UNIVERSITA` CATTOLICA DEL SACRO CUORE MILANO Dottorato

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UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE MILANO Dottorato di ricerca in Diritto Commerciale Interno e Internazionale ciclo XXVI S.S.D: IUS/04, IUS/02, IUS/05 CRISI D’IMPRESA E TRUST Tesi di Dottorato di: Piergiuseppe Spolaore Matricola: 3911258 Anno Accademico 2013/2014 Dottorato di ricerca in Diritto Commerciale Interno e Internazionale ciclo XXVI S.S.D: IUS/04, IUS/02, IUS/05 CRISI D’IMPRESA E TRUST Coordinatore: Ch.mo Prof. Duccio REGOLI Tesi di Dottorato di: Piergiuseppe Spolaore Matricola: 3911258 Anno Accademico 2013/2014 Abstract La tesi ha ad oggetto lo studio dei rapporti tra il trust e il nucleo di principi inderogabili in materia di crisi dell’impresa esercitata in forma societaria e delle sue soluzioni “negoziali” (: piani attestati, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo) tanto in termini di compatibilità sistematico-­‐‑astratta, quanto con riguardo alle funzioni concrete che detto istituto può svolgere in tali contesti. Il primo capitolo analizza le problematiche connesse alla fattispecie, diffusa nella prassi, del c.d. trust liquidatorio “extra-­‐‑concorsuale”, anche alla luce delle regole che, in common law, disciplinano le interferenze tra «trust» e «insolvenza», sia del settlor sia del trustee, giungendo a negarne la legittimità. Il capitolo secondo prosegue con l’analisi comparatistica degli ulteriori istituti e contesti, propri del diritto statunitense e inglese, nei quali il trust viene utilizzato, a vari scopi, nell’ambito delle soluzioni non fallimentari della crisi d’impresa. Il terzo capitolo è dedicato all’esame delle fattispecie – diverse da quelle considerate nel capitolo primo – di trust nell’ambito delle tecniche di regolazione della crisi d’impresa, alternative al fallimento, nell’ordinamento italiano (: piani attestati, accordi di ristrutturazione e concordato preventivo): da una parte, sulla scorta degli esiti dell’analisi, svolta nel capitolo secondo, quanto agli utilizzi del trust nella crisi d’impresa societaria tipici dei sistemi statunitense e inglese; dall’altra, tenendo ferme le risultanze, emerse nel capitolo primo, in ordine al rapporto tra fenomeno fiduciario anglosassone e diritto fallimentare. My dissertation deals with the compatibility of the «trust» – as a “foreign” institution – with the basic principles of corporate debt restructuring and/or reorganization in Italian bankruptcy law. More specifically, it draws extensively on the evidences from the common law experiences, with regard both to the general relationship between trusts and bankruptcy law [i.e. the treatment of the trust (rectius: the rights of the parties involved as well as their creditors) in the subsequent bankruptcy respectively of the trustee or the settlor] and to how and to which purposes are trusts used specifically in the corporate distress framework. The first chapter analyzes and criticizes a line of Italian cases dealing with the use of the trust as a form of private regulation of the corporate crisis. The second chapter further explores the functions played by trusts in the corporate bankruptcy – and their limits – in North-­‐‑American and English law. The third chapter draws the consequences for Italian regulation on corporate restructuring, developing a new model on the use of trusts within said scope. INDICE SOMMARIO CAPITOLO PRIMO IL «TRUST LIQUIDATORIO» 1.1. Il problema. 1 1.2. Il metodo. 6 10 2. Il trust c.d. liquidatorio: la realtà empirica. 3. Il trust liquidatorio “extra-­‐‑concorsuale”: il fenomeno concreto. 17 4. Il trust liquidatorio “extra-­‐‑concorsuale” fra giurisprudenza e dottrina. 20 5. (segue): la tesi dell’“ammissibilità”. 25 6. (segue): la tesi della non ammissibilità. Critica. 34 7. Le dinamiche patrimoniali conseguenti alla costituzione di un trust. 43 8. (segue): trust e crisi del debitore in common law: «assignment for the benefit of creditors» e fraudulent conveyances. 58 8.1. L’«assignment for the benefit of creditors» («ABC»). 59 8.2. (segue): fraudulent conveyances e preferential payments (e asset protection trusts). 68 9. La (pretesa) «meritevolezza» del trust extra-­‐‑concorsuale nelle soluzioni negoziali della crisi (piani attestati e accordi di ristrutturazione). 78 10. Conclusioni intermedie. 85 CAPITOLO SECONDO TRUST E CRISI D’IMPRESA: REALTÀ APPLICATIVE IN DIRITTO COMPARATO 1. Premessa. 88 SEZIONE PRIMA. TRUST E SOLUZIONI CONTRATTUALI DELLA CRISI D’IMPRESA 2. Finanziamento della società e trust a “protezione” dei finanziatori 89 2.1. I cc.dd. «twilight trusts». 90 2.2. Il c.d. Quistclose trust. 96 3. Trust e garanzie nei finanziamenti plurisoggettivi. 101 3.1. Il «security trustee» nei finanziamenti in pool. 102 3.2. Il «bondholder trustee» nella rinegoziazione dei finanziamenti obbli-­‐‑ gazionari. 107 SEZIONE SECONDA. I TRUST NELLA CONCORSUALITÀ. 4. Trusts e Company Voluntary Arrangements di diritto inglese. 121 CAPITOLO TERZO TRUST E SOLUZIONI ALTERNATIVE DELLA CRISI D’IMPRESA NEL DIRITTO INTERNO 1. L’indagine. 132 SEZIONE PRIMA. IL TRUST NEI PIANI ATTESTATI E NEGLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE 2.1. Trust e finanziamento dell’impresa in crisi. 136 2.2. (segue): nei piani attestati. 140 2.3. (segue): negli accordi di ristrutturazione. 145 3. Trust a “garanzia” dei creditori «estranei». 148 4.1. Trust e governance. 151 4.2. Trust in funzione di “moratoria” delle azioni esecutive individuali: critica 155 SEZIONE SECONDA. IL TRUST NEL CONCORDATO PREVENTIVO 5. L’affidamento in gestione al trustee di specifici assets. 157 6. L’“intervento” di terzi. Garanzia e assunzione. 162 INDICE DELLE OPERE CITATE 174 INDICE DELLA GIURISPRUDENZA 218 INDICE DEI DOCUMENTI 224
CAPITOLO I IL C.D. «TRUST LIQUIDATORIO» (EXTRA-­‐‑CONCORSUALE) SOMMARIO. 1.1. Il problema. – 1.2. Il metodo. – 2. Il trust c.d. liquidatorio: la realtà empirica. – 3. Il trust liquidatorio “extra-­‐‑concorsuale”: il fenomeno concreto. – 4. Il trust liquidatorio “extra-­‐‑concorsuale” fra giurisprudenza e dottrina. – 5. (segue): la tesi dell’“ammissibilità”. – 6. (segue): la tesi della non ammissibilità. Critica – 7. Le dinamiche patrimoniali conseguenti alla costituzione di un trust. – 8. (segue): trust e crisi del debitore in common law: «assignment for the benefit of creditors» e fraudulent conveyances. – 8.1. L’«assignment for the benefit of creditors» («ABC»).. – 8.2. (segue): fraudulent conveyances e preferential payments (e asset protection trusts). – 9. La (pretesa) «meritevolezza» del trust extra-­‐‑concorsuale nelle soluzioni negoziali della crisi (piani attestati e accordi di ristrutturazione). – 10. Conclusioni intermedie. Il problema. – Il trust si è inserito nella dialettica tra “autonomia” e “eteronomia” che è sottesa – quantomeno a seguito delle varie riforme apportate alla legge fallimentare nel corso dell’ultimo decennio – al diritto della crisi d’impresa1. In particolare, si è assistito a 1.1.
1
È considerazione ormai pacifica che la riforma della legge fallimentare del 2005 e del
2007 abbia – con maggiore o minore incisività – avviato un processo (proseguito poi con i
periodici cesellamenti: v. 2010 e 2012-2013) di ribaltamento delle prospettive di fondo del
diritto della crisi dell’impresa (societaria e non), improntato sul paradigma della
«privatizzazione» (o «contrattualizzazione») delle procedure e sull’esaltazione del ruolo
dell’autonomia privata. Cfr., nella ormai vasta letteratura sul punto, AA. VV., Autonomia
negoziale e crisi d’impresa, a cura di Di Marzio e Macario, Milano, 2010, e in particolare, ivi, i
contributi di PORTALE, Dalla «pietra del vituperio», 3 ss., in part. 14 ss.; DI MARZIO,
'Contratto', 73 ss.; MACARIO, Insolvenza, 56 ss.; NIGRO, La disciplina, 54 ss.; v., inoltre,
PORTALE, La legge, 369 s.; D’ALESSANDRO, La crisi, 19 ss.; STANGHELLINI, Le crisi, 351 ss.;
DI MARZIO, Il diritto, passim; SALANITRO, Riflessioni, 169 ss.; JORIO, Le soluzioni 44 ss.; ID.,
Introduzione, in Trattato Cottino, XI, 2, Padova, 2009, 6 ss.; NIGRO, «Privatizzazione», 359
ss.; LANFRANCHI, Costituzione, 8 ss.; ROVELLI, I nuovi, 1029 ss. Peraltro, la contrapposizione
tra autonomia e eteronomia nella “gestione” dell’insolvenza, che sembra riconducibile
all’esistenza di visioni radicalmente differenti del “diritto fallimentare”, è un dato che non si
limita al nostro ordinamento. Al proposito, merita di essere richiamato l’ampio dibattito sorto
nella dottrina statunitense sul c.d. «contracting out of bankruptcy»: v., fra i “contrattualisti”,
BAIRD-JACKSON, Corporate, 97 ss.; RASMUSSEN, Debtor’s, 53 ss.; ADLER, A Theory, 352 ss.;
-1-
una pluralità di “esperimenti” messi in atto dalla prassi, nei quali si è fatto ricorso al trust sfruttando gli spazi aperti all’autonomia privata, da un lato, dal processo di “liberalizzazione” delle procedure concorsuali (e in generale della “gestione”, atecnicamente intesa, della crisi d’impresa); dall’altro, dalla XV Convenzione de L’Aja del 1 luglio 1985 relativa alla legge applicabile ai trusts e al loro riconoscimento2: come noto, l’orientamento giurisprudenziale prevalente, interpretando de facto siffatto trattato quale convenzione di diritto materiale uniforme, riconosce a ogni persona fisica e giuridica la facoltà di optare, salvo il generale limite della meritevolezza della “causa concreta” del negozio (ex art. 1322 c.c.), per l’istituzione di un trust di diritto straniero pur in difetto di elementi (oggettivi o soggettivi) di estraneità della fattispecie (trust c.d. «interno»)3. SCHWARZ, A Contract, 1827 ss.; tra i critici dell’approccio contrattualista WARREN,
Bankruptcy, 336 ss.; BEBCHUCK-FRIED, The Uneasy, 857 ss.; LOPUCKI, Contract, 317 ss;
WARREN-WESTERBROOK, Contracting, 1197 ss. È utile, tuttavia, osservare sin da ora che,
nell’intento di trapiantare o comunque riprodurre modelli stranieri (in primo luogo quello
statunitense) – tanto nella riforma del diritto fallimentare quanto nelle riflessioni che ne sono
scaturite in dottrina e in giurisprudenza – sembra che l’accento sia stato posto sui Leitmotiven
della «contrattualizzazione» e del «risanamento», considerati isolatamente l’uno dall’altro e
reputati quali obiettivi che di per sé animerebbero (o dovrebbero animare) il diritto
dell’impresa in crisi. A ben vedere, quanto meno nel resto del continente europeo, la questione
si è posta in termini parzialmente differenti: nell’esperienza britannica – ove l’Enterprise Act
del 2002 ha modernizzato l’Insolvency Act (1986), che aveva rappresentato il primo intervento
normativo volto a introdurre, su ampia scala, maggiore flessibilità nelle procedure concorsuali
– le soluzioni “private” (nonché quelle “ibride”) sono incentivate in quanto funzionali al
risanamento (c.d. Rescue culture), e quest’ultimo a sua volta (soltanto) nella misura in cui il
valore dell’impresa come going-concern sia superiore al suo valore di liquidazione: GOODE,
Principles, §1-32, 31 s.; FINCH, Corporate, 241 ss.; PARRY, Corporate, §§ 1-01 ss., 1 ss. Da
ultimo, anche l’Insolvenzordnung tedesca è stata oggetto di significative modificazioni (cfr., il
Gesetz zur weiteren Erleichterung der Sanierung von Unternehmen, del 7 dicembre 2011,
BGBl 2011, 1, Nr. 64, S. 2582, c.d. «ESUG») motivate dallo scopo di modernizzare e rendere
maggiormente adattabili alle esigenze avvertite dalla prassi la procedure fallimentare e le
soluzioni alternative quali, in particolar modo, l’Insolvenzplan: sulla recente riforma cfr., ex
multis, HEINRICH, Insolvenzplan, 235 ss.; DAHL, Die Neuregelungen, 21 ss.; GÖB, Das Gesetz,
371 ss.; WIMMER, Das neue, 1 ss.; HÖLZE, Eigenverwaltung, 158 ss.; sullo stato del diritto
fallimentare tedesco prima dell’ultima novella EIDENMÜLLER, Finanzkrise; STEFFEK,
Unternehmenssanierung, 301 ss.; BORK, Sanierungsrecht, 2 ss.
2
Di seguito anche soltanto «XV Convenzione». Al riguardo, in generale, v. HARRIS,
The Hague; GAILLARD-TRAUTMAN, Trust, 307 ss.; HAYTON, The Hague, 260 ss.; VON
OVERBECK, Explanatory, 593 ss.; DYER, International, 989 ss.; KÖTZ, Die Haager, 562 ss.;
nella letteratura italiana, CONTALDI, Voce Trust, 498 ss.; ID., Il trust, passim; GAMBAROGIARDINA-PONZANELLI, Convenzione, 1211 ss.; FUMAGALLI, La Convenzione, 541 ss.; inoltre,
è per molti aspetti particolarmente utile la lettura degli atti preparatori della Convenzione, che
si reperiscono in Conference on private international law. Actes et documents. Proceedings of
the Fifteenth Session, II, The Hague, 1985.
3
Con la conseguenza che, in tale ipotesi, l’“internazionalità” della fattispecie si riduce
esclusivamente alla legge applicabile scelta dal disponente, dal momento che si tratta di un
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Appare quasi superfluo rilevare, tuttavia, come le concrete applicazioni del trust a soluzioni (risanatorie o liquidatorie) della crisi d’impresa siano state tra loro assai differenti, se si considera che esse sono avvenute tanto all’interno quanto all’esterno del contesto della “concorsualità”4. Nello specifico, vengono anzi tutto in considerazione i trust istituiti nell’ambito di procedure di concordato preventivo, con finalità (nella maggior parte dei casi concorrenti): i. di parziale “esternalizzazione” delle attività liquidatorie del patrimonio del debitore; ii. di “governance” o supervisione delle attività (imprenditoriali o liquidatorie) esercitate dal debitore o dal terzo incaricato (trustee) (si pensi al caso del commissario giudiziale incaricato dell’ufficio di protector e di nomina di un ulteriore soggetto trust i) costituito da un «disponente» (settlor) italiano; ii) avente a oggetto beni situati
all’interno del territorio nazionale, i quali iii) vengono affidati a un c.d. trustee italiano; che
tuttavia iv) una clausola dell’atto istitutivo vuole retto e disciplinato da una legge sostanziale
straniera. Siffatto orientamento, che può dirsi consolidato nella giurisprudenza di merito (v., a
titolo esemplificativo, Trib. Bologna, 1 ottobre 2003, in Corr. giur., 2004, 65 ss., con nota
critica di MARICONDA, Contrastanti; Trib. Trieste (decr.), 23 settembre 2005 e 7 aprile 2006.;
contra, pressoché isolate, Trib. Belluno, 25 settembre 2002; Trib. Belluno, 12 febbraio 2014),
potrebbe considerarsi implicitamente confermato da Cass., 9 maggio 2014, 10105, la quale –
analizzata più nel dettaglio ultra, § 4 –, nel pronunciarsi sul trust liquidatorio, si è per la prima
volta occupata direttamente di un trust interno, senza tuttavia prendere posizione sul punto,
quanto meno expressis verbis. Ai precedenti obiter dicta della Cassazione in argomento (v.
Cass. Pen., 24 gennaio-30 marzo 2011, n. 13276, in Trust, 2011, 469, con nota di LUPOI, La
cassazione; Cass., 13 giugno 2008, n. 16022, in Foro it., 2009, 5, I, 1555 ss.) non poteva
sicuramente essere attribuito valore decisivo (analogo rilievo in DIMUNDO, «Trust interno», 10
s.; MURITANO, Note, 2; GATT, Dal trust, 1, nota 1): né alla prima decisione – emessa dalla V
Sezione penale –, che concerne infatti una fattispecie limite, dalla natura spiccatamente
criminosa; né, tanto meno, alla seconda, la quale affronta un trust internazionale, dal momento
che il trust fund era collocato a Londra. La citata giurisprudenza recepisce, in massima parte, la
ben nota tesi di LUPOI, ribadita da ultimo dall’A. in Trusts in Italy, 384 s., ma sviluppata in una
serie di scritti: v. ID., The shapeless, 51; ID., La legittimità, 39 ss.; ID., Trusts2, 547 ss.; ID., Gli
“atti di destinazione”, 475. L’opinione, in estrema sintesi, si articola come segue: la XV
Convenzione, nella parte in cui individua il contenuto minimo del riconoscimento (art. 11)
finisce per dettare norme di diritto materiale uniforme, definendo così la fattispecie del trust
«amorfo»; l’art. 6 della XV Convenzione attribuisce al soggetto disponente un’illimitata libertà
di scelta della legge sostanziale da applicare a tale fattispecie; per l’applicazione della XV
Convenzione è comunque necessario un elemento di estraneità della fattispecie regolanda; nel
caso del trust interno, quest’ultimo è rappresentato dalla legge applicabile optata dal settlor. In
senso contrario all’interpretazione della XV Convenzione quale accordo di diritto materiale
uniforme si esprime gran parte della dottrina internazionalprivatistica, che considera la XV
Convenzione un accordo sull’uniformazione dei criteri di conflitto (e degli effetti del
riconoscimento): v. BROGGINI, Trust e fiducia, 411 ss., esprimendo contrarietà al trust interno;
CONTALDI, Voce Trust, 498; ID., Il trust, 124 ss.; FUMAGALLI, La convenzione, 560 ss.
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Le fattispecie ora menzionate saranno approfonditamente analizzate ultra,
rispettivamente §§ 2 e 3, ove i relativi riferimenti.
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quale trustee); iii. di «garanzia» atipica (v. l’eventualità del trasferimento a un trustee di attività patrimoniali, a garanzia dell’esecuzione del concordato, da parte di terzi). Per quanto attiene, invece, al fallimento, la funzione che principalmente si è attribuita al trust è stata quella di rendere possibile una chiusura della procedura anteriore al completamento delle attività liquidatorie, affidando al trustee proprio il compito di liquidare a beneficio della massa le somme realizzabili solo in un momento successivo alla chiusura del fallimento (ad es., quelle relative ai crediti fiscali). Per quanto concerne, invece, le ipotesi di trust nella “extra-­‐‑
concorsualità”, l’autonomia privata ha sovente inteso utilizzare il trust in alternativa (tout court) alla procedura liquidatoria (ordinaria e) fallimentare, la quale avrebbe dovuto essere sostituita, secondo le intenzioni delle parti, da una sorta di liquidazione «privata» della società insolvente o comunque in stato di crisi (settlor), da parte di un soggetto (trustee) incaricato di liquidare il patrimonio della stessa e di distribuirne il ricavato ai creditori (beneficiaries). Si sono poi riscontrati casi, pur meno frequenti, di trust istituiti nel corso di tentativi di risoluzione stragiudiziale della crisi (accordi di ristrutturazione ex art. 182-­‐‑bis l. fall. e piani attestati di cui all’art. 67, comma 3°, lett. d), l. fall.) sia in fase prodromica al raggiungimento dell’accordo o alla preparazione del piano, sia in fase esecutiva del piano stesso. Dette esperienze – probabilmente anche in ragione della loro eterogeneità – hanno avuto riscontri non univoci in giurisprudenza, che, infatti, ha assunto orientamenti ambivalenti. A dispetto del tendenziale favor nei confronti di siffatti usi del trust, espresso in affermazioni di principio, si sono registrate numerose decisioni le quali, dopo averne dichiarato la meritevolezza e validità in astratto, hanno in concreto deciso nel senso dell’incompatibilità di tale strumento con le norme inderogabili della disciplina del fallimento e della crisi d’impresa. La medesima pluralità di opinioni si riscontra nella dottrina, che appare ancora più divisa – si anticipa sin da questo momento –, atteso che nei primi studi dedicati alle questioni sottese ai casi giurisprudenziali richiamati si rinvengono le tesi più disparate, che spaziano da un apprezzamento quasi “entusiastico” del fenomeno ad atteggiamenti di radicale chiusura. In tale quadro, che si manifesta già articolato e complesso, la presente indagine si propone di verificare gli spazi entro i quali il trust può essere legittimamente utilizzato nelle soluzioni negoziate della crisi -4-
d’impresa, alternative alla liquidazione fallimentare classica, tanto qualora siano utilizzate con fini di risanamento dell’impresa quanto nei casi in cui questi si prestino, ove concesso, a scopi liquidatori. Da un punto di vista “dogmatico”, siffatta analisi implica necessariamente individuare i limiti entro i quali l’autonomia privata è libera di muoversi nell’affrontare la crisi dell’impresa societaria, e quali norme siano da considerarsi, per contro, indisponibili. Deve essere subito chiarito che l’indagine non si soffermerà, invece, sulla generale questione della “legittimità” del c.d. trust interno. Detta scelta è fondata su due considerazioni. In primo luogo, è pragmaticamente necessario prendere atto che la problematica della legittimità (e/o riconoscibilità) del trust interno, sebbene stimolante – e da un punto di vista concettuale tutt’altro che ricomposta5–, è superata dal ricordato orientamento giurisprudenziale, che, piuttosto radicato, non sembra affatto essere destinato a mutare, salvo tanto imprevedibili quanto radicali variazioni di approccio. In secondo luogo, anche volendo fornire un’eventuale risposta definitiva (quale essa sia) al quesito se il trust interno debba assumersi compreso o meno nell’ambito applicativo della XV Convenzione, i peculiari problemi di 5
In questa sede non può essere per intero ripercorsa la questione, accesasi in particolare
a seguito della ricordata tesi di LUPOI (elaborata nei vari scritti citati, supra, nota 3), che ha
impegnato la dottrina (in maggior parte) civilista tra la fine degli anni novanta e i primi anni
duemila e che ruotava, in sintesi, sulla compatibilità del trust con: i) il principio di tipicità dei
diritti reali e le sue implicazioni in materia di pubblicità immobiliare; ii) il principio
dell’universalità della responsabilità patrimoniale del debitore. Non sembra peraltro che, a oggi
– forse anche a seguito dell’accantonamento del progetto di legge sulla fiducia (cfr. proposta di
legge del 27 luglio 2011, n. 4554) – si sia giunti a una soluzione condivisa, nonostante la vasta
produzione dottrinale sull’argomento, che talvolta ha assunto le forme di una querelle dai toni
piuttosto accesi (v., con tesi nettamente contrastanti, CASTRONOVO, Trust e diritto, 1324 ss.;
ID., Il Trust e “sostiene Lupoi”, 441 ss.; LUPOI, Lettera, 1159 ss.; GAZZONI, Tentativo, 2001,
11 ss.; ID. In Italia, 1251 ss., 1247 ss.; GAMBARO, Notarella, 257 ss.) nonché gli sforzi
specificamente rivolti a dimostrare l’esistenza di un «trust di diritto interno»: PALERMO, Sulla
riconducibilità, 133 ss.; ID., Contributo, 391 ss. (al riguardo, v. le critiche, su piani distinti, di
GINEVRA, La partecipazione, 52 ss., e MORACE PINELLI, Atti, 145 ss.); in termini parzialmente
differenti, ma con esiti in ultima analisi analoghi, v.: GATT, Il trust c.d. interno, 288; ID., Dal
trust, passim, ma in part. 81 ss. Per una più ampia ricostruzione dell’evoluzione del panorama
dottrinale in materia di trust interno e di trust «di diritto interno» successiva alla ratifica della
XV Convenzione si rinvia a: ROJAS ELGUETA, Autonomia, 114 ss.; MORACE PINELLI, Atti di
destinazione, trust e responsabilità del debitore, Milano, 2007, 125 ss.; per un riepilogo
aggiornato delle questioni connesse al trust interno cfr., altresì, PERSANO, Il trust, 237 ss.
In questo contesto, ma sulla base di un approccio radicalmente innovativo rispetto alla
dottrina precedente, v. ora GINEVRA, La partecipazione, passim, ma in part. capitolo I, il quale
diffusamente sostiene l’esistenza, nel diritto interno, di una fattispecie (e della relativa
disciplina) fiduciaria, in buona parte modellata sullo schema-base del trust anglosassone; cfr.
altresì ID, La fiducia, 106 ss., 116 ss.
