Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai... sulle orme di Copernico, Brahe e Keplero relazione d’esame per il corso di Storia delle Idee in Fisica Stefano Camera In Heaven a spirit doth dwell “whose heart strings are a lute”; none sings so wildly well as the angel Isfrafel, and the giddy stars (so legends tell) ceasing their hymns, attend the spell of his voice, all mute. E. A. Poe, Israfel “. . . silezı̈osa luna?/ Sorgi la sera, e vai/ contemplando i deserti; indi ti posi./ Ancor non sei tu paga/ di rı̈andare i sempiterni calli?/ Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga/ di mirar queste valli?” Eccoci, come pastori erranti dell’Asia, a porci sempre e ancora queste domande. La maestosità della volta stellata, il titanico eppur silenzioso moto dei pianeti, il mistero dell’harmonia universalis affascinano l’uomo fin dall’inizio dei secoli. Chiunque, almeno una volta nella vita, osservando in una notte tranquilla lo spettacolo del firmamento, si è chiesto, magari senza neppure rendersene conto, per quale sconosciuta ragione ci troviamo qua a a rimirare una simile opera d’arte, quale sconosciuta musica muove la danza millenaria delle stelle, Chi tiene il tempo per il walzer dei pianeti. “E la Terra sentii nell’Universo./ Sentii, fremendo, ch’è del cielo anch’ella./ E mi vidi quaggiú piccolo e sperso/ errare, tra le stelle, in una stella.” Copernico. Brahe. Keplero. Questi tre nomi sono intimamente ed indissolubilmente legati a queste domande. Questi tre uomini furono tra quelli che, rimasti folgorati dalla visione dell’immensità del cielo, dedicarono tutta la loro vita allo studio delle leggi divine che ne regolano l’esistenza. Le loro idee traghettarono lo studio della volta celeste dalle speculazioni dei filosofi al vaglio della scienza, il nuovo rasoio di Ockam. In pratica, i fondatori dell’astronomia moderna. Questo brevissimo saggio si propone di ricapitolare quali furono le loro teorie, una volta dato uno sguardo alle loro vidende, di capire come queste influirono sul mondo scientifico (e non) del loro tempo, e quali conseguenze causarono. Ma ora, andiamo ad iniziare... 1 1 PHOENOMENA 1 1.1 2 Phoenomena Niccolò Copernico Niklas Koppernigk, latinizzato Nicolaus Copernicus, nasce nella Prussia polacca nel 1473. Quando a soli dieci anni divenne orfano di entrambi i genitori, venne adottato da suo zio materno, Lucas Watzenrode, ecclesiastico e futuro vescovo di Warmja. Grazie all’influenza positiva di questi, Copernico si iscrisse col fratello maggiore Andreas all’università di Cracovia. Non siamo a conoscenza dei suoi studi dell’epoca, ma a quel periodo risalgono, tra le sue letture personali, alcuni trattati di astronomia e astrologia, quali le Tavole Alfonsine e le Tabulæ directionum del Regiomontano e il In iudiciis astrorum di ’Ali ibn Abi’r-Rijal. La sua passione per l’astronomia dovrebbe risalire quindi proprio a quell’epoca. A circa venticinque anni partı̀ per Bologna, dove, proseguendo sulla strada di quanto fatto sino ad allora, divenne magister artium. Nonostante risultasse formalmente iscritto alla facoltà di legge, si sa che soggiornava presso la casa dell’astronomo Domenico Maria Novara, il quale spronò Copernico ad osservare e studiare le stelle, ed egli stesso fu scopritore di un movimento che sappiamo oggi essere la precessione degli equinozi, allora passato sottobanco ed inosservato. Nella fertile atmosfera rinascimentale che in Italia si respirava allora, Copernico potè approfondire i suoi interessi filosofici, principalmente improntati sui classici greci e sul pensiero neoplatonico, e letterari, imparò infatti in quel periodo l’appena riscoperta lingua di Platone e Aristotele. Fu particolarmente significativa per lui l’edizione, proprio di quegli anni, dell’Epitome dell’Almagesto di Tolomeo, in cui Peurbach ed il Regiomontano, gli autori, misero in evidenza alcune clamorose inesattezze del sistema tolemaico. Quando, nel 1500, si recò a Roma in occasione del grande Giubileo, era già