AUTISMO E DISTURBI DELL`APPARATO GASTROINTESTINALE

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AUTISMO E DISTURBI DELL’APPARATO GASTROINTESTINALE
Per molti anni sono stati descritti disturbi gastrointestinali nell’autismo che
colpiscono dal 10% al 50% dei pazienti, ma che sono stati generalmente sottovalutati
(Horvath K., 2002).
Già Asperger aveva descritto una possibile relazione tra il disturbo celiaco e i
disordini psichiatrici nell’infanzia e Dohan nel 1968 aveva notato come ricorrenti
disturbi gastrointestinali erano una costante caratteristica dei bambini affetti da
autismo e che, tra gli altri sintomi, il bambino autistico presentava un’acuta diarrea
(Asperger H.,1961; Dohan F.C., 1968).
Negli anni poi si sono susseguiti studi in cui venivano descritti questi disturbi dei
bambini autistici: presenza di feci voluminose, maleodoranti e poco consistenti o di
diarrea intermittente, basse concentrazioni di alpha-1-antitripsina e conseguente
perdita proteica intestinale (Goodwin M.S., 1971).
D’Eufemia (1996) ha dimostrato un’alterata permeabilità intestinale anche in soggetti
affetti da Autismo Infantile non sintomatici per disturbi gastrointestinali, il che
farebbe supporre che buona parte dei disturbi siano sottostimati, anche a causa
dell’elevata soglia al dolore, delle difficoltà comunicative tipiche di questi pazienti,
ma soprattutto perché per molti anni non essendo previsti non venivano ricercati o
considerati o semplicemente, se notati, correlati a peculiari stereotipie o
comportamenti propri dell’autismo.
Nel 1998, il dottor Andrew Wakefield, gastroenterologo al Royal Free Hospital di
Londra, pubblicò una ricerca che evidenziava una connessione tra infiammazioni
intestinali e autismo a seguito di endoscopie e biopsie eseguite su un gruppo di
bambini autistici ricoverati per patologie gastro-intestinali (Wakefìeld , A.J.,2000). Come
risultato di questa ricerca il dottor Wakefield e i suoi collaboratori, hanno identificato
una condizione intestinale denominata “Iperplasia Linfoide-Nodulare dell’Ileo e
Colite non specifica”. L’ileo rappresenta i 3/5 dell’intestino tenue e ha la funzione di
assorbire i nutrienti introdotti con la dieta. Non solo assorbimento viene fatto dall’ileo
poiché le pareti di questo tratto intestinale sono piene di linfonodi chiamati “Placche
di Peyer”, molto importanti per il nostro sistema immunitario. Conosciamo due
funzioni basilari: la prima è quella di filtrare i liquidi che vengono dall’ileo per
eliminare batteri, virus, funghi, cellule morte e tossine. La seconda funzione è la
produzione di linfociti, un vasto gruppo di cellule del sistema immunitario che hanno
la funzione di combattere le infezioni. Quando i linfonodi si trovano di fronte ad
un’infezione, cominciano a produrre linfociti in grande quantità, aumentando in
dimensione. L’ingrossamento dei linfonodi è chiamato Iperplasia Linfoide Nodulare.
Per “Colite non specifica” s’intende infiammazione cronica del colon. Nelle sue
endoscopie, Wakefield scoprì stadi diversi di infiammazione del colon nei bambini
autistici: erosione delle membrane mucose, ascessi pieni di pus, ulcere e grandi
quantità di materiale fecale compatto. In alcuni casi l’intestino era così infiammato e i
linfonodi così ingrossati da bloccare il flusso intestinale. Per certi aspetti
l’infiammazione assomigliava ad una colite ulcerosa, per altri alla malattia di Crohn:
ecco perché fu chiamata “colite non specifica”.
Wakefield rinominò questo quadro come “Enterocolite Autistica”.
3.1 L’intestino e le sue funzioni
Il nostro intestino è costituito da una miriade di batteri che si organizzano in un micro
mondo ben organizzato con alcune specie predominanti e vigilanti su altre. Le
funzioni che svolgono nel nostro corpo sono così vitali per noi che se il nostro
intestino fosse sterilizzato, moriremmo con molta probabilità. In un corpo sano
questo mondo microbico è abbastanza stabile e si adatta ai cambiamenti
dell’ambiente. La flora intestinale può essere suddivisa in tre gruppi:
- Flora essenziale o benefica. Questo è il gruppo più importante e più numeroso.
I membri più importanti che lo compongono sono i Bifidus, i Lactobatteri, i
Propionibatteri, ceppi fisiologici di Escherichia Coli, Streptococchi ed
Enterococchi
- Flora opportunistica. È un vasto gruppo di microbi il cui numero varia da
individuo a individuo. Ci sono Stafilococchi, Bacilli, Clostridi, Lieviti,
Enterobatteri e molti altri. In un soggetto sano il loro numero è di norma
limitato e strettamente controllato dalla flora benefica.
- Flora transitoria. Sono microbi tra i più diversi che giornalmente ingeriamo
insieme al cibo o bevande. Generalmente sono bacilli non fermentanti e gram
negativi provenienti dall’ambiente. Quando l’organismo è ben protetto da
batteri benefici, questo gruppo di microbi scorre nel nostro tratto digestivo
senza provocare alcun danno, ma se la flora benefica non svolge bene il suo
lavoro, allora potrebbero causare un certo spettro di malattie.
La funzione svolta da questa moltitudine di batteri è quella di creare una barriera
naturale contro invasori di varia natura, cibo non digerito, tossine e parassiti. Oltre a
fornirci una barriera fisica, sconfiggono micro-organismi patogeni producendo
sostanze simili ad antibiotici, fungicidi e sostanze antivirali compresi l’interferone,
lisozimi e surfattanti che dissolvono la membrana dei virus e dei batteri stimolando il
sistema immunitario a rispondere in modo appropriato agli invasori. Inoltre,
producendo acidi organici, la flora essenziale riduce il pH dell’intestino rendendolo
un terreno acido e ostile alla crescita e alla proliferazione di microbi patogeni che
richiedono invece un ambiente più alcalino. Se la flora batterica benefica è
danneggiata o insufficiente i batteri patogeni attaccano le pareti dell’intestino
provocando gravi malattie. Una flora batterica intestinale sana è la chiave per il
funzionamento corretto e per lo sviluppo cerebrale e fisico del bambino.
Con i suoi 300 mq di estensione l’intestino rappresenta il fronte immunitario più
importante. La lamina propria e l’epitelio della mucosa intestinale ospitano al loro
interno il cosiddetto tessuto linfoide associato al tratto digestivo (dall’inglese gut
associated lymphoid tissue o GALT); esso contiene il 70-80% delle cellule
immunitarie dell’organismo e rappresenta il più esteso organo effettore immunitario
del corpo umano (Genton L., 2003).
