→→→→→→MORALE SOCIALE e DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA←←←←←← INTRODUZIONE Distinzione dei significati dei due termini I due termini sono usati solitamente come sinonimi, ma hanno due significati distinti: ○ Morale Sociale (MS) è più legata al versante strettamente teologico e quindi ai temi e ai principi, allo studiare i “mores”, le azioni dell’uomo in società, alla luce di ragione e fede. ○ Dottrina sociale della Chiesa (DSC) è invece più legata al versante magisteriale e quindi al versante storico, perché analizza come è emersa la consapevolezza di un vissuto particolare. D’ora in poi useremo i due termini come sinonimi, a meno d’indicazioni. E mentre ci siamo specifichiamo anche il significato di un terzo termine usato come sinonimo: ○ Etica sociale (ES) è più legata al versante filosofico e studia le azioni dell’uomo in società alla luce della sola ragione. La virtù cardinale che entra maggiormente in gioco nel trattare dei costumi è quella della giustizia, perché la morale sociale si potrebbe anche ridurre nel dare a ciascuno il giusto. La scienza umana che più si avvicina alla DSC è la sociologia. Inquadramento epistemologico La teologia studia: “cosa credere”, “cosa fare” , “cosa celebrare”, “cosa pregare” alla luce della ragione e della fede → La teologia morale si occupa del “cosa fare” e principio morale più generale è: “fare il bene ed evitare di fare il male” → La teologia morale a sua volta si divide in: fondamentale, che fornisce le categorie basilari della teologia morale; speciale, che tratta dei settori specifici → Una della branchie della teologia morale speciale è la teologia morale sociale. Organizzazione del corso Partiremo vedendo quale metodo utilizza la DSC (1), per passare poi alla parte storica della DSC (2) da cui emergerà la trattazione dei temi vari che sarà la parte più strettamente teologica (3). I due ultimi punti sono strettamente connessi, perché la trattazione di alcuni temi piuttosto che di altri emerge dai contesti storici in cui i cristiani si trovano a dover rispondere ai problemi nascenti. C’è quindi un’evoluzione che avviene in maniera continuativa, anche se in maniera omogenea e non dialettica, e che è dovuta al mutare delle situazioni. Pilastri, fondamenta e criterio ermeneutico-sintetico del corso La MS ha a che fare con due elementi: Vangelo (tutta la Scrittura), che i cristiani conoscono, credono e cercano di viverlo. Esso fornisce dei principi immutabili. Società, della quale siamo figli, da cui siamo plasmati, ma allo stesso tempo che plasmiamo. Essa è caratterizzata dalle situazioni mutevoli. Leggendo la Scrittura riusciamo infatti ad astrarre dei principi immutabili, ma questo avviene solo a partire dalla storia che ci provoca a ricercare delle risposte nella Bibbia, sono i problemi infatti che stimolano la riflessione. La DSC si situa a metà strada tra questi due poli, è al loro incrocio. Come far interagire questi due poli? Anche la sociologia infatti riflette sulla società a partire da dei principi: la DSC è quindi sociologia cristiana? Cosa si studia concretamente? Manca l’uomo. C’è quindi una precisa antropologia di cui bisogna tenere conto e l’antropologia cristiana fa propria la antropologia personalista (di Buber, Mounier, Maritain, Rosenzweig) che vede l’uomo come individuo in relazione. Le interazioni tra vangelo e società vanno quindi analizzate a partire dal preciso concetto di uomo come visto dall’antropologia personalista. Cosa manca ancora perché la riflessione sia veramente cristiana? La Chiesa e cioè il contesto in cui viene svolta la riflessione. Non è infatti il singolo che riflette, ma la comunità nel suo insieme che cerca di dare una risposta e di cui magari il singolo teologo è solo la punta dell’iceberg. Otteniamo così una prima definizione per cui LA DSC SI COLLOCA ALL’INCROCIO TRA I PRINCIPI IMMUTABILI DEL VANGELO E LE SITUAZIONI MUTEVOLI DELLA SOCIETÀ A PARTIRE DA UNA ANTROPOLOGIA PERSONALISTA E NEL CONTESTO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE. Definizione che può essere ben visualizzata nel seguente schema: PERSONA UMANA VANGELO (principi immutabili) DSC SOCIETÀ (situazioni mutevoli) COMUNITÀ ECCLESIALE Problema terminologico Negli anni ’60 è stata mossa una forte critica alla DSC perché teneva in poco conto le situazioni mutevoli e faceva quasi automaticamente discendere i criteri d’azione dai soli principi immutabili e si proponeva di usare piuttosto il termine di insegnamento: dottrina infatti è più legato all’aspetto teorico, insegnamento a quello pratico. DSC torna comunque in auge con Giovanni Paolo II a partire dalla conferenza di Puebla del 1979 intendendo con dottrina un sapere argomentato ed organico. Dottrina ed insegnamento sono quindi usati oggi come sinonimi. È curioso notare come praticamente solo i cattolici abbiano una DSC anche se a partire dal 2001 pure gli ortodossi russi hanno elaborato un compendio di dottrina sociale. Veloce panoramica storica Il primo documento che tratta della questione sociale è la Rerum Novarum di Leone XIII del 1891. Esso è una pietra miliare e tutti i documenti successivi fanno riferimento ad esso per i contenuti, ma a volte anche per il nome: Quadragesimo anno, Octogesima Adveniens, Centesimus Annus. Sorge però spontanea una domanda: «E fino ad allora la Chiesa non se ne era interessata?». Nella risposta si deve tenere conto di alcuni elementi fondamentali: Con quella enciclica il magistero diventa esplicito e solenne, ciò quindi significa che la Chiesa già aveva dato delle risposte, ma in maniera più frammentata e meno organica. Già i Padri tenevano omelie sui temi sociali, ma solo Origene sarà il primo a fare una riflessione sistematica “Sulla povertà”. Tutte le riflessioni sociali dei Padri saranno assorbite dalla “cristianità” che più che argomentarle le vivrà, ma il problema sorgerà proprio quando questa “cristianità” andrà disfacendosi. La società fino a metà ‘800 era stata essenzialmente statica in ogni suo aspetto e soprattutto su quello economico e poi ha inizio un grande sviluppo sì quantitativo, ma soprattutto qualitativo (come fa notare in suo saggio C.M. Cipolla). Già nel ‘300 si posero dei problemi con la nascita dei mercanti e la questione del prestito ad interesse, se cioè sia lecito o no per un cristiano fare un prestito con l’interesse. La risposta fu da subito un no secco, perché il denaro non deve generarne altro, ma deve rimanere solo merce1 e produrre solo beni come diceva il buon Aristotele. Sorge però il problema: «Se però io ti trasporto o ti tengo dei soldi corro un rischio e questo rischio chi me lo paga?» Nasce così ad esempio il concetto di “lucrum emergens”. L’economia nel suo complesso rimane comunque decisamente statica, mentre quando da metà ‘800 inizia a basarsi quasi esclusivamente sullo scambio essa diventa improvvisamente dinamica. Fino a fine ‘800 quindi i tempi di reazione erano lunghissimi, tanto che uno del 1920 viveva più o meno come uno del 1820, ma i ritmi sono poi improvvisamente accelerati. Così che la Chiesa se la prendesse con comodo era cosa normale, ma in questo caso si manifesta come la Chiesa fosse ormai scollata dalla società, perché non si era accorta che la situazione sociale era cambiata e tra i primi ad accorgersene e a prendere provvedimenti fu proprio il papa che intervenne con la suddetta enciclica. Ora invece cambiando velocemente le situazioni anche la DSC è più puntuale. Il riflettere teologico in campo sociale nasce quindi nell’ambito del magistero che è un luogo abbastanza strano! Ma la teologia del tempo era “assente”, perché l’impostazione era esclusivamente casistica, mancava di principi ed era legata esclusivamente all’individuo ed ai 1 A tal proposito si veda gli articoli del prof. Fabrizo Casazza su “Archivio Teologico Torinese” dal 2004. rapporti tra individui, ma mancava di strumenti per saper leggere le macro-relazioni, i rapporti su grande scala. La teologia era quindi inabile a discernere le questioni e ad orientare il cambiamento, ma si noti che questo deficit era un po’ di tutta la cultura europea, basti dire che fino a metà del XVIII secolo l’economia non era ancora materia a sé, ma faceva parte della filosofica morale, ed il solo Adam Smith (il padre dell’economia moderna) scrisse nel 1776 “La ricchezza delle nazioni”, anche se parallelamente (tanto per capire il tipo …) scrisse anche nel 1790 “La teoria dei sentimenti morali”2. Sarà poi Marx con “Il capitale” nel 1848 a sviluppare una riflessione che si muove con i tempi di allora, perché solo allora sorge il concetto di “luogo di lavoro”, prima si faceva tutto in casa! E dopo gli sviluppi della sua opera la Chiesa risponderà con la suddetta enciclica! Chi riassume splendidamente tutto questo in poche righe è Benedetto XVI nella sua enciclica “Deus Caritas Est” ai punti 26-27. METODOLOGIA DELLA DSC Inizia ora un cammino in cui guarderemo lo stesso oggetto da più angolature e quindi spesso ci saranno delle ripetizioni, ma fa parte del momento analitico! Seguirà poi quello sintetico. D’altronde qualsiasi cibo non si mangia tutto di un colpo, la bistecca va tagliata a pezzetti per essere assimilata, ma alla fine non si sono mangiati i pezzetti di bistecca, ma la bistecca! STATUTO EPISTEMOLOGICO DELLA DSC Innanzitutto va ribadito che la DSC appartiene: «non al campo dell’ideologia, ma della teologia e specialmente della teologia morale» (Sollicitudo Rei Socialis [SRC], 41). Quando poi la Chiesa non solo ha compiuto il movimento Vangelo → Società, ma ha ripristinato anche quello Società → Vangelo, allora si è anche andata formando la distinzione tra DSC ed MS. Il soggetto MAGISTERO È la Chiesa, la comunità cristiana e quindi l’insieme di: Insegnamento del Magistero – Riflessione dei teologi – Vissuto ecclesiale, che peraltro precede gli altri due! La teologia morale, e quindi la MS, dovrebbe essere proprio il trait VISSUTO TEOLOGIA d’union tra il vissuto ed il magistero e viceversa. Fino a Paolo VI il Magistero era identificato con il Papa, ma da quando nella “Octogesima Adveniens” disse che non si poteva dare una risposta unica per tutti, da lui in avanti, grazie anche all’esperienza del Concilio Vaticano II, prendono più importanza le chiese locali. Importanza delle Chiese locali che non va intesa però nel senso di una Chiesa vista come federazione di Chiese3, perché non si può spezzettare la dottrina della Chiesa Cattolica. È necessario invece che si attivino i teologi delle Chiese particolari: va così alimentata la “ricerca di vocazioni teologiche 4”! Nell’applicazione poi della DSC nei paesi in via di sviluppo si tenga conto della “legge della gradualità” che è fondamentale e di non scadere nella “gradualità della legge”, perché l’avvicinare a sé la meta, l’abbassare il livello della chiamata cristiana è un tradire il Vangelo: come infatti il lassismo diseduca ed illude, perché non proporziona la persona all’obiettivo, il rigorismo invece disperde ed allontana (cf Lettera ai sacerdoti di Giovanni Paolo II del 2002). Anche in questo caso quindi ciò che va incrementato è la riflessione dei teologi, l’istanza critica. Soffermandoci ancora un momento sul Magistero e sull’autorevolezza della DSC, essa sollecita un’adesione di fede in base ai livelli di prossimità al nucleo evangelico (cf LG 25). Siccome la DSC fornisce principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive d’azione l’autorevolezza in questione è soprattutto sul piano dei principi. Nelle Chiese locali è più autorevole chi rispecchia, in senso teologico, la sua Chiesa e quindi in primis il vescovo, principio di unità della Chiesa locale. 2 Egli sosteneva che noi non vogliamo solo essere amati, ma essere considerati anche amabili. Lettera della Congregazione della Dottrina e della Fede “Alcuni aspetti della Chiesa intesa comunione” del 1992. 4 Istruzione della Congregazione della dottrina e della fede “Vocazione ecclesiale del teologo” del 1990. 3 L’oggetto È la persona umana (e non il cristiano!) in ordine al suo esistere sociale, al suo essere in società. Non si può infatti ragionare “etsi Deus non daretur”, non si può esiliare la religione dalla vita pubblica. Così la via cattolica non va confusa con la “Terza Via” tra comunismo e capitalismo proposta da Anthony Giddens (cf SRC, 41), essa non è infatti un progetto tecnico e non può quindi esistere un partito che attui la DSC perché essa è legata al vissuto della gente. Ciò non vuol dire che la DSC sia irrilevante per la società, ma essa offre una progettualità sociale germinale. Il cristiano, e soprattutto il laico (cf LG 31), non sta infatti alle finestre della storia, ma è sulle strade, impegnato a cambiare la società secondo l’ottica del Regno di Dio: ecco perché Paolo VI disse che la politica è un esigente forma di carità. Questa progettualità della DSC è insita nei criteri di giudizio e nelle direttive d’azione che essa offre. I destinatari È la comunità cristiana e soprattutto i laici come si è già detto. Perciò nel trattare delle cose temporali si deve cercare sempre più il Regno di Dio, orientandole a Lui e spingendole verso di Lui, così il vissuto delle Chiese diventa un vissuto di tutta la società, di tutta la comunità civile. La DSC, come tutta la teologia, ha quindi una forte istanza profetica e di risveglio soprattutto del laicato. Finalità Essa è sempre l’ultima nell’esecuzione, ma la prima per l’intenzione. Nella DSC essa è la tutela e la promozione della persona nella società. Perciò essa ha una finalità difensiva (tutela) ed una propositiva (promozione). Questa definizione potrebbe richiamare anche la distinzione che fece Berlin negli anni ’60 tra libertà negativa (“liberi da”) e libertà positiva (“liberi di o per”). Questo quindi permette di capire che un sistema che sacrifica il tutto alla massa, cioè totalitarista o collettivista, non può andar bene, perché l’uomo: «in terra è la sola creatura che Dio ha voluto per se stessa» (GS 24) ed è questo che ne tutela la dignità, l’uomo infatti non è finalizzato ad altro. Così: «la persona umana, che di natura sua ha assolutamente bisogno d'una vita sociale, è e deve essere principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali» (GS 25). L’annuncio profetico della DSC non tenderà quindi di per sé alla cristianizzazione della società, ad una teocrazia, né porterà però ad un cesaropapismo, allo stesso tempo non deve essere una teoria irrealizzabile, deve quindi essere un “ideale-storico-concreto”. Ciò apre la finestra sulle competenze della Chiesa in materia sociale. Due sono i problemi che subito si presentano: uno esterno, il mondo che dice che la fede non deve entrare in fatti sociali, ed uno interno, coloro per cui la fede non ha impatto sociale. Va subito detto però che un cristianesimo senza socialità è snaturato perché va contro la sua logica incarnazionistica per cui “dovunque è l’uomo lì è la Chiesa”. Compito della DSC è dunque proprio quello di annunciare il Vangelo in ambito sociale, tendere ad un umanesimo plenario e la Chiesa deve intervenire per l’inscindibilità di fede e vita: da una nuova ontologia scaturisce una nuova deontologia, la grazia santificante ricevuta nella giustificazione abilita ad una nuova vita. Così una buona educazione cattolica non tende a dire ciò che uno deve fare, ma ciò che uno è in virtù della sua giustificazione. Si deve quindi sempre tenere conto della rilevanza salvifica dell’agire morale e dire che l’uomo, il cristiano, non è per il fare, ma per l’essere non va bene! Attraverso le nostre azioni infatti noi diventiamo padri di noi stessi, decidere è sempre decidersi, l’agire è importante per l’essere: se “agere sequitur esse” va anche detto che “agere constituit esse”. Una persona si costruisce infatti nell’agire, nel compiere azioni moralmente buone o cattive: dobbiamo essere persone dell’essere, ma sempre calate nell’agire. L’ordine sociale è quindi parte integrante dell’ordine morale e per questo creare un contesto buono è importante (anche se non essenziale, altrimenti cadremmo nel determinismo!) per creare buone le persone: società, economia ecc. non sono ininfluenti alla realizzazione della persona nella società. Ingiustizie, sopraffazioni ecc. non sono quindi solo anomalie tecniche, storture di struttura, ma soprattutto mali morali. Di “peccato sociale”, “strutture di peccato” si può quindi parlare, anche se sempre solo in senso analogico, perché il peccato è resta sempre personale. Fondamento teologico della DSC Su quali basi della sua fede la Chiesa si fonda per parlare in materia sociale? La sua struttura incarnazionistica, già citata. L’integralità della salvezza, perché Cristo salva l’uomo per intero, comprese le sue relazioni. Se la promozione umana non coincide con la salvezza cristiana, questa esige e sollecita la liberazione umana: la libertà umana ha bisogno di essere liberata e Cristo è il liberatore. La missione evangelizzatrice della Chiesa comporta un lieto annuncio anche per la società e quindi una visione complessiva su di essa. “Evangelii Nuntiandi” del 1974 (al n°31) ed il convegno di della Chiesa italiana a Roma nel 1976 dissero che tra evangelizzazione e promozione umana ci sono legami profondi di ordine antropologico, teologico (non si può dissociare piano creativo da quello redentivo) ed evangelico (comandamento della carità). Se quindi promuovere il bene di una persona promuove anche la società si deduce che la DSC ha valore di strumento di evangelizzazione ed il suo insegnamento fa parte dell’azione evangelizzatrice della Chiesa: non presentare la DSC vuol dire presentare un vangelo monco, impoverito, depotenziato. L’orto-prassi della fede, la fedeltà suscitata dal credere nella vita concreta. La promessa della speranza escatologica: «Noi infatti ci affatichiamo e combattiamo perché abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente, che è il salvatore di tutti gli uomini, ma soprattutto di quelli che credono» (1 Tim 4,10) METODO DELLA DSC Dopo la “natura” della DSC vediamo ora il suo modo di procedere noetico tenendo conto del linguaggio tipico della teologia che aiuta a discernere e aumenta la capacità di analisi e di sintesi. Fonti della DSC Come per tutta la teologia sono la Ragione e la Rivelazione nella sua duplice realizzazione di Scrittura e Tradizione, Tradizione il cui sviluppo omogeneo è assicurato dal Magistero. Formalità teologica Nell’ambito del conoscere quali forme usa la DSC? Qual è il suo oggetto formale? Quale è la sua angolatura con cui guarda la società? Teologica. La DSC infatti non è sociologia o filosofia, ma ragione che si lascia illuminare dalla fede. Siccome essa riguarda poi non l’uomo in sé (individuo), ma l’uomo in società (persona), la formalità della DSC è teologico-morale. Perché però se per la DSC è importante la visione antropologica, non la trattiamo in antropologia teologica o in ecclesiologia? Perché è orientamento alla prassi e quindi non ha solo un orientamento interpretativo, ma anche normativo. Perché allora non rientra nel Diritto Canonico? Perché interpella le coscienze con un’azione moraleformativa, lavora sull’intenzionalità (e non sulle intenzioni che non comprendono la globalità dell’uomo!) delle azioni: il cristiano deve sempre più far propria l’intenzionalità di Cristo. Scansioni della DSC Riflettere – Interpretare – Orientare o Principi di riflessione – Criteri di giudizio – Direttive d’azione o Vedere – Giudicare – Agire. Si tenga poi da conto che lo specifico della morale cristiana non è l’essere un complesso normativo supplementare o parallelo a quello umano, ma la risignificazione alla luce della fede di tutta la morale umana. La DSC quindi non deriva direttamente dal Vangelo, ma è la risposta alle “emergenze” storico-sociali. Essa si pone sempre sul piano della “informazione” più che dell’imposizione. Le norme morali poi valgono nello “ut in pluribus” dei casi, perché essendo universale la norma morale non prevede tutti i casi, tutte le situazioni possibili ed immaginabili. Esiste quindi una virtù che consente di applicare la legge al caso particolare, come la applicherebbe il legislatore stesso se fosse presente in quella situazione: essa è l’epikeia greca è l’aequitas latina. In morale sociale si procede analogamente (e quindi non identicamente!) perché l’applicazione di un principio può variare a seconda delle situazioni in cui ci si trova. I tre momenti possono quindi anche essere chiamati: Meta-etico-fondativo (antropologia biblica) Etico-direttivo (norme regolatrici) Prudenziale-deliberativo (coscienza) Ruolo della cultura rispetto alla DSC La filosofia è importante per il concetto di persona e poi molte verità della DSC, come per tutta la teologia, hanno una base filosofica, perciò la filosofia è distinta da essa, ma non ne è esclusa. Anche le scienze sono d’aiuto, perché la DSC ne utilizza gli apporti. Allo stesso tempo anche le scienze traggono dei benefici, così l’economia si sta accorgendo che ciò che è moralmente illecito è anche economicamente improduttivo. La DSC deve procedere quindi con un metodo inter-disciplinare (CA n°59) per aderire alla realtà effettiva e per non venir meno alla sua logica incarnazionistica. E poi le scienze più che riempire il mistero del cuore dell’uomo lo dilatano (cf OA 59) così la DSC aiuta ad andare oltre: il determinismo (la persona è sempre più di ciò che dicono le scienze), l’immanentismo (l’esserci di una persona non è il comportarsi tout-court dell’umanità), il totalitarismo (che fa di una verità parziale una verità assoluta). Ci vuole perciò interazione tra DSC e scienze perché queste spingono la prima a calarsi nella realtà ed essa apre le scienze ad un orizzonte di senso e di valori. Perciò il metodo ha una dimensione: Teoretica, perché ha una serie di principi Storica, perché esamina la realtà sociale Pratica, perché orienta all’azione La DSC usa allora un metodo induttivo o deduttivo? Tutti e due perché quello deduttivo parte dal Vangelo e quello induttivo dalla Società e la DSC è all’incontro dei due! È quindi fondamentale la mediazione storica, perché la storia è il luogo dove la verità interpella attivamente ed efficacemente l’uomo che assimila questa verità. La Chiesa accompagna così l’umanità nella realizzazione di quelle cose che tutti desiderano e quindi verità e storia vanno sempre tenute insieme. In quest’ottica poi come si collocano continuità e rinnovamento? La continuità della DSC sta nei principi, il suo rinnovamento sta nella risposta alle varie situazioni e così ci si ricollega all’inizio con la DSC all’incrocio tra Vangelo e Società. PARTE STORICA E TEMATICHE VARIE DELLA DSC Facendo un rapido scorso (riferendosi a “Dottrina Sociale” – H. Carrier – Ed. San Paolo): - Già nel testo “A Diogneto” infondo ci sono le fondamenta della DSC quando dice che i cristiani sono come l’anima del mondo, sono nella realtà, ma non se ne lasciano assorbire, portando quindi in essa una carica profetica, un senso di ulteriorità. - Tra i Padri ne spiccano alcuni (Clemente Alessandrino, Origene, Crisostomo, Agostino ecc.) che affrontano le tematiche della giustizia, della ricchezza ecc. - I principi cristiani iniziano così ad influire sulla società ed addirittura sui codici legislativi: codice di Giustiniano (529), decreto di Graziano (1140) e le decretali di Gregorio IX (1338). - Con l’affermarsi dei mercatoresi sorgono nuovi problemi legati alla compravendita ed ecco che alcuni teologi ne trattano: san Tommaso d’Aquino nel ‘200, mentre tra il ‘300 ed il ‘400 spicccano sant’Antonino di Firenze (che per molti, fu il primo ad avere una visione globalesistematica dei processi economici) e san Bernardino da Siena (che ne tratta però non in maniera sistematica, ma nelle sue celebri omelie). - Nel 1462 Pio II definisce il commercio degli schiavi come “Magnum scelus”, cioè come grande crimine. - La scoperta5 dell’America e la seguente colonizzazione pongono nuovi problemi che affrontarono brillantemente tra il ‘400 ed il ‘500 Francisco de Vitoria e tra il ‘500 ed il ‘600 lo Suarez ed il Bellarmino. - Con l’industrializzazione dell’800 chi se ne accollò da subito i relativi problemi furono don Bosco con le sue riflessioni, Frederick Ozanam (fondatore della San Vincenzo) e Giuseppe Toniolo (fondatore della Rivista Internazionale delle Scienze Sociali). Pionieri della riflessione sociale fuorono il vescovo Ketteler, il card. Manning ed il card. Gibbons. È significativo distinguere tra “scoperta” ed “approdo”, perché se forse è vero che furono i vichinghi ad approdare in America, solo con Colombo questo “approdo” provoca trasformazioni culturali, sociali ed economiche. 