La
Chiesa irlandese non dimentica di essere l’erede viva di una tradizione
di fedeltà al vangelo che ha attraversato i secoli ed ha influenzato l’intero continente europeo. Furono i missionari irlandesi, infatti, con la
loro fede e con la loro cultura, a rievangelizzare l’Europa a partire dal VI
secolo.
Più che insistere sui peccati del recente passato che hanno coinvolto
pesantemente la Chiesa insieme con tutti gli ambiti della società irlandese, è urgente rilanciare un’“alfabetizzazione” religiosa per l’Irlanda
che soffre degli stessi mali di tutte le altre società secolarizzate. E, in-
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n Come i vescovi e i fedeli hanno reagito al messaggio del papa?
Il messaggio del papa, registrato alcuni giorni prima e trasmesso sui
grandi schermi del Croke Park al termine della statio orbis conclusiva
del 17 giugno, era atteso ed è stato applaudito sia dai fedeli che gremivano il modernissimo stadio di Dublino che dai sacerdoti e vescovi posizionati davanti all’altare. I sottotitoli in inglese del messaggio, pensati
probabilmente per i non udenti, ne hanno aiutato la comprensione. Davanti a circa 80 mila fedeli, il papa non ha usato mezzi termini riferendosi ai sacerdoti e ai religiosi che in Irlanda, con i loro abusi sui minori,
hanno seriamente compromesso la credibilità della Chiesa.
Benedetto XVI ha ricordato l’anniversario del Vaticano II ed ha accennato brevemente al tema della comunione ecclesiale che nasce dall’eucaristia. Richiamando, da ultimo, l’inizio imminente dell’anno della
fede si è soffermato sulla riforma liturgica conciliare riconoscendo che
essa aveva l’intento di superare una forma di cristianesimo diventata
abitudine per riscoprire la fede come una relazione personale profonda
con Gesù Cristo. In questo contesto si è chiesto: «Come possiamo spiegare il fatto che persone le quali hanno ricevuto regolarmente il corpo
del Signore e confessato i propri peccati nel sacramento della penitenza», invece di dare testimonianza della sua bontà, hanno compiuto
abusi su persone affidate alle loro cure e minato la credibilità del messaggio della Chiesa? «Il loro cristianesimo non veniva più nutrito dall’incontro gioioso con Gesù Cristo».
Così il congresso eucaristico si è trasformato in un’occasione provvidenziale, un kairòs, per radunarsi in comunione con Cristo e con gli
altri «per riflettere sulle ferite inferte al corpo di Cristo, sui rimedi a
volte dolorosi, necessari per fasciarle e guarirle e sul bisogno di unità,
di carità e di vicendevole aiuto nel lungo processo di ripresa e di rinnovamento ecclesiale».
Sui problemi della Chiesa irlandese e sullo scandalo degli abusi e
della pedofilia sono ritornati nei loro interventi il legato pontificio, l’arcivescovo Martin, e il card. Seán-Baptist Brady, arcivescovo di Armagh.
Ai più, convenuti da tanti paesi del mondo per la celebrazione gioiosa
del congresso eucaristico, tale insistenza è sembrata un po’ forte ma
non si può negare che la Chiesa d’Irlanda viva questi problemi con
un’intensità sconosciuta ai pellegrini giunti da lontano.
n La celebrazione del congresso è un punto di forza per l’impegno della
nuova evangelizzazione?
Nel suo messaggio il papa ha accennato alla “nuova evangelizzazione” sottolineando che «l’eucaristia è il culto di tutta la Chiesa, ma richiede anche il pieno impegno di ogni singolo cristiano nella missione
della Chiesa… Siete gli eredi di una Chiesa che è stata una potente forza
di bene nel mondo, e che ha offerto a moltissimi altri un amore profondo e duraturo per Cristo e per la sua santa Madre. I vostri antenati
nella Chiesa in Irlanda seppero come impegnarsi per la santità e la coerenza nella vita personale, come predicare la gioia che viene dal vangelo…».
In realtà, l’impegno per la nuova evangelizzazione fa parte da tempo
degli indirizzi programmatici del Pontificio comitato per i congressi eucaristici internazionali. Già a partire dagli anni 20 del ’900, sotto il pontificato di Pio XI, i congressi eucaristici s’impegnarono a sviluppare il binomio eucaristia/missione evangelizzatrice coinvolgendo numerose
Chiese particolari dei cinque continenti. In tempi più recenti, a partire
dalla fine degli anni 80, il rapporto tra nuova evangelizzazione ed eucaristia fu affrontato dal beato Giovanni Paolo II che, nella Plenaria del
Pontificio comitato del 1991, disse: «Ogni generazione ha bisogno che
le si proclami la Buona Novella, alla luce delle circostanze e degli eventi
socioculturali nei quali si trova immersa… Si tratta di “nuova” evangelizzazione per proclamare il vangelo di sempre ma in una forma
“nuova”». E più recentemente, nel novembre 2010, papa Benedetto XVI
ricordava al Pontificio comitato che «compito dei congressi eucaristici,
soprattutto nel contesto attuale, è anche quello di dare un peculiare contributo alla nuova evangelizzazione».
La nuova evangelizzazione, anche nei congressi eucaristici, si è sviluppata attraverso i “cerchi di dialogo” già identificati dalla costituzione
conciliare Lumen gentium (nn. 14-17). Il primo cerchio riguarda la realtà
dei cristiani che, in un mondo secolarizzato, rischiano di smarrire l’alfabeto della fede. In questo senso, i congressi eucaristici internazionali
sono ancora oggi una risorsa straordinaria per rivitalizzare un senso religioso non ancora spento e creare le condizioni perché nell’eucaristia si
realizzi l’incontro tra i battezzati e Gesù Cristo.
