EDITORIALE DEL VESCOVO La laicità democratica, sfida per il

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EDITORIALE DEL VESCOVO
Gazzetta del Sud 06.09.09
La laicità democratica, sfida per il cattolicesimo del terzo millennio
«Autentica laicità non è prescindere dalla dimensione spirituale, ma riconoscere
che proprio questa, radicalmente, è garante della nostra libertà e dell’autonomia
delle realtà terrene».
Questa frase di papa Benedetto XVI, oltre ad indicare le direttrici di una laicità
rettamente intesa, offre una valida chiave di lettura delle polemiche, anche
recenti, che al loro fondo nascondono, sempre vivo e sovente agitato con
finalità strumentali, il tema dei rapporti tra Stato e Chiesa, laicismo e
cattolicesimo, ovvero concezione laica della vita e cattolicesimo, politica e fede
professata sempre e dovunque.
Sono in molti a sostenere la tesi per la quale il laicismo è da intendersi come
assenza della religione dallo spazio pubblico, pretendendo in tal modo di
circoscrivere l’agire ed il dire della Chiesa alla cura delle anime ed alle cose di
sagrestia. La realtà, però, è ben diversa. La Chiesa cattolica vive per diffondere
il proprio messaggio evangelico, chiedendo soltanto il riconoscimento della
libertà di parola e di organizzazione, impiegata, peraltro, per svolgere attività
religiose e sociali a vantaggio della collettività. I cristiani in particolare vivono
nel mondo come gli altri uomini. E poiché «il loro Dio è un’idea politica»,
come ricorda il teologo J. B. Metz, essi possiedono delle convinzioni che non
possono essere relegate nel privato, ma che, in una società pluralista come la
nostra, hanno pieno diritto ad essere presenti proprio nella cosa pubblica,
sociale e politica. C’è poi da rilevare la peculiarità, tutta italiana, delle relazioni
tra Chiesa e Stato. Essa poggia su alcuni capisaldi che, da ultimo, il Concilio
Vaticano II ha indicato con chiarezza: l’indipendenza e l’autonomia reciproche;
una sana collaborazione tra Chiesa e Stato, senza confusione di ruoli, diretta a
perseguire il bene della persona. Precisa al riguardo anche Benedetto XVI: «La
Chiesa non è e non intende essere un agente politico. Nello stesso tempo, ha un
interesse profondo per il bene della comunità politica, la cui anima è la
giustizia, e le offre il suo contributo. La fede cristiana, infatti, purifica la
ragione e l’aiuta ad essere migliore, contribuendo a far sì che ciò che è giusto
possa essere riconosciuto e realizzato».
È la prospettazione di un principio nuovo e niente affatto religioso. È
l’affermarsi dell’idea di laicità democratica, secondo la quale in una società
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multiforme, come quella contemporanea, tutti sono chiamati a collaborare alla
configurazione di una sfera pubblica pluralistica e nobilmente qualificata da alti
valori etici e religiosi, in cui le religioni svolgano un ruolo di profilo pubblico,
ma distinto dall’istituzione statuale e dalla stessa società civile.
Di fronte a questi enunciati, l’atteggiamento del cristiano non può essere di
rinuncia e di chiusura. Citando ancora il Papa, «occorre invece mantenere vivo
e se possibile incrementare il nostro dinamismo, aprirsi con fiducia a nuovi
rapporti, non trascurare alcuna delle energie che possono contribuire alla
crescita culturale e morale dell’Italia». È l’appello dell’impegno civile, di quella
politica, che Paolo VI definiva «una maniera esigente di vivere l’impegno
cristiano al servizio degli altri». I cattolici devono accettare il rischio della
carità politica, sottoposta per sua natura alla lacerazione delle scelte difficili,
alla fatica delle decisioni non da tutti comprese, all’impopolarità delle
contraddizioni e delle conflittualità endemiche, alla possibilità dell’errore
costantemente in agguato.
Certo il compito è arduo, ma necessario. Forse anche un’utopia, però, come
annotava don Tonino Bello, «così a portata di mano da poter finalmente
diventare carne e sangue sull’altare della vita».
? Vincenzo Bertolone
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