La vista dell`uomo e la vista degli animali

Massimo Sotgia
SSIS 1°anno a.a.2001/2002
Indirizzo matematico scientifico
Classe A059
Didattica della fisica e laboratorio
La vista dell’uomo
e
la vista degli animali
Sommario
PREMESSE
Prerequisiti:
Obiettivi Generali:
Obiettivi Specifici
Obiettivi Trasversali
Tempi e Spazi
Materiali e Strumenti
Metodologia e Didattica
Verifica e Valutazione
Recupero e/o Approfondimento
CONTENUTI DELL’UNITÀ DIDATTICA
Premessa
L’occhio umano
La vista negli animali
La vista nel cavallo
La vista nei cani e nei gatti
La vista negli insetti (api)
La vista negli uccelli
La vista nei pesci
La vista nei rettili
La vista nella rana
La vista nel camaleonte
PREMESSE
Il presente modulo è rivolto ad una terza classe di una scuola media inferiore; va a costituire un
segmento formativo nello studio della biologia.
L’unità di seguito descritta costituisce un approfondimento nell’ambito di una programmazione
didattica più ampia sull’ottica.
E’ bene che gli studenti abbiano pieno possesso dei concetti di ottica geometrica, in parte di ottica
ondulatoria e siano a conoscenza della struttura e del funzionamento dell’occhio umano.
A questo punto è possibile capire come anche altri esseri viventi vedano il mondo.
Lo studio di questi concetti dovrebbe stimolare la curiosità dei ragazzi partendo da semplici
osservazioni sui fatti quotidiani e sul mondo che ci circonda, per coinvolgerli poi attivamente nello
studio di un fenomeno.
Quindi l’insegnante deve far acquisire ai propri alunni conoscenze scientifiche in modo che essi
scoprano procedimenti e verifichino ipotesi, imparino cioè ad usare un metodo scientifico che sarà
loro utile anche in ambiti diversi da quello scolastico.
L’unità didattica intende sviluppare e rafforzare le abilità di osservazione e descrizione e
rappresentazione grafica, proprie delle scienze.
Importante è catturare l’interesse dei ragazzi, cominciando ad esempio a sperimentare e a far
riflettere sulle prestazioni dei propri occhi e degli esseri che circondano l’uomo.
PREREQUISITI:
Ottica geometrica
Riflessione
Rifrazione
Dispersione cromatica
Specchi piani e specchi curvi
Lenti di ingrandimento
Microscopio
Telescopio
Ottica ondulatoria
Diffrazione
OBIETTIVI GENERALI:
•
saper definire che cos’è la vista;
OBIETTIVI SPECIFICI
• Struttura e funzionamento dell’occhio umano.
• Struttura e funzionamento dell’occhio di alcuni animali comuni.
• Acquisizione di una terminologia specifica al tema;
• Conoscere i meccanismi della percezione visiva
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OBIETTIVI TRASVERSALI
Stimolare la formulazione di ipotesi raccogliendo e analizzando dati
Stimolare la verifica delle ipotesi attraverso il confronto in classe (aumento delle capacità di
verbalizzazione e sintesi)
Stimolare il lavoro di gruppo
Elaborare contributi personali (relazioni oggettive e soggettive)
Guidare a compiere collegamenti interdisciplinari (inglese, arte…)
Sviluppare la capacità di gestire un PC multimediale, singolo e in rete, a livello di software di
base (file, cartelle, unità di archiviazione)
Saper utilizzare, ad un primo livello, software applicativo per l’elaborazione grafica di immagini
statiche e animate e per l’edizione di pagine ipertestuali in codice html
Ricercare e prelevare informazioni in Internet con l’ausilio dei motori di ricerca
Sviluppare le capacità manuali
Saper comunicare in modo chiaro i risultati dello studio attraverso relazioni e schemi.
TEMPI E SPAZI
Per trattare questa unità didattica ritengo siano necessarie almeno 10 ore.
Le lezioni si svolgeranno in aula, in laboratorio di informatica, dove verranno svolte le attività
relative alla ricerca su Internet, alla visione e utilizzo di software didattici e applicativi (es BEYE che simula la vista dell’Apis mellifera)
MATERIALI E STRUMENTI:
libro di testo
fotografie e immagini varie
testi di varia natura
lavagna
lucidi e disegni
block notes
penna, pennarelli colorati
un vocabolario di inglese per eventuali traduzioni (eventuale ausilio della prof. di inglese )
attrezzature informatiche e uso di software dedicati
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METODOLOGIA E DIDATTICA
La metodologia seguirà un approccio operativo a partire dall’osservazione diretta/indiretta per
passare poi alla problematizzazione, alla ricerca e all’analisi delle varie realtà.
FASE 0:
Dovranno essere trattati gli argomenti riguardanti l'ottica geometrica e quelli di ottica ondulatoria
indicati precedentemente come prerequisiti.
FASE I:
E’ quella della motivazione, scaturita dalla visione e dalla libera analisi di una serie di immagini di
oggetti dal punto di vista dell’uomo e dal punto di vista degli animali.
Si può indirizzare la discussione in una duplice direzione: da un lato, una lettura individuale,
personale delle immagini, dall’altro, una visione collettiva delle immagini, trascrivendo alla lavagna
suggestioni e osservazioni. Tali immagini si potranno anche cercare su Internet Dagli interrogativi
sorti nella discussione i ragazzi saranno stimolati al lavoro di ricerca e di studio.
Come attività domestica, soggetta a valutazione, si inviteranno gli allievi a ricercare immagini,
fotografie, testi relativi alla visione degli animali.
FASE II:
Lezione frontale con illustrazione dei diversi contenuti specifici anche in funzione del dialogo avuto
con i ragazzi.
FASE III:
Dopo questa introduzione , vorrei che la classe si dividesse in gruppi, in modo che ogni gruppo
approfondisca un aspetto fra quelli evidenziati in precedenza.
In sostanza si dovrebbero formare alcuni gruppi che trattino i seguenti argomenti:
-
Struttura interna ed esterna dell’occhio umano
Percezione visiva umana
Struttura dell’occhio dei diversi animali
I lavori compiuti nei singoli gruppi in classe ed in laboratorio verranno poi condivisi e presentati al
resto della classe dagli stessi allievi, magari aiutandosi in queste brevi presentazioni con lucidi,
poster o disegni, grafici.
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VERIFICA E VALUTAZIONE
Dopo ogni attività i ragazzi scriveranno una relazione che verrà poi discussa in classe: verranno
raccolte le verifiche effettuate in itinere e verrà dato un giudizio sull’attività svolta.
Vi sarà inoltre una verifica finale relativa agli argomenti che concorrono a completare il modulo. La
verifica finale oggettiva potrebbe essere basata su test a risposta multipla (ad esempio effettuata al
computer), completamento, vero/falso, ma anche domande a risposta aperta realizzazione di un
poster esplicativo e riassuntivo delle attività svolte (o, se ce n’è la possibilità, realizzazione di un
prodotto multimediale)
Sottoposta a valutazione sarà la rielaborazione personale del lavoro svolto, la capacità di lavorare in
gruppo, l’uso della terminologia specifica della materia, la capacità e l’impegno nello svolgimento
del lavoro di ricerca, oltre naturalmente all’acquisizione degli elementi cognitivi di base.