-5-
compatibilità tra utilizzo del trust e diritto nazionale della crisi d’impresa si presenterebbero immutati qualora gli elementi della fattispecie concreta (altri dalla legge applicabile prescelta) presentino rilevanza internazionalprivatistica 6 (basti pensare, ad esempio, all’eventualità che il trustee sia un soggetto straniero, o che il settlor sia una società di diritto straniero – magari controllata da una holding italiana –, o che il trust fund, riconducibile a una disponente italiana, sia collocato all’estero): caso nel quale la XV Convenzione deve senz’altro essere applicata. Soprattutto in ragione di ciò, dunque, appare opportuno e doveroso investigare le specifiche criticità connesse ai “cortocircuiti” tra trust e diritto fallimentare senza doversi pronunciare sul dibattito relativo al trust interno e, in ogni caso, secondo le autonome categorie del diritto dell’impresa (e in particolare dell’impresa societaria in stato di crisi), prospettiva dalla quale le tematiche del trust sono state sinora osservate dalla dottrina soltanto in via incidentale. 1.2. Il metodo. – Verificare se e in che termini sia legittimo ricorrere, a vario titolo, al trust in occasione della crisi d’impresa (e dei conflitti di interessi che tipicamente emergono in tale sede) significa svolgere una valutazione di compatibilità con l’ordinamento (interno) di un fenomeno che, per un verso, presenta origine e carattere schiettamente pratici; e che, per altro verso, è per sua natura sempre (quanto meno in parte) di diritto estero, atteso che le fattispecie di trust sono necessariamente rappresentate, nella nostra esperienza giuridica, da istituti regolati da una legge straniera, i quali fanno ingresso nel nostro ordinamento attraverso la “porta” aperta dall’interpretazione giurisprudenziale della XV Convenzione. I risvolti metodologici di questi ultimi rilievi sono duplici. La prima operazione che si impone è una ricognizione del dato empirico, i.e. un esame dei casi concreti di trust nella crisi d’impresa. Ciò non solo al fine di individuarne le caratteristiche ricorrenti e/o suddividerli in categorie – e, così, potere apprezzare le specificità proprie di ciascuna tipologia –, ma soprattutto allo scopo di comprendere i problemi che a esse sono sottostanti e, pertanto, di risolvere con maggiore precisione le questioni che esse pongono 7. Al contempo, altrettanto essenziale si profila instaurare un confronto tra la prassi negoziale e i contesti nei 6
7
Così anche GINEVRA, L’utilizzo, 2013, 834.
ASCARELLI, Norma, 70 ss.; ID., Funzioni, 84 ss.
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quali questa si colloca, nonché gli obiettivi perseguiti. Infatti, dall’esame della prassi negoziale si ha talvolta l’impressione che le funzioni individuate dagli interpreti possano essere in realtà smentite o contraddette da(parti o dal)l’intero stesso impianto negoziale risultante dagli atti istitutivi. In secondo luogo, all’impostazione del discorso è comunque intrinseca un’analisi di diritto comparato, che, concettualmente, si compone di due momenti i quali permeano trasversalmente l’intera trattazione: (i) il primo consiste nel giudizio di compatibilità tra i tratti tipizzanti del trust quale generale istituto di diritto straniero (eminentemente anglosassone) e il diritto interno della crisi d’impresa; (ii) il secondo si sostanzia nello studio delle esperienze pratiche di applicazione del trust nella crisi d’impresa note agli ordinamenti di common law, al fine di comprendere quali (e in che modo) siano gli interessi perseguiti e tutelati in dette fattispecie e, così, di valutarne la riproducibilità nell’ordinamento italiano 8 . Al riguardo, l’indagine comparatistica del trust deve essere condotta non solo dedicando opportuna attenzione anche agli sviluppi giurisprudenziali e dottrinali ma soprattutto analizzando l’istituto in tutti i suoi tratti fondamentali e caratterizzanti, senza dare per scontate alcune categorie concettuali (v. “segregazione”; “garanzia reale atipica”). Infatti, l’utilizzo di dette categorie, pur diffuso, sembra talvolta non essere fondato sull’analisi delle fonti anglosassoni 9 e discendere da una tendenza a richiamarsi, nel trattare questioni – di rilevanza sistematica – relative a un istituto di diritto straniero, principalmente o esclusivamente ad autori italiani, come fa parte della letteratura specialistica. Pare altresì opportuno 8
In applicazione del “metodo funzionale” nell’analisi comparata. Come noto, sulle
problematiche inerenti ai metodi di indagine comparata si interroga da lungo tempo la dottrina
specialistica e, pertanto, la produzione scientifica è ampia: senza pretesa di completezza, fra gli
scrittori contemporanei [in passato, v. per tutti ASCARELLI, Prefazione, II ss.], oltre a
ZWEIGERT-KÖTZ, Einführung, 33 ss., cfr.: MICHEALS, The Functional, 343 ss.; ID.,
Explanation, 351 ss.; GRAZIADEI, The functionalist, 100 ss.; EBERLE, The Methodology, 61 ss.;
sui limiti di tale approccio cfr. GORDLEY, The Functional, 110 ss.; HUSA, Methodology, 1100
ss.; DE CONINCK, The Functional, 319 ss. Le questioni qui accennate sono riprese anche ultra,
capitolo III, § 1.
9
In altri termini, nell’avvicinarsi all’analisi del trust e delle sue applicazioni
nell’ordinamento italiano – con particolare riferimento al diritto dell’impresa – non pare
peregrino assumere un atteggiamento “scettico” nei confronti di molte nozioni date oramai per
acquisite, nelle quali spesso la «sovrastruttura», dovuta a «stratificazioni concettuali», obnubila
quella che è la vera «struttura»: siffatta operazione di liberazione dalle «sovrastrutture» è
compiuta, relativamente alla più generale «fattispecie fiduciaria» da GINEVRA, La
partecipazione, 33 ss., da cui i virgolettati.
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rilevare che siffatto atteggiamento conduce a conseguenze opinabili nel momento in cui le affermazioni formulate, pur trovando spunto negli ordinamenti di common law, vengono presentate quali certezze, quando invece sono in tensione con una pluralità di dati provenienti dai medesimi ordinamenti; dati i quali, siano o meno condivisibili10, non sembrano potere essere “eclissati”. Al contrario, la disamina non potrà non evidenziare anche i profili dell’istituto suscettibili di creare i più delicati problemi di compatibilità ordinamentale, che talvolta vengono oscurati dai tratti che meglio si adattano alle esigenze praticamente avvertite dalla prassi interna. Un’ulteriore precisazione è, poi, doverosa per quanto riguarda il punto sub i): pare necessario, infatti, individuare i criteri di selezione dei principali modelli di trusts da assumere quale termine di raffronto. La necessità di una scelta si spiega in quanto, come noto, nei sistemi di common law esistono tante differenti declinazioni – talvolta significativamente differenti – di uno schema base di trust quante sono le giurisdizioni, e non si ha un unico modello di trust. Pertanto, ai fini dell’indagine, le discipline di trust prese in considerazione saranno rappresentate sia da quelle proprie delle giurisdizioni preferite dalla prassi, sia dal modello statunitense. Tale scelta si impone atteso che la XV Convenzione lascia (art. 6, comma 1°) all’autonomia privata una libertà di scelta della legge applicabile tendenzialmente senza limiti, salvo la condizione dell’esistenza di una disciplina del trust 10
Si intende fare riferimento ad alcune conclusioni a cui giunge LUPOI, in particolare
sulla natura (personale piuttosto che reale) dei diritti del beneficiario (in argomento v., ultra, §
7, testo e note 124, 126) nonché sulla liceità, in senso assoluto, di un trust senza beneficiari
(trust “di scopo”: v., ultra, § 7): si tratta, infatti, di idee le quali, pur argomentabili – e riprese
da studi successivi: v., ad esempio, nei lavori a rilevanza specifica per il trust liquidatorio,
LICCARDO, Il trust, 412 ss. –, non sembrano corrispondere a dati certi, atteso che sono in realtà
tematiche piuttosto controverse negli ordinamenti di common law. Mentre il carattere della
posizione beneficiaria sarà ampiamente ripreso nel corso della trattazione, per quanto riguarda
il trust “di scopo” basta qui rilevare che: esso è esplicitamente ammesso soltanto nelle
giurisdizioni offshore, a condizione che l’atto istitutivo nomini un enforcer incaricato di
vigilare sulle attività del trustee (sulle quali v. THOMAS, Purpose, 262 ss.; HAYTON, AngloTrusts, 1 ss.); al contrario, tanto nel diritto britannico quanto in quello statunitense, la
possibilità di un trust senza beneficiari rappresenta un’eccezione – talmente vistosa che, negli
Stati Uniti, si è sentita la necessità di sancirne la legittimità in via legislativa – all’essenziale
beneficiaries principle, confinata a dei casi piuttosto scolastici (trusts per animali, per la
conservazione di tombe o edifici): v. MATTHEWS, From Obligation, 203 ss.; LAU, The
Economic, 165 ss.; THOMAS, Purpose, 262 s.; questa è l’opinione che SITKOFF, 26 febbraio
2013, ha espresso all’autore.
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nell’ordinamento prescelto11 (art. 6, comma 2°, caso nel quale trovano applicazione i criteri di conflitto dettati dagli Artt. 7 ss.); un esame di tutte le giurisdizioni che regolano il trust (o i cc.dd. trust-­‐‑like devices, anch’essi compresi nell’ambito di applicazione della XV Convenzione12) verso le quali il disponente potrebbe orientarsi [non solo numerosissime, ma assai eterogenee: ordinamenti di common law (UK, USA, ordinamenti del Commonwealth) e di civil law (Francia; paesi dell’America latina; Cina; Taiwan); sistemi misti (Scozia, Sudafrica; Lousiana); giurisdizioni offshore (tra le molte, Jersey, Cayman Islands, Hong Kong)] risulta non solo impossibile ma anche poco proficuo, ove si risolva in un approccio didascalico alla questione: in ragione della natura spiccatamente “concreta” del fenomeno nonché degli obiettivi e l’impostazione del lavoro, appare ragionevole che la scelta ricada in prima battuta sui modelli di trusts maggiormente utilizzati dalla prassi, ossia – volendo anticipare – Jersey e Regno Unito. Al contempo, non si può rinunciare a prendere in esame, quale termine di raffronto, anche il trust statunitense, sia per la generale importanza assunta da quest’ultimo nella recente evoluzione della teoria e della prassi del trust sia – e soprattutto – per la rilevanza a livello comparato di alcuni utilizzi concreti del trust in occasione della crisi, il cui esame può quindi 11
Il dato è abbastanza pacifico, tanto tra i commentatori italiani (cfr., nonostante la
diversità di tesi sul trust interno, che si riflette in una differente interpretazione degli artt. 13,
15, 16 della XV Convenzione e dei loro rapporti, SARAVALLE, sub art. 6, 1248 s.; CONTALDI, Il
trust, 118 s.; SALVATORE, Il trust, 67 s.; CARBONE, Autonomia, 150; POCAR, La scelta, 7 ss.; da
ultimo, GRAZIADEI, Recognition, 64 s.] quanto nella dottrina estera (e comparata): v., in
particolare, HAYTON, International, § 3.16, 162; GAILLARD-TRAUTMAN, Trust, 323: «the
chosen law need have no objective connection with the trust in question», salve (338) le norme
inderogabili della lex fori (art. 15), (320) il potere del giudice di non riconoscere trust elusivi
(art. 13), e (325 s.) il limite dell’ordine pubblico (loi de police: art. 16); cfr. anche 321, ove si
sottolinea il carattere di universalità (o non reciprocità) della XV Convenzione: questa si
applica anche quando il disponente abbia optato per un trust disciplinato da una giurisdizione
che non è Parte contraente; l’evoluzione storica del testo dell’art. 6 corrobora siffatta
interpretazione, atteso che nella versione definitiva è stato eliminato ogni limite espresso alla
libertà di scelta del disponente, presente invece nelle versioni antecedenti, per giungere ad
adottare «the principle of party autonomy […] without placing any restriction on it»: VON
OVERBECK, Report, 183 s.; ID., Explanatory, 602 s. («The Fifteenth Session also did not adopt
an intermediate proposal suggested in the course of the discussion under which there would be
complete freedom of choice of the applicable law, but only on the condition that the trust be
international in character», enfasi aggiunta).
12
VON OVERBECK, Explanatory, 599 s.; HAYTON, The Hague, 262; CONTALDI, Il trust,
62 ss.; KÖTZ, The Hague, 40. Non manca, tuttavia, chi sostiene che l’ambito di applicazione
della XV Convenzione sarebbe limitato ai trusts tecnicamente e restrittivamente intesi: e.g. v.
HAYTON, International, § 3.12 ss., 160 s.; cui adde i riferimenti in CONTALDI, Il trust, 59 ss.,
testo e note.
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attribuire all’indagine una maggiore completezza nonché fornire importanti spunti di analisi. D’altro canto, analizzare il trust di Jersey vuol dire fare necessariamente riferimento anche al trust di diritto inglese, sul quale il primo è storicamente modellato: se fino alla metà del XIX secolo la stessa esistenza del trust nell’ordinamento di Jersey era assai limitata, difettando ogni disciplina del fenomeno13, successivamente le Corti di Jersey, dovendo pronunciarsi su fattispecie fiduciarie, iniziarono a rifarsi in maniera pressoché integrale ai precedenti inglesi. Ciò, quanto meno fino all’emanazione del Trust (Jersey) Law, avvenuta nel 1984, momento dal quale il trust di Jersey ha iniziato a emanciparsi dal paradigma britannico. A oggi il trust di Jersey, sebbene si differenzi per taluni aspetti dal trust inglese – e la distanza sia stata incrementata con l’intervento legislativo del 2006, che ha perseguito un obiettivo di avvicinamento alle altre giurisdizioni offshore –, ne è ancora significativamente influenzato 14 . Pertanto, le considerazioni che si svolgeranno relativamente al trust inglese sono valide anche per il modello di Jersey, salvo nei casi in cui sia altrimenti precisato, in corrispondenza alle differenze di disciplina riscontrate. 2. Il trust c.d. liquidatorio: la realtà empirica. – L’esame dei precedenti noti di trusts a vario titolo collegati con lo stato di crisi e/o la liquidazione consente di proporre una prima suddivisione delle fattispecie rilevanti: a. In un primo gruppo di fattispecie, si assiste a un affidamento a un fiduciario (trustee) della totalità del patrimonio da parte di una società in stato di crisi (settlor), talvolta a fini meramente liquidatori, ossia quello di attuare la 13
MATTHEWS-SOWDEN, The Jersey, 28 ss.
MATTHEWS-SOWDEN, The Jersey, 8 («a Jersey trust is essentially the same animal as
is found in English law»), notando poi (a 32) che l’ancora attuale dipendenza “sistematica” è
dovuta anche alla mancanza di una disciplina completa dell’istituto; in merito, è di primario
interesse il caso In re Esteem Settlement [2002] JLR 53: in tale occasione la Royal Court ha
(par. 84, 90) espressamente recepito l’affermazione espressa dagli autori da ultimo citati, per
poi (parr. 102 ss., 97 ss.) tuttavia differenziarsi dal diritto inglese in punto di tracing («we are
not bound by Clayton’s Case and we see no advantage in adopting into Jersey law a rule which
has been much criticized», a par. 111, 99); HARVEY-HILLS, Jersey, 250 s., 255; non da ultimo,
si deve tenere presente che l’organo giurisdizionale di ultima istanza dell’isola coincide con il
Judicial Committe of the Privy Council (= corte con sede a Londra e con funzioni – appunto –
di giudice di ultima istanza per un numero significativo di stati del Commonwealth, nei quali
le relative decisioni hanno valore vincolante).
14
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liquidazione dell’attivo al di fuori delle procedure concorsuali, e specificamente incaricando il trustee di porre in essere l’attività liquidatoria a beneficio dei creditori sociali15; talaltra con funzione lato sensu “servente” rispetto ad accordi di ristrutturazione ex art. 182-­‐‑bis l. fall. o a piani di risanamento 16 , prima dell’apertura di una procedura concorsuale e, anzi, spesso dichiaratamente «al fine di prevenire» tale eventualità e «proteggere» il patrimonio dell’imprenditore, grazie alla moratoria “privatistica” delle azioni individuali che il trust introdurrebbe; b. Un secondo insieme di ipotesi è accomunato da una struttura basata su un trasferimento fiduciario a un trustee, che avviene nell’ambito della procedura di concordato e – salvo un caso – comprende sia il patrimonio sociale (o parte dello stesso) sia determinati beni personali di soggetti “terzi”: generalmente la società (o il socio) controllante, l’amministratore17. La funzione svolta dal trust è in questo caso quella di garanzia atipica che opera (anche) su attività patrimoniali riferibili a patrimoni distinti da quello della 15
Cass., 9 maggio 2014, n. 10105; Trib. Napoli, 3 marzo 2014; Trib. Torino, 20
novembre 2013; Trib. Cremona, 8 ottobre 2013; Trib. Milano, 22 gennaio 2013; Trib. Catania,
10 aprile 2012; Trib. Milano, 12 marzo 2012; Trib. Milano, 11 novembre 2011; Trib. Reggio
Emilia, 2 maggio 2012, e, sullo stesso caso, Trib. Reggio Emilia, 14 marzo 2011; Trib.
Bolzano, 17 giugno-23 luglio 2011; Trib. Brindisi, 28 marzo 2011; Trib. Mantova, 18 aprile
2011; su una medesima fattispecie concreta si è pronunciato cinque volte il Tribunale di
Milano: v. Trib. Milano, 29 ottobre 2010; Trib. Milano, 22 ottobre 2009 (in sede di riesame del
provvedimento emesso da Trib. Milano, 17 luglio 2009); Trib. Milano, 30 luglio 2009 (in sede
di reclamo contro il sequestro disposto da Trib. Milano, 16 giugno 2009) nonché App. Milano,
29 ottobre 2009; Trib. Milano-Sez. distaccata Legnano, 8 gennaio 2009.
16
Una medesima fattispecie, «Trust Genesis», è stato oggetto di tre decisioni del
medesimo Tribunale: Trib. Reggio Emilia, 26 aprile 2012; Trib. Reggio Emilia, 27 agosto
2011; Trib. Reggio Emilia, 14 maggio 2007 (d’ora innanzi anche «Trust Genesis»): il caso è di
particolare interesse perché presenta anche una delle caratteristiche tipiche della successiva
categoria, i.e. quella di fungere da strumento di “segregazione” di beni di terzi; relativamente a
un piano ex art. 67, comma 3°, lett. d), l. fall., Trib. Alessandria, 24 novembre 2009; cfr.,
inoltre, la vicenda riportata da BASSO, Fallimento, 266 s., e giudicato dai Tribb. di Pordenone
(269, 279 ss.) e Udine (284 ss.), senza a dire il vero esplicitamente pronunciarsi sul rapporto tra
soluzioni stragiudiziali e trust; cfr. altresì il caso riferito da ZANCHI, Osservazioni, 155 ss.
17
Trib. Pescara, 11 ottobre 2011, unico caso in cui nel trust non confluiscono beni di
terzi, a differenza di quelli decisi da: Trib. Reggio Emilia, 21 ottobre 2014; Trib. Reggio
Emilia, 12 agosto 2014; Trib. Ravenna, 22 maggio 2014; Trib. Ravenna, 4 aprile 2013; Trib.
Napoli, 19 novembre 2008-12 marzo 2009; Trib. Mondovì, 16 settembre 2005; Trib. Parma, 3
marzo 2005.
-11-
società soggetta a concordato e dotata di particolare “resistenza”; c. In un numero significativo di casi18 nei quali il trust è costituito su iniziativa del curatore fallimentare e approvato dall’autorità giudiziaria, per permettere una chiusura “anticipata” – rispetto al completamento delle attività liquidatorie – della procedura di fallimento (e una diminuzione dei costi), con una simultanea salvaguardia del diritto dei creditori della massa a vedere realizzata e distribuita ogni attività patrimoniale residua (c.d. «postfallimentare»): in particolare, o al fine di fare salva la possibilità di riscuotere a beneficio della massa i crediti erariali sorti nel corso della procedura, ma esigibili solo successivamente alla chiusura della procedura per effetto di disposizioni fiscali (che subordinano l’esigibilità alla presentazione della dichiarazione finale dei redditi)19; oppure per accantonare, con il ricorso al trust, una somma corrispondente al valore di un bene immobile sul quale pende un’azione revocatoria esercitata da terzi nei confronti del fallimento, “garantendo” in questo modo la possibilità di soddisfazione dell’attore in caso di esito vittorioso della revocatoria, senza necessità di mantenere in vita la procedura20. Sempre nell’ambito dei trusts nel fallimento, è 18
È il noto caso, pioneristico, deciso da Trib. Roma, 4 aprile 2003 [e confermato poi da
Trib. Roma, 11 marzo 2004 (Fallimento Romanazzi)]; cfr. Trib. Saluzzo, 9 novembre 2006,
che ha disposto il trasferimento al trustee dei crediti non solo erariali ma anche commerciali di
difficile realizzazione nonché quote di partecipazione (a società inattive); Trib. Roma, 22-29
luglio 2008; Trib. Roma, 4 marzo 2009; Trib. Roma, 6-12 maggio 2009; Trib. Firenze, 18
aprile 2011.
19
Trib. Roma, 4 aprile 2003; confermato da Trib. Roma, 11 marzo 2004; Trib. Saluzzo,
9 novembre 2006; Trib. Roma, 22-29 luglio 2008; Trib. Roma, 4 marzo 2009; Trib. Roma, 612 maggio 2009.
20
Trib. Firenze, 18 aprile 2011. Tale utilizzo della tecnica fiduciaria in combinazione
con operazioni bancarie si avvicina molto al c.d. escrow account (deposito vincolato in
funzione di garanzia per il caso in cui – come nel precedente riportato – non vi sia certezza in
ordine al soggetto a cui ultimamente spettino le somme vincolate, fino al verificarsi di una
determinata condizione sospensiva: Black’s Law Dictionary, voce Escrow Account) proprio di
alcuni ordinamenti di common law: sul punto v., in lingua italiana, MAIMERI, Trust, 339 ss.,
mettendo in luce come il valore aggiunto dell’escrow derivi dalle proprietà segregative del
trust (non attuabile con gli istituti interni del deposito a garanzia e/o del contratto a favore di
terzi), che si apprezzano specialmente nelle fattispecie in cui debitore (fiduciante) e creditore
“garantito” (beneficiario) sono entrambi parimenti interessati, oltre che a sottrarre le somme
dall’aggressione da parte dei propri creditori personali (e quindi a evitare che, in via interinale,
queste entrino formalmente nel patrimonio dell’uno o dell’altro) a che sia assicurata la
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altresì interessante la «convenzione» stipulata tra la curatela e il trust con finalità liquidatorie costituito prima dell’avvio della liquidazione coattiva, nella quale si prevede l’affidamento al trustee del compito di cedere, alle migliori condizioni, un immobile della debitrice e di trasferire quanto realizzato al curatore21. Compiuta una preliminare e approssimativa ricognizione della molteplicità di esperienze di trust nella crisi d’impresa nell’ordinamento italiano, è a questo punto possibile nonché necessario (nel tentativo di rendere più chiara la trattazione) svolgere alcune precisazioni, prima, in punto di terminologia e, poi, in punto di organizzazione dell’esposizione. Relativamente ai profili semantici, si deve osservare che, sul piano lessicale, le differenti ipotesi di collegamento tra trust e crisi d’impresa ora segnalate vengono molto spesso accomunate dalla denominazione «trust liquidatorio». Come è evidente, a siffatto nomen «trust liquidatorio» vengono dunque ricondotte fattispecie che, come accennato, presentano in realtà caratteristiche tra loro non solo diverse, bensì così eterogenee – nella struttura e nel fine perseguito – da renderne impossibile (in termini di coerenza logica) una trattazione unitaria. Ciò si riflette, quindi, in una assoluta incertezza dell’oggettivo significato del termine «trust consegna al soggetto che ne risulti titolare una volta verificatosi l’evento; M. SACCHI, Trusts,
60 s.; cfr., anche per un esame dei depositi fiduciari a scopo di garanzia nell’ordinamento
italiano, BARASSI, Depositi, 280 ss. Tuttavia, va detto che in common law non sempre l’escrow
rappresenta un’applicazione pratica del trust; nell’ordinamento statunitense, la qualifica
dell’escrow depositary non è univoca: a seconda delle circostanze, quest’ultimo può essere un
trustee o un agent: sul punto, diffusamente, BOGERT-HESS, Bogert’s, vol. 1, § 15, 171 ss., con
una rassegna dei casi nei quali l’escrow viene identificato rispettivamente con l’agency o con il
trust; cfr., altresì, PROVAGGI, Agency escrow, 291 ss.; nel sistema britannico, dove non consta
essere utilizzato il termine escrow, l’analogia è con l’affidamento di liquidità a un custodian
trustee: THOMAS-HUDSON, The Law, § 51.43, 1383 s.; HAYTON-MATTHEWS-MITCHELL,
Underhill, § 4.3, 87 s.; per quanto funzionale a scopi del tutto differenti, ricorda l’escrow
account anche la soluzione adottata da Trib. Milano, 18 aprile 2010: il Tribunale, in sede di
istruttoria prefallimentare, di fronte a un’istanza presentata dalla debitrice per la liberazione
delle somme oggetto di pignoramento presso terzi da parte di alcuni creditori, allo scopo di
evitare la dispersione del patrimonio ordina a ciascuno dei creditori pignoratizi – ex art. 15,
comma 8°, l. fall. – di aprire un “conto corrente dedicato” nel quale far confluire le somme
man mano corrisposte dai terzi pignorati, che non potranno essere utilizzate dal creditore senza
autorizzazione del Tribunale. Speculare – e anch’esso ricalcato sull’escrow – è il caso del trust
istituito per vincolare a beneficio del fallimento le somme dovute, a seguito della vittoriosa
revocatoria esercitata dal fallimento, dalla banca creditrice, la quale intenda però impugnare la
sentenza di condanna: Trib. Prato (decreto), 12 luglio 2006; Trib. Firenze, 26 ottobre 2006.
