Il suicidio è una di quelle cose "difficili" da trattare, perché è una
questione emozionalmente carica con ogni tipo di opinioni fantasiose.
Il termine "suicidio" (usato per la prima volta nell’Inghilterra del
Seicento) deriva dal latino sui che significa "di se stesso" , e da cida
che significa "uccidere". Nel linguaggio comune, per suicidio si intende
l’atto con cui ci si dà la morte di propria volontà. La complessità del
fenomeno è spiegata dal numero di fattori che in esso intervengono:
biologici e psicologici oltre che sociali. Cause legate alla depressione,
alla personalità o alle circostanze possono essere il bisogno di sfuggire
a situazioni intollerabili, la visione della vita come una inesorabile
fonte di sofferenza che solo la morte può placare. Le ricerche non
hanno comunque abbandonato la lettura sociale del fenomeno: come
Durkheim aveva suggerito, la società sembra avere un ruolo
determinante nell’aumento dei suicidi: molto spesso infatti si interpreta
un atto suicida come atto di libertà contro una società repressiva o
insensibile
Per analizzare il fenomeno, gli studiosi di scienze sociali si servono
spesso della c.d. autopsia psicologica: quando qualcuno si uccide si
intervistano le persone a lui più vicine, raccogliendo informazioni sulla
sua vita.
Quando è possibile, tuttavia, si utilizzano le statistiche ufficiali delle
morti e si calcola il tasso di suicidio:
n° di morti per suicidio in determinato periodo di tempo (un anno)
100 mila persone residenti nella zona in cui gli eventi
si sono verificati
Quando le informazioni lo permettono, è possibile calcolare anche il
tasso specifico (per genere,età, condizione sociale), rapportando il
numero di suicidi con determinate caratteristiche socio-demografiche
al totale della popolazione con le stesse caratteristiche.
Molti studiosi criticano questa metodologia perché la stessa sottostimerebbe il
numero di suicidi e la sottostima sarebbe selettiva – variabile nel tempo e nello
spazio – perchè dipendente dall’efficacia dell’apparato di registrazione e dal
comportano degli individui nei confronti di questi eventi.
I tassi ottenuti non spiegherebbero le reali motivazioni di chi vuole uccidersi
Se il tasso aumenta, significa che l’apparato di registrazione ha
funzionato efficientemente e non perché il numero dei disadattati, ad
esempio, sia cresciuto (grado di integrazione sociale più basso).
Se il tasso diminuisce è perché forse c’è una tendenza generalizzata a
nascondere le morti e non per altre cause di ordine sociale
N.B. Se la sottostima è reale, essa però non è selettiva poiché dipende da
motivi tecnici e non dal funzionamento della registrazione o dal giudizio
morale della popolazione
La teoria di Durkheim
L’autore sostiene che in tutte le manifestazioni della sua vita,
l’individuo sia forgiato dai modelli sociali.
Nell’opera intitolata Le Suicide (1897), sottolineò come la
mancanza d’integrazione degli individui nella società fosse una
delle cause fondamentali del suicidio, che a sua volta, da mero
fatto individuale, diviene vero e proprio fatto sociale.
L’idea di Durkheim è quella di studiare il fenomeno suicidogeno
sotto un diverso aspetto: quello che non riguarda unicamente
l’atto inteso individualmente ma, e soprattutto, le correnti
suicidogene dalle loro origini sociali fino alle loro
manifestazioni individuali.
La teoria di Durkheim
Per molti studiosi, il suicidio era un fenomeno influenzato dalle condizioni
organico-psichiche dell’individuo e della natura dell’ambiente fisico.
Per Durkheim non si può generalizzare, in quanto è vero che l’individuo
affetto da disturbi psichici sia meno preservato dal suicidio ma non per questo
gli stati psicopatici sono da ritenersi necessariamente determinanti per questo
atto estremo.
In ogni caso, riferendosi alle categorie adottate da Jousset e Moreau de Tours
nel “Dictionaire de médécine et de chirurgie pratique”, alla voce “Suicide”,
classifica i suicidi degli alienati in quattro tipologie:
1. Suicidio maniaco: dovuto ad allucinazioni o concezioni deliranti. Il malato
si toglie la vita per motivazioni del tutto immaginarie. È una affezione
contraddistinta da una straordinaria mobilità: alterazioni e rovesciamenti della
mania sono improvvisi e considerevoli.
2. Suicidio melanconico: legato a uno stato di estrema depressione.
Accompagnato da allucinazioni ed idee deliranti, tendenzialmente non
mutevoli. Carattere cronico, estremamente tenace.