una personalità in grado di tenere una serie di notevoli conferenze matematiche ed atronomiche, di cui l’argomento principale era, probabilmente, il moto della luna, da lui spesso studiato ed osservato. Nonostante fosse dovuto tornare in patria, lo zio lo aveva fatto eleggere canonico di Frauenburg dal Capitolo di Warmja, riuscı̀ in breve a recarsi nuovamente in Italia e qui conseguı̀ il dottorato di Diritto Canonico, a Ferrara, e studiò medicina, a Padova, con la scusa che una figura di quella professione, interna all’ordine, fosse necessaria ai suoi confratelli. Fu solo nel 1503 che dovette definitivamente prendere possesso della sua diocesi, anche se non si stabilı̀ proprio a Frauenburg, ma a Heilsberg, dove si trovava la sede episcopale, e ivi rimase più o meno stabilmente sino al 1534, anno della sua morte. Per tutto il resto della sua vita lavorò alla teoria che oggi porta il suo nome, e, grazie all’opera di convincimento del suo in pratica unico discepolo G. J. Rethicus, questa venne infine data alle stampe. Fu proprio nel suo ultimo giorno di vita che ricevette la prima copia stampata della sua opera magna, il “De Rivolutionibus Orbium Cœlestium”. 1.2 Tycho Brahe Tycho Brahe nasce nel 1546 in Danimarca. Di nobili origini, ereditò dai suoi avi un temperamento sanguigno e combattivo, degno di un antico cavaliere. Nonostante questo, era un ragazzo dotato di una notevole intelligenza, e la famiglia lo volle instruire sulla via della politica e del potere. Quando nel 1559 venne mandato a Copenaghen per studiare retorica e filosofia, la sua vita cambiò: la 1 PHOENOMENA 3 vista di un’eclisse parziale di sole, con tutta il suo misterioso fascino, lo rapı̀ e da allora volle dedicarsi all’astronomia ed all’osservazione della volta celeste. Ma, come sempre accade, la casata aveva altri progetti, ed al giovane Tycho venne affiancato un tutore, Anders Sørensen Vedel, il cui compito era proprio l’allontanamento da certi interessi, e con lui proseguı̀ gli studi all’estero. In questo modo la sua vita si divise, fino ai ventisei anni, tra lo studio ortodosso e la sua passione segreta, tanto che, dapprima iniziò a collezionare strumeni per l’osservazione astronomica, ed in seguito si diede addirittura alla loro progettazione e realizzazione. L’evento che lo rese celebre nel mondo accademico fu, nel 1572, l’esplosione di una supernova nella costellazione di Cassiopea. Questa “nuova stella” rimase visibile per ben diciotto mesi, e Tycho non fu certo l’unico astronomo ad osservarla, ma i suoi risultati superarono di gran lunga quelli di tutti i suoi colleghi. Il problema era il verificare se questa supernova fosse o no solidale con il moto del cielo delle stelle fisse, quindi se appartenesse o meno al mondo sovralunare. Ma, mentre gli altri astronomi dell’epoca si servivano di fili retti a mano, Brahe utilizzò un sestante multi-graduato con un braccio di 1, 70m che gli permise di ottenere informazioni quantitative molto accurate ed attendibili. Quattro anni dopo si decise a tornare in patria, anche perchè Federico II, re di Danimarca, in seguito alla fama crescente del suddito astronomo, decise di donargli l’intera isoletta di Hven per le sue ossevazioni. Per Tycho, questo fu la realizzazione del sogno della sua vita. Fece costruire sull’isola la sua cittadella dell’astronomia, Uraniborg, e qui, attorniato da studiosi ed assistenti che trattava alla stregua di sudditi, fece fiorire il più avanzato centro di osservazione scientifico-astronomica del suo tempo. Dopo l’esperienza di Hven, si trasferı̀ come astronomo di corte a Praga, e qui conobbe il suo più famoso ed importante discepolo, Keplero. I progressi della scienza del cielo dovuti a Brahe furono, soprattutto dal punto di vista tecnologico ed osservativo, enormi, ed egli segnò in effetti un importante passo verso uno studio più metodico e, diremmo, fisico. Tycho Brahe morı̀ nell’ottobre del 1601 in seguito, e questo a detta di Keplero, di una cena un po’ troppo abbondante e prolungata. Ma, d’altronde, tra astronomia e gastronomia la differenza non è poi molta. . . 