Approfondimento in merito all’articolo di Rodolfo Rosa sull’esperimento delle due fenditure. Stefano Siccardi e Rodolfo Rosa Gentile Redazione, Prima di tutto complimenti per i “Quaderni”, sempre così interessanti e ricchi di argomenti. In particolare, ultimamente mi ha colpito l’articolo del dott. Rodolfo Rosa, apparso nel numero 1 del vol. XXXVI, sull’esperimento delle due fenditure. Sono andato a rileggermi la bibliografia citata e ho fatto qualche considerazione personale, che mi piacerebbe confrontare con l’opinione dei lettori e magari dell’autore. La parte “clou” dell’esperimento, dal punto di vista teorico, mi sembra quella riportata nella conclusione dell’articolo: “Nella loro vita, dunque, gli elettroni non s’incontrano mai. Quando uno nasce (è emesso), il precedente è già morto (assorbito). Questo è il punto essenziale. Il grande pregio dell’esperimento. Certo, gli elettroni non hanno fra loro alcuna forma di interazione nota, pure sembrerebbe che ciascuno di essi sappia che deve cooperare con chi l’ha preceduto e con quello che seguirà, al fine di riprodurre tutti insieme (quando sono alcune decine di migliaia) le figure dell’ottica ondulatoria.” Al di là dell’indiscutibile interesse teorico dell’esperimento in sé, pensavo che la stessa situazione, almeno in nuce, si ha anche in casi molto più semplici e familiari. Consideriamo, ad esempio, l’esperimento di lanciare una moneta caratterizzata dalla probabilità p di ottenere testa e 1-p di ottenere croce (possiamo supporre p=1/2 per fissare le idee, anche se non è necessario). Sia la teoria che l’esperienza ci dicono che, al crescere del numero dei lanci, il numero di teste e di croci tenderanno a diventare uguali. Proprio come nel caso degli elettroni, ogni singolo lancio della moneta non ha alcuna interazione diretta con quelli che lo precedono né con quelli che lo seguono, ma tutti insieme cooperano per ubbidire alla cosiddetta legge dei grandi numeri. Mi pare, quindi, che il paradosso sia una caratteristica di ogni fenomeno retto da una legge probabilistica, non tanto della meccanica quantistica come tale. Ma mi sembra che si possa fare un passo avanti, e localizzare meglio il punto veramente paradossale. Per spiegarmi, parto ancora da un esempio concreto. Invece della monetina, supponiamo di utilizzare un mazzo di 40 carte: le mischiamo, giriamo la carta in cima al mazzo e consideriamo “testa” se è di un seme nero, “croce” se è rossa. Poi la rimettiamo nel mazzo, lo mischiamo nuovamente e procediamo sempre nello stesso modo. Mi pare evidente che questo esperimento sia equivalente a quello della moneta e che, quindi, presenti lo stesso paradosso, se lo replichiamo un numero sufficiente di volte, per esempio centomila. Supponiamo ora di avere un mazzo di centomila carte, di mischiarlo una sola volta e di scoprire “a bocce ferme” tutte le carte: otterremo esattamente la distribuzione che ci attendiamo teoricamente, senza però incorrere in alcun paradosso. Si potrebbe obiettare che i due esperimenti sono essenzialmente diversi, in quanto l’insieme delle ripetizioni di una singola estrazione è (virtualmente) infinito, mentre un mazzo di carte, per quanto grande, è costituito da un numero finito di elementi. Ma questa obiezione è frutto di un’astrazione che potrebbe non essere lecita, in quanto anche il numero di estrazioni, per quanto grande, è necessariamente finito (alla peggio, ha come estremo superiore la durata residua della Terra!...) Quindi la caratteristica veramente interessante dell’esperimento è la sua dimensione temporale. In altre parole: la teoria dice che la dimensione tempo si comporta in modo analogo alle dimensioni spaziali. Con teoria intendo sia la legge dei grandi numeri (o teorema ergodico), sia formulazioni della fisica come la relatività di Einstein, che considera lo spazio tempo una realtà unitaria. D’altra parte la nostra esperienza soggettiva del tempo rifiuta di adeguarsi all’idea... Allora il punto è slegarsi da un concezione troppo antropomorfica del tempo, oppure c’è la possibilità di una sintesi più profonda tra i due