La teoria di Durkheim
3. Suicidio ossessivo: dovuto all’idea fissa della morte, impadronitasi della
mente del malato. Senza motivo alcuno, reale o immaginario che sia. Comporta
ansia nel paziente che s’oppone al male: se rinuncia alla lotta, sembra
apparentemente tornare alla calma.
4. Suicidio impulsivo o automatico: non è motivato, né sembra avere alcuna
ragione d’essere: è l’esito d’un impulso brusco e irresistibile.
Similarmente, per quanto riguarda le influenze delle situazioni climatiche,
stagionali, Durkheim riconobbe una possibile verità definita dalla frequenza
suicidogena in determinati periodi dell’anno (l’estate), del giorno (domenica) o
delle ore, in cui i rapporti di vita sociale sono più intrecciati, il momento cioè,
in cui l’uomo è particolarmente vicino alla realtà sociale.
Il malessere del potenziale suicida sembra esasperato per via della non
integrazione o della non condivisione o della non partecipazione o del rifiuto
operato dal sistema.
La teoria di Durkheim
Per Durkheim il suicidio è un fenomeno connesso a situazioni extra
soggettive che riguardano la società, i suoi ambienti e i suoi gruppi,
dove l’uomo si riscontra quotidianamente.
Le confessioni religiose, la famiglia, la società politica risultano degne
di osservazione per Durkheim, il quale vede queste istituzioni giocare
un ruolo preminente fra i tassi di suicidio.
Infatti, secondo la legge sociologica generale ricavata da Durkheim, in
ragione del grado d’integrazione e regolazione di tali gruppi sociali
di cui fa parte l’individuo, il suicidio varia in maniera inversa.
Alto
Egoistico
Altruistico
Basso
Tasso di suicidio
La teoria di Durkheim
Le due cause canoniche delle morti per suicidio sono:
l’integrazione sociale e la regolazione sociale
Inadeguata
Moderata
Eccessiva
Integrazione sociale
Esprime la quantità e la forza dei legami che
uniscono un individuo ai vari gruppi
Il suicidio egoistico è compiuto da tutti quegli
individui così fortemente individualisti da non
avvertire le esigenze del vivere sociale e delle sue
leggi; in particolare, il suicidio varia in ragione
inversa al grado di integrazione della società
religiosa, di quella domestica e di quella politica.
Il suicidio altruistico non avviene perché
l’individuo si arroga il diritto di disporre della
propria vita ma perché il contesto sociale glielo
impone. Nelle realtà primitive, la società esercita
una pressione psicologica sul singolo per indurlo
all’autodistruzione: si tratta di strutture sociali
in cui la personalità individuale è tenuta in poco
o nessun conto.
La teoria di Durkheim
Le due cause canoniche delle morti per suicidio sono:
l’integrazione sociale e la regolazione sociale
Alto
Fatalistico
Basso
Tasso di suicidio
Anomico
Inadeguata
Moderata
Eccessiva
Regolazione sociale
Un insieme di norme che definiscono diritti e
doveri di coloro che occupano le varie posizioni
sociali, che stabiliscono i compensi economici, ecc
Suicidio anomico: quando la società è turbata
da una crisi economica l’individuo, ritrovandosi
in una condizione inferiore, ne soffrirà, essendo
costretto a adattarsi ad un nuovo tenore di vita.
Similmente, un brusco aumento delle ricchezze
sconvolge la precedente regolamentazione e
l’individuo, non sapendo più ciò cui può
aspirare e i limiti entro cui deve restare, entra in
una profonda crisi di sregolatezza ed
insaziabilità. Si genera anomia: regole
inadeguate o insufficienti
Suicidio fatalistico: in questa forma di suicidio
l’individuo può ravvisare l’unica possibilità di
fuga da una situazione vissuta come
insopportabile.
In base all’organizzazione esistono quattro tipi diversi di suicidio:
- Individuale, non richiede nessuna forma di organizzazione ed è
commesso da persone singole, che si sentono sole e da sole agiscono
- Di coppia, relativo a due persone che vedono minacciata la propria
relazione e si organizzano per togliersi la vita
- Di gruppo, commessi da un certo numero di persone, con finalità
politiche-militari che si tolgono la vita con l’intento di uccidere anche i
nemici
- Di massa o collettivo, commesso da un elevato numero di persone,
unite spesso da una comune fede religiosa, con alle spalle una buona
organizzazione, guidata dal un leader carismatico.
Le sette variabili da cui dipende il suicidio:
1. il genere: per molto tempo si è sostenuto che i suicidi tra le donne
avessero un tasso più alto rispetto a quelli maschili (vedi la storia di molti
personaggi femminili famosi che si sono tolti la vita).