1.3 Giovanni Keplero Johann Kepler (lui stesso si firmava Johannes Keplerus) nasce nel 1571 a Weil, nell’odierno Baden-Württemberg, allora ducato del Sacro Romano Impero sotto il controllo degli Asburgo, con capitale Praga. Nonostante la famiglia fosse di origini piccolo-nobiliari, entrambi i nonni erano sindaci, i genitori di Keplero erano tutt’altro che ortodossi, e la sua infanzia, con una madre accusata in seguito di stregoneria ed un padre soldato assente e violento, non fu certo delle più felici e spensierate. Nonostante alcuni problemi fisici, come un difetto alle articolazioni delle mani ed una vista piuttosto scarsa, Keplero potè dedicarsi agli studi per diventare, com’era suo progetto, pastore luterano. A tredic’anni, quindi, superate con successo le scuole del triennio, entrò in seminario, e due anni dopo venne promosso al Seminario Superiore di Maulbronn, eccellente centro d’insegnamento. Nel 1588 si trasferı̀ a Tubinga, e lı̀ iniziò per lui un nuovo periodo, in cui si fece strada in Keplero un nuovo slancio di curiosità ed indagine sulla Natura. È in 2 NOUMENA 4 questo periodo che si sviluppò la sua passione per l’Armonia, concetto sublime e divino che andrà cercando per tutta la vita, scrutando la volta stellata ed indagando sulle leggi della Creazione. Studiando matematica ed astronomia, col passare del tempo Keplero si era convinto sempre di più della bontà del sistema copernicano, e decise cosı̀ di dedicarsi alla dimostrazione della sua validità. Nel 1594 accettò la nomina a lettore di matematica a Graz, in Stiria, e lı̀, grazie anche agli scarsi impegni di cattedratico, potè approfondire i suoi studi astronomici. Infatti, appena un anno dopo diede alla luce il suo “Mysterium Cosmographicum”, l’opera che lo seguirà per tutta la vita e che racchiude il suo tentativo di concepire il progetto di Dio. Keplero si pone delle domande di grande importanza perchè, forse per la prima volta da lungo tempo, i suoi interrogativi riguardano il vero senso del Sistema Solare. Nonostante certe curiosità possano apparirci dottrinali, o banali se lette col beneficio delle nostre conoscenze, rappresentano un tentativo di spiegazione fisica, e non più meramente matematica, del problema. Avuto modo di conoscere l’allora famosissimo Tycho Brahe, nel 1601 divenne suo assistente fisso presso il suo osservatorio del castello di Benatek, nei pressi di Praga, donatogli dall’imperatore Rodolfo II. A Brahe, poi, succedette come matematico imperiale. Nasce in quegli anni la sua opera più famosa, in cui vengono espresse due delle sue leggi, l’“Astronomia Nova”, dal significativo sottotitolo di “fisica del cielo”. Dieci anni dopo il suo trasferimento a Praga, con l’ascesa al trono dell’imperatore Mattia, iniziarono gli spostamenti anche per Keplero, prima a Ratisbona, poi a Linz e numerosi viaggi, tra cui uno nella natia Weil dove la madre era stata incarcerata per stregoneria. Al 1619 risale la sua summa, i cinque libri di “Harmonice Mundi”, nei quali è racchiuso tutto il pensiero cosmologico di Keplero. Undici anni dopo, alla fine del 1630, terminò improvvisamente la sua vita mentre si trovava a Ratisbona per questioni economiche. 2 2.1 Noumena Earth or Sun? That is the question! È errato pensare che prima dell’opera di Copernico non ci fossero altri sistemi, altri modelli cosmologici (la nozione di universo infinito oltre il sistema solare era ignota al tempo) che tentavano di descrivere la forma dei cieli. Il punto è che la teoria di Aristotele, la cui autorevolezza zittiva senza speranza anche gli intelletti più geniali e la cui reinterpretazione cristiana in chiave tomistica lo rendeva intaccabile agli occhi della Chiesa, si era ormai imposta nel panorama accademico ed intellettuale e pareva a tutti gli effetti inattaccabile. Inoltre, la terra al centro dell’universo, i pianeti ed il sole che vi ruotavano intorno, le sfere perfette dei cieli e tutto il