RECUPERO E/O APPROFONDIMENTO
Descrizione delle attività di recupero
Il gruppo degli studenti che non ha superato la verifica sommativa finale segue un’attività guidata
dall’insegnante consistente nella correzione della verifica con analisi degli errori e di eventuali
problematiche insorte durante la discussione.
Descrizione delle attività di approfondimento
Al gruppo degli studenti che ha superato la verifica sommativa, durante l’attività di recupero dei
compagni, vengono somministrati materiali il cui contenuto può essere correlato al modulo stesso
oppure a problematiche diverse.
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CONTENUTI DELL’UNITÀ DIDATTICA
PREMESSA
L’interazione tra l’organismo e l’ambiente è largamente basata sull’utilizzazione degli stimoli
luminosi. La ricerca di sostanze nutritizie e la fuga da uno stimolo nocivo vennero facilitate dalla
capacità di muoversi nell’ambiente e soprattutto dalla possibilità di riconoscere gli stimoli a
distanza.
Lo sviluppo della struttura dell’occhio per segnalare agli animali gli eventi ambientali è connesso al
complesso cammino dell’evoluzione delle specie animali.
Due linee evolutive hanno prevalso:
a. Occhio composto, sviluppato negli artropodi,
formato da numerosi elementi (omattidi
ciascuno dei quali comprende cornea,
cristallino e cellule fotorecettrici).
b. Occhio a camera, sviluppato nei vertebrati.
Le differenze strutturali e funzionali del sistema
visivo dipendono dalla funzione che ha la visione
nell’interazione tra la particolare specie animale e
l’ambiente.
Non si deve credere che le funzioni visive migliorino
lungo la scala filogenetica con un massimo di
perfezione ed efficienza nella specie umana.
Vi sono animali che hanno la stessa capacità
dell’uomo di percepire i colori e vi sono animali
superiori all’uomo per altre proprietà come l’acuità
visiva.
E’ stata avanzata l’ipotesi che la visione abbia avuto
una funzione fondamentale nella loro evoluzione e nel loro adattamento all’ambiente.
I predatori, dotati di occhi orientati frontalmente e capaci di convergere su uno stimolo, potevano
facilmente individuare una preda, valutarne la distanza con il meccanismo della visione binoculare e
prepararsi con successo all’attacco.
I primati che si fossero cibati di frutta avrebbero tratto vantaggio dalla capacità di riconoscere i
colori e di ricordare il luogo ove raccoglierli.
La superiorità per una o l’altra capacità visiva non corrisponde alla posizione della specie animale
alla scala filogenetica.
Il livello di integrazione tra le varie capacità può invece esserne un indice significativo.
I primati compreso l’uomo hanno sviluppato un sistema visivo altamente integrato, dove la
percezione della forma si intreccia alla percezione del colore e del movimento.
Di seguito si analizzeranno la struttura dell’occhio e la visione nell’uomo ed in alcune specie
animali.
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L'OCCHIO UMANO
Vengono di seguito descritti i principali elementi che costituiscono l’occhio:
L’occhio, simile ad una sfera imperfetta del diametro di circa 24.5 mm, ha la funzione di
raccogliere gli stimoli luminosi che provengono dal mondo esterno; questi vengono percepiti dalle
cellule nervose della retina e trasformati in impulsi elettrici inviati attraverso le vie ottiche al
cervello dove avviene l’elaborazione e la percezione dell’immagine visiva.
L’occhio è un organo complesso e delicato, deputato al meccanismo della visione per mezzo di
alcune strutture che lo rendono otticamente equivalente ad una macchina fotografica.
L’occhio è posto nella cavità orbitale e le sue pareti sferiche sono costituite da tre membrane
sovrapposte
*
la sclera
*
l’uvea (iride, corpo ciliare e coroide)
*
la retina
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L’occhio possiede quattro strutture trasparenti:
*
la cornea
*
l’umor acqueo
*
il cristallino
*
il corpo vitreo
L’occhio è composto da tre "camere"
*
la camera anteriore
*
la camera posteriore
*
la camera vitrea
Le strutture dell’occhio sono disposte essenzialmente in piani frontali per cui troviamo in sequenza:
la cornea, l’umor acqueo, il cristallino, l’iride, il corpo vitreo ed infine la retina. Un raggio luminoso
attraversa le strutture trasparenti dell’occhio e viene focalizzato sulla retina, grazie alla cornea e al
cristallino che sono le principali lenti convergenti del sistema ottico oculare.
La sclera il cosiddetto bianco dell’occhio, è la membrana più esterna e robusta dell’occhio
composta da tessuto fibroso connettivale; nella parte anteriore dell’occhio diventa trasparente e
curva come un vetro d’orologio e prende il nome di cornea.
La cornea è una membrana trasparente priva di vasi ma ricchissima di fibre nervose. Essa è bagnata
continuamente dal film lacrimale che aderisce alla sua superficie. L’interfaccia film lacrimalesuperficie corneale costituisce la lente convergente più potente dell’occhio umano. La cornea ha
uno spessore di circa 1 mm ed è composta dall’esterno all’interno da 5 strati: 1) un epitelio
pavimentoso (stratificato), 2) la membrana di Bowman, 3) lo stroma, 4) la membrana di Descemet,
5) l’endotelio. La stabilità del film lacrimale e la trasparenza della cornea sono essenziali per la
visione. Dietro la cornea si trova la camera anteriore che è riempita di un fluido chiaro chiamato
umor acqueo.
L’iride è la parte più anteriore dell’uvea che dà il colore ai nostri occhi e circonda un piccolo foro
centrale di ampiezza variabile da 2 a 8 mm: la pupilla. E’ composta da uno stroma, un foglietto
pigmentato posteriore, da vasi e da 2 muscoli: il muscolo radiale (dilatatore) ed il muscolo sfintere
(costrittore) dell’iride. Può essere chiara (dal blu al verde) o bruna (dal marrone al nero) ma in realtà
la sua colorazione dipende sia dalla quantità di pigmento che da fenomeni ottici di riflessione e di
diffrazione della luce nello stroma irideo. Nelle iridi chiare poco pigmentate la luce passa fino agli
strati profondi dove viene riflessa assumendo un colore chiaro. Al contrario nelle iridi brune, ricche
di pigmento, la luce non penetra fino agli strati profondi e non viene riflessa nè diffratta. L’iride
circonda la pupilla che si allarga o si restringe a seconda della quantità di luce che la raggiunge,
agendo così come il diaframma di una macchina fotografica che regola la quantità di luce che deve
raggiugere la retina. Dietro l’iride c’è il cristallino.
Il cristallino è una lente convergente di forma biconvessa che focalizza i raggi luminosi sulla retina.
Mentre in un macchina fotografica il fotografo mette a fuoco l’immagine variando la distanza focale
fra lente e pellicola, nell’occhio la distanza tra il cristallino e la retina rimane fissa.
