Sebastiano Lupo PACHINO INCONTRO CON LA STORIA

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Sebastiano Lupo
PACHINO
INCONTRO CON LA STORIA
Volume secondo
Il Novecento
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Proprietà letteraria riservata
© 2016 Sebastiano LUPO
www.sebastianolupo.it
[email protected]
In copertina: il palazzo municipale con le figure storiche locali, mons. V.
Spiraglia, S. Fortuna, S. Di Martino, mons. S. Sultano, B. Panascia, agricoltori al lavoro e scene della seconda guerra
ISBN:
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Indice
Introduzione
Parte PRIMA
Il Fascismo dall’ascesa al crollo
1. L’eredità della Grande Guerra
2. L’ascesa del Fascismo
3. Il Fascismo a regime
4. Le grandi opere
5. A fianco della Germania
6. Dallo sbarco al crollo del regime
Parte SECONDA
La ricostruzione: il riformismo di Sebastiano Fortuna
7. Il governo dell’AMGOT
8. Fortuna: tra centrismo e riformismo
9. Pachino laboratorio politico
10. L’incontro con la storia
11. Parrocchie e società civile
12. La coabitazione DC e PSDI
Parte TERZA
Egemonia della DC e ascesa dei partiti laici
13. La stagione di Salvatore Di Martino sindaco
14. L’ascesa dei partiti laici
15. Compromesso storico alla rovescia
16. Crisi della politica e ingovernabilità delle istituzioni
Parte QUARTA
Vent’anni ingloriosi: cultura politica parochial e ingovernabilità
delle istituzioni
17. La nascita del movimento “RINASCITA”
18. Il sogno infranto
19. Ascesa ed egemonia del centro-destra
20. L’alternanza sinistra-destra
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Conclusioni
Cronologia degli eventi
Appendice documentaria
Indice dei nomi
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Introduzione
.
Esce a completamento del primo volume PACHINO L’ALTRA STORIA Le ragioni di un ritardo, Dalla fondazione alla Grande Guerra, il
secondo volume che completa la storia locale dell’universitas baronale
nata nel 1760 sul Colle Scibini, ad opera della famiglia Starrabba-Di Rudinì. In ritardo nello sviluppo economico e sociale agli inizi del Novecento, Pachino vede consolidarsi la sua struttura economica e sociale con
l’allargamento della base produttiva, basata in massima parte sulla piccola
proprietà contadina. I grandi latifondi delle due famiglie nobiliari dei Di
Rudinì, dei Tasca e degli eredi della famiglia borghese degli AssennatoValenti, si disperdono e si dividono in una moltitudine di proprietà familiari a causa delle liti ereditarie al loro interno e, in alcuni casi, per far
fronte ai debiti accumulati dai rampolli discendenti.
Comincia, così, alla fine della Grande guerra, l’incontro con la storia,
foriero di tanti lutti ma, anche, di sviluppo economico, sociale, civile e
democratico.
PACHINO INCONTRO CON LA STORIA Il Novecento è la narrazione del modello peculiare di sviluppo di questa universitas nata nobiliare che, alla data dell’Unità del paese nel 1861, aveva poco più di 4.500
abitanti e, nel corso del Novecento, dismette i panni di un piccolo autarchico paesello per divenire il centro economico della zona sud della provincia, uno dei due poli, assieme a Lentini, della moderna e avanzata agricoltura siracusana.
Il libro, pur ribadendo il giudizio fortemente critico dell’azione sociopolitica del marchese Antonio Di Rudinì nella sua ultra quarantennale presenza sul colle Scibini, cui imputa i ritardi, tuttavia ne riconosce anche i
meriti. Le premesse dello sviluppo economico-sociale degli inizi degli
anni ’70 del Novecento vanno ricercate proprio in quel fine Ottocento,
quando il marchese, proprietario del feudo Scibini, seppe guidare gli agricoltori locali nella complessa opera di riconversione produttiva dell’agricoltura da seminativa a monocoltura specializzata delle vite. Questo avvenne in un quadro di rapporti proprietari anacronistici, che scoraggiavano gli investimenti, privilegiavano i contratti enfiteutici e la formazione
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di piccole proprietà polverizzate senza o con bassa utilità economica. E,
tuttavia, il merito storico della riconversione va ascritto paritariamente al
marchese e alla moltitudine di uomini senza terra che, alla fine della seconda guerra, diventeranno il volano economico della società pachinese.