Il bambino nasce con un sistema immunitario immaturo. Alla nascita il neonato può
usufruire di due tipi d'immunità:“Attiva”, debole e non ancora in grado di proteggere
in modo adeguato il bambino dall'aggressione dei patogeni e “Passiva”,composta da
immunoglobuline acquisite dalla madre attraverso il passaggio placentare. Tuttavia
gli anticorpi materni non hanno una trasmissione verticale equa, infatti alla nascita i
neonati sono in grado di rispondere alle aggressioni da parte dei virus e degli
organismi Gram positivi, ma non contro i Gram negativi. Questi ultimi sono però i
responsabili di numerose patologie che si possono manifestare proprio nel periodo
neonatale, ad esempio: la Gonorrea, la Pertosse, la Salmonella, la Shigella, il Colera o
l'infezione da E. Coli. L'immunità passiva comunque è un valido supporto alla
scarsità delle difese endogene, grazie agli alti livelli di IgG passate attraverso la
placenta a partire dalla XII settimana di gestazione, che diminuiscono
progressivamente nei primi mesi di vita, e grazie alle IgA materne secrete nel
colostro e nel latte materno. L'immunità attiva invece è caratterizzata, rispetto all'età
adulta, da ridotta produzione di citochine, minore attività del complemento e
significativa riduzione dei suoi fattori, pool midollare di neutrofili ridotto, risposta dei
T-linfociti agli antigeni più lenta e inoltre una produzione anticorpale rallentata. Tutti
questi fattori contribuiscono a rendere il periodo neonatale un lasso di tempo ad alto
rischio infettivo durante il quale i processi infetti sia virali che batterici decorrono con
maggior gravità. Il latte materno contribuisce alla maturazione del sistema
immunitario e se questo non avviene nei primi giorni di vita, allora si parla di
bambino immunodepresso.
La gastroenterologia appare senza dubbio una delle aree che ha ricevuto maggiore
attenzione da parte di immunologi ed oggi, pur permanendo ancora dubbi e
incertezze, si può affermare che il tratto gastroenterico ha assunto un ruolo sempre
più importante come organo immunologico primario. Appare quindi evidente che
ogni alterazione della complessa struttura anatomo-funzionale dell’apparato digerente
e dell’intestino tenue in particolare, possa modificare il ruolo fondamentale
nell’equilibrio del sistema immunitario. La mucosa intestinale del tenue è
continuamente esposta ad una stimolazione antigenica da parte delle sostanze ingerite
e della flora microbica presente nel lume. Particolari meccanismi immuni consentono
l’identificazione e l’elaborazione dell’antigene, l’induzione delle risposte immuni
cellulari ed umorali, la memoria, la regolazione della tolleranza ed il richiamo del
sistema effettoriale che vengono adattati a rispondere alla continua minaccia di
lesioni. Il tessuto linfoide associato all’intestino è costituito sia da aggregati focali
(Placche di Peyer), sia da linfociti che da plasmacellule sparsi nella lamina propria e
nell’epitelio. Le Placche di Peyer sono ricoperte da un epitelio contenente la cellula
membranosa M, che garantisce un accesso specializzato agli antigeni. Nelle Placche
di Peyer le cellule B, le più
numerose
secernano
le
IgA
secretorie, mentre le cellule T,
rappresentate da una popolazione più
ridotta, comprendono un sottogruppo
induttore/coadiutore
e
uno
soppressivo/citotossico, che possono
essere caratterizzati in parte da
anticorpi monoclonali specifici.
Nelle Placche di Peyer non
sembrano trovarsi cellule killer
naturali e neanche i loro precursori,
che potrebbero essere indotti a
differenziarsi
ad
opera
dell’interferone.
Il sistema immunitario si serve di due elementi fondamentali: le TH1 (T-Helper tipo
1) e le TH2 (T-Helper tipo 2).
Nella fase iniziale della risposta immunitaria contro l’antigene viene deciso il destino
funzionale (differenziamento) di una cellula T helper (CD4). Se un linfocita Th
incontra l’antigene in presenza di IL-12 e/o IFN-γ (interleuchina -12, interferone γ)
esso diventerà una cellula di tipo 1 (Th1), poiché generalmente IL-12 e IFN- γ sono
prodotti da macrofagi e cellule NK attivati nelle prime fasi della risposta a patogeni
intracellulari. Al contrario se uno stimolo antigenico avviene in assenza di IL-12 o di
IFN- γ la cellula Th utilizza IL-4 prodotta in maniera autocrina da Th stessa per
differenziarsi in una cellula Th2, la quale produce IL-4 e IL-10. Queste due citochine
svolgono un’azione inibitoria sulla differenziazione Th1, in modo da consentire una
polarizzazione della risposta in senso Th2.
Le cellule effettrici CD4 Th1 e Th2 costituiscono due prototipi polarizzati e
mutuamente esclusivi della risposta adottiva e presentano fra loro notevoli differenze
funzionali. Le cellule Th1, ma non le Th2, producono IFN-γ e TNF-α, mentre le
cellule Th2, ma non le Th 1 producono IL-4 ed IL-5.
La capacità di esprimere un diverso profilo citochinico implica l'espressione di
funzioni diverse. Le cellule Th1 sono in grado di attivare in modo massimale i
monociti/macrofagi coinvolgendoli nei cosiddetti "fenomeni di ipersensibilità
ritardata" e inducono i linfociti B a produrre preferenzialmente anticorpi opsonizzanti
e fissanti il complemento. Per contro, le cellule Th2 sono in grado di svolgere una
maggiore attività di supporto alla sintesi di immunoglobuline (Ig), sono in grado di
interagire con mastociti e granulociti eosinofili, di cui guidano la maturazione, la
differenziazione, l'attivazione, supportandone peraltro una prolungata sopravvivenza.
I prototipi Thl e Th2 si distinguono anche per la diversa attività citotossica e per le
modalità di espressione dell'attività helper per la risposta umorale: mentre le cellule
Th2, generalmente prive di attività citotossica, esprimono una incondizionata attività
helper per la sintesi di tutte le classi immunoglobuline, le cellule Thl sono invece
generalmente dotate di potenziale citotossico.
Il cardine dell’efficienza immunitaria e quindi della salute dell’individuo ha le sue
basi nell’equilibrio tra Th1 e Th2. Per svariati fattori questo equilibrio può venire a
mancare privilegiando un orientamento immunitario oppure l’altro.
Alcune citochine vengono prodotte esclusivamente da Th1 ed altre solo da Th2.
Questa capacità di esprimere un differente profilo citochinico implica l’espressioni di
funzioni diverse.
Un’altra caratteristica del sistema gastrointestinale è rappresentata dalla vasta rete
nervosa formata dal sistema nervoso intrinseco ed estrinseco.