L’occhio mette a fuoco a distanze variabili con una strategia diversa: il cristallino ha la capacità di
modificare continuamente la sua forma e di variare la sua curvatura in modo da aumentare o
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diminuire il suo potere di convergenza. Questo processo dinamico così particolare, meglio
conosciuto come accomodazione è regolato da un anello di fibre muscolari disposte intorno al
cristallino, contenute nel corpo ciliare. Così quando l’occhio guarda un oggetto in lontananza il
cristallino si appiattisce e diminuisce la sua curvatura. Al contrario quando guarda un oggetto vicino
diventa più convesso ed aumenta la sua curvatura. L’invecchiamento fa perdere sia al cristallino che
al corpo ciliare il potere di accomodazione cosicché si diventa presbiti e non si è più capaci di
leggere a 30 cm o a distanze minori. In questo caso si ricorre alla correzione con lenti per vicino.
Talvolta è possibile la comparsa di opacità del cristallino (cataratta) che se sono centrali disturbano
la visione. La cataratta si può operare, sostituendo il cristallino con una lentina artificiale.
Il vitreo è una sostanza limpida e di consistenza gelatinosa contenuta nella cavità vitreale che,
riempiendo lo spazio compreso fra il cristallino e la retina, mantiene la forma sferica del bulbo
oculare. La sua trasparenza è importante per una visione nitida a tutte le distanze.
Una torbidità del vitreo come conseguenza di processi infiammatori o emorragici può
compromettere seriamente la capacità visiva. Con l’invecchiamento il vitreo perde la sua
consistenza, si distacca e fluttua nella cavità vitreale. I sintomi del distacco acuto del vitreo sono la
comparsa di corpi mobili spesso associati a lampi di luce. In questi casi è imperativo un esame del
fondo dell’occhio mirato alla ricerca di eventuali rotture retiniche che, in certi casi, possono
condurre al distacco di retina.
La retina, che rappresenta l’equivalente della pellicola fotografica, riveste la superficie interna del
globo oculare. Essa appare come una sottile membrana trasparente suddivisa in due aree:
*
un’area centrale chiamata macula che contiene la fovea centrale, ricca di coni;
*
un’area media e periferica, dove prevalgono le cellule dei bastoncelli, che serve a mediare la
visione crepuscolare e notturna.
Dopo aver attraversato la cornea, la camera anteriore, la pupilla, il cristallino ed il vitreo, i raggi
luminosi vengono fatti convergere sulla retina ed in particolare in quella piccolissima area chiamata
fovea centrale: una struttura altamente specializzata che presiede, in condizioni di alta luminosità,
alla massima acuità visiva per lontano e per vicino, alla percezione dei colori e alla sensibilità al
contrasto.
Nella retina avvengono i meccanismi più complessi della visione.
La luce passa l’intero spessore della retina (vedi figura strati della retina) e colpisce
immediatamente i fotorecettori, coni e bastoncelli, che costituiscono la parte più esterna della retina
nervosa a contatto con lo strato delle cellule dell’epitelio pigmentato retinico (EPR). L’integrità
dell’EPR è essenziale per la funzione di mediare gli scambi metabolici tra fotorecettori e coroide
sottostante.
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I processi fotochimici della visione possono essere schematizzati in 2 fasi:
1. Reazione fotochimica: la luce viene assorbita dai pigmenti fotosensibili (iodopsina nei coni,
rodopsina nei bastoncelli) che scomponendosi danno origine ad una reazione chimica che
converte un segnale luminoso in un impulso nervoso elettrico.
2. Trasmissione dell’impulso: l’impulso elettrico viene trasmesso alle cellule bipolari e alle cellule
gangliari che, attraverso le loro fibre costituenti il nervo ottico, lascia l’occhio ed arriva al
centro visivo del cervello. Nelle cellule ganglionari avviene in parte l’elaborazione dei segnali
visivi.
Le cellule orizzontali, bipolari, amacrine e gangliari concorrono alla trasmissione dell’attività
bioelettrica. Gli assoni delle cellule gangliari costituiscono le fibre nervose del nervo ottico che
conduce l’informazione dalla retina ai centri superiori.
Sotto la Retina c’è la Coroide.La coroide rappresenta la parte posteriore dell’uvea. È’ la membrana
vascolare dell’occhio. Essa è costituita da strati di vasi sovrapposti (strato dei grossi vasi coroideali
e strato della coriocapillare) e dalla membrana di Bruch a contatto con l’EPR. La sua funzione è
quella di nutrire e ossigenare l’EPR, gli strati retinici più esterni (in particolare i fotorecettori)
attraverso la membrana di Bruch, come pure di partecipare all’irrorazione del nervo ottico.
Le sottili fibre nervose che collegano le cellule ganglionari al nervo ottico corrono sulla parte
illuminata della retina e convergono verso il punto cieco, dove si trova la base del nervo ottico; tale
punto ha questo nome in quanto è privo di cellule fotosensibili.
Il nervo ottico è costituito da oltre un milione di fibre nervose che originano dalle cellule gangliari
della retina. La sua funzione è quella di collegare l’occhio al centro visivo del cervello chiamato
corteccia visiva occipitale. Qui arrivano gli impulsi nervosi che vengono elaborati e trasformati
nella percezione visiva di un’immagine. Il collegamento retina-cervello tramite il nervo ottico è così
stretto che la visione è un fenomeno complesso che avviene principalmente a livello cerebrale.
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Le funzioni cerebrali sono localizzate in precise aree degli emisferi del cervello. La corteccia
cerebrale visiva è situata nei lobi occipitali del cervello.
L'incrocio delle fibre nervose visive è dimostrato dal fatto che la parte sinistra del cervello "vede" la
metà destra del campo visivo, e la parte destra "vede" la metà sinistra. La retina di ogni occhio
riceve l'immagine intera di un oggetto, come indicato dalle righe intere e punteggiate che
attraversano il cristallino (marrone per l'occhio destro e nere per il sinistro). Gli impulsi generati
sulle retine dalle immagini sono portati dagli occhi lungo i nervi ottici. Tuttavia, al chiasma, le fibre
di ogni nervo ottico si dividono in due fasci. La diramazione interna che viene dall'occhio destro
(linea tratteggiata marrone) passa oltre e si congiunge alla diramazione esterna che viene dall'occhio
sinistro (linea nera continua) prima di continuare verso il corpo genicolato laterale sinistro. Le altre
diramazioni si avviano verso il corpo genicolato laterale destro. Entrambi i fasci continuano poi fino
all'area visiva della corteccia: Nel cervello le due immagini si sovrappongono e si fondono in una
sola: è questa la visione binoculare.
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LA VISTA DEGLI ANIMALI
La vista del cavallo
Spesso è capitato a tutti noi che, montando o portando alla longhina un cavallo, specie in giornate
ventose, egli abbia scartato e tentato di fuggire. Noi ci siamo arrabbiati e magari abbiamo anche
punito l'animale. Forse bisognerebbe sapere di più sulla visione del cavallo per capire certi suoi
atteggiamenti.
Egli è da sempre stato una preda nella scala alimentare quindi, come tale, oltre all'innato istinto alla
fuga, ha gli occhi situati nella porzione laterale del cranio.
Ciò gli comporta una visione monoculare destra ed una sinistra molto ampie.
Esse, combinate, permettono di coprire un campo visivo di circa 300 gradi intorno a se stesso.
Durante la visione binoculare (con entrambi gli occhi contemporaneamente) però il cavallo presenta
due coni d'ombra situati frontalmente e posteriormente.
Il frontale ha una profondità di circa un metro, il posteriore di circa tre.