resto ponevano indubbiamente il sistema su un piano culturalmente concepibile ed accettabile per le idee di allora. Senza contare che, per quanto riguarda il senso comune, la teoria corrispondeva a quanto si poteva osservare empiricamente nella pratica. La creazione del modello matematico migliore che rappresentasse l’idea di Aristotele è dovuta ad un astronomo alessandrino del II secolo a.C., Claudio Tolomeo, ed il sistema cosı̀ creato porta infatti il suo nome. La Terra (T) è posta immobile al centro del Creato. Attorno a lei ruotano gli altri orbi celesti, la Luna (L) in primo luogo, quindi i pianeti 2 NOUMENA 5 tra noi e il sole, Mercurio (M) e Venere (V), poi il Sole (S) e gli altri pianeti più esterni, quali Marte (M), Giove (G) e Saturno. G Ma T M L V S Figura 1: modello del sistema tolemaico La rivoluzione copernicana è, a detta di Kant, il corrispondente astronomico e scientifico di quello che lui farà quasi trecento anni più tardi in campo filosofico: un completo ribaltamento dei termini del problema. Se lui effettuerà lo spostamento dello studio della conoscenza dal piano oggettivo a quello soggettivo, seppur universale, Copernico con un colpo di spugna rimescola le biglie del giocattolo di Tolomeo e le ridispone in una maniera talmente innovativa e geniale che i suoi stessi nemici non sapranno come comportarsi per più di cinquant’anni. L’accortezza di Copernico, infatti, è quella di presentare il suo sistema come un’ipotesi geometrica, un artificio matematico che riproduce gli stessi risultati di quello geocentrico, con in più una semplicità di calcolo maggiore e l’elusione di alcune complessità tecniche di non poco interesse. Forse ci si sofferma sempre un po’ troppo sulla presunta semplicità del modello di Copernico, infatti, ad esempio, le orbite, essendo ancora considerate circolari, debbono presentare dei lacci a causa del moto apparente dei pianeti (il problema sarà risolto solo da Keplero con le sue traiettorie ellittiche), ma è pur sempre vero che l’idea dell’ipotesi geometrica fu semplicemente un’espediente per non incorrere nelle persecuzioni della Chiesa. Ecco, quindi, il sistema copernicano riportato in Figura 2. Si può vedere come tutti i pianeti ruotino, lungo circoli G Ma S V M T L Figura 2: modello del sistema copernicano 2 NOUMENA 6 perfetti, intorno al sole, e la terra, terza dall’astro centrale, è a sua volta “sole” della piccola luna. Aγεoµετ ρετ oς µεδεις εισιτ ω. “Non entri chi non conosce la geometria”. Questo epigramma è posto sul frontespizio del De rivolutionibus di Copernico. Ed in effetti, se nell’opera si parla della sua concezione cosmologica, questa ne occupa appena il 5% circa, mentre il restante 95% è solo spiegazione tecnicomatematica del moto delle stelle e dei pianeti. L’elevatissima presenza di tecnicismi e di un linguaggio da “addetti ai lavori” ha portato molti studiosi a ritenere che in realtà i lettori dell’opera furono probabilmente molto pochi. Comunque, in questa parte di calcoli, si trova l’altro grande merito dell’autore. Punto fermo del modello tolemaico erano i concetti di epiciclo, deferente ed equante. Questo complesso sistema geometrico e trigonometrico permetteva di dare una descrizione sufficientemente accurata delle posizioni dei corpi celesti nell’ottica eliocentrica di orbite circolari. Il problema è che i pianeti, ed in particolar modo questo era stato osservato con Marte, che noi sappiamo essere il pianeta del sistema solare con un’eccentricità più spiccata, non risulano sempre alla stessa distanza dalla terra, ma a volte più vicini ed a volte con una velocità di rivoluzione maggiore o minore, ed inoltre talvolta apparentemente in moto retrogrado tanto da formare come dei “cappi” nelle loro orbite. Tolomeo, con un’ingegnosità davvero lodevole, aveva inserito cosı̀ nel suo sistema questi artifici geometrici risolvendo gran parte delle incongruenze. I moti effettivi venivano, allora, spiegati in questo modo: il pianeta in esame ruotava intorno alla terra seguendo