Il secondo cerchio si allarga alla dimensione ecumenica della missione evangelizzatrice. Fu nel congresso eucaristico internazionale di
Monaco nel 1960 che le relazioni ecumeniche cominciarono a entrare
a pieno titolo nei congressi eucaristici. I preparativi per il concilio appena iniziati avevano condotto il beato Giovanni XXIII a creare nello
stesso anno il Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani. Da
allora in poi, nella prospettiva del Vaticano II, il movimento verso
l’unità dei cristiani fa parte integrante del lavoro di ogni congresso eucaristico internazionale. Per questo, anche il congresso irlandese è iniziato con una celebrazione battesimale guidata dal rev. Michael Jackson, arcivescovo anglicano di Dublino e Glendalough. E la chiesa parrocchiale di St Anne a Dawson Street, chiesa anglicana risalente al XVIII
secolo, ha accolto in una settimana 19.500 pellegrini del congresso.
Il terzo cerchio di dialogo dei congressi raccoglie quanti non credono,
i lontani, gli appartenenti alle religioni non cristiane. In questo caso i
congressi eucaristici offrono l’occasione per l’inculturazione del vangelo e l’evangelizzazione delle culture. In tempi recenti se ne è avuto
un saggio a Seul, Corea, dove l’influenza del congresso eucaristico del
1989 sulla maggioranza non cristiana di quel paese ha dimostrato che
tali congressi costituiscono mezzi privilegiati di evangelizzazione in un
orizzonte sociale non cristiano.
n La crisi economica della “tigre celtica” si è fatta sentire? In che
misura colpisce le comunità?
La crisi economica è un denominatore comune dei paesi dell’area
dell’euro e non poteva restare al di fuori della realtà del congresso. Anche il budget del congresso eucaristico è stato, per questa ragione, volutamente limitato.
La crisi odierna segue i 20 anni circa di boom che hanno contraddistinto tra il 1988 e il 2007 l’era della “tigre celtica” quando, in poco più
di una generazione, l’Irlanda si è trasformata passando dall’essere uno
dei paesi più poveri dell’Europa occidentale a uno dei più prosperosi.
Ora, però, al fine di raggiungere il pareggio di bilancio voluto dalla CEE,
lo stato si è impegnato a tagliare la spesa pubblica per una quota da primato, tra il 15% e il 20% entro il 2014, prospettando difficili scenari
per le fasce più disagiate della società.
Altri dati preoccupanti sono quelli legati ai giovani. La disoccupazione giovanile è intorno al 30% e per le nuove generazioni si ripresenta ancora una volta la scelta obbligata di emigrare. Negli ultimi 12
mesi più di 40 mila persone, soprattutto giovani, hanno lasciato il paese.
E Social Justice Ireland, una fondazione equiparabile alla Caritas, sottolinea che «a soffrire dell’impatto negativo della crisi irlandese sono le
persone povere e vulnerabili». Forse anche per questa situazione che
ha un po’ dimenticato i binari della solidarietà sociale, alla conferenza
del professor Stefano Zamagni (Economics, Communion and gratuity)
pronunciata giovedì 7 giugno durante il simposio teologico che ha preceduto il congresso eucaristico internazionale, erano presenti in schiere
compatte i professori d’economia dell’università di Mynooth.
Recentemente, tuttavia, il clima sembra virare verso una maggiore
stabilizzazione nel mondo del lavoro e nell'economia in generale. Recenti analisi economiche indicano segnali di una possibile ripresa che
ridà fiato alle speranze dei giovani.
n Nei mesi scorsi ci sono state tensioni fra governo, mondo politico e
Santa Sede. Vi sono state ricadute durante il congresso?
Nel novembre scorso, il governo di Dublino ha annunciato la chiusura dell’ambasciata d’Irlanda presso la Santa Sede, sostenendo che essa
era dovuta esclusivamente ad un problema di tagli necessari per rispondere agli obiettivi del programma dell’UE e del FMI.
Nel febbraio di quest’anno il ministro degli esteri di Dublino, Eamon
Gilmore, durante un’intervista sulla televisione nazionale RTE, ha affermato che la situazione potrà essere rivista quando ci sarà una migliore condizione finanziaria. Intanto il nuovo nunzio apostolico in Irlanda, l’arcivescovo Charles John Brown, è impegnato a rafforzare i legami tra Chiesa e stato.
La tensione sta lentamente dissolvendosi e, durante il congresso, i
rappresentanti di tutti i paesi presenti sono stati invitati dal Primo ministro al Dublin Castle per un cocktail di benvenuto. Il Presidente della
repubblica irlandese, inoltre, ha partecipato alla celebrazione della statio orbis finale al Croke Park domenica 17 giugno. Un buon segnale, vista anche la distanza rigorosa che viene mantenuta, nei paesi anglosassoni, tra manifestazioni religiose e vita politica.
a cura di Lorenzo Prezzi
settimana 8 luglio 2012 | n° 27
sieme, rilanciare il dialogo inter-ecclesiale per non emarginare nessuno,
neppure quei movimenti assai critici nei riguardi della Chiesa e delle sue
strutture istituzionali che anche lì stanno sorgendo.
Ancora una volta i cristiani irlandesi, come già fecero nel congresso
eucaristico internazionale del 1932, vogliono mostrare al mondo il posto del tutto speciale che l’eucaristia ha nella loro fede e nella loro vita
oltre che le loro capacità e il desiderio di costruire un futuro di serenità.
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