Ciò significa che se il cavallo guarda un oggetto ad un metro da lui con entrambi gli occhi, egli non
lo vede perché questo cade nel cono d'ombra.
Lo stesso vale per la zona posteriore; solo che l'oggetto non è visto fino a tre metri di distanza.
Allora il cavallo è obbligato a muovere la testa a destra o sinistra per far ricadere l'oggetto nel
campo visivo monoculare o binoculare. Da ciò è facile dedurre quali siano le difficoltà di un
saltatore. Significa che quando egli si avvicina ad un metro dall'ostacolo per saltarlo, quest'ultimo
scompare, ed egli deve fidarsi "ciecamente" del cavaliere; oppure deve essere stato talmente
intelligente da percepire distanza, profondità e altezza dell'ostacolo prima che esso scomparisse nel
"buco nero".
Abbiamo visto che l' occhio umano è quasi come una macchina fotografica con auto-focus. Quando
noi vediamo un oggetto, l'immagine di questo viene trasmessa sulla retina (tappeto di recettori
nervosi) che si trova sul fondo posteriore dell'occhio passando attraverso una lente (cristallino)
situata fra camera anteriore e posteriore dell'occhio.
Questa lente è tenuta in sito da muscoli molto efficaci che, contraendosi, modificano la sua forma e
le permettono di mettere rapidamente a fuoco l'immagine dell'oggetto sulla retina.
Nel cavallo il meccanismo di visione è diverso perché ci sono delle differenze anatomiche
importanti rispetto all'uomo:
- I muscoli che dovrebbero accomodare la lente sono molto meno efficaci di quelli dei predatori in
generale
- La superficie della retina è "sconnessa, "presenta cioè dei rilievi e degli avvallamenti.
Se traduciamo in pratica queste differenze possiamo capire come la messa a fuoco del cavallo non
avviene tramite l'accomodamento del cristallino bensì l'animale, per mettere a fuoco un oggetto,
deve muovere la testa nelle quattro direzioni fino a quando l'immagine non va a cadere nella
"depressione" della retina più adatta per quella distanza focale.
Spesso infatti è possibile vedere cavalli che, guardando un oggetto, muovono leggermente la testa in
senso verticale: stanno focalizzando l'oggetto.
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Esiste un'altra differenza fondamentale fra occhio equino ed umano.
L' occhio del cavallo funziona come lente bifocale.
Una persona che indossa occhiali bifocali può leggere bene da vicino con la parte bassa della lente
e, quando alza lo sguardo, può vedere un oggetto lontano con la parte alta della lente. Quando il
cavallo pascola con la testa abbassata è in grado di perlustrare l'orizzonte con la parte alta
dell'occhio. Se invece la sua attenzione è stimolata da un oggetto vicino egli alzerà di scatto la testa
per guardarlo con la parte bassa dell'occhio.
Quindi in definitiva, se un cavallo vuole mettere a fuoco un oggetto lontano con la visione
binoculare egli, con la testa alzata, guarderà con la parte alta dell'occhio effettuando leggeri
movimenti verticali con la testa per focalizzare l'immagine sulla retina.
Per mettere a fuoco un oggetto vicino, purché non ricada però nel cono d'ombra, alzerà la testa, ma
guardando la parte bassa dell'occhio.
L'animale che osserva utilizzando la visione periferica destra riceve degli stimoli ottici che vengono
poi trasmessi al cervello.
Se gli stessi stimoli, leggermente modificati, vengono osservati con l'occhio sinistro, il cervello del
cavallo ne riceve segnali completamente diversi.
Ciò determina una confusione mentale nell'animale che lo porta, nel dubbio, alla ga (ricordate
l'istinto innato alla fuga).
Questo è uno dei motivi fondamentali per i quali l'addestramento del cavallo deve sempre avvenire
con gesti e manualità ripetuti in modo identico sia della parte sinistra che dalla parte destra
dell'animale pena la doma di un soggetto viziato.
Un altro punto importante è la particolare attenzione di metterli rapidamente a fuoco.
Questa attenzione, combinata con il grande udito a loro disposizione (50% superiore all'udito
umano) ci fa capire che durante una giornata ventosa il cavallo percepisce rumori o suoni continui
anche molto lontani, a cui si aggiunge la vista di oggetti in movimento non identificati. E' evidente
che tutto questo crea nell'animale, allarme, insicurezza e nervosismo.
Anche la visione notturna del cavallo è superiore del 50% rispetto a quella dell'uomo.
Ciò è dovuto alla particolare capacità della retina che riesce a captare anche il più debole raggio di
luce notturno permettendo una notevole definizione dell'immagine.
Sembrerebbe infine che il cavallo sia in grado di percepire il colore verde o il blu e gli altri colori
sarebbero visti come tonalità di grigio.
Concludendo con un esempio per far riflettere su quanto detto.
Cosa succede quando si entra in una scuderia, ci si avvicina ad un cavallo affacciato ad un box e gli
si porge la mano vicino al muso?
L' animale sembra che ci guardi, abbassa e alza leggermente la testa appostandola a destra e a
sinistra e annusando la mano prima con una narice e poi con quell'altra.
Probabilmente noi e la nostra mano ci troviamo nel cono d'ombra a profondità diverse.
Il cavallo dovrà alzare leggermente la testa e guardare con la parte bassa del suo occhio per
focalizzare la nostra mano che rappresenta l'oggetto vicino e potenzialmente pericoloso. Per vedere
la nostra faccia invece egli abbasserà leggermente la testa e, questa volta, tramite la parte alta
dell'occhio, metterà a fuoco l'oggetto lontano. In entrami i casi il cavallo sarà anche obbligato a
muovere la testa lateralmente per poterci far entrare in un campo visivo (monoculare o binoculare
che sia) identificabile.
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La vista dei cani e dei gatti
Paragonando la struttura dell'occhio umano a quella del cane, si nota innanzitutto la mancanza della
macchia lutea nella retina, quella membrana sensibile alla luce che si trova sul fondo dell'occhio e
consente di vedere gli oggetti con la massima nitidezza.
Un esperimento effettuato all'Università di Santa Barbara (California), ha però dimostrato
definitivamente che il cane riesce a percepire alcuni colori. Lo spettro cromatico visibile all'occhio
umano, si estende tra i 400 (violetto) e i 700 (rosso) nanometri (l'unità di misura della lunghezza
d'onda della luce, abbreviata con nm). Il meccanismo di percezione dei colori è identico nell'uomo e
nel cane. Quando uno stimolo luminoso giunge alla retina attraverso la pupilla, delle cellule
sensibili dette fotorecettori (i coni, che servono alla percezione dei colori, e i bastoncelli, impiegati
per la visione crepuscolare), lo trasformano in impulso nervoso che viene trasmesso al cervello,
dove avviene l'elaborazione che permette il riconoscimento dei colori. I dati ottenuti provano che come gli umani daltonici - i cani non distinguono il blu-verde (circa 480 nm) dalla luce bianca.
Un secondo esperimento ha provato che i cani sono sensibili anche alle sfumature che vanno dal
violetto all'indaco, al blu, mentre confondono i colori rosso, arancione, giallo e giallo-verde, pur
distinguendoli dal bianco. Dunque una pallina arancione lanciata nell'erba è facilmente visibile per
l'uomo ma non per il cane, che vede tutto giallo.