Ma l’agricoltura non è l’unico indicatore con cui poter misurare il tramonto della società feudale, la società dei gabellotti e dei loro eredi e,
dunque, il passaggio di Pachino dal medioevo alla modernità. La cultura
civica, quale si è espressa in tutto il Novecento locale e, in essa, la cultura
politica, ci consegnano un paese e una società, con un livello di democrazia significativamente correlato a basso livello di efficienza e funzionamento del suo sistema politico e istituzionale. Il paternalismo, che ha sempre contraddistinto le relazioni economiche e sociali nel territorio attorno
al Colle Scibini, sia nel lungo periodo del dominio della nobiltà agraria,
(stato pseudoliberale), sia nel ventennio di regime fascista, è tra i fattori
decisivi dello sviluppo di una cultura politica ideal-tipica dai caratteri peculiari. È e rimane ancora, a metà del secondo decennio del ventunesimo
secolo, una cultura politica di tipo parochial, ma con tratti di tipo subiect
e con scarsi o insufficienti indicatori di quella cultura politica matura che
è quella partecipant.
La nostra tesi sul Novecento poggia su due specifiche direzioni di ricerca: lo sviluppo economico e le forme in cui si realizza nella seconda
metà del Novecento e la sub-cultura politica, intesa nei suoi ingredienti
costitutivi che sono la fiducia nelle istituzioni, la cultura civica, il capitale
sociale, il sistema-valori, secondo il modello analitico classico della sociologia politica contemporanea.
Pachino arriva al traguardo del suo sviluppo economico-sociale nel
ventennio ’60-‘70. È quello il periodo in cui, consolidatosi il lungo processo di riconversione dell’apparato economico-produttivo della prima
metà del secolo, l’economia locale approda a una moderna agricoltura dai
tratti tecnici e industriali moderni, basata sul primato dell’orticoltura ma,
anche, sul rilancio del vino, che abbandona le sue vesti dismesse di mostovino, per divenire vino DOC servito sulle tavole dei ristoranti dell’intera
penisola e non solo.
L’agricoltura pachinese, solo negli anni settanta, esce dal mito originario alimentato dai primi storiografi locali (Sultano, Garofalo e Massimiliano Adamo), e diventa moderna agricoltura a conduzione scientifica, in
cui l’antica struttura della piccola proprietà contadina convive con moderne aziende capitalistiche private e con il diffuso tessuto economicoproduttivo a base cooperativistica.
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E qui emerge una delle tante contraddizioni tipiche di questa comunità
locale, forse quella fondamentale, per capire l’oggi e le prospettive di sviluppo futuro, la contraddizione tra l’apparente alto livello di sviluppo di
capitale sociale e il basso livello di funzionamento della società e delle
istituzioni locali.
Il libro enuclea e discute i fattori critici di questa che è e rimane, al
momento attuale, una sub-cultura. Tra i fattori fondamentali che ne giustificano storiograficamente il costrutto v’è la sindrome particolaristica.
Già massicciamente presente nel tessuto sociale e politico locale, si accresce e si dilata a dismisura, alimentata dall’orientamento politico movimentistico e individualistico locale, che ne consolida i caratteri tipici, il
familismo amorale1.
Nella storia della comunità nata sul Colle Scibini, fin dalle sue origini,
la costruzione del capitale sociale, nell’accezione originaria di Almond e
Verba2, si connota per l’uso individualistico delle reti socio-economiche
e culturali. Paradossalmente, lo sviluppo di queste reti, nel ventennio di
fine secolo Novecento, dà origine a un’organizzazione sociale
senz’anima pubblica, perché finalizzata a un fine particolaristico e non al
bene comune, disgiunta dalle altre due componenti della cultura politica
matura, la fiducia nelle istituzioni e la cultura civica.
La storia del Novecento pachinese è storia di tutto questo, ma anche
storia degli effetti delle due grandi guerre del secolo scorso e dei lasciti di
povertà e sofferenze nelle famiglie colpite dai lutti, delle egemonie politiche succedutesi nel tempo, della crescita religiosa e sociale, delle attese e
delle speranze deluse di un popolo cresciuto nel Novecento e libero finalmente di disegnare autonomamente il proprio futuro.
Lo storico che si accinge a scrivere di storia locale deve fare subito i
conti con il problema della periodizzazione. Non sempre la storia universale o nazionale fornisce criteri utili a periodizzare la narrazione degli accadimenti storici locali. E quanto più ci si avvicina alla contemporaneità,
trattandosi del Novecento, tanto più la complessità dei fatti, soprattutto
della storia politica, implica una riflessione approfondita ed articolata, alla
ricerca di quel filo conduttore, senza il quale non vi può essere conoscenza
storica.