In realtà è l’esatto contrario: in quasi tutto il mondo il tasso di suicidio
maschile, a seconda dell’età, è da tre e cinque volte superiore a quello
femminile
Per quali motivi?
Processo di socializzazione: i ragazzi
imparano a dare maggiore importanza al
coraggio fisico, al rischio, all’aggressività,
alla violenza; le ragazze invece alla
maggiore cura di se stesse e degli altri
Integrazione sociale: molti studi hanno
dimostrato che le donne hanno una rete
di relazioni molto più ampia e solida
rispetto agli uomini.
Le sette variabili da cui dipende il suicidio:
2. Lo stato civile e i figli: per Durkheim e Morselli, la società domestica
è un’importante risorsa contro il suicidio: i coniugati avevano un tasso di
suicidio molto più basso di celibi, vedovi e divorziati.
Le motivazioni però erano diverse:
Morselli (1879): gli effetti benefici del
matrimonio erano dovuti al rapporto di
coppia, al legame stabile tra i coniugi
capace di far fronte alle insidie delle
difficoltà
Durkheim (1897): la superiorità dello
stato matrimoniale è dovuta alla presenza
dei figli. L’influenza della famiglia era
molto più benefica quanto maggiore era il
numero dei figli e quanto più tempo questi
restavano a casa.
N.B. con il passare del tempo si è capito che la relazione tra lo stato civile e il rischio di
suicidio non fosse spuria ma che dipendesse da un’altra variabile, ossia lo stato di salute
degli individui
Le sette variabili da cui dipende il suicidio:
2. Lo stato civile e i figli: il vantaggio derivante dal matrimonio è quello
che lo stesso 1) regola e disciplina i comportamenti e 2) integra,
immette in reti sociali che possono essere, al tempo stesso, solide e
flessibili, capaci di reggere alla prove più difficili, di reagire e di
mobilitarsi rapidamente. Tre sono i tipi di sostegno che si ricevono
da queste reti:
1. cognitivo, aiuta a definire e comprendere le situazioni ambigue, le
azioni di chi è esterno all’ambiente domestico e a renderle meno
stressanti;
2. emotivo, si manifesta con la simpatia, il calore affettivo, la premura;
3. materiale, consiste nel dare denaro, fare la spesa, crescere i figli.
N.B. Il matrimonio protegge dal suicidio più i mariti che le mogli e questo dipende, ancora
una volta, dai processi di regolamentazione e integrazione sociale
Le sette variabili da cui dipende il suicidio:
3. L’età: tra età e frequenza di morti volontarie esiste una relazione positiva
il suicidio è rarissimo prima dei quindici anni e tende ad aumentare con
l’età, raggiungendo il picco nella vecchiaia
Due fattori
Lo stato di salute psico-fisica che
peggiora con gli anni e che, a parità
di altre condizioni, fa aumentare il
rischio di suicidio
Il grado di integrazione sociale, che
diminuisce nell’ultima fase della
vita, quando arriva il
pensionamento e si rischia
maggiormente di rimanere da soli.
Le sette variabili da cui dipende il suicidio:
3. L’età: le cose negli ultimi quaranta anni sono cambiate e il tasso di
suicidio tra i giovani è aumentato notevolmente, per tre ordini di motivi:
Perdita dei significati, dovuta al processo di secolarizzazione, ossia il
declino dell’importanza della religione nella vita dei giovani
Depressione, malattia ampiamente aumentata tra i giovani
Diminuzione del capitale sociale, il declino del grado di integrazione
sociale e l’allentamento della struttura relazionale e di fiducia tra le persone
N.B. Altri studi dimostrano che il più basso grado di integrazione sociale sia dovuto alle
trasformazioni avvenute nella stabilità della famiglia di origine e nei tempi e modi di
formazione delle nuove famiglie
Le sette variabili da cui dipende il suicidio:
4. La religione: secondo Durkheim, la religione riduce il tasso di suicidio
perché svolge una funzione di regolazione sociale. Una maggiore
coesione della chiesa, pertanto, era sinonimo di minori morti per suicidio
Nella seconda metà del 1800, i bassi tassi di suicidio tra gli ebrei erano giustificati
dal fatto che, rispetto a quella cattolica e ancor di più a quella protestante, la chiesa
ebraica era quella maggiormente integrata, per via della solidarietà derivata dalle
barbare persecuzioni dei cristiani
Le ideologie cristiane o ebraiche si fondano su una forte appartenenza al gruppo, a
una società compatta ed unita, dove i membri non sono mai lasciati soli nel capire o
nell’agire. I protestanti sono, invece, gli autori principali della loro fede. E’ la Bibbia il
documento supremo, ma nessuna interpretazione gli è imposta, la gloria da parte di
Dio è una loro dura conquista. E’ facile da qui intuire le differenze: nei primi, si lotta
insieme, con più resistenza al duro sacrificio per la comunanza dell’esistenza; nel
protestantesimo è vivo un individualismo religioso che rende inesorabilmente l’uomo
più debole.
