EAN– European Astrosky Network
n. 13, maggio 2012
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ASTRONOMIA & INFORMAZIONE
INDICE

Editoriale

Domenico LICCHELLI, La Black Drop durante i transiti di Venere
p.
4

Alberto NICELLI, La meridiana di San Petronio a Bologna
p.
9

Giorgio MESTURINI, Le meridiane a camera oscura
p. 15

Rodolfo CALANCA, Storia dei transiti di Venere
p. 28

Cesare GUAITA, Viaggio nel paradiso degli astronomi
p. 44

Lorenzo FRANCO, Paolo BACCI, L’asteroide NEA 2012 EG5
p. 54

Lorenzo FRANCO, Fotometria di asteroidi e stelle variabili
p. 57

A. ADIGRAT e G. MICELLO, Proposta osservativa stelle doppie di Maggio
p. 59

Costantino SIGISMONDI, Il calcolo del diametro solare con il transito

di Venere
p. 62

Lucia e Cesare GUAITA, Cile: il paradiso dell’astronomia;
recensione di Rodolfo Calanca
p. 66
Pagina 2
ASTRONOMIA NOVA
n. 13, maggio 2012
REDAZIONE
Direttore editoriale: Rodolfo Calanca, [email protected]
Co-direttore: Angelo Angeletti, [email protected]
Redattore responsabile: Manlio Bellesi, [email protected]
Redattore: Lorenzo Brandi, [email protected]
Responsabile dei servizi web: Nicolò Conte [email protected]
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PROGETTI EAN
ASTRONOMIA NOVA
n. 13, maggio 2012
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EDITORIALE A CURA DELLA REDAZIONE EAN
In questo numero della rivista proponiamo tre articoli dedicati al prossimo transito di Venere del 5-6 giugno
che, a differenza di quello ormai mitico dell‘8 giugno 2004, sarà visibile, in Europa, solamente nella sua parte
finale nelle prime ore del mattino del 6 giugno.
Di notevole interesse scientifico l‘articolo di Domenico Licchelli sulla black drop, un fenomeno che spesso
si osserva durante i contatti interni dei transiti di Mercurio e Venere.
Mentre un ampio resoconto storico, in due parti, è proposto dal nostro direttore, Rodolfo Calanca, dedicato
alle peripezie, a volte con tragici epiloghi, di numerosi astronomi, alcuni di grande levatura scientifica, che dal
Seicento all‘Ottocento rincorsero i transiti venusiani negli angoli più sperduti del globo. Di grande attualità,
invece, l‘articolo di Costantino Sigismondi sulla misura del diametro solare durante il transito di Venere.
L‘articolo è un po‘ tecnico ma di sicuro interesse per tutti quegli appassionati che, pur osservando Venere il 6
giugno bassissimo sull‘orizzonte del mattino, potranno eseguire delle riprese digitali utili al progetto del professor Sigismondi.
Non dobbiamo inoltre dimenticare che il 2012 è una data significativa per l‘astronomia anche perché, il 14 settembre, cadrà il terzo centenario della morte di Giovanni Domenico Cassini, probabilmente il più grande
astronomo osservatore del Seicento.
Una delle opere più note dell‘astronomo perinaldese è sicuramente la meridiana a camera oscura nella Basilica di San Petronio a Bologna, uno strumento di straordinaria importanza scientifica che ha consentito agli
astronomi del Sei-Settecento di migliorare la conoscenza del moto apparente del Sole, dell‘obliquità
dell‘eclittica e dell‘esatta durata dell‘anno tropico. Dalle osservazioni solari alla meridiana, lo stesso Cassini
elaborò una teoria della rifrazione atmosferica di grande precisione che fu insuperata per decenni e che consentì di migliorare enormemente la precisione delle osservazioni astronomiche.
Alberto Nicelli, noto gnomonista, esamina nel suo articolo lo “stato di salute” della meridiana di Cassini e,
dalla sua accurata analisi, emerge un‘alterazione strutturale della Basilica petroniana che, pur non compromettendone la stabilità, è comunque sufficiente ad introdurre un consistente errore nella posizione
dell‘immagine del Sole lungo la linea meridiana.
Come ulteriore omaggio a Cassini diamo ampio spazio all‘articolo di Giorgio Mesturini, altro gnomonista di
grandissima esperienza, che passa in rassegna numerose meridiane a camera oscura tuttora esistenti in Italia.
Un viaggio in Cile, autentico paradiso dell‘astronomia del Ventunesimo secolo, è ampiamente documentato
nell‘articolo di Cesare Guaita, che ha visitato tutti i maggiori Osservatori astronomici riportandone una vivissima e documentatissima impressione. In collaborazione con la figlia Laura, astrofisica di professione, Cesare ha scritto un bel libro sulla sua straordinaria esperienza, da noi recensito in questo numero.
LA REDAZIONE DI ASTRONOMIA NOVA
Da sinistra: Rodolfo Calanca, Angelo Angeletti, Manlio Bellesi, Lorenzo Brandi, Nicolò Conte
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ASTRONOMIA NOVA
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Licchelli, Black Drop
IL TRANSITO DI VENERE E LA BLACK DROP
UN RESOCONTO DELLE OSSERVAZIONI DELLA
BLACK DROP DURANTE IL TRANSITO DELL’8 GIUGNO 2004
Domenico Licchelli
[email protected]
A distanza di quasi otto anni esatti dallo spettacolare
transito di Venere sul Sole dell‘8 Giugno 2004, astronomi ed astrofili di larga parte del mondo avranno
l‘opportunità di assistere, il prossimo 6 Giugno, ad una
riedizione in grande stile del fenomeno, meteo permettendo. Storicamente, l‘osservazione del transito balzò
agli onori della ricerca astronomica nel 1716 quando E.
Halley propose un metodo geometrico per calcolare la
distanza Terra-Sole, basato su accurate misurazioni della durata del transito ottenute da osservatori situati in
differenti località di coordinate geografiche note. Tuttavia, le numerose spedizioni scientifiche organizzate dalle
maggiori potenze dell‘epoca, incontrarono delle inaspettate difficoltà nel misurare con precisione il momento
esatto dei contatti tra il disco di Venere ed il Sole, principalmente a causa di un fenomeno, detto della Black
Drop, “una goccia d‟inchiostro lì lì per cadere dalla
penna di uno scrivano svagato‖, come la definirono
Mason e Dixon nel 1761.
La Black Drop è una sorta di legamento che unisce i
lembi del pianeta con il bordo del Sole, descritta in vario
modo dagli osservatori nel corso dei secoli e presente
anche nelle immagini fotografiche. In figura 1 è mostrato il disegno che ne fece il capitano Cook durante la sua
spedizione a Tahiti del 1769.
Lo spettacolo ha inizio
L‘8 Giugno del 2004, il cielo era di un bel blu intenso,
tipico del Salento in presenza di un solido anticiclone. Il
Maestrale cominciò a soffiare già all‘alba, più turbolento
del solito. Presso il Dipartimento di Fisica
dell‘Università di Lecce (ora Università del Salento) avevamo organizzato una manifestazione pubblica per mostrare in diretta il transito di Venere sul Sole a studenti
ed appassionati convenuti numerosi. Compatibilmente
con le attività divulgative, ci eravamo prefissati anche
l‘obiettivo di partecipare al VT-2004 Program,
www.eso.org/public/outreach/eduoff/vt-2004/vtintro.html, organizzato dall‟ESO, ed eventualmente indagare gli elusivi fenomeni in ingresso ed in uscita, tra
Fig. 1. Il Black Drop Effect visto dal Capitano Cook nel
1769 da Tahiti
cui la Black Drop. Per acquisire le immagini avevamo
predisposto un rifrattore apocromatico Pentax di 75 mm
di apertura, accoppiato ad una webcam modificata Toucam Pro.
L‘elevata qualità ottica dello strumento avrebbe eliminato a priori gran parte degli effetti dovuti ad aberrazioni
ottiche di varia natura normalmente presenti in rifrattori di livello inferiore e pertanto avrebbe reso più semplice lo studio delle immagini ottenute. La webcam fu preferita alle CCD e alle reflex tradizionali principalmente
per poter sfruttare l‘elevato frame rate, anche se al prezzo di un evidente, seppur tollerabile, degrado qualitativo
delle riprese. Gli amici dell‘Osservatorio di Fisica e Chimica dell'ambiente del Dipartimento di Scienza dei Materiali afferente alla stessa Università, ci avrebbero for-
Licchelli, Black Drop
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Rifrattore apocromatico
Pentax da 75mm e la
webcam Toucam Pro.
nito i dati meteorologici acquisiti in contemporanea dalle loro centraline. L‘analisi di questi dati avrebbe poi
fornito il conforto dei numeri alle nostre sensazioni. A
partire dall‘alba e per tutta la durata del transito, il vento, chiaramente avvertibile in osservatorio, si mantenne
mediamente sul livello di brezza tesa, con raffiche da
vento teso (oltre 36 km/h al momento del IV contatto).
La turbolenza di origine convettiva complicò ulteriormente l'acquisizione delle immagini, rendendo decisamente problematica la messa a fuoco, perfino con focali
tutto sommato modeste.
In quelle condizioni operative fu preclusa, di fatto, qualsiasi possibilità di indagare sugli evanescenti fenomeni
correlati con l'atmosfera di Venere, come aureole, archi
luminosi etc., riportati nelle cronache degli osservatori
dei secoli scorsi. L'acquisizione con un alto frame rate
(20 fps) consentì comunque la determinazione con un
sufficiente grado di precisione dei tempi dei contatti,
obiettivo principale del VT-2004 Program, da cui ricavammo poi la distanza Terra-Sole mediante una applicazione appositamente rilasciata dall‘ESO. Il valore ottenuto fu pari a 149.555.327 km con un errore medio dello
0.028 % (il valore reale dell'Unità Astronomica è di
149.597.870 km).
La Black Drop - Analizzando le immagini della fase
precedente il secondo contatto balzò subito agli occhi la
goccia nera, sia in video che nelle elaborazioni in scala
di grigio e in falsi colori. In particolare, il profilo di luminosità radiale condotto dal centro del disco di Venere
mostrava un‘impennata in corrispondenza del sottile
spessore che si era creato tra i bordi dei due dischi, a
testimonianza dell‘avvenuto superamento del punto di
tangenza (Fig. 3). Analoghe immagini furono ottenute
anche da altri osservatori, con gli strumenti più disparati.
Fig. 2. Velocità del vento
durante il transito di
Venere.
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Licchelli, Black Drop
Fig.3. La formazione della Black Drop al momento del secondo contatto
Ulteriori elaborazioni mostrate in Figura 4 evidenziavano che la formazione del legamento iniziava già quando
i due dischi erano in prossimità del punto di tangenza, e
si manifestava come un incurvamento verso l‘interno
del bordo del disco solare. Questi risultati coincidevano
con quelle che erano le nostre aspettative teoriche maturate tenendo conto dei lavori già pubblicati fino a
quel momento. Negli anni precedenti il transito, infatti,
erano stati proposti diversi meccanismi per spiegare
l‘origine della Black Drop, dall‟astigmatismo a fenomeni diffrattivi, dalla rifrazione dell‘atmosfera di Venere
allo smearing generato dal cattivo seeing (Schaefer,
B.E., 2001). Tuttavia Schneider et al. (Icarus, 168,
2004) avevano dimostrato che il fenomeno si era verificato anche durante il transito di Mercurio, come mostravano le riprese dallo spazio effettuate dalla sonda
TRACE. Essendo il pianeta pressoché privo di atmosfera era stato possibile perciò escludere effetti rifrattivi da
essa generata. Inoltre, trovandosi in orbita, la sonda
TRACE era stata anche immune da eventuali alterazioni
del cammino ottico indotte dall‘atmosfera terrestre che
avrebbero potuto amplificare il fenomeno.
La stessa sonda spaziale fu impiegata anche durante il
transito del 2004 ottenendo un risultato simile
(Pasachoff, J. M. et al., 2011). Come nel caso di Mercu-
rio, in prossimità dei momenti di ingresso ed uscita di
Venere sul disco solare, era visibile la Black Drop (Fig.
5), con caratteristiche molto meno pronunciate ma non
troppo dissimili da quelle in Fig. 6 che avevamo acquisito con la nostra strumentazione.
Conclusioni
Le riprese dallo spazio confermarono l‘ipotesi avanzata
da Schneider et.al. riguardo alla formazione della Black
Drop.
La sonda TRACE
Licchelli, Black Drop
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Fig. 4. La formazione della Black Drop al momento del terzo contatto
Il fenomeno è quindi da addebitarsi principalmente alla
convoluzione della PSF strumentale ed atmosferica con
il limb-darkening solare. Tuttavia l‟entità del fenomeno
è sicuramente amplificata da cattive condizioni di seeing
al momento delle osservazioni. In questo caso al primo
effetto si sovrappone uno smearing piuttosto marcato,
ben riprodotto dalle simulazioni digitali proposte da
Schaefer. Da un rapido sondaggio effettuato
nell‘archivio fotografico del VT-2004 Program (http://
www.vt-2004.org/photos/index.html), è altresì evidente
che la qualità ottica degli strumenti è un altro fattore
che contribuisce al manifestarsi della Black Drop e, più
in generale, di deformazioni e distorsioni in regioni caratterizzate da alto contrasto.
Alla luce di queste considerazioni si può considerare
risolto il problema della Black Drop ma ciò non diminuisce il fascino dell‘osservazione del prossimo transito.
Anzi, rappresenta probabilmente un buon motivo per
concentrare gli sforzi sulla osservazione degli altri fenomeni relativi all‘atmosfera venusiana. Ulteriori informazioni si possono trovare nel lavoro di Paolo Tanga
all‘indirizzo:
http://transitofvenus.nl/wp/observing/
aureole/ .
Il transito di un pianeta interno sul Sole ha perso la sua
importanza scientifica nella determinazione della distanza Terra-Sole. Tuttavia, approfondirne le implicazioni è importante al fine di meglio comprendere gli analoghi transiti dei pianeti extrasolari, il cui studio rappresenta sicuramente una ghiotta opportunità di ricerca
per gli astrofili più evoluti.
Fig. 5. La Black Drop
ripresa dalla sonda TRACE
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Licchelli, Black Drop
Fig. 6. A sinistra, la Black Drop ripresa con un Pentax
75mm + Televue 3x + Toucam Pro. Singolo frame.
Sotto: un facile esperimento riproduce il meccanismo di
formazione del legamento prodotto dalla diffrazione della
luce: si osservi da 20-30 cm di distanza il piccolo spazio
libero tra il pollice e l‟indice.
Referenze
Pasachoff J.M. et al. 2011, The Astronomical Journal 141,
112
Schaefer, B.E. 2001a, Bull. Am. Astron. Soc., 332, 1383
Schaefer, B.E. 2001b, J. Hist. Astron., 32, 325-336
Schneider, G., Pasachoff, J.M., Golub, L. 2004, Icarus, 168,
249-256
Van Helden, A. 1989-1995, In: Taton, R., Wilson, C. (Eds.),
The General History of Astronomy, II: Planetary Astronomy from the Renaissance to the Rise of Astrophysics.
Cambridge Univ. Press, Cambridge, 153-168
Image credits
- La Black Drop ripresa dallo spazio dalla sonda TRACE in
luce Bianca - (http://nicmosis.as.arizona.edu:8000/
ECLIPSE_WEB/TRANSIT_04/TRACE/
TOV_TRACE.html)
- Il Black Drop Effect visto dal Capitano Cook nel 1769 da
Tahiti
http://science.nasa.gov/media/
medialibrary/2004/05/24/28may_cook_resources/
TRANSIT2.gif
Il lato recto della medaglia fatta coniare in occasione del
transito di Venere del 1874, che porta la scritta latina: “Col
loro incontro gli astri ci fanno conoscere le distanze che li
separano".
Domenico Licchelli, astrofisico di formazione, si occupa principalmente di didattica e divulgazione delle
Scienze Fisiche. Collabora con il gruppo di Astrofisica
dell‘Università del Salento nello studio spettroscopico di
materiali di interesse esobiologico e nelle attività didattiche e divulgative. Inoltre, ha progettato e realizzato
l‟Osservatorio Astrofisico R.P.Feynman, struttura dedicata principalmente a ricerche fotometriche su pianeti
extrasolari, asteroidi e stelle variabili. Recentemente ha
scoperto la sua ventiseiesima stella variabile. L‘asteroide
(18151) Licchelli porta il suo nome. Per ulteriori informazioni: www.dlcosmos.eu
A. Nicelli, meridiana S. Petronio
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LA MERIDIANA IN S. PETRONIO A BOLOGNA
NEL TRICENTENARIO DELLA MORTE DI GIOVANNI DOMENICO CASSINI
Alberto Nicelli
[email protected]
Questo è il primo articolo celebrativo per il terzo centenario della morte di Giovanni Domenico Cassini
(1625-1712), il grande astronomo di Perinaldo che costruì la meridiana di San Petronio, un‘autentica meraviglia astronomica tuttora nota in tutto il mondo. Cassini è considerato, pressoché unanimemente, il più
grande astronomo osservatore del Seicento.
Quest‘anno cade il tricentenario della morte di Giovanni
Domenico Cassini (14 Settembre 1712). Come sta il suo
grande ―eliometro‖, come lo battezzò Cassini stesso, la
meridiana più lunga al mondo che egli realizzò nella
Basilica di S. Petronio a Bologna?
Le più recenti verifiche strutturali su questo formidabile
e accuratissimo strumento scientifico del XVII secolo,
col quale Cassini restaurò dalle
fondamenta
l‘Astronomia dell‘epoca, sono state effettuate nel 2005,
in occasione delle celebrazioni dei 350 anni dalla sua
costruzione. Prima di inoltrarmi a illustrarne i risultati
devo fare una breve premessa, per condividere con il
lettore i concetti fondamentali e la terminologia.
La meridiana in S. Petronio
La meridiana può essere pensata come un cateto di un
triangolo rettangolo in cui l‘altro cateto è la retta perpendicolare idealmente tracciata dal centro del foro
gnomonico al pavimento della Basilica. Il piede di questa perpendicolare è chiamato Punto Verticale, oppure
Vertice, perché è il punto iniziale della linea meridiana
(Fig. 1). La distanza del foro gnomonico dal Punto Verticale, detta Altezza Gnomonica, è di 27,07 metri. La
lunghezza della linea meridiana è di 67,72 metri. Cassini
considerò come unità di misura la centesima parte
dell‘Altezza Gnomonica, chiamata Modulo. Quindi
l‘Altezza Gnomonica è 100 Moduli e la lunghezza della
linea meridiana circa 250 Moduli. La scala delle distanze in Moduli è segnata lungo la linea. Il foro gnomonico,
realizzato sul tetto della navata laterale a Est della Basilica, su di una piastra orizzontale, è di forma circolare
con diametro uguale a un millesimo dell‘Altezza Gnomonica (2,7 cm, ovvero 0,1 Moduli). I raggi solari, passando attraverso il foro, formano all‘interno della Basilica un cono di luce, la cui sezione col piano del pavimento è un‘immagine luminosa di forma ellittica, che è la
proiezione del Sole. Gli estremi dell‘asse maggiore
dell‘ellisse sono detti Lembi: infatti l‘estremo più vicino
al Vertice è la proiezione del lembo superiore del disco
solare, quello più lontano è la proiezione del lembo inferiore.
Fig. 1. La meridiana di Cassini nella Basilica di S.
Petronio, in Bologna, in un disegno originale dello
stesso Cassini. L‟analemma, mostra l‟escursione
della proiezione solare durante l‟anno (crediti:
http://amshistorica.cib.unibo.it/giovannicassini ). In
questo contesto, per analemma si intende la proiezione ortografica della sfera celeste sul piano meridiano, teorizzata da Tolomeo in un suo trattato e
citata da Vitruvio nel X libro del De Architectura.
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A. Nicelli, meridiana S. Petronio
A mezzodì l‘ellisse risulta simmetricamente divisa a metà dalla linea meridiana e questo è l‘unico momento in
cui vengono effettuate le misure. Esse consistono nel
rilevare sulla linea meridiana le distanze in Moduli dei
Lembi dal Vertice. Queste due lunghezze sono dette
Tangenti e da esse si può ricavare giorno per giorno
l‘angolo zenitale dei lembi e del centro del Sole quando
attraversa il meridiano locale, e quindi il suo diametro
angolare, le sue coordinate sulla sfera celeste e tutti i
parametri che ne caratterizzano il moto e l‘orbita apparente rispetto alla Terra.
cessario a causa del suo degrado a distanza di
ottant‘anni dal restauro effettuato dallo stesso Cassini,
coadiuvato da Domenico Guglielmini [1].
Nel 1925, in occasione del terzo centenario della nascita
di Cassini, il Prof. Guarducci fece una seconda approfondita verifica sullo stato della meridiana, in seguito
alla quale risultarono pienamente confermate le misure
di vent‘anni prima. Per l‘occasione fu pubblicata una
nuova e più completa edizione della sua Memoria, patrocinata dal Comune di Bologna, dalla Provincia di Bologna e dalla Fabbriceria di S. Petronio [3].
Lo stato della meridiana agli inizi del Novecento
Prima del 2005, le ultime verifiche strutturali sulla meridiana furono eseguite nel 1904 e nel 1925 da Federigo
Guarducci, Professore di Geodesia all'Università di Bologna. La verifica del 1904 avvenne in seguito alla sua
nomina di Membro Onorario dell‘Accademia delle
Scienze. Dovendo per tale occasione redigere una Memoria da presentare all‘Accademia, egli scelse come oggetto di studio lo stato di conservazione della meridiana
in S. Petronio. Per la sua ricerca il Prof. Guarducci fece
uso delle tecniche proprie della Geodesia, effettuando
opportune triangolazioni col teodolite. La Memoria venne letta nella sessione del 28 Maggio 1905 e si intitolava:
―La Meridiana del Tempio di S. Petronio di Bologna riveduta nel 1904‖. Nella sua relazione il Prof. Guarducci
riportò che:
Lo stato della meridiana ai giorni nostri
Le misure di Federigo Guarducci certificano l‘ottimo
stato della meridiana agli inizi del Novecento, ma da
allora è passato un secolo e il grande ―eliometro‖ non è
più così ―in forma‖: infatti dalle Tangenti rilevate sulla
meridiana fra il 2001 e il 2003 dagli esperti gnomonisti
Sergio Giordani e Giovanni Paltrinieri, si ricavano angoli zenitali del Sole sempre maggiori di quelli teorici, con
discrepanze comprese fra 100 e 200 secondi d‘arco
(dieci volte l‟errore medio ricavabile dalle misure ai
tempi di Cassini!) imputabili ad un dissesto strutturale
della meridiana (Fig. 2).
Coinvolto nello studio di questo problema da Rodolfo
Calanca (allora vice direttore della rivista ―Coelum”),
verso la fine del 2004 ho effettuato un‘analisi statistica
dei possibili errori sistematici sui rilievi di Giordani e
Paltrinieri (in totale 165 rilievi di Tangenti).