21
Si tratta della “seconda fase” della vicenda riportata da BASSO, Fallimento; la
Convenzione si legge ivi a 279 ss.
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liquidatorio». Peraltro, l’ambivalenza lessicale è ancora maggiore se si considera che, con l’espressione «trust liquidatorio», talora ci si riferisce a fattispecie che presentano un collegamento soltanto eventuale con vicende “liquidatorie”22. Di conseguenza, sorge il dubbio che l’utilizzo della locuzione «trust liquidatorio» si possa prestare a fraintendimenti, sia nella parte in cui può lasciare intendere, in maniera fuorviante, che le applicazioni del trust nel contesto della crisi imprenditoriale siano concretamente state (o possano e/o debbano essere) limitate alle finalità liquidatorie, sia perché riconduce sotto ai medesimi “ranghi” fattispecie tra loro instrinsecamente distinte. Pertanto, al fine di permettere un esame che tenga debitamente conto delle specificità delle singole situazioni, è bene chiarire che nella presente trattazione si riserverà l’espressione «trust liquidatorio extra-­‐‑
concorsuale» (o «trust extra-­‐‑concorsuale») per indicare la fattispecie di ricorso al trust nella crisi d’impresa che prevede il trasferimento a un trustee della totalità dell’/e attività imprenditoriale/i riferibile/i alla società disponente in stato di crisi, sia a scopo meramente liquidatorio, sia qualora ciò avvenga – quanto meno dichiaratamente – in funzione e/o nell’ambito di soluzioni stragiudiziali (piani attestati e accordi di ristrutturazione) della crisi (sub a.); detta precisazione deve essere completata con il rilievo che siffatto utilizzo del trust non avviene necessariamente con lo scopo della liquidazione delle attività trasferite al trustee ma anche in concomitanza con tentativi di risanamento o di prosecuzione dell’attività (da parte del trustee). In maniera speculare, con la locuzione «trust concordatario» ci si riferirà alle ipotesi di trust istituito nell’ambito delle procedure di concordato preventivo, anche (ma non necessariamente) qualora il trust fund sia composto da beni di terzi aggiuntivi rispetto a quelli apportati dalla società debitrice (sub b.). Tale convenzione lessicale 23 si riverbera direttamente sull’organizzazione del discorso, considerato che ciascuna delle tre 22
Per una prima sistematizzazione (con i conseguenti riflessi terminologici) della
pluralità di “trusts liquidatori” v. GINEVRA, Crisi, § 3.
23
Nell’intraprendere un discorso organico sulle relazioni fra trust e crisi d’impresa,
l’interprete si trova di fronte all’alternativa se continuare a adoperare un vocabolo già diffuso
ma dalla dubbia precisione, o se optare per una terminologia originale che aderisca in maniera
più appagante all’oggetto dell’analisi. Se, per un verso, esigenze di coerenza imporrebbero di
abbandonare radicalmente la locuzione “trust liquidatorio”, debbono, d’altro canto, essere
considerate le opposte istanze di comprensibilità della trattazione, che sarebbero con ogni
probabilità pregiudicate da un’elaborazione di un autonomo sistema terminologico. La seconda
opzione, per giunta, presenta, oltre al rischio di rendere la lettura più difficoltosa, il pericolo di
incorrere in un eccesso di astrazione, che potrebbe rivelarsi di limitata utilità nel contesto di un
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fattispecie emerse pone problemi di compatibilità con l’ordinamento tra loro significativamente diversi. Ai casi di trust extra-­‐‑concorsuale è sotteso, infatti, l’interrogativo se e fino a quale punto l’autonomia privata possa legittimamente incidere sull’apertura (o meno) delle procedure concorsuali e, quindi, possa o meno prevedere (e attuare) perfino una liquidazione privata di una società insolvente. Assimilabili, fermi alcuni opportuni distiguo, sono le problematiche ricollegate all’utilizzo del trust in funzione – o, comunque, nell’ambito – dei piani attestati di risanamento ex art. 67 lett. d), da una parte; e degli accordi di ristrutturazione ex art. 182-­‐‑bis, dall’altra: nonostante la diversità di contesto e di finalità rispetto al trust puramente liquidatorio (che possono eventualmente far propondere per una risoluzione differenziata del quesito), non si riesce in ogni caso a evitare di affrontare il problema dei limiti entro i quali l’autonomia privata può spingersi nella “gestione” – atecnicamente intesa – della crisi, in particolare quando il trust in siffatte ipotesi si avvicina, dal punto di vista strutturale e contenutistico, alle prime fattispecie (v. ultra § 3). Di natura molto differente rispetto alle questioni da ultimo evidenziate, invece, si presentano quelle connesse al trust “concordatario”, considerato che in siffatta ipotesi vi è già una procedura concorsuale in corso. A prescindere dalle varie modalità con le quali si è inteso (e si può intendere) utilizzare il trust in sede di concordato, il punto di fondo pare in questa sede vertere i) sui limiti di “esternabilità” a soggetti terzi delle funzioni assegnate per legge agli organi della procedura e ii) sull’esistenza di utilità eventualmente conseguibili con il ricorso al trust in detto contesto, specialmente per quanto attiena al suo utilizzo quale forma di “garanzia atipica” su beni di terzi. Per le ragioni ora esposte, affrontare unitariamente la pluralità di fattispecie richiamate nel presente paragrafo pare logicamente e tecnicamente non opportuno, vista l’impossibilità – come si è detto – di considerare queste ultime come fenomeno omogeneo. Di conseguenza, si è optato per una suddivisione dell’analisi in differenti capitoli. fenomeno, come si è detto, dai caratteri spiccatamente pratici. Tutto ciò ritenuto, si preferisce
non sacrificare tout court la nozione di «trust liquidatorio», pur nella consapevolezza
dell’imprecisione semantica a essa immanente e, proprio per questo, elaborandone delle subcategorie che permettano di affrontare in separate sedi questioni che non possono essere
ricondotte a unità e, al contempo, soddisfino le istanze di comprensibilità.
-15-
Il primo è dedicato all’analisi delle fattispecie caso sub a. (trust liquidatorio extra-­‐‑concorsuale). Sulla scorta dell’approccio metodologico seguito nella trattazione, il primo e obbligato passaggio di tale approfondimento è costituito dall’individuazione dei suoi tratti salienti concreti, come emergono dai singoli atti istitutivi. L’indagine passa poi per una ricostruzione degli orientamenti assunti dalla giurisprudenza pratica e teorica in merito e termina nell’elaborazione – non da ultimo sulla base dello studio del trust e dei suoi rapporti con il diritto fallimentare negli ordinamenti di common law – di un’autonoma interpretazione dei problemi che detta fattispecie desta. In secondo momento (capitolo II) saranno prese in esame, sulla base del medesimo approccio, le numerose ulteriori realtà applicative del trust nella crisi d’impresa note all’esperienza anglo-­‐‑americana (e transnazionale). Nella Sezione prima si esamineranno le ipotesi nelle quali il trust svolge, a vario titolo, una funzione di “garanzia” a beneficio di uno o più creditori in una situazione di “crisi” della società disponente, tuttavia senza – o comunque prima di – una formale apertura di una procedura concorsuale: in tale categoria ricadono in particolare i «twilight trusts» e «Quistclose trusts» (UK), da una parte, e l’utilizzo del trust nell’ambito dei collective securities agreements accessori ai finanziamenti in pool nonché nell’ambito delle emissioni obbligazionarie e della loro ristrutturazione, dall’altra parte. Nella Sezione seconda si analizzeranno, poi, le fattispecie nelle quali il trust viene creato dopo l’apertura – e più specificamente nel contesto – di una procedura concorsuale: nello specifico, verrà dedicata attenzione ai trusts istituiti nell’ambito dei Company Voluntary Arrangements (UK). In un terzo momento (capitolo III), si trarranno le conclusioni di diritto interno relative alle possibilità di utilizzo del trust in occasione della crisi d’impresa, in concomitanza con soluzioni, liquidatorie o risanatorie, negoziali e/o concordatarie della crisi d’impresa dalle caratteristiche diverse da quelle analizzate nel Capitolo I24. 24
Del pari, meriterebbero una trattazione autonoma, in ragione delle loro specificità,
anche le ipotesi ricordata supra, sub c. e gli interrogativi che esse comportano, questi ultimi
sostanzialmente connessi alla decadenza degli organi fallimentari che consegue al fallimento:
si pensi, e.g., alla legittimazione processuale per le controversie relative alle liquidazioni
dell’attivo realizzato o ai limiti dei poteri attribuiti (o attribuendi) al trustee nei rapporti con i
creditori beneficiari (transazioni, esperimento di azioni di vario genere). Tuttavia, la lontananza
di siffatte problematiche da quelle proprie delle fattispecie sub a. e b. è tale da rendere
opportuna una loro esclusione dall’ambito della presente indagine.
-16-
3. Il trust liquidatorio “extra-­‐‑concorsuale”: il fenomeno concreto. –– Le fonti dell’esame volto a stabilire i tratti ricorrenti del trust extraconcorsuale sono rappresentate sia (nella maggior parte dei casi) dai testi delle decisioni, nelle quali sono riportate, integralmente o parziamente, le clausole del singolo negozio istitutivo sia (più raramente) dagli atti istitutivi stessi, ove disponibili. Dall’esame di tali fonti possono emergere i risultati che seguono. A. Da un punto di vista soggettivo, le disponenti sono quasi 25
tutte società in stato di liquidazione e in dichiarato – o comunque avanzato – stato di crisi, se non di insolvenza26. Nella totalità dei casi, la costituzione è frutto dell’iniziativa unilaterale della società debitrice, anche quando viene dichiarata la “funzionalità” del trust rispetto a soluzioni stragiudiziali [ex artt. 67, comma 3°, lett. d), l. fall. o 182-­‐‑bis l. fall.]; funzionalità, la quale soltanto in due casi è documentalmente supportata 27; in un numero ristretto di ipotesi il trustee è un soggetto professionalmente qualificato28, mentre nella maggioranza dei casi il trustee non è in possesso di particolari specializzazioni. B. Sotto il profilo oggettivo, in tutti i precedenti esaminati, la società trasferisce al trustee l’intero patrimonio, attivo e passivo29. In uno 25
Fanno “eccezione”: Trib. Catania, 10 aprile 2012, caso in cui la disponente non è in
liquidazione, ma è in stato di insolvenza; Comm. Trib. Prov. Pesaro, 9 agosto 2010; Trib.
Milano, 8 gennaio 2009, nelle quali nulla viene detto relativamente allo stato di salute della
settlor. In realtà, più che eccezioni, per quanto riguarda la condizione patrimoniale e
finanziaria della società le due decisioni da ultimo citate andrebbero escluse dal “campione”, in
quanto mancano sul punto dati affidabili.
26
Cass., 9 maggio 2014, n. 10105; Trib. Napoli, 3 marzo 2014; Trib. Torino, 20
novembre 2013; Trib. Cremona, 8 ottobre 2013; Trib. Milano, 12 marzo 2012; Trib. Milano,
11 novembre 2011; Trust Genesis; Trib. Reggio Emilia, 14 marzo 2011; Trib. Bolzano, 17
giugno-23 luglio 2011; Trib. Brindisi, 28 marzo 2011; Trib. Mantova, 18 aprile 2011; Trib.
Milano, 16 giugno-30 luglio 2009; Trib. Alessandria, 24 novembre 2009. Sul rapporto tra stato
di crisi e insolvenza cfr., ultra, nota 64.
27
Da un’istanza di omologa di un accordo di ristrutturazione: Trust Genesis; o dalle
dichiarazioni del professionista attestatore: BASSO, Fallimento, 265; al contrario, l’esistenza di
trattative con i creditori volti al raggiungimento di una soluzione bonaria e stragiudiziale è
soltanto asserita in: Trib. Reggio Emilia, 14 marzo 2011; Trib. Alessandria, 24 novembre
2009; Trib. Milano, 11 novembre 2011.
28
Trib. Udine e Pordenone; Trust Genesis-bis.
29
L’unica eccezione certa è rappresentata da Trib. Brindisi, 28 marzo 2011: è stato
escluso dalle passività trasferite al trustee uno specifico credito, fondato su ricorso per
ingiunzione formulato dal creditore che ha successivamente proposto azione di nullità nei
confronti della costituzione del trust; in Trib. Catania, 10 aprile 2012, la disponente ha
trasferito l’intero patrimonio immobiliare, ma dalla decisione non è possibile evincere con
chiarezza se sia stato trasferieto anche il passivo.
-17-
dei precedenti30, in aggiunta agli assets sociali, sono confluiti nel trust anche beni del socio della disponente (s.n.c.). C. Relativamente agli aspetti tecnici della struttura fiduciaria, si osserva che: i) la giurisdizione più frequentemente optata è quella di Jersey; in due casi è stato scelto l’ordinamento britannico31; ii) in un certo numero di casi, si tratta trusts «autodichiarati»32. Il dato assume maggiore significatività se letto congiuntamente alle ipotesi in cui, pur rimanendo distinta la personalità giuridica, rispettivamente, della società disponente e del trustee, il liquidatore-­‐‑legale rappresentante del settlor – materiale artefice del trust – e il trustee siano la medesima persona fisica33; iii) numerose volte il trustee è sovente affiancato da un protector 34 (o enforcer, «guardiano»), che spesso è individuato in uno dei soci della settlor35; 30
Trust Genesis.
Trib. Bolzano, 17 giugno-23 luglio 2011; BASSO, Fallimento; nel caso riferito da
ZANCHI, Osservazioni, il disponente aveva prescelto la legge italiana; in Trib. Catania, 10
aprile 2012, l’informazione è mancante.
32
Trib. Catania, 10 aprile 2012; Trust Genesis; Trib. Brindisi, 28 marzo 2011; Comm.
Trib. Pesaro, 9 agosto 2010. Nel trust «autodichiarato» (o declaration of trust negli
ordinamenti di common law) la persona del disponente coincide con quella del trustee:
l’articolazione patrimoniale e il relativo vincolo di destinazione, che si producono nel
patrimonio del (disponente-)trustee per effetto dell’istituzione del trust, nascono dunque per
effetto non di un affidamento («intersoggettivo») di una pluralità di beni in gestione a un
trustee terzo, ma in forza di un atto unilaterale nel quale i ruoli di «fiduciante» (settlor) e
«fiduciario» (trustee) si concentrano nella stessa persona. A bene vedere, nell’ottica di common
law si tratta di una ricognizione di “spettanza” di un asset a un beneficiario la quale trae
origine da (e trova giustificazione in) rapporti altri rispetto alla declaration of trust: solo nella
prospettiva del civilian esso diventa un (e viene ricondotto al) fenomeno di articolazione
patrimoniale: al proposito v. anche, ultra, § 7.
33
Cass., 9 maggio 2014, n. 10105; Trib. Napoli, 3 marzo 2014; Trib. Torino, 19
novembre 2013; Trib. Cremona, 8 ottobre 2013; Trib. Reggio Emilia, 14 marzo 2011; Trib.
Milano, 12 marzo 2012; in Trib. Milano, 16 giugno-30 luglio 2009, era stato nominato trustee
il socio illimitatamente responsabile della società disponente.
34
Trib. Napoli, 3 marzo 2014; Trib. Torino, 19 novembre 2013; Trib. Milano, 12 marzo
2012; Trib. Alessandria, 24 novembre 2009; Trib. Milano, 16 giugno-30 luglio 2009; Trib.
Mantova, 18 aprile 2011; Trib. Reggio Emilia, 14 marzo 2011; BASSO, Fallimento, 267. In
Trib. Catania, 10 aprile 2012, viene prevista la figura dei «garanti». Al guardiano –
accorgimento originato nella prassi internazionale e recepita principalmente dalle giurisdizioni
offshore – il disponente affida, nell’interesse dichiarato dei beneficiari, una gamma più o meno
ampia di poteri di controllo sull’operato del primo, che possono spingersi fino al
riconoscimento del potere di revoca del trustee.
35
Trib. Milano, 12 marzo 2012; Trib. Milano, 11 novembre 2011; Trib. Milano, 16
giugno-30 luglio 2009; Trib. Reggio Emilia, 14 marzo 2011.
31
-18-
iv) soltanto in una minoranza di casi il trust è strutturato quale purpose trust36 (trust di scopo); è preferito il modello “tradizionale”, i.e. quello del trust con beneficiari 37 . In questa seconda ipotesi, vengono individuate più classi di beneficiari: in primo grado sempre «la massa dei creditori della società» disponente; solo in pochi casi, in secondo grado, «eventuali terzi finanziatori» della società38; in tutti i casi, poi, in via residuale e subordinata all’esistenza di un residuo attivo, i soci della settlor quali «beneficiari finali»39; v) per quanto attiene ai profili temporali – in alcuni casi non determinabili sulla scorta della lettura della pronuncia –, la durata del trust è spesso illimitata 40 , eccezion fatta per un precedente, nel quale questa è stata limitata a sei mesi41; vi) circostanza ricorrente, per quanto non maggioritaria, è il mantenimento di significativi poteri in capo al settlor, in particolare quello di revoca e sostituzione del guardiano42; vii) al trasferimento del trust consegue la cancellazione della società dal registro delle imprese43. 36
Trust Genesis.
Trib. Napoli, 3 marzo 2014; Cass., 9 maggio 2014, n. 10105; Trib. Torino, 19
novembre 2013; Trib. Milano, 12 marzo 2012; Trib. Milano, 11 novembre 2011; Trib. Reggio
Emilia, 14 marzo 2011; Trib. Milano, 8 gennaio 2009; ZANCHI, Osservazioni, 156;
Alessandria; Trib. Brindisi, 28 marzo 2011; Trib. Mantova, 18 aprile 2011; Trib. Milano, 16
giugno-30 luglio 2009; BASSO, Fallimento.
38
Trib. Milano, 11 novembre 2011: «finanziatori della società o i destinatari delle
somme e/o beni depositati in trust da terzi, che verranno di volta in volta identificati dal
trustee, secondo le disposizioni del disponente o del terzo conferente ove esistenti»; Trib.
Milano, 16 giugno-30 luglio 2009.
39
Trib. Napoli, 3 marzo 2014; Trib. Torino, 19 novembre 2013; Trib. Milano, 12 marzo
2012; Trib. Milano, 11 novembre 2011; Trib. Reggio Emilia, 14 marzo 2011; BASSO,
Fallimento; Trib. Milano, 16 giugno-30 luglio 2009.
40
Trib. Reggio Emilia, 14 marzo 2011; Trib. Milano, 11 novembre 2011 («la data in cui
il trustee dichiari che la finalità del trust è stata realizzata o è di impossibile realizzazione»);
Trib. Alessandria, 24 novembre 2009; Trib. Mantova, 18 aprile 2011; per quanto attiene sia a
Trib. Brindisi, 28 marzo 2011, sia a ZANCHI, Osservazioni, si può affermare che era prevista
una durata di almeno cinque anni.
41
BASSO, Fallimento.
42
Trib. Reggio Emilia, 14 marzo 2011; Trib. Milano, 11 novembre 2011; Trib. Milano,
12 marzo 2012; in ZANCHI, Osservazioni, la disponente si è riservata il potere di revocare il
trust, con il consenso del guardiano;.
43
Trib. Reggio Emilia, 14 marzo 2011; Trib. Milano, 12 marzo 2012; Trib. Bolzano, 17
giugno-23 luglio 2011.
37
-19-
4. Il trust liquidatorio “extra-­‐‑concorsuale” fra giurisprudenza e dottrina. – Secondo l’approccio che tendenzialmente accomuna le decisioni note sulla fattispecie in esame, per pronunciarsi sulla capacità del trust liquidatorio di produrre effetti non sarebbe sufficiente fermarsi ad attestare la sua «compatibilità con l’ordinamento» in via generale e astratta 44 (o «validità» 45 , «meritevolezza» 46 , «ammissibilità» 47 , «legittimità»48), ma sarebbe invece necessario esaminare nello specifico gli elementi della fattispecie concreta nonché il complessivo contesto nel quale si colloca, onde poterne valutare la «meritevolezza della causa concreta» e/o l’eventuale natura elusiva, in particolare sotto il profilo della frode in danno dei creditori49. Nonostante detto percorso logico sia per lo più condiviso, si riscontrano significative differenze di impostazione non solo in punto di individuazione della categoria formale entro la quale inquadrare la contrarietà con l’ordinamento – con le rilevanti differenze che ne discendono in termini di disciplina –, ma soprattutto per quanto riguarda gli elementi di fatto in presenza dei quali il trust è stato ritenuto improduttivo di effetti, ossia ai motivi per i quali il trust viene ritenuto non compatibile con l’ordinamento interno. Una linea interpretativa valuta il trust con funzione liquidatoria extra-­‐‑concorsuale sulla base delle categorie civilistiche dell’invalidità e, così, ne afferma la nullità qualora sia istituito da una società in stato di 44
Trib. Milano, 17 luglio 2009; Trib. Milano, 16 giugno 2009.
Trib. Brindisi, 28 marzo 2011.
46
Trib. Reggio Emilia, 14 marzo 2011; Trib. Reggio Emilia, 27 agosto 2011; Trib.
Reggio Emilia, 14 marzo 2007, 17.
47
Trib. Milano, 30 luglio 2009, 200.
48
Trib. Milano, 22 ottobre 2009, 179.
49
Cass., 9 maggio 2014, n. 10105; Trib. Napoli, 3 marzo 2014; Trib. Catania, 10 aprile
2012; Trib. Reggio Emilia, 14 marzo 2011; Trib. Reggio Emilia, 27 agosto 2011; Trib. Reggio
Emilia, 14 marzo 2007; Trib. Milano, 29 ottobre 2010; Trib. Milano, 22 ottobre 2009; Trib.
Milano, 30 luglio 2009; Trib. Milano, 17 luglio 2009; Trib. Milano, 16 giugno 2009; App.
Milano, 29 ottobre 2009; Trib. Mantova, 18 aprile 2011; Trib. Brindisi, 28 marzo 2011;
accomunabile anche Trib. Bolzano, 23 luglio 2011. Sembrano invece fondarsi
sull’ammissibilità astratta del trust liquidatorio, corredata da un limitato esame del caso
concreto: Trib. Alessandria, 24 novembre 2009; Trib. Milano, 8 gennaio 2009. A seguito di un
più ponderato esame, non ci si può esimere dal rilevare come siffatta operazione interpretativa
rifletta un’impostazione di fondo metodologicamente errata, e cioè il volere inquadrare e
interpretare un istituto di diritto straniero secondo categorie concettuali interne, alle quali il
trust è difficilmente riconducibile: quest’ultimo, infatti, si presenta di per sé come un istituto
privo di una determinata “causa”, la cui stessa nozione (nell’accezione tecnica) non appartiene,
in quanto tale, al common law e alle sue ramificazioni interne: né al diritto dei contracts – al
quale il trust, peraltro, non appartiene – né al property law.
45
-20-
insolvenza 50 . In siffatto caso, infatti, l’effetto di «segregazione patrimoniale» che consegue al trust – e cioè che i beni componenti il trust fund diverrebbero definitivamente non aggredibili da parte dei creditori personali tanto del trustee, quanto (e soprattutto) del settlor e dei beneficiaries – limiterebbe in concreto l’ambito di applicazione delle norme concorsuali. Tuttavia, l’autonomia privata non potrebbe in alcun modo conseguire l’effetto di derogare alla disciplina fallimentare la quale, in considerazione del carattere pubblico degli interessi che mira a tutelare, avrebbe di per sé carattere inderogabile. Ne consegue che sarebbero viziati da nullità «originaria» tutti gli atti i quali, come avviene con il trust, intendano limitarne l’operatività: il che sarebbe effetto non attuabile dalle parti nel momento in cui sopraggiunge l’insolvenza. La circostanza stessa che la disponente si trovi in stato di insolvenza dimostrerebbe che il trust si connota in concreto per dall’intento di occultare parte o la totalità del patrimonio sociale e di sottrarlo all’azione esecutiva dei creditori. Inoltre – si aggiunge – l’art. 15, comma 1°, lett. e) della XV Convenzione pone un confine di «liceità» ai trusts, atteso che autorizza una Parte contraente a non riconoscere un trust che contrasti con le disposizioni inderogabili in materia di «protezione dei creditori in caso di insolvibilità», e che, anzi, sarebbe stato previsto proprio per scongiurare eventuali aggiramenti delle discipline concorsuali nazionali. Siffatto orientamento è stato puntualizzato dalla Corte di Cassazione, la quale ha specificato che la conseguenza del contrasto fra trust liquidatorio extra-­‐‑concorsuale e l’inderogabilità della disciplina concorsuale non sarebbe la nullità dell’atto istitutivo, bensì la sua «non riconoscibilità» e, pertanto, la sua radicale inefficacia51; dalla quale, “a cascata”, discenderebbe la nullità degli atti di trasferimento del trust fund al trustee. Sotto detto profilo, 50
Le argomentazioni riportate sono nella sostanza condivise dai giudici milanesi che si
sono occupati di, con varie decisioni, del medesimo caso (: Trib. Milano, 29 ottobre 2010;
Trib. Milano, 22 ottobre 2009, 79; Trib. Milano, 30 luglio 2009, 82; Trib. Milano, 17 luglio
2009, 632; Trib. Milano, 16 giugno 2009, 539 s.), da Trib. Mantova, 18 aprile 2011, 530 e da
Trib. Napoli, 3 marzo 2014. È, invece, leggermente diversa la posizione di App. Milano, 29
ottobre 2009, che, pur considerando il trust nello specifico come una mera vicenda distrattiva
in frode ai creditori e dunque rigettando l’appello proposto dal “trustee”, non ragiona in termini
di validità o di liceità; difficilmente classificabile è la decisione di Trib. Brindisi, 28 marzo
2011, che prima asserisce la necessità di valutare la «validità del trust» e poi conclude per la
«non riconoscibilità» dell’atto istitutivo in base alla XV Convenzione.