Il sistema nervoso enterico intrinseco è costituito dal plesso mioenterico situato tra i
fasci della muscolatura liscia e il plesso sottomucoso situato subito al di sotto della
mucosa.
Il plesso nervoso intrinseco è costituito da milioni di neuroni, sia afferenti che
efferenti e neuroni di interconnessione che utilizzano neurotrasmettitori come
acetilcolina, serotonina e peptide vasoattivo intestinale. A livello del SNE i neuroni
sono in grado di sintetizzare e secernere numerosi neuropeptidi, neurotrasmettitori
come il polipeptide intestinale vasoattivo (VIP), la somatostatina e la sostanza P (SP);
linfociti, macrofagi e cellule enteroendocrine possono sintetizzare alcuni di questi
neuropeptidi. La loro secrezione sembra essere influenzata da altri neuropeptidi,
neurotrasmettitori, citochine, ormoni e farmaci che interagiscono a loro volta.
Recettori per vari neuropeptidi, inclusi sostanza P, VIP e somatostatina, sono stati
identificati in un considerevole numero di cellule immunitarie incluse quelle del
GALT.
Il primo a parlare dell’esistenza di un “cervello nella pancia” è stato il neurobiologo
Michael D. Gershon nel 1998 quando ha pubblicato il risultato di 30 anni di ricerche
nel libro “Il secondo cervello”. In meno di un decennio si è affermata l’idea che
l’intestino è un organo“intelligente” con capacità di associazione e coordinazione
proprie e le ricerche condotte hanno caratterizzato sia morfologicamente che
funzionalmente alcuni dei neuroni presenti nella parete intestinale.
Autonomia di funzionamento non vuol dire però che il cervello enterico sia
completamente autarchico: c’è relazione tra i due cervelli. E’ noto infatti quanto
possano pesare lo stress e le emozioni negative sulla salute dello stomaco e
dell’intestino. Il primo cervello può alterare il normale funzionamento del secondo,
interferire con i suoi ritmi e per questa via disturbare la peristalsi, la produzione di
acidi, enzimi, di ormoni e di citochine, ma è vero anche il contrario. Stando
all’anatomia le connessioni che dal cervello enterico vanno a quello centrale sono più
numerose di quelle che fanno il viaggio inverso. Questo vuol dire che disordini
intestinali possono produrre il loro effetto sul cervello centrale. A predominare tra i
neurotrasmettitori nel rapporto tra primo e secondo cervello è sicuramente la
serotonina, una molecola nota ai più per il suo legame con la depressione. Quasi il
95% della serotonina del nostro organismo viene prodotta dalle cellule dell’intestino
dove serve a iniziare il riflesso peristaltico e a mantenere il tono vascolare, e quindi a
regolare i movimenti e l’attività digestiva.
Allo stesso tempo la serotonina serve come segnale al cervello: invia segnali positivi,
come la sazietà, o negativi, come la nausea.
In caso di infiammazione intestinale si produce un eccesso di serotonina che
determina la desensibilizzazione dei recettori: questo può causare un blocco della
peristalsi. Allo stesso tempo l’infiammazione attiva enormemente l’enzima che
demolisce la serotonina e quindi si può avere, nel tempo, a livello cerebrale, un forte
deficit della molecola con conseguente depressione.
In base all’esperienza e agli studi condotti da ricercatori molto attenti, l’autismo
presenta una stretta correlazione tra Sistema Nervoso Centrale, in particolare le
cellule che compongono la glia, il sistema immunitario, nel quale svolgono un ruolo
importante gli antigeni d’istocompatibilità, l’apparato digerente ed il sistema
neuroendocrino. Autismo e malassorbimento potrebbero interagire nei propri
meccanismi fisiopatologici. Per tale motivo è importante studiare le singole patologie
separatamente per studiarne i propri meccanismi d’azione e poi successivamente porli
su basi fisiopatologiche ed etiopatogeniche comuni.
L’intestino potrebbe costituire la fonte principale dell’attivazione genica del sistema
immune, il cui effetto potrebbe includere l’attivazione a distanza dei meccanismi del
sistema immune innato cerebrale. Una situazione simile, è stata precedentemente
descritta nel morbo celiaco, nel quale un meccanismo immunopatologico della
mucosa dovuto all’allergia al glutine, è stato dimostrato indurre un danno neurologico
secondario. Vi sono pertanto evidenze di come una patologia gastrointestinale
immunomediata possa condurre ad una attivazione immunitaria secondaria a livello
del sistema nervoso centrale e come ciò possa a sua volta contribuire alle
caratteristiche sintomatologiche psichiatriche di questa patologia. L’infiammazione
intestinale potrebbe pertanto essere associata al comportamento autistico,
all’eziologia dell’autismo ed all’aumentata permeabilità della barriera
ematoencefalica. È fondamentale quindi sottolineare il ruolo dell’immunologia nella
malattia celiaca che, al di là delle alterazioni strutturali della mucosa intestinale,
documentabile con esami endoscopici a fibre ottiche e con l’istologia ci consente di
ampliare le nostre osservazioni in campo immunopatologico.
3.2 Biochimica del glutine e Morbo Celiaco
L’inquadramento clinico del paziente celiaco non può prescindere da importanti
fattori di discussione quali lo studio della biochimica del glutine, il suo ruolo nella
malattia celiaca, la valutazione del danno intestinale e la correlazione con altre
patologie autoimmunitarie.
Il glutine è costituito da un pool di proteine tra le quali rivestono particolare
importanza, per la patogenesi del morbo celiaco, le gliadine. Nell’ambito di questa
famiglia sono state distinte, mediante elettroforesi su gel di poliacrilamide, quattro
differenti polipeptidi di peso molecolare compreso tra 30 kD e 75 kD definiti Alfa,
Beta, Gamma e Omega gliadina. Ogni varietà di grano possiede le proprie impronte
digitali gliadiniche, nel senso che, a seconda della varietà, il contenuto di glutine
differisce per quantità e qualità. I grani, come tutte le specie vegetali ed animali, sono
in continua evoluzione genetica. Ad ogni modo, la cerealicoltura si è sempre più
adattata alle esigenze tecnologiche dell’industria alimentare, portando quindi alla
selezione di quelle varietà a maggiore contenuto di glutine che permettevano una
migliore lavorabilità dell’impasto. Se a ciò si aggiunge che nelle ultimi decadi il
processo di lievitazione a livello industriale è stato reso, per esigenze di mercato,
quanto più rapido possibile con l’utilizzo di Saccharomyces Cerevisiae come unico
agente biologico lievitante, si può comprendere come si sia registrato un cospicuo
aumento del quantitativo di glutine nel grano, con ipotetiche ma verosimili
conseguenze sull’aumento della prevalenza della celiachia.