Per lo stesso motivo se una persona, in un prato, vuole essere facilmente individuata a distanza da
"Fido", deve indossare un abito blu o viola, perché al cane risulta molto evidente il contrasto di
questo colore contro il "giallo" circostante. Questione di fiuto Per capire davvero quali stimoli
riceve il cane dal mondo che lo circonda, bisogna tenere sempre presente che al centro
dell'esperienza che gli animali hanno della realtà c'è l'odorato.
Mentre il naso umano comprende circa cinque milioni di cellule olfattive, quello di un pastore
tedesco ne ha duecento milioni. Ma non basta: un uomo possiede da sei a otto ciglia per cellula
olfattiva (la piccola struttura pelosa che "cattura" la molecola dell'odore per analizzarla), mentre il
cane ne ha da cento a centocinquanta per cellula. Inoltre, sul palato di cani e gatti c'è l'organo
vomeronasale, detto anche "organo di Jacobson", che consiste in una sacca rivestita di cellule
recettrici, molto simili a quelle olfattive, che essi utilizzano per "memorizzare" e riconoscere i vari
odori.
Lo scienziato tedesco Walter Neuhaus ha condotto esperimenti molto complessi sulle capacità
sensoriali del naso del cane, costruendo persino un olfattometro, e ha stabilito che, a seconda
dell'interesse che l'odore percepito scatena in questi quadrupedi, la loro sensibilità olfattiva è da un
milione a cento milioni di volte superiore a quella umana, e possono percepire certi odori in
concentrazioni di una sola parte per trilione. "è sfruttando l'olfatto che si addestrano i cani da
soccorso o quelli poliziotto", spiega Aldo La Spina, "ma questo senso è fondamentale anche per
dare una spiegazione scientifica ad alcune capacità dell'animale". Ci si chiede molto spesso, per
esempio, come faccia un cane a capire quando l'uomo è in pericolo di vita, o sta vivendo
un'emozione particolare.
Secondo La Spina, "la vista, il suono, l'odorato e persino il calore dei raggi infrarossi svolgono un
ruolo importante nella percezione animale, perché la persona che sta per sentirsi male presenta un
repentino sbalzo della temperatura corporea e può emanare un odore particolare. Tutto questo
accade nel giro di pochi secondi, ma sono sufficienti per l'olfatto della bestia".
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Il gatto possiede coni molto sensibili al blu ed al giallo però manca apparentemente del tipo che noi
abbiamo per percepire i rossi intensi.
Le ricerche suggeriscono per esempio che gli occhi dei gatti non percepiscono i colori come gli
occhi umani.
I nostri occhi rispondono chiaramente alle delicate sfumature di un colore dentro un'ampia scala che
parte dal blu scuro al rosso però il gatto oltre ad essere poco sensibile al rosso è incapace
apparentemente di separare piccoli dettagli di colore. La visone del colore é probabilmente pallida
in confronto alla nostra, anche se può percepire grandi zone di colore come il verde dell'erba, è
incapace di vedere colori di piccoli giocattoli messi nello sfondo, I nostri occhi li scoprirebbero
facilmente, però per il gatto rimangono nascosti nella grand'estensione del verde. Soltanto quando
un oggetto è così vicino da riempire la gran parte del campo visivo il gatto ha la nozione del suo
vero colore. Quello che il gatto perde nella percezione dei colori lo acquista nella capacità di vedere
bene di notte quando non c'è luce per distinguerli.
Gli animali notturni devono raccogliere tutta la luce che possono, gli occhi dei gatti lo fanno in un
modo molto curioso. Normalmente la luce che sfugge, quando è assorbita da un bastoncello
sensibile, trapassa la retina e si perde, però dietro la retina di un gatto esiste un tessuto che fa da
specchio naturale, si chiama tapetum (tappeto lucido), esso riflettendo la luce dispersa verso
l'occhio, permette di recuperare il fascio luminoso verso la cellula nervosa. Questo aiuta il gatto a
ricevere un'immagine accettabile del topo attribuendogli la caratteristica lucentezza degli occhi,
come ad altri animali notturni.
Però arriva un momento che tutto è così buio che neanche i gatti riescono a vedere.
Quando la luna scompare dietro le nuvole i fotoni sono così pochi che si vedono come punti isolati
e questo non basta per formare un'immagine definita nella sua chiarezza.
Adesso i cacciatori notturni, senza luce, come i gatti e i gufi devono affidarsi all'udito.
Vista nell’uomo
Vista nel gatto
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uomo di notte
gatto di notte
Visione umana dei colori
Visione del gatto dei colori
Visione degli animali che non percepiscono i colori
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La vista negli insetti
Gli occhi degli insetti sono strutture particolarmente complesse, composte da numerosi elementi
esagonali, ciascuno dei quali è una specie di sistema visivo autonomo, con una propria terminazione
nervosa. Questi elementi forniscono al cervello una porzione di immagine che, come in un mosaico,
contribuisce a delineare l'immagine completa: maggiore è il numero di parti che formano l'occhio e
migliore sarà la definizione dell'immagine stessa.
Questo tipo di sistema visivo è sicuramente meno efficace rispetto a quello di animali più elevati,
ma è particolarmente adatto a valutare il movimento e quindi a catturare le prede: un corpo che si
muove, infatti, impressiona in sequenza i vari elementi dell'occhio.
Non conosciamo precisamente che tipo di percezione del colore abbiano gli insetti, ma sappiamo
con certezza che molti di essi sono in grado di vedere l'ultravioletto e quindi di sapere dove si trova
il Sole - attraverso il quale si orientano - anche quando il cielo è coperto dalle nuvole.
Negli insetti gli occhi hanno una loro forma motlo peculiare, sono molto sviluppati e si trovano ai
lati del capo. Sono strutture particolarmente complesse che non presentano nè pupilla, né iride, né
lente cristallina. La retina è paragonabile a quella dell'uomo però l'immagine si forma su di essa in
maniera diversa.
Sono composti da numerosi elementi esagonali, ciascuno dei quali è una specie di sistema visivo
autonomo, con una propria terminazione nervosa.
Ciascuno di questi elementi è costtuito da una sorta di piccolo tubo rotondo a forma di imbuto, la
cui parte stretta è diretta internamente all'occhio e termina in un bastoncino retiniforme; l'insieme di
questi bastoncini costituisce la retina. Ognuna delle piccole parti è racchiusa nel tubicino suddetto e
costituisce, insieme ai bastoncini retiniformi, un cono visivo. Questi elementi forniscono al cervello
una porzione di immagine che, come in un mosaico, contribuisce a delineare l'immagine completa:
maggiore è il numero di parti che formano l'occhio e migliore sarà la definizione dell'immagine
stessa.
La vista delle api
Per le api il senso della vista, quello dell'odorato e del tatto hanno una grandissima importanza. Esse
trascorrono il loro primo periodo vitale nel buio completo dell'arnia per cui, in queste condizioni, gli
occhi non servono ma serve invece il senso del tatto. Accanto però a questo senso ha capitale
importanza anche l'olfatto, che serve per tutte le funzioni. Più tardi, quando le api, come bottinatrici,
conducono la loro vita fuori dall'alveare, la vista diviene il senso principale. Senza occhi l'ape
quando è fuori dall'alveare è perduta, perché non è più in grado di orientarsi.