51
Cass., 9 maggio 2014, n. 10105: «lo strumento non produce alcun effetto giuridico nel
nostro ordinamento, in particolare non quello di creare un patrimonio separato, restando
tamquam non esset».
-21-
tuttavia, la posizione della S.C. si distingue nettamente dalla corrente giurisprudenziale “milanese”, nella parte in cui quest’ultima aveva affermato che il successivo fallimento della società disponente, che sia ricorsa al trust liquidatorio quando era ancora in bonis, opera come causa di scioglimento del medesimo (e dei negozi di trasferimento su di esso causalmente fondati) 52 , tanto che nell’atto istitutivo avrebbe dovuto essere inserita, a condizione di validità, una clausola che ne limiti corrispondentemente l’operatività e contenga l’obbligo del trustee di trasferire le attività al curatore una volta dichiarato il fallimento della disponente53. La Cassazione, in particolare, ha esplicitamente negato da una siffatta previsione negoziale possa rendere lecito l’atto istitutivo di un trust liquidatorio extra-­‐‑concorsuale, il quale rimane non riconoscibile tout court. Un’altra corrente giurisprudenziale, anteriore alla ora richiamata pronuncia di legittimità, si muove, invece, nella prospettiva non più dell’alternativa validità/invalidità del trust liquidatorio extra-­‐‑
concorsuale, bensì della valutazione nello specifico caso della meritevolezza degli interessi tutelati («causa concreta») dalla struttura fiduciaria. Da siffatta impostazione si fanno discendere due corollari speculari. Il trust liquidatorio extra-­‐‑concorsuale, qualora sia istituito – in mancanza di professionalità e terzietà da parte del trustee e del guardiano, in difetto di trattative con i creditori -­‐‑– da una società in stato d’insolvenza e preveda una riserva di poteri in capo al settlor, è da considerarsi, in primo luogo, un atto che «non persegue alcuno scopo meritevole di tutela» il cui «programma negoziale (causa in concreto) è insussistente», nonché sham – ossia del tutto improduttivo di effetti – ai sensi della stessa legge applicabile (diritto di Jersey e inglese) per la mancanza di una reale volontà del disponente di istituire un trust54. Per 52
Fra le tante, cfr.: Trib. Napoli, 3 marzo 2014; Trib. Milano, 17 luglio 2009, 631; Trib.
Milano, 16 giugno 2009, 539 s.
53
Trib. Milano, 29 ottobre 2010; Trib. Mantova, 18 aprile 2011, 530.
54
Così Trib. Reggio Emilia, 14 marzo 2011; in seguito, v. Trib. Napoli, 28 novembre
2013; Trib. Reggio Emilia, 27 agosto 2011, 72 ss. ove, d’altro canto, viene dichiarata la nullità
(parziale) della clausola dell’atto istitutivo che collegava la perdita della posizione beneficiaria
all’esercizio da parte dei creditori (beneficiari) di azioni nei confronti della settlor, dei suoi
amminstratori e liquidatori, nonché dei soci accomandatari, anche se nel testo si dà atto che, in
questa ipotesi, la soluzione più corretta sarebbe invocare la clausola di ordine pubblico ex art.
18 della XV Convenzione, con la conseguenza dell’inefficacia piuttosto che della nullità della
pattuizione; Trib. Reggio Emilia, 2 ottobre 2012; Trib. Reggio Emilia, 14 marzo 2007, 19 ss.
Ancora più forte è la tesi elaborata da Trib. Cremona, 8 ottobre 2013, il quale pare canalizzare
la possibilità, per il curatore del susseguente fallimento della società disponente, di recuperare
il patrimonio sociale negli argini dell’azione revocatoria, atteso che alla dichiarazione di
-22-
contro, è meritevole di tutela il trust istituito da società (in stato di crisi55) che effettivamente acceda a un accordo di ristrutturazione o a un piano attestato56. Nel caso da ultimo citato il ricorso al trust sarebbe funzionale a conseguire bilanciamenti di interessi che formano oggetto di protezione da parte dell’ordinamento, e in particolare: quello di tutelare il patrimonio della società in crisi dalle iniziative individuali di singoli creditori, durante le trattative con altri creditori volte al raggiungimento di un accordo di ristrutturazione o di un piano di risanamento; quello di affidare sia il patrimonio, da gestire e conservare in pendenza delle trattative, sia l’esecuzione di un programma (liquidatorio o risanatorio) condiviso, a un soggetto «terzo e imparziale»; quello di apporre un vincolo patrimoniale sulle attività patrimoniali apportate da terzi per la soddisfazione dei creditori, in particolare – nel caso di specie – sui beni personali del socio accomandatario, nella parte in cui l’effetto segregativo conseguente al trust «rassicurerebbe» i creditori sul mantenimento della garanzia patrimoniale del socio illimitatamente responsabile. A tale proposito, è opportuno segnalare che la tesi della meritevolezza del trust liquidatorio nella gestione negoziale della crisi quale «alternativa alle misure concordate di risoluzione della crisi d’impresa» o «strumento utilizzabile per concordati stragiudiziali» ovvero, ancora, «in funzione complementare nelle procedure concorsuali minori» gode inoltre del consenso (solo in astratto) della giurisprudenza che pur in concreto si è fallimento seguirebbe l’impossibilità per il trust di raggiungere il suo scopo e si dovrebbe,
quindi, applicare la legge regolatrice del trust (o le eventuali disposizioni dell’atto istitutivo) in
ordine alla «sorte dei beni conferiti».
55
Apparentemente, in nessuna delle decisioni reggiane viene svolta alcuna
considerazione sulla rilevanza o meno del fatto che la disponente sia insolvente già al momento
dell’istituzione del trust, mentre pare data per scontata la meritevolezza del trust istituito da
società in stato di crisi (sulla distinzione v., ultra, nota 64): cfr. Trib. Reggio Emilia, 27 agosto
2011; al contrario, Trib. Cremona, 8 ottobre 2013, afferma che «l’idea che un trust liquidatorio
costituito quando la società già si trovi in stato di dissesto sia ab origine nullo (o inefficace), ex
art. 13 Conv. Aja, per contrasto con la legge fallimentare (o meglio, con la liquidazione
concorsuale, che ne costituisce l’essenza e presiede ai vari istituti in essa contemplati), norma
di diritto pubblico, non appare convincente», sulla scorta del rilievo che, «imboccata in misura
via via crescente la strada della privatizzazione delle procedure concorsuali» con l’introduzione
degli istituti del concordato preventive e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, «la
dichiarazione di fallimento non è più, oggi, lo sbocco necessario e ineludibile delle citate
procedure negozializzate»: sottintendendo, in questo ragionamento, l’idea di una disponibilità
da parte dell’autonomia privata dello stato d’insolvenza.
56
Trib. Reggio Emilia, 14 marzo 2011; Trib. Reggio Emilia, 27 agosto 2011; Trib.
Reggio Emilia, 14 marzo 2007; Trib. Alessandria, 24 novembre 2009;
-23-
pronunciata – sulla base delle motivazioni sopra riferite – nel senso della nullità del trust57. Ciò nonostante, si deve osservare che le già menzionate differenze di impostazione si sono tramutate in un aperto contrasto: alcune decisioni58 hanno, infatti, nettamente criticato altra parte della giurisprudenza59: anzi tutto, l’orientamento seguito dal Tribunale di Milano muoverebbe – a detta del giudice reggiano – da un dato di partenza di per sé discutibile (i.e. l’inderogabilità della disciplina concorsuale di diritto interno), perché un accordo tra la debitrice insolvente e i suoi creditori, nella forma della cessione dei beni ex art. 1977 c.c. potrebbe dare luogo a una liquidazione extra-­‐‑concorsuale “privata” da reputare, in tesi, del tutto legittima. In secondo luogo, non sarebbe corretto inquadrare l’eventuale susseguente fallimento del settlor come causa di scioglimento del trust, il quale, al contrario, secondo il diritto «anglosassone» rimarrebbe, una volta costituito, del tutto insensibile alle vicende patrimoniali che coinvolgono il disponente dopo la creazione del trust. Ne discenderebbe, quindi, l’inutilità di una clausola che preveda lo scioglimento del trust al momento dell’apertura della procedura fallimentare, considerato per giunta che al curatore – il quale, in questa prospettiva, «assomma in sé tutte le posizioni beneficiarie del trust liquidatorio» – spetterebbe, secondo la legge applicabile («diritto dei trust») il diritto di ottenere la cessazione anticipata del trust e conseguentemente la restituzione del patrimonio sociale trasferito al trustee60. 57
I virgolettati sono tratti, rispettivamente, da Cass., 9 maggio 2014, n. 10105 – la
quale, se pur in termini in una certa misura ambigui, sembra lasciare spazio al trust (dalla
stessa definito) «endo-concorsuale», «nella logica di una valorizzazione negoziale» delle
soluzioni della crisi alternative al fallimento – e da Trib. Milano, 30 luglio 2009; al trust quale
possibile «alternativa alle procedure concorsuali come nel caso di concordati stragiudiziali,
ovvero di operazioni temporanee che servano a coadiuvare promuovendo procedure
concorsuali minori» si riferiscono Trib. Milano, 17 luglio 2009 e Trib. Milano, 16 giugno
2009; analogamente: Trib. Milano, 29 ottobre 2010, dove si puntualizza che per la validità di
questa tipologia di trust sarebbe necessario l’inserimento nell’atto istitutivo di apposita
clausola che preveda lo scioglimento al verificarsi dell’insolvenza e la successiva devoluzione
dei beni in trust agli organi della procedura (nel senso della necessarietà di una clausola di
detto tenore anche Trib. Mantova, 18 aprile 2011); v., altresì, Trib. Milano, 22 ottobre 2009;
afferma l’ammissibilità del trust liquidatorio anche senza collegamento con le soluzioni
stragiudiziali della crisi, con motivazione assai stringata, Trib. Milano, 8 gennaio 2009.
58
Trib. Reggio Emilia, 2 maggio 2012.
59
Trib. Milano, 16 giugno-30 luglio 2009.
60
Le argomentazioni riportate nel testo sono sostenute da: Trib. Reggio Emilia, 2
ottobre 2012; e, limitatamente all’argomento ex art. 1977 c.c., Trib. Cremona, 8 ottobre 2013;
v., poi, FANTICINI, Il trust, 617 ss.
-24-
5. (segue): la tesi dell’“ammissibilità”. – Come prevedibile, il ricorso da parte dell’autonomia negoziale al trust extra-­‐‑concorsuale, nonché gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza sul punto, hanno destato l’interesse della dottrina. Le reazioni sono state, peraltro, tanto numerose quanto differenziate, cosicché non è agevole orientarsi all’interno della molteplicità di soluzioni proposte nei contributi dedicati al tema. Sembra dunque opportuno, prima di affrontare in via autonoma le tematiche emerse, ricostruire lo stato della letteratura: le tesi possono essere ricondotte a due gruppi solo parzialmente omogenei, l’uno tendenzialmente favorevole e l’altro decisamente contrario al fenomeno studiato61, pur con la consapevolezza che tale suddivisione potrebbe comportare delle imprecisioni, detta scelta si è resa necessaria a fini di sintesi espositiva. Per ovviare a detta criticità, nel corso della trattazione saranno opportuntamente segnalate le più rilevanti divergenze di opinioni (e di conclusioni) all’interno della medesima categoria. Come anticipato, alcuni autori, sebbene in maniera non del tutto collimante, esprimono un tendenziale apprezzamento nei confronti del trust liquidatorio extra-­‐‑concorsuale; tuttavia, benché l’approccio di fondo sia similare, diverso è il grado di apertura nei confronti di siffatta esperienza. Secondo la tesi più possibilista (A.), il trust extra-­‐‑
concorsuale persegue interessi meritevoli di tutela in tutte le sue manifestazioni. Nello specifico, sarebbe legittimo: a) il trust meramente liquidatorio, i.e. istituito da una società in bonis (anche in liquidazione) o, se in stato di crisi, comunque non insolvente, all’esclusivo scopo di attuare una liquidazione dell’intero o di parte del patrimonio sociale secondo schemi privatistici 62 . In questa prospettiva, contraddicendo 61
“A cavallo” tra le due soluzioni si pone l’opinione di GALLETTI, Il trust e le
procedure, 895 ss.; ID., Trust liquidatorio, 626 ss., il quale, sebbene esplicitamente affronti
l’esame delle fattispecie con «un certo tasso di diffidenza» (628), difficilmente può essere
annoverato tra gli autori ad esso tout court contrari, dal momento vi ricava un (limitato) spazio
di legittimità; sulla stessa linea anche ATZORI, Riflessioni, 550 ss.
62
Cfr. CAVALLINI, Trust, 1106 ss.; BUSANI, Revoca, 645, secondo il quale, però, il
limite all’autonomia privata sarebbe segnato dallo stato di insolvenza; v. anche D’ARRIGO,
L’impiego, 454 ss., che reputa ammissibile il trust meramente liquidatorio da parte di una
società in liquidazione, a condizione però che la disponente sia patrimonialmente capiente (in
senso statico): secondo l’A. siffatta costruzione giuridica potrebbe presentare il vantaggio di
sostituire i creditori (beneficiaries) ai soci quali controllori dell’attività del “liquidatore”
(trustee); analoga la posizione – se si è bene inteso – di LUPOI, Due parole, 211 s.
-25-
l’impostazione fatta propria dal Tribunale di Milano (v. supra § 3), la dichiarazione di fallimento cronologicamente successiva all’istituzione di un trust di siffatta natura non può operare come causa di nullità «sopravvenuta» (o come causa di scioglimento): se così fosse, si attribuirebbe all’attestazione dell’insolvenza un effetto «retroattivo» che non trova fondamento nella legge. Salvo il caso «patologico» del trust istituito da una società (in liquidazione e) in crisi al solo fine di eludere l’apertura del fallimento (da considerarsi sham) 63 , quindi, il trust – e la segregazione patrimoniale che ne deriverebbe – “sopravviverebbe” al successivo fallimento della disponente e “convivrebbero” con gli organi fallimentari, con la «possibilità di nominare» quale guardiano del trust il curatore, che potrebbe, accertata l’eventuale deviazione delle concrete attività del trustee dal programma liquidatorio, provocare l’effetto di «revocare» il trust e dunque ritornare in possesso dei beni precedentemente trasferiti al trustee64. Tanto meno – si osserva a fortiori – potrebbe fungere da parametro di liceità del trust liquidatorio la presenza di uno «stato di crisi in senso ampio» al momento dell’affidamento: se, infatti, questo dovesse essere il criterio, anche tutti gli accordi di ristrutturazione e i piani di risanamento dovrebbero essere ritenuti atti invalidi65. Si deve notare che la tesi 63
CAVALLINI, Trust, 1107.
CAVALLINI, Trust, 1110 ss.
65
CAVALLINI, Trust, 1106 ss., riprendendo la riflessione di GALLETTI, Il trust e le
procedure, 695 ss.; similarmente, in dichiarato contrasto con la giurisprudenza ambrosiana,
ritengono che l’esistenza dell’insolvenza al momento della costituzione non rappresenti
elemento sufficiente, da solo, a dimostrare l’abusività (e la nullità) del trust, RAGANELLAREGNI, Il trust, 609 s.; sul punto, critiche alla giurisprudenza del Tribunale di Milano sono
formulate anche da FANTICINI, Il trust, 621 s.
Occore segnalare che il significato delle nozioni di «stato di crisi» e «insolvenza» – la
cui delimitazione ha ripercussioni sul presente discorso – è dibattuto. Del pari incerto è il
confine tra le due nozioni. Secondo alcuni (GALLETTI, sub art. 5, 77 ss.), dal punto di vista
della fattispecie, lo stato di crisi non si distinguerebbe dall’insolvenza, perché quest’ultima,
intesa quale disfunzione della pianificazione dell’attività d’impresa (GALLETTI, sub art. 5, 87
ss., spec. 96), includerebbe l’insolvenza prospettica, o imminente (ovvero quella situazione
nella quale l’imprenditore continua ad adempiere alle proprie obbligazioni sulla base di una
pianificazione irrazionale, con cui la prosecuzione dell’attività determina il peggioramento
delle condizioni patrimoniali e finanziarie dell’impresa), dalla quale non si potrebbe
distinguere lo «stato di crisi» (GALLETTI, sub art. 160, 382 s.); nonostante le sostanziali
differenze nelle rispettive impostazioni di fondo, a conclusioni analoghe – limitatamente ai
rapporti tra «stato di crisi» e «stato di insolvenza» – giunge TERRANOVA, Stato, 569 s.; sul
punto, cfr. inoltre FERRI jr., Insolvenza, 413 ss., a detta del quale crisi e insolvenza, pur
costituendo entrambe manifestazione di un’attuale incapacità dell’imprenditore di soddisfare
64
-26-
esaminata finisce, implicitamente, per legittimare il trust meramente liquidatorio istituito da società in crisi (e non in liquidazione), con l’unico limite della frode alla legge, che renderebbe sham il trust. b) il ricorso al trust da parte di una società in crisi, con ruolo funzionale a uno degli istituti con i quali l’ordinamento permette di esperire tentativi di risoluzione “stragiudiziale” della medesima, e segnatamente a: un piano di risanamento di cui all’art. 67, comma 3°, lett. d), l. fall.; un accordo di ristrutturazione ex art. 182-­‐‑bis l. fall. Nell’ambito dei piani di risanamento, sarebbe ammissibile il trasferimento a un trustee della totalità dell’impresa della società debitrice o di singoli beni quale strumento esecutivo del piano di risanamento, allo scopo di conseguire simultaneamente un duplice effetto: quello di vincolare in trust i beni necessari alla riuscita del programma risanatorio – e garantire in questo modo i creditori beneficiari partecipanti (finanziatori) – da un lato; quello di bloccare, in virtù delle proprietà segregative del trust, le azioni esecutive (e regolarmente le proprie obbligazioni, si distinguono per il profilo causale: la prima
identificando esclusivamente le ipotesi che derivano da una disfunzione dell’organizzazione
dell’impresa (riprendendo, sotto questo aspetto, GALLETTI), la seconda indicando ogni
situazione di incapacità, qualunque ne sia la causa, anche congiunturale o esogena
all’organizzazione imprenditoriale (v., in part., 426 ss.). Sembra distinguere tra crisi e
insolvenza anche a seconda della causa dello squilibrio finanziario (strutturale per l’insolvenza,
anche esogeno per la crisi) altresì AMBROSINI, Il concordato, 24.
Al contrario, secondo la tesi cui sembrano rifarsi le decisioni milanesi criticate nel testo
e che pare prevalente, tanto in giurisprudenza (Trib. Pescara, 13 ottobre 2005; Trib. Roma, 2
febbraio 2006) quanto in letteratura, lo stato di crisi è un concetto “più ampio” di quello di
insolvenza e comprenderebbe ogni situazione di squilibrio economico o finanziario
(“malessere”), sia esso temporaneo e reversibile, sia nel caso in cui si configuri una “vera e
propria” insolvenza, che è dunque compresa nel concetto di “crisi”: AMBROSINI, Il concordato,
23 ss.; GUGLIELMUCCI, Diritto, 323 s.; JORIO, sub art. 160, 2041; CAVALLI, I presupposti, 128.
Analogamente STANGHELLINI, Le crisi, 133 ss., che considera lo stato di crisi come nozione
comprensiva sia dello stato di insolvenza ex art. 5 l. fall. sia dell’insolvenza «imminente»: la
differenza sarebbe però nella circostanza che quest’ultima, in quanto non ancora «manifesta»,
potrebbe essere fatta valere soltanto su iniziativa dal debitore (onde evitare un’eccessiva
anticipazione dell’intervento statale), mentre l’insolvenza conclamata legittimerebbe (anche)
l’intervento dei creditori. In questa sede, per ragioni di semplicità terminologica ed espositiva,
nel richiamarsi alle nozioni di «crisi» e «insolvenza», si farà riferimento all’impostazione
dominante in giurisprudenza.
Riprendendo il discorso, va osservato che, a ben vedere, a prescindere da quale tesi tra
quelle richiamate si ritenga corretta, la critica riportata nel testo sembra condivisibile da un
punto di vista sia sistematico – nel momento in cui si ammette che nello stato di crisi debba
essere ricompresa anche l’insolvenza, non è coerente escludere la legittimità degli accordi di
ristrutturazione (ai quali acceda un trust) conclusi in stato di insolvenza – sia pragmatico.
-27-
cautelari) dei creditori estranei al piano relative al trust fund, dall’altro. L’attestazione del professionista indipendente, comunque, assicurerebbe nel caso in cui la settlor venga dichiarata fallita, l’esenzione da revocatoria tanto degli atti di dotazione del trust quanto dei “pagamenti” effettuati dal trustee, limitatamente a quelli a favore dei “terzi” finanziatori, vista la necessità, ai fini dell’esenzione, di una connessione causale tra singolo “atto” ed esecuzione del piano66. Per quanto riguarda, poi, gli accordi di ristrutturazione, la tesi dall’ammissibilità del trust raccoglie un maggiore numero di consensi in dottrina (oltre che in giurisprudenza: v., supra, § 3): sia in funzione “preventiva” o “preparatoria” all’accordo, sia quale strumento esecutivo di quest’ultimo. È stato da più parti fatto osservare come il ricorso al trust in occasione di un accordo di salvataggio potrebbe fornire una serie di vantaggi. Nel primo caso, col trust “preventivo”, si potrebbe consentire di “facilitare” il raggiungimento dell’accordo, perché si attua una moratoria (privatistica) nei confronti delle iniziative individuali dei creditori, nonché in quanto opera quale garanzia (atipica e reale) per i creditori beneficiari sui beni affidati al trustee67. 66
Con conseguente (e consapevole) riduzione della massa attiva a disposizione dei
creditori estranei: CAVALLINI, Trust, 1098 ss.; nel senso dell’ammissibilità del trust nei piani
attestati, cfr. anche D’ARRIGO, L’impiego, 458 s., che però sembra escludere la possibilità di
vincolare in trust l’intera impresa, limitandone quindi la legittimità all’ipotesi di una
costituzione in trust di «alcuni beni» a garanzia di «determinati creditori» (459): in questo
caso, una volta attestato il piano, il trasferimento in trust andrebbe esente da revocatoria. Una
tesi in parte diversa è sostenuta da BUSANI, Revoca, 644 ss., secondo il quale il trust (sia
«liquidatorio» sia di «salvataggio», i.e. quello per mezzo del quale il debitore liquida parte dei
suoi beni al fine di rimuovere lo stato di crisi e, con esso, di continuare l’attività) potrebbe
essere utilizato quale alternativa agli istituti tipici di risoluzione della crisi d’impresa, salvo il
limite dello stato di insolvenza, al ricorrere del quale si imporrebbe l’alternativa obbligata fra
concordato preventivo e fallimento: detta tesi non sembra tenere da conto che non solo il
concordato ma anche gli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis (nonché i piani attestati)
sono istituti messi a disposizione dell’ordinamento anche in presenza dello stato di insolvenza.
Infine, cfr. anche V. GRECO, Il trust quale strumento, 217 ss. (e ID., Il trust nelle procedure,
769 ss.), che è favorevole al ricorso al trust nel piano attestato – ritenendo legittimo anche
l’effetto di congelamento del patrimonio sociale che ne deriverebbe – ma nell’ambito della
singolare situazione in cui sia stato nominato (ex art. 15, comma 8°, l. fall.) un amministratore
giudiziario della società debitrice, il quale potrebbe cedere l’impresa a una società che –
assunto l’incarico di trustee – avrebbe il compito di risanarla (e gli atti posti in essere in tale
occasione sarebbero esentati in applicazione dell’art. 67, comma 3°, lett. d), l. fall.) e
restituirla, una volta, risanata, al debitore.
67
CAVALLINI, Trust, 1102; ZANCHI, Osservazioni, 165 ss., che esplicitamente giustifica
il ricorso al trust per conseguire un blocco delle azioni esecutive e temporali che oltrepassi il
limite temporale fissato dall’art. 182-bis l. fall.; ROVELLI, I nuovi, 1038; RAGANELLA-REGNI, Il
trust, 606; GALLARATI, 108 ss.; nonché, sembrerebbe, FILOCAMO, La prededucibilità, 1152.