l'Altezza Gnomonica risultava essere di metri
27,0699 e quindi corrispondeva ancora a quella originale;

il centro del foro non aveva subìto sensibili spostamenti rispetto al Punto Verticale;

la linea meridiana era lievemente deviante di 1‘
36,6” verso Est, con un conseguente ritardo nell'indicazione del mezzodì di 2,5 secondi al solstizio estivo e di 6,5 secondi a quello invernale;

gli abbassamenti più rilevanti della linea meridiana,
assumendo come quota base il Punto Verticale, si
riscontravano sulla piastra equinoziale (-8 millimetri) e su quella del solstizio invernale (-7 millimetri).
Queste e molte altre misure portarono alla conclusione
che lo stato generale della meridiana si era mantenuto
pressoché inalterato dal suo completo rifacimento effettuato nel lontano 1776 da Eustachio Zanotti, resosi ne-
Fig. 2. Errore in eccesso sull‟angolo zenitale del Sole in funzione della sua tangente.
A. Nicelli, meridiana S. Petronio
Il modello che sembrava adattarsi meglio ai dati prevedeva un possibile spostamento del foro gnomonico verso
Nord e un abbassamento di livello della linea meridiana
rispetto al foro, schematizzabile con una pendenza media costante a partire dal Vertice [7]. Per semplicità il
modello non considerava come parametri un possibile
spostamento del foro in direzione ortogonale alla linea
meridiana o una possibile deviazione della linea rispetto
al meridiano, perché queste variazioni causano errori
molto meno rilevanti sulla misura delle Tangenti.
In Fig. 3 si può vedere come le ipotizzate variazioni
strutturali potevano spiegare la misura di Tangenti in
eccesso.
Indicato con ΔX lo spostamento del foro gnomonico e
con ΔZ lo sprofondamento locale della meridiana, lo
spostamento verso Nord della proiezione del centro del
Sole è dato da:
[1  tan 2 ( )]Z  Z tan( )  X
Il primo membro di questa equazione è noto dagli errori
Δ sugli angoli zenitali; il secondo membro, considerando una variazione lineare di ΔZ in funzione della distanza dal Vertice, è esprimibile come un polinomio di secondo grado in funzione di tan(, i cui coefficienti più
probabili sono stati calcolati con il metodo dei minimi
quadrati (Fig. 4). Dai coefficienti risultavano le seguenti variazioni strutturali:
 uno spostamento del foro verso Nord di circa 2,4
cm;
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L‟Autore (a sinistra), insieme a Alessandro Gunella, eseguono dei rilievi sulla meridiana di Cassini (8 febbraio
2005).
tratto corrispondente al solstizio estivo e di circa 3,6
cm alla sua estremità, corrispondente al solstizio invernale.
Il coefficiente di determinazione della regressione era
vicino all‘unità (r2 = 0,96), a conferma della buona adeguatezza del modello ai dati.
I risultati di questo studio sono stati verificati nel 2005
dalle misure effettuate con strumentazioni professionali
in S. Petronio dall‘Ing. Alessandro Gunella, l‘Ing. Lorenzo Reggiani e il Geom. Paola Ferri, organizzate e coordinate da Giovanni Paltrinieri, come descrivo nel seguito.
 uno sprofondamento progressivo della meridiana, in
pendenza dal Vertice verso Nord, con un abbassamento rispetto al foro gnomonico di circa 0,7 cm nel
Fig. 3. Variazioni strutturali e misura delle Tangenti.
Fig. 4 Spostamento verso Nord della proiezione del centro
del Sole sulla meridiana in funzione della tangente del suo
angolo zenitale.
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A. Nicelli, meridiana S. Petronio
La verifica dell’Altezza Gnomonica e del Punto
Verticale
La prime verifiche sulla meridiana sono state effettuate
il giorno 8 Gennaio 2005. A tale scopo sono convenuti
nella Basilica di S. Petronio Giovanni Paltrinieri, Sergio
Giordani, Rodolfo Calanca, l‘Ing. Alessandro Gunella e
il sottoscritto.
Per la misura dell‘Altezza Gnomonica L‘Ing. Gunella ha
piazzato in corrispondenza del Vertice della linea meridiana un distanziometro elettronico Leica Distoclassic,
mentre Paltrinieri è salito sul tetto della Basilica ed ha
posto un foglio bianco sopra il foro gnomonico per renderlo più visibile allo strumento. La misura è risultata
uguale a 27,068 metri. L‘altezza del foro era da considerarsi quindi invariata (nei limiti dell‘incertezza strumentale, dell‘ordine di 1-2 mm), rispetto a quella originale. Le misure sono state ripetute sei volte, ottenendo
sempre lo stesso valore, e sono state effettuate in condizioni ideali, con temperatura costante di circa 15° e ambiente semibuio. Successivamente Paltrinieri ha calato
attraverso il foro gnomonico un filo a piombo, fino a
sfiorare il pavimento della Basilica. Tenendo il filo tangente al bordo del foro, dopo aver atteso che le oscillazioni del pendolo si smorzassero, Gunella ha segnato le
estremità e il punto medio delle piccole oscillazioni residue su un foglio di carta, fissato sul pavimento con del
nastro adesivo. Questa operazione è stata ripetuta tenendo il filo tangente al bordo del foro gnomonico in
quattro distinte posizioni.
Facendo passare una circonferenza per i quattro punti
medi ottenuti sul foglio di carta si è quindi ottenuta la
Gunella rileva la posizione della proiezione del foro gnomonico sul pavimento di S. Petronio.
proiezione ortogonale del foro gnomonico sul pavimento della Basilica, il cui centro risultava spostato dal vero
Punto Verticale di 1,8 cm verso Nord (in discreto accordo con le analisi statistiche), e 0,7 cm verso Est.
L‘incertezza su queste misure poteva essere di 1-2 mm.
La verifica del livello della linea meridiana
La verifica del livello della linea meridiana è stata effettuata il 5 Febbraio 2005 dall‘Ing. Lorenzo Reggiani, il
Geom. Paola Ferri e Giovanni Paltrinieri, utilizzando un
La Basilica di San Petronio ha subito, nel
corso dei secoli, delle alterazioni strutturali
consistenti, come si può notare
nell‟immagine a fianco, che mostra
l‟evidente deformazione di una delle traverse di ferro (indicata dalla freccia) che
congiunge uno dei pilastri con il muro della facciata. Tali alterazioni hanno sicuramente inciso sull‟assetto della linea meridiana di Cassini, così come è stato evidenziato nello studio illustrato in questo articolo.
A. Nicelli, meridiana S. Petronio
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Livello Zeiss Jena NI-002 . Una seconda sessione di ulteriori misure e verifiche è stata effettuata il 12 Marzo
2005. I risultati sono quelli riportati in tabella (Tab.1) e
confermano le previsioni teoriche di un progressivo
sprofondamento della meridiana a partire dal Vertice
Per confronto sono riportate anche le cinque misure di
quota che il Prof. Guarducci pubblicò nella sua Memoria.
La Posizione 0 corrisponde al Punto Verticale, ovvero la
quota di riferimento. Le Posizioni sulla linea meridiana,
elencate nella prima colonna, sono indicate col corrispondente Modulo, tranne quelle in corrispondenza dei
Segni Zodiacali, che sono indicate con la numerazione
adottata dal Guarducci. I Lembi sono quelli
dell‘immagine ellittica del Sole incisa sui marmi solstiziali; i Bordi sono le estremità dei marmi degli altri Segni Zodiacali. Il Centro è il loro punto medio.
Conclusioni
Ecco, dunque, la ―radiografia‖ dello sprofondamento in
funzione della distanza dal Vertice (Fig. 5). La linea
continua è il grafico delle quote in Tab. 1; i punti indi-
Tab. 1 Misure di quota sulla linea meridiana.
Alberto Nicelli e Sergio Giordani misurano la posizione
dell‟ellisse solare sulla linea meridiana al mezzogiorno vero
dell‟8 gennaio 2005.
cano gli sprofondamenti ricavati dagli errori sugli angoli
zenitali, noto lo spostamento del foro.
Appare evidente la pendenza media della linea e il buon
accordo fra le quote misurate e le quote ricavate dagli
errori sugli angoli zenitali (la dispersione dei punti è
dovuta alle incertezze di misura sulla meridiana ed è
ovviamente maggiore per angoli zenitali piccoli).
Gli sprofondamenti più marcati sono in corrispondenza
delle due famose colonne fra le quali Cassini riuscì a
progettare il passaggio della meridiana (Fig.6), evidentemente a causa del peso delle volte gravante in quei
punti (Modulo 108 e Modulo 180).
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ASTRONOMIA NOVA
n. 13, maggio 2012
A. Nicelli, meridiana S. Petronio
Petronio in Bologna – Bologna, 2001
[5] John L. Heilbron – Il Sole nella Chiesa – Ed.Compositori
ISBN 88-7794-506-0, 2005 Titolo originale: The Sun in the
Church, Harvard University Press, Cambridge, 1999
[6] Rodolfo Calanca – La grande meridiana di Cassini in S.
Petronio compie 350 anni – Coelum N°82 – Marzo 2005
[7] Alberto Nicelli; Alessandro Gunella; Giovanni Paltrinieri –
La Meridiana di Cassini nell‟Anno Cassiniano: rilievi solari
odierni, errori sistematici e verifiche strutturali – Atti del
XIII Seminario di Gnomonica, Lignano Sabbiadoro (UD),
2005
[8] Alberto Nicelli – Le correzioni ai rilievi solari odierni sulla
meridiana in S. Petronio – Gnomonica Italiana N°10 – 2006
Le analisi teoriche e le misure effettuate in S. Petronio confermano, purtroppo, il dissesto strutturale della meridiana,
ma grazie ad esse è possibile compensare gli errori sistematici applicando delle semplici correzioni alle Tangenti o
all‘angolo zenitale del Sole, per le quali rimando il lettore
interessato al mio articolo su ―Gnomonica Italiana‖ [8].
Quindi, nonostante il peso dei secoli si faccia sentire, il grande ―eliometro‖ può ancora dare accurati e istruttivi responsi a
chi lo vorrà interrogare con attenzione e rispetto. E se ci sarà
sempre qualcuno, oggi e nei secoli futuri, che per meditarli si
inchinerà sulla meridiana al passaggio del Sole, quale potrebbe essere un miglior omaggio alla memoria di Cassini?
Bibliografia
[1] Gian Domenico Cassini – La Meridiana del Tempio di S.
Petronio in Bologna – Bologna, 1695 (riedizione a cura di
Giovanni Paltrinieri, Editore Forni, Bologna, 2000)
[2] Eustachio Manfredi – De Gnomone Meridiano Bononiensi
– Bologna, 1736 (traduzione a fronte dal latino di Alessandro
Gunella, inedita)
[3] Federigo Guarducci – La Meridiana di Gian Domenico
Cassini nel Tempio di S. Petronio di Bologna riveduta nel
1904 e nel 1925 – Bologna, 1925
[4] Giovanni Paltrinieri – La Meridiana della Basilica di S.
Alberto Nicelli è laureato in Fisica all‘Università di Pisa.
Attualmente lavora come Project Manager presso
un‘importante azienda di Information Technology. Amante
dell‘Astronomia e cultore della Geometria, si è appassionato
in particolare allo studio della Gnomonica, che ne è la sintesi
per eccellenza. Collabora con la Redazione della rivista Gnomonica Italiana, è membro del Direttivo del Gruppo Astrofili
Eporediesi ―G. B. Beccaria‖ di Ivrea (TO), ed è attivo nella
divulgazione della Gnomonica nelle scuole come ausilio per la
didattica dell‘Astronomia.
Fig. 5, in alto: grafico delle quote misurate (linea continua) sovrapposto alle
quote ricavate dagli errori sugli angoli
zenitali (punti).
Fig. 6, a sinistra: pianta della Basilica
di S. Petronio, con la meridiana di Cassini rasente due colonne.
G. Mesturini, Meridiane a Camera
oscura
ASTRONOMIA NOVA
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LE MERIDIANE A CAMERA OSCURA,
STRAORDINARI STRUMENTI ASTRONOMICI
Giorgio Mesturini
[email protected]
Il secondo articolo celebrativo per il terzo centenario
della morte di Giovanni Domenico Cassini (16251712) è dovuto allo gnomonista Giorgio Mesturini
che presenta un‘ampia sintesi descrittiva delle meridiane a camera oscura, funzionalmente simili alla grande
meridiana di San Petronio a Bologna.
Introduzione
La meridiana a camera oscura è essenzialmente un
orologio solare posto all‘interno di un edificio, costituito da una unica linea oraria, quella delle ore 12 del
Tempo Vero Locale; il raggio di luce solare che entra
da un piccolo foro sapientemente ricavato nel soffitto o
nella parete colpisce la linea nell‘attimo del transito del
Sole sul meridiano locale, quando l‘astro si trova nel
punto più alto del suo percorso apparente nel cielo. Nel
corso dell‘anno la posizione di questa immagine solare
può dare anche molte indicazioni di ―tipo calendariale‖ come rilevare i solstizi estivo ed invernale, stabilire
la data degli equinozi ed alcune date particolari, oltre a
costituire un originale e precisissimo strumento astronomico.
Le meridiane ―a camera oscura‖ dette anche a foro stenopeico, formano una famiglia abbastanza numerosa
anche se non vastissima, diffusa principalmente in Italia, ma con alcuni esempi in Francia ed altrove; le troviamo ancora presenti in chiese, la maggior parte, ed
anche in edifici civili di un certo prestigio. Il periodo di
maggior sviluppo di questa tipologia di strumenti è
compreso, grosso modo, tra la fine del 1400 e gli inizi
del 1800.
Uno dei motivi di questa diffusione prevalentemente in
Italia, certamente non l‘unico, può imputarsi alla circostanza che il Papato Cattolico è sempre stato a Roma e
che il Papa nel corso dei secoli, è sempre stato detentore, di fatto, del potere di regolamentare il Calendario,
non solo in Italia, ma in tutta l‘area di influenza cattolica. Le meridiane a camera oscura diventano un mezzo
importante per poter adempiere a questa funzione fondamentale, sia dal punto di vista civile, sia da quello
religioso.
Gli astronomi, i matematici e gli studiosi culturalmente
aperti ed evoluti hanno sempre saputo, fin dal medioevo, che il Calendario Giuliano istituito nel 46 a.C. da
Giulio Cesare non era perfetto, malgrado fosse corretta
la scelta di far corrispondere il calendario con
l‘avvicendarsi ―solare‖ delle stagioni, abbandonando di
fatto altre possibilità basate sul ciclo lunare, come in
uso all‘epoca dagli ebrei e da altri popoli. Quello che
non permetteva al calendario di funzionare perfettamente era il presupposto fondamentale dell‘esatta durata dell‘anno tropico, vale a dire il tempo esatto in cui
la Terra compie una rivoluzione sull‘orbita annuale;
questo periodo può anche essere definito come tempo
compreso tra due successivi equinozi di Primavera.
Se la durata dell‘anno fosse stato di un numero intero
di giorni la soluzione sarebbe stata facile, ma Giulio
Cesare, con il conforto dell‘astronomo greco Sosigene,
era a conoscenza che l‘anno durava 365 giorni e 6 ore e
decise quindi che aggiungendo 1 giorno ogni 4 anni,
detto giorno bisestile, la sincronia delle stagioni con le
date sarebbe stata garantita. Gli astronomi dell‘epoca si
resero conto presto che la durata dell‘anno differiva
leggermente da quanto calcolato da Sosigene, essendo
più corto di oltre 11 minuti rispetto ai 365 giorni ed ¼
inizialmente calcolati, pari a poco meno di un giorno
per ogni secolo.
Il Concilio di Nicea in Asia Minore, nel 325 d.C. determinò che la Pasqua doveva cadere alla prima domenica
dopo il Plenilunio che coincide o segue immediatamente il giorno 21 marzo, considerato questo l‘equinozio
ecclesiastico (l‘equinozio astronomico può cadere nei
giorni 19, 20, 21 marzo).
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ASTRONOMIA NOVA
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G. Mesturini, Meridiane a Camera
oscura
Duomo di Firenze: a
sinistra, il disco del
solstizio estivo, a destra, sezione della
cupola.
Nel 1582 il Calendario giuliano assumerà la attuale
struttura, a seguito della coraggiosa riforma di Papa
Gregorio XIII; da quell‘anno, non senza eccezioni e tentennamenti, il calendario chiamato ―gregoriano‖ è utilizzato nei paesi di area cristiana e nelle relazioni internazionali. La riforma gregoriana consistette nel togliere
i dieci giorni fino ad allora accumulati facendo seguire
al giovedì 4 ottobre il venerdì 15 ottobre e, per fissare in
modo perpetuo la data dell‘equinozio di primavera, si
dovette apportare una modifica all‘algoritmo di computo: mantenere invariata la regola del giorno bisestile
ogni quattro anni, ma considerare bisestili soltanto gli
anni secolari divisibili per 400. Infatti dalla riforma del
1582 sono stati bisestili il 1600 ed il 2000 e lo sarà il
2400, mentre non sono stati bisestili il 1700, il 1800 e il
1900 e non lo saranno il 2100, il 2200 ed il 2300.
La Chiesa ―prestò‖ all‘Astronomia i propri vasti edifici
di culto per costruirvi le meridiane a camera oscura,
che per ben funzionare hanno necessità di grandi dimensioni in ambienti dalla luminosità ridotta, alcune
delle quali verranno descritte, in ordine di data di costruzione, nel prosieguo di questo articolo.
Firenze, Santa Maria Novella, 1575.
La chiesa dominicana di Santa Maria Novella, con la
sua facciata marmorea disegnata da Leon Battista Alberti, è fra le opere più importanti del Rinascimento
fiorentino, pur essendo stata iniziata in periodi precedenti sui resti di una chiesa romanica e completata definitivamente in tempi a noi più vicini.
La facciata, esposta a sud, è dotata di alcuni strumenti
astronomici costruiti dal religioso domenicano Egnazio
Danti nel 1572; in particolare troviamo a destra il
“Quadrante Astronomico di Tolomeo” una piastra mar-
morea perpendicolare alla facciata avente sulle sue due
facce, rivolte ad est e ad ovest, diverse incisioni: un
quadrante goniometrico per il rilievo dell‘altezza solare
al mezzodì, la linea equinoziale, un orologio ad ore italiche, un orologio ad ore babiloniche, un orologio astronomico. Sulla sinistra della facciata una “armilla equatoriale” composta di due cerchi in bronzo fissati perpendicolarmente tra di loro, il primo sul piano del meridiano locale, il secondo sul piano dell‘equatore celeste; questo strumento fu pensato per controllare con
precisione l‘obliquità dell‘eclittica, per definire le date
di equinozi e solstizi e per rilevare il transito del Sole al
meridiano. Egnazio Danti iniziò pure, nel 1575, la costruzione di una meridiana a camera oscura con foro
gnomonico posto al centro della facciata, ad un‘altezza
di 26,5 metri circa da pavimento. I lavori erano appena
iniziati quando l‘improvvisa morte di Cosimo I de‘ Medici e l‘avvento come successore del primogenito Francesco non gli consentirono il termine dei lavori in quanto gli venne ingiunto di lasciare immediatamente il
Granducato di Toscana. L‘incarico ricevuto da Cosimo
racchiudeva insieme motivazioni politiche e scientifiche, dal momento che con le osservazioni astronomiche
in Santa Maria Novella il Granducato avrebbe acquisito
un ruolo di prestigio nel proporre definitivamente al
Vaticano una riforma del calendario che risultava ormai
improrogabile.
Per una serie di concomitanze, dopo alcuni anni fu proprio il religioso domenicano Egnazio Danti, membro
con Klavius ed altri della speciale Commissione del calendario, a convincere il Papa Gregorio XIII sulla correttezza scientifica delle sue osservazioni, che portarono finalmente nel 1582 alla coraggiosa riforma gregoriana del calendario.
G. Mesturini, Meridiane a Camera
oscura
ASTRONOMIA NOVA
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Firenze, Santa Maria Novella: la facciata e l‟armilla equinoziale
Bologna, Basilica di San Petronio, 1655.
Già Egnazio Danti aveva costruito nel 1575 una prima
meridiana di grandi dimensioni in San Petronio prima
di essere chiamato a Roma quale Cosmografo Pontificio;
detta meridiana è andata distrutta nel 1653 per i lavori
di demolizione della parete contenente il foro gnomonico, necessari al prolungamento della chiesa con
l‘aggiunta di una nuova volta. L‘occasione permise a
Giovanni Domenico Cassini, insegnante di astronomia
alla locale Università, di progettare e costruire una nuova meridiana ancora più bella e precisa della precedente.
Il foro gnomonico è stato ricavato sulla quarta volta della navata sinistra all‘altezza di circa 27 metri dal suolo;
la linea meridiana occupa quasi interamente la navata
laterale ed entra nella navata centrale sfiorando uno dei
pilastri fino alla soglia interna del portale di entrata,
dopo aver percorso quasi 67 metri contati dal punto verticale del foro. Per ricordare perpetuamente la costruzione della meridiana venne murata una lapide con incastonata una barra metallica della lunghezza della centesima parte dell‘altezza gnomonica (modulo) e si coniò
una medaglia commemorativa recante la sezione della
chiesa con la scritta ―FACTA COPIA COELI‖ e
l‘immagine di Cassini.
La meridiana venne restaurata, praticamente rifatta, nel
1776 ad opera dell‟astronomo Eustachio Zanotti che ne
mantenne intatte le dimensioni di base. Ancora oggi la
meridiana di San Petronio svolge puntualmente il suo
compito di orologio del mezzodì vero, per la gioia e la
curiosità delle molte persone che si ritrovano a vedere il
giornaliero appuntamento con il Sole al transito meridiano.
Roma, Basilica Santa Maria degli Angeli e dei
Martiri, 1701.
A più di un secolo dalla riforma gregoriana del calendario, restava in seno alla Chiesa Cattolica un certo scetticismo da parte di alcuni vescovi che esortavano il Papa a
vigilare sulla data della Pasqua, direttamente derivante
dalla data dell‘equinozio, per evitare possibili confusioni
ed errori; nel frattempo continuavano le controversie
Basilica di San
Petronio: Il foro
gnomonico nella
volta a 27 metri di
altezza (indicato
dalla freccia)
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ASTRONOMIA NOVA
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G. Mesturini, Meridiane a Camera
oscura
La linea meridiana di Cassini nella Basilica di San Petronio.
con gli Ortodossi ed i Protestanti che non si assoggettavano alle direttive papali. Nel 1700 il Papa era Clemente
XI, che volle costruire a Roma la meridiana perfetta per
poter fissare la Pasqua nel modo più corretto così da
continuare a concordare con le regole imposte dal Concilio di Nicea.
Venne affidato l‘incarico della costruzione a Francesco
Bianchini, storico, archeologo, astronomo e cartografo
che aveva avuto contatti proficui con Cassini. Venne
scelta Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, nella attuale piazza della Repubblica, edificio costruito da Michelangelo nel 1563 sui resti delle Terme di Diocleziano del
III secolo d.C., che proprio per l‘antichità e la solidità
delle sue fondamenta dava particolari garanzie di robustezza e staticità.
Il foro gnomonico sud, di circa 2,0 cm, è praticato in un
mascherone raffigurante lo stemma papale a 20,34 metri di altezza dal pavimento, mentre la linea meridiana,
una delle più belle ed interessanti mai realizzate, è costituita da una striscia metallica incastonata tra i marmi e
superbamente decorata con i simboli zodiacali eseguiti a
tarsia con inserti in bronzo raffiguranti le stelle più co-
spicue, realizzate da Francesco Tedeschi.
La lunghezza complessiva è di circa 45 metri tra il punto
verticale, transetto a destra, ed il solstizio invernale, a
ridosso degli scalini del presbiterio. Una serie di riferimenti lungo la linea indicano da un lato la tangente
(RADII PARTES CENTESIMAE) per il calcolo delle distanze zenitali e dall‘altra il valore delle stesse in gradi
(GRADUS DISTANTIA VERTICE). Sono indicati i giorni
in cui può avvenire la Pasqua, portanti l‘iscrizione TERMINUS PASCHAE situate nei pressi della data degli equinozi; inoltre un ingegnoso dispositivo permette di
conoscere, al mezzogiorno vero, quante ore mancano
all‘istante dell‘equinozio oppure quante ne sono passate
dal suo verificarsi. Lungo la linea sono pure incisi i nomi
di molte stelle ed il rispettivo valore di Ascensione Retta, osservate dal Bianchini attraverso un cannocchiale
lungo 21 metri accostato al foro gnomonico (dotato di
una specie di sportello apribile alla bisogna) che proiettava l‘immagine sulla linea meridiana fornendo l‘Angolo
Zenitale.
Sulla parete opposta nord esiste una seconda apertura
rivolta verso il Polo Nord Celeste da cui il Bianchini riuscì a studiare la Precessione degli Equinozi ed a calcolare la proiezione sul pavimento della Stella Polare: fu
incisa una serie di ellissi con intervalli di 25 anni (anni