La malattia celiaca, definita anche “sprue celiaca”, è una malattia immunomediata
scatenata dall’ingestione di glutine, caratterizzata da un’enteropatia, che in soggetti
geneticamente predisposti determina un processo infiammatorio nell’intestino tenue e
conseguente malassorbimento, sostenuto da lesioni a carico della mucosa, che si
manifesta con atrofia dei villi, iperplasia delle cripte ed infiltrato linfocitario.
L’etiopatogenesi non è ancora del tutto chiarita.
L’intervento dei fattori genetici nella malattia celiaca è stato preso in considerazione
sin dal 1980: in questo periodo, con i nuovi studi sui fattori genetici è stato chiarito il
ruolo eziologico del glutine (Corazza GR., 1996).
Il glutine viene assunto dalla maggior parte degli individui senza alcuna conseguenza
patologica e soltanto in un piccolo numero di soggetti, definiti suscettibili, il glutine è
in grado di provocare lesioni della mucosa digiunale. La domanda che ne consegue è
quale sia l’origine di questa predisposizione: se essa derivi da fattori genetici o dal
concorso di fattori ambientali capaci di favorire la sensibilizzazione al glutine (Volta
U.,1996).
Recenti studi fanno emerge prepotentemente il ruolo patogenetico svolto dai
meccanismi immunologici nella Malattia Celiaca.
Pietra miliare nello studio della genetica del Morbo Celiaco è stata l’identificazione
della sua associazione con antigeni HLA. Il ruolo dell’HLA nella Malattia Celiaca è
legato al fatto che queste molecole presentano i peptidi della gliadina alle cellule T
mucosali. I peptidi della gliadina inducono attivazione di linfociti CD4+ con T cell
receptor (TCR) della lamina propria intestinale in pazienti celiaci ma non di controllo
(Walker-Smith JA.,1990).
Tuttavia i peptidi della gliadina non hanno caratteristiche ideali per il legame a queste
molecole HLA. Questo implica che i peptidi della gliadina debbano essere in qualche
modo modificati per rappresentare un substrato ottimale per le cellule T. Il ruolo
cruciale in questo processo di modificazione dei peptidi è svolto dall’enzima
transglutaminasi tissutale identificato dal gruppo di Schuppan come l’autoantigene
riconosciuto dagli autoanticorpi antiendomisio (Volta U., 1996).
La transglutaminasi tissutale è l’enzima responsabile di modificazioni di polipeptidi
mediante meccanismi di transamidazione o deamidazione di specifici residui di
glutammina. Il processo di deamidazione porta alla sostituzione di residui di
glutammina, a carica elettrica neutra, con residui di acido glutammico con carica
negativa. Poiché i siti di binding dell’HLA-DQ2 in posizione 4, 6 e 7 hanno
preferenza per residui con carica negativa, il processo di deamidazione
transglutaminasi tissutale-mediato rende i peptidi capaci di indurre una forte risposta
dei linfociti CD4+ della lamina propria con produzione di interferone gamma (IFNGAMMA).
Come detto precedentemente la transglutaminasi tissutale è
l’autoantigene riconosciuto dagli autoanticorpi antiendomisio. Il meccanismo di
formazione di questi autoanticorpi non è completamente chiarito; cellule T gliadinaspecifiche potrebbero fornire il supporto necessario per la produzione di autoanticorpi
da parte di cellule B (Vitoria J.,1999).
Gli autoanticorpi anti-transglutaminasi neutralizzano l’attività della transglutaminasi,
ma potrebbero possono anche essere coinvolti nell’induzione del danno mucosale.
(Hansson T., 2000).
La transgluaminasi tissutale, pertanto, non solo è l’autoantigene riconosciuto dagli
autoanticorpi specifici nei pazienti celiaci,ma è anche l’enzima che smaschera gli
epitopi T cellulari dominanti della gliadina.
L’importanza dello smascheramento di epitopi critici che porta ad una rottura della
tolleranza, è un fattore ben noto dell’autoimmunità e si esplica sia attraverso
modifiche degli epitopi auto-immunodominanti, sia influenzando il processo stesso di
presentazione e il repertorio di epitopi disponibili per il riconoscimento da parte delle
cellule T (Collin P.,1999; Kaukinen K., 2000; Cataldo F., 2000).
Nella quasi totalità dei pazienti con Morbo Celiaco sono stati dimostrati anticorpi
antigliadina e si è osservato che il loro titolo è correlato con l’attività della malattia e
si riduce in maniera drammatica nei pazienti sottoposti a dieta priva di glutine.
In seguito a stimolo con glutine, a distanza di 4-5 ore compare a livello delle mucose
un infiltrato eosinofilo, seguito nelle successive 10-16 ore da un infiltrato di
granulociti neutrofili e da segni di rigonfiamento endoteliale. Successivamente
compaiono linfociti e plasmacellule sintetizzanti anticorpi anti-gliadine con
conseguente formazione di immunocomplessi costituiti da Immunoglobuline e
gliadine, capaci di fissare il complemento. L’azione combinata degli enzimi e dei
radicali dell’ossigeno, liberati dai neutrofili, nonché delle proteine dei granuli degli
eosinofili e della deposizione di immunocomplessi con attivazione del complemento,
unitamente al costituirsi di un infiltrato di linfociti T specifici attivati e successiva
liberazione di citochine, rende ragione delle lesioni riscontrabili a livello delle
mucose dei pazienti con Malattia Celiaca.
Il danno intestinale aumenta la tossicità della gliadina determinando l’instaurarsi di
un circolo vizioso che viene interrotto attraverso l’eliminazione di glutine dalla dieta.
La successiva reintroduzione del glutine, non porterebbe alla ricomparsa dei sintomi
gastrointestinali anche se una alterata reazione immune persiste nella mucosa
intestinale; questa può condurre nuovamente ad una sintomatologia gastrointestinale
esprimendosi con una sintomatologia da malassorbimento e, più subdolamente,
mediante un disturbo da tolleranza immunologioca, può creare le condizioni per lo
sviluppo di malattie autoimmuni.
Nei casi in cui una malattia autoimmune sia associata alla celiachia la diagnosi di
quest’ultima è fatta dopo quella della malattia associata. La malattia autoimmune si
sviluppa quindi in un soggetto con malattia celiaca non diagnosticata. Questo dato
suggerisce che il legame tra celiachia e malattie autoimmuni non sia fondato solo su
un comune substrato genetico, ma che la condizione della malattia celiaca non trattata
possa avere un ruolo causale nello sviluppo di malattie autoimmuni associate. Il
disordine del sistema immune intestinale glutine dipendente conduce ad un alterato
confronto tra organismo e ambiente, con un elevato rischio di sviluppare malattie da
alterata risposta immunologica (malattie autoimmuni).