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In sede di attuazione dell’accordo, invece, l’affidamento dell’impresa o di singoli cespiti a un trustee, con l’incarico di svolgere determinate attività, pattuite nell’accordo e riferite al trust fund, potrebbe: sopperire alla mancanza di un controllo esterno e di trasparenza nella fase esecutiva dell’accordo (notoriamente prolungata nel tempo) successiva all’omologa – che è stata efficacemente definita una «cambiale in bianco» da parte dei creditori estranei –, nella parte in cui si affiderebbe il compimento (o quantomeno la supervisione) delle attività (liquidatorie e/o risanatorie) a un trustee terzo e professionalmente qualificato. Ciò consentirebbe, pertanto, di incrementare la protezione dei creditori esterni all’accordo di fronte al rischio che la sua attuazione si trasformi in una distrazione di valore a loro danno, atteso che il trustee “risponde” ai beneficiari (nei quali dovrebbero essere appunto inclusi i creditori estranei all’accordo) in termini sia di disclosure dovuta sia di vera e propria responsabilità per violazione dei suoi doveri. Sarebbe, inoltre, possibile nominare un protector, eventualmente delegando al Tribunale in sede di omologa la scelta del soggetto idoneo a ricoprire tale ruolo 68 ; permettere di veicolare nel fondo in trust, in aggiunta rispetto ai beni facenti capo al settlor, apporti di soggetti “terzi” rispetto all’impresa debitrice, che renderebbero più consistente la garanzia reale (atipica) vantata dai creditori beneficiari sul trust fund 69 ; prolungare la durata della protezione patrimoniale della società debitrice oltre allo spirare dei sessanta giorni di cui all’art. 182-­‐‑bis, comma 3°, l. fall.70. Nonostante sia riscontrabile una (relativa) unità di vedute quanto agli interessi tutelabili nelle soluzioni negoziali della crisi 68
Per entrambe le considerazioni cfr. ROVELLI, Il ruolo, 559 s., ove l’ultimo virgolettato
riportato nel testo; ID., I nuovi, 1038; v., inoltre, CAVALLINI, Trust, 1102 s.; GALLETTI, Trust
liquidatorio, 629 s.; ZANCHI, Osservazioni; LICCARDO, Il trust, 408 s.; GRECO, La nuova
finanza, 57, che peraltro distingue tra trust liquidatori e trust di garanzia o di salvataggio: i
primi sarebbero privi di causa giustificativa, mentre i secondi sarebbero sorretti dalla presunta
utilità sociale immanente ai tentativi di risanamento.
69
ZANCHI, Osservazioni, 159; RAGANELLA-REGNI, Il trust, 606; con delle cautele
ispirate dall’esigenza di tutelare dei creditori personali del terzo settlor, GALLETTI, Trust
liquidatorio, 629 638 ss.: a ben vedere, l’A. limita la meritevolezza del trust nell’ambito degli
accordi di ristrutturazione (641 s.); a rigor di logica, poste tali premesse, la conclusione
dovrebbe essere la medesima anche per i piani attestati, ma l’A. sul punto nulla dice (631 s.),
se non richiamare il generale limite di validità dell’istituto, e cioè che non sia
programmaticamente prevista alcuna falcidia dei creditori estranei.
70
D’ARRIGO, L’impiego, 462; ZANCHI, Osservazioni, 166 s.; ROVELLI, I nuovi, 1038;
nonché, sembrerebbe, CAVALLINI, Trust, 1104 s.; VALAS, Trust, 99 ss., in part. 101 s. e 108 s.;
Trib. Reggio Emilia, 27 agosto 2012.
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d’impresa con il trust, l’utilizzo di quest’ultimo desta problematiche di compatibilità con il diritto concorsuale (e, in parte, societario), le quali sembrano in buona parte irrisolte, sia a livello astratto, sia sul piano operativo. Il primo punto controverso riguarda i rapporti tra la moratoria “privatistica” delle azioni esecutive e cautelari che, secondo la linea interpretativa dominante, si verrebbe a creare in conseguenza del trasferimento dei beni al trustee e i limiti temporali imposti dall’art. 182-­‐‑
bis al blocco delle azioni esecutive che consegue all’omologazione dell’accordo o nel corso delle trattative ai sensi dei comma sesto e settimo. Al riguardo, deve essere segnalato, anzi tutto, che potrebbe trattarsi di un problema ormai “apparente”, perché indirettamente definito dal successivo intervento normativo – al quale i contributi dedicati al tema sono in gran parte anteriori – del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, il quale ha introdotto la possibilità di ottenere, con la pubblicazione nel registro delle imprese dell’istanza di sospensione delle azioni individuali, l’effetto protettivo già nella fase delle trattative. Siffatto rilievo assume una certa importanza se si considera che una delle utilità conseguibili con il trust “preventivo” alla conclusione dell’accordo era appunto l’anticipazione della protezione patrimoniale dell’imprenditore nel delicato momento della negoziazione con i creditori dei termini della ristrutturazione, per il quale in un primo momento la legge nulla prevedeva71. Nel vigore della nuova normativa – e non da ultimo alla luce delle novità apportate all’art. 161 l. fall. dall’art. 33 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 13472 – il problema è riconducibile alla più generale dialettica tra autonomia privata e intervento pubblico nella crisi d’impresa al quale si è già fatto riferimento: ci si può, infatti, 71
CAVALLINI, Trust, 1102; ZANCHI, Osservazioni, 165 ss.; ROVELLI, I nuovi, 1038;
RAGANELLA-REGNI, Il trust, 606. La questione dell’anticipazione della protezione patrimoniale
alla fase delle trattative era stata ritenuta il «vero punto nodale» delle lacune presentate dalla
prima versione del testo legislativo: PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, ovvero la
sindrome del teleobiettivo, 573; ID., Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, 39 s.; sul punto,
cfr. anche SCIUTO, Effetti, 339 s.
72
Com’è noto, ai sensi dell’art. 161, comma 6°, l. fall., il divieto di iniziare o proseguire
azioni esecutive può essere conseguito con il deposito di un ricorso contenente la sola
«domanda di ammissione» alla procedura di concordato preventivo (e i bilanci degli ultimi tre
esercizi) (c.d. «in bianco»), senza dovere presentare immediatamente una proposta, la quale
potrà in un secondo momento essere “convertita” in una domanda di omologa di un accordo di
ristrutturazione ex art. 182-bis.
-30-
chiedere se l’interesse alla protezione del patrimonio della società in crisi dalle iniziative individuali del singolo creditore nel corso delle trattative con il ceto creditizio debba essere tutelato solo con gli strumenti a ciò esplicitamente destinati da parte dell’ordinamento; o se, invece, l’autonomia contrattuale sia legittimata a mettere in atto una tutela «contrattuale» e alternativa a quella “pubblica” e, in caso positivo, quali limiti debbano in ogni caso essere rispettati. Inoltre, la questione si pone in termini simili per la previsione di un trust quale metodo di esecuzione dell’accordo (omologando e poi) omologato: in questo scenario, si pone il dubbio se l’impossibilità per i creditori (evidentemente estranei) di aggredire i beni in trust possa essere prolungata oltre il limite temporale dei sessanta giorni fissato dal comma terzo dell’art. 182-­‐‑bis l. fall.73 o al contrario necessariamente sottostarvi74. Parimenti, non è chiaro se, nell’ambito di un piano di risanamento 75 tanto quanto di un accordo di ristrutturazione, possa affidarsi a un trustee l’intero patrimonio imprenditoriale della società in crisi o se, più limitatamente, possa attuarsi soltanto una segregazione parziale dei beni della debitrice76. Sebbene la questione sia ripresa più avanti nel corso della trattazione (v. ultra capitolo I, § 9 e capitolo III, § 2.2), ciò che si può anticipare è che non si tratta soltanto di un problema quantitativo bensì qualitativo, perché – da un punto di vista sia 73
In questo senso D’ARRIGO, L’impiego, 462; ZANCHI, Osservazioni, 166 s.; ROVELLI, I
nuovi, 1038; nonché, sembrerebbe, CAVALLINI, Trust, 1104 s.; Trib. Reggio Emilia, 27 agosto
2012.
74
LICCARDO, Il trust, 407; GALLETTI, Trust liquidatorio, 630; SPOLAORE, Trust, 183 s.;
il punto verrà affrontato in maniera maggiormente approfondita, ultra, § 9 e capitolo III, § 4.2.
75
Cfr. le differenze tra CAVALLINI, Trust, 1098 ss. e D’ARRIGO, L’impiego, 458 s.;
GALLETTI, Trust liquidatorio, 631 s., per il quale l’ammissibilità del trust nei piani attestati è
da valutarsi con lo stesso parametro con i quali devono in via generale valutarsi le
«convenzioni di salvataggio» – in argomento, v. BOGGIO, Accordi, passim –, delle quali, in
ultima analisi, il trust è componente. D’altro canto, la stessa compatibilità del trust con i piani
di risanamento parrebbe bisognosa di qualche giustificazione ulteriore rispetto a quelle fino a
ora addotte. Infatti, affermare che, in dette circostanze, potrebbero trarre giovamento del trust i
creditori beneficiari, che nella tesi richiamata sarebbero i finanziatori del risanamento, poiché
acquisterebbero una “speciale” garanzia sui cespiti in trust e la riuscita del piano non sarebbe
minata dalle azioni azioni esecutive e cautelari di altri creditori – che sarebbero inibite, nel
pensiero degli Autori, dall’effetto segregativo del trust – è cosa assai differente dal dimostrare
che siffatto assetto di interessi è compatibile con la legge fallimentare, che a siffatta moratoria
costantemente ricollega, quanto meno prima facie, un intervento dell’autorità giudiziaria
(accordi di ristrutturazione e concordato preventivo). Cfr. amplius, in merito, ultra, § 9.
76
Orientati nel primo senso, quanto agli accordi di ristrutturazione: CAVALLINI, Trust,
1102; RAGANELLA-REGNI, Il trust, 609; GRECO, La nuova finanza, 57; contra D’ARRIGO,
L’impiego, 462; LICCARDO, Il trust, 406 e 408.
-31-
concorsuale sia societario – un conto è liberarsi dell’intero complesso imprenditoriale trasferendolo a un terzo (trustee) e attribuendogli il potere di liquidarlo e/o amministrarlo, tutt’altra cosa è destinare, mediante l’istituzione del trust, specifici assets a un determinato programma contrattuale. Mentre le questioni da ultimo richiamate sono poco più che abbozzate nei contributi noti sul tema, le attenzioni della dottrina si sono concentrate sull’interrogativo – quanto meno in apparenza spinoso – che investe i rapporti tra trust extra-­‐‑concorsuale e la dichiarazione di fallimento della società settlor che sopravvenga all’istituzione del trust: da una parte, ci si chiede se il trust “sopravviva” o meno alla formale apertura della procedura concorsuale; dall’altra, si impone la necessità di stabilire se e in che limiti l’istituzione del trust (così come il negozio di trasferimento degli assets) e gli eventuali atti dispositivi posti in essere dal trustee, in esecuzione del programma liquidatorio/risanatorio, rientrino nelle esenzioni da revocatoria fallimentare rispettivamente dell’art. 67, comma 3°, lett. d) o e), l. fall. Per quanto concerne il primo quesito, è stata da taluni accolta l’idea per cui la segregazione patrimoniale propria del trust e il connesso programma (a questo punto per forza) liquidatorio non possano essere privati di efficacia dall’apertura della procedura concorsuale ma, anzi, da tale momento debbano convivere con gli organi della procedura (e la liquidazione fallimentare, qualora nel trust non sia confluita la totalità del patrimonio della società disponente). In questa prospettiva – salvo il caso della frode ai creditori – l’insolvenza dichiarata posteriormente alla creazione del trust non potrebbe mai operare «retroattivamente», con la conseguenza che il curatore («nel ruolo di guardiano») dovrebbe supervisionare le attività del trustee e revocare il trustee qualora queste ultime si discostino dal piano di dismissione fissato nell’accordo o nel piano77. In maniera similare, si sostiene che all’apertura del fallimento il curatore subentrebbe in tutte le posizioni beneficiarie originariamente proprie dei creditori e nei diritti che ne discendono: la curatela potrebbe quindi, oltre a limitarsi lasciare che il trustee prosegua nell’attuazione del piano, optare fra 77
Diffusamente CAVALLINI, Trust, 1106 ss., spec. 1110 ss.; RAGANELLA-REGNI, Il trust,
609 s.; LICCARDO, Il trust, 422.
-32-
l’alternativa di rinunciare alla posizione beneficiaria o di esercitare il diritto di fare cessare anticipatamente il trust78. Diametralmente opposta, ma altrettanto diffusa in dottrina, è l’opinione – apertamente sconfessata dalla giurisprudenza di legittimità (: v., supra, § 4) – secondo cui nell’atto istitutivo di un trust analogo a quelli esaminati deve essere inserita, a condizione di validità, una clausola (c.d. «di salvaguardia») che preveda lo scioglimento automatico (o «risoluzione») del trust e l’obbligo del trustee di consegnare i beni agli organi della procedura. In mancanza di siffatto accorgimento nella redazione del trust deed – nonché qualora sia addirittura espressamente prevista la “sopravvivenza” del trust al caso di un susseguente fallimento – il trust sarebbe ab origine nullo 79 . Peraltro, uno dei sostenitori della tesi in parola opera un’ulteriore distinzione fra gli effetti della dichiarazione di fallimento sul trust, da una parte, e sugli atti solutori (o in ogni caso dispositivi) posti in essere dal trustee, dall’altra: mentre il primo (qualora sia presente la clausola di salvaguardia) si risolverebbe con efficacia ex nunc – salvo operi beneficio dell’esenzione da revocatoria (v. infra nel testo) –, i secondi rimarebbero di per sé efficaci, e potrebbero essere unicamente attaccati con l’attivazione delle azioni revocatorie (ordinaria e fallimentare) da parte del curatore fallimentare, ove ne sussistano i presupposti80. In merito al secondo quesito sull’operatività delle esenzioni, si ritiene generalmente che tanto l’atto istitutivo del trust (e il negozio di dotazione) quanto le attività poste in essere dal trustee beneficino dell’esenzione da revocatoria ai sensi delle lettere d) o e) dell’art. 67 l. fall., purché il ricorso al trust sia stato non solo strumentale al piano o all’accordo ma sia stato anche in esso specificamente previsto e a condizione che gli atti del trustee si pongano in rapporto di funzionalità con il programma stabilito, essendo altrimenti ammissibile l’azione 78
BARTOLI, Due sentenze, 393 s., in applicazione della regola di diritto inglese
Saunders v. Vautier (1841) 4 Beav. 115; l’impostazione è recepita da Trib. Reggio Emilia, 2
maggio 2012.
79
LUPOI, Due parole, 211 s., ove pure la proposta di contemplare nell’atto istitutivo la
trasformazione del trust in bare a favore del fallimento; GALLETTI, Trust liquidatorio, 637;
GRECO, La nuova finanza, 57; cfr., sulla clausola di salvaguardia, le ragionevoli considerazioni
di MURITANO, Note, 8 ss.; sul rapporto tra trust e fallimento v. poi GRECO, Il trust nelle
procedure, 768 s.; ID. La nuova finanza, 58: il trust il cui settlor sia insolvente al momento
dell’istituzione è nullo, altrimenti (disponente in bonis) si scioglie automaticamente alla
dichiarazione di fallimento.
80
GALLETTI, Trust liquidatorio, 642 ss.
-33-
revocatoria 81 . Peraltro, mentre taluno ritiene che vada esente da revocatoria fallimentare anche il trust istituito prima dell’omologa (nonché gli atti compiuti dal trustee in pendenza del giudizio di omologa, salvo il limite della funzionalità) 82 , altri limitano l’applicazione dell’esenzione al caso in cui il trust venga istituito soltanto in una fase successiva all’omologazione dell’accordo da parte del Tribunale83. Tendenzialmente condivisa è, invece, la possibilità che il trust fund istituito in esecuzione di un accordo di ristrutturazione non sia composto di beni della società disponente, bensì comprenda anche attività patrimoniali riferibili a soggetti formalmente “terzi”, ma in concreto interessati alle sorti della debitrice. In particolare, si menzionano: il socio illimitatamente, la società controllante (o altra società del gruppo, holding o sorella), gli amministratori, i liquidatori84. Si è al contempo, tuttavia, segnalato come i confini di tale utilizzo del trust – ritenuto uno dei più proficui nel contesto della crisi d’impresa85 – siano in negativo definiti dalle esigenze di tutela dei creditori “personali” del terzo che trasferisce beni al trustee: infatti, non solo questi possono esercitare l’azione revocatoria ordinaria, ma il curatore dell’eventuale fallimento del terzo può esercitare anche l’azione revocatoria fallimentare86. 6. (segue): la tesi della non ammissibilità. Critica – Agli antipodi rispetto alle teorie fino a ora analizzate si pone una – minoritaria – corrente dottrinale che tratta con deciso sospetto le fattispecie di trust extra-­‐‑(e endo-­‐‑)concorsuale, in linea di massima concludendo nel senso dell’illegittimità. Pure all’interno di quest’ultimo gruppo di autori si 81
CAVALLINI, Trust, 1104, sugli accordi, e 1101, sui piani di risanamento: soltanto gli
atti compiuti dal trustee nei confronti dei creditori partecipanti e quelli invece conclusi con i
“terzi” potrebbero godere dell’esenzione da revocatoria; GALLETTI, Trust liquidatorio, 643;
LICCARDO, Il trust, 424; D’ARRIGO, L’impiego, 464; ROVELLI, Il ruolo, 600; GRECO, Il trust
quale strumento, 220.
82
CAVALLINI, Trust, 1104; D’ARRIGO, L’impiego, 463.
83
GALLETTI, Trust liquidatorio, 643.
84
GALLETTI, Trust liquidatorio, 638; ZANCHI, Osservazioni, 159; ROVELLI, I nuovi,
1038; RAGANELLA-REGNI, Il trust, 606; VALAS, Trust, 102 ss.
85
GALLETTI, Trust liquidatorio, 638.
86
GALLETTI, Trust liquidatorio, 640 ss.; ROVELLI, I nuovi, 1038. Peraltro, sembra che
l’osservazione riportata nel testo non sia una specificità riconducibile al trust, essendo piuttosto
valida per ogni eventualità in cui si verifichi un trasferimento patrimoniale a titolo gratuito a
beneficio d(ei creditori d)i un soggetto “terzo”.
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rinviene una diversità di impostazioni argomentative che ne rende consigliabile un’analisi separata. Il ragionamento articolato da uno dei commentatori della giurisprudenza milanese 87 – il quale, si deve segnalare, pare preoccuparsi esclusivamente della fattispecie del trust con funzione di mera liquidazione dell’intera impresa – è logicamente scomponibile in due momenti. In via preliminare, l’illegittimità del trust liquidatorio viene fatta discendere dalla non ammissibilità del trust interno; soltanto per l’ipotesi in cui dovesse definitivamente prevalere la tesi dell’ammissibilità del trust interno, vengono formulati ulteriori rilievi specificamente riguardanti l’affidamento in trust nel contesto della crisi e dell’insolvenza. Al proposito, si afferma che il trust, qualora istituito da una società insolvente, non potrebbe essere riconosciuto, in applicazione degli artt. 15 lett. e), 16 e 13 della XV Convenzione, considerato che alla fattispecie sarebbe intrinseco un inammissibile esautoramento di origine pattizia della disciplina fallimentare e, di conseguenza, una liquidazione privata irrispettosa delle priorità stabilite dalla legge88. Nel caso di affidamento fiduciario da parte di una settlor in bonis, l’atto istitutivo non contrasterebbe con regole inderogabili interne e sarebbe pertanto riconoscibile; tuttavia, al momento della dichiarazione di insolvenza troverebbe applicazione analogica, sulla base dell’accostamento tra trust e mandato, l’art. 78 l. fall., con la conseguenza che il curatore potrebbe scegliere se fare cessare o meno il trust. Appare opportuno notare che tale interpretazione presta il fianco a una molteplicità di critiche. Anzi tutto, appiattisce completamente le problematiche del trust nella crisi d’impresa sulla ritenuta inammissibilità del trust interno, con la conseguenza di risultare “inutile” per l’esame di ogni trust internazionale. Parimenti criticabile è pure la soluzione fornita – in maniera quasi “tuzioristica”, e cioè soltanto per il caso in cui finisse per essere accolta con certezza la tesi dell’ammissibilità del trust interno – alle problematiche del trust liquidatorio extra-­‐‑concorsuale, tanto ove pone alla base della distinzione tra ammissibilità e inammissibilità dell’istituto la preesistenza dello stato di insolvenza della settlor, quanto perché prevede l’applicazione dell’art. 78 l. fall. sulla base di un’analogia che 87
88
DIMUNDO, «Trust interno», 3 ss.
DIMUNDO, «Trust interno», 16 s.
-35-
non può essere condivisa, in ragione della strutturale e insuperabile diversità tra trust e mandato 89 . Nel trust – anche non volendo considerare per il momento gli effetti reali propri del trust – il rapporto fiduciario si instaura tra il trustee e i beneficiari, mentre, le sorti dei beni, una volta affidati, sono indifferenti al disponente, salvo i ristretti spazi entro i quali egli può risevarsi delle limitate prerogative: più esplicitamente, tra settlor e trustee non esiste un rapporto (“di trust”) assimilabile a quello che intercorre tra mandante e mandatario; quanto meno, non in misura sufficiente a legittimare un’interpretazione analogica di una disposizione eccezionale. Infine, non può tacersi che manca, nella tesi esaminata, ogni considerazione relativa all’eventualità di un trust funzionale a una soluzione negoziale della crisi. Sempre nel solco dell’inammissibilità del trust interno si articola un’ulteriore lettura che – oltre a rigettare in via generale (e pregiudiziale) l’istituto del trust interno90 – ha sostenuto la specifica incompatibilità con gli istituti e le regole inderogabili del diritto della crisi d’impresa91. Il punto di partenza dal quale si sviluppa la dottrina da ultimo richiamata consiste in un’osservazione di carattere pragmatico: poiché alle fattispecie in questione – anche quando esse si collocano in seno a un progetto di risanamento – è immanente (e ineliminabile) il rischio di una «sottrazione dei beni sociali» a danno dei creditori, nascosta dalla «liquidazione atipica» che l’affidamento a un trustee si presta ad attuare, l’«atipicità» dell’operazione sarebbe di per sé fonte di immeritevolezza dell’istituto92. Al riguardo, sembra doversi subito osservare che siffatto approccio si mostra poco condivisibile: non sembra corretto, infatti, far derivare l’illegittimità di una manifestazione dell’autonomia privata sulla base della considerazione che quest’ultima si presterebbe a potenziali abusi. Infatti, non solo pare scontato che è implicito a ogni istituto – tanto tipico quanto atipico – il rischio che uno strumento astrattamente lecito possa prestarsi a (e de facto) essere utilizzato in maniera distorta; ma soprattutto, seguendo tale impostazione si potrebbe paradossalmente giungere a ritenere che non 89
In dottrina v., per tutti, GAMBARO, Il diritto, 646 s.; in giurisprudenza, Trib. Cremona,
8 ottobre 2013.
90
FIMMANÒ, Il trust a garanzia, 76 ss.; ID., Trust e procedure, 23 ss.
91
FIMMANÒ, Trust, 511 ss.
92
FIMMANÒ, Trust e procedure, 26; ID., Trust e diritto, 516; cfr. altresì ATZORI,
Riflessioni, 563 s.
-36-
sarebbe valido ogni negozio semplicemente sulla base del suo carattere atipico. Con specifico riferimento, poi, alle soluzioni stragiudiziali della crisi, la moratoria privata conseguente al trust sarebbe in contrasto con i caratteri del blocco delle azioni esecutive previsto dall’art. 182-­‐‑bis l. fall.: questo, in fase delle trattative sarebbe conseguibile solo con l’attivazione del sub-­‐‑procedimento di cui ai commi sesto e settimo (e non semplicemente con il ricorso al trust, nel qual caso il congelamento del patrimonio si produrrebbe automaticamente e senza nessun controllo pubblico); in sede di esecuzione dell’accordo, invece, dovrebbero essere necessariamente rispettati i limiti di durata stabiliti dal comma terzo, cosa che non potrebbe accadere con il trust, dal quale deriverebbe una paralisi definitiva delle iniziative creditorie o, comunque, di durata superiore ai sessanta giorni. Non è preso in considerazione il ricorso al trust nell’ambito dei piani attestati o degli accordi di ristrutturazione in funzione di garanzia atipica su beni di terzi. Infine, tra le opinioni che, come quelle da ultimo riportate, esprimono netta contrarietà all’esperienza del trust liquidatorio sia extra-­‐‑concorsuale sia concorsuale – o, più precisamente, concordatario – si trova la tesi di chi muove da un radicale ripensamento dell’impostazione del problema: nei confronti della giurisprudenza e dottrina favorevoli al trust extra-­‐‑concorsuale analizzato viene infatti in primo luogo formulata una critica di ordine metodologico. Più precisamente, valutare il fenomeno del trust nel contesto della crisi d’impresa e del fallimento sulla base del parametro della «meritevolezza» costituirebbe un errore foriero di gravi conseguenze sistematiche, perché non sarebbe infatti né possibile né corretto «applicare all’autonomia negoziale in sede di organizzazione d’impresa gli stessi parametri con cui giudicheremmo i contratti»93. Atteso che il trust liquidatorio extra-­‐‑concorsuale implica una dismissione dell’intera azienda da parte de(gli amministratori o dei liquidatori94 del)la società 93
GINEVRA, Crisi, § 4 del dattiloscritto. Più in generale, per la rivendicazione
dell’autonomia ermeneutica ed interpretativa rispetto ai canoni del “contratto” della categoria
normativa, propria del diritto societario, dell’impresa cfr., per tutti, LIBERTINI, Diritto civile, 1
ss.; PORTALE, Il diritto, 3 ss.; con particolare enfasi sul concetto di impresa quale attività
organizzata, FERRO-LUZZI, I contratti; ANGELICI, Attività, 7 ss.; e v. anche SPADA, Voce
Impresa, 1992.