giubilari) valida per 800 anni, dal 1700 al 2400
(STELLAE POLARIS ORBITAE AD ANNOS OCTIGENTOS).
Si tratta di un‘opera recentemente restaurata e splendidamente conservata, che ha annunciato il mezzodì ai
romani fino al 1849, anno in cui l‘impegno è stato assunto al Gianicolo da un apposito cannone.
Milano, Duomo, 1786.
Il Duomo di Milano con le sue guglie gotiche e la riconoscibilissima architettura è sicuramente il monumento
più conosciuto della città; chi entra da uno dei portali
della caratteristica facciata, rapito dalla grandezza e dallo sviluppo verso l‘alto delle volte, quasi non nota a terra
una linea marmorea trasversale, che quasi scompare
nella ricca pavimentazione circostante, densa di motivi
floreali geometrici.
Si tratta di una interessante linea meridiana a camera
oscura, costruita dagli astronomi dell‘osservatorio di
Brera Giovanni Angelo De Cesaris e Guido Francesco
Reggio nel 1786 con lo scopo di ―esattamente regolare
l‟orario col punto del Mezzogiorno fisico, e con la maggior precisione‖, secondo i voleri del ―Regio Imperiale
G. Mesturini, Meridiane a Camera
oscura
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Roma, Santa Maria degli
Angeli: a sinistra, sezione. A destra, il foro gnomonico.
Supremo Consiglio di Governo‖ che intendeva unificare
sotto un unico sistema orario il territorio AustroUngarico di cui la Lombardia era parte. Era giunto infatti il momento di sostituire l‘ormai obsoleta Ora Italica,
che faceva coincidere le ore 24 con il tramonto, con la
più moderna Ora Francese (detta anche Oltremontana o
Tedesca) già diffusa largamente negli altri paesi europei.
Si praticò il foro gnomonico nella volta della prima campata della navata sud, ad un‘altezza di circa 23,8 metri,
avente un diametro di 2,5 cm. Per la realizzazione del
foro fu necessario modificare la decorazione esterna del
coronamento lapideo affinché i raggi del Sole potessero
arrivare al foro in qualsiasi stagione senza ostacoli.
La linea meridiana, lunga teoricamente poco meno di 62
metri, si estende orizzontalmente sul pavimento per circa 54 metri fino ad intercettare, nell‘ultimo tratto prima
del solstizio invernale, il muro nord della chiesa, che
risale in verticale per quasi tre metri.
Ellissi della stella
polare tracciate in
Santa Maria degli
Angeli.
Sezione trasversale del Duomo di
Milano.
A lato della linea, composta di una lamina metallica bordata da marmi colorati, sono presenti i simboli zodiacali
in tarsia marmorea, ricostruiti a seguito di un rifacimento pavimentale del 1827, durante il quale i simboli originali andarono perduti. Complessivamente la meridiana
è conservata molto bene ed il Sole, nebbia e nubi permettendo, entra in chiesa ogni giorno a segnare il mezzogiorno vero.
Da qualche tempo, nell‘occasione della festa liturgica di
San Carlo Borromeo, vengono appesi ai lati della navata
maggiore dei grandi pannelli illustranti la vita e le opere
del Santo, che purtroppo intercettano ed oscurano
l‘immagine solare impedendo il corretto funzionamento
della meridiana, grossomodo da novembre a marzo.
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ASTRONOMIA NOVA
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G. Mesturini, Meridiane a Camera
oscura
Duomo di Milano: L‟immagine solare al mezzogiorno vero
e all‟equinozio.
Napoli, Museo Archeologico Nazionale, 1791.
Il Museo Archeologico Nazionale è ospitato in un palazzo iniziato nel 1586 come cavallerizza su commissione di
Don Pedro Giron, duca di Ossuna e Viceré di Napoli;
dopo alcune modifiche diventa nel XVII secolo sede
dell‘Università e quindi Real Museo dall‘inizio del XIX
secolo, per raccogliere le collezioni archeologiche di Ercolano, Pompei e Stabia, oltre alla ―raccolta Farnese di
Capodimonte‖ e le raccolte della Villa Reale di Portici,
del cardinale Stefano Borgia e di Carolina Murat. Il Museo fu titolato "Nazionale" da Garibaldi, inglobando le
collezioni archeologiche, artistiche e bibliografiche dei
re Carlo III, Ferdinando IV, Francesco I e Ferdinando II
di Borbone.
Dal grande atrio di accesso, attraverso una caratteristica
scala semicircolare a doppia rampa, si accede al piano
primo il cui salone centrale è chiamato ―Salone
dell‘Atlante Farnese‖, per la rilevante presenza della
scultura ellenistica dell‘Atlante che sostiene un globo
celeste. Gli affreschi della alta volta sono opera di Pietro
Bardellino e rappresentano scene allegoriche: ―Il Trionfo delle Arti e delle Scienze‖ e ―La Virtù incorona Ferdinando IV e Carolina‖.
Nel 1791 il Governo di Ferdinando IV di Borbone accolse
la richiesta dell‘astronomo Giuseppe Casella, professore
di Astronomia alla Regia Università di Napoli e promotore della Specola partenopea, di costruire una Meridiana a Camera Oscura nel grande salone dell‘Atlante, che
per dimensioni ed orientamento fu ritenuto adatto allo
scopo, da utilizzarsi come strumento scientifico. Il foro
fu ricavato nella facciata del palazzo, in alto a sinistra,
mediante taglio di parte del cornicione e costruzione di
due ampie svasature nello spessore del muro portante,
una all‘esterno ed una all‘interno del salone, a oltre 15
metri dal pavimento. La linea meridiana, lunga circa 27
metri, taglia in diagonale il salone in direzione NordSud ed è formata da un listello di ottone incastonato in
lastre di marmo sulle quali è incisa la scala delle
―partes‖ o moduli, intesi come frazioni dell‘altezza del
foro. Agli estremi della linea sono riportate le posizioni
dell‘immagine solare ai solstizi: SOLSTITIUM AESTIVUM alla distanza di 35 partes dalla perpendicolare del
foro e SOLSTITIUM HIBERNUM alla distanza di 208
partes dalla perpendicolare. La linea meridiana è completata dalle 12 costellazioni componenti lo Zodiaco,
rappresentate nelle opportune posizioni calendariali da
inserti ovali acquerellati, protetti dal calpestìo del pubblico attraverso spesse lastre protettive trasparenti.
A testimoniare la destinazione scientifica iniziale del
salone resta sul portale di ingresso un interessante quadrante di Anemoscopio; questo strumento indicava, per
mezzo di una lancetta girevole, la direzione di provenienza dei sedici venti principali della cosiddetta rosa
dei venti; una banderuola girevole situata sul tetto trasmetteva la direzione del vento tramite ingranaggi ed un
asse interno alla parete. A completamento della linea
meridiana è presente sulla parete Sud, quella del foro
gnomonico, il quadrante di un orologio meccanico, ripetitore di quello esterno visibile sulla facciata del palazzo,
collegato a suo tempo con una piccola campana sommitale per l‘annuncio delle ore e registrato sul mezzogiorno
vero dato dalla meridiana.
Napoli,
Museo
Archeologico, linea
meridiana.
G. Mesturini, Meridiane a Camera
oscura
Napoli, Certosa di San Martino, 1771.
La Certosa di San Martino venne fondata nel 1325 da
Carlo d‘Angiò, duca di Calabria, sulla sommità del colle
che domina l‘intero golfo napoletano.
Lo spettacolare complesso, edificato secondo i canoni
architettonici dell'Ordine tra la fine del Cinquecento e
gli inizi del Settecento, venne sottoposto ad un rinnovamento radicale, mediante l‘opera degli architetti Giovanni Antonio Dosio, Cosimo Fanzago e Nicola Tagliacozzi Canale, che con i loro successivi interventi conferirono alla Certosa la veste attuale: una perfetta sintesi tra
architettura, pittura e scultura tipica del gusto rococò.
Nel corso del tempo i migliori artisti lavorarono per i
monaci certosini fino all‘attuale ordinamento che restituisce la corretta percezione e misura spaziale del luogo
religioso, in accordo con l‘incantevole panorama urbano
visibile dai giardini e dai loggiati.
Il percorso museale lambisce il ―Quarto del Priore‖, una
sala non sempre aperta alle visite, in cui si trova una
interessante meridiana a camera oscura realizzata dallo
scillese Rocco Bovi tra il 1771 ed il 1772.
Il foro gnomonico, probabilmente non più funzionante,
ha una altezza di circa 3,5 metri, facendo risultare la
meridiana di modeste dimensioni, specie se paragonata
alle grandi ―camere oscure‖ dello stesso periodo storico.
La linea è inserita in diagonale nel pavimento in cotto
maiolicato della sala ed è composta di inserti in marmo
e fregi in bronzo, uno dei quali porta la dicitura:
<MERIDIANA SEMITA AD FIXAM A VERTICE AD GR.
64 ET MIN. 30 IN SEPTENTR. BRUMALE SOLSTITIUM HABENS A DIE XXI MENSIS DECEMBRIS>.
Lungo la linea meridiana é presente la scala delle tangenti dal ―punctum perpendiculi‖, l‘indicazione dell‘arco
semidiurno espresso in ore e minuti ed altre indicazioni
sulle varie costellazioni zodiacali; non mancano numerosi riferimenti calendariali sulla previsione degli equinozi ed il calcolo della data della Pasqua.
Ai lati della linea meridiana, a coprire l‘intero pavimento della sala, si possono ammirare le figure dei segni
zodiacali e delle principali costellazioni, dipinti sulle
mattonelle di cotto dal napoletano Leonardo Chiaiese.
Si tratta quindi di un complesso strumento adatto non
soltanto alla determinazione del mezzodì, ma anche ai
calcoli astronomici, al computo calendariale, nonché a
stupire i visitatori di fine settecento con la bellezza e la
completezza delle raffinate decorazioni artistiche.
ASTRONOMIA NOVA
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Napoli, Certosa di San Martino, particolare della linea meridiana.
Novellara (RE), Collegiata di S. Stefano, 1789.
Si tratta di un grosso centro emiliano di pianura, possesso per molto tempo di un ramo cadetto dei Gonzaga di
Mantova, passato poi agli Estensi di Ferrara. In una
grande e scenografica piazza contornata da portici si
trova la Collegiata di S. Stefano, della seconda metà del
'500, ampliata successivamente nel 1700.
L'originale facciata, di chiaro stile rinascimentale, è arricchita da nicchie e finestrature. L'interno è a navata
unica, a croce latina, con quattro cappelle per ogni lato,
in una delle quali, quella della Beata Vergine del Rosario, sul lato sinistro, trova spazio una meridiana a camera oscura, recentemente riportata a nuova luce dallo
gnomonista Renzo Righi.
Del manufatto originale, costruito da Bernardino Taschini nel 1789, era rimasto soltanto il foro gnomonico
ricavato nella parete di fondo della cappella laterale ad
un‘altezza di 5,23 metri dal pavimento, mentre la linea
pavimentale era andata perduta durante lavori di rifacimento degli anni ‘60 del secolo XX.
Dal ripristino funzionale del 2001 una lunga linea di
ottone, incastonata nei marmi della Cappella del Rosario e dotata dei vari segni zodiacali calendariali, percorre
la cappella laterale fino alla soglia di entrata della stessa
e prosegue per alcuni metri nella navata centrale scendendo uno scalino di circa 17 cm. La lunghezza totale
della linea dal punto verticale al solstizio invernale è di
quasi 14 metri.
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ASTRONOMIA NOVA
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G. Mesturini, Meridiane a Camera
oscura
Novellara (RE), Collegiata di S. Stefano, linea meridiana.
Formello (RM), Chiesa di San Lorenzo, 1796.
La chiesa di S. Lorenzo è stata edificata probabilmente
intorno al X-XI secolo ed ha subito nel corso degli anni
numerosi rifacimenti; la parete asimmetrica di facciata,
che prospetta sulla piazza, ha una breve scalinata ed un
portale dalle linee semplici che si apre sulla navata di
sinistra; lo spazio interno, trasformato a tre navate dopo l'intervento del XVI secolo, é scandito da due file di
quattro colonne quadrate, sulle quali sono impostati
archi a tutto sesto. Di notevole interesse è un affresco
posto sulla prima cappella della navata di sinistra, vicino l'ingresso, attribuito a Donato Palmieri da Formello.
Sul pavimento della navata destra, per quasi tutta la
lunghezza, è visibile una meridiana a camera oscura
rifatta recentemente in gran parte dagli gnomonisti Catamo e Lucarini, originalmente costruita nel 1796 da
don Luigi De Sanctis, singolare figura di prete dotato di
cultura astronomica e matematica oltre che di speciale
manualità: le numerose incisioni sui marmi originali
della linea, compresi i segni zodiacali, furono scalpellati
dalle sue abili mani. La lunghezza della linea marmorea
è di circa 13 metri ed il foro gnomonico ha un‘altezza di
circa 6,7 metri sul pavimento; ai suoi lati sono collocati
simmetricamente dieci segni zodiacali, mentre quelli
solstiziali (Cancro e Capricorno) si trovano rispettivamente all‘estremità sud e nord della linea stessa. Sono
pure presenti, alle diverse date dell‘anno, le indicazioni
dell‘ora del sorgere del Sole e la durata del ―giorno luce‖.
Bergamo, Portico di Piazza Vecchia, 1798.
Nella bellissima Piazza Vecchia, nella città alta di Bergamo, sotto il portico di Palazzo della Ragione, il sacerdote Giovanni Albrici ha tracciato nel 1798 una interessante meridiana ―semi-oscura‖, dal momento che i
Formello, chiesa di San
Lorenzo: spiegazione
del funzionamento della
meridiana
all‟inaugurazione del
restauro.
G. Mesturini, Meridiane a Camera
oscura
quattro lati sono aperti. Nella parte alta dell‘arco ogivale sud un disco metallico con un Sole antropomorfo
dotato di foro funge da gnomone, ad una altezza di
7,64 metri.
Le pietre componenti la primitiva linea meridiana,
così come quelle del pavimento circostante, risultate
molto usurate dal calpestìo, sono state completamente
rifatte nel 1857 con l‘aggiunta, rispetto all‘impianto
originale, di due linee laterali di marmo ad indicare un
intervallo di 15 minuti prima ed altrettanti dopo il
mezzogiorno vero. E‘ stata pure aggiunta la lunga curva a otto chiamata ―lemniscata‖ che materializza sulla
linea meridiana la differenza tra il Tempo Vero ed il
Tempo Medio, detta ―equazione del tempo‖.
Sul punto verticale del foro gnomonico è incastonata
una rosa dei venti che porta incise le caratteristiche
principali della meridiana: latitudine, longitudine,
altezza del foro da pavimento, altezza sul mare.
Palermo, Cattedrale, 1801.
A seguito di rifacimenti e restauri che la Cattedrale di
Palermo subì nell‘ultimo ventennio del XVIII secolo, il
fondatore e primo direttore dell‘Osservatorio Astronomico, l‘astronomo Giuseppe Piazzi, ottenne dal Vescovo l'incarico di ―adornare la cattedrale di una meridiana, che al pubblico comodo servisse, ed insieme
fosse ornamento al Duomo” con lo scopo di fornire ai
cittadini uno strumento preciso e semplice per misurare l‘istante del mezzodì secondo il tempo
"all'europea". Nel Regno delle Due Sicilie infatti, come
del resto in quasi tutti gli stati italiani, fino all‘inizio
Bergamo, portico del palazzo della Ragione: particolare
della meridiana.
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Palermo, Cattedrale, veduta esterna. A destra, la linea meridiana.
del 1800 veniva utilizzato il sistema "all'Italiana", in cui
il giorno era diviso in 24 ore uguali, ma contate a partire da mezz'ora dopo il tramonto del Sole.
L‘inaugurazione ufficiale della meridiana avvenne nella
solennità del Corpus Domini, il 4 giugno 1801.
Il foro gnomonico è ricavato in una cupoletta laterale
ad una altezza di 11,78 metri dal suolo e la linea meridiana, che passa davanti all‘altar maggiore in diagonale,
è formata da una barra metallica incastonata al centro
di un marmo chiaro, per una lunghezza totale di quasi
22 metri dal punto verticale. Lungo la linea sono presenti i vari simboli zodiacali in marmo colorato a tarsia.
Sul muro, nei pressi della verticale del foro gnomonico,
una lapide ricorda: COMMODO ET UTILITATI PUBBLICAE INEUNTE SAECULO XIX – ALTITUDO POLI
38° 6‟ 45,5” – ALTITUDO GNOMONIS PALMORUM
46.1.5. La stessa lapide porta incassato un campione
metallico del ―palmo palermitano‖, l‘unità di misura
usata nel Regno delle Due Sicilie in quel periodo.
Il progetto della riforma del computo del tempo non
ebbe in Sicilia esito immediato, ma avvenne compiutamente e con molte resistenze, soltanto dopo l‘unità
d‘Italia.
Catania, Monastero di San Nicola l’Arena, 1841.
La chiesa benedettina è la più grande di Sicilia, con il
transetto di 105 x 48 metri e con la cupola alta internamente 62 metri, e fa parte di un enorme complesso
comprendente uno dei più grandi monasteri d‘Europa.
Nell‘Archivio Storico di Catania lo studioso Michele
Trobìa ha rinvenuto una relazione del 1842 dal titolo
“Sulla Meridiana costruita di recente nella Chiesa dei
Benedettini in Catania”, con il testo seguente:
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G. Mesturini, Meridiane a Camera
oscura
"L'Abbate padre D. Federico La Valle pensò che mancando Catania di una Meridiana astronomica, sarebbe
stata degna impresa dei Benedettini il provvedervi,
facendone una costruire nella loro Chiesa a proprie
spese; ed egli avea già messo in serbo una somma da
destinarsi a quella opera, quando la morte lo tolse ai
viventi. Rimpiazzato dall'abbate padre D. Tommaso
Ansalone, questi non permise che sepolto restasse col
di lui predecessore il progetto della Meridiana, ma
ebbe all'incontro, determinato che fosse eseguita. Venne da lui chiamato a tal uopo l'illustre astronomo di
Palermo, Cav. Nicolò Cacciatore. Questi prese le necessarie misure ed ogni altro elemento inserviente allo
scopo, tutto dispose perché la Meridiana cominciasse a
formarsi. Aprì uno gnomone nel muro meridionale
della Cappella di S. Benedetto, ne misurò l'altezza perpendicolare sul pavimento della Chiesa, ed uno strato
di masse murate di lava fe' costruire per tutta la lunghezza della futura Meridiana, sotto il pavimento. Dispose inoltre che le macchine ed i macchinisti per tracciare la linea, e questi da Palermo credé indispensabile
far venire. Ma varie disgraziate vicende interruppero i
lavori che erano costati ingenti somme ed il padre abbate D. Tommaso Ansalone cessò di vivere nel 1837,
prima che la linea fosse tracciata.
L'egregio di lui successore, padre D. Gian Francesco
Corvaja, l'utile ben conoscendo di questa impresa e
non volendo che perdute andassero tante spese fatte,
nel tempo che di nuove fabbriche abbelliva il Monastero, non lasciò scappare una occasione che favorevolissima gli si offriva, quella cioè di trovarsi a Catania due
illustri scienziati che erano in caso di potere pienamente soddisfare a suoi voti. Da circa 4 anni trovavasi
fra noi a lavorare sulla topologia dell'Etna e sulla mineralogia e geologia di questo vulcano il Sig. Wolfrang
Sertorius, barone di Waltershausen da Gottinga. Questi era accompagnato sempre da dotti uomini, i quali
nelle fisiche ed astronomiche conoscenze erano versatissimi, e dal Prof. Lisling da Frankfort ne' primi anni
e poscia dal Dott. Cristian Peters da Flensburg in Danimarca. L'abbate Corvaja si rivolse quindi a questo
degno personaggio e gli espose il desiderio ardente che
nutriva di vedere formata una Meridiana, per la quale
trovavasi il Monastero avere sofferto significanti erogazioni e molti materiali all'uopo aveva ancora pronti.
Il barone di Waltershausen ed il Dott. Peters accettarono volentieri lo invito ed in pochissimo tempo da
parte loro ed in non molto tempo per parte dello scul-
tore Carlo Cali' da Catania, stesero sul pavimento della Chiesa la Meridiana di che trattasi. Il valoroso astronomo Dott. Peters non che il sullodato barone, stimarono non doversi servire dello gnomone fatto dal
Cav. Cacciatore, ma un altro ne aprirono lateralmente
a quello, per levante, ove i calcoli fecer loro conoscere
dover infallibilmente riuscire che la linea della Meridiana passasse per centro del pavimento corrispondente al centro della cupola. La linea fu tirata dal gradino della cappella di S. Benedetto sino a poca distanza da quello della opposta cappella di S. Nicola. La
Meridiana venne completata l'Anno Domini 1841".
La Meridiana si estende trasversalmente nel transetto
per una lunghezza complessiva di 40,92 metri, mentre
il foro gnomonico ha un‘altezza di 23,92 metri sul pavimento; é molto ricca di dati geografici, astronomici,
fisici, geodetici e metrici, che sono riportati in latino su
strisce longitudinali ai lati della linea.
Acireale (CT), Duomo di Santa Venera, 1843.
Il Duomo di Acireale è dedicato alla SS. Annunziata e a
S. Venera. La facciata è in stile neogotico, opera di Giovan Battista Basile -autore del Teatro Massimo a Palermo- é fiancheggiata da due campanili dalla cuspide
maiolicata e presenta un bel portale seicentesco.
Il pavimento del transetto è in gran parte percorso dalla
ottocentesca meridiana a camera oscura, progettata da
Wolfgang Sartorius von Waltershausen e da Frederik
Christian Peters, autori anche della meridiana nella
Basilica di S. Nicola l'Arena a Catania, che si trovavano
in quegli anni in Sicilia per studiare la topografia e la
geologia dell‘Etna.
Completata nel giugno del 1843, l‘opera, costata la somma complessiva di 540 ducati, riscosse il plauso dei
committenti per la sua precisione e l‘artistica realizzazione marmorea, dovuta allo scultore catanese Carlo
Calì coadiuvato da Giovan Francesco Boccaccini.
Il foro gnomonico ha un‘altezza di 9,1 metri sul piano
pavimentale e la linea meridiana ha una lunghezza di
16,45 metri tra i due solstizi; il manufatto, in marmo
giallo con intarsi raffiguranti i vari segni zodiacali, porta sui lati numerose iscrizioni di carattere astronomico
e misurazioni scientifiche.
Un riquadro marmoreo nei pressi della sacrestia porta
incastonate alcune barre metalliche ―campione‖ che
ricordano le varie unità di misura di lunghezza all‘epoca
in uso per gli scambi commerciali: il Metro francese, il
Piede parigino, il Piede inglese, il Palmo siciliano ed il
G. Mesturini, Meridiane a Camera
oscura
Palmo napoletano.
La meridiana del Duomo di Acireale è la "protagonista"
di un film di Diego Ronsisvalle, dal titolo “Gli Astronomi”, del 2002, tratto da un romanzo dallo stesso titolo
scritto dal padre, Vanni Ronsisvalle, che così la descrive
nel romanzo: " ...bellissima, persino elegante, decorativa, ricca; il marmista si era cimentato in un appassionato lavoro di intarsio amorevole di figurine in marmo rosso di S. Agata che giravano in tondo lungo l'ellisse di un marmo meno caldo, giallo paglierino del
genere Balmoral...".
Modica (RG), Duomo di San Giorgio, 1891.
La costruzione della chiesa ebbe inizio nei primi anni
del 1700 in occasione della ricostruzione della Sicilia
sud-orientale a seguito del disastroso terremoto del
1693 che colpì in modo particolare la valle di Noto ed i
monti Iblei. La facciata, di grande effetto scenografico,
venne terminata soltanto nel secolo XIX inoltrato, così
come la monumentale scalinata esterna che le fa da
suggestivo sagrato.
L‘interno, a pianta Basilicale tradizionale a cinque navate, è dotata di un corto transetto sul cui pavimento è
tracciata, in leggera diagonale, la grande meridiana a
camera oscura, del 1891, con il foro gnomonico ricavato
all‘interno di una finestratura ad un‘altezza di 14,18
metri dal suolo, ed uno sviluppo orizzontale di 21,35
metri tra i due punti solstiziali; la linea in marmo, di
colore grigio scuro per garantire un buon contrasto alla
visione dell‘immagine solare, è contornata dalla lemniscata, la grande curva a forma di ―otto‖ che segna
l‘equazione del tempo, ossia la differenza tra il tempo
vero ed il tempo medio.
L‘opera si deve ad Armando Perini, nativo dell‘isola
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d‘Elba, ricevitore del Registro al tribunale, personaggio
eccentrico e stravagante, animatore della vita politica e
sociale della Modica post-unitaria, che coniugava in sé
―la fede alle scienze pitagoriche e l‟amore dichiarato
verso alcuni piaceri della vita‖.
Il transito dell‘immagine solare sui vari tracciati pavimentali misura non solo il mezzodì vero locale, ma pure
le ore 12 del Tempo Medio Locale, l‘ora italica da campanile (le ore trascorse dalla fine dell‘ultimo crepuscolo), la posizione del Sole nei segni zodiacali e quindi il