5 Questo veloce scorcio alla storia serve per vedere che i cristiani non stettero proprio a guardare da spettatori lo sviluppo della società. Vediamo ora lo sviluppo della Dottrina sociale della Chiesa: “Mirari Vos” di Gregorio XVI (1831 – 1846), edita nel 15 agosto 1832. Scritta per contrastare le idee del Lamennais, cattolico-liberale, direttore del quotidiano cattolico “L’Avvenir” e che il papa bolla di “indifferentismo”. É curioso notare come il papa dica che sia oltraggioso proporre un aggiornamento della Chiesa, che è proprio ciò che farà Giovanni XXIII e più avanti condanna la libertà di coscienza che già il Lateranense IV nel 1215 difese! Tutto ciò va visto tenendo conto del contesto, calandolo nei subbugli dell’epoca. Come mai quindi il papa bolla la libertà di coscienza? Si capisce che questa domanda è strettamente legata all’indifferentismo, corrente che sosteneva l’indifferenza nel perseguimento del bene di quale religione si praticasse. Perciò la libertà di coscienza che viene condannata è quella per cui è la coscienza ad autodeterminarsi, a creare i valori ed è giusto condannarla perché la coscienza va formata proprio nel confronto con i valori, non deve essere lasciata allo stato brado. “Quanta Cura” di Pio IX (1846 – 1878), edita nell’8 dicembre 1864. Il bersaglio questa volta è il naturalismo, una corrente che vuole emarginare la religione dalla società o che comunque vuole che essa non abbia alcun impatto su di essa. Essa presenta molti spunti lungimiranti e profetici perché tocca tra gli altri i problemi dei diritti umani, anticipando ciò che dirà poi Giovanni Paolo II nell’Evnagelium Vitae per cu spesso vengono reclamati come diritti azioni che sono dei delitti (cf EV 4 e 18). Cosa vuole dire infatti “essere per i diritti umani”? Dove li si fonda questi diritti? L’ultimo in termini di tempo è ad es. il rapporto tra diritti umani e sicurezza e quindi ci sono dei pericoli che possono permettere di mettere i diritti umani tra parentesi (vedi Guantanamo)? Pio IX dice che se si toglie l’aspetto trascendente si rimane alla legge della giungla e si afferma non tanto la forza del diritto, quanto il diritto della forza. Egli si scaglia poi contro comunismo e socialismo, ideologie per cui lo stato è fonte del diritto e che Pio XI designerà come satanico flagello. Ma qual è la differenza tra comunismo e socialismo? Per entrambe la proprietà privata non esiste, ma mentre il primo vuole raggiungere questo obiettivo attraverso l’insurrezione e la rivoluzione, il secondo vuole arrivarci attraverso una politica di riforme. Per essi poi la famiglia è un’invenzione del diritto, ma Pio IX dice che non è così. 6 Questi punti toccati da Pio IX si vedono anche nel Compendio della DSC (CodDSC), a riprova che bisogna sapere cogliere sotto il linguaggio i valori proposti. Al n°153 dice che lo stato non è la fonte dei diritti, ma esso li riconosce solamente e per riconoscere ciò non bisogna essere credenti, basta l’uso della sola ragione! E questi diritti sono universali, inviolabili ed inalienabili. Al n° 154 parla invece dell’universalità ed indivisibilità dei diritti umani. Al n° 214 si dice che la famiglia viene prima dello stato, sia a livello logico, cronologico e assiologica: non è la famiglia per lo stato, ma lo stato per la famiglia. 7 Da questi documenti si vede quindi come: - va emergendo la figura del papa come punto di riferimento e di unità per il movimento cattolico, anche perché i teologi non sono attrezzati per leggere i cambiamenti; - la Chiesa nei primi dell’800 da un lato si sente accerchiata e dall’altro sta cercando nuove forme per guidare la società e così per parlare a tutti inizia ad usare nei suoi documenti anche della legge naturale e cioè di ciò che si può cogliere anche con la sola ragione; Per quanto riguarda la società si giunge all’età d’oro del capitalismo, la rivoluzione industriale, che coincide però con un’epoca di miseria a livello sociale: lavoro per quindici ore, lavoro minorile ecc. Per i liberisti lo stato non deve intervenire in tutto ciò che riguarda l’economia. Il cattolicesimo inizia così a confrontarsi anche con questi problemi sociali emergenti e nasce il cattolicesimo sociale, ramo del movimento cattolico che cerca di prevenire le situazioni di disagio, mediante riforme strutturali della società. In questo quadro Leone XIII (1878 – 1903) dona alla Chiesa l’enciclica Rerum Novarum che risponde al problema della questione operaia che nasce nel conflitto tra il capitale ed il lavoro: 6 7 Con questo simbolo indico gli approfondimenti tematici che richiamano il Compendio della DS C Con questo simbolo indico i momenti invece in cui si fa il punto della situazione con questa enciclica il papa fa capire che la questione operaia è IL problema del momento. La soluzione socialista non è buona, perché fomenta l’odio, ma soprattutto perché: - Abolisce la proprietà privata ed impedisce così agli operai di sviluppare le proprie potenzialità, sviluppo possibile solo attraverso l’acquisto di proprietà. La proprietà privata è difatti un diritto naturale di tutti ed è quindi la terra che garantisce in modo stabile il soddisfacimento dei bisogni, tanto che semplificando si potrebbe dire che per il papa quando ognuno ha un pezzo di terra, è garantita la pace sociale. - Non tiene conto della religione e della Chiesa, tanto che sempre semplificando si potrebbe dire che per il papa il motto è: più religione per tutti comporta più giustizia sociale. Egli dice poi che è impossibile togliere le disparità sociali ed elenca una serie di doveri: ○ Gli operai devono rispettare i contratti liberamente ed equamente pattuiti e non devono scioperare, perché così si minano le condizioni per un dialogo corretto. ○ I padroni non devono sfruttare gli operai e non devono esporli a scandalo (perciò creare ambienti sani a livello morale) e devono permettere di adempiere i doveri di religione. Non devono inoltre imporre lavori sproporzionati all’età ed al sesso. ○ I ricchi sono ministri della Divina Provvidenza, perciò se hanno di più devono dare ai poveri, non per giustizia, ma per carità. ○ Lo stato deve contribuire: alla tranquillità pubblica, a tutelare la proprietà privata, al giusto salario (e cioè ad una quantità sufficiente per il sostentamento minimale dell’operaio e della sua famiglia più una piccola somma sufficiente all’acquisto di una piccola proprietà), al riposo festivo. Il concetto di tempo libero non è ancora venuto fuori e ce lo avevano solo i ricchi per cui la vita era tempo libero ed è curioso constatare come oggi per la maggior parte delle persone, sia vita solo il tempo libero! ○ Sì ad associazioni di operai il cui scopo principale è il perfezionamento religioso e morale. Quale vie nuove apre la Rerum Novarum? Coscienza nuova della questione operaia. Consapevolezza che l’economia va subordinata alla morale, così ad es. il giusto salario è tale perché è pattuito e perché rispetta il lavoro ed il suo protagonista che è la persona umana. La dignità del lavoro rispecchia la dignità della persona. Lo stato deve intervenire nella questione sociale perché fa parte delle sue finalità interessarsi al bene comune, tutelare i deboli e togliere le cause del disagio. Non solo più le corporazioni, ma anche le associazioni operaie sono necessarie e legittime, tenendo ben presente che la loro finalità principale è il perfezionamento morale e religioso. Il papa cerca una giustificazione filosofica e teologica in modo sistematico per fondare l’impegno della Chiesa in campo sociale anche se lo fa con un metodo che parte dai principi immutabili del diritto naturale, da cui deduce il modello di società e di comportamento. Limiti delle Rerum Novarum: Disinteresse per le scienze positive e storiche e quindi del metodo induttivo. Conseguentemente i laici devono solo eseguire, calare nella loro vita questi principi. Il concetto di giustizia non è ancora riferito anche al livello sociale in quanto tale, ma solo al livello interpersonale e così non si denuncia il sistema capitalista in quanto tale, ma si addebitano le storture del capitalismo al peccato. Certo è anche questo, ma non solo! Leone XIII consacra quindi il cattolicesimo sociale, ma in un’ottica di riformismo sociale. Da Leone XIII a Pio XI che nel 1931 riprenderà i temi della questione sociale c’è poca produzione di testi. Ciò è dovuto al fatto che gli stati sono intervenuti sulla questione sociale e quindi essa non è più IL problema. I problemi su cui la Chiesa è ora concentrata sono altri: - Il nazionalismo, movimento che nasce dalla degenerazione dell’ideale di nazione che viene elevata ad oggetto di culto e che trasforma il giusto amor di patria in culto della patria. Ogni nazione si sente investita di una missione divina ed i rapporti tra loro diventano conflittuali. - Il totalitarismo, movimento per cui il cittadino esiste in funzione dello stato da cui riceve vita, dignità e diritti: lo stato è il tutto. Lo stato totalitarista è anche nazionalista. Soprattutto quest’ultimo nasce in reazione allo stato liberale, sorto in conseguenza alla rivoluzione francese, che vedeva invece lo stato in funzione del cittadino. Se il limite di questo è la tendenza all’individualismo e all’assenza di solidarietà, il limite del totalitarismo è la tendenza al sacrificare il singolo alla comunità. Di fronte agli stati totalitaristi la Chiesa dapprima mostra simpatia, ma poi negli anni ’20-’30, quando si prende coscienza delle vere intenzioni, arriva la posizione ostica soprattutto contro il totalitarismo socialista perché marcatamente ateo, mentre con gli altri si cercherà la mediazione attraverso i concordati con il sogno di poter restaurare la cristianità. In questo contesto ecco l’elezione di Pio X (1903 – 1914) il cui motto è “Instaurare omnia in Christo” e il cui ministero è tutto teso a riportare l’unità tra i cattolici perché la Chiesa possa riassumere il suo ruolo di guida. Ciò persegue portando tutte le associazioni cattoliche sotto il governo della Chiesa ed organizzando il laicato nell’Azione Cattolica, vista come milizia del clero nell’azione evangelizzatrice e civilizzatrice del mondo. Dopo di lui ecco Benedetto XV (1914 – 1922) che sprona i cattolici a prendersi le loro responsabilità e che si trova a dover affrontare la spinosa questione della guerra che affronta: o Nella “Allorché fummo chiamati” del 28 luglio 1915, che è un’esortazione ai popoli belligeranti ed i loro capi, con parole lungimiranti e profetiche dice: «Né si dica che l’immane conflitto non può comporsi senza la violenza delle armi. Depongasi il mutuo proposito di distruzione; riflettasi che le Nazioni non muoiono: umiliate ed oppresse, portano frementi il giogo loro imposto, preparando la riscossa, trasmettendo di generazione in generazione un triste retaggio di odio e di vendetta» infatti nel trattato di Versailles che seguirà la fine della guerra la Germania sconfitta verrà schiacciata e proprio questo sarà uno dei fattori della veloce ascesa di Hitler! Morale di don Fabrizio: mettere la gente con le spalle al muro oltre che ad essere evangelicamente errato non è neanche politicamente valido, perciò va bene vincere, ma guai a voler stravincere! Egli più avanti poi dice che: «L’equilibrio del mondo e la prospera e sicura tranquillità delle Nazioni riposano sulla mutua benevolenza e sul rispetto degli altrui diritti e dell’altrui dignità assai più che su moltitudini armati e su formidabili cinta di fortezze»! o Ne “Dès le début” del 1° agosto 1917, rivolta ai capi dei popoli belligeranti, alza «nuovamente il grido di pace» e lo fa volendo: «discendere a proposte più concrete e pratiche», così egli propone che: «sottentri alla forza materiale delle armi la forza morale del diritto»; «si tolga ogni ostacolo alle vie di comunicazione»; «quanto ai danni e spese di guerra, non scorgiamo altro scampo che nella norma generale di una intera e reciproca condonazione»; «questi accordi pacifici … non sono possibili senza la reciproca restituzione dei territori attualmente occupati», ma «per ciò che riguarda le questioni territoriali … giova sperare che … le parti contendenti vorranno esaminarle con spirito conciliante, tenendo conto, nella misura del giusto e del possibile … delle aspirazioni dei popoli e coordinando, ove occorra, i propri interessi a quelli comuni del gran consorzio umano». Infine arriva a definire la guerra come una: «inutile strage». o Al termine della guerra ecco nel 23 maggio 1920 l’enciclica “Pacem Dei munus”, pur raggiunta la cessazione delle ostilità infatti «restano tuttavia i germi di antichi rancori», perciò sono necessari «una riconciliazione basata sulla carità vicendevole» ed un «perdono delle offese». Compito della Chiesa di fronte ad un quadro così desolante è quello di essere come il buon Samaritano e avere così «tali tenerezze di amore per il prossimo, che per tutti i vari morbi che travagliano l’anima col peccato, ha pronta ogni specie di medicina». Compito dei sacerdoti è quello di «essere ministri di pace, affinché siano assidui in questo che è il compendio essenziale della vita cristiana, cioè nell’inculcare l’amore verso quei prossimi, anche se nemici» e lo stesso vale per giornalisti e scrittori. Il Papa poi inizia a ragionare in termini globali e dice che «non è affatto diversa la legge evangelica della carità tra gli individui da quella che deve esistere tra gli stati e le nazioni … si va delineando un collegamento universale di popoli». E per formare questa futura società delle genti «è di stimolo, per tacere molte altre considerazioni, il bisogno stesso generalmente riconosciuto, di ridurre, se non è dato di abolire, le enormi spese militari che non possono più oltre essere sostenute dagli stati». Il papa ricorda poi come sia essenziale per la formazione di questa nuova società il ruolo della Chiesa che «per la sua stessa essenza e finalità è di una meravigliosa efficacia ad affratellare fra loro gli uomini, non solo in ordine alla loro eterna salvezza, ma anche al loro benessere materiale» come già è successo con l’Europa «la quale sotto la guida e l’auspicio della chiesa, mentre conservò a ciascuna nazione la propria caratteristica, culminò in una compatta unità, fautrice di prosperità e grandezza». In continuità con Benedetto XV, per Pio XI (1922 – 1939) la Chiesa è l’unica in grado di condurre alla salvezza e di indicare i principi per un giusto ordine sociale: la fonte di tutti i mali infatti è da ricercare nell’allontanamento da Dio e quindi la crisi che si viveva era soprattutto morale, ma siccome nelle questioni morali solo la Chiesa è competente, ne consegue che solo la Chiesa può risolvere la questione sociale. È quindi fondamentale instaurare la coscienza del Regno in persone, famiglie e stati secondo la logica del suo motto “Pax Christi in Regno Christi”. In questa missione i laici non sono visti come forze ausiliarie, ma come collaboratori delle opere di apostolato cosicché lo strumento principale per il raggiungimento del suo fine sarà l’Azione Cattolica sotto la guida della gerarchia ecclesiastica ed il forte accentramento nella Santa Sede, della serie “uniti per vincere”! Viene quindi cancellata ogni forma di aconfessionalità nell’associazionismo dei cattolici, come Benedetto XV invece in alcuni casi permetteva, e quindi non ha senso la costituzione di un partito “di cristiani” come voleva don Sturzo, ma solo di un partito “cristiano”. Ed ecco quindi la Quadragesimo Anno, dove non tratta solo più della questione sociale, ma come è ovvio si concentra di più sul nuovo ordine sociale visto che proprio in quegli anni c’era stato il grande crack a New York, il nazionalsocialismo emergeva in Germania ecc. o Egli inizia quindi, dicendo che la Rerum Novarum è la Magna Charta dell’agire sociale della Chiesa e ribadisce subito che la proprietà priva ha un carattere individuale e sociale. o Se Leone XIII parlava di salario giusto ed equo, Pio XI propone un “contratto di stato” di modo che esso garantisca il bene della famiglia, ma anche quello economico dell’azienda che altrimenti collasserebbe. o Al n° 76 poi si parla dell’importanza del rapporto tra salari e prezzi. o Al n° 77 si parla della necessità della restaurazione dell’ordine sociale. o Al n° 80 enuncia l’importantissimo PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ e propone uno stato corporativo, formato cioè da corporazioni regolate non dallo stato, ma da regole interne. o L’economia di mercato in sé non è viziosa, ma poche potenze si sono assunte tutto. o Se il comunismo è empio e perverso, il socialismo si avvicina un po’ alla tradizione cristiana, ma non si può comunque scendere a patti con esso, perché il cristianesimo non può venire a patti con alcun tipo di errore. Il papa dice poi che molti operai vanno comunque da loro e perché molti si dicono cattolici solo per opprimere i più deboli, ecco perché l’unico modo per mettere tutto a posto è la restaurazione sociale e morale. Oltre al concetto di giustizia sociale e di bene comune la novità di questo testo è che la DSC è in fondo presentata come la terza via tra socialismo e liberalismo e la società è quindi vista come il luogo di applicazione dei principi cristiani e del diritto naturale e non d’altronde un caso che sia stato Pio XI ad istituire la Solennità di Cristo Re: se da un lato egli comprende che la società sia l’intreccio di problemi complessi egli pensa che tutto sia risolvibile cristianizzandola e lo stato in questo processo di instaurazione del Regno di Cristo ha un ruolo puramente esecutivo. Il principio di sussidiarietà è trattato nel CodDSC dal n° 185 al 188 ed in sintesi dice che se una cosa la può fare il singolo non la deve fare lo stato ed ogni eccessivo accentramento comporta burocrazia eccessiva ed assistenzialismo e quindi va contro il principio di sussidiarietà. Su questo punto è ovviamente carente l’ideologia totalitarista, perché lo stato è visto come ente che faccia da supplenza solo in casi eccezionali, anche se il bene comune rimane comunque il criterio di discernimento principale. Vale la pena poi notare la posizione che Pio XI tenne durante i movimenti che preparano lo scoppio della seconda guerra mondiale. Innanzitutto la sua enciclica “Noi non abbiamo bisogno” contro il fascismo e poi le tre encicliche che scrisse nel giro di tredici giorni: ○ “Mit brennender sorge” (Con viva ansia, 14 marzo) scritta contro il nazismo; ○ “Divini Redentoris” (19 marzo) contro il comunismo definito satanico flagello e dottrina intrinsecamente perversa per la quale: esiste solo la materia di cui l’uomo è una parte e che è in continua evoluzione dialettica; non esiste Dio; non esiste l’anima spirituale; non esiste una vita trascendente; il processo di proletarizzazione della società va aiutato esasperando la lotta di classe attraverso i conflitti armati. E comunque è stato il liberalismo a spianargli la strada perché ha scristianizzato la società. ○ “Nos es muy conocida” (28 marzo) contro la massoneria ed il socialismo messicani che fecero molti martiri detti i “cristeros” perché morirono al grido di “Cristo Re”. Pio XII (1939 – 1958) continua l’opera del suo predecessore di cui era stato segretario di stato. È un diplomatico ed il suo linguaggio è quindi molto ampolloso. Egli fa esperienza personale sia del nazismo che del comunismo e proprio su questa esperienza fonda la sua avversità per il comunismo. Era una personalità forte che non aveva bisogno di collaboratori, ma di esecutori. Uomo di una cultura straordinaria e di una preparazione mastodontica. Trattando subito dei suoi “silenzi”, il primo a tirarli fuori fu uno spettacolo teatrale del 1963! Subito dopo la guerra infatti il primo ministro di Israele ringraziò pubblicamente Pio XII, il quale intervenne anche con un proclama già nel 1942, ma