una traiettoria circolare (epiciclo) il cui centro si muoveva a sua volta su di un’altra circonferenza (deferente) centrata nella terra. Visto che le velocità angolari non erano poi costanti se osservate dalla terra, ecco allora che si individuava un punto (equante) sul diametro terra-pianeta da cui il moto sarebbe parso invece perfettamente uniforme. Il sistema tolemaico risulta cosı̀, Epiciclo Deferente × × S Equante × Figura 3: esempi di epiciclo, deferente ed equante però, profondamente analitico, nel senso che dà una descrizione accurata dei fenomeni celesti presi uno ad uno, ma manca di sinteticità, in quanto il quadro non è assolutamente organico e onnicomprensivo. La sintesi verrà portata proprio da Copernico. Egli, infatti, nel suo modello eliocentrico, riesce a far sı́ che ci sia un’unico fattor comune a tutti i moti planetari, che è misteriosamente e meravigliosamente proprio la distanza Terra-Sole! Ecco cosı̀ apportata una 2 NOUMENA 7 enorme unificazione dei moti celesti che tanto pesa sul confronto tra il sistema tolemaico e quello copernicano. 2.2 Prebougiôn Se Brahe viene solitamente un po’ trascurato, lo dobbiamo a Galileo (il quale conosceva benissimo il sistema di cui Brahe si faceva portavoce) che nel “Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo Tolemaico e Copernicano” gli critica quella che lui ritiene una sintesi mal riuscita dei sistemi precedenti; in effetti, che Brahe si sia essenzialmente limitato ad effettuare una sintesi degli altri sistemi è vero, tuttavia, dobbiamo precisare che egli, a differenza dello stesso Copernico, fu un grandissimo osservatore del cielo. Non solo, probabilmente egli fu il più grande osservatore del cielo ad occhio nudo mai esistito, infatti, pochi anni dopo la sua morte, sarà introdotto il telescopio. Brahe non si limitò a fare una sintesi degli altri sistemi senza apportare novità: egli dà nuove interpretazioni ed effettua osservazioni innovative. Interessantissima è senz’altro l’osservazione che fece di una cometa apparsa nel 1577. Tradizionalmente le comete costituivano problematiche per gli astronomi perchè mettevano a rischio l’immutabilità del sistema propugnata da Aristotele, il quale aveva sostenuto che l’elemento costitutivo del mondo celeste, la quintessenza o etere, rendesse immutabile il sistema; è noto come le comete siano fattori in un certo senso “variabili”, ora ci sono, ora non ci sono. In realtà gli astrologi avevano risolto il problema aggirandolo e sostenendo che le comete non fossero fenomeni astronomici, bensı̀ metereologici, che non avvenissero, cioè, nel mondo celeste, ma in quello sublunare. Cosı̀ era risolto il problema: le comete sono fenomeni variabili, ma che avvengono nel nostro mondo e quindi non mettono a rischio l’immutabilità del mondo celeste. Brahe, dal canto suo, grazie ad accurate osservazioni, giunse alla corretta interpretazione del fenomeno; ciò comporta inevitabilmente che nel cielo possano esservi delle “novità”. Ma questa non è la sola conseguenza, se le comete sono fattori astronomici, allora è necessario che nel loro tragitto taglino le orbite (o sfere) dei pianeti. L’osservazione empirica di Brahe testimonia quindi che le orbite non sono solide e materiali, come sostenevano Aristotele e Copernico, avvicinandosi cosı̀ più all’idea di Tolomeo. Ma se le orbite non sono materiali, che cosa sono? Brahe le definisce come “traiettorie ideali e immateriali”, sulla scia di quanto diceva Tolomeo. Inoltre riesce a ricavare le traiettorie di queste comete, che non gli risutlano essere circolari, bensı́ ovoidali, forma più vicina alla corretta parabola ricavata da Newton. Un’altra importante osservazione di Brahe è la presenza in cielo di alcune “stelle nuove”, ossia stelle che prima non si vedevano, o si vedevano con difficoltà, e che nell’arco di un giorno diventavano luminosissime per poi sparire in fretta. Si tratta di novæ e supernovæ. Questo dimostra che nel cielo, cosı̀ come nel nostro mondo, possono avvenire