progredire annuale della rivoluzione terrestre.
Nei pressi delle due estremità della linea ci sono due
lapidi che ricordano: quella presso il solstizio estivo il
committente dell‘opera, il nome del costruttore e la data di realizzazione, mentre in quella al lato opposto le
caratteristiche dello strumento ed i riferimenti astronomici utilizzati per calcolarlo.
Perinaldo (IM), Chiesa della Visitazione, 2007.
Perinaldo è un grazioso paese della provincia di Imperia alle spalle dei ben più conosciuti Sanremo, Bordighera e Ventimiglia; dalla costa la strada risale a tornanti attraverso fitti uliveti, serre e vigneti, fino ad arrivare al nucleo abitato, già feudo del Conte Rinaldo di
Ventimiglia, probabilmente fondato nell‘undicesimo
secolo, che entrò nel XVI secolo a far parte della Contea
di Nizza, quindi ai Savoia e poi nel Regno d‘Italia.
Nacquero a Perinaldo gli astronomi Gian Domenico
Cassini (1625-1712), Giacomo Filippo Maraldi (16651729), nipote di Cassini, e Gian Domenico Maraldi
(1709-1788), nipote di Giacomo Filippo.
Ai piedi del borgo, la ―Chiesa della Visitazione‖, costruita nel diciassettesimo secolo in forme architettoniche
molto semplici, ospita una meridiana a camera oscura
Acireale, Duomo: linea meridiana
e particolare della lastra che ricorda i
costruttori.
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G. Mesturini, Meridiane a Camera
oscura
di rotazione terrestre.
Modica, la linea
meridiana del
Duomo di San
Giorgio.
realizzata da Giancarlo Bonini del locale osservatorio
astronomico, nel 2007.
La zona pavimentale, interessata dalla linea meridiana,
è su due livelli: a Sud in prossimità dell‘abside della
chiesa, il pavimento dell‘altare è più alto di quello della
navata, per cui è stato necessario costruire la linea su
due piani, seguendo la forma del pavimento. Il foro
gnomonico, di 1,5 cm, ha un‘altezza dal pavimento della
navata di 8,14 metri e da quello dell‘altare di 7,66 metri.
Lungo tutta la linea sono incisi i nomi dei mesi, con
lamine di ottone che ne segnano l‘inizio. Sul lato Est
sono riportati tutti i gradi di altezza del Sole che lo strumento può fornire a questa latitudine; un punto inciso a
destra del numero corrisponde al centro dell‘immagine
solare.
In corrispondenza degli Equinozi è posizionato sulla
linea un dispositivo che richiama quello presente nella
grande meridiana di Santa Maria degli Angeli a Roma,
realizzata nel 1702 da Francesco Bianchini con la collaborazione di Giacomo Filippo Maraldi, nipote del Cassini. Il dispositivo permette di conoscere quanto tempo
manca all‘istante dell‘equinozio oppure quanto tempo è
già trascorso dal suo verificarsi.
Nei pressi della zona terminale della linea meridiana è
incisa sul marmo la forma ellittica che assume
l‘immagine solare al solstizio invernale; gli archi tratteggiati corrispondono alla posizione che l‘immagine
solare avrebbe avuto nel 1655, anno in cui Cassini realizzò la meridiana di S. Petronio a Bologna. La distanza
tra l‘ellisse del 1655 e quella odierna, di 4,3 cm, è dovuta alla diminuzione dell‘obliquità dell‘eclittica, corrispondente alla diminuzione dell‘inclinazione dell‘asse
Conclusioni.
Le varie meridiane a camera oscura descritte fin qui
sono soltanto alcuni degli strumenti più interessanti,
sia dal punto di vista scientifico, sia da quello artistico;
una grande quantità di opere che rappresentano un
enorme patrimonio culturale e storico, generalmente
non ben conosciuto dal grande pubblico e spesso colpevolmente ignorato anche da chi dovrebbe invece avere a
cuore la loro conservazione, il loro mantenimento ed il
loro recupero.
Per le meridiane a camera oscura viene meno oggi lo
scopo per cui sono state pensate e costruite, rese obsolete dai moderni e superprecisi strumenti scientifici che
abbiamo saputo costruire; rimane però lo stupore genuino di chi, osservando nella penombra di una chiesa il
movimento della brillante macchia luminosa, percepisce chiaramente il movimento della Terra attorno al
Sole, reso visibile dal tremolante progredire sul pavimento dell‘immagine solare stessa. La linea meridiana
ci permette anche di apprezzare la posizione, sempre
diversa un giorno dopo l‘altro, dei passaggi diurni, facendoci partecipi della rivoluzione sul piano
dell‘eclittica del pianeta che abitiamo.
Osservare fenomeni naturali semplici come un raggio di
sole che si affaccia da un foro può regalare, a chi abbia
l‘animo disposto a fruire di questi aspetti, la irrinunciabile sensazione di ―aver visto‖ la Terra ruotare, perché
si rende conto che non è l‘immagine solare che si muove sul pavimento, ma è lo stesso pavimento, in solido
con la chiesa e con la Terra tutta, a ruotare giornalmente come immensa trottola attorno al proprio asse e durante la sua rivoluzione annuale attorno al Sole.
Referenze biobliografiche
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MARIA NOVELLA‖ 2006 – Edizioni Polistampa, Firenze.
Bellina, Giovanni ―SU ALCUNE MISURE DI TEMPO DEGLI IBLEI‖ 2002 – edito dal Circolo Didattico
Paolo Vetri, Ragusa.
Casanovas, Juan “Le Meridiane romane: Danti e
Bianchini‖ su Giornale di Astronomia, vol. 32° - N. 1 Marzo 2006 – Atti del Convegno “Il Sole nella Chiesa”,
Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa.
Chinnici, Ileana “La MERIDIANA di PIAZZI nella
G. Mesturini, Meridiane a Camera
oscura
ASTRONOMIA NOVA
n. 13, maggio 2012
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Perinaldo, Chiesa della
Visitazione: la linea meridiana ed il foro gnomonico.
Cattedrale di Palermo‖ su Giornale di Astronomia,
vol. 32° - N. 1 - Marzo 2006 – Atti del Convegno “Il
Sole nella Chiesa‖, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa.
Catamo, M. e Lucarini, C. “IL CIELO IN BASILICA‖ 2002 - A.R.P.A. Edizioni Agami, Roma.
Coppola, Antonio “OROLOGI SOLARI e MERIDIANE a Napoli‖ 2002 – Arte Tipografica Editrice, Napoli.
Heilbron, J.L. ―THE SUN IN THE CHURCH‖ 1999
– Harvard University Press, London.
Mazzucconi, F. Ranfagni, P. e Righini, A. “LA
MERIDIANA DI SANTA MARIA DEL FIORE‖ su La
Linea del Sole, 2007 - Edizioni della Meridiana, Firenze.
Paltrinieri, Giovanni ―MERIDIANE E OROLOGI
SOLARI D‘ITALIA‖ 1997 - L‘Artiere Edizionitalia.
Mesturini, Giorgio ―VIAGGIO attraverso le Meridiane italiane a Camera Oscura‖ – Atti del XI seminario nazionale di gnomonica, Verbania 2002.
Mesturini, Giorgio ―MERIDIANE A CAMERA OSCURA, aggiornamenti 2005‖ – Atti del XIII seminario nazionale di gnomonica, Lignano Sabbiadoro 2005.
Mesturini, G. e Bonini G.C. ―LA NUOVA MERIDIANA a CAMERA OSCURA di PERINALDO‖ – Atti
del XV seminario nazionale di gnomonica, Monclassico 2008.
Severino, Nicola “La linea meridiana della Certosa
di S. Martino‖ su Gnomonica Italiana, n° 23 – 2011.
Settle, Thomas B. “LE MERIDIANE DI SANTA MARIA NOVELLA‖ su La Linea del Sole, 2007 - Edizioni
della Meridiana, Firenze.
Sigismondi, Costantino “LO GNOMONE CLEMENTINO‖ 2009 – edito da Basilica S. Maria degli
Angeli e dei Martiri, Roma.
Giorgio Mesturini è nato a Casale Monferrato (AL) il 28
luglio 1947. Si occupa attivamente di gnomonica da molti
anni per la progettazione tecnica delle meridiane e degli
orologi solari e collabora con numerosi artisti per la loro
realizzazione. Ha vinto nel 2009 il 1° premio al concorso
internazionale ―Le Ombre del Tempo‖ organizzato dal Gruppo Astrofili Bresciani con una sua opera dal titolo ―Due coppie di quadranti solari a riflessione‖.
Coordinatore per le Provincie di Alessandria e Biella del
Censimento Nazionale Quadranti Solari promosso dalla
U.A.I. Unione Astrofili Italiani.
Membro del C.G.I. Coordinamento Gnomonico Italiano.
Membro della C.C.S. (Commision Cadrans Solaires) della
Societé Astronomique de France.
Titolare del sito internet di argomento gnomonico
www.mesturini.com .
Da tempo si dedica alla didattica ed alla divulgazione tenendo corsi di gnomonica alle scuole ed alla Università della
Terza Età e organizzando conferenze ed incontri sullo stesso
tema.
Indirizzo email: [email protected] – Sito internet:
www.mesturini.com .
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ASTRONOMIA NOVA
n. 13, maggio 2012
R. Calanca, Transiti
I TRANSITI DI VENERE SUL DISCO DEL SOLE
I TRANSITI VENUSIANI DAL
1639 AD OGGI
(prima parte)
Rodolfo Calanca
ASTRONOMIA NOVA dedica alcuni articoli ai transiti di Venere, anche se purtroppo, il prossimo passaggio sul disco del Sole del 5/6 giugno 2012, a differenza di quello di otto anni fa, sarà visibile, in Italia,
solo parzialmente, all‟alba del 6 giugno.
Venere sul disco del Sole
Molti dei nostri lettori ricorderanno con piacere e sicuramente con emozione, il transito di Venere dell‘8 giugno del 2004, un fenomeno raro che venne osservato
con grande interesse da milioni di persone in Europa.
Nella maggior parte della penisola italiana le condizioni
meteorologiche furono ideali per quasi tutta la durata
dell‘evento. Tra le migliaia di immagini scattate dagli
astronomi e dagli appassionati nel corso di quella
splendida mattina, qui ne proponiamo solamente alcuni esempi. Nell‘immagine di fig. 2, realizzata da Gilberto Forni all‘Osservatorio di San Giovanni Persiceto
(BO), appare nettamente la goccia nera (in inglese,
black drop), un fenomeno che ha incuriosito e fatto
versare autentici fiumi di inchiostro, dal transito del
1761, quando fu osservata per la prima volta, ad oggi (si
veda, in questo numero di ASTRONOMIA NOVA,
l‘articolo di Domenico Licchelli a pagina 4).
Per il transito di Venere dell‘8 giugno 2004 l‘ESO promosse una campagna osservativa internazionale la VT2004, www.eso.org/public/outreach/eduoff/vt-2004/
participate/, che aveva, tra i suoi obiettivi dichiarati, la
misura
dell‘Unità
Astronomica,
UA,
http://
it.wikipedia.org/wiki/Unit%C3%A0_astronomica, utilizzando gli stessi metodi proposti dagli astronomi nel
Sette-Ottocento, ai quali accenneremo in questo articolo. Essi richiedono il rilevamento accurato dei tempi dei
quattro contatti del transito, durante i quali il lembo del
pianeta è tangente al disco solare. I contatti esterni,
(indicati in fig. 3 con I e IV), sono difficili da determinare con precisione perché il pianeta non è quasi mai visibile. Sono quindi i contatti interni, II e III, che interessano maggiormente gli astronomi.
Fig. 1: Fotomontaggio del transito di Venere dell‟8 giugno
2004, realizzato a Talmassons da Paolo Beltrame (Circolo
Astrofili Talmassons) con Newton Marcon 200mm F/5, Filtro astrosolar Diam 180mm, Barlow 2X, 11 pose da 1/500s
su Pellicola Fuji Superia 100.
R. Calanca, Transiti
Fig. 2. Transito di Venere, 8 giugno 2004: formazione
della goccia nera (black drop) quando Venere era separato di circa 5” dal lembo del Sole, tale angolo corrispondeva al valore del seeing istantaneo. (Gilberto Forni, esposizione 1/250 sec con ETX 125 e webcam Vesta).
Per la campagna VT-2004 la maggior parte delle osservazioni furono eseguite in Europa, dove il transito fu
interamente visibile, ma molte altre provennero dal
Nord e Sud America, dall‘Africa, Asia e Australia.
In totale, furono raccolti 4550 tempi dei contatti,
registrati dai 1510 osservatori che si erano iscritti
al VT-2004. L'Institut de Mécanique Celeste et de calcul des Éphémérides (IMCCE, www.imcce.fr/langues/
en/), che elaborò le osservazioni, ottenne un valore di
UA pari a 149 608708 Km, ± 11 835 Km, che differisce,
da quello oggi considerato ―vero‖, di appena 10 838 Km
maggiore. Una tale precisione nella determinazione
dell‘UA non era mai stata raggiunta nei precedenti
transiti, nonostante gli sforzi profusi da centinaia di
astronomi, i quali, spesso affrontarono viaggi avventurosi e, alcuni di loro, addirittura persero la vita nel rincorrere il sogno della ―parallasse solare‖.
La storia e le avventure di questi impavidi astronomi è
raccontata in questo articolo.
Le presunte osservazioni dei
transiti di Venere fino al 1639
Le osservazioni dei transiti planetari sul disco del Sole
iniziarono solamente nel 1639, quando ormai da tre
decenni era il disponibile, per le osservazioni celesti, il
cannocchiale introdotto da Galileo.
Nei secoli precedenti si riteneva erroneamente di poter
osservare agevolmente i transiti di entrambi i pianeti
ASTRONOMIA NOVA
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Fig. 3. I contatti tra il disco di Venere e il lembo solare
sono indicati con i numeri romani: I e IV sono i contatti
esterni; II e III quelli interni (in ingresso ed uscita).
interni, Mercurio e Venere, perché si sovrastimavano
largamente i loro diametri apparenti.
Tycho Brahe (1546-1601), il più grande osservatore
dell‘era pre-telescopica, attribuiva a Mercurio un diametro di 3‘, anziché i 10‖ che ha in congiunzione inferiore, mentre Venere addirittura 12‘ (il 40% della Luna
piena!). Ciò giustifica, almeno in parte, l‘affermazione
di coloro che asserivano di aver osservato dei transiti ad
occhio nudo, tra i quali il benedettino Adelmo, vissuto
durante il regno di Carlo Magno, e il filosofo arabospagnolo Averroè (1126-1198).
Ma anche un astronomo della levatura di Keplero (15711630) prese un abbaglio clamoroso. Era accaduto che,
dopo laboriosi calcoli, aveva calcolato che, il 28 maggio
del 1607, Mercurio, in congiunzione inferiore, sarebbe
passato esattamente sul disco solare. Da qualche tempo, aveva realizzato una camera oscura, all‘interno della
quale l‘immagine del Sole si formava su di un cartone
bianco, dopo che la sua luce era passata attraverso un
foro stenopeico. Quel giorno, Keplero vide una macchia
nera che scambiò per Mercurio in transito.
Pubblicò l‘osservazione, dandole gran risalto ma, dieci
anni dopo, ammise candidamente l‘errore e riconobbe
che si era invece trattato di una grande macchia solare:
―a Praga nel 1607, in una grande casa, vuota e spaziosa,
dove, dopo aver osservato un raggio di Sole [si riferisce
alla camera oscura] tinto da una grande macchia, annunziai, ma a torto, in un libro e con diversi altri scritti,
che Mercurio era stato visto nel Sole‖.
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R. Calanca, Transiti
Fig. 4. Il frontespizio dell‟Avviso per gli Astronomi
di Keplero.
La prima corretta previsione di un transito si deve proprio a Keplero che, nel 1629, pubblicò l‘Admonitio ad
astronomos (Avviso per gli astronomi, fig. 4), nel qualeannunciava due passaggi sul Sole: il primo di Mercurio l‘altro di Venere, rispettivamente il 7 novembre ed il
6 dicembre 1631. Il grande scienziato esortava gli astronomi ad ―osservare il Sole incessantemente per due
giorni, poiché [il transito di Venere] avverrà il 6 o il 7
dicembre secondo il calendario gregoriano…né questo
transito davanti al Sole sarà unico; che, anzi, il calcolo
dimostra che 30 e non più giorni prima, l‘Europa dovrà
poter vedere anche Mercurio davanti al Sole‖.
Keplero sospettava però che il transito di Venere sarebbe avvenuto nella notte, mentre non aveva dubbi, e i
fatti gli diedero poi pienamente ragione, che quello di
Mercurio si sarebbe verificato in pieno giorno.
È certamente lecito chiedersi come mai, tra i tanti astronomi ed astrologi che allora si aggiravano per
l‘Europa (tutti interessati a questo genere di fenomeni,
chi per ricavarne incerti presagi, chi per autentica curiosità scientifica), Keplero sia stato il solo a prevedere,
con buona precisione, i due transiti. La risposta è oltre
modo semplice: egli era l‘unico in grado di eseguire calcoli dei moti planetari con un sufficiente livello di precisione. A questo fine, alcuni anni prima, aveva preparato
delle tavole astronomiche, le Tavole Rudolfine, fig. 5,
necessarie per la compilazione di effemeridi, con le
quali poteva tracciare in cielo i veri percorsi dei pianeti.
Le tavole in uso agli inizi del XVII secolo, sia le antiche
tolemaiche, sia le assai più recenti tavole pruteniche,
fondate sull‘ipotesi copernicana, erano affette da errori
inaccettabili, tali da attribuire ai pianeti, in certi punti
delle loro orbite, posizioni lontane anche molti gradi
dai veri luoghi celesti da essi realmente occupati.
Le tavole di Keplero, dedicate al suo mecenate,
l‘imperatore Rodolfo II, uscirono nel 1627 dopo un lavoro ventennale. In quest‘opera, Keplero aveva introdotto due novità essenziali.
La prima, d‘importanza capitale, riguardava sia l‘uso
delle orbite ellittiche, sia il computo delle longitudini
planetarie per mezzo della famosa equazione che porta
il suo nome.
La seconda novità fu l‘introduzione, altrettanto rivoluzionaria, dei logaritmi neperiani, una tecnica di computazione che semplificava enormemente i lunghi e complessi calcoli astronomici.
L’osservazione di Gassendi del transito di Mercurio del 1631
Tra i primi ad accogliere l‘invito di Keplero fu il grande
filosofo naturale francese Pierre Gassendi (1592-1655).
Fig. 5. L‟allusiva antiporta delle Tavole rudolfine di Keplero
(si veda, per maggiori dettagli, l’articolo dell’Autore:
“Significati allegorici nelle tavole rudolfine ‖,
win.eanweb.com/Coelum_articoli/Coelum_n_83_pp-6061.pdf ).
R. Calanca, Transiti
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Fig. 6. Il disco del Sole disegnato da Gassendi, sul
quale è tracciata l‟eclittica e il percorso di Mercurio
durante il transito del 7 novembre 1631. Egli tracciò
cinque posizioni del pianeta, delle quali l'ultima mentre stava uscendo dal disco solare .
Ritratto del filosofo
ed astronomo francese Pierre Gassendi.
Agli inizi di novembre del 1631, Gassendi, nella sua abitazione di Parigi, era indaffarato a preparare
l‘osservazione del transito di Mercurio. In una stanza,
adibita a camera oscura, un cannocchiale, con
l‘obiettivo rivolto all‘esterno, avrebbe proiettato
l‘immagine del Sole su di un cartone bianco, diviso lungo un diametro in 60 parti, ciascuna divisione corrispondente a 30‖.
Nel locale sottostante, un assistente, armato di un preciso strumento graduato, un quarto di cerchio, si sarebbe tenuto pronto, ad un segnale del maestro, a misurare
l‘altezza del Sole per rilevare i tempi veri
dell‘osservazione. Con ancora qualche dubbio sulla precisione della predizione di Kepler, Gassendi si mise ansiosamente ad esplorare il disco solare alla ricerca di
Mercurio già il 5 novembre, due giorni prima della data
prevista. Il cielo però rimase a lungo coperto da spesse
nubi.
Il Sole fece capolino solamente nelle prime ore del 7
novembre, ancora tra nuvole minacciose gonfie di pioggia. Alle 9 esso gli apparve totalmente privo di particolari interessanti, a parte un piccolo dischetto nero, delle
dimensioni di una mezza divisione, che l‘astronomo
ritenne essere una macchia solare, una di quelle misteriose strutture che spesso ne costellano la superficie. Ne
dedusse che il transito non era ancora iniziato. Poi, però, con crescente meraviglia, si accorse che quel minuscolo, insignificante oggetto, si spostava sul Sole troppo
velocemente per essere una normale macchia solare.
Man mano che il tempo passava, un dubbio iniziò a tor-
mentarlo: può, quell‘insignificante punto sul Sole, essere Mercurio?
Quando ne misurò nuovamente il diametro, che risultò
di soli 20‖ (in realtà quel giorno Mercurio era 10‖), ebbe la tentazione di escludere questa possibilità, troppo
forte il retaggio di due millenni di idee sbagliate, in base
alle quali il diametro apparente del pianeta era stato
stimato anche 3‘, quasi dieci volte quel dischetto nero
che si muoveva sul Sole. Alla fine però, dovette arrendersi all‘evidenza, quello era proprio Mercurio, lo confermava il suo rapido spostarsi sul Sole che concordava
con i calcoli di Kepler. Gassendi eseguì quattro misure
di posizione del pianeta rispetto al centro del Sole e
all‘eclittica che cercò di riportare con cura in un disegno, fig. 6.
Oggi sappiamo che a Parigi il transito aveva avuto inizio
alle 4h 39m UT (Tempo Universale), istante del primo
contatto esterno, due ore prima dell‘alba (quel giorno il
Sole sorgeva alle 6h 47m UT) ed ebbe una durata superiore alle cinque ore.
In una lettera all‘amico Wilhelm Schickard (1592-1635),
astronomo e inventore tedesco, Gassendi si lancia in
un‘entusiastica cronaca della sua straordinaria osservazione. Per la prima volta, scrive, un uomo ha assistito
ad un meraviglioso fenomeno della natura, ciò che anche gli alchimisti hanno cercato con tanto ardore per
millenni. Il suo è un grido di trionfo: ―ho visto Mercurio
nel Sole!‖ proclama, alludendo alla ricerca della pietra
filosofale, simbolicamente associata, nel linguaggio ermetico, al Sole e a Mercurio.
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Gassendi non fu però il solo, altri due astronomi osservarono il transito: a Innsbruck, il gesuita Jean-Baptiste
Cysat (1587-1657), e a Russac, in Alsazia, il medico imperiale Johannes Remus Quietanus. Questi due non
lasciarono però una descrizione del fenomeno di qualità
confrontabile con quella di Gassendi.
Galvanizzato dal successo dell'osservazione del passaggio di Mercurio, Gassendi, un mese dopo, tentò inutilmente di osservare il transito di Venere predetto da
Keplero. Oggi sappiamo che si trattò di un transito radente e che a Parigi fu invisibile perché ebbe inizio alle
3h 57m UT del 7 dicembre, con il Sole sotto l'orizzonte di
ben 34°.
Il transito di Venere del 1639:
Jeremiah Horrocks
La storia della prima osservazione di un transito di Venere è narrata da Jeremiah Horrocks (1618-1641) in
uno scritto pubblicato postumo da Johannes Hevelius
(1611-1687) vent‟anni dopo i fatti: Venus in Sole visa
(Venere osservato sul Sole), fig. 7. Horrocks, era nato a
Toxteth, nei pressi di Liverpool, probabilmente nel
1619, in una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Dal
giugno 1639 fino all'aprile 1640, Horrocks visse nella
canonica della chiesa del villaggio di Hoole a 15 miglia
da Liverpool, non sappiamo bene con quali incarichi,
data la giovanissima età. In quel periodo, intrattenne
una fitta corrispondenza scientifica con un altro appassionato di astronomia, un commerciante di tessuti, William Crabtree (1610–1644), che viveva a Salford, nei
pressi di Manchester.
Gli interessi di questo geniale giovane presto si orientarono allo studio delle tavole astronomiche e alla compilazione di effemeridi planetarie. Studiò le Tavole rudol-
Fig. 7. Il frontespizio dell‟opera di
Hevelius che contiene la descrizione
dell‟osservazione
del transito di Venere effettuata da
Horrocks.
fine di Keplero, ma, forse colpito dal pretenzioso titolo,
Tavole Perpetue dei Moti Celesti, decise di approfondire la conoscenza di quelle, molto meno accurate,
dell‘astronomo belga Philips van Lansberg (1561-1632).
È con queste tavole che, nell‘ottobre del 1639, mentre
compilava le effemeridi di Venere per i mesi successivi,
scoprì che, il 4 dicembre, quel pianeta sarebbe passato
sul disco solare. Ripetendo i calcoli con le tavole rudolfine, Horrocks vide che anch‘esse lo prevedevano. Per
scrupolo, cominciò ad osservare il Sole fin dalle prime
ore del 3 dicembre, senza però rilevare nulla. Il giorno
dopo, probabilmente impegnato nelle funzioni religiose
domenicali presso la chiesa di Hoole, Horrocks non si
recò nella camera oscura che alle 3 pomeridiane, con il
Sole ormai prossimo al tramonto. Con gioia annotò:
―osservai allora il più piacevole degli spettacoli,
Fig. 8. Nel quadro: "Crabtree
osserva il Transito di Venere
del 1639" il pittore Ford Madox Brown ha raffigurato
l‟amico di Horrocks mentre
nella sua bottega di tessuti a
Salford osserva per proiezione
il dischetto di Venere sul Sole.
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Fig. 9. Disegno del transito di Venere di J.
Horrocks, tratto da: "Opera Posthuma”,
Londini 1673. Sotto: La vetrata della chiesa
di St. Michael a Hoole, che ricorda
l‟osservazione di Horrocks del transito di
Venere.
l‘oggetto dei miei ardenti desideri: un punto di grandezza insolita e di forma perfettamente circolare che era