siccome ad esso successe un rastrellamento di ebrei tra cui anche molti ebrei convertiti al cristianesimo, i vescovi stessi gli chiesero di evitare di parlare! La sua vita si può suddividere, per quanto riguarda il magistero sociale, in quattro fasi: o Dal 1939 al 1945: seconda guerra mondiale. Già durante la guerra egli diede le linee per la ricostruzione perché già sapeva che le guerre prima o poi finiscono. Ciò, dice don Fabrizio, dovrebbe ricordarci che non bisogna aspettare sempre che le cose scoppino per agire, ma bisogna prepararsi sempre prima! o Dal 1946 al 1949: lotta contro il comunismo. Egli chiama tutti i cristiani alla mobilitazione generale per la restaurazione della civiltà cristiana ed interessante fu ad esempio il messaggio per la Pasqua del 1948 dove scendendo tranquillamente in piazza disse «o per Dio o contro Dio!». I toni a noi sembrano strani, ma la situazione era veramente drammatica, un po’ perché i comunisti erano veramente antiecclesiastici ed anticlericali ed un po’ perché si vedevano già i primi risultati nei paesi dell’est! Il papa fa quindi da collante del movimento cattolico, perché esso arrivi compatto alle elezioni. o Dal 1950 al 1956: modernizzazione e sogno di una società cristiana riunita intorno al papa con il trionfo della Chiesa presagito dal Giubileo del 1950 e dalla Peregrinatio Mariae, dalla nascita dello sport cristiano ecc. Ecco allora che: - I laici, quasi ministri di Cristo, sono impegnati nella vita sociale e devono avere un’obbedienza filiale alle direttive della gerarchia per trasformare il mondo da selvatico in umano e da umano a cristiano, per arrivare ad un mondo migliore. Tematica quest’ultima che voleva essere una risposta ed un tentativo di indirizzare le spinte di rinascita che venivano dal basso, come oggi che la Chiesa Italiana spingono sulla speranza visto che la società è sempre più depressa. Si tende così ad un nuovo ordine cristiano in un nuovo ordine democratico, dove la frase simbolo è «non lamento, ma azione è il precetto dell’ora» come disse nel 1952. E in tutto questo movimento si tende ad un indissolubile unità di pensiero e di azione intorno al custode delle somme chiavi. - Inizia l’espressione dell’insofferenza al comunismo in forme messianiche ed apocalittiche, facendo una lettura ideologica (in parte giustificata) degli avvenimenti. - Visto il nuovo ordine mondiale che va profilandosi e la caduta dei colonialismi ecco la nascita dei “fidei donum” per aiutare i cristiani ad infiltrarsi in ogni ganglio della società mondiale, in filiale adesione al sommo pontefice. - Rendendosi conto della fase di automazione delle industrie capisce che il lavoro umano deve diventare sempre più intellettuale, elemento quest’ultimo che contribuisce all’auspicio di una nuova primavera cristiana. o Dal 1956 al 1958: fase in cui egli rimane disorientato di fronte al cambiamento della società ed al dilagare non tanto del cristianesimo quanto del consumismo. Elementi della DSC che emergono dal suo ministero: Priorità della persona umana e sua centralità nell’economia Destinazione universale dei beni della terra come vero diritto Proprietà privata come valore etico L’ideale di una società cristiana Sforzo di presentare la Chiesa come partner nella ricostruzione Importante per la DSC sarebbe il discorso di natale alla radio nel ’44, ma noi vediamo solo quello che fece nel ’41 in occasione dei cinquant’anni dalla Rerum Novarum in cui dice che: - La Chiesa ha diritto di esprimere le proprie idee sulla società. - Osservazione dei benefici effetti della Rerum Novarum. - La ricchezza di un popolo non è solo l’aumento del reddito, ma se questo è presupposto ed aiuto per uno sviluppo personale integrale. - Il lavoro è indicato come personale, cioè svolto nella libertà e nella responsabilità e coinvolgendo intelligenza e volontà, e necessario, perché senza di esso non si può vivere. - Il diritto – dovere del lavoro è dato dalla natura. - La proprietà privata è per la famiglia garanzia di potersi sviluppare. Lentamente quindi la Chiesa, soprattutto sotto gli impulsi dell’area francofona, si sposta da un’ottica di cristianità, atteggiamento integralista che tendeva alla trasposizione dei valori cristiani nell’ambito del vivere civile, ad uno d’evangelizzazione, illuminando cioè la vita sociale con la luce del Vangelo, lasciando così che essa rimanga in continua trasformazione. Contemporaneamente negli anni ’60 parte anche il processo di decolonizzazione da parte dei popoli europei e si vedono i primi segnali di disgelo tra Russia e USA ecc. Era insomma una fase di generale speranza ed euforia un po’ in tutti i campi ed in tutti i settori. D’altronde è ormai anche psicologicamente provato che la fiducia nel futuro è un elemento essenziale per il rilancio della società e dell’economia, non per niente Giovanni Paolo II esordì nel suo pontificato con il detto “Non abbiate paura”: la paura blocca, la fiducia apre! Giovanni XXIII (1958 – 1963) si presenta in questo contesto con un bagaglio culturale che lo aiuta ad essere molto attento, sensibile al cambiamento ed aperto alle novità: nato da una famiglia bergamasca patriarcale contadina → diventa prete → si sposta a Roma → cappellano militare → segretario del vescovo → diplomatico in Bulgaria, poi in Turchia e poi a Parigi → patriarca di Venezia. Non era quindi uno sprovveduto ed un ingenuo come molti lo fanno passare e punti essenziali e salienti del suo pontificato sono: o Per lui il Papa è il Buon Pastore. o Vuole il Concilio Vaticano II proprio contro l’ingessamento della Chiesa, perché la semplice condanna degli errori non porta a progressi e così propone il dialogo, l’uso cioè di un linguaggio nuovo per esporre l’antica dottrina. o È il propugnatore della Chiesa nella storia che deve essere attenta ai segni dei tempi. Ecco allora nel 1961 l’enciclica “Mater et Magistra” in cui si va subito notato che se egli usa quasi tutti i temi dei suoi predecessori, non parla comunque mai di restaurazione della civiltà cristiana! Il linguaggio che egli usa è semplice, colloquiale e alla portata di tutti. Vediamola: ○ Dopo un breve richiamo ai compiti della Chiesa, si parte subito con il richiamo alla Rerum Novarum che è vista come la Summa del cattolicesimo in campo sociale e che ne detta i principi basilari e fondamentali (n° 6-16), per vedere poi gli sviluppi avuti con Pio XI (n°1727) e Pio XII (n° 28-33). Egli però fa poi notare (dal n° 34) che ora sono intervenuti ulteriori mutamenti avvenuti in ogni campo: scientifico-tecnologico (energia atomica, comunicazioni più rapide, sbarco sulla luna ecc.), sociale (progressivo elevarsi dell’istruzione di base, ○ ○ ○ ○ ○ ○ crescente squilibrio tra agricoltura ed industria ecc.), politico (forte partecipazione alla vita pubblica ed apparizione di nuovi orgnanismi mondiali). In tutto questo contesto il motivo dell’enciclica è quello di ribadire i principi della Chiesa ed enuclearli ulteriormente in ordine ai principali problemi del momento. La seconda parte inizia ribadendo subito che «il mondo economico è creazione dell’iniziativa personale dei singoli cittadini, operanti individualmente o variamente associati per il perseguimento di interessi comuni» (n°39). Affermazione questa che è indirettamente contrastante con l’allora imperante naturalismo economico per cui la vita economica è regolata da leggi naturali che costituiscono per altro anche la persona umana. L’apporto economico dei cittadini e dello stato deve essere «simultaneo, concordemente realizzato,secondo proporzioni rispondenti alle esigenze del bene comune» (n°43), perché dove manca l’apporto dei primi vi è tirannide politica e ristagno dei settori economici e dove manca l’apporto del secondo vi è disordine insanabile e sfruttamento dei deboli. «Per bene comune si intende l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alla collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente» (GS 26 e DSC 164). Non è quindi solo somma del bene dei singoli (liberalismo) e neanche bene della comunità intesa come massa (socialismo). Secondo lo schema per cui dopo il metodo c’è l’analisi e poi la sintesi, egli passa a dire che uno degli aspetti più caratteristici di quel tempo era la socializzazione (n° 45) che il papa vede come riflesso e causa di un crescente intervento dei poteri pubblici. Da un lato esso è positivo perché permette di soddisfare molti diritti della persona, soprattutto in campo economico-sociale, e permette alle singole persone di prender parte alle vicende umane su raggio mondiale. Dall’altra però si rischia un restringimento del raggio di libertà nell’agire dei singoli esseri umani troppo influenzati dagli impulsi esterni. Tenuto conto di ciò la socializzazione va quindi incentivata e purificata per tenerne gli aspetti positivi e scongiurare o comunque contenere quelli negativi. Egli interviene poi anche sulla questione della remunerazione del lavoro (n°56) che «non può essere interamente abbandonata alle leggi di mercato, come non può essere fissata arbitrariamente; va invece determinata secondo giustizia ed equità» (n° 58) Il che implica che ai lavoratori sia corrisposta una retribuzione che consenta un tenore di vita veramente umano, ma allo stesso tempo si tenga conto del loro effettivo apporto nella produzione e alle condizioni economiche delle imprese e alle esigenze del bene comune locale ed universale. Ne «consegue quindi che la ricchezza economica di un popolo non è data soltanto dall’abbondanza complessiva dei beni, ma anche e più ancora dalla loro reale ed efficace ridistribuzione secondo giustizia» (n° 61→Concetto che verrà approfondito in Pop. Progr.) «La giustizia va rispetta non solo nella distribuzione della ricchezza, ma anche in ordine alle strutture delle imprese in cui si svolge l’attività produttiva» (n° 69), perciò «le strutture, il funzionamento e gli ambienti di un sistema economico non devono mai essere tali da compromettere la dignità umana di quanti vi esplicano le proprie attività» (n°70) Si deve sempre più tendere a far sì che l’impresa diventi una comunità di persone (Concetto che verrà approfondito in Cent. Annus) tenendo sempre a mente che il senso del lavoro è sì quello di creare reddito, ma anche di adempiere un servizio alla comunità ed i collaboratori non sono solo silenziosi e semplici esecutori, ma devono fare le cose in modo umano e quindi con libertà, consapevolezza e responsabilità. Si ribadisce poi anche nelle nuove condizioni di lavoro in cui spesso il proprietario dei beni (capitalista) non è colui che dirige concretamente l’azienda (imprenditore) ed il controllo pubblico si fa quindi più difficile, l’importanza della proprietà privata (n° 91) vista sempre e comunque come diritto naturale secondario «fondato sulla priorità ontologica e finalistica dei singoli esseri umani nei confronti della società» (n° 96) ○ Nella terza parte si passa ad analizzare i nuovi aspetti della questione sociale iniziando con la necessità di giustizia in ordine ai rapporti tra settori produttivi (n° 111) perché lo strapotere dell’industria rispetto all’agricoltura provoca peraltro grossissime migrazioni. ○ Egli pone all’attenzione di tutti l’importanza di un’azione di riequilibrio e di propulsione delle zone in via di sviluppo, il problema grosso infatti è che «tra i cittadini appartenenti alla stessa comunità politica non è raro che esistano accentuate sperequazioni economicosociali, dovute soprattutto al fatto che gli uni vivono e operano in zone economicamente più sviluppate e gli altri in zone economicamente meno sviluppate. In tale situazione, giustizia ed equità, esigono che i poteri pubblici si adoperino perché quelle sperequazioni siano eliminate o ridotte» (n° 136) ○ E questo principio viene spostato poi anche su piano mondiale e così «La solidarietà che lega tutti gli esseri umani e li fa membri di un’unica famiglia impone alle comunità politiche, che dispongono di mezzi di sussistenza ad esuberanza, il dovere di non restare indifferenti di fronte alle comunità politiche i cui membri si dibattono nelle difficoltà dell’indigenza, della miseria e della fame, e non godono dei diritti elementari di persona. Tanto più che, data la interdipendenza sempre maggiore tra i popoli, non è possibile che tra essi regni una pace duratura e feconda, quando sia troppo accentuato lo squilibrio nelle loro condizioni economico-sociali» (n° 144) E se in ciò si può prestare un primo soccorso con la destinazione di esuberi di beni di consumo e soprattutto di beni agricoli, è necessaria una multiforme cooperazione per far sviluppare l’economia grazie all’aumento delle conoscenze tecnologiche8 e all’investimento di capitali per finanziare lo sviluppo rispettando però le identità delle singole comunità e operando disinteressatamente facendo così attenzione a non trasformare gli aiuti in neo-colonialismi. ○ Altro problema che il papa affronta è il rapporto tra incremento demografico, sviluppo economico e disponibilità di mezzi di sussistenza (n° 172). Iniziavano infatti ad affiorare coloro che sostenevano che lo sviluppo è limitato dalla sovrappopolazione9 ed il papa risponde che la risposta non va cercata nel controllo delle nascite, ma in un rinnovato impegno scientifico e tecnico a servizio della vita. ○ È quanto mai necessaria una collaborazione sul piano mondiale quindi, anche perché: «I progressi delle scienze e delle tecniche in tutti i settori della convivenza moltiplicano e infittiscono i rapporti tra le comunità politiche e rendono perciò la loro interdipendenza sempre più profonda e vitale. Di conseguenza può dirsi che ogni problema umano di qualche rilievo, qualunque ne sia il contenuto, scientifico, tecnico, economico, sociale, politico, culturale, presenta oggi dimensioni soprannazionali e spesso mondiali. Pertanto le singole comunità politiche non sono più in grado di risolvere adeguatamente i loro maggiori problemi nell’ambito di se stesse con le sole loro forze; anche se sono comunità che emergono per l’elevato grado e la diffusione della loro cultura, per il numero ed operosità dei cittadini, per l’efficienza dei loro sistemi economici, per la vastità e la ricchezza dei loro territori. Le comunità politiche si condizionano a vicenda, e si può asserire che ognuna riesce a sviluppare se stessa contribuendo allo sviluppo delle altre» (n° 186-187). Il problema però è che c’è un’assenza di reciproca sfiducia che porta gli stati a temersi a vicenda e ad usare queste risorse per la corsa agli armamenti e ciò è dovuto al: «fatto che gli uomini, specialmente i più responsabili, nello svolgimento della loro attività si ispirano a concezioni di vita differenti o radicalmente opposte. In alcune di quelle concezioni, purtroppo, non si riconosce l’esistenza dell’ordine morale: ordine trascendente, universale, assoluto, uguale e valevole per tutti. Viene meno cosi la possibilità di Oggi questo viene detto know-how che è l’insieme di conoscenze che permettono di operare. Posizione che verrà sostenuta in maniera sistematica più tardi, nel 1972, dal “Club di Roma” istituito dalla Accademia dei Lincei, che era un gruppo di gente famosissima che raccolse i risultati della loro ricerca in “Limits to growth” (tradotto impropriamente in italiano “Limiti dello (?!) sviluppo”) 8 9 incontrarsi e di intendersi pienamente e sicuramente nella luce di una stessa legge di giustizia ammessa e seguita da tutti»10 (n° 190) ○ Nella quarta parte si tratta quindi della ricomposizione dei rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia e nell’amore. Infatti: «Dopo tanti progressi scientifico-tecnici, e anche a causa di questi, rimane ancora il problema che i rapporti della convivenza vengano ricomposti in equilibri più umani tanto all’interno delle singole comunità politiche quanto sul piano mondiale. Nell’epoca moderna varie ideologie sono state elaborate e diffuse a tale scopo … considerano soltanto alcuni aspetti e, spesso, i meno profondi» (n° 197-198) La risposta invece sta nella priorità e nelle centralità della persona umana che è fondamento, fine e soggetto di tutte le istituzioni sociali (203) e proprio perché fondata su di essa la DSC: «indica con chiarezza le vie sicure per ricomporre i rapporti della convivenza secondo criteri universali rispondenti alla natura e agli ambiti diversi dell’ordine temporale e ai caratteri della società contemporanea, e perciò accettabili da tutti» (n° 204). ○ Il Papa poi ci tiene a ribadire che: «la dottrina sociale cristiana è parte integrante della concezione cristiana della vita» (n° 206) e come tale va diffusa in tutti gli ambiti della vita cattolica grazie soprattutto all’impegno dei laici, offrendo un orientamento sicuro per la soluzione dei problemi concreti. E passando ai problemi concreti: - Il papa dà indicazioni su come agire sul piano pratico: «Nel tradurre in termini di concretezza i principi e le direttive sociali, si passa di solito attraverso tre momenti: rilevazione delle situazioni; valutazione di esse nella luce di quei principi e di quelle direttive; ricerca e determinazione di quello che si può e si deve fare per tradurre quei principi e quelle direttive nelle situazioni, secondo modi e gradi che le stesse situazioni consentono o reclamano. Sono i tre momenti che si sogliono esprimere nei tre termini: vedere, giudicare, agire11» (n° 217) Metodo di azione, questo, ereditato dalla JOC nata in Belgio e fondata da Padre Joseph Cardin († 1967), viceparroco di Laeken che radunò attorno a sé i lavoratori per informarli di spirito cristiano. - Ma il papa sa che: «In tali applicazioni possono sorgere anche tra cattolici, retti e sinceri, delle divergenze. Quando ciò si verifichi, non vengano mai meno la vicendevole considerazione, il reciproco rispetto e la buona disposizione a individuare i punti di incontro per una azione tempestiva ed efficace: non ci si logori in discussioni interminabili e, sotto il pretesto del meglio e dell’ottimo, non si trascuri di compiere il bene che è possibile e perciò doveroso.» (n° 219) - Nel rapporto con chi non crede poi i cristiani devono vigilare per essere: « sempre coerenti con se stessi, per non venire mai a compromessi riguardo alla religione e alla morale; ma nello stesso tempo siano e si mostrino animati da spirito di comprensione, disinteressati, e disposti a collaborare lealmente nell’attuazione di progetti che siano di loro natura buoni o almeno riducibili al bene» (n° 220) E questo è un punto di svolta incredibile perché praticamente i cattolici possono collaborare con tutti!! Certo rimane sempre vero che: «quando in materia la gerarchia ecclesiastica si è pronunciata, i cattolici sono tenuti a conformarsi alle sue direttive». - Si sottolinea l’importanza della professionalità per i cristiani (n° 222) anche se permane un pericolo grave: «e cioè come gli uomini dimentichino spesso il proprio essere nel proprio operare, e ammirino le proprie opere fino a farne un idolo» (n° 225). Passando alle considerazioni sull’enciclica essa ebbe innanzitutto molto successo per il suo tono dialogante e segnò in maniera definitiva il passaggio di un’azione sociale della Chiesa tesa alla cristianizzazione del mondo ad una tesa all’umanizzazione del mondo. Temi nuovi: - la funzione economico-sociale dello stato; 10 Tutti infatti anche oggi parlano di giustizia o di democrazia, ma ognuno con significati e contenuti diversi: le parole ormai sono spesso contenitori da tutti usati, ma prive di contenuto. Lo stesso avviene con la parola “amore”, tanto che Benedetto XVI ha iniziato la sua enciclica proprio facendo una panoramica sui vari significati attribuiti a questa parola. 