cambiamenti. L’inevitabile conseguenza alla quale arriva Brahe è che non vi è alcuna differenza qualitativa tra mondo sublunare e mondo sopralunare, il nostro mondo, costituito dai quattro elementi aristotelici (aria, acqua, terra e fuoco) è assolutamente uguale in termini qualitativi a quello celeste, composto di etere. È interessante notare che negli stessi anni anche Giordano Bruno, il domenicano senza saio, era arrivato a dimostrare l’uguaglianza qualitativa tra i due mondi; Brahe vi arriva grazie a 2 NOUMENA 8 constatazioni empiriche, Giordano Bruno sulla base di ragionamenti metafisici che lo portarono alla negazione di ogni forma di dualismo. Nell’elaborare il suo sistema, che è passato alla storia con il nome di “sistema ticonico”, Brahe è vincolato da una duplice esigenza: egli riconosce la validità del sistema copernicano (sa infatti che funziona meglio rispetto a quello geocentrico), tuttavia vuole evitare di imbattersi nelle critiche generalmente mosse alle teorie eliocentriche, in primo luogo erano incompatibili con la Bibbia (particolarmente famoso il “fermati, oh Sole!”), andava poi contro il senso comune affermare che la Terra, che noi vediamo indubbiamente stabile e ferma, possa ruotare intorno al Sole, ed infine Brahe non voleva doversi battere con la secolare autorità del Filosofo. Ecco, allora, che prende vita il suo sistema ibrido, dove possiamo ravvisare l’incontro tra copernicanesimo e aristotelismo. Egli voleva prendere il meglio dei due, ma in realtà non fa che creare un sistema che non ha i vantaggi nè dell’uno nè dell’altro, non è, infatti, nè semplice (come quello copernicano), nè tradizionale (come quello tolemaico). Egli vuole mantenere la Terra (T) al centro dell’universo (evitando cosı̀ le tre critiche sopra elencate). Intorno ad essa fa girare il Sole (S), con un’orbita grande, e la Luna (L), con un’orbita più piccola. Fin qui siamo assolutamente nell’ottica aristotelica. Ma, come si G Ma S V M T L Figura 4: modello del sistema ticonico può vedere in Figura 4, l’adozione della teoria copernicana non riguarda l’elio o geocentrismo del Cosmo, bensı́ quello dei pianeti. Questi, infatti, vengono fatti orbitare intorno al sole. Le distanze reciproche rimangono pressochè le stesse, in quanto i due pianeti “interni”, vale a dire Mercurio (M) e Venere (V), hanno un’orbita intermedia tra sole e terra, mentre quelli “esterni”, cioè Marte (Ma), Giove (G) e Saturno (non riportato nel disegno), descrivono circonferenze di raggio maggiore al diametro terra-sole. Per la prima volta nell’ambito di un sistema fisico, e non geometrico (se infatti fosse stata solo un’ipotesi geometrica non ci sarebbe stato il bisogno di porre la terra al centro) le orbite non sono più materiali, ma semplici traiettorie ideali. Ora, accettare questo comporta un problema: se gli orbi non sono “incastonati” in sfere materiali, cosa li regge allora in cielo? Aristotele diceva che le sfere ruotano in virtù del Primo Mobile, il quale in questo modo le trascina con sé. Copernico, con un’argomentazione più metafisica che fisica, affermava invece che il moto naturale di un oggetto sferico è la rotazione, quindi è ovvio che le 2 NOUMENA 9 sfere celesti ruotino. Ma, se le sfere non ci sono, tutto si complica. Di fatto, Brahe questo problema non lo affronta, ma lo lascia in eredità, come vedremo, al suo discepolo Keplero. 2.3 La legge è uguale per tutti! Anzi, le leggi... Lo slancio cognitivo di Keplero, al di là della sua figura di precursore della scienza moderna, fu principalmente metafisico. La sua ricerca superava il semplice bisogno accademico e pratico di avere la giusta comprensione del problema e riuscire ad estrarre un algoritmo in grado di risolvere i calcoli. Lui cercava delle leggi. Leggi in grado di spiegare i fenomeni della Natura, formule matematiche capaci di interpretare il mistero della Creazione. Era quindi pienamente coscente dell’“inconcepibile efficacia della matematica nelle scienze della natura”, e con tale consapevolezza il suo