già totalmente entrato nella parte sinistra del disco solare‖. Per circa mezz‘ora seguì il fenomeno e tracciò
sulla carta tre posizioni di Venere sul disco solare, ne
determinò il diametro (1‘10‖, rapportato al Sole, da lui
stimato 15‘ di raggio) e l‘angolo d‘ingresso, fig. 9.
Il suo amico Crabtree fu meno fortunato. Sopra Salford,
infatti, le nuvole si dissiparono verso le 3h 30m p.m.,
appena il tempo sufficiente per scorgere Venere sul Sole. Con un certo affanno, riuscì ad eseguire una sola
misura del diametro angolare apparente del pianeta,
migliore però di quella dell‘amico, 1‘ 03‖, fig. 8.
Horrocks, con il diametro angolare di Venere rilevato
durante il transito, cercò di stimare la parallasse solare.
Ipotizzò, erroneamente, l‘esistenza di una legge di proporzionalità tra le distanze dei pianeti dal Sole ed il loro
diametro, simile alla mirabile proporzione scoperta da
Kepler tra i periodi di rivoluzione e le distanze medie, la
sua famosa terza legge. La regola di Horrocks, che sembrava accordarsi bene con il diametro apparente di Venere da lui misurato, rivela che la distanza di un pianeta dal Sole è 15000 volte il suo diametro. Da questa premessa, sbagliata, derivava una parallasse solare di 14‖,
valore straordinariamente accurato per i tempi, che
allargava di quasi cinque volte, e in modo assolutamente imprevisto, le dimensioni del cosmo (vedi tabella 1).
Il giovanissimo astronomo morì improvvisamente a soli
22 anni, forse di una malattia epidemica. Jean Sylvain
Bailly, famoso storico francese dell‘astronomia, scrisse
che egli aveva attraversato come una meteora la vita
terrena, e che ―sembrava essere apparso sulla terra solamente per vedere il passaggio di Venere‖.
Edmond Halley e la parallasse
solare
Nel 1677 il grande astronomo inglese Edmond Halley
(1656-1742), allora poco più che ventenne, su invito del
matematico scozzese James Gregory (1638-1675), si
recò all‘isola di S. Elena, nell‘Oceano Atlantico, per seguire un transito di Mercurio. Dopo questa importante
osservazione, confrontò il vero percorso di Mercurio sul
Sole, con le previsioni del fenomeno contenute nelle
famose effemeridi di Thomas Street. Ne dedusse un
valore della parallasse solare di 45‖.
Consapevole del grave errore del quale era affetta la sua
determinazione, Halley si convinse che l‘osservazione di
un transito di Venere avrebbe fornito una parallasse
solare assai più accurata.
L‘idea di escludere i passaggi di Mercurio per questo
tipo di determinazione, a favore di quelli di Venere, non
fu però così ampiamente condivisa, come forse egli si
aspettava, dagli astronomi del suo tempo. William
Whiston (1677-1752), noto astronomo e successore di
Newton all‘università di Cambridge, la pensava diversamente quando, nei primi anni del Settecento, pubblicò
la lista di tutti i passaggi di Mercurio compresi tra il
1605 e il 1799. Halley rimase fermamente convinto della bontà del suo metodo, tanto da pubblicare, nel 1691,
sulle Philosophical Transactions della Royal Society,
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R. Calanca, Transiti
Fig. 10. Metodo di Halley per il calcolo della parallasse
solare. Ecco come il grande astronomo avrebbe potuto illustrare matematicamente le proprie idee: siano A1A2 e B1B2 le
corde, tra loro parallele, percorse da Venere sul disco solare
così come appaiono da due località terrestri O1 e O2 separate
dalla distanza d.
Indichiamo con d1 e d2 la distanza Terra-Venere e VenereSole. Determiniamo VC considerando il triangolo O 2VC, da
cui VC = d1α e il triangolo B1VC, da cui VC = d2β.
Ne consegue che l‟angolo β è: β = α d1/ d2, dove α e β sono
angoli molto piccoli; β è l‟angolo sotto il quale da B1 si vede
la distanza d, mentre π è la parallasse solare cercata.
Avremo: d = β (d1+ d2); R = π (d1+ d2);
quindi: π = αd1R/(d2d)
Perciò la parallasse solare π si troverà conoscendo il raggio
terrestre R, la distanza d tra i due osservatori e l‟angolo α,
tutte grandezze conosciute o che possono essere misurate
durante il transito.
Tabella 1: VALORI ATTRIBUITI ALLA PARALLASSE SOLARE
DALL'ANTICHITA' FINO AI NOSTRI GIORNI
NOTA: Rt è il raggio terrestre; nella colonna ―Parallasse‖, per gli autori più antichi (da Anassimandro a Posidonio), diamo l‘equivalente delle loro stime della distanza Terra-Sole (allora solitamente espresse in raggi terrestri),
anche sotto forma di angolo parallattico. A rigor di termini, ciò non sarebbe corretto: ci concediamo questa licenza per ottenere un confronto immediato con i valori della parallasse ottenuti nei secoli successivi.
R. Calanca, Transiti
un‘importante dissertazione sulle congiunzioni con il
Sole dei pianeti interni, che comprendeva un elenco di
29 transiti di Mercurio, nel periodo 1615-1789, e 17 di
Venere tra il 918 e il 2004. Ritornò sull'argomento anche molti anni dopo, nel 1716, con un nuovo lavoro che
illustrava il suo metodo per la parallasse solare. Qui egli
sosteneva che un accettabile, anche se provvisorio, valore della parallasse era 12,5‖, che non scaturiva però da
misure astronomiche bensì da considerazioni metafisiche formulate per conservare l‘armonia geometrica del
―sistema del mondo‖. Si era, infatti, accorto che se la
parallasse fosse stata maggiore di 12,5”, ne sarebbe conseguito che un satellite, la Luna, avrebbe superato le
dimensioni di Mercurio, un pianeta. Ipotesi da lui ritenuta del tutto inaccettabile, «which seems repugnant to
the regular proportion and symmetry of the mundane
system».
Nel descrivere la sua osservazione del transito di Mercurio del 1677 fa notare che, contrariamente a quanto
generalmente ci si attendeva, egli era stato in grado di
rilevare i tempi d‘immersione ed emersione del pianeta
dal disco solare con la precisione di un secondo di tempo. Si diceva certo che la stessa cosa sarebbe stata possibile anche per i transiti di Venere: bastava un telescopio e un buon orologio. Inoltre, gli osservatóri non necessariamente dovevano essere degli specialisti. Per
questo compito, asseriva, occorrevano semplicemente
persone diligenti e precise. Propose, poi, il suo metodo
per il calcolo della parallasse: non è indispensabile conoscere con grande esattezza le coordinate geografiche
del luogo d'osservazione, ma solamente il tempo locale.
Dai tempi di ingresso e di uscita sul disco solare del
pianeta, si potrà determinare sia la durata del transito
sia l‘esatta lunghezza della traiettoria del pianeta. Se
poi gli osservatóri saranno almeno due, posti in località
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tra loro molto lontane, essi vedranno Venere descrivere
due diverse traiettorie sul Sole e, attraverso la separazione delle due corde, si potrà calcolare il cercato spostamento parallattico con l‘accuratezza di una parte su
500. I passaggi matematici che consentono di determinare la parallasse solare con il metodo di Halley sono
descritti nel commento alla figura 10.
Sapendo di non poter assistere al passaggio del 1761
(avrebbe avuto la venerabile età di 105 anni), egli si appellò alle generazioni future con queste parole: ―noi
raccomandiamo ancora e ancora agli esploratori curiosi
delle stelle ai quali, quando le nostre vite saranno finite,
queste osservazioni saranno destinate, di applicarsi essi
stessi a intraprendere queste osservazioni con determinazione, guardando con attenzione ai nostri consigli.
Noi pregheremo per loro e augureremo buona fortuna
affinché la malasorte di un cielo nuvoloso non li privi di
questo atteso spettacolo, e perché le immensità delle
sfere celesti, circoscritte nei limiti più precisi, possano
alla fine procurare loro la gloria e una fama eterna‖.
Il transito di Venere del 1761
Quando finalmente arrivò il tanto atteso transito del
1761, Halley era morto da quasi vent‟anni. In Francia e
in Inghilterra, da altrettanto tempo, si discettava
sull‘effettiva lunghezza della corda che Venere avrebbe
percorso sul disco solare e i molti matematici impegnati
nel fissare le fasi del passaggio, diedero soluzioni spesso
contrastanti. Nel corso di queste analisi, si scoprì che i
calcoli di Halley e di Whiston erano affetti da gravi errori, dell‘ordine di diversi primi d‘arco, soprattutto nella minima distanza che Venere avrebbe raggiunto rispetto al centro del disco solare. Le stesse Tavole rudolfine, che Halley aveva ampiamente aggiornato in
un‘edizione postuma del 1749, conducevano a risultati
incerti, che creavano grave imbarazzo nella comunità
scientifica in Inghilterra e Francia.
Nel 1753,
l‘astronomo
Fig. 11. Ritratto di Edmond Halley, secondo
astronomo reale.
ASTRONOMIA NOVA
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francese
Guillaume-Joseph-Hyacinthe
Legentil de la Galaisière (1725-1792) confrontò le tavole
del grande astronomo inglese con quelle di CésarFrançois Cassini de Thury (1714-1784), a proposito della loro predizione dei transiti del 1761 e del 1769, trovando tra le due una differenza di 15‘ in longitudine,
una quantità pari al raggio del Sole (fig. 12). Il problema non era di poco conto poiché, secondo Halley, il
passaggio del 1769 non sarebbe stato visibile a Parigi,
mentre quelle di Cassini ne prevedevano la visibilità
poco prima del tramonto del Sole.
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R. Calanca, Transiti
Fig. 12. Previsione dei
percorsi di Venere sul Sole
durante i transiti del 1761 e
del 1769 formulata nel 1753
da Legentil de la Galaisière
e basata sulle tavole planetarie di Halley, Whiston e
J. Cassini (da: G. Legentil
de la Galaisiere, Observation de la conjonction inférieure de Vénus avec le
Soleil, arrivée le 31 Octobre
1751, faite à l’Observatoire
royal de Paris ; avec des
remarques sur les deux
Conjonctions écliptiques de
cette Planète avec le Soleil,
qui doivent arriver en 1761
et 1769, Mém. Acad. R. des
Sciences année 1753).
Per l‘astronomo inglese, infatti, la latitudine eclittica di
Venere, all‘istante della congiunzione del 3 giugno
1769, sarebbe stata pari a 15‟43”, appena 7” minore del
raggio solare. In sostanza, egli prevedeva un passaggio
radente del tutto simile a quello avvenuto nel 1631.
Era ben noto, d‘altra parte, che dell‘orbita di Venere era
ancora mal conosciuto l‘angolo formato dalla linea dei
nodi con l‘equinozio di primavera. Si avevano poi solo
imprecise indicazioni del suo moto retrogrado annuo,
dal quale dipendeva gran parte dell‘errore di Halley
nella previsione del transito del 1761. Quest‘errore era
stato scoperto da Joseph-Nicolas Delisle (1688-1768) e
fu ampiamente pubblicizzato dalle gazzette parigine che
colsero l‘occasione, in piena guerra dei Sette Anni, per
propagandare una supposta superiorità della scienza
francese rispetto a quella britannica.
É quindi palese che, a prescindere dagli aspetti strumentali della propaganda politica, i calcoli di Halley
andavano presi con cautela, soprattutto quando si addentravano nei dettagli della previsione. Le incertezze
legate alla determinazione delle fasi del transito non
condizionarono però più di tanto il lavoro degli astro-
nomi, che continuarono ad investigare e a teorizzare sul
tanto atteso fenomeno.
Delisle, nel 1753, in quel momento impegnato nello studio dei transiti dei pianeti interni, escogitò un bel metodo grafico per raffigurare su di un mappamondo, in
modo intuitivo, le principali fasi dei transiti di Mercurio
e Venere. In due affollate sedute dell‘Accademia di Parigi, il 30 aprile ed il 17 maggio 1760, lesse una memoria,
accolta con vivissimo interesse, che illustrava il suo
mappamondo (fig. 13).
Senza far ricorso a complessi calcoli matematici, questi
dava un‘idea sintetica ed intuitiva della visibilità del
passaggio del 1761. Non è però che tale mappamondo
fosse privo di difetti: una parte consistente dei suoi errori proveniva dall‘uso di una parallasse solare approssimata e, fattore certamente non secondario, alle coordinate geografiche mal conosciute di moltissimi luoghi
della superficie terrestre, specialmente in Asia, Oceano
Pacifico ed Americhe.
Nella stessa occasione, Delisle propose un nuovo metodo per determinare la parallasse solare, alternativo a
R. Calanca, Transiti
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Fig. 13. Questo è il famoso mappamondo di Delisle sul quale sono indicate le ore e i minuti di tempo vero dell'entrata e
dell'uscita del centro di Venere sul disco del Sole nel transito del 6 giugno 1761.
quello di Halley: ―Questo metodo consiste nel servirsi
delle osservazioni dell‘entrata o dell‘uscita, tra luoghi
della Terra dove una di queste due fasi del transito arriverà con la massima differenza possibile dei tempi. Avevo trovato che nel passaggio di Mercurio [del 1753] la
più grande differenza tra i tempi dell‘osservazione
dell‘entrata o dell‘uscita non era che 4 o 5 minuti; ma si
vide che si doveva avere più di 16 minuti di differenza
tra i luoghi che avrebbero visto per primi l‘uscita di Venere al tramonto del Sole e quelli che avrebbero assisto
per primi all‘uscita di Venere al nascere dell‘astro‖.
Le spedizioni scientifiche per l’osservazione del
transito di Venere del 1761
L‘Académie des Sciences e la Royal Society furono le
due istituzioni scientifiche maggiormente impegnate
nell‘organizzazione delle osservazioni del transito del
1761, con l‟invio di spedizioni scientifiche in sperdute
contrade del mondo.
I francesi promossero due spedizioni: una nell‘isola di
Rodrigue, loro colonia nell‘Oceano Indiano (arcipelago
delle Mascarene), l‘altra a Pondicherry in India.
Nel frattempo, l‘Accademia di San Pietroburgo aveva
richiesto alla consorella parigina un astronomo dispo-
sto a recarsi in Siberia, località dove il transito sarebbe
stato interamente visibile. Tre astronomi diedero la loro
disponibilità per queste difficili imprese: l‘ormai cinquantenne canonico Alexandre-Gui Pingré (1711-1796),
abilissimo calcolatore di effemeridi ed esperto di comete, il più giovane abate Jean Chappe d'Auteroche (17221769), geografo ed abile osservatore e, infine,
l‘astronomo dell‘Observatoire, Guillaume-JosephHyacinthe-Jean-Baptiste le Gentil de la Galaisière.
Per l‘alquanto disagevole viaggio in Siberia fu scelto
l‘abate Chappe, mentre Pingré ricevette l‘incarico di
recarsi all‘isola di Rodrigue, con partenza prevista per il
mese d‘ottobre del 1760. A Pondicherry fu invece destinato le Gentil de la Galaisière, che partì nel 1759.
La Royal Society, in un primo tempo, pensò di organizzare una spedizione alla Baia di Hudson nell‘America
Settentrionale, località consigliata da Halley nella sua
memoria del 1716 come uno dei siti più favorevoli
all‘osservazione del transito. I piani inglesi cambiarono
quando dovettero incassare il brutto colpo costituito
dall‘errore di Halley, corretto da Delisle, che dimostrava la scarsa utilità della spedizione. Su pressione
dell‘astronomo reale, James Bradley (1693-1762), la
Royal Society inviò allora all‟isola di Sant‟Elena,
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R. Calanca, Transiti
Fig. 14. I ritratti di Pingré e
dell‘abbé Chappe, due protagonisti
del transito del 1761.
nell‘Oceano Atlantico, Nevil Maskelyne (1732-1811),
mentre Charles Mason (1728-1786) e Jeremiah Dixon
(1733-1779) furono destinati all‟isola di Sumatra. Questi
ultimi furono particolarmente sfortunati: il vascello che
li imbarcava, preso a cannonate da una nave da guerra
francese e con l‘alberatura gravemente danneggiata,
dovette cercare rifugio al capo di Buona Speranza.
Mason e il collega Dixon, sono ricordati per aver fissato, tra il 1763 e il 1767, la linea di frontiera lungo il 39°
parallelo tra la Pennsylvania e il Maryland (MasonDixon Line). La M-D Line divenne famosa durante la
guerra civile americana come demarcazione tra stati
liberisti e schiavisti.
La meta dell‘abate Chappe era Tobolsk, capitale siberiana 400 chilometri a Est degli Urali. La piccola e primitiva città era stata visitata oltre vent‘anni prima da Delisle, all‘epoca impegnato nella preparazione della grande
carta dell‘impero russo, che l‘aveva raccomandata
all‘Accademia come base per l‘osservazione del transito.
Arrivare però, durante l‘inverno, in un posto simile, a
quasi 6000 chilometri da Parigi, richiedeva un coraggio
non comune. Alla fine di novembre del 1760 Chappe partì dalla capitale francese. Portava con sé, oltre ad un vasto assortimento di strumenti, il suo servitore personale
e un orologiaio di fiducia. Dopo un viaggio molto avventuroso, finalmente, il 10 aprile dell‘anno successivo arrivò a Tobolsk.
Subito si mise a cercare una collina adatta per
l‘edificazione di una solida ed ampia struttura, irrobustita da travi, che fungesse da osservatorio, dove furono
alloggiati gli orologi, il sestante, un vecchio ma ancor
valido cannocchiale dell‘ottico italiano Giuseppe Campani e altri due telescopi di 1,8 e 3 metri di focale,
quest‘ultimo montato su di una struttura equatoriale.
La notte che precedette il transito fu nuvolosa e fredda,
Chappe, rintanato nel suo osservatorio, guardava con
apprensione il rincorrersi incessante delle nuvole. Mentre le ore trascorrevano e il cielo rimaneva coperto, fu
Fig. 16. Chappe
d‘Auteroche esegue
delle misure di altezza del Sole, incisione
tratta dal Voyage en
Sibérie,
1768.
Fig. 15. Francobollo commemorativo del transito del 1761,
emesso dalle Mauritius, dedicato a Pingré.
Parigi,
R. Calanca, Transiti
assalito da cupi pensieri. Finalmente un vento impetuoso da est, poco prima delle 7 del mattino, ripulì il cielo
ed anche il suo umore migliorò. Il Sole apparve quando
già il primo contatto esterno era avvenuto: ―mi disposi
ad osservare la fase principale del fenomeno,
l‘immersione totale di Venere. Osservai infine questa
fase ed un‘interna sensazione mi assicurò dell‘esattezza
di quanto vidi‖. Alla 6h 59m di tempo vero, quando il
pianeta non era ancora completamente entrato sul Sole,
vide una piccola atmosfera in forma d‘anello attorno al
disco. All‘uscita, di nuovo si rese visibile un anello, incompleto, a forma di croissant, la cui parte convessa
era girata dalla parte del bordo inferiore del pianeta.
Questo strano fenomeno rimase visibile per quasi dieci
minuti (si vedano le diverse fasi dell‘osservazione di
Chappe, da lui stesso disegnate, in fig. 17).
Mentre Chappe era alle prese con i rigori dell‘inverno
siberiano, Pingré si dirigeva verso un luogo dal clima
torrido, la sperduta isoletta di Rodrigue, in pieno Oceano Indiano. L‘Académie di Parigi considerava questa
piccola isola adatta all‘osservazione del transito, anche
se furono espressi dubbi sul fatto che vi si potesse osservare il primo contatto interno: «si poteva solo sperare di poter vedere l‘entrata e l‘uscita di Venere», fu lo
scettico commento di alcuni astronomi francesi. Dubbi
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sicuramente fondati: a Rodrigue il primo contatto esterno avvenne prima del sorgere del Sole e quello interno a soli 2° sopra l‘orizzonte.
Il canonico Pingré, scelto dall‘Académie per
l‘osservazione del transito da questa remota isoletta,
era una figura singolare. Uomo di notevole cultura classica, si era accostato tardi all‘astronomia, dopo che le
sue illecite simpatie per i giansenisti e la massoneria lo
avevano reso inviso all‘alto clero parigino, costringendolo a rinunciare all‘insegnamento della teologia. Nel
1753, la sua osservazione del transito di Mercurio, ritenuta un modello di accuratezza, gli valse l‘elezione a
membro corrispondente dell‘Académie.
Non è però che la prospettiva di recarsi a Rodrigues
(fig. 18) lo entusiasmasse. Alla non più tenera età di 49
anni, molto miope, afflitto dalla gotta e sofferente di
reumatismi, si diceva sinceramente impaurito da questo lunghissimo viaggio, su rotte battute da ostili navi
da guerra: «sentivo una ripugnanza involontaria a mettermi in strada, volevo e non volevo partire».
La piccola isola, di origine vulcanica, era, a quei tempi,
interamente ricoperta da una lussureggiante foresta e i
suoi più numerosi abitanti erano le tartarughe e
un‘orda famelica di grossi ratti, sbarcati in forze, un
Fig. 18. La piccola isola di Rodrigues, sulla quale soggiornò
Pingré per l‘osservazione del transito del 1761.
Fig. 17. L‟osservazione del transito di Venere del 1761, osservato da Chappe a Tobol, in Siberia.
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R. Calanca, Transiti
secolo prima, dalle navi dei primi esploratori. Il primo
pensiero di Pingré fu di alloggiare in un osservatorio di
fortuna la strumentazione che aveva portato dalla Francia.
Il 6 giugno il cielo si presentò coperto e, a tratti, piovoso. Il Sole apparve quando Venere era già immerso nel
disco solare, ed egli ebbe l‘impressione che il pianeta
non si presentasse perfettamente rotondo, ma le grosse
nuvole che avvolgevano l‘astro non gli permisero di accertarsene con maggior sicurezza. Alle 12h 36m di tempo
vero, Pingré colse l‘istante dell‘emersione totale del pianeta. Terminata l‘osservazione, e con la collaborazione
del suo assistente, il giovane Thuillier, per molti giorni
il loro compito principale fu di trovare la latitudine e la
longitudine dell‘osservatorio isolano, applicando tutti i
metodi astronomici conosciuti, attività questa che li
tenne impegnati per i tre mesi successivi.
Mentre il canonico era affaccendato nelle sue misure,
una nave da guerra inglese si presentò, minacciosamente, davanti al porto dell‘isola. La piccola nave che, per
ripartire, aspettava all‘àncora la conclusione del lavoro
degli astronomi, fu subito catturata. Pingré sventolò
con rabbia sotto il naso del rozzo comandante nemico
un salvacondotto rilasciatogli dall‘ammiragliato inglese
con il quale si intimava a tutte le navi commerciali e
militari di Sua Maestà di rispettare il lavoro
dell‘astronomo e di assisterlo in caso di necessità. Tutto
fu inutile: la nave, dichiarata preda di guerra, fu trasferita a Pondicherry, e Pingré fu abbandonato sull‘isola
insieme ai suoi uomini. L‘arrivo di una salvifica nave
francese gli permise di riprendere la bramata via di Pa-
rigi, dove giunse il 24 maggio dopo 18 mesi e sette giorni
di assenza.
L‘altro francese in navigazione sull‘Oceano Indiano, con
il compito di osservare il transito, Guillaume-JosephHyacinthe-Jean-Baptiste le Gentil de la Galaisière, era
nato nel 1725 in una famiglia della piccola nobiltà di provincia, a vent‘anni si era trasferito a Parigi dove seguì le
lezioni di Delisle e ricevette l‘invito di Jacques Cassini a
trasferirsi presso l‘Observatoire per esercitarsi nelle osservazioni astronomiche. Nel 1760, a 35 anni, accettò
senza indugio l‘offerta di recarsi a Pondicherry in India
per osservare il passaggio di Venere. Giunto all‘Isle de
France il 10 luglio 1760, apprese che in India la guerra
contro gli inglesi era combattuta senza esclusione di colpi da entrambe le parti e che non sarebbe stato facile approdarci. Dopo molti tentennamenti, si imbarcò su di
una nave che, dopo uno scalo all‘isola di Bourbon, avrebbe tentato di arrivare a Pondicherry. Ma, sbarcato sulla
costa del Malabar, apprese che la colonia francese era
stata conquistata dagli inglesi. La nave dovette quindi
ritornare, di gran fretta, al porto di partenza. Il giorno
del transito, Legentil era ancora in mare. In quelle ore,
calcolò di trovarsi a 5° 45‘ di latitudine sud e circa 87° 15‘
di longitudine Est da Parigi e, come ci ricorda un suo
biografo, ―egli ebbe la triste opportunità, non di osservare, ma di scorgere, il passaggio di Venere sul Sole‖. Ripresosi a fatica dalla cocente delusione, Le Gentil decise
caparbiamente di rimanere nei mari del sud fino al successivo transito del 1769.
A Città del Capo, invece, Mason e Dixon fecero una delle
più accurate osservazioni del fenomeno.
Fig. 19. Le rovine di
Pondicherry, dove si
sarebbe dovuto recare
Legentil.
R. Calanca, Transiti
Thomas Pynchon, il grande scrittore americano che ha