94
Il che renderebbe l’operazione illegittima anche e soltanto in un’ottica puramente
societaria, se si tiene a mente che né gli amministratori né, ancor meno, i liquidatori sono
-37-
debitrice, non lo si potrebbe esaminare con i canoni ermeneutici propri della teoria del negozio giuridico, poiché ci si troverebbe di fronte a un atto che coinvolge l’organizzazione dell’attività d’impresa e, specificamente, a uno «spossessamento» a seguito del quale la gestione non spetterebbe più all’imprenditore (o agli amministratori) bensì a un terzo (fiduciario); spossessamento, dunque, che le parti intenderebbero regolare in via privata. Il successivo snodo argomentativo della tesi in questione si fonda sul richiamo a uno dei temi classici del diritto dell’impresa (in forma societaria), in particolare sul principio di corrispondenza tra potere e rischio: se è vero che quest’ultimo si giustifica sulla scorta di ragioni economiche – i.e. che attribuire il potere di gestione a colui che “rischia” (l’imprenditore) assicura una gestione “attenta” dell’impresa (e cioè, fuori di metafora, con esternalità positive a livello collettivo) – allora ben si comprende che l’ordinamento interviene ogni qual volta si assista a uno scollamento tra proprietà e controllo, introducendo una serie di «garanzie normative rafforzate nei confronti dell’impresa». Ne discenderebbe che le ipotesi di spossessamento ammesse dall’ordinamento (quei casi nei quali al potere di gestione non corrisponde il rischio economico dei risultati dell’attività gestita) sottostanno a una regola di tipicità (quali, ad esempio, le società di capitali) e sono sempre caratterizzate da un quantum di eteronomia più o meno invasivo a seconda delle fattispecie (e.g. «l’indisponibilità dei poteri di controllo dei soci di s.p.a.»). In siffatta ottica, anche il fallimento non rappresenterebbe un’applicazione della medesima dinamica: nel momento in cui l’imprenditore non rischia più nulla, perché il capitale proprio è esaurito (realizzandosi quindi un distacco tra proprietà e controllo), e l’impresa spetta, dunque, ai creditori – soggetti che sopportano il rischio della prosecuzione dell’attività –, il diritto concorsuale regola lo spossessamento dell’imprenditore insolvente, a beneficio della massa dei creditori, quale disciplina dello specifico rapporto tra potere e rischio che si osserva nella crisi d’impresa. Siffatte norme non permettono, pertanto, l’ingerenza dell’autonomia privata nella gestione di detto fenomeno, che rimarrebbe materia riservata in via esclusiva al legislatore. autorizzati a spogliarsi della loro funzione (gestoria o gestorio-liquidatoria), e che siffatta
considerazione non si risolve soltanto in una problematica di responsabilità, afferendo invece
alle indisponibili regole di organizzazione della forma societaria: GINEVRA, Crisi, § 5.1; ID.,
L’utilizzo, 842.
-38-
Il passaggio conclusivo del discorso consiste nell’affermazione che il trust liquidatorio non può considerarsi ammissibile in quanto costituirebbe una forma di spossessamento – perché il trustee è una figura con compiti gestori e di controllo, ma non proprietaria in senso sostanziale, nonostante la titolarità dei beni in trust – atipico dell’impresa esercitata da una società insolvente, che non solo finirebbe per sostituirsi alla procedura, ma non potrebbe nemmeno essere regolato in via contrattuale 95 . Le conclusioni raggiunte, infine, troverebbero conferme a livello comparatistico: così, negli ordinamenti di common law (in particolare inglese e statunitense), il trust non sarebbe mai utilizzato né nella crisi d’impresa, in maniera analoga a quanto si è verificato nell’ordinamento italiano, né, più in generale, per l’esercizio di un’attività imprenditoriale, da un lato; dall’altro, anche nelle giurisdizioni anglosassoni le fattispecie legittime di spossessamento avrebbero carattere tipico96. Peraltro, va detto che secondo la tesi da ultimo menzionata, sarebbe ammissibile – e suscettibile di essere valutato con un approccio propriamente negoziale, i.e. in termini di meritevolezza – l’affidamento in trust di singoli beni, la cui peculiare natura ne renda opportuno o necessario l’affidamento a un fiduciario in vista di una migliore realizzazione nell’ambito di un progetto liquidatorio o di risanamento, come per esempio potrebbe porsi per la cessione di un portafoglio crediti realizzandi in funzione di un piano di risanamento97. Ancora, sulla base del medesimo parametro andrebbe quindi valutata la legittimità dell’istituzione di un trust al quale patrimonialmente contribuiscano soggetti terzi, ferma l’impossibilità di trasferirvi l’intera impresa. Ricostruito lo stato dell’arte in materia di trust liquidatorio extra-­‐‑
concorsuale, si deve constatare che nessuna delle letture proposte in dottrina è del tutto soddisfacente. Da un lato, non pare infatti potersi aderire alla tesi dell’ammissibilità tout court del trust liquidatorio-­‐‑
extraconcorsuale98, la quale presenta il pregio di avere messo in luce i numerosi punti deboli di una certa giurisprudenza99 , ma non affronta 95
GINEVRA, Crisi, § 5.2; ID., L’utilizzo, 843 ss.
GINEVRA, Crisi, § 6.
97
GINEVRA, Crisi, §8.2; ID., L’utilizzo, 848 s.
98
In part. CAVALLINI, Trust, 1098 ss.
99
Trib. Milano, 29 ottobre 2010; Trib. Milano, 22 ottobre 2009, 79; Trib. Milano, 30
luglio 2009, 82; Trib. Milano, 17 luglio 2009, 632; Trib. Milano, 16 giugno 2009, 539 s.
96
-39-
le questioni di compatibilità sistematica del trust con il diritto della crisi d’impresa, oltre a lasciare aperti una serie di interrogativi più strettamente operativi. Discorso analogo deve essere fatto per le posizioni, più moderate, di coloro che aprono degli spazi – talora, va detto, piuttosto limitati – al trust nelle soluzioni negoziali della crisi d’impresa. In generale dallo studio dei contributi fino a ora dedicati al tema si trae l’impressione che, in maniera sicuramente inconsapevole, il problema sia stato trattato con un atteggiamento piuttosto acritico nei confronti di alcune nozioni che, in materia di trust, sembrano date ormai per scontate, senza chiedersi quale sia il significato che queste assumono – se esistenti – negli ordinamenti di common law. D’altro canto, manca qualsivoglia osservazione di diritto comparato o straniero, mentre vista la natura transnazionale delle tematiche analizzate, uno sguardo ai rapporti e alle contaminazioni tra trust e diritto lato sensu fallimentare nei sistemi anglosassoni sarebbe stato forse opportuno. Ciò non significa che si debba necessariamente aderire alla teoria che chiude radicalmente le porte al trust nella crisi d’impresa (e nelle procedure concorsuali: v. ultra). Anzi tutto, come si è cercato di mettere in luce, limitarsi a far discendere l’inammissibilità del trust liquidatorio dalla contrarietà al trust interno, sebbene sia una soluzione comprensibile e conferente con le premesse, equivale a rinunciare a tentare di risolvere i problemi che possono porsi nella sovrapposizione tra disciplina della crisi e trust non solo interno, ma anche internazionale. Infine, la tesi da ultimo esposta 100 non appare del tutto condivisibile. Per un verso, il dato comparatistico richiamato consente di giungere anche a conseguenze diverse da quelle che se ne traggono, segnatamente in merito all’inesistenza, negli ordinamenti di common law, di esperienze di applicazione del trust alla crisi d’impresa nonché alla necessaria incompatibilità tra la struttura fiduciaria del trust e esercizio dell’impresa: per quanto attiene al primo profilo, basti pensare – ma si tratta soltanto dell’esempio più eclatante – all’Assignment for the Benefit of Creditors di diritto statunitense 101 , che strutturalmente corrisponde al trust extra-­‐‑concorsuale puramente liquidatorio (v., supra, § 3, lett. a.). Per quanto concerne la seconda affermazione, si può osservare che, quanto meno a partire dal XIX secolo e fino alla prima 100
101
GINEVRA, Crisi, §§ 4 ss.; ID., L’utilizzo, 837 ss.
Cfr., amplius, ultra § 8.
-40-
metà del XX secolo, il trust era ampiamente diffuso negli U.S.A. quale forma di organizzazione dell’attività imprenditoriale alternativa alle società di capitali (business trusts) 102 : ancora oggi, la struttura del business trust è utilizzata nell’ordinamento nordamericano, tanto che è oggetto di specifiche legislazioni in una molteplicità di stati (statutory business trust)103, e di recente è stata proposta l’uniformazione delle differenze al riguardo esistenti (Uniform Statutory Trust Entity Act, 2009)104. Per altro verso, anche l’argomento della tipicità delle ipotesi di “spossessamento”, come risposta alle situazioni di scollamento tra 102
Cfr. SITKOFF, Wills9, § 6; e diffusamente ID., Trust as “Uncorporation”, 32 s.; in
generale sul business trust BOGERT-KOVE, Bogert’s, vol. 5, § 247 A, 182 ss., ove (a 187) si
legge «Business trusts are used for the development of oil and gas, for the operation of a
cemetery enterprise, as a means of furnishing public utility services, and for a variety of other
purposes»; SCOTT-FRACHTER-ASCHER, Scott, vol. 1, § 1.1, 4 s.; v., inoltre, SCHWARCZ,
Commercial Trusts as Business Organizations: Unraveling, 568 s.; ID., Commercial Trusts as
Business Organizations: An Invitation, 331 ss.; MATTHEWS, The Comparative, 285, il quale
spiega le differenze tra U.S. e U.K. in punto di diritto dei beneficiari di porre anticipatamente
fine al trust proprio sulla base della maggiore diffusione negli Stati Uniti dei business trusts. È
interessante notare come le ragioni sottostanti alla scelta del business trust nel corso del XIX
secolo siano individuabili non soltanto nella volontà di perseguire effetti altrimenti preclusi alle
corporations (si v. il Massachussets Trust, nato per eludere il divieto per le società acquistare
la titolarità di beni immobili: BOGERT-KOVE, Bogert’s, vol. 5, § 247, 188 s.), ma anche al
(pregresso) obiettivo di conseguire l’effetto di limitare la responsabilità dei soci di joint stock
company (beneficiari): cfr. TRAUTMAN, Study, e gli autori ivi citati in nota 4, in part. The
Business Trusts, 1052; e v. la reazione contraria di parte della giurisprudenza, riportata da
BOGERT-KOVE, Bogert’s, vol. 5, § 247.F, 198 ss.; analoga evoluzione caratterizza anche il
Regno Unito: cfr. ARMOUR-HANSMAAN-KRAAKMAN, What is Corporate, 19 s.
103
Il più noto, tra gli statutes recenti, è il Delaware Statutory Trust Act del 2001 (Del.
Code Ann., tit. 12, §§ 3801-3862; sul quale v. FRANKEL, The Delaware, 325 ss.); per una
rassegna aggiornata degli atti legislativi si rinvia a BOGERT-KOVE, Bogert’s, vol. 5, § 247, 170,
nota 12. Va detto, tuttavia, che il business trust nell’economia contemporanea non svolge
ormai più – a differenza di quanto accadeva in passato – il ruolo di amministrazione attiva di
un’attività commerciale, essendo invece utilizzato quale strumento di detenzione passiva (e
tendenzialmente risk-averse) di ricchezza: cfr. SITKOFF, Trust as “Uncorporation”, 39;
SCHWARCZ, Commercial Trusts as Business Organizations: Unraveling, 578. Non a caso, i
settori di elezione del business trust, ad oggi, sono quello della gestione del risparmio (fondi
comuni di investimento e fondi pensione) e – di precipuo interesse ai presenti fini, in quanto
connotato dallo scopo della bankruptcy-remoteness: cfr., ultra, § 8, nota 208 – quello della
cartolarizzazione: v. sul punto SCHWARCZ, Commercial Trusts as Business Organizations:
Unraveling, 564; ID., Ring-fencing, 6 ss.; HANSMANN-KRAAKMAN, The Essential, 420 s.;
amplius SCHWARCZ-MARKELL-BROOME, Securitization, 37 ss.; LEVITIN-GELPERN, Rewriting,
1082 s. e 1093 ss. Ciò non toglie, comunque, che parlare di radicale e intrinseca
incompatibilità tra trust e attività d’impresa non possa considerarsi coerente con le radici
storiche sia del trust sia della corporation; a ulteriore prova di ciò, basti pensare che lo schema
del trust è al centro di (radicali) proposte di riforme della governance societaria: v. MAYER,
Firm, passim; e che in Sudafrica il trust è correntemente usato quale business organization:
HONORÉ, On Fitting, 5.
104
Al riguardo v. RUTLEDGE-HABBART, The Uniform, 1055 ss.
-41-
“proprietà” e “controllo” può condurre in ultima analisi a risultati non univoci. Oltre a rilevare che l’esistenza stessa di un principio di corrispondenza tra potere e rischio è messa in dubbio da parte della dottrina105, si deve, infatti, prendere atto che nell’ordinamento esistono concretamente altre fattispecie di separazione tra cash flow rights (“proprietà”) e control rights (“controllo”) dell’impresa che non sembrano né sottostare alla regola della tipicità106 né essere oggetto di attenzione specifica da parte del legislatore107, e che, dunque, in tale sistema non troverebbero spiegazione nel paradigma della tipicità. Infine, detta tesi – volendo estremizzarne le conseguenze – finirebbe in ultima analisi per privare di ogni legittimità anche gli accordi di ristrutturazione e i piani di risanamento i quali, come noto, vengono usualmente posti in essere in situazioni di crisi e/o di insolvenza manifesta, e cioè nel momento in cui dovrebbe, in ipotesi, essere necessariamente attivato l’ombrello giudiziale del fallimento (o del concordato). In siffatta ottica pertanto, non sarebbe, in ultima analisi, tanto il trust a essere elemento determinante della illegittimità degli effetti perseguiti dall’autonomia negoziale, quanto il fine stesso di tentare una soluzione stragiudiziale che si sostituisca alla – o, 105
Il tema può, in questa sede, essere soltanto accennato: cfr., per una critica alla
fondatezza del binomio potere-rischio, DENOZZA, Responsabilità, 209 ss.; VASSALLI,
Responsabilità, 157 ss.; sul punto, v. anche REGOLI, in AA.VV., Diritto delle società, 56 s.,
nell’ambito della problematica dell’amministratore non socio; nella manualistica, GALGANO,
Diritto, 66, ove ulteriori riferimenti; PRESTI-RESCIGNO, Corso, 23 s.
106
Il caso più eclante è quello, assai controverso, dei gruppi piramidali, che
notoriamente rappresentano un classico caso di separazione tra il potere di controllo
dell’attività e le conseguenze economiche della gestione (proprietà). Discussa rimane,
comunque, l’opportunità di un intervento del legislatore sul fenomeno: v., nella dottrina
italiana, le contrapposte opinioni di MONTALENTI, I gruppi, 318 ss.; e ENRIQUES, Gruppi, 698
ss. A livello comparato, cfr., da ultimo, la proposta di BEBCHUCK, Corporate, 21 ss. La
diversità di opinioni, peraltro, potrebbe essere riconducibile anche alla circostanza che le
evidenze empiriche sulle conseguenze macroeconomiche del fenomeno dei gruppi piramidali
non hanno fino a ora fornito indicazioni univoche: cfr., da un lato, CLAESSENS, FAN-LANG, The
Benefits, 1 ss.; DE JONG-DEJONG-HEGE-MERTENS, Leverage; BIANCO-NICODANO, Pyramidal,
937 ss.; VOLPIN, Governance, 61 ss.; una diversa prospettazione è articolata da ALMEIDAWOLFENZON, A Theory, 2637 ss.; ALMEIDA-PARK-SUBRAHMANYAM-WOLFENZON, The
Structure, 447 ss.; BELCREDI-CAPRIO, Separation, 171 ss.
107
A meno di non volere considerare la disciplina dell’attività di direzione e
coordinamento di cui agli artt. 2497 ss. c.c. come risposta adeguata dell’ordinamento alle
problematiche dei gruppi piramidali: al riguardo possono nutrirsi dubbi, anche in ragione degli
specifici interrogativi che emergono in tali situazioni, considerato poi che il menzionato
apparato normativo regola il fenomeno dei gruppi nel suo complesso, e non specificamente di
quelli piramidali.
-42-
comunque, escluda temporaneamente l’applicazione della – concorsualità. Tale soluzione interpretativa, tuttavia, nel segnare una netta cesura con le precedenti criticate tesi, tutte permeate dall’impostazione propriamente “negoziale”, fissa il dato di partenza da cui muovere per la prosecuzione del discorso, e cioè lo spostamento dell’impostazione dell’analisi da una prospettiva contrattualistico-­‐‑civilistica a quella propria del diritto dell’impresa, e specificamente della crisi dell’impresa societaria. Per i motivi sopra esposti, gli ulteriori sviluppi dell’indagine passano necessariamente per una ricostruzione degli aspetti patrimoniali e organizzativi del trust negli ordinamenti di common law. 7. Le dinamiche patrimoniali conseguenti alla costituzione di un trust. – Dal momento che sono esclusi dall’ambito oggettivo di applicazione della XV Convenzione i trusts di fonte “legale”108 – situazioni nelle quali a una posizione di fatto viene ricondotta l’esistenza un’obbligo fiduciario in capo a un soggetto nei confronti di un altro, a cui viene riconosciuta una proprietà beneficiaria, a prescindere dalla volontà dei soggetti coinvolti (constructive e resulting) 109 –, in questa sede l’attenzione si focalizzerà sugli express private trusts, i quali trovano la propria origine in una manifestazione dell’autonomia privata. Sulla base dei profili strutturali di siffatta categoria, è utile distinguere l’ipotesi in cui il settlor esprime l’intenzione che alcuni beni siano detenuti in trust per determinati soggetti (beneficiari) da parte di un trustee, al quale viene trasferita la proprietà degli stessi, da quella in cui egli dichiara di 108
CONTALDI, Voce Trust, 498.
Nel diritto inglese cfr. THOMAS-HUDSON, The Law, §§ 1.20 ss., 19 s., che utilizzano
l’espressione implied trusts per indicare entrambe le ipotesi; HAYTON-MATTHEWS-MITCHELL,
Underhill, §§ 3.1. ss., 79 ss., abbandonando però la locuzione implied trusts. Anche e
soprattutto nell’ordinamento statunitense è stato posto l’accento sulla diversità fra i resulting
trust, nei quali l’intenzione viene presunta al ricorrere di particolari circostanze, e i
constructive trusts, che rappresentano un’imposizione – da parte dell’ordinamento, che
prescinde totalmente dalla volontà dei soggetti coinvolti – volta porre rimedio a un
arricchimento ingiustificato, alla cui disciplina appartengono: v. SCOTT-FRATCHER-ASCHER,
Scott, vol. 1., § 2.1., 33 s. e 39 s.; DUKEMINIER- SITKOFF-LINDGREN, Wills, 214 s.; AMERICAN
LAW INSTITUTE, Restatement (Third) of Trusts, 1 (2003), § 1, e., 8, e il relativo Comment, 13
s.; ID., Restatement of Restitution and Unjust Enrichment (2011), § 54; FRANKEL, Fiduciary
Law (2011), 251 ss.; in ogni caso, si tratta sempre di situazioni che presuppungono un
intervento della legge. Nell’ordinamento di Jersey i trusts imposed by law sono denominati
«presumed» e/o «imposed»: MATTHEWS-SOWDEN, The Jersey, §§ 7.1. ss, 81 ss.; sui
constructive trusts, il riferimento è d’obbligo a WATERS, The Constructive, passim.
109
-43-
detenere in prima persona determinati beni in trust per determinati beneficiari (declaration of trust o «trust auto-­‐‑dichiarato»). Per quanto attiene al diritto inglese, si deve anzi tutto ricordare che per una valida costituzione del trust – nella prima ipotesi – deve essere soddisfatto il requisito delle cc.dd. “tre certezze”, dell’«intention» del disponente, della «subject-­‐‑matter» (beni in trust), degli «objects» (soggetti beneficiari) 110, sulle quali la presente indagine non intende soffermarsi. Affinché il trust si perfezioni, è altresì necessario il trasferimento della proprietà del trust fund al soggetto nominato trustee 111 . Pertanto, si realizza un triplice ordine di “spostamenti” patrimoniali: il disponente perde definitivamente la proprietà dei beni trasferiti al trustee, che ne acquista il legal title, mentre in capo ai beneficiari sorge l’equitable interest nel trust fund. Nel caso della declaration of trust, invece, il trust sorge – oltre alla imprescindibile sussistenza delle richiamate “tre certezze” – senza alcun trasferimento di proprietà tra settlor e trustee, i quali coincidono: di conseguenza, il trustee è titolare del trust fund già al momento della dichiarazione, per effetto della quale i beneficiari acquistano la beneficial ownership sui beni in trust. Nello specifico, nel modello inglese, successivamente alla (e in conseguenza della) creazione del trust cessa ogni rapporto tra il settlor, da una parte, e il trustee, la proprietà in trust, e i beneficiari, dall’altra112. Salva la facoltà del disponente di riservarsi alcuni limitati poteri113, il suo ruolo è di regola esclusivamente quello di «creatore» dello strumento fiduciario, e gli obblighi imposti al trustee dal trust deed sono 110
In diritto inglese, ex multis, v. THOMAS-HUDSON, The Law, § 2.01 s., 43 s., per una
sintesi; per la giurisdizione statunitense cfr., senza pretesa di esaustività, BOGERT-HESS,
Bogert’s, vol. 1, § 1, 8 s.; specificamente su Jersey, MATTHEWS-SOWDEN, The Jersey, §§ 5.9
ss., 53 ss.; nella dottrina italiana, tra i molti, LUPOI, Istituzioni, 42 ss.; ID., Due parole, 211 s.
Non rientra tra gli scopi del presente lavoro fornire una trattazione approfondita dei requisiti di
validità del trust, ma la precisazione si impone atteso che – intuitivamente – il prodursi degli
effetti è condizionato alla valida formazione dell’atto di affidamento.
111
Per il Regno Unito v., in part., HAYTON-MATTHEWS-MITCHELL, Underhill, §§ 9.16
ss., 213 ss. THOMAS-HUDSON, The Law, § 5.03, 112; sulla giurisdizione statunitense SCOTTFRACHTER-ASCHER, Scott, vol. 1, § 5.2.2, 244 s.; specificamente su Jersey, MATTHEWSSOWDEN, The Jersey, § 5.62 s., 70; in lingua italiana LUPOI, Istituzioni, 12 s.; ID., Due parole,
211 s.
112
THOMAS-HUDSON, The Law, § 1.37 s., 25; HAYTON-MATTHEWS-MITCHELL,
Underhill, §§ 1.1, 3 s.
113
In realtà, a determinate condizioni sono possibili anche «revocable trusts». I limiti
sono particolarmente ristretti nel modello inglese per evitare di incorrere in sham (HUDSON,
Equity, § 2.36, 60 s.; HAYTON-MATTHEWS-MITCHELL, Underhill, §§ 4.7 ss., 89 ss.;
sull’applicazione della sham doctrine ai trusts v., ora, CONAGLEN, Sham, 176 ss.).
-44-
dovuti (e azionabili d)ai beneficiari soltanto. Dall’impostazione tradizionale si discosta, a seguito di un recente intervento normativo, la disciplina di Jersey, dove i margini di discrezionalità del settlor sono decisamente ampi: quest’ultimo può, di fatto, attribuirsi il potere di revocare il trust, senza il rischio che ciò possa determinare lo sham dello strumento114. Più complesso è invece il discorso relativamente alla disciplina statunitense, dove gli express trusts possono essere suddivisi (quanto meno) in due categorie: quella analoga al modello “tradizionale” britannico (irrevocable), da una parte, e quella dei revocable trusts, nei quali il disponente trattiene il potere di revocare e, pertanto, fare cessare il trust. L’importanza di detta categoria è tutt’altro che secondaria, se si considera che: il § 602 dell’Uniform Trust Code – recepito da alcuni Stati 115 – introduce, in mancanza di una scelta espressa del settlor, una presunzione di revocabilità del trustee da parte del primo; similarmente, pure la § 63 (2) del Restatement (Third) of Trusts116 prevede la presunzione di revocabilità del trust dipendente dalla circostanza che il disponente abbia mantenuto un “interest” nei beni in trust. Si deve osservare, tuttavia, che ai fini della presente indagine può mantenersi come modello di riferimento quello dell’irrevocable trust – nel quale il rapporto tra settlor e trust è identico a quello del trust 114
Consentire ai settlors una più ampia ritenzione di poteri – e, per converso, limitare
gli spazi dello sham – era uno degli obiettivi della novella del 2006. Cfr., ora, § 9A, (1) e (2)
(a), Trust (Jersey) Law; HARVEY-HILLS, Jersey, 251 s.; ciò, del resto, conformemente alle altre
giurisdizioni offshore: PANICO, International, §§ 1.163 ss., 65 ss., il quale mette in luce come, a
prescindere dal “rischio sham”, la riserva di poteri (tra i quali quello di revoca) a favore del
disponente può comunque essere fonte di criticità (inter alia, in termini di: fiscalità; inefficacia
dello strumento fino alla morte del settlor; difetto di intenzione di costituire il trust) negli
ordinamenti nei quali il trust offshore vorrebbe produrre i suoi effetti §§ 1.177 ss., 69 ss.