La malattia celiaca è il modello migliore che abbiamo a disposizione per studiare le
caratteristiche delle malattie multifattoriali e dell’assenza dell’interazione tra uomo
ed ambiente.
3.3 Malassorbimento e sistema immunitario nell’Autismo
Nell’autismo è stata dimostrata un’alterazione di attività di determinati enzimi del
tratto gastrointestinale, come per esempio il Dipeptidil Peptidase IV (DPP IV),
attraverso specifici meccanismi (Vojdani A., 2004).
Il DPP IV è un enzima chiave nella digestione delle proteine che agisce scomponendo
una catena polipeptidica in unità più piccole dette peptidi, capaci di essere assorbite
attraverso l’intestino e diventare parte integrante del sistema energetico insieme al
glucosio ed altro.
Se agenti infettivi quali i batteri, le proteine alimentari (glutine e caseina) e il
mercurio o altre sostanze chimiche dell'ambiente, si legano a questi enzimi, questi
incominciano ad avere un cattivo funzionamento.
Il danneggiamento del DDP IV porta alla formazione di peptidi non digeriti.
I peptidi rappresentano una classe di composti molto eterogenea, accomunati
dall’essere costituiti da catene più o meno lunghe di amminoacidi, legati tra di loro
mediante la formazione di legami ammidici (legame peptidico), per cui le
caratteristiche di un dato peptide dipendono fortemente dalla composizione ammino
acidica e dalla lunghezza della catena.
Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse nei confronti delle possibili proprietà
funzionali dei peptidi negli alimenti poiché molti degli oligopeptidi originati dalla
degradazione delle proteine alimentari sono stati caratterizzati come biologicamente
attivi; in quest’ottica, il criterio generalmente usato per valutare la qualità delle
proteine alimentari, basato unicamente sulle proprietà nutrizionali della proteina,
andrebbe rivisto sulla base della capacità della proteina di rilasciare, in seguito a
digestione gastrointestinale, o a lavorazione del prodotto, peptidi dotati di attività
biologica (Douliez JP., 2000). Si tratta di molecole che risultano inattive quando sono
presenti nella sequenza della proteina nativa, ma che assumono attività farmacologica
nel momento in cui vengono rilasciati. Da questo punto di vista le proteine del latte e
del grano, rappresentano una fonte molto importante di peptidi bioattivi (Zioudrou C.,
1979;Meisel H., 1999).
Il gruppo di peptidi che deriva dalla incompleta digestione del glutine prende il nome
di gluteomorfine, mentre quelli derivanti dalla caseina sono le casomorfine.
Attualmente la glutomorfina e la casomorfina assumono un ruolo importante nelle
patologie del Sistema Nervoso Centrale, tra cui l’autismo poiché queste sostanze
agiscono sui recettori oppioidi presenti a livello cerebrale e gastrointestinale mediante
lo stesso meccanismo di azione delle encefaline e degli oppioidi.
I recettori oppioidi sono proteine di membrana formate da un’unica catena
polipeptidica che attraversa sette volte la membrana plasmatica. Esistono
principalmente tre tipi di recettori oppioidi (μ, δ, k), che sono localizzati
principalmente a livello del Sistema Nervoso Centrale (SNC), ma anche a livello
periferico, del sistema endocrino e di quello immunitario. Essi agiscono regolando il
comportamento e la motilità intestinale. Numerosi peptidi sono in grado di interagire
con questi recettori causandone l’attivazione, e possono essere distinti essenzialmente
in ligandi endogeni ed esogeni: i primi (encefaline, endorfine e dinorfine)
rappresentano i ligandi fisiologici che vengono normalmente sintetizzati
dall’organismo; con il termine esorfine sono stati chiamati, invece, i peptidi di origine
alimentare ad attività oppiacea che generano sintomi simili ai primi.
I primi peptidi oppioidi da proteine alimentari ad essere stati individuati sono le βCasomorfine, frammenti della β-caseina bovina, riscontrate nell’uomo dopo
ingestione di latte vaccino, il che vuol dire che la digestione gastrica e pancreatica
delle caseine è in grado di liberare tali sequenze; tuttavia non è stato dimostrato il
loro assorbimento attraverso l’epitelio intestinale, motivo per cui la loro attività
oppioide è in grado di esplicarsi solo a livello periferico, dove vanno a modulare il
transito intestinale, l’uptake degli amminoacidi, e l’equilibrio idrico (Brantl V., 1979;
Svedberg J., 1985). Inoltre,se anche una minima quantità di questi peptidi venisse
assorbita, verrebbe rapidamente degradata ad opera delle esterasi e peptidasi presenti
nel torrente circolatorio. La situazione è ,invece, alquanto differente nel caso dei
neonati o di pazienti con alterata permeabilità intestinale poiché questa alterazione
può consentire un più elevato assorbimento delle β-casomorfine, con conseguente
effetto a livello sistemico (Sturner R.A.,1988).
Numerose ricerche hanno dimostrato la presenza dei recettori oppioidi sulla
superficie delle cellule immunitarie, e che alcaloidi e peptidi attivi a livello dei
recettori oppioidi agiscono anche sulle loro funzioni (Sharp BM., 1998; McCarthy L.,
2001). Si è visto che la morfina, ma anche gli oppioidi endogeni, inducono un
aumento della chemiotassi dei monociti e dei neutrofili umani e agiscono anche sulla
liberazione di citochine, mediatori della risposta immunitaria ed infiammatoria, e
sulla proliferazione di linfociti T (Van Epps DE., 1984; Brown SL.,1986; Eisenstein
TK.,1998).
Capire quale sia il meccanismo con cui gli oppioidi deprimano o stimolino é
complicato dal fatto che queste risposte sono il risultato di interazioni con diverse
popolazioni cellulari.
A partire dagli anni Ottanta numerosi studi, tra cui quello di Reichelt, hanno
evidenziato la presenza di elevate concentrazioni di peptidi oppioidi nelle urine dei
soggetti autistici, dimostrando che questi bambini digeriscono male sia il glutine che
la caseina e che l’assunzione prolungata degli alimenti che li contengono sovraccarica
l’organismo di tossine peggiorando le condizioni neurologiche, gastrointestinali ed
immunitarie (Reichelt KL., 1981).
L’accumulo di oppioidi a livello intestinale determina un’infiammazione cronica con
conseguente aumento della permeabilità intestinale.
Il concetto di incremento di permeabilità intestinale è la chiave connessa a molte
teorie sull’autismo. L’integrità della mucosa intestinale gioca un ruolo critico ad
aiutare l’organismo ad assorbire adeguatamente i nutrienti e bloccare le tossine, i
batteri, gli allergeni ed altre molecole potenzialmente dannose dal penetrare
all’interno della circolazione sistemica.