punti di vista? Ad esempio, dobbiamo pensare che come il concetto di onda, e quindi di figure d’interferenza, oppure la media di una grandezza, hanno senso solo per un insieme di particelle e non per una particella singola, così l’asimmetria del tempo, la distinzione tra futuro e passato, siano proprietà macroscopiche, che hanno senso solo per un sistema composito? Grazie per l’attenzione e ancora complimenti per la rivista. Stefano Siccardi ************************** A questa lettera il Prof. Rosa così risponde. Gentile Sig. Siccardi, la Sig.ra Brunilde Cassoli mi ha girato la sua mail, mi permetto quindi di rispondere (almeno in parte) ai suoi interessanti quesiti. Premetto che ciò che scrivo sono considerazioni del tutto personali, buttate lì a mo' di chiacchierata. Prima di tutto, notiamo una cosa sul problema della moneta (truccata o meno, non ha importanza, come non ne ha se lanciamo una moneta N volte o N monete una volta sola, ovviamente con N molto grande). La legge dei grandi numeri si riferisce alla frequenza relativa di successi, non al numero di successi. Ossia, supponiamo che la moneta sia regolare, la frequenza relativa F del numero di teste T all'aumentare del numero di lanci N, cioè F=T/N, converge in probabilità a 0.5. A parte la questione della "convergenza in probabilità" e del suo significato non ovvio, ciò che la legge afferma non significa che il numero di teste T converga a N/2. Come dire che se si vince 1 euro con testa e si perde 1 euro con croce, dopo un numero molto grande di lanci ci si deve aspettare una vincita (perdita) ben lontana da zero. Non c'è nessuna "compensazione" che fa sì che le teste non si discostino dalle croci man mano che si lancia la moneta. Veniamo agli elettroni. Il problema non é che si distribuiscano in qualche modo sullo schermo, il problema é che si distribuiscono in quel modo. Se sparo dei proiettili su uno schermo d'acciaio con un foro, quello che vedo su uno schermo posto dietro é una distribuzione gaussiana. Così è per gli elettroni se elimino una fenditura. Non é che questo voglia dire che gli elettroni (o i proiettili) sanno che devono formare una distribuzione a campana. Ci sono precise leggi che prevedono la gaussianità della distribuzione. Il "paradosso" (paradosso dal punto di vista della fisica classica) é che con soltanto una fenditura il comportamento degli elettroni é quello delle particelle materiali (tipo proiettili); con entrambe le fenditure, la loro distribuzione non é la somma di due campane, come avviene per i proiettili se eseguo un esperimento analogo. La distribuzione che vedo (che si vede nel film) é quella dell'interferenza, fenomeno che solo le onde possono produrre, anche se gli elettroni arrivano una alla volta e anneriscono la lastra fotografica (o qualche altro oggetto sensibile) come minuscole particelle. Naturalmente, per la meccanica quantistica tutto questo é "naturale". La ricchezza dell'esperimento dei miei amici sta proprio nell'aver fatto letteralmente VEDERE per la prima volta che le frange di interferenza sono il contributo di ciascun elettrone, estremamente localizzato nello spazio. Come fa il singolo elettrone a sapere che ci sono 2 fenditure e non 1 sola, dal momento che passa in questa o in quella? E come fa a sapere che deve arrivare in punti dello schermo proibiti dalla meccanica classica, per contribuire con gli altri che sono già arrivati e che arriveranno a formare la figura di interferenza? Un altro grande pregio dell'esperimento é, ovviamente, quella di operare con fenditure 'virtuali', ossia non c'é uno schermo 'vero' (una sottile lastrina di tungsteno, per esempio) e quindi non vi é alcuna interazione meccanica tra gli elettroni e lo 'schermo'. Naturalmente ci sono molte altre cose da dire, sono stati scritti interi volumi sull'argomento. Quanto sopra é appena un'idea dei problemi sottostanti. Spero di avere aggiunto qualcosa in più su questo inesauribile argomento, ed è giusto che l'esperimento fatto a Bologna 30 anni fa sia considerato il più bell'esperimento della fisica. La saluto cordialmente Rodolfo Rosa