romanzato le loro avventure (Mason & Dixon, 1999),
imitando con ironia l‘aulico stile del tempo, così descrive i due astronomi al lavoro: ―il Sole s‘è levato tra una
densa foschia, infilandosi subito in una nube scura, Mason e Dixon riporteranno in seguito nelle Philosophical
Transactions. L‘ora esatta è 0h 12m. Ventitré minuti dopo hanno la prima veduta di Venere. Ognuno giace con
l‘Occhio incollato al Muso di un identico Riflettore Gregoriano di due piedi e mezzo costruito da Mr Short, con
Diaframmi oscuranti di Mr Bird. Appena ravvisato la
prima volta il Pianeta, Dixon si muta come un Peccatore convertito: Oh! Iddio nella sua Gloria!‖.
All‘isola di St. Helena la sorte non fu benigna con Nevil
Maskelyne (1732-1811) che, a causa delle pessime condizioni meteorologiche poté osservare il transito per
soli dieci minuti. Ben scarso risultato a fronte di una
disagevole traversata oceanica di tremila miglia!
Numerose osservazioni parziali furono eseguite anche
in Europa. A Parigi, presso il Cabinet de Physique alla
Muette, gli astronomi Jean-Paul Grandjean de Fouchy
(1707 -1788) e Claude -Simon Passement (1702-1769)
dichiararono: «osservammo intorno a Venere una specie di anello più luminoso del resto del Sole»,
un‘osservazione che ricorda quella di Chappe in Siberia.
Essi videro il disco di Venere allungarsi e dare origine al
misterioso fenomeno della black drop, croce e delizia
degli astronomi che seguirono i transiti del SetteOttocento.
Josephe-Jerome de Lalande (1732-1807), fig. 20, una
ASTRONOMIA NOVA
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Fig. 21. Riflettore cassegrain del costruttore Dollond, munito di Heliometro che consentiva di misurare la separazione angolare tra il centro del Sole e quello di Venere,
semplicemente agendo sulle viti micrometriche poste nella
parte frontale dello strumento.
delle principali figure scientifiche coinvolte nei due
transiti di quegli anni, fece la sua osservazione dal palazzo del Luxembourg, in pieno centro parigino. Egli
disponeva di un eliometro composto da due vetri di 18
piedi di fuoco (fig. 21), con il quale eseguì numerose
misure di distanza tra i bordi del Sole e di Venere. Durante il contatto interno anch‘egli vide la black drop,
che così descrive: ―l‘aria era calma, il Sole ben definito,
allorché vidi come un punto nero che si distaccava da
Venere per congiungersi al bordo del Sole. Attesi ancora qualche momento per avere una sicura conferma;
ma 4 secondi più tardi, i due dischi [di Venere e del
Sole] erano ormai a contatto‖.
Al Royal Observatory di Greenwich, l‟astronomo reale
Nathaniel Bliss (1700 – 1764), fig. 22, ed il suo assistente Charles Green utilizzarono un telescopio riflettore di Short (fig. 23) e un rifrattore a lente semplice,
dotato di un micrometro di Graham. All‘alba il cielo si
presentò nuvoloso, ciò che fu di ostacolo al lavoro dei
Fig. 20. Ritratto di Josephe-Jerome de Lalande, uno dei maggiori
astronomi francesi della seconda metà del Settecento. Durante la
rivoluzione francese fu anche direttore dell‟Observatoire parigino.
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R. Calanca, Transiti
dalle 6h poté iniziare le osservazioni. Raccolse alcune
misure di posizione di Venere rispetto al bordo solare,
ma non segnalò la presenza della black drop.
Infine, a Bologna, Eustachio Zanotti, dell‘Istituto delle
Scienze, osservò il transito insieme ad alcuni collaboratori e colleghi, tra i quali spiccava il padre Paolo Frisi,
grande fisico e matematico. Le osservazioni bolognesi
furono aspramente criticate da Pingré per la loro presunta imprecisione.
Fig. 22. Ritratto dell‟astronomo reale Nathaniel Bliss
(1700 – 1764).
due astronomi, che riuscirono comunque a rilevare il
tempo dell‘emersione di Venere e a prendere qualche
misura del diametro del pianeta e del Sole.
Notevole l‘osservazione di Samuel Dunn (?-1794), dal
suo osservatorio privato nel quartiere londinese di
Chelsea, eseguita con due telescopi newtoniani, fabbricati da Dollond, di 15 cm d‘apertura e 1,8 metri di focale
a 110 e 220 ingrandimenti. Dunn osservò la black drop
(fig. 24), che attribuì ad un effetto dell‟atmosfera di Venere, la cui presenza rese incerta anche la determinazione del momento esatto del contatto interno. Originale il suo metodo per esercitarsi nell‘osservazione del
transito: egli più volte cercò di determinare i momenti
dei contatti dei satelliti galileiani sul disco di Giove.
In Italia, il transito fu seguito con attenzione dagli astronomi di Roma, Firenze e Bologna.
A Roma, troviamo Giovanni Battista Audiffredi, un padre domenicano bibliotecario alla Casanatense che aveva un piccolo osservatorio nel convento di Santa Maria
sopra Minerva. In quelle prime ore del mattino del 6
giugno, Audiffredi osservò il Sole immerso in una densa
foschia con un cannocchiale di 19 palmi romani. Il dissolversi della foschia coincise con l‘inizio delle osservazioni del fenomeno e delle sue prime misure micrometriche di distanza tra il pianeta e il bordo solare.
A Firenze, il padre Leonardo Ximenes, direttore
dell‘osservatorio di San Giovanni Evangelista, seguì il
transito con un telescopio newtoniano di 4 piedi parigini di fuoco munito di un buon micrometro. Alle prime
luci dell‘alba il cielo era coperto e solamente a partire
Il calcolo della parallasse solare dalle osservazioni del transito di Venere del 1761
Le osservazioni del passaggio di Venere fornirono una
grossa mole di dati che furono esaminati e commentati
da astronomi di diverse nazioni.
Rilevante il contributo di Pingré che, in più occasioni,
negli anni successivi, le esaminò e le discusse. Da convinto sostenitore del metodo di Halley, non mancò però
di mettere in evidenza il fatto che le località scelte per le
spedizioni erano state «troppo sfavorevolmente situate,
perché si potesse ricavarne delle conseguenze assolutamente decisive». La sua analisi dei dati indicava che la
parallasse solare era compresa nell‘intervallo 9,5‖’11‖.
L‘inglese James Short (1710-1768), notissimo costruttore di telescopi, si era invece avvicinato molto di più al
valore vero della parallasse, 8,6‖, anche se il modo arbitrario, con il quale aveva ottenuto questo risultato fu
aspramente contestato da Pingré. Per Lalande la parallasse, con il metodo di Halley, doveva essere prossima a
9,5”, lo stesso valore trovato un secolo prima da Gio-
Fig. 23. Un riflettore con specchio metallico del costruttore scozzese James Short, con il quale furono
osservati i transiti settecenteschi.
R. Calanca, Transiti
Fig. 24. Disegno della black drop osservata da Samuel
Dunn durante il transito del 1761.
vanni Domenico Cassini.
Questo giocare su differenze di pochi secondi d‘arco
non era una semplice fisima di astronomi pedanti. La
teoria gravitazionale di Newton mostrava, in modo inequivocabile, che piccole variazioni della parallasse solare modificavano in modo consistente non solo le distanze planetarie, ma anche le dimensioni, le masse e le
densità di ogni singolo pianeta.
Lalande lo aveva lucidamente descritto già nel 1767:
―una delle più importanti informazioni, che la scoperta
dell‘attrazione [gravitazionale di Newton] ha procurato
agli astronomi, riguarda la densità interna di tutti i pianeti. Noi sappiamo, per esempio, che la densità del Sole
e di Giove sono uguali, mentre Saturno, che è più poroso [!] e più leggero, ha una densità assai minore. La
Terra, al contrario, è più densa del Sole. Questi calcoli
[…] ci fanno conoscere le masse e le forze di tutti i pianeti. Ma la conoscenza delle masse e delle forze è fondata, alla fine, sulla parallasse del Sole, in altre parole,
dipende dalla distanza dei pianeti dal Sole. Si sa per
esempio, che la Terra ha settantamila volte meno materia e forza [d‘attrazione] del Sole, ma questo è vero supponendo, come oggi si crede, una parallasse solare di
10”. Se diminuissimo questo valore solamente di 2”,
diminuirebbe della metà anche la massa della Terra.
Perciò, a quali errori siamo esposti, quando cerchiamo
di calcolare le perturbazioni dei pianeti e le loro attrazioni reciproche senza un metodo, sufficientemente
esatto, per trovare la vera distanza del Sole, come quello fornito dal passaggio di Venere?‖. Il fenomeno che
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sollevò i maggiori interrogativi fu la misteriosa black
drop o, come la chiamavano i francesi, la goutte noire.
Thomas Pynchon, da noi più volte citato, la descrive
poeticamente come ―una Goccia d‘Inchiostro lì lì per
cadere dalla Penna di uno Scrivano svagato‖.
Osservata durante il contatto interno da numerosi astronomi, venne descritta come un legamento che univa
i bordi di Venere e del Sole. La sua forma era apparsa a
volte come una protuberanza o un‘escrescenza, altre
volte come un‘appendice del disco di Venere. Maskelyne accenna, anche se con scarsa convinzione, ad alcune deboli congetture per tentare una spiegazione della
black drop: l‟effetto osservato, potrebbe derivare da
un‘atmosfera intorno a Venere, da imperfezioni dei telescopi o da condizioni atmosferiche sfavorevoli.
L‘ipotesi di un‘atmosfera venusiana fu sostenuta con
forza dallo scienziato russo Mikhail Vasilievich Lomonosov (1711-1765), che aveva seguito il transito da Pietroburgo con un cannocchiale di 4,5 piedi, e che così
concludeva: ―dopo queste osservazioni il signor Consigliere Lomonosov [qui parla in terza persona] dedusse
che il pianeta Venere era circondato da un cerchio di
nebbia notevole, che era, se non più grande, tanto grande quanto la nostra atmosfera terrestre‖.
(FINE PRIMA PARTE, IL SEGUITO NEL NUMERO DI
GIUGNO)
Rodolfo Calanca è direttore editoriale di ASTRONOMIA
NOVA,
https://docs.google.com/file/
d/0BxRVI4UFuL2kY3pTd29PczNSbS16bUhWQTNUTDVuZ
w/edit
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C. Guaita, Paradiso astronomi
VIAGGIO NEL PARADISO DEGLI ASTRONOMI
Cesare Guaita
Sulle Ande cilene, in pieno deserto di Atacama, sono stati collocati i massimi Osservatori astronomici di questa generazione, grazie alla presenza di un cielo stellato unico al mondo. Visitarli direttamente è un‘esperienza entusiasmante, che vale
assolutamente la pena di raccontare in ogni dettaglio.
Il Cile settentrionale, nella regione del deserto di Atacama, è
il paradiso indiscusso degli astronomi di tutto il mondo.
Di fronte all‘inquinamento luminoso dei Paesi industria-
lizzati e all‘instabilità climatica alimentata dal riscaldamento globale, il sogno degli studiosi del cielo è quello di
poter disporre di un sito buio e perennemente secco e sereno, situato ad alta quota, che assicuri una grande trasparenza atmosferica. Questo paradiso astronomico esiste
veramente: si tratta del deserto di Atacama, un altopiano
delle Ande cilene dove non piove praticamente mai. Proprio in questa regione, gli USA e l‘Europa hanno deciso di
insediare gran parte dei massimi Osservatori astronomici
del pianeta. La qualità del cielo è sicuramente imbattibile
a livello mondiale: per questa ragione il deserto di Atacama ha vinto la sfida (rispetto ad altri due siti ‗concorrenti‘
come La Palma e il Mauna Kea) per l‘insediamento dei
supertelescopi del prossimo decennio (l‘ E-ELT da 40 metri dell‘ ESO, il GMT di las Campanas ed altri).
Sono tre i grandi templi dell‘astronomia mondiale in Cile:
due (Cerro Tololo-Cerro Pachon e La Silla-Las Campanas)
sono collocati non lontano dalla città di La Serena (500 km
a Nord di Santiago, nella regione di Coquimbo), il terzo
(Cerro Paranal-VLT) si trova 1200 km più a Nord e fa capo
alla città di Antofagasta. In più (e questo costituisce per i
turisti-astrofili un‘enorme sorpresa) esistono degli osservatori ad esclusivo utilizzo turistico: uno è quello di Cerro Ma-
yu a 27 km da La Serena, un altro è quello di Mamalluca a
60 km da La Serena.
Cerro Tololo e Cerro Pachon si trovano a circa 80 km ad Est
da La Serena, nella regione di Vicuna. Vi si accede attraverso
la valle del fiume Elqui, il cui flusso è stato regolato da una
grande diga ad una quarantina di km da La Serena. Dopo il
lago artificiale creato dalla diga, il paesaggio diviene sempre
più fantastico, desertico e selvaggio. Indescrivibile è l‘ emozione di intravedere, già da molto lontano, le cupole del gigantesco Gemini Sud da 8 metri di Cerro Pachon (fig. 1 e, in
fig. 2, lo specchio del grande telescopio) e dello storico telescopio da 4 metri di Cerro Tololo. Il primo appuntamento
Fig. 1: la grande cupola che ospita il telescopio Gemini Sud
C. Guaita, Paradiso astronomi
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Fig. 2. Specchio e montatura di Gemini sud.
Nell‟immagine in basso,
l‟Autore.
con il Gemini Sud in cima al Cerro Pachon (2738 m di altezza a 30°14‘16,8‖S e 70°44‘14‘‘Ovest) lascia esterrefatti. Due
cupole dominano la scena: quella classica del SOAR
(Southern Astrophysical Research Telescope) e quella assolutamente innovativa del Gemini Sud (così chiamato perché
esiste alle Hawaii uno strumento identico denominato Gemini Nord). Entrambi sono gestiti dall‘ AURA (Association
of Universities for Research in Astronomy) che coinvolge
USA, UK, Canada, Australia, Argentina, Brasile e Cile.
Il SOAR venne inaugurato il 17 Aprile 2004: lo specchio da
4,1 metri di vetro ULE (Corning Inc.) ha uno spessore di soli
10 cm e pesa „solo‟ 3,2 ton: la sua forma viene continuamente modificata da 120 attuatori per neutralizzarne sia la
deformazione dovuta al peso, sia, in parte anche la (pur modesta!) turbolenza atmosferica. Il SOAR dispone di due fuochi Nasmyth che possono accogliere ognuno tre strumenti
(per un peso totale di ben 3000 kg). Può lavorare dal blu al
vicino infrarosso ed è stato concepito in modo che il cambio
degli strumenti possa avvenire in pochi minuti.
Costato solo 13,5 milioni di dollari è stato costruito come
complemento (campo piccolo) al ‗vecchio‘ riflettore Blanco
da 4 metri del vicino Cerro Tololo (campo grande). L‘ entrata
nella cupola altazimutale da 36 metri del Gemini Sud
(inaugurata alla fine del 2000) è impressionante. Nel tardo
pomeriggio, quando viene sollevata la protezione, è possibile
vedere in tutto il suo splendore lo specchio principale da 8
metri: si tratta di un monolite da 24 tonnellate il cui spessore è di 20 cm. Siccome lo strumento è stato pensato soprattutto per osservazioni infrarosse, lo strato riflettente non è di
Alluminio ma di Argento: in questo modo lo strumento è in
grado di riflettere oltre il 98% della radiazione infrarossa
che riceve (in sostanza si comporta a questa lunghezza
d‘onda come uno specchio alluminato di 11 metri!). Dal Dicembre 2002 è in funzione lo strumento GMOS (Gemini
Multi Object Spectrograph) che può fornire centinaia di
spettri contemporaneamente nella regione 0,36-1,1 micron,
su un campo di 5,5x5,5‖. Specificatamente dedicato alla regione del NIR (vicino infrarosso) è invece Phoenix, uno
spettrografo che lavora nella regione 1-5 micron.
Dal febbraio 2007 è inoltre in funzione NICI (Near Infrared
Coronographic Imager) concepito per ottenere immagini
dirette di pianeti extrasolari di taglia gioviana: le sue prestazioni sembrano davvero eccezionali se paragonate a quelle di
altri strumenti analoghi (Space Telescope compreso). Sem-
Fig. 3. Cupole dell‘Osservatorio di Cerro Tololo.
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Fig. 4. L‟Autore con alle spalle la cupola che ospita il telescopio Blanco di 4 metri di
diametro.
pre nell‘ottica della ricerca di pianeti extrasolari è ormai
quasi pronto il PRVS (Precision Radial Velocity Spectrometer) con cui si cercherà di individuare (dalle oscillazioni
Doppler della velocità radiale della stella centrale) la presenza perturbatrice di pianeti di taglia terrestre. Dall‘ inizio del
2011 il Gemini Sud (primo al mondo!) è stato dotato di un
rivoluzionario sistema di Ottica Adattiva (denominato MCAO) che neutralizza la turbolenza in un campo di ben 2‘, grazie all‘utilizzo di una guida di ben 5 raggi laser che comunicano le informazioni al sottile specchio secondario deformabile da 1 metro.
A 10 km in linea d‘aria da Cerro Pachon (e visibilissimo
dalla cupola del Gemini Sud) c‘è l‘altro Osservatorio americano di Cerro Tololo (altezza di 2200 m) che, nonostante sia
stato creato da ormai più di 30 anni (1974) conserva ancora
intatta la sua grande suggestione, per la numerosità e ricchezza della strumentazione presente e funzionante.
Ovviamente è la grande cupola del telescopio M. Victor
Blanco da 4 metri, fig. 4, a destare la maggior impressione
(si tratta del gemello meridionale di uno strumento analogo
situato a Kitt Peak, in Arizona). L ‗imponente montatura è
di stampo tradizionale, avendo una disposizione equatoriale
a forcella, assolutamente simile a quella di Monte Palomar.
Essendo aperto a F/2,7 (con un secondario di 1,65 m ed un
foro centrale per il fuoco Cassegrain di 1,32 m) il Blanco è
caratterizzato da un campo utile davvero enorme (ben 50‘ ) e
come tale viene sfruttato.
Questo grazie alla camera MOSAIC II (in attività sul fuoco
PRIMARIO dal luglio ‘99), sensibile da 0,35 a 1 micron e
costituita da un complesso di 8 CCD. Dall‘ inizio del 2012
Mosaic II è stata sostituita con la cosiddetta DECam (Dark
Energy Camera) che in 5 anni dovrà studiare 300 milioni di
galassie ad alto redshift attorno al polo Sud celeste, alla ricerca della misteriosa materia/energia oscura. Gran parte
degli altri telescopi di Tololo
hanno dimensioni
‗modeste‘ (1,5 metri , 1,3 m, lo Yale da 1 m, il Curtis Schmidt
da 0,9 m, uno 0,9 m tradizionale, due da 0,4 m) e costituiscono il cosiddetto SMARTS (Small and Moderate Aperture
Research Telescope Systems): vengono utilizzati per scopi
di routine inadatti al telescopio maggiore e, perfino, da astrofili. Per esempio il telescopio da 1,3 m (assieme ad uno
analogo sul Monte Hopkins in Arizona per il cielo boreale) è
stato utilizzato nel 2001-02 per il cosiddetto programma 2
MASS (2 Micron All Sky Survey), una grande mappatura a 2
micron di tutto il cielo australe.
Completa la imponente strumentazione di Cerro Tololo un
complesso di 6 piccoli telescopi robotici identici da 0,5 m, a
funzionamento remoto. Sono gli strumenti del progetto
PROMPT, utilizzati dall‘ Università della Nord Carolina per
seguire la post-luminescenza di GRB ma anche per scopi
didattici (sempre in remoto, quindi con costi assai contenuti). Appena dietro il PROMPT è ormai molto avanzata la
Fig. 5. Cupola del telescopio ESO di 3,6 metri a La Silla.
C. Guaita, Paradiso astronomi
costruzione di un altro complesso di telescopi: si tratta di 3
telescopi da 1m e 6 telescopi da 0,4 m del progetto LCOGT
che una società privata americana affitterà in remoto ad astrofili di tutto il mondo. A Tololo, quindi, stanno nascendo
telescopi come… funghi. Ma questo NON deve stupire: siamo nel 21° secolo e quel cielo di cristallo sta diventando una
meta (in remoto) molto ambita per gli astrofili disgustati
dalle nefandezze dell‘inquinamento luminoso del resto del
pianeta.
La Silla e Las Campanas si trovano circa 200 km a Nord di
La Serena, ormai sul bordo del deserto di Atacama. Per arrivarci si deve percorrere la comoda strada Panamericana (la 5
Norte) finchè sulla destra compare una deviazione sterrata
con indicazione ESO. Dopo una decina di km si arriva ad
un bivio con una segnaletica inequivocabile: a destra La Silla, a sinistra Las Campanas. Come dire che, volendo, in un‘
unica giornata (prima mattina e poi pomeriggio) si possono
visitare entrambi questi due siti davvero leggendari.
Quando si comincia a salire vero la Silla la strada (una decina di km), divenuta scorrevole e perfettamente asfaltata, si
immerge in un paesaggio di incredibile bellezza. Bastano
pochi tornanti per intravedere le cupole bianche del mitico
osservatorio europeo dell‘ ESO, inaugurato ufficialmente nel
Maggio 1969: si trovano su una cima a forma di sella e questo giustifica in pieno il nome di La Silla (altezza 2400m, 29°
15‟S e 70°44‟ Ovest). Attualmente l‟ESO mantiene operativi
tre strumenti principali: il 3,6 metri (dal 1976), fig. 5, il 2,2
m (dal 1984) e l‘ NTT da 3,5 m (dal 1989), fig. 6. In più c‘è
tutta una serie di strumenti minori gestiti da singole nazioni:
tra questi il Danese da 1,5m, l‘ Eulero svizzero da 1,2 m
(ricerca pianeti extrasolari), il nostro REM da 60 cm (ricerca
veloce di controparti di GRB), il SEST sub-millimetrico (70365 GHz) svedese da 15 m (prototipo delle radio-antenne del
costruendo mega-radiotelescopio ALMA a 5600 m nel deser-
Fig. 6. In primo piano il telescopio svizzero Eulero di
1,2 metri Sullo sfondo il telescopio NTT di 3,5 metri a
La Silla.
ASTRONOMIA NOVA
n. 13, maggio 2012
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to di Atacama). L‘imponente cupola del telescopio da 3,6
m (montatura blu a forcella equatoriale classica, f/8
Cassegrain e f/35 Coudè) si trova sulla punta più alta di
La Silla e si raggiunge con una ripida e spettacolare
strada a chiocciola. Attualmente l‘ unico strumento
utilizzato sul 3.6 è HARPS (High Accuracy Radial Velocity Planet Search), un nuovo formidabile spettrometro per la ricerca di pianeti extrasolari, collocato nella
camera Coudè e raggiunto da 38 metri di fibre ottiche
uscenti dal fuoco Cassegrain. Nel recente passato al
fuoco Cassegrain del 3.6 avevano lavorato TIMMI-2
(Thermal Infrared Multimode Instrument) nell‟ infrarosso a 3-35 micron (realizzò nel luglio ‘94 importanti
immagini dell‘impatto con Giove del frammento H della
cometa SL-9), CES (Coudè Eccelle Spectrometer) e soprattutto EFOSC-2 (Faint Obiect Spectrograph and Camera), attualmente ‗ceduto‘ all‘ NTT.
Fig. 7. Una suggestiva vista della cresta di Las Campanas.
Fig. 8. I telescopi Magellani da 6,5 metri sono ospitati in
queste due avveniristiche cupole.
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C. Guaita, Paradiso astronomi
L‘ NTT (New Technology Telescope) si trova su una rampa
proprio di fronte alla collina conica del 3,6 metri. A vederlo
da vicino sembra la fotocopia del nostro TNG (Telescopio
Nazionale Galileo) di La Palma. Il sottile (24 cm) specchio
da 3,5 m (f/2,2) dell‘ NTT è stato il primo dotato di ottica
ATTIVA (neutralizzazione della deformazione gravimetrica
dello specchio mediante 75 attuatori posteriori e 24 laterali).
Per quanto riguarda il telescopio equatoriale da 2,2 m ( f/8),
esso è equipaggiato con la spettacolare camera a grande
campo WFI (Wide Field Imager da 0,35 a 1 micron), con lo
spettrometro ad alta risoluzione FEROS (Fiber Extended
Range Optical Spectrometer) e con la camera GROND
(Gamma-Ray Burst Optical/Near-Infrared Detector), per
catturare la post-luminescenza di GRB (lampi di raggi gamma).
Guardando da La Silla verso Nord al tramonto, si intravedono, a 15 km di distanza in linea d‘aria, le sagome luminescenti (per il riflesso degli ultimi raggi solari) dei principali
telescopi di Las Campanas (altezza 2282m, 29°02‘S e 70°
42‟48” Ovest). Per arrivarci si devono percorrere i 20 km di
strada sterrata (ma ben curata) che portano ad una cresta di
un paio di km allineata in direzione Nord-Sud: su questa
cresta ci sono delle montagnole, ognuna delle quali è occupata da un telescopio, gestito dalla Carnegie Institution di
Whashington, un ente a finanziamento privato nato oltre
100 anni fa. Il sito è fantastico sia dal punto di vista astronomico (360 notti serene all‘ anno e assenza TOTALE di
inquinamento luminoso!) che geologico ( l‘attività di subduzione che ha prodotto le Ande è visibilissima ovunque, sotto
forma di stratificazioni a mineralogia differente, di pesanti
rocce ferrose mescolate a bianchissimi frammenti di caolino:
anzi, sono proprio certe rocce dure e compatte che tendono
a risuonare in lontananza, quando colpite dai fortissimi
venti che spirano in quota, ad aver fatto assegnare il nome