Le sette variabili da cui dipende il suicidio:
4. La religione:
ISLAMISMO Alcuni studi hanno dimostrato che, a parità di sviluppo economico,
più elevata è la quota di popolazione musulmana, tanto più basso è il tasso di
suicidio. L’islamismo scoraggia il suicidio non tanto perché lo condanna ma perché
è una religione che, vincolando i fedeli in rituali di preghiera quotidiani, li integra
fortemente nella comunità
“L’uomo”, dice Maometto, “non muore che per volontà di Dio, in base al libro che
fissa il termine della sua vita”. Quando il termine sarà arrivato, essi non
sapranno né ritardarlo, né avanzarlo d'un solo istante”. “Noi abbiamo decretato
che la morte vi colpisca a turno e nessuno potrebbe prevalere su di noi”.
Nulla, infatti, è più contrario del suicidio allo spirito generale della società
maomettana: in quanto la virtù messa al di sopra di tutte le altre è l’assoluta
sottomissione alla volontà divina, la docile rassegnazione “che fa sopportare
tutto con pazienza”. Atto d'insubordinazione e di rivolta, il suicidio non poteva
dunque essere guardato che come una grave mancanza al dovere fondamentale.
Le sette variabili da cui dipende il suicidio:
5. La classe sociale: sulla fine del 1800, in Italia vi era una relazione
positiva tra frequenza di suicidio e classe sociale e la prima era tanto
maggiore quanto più elevata era la seconda.
I valori massimi si raggiungevano tra le classi
con i più elevati livelli di istruzione, con l’unica
eccezione dei sacerdoti.
La situazione è cambiata nel corso del Novecento e la relazione tra tasso
di suicidio e classe sociale è diventata negativa: il primo cresce al
decrescere del livello di reddito, dei livelli di istruzione e del prestigio
dell’occupazione svolta.
Le sette variabili da cui dipende il suicidio:
5. La classe sociale
Questo si verifica perché al di sotto di una certa soglia, le difficoltà
finanziarie possono provocare un aumento sia del consumo di alcool
che della frequenza delle liti domestiche (due fattori che favoriscono il
suicidio).
Inoltre, le persone appartenenti alle fasce più povere della popolazione
restano, di solito, disoccupate per più tempo e la mancanza di un lavoro
può favorire il suicidio, almeno quando non fa nascere sentimenti di
protesta e manifestazioni di solidarietà all’interno della comunità
colpita (cresce cioè l’integrazione sociale che riequilibra l’ansia e il
senso di impotenza).
Le sette variabili da cui dipende il suicidio:
6. Il carcere: fin dalla fine del 1600, il carcere è il luogo in cui si
commettono più suicidi. Le numerose ricerche condotte nel corso del
tempo hanno dimostrato che la situazione ancora oggi non è cambiata;
in Italia, ad esempio, negli istituti penitenziari, ci si uccide ben cinque
volte di più che fuori.
Perché?
La popolazione dei detenuti ha delle
caratteristiche che la rendono
maggiormente a rischio di morte
volontaria (tossicodipendenti,
schizofrenici, depressi)
È l’ambiente del carcere che spinge a
togliersi la vita. Goffman sosteneva che il
carcere è un’istituzione totale perché
esercita un controllo pervasivo e
continuo dei comportamenti di coloro
che ne fanno parte, riducendone lo
spazio di libertà
N.B. Alcune ricerche hanno dimostrato che i suicidi sono più numerosi nelle carceri
con un forte sovraffollamento
Le sette variabili da cui dipende il suicidio:
6. Il carcere: esistono delle differenze nei modi in cui i detenuti reagiscono
al carcere, cercando la morte; esistono di tre tipi di carcerati:
Il primo è costituito da quelli che
hanno basse capacità di resistenza e
limitate capacità di coping, cioè di
controllo degli eventi considerati
particolarmente difficili
Il secondo è costituito
dai malati di mente, che
soffrono di un acuto
senso di perdita del
controllo di sé.