Struttura dell'occhio
L'occhio degli insetti è costituito in modo completamente diverso da quello dell'uomo. Ripetiamo le
differenze fondamentali nella loro struttura.
L'occhio umano è paragonabile ad un apparecchio fotografico. Al foro nella parete anteriore della
macchina fotografica corrisponde l'apertura visiva dell'occhio umano, cioè la pupilla. Come il
fotografo attenua l'eccesso di luce restringendo il diaframma, così la pupilla si contrae e protegge le
parti interne da una eccessiva luminosità. La lente della macchina fotografica corrisponde alla lente
cristallina dell'occhio umano, ne ha lo stesso aspetto e la stessa funzione.
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Se osserviamo un punto luminoso A che emette luce su tutta la sua superficie, la lente concentra i
raggi luminosi che, penetrati attraverso la pupilla, cadono su di essa, in un sol punto della parete
posteriore dell'occhio (a). Se al di sopra del primo punto ne poniamo un secondo (B), la lente
concentra questi raggi luminosi in un tratto (b) della parete posteriore dell'occhio, che trovasi al di
sotto di a. Se invece i raggi vengono emessi da una sorgente luminosa (C) che trovasi inferiormente
al primo punto, essi vengono concentrati in una zona (c) posta al di sopra di a.(N retina , S nervo
ottico)
Possiamo immaginare di vedere l'intero campo visivo cosparso di punti luminosi posti uno accanto
all'altro ; per ciascuna di queste sorgenti di luce si verifica quanto si è ora visto per i tre punti A, B,
C, così che la lente proietta sulla parete posteriore dell'occhio, la retina, una figura simile a quella
naturale ma più piccola e capovolta. La retina è costituita da un mosaico di elementi bastonciformi
riunito, mediante una sottile fibra nervosa, alla parte interna del cervello. L'insieme di queste fibre
forma il nervo ottico. Ciascun punto luminoso che cade su un elemento bastonciforme della retina
(in un millimetro parecchie centinaia) viene percepito dal cervello attraverso la relativa fibra
nervosa e qui ha luogo la percezione di ciascuno dei punti luminosi. Quindi gli infiniti punti
luminosi si fondono insieme in un'unica immagine.
L'occhio dell'ape, e quindi l'occhio di tutti gli insetti, non ha pupilla, né iride, né lente cristallina. La
retina è paragonabile a quella dell'uomo però l'immagine si forma su di essa in maniera diversa.
Gli occhi sono molto sviluppati e si trovano ai lati del capo. La loro superficie appare suddivisa in
tante piccole parti ad ognuna delle quali segue internamente una sorta di piccolo tubo rotondo a
forma di imbuto, la cui parte stretta è diretta internamente all'occhio e termina in un bastoncino
retiniforme; l'insieme di questi bastoncini costituisce la retina.
Ognuna delle piccole parti è racchiusa nel tubicino suddetto e costituisce, insieme ai bastoncini
retiniformi, un cono visivo.
L'occhio dell'ape è formato da parecchie migliaia di questi coni visivi che decorrono l'uno accanto
all'altro nell'interno dell'occhio, per cui non ve ne sono due aventi la stessa direzione. Ciascun tubo
è circondato da un rivestimento nero, non attraversabile dai raggi luminosi.
Supponiamo che nel campo visivo dell'occhio dell'ape si trovi un punto che emani luce su tutta la
sua superficie. I suoi raggi luminosi naturalmente colpiscono l'intero occhio. Fra questi raggi
potranno colpire il bastoncino retiniforme soltanto quelli che attraversano in linea retta il cono
visivo, che si trova nella stessa direzione del punto luminoso. In tutti gli altri coni visivi i raggi
luminosi vengono interrotti nel loro decorso dalla parete nera che delimita i singoli coni e quindi
non possono colpire la retina.
Ogni punto luminoso che sia posto più in alto di A troverà la sua giusta direzione in un cono visivo
anch'esso più alto, altrettanto dicasi per una sorgente luminosa posta invece più in basso. Ogni cono
dunque percepisce soltanto una parte ristretta del campo visivo e precisamente quella che si trova
nella sua direzione. Come si può rilevare dalla figura, l'immagine che si forma in tal modo sulla
retina non è rovesciata, ma è nella sua posizione reale, ossia è un'immagine diritta.
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Nelle api il complesso dell'intero campo visivo viene scomposto, alla superficie dell'occhio in un
mosaico di piccole parti, che, attraverso i singoli coni visivi, giungono al cervello.
Nei nostri occhi invece la lente cristallina dà un'immagine unica che viene divisa, attraverso i coni e
i bastoncelli della retina, in un mosaico, il quale a sua volta viene ricomposto dal cervello in
un'unica immagine.
Tanto in un caso quanto nell'altro è compito del cervello di riunire in una sola immagine i mosaici
risultanti dai fotorecettori della retina.
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L'acutezza della vista e la percezione della forma nelle api
Dopo aver visto la struttura dell'occhio dell'ape possiamo dedurre che la struttura della retina può
abbracciare maggiori particolarità del campo visivo e quindi la vista essere più acuta, quanto
maggiore è il numero dei coni che questo campo ha a sua disposizione. In altre parole una figura a
mosaico riproduce fedelmente un oggetto in tutte le sue particolarità, quanto più numerosi sono i
pezzetti di mosaico disponibili per la riproduzione. L'occhio (a) non può distinguere separatamente i
tre punti, perché essi sono in un unico cono visivo, il quale porta ad un unico bastoncello retinico.
Invece l'occhio (b) può distinguerli in quanto sono percepiti da coni visivi diversi.
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Si vede che quanto più piccoli sono gli angoli che comprendono ogni singolo cono visivo, tanto
maggiore è la possibilità di analisi. Nell'occhio dell'ape questi angoli misurano un grado, quindi
due punti che formino tra loro un angolo piccolissimo non possono essere distinti. Un occhio
umano può distinguere due punti che si trovino ad una distanza di 1/60 di grado.
Per l'acutezza visiva le api vengono fatte camminare per un certo tempo su un piatto di vetro posto
sopra un foglio di carta bianca con strisce parallele nere, dopo di che si sposta rapidamente la carta
da un lato e si constata allora che le api rispondono a tale spostamento con un subitaneo
cambiamento nella direzione del loro movimento. Naturalmente ciò è possibile fintanto che esse
sono in grado di riconoscere le strisce bianche e nere. Usando strisce di larghezza diversa si può
misurare l'acutezza di vista delle api.
In relazione alla percezione della forma, gli esperimenti effettuati, hanno consentito di accertare che
le api distinguono con sicurezza i due tipi di fiori riprodotti.
Mentre noi distinguiamo molto bene le diverse figure, quali il triangolo, il quadrato, il cerchio e la
rette, le api non fanno tali distinzioni (prima fila)
Inoltre esse confondono tra loro anche le figure disposte nella seconda fila.
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Mentre distinguono ogni figura della fila superiore dalla rispettiva della fila inferiore. Si può quindi
concludere che il numero dei lati, che costituiscono il contorno della figura, è un carattere di grande
importanza per le api e, al contrario, di scarso interesse per noi.
Figure molto segmentate, il cui contorno è formato da parecchi lati, sono, per le api simili od uguali
tra loro, altrettanto accade per le figure che all'opposto sono molto semplici.