Di conseguenza l’aumentata permeabilità intestinale nei bambini autistici favorisce il
passaggio di questi peptidi mal digeriti nel sangue che possono raggiungere l’area del
cervello, dove possono interagire con i recettori qui presenti e interferire con il
funzionamento del cervello stesso (Gardner M., 1983). Allo stesso modo questi peptidi
interagendo con i recettori presenti nelle cellule del sistema immunitario possono
determinare una disregolazione immunitaria. Evidenze di laboratorio della
disregolazione immunitaria nei bambini con sindrome autistica includono gli elevati
livelli di IgE, scarsa attività delle cellule Natural Killer, squilibrio nelle funzioni delle
cellule T linfocitarie e aumento delle neopterine come segno di attivazione di risposta
immunitaria
Dagli studi di Paul Shattock si evidenzia che tali peptidi sono implicati in vari
versanti, svolgendo funzioni varie come la riduzione della sensibilità al dolore,
modificazione del pattern di sonno, effetti sulla memoria e sull’apprendimento,
diminuzione della socializzazione, modificazione dell’assunzione di cibi e liquidi,
stipsi, rallentamento della peristalsi, coinvolgimento del comportamento stereotipato,
regolazione della temperatura corporea ed effetti sul sistema immunitario (Shattock P.,
1990).
3.4 I neuropeptidi: interazione con il sistema immunitario e con
neurotrasmettitori del Sistema Nervoso Centrale
I fattori coinvolti nella trasmissione nervosa sono diventati sempre più numerosi.
Le cellule nervose comunicano attraverso segnali di tipo chimico mediati dai
neurotrasmettitori e codificati a livello dei relativi recettori.
Il neurotrasmettitore viene rilasciato nella giunzione sinaptica dalla terminazione
assonica di un neurone in risposta alla stimolazione elettrica. Esso si lega quindi alle
molecole dei recettori presenti sulle terminazioni del dendrite dando così luogo a una
serie di modificazioni chimiche sulla membrana della sinapsi che rilanciano l'impulso
bioelettrico lungo le fibre nervose, verso altri neuroni.
Esistono tre tipi di neurotrasmettitori. Il primo tipo comprende i neurotrasmettitori
più diffusi nel cervello e dotati di struttura proteica più semplice, come l'acido
gamma-ammino-butirrico (GABA) e l'acido glutammico. Il GABA,
neurotrasmettitore inibitorio, e l'acido glutammico, mediatore chimico eccitatorio,
hanno un'azione rapida e marcata a livello delle sinapsi.
I neurotrasmettitori del secondo tipo, come l'acetilcolina, la serotonina, la dopamina,
la noradrenalina e le endorfine hanno una concentrazione cerebrale piuttosto bassa
rispetto a quelli del primo tipo, ma ciò non significa che siano meno importanti. Tali
mediatori chimici infatti sono coinvolti in maniera più o meno diretta nel controllo e
nella regolazione del comportamento, dei processi cognitivi e soprattutto delle
emozioni. La loro azione si esplica in maniera più lenta e meno marcata rispetto ai
mediatori del primo tipo, ma tende ad essere più persistente e a diffondersi, come nel
caso della noradrenalina, attraverso la circolazione sanguigna, anche su apparati
funzionali diversi dal sistema nervoso, soprattutto su quello ormonale. La terza classe
di neurotrasmettitori è rappresentata dai neuro peptidi, molecole proteiche complesse
la cui recente scoperta ha rivoluzionato il modo di concepire le funzioni del sistema
nervoso e le correlazioni tra questo organo e gli altri apparati funzionali, costringendo
a rivedere la classica divisione tra funzioni del sistema nervoso e funzioni del sistema
endocrino. A differenza degli altri trasmettitori nervosi, infatti, la maggior parte dei
neuropeptidi può essere rilasciata sia da neuroni che da cellule paraneuronali
localizzate in tessuti od organi non nervosi, come l'intestino, il cuore e il pancreas.
L'azione dei neuropeptidi è di fondamentale importanza per l'integrazione delle
attività dei vari organi e garantisce la coordinazione funzionale tra meccanismi
fisiologici e processi comportamentali. La loro attività possiede, così, un carattere
ubiquitario in quanto si esplica, allo stesso tempo, sul Sistema Nervoso Centrale e
sugli altri organi periferici.
Fino a pochi anni fa, si pensava che le informazioni del Sistema Nervoso erano
distribuite presso la superficie tra due cellule nervose: la sinapsi. Ora invece
sappiamo che una grande parte delle informazioni che partono e giungono al cervello,
non dipendono direttamente dalle sinapsi di una serie di neuroni posti uno dopo
l'altro, ma dalla specificità dei recettori. Quando una cellula nervosa secerne i suoi
peptidi, questi possono agire a 'chilometri' di distanza da quella cellula nervosa, e lo
stesso vale per tutti i neuropeptidi. Nello stesso istante moltissimi differenti
neuropeptidi possono scorrere nel corpo, e attaccarsi ai loro specifici recettori.
Recettori per i neuropeptidi sono stati identificati anche a livello degli elementi del
sistema immunitario. Sembra anche che le cellule del sistema immunitario, non solo
hanno i recettori per i neuropeptidi, ma che esse stesse producono neuropeptidi.
Il meccanismo neuropeptidico, deputato alla regolazione delle risposte immuni locali,
consente di aumentare la gamma degli eventi induttori e di determinare la possibilità
di far evocare una risposta immune in un’area più ampia in seguito ad uno stimolo
localizzato. Questo deriva dal fatto che la secrezione di peptidi può seguire la
distribuzione dei nervi in un tratto di mucosa o anche dell’intero organo.
Il meccanismo neuropeptidico presenta il vantaggio di modulare finemente la risposta
immune influenzando la migrazione linfocitaria, la sintesi delle immunoglobuline e il
rilascio di mediatori a seconda dei peptidi che vengono secreti selettivamente.
Molti di questi peptidi erano già noti come ormoni attivi nel sistema endocrino o
come fattori di rilasciamento ipotalamici. Numerosi sono i peptidi che di anno in
anno vengono classificati e identificati nel Sistema Nervoso Centrale:
-
CCK (colecistochinina)
SS (somatostatina)
VIP (peptide intestinale vasoattivo)
Neurotensina
Sostanza P
Vasopressina
Encefaline
Neuropeptide Y
Questi peptidi possono interagire con altri neurotrasmettitori in maniera coordinata.
Possono agire in un sinergismo o con interazioni inibitorie o modulatorie; infatti a
livello di un terminale presinaptico il rilascio di un neurotrasmettitore può essere
regolato da quello di un altro. Due o più neurotrasmettitori possono coesistere nella
stessa terminazione nervosa. Tale osservazione implica che molecole co-rilasciate
dalle stesse terminazioni possano interagire a livello di siti pre-sinaptici o postsinaptici in modo da modulare l’informazione in una determinata via neuronale.