115
L’Uniform Trusts Code (UTC) è stato adottato dalla National Conference of
Commissioners on Uniform State Laws (o Uniform Law Commission, «ULC») nel 2000 (e
rivisto nel 2010). Si deve tenere presente che gli atti emanati dall’ULC sono privi, in quanto
tali, di valore normativo, essendo proposte di “codificazione uniformante” dalla provenienza sì
assai autorevole (cfr. SCOTT-FRACHTER-ASCHER, Scott, vol. 1, § 1.11, 28: «the single most
influential force in shaping the statutory development of American trust law»), ma la cui
trasposizione in legge formale rimane nella discrezione dei singoli Stati, i quali sono inoltre
liberi di alterarne il contenuto: al 2013, l’UTC era in vigore in ventisei Stati: cfr. SITKOFF,
Wills9, 5, e nota 6.
116
Parallela alle iniziative dell’ULC si pone l’attività svolta dall’American Law
Institute: il primo volume del Restatement (Third) of Trusts è stato pubblicato nel 2003 e
l’ultimo nel corso del 2012. Tuttavia, come fa notare SITKOFF, Wills9, 5, le soluzioni adottate
dal Restatement, spesso, non sono meramente compilative delle precedenti regole di common
law, ma sono dotate di valenza (anche significativamente) innovativa.
-45-
inglese117 –, dal momento che il trust revocabile funge esclusivamente quale strumento che permette di sostituire una disposizione testamentaria con un atto inter vivos 118 . Per la verità, ai fini della prosecuzione del discorso rimane comunque di primaria importanza sottolineare che, finché il settlor mantiene il potere di fare cessare il trust (e pertanto di riacquistare ad nutum il trust fund), non solo egli ha il controllo sull’operato del trustee, ma viene ritenuto in ultima analisi ancora proprietario dei beni in trust119, con la conseguenza che gli stessi possono essere direttamente aggrediti dai suoi creditori120. Relativamente alla posizione del trustee, quest’ultimo è considerato il proprietario del trust fund, o, rectius, titolare at law (legal title); tuttavia, come risaputo, i beni in trust non sono disponibili per i soddisfacimento dei crediti personali del trustee (o di quelli contratti in relazione a un altro fondo in trust detenuto dal medesimo soggetto)121, il quale – inquadrando il fenomeno da un’ottica continentale, in origine sconosciuta alla common law122, nonostante il concetto di «patrimonio separato» abbia, nel corso degli ultimi decenni, fatto ingresso nella letteratura di common law123 – risulta così titolare di un “patrimonio separato” (o di una pluralità di patrimoni, tanti quanti sono gli incarichi di trustee distintamente ricoperti), che non è mai soggetto alle pretese dei creditori personali del trustee e che egli deve amministrare e gestire in vista di una futura consegna ai beneficiari, titolari di un interest in equity sui beni in trust («equitable ownership»). L’osservazione da ultimo riportata conduce alla trattazione della posizione dei beneficiari: infatti, è a ben vedere legata a doppio filo 117
Cfr., per tutti, HESS-BOGERT-BOGERT, Bogert’s, vol. 1, § 42, 445 ss.
SITKOFF, Trust Law, 19 s.; DUKEMINIER-SITKOFF-LINDGREN, Wills, 436 ss.; SCOTTFRACHTER-ASCHER, Scott, vol. 1, § 8.2.1., 404.
119
SITKOFF, The Economic, 20.
120
AMERICAN LAW INSTITUTE, Restatement (Third) of Trusts, 1 (2003), § 25, e., 386 s.
121
HAYTON-MATTHEWS-MITCHELL, Underhill, §§ 39.3, 611; THOMAS-HUDSON, The
Law, § 9.23, 241; per l’ordinamento statunitense BOGERT-BOGERT-HESS, Bogert’s, vol. 3, §
146, 55 ss.; SCOTT-FRACHTER-ASCHER, Scott, vol. 1, § 2.3.8.4, 109 s. Nella dottrina italiana
JAEGER, La separazione, 189 ss.
122
Il concetto di patrimonio è noto, tuttavia, ad alcuni sistemi misti, tra i quali si
possono annoverare l’ordinamento (nonché il trust) scozzese: GRETTON, Trusts, 619 s.; REID,
Patrimony, 22 ss.; HAYTON, The nature, 72; nella letteratura italiana, REALI, Un modello, 182
ss. Lucidamente, con riferimento all’ordinamento inglese, MATTHEWS, From Obligation, 213
ss., nettamente contrario a siffatto inquadramento, definito dall’A. quale «the “patrimony”
confusion». Il dato merita di essere evidenziato e tenuto fermo in quanto assumerà notevole
importanza per gli sviluppi dell’indagine.
123
Si intende fare riferimento alle teorie dell’asset partitioning, per un accenno alle
quali v., infra, nota 125.
118
-46-
all’attribuzione a questi ultimi della equitable ownership124 sul trust fund e dei diritti, di natura essenzialmente “proprietaria”, che ne scaturiscono 125 . I riflessi più evidenti della natura “reale” della 124
L’esistenza dei c.d. discretionary trusts, nei quali spetta al trustee il compito di
individuare il beneficiario (o i beneficiari) all’interno di una classe di soggetti che rispondano
ai requisiti stabiliti dal settlor all’atto dell’istituzione del trust (v. HUDSON, Equity, 26;
HAYTON-MATTHEWS-MITCHELL, Underhill, 97 ss.; MATTHEWS-SOWDEN, The Jersey, 58) non
scalfisce l’osservazione formulata nel testo: dal momento in cui il trustee effettua la scelta, il
beneficiario è immesso in una posizione beneficiaria che non si differenzia da quella
“generale”.
125
Per la verità, la natura dei diritti dei beneficiari in termini “proprietari” – con
l’avvertenza che l’ambito della “realità” di common law è differente da quello di civil law: cfr.,
ex multis, MATTHEWS, From obligation, 210 s.; HANSMANN-KRAAKMAN, Property, 375 s.;
MERRILL-SMITH, Optimal, 3 ss.; MAZZAMUTO-CASTRONOVO, Manuale, 26 ss.; ampiamente,
MOCCIA, Il modello, 50 ss.; REALI, Un modello, 171 – o contrattuali, da cui discende
l’inquadramento in un senso o nell’altro dell’istituto “trust”, è una vexata questio, sulla quale la
produzione scientifica è sterminata e che risale alle note contrapposizioni tra MAITLAND,
Equity, 43 ss. (dello stesso tenore, nella dottrina americana degli albori, LANGDELL, Brief, 55
ss.) e SCOTT, The Nature, 269 ss (cfr., anche per ulteriori riferimenti REALI, Un modello, 166
ss.). Nel panorama dottrinale contemporaneo vi sono tre principali correnti: la prima,
riallacciandosi dichiaratamente a MAITLAND, sostiene il carattere fondamentalmente
contrattuale del trust (LANGBEIN, The Contractarian, 625 ss.; ID., The Secret, 165 ss.; un
paradigma “contrattualistico” più elaborato viene elaborato da SITKOFF, An Agency, 621 ss., il
quale però in un secondo momento non disconosce la valenza proprietaria del trust: v. infra in
questa nota); la seconda, nel solco di SCOTT, sostiene invece il sostrato strettamente
“proprietario” delle prerogative dei beneficiari e dunque del trust [ex multis, v. SCOTTFRACHTER-ASCHER, Scott, vol. 3, § 13.1, 808 ss.; PENNER, Duty, 210 ss.; ID., The Law, 2006;
MATTHEWS, The Comparative, 290 ss.; BOGERT-BOGERT-HESS, Bogert’s, vol. 3, § 183, 510 s.;
WATERS, The institution, 273 ss.; LAU, The Economic, passim; RESTATEMENT (THIRD) OF
TRUST, Reporter’s General Note to § 2, 28 ss. (2003)]; secondo la terza tesi (riconoducibile a
HANSMANN-MATTEI, The Functions, 469; e HANSMANN-KRAAKMANN, The Essential, 387 ss.;
l’impostazione è stata fatta propria anche da SITKOFF, Trust Law, 7 ss.) il trust non andrebbe
ricondotto né alla property né ai contracts, bensì all’autonomo settore dell’organizational law:
il trust, infatti, in virtù dell’asset partitioning che determina tanto in capo al trustee (defensive)
quanto relativamente al patrimonio dei beneficiari (affirmative) – mediante la clausola
spendthrift (sulla quale v., ultra, § 8.2, testo e nota 215) –, finisce per svolgere le funzioni
proprie di una legal entity; in mancanza di un intervento dell’ordinamento, che disciplina il
nucleo strutturale essenziale del trust in termini proprietari (HANSMANN-MATTEI, The
Functions, 472; HANSMANN-KRAAKMANN, The Essential, 440), gli effetti di standardizzazione
dell'organizzazione dei rapporti intercorrenti tra soggetti principali e i terzi sarebbero de facto
non conseguibili dall’autonomia privata con gli strumenti contrattuali. Come è facile percepire,
optare per il campo contrattuale o proprietario (quand’anche nella più sofisticata versione della
legal entity) rappresenta una scelta con notevoli ricadute non solo a livello sistematico, ma
anche ai fini della presente indagine. Con siffatta consapevolezza, pare ragionevole sostenere
che è preferibile la tesi della “realità” della posizione e delle prerogative beneficiarie: ciò non
solo e non tanto perché siffatta opinione è, a ben vedere, assolutamente prevalente tanto nel
diritto inglese quanto in quello statunitense (nonché in quello di Jersey: v. già MATTHEWSSOWDEN, The Jersey, § 1.20, 8; e, ora, la decisione della Royal Court sul caso Grupo Torras
SA – in Re Esteem Settlement [2002] JLR 53, parr. 86 ss., 92 s. –, sulla quale cfr. THOMASHUDSON, The Law, § 40.114 s., 1106 s.), ma soprattutto perché gli aspetti proprietari del trust
vengono alla fine riconosciuti anche dai “contrattualisti”: esplicitamente SITKOFF, Trust Law,
10, più velatamente LANGBEIN, The contractarian, 669, «Trust is a hybrid of contract and
-47-
posizione beneficiaria – nonché i più interessanti nel contesto dell’analisi – si apprezzano su due distinti ma collegati piani, quello dei rapporti tra le vicende patrimoniali del trustee e i beni in trust, da una parte, e quello degli strumenti giuridici accordati ai beneficiaries per la protezione del valore del fondo in trust, specialmente (ma non soltanto) in caso di breach of trust del trustee, dall’altra. Come si accennava, peculiarmente sintomatica della natura reale della posizione beneficiaria è la disciplina dei rapporti tra le vicende patrimoniali del trustee e beni in trust. Di particolare interesse al riguardo è notare che non solo durante una fase fisiologica i creditori personali del trustee non possono soddisfarsi sulla proprietà dal property, and acknowledging contractarian elements does not require disregarding property
components whose convenience abides», atteso che non è in grado di spiegare gli strumenti di
tutela reintegratoria del trust fund (cfr. infra, testo e note). Beninteso, con ciò non si intende,
evidentemente, negare la possibile esistenza di ulteriori modelli di trusts nei quali le pretese
del beneficiario siano (o possano essere) puramente personali. Ciò avviene, tendenzialmente, in
alcuni sistemi c.d. misti: e.g., v. Scozia, dove l’idea del trust, in difetto di una nozione
proprietaria della posizione beneficiaria (e ancora a monte, di una bipartizione tra law e
equity), è accostabile a quella civilistica di patrimonio autonomo (cfr. GRETTON, Trusts, 608
ss.; REID, Patrimony, 22 ss.; REALI, Un modello, 161); il Sudafrica, che si caratterizza per
l’avvicinamento del trust a un «office» – i.e. un munus quali possono essere, nel nostro
ordinamento, la tutela e la curatela – e per la mancanza del tracing, pur potendo in realtà ai
beneficiari spettare la piena proprietà dei beni in trust (HONORÉ, Obstacles, 801 ss.; ID., On
Fitting, 6 s.; HONORÉ-CAMERON, Honoré’s, 16); la Louisiana [dove peraltro vi è maggiore
incertezza relativamente alla qualificazione del diritto del beneficiario e corrispondentemente
della titolarità del trustee: cfr. Art. 1781 Louisiana Trust Code, con YIANNOPOULOS, Property,
§ 236, 479 ss. («the “title” of the trustee is merely a power of administration and disposition
rather than ownership. Despite the legislative formulation, the ownership of the trust property
is vested in the principal beneficiary») e CHALMERS, Ownership, 144 («the solution offered by
Yiannopoulos adopts exactly the distinction whicht it seeks to resist»)]. Inoltre, anche nella
dottrina italiana moderna è prevalente la riconduzione alla realità tanto della fattispecie
fiduciaria [in particolare GINEVRA, Partecipazione, in part. 92 ss., il quale ricostruisce in
chiave “reale” – specificamente possessoria – il fenomeno fiduciario, in particolare per la
giustificazione dei poteri e degli obblighi del fiduciario; peraltro, anche l’A. (a 135 s.) si
esprime nel senso del carattere proprietario dei rimedi del beneficiario con riferimento al trust
anglo-americano], quanto specificamente del trust: GAMBARO, Voce Trust, 456; ID., Il diritto,
634 ss.; fa eccezione, come noto, la posizione di LUPOI, il quale è al contrario fautore del
carattere personale della posizione beneficiaria. Le superiori considerazioni non paiono scalfite
dal noto caso Webb v. Webb (ECJ, 17 maggio 1994, C-294/92): la Corte di Giustizia
dell’Unione Europea, al contrario di quanto le viene spesso attribuito (v., e.g., BARTOLI), non
ha in via generale statuito che le prerogative del beneficiario abbiano carattere personale, ma –
più limitatamente – che non è di natura proprietaria l’azione del beneficiario (di un resulting
trust, peraltro) esercitata nei confronti del trustee al fine di ottenere l’adempimento del
medesimo ai suoi obblighi fiduciari. Siffatta impostazione sembra, in realtà, del tutto in linea
con la tradizione anglosassone, nella quale il beneficiario, oltre alla tutela reale, dispone di
diritti personali nei confronti del trustee: v. THOMAS-HUDSON, The Law, §§ 7.02 s., 160;
HAYTON-MATTHEWS-MITCHELL, Underhill, § 2.11, 77; cfr. altresì MOFFAT, Trusts, 237 s. e i
contributi ivi citati.
-48-
medesimo detenuta in trust, ma nemmeno in caso di assoggettamento del trustee a fallimento o altra procedura concorsuale i cespiti in trust contribuiscono a comporre la massa fallimentare attiva. Il trust fund non può mai, pertanto, essere aggredito dai creditori del trustee, e, nel caso di fallimento, non vengono trasferiti al «trustee in bankruptcy»126: ciò proprio in quanto sono e rimangono equitable ownership dei beneficiari127. Alla regola esposta fa in apparenza “eccezione” – ma si tratta in realtà di conseguenza consistente con le premesse –, il soddisfacimento dei debiti contratti dal trustee nell’amministrazione della proprietà fiduciaria: il trust fund èa disposizione, infatti, dei creditori il cui titolo trovi funzionalmente ragione nelle attività gestorie compiute dal trustee rispetto all’amministrazione dei beni in trust128. Per quanto riguarda le tecniche di tutela del fondo in trust, da una parte, viene in rilievo l’eventualità in cui il trustee, in violazione dei generali doveri a cui deve attenersi nell’amministrazione dei beni in 126
Così espressamente l’Insolvency Act 1986 inglese [v. § 283 (3) e cfr. HAYTONMATTHEWS-MITCHELL, Underhill, §§ 39.1 ss., 610 ss.; CALNAN, Proprietary, §§ 1.62 ss., 18 s.
e, in dettaglio, §§ 5.39 ss., 167 ss.; THOMAS-HUDSON, The Law, § 9.23, 241; amplius MOFFAT,
Trusts, 763 ss.; FINCH, Corporate, 648 ss.] nonché il Trust (Jersey) Law, Art. 54, commi 1° e
4° [cfr., prima del 2006, MATTHEWS-SOWDEN, The Jersey, § 9.21, 105] nonché l’U.S.
Bankruptcy Code: 11 U.S.C.A. § 541 (b) (1); cfr. SCOTT-FRACHTER-ASCHER, Scott, vol. 1, §
2.3.8.4., 109 s.; BOGERT-BOGERT-HESS, Bogert’s, vol. 3, § 146, 55 s. (per l’affermazione che i
creditori personali del trustee non possono raggiungere la trust estate, ma senza espresso
riferimento all’insolvenza); HANSMANN-MATTEI, The Functions, 454; tuttavia, qualora il
trustee sia anche uno dei beneficiari, la regola non si applica: NORTON jr., Norton Bankruptcy,
§ 61.15; DREHER-FEENEY-STEPAN, Bankruptcy, § 5.21, 944;
127
Riconducono siffatto aspetto alla natura dominicale del trust non solo i fautori
dell’impostazione più tradizionalmente proprietaria (cfr., supra, nota 124) ma anche quanti
sostengono che sia avvenuta una vera e propria entificazione del trust: HANSMANN-MATTEI,
The Functions, 469 ss.; HANSMANN-KRAAKMANN, The Essential, 440; le medesime
considerazioni sono riprese pure da SITKOFF, Trust as “Uncorporation”, 7 ss., il quale adotta
una visione leggermente differente dell’entificazione: quest’ultima sarebbe solo «funzionale»,
ma non «formale», i.e. non si assisterebbe alla creazione di una persona giuridica in senso
tecnico.
128
Nell’ordinamento britannico, il trustee risponde illimitatamente nei confronti dei
creditori, salvo il suo diritto di rivalersi poi sulla proprietà in trust: HAYTON-MATTHEWSMITCHELL, Underhill, §§ 39.3, 611; THOMAS-HUDSON, The Law, §§ 21.10, ss, 613 ss.
L’ordinamento statunitense si distingue notevolmente sul punto, in quanto i creditori non
personali del trustee possono raggiungere direttamente il trust fund, nei cui limiti (e non oltre)
il trustee risponde, purché non abbia tenuto nascosta la propria “qualifica” di fiduciario: per la
discussione dell’evoluzione sul punto v., diffusamente, SCOTT-FRATCHER-ASCHER, Scott, vol.
4, §§ 26.2 ss., 1876 ss., 1895 ss.; l’impostazione è stata fatta propria, da ultimo, dal
Restatement (Third) of Trusts, §§ 105-106 (2012), che – cfr. l’Introductory Note al Chapter 21,
94 s. – ha esplicitamente abbandonato l’approccio tradizionale “britannico” (a 98 la rassegna
degli Stati che hanno adottato analoghe regole), come in precedenza l’UTC, § 1010 (c); cfr.
altresì SITKOFF, Wills9, 9 s., che lo descrive come «clumsy and formalistic ritual, which [...]
served no purpose».
-49-
trust o di eventuali ulteriori specifici obblighi imposti dall’atto istitutivo, abbia “distratto” parte o la totalità dei beni affidatigli. Di fronte a tale circostanza, i beneficiari hanno a disposizione, oltre alle azioni personali di responsabilità e restituzione nei suoi confronti, i rimedi “reali” del c.d. «following» e «tracing», che si riferiscono non al fiduciario, bensì direttamente al trust fund. Più precisamente, con il following il beneficiario può ottenere la restituzione di un elemento patrimoniale che, in origine componente della trust property, sia stato trasferito a un terzo, salvo il caso in cui quest’ultimo abbia acquistato l’asset a titolo oneroso e in buona fede (bona fide purchaser with value)129. In aggiunta – oppure in via alternativa, quando l’asset trasferito non sia specificamente identificabile o sia stato indistinguibilmente confuso nel patrimonio altrui (mixed funds), o ancora nel momento in cui intervenga il limite della tutela dei terzi di buona fede – il beneficiario può attivare il tracing, che permette di “individuare” gli assets con i quali è stato “sostituito” il bene originario («proceeds») e conseguentemente di “traslarvi” l’equitable interest che il beneficiario vanta nei confronti del bene originario130. Detto processo131 vale tanto nei casi in cui si tratti di 129
Cfr., per il diritto inglese, THOMAS-HUDSON, The Law, §§ 33.15 ss., 985 ss., e §§
33.111 ss., 1023 ss. sulla bona fide purchaser; HAYTON-MATTHEWS-MITCHELL, Underhill, §§
99.5, 1284; L. SMITH, The Law of Tracing, 1997, 6 ss.; nell’ordinamento statunitense l’utilizzo
dei termini following e tracing pare essere maggiormente discrezionale che nel Regno Unito,
fino talvolta a sovrapporsi: SCOTT-FRACHTER-ASCHER, Scott, vol. 4, § 24.6, 1681 s., e 1685 ss.
sull’accountability; ID., vol. 5, §§ 29.1 ss., 1951 ss., sulla regola bona fide purchaser; cfr.
BOGERT-BOGERT, Bogert’s2rvsd, § 866, 93 ss., e dettagliatamente sul tracing §§ 921 ss., 426 ss.;
Restatement (Third) of Trusts, § 100, cmt. a (2), 63 (2012); in lingua italiana cfr. GAMBARO,
Voce Trust, 454 s.; ID., Il diritto, 633 s.; GRAZIADEI, Diritti, 453 ss.
130
Le considerazioni svolte nel testo hanno come primario riferimento il tracing nel
modello britannico, sul quale v. THOMAS-HUDSON, The Law, Capitolo 33, passim, in part.
§33.30 ss., 991 ss.; HAYTON-MATTHEWS-MITCHELL, Underhill, §§ 99.1 ss., 1282 ss.
Nell’ordinamento di Jersey, con la pronuncia In Re Esteem [2002] JLR 53 – prima della quale
il tracing era materia connotata da una notevole incertezza – la Royal Court ha stabilito un
apparato di principi e regole di primaria importanza per detto istituto riassumibili, in estrema
sintesi, come segue. Il tracing fa parte del diritto del trust di Jersey e costituisce rimedio (di
natura reale) a tutela della proprietà, anche beneficiaria; in linea di massima, deve trovare
applicazione la corrispondente disciplina britannica, dalla quale è legittimo deviare per lasciare
spazio a un’alternativa più «fair»; sulla base di siffatte premesse, la Corte decide per un diverso
(e maggiore) ambito di operatività del tracing nel caso di assets confusi nel patrimonio di un
terzo di buona fede (che siano stati usati per «improve an asset already owned»): v. SWANMACKERETH-PASSMORE, Jersey, §§ 3.245 ss, 180 ss.; THOMAS-HUDSON, The Law, §§ 40.114
ss., 1106 ss.; cui adde, sulla vicenda, PANICO, International, §§ 5.60 ss., 212 s. Sul tracing nel
trust nordamericano BOGERT-BOGERT, Bogert’s2rvsd, §§ 921 ss., 426 ss. Si deve notare che, a
differenza del trust britannico, nel diritto statunitense il tracing – peraltro, congiuntamente con
il constructive trust – è considerato non componente di property law bensì dell’unjust
enrichment: AMERICAN LAW INSTITUTE, Restatement of Restitution and Unjust Enrichment, §§
58-61 (2011).
-50-
un bene “sostituto” singolarmente individuabile, e mantenuto distinto, nel patrimonio del soggetto nei cui confronti si agisce («tracing at common law») quanto qualora i proceeds siano confluiti in altri fondi riferibili al defendant così da renderli non più riconoscibili («equitable tracing»)132: è opportuno chiarire che l’azione è esperibile nei confronti del trustee così come di un terzo nella cui sfera giuridica siano traceable i surrogati del trust fund133, in questo secondo caso, però, con notevoli eccezioni. Infatti, si deve segnalare che sia il following sia il tracing incontrano significative limitazioni quando azionati contro i terzi: mentre la possibilità di recuperare i beni “sostituto” che si trovino nella disponibilità del trustee (e/o del terzo che abbia partecipato o ad alcun titolo cooperato alla violazione dei doveri fiduciari 134 ) è tendenzialmente illimitata, la situazione è notevolmente differente qualora il tracing (o il following) sia azionato nei confronti di un terzo estraneo all’illecito fiduciario. Il limite più significativo è rappresentato dall’applicazione della regola c.d. «bona fide purchaser for value without notice», che, nel disciplinare il conflitto tra il diritto di sequela reale dei beneficiari e il terzo che abbia acquistato il bene oggetto di distrazione (following) o il suo equivalente (tracing), attribuisce la prevalenza a quest’ultimo, a condizione che: si tratti di acquisto a titolo oneroso a un prezzo di mercato; l’acquirente fosse in “buona fede”; l’acquirente non fosse a conoscenza dei diritti vantati dal beneficiario sul bene. Ma anche in questa ipotesi, tuttavia, il valore dell’equitable ownership del beneficiario viene reintegrato, nella parte in cui si accresce di quanto ricevuto dal trustee quale corrispettivo per il trasferimento. 131
Il tracing è infatti un processo di identificazione della trust property e della sua
evoluzione, non uno specifico rimedio: v. THOMAS-HUDSON, The Law, § 33.14 ss., 984 s.; L.
SMITH, The Law, 10 ss.; BIRKS, Mixing, 69 ss.; nella letteratura comparatistica italiana v., al
riguardo, GRAZIADEI, Diritti, 453 s.; MONATERI, Trust: fiducia, 278.
132
Sebbene Lord Millet, in Foskett v. McKeown [2001] 1 AC 102, 128, abbia escluso
l’esistenza di siffatta distinzione, essa pare ancora diffusa nella produzione manualistica e
monografica sul tema: v., infatti, THOMAS-HUDSON, The Law, rispettivamente §§ 33.21 ss.,
988 ss., e §§ 33.30 ss., 991 ss.; CALNAN, Proprietary, §§ 7.27 ss., 261 ss., e §§ 8.01 ss., 295 ss.