Il terzo è costituito dai
condannati all’ergastolo o
a lunghissime pene
detentive
Le sette variabili da cui dipende il suicidio:
7. I media e l’effetto Werther: dal 1774, anno in cui Goethe pubblicò I
dolori del giovane Werther, si dà credito al fatto che la pubblicazione
da parte dei media di casi di suicidio possa influenzare il
comportamento del grande pubblico.
Tarde sosteneva che l’imitazione aveva grande importanza per la vita
sociale e dunque anche per i suicidi.
Durkheim citò alcuni fatti a favore della tesi che il suicidio potesse
comunicarsi per contagio da una persona all’altra (effetto limitato al locale,
nel tempo; meramente anticipatorio).
Negli ultimi venti anni le ricerche hanno dimostrato i massmedia possono avere un effetto Werther; anche se il reale
effetto sulla mente delle persone dipende molto dallo spazio che
viene dedicato ai casi di suicidio e al modo in cui se ne parla
I suicidi altruistici in Giappone:
1. seppuhku o hara-kiri, forme di morte volontaria seguita dai samurai per
salvaguardare il proprio onore o come cordoglio per la morte del signore.
La traduzione letterale del termine Seppuku è "taglio dello stomaco", mentre per Harakiri è
"taglio del ventre" e veniva eseguito, secondo un rituale rigidamente codificato, come
espiazione di una colpa commessa o come mezzo per sfuggire ad una morte disonorevole per
mano dei nemici.
Il taglio doveva essere eseguito da sinistra verso destra e poi verso l'alto. La posizione doveva
essere quella classica giapponese, in ginocchio con le punte dei piedi rivolte all'indietro; ciò
aveva anche la funzione d'impedire che il corpo cadesse all'indietro, infatti il guerriero doveva
morire sempre cadendo onorevolmente in avanti.
Per preservare ancora di più l'onore del samurai, un fidato compagno, chiamato kaishakunin,
previa promessa all'amico, decapitava il samurai appena egli si era inferto la ferita all'addome,
per fare in modo che il dolore non gli sfigurasse il volto.
La decapitazione richiedeva eccezionale abilità e infatti il kaishakunin era l'amico più abile
nel maneggio della spada. Un errore derivante da poca abilità o emozione avrebbe infatti
causato notevoli ulteriori sofferenze.
Proprio l'intervento del kaishakunin e la conseguente decapitazione costituiscono la differenza
essenziale tra seppuku e hara-kiri: sebbene le modalità di taglio del ventre siano analoghe,
nello hara-kiri non è prevista la decapitazione del suicida, e pertanto viene a mancare tutta
la relativa parte del rituale, con conseguente minore solennità dell'evento.
2. kamikaze (vento divino), i piloti giapponesi che durante le seconda guerra
mondiale si gettarono, con i propri caccia armati di bombe, contro le portaerei
americane con l’obiettivo di arrecare il massimo danno al nemico con la
propria morte. Oggi vengono comunemente chiamati così anche i giovani
terroristi arabi.
3. juramentado, praticato dalla tribù islamiche delle Filippine meridionali che
condannano il suicidio per motivi privati ma che, allo stesso tempo,
pretendono dalla persona che vuol mettere fine alla propria vita che questi
vada in luogo frequentato da cristiani e che ne uccida quanti più possibile,
sicuro che i sopravvissuti lo ammazzeranno.
I suicidi altruistici delle vedove indiane: fin dai tempi di Marco Polo, quando un
uomo moriva la vedova aveva il dovere di seguirlo, immolandosi, ed era
chiamata sati, sposa virtuosa, casta e fedele.
I suicidi fatalistici delle donne in Cina: la Cina è il solo Paese al mondo dove i
suicidi delle donne sono più di quelli degli uomini: è un caso unico nella
storia presente e passata. Ci si toglie la vita soprattutto nelle zone rurali, per
problemi familiari, isolamento e mancanza di istruzione. Secondo i dati
ufficiali ogni anno ci sono oltre 287mila suicidi (più della popolazione di una
città come Venezia), il 58% di donne.
Grafico dei dati Istat 2007 sul suicidio diviso per sesso. Gli uomini sono rappresentati dal
colore azzurro, le donne dal rosa. I numeri rappresentano il numero di suicidi in Italia per
anno per i maschi, le femmine ed il totale.
In Italia la regione con il numero più basso di suicidi è la Campania con 2,6 suicidi per
100.000 abitanti, e la più alta in Friuli-Venezia Giulia, (9,8 per 100.000 abitanti), nel 2007,
seguita da Valle d'Aosta (9%), Sardegna (8,9%) e Trentino-Alto Adige (8,7%). rispetto ad una
media nazionale di 5,6.
Vedi altri dati