La percezione dei colori
Un'altra domanda che ci si è posta è quella relativa alla percezione dei colori da parte delle api. Per
rispondere a questo quesito sono stati fatti vari esperimenti.
- Per il primo sono stati utilizzati tre fogli di carta: due blu e uno rosso. Dopo aver messo un paio di
gocce di miele sulla carta blu allontaniamo il recipiente contenente il miele; le api individuato il
miele cominciano a suggerlo e compiono vari voli. Si pone a destra e a sinistra della sorgente
nutritizia il foglio di carta rossa e quello blu non ancora usati e sui quali non poniamo alcuna goccia
di miele. Fatto ciò allontaniamo il primo foglio di carta blu contenente il miele. Le api non si
interessano minimamente del foglio di carta rossa, accorrono verso quello blu e vi si fermano
nonostante che su di esso non vi sia alcun alimento. Le api non sono attirate dall'odore del miele,
ma sembrerebbe che si siano ricordate che l'alimento si trovava su carta di colore blu.
Questo non ci permette ancora di concludere che le api percepiscono i colori.
Infatti vi sono uomini i quali vedono i colori in modo diverso da quello percepito da un occhio
normale (daltonici) e inoltre vi possono essere, casi assai rari, uomini che non percepiscono affatto i
colori e quindi le varie gradazioni di colore sono le varie gradazioni di grigio. Così il rosso ha per
lui un colore scuro, mentre il blu è un grigio chiaro.
Da quanto detto ci rendiamo conto che col nostro esperimento non possiamo concludere se le api
vedano il rosso ed il blu nel loro vero colore o se siano invece totalmente cieche ai colori e li
distinguono solo per una diversa gradazione del colore chiaro.
Il problema è dunque quello di stabilire se l'occhio dell'ape veda il cartone blu come tale oppure lo
veda di una determinata gradazione chiara del colore grigio.
A questo scopo utilizziamo una serie di cartoni grigi che a piccole gradazioni vadano dal bianco al
nero.
Si alimentano le api su carta colorata blu collocata tra i vari cartoni grigi sui quali viene posto un
piattello di vetro vuoto, solo quello blu contiene l'alimento una semplice soluzione zuccherina
inodore per far si che non vengano attratte dal profumo.
Inoltre, dato che le api sono in grado di ricordarsi il luogo dove si trova l'alimento, si cambia
frequentemente il posto del nutritore blu. Le api imparano a dirigersi, nei voli successi, soltanto
verso il colore blu come unico e sicuro portatore di alimento. Successivamente si sostituisce il
foglio blu con un foglio dello stesso colore, mancante però di ogni traccia di alimento, foglio che
collochiamo in una delle file di gradazione grigia a caso. Si constata che le api volano subito sul
foglio blu e vi rimangono ferme.
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Esse possono quindi distinguere il colore blu nella serie delle gradazioni grigie, il che sta a
dimostrare che le api percepiscono il colore blu come tale.
Se ripetiamo questo esperimento con una carta di colore giallo, vediamo che le api si comportano in
modo perfettamente uguale a quello precedentemente osservato.
Ma se oltre a carte di colore giallo ne inseriamo altre rosso arancio e verde giallastro le api volano
anche su queste ; ciò ci dimostra che questi colori diversi tra loro per il nostro occhio, non
presentano alcuna differenza per quello dell'ape. Se invece usiamo una carta rossa i voli risultano a
scacchiera, ossia non si limitano a volare solo verso la carta colorata in rosso, ma anche verso quella
nera e quella grigio scuro, il rosso non costituisce quindi un colore per le api.
Sotto altri punti di vista l'occhio dell'ape è superiore a quello dell'uomo, in quanto è stato dimostrato
sperimentalmente che esso percepisce i raggi ultravioletti come colori speciali, raggi della cui
esistenza nella luce solare siamo edotti soltanto dalla spettroscopia.
Se guardiamo la luce solare bianca attraverso un prisma, vediamo i raggi luminosi disporsi secondo
la loro lunghezza d'onda e pertanto lo spettro ci appare simile ad un arcobaleno con una
sorprendente gamma di colori.
L'ape vede solo quattro colori:
*
*
*
*
Giallo (arancio, verde giallastro)
Verde bluastro
Blu
Ultravioletto
Gli occhi dell'ape e il colore dei fiori
La percezione dei colori è strettamente legata all'impollinazione delle piante con fiori entomofili.
Questi ultimi attirano, con la produzione del miele, i pronubi, i quali trasportano il polline. Da qui
l'importanza del colore dei fiori. Le ricerche fatte hanno dimostrato che la gradazione rossa non
percettibile all'occhio dell'ape, è invece benissimo percepita dall'occhio degli uccelli.
I pochi fiori della nostra flora locale che hanno colore rosso vivo, quali viola ciocche, garofani della
china non vengono fecondate né dalle api, né dai ditteri e dai coleotteri, ma dalle farfalle diurne, che
con la loro lunga proboscide suggono il nettare secreto nei calici. Inoltre la maggior parte dei fiori
detti rossi della nostra flora, cioè: erica, rododendro, ciclamino, trifoglio rosso hanno in realtà un
colore rosso porpora che è recepito dalle api come colore blu. Mentre il papavero viene visitato
dalle api perché i petali di questo fiore non hanno soltanto colore rosso, ma anche colore
ultravioletto che viene pertanto percepito.
Anche la maggior parte dei fiori bianchi hanno colore vario per le api.
Se riprendiamo lo spettro dei colori e interponiamo un secondo prisma, riotteniamo la luce bianca.
Se infine cancelliamo, mediante un apposito filtro, uno dei colori, la mescolanza dei colori
rimanenti non apparirà più bianca ma colorata nei colori complementari.
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Analogamente accade per le api. Tutti i fiori bianchi filtrano i raggi ultravioletti e quindi sono
percepiti dall'occhio dell'ape nel colore complementare dell'ultravioletto ossia verde bluastro.
Tale fatto è molto importante perché la luce bianca non è percepita affatto dalle api.
La vista negli uccelli
Negli uccelli, avendo una vita di relazione basata soprattutto sul senso della vista, gli occhi sono
grossi, quello dell’aquila addirittura supera le dimensioni di quello umano e quello dello struzzo e
più grosso di quello del cavallo. Enormi globi oculari ospitano occhi che stanno quasi immobili
nella loro orbita, mentre la parte visibile all'esterno è solo la cornea che è molto incurvata. Durante
il volo, questi animali devono essere in grado di mettere a fuoco velocemente oggetti vicini e
lontani, ostacoli e prede. Una rondine è capace di reagire immediatamente al balzo di un insetto che
attraversa la sua rotta a pochi centimetri di distanza, mentre un falco può distinguere un topo
volando a 1.000 metri d'altezza. La maggior parte degli uccelli ha occhi dotati di pupilla piatta e di
un'ampia retina. I rapaci, che devono vedere da lontano, hanno invece occhi più rotondi con i quali
distinguono più dettagli, ma abbracciano un campo visivo più piccolo; nei rapaci notturni l’occhio
tende alla forma telescopica. Molte specie hanno gli occhi posti sui lati che consentono loro di
vedere anteriormente e posteriormente. Il gufo, invece, ha occhi posti frontalmente: per guardare di
lato o alle spalle, questo animale è costretto a ruotare la testa per più di 180° da una parte e
dall'altra. Infine gli occhi degli uccelli sono dotati di una particolare palpebra trasparente, chiamata
nittante, che ha la funzione di mantenere inumidito l'occhio consentendo contemporaneamente la
visione. Tra le specie animali, gli uccelli possiedono la vista più acuta e spesso dimostrano una
capacità visiva inimmaginabile.