ruolo di philosophus naturalis si delinea maggiormente e nei suoi studi davvero riusciamo a ravvisare lo sforzo di una ricerca spirituale. Ne è tangibile testimonianza la sua prima opera, il Mysterium, in cui, già nel titolo, si può intuire la reverenza con cui vengono affrontati i temi al suo interno. Non per questo dobbiamo immaginare Keplero come un visionario o un superstizioso, ma, semplicemente, come qualcuno animato da una profonda curiosità e da un reale rispetto ed ammirazione per la materia del suo studio. Ivi, troviamo il suo primo studio sul sistema solare e le sue cosiderazioni filosofiche. Platone aveva individuato cinque solidi regolari, chiamati poi appunto solidi platonici, conosciuti come tetraedro (formato da 4 triangoli equilateri), cubo (da 6 quadrati), ottaedro (da 8 triangoli eq.), dodecaedro (da 12 pentagoni regolari) ed icosaedro (da 20 triangoli eq.), e ad ognuno di essi aveva associato uno dei quattro elementi più la quintessenza. Keplero, invece, si serve di queste figure per giustificare il numero degli orbi celesti e la loro disposizione. Immagina cosı̀ un sistema concentrico in cui, via via partendo dal sole immobile al centro del cosmo, si susseguano i vari solidi platonici tangenti internamente ed esternamente alle sfere dei pianeti. Inoltre, come già Niccolò Cusano (Nicolaus Krebs) aveva proposto teologicamente Dio centrale, Cristo equivalente alla superficie della sfera e Spirito Santo volume interno, Keplero riporta l’analogia in termini di Sole (Dio padre), Cielo delle Stelle Fisse (Dio figlio) e Sfere interne (Dio spirito). La sua fama, comunque, è principalmente dovuta alla formulazione delle sue famose tre leggi. La prima di esse, che recita “le orbite dei pianeti sono delle ellissi di cui il sole occupa uno dei fuochi”, e la seconda, “il raggio vettore che collega il sole ad un pianeta spazza superficii con aree uguali in tempi uguali”, vengono divulgate per la prima volta nell’Astronomia nova, e furono fonte di innumerevoli critiche. Particolarmente la prima fu osteggiata con maggiore veemenza, in quanto si vedeva cosı̀ privato il sistema solare di quell’armonia innegabilmente supportata dalla semplicità e perfezione del cerchio. Da sempre la sfera e la circonferenza occupavano una posizione privilegiata tra le figure geometriche, ed era naturale quindi vederle rappresentate appropriatamente nel fulgore dei cieli e delle stelle. L’ellisse invece sminuiva il modello cosmologico, e lo rendeva in un certo modo imperfetto, approssimativo. Keplero, tuttavia, arrivò a questa considerazione solo dopo innumerevoli prove e calcoli, e fu proprio marte, da sempre croce dei modelli planetari, a costringerlo infine su quella via. Per quanto riguarda seconda legge, invece, spiegata con una semplicità indiscutibile alla luce della teoria della gravitazione universale, la pretesa mancanza di 3 EX SCRIPTA, CONCLUSIO 10 regolarità in un moto non più uniforme è invece indice di una quantità veppiù conservata, data l’orbita ellittica, e rappresenta proprio l’ordine intrinseco del sistema solare. È nell’Harmonice Mundi, però, che Keplero raggiunge l’apice della sua ricerca. In quest’opera, divisa in cinque libri, viene esposta la sua teoria di armonia celeste, in cui tutto il sistema e la cosmologia, da lui sempre usata e propugnata quella copernicana, prendono posto ordinatamente. Come già aveva fatto nel suo primo libro, ancora una volta affronta il problema da un punto di vista geometrico. Mentre, però, per quanto riguardava l’astronomia, quella era una via già battuta da secoli, ora lui utilizza quest’approccio alla teoria musicale. Da sempre la musica veniva considerata parte della matematica, e si spiegavano i fenomeni di consonanza ed armonia in termini aritmetici. Keplero, invece, attribuendo alla musica una natura continua e non discreta, preferisce spiegarla in termini geometrici, a suo parere più consoni. Prende vita in questo modo il suo modello di “musica dei pianeti”, ed il suo lavoro verrà