11 Padre Muraro da buon Tomista fa notare che dopo il giudicare ci dovrebbe essere prima il “disporsi ad agire” - la socializzazione; - la visuale di società complessa; - l’importanza dello know-how; - la partecipazione dei lavoratori in imprese e la redistribuzione dei beni; - la visione dell’impresa come comunità di persone; - la solidarietà mondiale ed il bene comune universale; - l’importanza non solo di una conoscenza metafisica, ma anche di un metodo non deduttivo; - la DSC come luogo d’incontro; - il laico visto non come semplice esecutore, ma anche come un esperto della prassi; - la collaborazione con i non credenti Nel 1963 edita anche la “Pacem in Terris” visto l’emergere, in soli due anni, di situazioni potenzialmente deflagranti come la costruzione del muro di Berlino del ’61 e la crisi di Cuba del ’62, insomma si affacciava lo spettro di una terza guerra mondiale. Il linguaggio usato nell’enciclica è semplice e moderno ed il tono fiducioso ed esigente. La novità è che è indirizzata anche “a tutti gli uomini di buona volontà”. Vediamola velocemente: ○ Ribadisce subito l’importanza dell’uomo che alla luce della Rivelazione è ancora più grande e si passa ad elencare diritti e doveri dell’uomo anche alla luce di essa. ○ Alla fine di ogni capitolo egli parla poi (n° 21) dei segni dei tempi che nel caso dell’ordine tra gli esseri umani per lui sono: - l’ascesa economico-sociale delle classi lavoratrici che volevano essere considerate come persone umane e non solo come burattini; - l’ingresso della donna nella vita pubblica che rivendica i diritti di persona umana; - tutti gli uomini ed i popoli uguali per dignità ○ Si ribadisce l’importanza del bene comune nei suoi aspetti fondamentali ed al n° 36 enuncia un principio, già enunciato da san Tommaso, che allora passò abbastanza in sordina, ma ripreso da Giovanni Paolo II scatenò un putiferio: «Ogni atto dei poteri pubblici, che sia od implichi un misconoscimento o una violazione di quei diritti, è un atto contrastante con la stessa loro ragione di essere e rimane per ciò stesso destituito d’ogni valore giuridico». ○ Nei rapporti tra comunità politiche era molto in voga l’applicazione della teoria di David Hume del “Balance of Power”, per cui l’armonia tra le nazioni c’è solo se tutti hanno lo stesso quantitativo di armi, ma il papa prima confuta questa teoria e poi chiede che si fermi questa corsa agli armamenti e si proceda allo smontaggio di essi (n° 59-60). Detto ciò: «Occorre però riconoscere che l’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più alta utilità.» (n° 62) ○ Nella quarta parte si passa ad analizzare i rapporti degli esseri umani e delle comunità politiche con la comunità mondiale e al n°73 c’è una frase molto importante: «Come il bene comune delle singole comunità politiche, così il bene comune universale non può essere determinato che avendo riguardo alla persona umana. Per cui anche i poteri pubblici della comunità mondiale devono proporsi come obiettivo fondamentale il riconoscimento, il rispetto, la tutela e la promozione dei diritti della persona: con un’azione diretta, quando il caso lo comporti; o creando un ambiente a raggio mondiale in cui sia reso più facile ai poteri pubblici delle singole comunità politiche svolgere le proprie specifiche funzioni». Si gettano così le basi per la trasposizione del principio della legittima difesa a livello planetario: il principio della “ingerenza umanitaria” che fu poi invocato per il Kosovo e lì codificato a livello legislativo e teorizzato dallo stesso Giovanni Paolo II nel messaggio per la giornata della pace del ’99. ○ Inizia poi la serie di richiami pastorali e al n° 77, riprendendo il tema dello know-how, dice che: «Non basta essere illuminati dalla fede ed accesi dal desiderio del bene per penetrare di sani principi una civiltà e vivificarla nello spirito del Vangelo. A tale scopo è necessario inserirsi nelle sue istituzioni e operare validamente dal di dentro delle medesime. Però la nostra civiltà si contraddistingue soprattutto per i suoi contenuti scientifico-tecnici. Per cui non ci si inserisce nelle sue istituzioni e non si opera con efficacia dal di dentro delle medesime se non si è scientificamente competenti, tecnicamente capaci, professionalmente esperti» e dicendo “inserirsi” vuol dire non conquistare, ma condividere dall’interno. Dicendo poi al n° 81 che «il problema dell’adeguazione della realtà sociale alle esigenze obiettive della giustizia è problema che non ammette mai una soluzione definitiva. I nostri figli pertanto devono vigilare su se stessi per non adagiarsi soddisfatti in obiettivi già raggiunti» si dà l’addio totale a sogni di società cristiane! ○ Importantissimi sono poi al n°83 la distinzione tra errore ed errante che «è sempre ed anzitutto un essere umano e conserva, in ogni caso, la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità. Inoltre in ogni essere umano non si spegne mai l’esigenza, congenita alla sua natura, di spezzare gli schemi dell’errore per aprirsi alla conoscenza della verità. E l’azione di Dio in lui non viene mai meno» e poi la distinzione al n° 84 tra false dottrine filosofiche e movimenti da essi scaturiti, perché «le dottrine, una volta elaborate e definite, rimangono sempre le stesse; mentre i movimenti suddetti, agendo sulle situazioni storiche incessantemente evolventisi, non possono non subirne gli influssi e quindi non possono non andare soggetti a mutamenti anche profondi. Inoltre chi può negare che in quei movimenti, nella misura in cui sono conformi ai dettami della retta ragione e si fanno interpreti delle giuste aspirazioni della persona umana, vi siano elementi positivi e meritevoli di approvazione?». Due richiami questi che sono autentiche svolte epocali, tanto che il Corriere ironizzando fece una vignetta intitolata “Falcem in terris”! Calando nel pratico questi due principi al n° 85 dice quindi che «può verificarsi che un avvicinamento o un incontro di ordine pratico, ieri ritenuto non opportuno o non fecondo, oggi invece lo sia o lo possa divenire domani. Decidere se tale momento è arrivato, come pure stabilire i modi e i gradi dell’eventuale consonanza di attività al raggiungimento di scopi economici, sociali, culturali, politici, onesti e utili al vero bene della comunità, sono problemi" che si possono risolvere soltanto con la virtù della prudenza, che è la guida delle virtù che regolano la vita morale, sia individuale che sociale…» e continua dicendo che questo è compito primario dei laici, infatti «… da parte dei cattolici tale decisione spetta in primo luogo a coloro che vivono od operano nei settori specifici della convivenza, in cui quei problemi si pongono, sempre tuttavia in accordo con i principi del diritto naturale, con la dottrina sociale della Chiesa e con le direttive della autorità ecclesiastica». Tutto questo da fare ovviamente senza dimenticare che « la gradualità è la legge della vita in tutte le sue espressioni; per cui anche nelle istituzioni umane non si riesce ad innovare verso il meglio che agendo dal di dentro di esse gradualmente. "Non nella rivoluzione - proclama Pio XII - ma in una evoluzione concordata sta la salvezza e la giustizia. La violenza non ha mai fatto altro che abbattere, non innalzare; accendere le passioni, non calmarle; accumulare odio e rovine, non affratellare i contendenti; e ha precipitato gli uomini e i partiti nella dura necessità di ricostruire lentamente, dopo prove dolorose, sopra i ruderi della discordia" (cf. Discorso agli operai italiani di Pio XII).» (n° 86) ○ In conclusione egli ricorda che «la pace rimane solo suono di parole, se non è fondata su quell’ordine che il presente documento ha tracciato con fiduciosa speranza: ordine fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla carità e posto in atto nella libertà» (n°89) e questi quattro pilastri ci vogliono tutti contemporaneamente come quattro gambe di un tavolo per tenerlo in piedi! Passando alle considerazioni finali: - L’ascolto dell’enciclica fu eccezionale su scala planetaria, anche perché in essa non ci sono polemiche e condanne e poi fu scritta in punto di morte: il papa è così consacrato non solo padre della Chiesa, ma anche del mondo intero di cui è anche coscienza critica. - Le importantissime distinzioni errore/errante e dottrina/movimento - Pace da costruire gradualmente su quattro pilastri costituiti da Dio e quindi tolta dall’ambito dell’utopia e risultato dell’interazione tra interventi di ordine strutturale e di conversione delle coscienze - Diritti dell’uomo fondati sul diritto naturale - Richiamo al disarmo ed importanza delle istituzioni internazionali - Pace vista non come assenza di guerra o equilibrio di forze, ma come insieme di relazioni positive tra comunità e con il disarmo quindi delle coscienze ponendosi così in opposizione alla mentalità del von Clausewitz (1760-1831) per cui la guerra è un proseguimento della politica con altri mezzi! - C’è un errore (voluto?…) di traduzione in italiano al n°67, perché il latino dice “”alienum est a ratione” ed in italiano “riesce quasi impossibile pensare”: leggermente diverso … Molto importante è il n°500 del CoDSC che fornisce i quattro punti da tener presenti per poter parlare di “guerra giusta”. Visto però che l’ultimo dice «che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare» vista la potenza di fuoco degli stati odierni oggi è quasi impossibile che ce ne siano le condizioni. E si tenga conto che il concetto di “guerra giusta” nacque comunque per limitare la portata degli interventi bellici! Il pontificato di Paolo VI (1963 – 1978) inizia, per quanto ci riguarda, con l’approvazione della costituzione pastorale Gaudium et Spes il 7 dicembre 1964. Essa non è solo un testo di DSC, ma ne tratta ampiamente. Essa sente molto l’influsso della “Pacem in Terris” e della “Ecclesiam Suam”, enciclica programmatica del papa, e la prospettiva del testo è quindi fortemente antropologica perché parte tenendo conto della situazione dell’uomo contemporaneo. Già il sottotitolo è rivelatore perché non dice “La Chiesa E il mondo contemporaneo”, ma “La Chiesa NEL mondo contemporaneo” la Chiesa infatti «è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia» (GS 1) Che in fondo fa da eco al pensiero di tanti scrittori del passato come Terenzio per cui “sono umano e non ritengo estraneo niente di umano” o John Donne con il suo “Per chi suona la campana”. GS vede quindi il mondo come chiamato ad essere un’unica famiglia in cammino, ma allo stesso tempo teatro della guerra tra il bene ed il male ed in questo scenario la Chiesa vuole continuare la missione di Cristo: annunciando all’uomo la sua altissima vocazione; instaurando un dialogo con tutti; portare il Vangelo per interpretare le situazioni che accadono alla sua luce e grazie al dono dello Spirito Santo. Se GS oggi è in gran parte superata perché è cambiata la situazione del mondo rimangono sempre validi i suoi fondamenti per cui: - Cristo è la chiave di lettura di tutto il rapporto con il mondo contemporaneo, il fondamento che non cambia mai perchè «solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo » (GS 22) - la centralità della persona umana che «in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa» (GS 24) - la similitudine che intercorre tra l’unione delle persone di divine e quella delle persone umane, perciò l’importanza dell’interdipendenza tra uomo e società tenendo ben presente che egli è comunque soggetto, principio e fine di tutte le istituzioni umane. - Se da un lato «La Chiesa, custode del deposito della parola di Dio, da cui vengono attinti i principi per l'ordine morale e religioso, … desidera unire la luce della Rivelazione alla competenza di tutti allo scopo di illuminare la strada sulla quale si è messa da poco l'umanità» dall’altro essa sa che « non ha sempre pronta la soluzione per ogni singola questione » (GS 33) - L’autonomia delle realtà terrene che è legittima e conforme al volere del creatore se con essa «si vuol dire che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare», mentre è un falsa rivendicazione se con essa «si intende dire che le cose create non dipendono da Dio e che l'uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore», «La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce». (GS 36) L’impegno della Chiesa è quindi essenzialmente religioso, ma ha forti risvolti politici. Il Concilio usa come poco (solo una volta) il termine “dottrina”, che infatti dopo cadrà in disuso, perché si volevano evitare equivoci; il termine richiamava troppo l’idea che il cristianesimo fosse un’ideologia ed il continuo richiamo al diritto naturale prestava invece troppo il fianco all’accusa di deismo e cioè alla tendenza di un Dio impersonale che come un orologiaio fa partire la macchina-mondo regolata da leggi immutabili. Il deismo differisce dal teismo che ha invece un’idea di Dio più personale. Tornando a Paolo VI egli è il papa del dopo-concilio quando la società era caratterizzata da: il dilagare del terrorismo; l’esplosione della guerra in Vietnam; la politica intesa come categoria omni-comprensiva del reale; aumenta il problema della giustizia sociale mondiale di fronte all’aumento del divario tra nord e sud del mondo; diffusione della contestazione; accelerazione della storia; auspicio di un ordine economico che tenesse maggior conto della persona umana. In questa situazione Paolo VI scrive nel 1967 la “Populorum Progressio”: ○ Il punto di partenza è che «la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale» che è IL problema di maggior rilievo, infatti «I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza » (n°3). Ed il papa dice che egli ha preso coscienza di ciò anche grazie ai suoi viaggi. La frase che è un po’ la chiave di lettura di tutto il testo è quella al n°87 «lo sviluppo è il nuovo nome della pace», sviluppo che deve essere «integrale dell’uomo e … solidale dell’umanità» (n°5) ○ Sorge però spontaneo chiedersi cosa si intenda per “sviluppo” e così il papa inizia prima a parlare degli effetti dirompenti che hanno sulle strutture le novità della civiltà industriale e l’urto tra civiltà12 e come «in questo stato di marasma si fa più violenta la tentazione di lasciarsi pericolosamente trascinare verso messianismi carichi di promesse, ma fabbricatori di illusioni. Chi non vede i pericoli che ne derivano, di reazioni popolari violente, di agitazioni insurrezionali, e di scivolamenti verso le ideologie totalitarie? Questi sono i dati del problema, la cui gravità non può sfuggire a nessuno» (n°11). Poi passando a citare ed elogiare l’operato di molti missionari dice che non bastano più iniziative locali, ma ne servono a livello planetario e così arriva a dare al n°14 la definizione cattolica di sviluppo: «Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Com’è stato giustamente sottolineato da un eminente esperto: "noi non accettiamo di separare l’economico dall’umano, lo sviluppo dalla civiltà dove si inserisce. Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera"». Questo sviluppo comporta però l’esigenza di un nuovo umanesimo e le tappe per raggiungerlo sono: solidarietà, carità universale, impegno di tutti e popoli artefici del loro destino. In tutto questo bisogna sempre ricordarsi che «Ogni azione sociale implica una dottrina. Il cristiano non può ammettere quella che suppone una filosofia materialistica e atea, che non rispetta né l’orientamento religioso della vita verso il suo fine ultimo, né la libertà e la dignità umana. Ma, purché siano salvaguardati questi valori, un pluralismo di Anticipando così di molti anni il famoso libro “The Clash of Civilization” di Samuel Huntington da lui scritto nel ’96 in seguito al successo che aveva avuto l’omonimo articolo del ’93 apparso sulla rivista Foreign Affairs. Per lui infatti gli scontri non saranno più tra popoli o religioni, ma tra civiltà diverse anche se Amarthya Sen ad esempio sostiene che è semplificatorio far coincidere un gruppo etnico con una civiltà. 12 organizzazioni professionali e sindacali è ammissibile, e, da certi punti di vista, utile, se serve a proteggere la libertà e a provocare l’emulazione. E di gran cuore Noi rendiamo omaggio a tutti coloro che vi lavorano al servizio disinteressato dei loro fratelli» (n°39) ○ Se egli poi dice che al n°31«l’insurrezione rivoluzionaria … è fonte di nuove ingiustizie, introduce nuovi squilibri, e provoca nuove rovine. Non si può combattere un male reale a prezzo di un male più grande.» molto discusso fu l’inciso «- salvo nel caso di una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune del paese -» che sembrava vedere il papa parteggiare per i rivoluzionari, quando egli ha semplicemente espresso il medioevale “diritto al tirannicidio” che è sempre stato considerato lecito. Ciò permette di ricordare anche che la Chiesa non è pacifista, ma pacificatrice e quindi la DSC non è paragonabile alla non violenza ad oltranza! Per quanto riguarda quest’enciclica, va notato che: - lo sviluppo è da perseguire con solidarietà per arrivare ad un nuovo umanesimo - il grado di umanità delle istituzioni sociali è la visione globale dell’uomo - non esistono soluzioni definitive ed univoche, ma è sempre competenza dei singoli e dei popoli il dovere del continuo intervento - se è una Rerum Novarum a livello di popoli è comunque ancora molto occidentale e basata sull’idea che lo sviluppo dei paesi occidentali avrebbe fatto da traino, ma che si scontrerà contro le crisi politiche, economiche, sociali ed ecclesiali degli anni ‘70 - l’enciclica fu bersagliata da tutti perché non condannava esplicitamente da un lato i rivoluzionari e dall’altro lo stato borghese. L’azione pastorale della Chiesa può essere: - Territoriale, di cui la parrocchia è l’esempio più emblematico. - D’ambiente, rivolta cioè ad un particolare ambiente o categoria, tenendo conto a chi ci si rivolge e del loro modo di vedere le cose. Es. ospedale, università, carcere, militari ecc. I preti operai fanno parte di questa pastorale ed iniziati ufficialmente dal card. Suhard, arcivescovo di Parigi, fu chiusa da Pio XII vista l’infiltrazione d’idee marxiste tra i preti. Nel 1971 ecco invece l’Octogesima Adveniens nell’ottantesimo anniversario della Rerum Novarum e tre anni dopo le contestazioni studentesche, femministe ed operaie del ’68 che erano espressione di forti attese di cambiamento, c’era molta fiducia nel futuro13. In quegli anni in Cile era salito al potere tramite elezioni regolari Allende, che iniziò delle politiche fortemente di sinistra, ma nel ’73 Augusto Pinochet, con l’appoggio degli Usa, fece un colpo di stato e diede avvio alla dittatura. Si noti subito che la lettera non è un’enciclica, ma una lettera apostolica indirizzata al presidente della commissione giustizia e pace e del pontificio istituto per i laici, genere letterario quello delle lettere per cui si intende dire che è rivolto a tutti con particolare attenzione ai temi di giustizia e pace e al ruolo di primo piano che hanno i laici. Mattai dice anche che molto probabilmente non ha usato un’enciclica per non condizionare eccessivamente l’imminente sinodo dei vescovi che verteva proprio sul tema “Giustizia nel mondo” ○ Punto di svolta è subito al punto 4 quando dice: «Di fronte a situazioni tanto diverse, ci è difficile pronunciare una parola unica e proporre una soluzione di valore universale» affermazione questa che è molto forte perché per “generale” si intende qualcosa di valevole per tutti e per “universale” si intende qualcosa di valevole per tutti e per sempre, perciò è un’autolimitazione del potere papale «Del resto non è questa la nostra ambizione e neppure la nostra missione. Spetta alle comunità cristiane …». Tutto questo in linea quindi con l’impostazione conciliare di responsabilizzare le chiese particolari (in questo periodo nascono pure le conferenze episcopali) e le comunità cristiane. Ma questo “decentramento” non avviene in modo sregolato perché si danno anche le indicazioni su come agire: «… analizzare obiettivamente la situazione del loro paese …» la propria realtà, grazie quindi Oggi invece, come fa notare il documento “Ecclesia in Europa”, «del futuro si ha più paura che desiderio» e così se una volta le rivolte si facevano per cambiare, oggi si fanno per non cambiare niente. 13 anche all’uso delle scienze umane per uno studio scientifico di essa → «… chiarirla alla luce delle parole immutabili del vangelo …» → «… attingere principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione nell’insegnamento sociale della chiesa …» → tutto questo da fare «in comunione coi vescovi responsabili, e in dialogo con gli altri fratelli cristiani e con tutti gli uomini di buona volontà».. Si può notare come Paolo VI abbia parlato di “insegnamento sociale cristiano” e non di dottrina sociale anche perché era stato pesantemente criticato di voler bloccare il pensiero sociale, ma molti interpretarono questo cambiamento di terminologia come una consacrazione della prassi per cui ciò che lui diceva era solo fonte d’ispirazione perché poi nella pratica ognuno agisse autonomamente. ○ Al n°39 continuando sull’obiettività e sull’uso delle scienze umane come collaboratrici della teologia dice di fare attenzione, perché esse analizzano solo un aspetto dell’uomo e tendendo a fare di esso la chiave ermeneutica di tutto l’uomo o a ridurre l’uomo solo a quell’aspetto, rischiando così di mutilare la persona umana e di non riconoscerla nella sua totalità, tanto che: «L’uomo può diventare allora oggetto di manipolazioni che orientano i suoi desideri e i suoi bisogni, che modificano i suoi comportamenti e persino il suo sistema di valori». Infatti «Se tutti sono d’accordo nella costruzione di una nuova società posta al servizio degli uomini, ancora bisogna sapere di quale uomo si tratta». Rimane comunque l’importanza del dialogo con le scienze umane, e così al n° 40 si dice che: «È evidente che ogni disciplina scientifica non potrà afferrare, nella sua specificità, che un aspetto parziale, sia pur vero, dell’uomo; la totalità e il significato le sfuggono. Ma all’interno di questi limiti, le scienze sull’uomo assicurano una funzione positiva che la chiesa volentieri riconosce. Esse possono dilatare le prospettive della libertà umana offrendo un campo più largo di quello che i condizionamenti già calcolati lasciavano prevedere. Potranno anche aiutare la morale sociale e cristiana, che vedrà restringersi certamente il suo campo allorché si tratta di proporre certi modelli sociali, mentre la sua funzione di critica e di superamento diventerà più forte mostrando il carattere relativo dei comportamenti e dei valori che tale società presentava come definitivi e inerenti alla natura stessa dell’uomo.» E conclude splendidamente dicendo che: «Condizione indispensabile e insieme insufficiente di una scoperta migliore dell’umano, queste scienze sono un linguaggio sempre più complesso, ma che dilata, più che non riempia, il mistero del cuore dell’uomo e non dà la risposta completa e definitiva al desiderio che sale dalle profondità del suo essere». ○ Al n°22 riprende anche il tema del progresso che porta ad una duplice aspirazione di uguaglianza e partecipazione. Al n° 41 se ne mostrano però i limiti dicendo che: «A partire dal secolo XIX le società occidentali e parecchie altre al loro contatto hanno riposto la loro speranza in un progresso continuamente rinnovato, indefinito. Questo progresso appariva loro come lo sforzo di liberazione dell’uomo nei confronti delle necessità della natura e delle coartazioni sociali; era la condizione e la misura della libertà umana! Diffuso dai mezzi moderni d’informazione e dallo stimolo del sapere e di consumi più estesi, il progresso diventa una ideologia onnipresente. Tuttavia un dubbio nasce oggi sia sul suo valore sia sulla sua riuscita. Che significa questa caccia inesorabile d’un progresso che sfugge ogni volta che si è persuasi di averlo conquistato?» ○ In questa situazione così complessa il papa dice anche come si configura l’impegno del cristiano nel mondo (n°42-48) e invitando all’azione, al n°50 introduce un altro elemento totalmente nuovo e rivoluzionario: «Nelle situazioni concrete e tenendo conto delle solidarietà vissute da ciascuno, bisogna riconoscere una legittima varietà di opzioni possibili. Una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi. La chiesa invita tutti i cristiani al duplice compito d’animazione e d’innovazione per fare evolvere le strutture e adattarle ai veri bisogni presenti. Ai cristiani che sembrano, a prima vista, opporsi partendo da opzioni differenti, essa chiede uno sforzo di reciproca comprensione per le posizioni e le motivazioni dell’altro; un esame leale dei propri comportamenti e della loro