di Las Campanas a questo posto da favola, fig. 7). A Las Campanas la Carnegie Institution possiede tre strumenti principali: la coppia dei modernissimi Magellani da 6,5 m, il ‗vecchio‘
Swope da 1m (1971), il ‗vecchio‘ Du Pont da 2,5 m (1976), fig.
8. Nell‟ ultimo decennio si sono aggiunti alcuni telescopi
minori: il telescopio ‗polacco‘ da 1,3 m adibito ad importanti
lavori di microlensing e molti piccoli strumenti a funzionamento remoto.
La mole dei due Magellani (+ un laboratorio intermedio
con la camera di alluminatura e lo spazio per un futuro accoppiamento fisico dei due strumenti) è davvero imponente.
Quello si sinistra, dedicato a W. Baade, venne inaugurato il 15
Settembre 2000, quello di destra, dedicato al filantropo Londan Clay venne inaugurato il 7 Settembre 2002. Sono identici
in tutto (specchio in vetro boro-silicatico da 6,5 m regolato
da attuatori, F/11 al fuoco Nasmyth ed F/15 al fuoco Cassegrain, specchio secondario ultrasottile da 85 cm per ottica
adattiva, montatura altazimutale). Nei fuochi Nasmyth entrambi dispongono di camere multi-spettrali con preferenza
all‘infrarosso per il Baade (camera IMACS, spettrometro
FourStar) e all‘ UV per il Clay (spettrografi MagE, MIKE e,
ultimamente PFS, Planet Finder Spettrograph). Dal 2011 sul
Clay viene utilizzato anche il fuoco Cassegrain con due strumenti fenomenali: la MEGAcam (un mosaico di 36 CCD con
campo globale di 24‘) e lo spettrografo MMIRS, che lavora tra
1 e 2,5 micron su un campo di 7‟.
Ma le sorprese del meraviglioso sito di Las Campanas non
finiscono qui. Sull‘unica montagnola, fig. 9, non ancora utilizzata (il Cerro Las Campanas di 2551 m, situato all‘estremo
sud) sta infatti sorgendo quello che è un po‘ l‘orgoglio prossimo-futuro di Las Campanas. Denominato GMT (ossia Giant
Magellan Telescope, fig. 10) sarà costituito da sette specchi
parabolici monolitici da 8,4 metri (i primi tre sono è già pronti) che faranno contemporaneamente convergere la loro luce
Fig. 9. In primo piano, il villaggio dei residenti, dietro il
Cerro Las Campanas dove sorgerà il GMT, Giant Magellan
Telescope.
C. Guaita, Paradiso astronomi
Fig. 10. Schema ottico del GMT, Giant Magellan Telescope.
in un unico fuoco, grazie a sette specchi secondari ultrassottili ‗adattivati‘ da 106 cm. Il tutto contenuto in una mastodontica montatura altazimutale alta 60 metri. Secondo i
programmi, GMT sarà pronto per il 2016. Intanto, il 23 Marzo 2012, le prime cariche esplosive hanno dato inizio alla
spianatura del sito.
La strada per arrivare all‘ Osservatorio di Cerro Paranal
( altezza 2635 m, Lat. 24°37‟38” S, Long. 70°24‟17” Ovest) è
lunga. Da Santiago si vola in aereo ad Antofagasta ( circa 1,5
h di volo). Dall‘aeroporto (circa 30 km a Nord della città), in
auto, si riattraversa Antofagasta (brutta città di mare dominata da un grande porto industriale) e si prende la Ruta 5
verso Santiago. Dopo una quarantina di km si piega in
direzione Paposo-Taltal e ci si ritrova ad attraversare, per
150 km, un terreno desertico incredibilmente simile alla
superficie di Marte. Improvvisamente, a 57 km da Paloma,
si intravede, sulla destra, l‘agognato cartello dell‘ ESO indicante l‘ Osservatorio di Cerro Paranal. Dopo pochissimi km
di salita (la strada asfaltata è comodissima) si entra nella
‗terza dimensione‘: in fondo, su una cima di montagna completamente spianata, si intravedono le sagome di quattro
grandi cupole identiche e di alcune cupole minori: si tratta
dei 4 telescopi altazimutali giganti da 8,2 metri , denominati
VLT, di 4 telescopi ausiliari semoventi da 1,8 m, del telescopio italiano VST da 2,6 m e, molto più distaccato verso
destra, del nuovissimo telescopio VISTA, fig. 11.
Il più grande tempio astronomico del nostro pianeta e di
ogni tempo, è operativo ormai da una dozzina di anni (VLT-1
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vide la prima luce nel maggio 1998), avendo in questo periodo prodotto qualcosa come 3000 pubblicazioni scientifiche.
I quattro giganti hanno dei nomi d‘ arte ricavati dalla locale
lingua mapuchi : VLT1= Antu (Sole), VLT2=Kueyen (Luna),
VLT3=Melipan (Croce del Sud), VLT4=Yepun (Venere). Fu
una ragazza 17enne di Calama ( Jorssy Albanez) a suggerire
i nomi da assegnare ai quattro telescopi da 8,2 m: come
premio ricevette un telescopio amatoriale che l‘ ESO mise in
palio per l‘occasione.
La grande spianata del Paranal è impressionante. Sembra di
essere in un altro mondo: troneggiano le quattro cupole identiche dei VLT, ma destano immediato interesse anche i
quattro ‗piccoli‘ telescopi ausiliari da 1,8 metri (f/1,5) in grado di muoversi in toto (ossia compresa la cupola ultracompatta) su lunghi binari, per acquisire 30 configurazioni differenti. In questo modo è possibile creare un sistema interferometrico con uno o più VLT: il risultato massimo è simile
a quello di un unico telescopio le cui dimensioni corrispondano alla massima distanza tra i telescopi coinvolti. Accoppiando in maniera interferometria solo due VLT, si ottiene
la stessa risoluzione di un telescopio da 16 metri. Però, nel
Marzo 2012, per la prima volta, grazie allo strumento PIONIER, è stato possibile far interferire tra loro tutte e quattro
i VLT raggiungendo una risoluzione equivalente a quella di
un telescopio di 200 metri.
Visibilissima, all‘inizio della spianata, è la ‗piccola‘ cupola
del cosiddetto VST (VLT Survey Telescope), uno specchio
altazimutale da 2,6 metri (regolato da 84 attuatori inferiori
e 24 laterali) dotato di un campo visuale di ben 1°.
Proposto alla metà degli anni 90 all‘ESO dall‘Osservatorio di
Capodimonte per fare mappe a grande campo entro cui
rintracciare oggetti specifici su cui puntare i VLT, ha avuto
grosse traversie che ne hanno procrastinato fino a metà del
2009 l‟inizio dell‟attività ufficiale.
Fig. 11. Il VST ed il telescopio VISTA.
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ASTRONOMIA NOVA
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C. Guaita, Paradiso astronomi
Fig. 12. L‟Osservatorio del
Paranal nel suo complesso.
Guardando a valle dalla parte del VST si vede, a 1,5 km
di distanza, un‘altra cupola di grosse dimensioni: si
tratta di VISTA (Visible and Infrared Survey Telescope
for Astronomy), uno strumento di ultimissima generazione dotato di uno specchio di 4,1 m molto incurvato
(campo di ben 1,65° !), progettato per fare tutta una
serie di mappature infrarosse nella regione 0,8-2,5 micron. Si tratta un po‘ della controparte infrarossa a
grande campo di VST.
Torniamo però agli strumenti principali del Cerro Paranal, ossia ai VLT, dotati di uno specchio primario da
8,2 m da 20 tonnellate e di un secondario iperbolico
da 1,1 m di Berilio, situato a 25 metri di distanza. La
configurazione ottica è del tipo Richey-Chretien con un
fuoco primario a f/1,8 e quattro fuochi secondari (un
fuoco Cassegrain a f/13,4, due fuochi Nasmyth laterali a
f/15 ed un fuoco Coudè a f/47,5). Le montature altazimutali da 440 tonnellate e le cupole alte 30 metri sono
state in gran parte prodotte da un consorzio italiano
guidato dall‘ Ansaldo. Essendo tutti identici, quello
che ne fa la differenza relativa sono le strumentazioni
diverse applicate a ciascuno di essi. VLT-1 (Antu), quello più a Est, che è stato anche il primo a diventare operativo, reca nel fuoco Cassegrain, la sagoma gialla del
formidabile spettrografo FORS 2 (FOcal Reducer and
low dispersion Spectrograph) capace di ottenere spettri
multipli dal visibile al vicino UV ( 330-1100 nm) di galassie lontane e di quasars. Uno dei fuochi Nasmyth è
occupato dalla sagoma blu dello strumento CRIRES
(CRyogenic InfraRed Echelle Spectrograph), che lavora
nell‘infrarosso vicino (0,92-5,2 micron) e viene utilizza-
to per la ricerca di pianeti extrasolari e per ricerche nel
Sistema solare (per esempio ha scoperto metano su Plutone nel Marzo 2009 e su Tritone nell‘ Aprile 2010). Il
secondo fuoco Nasmyth è invece libero e riservato a
strumenti di particolare interesse portati da ospiti esterni. Il fuoco Cassegrain di VLT-2 (Kueyen) è occupato da
X-Shooter, uno spettrometro di nuova generazione a
larga banda ( 0,3-2,5 micron) utilizzato per lo studio di
fenomeni rari o particolari come i GRB (lampi di raggi
gamma). I due fuochi Nasmyth sono occupati da FLAMES (Fibre Large Area Multi-Element Spectrograph) un
multi spettrometro nel visibile (0,37-0,95 micron) utilizzato per galassie lontanissime e per galassie nane vicine,
e da UVES (Ultraviolet and Visual Echelle Spectrograph) uno spettrometro UV-Vis (0,3-0,5 e 0,42-111 micron) utilizzato per lo studio della composizione chimica
Fig. 13. Cupole dell‟Osservatorio del Paranal.
C. Guaita, Paradiso astronomi
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Fig. 14. Cupole del Paranal al
tramonto.
di stelle galattiche ed extragalattiche. Il fuoco Cassegrain di VLT-3 (Melipal) è occupato da VISIR (VLT
spectrometer and imager for the mid-infrared) uno
spettrometro infrarosso (8-24 micron) utilizzato per
studiare dischi circumstellari e stelle in formazione.
I due fuochi Nasmith sono occupati da VIMOS (VIsible
Multi-Object Spectrograph) uno spettrografo visibile
(0,38-1 micron) a grande campo per studiare fino a
1000 galassie lontane contemporaneamente, e da ISAAC (Infrared Spectrometer And Array Camera) in
grado di ottenere immagini e spettri nel vicino infrarosso (1-5 micron) di oggetti deboli del Sistema Solare
e di galassie lontane. Particolarmente interessante è infine il VLT-4 (Yepun) per il fatto che l‘ ESO ha deciso di inserirvi tutti i più moderni sistemi di ottiche adattive. In
sostanza viene creata una (o più!) ‗stella artificiale‘ di m~10
facendo riflettere un raggio laser a 589 nm contro lo strato
di atomi di Sodio che i meteoriti depositano a 90 Km di
altezza: questa ‗stella artificiale‘ sente la turbolenza dello
strato atmosferico dove sta puntando il telescopio e la comunica in tempo reale ad un sistema di specchi sottili ultraflessibili che provvede ad eliminarla elettronicamente. Questi specchi ultradefomabili sono inseriti DIRETTAMENTE
negli strumenti principali di VLT-4. Nel fuoco Cassegrain
c‘è SINFONI (Spectrograph for INtegral Field Observations in the Near Infrared), adibito allo studio del centro
galattico e di nuclei di galassie attive. Nei due fuochi Nasmith è collocata la camera CONICA (NAOS-CONICA, NAOS meaning Nasmyth Adaptive Optics System and CONICA
meaning COude Near Infrared CAmera) forse la più prolifica
dell‘intero Paranal.
Fig. 15. Montatura del VLT
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C. Guaita, Paradiso astronomi
Fig. 16. Struttura ultraa-compatta che accoglie un telescopio della serie AT.
Essa è in grado di produrre immagini e spettri infrarossi
( 0,45-2,5 micron). Nell‟altro fuoco Nasmith c‟è HAWK-I
(High Acuity Wide field K-band Imager), in grado di prendere immagini infrarosse (0,85-2,5 micron) di molte galassie
lontane grazie ad un campo relativamente grande. Di recente l‘accoppiata ‗super-adattiva‘ CONICA-SINFONI ha permesso di misurare i movimenti di singole stelle nei pressi del
centro galattico e di scoprirvi la presenza di un buco nero di
4 milioni di masse solari, che verrà „acceso‟ a metà del 2013
da una nube di gas in vertiginosa caduta verso di esso.
Entro un paio d‘anni VLT-4 sarà reso INTRINSECAMENTE adattivo mediante la sostituzione dell‘attuale secondario
fisso con un disco sottile di Zerodur (realizzato per l‘ INAF
dalla ditta ADS di Lecco), reso deformabile in tempo reale da
ben 1170 attuatori. Sarà la fase terminale di un programma
decennale di sistemi ADATTIVI indispensabile per la gestione di telescopi sempre più grandi in costruzione per il prossimo futuro.
Un futuro che, però, già si percepisce guardando verso Sud,
dalla spianata di Paranal. Vi si intravede la sagoma inconfondibile di una montagna a panettone situata ad una ventina di km di distanza: si tratta del Cerro Armazones che
l‘ESO ha appena scelto (26 Aprile 2010) come sede per il
futuro E-ELT (European Extremely Large Telescope ). Con i
suoi 42 metri, sarà il massimo telescopio mai costruito: sarà
pronto per il 2018 e comporterà una spianata di 300 metri
della cima dell‘ Armazones. La scelta di questo sito è fondamentalmente di tipo pratico: sfrutterà infatti tutte le
infrastrutture ivi già presenti e verrà pilotato direttamente
dalla sala di comando del Paranal.
Le sorprese, però, non sono ancora finite. Scendendo dalla
cima si intravede, 300 metri più in basso, una stranissima
costruzione a cupola semisferica. Si tratta della Residencia,
uno stabile di 108 camere dove vengono sistemati gli astronomi che salgono al Paranal per lavorare. In pieno deserto ci
si potrebbe aspettare un luogo asettico ed austero. Nulla di
tutto questo: appena si entra nella cupola semisferica ci si
trova immersi in un incredibile giardino tropicale, ricco di
vegetazione e dotato perfino di una piscina dove rilassarsi e
riposare. Il lavoro degli astronomi è bello, ma trovarsi un
giardino tropicale a 2600 metri, in pieno deserto di Atacama,
lo rende ancora più fantastico.
C. Guaita, Paradiso astronomi
ASTRONOMIA NOVA
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Fig. 17. In condizioni ottimali, le misure interferometriche di Cerro Paranal possono raggiungere la risoluzione di un telescopio di 200 metri di diametro.
Questo è l‘ultimo volume di Cesare Guaita, scritto in collaborazione con la figlia Lucia. Lo trovate nelle librerie,
oppure lo potete richiedere all‘editore:
http://www.astronomianews.it/default.aspx
Cesare Guaita è nato e risiede a Tradate (Va). Si è laureato in
Chimica nel 1973 e si è specializzato in Chimica organica e Chimica macromolecolare. Per oltre 25 anni ha lavorato come ricercatore presso i laboratori di una grande azienda. E‘ esperto di
Cosmochimica e Planetologia ed ha pubblicato, su riviste divulgative e professionali, centinaia di articoli su questi temi, con
particolare riferimento alle connessioni chimico-geologiche di
una moltitudine di fenomeni planetari ed astrofisici.
Ha pubblicato i seguenti volumi:
‘La ricerca della vita nel Sistema Solare’, pp512, Sirio Ed.
„I giganti con gli anelli‟ Gruppo B ed.
„I pianeti e la vita, ultime scoperte‟ Gruppo B Ed.
In Marzo 2012 è prevista l‘uscita del volume
„Cile: Paradiso dell‟ Astronomia‟, Gruppo B Ed. (una storia di
tutti i massimi osservatori che USA ed ESA hanno realizzato nel
deserto di Atacama, visitati direttamente dall‟autore e presso i
quali la figlia Lucia, astrofisica, ha lungamente lavorato
nell‟ambito della sua tesi di dottorato).
Inoltre collabora a giornali, riviste e reti televisive pubbliche e
private, con cui ha realizzato decine di programmi astronomici.
E‘ Presidente e fondatore (nel 1974) del G.A.T., Gruppo Astronomico Tradatese, un‘ Associazione ben nota in campo nazionale
per la sua opera di divulgazione ad alto livello in tutti i campi
della ricerca astronomica. Partecipa a ricerche di tipo professionale specialmente nel campo delle comete e della Bioastronomia,
con risultati spesso presentati a congressi e pubblicati su riviste
specialistiche del settore.
E‘ specializzato nella didattica e divulgazione dell‘ Astronomia.
In questo ambito, da oltre 20 anni è conferenziere del Planetario
di Milano. E‘ membro di molte Società Astronomiche italiane e
straniere.
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L. Franco, P. Bacci, 2012 EG5
L’ASTEROIDE NEA 2012 EG5
Lorenzo Franco e Paolo Bacci
L‘Osservatorio astronomico di San Marcello Pistoiese
L'asteroide NEA (Near Earth Asteroid, http://
it.wikipedia.org/wiki/Oggetto_near-Earth ) 2012 EG5 è
stato scoperto il 13 marzo 2012 dal telescopio PanSTARRS 1, Haleakala nelle Hawaii. Si tratta di un asteroide di tipo Apollo (http://it.wikipedia.org/wiki/
Asteroide_Apollo), con un diametro inferiore ai 100
metri, che al momento della scoperta si trovava a circa
36 volte la distanza Terra-Luna. L'asteroide è stato subito classificato come un potenziale impattore virtuale
dal JPL Sentry e dal NEODyS di Pisa. Le osservazioni
astrometriche pervenute al Minor Planet Center nei
giorni successivi hanno permesso di determinare con
maggiore precisione l'orbita, scongiurando così ogni
immediata possibilità di impatto. L'asteroide sarebbe
comunque passato molto vicino alla Terra il 1° Aprile,
ad una distanza di poco superiore alla metà della distanza Terra-Luna (Fig. 1); infatti il 4 aprile era stata
programmata la sua osservazione radar attraverso il
radiotelescopio di Goldstone, ma purtroppo senza alcun
risultato. L'asteroide è stato osservato con il telescopio
dell'osservatorio di San Marcello Pistoiese - MPC 104
da Paolo Bacci, Luciano Tesi, Giancarlo Fagioli,
Simone Vergari, nei giorni 21, 27 e 30 marzo. In particolare in quest'ultima data sono state effettuate alcune
sessioni osservative finalizzate alla fotometria per cercare di determinare il periodo di rotazione dell'oggetto.
Nel corso della sessione osservativa del 30 Marzo sono
state acquisite un totale di 479 immagini non filtrate da
15 secondi di esposizione su un intervallo temporale di
2.5 ore. Tutte le immagini sono state riprese con il telescopio principale da 0.6 m ed una camera CCD Apogee
Alta 1024 x 1024 con un campo di vista di 35x35 minuti
d'arco ed un campionamento di 2 secondi d'arco per
pixel. Nonostante l'ampio campo inquadrato è stato necessario spostare più volte l'inquadratura per seguire
l'oggetto che si muoveva velocemente (Fig. 2).
Le immagini calibrate (con dark e flat) sono state analizzate nei giorni successivi da Lorenzo Franco con MPO
Canopus (Fig. 3). L'analisi dei dati fotometrici, nonostante il basso segnale rumore dovuto al breve tempo di
esposizione ed alla bassa luminosità dell'asteroide, hanno permesso comunque di determinare con buona precisione un periodo di rotazione molto veloce di P = 0.2924
± 0.0002 h (poco più di 17 minuti).
L. Franco, P. Bacci, 2012 EG5
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Fig. 1.
Il Period Spectrum (Fig. 4) mostra il
risultato della ricerca del periodo,
dove il valore più probabile corrisponde a quello con l'errore RMS
più basso.
Il grafico in Fig. 5 mostra la curva di
luce completa ottenuta dalle tre sessioni osservative messe in fase.
L'ampiezza della variazione luminosa è risultata di 0.42 ± 0.01 mag.
Il risultato originale ottenuto da
questo lavoro è stato sottomesso per
la pubblicazione sul prossimo numero del Minor Planet Bulletin.
Fig. 2. La traccia lasciata dall'asteroide durante
il suo veloce movimento
Fig. 3. La sessione
fotometrica con MPO
Canopus. In primo
piano il tool Comp Star
Selector che permette
di scegliere le stelle di
confronto, selezionandole tra quelle con colore simile a quello
Solare.
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L. Franco, P. Bacci, 2012 EG5
Fig. 4. Il grafico mostra il risultato della ricerca del periodo.
Il valore più probabile è quello con l'errore RMS più basso.
Fig. 5. Curva di fase che mostra due massimi e due minimi di profondità diversa. L'ampiezza della curva di luce
A = 0.42 ± 0.01 magnitudini.
Una raffigurazione artistica dell‘asteroide 2012
EG5.
Paolo Bacci, nato nel 1968, astrofilo sin dall'adolescenza,
quando si associò al GAMP Gruppo Astrofili Montagna Pistoiese, e si occupava dell'osservazione visuale di meteore e stelle
variabili. Successivamente è entrato a far parte dell'AAAV
Associazione Astrofili Alta Valdera, dove si occupa di asteroidi
e comete. Osserva da: Capannoli (PI), Osservatorio ―G. Galilei‖ Centro Astronomico Libbiano Peccioli (PI), San Marcello
Pistoiese (PT). Il suo sito www. backman.altervista.org
Lorenzo Franco, nato a Monte S. Angelo (FG), è appassionato di Astronomia da sempre, tanto da conseguire la Laurea in Astronomia presso l'Università di Bologna. Vive e lavora a Roma nel settore dell' Information Tecnology di una
Banca. Dal 2005 si dedica nel tempo libero all'osservazione
di asteroidi e comete ed alla ricerca scientifica amatoriale,
collabora con la Sezione Stelle Variabili dell'UAI.
L. Franco, Fotometria
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FOTOMETRIA DI ASTEROIDI E STELLE VARIABILI
Un’invito all’osservazione
Lorenzo Franco
Asteroide 1269 Rollandia
1269 Rollandia è un asteroide di fascia principale, scoperto il 20 settembre 1930 da G. Neujmin a Simeis in
Crimea (Ucraina), con un diametro di circa 100 km.
Le sue principali caratteristiche sono consultabili sul
sito JPL Small-Body Database Browser all'indirizzo:
http://ssd.jpl.nasa.gov/sbdb.cgi?sstr=rollandia&orb=1
L'asteroide è stato osservato da A. Ferrero, L. Franco e
R. Zambelli in sei diverse sessioni osservative che hanno permesso di ottenere una prima stima del periodo di
rotazione P = 16.40 +/- 0.01h con un' ampiezza della
curva di luce A = 0.05 mag. Sarebbe necessaria qualche
altra sessione osservativa per poter confermare con
maggiore certezza il periodo di rotazione.
Vi invito pertanto ad osservare 1269
Rollandia!
La tecnica osservativa è ampiamente descritta nel mio
articolo: http://www.eanweb.com/2012/fotometriadelle-stelle-variabili-come-si-realizza-una-curva-diluce/
Stelle Variabili
A maggio sono osservabili le seguenti stelle variabili
pulsanti, che rientrano anche nel programma osservativo della sezione stelle variabili SSV-UAI-GRAV.
RS Boo (fig. 1)
Variabile pulsante di magnitudine: 9.69 - 10.84 V con
un periodo di
0.3773 d (circa 9.06 h).
La cartina di riferimento e la magnitudine delle stelle di
c o n f r o n t o
s i
t r o v a n o
s u :
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L. Franco, Fotometria
ST Boo (fig. 4)
variabile pulsante di magnitudine 10.49 - 11.41 V con un
periodo
di
0.6223
d
(circa
14.9
h).
La cartina di riferimento e la magnitudine delle stelle di
c o n f r o n t o
s i
t r o v a n o
s u :
http://stellevariabili.uai.it/images/6/6e/
S T _ B o o _ E _ c h a r t . p n g
http://stellevariabili.uai.it/images/9/94/
ST_Boo_field_photometry.pdf
Fig. 1. Curva di luce di RS Boo, in ascissa la fase. Il grafico
è tratto da: A. Nagy, “Studies on amplitude modulated RR
Lyrae Stars. II. RS Bootes”, http://adsabs.harvard.edu/
abs/1998A%26A...339..440N
http://stellevariabili.uai.it/images/2/29/
R S _ B o o _ E _ c h a r t . p n g
http://stellevariabili.uai.it/images/e/e5/
RS_Boo_field_photometry.pdf
SW Boo (fig. 2)
variabile pulsante di magnitudine 11.76 - 12.88 V con
un periodo di 0.5135 d (circa 12.3 h).
La cartina di riferimento e la magnitudine delle stelle di
c o n f r o n t o
s i
t r o v a n o
s u :
http://stellevariabili.uai.it/images/f/fe/
S W _ B o o _ E _ c h a r t . p n g
http://stellevariabili.uai.it/images/1/1c/
S W _ B o o _ f i e l d _ p h o t o m e t r y . p d f
TV Boo (fig. 3)
variabile pulsante di magnitudine 10.71 - 11.30 V con un
periodo
di
0.3126
d
(circa
7.5
h).
La cartina di riferimento e la magnitudine delle stelle di
c o n f r o n t o
s i
t r o v a n o
s u :
http://stellevariabili.uai.it/images/8/80/
T V _ B o o _ E _ c h a r t . p n g
http://stellevariabili.uai.it/images/b/b3/
T V _ B o o _ f i e l d _ p h o t o m e t r y . p d f
Fig. 2. Curva di luce di SW
Boo, ottenuta da A.D. Bonov a
Budapest nel 1955, http://
adsabs.harvard.edu/
abs/1955CoKon..38....1B
Fig. 3. Osservazione di un periodo principale di TV Boo, dal
sito: http://www.univie.ac.at/tops/blazhko/Winter.html
Fig. 4. Curva di luce di ST Boo, tratta da: http://
adsabs.harvard.edu/abs/1993A%26AS..101..195P
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PROPOSTA OSSERVATIVA STELLE DOPPIE DI MAGGIO
Antonio Adigrat e Giuseppe Micello
Di seguito proponiamo alcune stelle doppie, per il mese
di Maggio, da misurare con differenti setup e strumenti.
La stella di calibrazione che presentiamo è STF (Struve)
1764; una doppia abbastanza luminosa e ampia; facile
per tarare i nostri micrometri. Inoltre le sue misure,
sono aggiornate al 2011.
Per il primo setup, presentiamo le seguenti coppie: STF