1
2
E. C., Banfield, The moral basis of a backward society, Free Press, (1958) Glencoe.
G.A. Almond, S. Verba, Un approccio allo studio della cultura politica, in G. Sartori (a
cura di) Antologia di scienza politica, Il Mulino, Bologna: 215-222.
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La conoscenza storica non è semplice narrazione cronachistica di fatti,
essa scaturisce da un preciso percorso metodologico che non considera il
fatto come un dato positivo ma “il prodotto di una costruzione attiva da
parte sua, per trasformare la fonte in documento e poi costruire questi
documenti, questi fatti storici in problemi”3.
Per l’autore, che è in parte anche osservatore diretto, la descrizione
della storia del Colle Scibini si configura come un circolo ermeneutico in
cui la precomprensione dello sviluppo storico attiva la ricerca delle fonti;
a sua volta, l’analisi documentale, attraverso il ragionamento critico, porta
alla validazione/invalidazione dei costrutti e, così, in un circolo a retroazione, l’autore arriva alla definizione della quattro tesi fondamentali interpretative del Novecento locale, che propone in modo aperto e lascia al
lettore valutare.
La prima di queste ipotesi, che l’autore rilancia nella prima parte, è che
il fascismo locale presentò tratti da regime paternalistico, che non ebbe
la necessità di adire alla violenza che connotò altre regioni della penisola.
A Pachino non vi fu alcun patto o alleanza tra agrari e fascisti, per la semplice ragione che a dirigere il regime (sia il PNF che soprattutto le istituzioni pubbliche come il comune) fu la stessa classe dirigente liberale (in
parte agrari e professionisti) che aveva retto il comune nel periodo liberale. L’ascesa e il consolidamento del regime fascista locale fu opera di
quella classe dirigente piccolo borghese di formazione culturale costituzionalista, che aveva sperimentato, nei decenni precedenti, una leadership
sulle masse popolari asservite, basata sui rapporti economici di sottomissione.
Il quieto e sottomesso popolo pachinese non ebbe e, forse, non poteva
avere smanie rivoluzionarie e contestatrici, e non vi fu bisogno di olio di
ricino. Fu preda, fin dal suo primo apparire, della sindrome di Siracusa4,
patologia ancora oggi presente nel tessuto culturale e sociale locale. Metafora della gabbia d’acciaio weberiana, caverna platonica senza vie di
fuga, in cui rimane rinchiuso il popolo pachinese, testimonia dello spirito
locale del tempo, connotato da una in-coscienza felice appagata dall’orizzonte d’attesa (il mito dei tirrina a ciensu) e contemporaneamente dal paradigma dell’intrascendibilità dell’orizzonte presente, cioè dell’idea
3
J. Le Goff, in Prefazione a M. Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico, Piccola
Biblioteca Einaudi, pag. XVI.
4
Cfr. D. Fusaro, Il futuro è nostro Filosofia dell’azione, Bompiani 2015.
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dell’impossibilità di trasformazione in senso sociale e politico delle strutture della realtà.
Pachino è tra i pochi comuni d’Italia ove si tengono elezioni amministrative nel 1924, a dimostrazione che il passaggio al regime fu indolore.
Sotto il regime, Pachino vivrà la stagione delle opere pubbliche, atteso
che le quattro principali furono realizzate attorno agli anni trenta: l’acquedotto, la rete fognaria, la scuola elementare di via Cirinnà e la stazione
ferroviaria.
La ricostruzione del paese, oggetto della seconda parte del libro, configura un quadro politico del tutto peculiare, Pachino laboratorio di alleanze e processi politici in assoluta controtendenza rispetto alle dinamiche nazionali.
Si confrontano, in quei tre lustri, tre sub-culture politiche. Quella cattolica trova rappresentanza nella Democrazia Cristiana di Salvatore Di
Martino ed esprime un disegno di egemonia sulla società civile, ben sorretto sul piano etico dalla presenza e dall’azione del patriarca mons. Vincenzo Spiraglia. Ma il tentativo di riaprire la crisi di secolarizzazione, almeno nel primo quindicennio post-guerra, non maturerà i risultati sperati.