rettitudine suggerirà a ciascuno un atteggiamento di carità più profonda che, pur riconoscendo le differenze, crede tuttavia alle possibilità di convergenza e di unità: "Ciò che unisce i fedeli è, in effetti, più forte di ciò che li separa" » E si noti che allora in Italia c’era solo la DC!!! Perciò qui si vede anche l’aspetto profetico del magistero sociale. ○ La conclusione è che: «Ciascuno avrà cura di esaminare se stesso e di fare spuntare quella vera libertà nel Cristo che apre all’universale in mezzo alle condizioni più particolari». Giovanni Paolo II (1978 – 2005) che ha un buon “bagaglio” umano perché ha lavorato in miniera ed è stato professore di etica e pastore di una Chiesa particolare. Le sue encicliche sono tutte “a spirale” perché tornano ripetutamente sugli argomenti, mostrandone ogni volta un aspetto nuovo. La prima che egli dedica al tema sociale è la Laborem Exercens in occasione del 90° della Rerum Novarum, uscita però tardi perché egli in maggio aveva subito l’attentato da parte di Alì Agca. L’enciclica è una meditazione sul lavoro umano, situata in un nuovo contesto nascente che era quello della rivoluzione “cibernetica-elettronica”, in cui il papa fa tornare la questione sociale alle origini e quindi nel suo rapporto con Dio creatore e redentore: o Egli fa infatti notare come il lavoro sia una realtà specificamente umana e questa nota apparentemente scontata è essenziale e dà il tono a tutto il resto. o Al (n° 1) prende poi in considerazione altri nuovi fattori: automazione, coscienza ecologica (che oggi degenera spesso in catastrofismo ecologico, che viene criticato anche in ambito scientifico) e l’emergere sulla scena politica dei popoli per secoli oppressi. Se alla Chiesa non spetta di analizzare scientificamente le possibili conseguenze di tali cambiamenti, ad essa spetta però il richiamare sempre la dignità ed i diritti degli uomini del lavoro e di stigmatizzare le situazioni in cui essi vengono violati: il centro della questione infatti non è tanto il lavoro in sé, quanto l’uomo che lavora! o Al n°3 ribadisce che il lavoro è la chiave di tutta la questione sociale e che la dottrina sociale trova la sua sorgente nella Bibbia già dall’inizio. o Analizzando il rapporto tra “il lavoro e l’uomo” a partire dalla Genesi (n°4), ribadisce subito che il lavoro costituisce una dimensione fondamentale dell’esistenza dell’uomo sulla terra. o Distingue poi tra lavoro in senso oggettivo (n°5), cioè la tecnica, e lavoro in senso soggettivo (n°6) ribadendo che anche nell’epoca del lavoro meccanizzato chi lavora è sempre il soggetto, l’uomo, di cui la tecnica deve essere un’alleata. Perciò no a qualsiasi “luddismo” che vede nelle macchine dei nemici da eliminare, anche se bisogna vigilare sul pericolo che esse tolgano lavoro, creatività ecc. Sul piano soggettivo poi il lavoro oltre a modificare l’ambiente, modifica anche la persona e quindi ha un risvolto etico! Perciò il lavoro considerato sul piano oggettivo trasforma il reale, considerato invece sul piano soggettivo trasforma l’uomo ed è proprio questa dimensione che conferisce dignità al lavoro: «In una tale concezione sparisce quasi il fondamento stesso dell’antica differenziazione degli uomini in ceti, a seconda del genere di lavoro da essi eseguito». Ed il lavoro non è dignitoso per lo stipendio percepito, ma per la persona che lo compie, perché scopo del lavoro è l’uomo stesso: la Chiesa non è quindi contro il progresso, ma vuole solo che sia l’uomo ad essere al centro dello sviluppo sociale! Sintetizzando si può dire con uno slogan gesuano che: non è l’uomo per il lavoro, ma il lavoro per l’uomo! o AL n°7 poi si dice che il lavoro non è una merce che il lavoratore vende al padrone come pensava il comunismo. E se questo è crollato e le idee sono sparite, può rimanere un modo di fare e di pensare in cui l’uomo è trattato come strumento di produzione, quando invece egli dovrebbe essere il soggetto, l’artefice, il protagonista del lavoro. o Se sul piano soggettivo il lavoro è quindi uno, sul piano oggettivo c’è una molteplicità di lavori e bisogna fare attenzione alla nascita, ma soprattutto alla morte di alcuni di essi (n°8) come fu nel caso degli operai e quindi bisogna sempre essere vigili! o Importante poi il punto 9 in cui dice che: «Il lavoro è un bene dell’uomo, perché mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, “diventa più uomo”». Ed ecco perché la laboriosità è una virtù! o Il primo ambiente in cui assimilare ciò è la famiglia (n°10) perché essa è una comunità in cui si impara il lavorare e che è resa possibile dal lavoro. Così oltre al cerchio personale c’è quello familiare che si apre poi su quello della società che è educatrice di ogni uomo e, allo stesso tempo, grande incarnazione storica e sociale del lavoro di tutte le generazioni. o Passando poi a “il conflitto tra lavoro e capitale nella presente fase storica”, al n°11 ricorda come esso abbia contrapposto padroni e operai, ideologia liberista e ideologia marxista, così al n°12 ricorda come il lavoro venga prima del capitale che in fondo è solo una causa strumentale, mentre il lavoro è una causa primaria: il capitale nasce dal lavoro dell’uomo ed è sempre in sua funzione e all’inizio del lavoro umano sta il mistero della creazione! È perciò sempre la centralità della persona che impedisce di separare capitale e lavoro e aiuta a superare (n°13) l’antinomia dell’economicismo (per cui l’aspetto economico è superiore al resto) e del materialismo (che identifica la realtà con la materia). o Al n°14 si torna sul tema della proprietà privata ribadendo il diritto della proprietà privata subordinato però al diritto dell’uso comune, alla destinazione universale dei beni e quindi nel caso del lavoro è finalizzata alla produzione. o Al n° 15 si ricorda quindi che il lavoro è un obbligo per l’uomo, perché parte integrante del suo cammino di perfezione personale, e comporta anche dei diritti. o Analizzando i diritti degli uomini del lavoro, inseriti nel più ampio contesto dei diritti dell’uomo (n°16), il papa distingue (n°17) tra datore di lavoro “diretto”, la società o l’impresa che assume, ed “indiretto”, lo stato con le sue politiche e la società in generale. o Affrontando il tema della giusta remunerazione (n°19) perché: «non c’è nel contesto attuale un altro modo più importante per realizzare la giustizia nei rapporti lavoratore – datore di lavoro» ed essa è: «quella che sarà sufficiente per fondare e mantenere degnamente una famiglia e per assicurarne il futuro». Non è solo il salario a garantire ciò ma anche: «varie prestazioni sociali, aventi come scopo quello di assicurare la vita e la salute dei lavoratori e quella della loro famiglia». E dicendola con Smith il necessario non è solo ciò che serve a sopravvivere, ma anche ciò che serve per vivere in società senza vergognarsi. Il papa insiste poi molto sulla rivalutazione dei compiti materni e sul sostegno ad essi dovuto. o Al n° 20 si parla poi dei sindacati che sono visti come indispensabili, ma non per la lotta “contro gli altri”, ma “per qualcosa” e poi non devono avere troppo a che fare con i partiti. Devono poi lavorare non solo per avere di più, ma anche per essere di più, per aiutare cioè il raggiungimento di quell’umanità piena di cui si è già parlato. «Ammettendo che questo è un mezzo legittimo, si deve contemporaneamente sottolineare che lo sciopero rimane, in un certo senso, un mezzo estremo. Non se ne può abusare; non se ne può abusare specialmente per giochi "politici". Inoltre, non si può mai dimenticare che, quando trattasi di servizi essenziali alla convivenza civile, questi vanno, in ogni caso, assicurati mediante, se necessario, apposite misure legali. L'abuso dello sciopero può condurre alla paralisi di tutta la vita socio-economica, e ciò è contrario alle esigenze del bene comune della società, che corrisponde anche alla natura rettamente intesa del lavoro stesso.» o Molto profeticamente tratta poi anche del rapporto persona handicappata e lavoro (n°22) e problema dell’emigrazione e lavoro (n°23) o Come ultimo passo egli delinea degli elementi per una spiritualità del lavoro per aiutare il cristiano nell’esercizio della sua santificazione attraverso il lavoro: Va subito ribadito che esso è un “actus personae”, perché qualunque sia il lavoro c’è un “io” che lo fa nella sua interezza ed unità di corpo, mente, spirito ecc. (n°24) La Genesi è il primo vangelo del lavoro da cui si evince che, creato a immagine e somiglianza di Dio, l’uomo lavorando partecipa all’opera creatrice di Dio (n°25). Cristo è l’uomo del lavoro e la sua predicazione è intrisa di spunti lavorativi (n°26) Siccome qualsiasi lavoro comporta fatica, l’uomo, sopportandola in unione con Gesù crocifisso, continua la sua opera redentrice nel mondo (n°27) Ciò aiuta ad instaurare un legame tra progresso e avanzamento del Regno di Dio (GS 39). Altra enciclica molto importante è la “Sollicitudo Rei Socialis”, scritta il 30 dicembre del 1987, nel ventesimo anno dell’anniversario della Populorum Progressio: ○ Il papa dice subito (n°6) che quell’enciclica va inquadrata nell’orizzonte del Concilio Vaticano II di cui essa ne è come un’applicazione in materia di morale sociale e così attingere ad essa è come attingere al Concilio Vaticano II. Allo stesso tempo essa contiene però tre grandi novità: Il tema dello sviluppo e del progresso è un tema anche morale (n°8) L’ampiezza d’orizzonte perché la “questione sociale” ha acquistato una dimensione mondiale e se ne traggono direttrici d’azione (n°9): «Riconoscere che la "questione sociale" abbia assunto una dimensione mondiale, non significa affatto che sia venuta meno la sua forza d ,incidenza, o che abbia perduto la sua importanza nell'ambito nazionale e locale. Significa, al contrario, che le problematiche nelle imprese di lavoro o nel movimento operaio e sindacale di un determinato Paese o regione non sono da considerare isole sparse senza collegamenti, ma che dipendono in misura crescente dall'influsso di fattori esistenti al di là dei confini regionali e delle frontiere nazionali … D'altra parte, senza uscire dalle linee di questa visione morale, la novità dell'Enciclica consiste anche nell'impostazione di fondo, secondo cui la concezione stessa dello sviluppo, se lo si considera nella prospettiva dell'interdipendenza universale, cambia notevolmente». L’aver individuato il legame tra sviluppo, giustizia e pace, perché se si lasciano delle popolazioni escluse dallo sviluppo, dal benessere e dalla ripartizione dei beni ciò è un terreno fertile alla prolificazione delle guerre (n°10). o Siccome la situazione è però mutata e cos il papa fa un panorama del mondo contemporaneo che presenta luci (ascesa di Gorbaciov ecc.) e ombre (Chernobyl, esplosione del Challenger ecc.), ma che sul piano dello sviluppo invece delle grandi mete da raggiungere presenta una situazione piuttosto negativa e anzi la situazione di molte persone nel mondo si è sensibilmente aggravata, il divario è aumentato14 (n°13)! o La prima constatazione (n°14) è che il fossato tra il cosiddetto Nord sviluppato ed il Sud in via di sviluppo non solo c’è ancora, ma è aumentato, notando però che: «Questa terminologia geografica è soltanto indicativa, perché non si può ignorare che le frontiere della ricchezza e della povertà attraversano al loro interno le stesse società sia sviluppate che in via di sviluppo». Va poi tenuto conto che queste distanze tra popolazioni vengono aumentate anche dalle differenze di cultura e dai sistemi di valori e portano alla sintomatica divisione in Primo, Secondo, Terzo e Quarto mondo che se: «non pretendono certo di classificare in modo esauriente tutti i Paesi, appaiono significative: esse sono il segno della diffusa sensazione che l'unità del mondo, in altri termini l'unità del genere umano, sia seriamente compromessa.» e la Chiesa “sacramento e segno dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1) non può rimanere indifferente. o Oltre agli indici economici e sociali sono molto preoccupanti anche quelli culturali (n°15): «Essi sono: l'analfabetismo, la difficoltà o impossibilità di accedere ai livelli superiori di istruzione, l'incapacità di partecipare alla costruzione della propria Nazione, le diverse forme di sfruttamento e di oppressione economica, sociale, politica ed anche religiosa della persona umana e dei suoi diritti, le discriminazioni di ogni tipo, specialmente quella più odiosa fondata sulla differenza razziale». E «Se qualcuna di queste piaghe si lamenta in aree del Nord più sviluppato senza dubbio esse sono più frequenti, più durature e difficili da estirpare nei Paesi in via di sviluppo e meno avanzati». Tra i vari indici di sottosviluppo: Il diritto che viene troppo spesso soffocato, negato o limitato, in nome di una pretesa eguaglianza, è il diritto di iniziativa economica, cioè la soggettività creativa del cittadino che porta ad un “livellamento al basso” e alla nascita della passività, la 14 Divario che oggi è amplificato dal cosiddetto “divario digitale”. o o o o o o o dipendenza e la sottomissione all’apparato burocratico, che predispone al disimpegno della vita nazionale, spingendo molti all’emigrazione o favorendo un’emigrazione “psicologica”. E questo non accade solo per i cittadini, ma anche per le nazioni che vengono spesso private della loro soggettività, della loro sovranità nel significato economico, politico-sociale e culturale. La negazione o la limitazione dei diritti umani. I motivi di questo crescente sottosviluppo e della crescita del divario nord-sud sono (n°16): Gravi omissioni da parte degli stessi paesi in via di sviluppo e specialmente da parte di quanti ne detengono il potere politico ed economico. Responsabilità delle nazioni sviluppate che non sempre hanno sentito il dovere di portare aiuto ai Paesi separati dal mondo del benessere a cui loro appartengono. L’esistenza di meccanismi economici, finanziari e sociali L’interdipendenza esistente tra i vari paesi porta però anche un sottosviluppo anche nei Paesi ricchi, mostrando come lo sviluppo o diventa comune a tutte le parti del mondo, o subisce un processo di retrocessione perché non è veramente tale! Tra gli indici specifici del sottosviluppo due sono rivelatori di questa situazione drammatica: La crisi degli alloggi legata al fenomeno crescente dell’urbanizzazione (n°17) La disoccupazione o la sottoccupazione (n°18) Altro fenomeno legato all’interdipendenza dei paesi, ma che accentua il sottosviluppo di quelli più poveri (n°19) è la questione del debito internazionale. Le cause del grave ritardo nel processo di sviluppo (n°20) sono tante e complesse, ma di sicuro un elemento importante è l’esistenza di due blocchi politico-ideologici contrapposti, detti comunemente Est-Ovest, che sono stati in tensione fin dalla fine della seconda guerra mondiale. Tensione che nel primo quarantennio assumeva i toni della “guerra fredda”, nell’ultimo ventennio invece quelli delle “guerre per procura” mediante la strumentalizzazione delle guerre locali ed entrambe sembrano sempre preludio ad una guerra aperta e totale. Questa tensione (n°21) è da imputare a due diverse concezioni di sviluppo, entrambe imperfette, che trasferita in seno ai paesi in via di sviluppo contribuisce ad allargare il già esistente fossato tra Nord e Sud: ognuno dei due blocchi infatti nasconde dentro di sé, a suo modo, la tendenza all’imperialismo o al neo-colonialismo mortificando così lo slancio di cooperazione solidale di tutti per il bene comune del genere umano (n°22). In quest’ottica una funzione di guida tra le nazioni si può giustificare solo con la possibilità e la volontà di contribuire, in maniera ampia e generosa, al bene comune e «una Nazione che cedesse, più o meno consapevolmente, alla tentazione di chiudersi in se stessa, venendo meno alle responsabilità conseguenti ad una superiorità nel concerto delle Nazioni, mancherebbe gravemente ad un suo preciso dovere etico » (n°23). Tre gravi disordini conseguenti a questo stato di cose sono (n°24): L’eccessiva produzione di armi rispetto alle vere necessità ed il loro commercio tanto che: «Ci troviamo così di fronte a uno strano fenomeno: mentre gli aiuti economici e i piani di sviluppo si imbattono nell'ostacolo di barriere ideologiche insuperabili, di barriere tariffarie e di mercato, le armi di qualsiasi provenienza circolano con quasi assoluta libertà nelle varie parti del mondo». Se poi si pensa agli arsenali atomici, sembra proprio che lo sviluppo più che tendere alla vita tenda alla morte. Conseguenza del primo è l’acutizzarsi del problema dei profughi politici e non. Il terrorismo: «inteso come proposito di uccidere e distruggere indistintamente uomini e beni e di creare appunto un clima di terrore e di insicurezza, spesso anche con la cattura di ostaggi». Esso non è mai giustificabile anche quando è motivato da ideologie o in vista della creazione di una società migliore. Riguardo al problema demografico (n° 25) il papa afferma che esso può creare difficoltà allo sviluppo al Nord perché c’è poca natalità e al Sud perché ce ne è troppa, ma: «non è neppure dimostrato che ogni crescita demografica sia incompatibile con uno sviluppo ordinato». Le o o o o o campagne sistematiche contro la natalità è in contrasto sia con l’identità culturale e religiosa dei Paesi, sia con la natura del vero sviluppo e sono una nuova forma di oppressione. Sono comunque presenti anche aspetti positivi (n°26) quali: La piena consapevolezza della dignità propria e di ciascun essere umano La convinzione di una radicale interdipendenza, con la conseguente necessità di una solidarietà che la traduca sul piano morale, e quella di un comune destino da costruire insieme che richiede lo sforzo e l’impegno di tutti. Il rispetto per la vita e la preoccupazione concomitante per la pace (che è indivisibile perché o è di tutti o è di nessuno) sempre più fondata sulla giustizia. La preoccupazione ecologica e cioè la consapevolezza dei limiti delle risorse disponibili ed il rispetto dell’integrità e dei ritmi della natura. L’impegno di molte persone a tutti i livelli e di molte Organizzazioni internazionali. Il papa passa così ad analizzare l’autentico sviluppo umano. Cosa esso non è innanzitutto: Non è (n°27), come molti pensavano, un processo rettilineo, quasi automatico e di per sé illimitato, tanto che ora in molte persone è subentrata una fondata inquietudine per il destino dell’umanità. Non è (n°28) neanche pura accumulazione di beni e servizi, come si è potuto vedere, perché se il loro possedimento non è retto da un intendimento morale e da un orientamento verso il vero bene del genere umano, si ritorce facilmente contro: «Lo “avere” oggetti e beni non perfeziona di per sé il soggetto umano, se non contribuisce alla maturazione e all'arricchimento del suo "essere", cioè alla realizzazione della vocazione umana in quanto tale … Ecco allora il quadro: ci sono quelli - i pochi che possiedono molto - che non riescono veramente ad "essere", perché, per un capovolgimento della gerarchia dei valori, ne sono impediti dal culto dell'"avere"; e ci sono quelli - i molti che possiedono poco o nulla -, i quali non riescono a realizzare la loro vocazione umana fondamentale, essendo privi dei beni indispensabili … Con ciò resta dimostrato che, se lo sviluppo ha una necessaria dimensione economica, poiché deve fornire al maggior numero possibile degli abitanti del mondo la disponibilità di beni indispensabili per "essere", tuttavia non si esaurisce in tale dimensione». Il vero sviluppo (n°29) tiene conto della realtà e della vocazione dell’uomo visto nella sua globalità e cioè secondo il suo parametro interiore, la sua natura specifica di essere creato da Dio a sua immagine e somiglianza: «L'uomo così viene ad avere una certa affinità con le altre creature: è chiamato a utilizzarle a occuparsi di esse e sempre secondo la narrazione della Genesi (Gen2,15) è posto nel giardino col compito di coltivarlo e custodirlo, al di sopra di tutti gli altri esseri collocati da Dio sotto il suo dominio (Gen1,25). Ma nello stesso tempo l'uomo deve rimanere sottomesso alla volontà di Dio, che gli prescrive limiti nell'uso e nel dominio delle cose (Gen2,16), così come gli promette l'immortalità (Gen2,9); (Sap2,23) … Sulla base di questo insegnamento, lo sviluppo … [consiste] … nel subordinare il possesso, il dominio e l'uso alla somiglianza divina dell'uomo e alla sua vocazione all'immortalità. Ecco la realtà trascendente dell'essere umano, la quale appare partecipata fin dall'origine ad una coppia di uomo e donna (Gen1,27) ed è quindi fondamentalmente sociale». Lo sviluppo quindi (n°30) è l’espressione moderna di un’essenziale dimensione della vocazione dell’uomo e chi volesse rinunciare al compito, difficile ma esaltante, di elevare la sorte di tutto l’uomo e di tutti gli uomini, verrebbe meno alla volontà di Dio creatore. La fede in Cristo redentore poi (n°31): Illumina dal di dentro la natura dello sviluppo, mostrando che il sogno di un “progresso indefinito” è possibile solo perché Dio Padre ha deciso fin dal principio di rendere l’uomo partecipe della sua gloria in Gesù Cristo risorto e in lui ha voluto vincere il peccato e farlo servire per il nostro bene più grande che supera infinitamente quanto il progresso potrebbe realizzare. Guida anche nel compito della collaborazione perché mette bene in chiaro le ragioni che spingono la Chiesa a preoccuparsi della problematica dello sviluppo e a considerarlo un dovere del suo ministero pastorale: «Col suo impegno essa desidera, da una parte, mettersi al servizio del piano divino inteso a ordinare tutte le cose alla pienezza che abita in Cristo (Col1,19), e che egli comunicò al suo corpo, e dall'altra, rispondere alla sua vocazione fondamentale di "sacramento", ossia "segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" … Fa parte dell'insegnamento e della pratica più antica della Chiesa la convinzione di esser tenuta per vocazione - essa stessa, i suoi ministri e ciascuno dei suoi membri - ad alleviare la miseria dei sofferenti, vicini e lontani, non solo col "superfluo", ma anche col "necessario"». o Di conseguenza si capisce che: Il dovere