Il complotto contro la Francia

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Il complotto contro la Francia
Domenica 17 Novembre 2013 13:31
di Paul Krugman, da Repubblica del 14/11/2013 - Venerdì scorso l’agenzia di rating Standard &
Poor’s ha declassato la Francia. La notizia è arrivata in prima pagina sui giornali e molti articoli
indicano che la Francia è in crisi. Ma i mercati non hanno fatto una piega: gli interessi passivi
francesi, molto vicini al loro minimo storico, non si sono quasi mossi. Ma allora, che cosa sta
succedendo? La risposta è che la decisione di S&P deve essere contestualizzata nell’ambito
della più vasta politica di austerità fiscale. E mi riferisco a quella politica, non a quella
economica.
Perché il complotto contro la Francia – può sembrare che io sia un po’ faceto,
ma in verità c’è molta gente che cerca di screditare quel Paese – è un’evidente dimostrazione
del fatto che in Europa, come in America, i predicozzi fiscali non si preoccupano affatto dei
deficit. Anzi, sfruttano i timori di indebitamento per portare avanti un’agenda ideologica. E la
Francia, che si rifiuta di stare al gioco, è diventata il bersaglio di un’incessante propaganda
negativa.
Lasciate che vi dia un’idea di ciò di cui sto parlando. Un anno fa la rivista The Economist
dichiarò che la Francia era «la bomba a orologeria nel cuore dell’Europa», con problemi che al
confronto avrebbero reso trascurabili quelli di Grecia, Spagna, Portogallo e Italia. Nel gennaio
2013, il direttore generale senior di Cnn Money ha dichiarato «in caduta libera» la Francia,
«nazione che si avvia verso una Bastiglia economica». Sentimenti assai simili a questi sono
reperibili in tutte le newsletter di economia.
Tenuto conto di questo livello del discorso, uno si accosta ai dati riguardanti la Francia
aspettandosi il peggio, per scoprire invece che si tratta sì di un Paese in difficoltà economica –
e quale Paese non si trova in tale condizione? – , ma che in linea generale se la passa bene o
forse addirittura meglio della maggior parte dei suoi vicini, con l’unica notoria grande eccezione
della Germania. Di recente la crescita francese è stata apatica, ma molto superiore, per
esempio, a quella dei Paesi Bassi che hanno tuttora un rating da tripla A. Secondo le stime
standard, una decina di anni fa i lavoratori francesi erano in effetti un po’ più produttivi delle loro
controparti tedesche. E indovinate un po’? Lo sono ancora.
Nel frattempo, le prospettive fiscali della Francia appaiono chiaramente non preoccupanti. Il
deficit di bilancio è sceso bruscamente e di molto dal 2010, e il Fondo monetario internazionale
si aspetta un rapporto debito/Pil più o meno stabile per il prossimo quinquennio.
Che dire della zavorra sul lungo periodo rappresentata da una popolazione sempre più
anziana? In Francia il problema c’è, come del resto c’è in tutte le nazioni benestanti. Ma la
Francia ha un tasso di natalità superiore a quello della maggioranza dei Paesi europei, in parte
grazie ai programmi statali che incoraggiano le nascite e semplificano la vita alle madri
lavoratrici, al punto che le proiezioni demografiche sono di gran lunga migliori rispetto a quelle
dei Paesi vicini, Germania inclusa.
Intanto il sistema sanitario francese, meritevole di attenzione perché assicura prestazioni di alta
qualità a spesa contenute, costituirà nell’immediato futuro un notevole vantaggio fiscale.
Attenendoci alle sole cifre, pertanto, è difficile capire perché la Francia si meriti cotanto biasimo.
Ma allora, ancora una volta, che cosa sta succedendo?
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Il complotto contro la Francia
Domenica 17 Novembre 2013 13:31
Ecco un primo indizio: due mesi fa Olli Rehn, commissario europeo per le questioni economiche
e monetarie – nonché uno dei principali promotori delle rigide politiche di austerità – ha
disapprovato la politica fiscale francese, apparentemente esemplare. Perché? Perché essa si
basava su aumenti fiscali più che su tagli alle spese – e gli aumenti fiscali improvvisi, ha
dichiarato, «annienterebbero la crescita e frenerebbero la creazione di posti di lavoro».
In altre parole, non conta ciò che ho detto in tema di disciplina fiscale: si suppone che voi
dobbiate smantellare le reti di sicurezza.
La spiegazione che S&P ha dato del declassamento del rating della Francia, anche se
formulato meno chiaramente, in pratica afferma esattamente la stessa cosa: la Francia è stata
declassata perché «è improbabile che l’attuale approccio del governo francese alle riforme di
bilancio e alle riforme strutturali del regime tributario, così come ai prodotti, ai servizi e al
mercato del lavoro, migliori sostanzialmente le prospettive a medio termine della Francia». E
quindi, ancora una volta: lasciamo perdere le cifre di bilancio, dove sono i tagli alle tasse e la
deregulation?
Si potrebbe pensare che Rehn e S&P abbiano basato le loro domande su prove circostanziate
che i tagli alla spesa sono di fatto meglio per l’economia degli aumenti delle tasse. Ma così non
è. Anzi, la ricerca del Fmi indica che quando in una recessione si cerca di ridurre il deficit, vale
esattamente il contrario: le fluttuazioni temporanee e repentine delle tasse arrecano molti meno
danni dei tagli alla spesa.
A proposito: quando qualcuno inizia a decantare le meraviglie della “riforma strutturale”,
prendete le sue parole cum grano salis.
Per lo più questa definizione è un’espressione in codice per indicare la deregulation, e le prove
relative alle virtù della deregulation sono decisamente contraddittorie. Come ricorderete,
l’Irlanda fu elogiata per le sue riforme strutturali varate negli anni Novanta e Duemila, e nel 2006
l’attuale cancelliere dello scacchiere britannico, George Osborne, definì quello irlandese un
«fulgido esempio». Ma come è andata a finire?
Forse tutto ciò suonerà familiare alle orecchie dei lettori americani e così è giusto che sia. I
predicozzi fiscali degli Stati Uniti si rivelano, quasi sempre e invariabilmente, maggiormente
interessati a tagliare Medicare e la Social Security che a tagliare realmente i deficit. E adesso i
sostenitori europei dell’austerity si rivelano per lo più in linea con loro. La Francia ha commesso
l’errore imperdonabile di essere fiscalmente responsabile, senza infliggere sofferenze ai poveri
e ai più sventurati. E quindi deve essere punita.
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