Per interagire due o più neurotrasmettitori devono essere presenti nello stesso posto e
nello stesso momento in una determinata regione del Sistema Nervoso Centrale.
Questo può verificarsi solo se i neurotrasmettitori sono co-localizzati e se sono
contenuti in terminali assonici che finiscono in prossimità di comuni bersagli
cellulari.
Le conseguenze dell’interazione tra i neurotrasmettitori spaziano dal livello degli
RNA messaggeri all’attività di enzimi che regolano funzioni cellulari, fino alle
proprietà cinetiche di canali selettivi per un dato tipo di ioni. Le interazioni cellulari
finiscono con l’integrarsi in processi multicellulari complessi che a loro volta sono
responsabili di un determinato comportamento. Le interazioni tra i neurotrasmettitori
possono, in altri termini, essere analizzate a questo livello più elevato, implicante
effetti comportamentali. Dalle osservazioni sui complessi meccanismi che regolano i
neurotrasmettitori sembra dunque che non soltanto possano verificarsi interazioni a
livello della superficie extracellulare della membrana, in rapporto alla convergenza di
neurotrasmettitori multipli sulla stessa cellula bersaglio, ma che un singolo
neurotrasmettitore, agendo su un singolo recettore, possa innescare molteplici
processi regolativi reciprocamente interagenti.
3.5 Infiammazione intestinale e danno al cervello
Recenti studi hanno evidenziato che il Sistema Nervoso Centrale è dotato di funzioni
effettrici del sistema immune. Il cervello pertanto rappresenta un sito di risposta
immunitario contro agenti infettivi ed autoantigeni e questa considerazione ci spinge
a credere che nel sistema nervoso centrale la distruzione cellulare immunomediata
dipende sia da cellule residenti nel Sistema Nervoso Centrale che hanno
immunocompetenza (glia) sia da linfociti periferici o da entrambe gli eventi.
In seguito all’interazione tra APC (cellule presentanti l’antigene) intracerebrali,
antigeni e linfociti T, questi ultimi vengono ulteriormente attivati all’interno del
Sistema Nervoso Centrale.
L’IFN-gamma induce l’espressione di antigeni dell’HLA di classe I su astrociti,
oligodendrociti e cellule microgliali e l’espressione di antigeni di classe II su una
sottopopolazione astrocitaria ed altre cellule gliali.
Fenomeni di ipersensibilità ritardata comportano il rilascio di linfotossina da parte
degli astrociti e delle cellule CD4, di IL-1 e TNF da parte dei gliociti e dei macrofagi,
indotti a rilasciare tali citochine da stimoli di provenienza T-linfocitaria. Macrofagi e
microgliociti esercitano un ruolo molteplice nelle risposte di ipersensibilità ritardata,
funzionando come APC, secernendo prodotti citotossici, rilasciando citochine,
fagocitando cellule danneggiate e morte.
Il bersaglio dell’attacco immune nelle risposte di ipersensibilità ritardata non
necessita di esprimere alleli dell’HLA per essere distrutto mediante attivazione
macrofagica e microgliocitaria. Invece nel caso della citotossicità dipendente
dall’attivazione dei linfociti Tc (citotossici o T killer), la cellula bersaglio deve
presentare alle Tc l’antigene associato a molecole di classe I dell’HLA. Allora le
cellule CD8 citotossiche rilasciano perforina, che forma canali di poliperforina in
grado di consentire la fuoriuscita di ioni dalla cellula, causandone la morte.
Il mantenimento e la riparazione tessutali nel contesto del Sistema Nervoso Centrale
e la risposta agli agenti patogeni dipendo dalle interazioni neuro gliali e dagli effetti
biologici delle citochine prodotte dalle cellule del Sistema Nervoso Centrale e del
sistema immune. Nel Sistema Nervoso Centrale astrociti e neuroni si scambiano
segnali che consentono loro di mantenere in equilibrio dinamico i rispettivi stati
metabolici. La rottura di tali meccanismi omeostatici può ingenerare uno
scompaginamento delle comunicazioni intercellulari del Sistema Nervoso Centrale, la
distruzione della barriera emato-encefalica e la proliferazione gliale.
3.6 La funzione degli astrociti nell’autismo.
Il Sistema Nervoso Centrale è costituito da neuroni e da componenti non neuronali, le
cosiddette cellule gliali o della glia, le quali sono presenti in numero 10 volte
superiore a quello dei neuroni.
Tradizionalmente, i neuroscienziati hanno attribuito alla glia un ruolo
sostanzialmente di sostegno e supporto meccanico ai complessi circuiti neuronali.
Attualmente, grazie allo sviluppo di una ricerca ancora in corso su queste cellule, sia
in condizioni fisiologiche normali che in caso di patologie, soprattutto
neurodegenerative, è stato possibile identificate altre loro importanti funzioni:
metaboliche, di difesa immunitaria e di rigenerazione del tessuto nervoso.
In più, sembra che la glia sia coinvolta nel processo di trasmissione nervosa molto di
più di quanto non si sia pensato finora. Alle cellule della glia appartengono gli
astrociti, cellule su cui si è maggiormente soffermata la ricerca, attribuendo loro la
fondamentale funzione di regolare l’attività dei neuroni. Intervengono infatti:
a) nella modulazione del metabolismo del neurone (catturando dai capillari il
glucosio, il principale “carburante” del Sistema Nervoso e cedendolo ai
neuroni, riuscendo anche ad immagazzinarlo in quantità discrete);
b) nella modulazione dell’eccitabilità del neurone (controllando le
concentrazioni di alcuni neurotrasmettitori nello spazio extracellulare o
limitandone la diffusione o rimovendoli dallo spazio intersinaptico, grazie a
proteine particolari presenti nelle loro membrane. Un esempio è il controllo
della concentrazione del glutammato, il principale neurotrasmettitore
eccitatorio del cervello che, se raggiunge concentrazioni troppo elevate, può
procurare iper-eccitabilità ed eccesso di radicali liberi, notoriamente causa di
invecchiamento e morte cellulare);
c) nella modulazione del corretto funzionamento del neurone (regolando,
per esempio, la concentrazione del potassio extracellulare, garanzia per la
stabilità del potenziale di riposo);
d) nella modulazione della trasmissione nervosa. Quest’ultima acquisizione
è stata una vera rivoluzione, che ha scardinato il dogma secondo il quale solo le
cellule neuronali sono eccitabili: in realtà, gli astrociti sono in grado di
produrre neurotrasmettitori (prevalentemente glutammato) e di partecipare ad
eventi elettrici e biochimici all’interno della cellula gliale, ricevendo e
trasmettendo impulsi da e verso i neuroni e anche da altri astrociti.