di impegnarsi per lo sviluppo di tutti gli uomini e di tutto l’uomo è un dovere per tutti e per ciascuno degli esseri umani (n°32): «Se, al contrario, si cerca di realizzarlo in una sola parte, o in un solo mondo, esso è fatto a spese degli altri; e là dove comincia, proprio perché gli altri sono ignorati, si ipertrofizza e si perverte». Non è degno dell’uomo (n°33) uno sviluppo che non rispettasse o non promuovesse i diritti umani, personali e sociali, economici e politici e ciò mette in risalto anche il carattere morale dello sviluppo e ciò rende necessario che per un vero sviluppo: In ogni Nazione si rispetti: il diritto alla vita in ogni stadio dell’esistenza; i diritti della famiglia; la giustizia nei rapporti di lavoro; i diritti inerenti alla vita della comunità politica in quanto tale; i diritti basati sulla vocazione trascendente dell’essere umano, a cominciare dalla libertà religiosa. Sul piano internazionale: il pieno rispetto dell’identità di ciascun popolo con le sue caratteristiche storiche e culturali; ogni popolo deve avere diritto ad assidersi alla mensa del banchetto comune; i popoli ed i singoli devono godere dell’eguaglianza fondamentale, fondamento del diritto di tutti alla partecipazione allo sviluppo. «Per essere tale, lo sviluppo deve realizzarsi nel quadro della solidarietà e della libertà, senza sacrificare mai l'una e l'altra … il vero sviluppo deve fondarsi sull'amore di Dio e del prossimo, e contribuire a favorire i rapporti tra individui e società. Ecco la "civiltà dell'amore", di cui parlava spesso Papa Paolo VI». Il rispetto della creazione visibile o Passando ad una lettura teologica dei problemi moderni (n°35), il papa dice che gli ostacoli al vero sviluppo non sono stati solo di natura economica, ma anche politica e quindi il loro superamento avverrà solo in forza di determinazioni essenzialmente morali. o «É da rilevare, pertanto, che un mondo diviso in blocchi, sostenuti da ideologie rigide, dove, invece dell'interdipendenza e della solidarietà, dominano differenti forme di imperialismo, non può che essere un mondo sottomesso a "strutture di peccato" … che si radicano nel peccato personale e, quindi, son sempre collegate ad atti concreti delle persone, che le introducono, le consolidano e le rendono difficili da rimuovere. » (n° 36 e si veda anche CoDSC 119). Esse sono molto legate al peccato sociale e sono un contesto di peccato che impedisce, come una nebbia, di vedere le norme morali e che a vote diventa un vero e proprio sistema: d’altronde come esiste la comunione dei santi, esiste anche una complicità del male per cui il peccato di uno danneggia tutti e in queste strutture la persona è vittima e complice. Oltre a ciò (n° 37) tra gli atteggiamenti opposti alla volontà di Dio e al bene del prossimo i più caratteristici oggi sono la brama esclusiva del profitto e la sete del potere, entrambe “a qualsiasi prezzo”: «Ho voluto introdurre questo tipo di analisi soprattutto per indicare quale sia la vera natura del male a cui ci si trova di fronte nella questione dello "sviluppo dei popoli": si tratta di un male morale, frutto di molti peccati, che portano a "strutture di peccato". Diagnosticare così il male significa identificare esattamente, a livello della condotta umana, il cammino da seguire per superarlo.» o «Nel cammino della desiderata conversione verso il superamento degli ostacoli morali per lo sviluppo, si può già segnalare, come valore positivo e morale, la crescente consapevolezza dell'interdipendenza tra gli uomini e le Nazioni. Il fatto che uomini e donne, in varie parti del mondo, sentano come proprie le ingiustizie e le violazioni dei diritti umani commesse in Paesi lontani, che forse non visiteranno mai, è un segno ulteriore di una realtà trasformata in coscienza, acquistando così connotazione morale … Si tratta, innanzitutto, dell'interdipendenza, sentita come sistema determinante di relazioni nel mondo contemporaneo, nelle sue componenti economica, culturale, politica e religiosa, e assunta come categoria morale. Quando l'interdipendenza viene così riconosciuta, la correlativa risposta, come atteggiamento morale e sociale, come "virtù"", è la solidarietà. Questa, dunque, non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti. Tale determinazione è fondata sulla salda convinzione che le cause che frenano il pieno sviluppo siano quella brama del profitto e quella sete del potere, di cui si è parlato. Questi atteggiamenti e "strutture di peccato" si vincono solo_presupposto l'aiuto della grazia divina_con un atteggiamento diametralmente opposto: l'impegno per il bene del prossimo con la disponibilità, in senso evangelico, a "perdersi" a favore dell'altro invece di sfruttarlo e a "servirlo" invece di opprimerlo per il proprio tornaconto (Mt10,40); (Mt20,25); (Mc10,42); (Lc22, 25).» (n°38) Perciò anche la solidarietà è una virtù ed è via alla pace e al n°40 si dice che essa è indubbiamente una virtù cristiana. o Passando ad alcuni orientamenti particolari il papa ribadisce subito (n°41) che la DSC non è una “terza via” tra capitalismo liberista ed il collettivismo marxista, ma: «l'accurata formulazione dei risultati di un'attenta riflessione sulle complesse realtà dell'esistenza dell'uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale … Essa appartiene, perciò, non al campo dell'ideologia, ma della teologia e specialmente della teologia morale. L'insegnamento e la diffusione della dottrina sociale fanno parte della missione evangelizzatrice della Chiesa. E, trattandosi di una dottrina indirizzata a guidare la condotta delle persone, ne deriva di conseguenza l'"impegno per la giustizia" secondo il ruolo, la vocazione, le condizioni di ciascuno. All'esercizio del ministero dell'evangelizzazione in campo sociale, che è un aspetto della funzione profetica della Chiesa, appartiene pure la denuncia dei mali e delle ingiustizie. Ma conviene chiarire che l'annuncio è sempre più importante della denuncia, e questa non può prescindere da quello, che le offre la vera solidità e la forza della motivazione più alta.» o Uno dei temi da riscoprire è l’opzione o amore preferenziale (e non esclusivo!) per i poveri (n°42), perciò ricordando che i beni di questo mondo sono originariamente destinati a tutti: «La preoccupazione stimolante verso i poveri … deve tradursi, a tutti i livelli, in atti concreti fino a giungere con decisione a una serie di necessarie riforme» (n°43) e tra quelle internazionali il papa ricorda: «la riforma del sistema internazionale di commercio, ipotecato dal protezionismo e dal crescente bilateralismo; la riforma del sistema monetario e finanziario mondiale, oggi riconosciuto insufficiente; la questione degli scambi delle tecnologie e del loro uso appropriato; la necessità di una revisione della struttura delle Organizzazioni internazionali esistenti, nella cornice di un ordine giuridico internazionale». Certo è anche necessario lo spirito di iniziativa da parte degli stessi Paesi in via di sviluppo. o Passando alla conclusione, al n°46 ricorda che lo sviluppo deve mirare alla liberazione, ma di tutto l’uomo mirando perciò più che ad avere di più, ad essere di più. Altra enciclica molto importante in campo sociale è la Centesimus Annus, scritta il 1° maggio 1991, nella quale, come dice al n°3 dell’introduzione, da uno sguardo: “indietro”, per riscoprire la ricchezza dei principi fondamentali della Rerum Novarum; “intorno”, per vedere le “cose nuove” del contesto in cui ci si trovava immersi; al “futuro”, carico di incognite e promesse che fanno appello alla immaginazione e alla creatività dei credenti e ne stimolano la responsabilità. o Cominciando con il delineare i tratti caratteristici della Rerum Novarum, il papa enuncia subito l’asse portante dell’enciclica al n°4: «il legame costitutivo della libertà umana con la verità, tale che una libertà che rifiuti di vincolarsi alla verità scadrebbe in arbitrio e finirebbe col sottomettere se stessa alle passioni più vili e con l'autodistruggersi. Da cosa derivano, infatti, tutti i mali a cui la Rerum novarum vuole reagire se non da una libertà che, nel campo dell'attività economica e sociale, si distacca dalla verità dell'uomo?» o Al n°5 ricorda poi come un altro contenuto essenziale dell’enciclica leonina, paradigma permanente per la Chiesa, sia che «la pace si edifica sul fondamento della giustizia». o Sempre al n°5 ricorda poi come: «L'atteggiamento del Papa nel pubblicare la Rerum novarum conferì alla Chiesa quasi uno " statuto di cittadinanza " nelle mutevoli realtà della vita pubblica» e per quanto riguarda la Chiesa: «insegnare e diffondere la dottrina sociale appartiene alla sua missione evangelizzatrice e fa parte essenziale del messaggio cristiano», quindi «La " nuova evangelizzazione ", di cui il mondo moderno ha urgente necessità e su cui ho più volte insistito, deve annoverare tra le sue componenti essenziali l'annuncio della dottrina sociale della Chiesa». o I principi più importanti dell’enciclica leonina per il papa sono: la dignità del lavoratore e del lavoro, il diritto alla proprietà privata (n°6); il diritto a creare associazioni professionali (n°7); il diritto al “giusto salario” (n°8); il diritto di adempiere liberamente i doveri religiosi (n°9); la concezione dei rapporti tra stato e cittadini in cui molta importanza ha il principio di solidarietà, che anche gli altri papi hanno usato parlando di “amicizia” (Leone XIII), “carità sociale” (Pio XI) e “civiltà dell’amore” (Paolo VI) (n°10) o Volgendo lo sguardo verso le “cose nuove” di oggi il papa ricorda (n°12) come Papa Leone XIII cominciò la critica delle soluzioni che si davano alla “questione operaia” dal socialismo, rimedio che si sarebbe rivelato peggiore del male ed egli aggiunge (n°13) che: «l’errore fondamentale del socialismo è di carattere antropologico. Esso, infatti, considera il singolo uomo come un semplice elemento ed una molecola dell'organismo sociale … Da questa errata concezione della persona discendono la distorsione del diritto che definisce la sfera di esercizio della libertà, nonché l'opposizione alla proprietà privata … Al contrario, dalla concezione cristiana della persona segue necessariamente una visione giusta della società. Secondo la Rerum novarum e tutta la dottrina sociale della Chiesa, la socialità dell'uomo non si esaurisce nello Stato, ma si realizza in diversi gruppi intermedi, cominciando dalla famiglia fino ai gruppi economici, sociali, politici e culturali che, provenienti dalla stessa natura umana, hanno — sempre dentro il bene comune — la loro propria autonomia. È quello che ho chiamato la " soggettività " della società che, insieme alla soggettività dell'individuo, è stata annullata dal " socialismo reale "». La prima causa di questa errata concezione dell’uomo è l’ateismo: «strettamente connesso col razionalismo illuministico, che concepisce la realtà umana e sociale in modo meccanicistico». Da essa (n°14) scaturisce anche la scelta della lotta di classe come strumento rinnovatore, scelta che la Rerum Novarum ha condannato. Se infatti il conflitto sociale ha un ruolo positivo quando esso si configura come lotta per la giustizia sociale, la lotta di classe non perché essa è fondata su: «l'idea di un conflitto che non è limitato da considerazioni di carattere etico o giuridico, che si rifiuta di rispettare la dignità della persona nell'altro (e, di conseguenza, in se stesso), che esclude, perciò, un ragionevole accomodamento e persegue non già il bene generale della società, bensì un interesse di parte che si sostituisce al bene comune e vuol distruggere ciò che gli si oppone». Insomma se è giusto lottare per la giustizia sociale, non è giusto lottare contro qualcuno. o L’enciclica leonina ha però criticato anche gli stati liberisti che considerano (n°15): «il settore dell'economia totalmente al di fuori del suo campo di interesse e di azione. Esiste certo una legittima sfera di autonomia dell'agire economico, nella quale lo Stato non deve entrare. Questo, però, ha il compito di determinare la cornice giuridica, al cui interno si svolgono i rapporti economici, e di salvaguardare in tal modo le condizioni prime di un'economia libera, che presuppone una certa eguaglianza tra le parti, tale che una di esse non sia tanto più potente dell'altra da poterla ridurre praticamente in schiavitù». Ciò significa: difendere il lavoratore contro l’incubo della disoccupazione; assicurare i livelli salariali adeguati al mantenimento del lavoratore e della sua famiglia, inclusa una certa capacità di risparmio; garantire il rispetto di orari “umani” di lavoro e di riposo, oltre che il diritto di esprimere la propria personalità sul luogo di lavoro. «Al conseguimento di questi fini lo Stato deve concorrere sia direttamente che indirettamente. Indirettamente e secondo il principio di sussidiarietà, creando le condizioni favorevoli al libero esercizio dell'attività economica, che porti ad una offerta abbondante di opportunità di lavoro e di fonti di ricchezza. Direttamente e secondo il principio di solidarietà, ponendo a difesa del più debole alcuni limiti all'autonomia delle parti, che decidono le condizioni di lavoro, ed assicurando in ogni caso un minimo vitale al lavoratore disoccupato». o Così al n°16: «Le riforme in parte furono realizzate dagli Stati … Se dunque, guardando al passato, c'è motivo di ringraziare Dio perché la grande Enciclica non è rimasta priva di risonanza nei cuori ed ha spinto ad una fattiva generosità, tuttavia bisogna riconoscere che l'annuncio profetico, in essa contenuto, non è stato compiutamente accolto dagli uomini di quel tempo, e proprio da ciò sono derivate assai gravi sciagure». Infatti le guerre che sconvolsero l’Europa e il mondo tra il ’14 e il ’45 furono (n°17): «derivanti dal militarismo e dal nazionalismo esasperato e dalle forme di totalitarismo, ad essi collegate, e guerre derivanti dalla lotta di classe, guerre civili ed ideologiche. Senza la terribile carica di odio e di rancore, accumulata a causa delle tante ingiustizie sia a livello internazionale che a quello interno ai singoli Stati, non sarebbero state possibili guerre di tale ferocia». «Tuttavia, l'odio e l'ingiustizia si impossessano di intere Nazioni e le spingono all'azione solo quando vengono legittimati ed organizzati da ideologie che si fondano su di essi piuttosto che sulla verità dell'uomo.49 La Rerum novarum combatteva le ideologie dell'odio ed indicava le vie per distruggere la violenza ed il rancore mediante la giustizia. Possa il ricordo di quei terribili avvenimenti guidare le azioni di tutti gli uomini e, in particolare, dei reggitori dei popoli nel nostro tempo, in cui altre ingiustizie alimentano nuovi odi e si delineano all'orizzonte nuove ideologie che esaltano la violenza». E al n°18 dice che: «Certo, dal 1945 le armi tacciono nel Continente europeo; tuttavia, la vera pace — si ricordi — non è mai il risultato della vittoria militare, ma implica il superamento delle cause della guerra e l'autentica riconciliazione tra i popoli … ed allora bisogna ripudiare la logica che conduce ad essa, l'idea che la lotta per la distruzione dell'avversario, la contraddizione e la guerra stessa siano fattori di progresso e di avanzamento della storia. Quando si comprende la necessità di questo ripudio, devono necessariamente entrare in crisi sia la logica della " guerra totale " sia quella della " lotta di classe "». Insomma perché ci sia più pace, ci vuole più giustizia! o Dopo la seconda guerra mondiale (n°19) si assiste a paesi che ricostruiscono una società democratica e ispirata alla giustizia sociale, ma ci sono altri che: Per evitare infiltrazioni marxiste o costruiscono sistemi di sicurezza nazionale miranti a controllare tutta la società, che però distruggono la libertà ed i valori della persona, o puntano tutto sulla società del benessere e del consumo, riducendo però l’uomo solo alla sfera dell’economico e del soddisfacimento dei beni materiali. (n°20) Per favorire il processo di “decolonizzazione” e l’edificazione della nazione e dello stato mescolano: legittime esigenze di riscatto internazionale, forme di nazionalismo e di militarismo, principi tratti da antiche tradizioni popolari consonanti con la DSC, concetti del marxismo-leninismo. o In reazione agli orrori delle guerre si è diffuso poi un sentimento più vivo dei diritti umani (n°21) che ha trovato eco in «diversi Documenti internazionali e nella elaborazione, si direbbe, di un nuovo "diritto delle genti"» anche se non si è ancora riusciti a: «costruire strumenti efficaci per la soluzione dei conflitti internazionali alternativi alla guerra». o Il papa passa poi ad analizzare i fatti accaduti l’anno 1989, anno (n°22) in cui si ha il crollo dei governi comunisti dell’Europa centrale e orientale, culmine del processo di crolli di regimi dittatoriali e oppressivi avvenuti durante tutti gli anni ’80. Crolli dovuti per il papa: Innanzitutto (n°23) alla violazione dei diritti del lavoro (paradossalmente!) e ottenuti mediante una lotta pacifica che ha fatto uso delle sole armi della verità e della giustizia (tema ripreso nel n°25 e schiaffo alla lotta di classe!). L’inefficienza del sistema economico (n°24) conseguenza: della violazione dei diritti umani all’iniziativa, alla proprietà, alla libertà nel settore economico; della riduzione dell’uomo al semplice piano economico in campo culturale e nazionale. Il vuoto spirituale provocato dall’ateismo perché: «Il marxismo aveva promesso di sradicare il bisogno di Dio dal cuore dell'uomo, ma i risultati hanno dimostrato che non è possibile riuscirci senza sconvolgere il cuore». All’organizzazione della società che ha ridotto arbitrariamente, o addirittura soppresso, la sfera in cui la libertà legittimamente si esercita e che riteneva di possedere il segreto per rendere impossibile il male, elevando così la politica a religione secolare (n°25). o Conseguenze di questi avvenimenti sono state: In alcuni paesi l’incontro tra la Chiesa e il Movimento operaio (n°26) grazie alla riaffermazione di un’autentica teologia dell’integrale liberazione umana. Per i paesi dell’Europa (n°27) la caduta del marxismo: da un lato lascia scoperti molti odi e rancori che si sono accumulati tra le nazioni e rischiano di riesplodere ora, ma che vanno superati cercando di raggiungere un giusto accordo e la pacifica composizione dei diritti di ogni nazione dall’altro lato mette in luce più chiaramente l’interdipendenza dei popoli e il fatto che per natura sua il lavoro umano è destinato ad unire i popoli e non a dividerli Per i paesi ex-comunisti (n°28) inizia in un certo senso il vero dopoguerra e quindi vanno sostenuti dallo sforzo solidale delle altre nazioni, soprattutto europee che nei loro confronti hanno un debito di giustizia, senza dimenticare quelle in via di sviluppo. Per far tutto questo è necessario: ridefinire le priorità e le scale di valori in base alle quali si decidono le scelte economiche e politiche; disarmare gli enormi apparati militari; stabilire affidabili procedure per la soluzione dei conflitti, alternative alla guerra; abbandonare la mentalità per cui i poveri sono un fardello e fastidiosi importuni. Aver capito (n°29) che lo sviluppo non va inteso solo in modo economico, ma integralmente umano e riconoscendo integralmente i diritti della coscienza umana legata solo alla verità sia naturale che rivelata. Ed è importante riaffermarli contro: le antiche forme di totalitarismo ancora esistenti; l’eccessiva propaganda dei valori puramente utilitaristici; l’emergere di nuove forme di fondamentalismo religioso. o Il papa passa poi a trattare i due fuochi della riflessione sociale della Chiesa: la proprietà privata e l’universale destinazione dei beni, a cui l’esercizio della prima è comunque subordinato (n°30). La radice dell’universale destinazione dei beni della terra (n°31) è che Dio ha dato la terra ha tutto il genere umano, mentre l’origine della proprietà individuale è che solo mediante il lavoro l’uomo riesce a dominare la terra e a farne la sua dimora. o Se un tempo la naturale fecondità della terra appariva ed era di fatto il principale fattore della ricchezza, nel nostro tempo è diventato sempre più rilevante il peso del lavoro umano e soprattutto come il lavoro di un uomo si intrecci con quello di altri uomini, come cioè il lavorare sia un lavorare “con gli altri” e “per gli altri”: «lavoro è tanto più fecondo e produttivo, quanto più l'uomo è capace di conoscere le potenzialità produttive della terra e di leggere in profondità i bisogni dell'altro uomo, per il quale il lavoro è fatto». o È emersa così una nuova forma di proprietà privata (n°32): «Se un tempo il fattore decisivo della produzione era la terra e più tardi il capitale, inteso come massa di macchinari e di beni strumentali, oggi il fattore decisivo è sempre più l'uomo stesso, e cioè la sua capacità di conoscenza … di organizzazione solidale, … di intuire e soddisfare il bisogno dell'altro» o Sono presenti però più problemi (n°33): «Di fatto, oggi molti uomini, forse la grande maggioranza, non dispongono di strumenti che consentono di entrare in modo effettivo ed umanamente degno all'interno di un sistema di impresa, nel quale il lavoro occupa una posizione davvero centrale … e lo sviluppo economico si svolge, per così dire, sopra la loro testa, quando non restringe addirittura gli spazi già angusti delle loro antiche economie di sussistenza» «Molti altri uomini, pur non essendo del tutto emarginati, vivono all'interno di ambienti in cui è assolutamente primaria la lotta per il necessario» «In altri casi è ancora la terra ad essere l'elemento centrale del processo economico, e coloro che la coltivano, esclusi dalla sua proprietà, sono ridotti in condizioni di semiservitù» In sintesi: «Nonostante i grandi mutamenti avvenuti nelle società più avanzate, le carenze umane del capitalismo, col conseguente dominio delle cose sugli uomini, sono tutt'altro che scomparse; anzi, per i poveri alla mancanza di beni materiali si è aggiunta quella del sapere e della conoscenza, che impedisce loro di uscire dallo stato di umiliante subordinazione». E notare che aspetti tipici del terzo mondo