Opera anche la sub-cultura comunista, che rimarrà tale fino ai nostri
giorni, per via del fatto che mai le masse popolari operaie e contadine
locali dimostreranno di aver acquisito compiutamente quella coscientizzazione di classe, requisito fondamentale per fondare un partito comunista
in grado di dare espressione centralizzata ad aspirazioni e bisogni. I comunisti locali resteranno, senza soluzione di continuità, un’organizzazione politica borghese per il controllo della classe contadina (R. Del Carria) e giammai diventeranno un partito contadino ed operaio a direzione
borghese (L. Cortesi). Sicché la cifra fondamentale della presenza comunista sul Colle Scibini, dal secondo dopoguerra in poi, è la lotta interna
alla classe dirigente per il controllo dell’organizzazione. E, sul piano
esterno, l’azione si connoterà in una politica ricorrentemente ondivaga, tra
contrapposizione e collaborazione con la D.C., sempre tatticamente orientata in funzione anti-socialdemocratica prima e antisocialista poi.
La terza delle sub-culture politiche è quella socialdemocratica e riformista, che si esprime attraverso la forte leadership di Sebastiano Fortuna.
E, quando uscirà di scena questo patriarca laico, gradualmente si affievolirà fino a scomparire. Ma nel quindicennio della ricostruzione quella subcultura tenta di evolversi in cultura, senza però riuscirci compiutamente.
Infatti, mentre a Roma si declina il centrismo degasperiano e l’emargina-
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zione delle forze politiche rappresentative delle masse contadine ed operaie, che non risolve del tutto la crisi di rappresentatività, a Pachino Fortuna dà risoluzione alle tre fondamentali crisi del sistema politico locale.
Tiene a bada le spinte all’intervento diretto in politica della chiesa locale,
risolvendo in tal modo la crisi di secolarizzazione, almeno temporaneamente, vince lo scontro politico ed ideologico, con il confuso rivoluzionarismo comunista locale, declinando in politica e nella società l’idea socialdemocratica di una progressiva e graduale riforma delle istituzioni e
della società in senso democratico e liberale. Riesce sapientemente ad integrare le spinte provenienti dal basso, dal popolo degli artigiani e dei
contadini, integrandoli pacificamente nel tessuto sociale e civile del paese,
prima ancora che politico, e facendone dei protagonisti veri della società
pachinese, con ciò portando a risoluzione le crisi di legittimità e di partecipazione. In tal guisa Sebastiano Fortuna, leader riconosciuto della socialdemocrazia locale, si erge come uno dei leader politici di tutto il Novecento.
Ma la crisi di secolarizzazione non impedisce alla Chiesa locale, sapientemente guidata dal patriarca di Pachino Vincenzo Spiraglia, di gettare le basi per un’egemonia religiosa e culturale che vedrà copiosi frutti
a partire dagli anni sessanta. “Monsignore”, come veniva affettuosamente
chiamato dai pachinesi, si erge nella storia del Novecento locale come
personaggio carismatico e guida. La sua intuizione di costruire nuove parrocchie, soprattutto nella periferia del paese, ebbe certamente l’effetto di
arrestare la deriva protestante, come era nei disegni del parroco della
Chiesa Madre, costruì i presidi della moderna religiosità (le parrocchie),
ma non mancò di esplicare i suoi effetti nella storia della comunità tutta,
contribuendo alla sua crescita sociale e civile, oltre che religiosa.
Il trentennio ’60-’90 è il periodo dello stallo istituzionale e del sacco
del territorio. In questa fase è il cattolicesimo politico locale, sia liberale
che democratico, che ha il sopravvento, in trentennale contrapposizione
con le sub-culture laiche emergenti, repubblicane e socialiste. Se è possibile parlare di egemonia della DC, è altrettanto comprovato storiograficamente che fu un’egemonia parziale, fortemente indebolita dall’ascesa dei
partiti laici, suoi tradizionali alleati di governo. Nemmeno Salvatore Di
Martino, due volte sindaco ma, ancor più, deputato all’Assemblea Regionale Siciliana per cinque legislature, riesce a ricondurre a sintesi le spinte
centrifughe, soprattutto dentro il suo partito, espressioni di particolarismi
sociali, che trovano strumento di rappresentanza con la legge elettorale
proporzionale del 1960.
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A partire dagli anni ’70, nel ventennio che porta il sistema politico italiano al cataclisma di Tangentopoli, la DC si scontra con l’ascesa dei partiti laici alleati, il PRI e il PSI e avversari il PCI, che le contendono capacità di direzione politica e potere. Lo scontro vero è, però, tutto interno al
suo sistema di alleanze e ruota attorno alla gestione del territorio. Nel bel
mezzo di questo sterile e inconcludente ventennale dibattito, che portò alla
bocciatura del Piano Regolatore Generale, la speculazione edilizia agì
indisturbata, senza regole e senza norme di salvaguardia, saturando di cemento l’interno del paese e, ancor di più, le coste del promontorio pachinese, e realizzò un uso scriteriato ed improduttivo dell’ambiente naturale.