Strutturalmente l’astrocita ha due poli: uno si trova in diretto contatto con un capillare
da cui trae l’ossigeno che servirà ad attivare le reazioni mitocondriali che
produrranno l’energia necessaria ad attivare l’intero Sistema Nervoso e il glucosio
ematico, mentre l’altro avvolge le sinapsi modulando i neurotrasmettitori e quindi
l’attività celebrale. Gli astrociti modulano il loro metabolismo energetico in risposta
ad alcuni neurotrasmettitori come per esempio il glutammato. Il glucosio viene
assorbito quando uno stimolo nervoso libera il glutammato che si lega ai recettori
post-sinaptici modificandone l’eccitabilità. Successivamente il glutammato viene
rimosso dallo spazio sinaptico da proteine specifiche di membrana e viene
trasformato in glutammina ad opera della glutammina-sintetasi (enzima presente solo
negli astrociti). Lo step successivo prevede il trasferimento della glutammina ai
neuroni dove mediante un processo inverso vengono ricostruite le vescicole presinaptiche di glutammato. Il trasporto di glutammato avviene in contemporanea a
quella del sodio liberato dagli astrociti per azione della pompa Na+/K+. Il
funzionamento di tale pompa si basa sulla presenza di glucosio nell’astrocita dove, in
anaerobiosi, viene trasformato in lattato con produzione di due molecole di ATP,
impiegate per l’utilizzo della pompa stessa, dato che è ATP-asica e per convertire il
glutammato in glutammina.
Negli astrociti si ha la produzione di due molecole di ATP per ogni molecola di
glucosio assorbito e il neurone assorbe due molecole di lattato da cui ricava 34
molecole di ATP: tale processo è definito “Navetta del lattato astrocita-neurone”.
In precedenza si credeva che il lattato dovesse essere prodotto nelle cellule nervose
data l’impermeabilità della barriera emato-encefalica ad esso, non considerando che
delle lesioni ne potessero aumentare la permeabilità. Nella sindrome autistica, infatti,
si suppone che una lesione su base autoimmunitaria della barriera emato-encefalica
ne provochi la permeabilità e da qui si ha l’accumulo dei radicali liberi nei
mitocondri degli astrociti, inibendo così lo scambio dell’ossigeno tra il vaso
sanguigno e l’astrocita stesso. La presenza di radicali circolanti è legata ad una serie
di quadri clinici che coinvolgono l’apparato gastrointestinale quali la disbiosi
intestinale, il malassorbimento ed il proliferare in generale di virus e parassiti nel
lume intestinale. Quindi tutti gli stati di tossicità possono inibire, mediante
l’accumulo dei ROS, l’attività mitocondriale delle cellule nervose; i radicali liberi, in
base al tipo di lesione presente e ad aplotipi HLA individuati, possono inibire le
funzioni biochimiche degli astrociti dando origine a diverse alterazioni che si
riscontrano in varie patologie.
Nell’autismo merita grande attenzione il network citochinico neurone-gliolinfocitario in quanto ha un ruolo chiave nella genesi e nella regolazione della
risposta neuro immune.
3.7 Ossigeno e funzione mitocondriale
Il Mitocondrio, piccolissimo organulo cellulare comparso relativamente tardi nella
filogenesi della vita sulla Terra, ha svolto un ruolo essenziale nella evoluzione della
cellula ed ha sostanzialmente permesso, mettendo a disposizione una grande quantità
di energia sotto forma di ATP, le forme di vita superiori. Il mitocondrio ha reso
possibile l’utilizzazione, ai fini energetici, dell’Ossigeno con la conseguenza di una
miglior degradazione dei metaboliti nutritivi. La glicolisi anaerobica della cellula
primitiva, utilizzando direttamente glucosio, metabolizzato solo fino allo stadio di
acido lattico, da una parte produceva grandi quantità di scorie acide, dall’altra
scarso ATP. La glicolisi aerobica mitocondriale da una parte permette utilizzazione
completa dei substrati nutritivi, fino alla formazione di acqua ed anidride carbonica,
dall’altra una grande produzione energetica e la sintesi di molecole importanti per il
metabolismo cellulare, dagli aminoacidi agli acidi grassi, dai nucleotidi a nuovo
glucosio. Fini meccanismi di controllo intramitocondriali, regolano, a seconda delle
necessità metaboliche della cellula, l’attivazione delle specifiche vie biosintetiche o
energetiche, che sono, nella glicolisi anaerobica molteplici, rispetto alla via
metabolica unica della glicolisi anaerobica.
Per tutto quanto suddetto è importante mantenere una buona funzione mitocondriale,
evitare blocchi enzimatici ed accumuli metabolici. E’ necessario fornire ed attivare
l’utilizzazione di tutti i fattori del metabolismo aerobico e garantire una presenza
sufficiente di anti ossidanti che proteggano il delicato DNA mitocondriale dai
possibili danni che si possono verificare nell’ambito di un attivo metabolismo
ossidativo. La disfunzione mitocondriale si ripercuote a tutti i livelli dell’organismo
ed è spesso la fase iniziale della malattia. Il mitocondrio infatti, non solo regola la
produzione di energia e la riparazione strutturale, ma anche decide, in base ai segnali
chimici che ne riceve, se la cellula deve autodistruggersi, tramite l’apoptosi. Questo
meccanismo è alla base della protezione antineoplastica di base.
È importante sottolineare che non esiste un primato del metabolismo ossidativo su
quello anaerobico, ma che la vita nella sua complessità, ha potuto svilupparsi
nell’interazione mutualistica di questi due atteggiamenti biochimici. La glicolisi
anaerobica rimane una via di rifornimento energetico cui la cellula ricorre nei
momenti di maggior richiesta metabolica, rappresenta un importante meccanismo di
riserva soprattutto per alcuni tessuti, quali ad esempio i muscoli, che facilmente
possono andare in deficit energetico momentaneo.
La prevalenza eccessiva della via aerobica, del resto, porta ad uno squilibrio in senso
apoptotico del pool cellulare. Un atteggiamento a senso unico di questo tipo, causa
depauperamento eccessivo della cellularità tissutale, premessa di malattia cronico
degenerativa.
L’ottimizzazione della funzionalità del ciclo di Krebs vuol dire, da una parte buon
rendimento energetico, dall’altra minimizzazione dei danni correlati al metabolismo
aerobico. A questo proposito è importante che siano fornite o attivate tutta una serie
di sostanze chiave per la cellula.
La disfunzione mitocondriale è l’effetto di una bassa produzione di ATP e
conseguente aumento di forme tossiche dell’ossigeno (radicali liberi). Questo spiega
come la disfunzione mitocondriale gioca un ruolo importante nello sviluppo di
patologie neurologiche umane.
Fonte: tesi di laurea della dottoressa M. Andreani
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