emergono anche nei paesi sviluppati! L’unica soluzione sembra essere quella: «di ottenere un equo accesso al mercato internazionale, fondato non sul principio unilaterale dello sfruttamento delle risorse naturali, ma sulla valorizzazione delle risorse umane». o Sembra quindi (n°34) che il libero mercato sia lo strumento più efficace per collocare le risorse “vendibili” e rispondere più efficacemente ai bisogni “solvibili”. Esistono però numerosi bisogni umani che non hanno accesso al mercato, infatti «Prima ancora della logica dello scambio degli equivalenti e delle forme di giustizia, che le son proprie, esiste un qualcosa che è dovuto all'uomo perché è uomo, in forza della sua eminente dignità. Questo qualcosa dovuto comporta inseparabilmente la possibilità di sopravvivere e di dare un contributo attivo al bene comune dell'umanità». La via da battere (n°35) è quella di tendere ad una: «società del lavoro libero, dell'impresa e della partecipazione … (che) non si oppone al mercato, ma chiede che sia opportunamente controllato dalle forze sociali e dallo Stato, in modo da garantire la soddisfazione delle esigenze fondamentali di tutta la società». o Il papa ci tiene poi a ribadire che la chiesa riconosce la giusta funzione del profitto, come indicatore del buon andamento di un’azienda, ma ribadisce anche che esso non è l’unico! Scopo dell’impresa infatti non è semplicemente la produzione del profitto, ma l’esistenza stessa dell’impresa come comunità di uomini e quindi altri indicatori sono fattori umani e morali che a lungo periodo sono almeno egualmente essenziali per la vita dell’impresa. Da questa considerazione del papa sono partiti molti studi che mostrano sempre più come ciò che è eticamente inaccettabile è anche economicamente improduttivo. o Riguardo al debito estero dei paesi più poveri se da un lato è giusto il principio che i debiti devono essere pagati, dall’altro lato non è lecito chiedere o pretendere un pagamento quando questo verrebbe ad imporre di fatto scelte politiche tali da spingere alla fame e alla disperazione intere popolazioni, perciò è necessario: «trovare modalità di alleggerimento, di dilazione o anche di estinzione del debito, compatibili col fondamentale diritto dei popoli alla sussistenza ed al progresso». o Riguardo invece ai problemi specifici e alle minacce che insorgono all’interno delle economie più avanzate (n°36), esse non devono più rispondere solo ad una domanda sulla quantità dei beni sufficienti, ma anche ad una domanda sulla qualità: delle merci, dei servizi, dell’ambiente e della vita in generale. Ma se in questo sforzo si risponde: «direttamente ai suoi istinti e prescindendo in diverso modo dalla sua realtà personale cosciente e libera, si possono creare abitudini di consumo e stili di vita oggettivamente illeciti e spesso dannosi per la sua salute fisica e spirituale». Esempi sono il consumo di droga, il dilagare della pornografia. In sintesi:«Non è male desiderare di viver meglio, ma è sbagliato lo stile di vita che si presume esser migliore, quando è orientato all'avere e non all'essere e vuole avere di o o o o o più non per essere di più, ma per consumare l'esistenza in un godimento fine a se stesso. È necessario, perciò, adoperarsi per costruire stili di vita, nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti». Strettamente connessa al consumismo è la questione ecologica (n°37) infatti l’uomo invece:«di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell'opera della creazione, l'uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui». L’uomo non è quindi padrone, ma amministratore, concetto questo che si oppone a quello di arbitrarietà. Se è grave la distruzione dell’ambiente è però ancor più grave quella dell’ambiente umano (n°38), la cui struttura fondamentale è quella della famiglia fondata sul matrimonio (n°39) che va difesa insieme ai beni collettivi che costituiscono la cornice entro cui ognuno può realizzarsi. Al n°41 il papa tocca poi il problema dell’alienazione tanto caro al marxismo ed egli dice che essa è provocata quando si lavora solo per il profitto e non ci si preoccupa della realizzazione personale dell’uomo e più in generale quando i fini diventano mezzi e viceversa. L’unico modo per risolvere questo problema è quello di rimettere le cose a posto e nel caso del lavoro subordinarlo all’uomo che è il fine per cui esso esiste. La via marxista alla alienazione infatti è fallita (n°42), ma bisogna ora fare attenzione al capitalismo! La Chiesa non ha modelli da proporre, ma solo la sua DSC (n°43) e se va bene il mercato bisogna fare attenzione che la ricchezza prodotta sia orientata al bene comune. Passando al rapporto tra stato e cultura, al n°44 il papa parlando dello stato di diritto, nel quale è sovrana la legge e non la volontà degli uomini, dice che: «se non esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua piena identità, allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini» infatti «la radice del moderno totalitarismo … è da individuare nella negazione della trascendente dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibile e, proprio per questo, per sua natura stessa, soggetto di diritti che nessuno può violare». La Chiesa a tal proposito apprezza la democrazia (n°46), ma ricorda che essa è possibile solo laddove c’è uno stato di diritto e dove c’è una retta comprensione della persona umana perché: «una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia». Questo perché: «la libertà è pienamente valorizzata soltanto dall’accettazione della verità: in un modo senza verità la libertà perde la sua consistenza e l’uomo è esposto alla violenza delle sue passioni e a condizionamenti aperti od occulti». In questo quadro: «Il cristiano vive la libertà (cf Gv 8,31-32) e la serve proponendo continuamente, secondo la natura missionaria della sua vocazione, la verità che ha conosciuto. Nel dialogo con gli altri uomini egli, attento ad ogni frammento di verità che incontri nell'esperienza di vita e nella cultura dei singoli e delle Nazioni, non rinuncerà ad affermare tutto ciò che gli hanno fatto conoscere la sua fede ed il corretto esercizio della ragione». Fonte e sintesi di tutti i diritti umani che uno stato deve riconoscere (n°47) c’è quello della libertà religiosa. Tra i vari compiti dello stato (n°48) c’è quello di garantire regole per l’economia e se è quindi positiva la nascita di uno “stato del benessere” (welfare state) va comunque sempre rispettato il principio di sussidiarietà. Parlando poi dell’intervento della Chiesa in questo campo (n°49) chiude dicendo che comunque: «L'uomo è, prima di tutto, un essere che cerca la verità e si sforza di viverla e di approfondirla in un dialogo che coinvolge le generazioni passate e future» ed è ciò che stato ed economia devono sempre tenere presente. Molto importante è la cultura della nazione (n°50), anche se essa deve fare attenzione a non chiudersi in se stessa, perché tutta l’attività umana (n°51) ha luogo all’interno di una cultura ed interagisce con essa. Siccome l’evangelizzazione si inserisce nella cultura delle nazioni, la Chiesa deve dare il suo contributo specifico e decisivo alla cultura locale, facendo questo però non con spirito di rivalità, ma con spirito di fraternità. o In conclusione quindi il papa ricorda che l’uomo è la via della chiesa ed è questa l’ispirazione che presiede alla DSC (n°53). Nella situazione odierna essa (n°54) mira all’uomo inserito nella complessa rete di relazioni delle società moderne, per metterlo in grado di capir meglio se stesso, in quanto “essere sociale”. Siccome però la Chiesa (n°55) riceve il “senso dell’uomo” dalla divina rivelazione, l’antropologia cristiana è un capitolo della teologia ed è per questo che la DSC appartiene al campo della teologia e specialmente della teologia morale. Siccome la dimensione teologica risulta quindi necessaria per interpretare e risolvere gli attuali problemi della convivenza umana, il papa (n°56) si augura un rinnovato slancio per lo studio, la diffusione e l’applicazione della DSC. Essa infatti (n°57) più che una teoria è prima di tutto un fondamento ed una motivazione per l’azione come dimostra la storia della Chiesa nella quale si vede che il suo messaggio sociale ha trovato credibilità dalla testimonianza delle sue opere ed in particolare dalla sua opzione preferenziale per i poveri, intesa però in senso mai discriminante verso altri gruppi anche perché i poveri non sono solo quelli materiali e anche nei paesi occidentali stanno crescendo nuove forme di povertà. L’amore per l’uomo quindi (n°58) si fa concreto nella promozione della giustizia verso i singoli ed i popoli che vanno aiutati ad entrare nel circolo dello sviluppo senza demonizzare quindi la mondializzazione dell’economia, ma cambiando gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo e le strutture consolidate di potere che oggi reggono la società. Perché ciò avvenga però (n°59) è necessario il dono della grazia che viene da Dio, perché: «per mezzo di essa, in collaborazione con la libertà degli uomini, si ottiene quella misteriosa presenza di Dio nella storia che è la Provvidenza». È molto importante poi sviluppare l’interdiciplinarietà della DSC e la sua dimensione pratica. Importanti anche il discorso che il papa fece alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali il 27/4/2001 dove ricordava che la globalizzazione in sé non è né buona né cattiva, ma va posta al servizio della persona umana, del bene comune e della solidarietà. E se il mercato è uno strumento di nuova cultura perché imprime valori e si muove più velocemente della cultura e delle leggi, un compito fondamentale ha l’etica che aiuta a formare le coscienze per tutelare ciò che c’è di umano in ogni sistema, tener saldo il valore della persona umana ed il valore delle culture che non vanno azzerate ed evitare così che la globalizzazione si trasformi in un relativismo che omogenizza gli stili di vita. L’ambivalenza della globalizazzione la ricordò anche il 2 maggio 2000 ricevendo i sindacati. E l’1 maggio 2000 enunciò il famoso principio di “globalizzare la solidarietà”, perché l’uomo vale più per quello che è che per quello che ha. Il 4 dicembre 2004 parlando alla Fondazione Centesimus Annus disse che: «talvolta si ha l’impressione che la DSC sia più evocata che conosciuta, un semplice orizzonte di valori piuttosto che ». La DSC è in ogni caso un elemento caratterizzante della spiritualità dei laici. Benedetto XVI (2005 - ) Già nel Messaggio per la giornata della pace del 2005 (“Nella verità la pace”) dice che: si deve recuperare il senso del comune destino; la verità della pace stimola ad essere trasparenti e fedeli alla parola data; non diventa tutto lecito quando la guerra è scoppiata; nemici della pace sono nichilismo e fondamentalismo che sbagliano l’approccio alla verità e hanno quindi il disprezzo per l’uomo e in ultima analisi per Dio; se è un segno positivo il calo numerico delle guerre, è un segno negativo l’aumento per le spese militari. Nella prima enciclica Deus Caritas Est che non è di tema direttamente sociale al n °20 dice che c‘è bisogno di un’organizzazione dell’amore per un servizio comunitario ordinato e dal n°27 parla direttamente della DSC e al n°28, citando Sant’Agostino, dice che è il giusto ordine è dovere della politica e dove non c’è la giustizia cosa sono i governi se non grandi bande di ladri? Lo scopo e la misura della politica è infatti la virtù della giustizia. Ribadisce poi che le sfere dello Stato e della Chiesa sono distinte, ma collegate: se creare una società giusta spetta allo stato, la Chiesa deve contribuire all’educazione delle coscienze, aiutando ad aprire intelligenza e volontà alle esigenze del bene. Gli interventi della Chiesa a livello politico quindi sono legittimi perché al centro di essa c’è l’uomo! Egli smonta poi la teoria marxista per cui l’esercizio della carità è inutile anzi dannoso perché aiutando i poveri si avvalla una società ingiusta, mentre bisogna mirare solo a costruire strutture giuste: questa posizione infatti nasconde una soluzione materialistica dell’uomo e sacrifica il presente ad un futuro che potrebbe non arrivare mai! È invece molto importante l’amorevole dedizione anche se certo la Chiesa ha anche il compito di aiutare a formare le strutture giuste con la purificazione della ragione ed il risveglio delle forze morali. L’esercizio della carità, che è per altro lo specifico della Chiesa, in prima istanza comporta la risoluzione del bisogno immediato intervenendo con competenza e professionalità, ma soprattutto con umanità, cercando di promuovere il bene della persona a partire dalla situazione in cui si è e non aspettando quella che dovrebbe essere. Il programma sociale del cristiano è in sintesi un cuore che vede e nel suo agire deve lasciarsi guidare non tanto dalle ideologie, ma dalla fede che diventa operante e nel dare fare attenzione a non dare solo qualcosa di se stessi, ma con tutto se stessi. Nell’inseguire la soluzione di tutti i problemi poi ci vuole un impegno, sorretto dalla preghiera, per la realizzazione del bene possibile qui ed ora e anche se si è disperati, ed in alcune occasioni è legittimo esserlo, lo si può sempre essere da cristiani, vivendo comunque quella situazione con Dio. PARTE SISTEMATICA DELLA DSC Esso ogni volta che enuncia un principio ne cerca la radice biblica e antropologica. INTRODUZIONE UN UMANESIMO INTEGRALE E SOLIDALE All’alba del terzo millennio Il significato del documento Al servizio della piena verità dell’uomo Nel segno della solidarietà, del rispetto e dell’amore PARTE PRIMA IL DISEGNO DI AMORE DI DIO PER L’UMANITÀ L’AGIRE LIBERANTE DI DIO NELLA STORIA DI ISRAELE La prossimità gratuita di Dio Principio della creazione e agire gratuito di Dio GESÙ CRISTO COMPIMENTO DEL DISEGNO DI AMORE DEL PADRE In Gesù Cristo si compie l’evento decisivo della storia di Dio con gli uomini La rivelazione dell’Amore trinitario LA PERSONA UMANA NEL DISEGNO DI AMORE DI DIO L’Amore trinitario, origine e meta della persona umana La salvezza cristiana: per tutti gli uomini e di tutto l’uomo Il discepolo di Cristo quale nuova creatura Trascendenza della salvezza e autonomia delle realtà terrene DISEGNO DI DIO E MISSIONE DELLA CHIESA La Chiesa, segno e tutela della trascendenza della persona umana Chiesa, Regno di Dio e rinnovamento dei rapporti sociali Cieli nuovi e terra nuova Maria e il suo “fiat” al disegno dell’amore di Dio MISSIONE DELLA CHIESA E DOTTRINA SOCIALE EVANGELIZZAZIONE E DOTTRINA SOCIALE La Chiesa, dimora di Dio con gli uomini Fecondare e fermentare la società con il Vangelo Dottrina sociale, evangelizzazione e promozione umana Diritto e dovere della Chiesa LA NATURA DELLA DOTTRINA SOCIALE Un conoscere illuminato dalla fede Il dialogo cordiale con ogni sapere Espressione del ministero d’insegnamento della Chiesa Per una società riconciliata nella giustizia e nell’amore Un messaggio per i figli della Chiesa e per l’umanità Nel segno della continuità e del rinnovamento LA DOTTRINA SOCIALE NEL NOSTRO TEMPO: CENNI STORICI L’avvio di un nuovo cammino Dalla “Rerum novarum” ai nostri giorni Nella luce e sotto l’impulso del Vangelo LA PERSONA UMANA E I SUOI DIRITTI DSC E PRINCIPIO PERSONALISTA LA PERSONA UMANA “IMAGO DEI” Creatura ad immagine di Dio Il dramma del Peccato Universalità del peccato ed universalità della salvezza LA PERSONA UMANA E I SUOI MOLTI PROFILI L’unità della persona Apertura alla trascendenza ed unicità della persona: - Aperta alla trascendenza - Unica e irripetibile - Il rispetto della dignità umana La libertà della persona - Valore e limiti della libertà - Il vincolo della libertà con la verità e la legge naturale L’uguaglianza in dignità di tutte le persone La socialità umana I DIRITTI UMANI Va precisato che sui diritti umani c’è un progredire della consapevolezza ed il timore della Chiesa ad accettarli era perché li si proponeva permeati di anticlericalismo ed ateismo e perché venivano proposti da gruppi di matrice illuministica e giacobina. Il valore dei diritti umani. La loro fonte ultima è situata nell’uomo stesso ed essi sono universali, inviolabili, inalienabili ed indivisibili. La specificazione dei diritti (cf Centesimus Annus n°47): 1. Alla vita, di cui è parte integrante il diritto a crescere sotto il cuore della madre dopo essere stati generati; 2. A vivere in una famiglia unita e in un ambiente morale, favorevole allo sviluppo della propria personalità; 3. A maturare la propria intelligenza e la propria libertà nella ricerca e nella conoscenza della verità; 4. A partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra ed a ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri cari; 5. A fondare liberamente una famiglia ed a accogliere e educare i figli, esercitando responsabilmente la propria sessualità; 6. Fonte e sintesi di è, in un certo senso, la libertà religiosa, intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede ed in conformità alla trascendente dignità della propria persona. Diritti e doveri Diritti dei popoli e delle Nazioni Colmare la distanza tra lettera e spirito PRINCIPI DELLA DSC SIGNIFICATO E UNITÀ: Dignità della persona umana, bene comune, sussidiarietà e solidarietà. Il loro carattere è generale e fondamentale e vanno apprezzati nella loro unitarietà, connessione e articolazione. Essi hanno un significato profondamente morale perché rinviano ai fondamenti ultimi e ordinatori della vita sociale. IL PRINCIPIO DEL BENE COMUNE Significato e principali implicazioni. Derivato dalla dignità, unità e uguaglianza di tutte le persone, in una prima e vasta accezione con esso si intende: «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente». Esso è meta di una società che vuole servire l’uomo, ma non è fine a se stesso: ha valore solo in riferimento al raggiungimento dei fini ultimi della persona e al bene comune universale dell’intera creazione. La responsabilità di tutti per il bene comune I compiti della comunità politica. Compete anche allo Stato perché il bene comune è la ragion d’essere dell’autorità politica che deve armonizzare con giustizia i diversi interessi settoriali. LA DESTINAZIONE UNIVERSALE DEI BENI Origine e significato. Esso è la più importante implicazione del bene comune, e si fonda sul fatto che Dio ha dato la terra a tutto il genere umano (Gn 1,28-29). Esso è alla base del diritto universale all’uso dei beni e la sua attuazione concreta implica una precisa definizione di modi, limiti e oggetti. Destinazione universale dei beni e proprietà privata. L’origine della proprietà privata sta nel fatto che l’uomo mediante il lavoro, usando la sua intelligenza, riesce a dominare la terra e a farne la sua degna dimora. Essa garantisce quindi la libertà dell’individuo, ne è come il prolungamento, ma non è un diritto assoluto ed intoccabile, è subordinato al diritto dell’uso comune, perché è, nella sua essenza, solo uno strumento per il rispetto del principio della destinazione universale ei beni: ogni forma di possesso privato ha quindi una funzione sociale, è propria, ma anche comune. Se da un lato oggi si assiste a forme di proprietà privata sconosciute in passato, dall’altro lato sono molto importanti anche le forme di proprietà comunitaria del passato sulle quali si deve agire non solo in modo da conservarle, ma soprattutto per aiutare ad evolversi. Destinazione universale dei beni e opzione preferenziale per i poveri IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ Origine e significato. In base ad esso tutte le società di ordine superiore devono porsi in atteggiamento di aiuto – quindi di sostegno, promozione e sviluppo – rispetto alle minori e ciò impone ad es. allo Stato di astenersi da quanto restringerebbe, di fatto, lo spazio vitale delle cellule minori ed essenziali della società, la cui iniziativa, libertà e responsabilità non va soppiantata. Indicazioni concrete. Se questo principio contrasta con le forme di accentramento, burocratizzazione, assistenzialismo e presenza ingiustificata ed eccessiva dello Stato e dell’apparato pubblico, va anche detto che certe circostanze possono consigliare che esso eserciti una funzione di supplenza che non deve però prolungarsi ed estendersi oltre lo stretto necessario, dal momento che trova giustificazione soltanto nell’eccezionalità della situazione. In ogni caso il principio del bene comune rimane il criterio di discernimento circa l’applicazione del principio di sussidiarietà. LA PARTECIPAZIONE Significato e valore. Caratteristica conseguenza della sussidiarietà. Partecipazione e democrazia. Ogni democrazia deve essere partecipativa. IL PRINCIPIO DI SOLIDARIETÀ Significato e valore. Essa conferisce particolare risalto all’intrinseca socialità della persona umana, all’uguaglianza di tutti in dignità e diritti, al comune cammino degli uomini e dei popoli verso una sempre più convinta unità. Se da un lato oggi va aumentando un forte senso di interdipendenza tra gli uomini ed i popoli, dall’altro lato continuano a dilatarsi forme di disuguaglianza tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo perciò va intensificato l’impegno sul piano etico-sociale. La solidarietà come principio sociale e come virtù morale. Essa infatti va colta innanzi tutto nel suo valore di principio sociale ordinatore delle istituzioni che porta a superare le strutture di peccato e a trasformarle in strutture di solidarietà, mediante la creazione o la modificazione di leggi, regole del mercato ed ordinamenti. Come virtù morale poi essa non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane, ma la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti e quindi si colloca nella dimensione della giustizia. Solidarietà e crescita comune degli uomini La solidarietà nella vita e nel messaggio di Gesù Cristo I VALORI FONDAMENTALI DELLA VITA SOCIALE Rapporto tra principi e valori. Esso è di reciprocità perché i valori sociali esprimono l’apprezzamento da attribuire a quei determinati aspetti del bene morale che i principi intendono conseguire, offrendosi come punto punti di riferimento per l’opportuna strutturazione e la conduzione ordinata della vita sociale. Essi sono essenzialmente: verità, libertà, giustizia e amore. La verità. La ricerca della verità ed il suo perseguimento sono strettamente legate alla virtù della prudenza che deriva da “porro videns” e cioè da “vedere lontano”. Essa è detta l’auriga virtutum, l’autista delle virtù, perché non sempre gli slanci di generosità vanno assecondati. Sue parti integrali: memoria del passato, conoscenza del presente e previsione del futuro. Sue parti potenziali: - Buon consiglio: disposizione a riflettere e a farsi consigliare. Il suo contrario è la precipitazione. - Buon senso: a situazioni ordinarie corrispondono criteri ordinari e ciò aiuta a giudicare la realtà per ciò che è. Il suo contrario è la sconsideratezza. - Discrezione: a situazioni eccezionali corrispondono criteri eccezionali. Il suo contrario è l’incostanza e, se manca anche la sollecitudine, la negligenza. Qui si inserisce anche il discorso dell’epicheia che aiuta ad agire come agirebbe il legislatore se esso fosse presente, aiutando a cogliere la direzione della legge dove questa manca a causa della sua natura universale. Opposte alla verità sono poi, partendo dalla più grave: La calunnia, dire cioè cose false e negative. La maldicenza, dire cioè cose vere, ma negative. La mormorazione che oltre fa togliere la fama e l’affetto, facendo disprezzare ed emarginare. La derisione, quando cioè scherzando si deride il prossimo mettendolo alla gogna. Importante è poi la restrizione mentale, il cambiare cioè dentro di sé il significato che la frase ha presso l’interlocutore. Es. Se io ospito degli ebrei e dei militari tedeschi bussano e chiedono: «C’è qualcuno qui?» Io posso rispondere «No» pensando che il “qui” sia riferito alla porta! La libertà. Esso è rispettato quando ad ognuno è consentito di realizzare la propria vocazione. La giustizia. Essa consiste nel dare a Dio e al prossimo il giusto. Dal punto di vista soggettivo essa si traduce nell’atteggiamento determinato dalla volontà di riconoscere l’altro come persona, mentre dal punto di vista oggettivo, essa costituisce il criterio determinante della moralità nell’ambito intersoggettivo e sociale. Essa va considerata nelle sue varie dimensioni: - Commutativa o equiparativi e cioè nei rapporti interpersonali tra i singoli. - Distributiva e cioè nei rapporti tra società e singoli - Legale o generale e cioè nei rapporti tra singolo e collettività La giustizia sociale è il carattere dinamico della giustizia, il suo vero e proprio sviluppo che regola i rapporti sociali in base al criterio dell’osservanza della legge. Essa oggi si manifesta in una dimensione mondiale che concerne gli aspetti sociali, politici ed economici e, soprattutto, la dimensione strutturale dei problemi e delle correlative soluzioni. LA VIA DELLA CARITÀ: Essa è la forma virtutum, quella da cui nascono e si sviluppano tutte le altre e che va riconosciuta sempre più come criterio supremo ed universale dell’intera etica sociale. Essa presuppone, trascende e completa la giustizia ben sapendo che: summus ius, summus iniuria. PARTE SECONDA LA FAMIGLIA CELLULA VITALE DELLA SOCIETÀ LA FAMIGLIA PRIMA SOCIETÀ NATURALE L’importanza della famiglia per la persona L’importanza della famiglia per la società IL MATRIMONIO FONDAMENTO DELLA FAMIGLIA Il valore del matrimonio Il sacramento del matrimonio LA SOGGETTIVITÀ SOCIALE DELLA FAMIGLIA L’amore e la formazione di una comunità di persone La famiglia è il santuario della vita Il compito educativo Dignità e diritti dei bambini LA FAMIGLIA PROTAGONISTA DELLA VITA SOCIALE Solidarietà familiare Famiglia, vita economica e lavoro LA SOCIETÀ A SERVIZIO DELLA FAMIGLIA IL LAVORO UMANO ASPETTI BIBLICI Il compito di coltivare e custodire la terra. Importante notare come il lavoro appartenga alla condizione originaria dell’uomo e preceda la sua caduta e come tale non è perciò né punizione, né maledizione. Se esso va onorato perché fonte di ricchezza e strumento efficace contro la povertà, non si deve cedere alla tentazione di idolatrarlo, perché è Dio e non il lavoro la fonte della vita ed il fine dell’uomo ed il riposo sabbatico serve proprio a far memoria di ciò. Gesù uomo del lavoro. Gesù insegna ad apprezzare il lavoro perché: - Lavorando la maggior parte dei suoi anni su questa terra, condannando i servi fannulloni, descrivendo la sua stessa missione come un operare ed i suoi discepoli come operai nella messe del Signore. - Nella sua predicazione insegna agli uomini a non lasciarsi asservire dal lavoro. - Durante il suo ministero lavora senza sosta per liberare l’uomo da malattia, sofferenza e morte. Dalle lettere emerge come l’attività umana fa emergere le perfezioni dell’universo nascoste in esso e che nel Verbo hanno il loro principio ed il loro modello. Il lavoro inoltre è visto come partecipazione dell’uomo all’opera creatrice e redentrice di Dio. Il dovere di lavorare IL VALORE PROFETICO DELLA “RERUM NOVARUM” LA DIGNITÀ DEL LAVORO La dimensione soggettiva e oggettiva del lavoro I rapporti tra lavoro e capitale Il lavoro, titolo di partecipazione Rapporto tra lavoro e proprietà privata Il riposo festivo IL DIRITTO AL LAVORO Il lavoro è necessario Il ruolo dello Stato e della società civile nella promozione del diritto al lavoro La famiglia e il diritto al lavoro Le donne e il diritto al lavoro Lavoro minorile L’emigrazione e il lavoro Il mondo agricolo e il diritto al lavoro DIRITTI DEI LAVORATORI Dignità dei lavoratori e rispetto dei loro diritti Il diritto dell’equa remunerazione e distribuzione del reddito, tenendo conto che la remunerazione è lo strumento più importante per realizzare la giustizia nei rapporti di lavoro. Non basta quindi l’accordo tra lavoratore e datore di lavoro circa la sua entità perché essa possa ritenersi giusta, ma non deve essere inferiore al sostentamento del lavoratore e deve essere così tale da garantire all’uomo la possibilità di disporre dignitosamente la vita materiale, sociale, culturale e spirituale sua e dei suoi, in relazione ai compiti e al rendimento di ognuno, alle condizioni dell’azienda e al bene comune. Il diritto di sciopero SOLIDARIETÀ TRA I LAVORATORI L’importanza dei sindacati, ma basta che siano “per” e non “contro”. Nuove forme di solidarietà LE “RES NOVAE” DEL MONDO DEL LAVORO Una fase di transizione epocale. Il più importante elemento di novità è la globalizzazione che è alimentata dalla straordinaria velocità di comunicazione senza limiti di spazio e di tempo e dalla relativa facilità di trasportare merci e persone da una parte all’altra del globo. Conseguenza è che la proprietà è sempre più lontana, spesso indifferente agli effetti sociali delle scelte che compie. Se essa non è buona o cattiva è necessaria comunque una globalizzazione delle tutele, dei diritti minimi essenziali, dell’equità. Caratteristiche di questa globalizzazione: - Frammentazione fisica del ciclo produttivo tesa a conseguire una maggiore efficienza e maggiori profitti. - Richiesta di maggiore flessibilità nel mercato del lavoro e nell’organizzazione e gestione dei processi produttivi. Passaggio da un’economia di tipo industriale ad una essenzialmente centrata sui servizi e sull’innovazione tecnologica. - Nascita di nuove professioni e scomparsa di altre. - Passaggio da lavoro dipendente a tempo indeterminato, il posto fisso, ad un percorso lavorativo caratterizzato da una pluralità di attività lavorative. - Nuovo vigore e slancio delle piccole e medie imprese in seguito al decentramento produttivo. - Nei paesi in via di sviluppo diffusione di attività economiche “informali” o “sommerse”. Dottrina sociale e “res novae”. Tener fermo che il protagonista di tutto è l’uomo ed il suo intessere relazioni e che essi vanno posti al centro di ogni strategia. - LA VITA ECONOMICA ASPETTI BIBLICI L’uomo, povertà e ricchezza. Nell’AT, a cui poi Gesù conferirà una definitiva chiarezza e pienezza, si riscontra un duplice atteggiamento nei confronti dei beni economici e della ricchezza: se da un lato sono considerati necessari per la vita, dall’altro vengono spesso condannati non in quanto tali, ma per l’uso che se ne fa. Colui invece che riconosce la propria povertà davanti a Dio, in qualunque situazione egli viva, è oggetto di particolare attenzione da parte di Dio e la povertà, quando è accettata o ricercata con spirito religioso, predispone al riconoscimento e all’accettazione dell’ordine creaturale. Alla luce della Rivelazione l’attività economica va considerata e svolta come risposta riconoscente alla vocazione che Dio riserva a ciascun uomo ed essa deve essere quindi posta al servizio dell’uomo e delle società: in quest’ottica la fede in Gesù Cristo permette una corretta comprensione dello sviluppo sociale, nel contesto di un umanesimo integrale e solidale. La ricchezza esiste per essere condivisa MORALE ED ECONOMIA: Attività economica e comportamento morale si compenetrano intimamente: si va sempre più capendo come ciò che è eticamente errato è anche economicamente improduttivo. Efficienza economica e promozione di uno sviluppo solidale dell’umanità sono inscindibili e un’attività economica è morale se ha come soggetti tutti gli uomini e tutti i popoli. INIZIATIVA PRIVATA E IMPRESA L’impresa e i suoi fini. Essa deve caratterizzarsi per la capacità di servire il bene comune della società mediante la produzione di beni e servizi utili. Se il profitto è il primo indicatore del buon andamento dell’azienda, non basta questo per dire che essa stia servendo adeguatamente la società, ma va sempre perseguita la tutela della dignità delle persone che a vario titolo operano in essa. Il ruolo dell’imprenditore e del dirigente d’azienda. L’iniziativa economica è espressione dell’umana intelligenza e dell’esigenza di rispondere ai bisogni dell’uomo in modo creativo e collaborativi ed il ruolo dell’imprenditore e del dirigente rivestono un’importanza centrale dal punto di vista sociale perché si collocano al cuore di quella rete di legami tecnici, commerciali, finanziari, culturali, che caratterizzano la moderna realtà d’impresa. ISTITUZIONI ECONOMICHE AL SERVIZIO DELL’UOMO Una delle questione prioritarie in economia è l’impiego delle risorse nel modo più razionale possibile, seguendo la logica dettata dal principio di economicità. Ruolo del libero mercato. Esso è un’istituzione socialmente importante per la sua capacità di garantire risultati efficienti nella produzione di beni e servizi ed un vero mercato concorrenziale è uno strumento efficace per conseguire importanti obiettivi di giustizia. La DSC mette in evidenza la necessità di ancorarlo a finalità morali che assicurino e, nello stesso tempo, circoscrivano adeguatamente lo spazio della sua autonomia. L’azione dello Stato: ispirata ai principi di sussidiarietà e solidarietà essa deve tendere a definire un quadro giuridico atto a regolare i rapporti economici perché se non ci sono regole nessuno investe e la fiducia è alla base dell’economia. Il ruolo dei corpi intermedi Risparmio e consumo LE “RES NOVAE” IN ECONOMIA La globalizzazione: le opportunità e i rischi Il sistema finanziario internazionale Il ruolo della comunità internazionale nell’epoca dell’economia globale Uno sviluppo integrale e solidale La necessità di una grande opera educativa e culturale LA COMUNITÀ POLITICA ASPETTI BIBLICI La signoria di Dio. Inizialmente nella sua storia Israele non ha re, ma è Dio che lo guida con uomini carismatici. Quando Israele vorrà un re e sarà Saul il primo, dalla sua vicenda emerge che il re, il cui prototipo è Davide, è: scelto da Jahvè e da Lui consacrato; viene visto come Suo figlio e deve renderne visibile la signoria ed il disegno di salvezza, quindi deve farsi difensore dei deboli e assicurare al popolo la giustizia. Anche quando sul piano storico la regalità fallirà rimarrà l’ideale di un re che governi con saggezza e operi con giustizia. Gesù e l’autorità politica. Egli rifiuta il potere oppressivo e dispotico dei capi sulle Nazioni e la loro pretesa di farsi chiamare benefattori, ma non contesta mai direttamente le autorità del suo tempo. Egli combatta e sconfigge la tentazione di un messianismo politico. Le prime comunità cristiane IL FONDAMENTO E IL FINE DELLA COMUNITÀ POLITICA Comunità politica, persona umana e popolo: la comunità politica, il cui fondamento e fine è la persona umana, trova nel riferimento la sua autentica dimensione. Ciò che caratterizza un popolo è la condivisione di vita e di valori. Le minoranze costituiscono gruppi con specifici diritti e doveri. Tutelare e promuovere i diritti umani La convivenza basata sull’amicizia civile L’AUTORITÀ POLITICA Il fondamento dell’autorità politica. Essa è necessaria per muovere ognuno con efficacia di unità e di mezzi verso un fine comune e quindi deve essere una componente positiva ed insostituibile della convivenza civile. Il soggetto dell’autorità politica è il popolo, considerato nella sua totalità quale detentore della sovranità, ed esso in varie forme trasferisce l’esercizio della sua sovranità a coloro che liberamente elegge suoi rappresentanti: il solo consenso popolare non è tuttavia sufficiente a far ritenere giuste le modalità di esercizio dell’autorità politica. L’autorità come forza morale. Essa deve: lasciarsi guidare dalla legge morale; riconoscere, rispettare e promuovere i valori umani e morali essenziali; emanare leggi giuste, cioè conformi alla dignità della persona umana e ai dettami della retta ragione. Il diritto all’obiezione di coscienza, se le prescrizioni delle autorità civili sono contrarie alle esigenze dell’ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo. Il diritto di resitere. La resistenza all’oppressione del potere politico non ricorrerà legittimamente alle armi, salvo quando sussistano tutte insieme le seguenti condizioni: - in caso di violazioni certe, gravi e prolungate dei diritti fondamentali - dopo che si siano tentate tutte le altre vie - senza che si provochino disordini peggiori - qualora vi sia una fondata speranza di successo - se è impossibile intravedere ragionevolmente soluzioni migliori Infliggere le pene IL SISTEMA DELLA DEMOCRAZIA Democrazia non coincide con Repubblica perché questa è solo un modo di esercizio della prima. I valori e la democrazia. Un’autentica democrazia non è solo il risultato di un rispetto formale di regole, ma è il frutto della convinta accettazione dei valori che ispirano le procedure democratiche: la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei diritti dell’uomo, l’assunzione del “bene comune” come fine e criterio regolativi della vita politica. Uno dei rischi maggiori per le attuali democrazie è il relativismo etico, che induce a ritenere inesistente un criterio oggettivo ed universale per stabilire il fondamento e la corretta gerarchia dei valori. Istituzioni e democrazia Le componenti morali della rappresentanza politica Strumenti di partecipazione politica Informazione e democrazia LA COMUNITÀ POLITICA A SERVIZIO DELLA SOCIETÀ CIVILE Il valore della società civile. Essa è un insieme di relazioni e di risorse, culturali e associative, relativamente autonome dall’ambito sia politico sia economico. Il primato della società civile sulla comunità politica. L’applicazione del principio di sussidiarietà LO STATO E LE COMUNITÀ RELIGIOSE La libertà religiosa, un diritto umano fondamentale Chiesa Cattolica e comunità politica - Autonomia e indipendenza - Collaborazione LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE ASPETTI BIBLICI L’unità della famiglia umana: Adamo, Noè e Abramo. Gesù Cristo prototipo e fondamento della nuova umanità La vocazione universale del cristianesimo LE REGOLE FONDAMENTALI DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE Comunità internazionale e valori Relazioni fondate sull’armonia tra ordine giuridico e ordine morale L’ORGANIZZAZIONE DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE Il valore delle Organizzazioni internazionali. La sollecitudine per un’ordinata e pacifica convivenza della famiglia umana spinge il Magistero e mettere in rilievo l’esigenza di istituire una qualche autorità pubblica universale, da tutti riconosciuta, che goda di un potere effettivo per garantire a tutti sia la sicurezza, sia l’osservanza della giustizia, sia il rispetto dei diritti. Perciò ok ONU, ma no ad un super-stato, perché ogni stato rimane sovrano! La personalità giuridica della Santa Sede LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE PER LO SVILUPPO Collaborazione per garantire il diritto allo sviluppo Lotta alla povertà Il debito estero SALVAGUARDARE L’AMBIENTE ASPETTI BIBLICI: La fede d’Israele, fondata sull’esperienza viva della presenza divina nella storia, vive nel tempo e nello spazio di questo mondo, percepito come il dono stesso di Dio, il luogo ed il progetto che Egli affida alla responsabile guida e operosità dell’uomo. Anche la salvezza definitiva che Dio offre a tutta l’umanità mediante il Suo stesso Figlio si attua in questo mondo! L’UOMO E L’UNIVERSO DELLE COSE. I risultati della scienza e della tecnica sono, in se stessi, positivi, ma punto di riferimento centrale per ogni loro applicazione è il rispetto dell’uomo ed un doveroso atteggiamento di rispetto nei confronti delle altre creature viventi. LA CRISI NEL RAPPORTO TRA UOMO E AMBIENTE. Le ideologie scientiste e tecnocratiche vedono la natura come uno strumento nelle mani dell’uomo, una realtà che egli deve costantemente manipolare, specialmente mediante la tecnologia. Altrettanto ideologiche sono le assolutizzzioni della natura e le sovrapposizioni in dignità alla stessa persona umana tipiche delle ideologie ispirate all’econcentrismo o al biocentrismo. Entrambe le degenerazioni sono frutto di una visione dell’uomo e delle cose slegata da ogni riferimento alla trascendenza e al rifiuto del concetto di creazione che ha portato ad attribuire all’uomo e alla natura un’esistenza autonoma. Il Magistero sottolinea la responsabilità umana di preservare un ambiente integro e sano per tutti. UNA COMUNE RESPONSABILITÀ L’ambiente, un bene collettivo. Se si devono prendere decisioni quando i dati scientifici sono contraddittori o quantitativamente scarsi può essere opportuna una valutazione ispirata dal “principio di precauzione”, che non comporta una regola da applicare, bensì un orientamento volto a gestire situazioni di incertezza. Una speciale attenzione merita la relazione che i popoli indigeni hanno con la loro terra e le sue risorse e che è un’espressione fondamentale della loro identità. L’uso delle biotecnologie Ambiente e condivisione dei beni LA PROMOZIONE DELLA PACE ASPETTI BIBLICI. La pace è innanzitutto un attributo essenziale di Dio e rappresenta la pienezza della vita. Essa è il traguardo della convivenza sociale e la sua promessa percorre tutto l’Antico Testamento trovando il suo compimento nella persona di Gesù che riconcilia con il Padre e con i fratelli. L’azione per la pace non è quindi mai disgiunta dall’annuncio del Vangelo. LA PACE: FRUTTO DELLA GIUSTIZIA E DELLA CARITÀ. Essa si fonda su una corretta concezione della persona umana e richiede l’edificazione di un ordine secondo giustizia e carità. Essa si costruisce giorno per giorno nella ricerca dell’ordine voluto da Dio e può fiorire solo quando tutti riconoscono le proprie responsabilità nella sua promozione: anche il mondo attuale ha quindi bisogno della testimonianza di profeti non armati, purtroppo oggetto di scherno in ogni epoca. IL FALLIMENTO DELLA PACE: LA GUERRA Essa è: un flagello, un’inutile strage, un’avventura senza ritorno, il fallimento di ogni autentico umanesimo e quindi sempre una sconfitta dell’umanità. È oggi urgente più che mai cercare soluzioni alternative alla guerra per risolvere i conflitti internazionali. La legittima difesa. L’uso della forza per essere lecito deve rispondere ad alcune condizioni: - il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità di nazioni è durevole, grave e certo - tutti gli altri mezzi per porvi fine si sono rivelati impraticabili o inefficaci - ci sono fondate condizioni di successo - il ricorso alle armi non deve provocare mali e disordini più gravi del male da eliminare Essi sono sintetizzabili nei principi di necessità e proporzionalità. Nella valutazione grandissimo peso ha la potenza dei moderni mezzi di distruzione. Difendere la pace Il dovere di proteggere gli innocenti. Tra i vari tentativi di eliminazione di popoli interi: Armeni (1915-23; 1,5 milioni di morti grazie ai Turchi); Ucraini (1932-33; 6 milioni di morti grazie a Stalin); Cambogiani (1975-1979; 3 milioni di persone grazie a Pol Pot); Utu e Tutsi in Ruanda (1994; 800.000 morti); Balcani (1991-1999; 200.000 morti). La possibilità di intervento in favore dei gruppi la cui stessa sopravvivenza è minacciata o di cui siano massicciamente violati i fondamentali diritti, detta ingerenza umanitaria, è la riprova che la sovranità non è un assoluto! Misure contro chi minaccia la pace Il disarmo La condanna del terrorismo IL CONTRIBUTO DELLA CHIESA ALLA PACE. La promozione della pace nel mondo è parte integrante della missione con cui la Chiesa continua l’opera redentrice di Cristo sulla terra essendo essa segno e strumento della pace nel mondo e per il mondo. Essa insegna che una vera pace è resa possibile soltanto dal perdono e dalla riconciliazione anche se il perdono reciproco non deve annullare le esigenze della giustizia, né tanto meno, precludere il cammino che porta alla verità perché giustizia e verità rappresentano i requisiti concreti della riconciliazione. PARTE TERZA DOTTRINA SOCIALE E AZIONE ECCLESIALE L’AZIONE PASTORALE IN AMBITO SOCIALE Dottrina sociale e inculturazione della fede Dottrina sociale e pastorale sociale Dottrina sociale e formazione Promuovere il dialogo I soggetti della pastorale sociale DOTTRINA SOCIALE ED IMPEGNO DEI FEDELI LAICI Il fedele laico La spiritualità del fedele laico Agire con prudenza Dottrina sociale ed esperienza associativa Il servizio nei diversi ambiti della vita sociale - Il servizio alla persona umana - Il servizio alla cultura - Il servizio all’economia - Il servizio alla politica PER UNA CIVILTÀ DELL’AMORE L’aiuto della Chiesa all’uomo contemporaneo Ripartire dalla fede in Cristo Una salda speranza Costruire la “civiltà dell’amore”