I gabbiani, che hanno una vista penetrante, sono in grado di scoprire una piccola spazzatura buttata
dagli escursionisti vicino al mare da chilometri di distanza.
Il Martinpescatore ha una testa possente e occhi penetranti caratteristici degli uccelli che devono
localizzare pesci piccoli nell'acqua e quando invece il Falco Pellegrino scopre una Pernice è
difficile che fallisca.
Al Falco Pellegrino, come alla maggioranza degli uccelli, ha occhi che permettono azioni
spettacolari soltanto quando c'è una gran quantità di luce. Questi hanno la retina tipica degli uccelli
con una gran densità di coni che servono alla visione molto chiara alla luce del giorno.
All'imbrunire gran parte degli uccelli sono costretti ad abbandonare la
caccia di prede.
E quando gli uccelli vanno a dormire la maggioranza dei mammiferi entra in azione. Essendosi
evoluti in un periodo dominato di giorno da enormi rettili, non è strano che tanti mammiferi si siano
trasformati in animali piccoli e notturni.
Sono i cacciatori notturni quelli che cominciano a lavorare di sera, i gufi o i barbagianni con enormi
occhi situati saldamente in una testa, che non sta ferma, sono la chiara eccezione alla regola che gli
uccelli, vedono solo alla luce del giorno. Come altri animali simili, il gufo dalle orecchie piccole
può soltanto cacciare senza difficoltà nelle ore dell'imbrunire e oltre.
I roditori, i topi per esempio, probabilmente non dipendono molto dai loro occhi, ma anche se non
vedono dettagliatamente è probabile che siano in grado di percepire un movimento anche
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nell'oscurità. Anche il loro eccellente udito li aiuta a scoprire il pericolo ed è per questo che i loro
nemici, come la civetta, devono osservarli immobili e in silenzio.
Anche se noi vediamo abbastanza bene alla luce della luna, i dettagli delle ombre ci sfuggono. Però
gli occhi della civetta possono ricevere 4 volte più luce, in una retina di bastoncelli ultra sensibili; in
questo modo anche nell'ombra la civetta può vedere facilmente un gatto, mentre noi vediamo solo
gli occhi lucidi (tappeto lucido).
La vista nei pesci
La visione in un mezzo denso come l'acqua ha imposto ai pesci alcune forme di adattamento. I loro
occhi non sono provvisti di palpebre perché l'acqua li mantiene costantemente puliti. Per far fronte
alla carenza di luce, l'iride è quasi fissa e bastano minime contrazioni per regolare la visione.
La cornea è appiattita e non funziona più da lente in quanto è minima la differenza tra il suo indice
di rifrazione e quello dell’acqua.
Non sappiamo se questi animali distinguano i colori e, dato che nel mondo subacqueo la visibilità
non va generalmente oltre i 30 metri, gli occhi dei pesci, dotati di un cristallino sferico e rigido,
sono idonei a vedere solo a distanze ravvicinate. Quando questi animali si trovano nella necessità di
mettere a fuoco forme lontane, è l'intero cristallino ad arretrare mediante una struttura speciale
dell'occhio.
Nelle specie addattatesi a vivere in ambienti poco luminosi l’occhio ha forma tubulare con
cristallino molto grande (es. Telostei di profondità) al fine di concentrare i raggi luminosi su un’area
retinica circoscritta. Questi occhi, definiti anche occhi tubulari o telescopici, hanno un cristalino
relativamente enorme e sono costruiti come una camera fotografica con obiettivo molto luminoso
ed a grande apertura numerica.
Gli occhi dei pesci sono posti ai lati del capo e funzionano in maniera indipendente: ciò che vede
ciascun occhio è registrato dal lato opposto del cervello in modo tale che questi animali sono in
grado di guardare contemporaneamente in direzioni diverse. Solo esattamente davanti al capo esiste
un piccolo settore dove i due occhi vedono simultaneamente, consentendo all'animale una
valutazione della prospettiva.
La vista nei rettili
Gli occhi e le capacità visive dei rettili, invece, variano da specie a specie. I rettili predatori
notturni, come i gechi, hanno occhi adatti al buio, con pupille che possono controllare l'intensità
luminosa. Quelli che vivono sottoterra sono invece dotati di occhi deboli e rozzi, perché la vista non
è per loro importante al fine della sopravvivenza. Una nota a parte merita il camaleonte: questo
animale, che vive cacciando piccoli insetti, ha occhi mobili posti alle estremità di formazioni
coniche, che sono indipendenti e possono guardare in direzioni diverse. Avvistata la preda, il
piccolo sauro è però in grado di sincronizzare il movimento dei due occhi ottenendo una perfetta
visione binoculare.
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La vista nella rana
La vista della rana è una di quelle maggiormente studiata nel mondo animale. In ogni occhio ci
sono più di un milione di cellule che esplorano l'intorno per raccogliere frammenti d'informazioni
utili. Ci sono cellule che vengono stimolate unicamente da linee e bordi verticali, mentre ci sono
altre che solo rispondono ai tratti orizzontali. Gli occhi possono registrare anche linee diagonali,
movimenti in diverse direzioni, i cambi sensibili di luce, ombre e altre cose. Nella retina della rana
ci sono delle cellule disegnate per rispondere unicamente ai contorni.
Può servire per selezionare il movimento fra l'ampia gamma di informazioni.
Per una rana il movimento significa due cose: pericolo o cibo. Le rane catturano e mangiano solo
insetti vivi. E' possibile che le parti immobili dell'immagine svaniscano nella mente della rana,
mentre il minimo movimento attiva cellule speciali del cervello che le permettono di essere sempre
all'erta.
L'occhio del toro è particolarmente sensibile al movimento ed anche in questo caso ci sono delle
cellule speciali nell'occhio che reagiscono quando percepiscono il minimo movimento.
Anche se le numerose ricerche ci hanno procurato diversi dati significativi non possiamo essere
completamente sicuri di quello che vedono gli animali, però studiando la struttura dei loro occhi e
del loro cervello e confrontandola con il loro comportamento, possiamo fare delle supposizioni
fondate.
La vista nel camaleonte
Gli occhi del camaleonte si muovono in due direzioni contemporaneamente.
Ogni occhio dentro la propria orbita mobile cerca in modo indipendente il cibo, una farfalla ad
esempio.
Finché la farfalla non è situata ad una distanza che gli permette di catturarla, il camaleonte non
mette a fuoco i due occhi nella stessa direzione e con una frustata della lingua la povera farfalla
diventa un cibo succulento. Sembra probabile che il cervello riceva a turni la visione d'ogni occhio
mobile, quando la farfalla viene localizzata, le due immagini potrebbero combinarsi per permettere
al camaleonte di giudicare a quale distanza sferrare la lunga e appiccicosa lingua. A differenza del
camaleonte la maggioranza degli animali ha gli occhi fissi piazzati in un punto della testa con poco
margine di movimento.
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