Tutti gli anni ‘70 confermano questo difetto di capacità progettuale prospettica della classe politica locale, senza distinzioni di colore e di appartenenza.
L’inizio della vicenda giudiziaria di Tangentopoli, il 1992, è l’anno del
passaggio dalla prima alla seconda repubblica, che porta con sé localmente la riapertura della crisi di secolarizzazione. Quel periodo vede la
Chiesa locale esercitare, con le sue organizzazioni ecclesiali e di volontariato, un ruolo egemonico di direzione politico-amministrativa, attraverso
lo strumento del movimento politico a carattere locale. Questa fase, conclusasi dopo 20 anni, nel 2013, coincide con la nascita, il consolidamento
e l’egemonia politica del Movimento Rinascita di Pachino.
Sono gli anni in cui la politica, declinata nel movimentismo locale, si
connota sempre più in modo pervasivo di quei caratteri che impediscono
alla sub-cultura locale di divenire cultura politica nel senso pieno del termine e si connota in senso profondamente parochial (in senso sociologico
e non religioso), cui consegue l’ingovernabilità delle istituzioni locali per
un eccesso di familismo amorale e uno speculare deficit di spirito civico.
Sono gli anni dell’illusionismo, delle spiegazioni axiologiche della realtà,
che portano la società pachinese a leggere fatti e accadimenti reali con la
lente deformata di una discutibile eticità politica, basata sulla doppiezza,
sul doppio principio etico, ben sorretto dall’autorità morale del mondo ecclesiale locale. Sono gli anni delle promesse non mantenute, soprattutto in
tema di eticità della politica, dell’apertura di una nuova crisi locale di secolarizzazione, con le organizzazioni ecclesiali che assumono direttamente la direzione della politica locale. Rinascita di Pachino, che è emanazione diretta della chiesa locale, riesce a costruire un nuovo sistema di
potere, per niente dissimile da quello della prima repubblica e della sua
antenata diretta la D.C., attorno all’assessorato ai servizi sociali, creando
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un consenso duraturo delle associazioni cattoliche del volontariato ed ergendosi a partito cerniera degli schieramenti di destra e di sinistra, ma
finendo, essa stessa per diventarne l’anello debole. La debolezza sta tutta
nella sua incapacità di direzione politica ed amministrativa. A fronte di
un consenso, che per un ventennio ne fa il primo partito, il movimento non
riesce mai ad esprimere una leadership autorevole e funzionale al suo disegno di “nuovo rinascimento”. Dovrà sempre cercare all’esterno del movimento i sindaci, e questo conferirà al periodo caratteristiche di perenne
instabilità e ingovernabilità, che spesso scadono anche nello scontro personale. Quando nel 2013 il movimento si scioglie, non resta che un cumulo di promesse non mantenute e un paese che aspetta ancora la sua rinascita economica e sociale.
A giugno 2014, il nuovo sindaco Roberto Bruno eredita un sistema
politico-istituzionale locale a bassissimo grado di efficienza politica ed
amministrativa, oberato da decine di milioni di euro di debiti pregressi,
che ne impediscono la progettualità, in massima parte ascrivibili al clientelismo ispirato al familismo delle amministrazioni, di destra e di sinistra,
che si sono succedute alla guida del comune di Pachino nel periodo della
seconda repubblica.
Parimenti la cultura politica locale non sembra aver risolto i fondamentali problemi che ne fanno ancora una sub-cultura. Sfiducia nelle istituzioni, scarso senso civico, virtù meramente privata non rintracciabile nella
partecipazione sociale né nelle istituzioni, capitale sociale mal utilizzato e
valori orientati al familismo amorale, che genera un’azione politica dettata
da forti legami affettivi di appartenenza, in una prospettiva d’azione limitata e integralmente ripiegata sul particolare, qualificano la società pachinese attuale coma una, cultura tipo parochial5 fortemente intrisa di sudditanza, sottomissione e scarsa partecipazione.
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Il concetto di cultura parochial nasce nel quadro di studi e ricerche nel campo della
politologia del secondo Novecento. La pietra miliare di questi lavori è il saggio di G.