1740, STF1775AB, HJ 171AB e STF 1852.
Tali doppie possono essere misurate con strumenti del
diametro di 4-5 pollici (per esempio rifrattori, Maksutov-Casegrain o Schmidt-Cassegrain da 100-127mm
con lunghezza focale da F/7 a F/12).
Grazie all‘ampia separazione queste coppie possono
essere anche misurate (con eccellenti risultati) con un
oculare micrometrico tipo ―Micro Guide‖ (un utile tutorial per misurare le stelle doppie con questo tipo di oculare si puo‘ trovare al link:
http://doublebsd.altervista.org/alterpages/files/
MisurarelestelledoppieconloculareMicro-Guide.pdf).
Le coppie del secondo setup sono: STF1777, STF
1658AB, STF 1690 e STF 1757AB. Sono coppie più
strette delle precedenti e devono essere osservate e misurate con strumenti di maggior diametro e quindi con
risoluzione maggiore. Gli strumenti che consigliamo
sono Schmidt-Casserain da 8 o 9,25 pollici, o maggiori.
Consigliamo inoltre una robusta montatura equatoriale
tipo HEQ5 o, meglio ancora, una EQ6.
Molto utile, ma non indispensabile, un sistema GO TO
che consenta di trovare rapidamente le doppie proposte
(sebbene esse siano abbastanza luminose e facilmente
individuabili anche mediante la comune tecnica dello
star hopping).
In figura è indicata la posizione delle stelle proposte
(figura realizzata tramite il software planetario gratuito
―carte du ciel‖, scaricabile al link http://www.ap-i.net/
skychart/it/start), sono anche indicati alcuni riferimenti facilmente identificabili (Arturo e Saturno, la posizione di Saturno è da intendersi per la fine di Aprile 2012,
essendo ovviamente variabile nel tempo).
Stella di calibrazione
STF 1764AB
Costellazione: Vergine
WDS 13377+0223
Sep: 15,8‖ (2011)
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PA: 31° (2011); magnitudini: 6,7 - 8,5
A.R. (J2000.0): 13 37 44 ; Decl.: +02 22 56
Stelle da misurare
Setup 1:
Camera CCD
Software Reduc
In alternativa, oculare micrometrico tipo ―Micro Guide‖
Rifrattori, Maksutov-Casegrain o Schmidt-Cassegrain da 10-15
centimetri di diametro
Stella doppia: STF 1740
Costellazione: Vergine
WDS: 13237+0243
Sep: 26,2‖ (2005); PA: 75° (2005); Magnitudini: 7,1 - 7,3
A.R. (J2000.0): 13 23 39.16 ; Decl.: +02 43 24
Stella doppia: STF1775AB
Costellazione: Vergine
WDS: 13435-0416
Sep: 27,7‖ (2002); PA: 335° (2002); magnitudini: 7,1 - 10
A.R. (J2000.0): 13 43 30 ; Decl.: -04 16 28
Stella doppia: HJ 171AB (Tau Virginis)
Costellazione: Vergine
WDS: 14016+0133
Sep: 80,0‖ (2009); PA: 291° (2009); magnitudini: 4,2 - 9,4
A.R. (J2000.0): 14 01 39; Decl.: +01 32 40
Stella doppia: STF 1852
Costellazione: Vergine
WDS: 14300-0415
Sep: 25,1‖ (1999); PA: 267° (1999); magn.: 7,1 - 10,6
A.R. (J2000.0): 14 30 00; Decl.: -04 14 50
Setup 2:
Camera CCD
Barlox 2x
Flip-mirror (se si dispone)
Software Reduc
Schmidt-Cassegrain da 20—25 cm di diametro
Stella doppia: STF 1777 (84 Virginis)
Costellazione: Vergine
ASTRONOMIA NOVA
n. 13, maggio 2012
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WDS: 13431+0332
Sep: 2,7‖ (2008); PA: 227° (2008); magn.: 5,5 - 7,3
A.R. (J2000.0): 13 43 04; Decl.: +03 32 16
Stella doppia: STF 1658AB
Costellazione: Vergine
WDS: 12351+0727
Sep: 2,7‖ (1998); PA: 17° (1998); magnitudini: 8 - 10,5
A.R. (J2000.0): 12 35 078; Decl.: +07 26 35
Stella doppia: STF 1690
Costellazione: Vergine
WDS: 12563-0452
Sep: 5,9‖ (2005); PA: 149° (2005); magn.: 7,1 - 8,9
A.R. (J2000.0): 12 56 15 ; Decl.: -04 51 50
Stella doppia: STF 1757AB
Costellazione: Vergine
WDS: 13343-0019
Sep: 1,7‖ (2010); PA: 135° (2010); magn.: 7,8 - 8,7
A.R. (J2000.0): 13 34 16 ; Decl.: -00 18 50
Giuseppe Micello (a sinistra), [email protected], è nato in provincia di Lecce il 19 maggio del 1978; fin dall‟età di 14 anni si
occupa di astronomia e da circa 3 anni si interessa di stelle doppie e astrometria dei sistemi binari e multipli.
Collabora con l‘UAI nella sezione stelle doppie ed ha pubblicato alcuni articoli (di cui uno come co-autore con Lorenzo Preti)
sul Journal of Double Star Observations (http://www.jdso.org/). Altri articolo sono in attesa di pubblicazione sia sul JDSO
che sul Webb Society (Double Star Section Circulars). Il Washington Double Star Catalog, a gennaio 2011, ha ufficializzato
una nuova doppia, individuata da Micello, con il nome di GMC 1AE.
Antonio Adigrat, [email protected] , è nato a Teana (PZ) il 12.02.1974 ai piedi del Pollino, sotto uno dei cieli piu'
bui d'Italia. Ho fatto studi scientifici laurendosi, nel 1999 in Ingegneria Chimica all'università di Salerno. In seguito, sempre
alla stessa università ha proseguito gli studi in Astrofisica nella facoltà di Fisica. Attualmente (e dal 2000) lavoro in R&D nel
campo delle fibre ottiche. Appassionato osservatore soprattutto deep sky si è dedicato all'osservazione, misura e studio delle
stelle doppie da circa 7 anni. Ha curato la traduzione in italiano del tutorial e del software REDUC di Florent Losse.
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n. 13, maggio 2012
C. Sigismondi, Diametro solare
IL CALCOLO DEL DIAMETRO SOLARE CON IL TRANSITO DI VENERE
Costantino Sigismondi*
[email protected]
Fig. 1. Due le fasi della uscita di Venere nel
2004 (Immagini Hα di
Anthony Ayomamitis,
Atene, dettagli). I profili circolari di Venere
e Sun sono fittati nella
parte non distorta
dell'immagine.
Introduzione
Il ruolo dei transiti di Venere e Mercurio è fondamentale per conoscere la storia passata del diametro solare.
Attraverso il parametro W, la derivata logaritmica del
raggio
rispetto
alla
luminosità,
i valori passati della luminosità solare possono essere
recuperati.
Il fenomeno della goccia nera influisce sulla valutazione
degli istanti di contatto interno ed esterno tra il disco
planetario e il lembo solare (si veda l‘articolo di Domenico Licchelli in questo numero della rivista, pag. 4).
Con questi istanti osservati confrontati con le effemeridi si ricava il valore del diametro solare.
La goccia nera e gli effetti del seeing si possono superare fittando, con due archi di cerchio sia per Venere che
per il Sole, la parte non distorta dell'immagine.
Le correzioni delle effemeridi dovute alla rifrazione atmosferica sono anche da prendere in considerazione.
Il prossimo transito di Venere consentirà una precisione del diametro del Sole migliore di 0.01 secondi d'arco,
disponendo di buone immagini della fase di ingresso e
di uscita, prese ogni secondo. Gli osservatori solari Cinesi sono nelle condizioni ottimali per ottenere dati
utili per la misurazione del diametro solare con il transito di Venere del 5/6 giugno 2012 con una precisione
senza precedenti, e con la calibrazione assoluta data
* Istituto Galileo Ferraris, Roma; Sapienza Università di
Roma e ICRA, Università di Nizza-Sophia Antipolis, IRSOL e
GPA-Observatorio Nacional Rio de Janeiro.
dalle effemeridi.
1. Il metodo delle eclissi
Irwin I. Shapiro nel 1980 [1] ha utilizzato un database
dei transiti di Mercurio per recuperare la storia passata
del diametro solare. [2] Ulteriori studi sembrano confermare la costanza del diametro all'interno delle barre
di errore.
Le misurazioni effettuate con strumenti diversi, in perfette condizioni di osservazione, come nel caso di Gambart e Bessel nel 1832 ridanno tempi di durata del transito diversi, e anche diverso diametro di Mercurio e, di
conseguenza, un diametro diverso del Sole. [3, 4]
La determinazione del diametro planetario è soggetta
alla Point Spread Function del telescopio, la sua funzione di risposta ad una sorgente puntiforme posta
all'infinito, combinata in convoluzione con la funzione
di oscuramento del lembo solare, [5] e, nel caso di Venere, c'è anche l'atmosfera a complicare le cose, con
l'effetto aureola. [8]
Oggi gli istanti di tangenza tra lembo solare e disco del
pianeta possono essere recuperati dalle foto, lontano
dalle condizioni per cui opera il fenomeno della goccia
nera. [6, 7]
Il tempo in cui la corda è zero, quando la goccia nera è
massima, è possibile estrapolarlo in UTC usando fotografie cronodatate fatte ogni secondo attorno agli stadi
intermedi di ingresso e di uscita.
Dopo le correzioni per la rifrazione atmosferica terre-
C. Sigismondi, Diametro solare
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n. 13, maggio 2012
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stre le effemeridi possono essere utilizzate per recuperare il diametro solare avendo osservato l'ingresso e
l'uscita.
Le possibilità offerte dal prossimo transito di Venere
del 5/6 giugno 2012 e quello di Mercurio del 9 maggio
2016 saranno da sfruttarsi per misurare il diametro
solare con estrema precisione.
Gli studi sull'aureola di Venere [8] se fatti con immagini ad alta risoluzione, sincronizzate con UTC, possono
essere utili per fare misurazioni del diametro solare,
una volta che la posizione del le osservazioni sono conosciute con le coordinate GPS.
un campionamento di una foto per secondo (numero di
dati 60 volte più grande; precisione = 0.38 arcsec/√60
= 0.05 arcsec), e un ulteriore miglioramento verrà dalle
correzioni per la rifrazione atmosferica e dalla determinazione del centro del pianeta, invece della lunghezza
della corda.
Il livello finale di precisione atteso è inferiore a 0.01
secondi d'arco ed è l'obiettivo di questa misura: il più
preciso ottenibile con metodi terrestre.
La Cina è in condizioni ottimali per osservare il transito
di Venere del 2012, e per raccogliere immagini utili per
fornire un'accurata misura del diametro solare reale.
Conclusioni
Si auspica che le osservazioni ben fatte constino di una
immagine al secondo nel corso dell'ingresso / uscita del
transito di Venere del 2012. Studiamo la posizione del
centro del pianeta rispetto al punto di flesso della funzione dell'oscuramento al bordo del sole.
Usando un fit circolare da adattare alla parte non distorta dell'immagine evitiamo l'effetto goccia nera. Siamo in grado di utilizzare due istanti di riferimento di
confronto con effemeridi: • il tempo quando il centro di
Venere attraversa il lembo solare. • il momento in cui la
corda disegnato da Venere e il lembo solare diventa pari
a zero. [7] Il primo metodo può essere applicato anche
in presenza di aureola esterna [8], prodotta dalla rifrazione nell'atmosfera superiore di Venere, e questo metodo è indipendente dallo spessore dell'atmosfera, perché utilizza il centro del pianeta.
Allo stesso modo la determinazione del centro del pianeta è meno influenzata dalla diminuzione nero fenomeno rispetto al secondo metodo della lunghezza della
corda.
Ringraziamenti
Grazie a Anthony Ayomamitis per le immagini della
Transito di Venere del 2004. Nonostante la campagna
mondiale del 2004 per l‘osservazione di questo fenomeno, nessuno (né astrofili né astronomi professionisti) è
stata ancora pubblicata una sequenza crono-datata di
immagini utili per misurare il diametro solare con il
transito di Venere. Grazie a Patrick Rocher (IMCCE)
per una proficua discussione sulle effemeridi.
Diametro solare con il transito di Venere del
2012
Il metodo della corda è stato testato con 50 immagini al
minuto, 25 in ingresso e 25 in uscita, nella riga Hα, ottenute da A. Ayomamitis con un rifrattore apocromatico di 16 cm, nei pressi di Atene, durante il transito di
Venere del 2004: l'accuratezza senza correzione di rifrazione è stato 2,6 s presso l'uscita e 8.1 s in ingresso,
con il Sole basso e vicino all'orizzonte, la precisione finale del raggio solare era di 0.38 secondi d'arco.
Un miglioramento della precisione finale è previsto con
Bibliografia
[1] I. I. Shapiro, Science, 208, 51 (1980).
[2] M. L. Sveshnikov, Astron. Lett.., 28, 115 (2002).
[3] J. Gambart, Astronomische Nachrichten, 10, 257
(1832).
[4] FW Bessel, Astronomische Nachrichten, 10, 185
(1832).
[5] G. Schneider, JM Pasachoff e L. Golub, Icarus, 168,
249 (2004).
[6] C. Sigismondi, Tesi di Dottorato dell'Università di
Nizza-Sophia Antipolis e Sapienza Università di Roma,
http://arxiv.org/abs/1112.5878 (2011).
[7] C. Sigismondi e P. Oliva, Astronomia UAI 3, 14
(2006).
[8] Tanga P., et al., Http://arxiv.org/abs/1112.3136
(2011).
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ASTRONOMIA NOVA
n. 13, maggio 2012
C. Sigismondi, Diametro solare
ALCUNI CHIARIMENTI SULLA TERMINOLOGIA UTILIZZATA NELL’ARTICOLO: CALCOLO
DEL DIAMETRO SOLARE DURANTE I TRANSITI DI VENERE
Che cos'è la derivata logaritmica del raggio solare rispetto alla luminosità?
Per derivata logaritmica intendiamo il rapporto tra gli
incrementi percentuali di due grandezze.
Scrivere dlogR/dlogL è equivalente a scrivere ΔR/R,
incremento percentuale del Raggio, diviso ΔL/L che è il
corrispondente incremento percentuale della Luminosità. Sapendo che, in prima approssimazione, L=4πR2,
R=(L/4π)^(1/2) e dLogR/dLog L = 0.5
quindi si legge che se l'emissività è costante ed il raggio
aumenta del 1%, la luminosità del Sole aumenta del 2%.
Di conseguenza, se questo non avviene, vuol dire che
l'emissività non è costante.
Il diametro del Sole differisce molto alle diverse
lunghezze d’onda della luce?
Secondo alcuni autori, le variazioni del raggio solare nel
dominio del visibile sono inferiori a 0.07‖. Ben diversa
la questione alla lunghezza d‘onda della riga Halfa, che
si genera molto sopra la fotosfera, qui abbiamo a che
fare con differenze di 0.7‖ in più.
Nella figura sotto sono riassunti i risultati ottenuti con
il telescopio ubicato a terra, SODISM2, che lavora a
diverse lunghezze d'onda dall‘UV all‘IR vicino, il diametro solare presenterebbe delle variazioni assai più ampie. La domanda è: chi ha ragione?
Come si può ottenere il diametro solare durante un transito di Venere?
La superficie del Sole non è quella di una sfera ideale.
Essa possiede monti e valli in continuo movimento, con
distanze picco-picco anche di 100-200 Km. Inoltre la
turbolenza atmosferica genera altrettanti irregolarità di
ampiezza pari a 1-2‖, corrispondenti sul Sole a 7001400 Km. La vita media di questi avvallamenti è di circa
1/100 di secondo per quelli generati dalla turbolenza
atmosferica, ed alcuni minuti quelli presenti sul Sole (si
muovono alla velocità del suono di quella atmosfera).
Per queste ragioni una serie di foto permettono di individuare un profilo medio del Sole rispetto al quale il
disco di Venere si proietta nelle fasi di ingresso ed egresso.
L'algoritmo cercherà di individuare il progresso di un
cerchio piccolo (Venere) rispetto ad uno a curvatura
molto maggiore (il Sole), stabilendo gli istanti di ingresso ed egresso ed i corrispondenti errori statistici. Da
questi poi si ricava la durata del transito, proporzionale
al diametro effettivo del Sole in quel momento.
Come e con che strumenti osserveremo il transito di Venere, per poi ricavare il diametro solare?
Occorrono video o sequenze di foto con cadenza regolare, fatte durante l'ingresso e l'egresso di Venere. Consiglierei cadenze ogni 2-5 secondi. Curare la qualità delle
foto al massimo (messa a fuoco) poiché solo foto di
grande qualità permettono una analisi fruttuosa.
Va bene sia la luce bianca che quella Halfa, se si usano
alt r i
f ilt ri
in d i ca re
qu al i.
Indicare sempre anche la densità del filtro solare utiliz-
Il diametro solare a diverse lunghezze d‘onda, misurato dalle immagini del
telescopio SODISM2
ASTRONOMIA NOVA
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Il telescopio SODISM2 installato al Plateu de Calern, in
Francia.
A destra, immagine del Sole ottenuta da
SODISM2 a 535 nm.
zato, ed eventualmente il suo profilo spettrale.
Quanto è importante la corretta sincronizzazione degli orologi?
Per il transito di Venere come per tutti gli altri fenomeni di occultazioni asteroidali e lunari la sincronizzazione degli orologi con il tempo universale coordinato
UTC al centesimo di secondo è molto importante.
Poiché del transito di Venere ci servirà la durata complessiva, per gli osservatori europei che vedranno solo il
terzo/quarto contatto sarà necessario sincronizzare accuratamente gli orologi di riferimento del video, altrimenti questi dati non potranno essere combinati con
quelli di altri osservatori che abbiano visto il primo/
secondo
contatto
dall'Asia
o
Oceania.
Chi vede sia l'ingresso che l'egresso potrebbe usare
anche solo l'orologio interno della video camera, ma
deve poter misurare il drift che può arrivare ad 1 decimo di secondo per ora, e che dipende dalla temperatura di esercizio della videocamera.
Si potrebbe sincronizzare la videocamera filmando
prima e dopo il transito di Venere un display di un
orologio di riferimento sincronizzato via radio.
Costantino Sigismondi è Professore di Fisica all'Istituto
Galileo Ferraris di Roma (via Fonteiana 111), insegna anche
nelle Università di Roma: Sapienza, Unicampus e APRA.
Le sue attività di ricerca: Misure in alta precisione del diametro solare; vita, pensiero, scienza e insegnamento di
Gerberto di Aurillac.
Corsi di insegnamento universitario: Laboratorio di Astrofisica - Solar Physics (2002-oggi), La Terra nel sistema
solare (2005-2009), Storia dell'astronomia (2002-oggi).
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ASTRONOMIA NOVA
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Recensione
Lucia e Cesare Guaita
Cile: il paradiso dell’astronomia
Recensione di Rodolfo Calanca
I viaggi a sfondo scientifico e culturale hanno fatto parte,
per secoli, del bagaglio di conoscenze che ogni personaggio
di un certo livello sociale riteneva indispensabile possedere. Famosi sono stati i viaggi in Italia che, per generazioni
di giovani d'oltralpe di ricca famiglia borghese o aristocratica, segnavano il passaggio dalla giovinezza alla maturità.
Ma sono noti anche i viaggi di formazione di personaggi
già famosi nella loro epoca. Tra i tanti, qui voglio ricordare il grande poeta tedesco Goethe, che, tra il 1786 ed il
1788, diede del nostro Paese una descrizione accurata e,
salvo qualche eccezione, sostanzialmente positiva.
Ma non solo uomini di lettere si recavano in Italia. Vi furono anche famosi astronomi; uno dei più noti del Settecento fu il francese Joseph-Jérôme Lefrançais de Lalande,
illuminista massone, che percorse l'Italia in lungo e in largo, descrivendo tutto: usi, costumi, architettura, pittura, le
corti aristocratiche ma anche gli Osservatori astronomici
(pochi e assai disorganizzati, e da lui fortemente criticati)
allora esistenti nella Penisola. La sua passione per l'Italia è
testimoniata dall'opera in nove volumi intitolata: "Voyage
en Italie" pubblicata nel 1786. Ma quando l'Italia perse
quasi ogni primato scientifico, la direzione dei viaggi si
invertì. Furono gli italiani, e tra questi molti filosofi naturali ed astronomi, che compirono i loro viaggi d‘istruzione
nei maggiori Paesi europei. In particolare quelli che stavano emergendo, ed egemonizzando, la cultura e la scienza:
la Francia, l'Inghilterra e gli Stati tedeschi. Ci basti citare
qui il viaggio di Barnaba Oriani, astronomo di Brera e
grande amico di Padre Piazzi, che nel 1786 si recò in Inghilterra per acquistare alcuni dei migliori strumenti astronomici allora disponibili, per attrezzare l'Osservatorio
meneghino di Brera, facendo tappa in ogni specola che si
trovasse lungo il suo percorso, compiendo così un autentico pellegrinaggio scientifico!
Se veniamo ai tempi nostri, agli inizi cioè del secondo decennio del XXI° secolo, dov‘è che un astronomo può completare la sua istruzione scientifica ai massimi livelli? Ancora una volta nei Paesi Europei? Negli Stati Uniti continentali, oppure in Asia?
Neppure per sogno: è finita da tempo l‘epoca degli Osservatori ubicati nelle zone temperate e più urbanizzate del
pianeta. Oggi sono sostanzialmente tre i luoghi dove
l‘astronomia sta scrivendo il suo futuro: le isole Hawaii, le
Canarie ma, soprattutto, il Cile.
Ed è sotto il cielo incontaminato dei deserti cileni che dobbiamo compiere il nostro viaggio d‘istruzione, senza però
dimenticare di avere sempre a portata di mano questo bel
libro, ricchissimo di immagini ed esaustivo nei testi, scritto con grande passione e competenza da Laura e Cesare
Guaita, figlia e padre. La prima, astrofisica che sta lavorando con i maggiori telescopi cileni, il secondo un chimico con un amore viscerale per la scienza del cielo. Leggere
questo loro lavoro finalmente colma un vuoto informativo
durato decenni, almeno per quanto riguarda l‘editoria in
lingua italiana. Cerro Tololo, Cerro Pachon, La Silla, Las
Campanas, il Paranal…., sono nomi ormai mitici che, in
questo libro, assumono contorni netti e ben definiti, insieme alla descrizione di telescopi nuovissimi (oppure in fase
di progettazione) che essi ospitano sulle loro sommità.
Il futuro dell‘astronomia si chiama E-ELT (European Extremely Large Telescope), 42 metri di diametro, costituito
da 984 segmenti esagonali larghi 145 centimetri e spessi
soltanto 5 centimetri. E, ad inventare questa tecnologia
ottica, detta a ―tasselli‖, un grande italiano, quasi sconosciuto al di fuori dei confini nazionali, che fu un autentico
maestro per molti astronomi del Bel Paese che si sono formati nella prima metà del Novecento: Guido Horn
d‘Arturo. Egli fu direttore dell‘Osservatorio di Bologna dal
1921 al 1949, e realizzò il primo prototipo di questa configurazione ottica nei lontani anni Trenta. Per questo motivo ci si augura che E-ELT ne possa portare il nome.
Il libro dei Guaita è davvero di piacevolissima lettura: non
può mancare nella biblioteca di un appassionato di astronomia degno di questo nome.
Segnaliamo l‘articolo di Cesare Guaita pagina 44: ―Viaggio
nel paradiso degli astronomi‖ di questo numero di ASTRONOMIA NOVA.
Cile: il paradiso dell’astronomia
di Lucia e Cesare Guaita
Gruppo B Editore/Milano 2012
Prezzo: 38,00 €
ASTRONOMIA NOVA
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Ecco i Video dell‘installazione del telescopio REGINATO di 60 cm all‘Osservatorio di Cervarezza (RE):
http://www.youtube.com/watch?v=n-o6CF6RBqA
http://www.youtube.com/watch?v=5HJd2VJdja0
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ASTRONOMIA NOVA
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ECLISSI DI SOLE IN AUSTRALIA
31 ottobre—18 novembre 2012
UN MERAVIGLIOSO VIAGGIO TURISTICO/ASTRONOMICO!
Vieni anche tu!
Per informazioni: https://docs.google.com/file/
d/0BxRVI4UFuL2kRjAwbWk4WU5TeW1uNS1fZmM3S25kUQ/edit
Tel.: 051 6415106
www.toassociati.com
Organizzato con la collaborazione di Associazione Astrofili Alta Valdera:
Alberto Villa, 340-5915239
ASTRONOMIA NOVA
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"II
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Congresso Nazionale dei Ricercatori Non Professionisti di SNe"
Domenica 27 Maggio a Forli'
Sala comunale del Foro Boario (Piazzale Foro Boario )
Info: Giancarlo Cortini,
Programma dell'incontro:
ore 9.00
: APERTURA / PROGRAMMA
ore 9.15 - 12.15 : Spazio per gli interventi
ore 12.15
: "LA RICERCA AMATORIALE DI SNe IN ITALIA : RISULTATI/
MODALITA' OPERATIVE/RAPPORTI CON I PROFESSIONISTI" (G. Cortini)
ore13.00-15.00
: PAUSA PRANZO
ore 15.00-17.30 : Spazio per gli interventi
ASTRONOMIA NOVA
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SPLENDIDE IMMAGINI DELLA CONGIUNZIONE
VENERE—GIOVE
DI MARCO MENIERO
[email protected]
Titolo: Venere e Giove sui bassorilievi marmorei
Titolo: David che mira Venere e Giove
Ottica: Canon EF 24-70 f/2.8L, con focale a 52 mm,
diaframma f/20 per avere profondità di fuoco
Ottica: Canon EF 24-70 f/2.8L, con focale a 70mm
diaframma f/7.1
Fotocamera:
Fotocamera: Canon Eos 5D MkII a 500Iso
Canon Eos 5D MkII a 800Iso
Tempo esposizione: 13 secondi
Tempo esposizione: 4 secondi
Data:
Data: 16/03/2011
13/03/2011
Sito: Piazza dei Miracoli, Pisa
Commento dell‘autore: sembra che i protagonisti del
bassorilievo guardino gli
astri, i quali, a loro volta,
sembrano
delle bollicine
evaporate dalla coppa.
Sito: Piazza della Signoria, Firenze