finalizzato alla quantificazione e qualificazione di tale musica. In primo luogo, dopo aver introdotto il lettore alle tecniche che sarebbero state utilizzate, mette a frutto questi strumenti e cerca di ravvisare nelle quantità osservate la medesima armonia che si era studiata nel suono. Nonostante non riesca ad ottenere risultati promettenti studiando i raggi delle orbite e le distanze relative tra i pianeti, inspiegabilmente ed incredibilmente, rapportando fra loro le velocità di ciascun orbe ad afelio e perielio, la velocità quindi maggiore e minore, ottiene delle frazioni che si riferiscono quasi perfettamente ad intervalli conosciuti della scala musicale! In particolare ha gli intervalli di terza mag. e min., di quinta, di ottava più terza min., di semitono diatonico e cromatico. A questi manca, però, un intervallo importantissimo in musica: quello di quinta, dato dal rapporto 3 /2 . Come inserirlo? Keplero da tempo cercava una relazione che legasse distanza pianetasole e periodo di rivoluzione, e non era riuscito né con una legge lineare, né inserendo una potenza quadrata. Ma ecco che, se si eleva il rapporto dei raggi proprio alla potenza 3 /2 , questo equivale al rapporto dei periodi! Di qui la sua terza legge. Tale considerazione, inoltre, perfettamente si accordava con la sua idea, ancora non ben formulata, di una qualche “forza magnetica” in qualche modo inversamente proporzionale ai semiassi maggiori delle orbite che il sole avrebbe dovuto esercitare sui pianeti. Questa forza, però, non sarà descritta da Keplero, morto dopo pochi anni, ma da Newton con la sua Gravitazione. Ecco l’avvio della fisica moderna. 3 Ex scripta, conclusio Abbiamo qui tracciato un quadro generale, lungi dall’essere accurato, della vita e delle opere di questi tre importantissimi intellettuali e scienziati. Come si è potuto vedere, non solo lavorarono e studiarono gli stessi argomenti, ma molto spesso si influenzarono anche gli uni gli altri. Copernico, che visse comunque prima degli altri, ha il merito di aver introdotto come teoria scientifica ed astronomica il sistema eliocentrico, già conosciuto nell’antichità ma praticamente ignorato al suo tempo, ed il vanto di aver aperto la strada allo sviluppo dell’astronomia moderna, svincolata dalla religione e dai pregiudizi della tradizione aristotelica. Per quanto riguarda Brahe e Keplero, invece, sappiamo per certo che si conobbero e collaborarono. Come abbiamo visto fu proprio il famoso e 3 EX SCRIPTA, CONCLUSIO 11 conosciuto astronomo danese ad offrire “protezione” e lavoro al giovane Keplero, e se questi riuscı̀ a formulare la prima e forse più importante delle sue leggi, per buona parte ciò è dovuto all’enorme mole di dati astronomici recenti ed accurati che Brahe raccolse per tutta la vita. Il fatto che pochi mesi dopo il loro incontro l’allievo divenne orfano del maestro è stato spesso interpretato come una coincidenza davvero miracolosa. L’unione di due intelletti fuori dal comune tesi ad un unico scopo, amanti della medesima verità, non può che dare frutti eccezionali, ed infatti cosı̀ è stato. L’armonia delle sfere, seppur con notevoli sconvolgimenti, non è svanita, semplicemente ora permea un universo differente da quello che Tolomeo ed Aristotele avevano supposto. Comunque, attraverso i secoli, la passione per la ricerca e l’amore per la conoscenza non si sono perduti, e sta agli studiosi di oggi, coi moderni strumenti della tecnologia, con le eleganti equazioni della relatività e con l’antica e mai sopita curiosità umana, riuscire a scovare nei recessi dell’infinita creazione le segrete leggi che la Natura, come un’amante dispettosa, nasconde ai nostri occhi. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 12 Riferimenti bibliografici [1] Vittorio de Alfaro. Dalla forza di Aristotele al campo elettromagnetico. Dipartimento di Fisica Teorica, Università di Torino, 2002 [2] William Shea. COPERNICO, un rivoluzionario prudente. 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