A. Almond e S. Verba The Civic Culture. Political attitudes and Democracy in Five
Nations, edito nel 1963 a cura della Princeton University Press. La cultura politica
viene vista dai due autori come variabile in grado di influenzare la stabilità e il funzionamento delle istituzioni politiche e amministrative in regime di democrazia liberale e
democratica. I risultati della ricerca fecero emergere l’esistenza di tre ideal-tipi di cultura politica nei paesi a regime democratico studiati, tra cui l’Italia.
Il primo tipo è la cultura parochial, caratterizzata da localismo, particolarismo,
scarsa fiducia nelle istituzioni, senso di alienazione dello stato e della politica, familismo amorale secondo la definizione data dal sociologo americano E. C. Banfield nel
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Saprà il nuovo sindaco, giovane di età e di idee, trasformare questo triste lascito in occasioni di sviluppo della società pachinese?
Il Novecento locale è narrato attraverso tre distinti periodi: l’ascesa e
il consolidamento del regime fascista locale, la democrazia ri-trovata e
l’attesa di una “rinascita”.
Il primo periodo narra della crisi del sistema pseudoliberale, dell’avvento e del consolidamento del regime fascista nella sua versione paternalistica locale. Lo sviluppo economico ed istituzionale viene letto in controluce con quello culturale, specificatamente di tipo religioso. In questo
periodo, infatti, l’azione e l’impegno della Chiesa Cattolica guidata dal
suo studio sul piccolo borgo di Montegrano in Basilicata e confluito nel volume del
1958, The moral basis of backward society.
Il secondo tipo è la cultura subject, ovvero l’ideal-tipo dominato da rispetto, fiducia, ma anche, sottomissione all’autorità dello stato e delle sue decisioni.
Il terzo tipo è la forma di cultura partecipant, i cui caratteri costitutivi sono la partecipazione attiva dei cittadini, in una società con forte capitale sociale. La stabilità e
l’alto funzionamento della democrazia sono garantiti dalla diffusione del senso civico,
risultato di un’integrazione equilibrata tra la partecipazione attiva e la deferenza verso
il potere.
Gli sviluppi successivi della teoria della civic culture hanno portato all’introduzione
di altre categorie sociologiche interpretative dalla realtà socio-politica, anche locale. F.
Sabetti nel suo Dalla cultura civica al capitale sociale: progresso nella scienza comparata del 2000, ha ampliato il concetto di cultura politica con l’introduzione di altre
categorie, che egli considera gli ingredienti della cultura politica.
Il tema della fiducia, intesa come legame di cooperazione nell’ambito sociale e politico, è considerato un indicatore dello stato di salute della democrazia rappresentativa.
La cultura civica, considerata variabile dipendente, sarebbe la rappresentazione delle
relazioni entro il sistema. Il capitale sociale, secondo la definizione data da Putman, in
Making Democracy Work: Civic Traditions in Modern Italy del 1993, è risorsa collettiva, prodotta e riprodotta all’interno di reti sociali, caratteristica di un’organizzazione
sociale, quali rete, norme e fiducia sociale, che facilitano il coordinamento e la cooperazione a beneficio di tutte le parti coinvolte.
Con e attraverso queste nuove categorie sociologiche è possibile ri-leggere e ri-scrivere la storia del Novecento locale, nel tentativo di spiegare e comprendere un problema storiografico di significativa portata per la comprensione della contemporaneità
locale: la società pachinese, a partire dagli anni ’80, si è fortemente arricchita di
capitale sociale, frutto di una esponenziale proliferazione dell’associazionismo, soprattutto cattolico, nel campo sociale e culturale. E ciò nonostante, la società che
vive ancora oggi sul Colle Scibini non è riuscita a disancorarsi dalle forme di subcultura che hanno contraddistinto tutto il suo esser-ci nel mondo.
Come in un romanzo giallo lasciamo al lettore la ricerca, all’interno del nostro saggio, dei fattori esplicativi di questa tesi.
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parroco Simone Sultano e della Chiesa Protestante sapientemente orientata da Biagio Panascia, divengono elementi centrali e fattori propulsivi
di sviluppo e di crescita, culturale ma anche economico-sociale.
Il secondo che va dalla riforma della legge elettorale in senso proporzionale (1960) narra dell’ascesa dei partiti laici, dell’egemonia della Democrazia Cristiana di Salvatore Di Martino e dello stallo istituzionale.
Il terzo dell’occasione mancata del rinnovamento politico ed istituzionale conseguente al fallimento dell’azione riformatrice del movimentismo locale dopo il cataclisma di Tangentopoli.
L’autore