133
Per il diritto inglese THOMAS-HUDSON, The Law, §§ 33.37 ss.; cfr. HAYTONMATTHEWS-MITCHELL, Underhill, §§ 99.1, 1282 ss. con ID., §§ 90.1 ss., 1150 ss.; per quello
statunitense BOGERT-BOGERT, Bogert’s2rvsd, § 868, 109 ss.; SCOTT-FRACHTER-ASCHER, Scott,
vol. 5, § 29.1.8, 1977 ss.
134
Situazione nella quale viene imposto un constructive trust in capo a tale soggetto: v.
THOMAS-HUDSON, The Law, §§ 30. 15 ss., 877 ss.; HAYTON-MATTHEWS-MITCHELL,
Underhill, 98.1 ss., 1239 ss.
-51-
Il che si giustifica – venendo così a trattare del secondo profilo della tutela della proprietà beneficiaria –, ove si consideri che il diritto del beneficiario va più correttamente inteso un diritto non tanto su specifici beni, quanto un diritto a mantenere inalterato il valore complessivo dei beni in trust, anche a prescindere dalla sussistenza o meno di una responsabilità del fiduciario. L’interest del beneficiario, mentre cessa con riferimento ai singoli cespiti (propriamente o impropriamente) dei quali il trustee dismette il legal title in una transazione con un terzo di buona fede a condizioni di mercato, si estende ai beni che entrano nella disponibilità del trustee in conseguenza di tali atti, compiuti in esecuzione di ordinarie attività di gestione (e manutenzione) della trust property 135 . Nel complesso, a prescindere dalle significative limitazioni all’operatività del tracing e del following da ultimo richiamate, la posizione beneficiaria si risolve a ben vedere in un diritto reale su un «fund», direttamente riferito al suo valore, che comprende dunque tutte le entità materiali-­‐‑patrimoniali nelle quali il fund si manifesta e si trasforma136. Tenuto conto degli aspetti patrimoniali del trust sopra sommariamente descritti, si tratta, dunque, di capire se le fattispecie concrete di trust liquidatorio extra-­‐‑concorsuale possano ritenersi compatibili con il nucleo di principi inderogabili che informa la 135
La caratteristica riportata nel testo è nota in diritto inglese, in particolare per i trust di
immobili, come overreaching: v. FOX, Overreaching, 95 ss.; THOMAS-HUDSON, The Law, §
59.75, 1570 s., con specifico riferimento al trust of land; LAU, The Economic, 129.
Analogamente, alla natura proprietaria del fenomeno fiduciario viene generalmente ricondotta
la c.d. «accountability» del trustee, ossia quella regola per la quale degli incrementi
patrimoniali apportati al trust fund vanno a incrementare la posizione beneficiaria – anche in
assenza di una violazione dei doveri fiduciari (SCOTT-FRACHTER-ASCHER, Scott, vol. 4, § 24.7,
1682 ss.) ma in particolare – quando il fiduciario abbia conseguito dei profitti facendo uso
impropriamente personale dei beni in trust: c.d. disgorgement of profits. Cfr. GINEVRA,
Partecipazione, 113, testo e nota 18.
136
Nel trust di common law si tratta di un’idea di fondo – di recente esplicitata e
formalizzata in dettaglio da LAU, The Economic, passim, ma in part. 137 ss.; in precedenza,
oltre i cenni in FOX, Overreaching, 109; PENNER, Duty, 207 ss., cfr. in part. RUDDEN, Things
as Things, 89 s. – da sempre immanente alle dinamiche proprietarie del trust (sui “criptotipi”
SACCO, Legal, 385 ss.; ID., Sistemi, 7 s.), che già è stata messa in luce da parte della letteratura
italiana: da ultimo MONATERI, Trust, 277: «Il suo [del trust] oggetto è un fund, ovvero qualcosa
che permane anche al mutare di tutte le sue componenti»; cfr. altresì, sul punto, GAMBARO,
Voce Trust, 455; ID., Il diritto, 635: «è difficile dubitare che il beneficiary sia protetto
mediante rimedi reipersecutori e che quindi i suoi interessi ricevano una tutela di tipo reale
piuttosto che di carattere creditorio, ma al di là di simili problemi di classificazione, è
opportuno osservare come la protezione dell’interesse del beneficiary transiti integralmente
attraverso la tutela reintegratoria del trust fund» (enfasi aggiunta); MOCCIA, Il modello, 131
ss., 142 ss.
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disciplina della crisi d’impresa e delle sue soluzioni non concorsuali. Coerentemente con l’impostazione dell’itinerario dell’indagine, detto giudizio di compatibilità137 ha qui come suo principale oggetto l’analisi delle ipotesi nelle quali si preveda l’affidamento dell’intera impresa sociale, da parte di una società trustor in stato di crisi (o d’insolvenza), a un trustee, con il compito di gestirla (e/o liquidarla) nell’interesse dei beneficiari – identificati nella generalità dei creditori sociali –, talvolta in esecuzione (o in vista di un’imminente raggiungimento) di un accordo di ristrutturazione (o di un piano di risanamento), molto spesso senza stabilire un preciso termine di durata 138 . E si prevede altresì l’attribuzione alla settlor di una posizione beneficiaria “residuale” il cui diritto alla restituzione del trust fund è condizionato alla buona riuscita del risanamento o – nel caso si tratti di programma liquidatorio – all’esistenza di un residuo attivo dopo la soddisfazione integrale di tutti i creditori. A tale fine è necessario esplicitare quali siano le conseguenze che scaturiscono nelle sfere giuridiche dei soggetti coinvolti da un’istituzione di un trust. Tenendo presente quanto analizzato, si può osservare che: la società disponente si spoglierebbe, a titolo gratuito e in via potenzialmente definitiva, del suo intero patrimonio e assumerebbe un ruolo del tutto passivo, latente il suo interesse a rientrare in possesso dell’azienda (una volta ristrutturato il debito) o quello dei soci alla liquidazione di un eventuale residuo attivo139; il trustee acquisterebbe la titolarità dell’impresa, la quale costituirebbe un cespite separato dal restante suo patrimonio personale (o dai beni detenuti in trust per altri soggetti) e esente dalle azioni dei suoi creditori personali; i creditori verrebbero immessi nella posizione beneficiaria e acquisirebbero, quindi, la beneficial ownership dell’impresa e le azioni reali a tutela della stessa (oltre alle azioni personali di responsabilità contro il trustee). Ne discende che un successivo fallimento del trustee non inciderebbe sul trust fund, che non farebbe parte dell’attivo fallimentare e nei cui confronti i creditori manterrebbero immutate le rispettive 137
Che pone una pluralità di ulteriori quesiti. In questa sede, si prenderanno in esame
soltanto gli aspetti patrimoniali, prescindendo per il momento da ogni considerazione di tipo
organizzativo, che sarà affrontata ultra nel § 9.
138
Salvo la ricordata esperienza esperienza decisa dai Tribb. di Udine e Pordenone.
139
Peraltro, l’ampiezza dei poteri che alcuni degli statuti analizzati riservano al
disponente è tale che in questi casi il trust verrebbe considerato sham persino in una
giurisdizione offshore quale Jersey: Trib. Reggio Emilia, 14 marzo 2011; Trib. Milano, 11
novembre 2011; Trib. Milano, 12 marzo 2012.
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prerogative beneficiarie. Del pari – dando per assunta la definitività del trasferimento al trustee: questione che verrà approfondita nel successivo paragrafo § 8.2 –, nell’eventualità del fallimento del settlor, l’impresa veicolata in trust non sarebbe attratta nella massa attiva a disposizione della procedura, ma formerebbe garanzia patrimoniale (soltanto) per i creditori-­‐‑beneficiari, i quali (proprio poiché continuerebbe il trust) potrebbero deciderne le sorti140. Proprio facendo leva sulla «segregazione» che si verificherebbe avuto riguardo alle suddette conseguenze in caso di fallimento, i commentatori delle esperienze tanto del trust interno quanto del trust 140
In merito, vengono in rilievo due questioni sollevate dalla letteratura italiana. Anzi
tutto, l’effetto “sanante” dell’introduzione di una «clausola di salvaguardia», la cui struttura
potrebbe essere o quella di una condizione risolutiva collegata all’apertura del fallimento e a
cui consegua la restituzione del trust fund al settlor e quindi al curatore (cfr. LUPOI, Due
parole, 211 s; cui adde gli Autori citati supra in nota 78 e, in giurisprudenza, Tribunale di
Milano, 25 ottobre 2010; Tribunale di Mantova, 18 aprile 2011) oppure di una trasformazione,
anch’essa dall’operatività condizionata alla dichiarazione di fallimento, in un bare trust, per
effetto della quale il trustee diventerebbe mero titolare passivo dei beni, soggetto alle direttive
della curatela [LUPOI, Due parole, 212, ipotesi che l’A. reputa preferibile, in particolare se
nell’ambito di un purpose trust (non si porrebbe il problema di spiegare, in questo caso, come e
per quale motivo al curatore verrebbe riconosciuta una posizione beneficiaria)]. Al riguardo,
sembrano pienamente condivisibili le osservazioni di MURITANO, Note, 9, secondo il quale «o
il trust è nullo per violazione di norme imperative, e allora la presenza della clausola non sarà
certo strumento idoneo a conferirgli una validità che esso intrinsecamente non possiede;
oppure è valido, e il verificarsi dell'evento dedotto nella clausola inciderà, a tutto concedere,
sulla durata del trust»; in questo secondo caso, ciò che la clausola deve dedurre è non tanto lo
scioglimento, bensì la «cessazione», con l’effetto di obbligare il trustee a restituire il trust fund
ai beneficiari (10, anche se l’A., in ragione di una pretesa incompatibilità del trasferimento dei
beni in trust ai creditori-beneficiari «con la funzione propria di siffatti trust», conclude – non
correttamente – nel senso del trasferimento al disponente). In secondo luogo, deve essere
menzionata la proposta, avanzata da Trib. Reggio Emilia, 2 maggio 2012, di riconoscere al
curatore il diritto di fare cessare anticipatamente il trust, in applicazione della (pur non
espressamente richiamata) regola Saunders v. Vautier, atteso che il curatore «assoma in sé tutte
le posizioni beneficiarie del trust liquidatorio»; al riguardo, si osserva intanto che la stessa
dottrina implicitamente richiamata dal giudice ritiene che «il curatore del fallimento non può
certo essere qualificato beneficiario del trust» (LUPOI, Due parole, 212); ma soprattutto, anche
volendo ammettere che l’equitable ownership possa “fluttuare” dai creditori beneficiari al
curatore, ciò significa che i poteri della curatela sarebbero resi dipendenti da come l’autonomia
privata ha strutturato il trust: ci si chiede, infatti, quali sarebbero le conseguenze sui poteri del
curatore nell’ipotesi in cui soltanto una parte dei creditori fosse individuata come beneficiaria o
se il trust sia discretionary, caso in cui l’applicazione della regola Saunders v. Vautier
presuppone il consenso unanime di tutti i beneficiari (cfr. THOMAS-HUDSON, The Law, §§ 7.06
ss., 161 ss.; HAYTON-MATTHEWS-MITCHELL, Underhill, §§ 66.8 ss., 960 ss.) o se, ancora, il
disponente optasse per l’applicazione del diritto statunitense, nel quale vige l’opposta regola
Claflin, secondo cui i beneficiari, nemmeno unanimemente, possono porre fine al trust se
permane una «material purpose» del disponente da conseguire: cfr. DUKEMINIER-SITKOFFLINDGREN, Wills, 653 ss.; MATTHEWS, The Comparative, 283 s., che sottolinea che soltanto
con il consenso del disponente, se ancora in vita, i beneficiari possono porre termine al trust.
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liquidatorio hanno positivamente valutato l’effetto di «garanzia reale atipica» che si verrebbe a creare in capo ai creditori-­‐‑beneficiari del trust. Perciò, l’utilizzo del trust nell’ambito dei piani attestati nonché degli accordi di ristrutturazione potrebbe al massimo migliorare la situazione dei creditori, che non solo potrebbero essere resi più partecipi della gestione delle attività liquidatorie o risanatorie (altrimenti demandate interamente al debitore) in virtù dei diritti informativi e di controllo che vantano, quali beneficiari, nei confronti del trustee, ma beneficerebbero anche di una maggiore sicurezza in ordine alla spettanza “ultima” dei beni utilizzati offerti in garanzia dalla società debitrice. Del resto – si potrebbe in questa sede aggiungere – l’utilizzo del trust precipuamente a scopo di garanzia, in contesti commerciali e finanziari, è tutt’altro che una novità scoperta dagli artefici del trust liquidatorio, essendo noto alle esperienze giuridiche di common law141. A ben vedere emergono – limitandosi in questo momento a prendere in considerazione solamente gli aspetti patrimoniali del trust – alcune considerazioni che inducono tuttavia ad avere dubbi in ordine alla validità di siffatte conclusioni. In particolare, nella prospettiva di una valutazione dell’esperienza del trust extraconcorsuale non più sulla base dei canoni della «meritevolezza», bensì di quelli propri della disciplina dell’organizzazione (delle forme di finanziamento) dell’impresa societaria (in crisi), merita di essere evidenziato un aspetto finora trascurato dottrina: quello dei rapporti che si instaurano tra trust fund, da una parte, e le norme che regolano l’ordine delle priorità nelle distribuzioni ai creditori in sede di liquidazione fallimentare, dall’altra. La creazione di un trust – a prescindere dal fatto che sia puramente liquidatorio o si collochi entro piani attestati o accordi di ristrutturazione – che ha per oggetto l’intero patrimonio di un’entità societaria in crisi, determina che la società disponente dismetta la totalità dei suoi beni. Ciò significa che, qualora alla costruzione dello strumento fiduciario segua l’apertura della procedura concorsuale tradizionale, la disponente-­‐‑fallita non è proprietaria di alcun cespite attivo del quale la curatela possa impossessarsi. La “massa attiva” rimane di titolarità del trust e spetta beneficiariamente ai creditori individuati quali beneficiari nell’atto istitutivo. La tensione che in siffatte circostanze emerge con riguardo alla sorte della disciplina legale delle priorità si percepisce con una certa chiarezza. Particolarmente nitida è la situazione nella quale 141
Cfr., ultra, capitolo II, in partt. §§ 2, 3, 4.
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soltanto a una parte dei creditori dovesse essere assegnata l’equitable ownership del trust fund, dato che questi ultimi verrebbero soddisfatti preferenzialmente rispetto a ogni altra categoria di creditori, i quali vedrebbero invece azzerata la loro pretesa: da un punto di vista sostanziale l’autonomia “contrattuale” introdurrebbe una sorta di “prededuzione” extralegale. Inoltre, il rilievo formulato non viene meno nella circostanza in cui – come avvenuto nei casi concreti – i beneficiari del trust siano tutti i creditori sociali. Ciò perché l’atto istitutivo determinerebbe una “cristallizzazione” del ceto creditorio, la quale tuttavia non corrisponde alla realtà del traffico giuridico-­‐‑commerciale: si può tranquillamente verificare il caso in cui vi sono soggetti non ancora creditori – della società settlor – al momento della costituzione del trust ma che lo diventano soltanto in un secondo momento142. In ultima analisi, la questione che si pone è se ed entro quali limiti sia consentito all’iniziativa privata derogare all’ordine legale delle priorità. Ora, non si può non riconoscere che i margini entro i quali l’ordinamento ammette l’alterazione di tale ordine sono stati significativamente ampiati dai plurimi interventi legislativi dell’ultimo 142
Si pensi, ad esempio, ai soggetti il cui diritto di credito, pur giuridicamente non
esistente al momento della creazione del trust, potrebbe insorgere in un secondo momento,
quali potrebbero essere i “creditori” da illecito con riferimento ai quali la produzione
dell’evento-danno è incerta (negli U.S.A., il problema si è posto in questi termini relativamente
al rapporto tra riorganizzazioni di società in Chapter 11 e aspettative dei soggetti
potenzialmente colpiti da asbestosi in conseguenza delle attività della società, ed è stato risolto
con la creazione di un trust al quale confluiscono determinati fondi della debitrice, destinati
alla soddisfazione di quei soggetti che si rivelassero effettivamente colpiti da patologie
correlate all’asbesto: cfr. DIXON-MCGOVERN-COOMBE, Asbestos; DIXON-MCGOVERN,
Asbestos). La questione potrebbe presentarsi in termini analoghi per le pretese erariali. Diverso
è, invece, il discorso per quanto riguarda la situazione dei “nuovi” crediti, contratti dal trustee
nella gestione dell’impresa (o in generale dei beni) in trust: come accennto, nel diritto inglese il
trustee risponde illimitatamente dei crediti contratti in ragione della trust property, salvo
dichiari di contrattare in qualità di trustee, nel qual caso la responsabilità è (personale ma)
limitata al valore dei beni in trust (cfr. THOMAS-HUDSON, The Law, § 21.13, 614 e, con
riferimento ai business trusts, §§ 55.24 ss., 1467; GRAZIADEI, Diritti, 386); nell’ordinamento
americano, per soddisfare le obbligazioni contratte nell’amministrazione del trust, i creditori
del trustee possono rivalersi direttamente sul trust fund: cfr. SCOTT-FRATCHER-ASCHER, Scott,
vol. 4, §§ 26.2 ss., 1876 ss.; AMERICAN LAW INSTITUTE, Restatement (Third) of Trusts, 4
(2012), § 105, 95 s.; UTC, § 1010 (c). Nell’ordinamento statunitense, inoltre, nel caso di
insufficienza delle disponibilità a fare fronte alle pretese dei creditori, i business trusts possono
essere dichiarati falliti, sulla base delle previsioni di cui alle §§ 109(a) e 101(9)(A)(v), che,
equiparando il business trust alla corporation, a sua volta compresa nella definizione di
«person», lo fa rientrare nel novero dei fallibili, oltre a implicitamente riconoscergli un
quantum di soggettività giuridica. In Inghilterra, il trustee di un trust che svolga attività
economica può essere dichiarato fallito: THOMAS-HUDSON, The Law, § 55.29.
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decennio: particolarmente intenso è, infatti, il potere di ulteriormente sacrificare la par condicio creditorum immanente sia alle esenzioni da revocatoria degli accordi di ristrutturazione e dei piani di risanamento sia ai titoli di prededuzione concessi al finanziamento dell’impresa in crisi143. Rimane, tuttavia, un limite oltre il quale la contrattazione tra la società debitrice e i suoi creditori non può spingersi: nel momento in cui i tentativi di risoluzione extra-­‐‑concorsuale della crisi in via definitiva falliscono, sull’attivo residuo – per quanto limitato esso sia – si deve aprire il concorso dei creditori sotto l’ombrello giudiziale e secondo l’ordine legale di distribuzione144. Alla luce di ciò – se si ritiene che la mera dichiarazione d’insolvenza successiva al trust non possa di per sé determinare uno scioglimento o una cessazione del trust (v., supra, § 6) –, il conflitto tra l’impiego della struttura fiduciaria, nei termini in cui si è concretamente presentato, e il nucleo (ormai minimo) di disposizioni concorsuali inderogabili emerge almeno in due punti. In primo luogo, al di là dell’ipotesi in cui soltanto alcuni creditori siano beneficiari dell’intero patrimonio, la cui incompatibilità è manifesta, nessuno degli atti istitutivi analizzati – certo non quelli costituiti nell’ambito di piani di risanamento o di accordi di ristrutturazione con finalità risanatorie – specifica se e quale debba essere l’ordine di distribuzione fra beneficiari-­‐‑creditori né come esso dovrebbe essere in concreto 143
Per la verità, sono stati evidenziati i rischi di comportamenti opportunistici, in
particolare da parte della società debitrice sia individualmente, sia in accordo con alcuni
creditori: cfr. PRESTI, Il finanziamento: v., diffusamente, capitolo III, § 2.1-2.2.
144
Sembra, infatti, le deroghe all’ordine di distribuzione dell’attivo fallimentare,
sebbene oramai numerosissime nell’odierno sistema fallimentare, non si riducano mai a un
fenomeno esclusivamente privatistico (cfr. GUGLIELMUCCI, Diritto, 18 s.), bensì necessitino al
contrario – salvo evidentemente l’ipotesi di un accordo tra tutte le parti coinvolte: e.g. la
rinuncia al privilegio da parte di un creditore garantito – di una sanzione dell’ordinamento: non
sarebbe altrimenti stato necessario prevedere una esplicita disciplina della prededucibilità dei
crediti di cui agli art. 111, 182-quater, 182-quinquies l. fall. Su queste tematiche, cfr. amplius
capitolo III, § 2.1.
Potrebbe forse indurre a differenti (ma non condivisibili) conclusioni ritenere –
impropriamente – che l’effetto della costituzione del trust extra-concorsuale sia assimilabile a
quello determinato dell’esenzione da revocatoria di cui alle lettere d) e e) dell’art. 67 l. fall. Ciò
non può essere condiviso. Anzi tutto, l’atto esentato da revocatoria non può mai essere il
trasferimento dell’intera impresa, a maggior ragione se eseguito a titolo gratuito. Occorre poi
osservare che mentre gli atti esentabili attengono all’attività solutoria, l’istituzione di un trust
extra-concorsuale è atto organizzativo, soltanto eventualmente prodromico alle concrete
attività di liquidazione del patrimonio trasferito: l’esenzione potrà eventualmente riguardare
soltanto gli atti esecutivi posti in essere dal trustee.
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determinato 145 . In secondo luogo, anche qualora fosse ipotizzabile stabilire nel trust deed un ordine di preferenze compatibile – il che pare tecnicamente non praticabile –, la situazione creditoria verrebbe comunque fotografata in uno specifico istante, con il conseguente effetto di “congelamento” sopra descritto. Ne deriva che vi sarebbe dunque sempre un gruppo di creditori che rimarrebbe radicalmente escluso dalla liquidazione “privata” operata dal trustee – i creditori futuri –, quand’anche questa potesse astrattamente avere luogo in maniera conforme alla disciplina legale. Emerge, dunque, un primo profilo di incompatibilità del trust con l’ordinamento interno: l’affidamento a un trustee dell’intera azienda o comunque dell’intero patrimonio sociale da una parte di una società in crisi, tanto con funzione meramente liquidatoria, quanto nelle more o in esecuzione di un piano attestato o di un accordo di ristrutturazione, rappresenta un (attuale o potenziale) sovvertimento (o un’esautorazione) di fonte pattizia dell’ordine delle priorità nelle distribuzioni della massa attiva in sede di liquidazione concorsuale. Siffatta struttura, pertanto, dovrebbe reputarsi non riconoscibile ai sensi dell’art. 15, comma 1°, lett. e), della XV Convenzione e, quindi, del tutto privo di effetti giuridici. 8. (segue): trust e crisi del debitore in common law: «assignment for the benefit of creditors» e fraudulent conveyances. – L’argomento sviluppato nel paragrafo precedente sarebbe forse sufficiente a legittimare da solo una conclusione di chiusura nei confronti del trust liquidatorio extra-­‐‑concorsuale. Ciò nonostante, il dato comparatistico merita un approfondimento ulteriore, che potrebbe apportare maggiore chiarezza alle tematiche trattate. Infatti, nel corso dell’analisi si è fino a ora dato per scontato, assecondando la dottrina “specialistica” italiana, che il trust rimanga completamente insensibile alle vicende patrimoniali del settlor successive alla costituzione del trust in virtù delle sue proprietà “segregative”. Secondo siffatta impostazione, con l’istituzione del trust si darebbe avvio a una «segregazione» patrimoniale che consisterebbe nella creazione di un patrimonio autonomo, di titolarità del trustee ma inesorabilmente sottratto alle pretese dei creditori personali di quest’ultimo nonché di quelli del disponente e dei 145
E se lo specificasse, ci si potrebbe chiedere quale sarebbe l’utilità della fattispecie
rispetto all’ordinaria procedura di fallimento: v. HANSMANN-KRAAKMAN, The Essential, 420 s.
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beneficiari146. Una volta dimostrato che un effetto di questo tipo non può comunque essere legittimamente perseguito quando abbia per oggetto tutti i cespiti di una società in difficoltà economico-­‐‑finanziaria, occorre ora completare il quadro con l’analisi di alcuni istituti di common law, i quali, in ragione della pertinenza con le tematiche affrontate, forniscono spunti di riflessione utili a una più completa comprensione e soluzione della questione, oltre a sollevare qualche dubbio sulla correttezza di nozioni talvolta date per acquisite. In particolare, sono assai significativi il c.d. «Assignment for the Benefit of Creditors» noto all’esperienza giuridica statunitense, per un verso (§ 8.1.); nonché le regole che, nella fiducia anglosassone (tanto inglese quanto statunitense), soprassiedono ai rapporti tra le vicende patrimoniali del settlor e il fondo in trust con particolare riferimento all’insolvenza (materiale o dichiarata) del disponente, per l’altro (§ 8.2.). 8.1. L’«assignment for the benefit of creditors» («ABC»). L’ABC costituisce una delle ipotesi di liquidazione del patrimonio di un debitore (persona fisica o imprenditore) alternative alla liquidazione fallimentare, regolata dai diritti statali. Il fatto che la disciplina non sia uniforme da Stato a Stato rende difficoltosa una trattazione unitaria dell’argomento: ciò nonostante, è possibile descrivere l’istituto come un trasferimento volontario di tutti (general assignment) gli assets di una società insolvente a un assignee, il quale è incaricato di liquidarli e distribuire il ricavato ai debitori 147 . Si riscontrano, così, delle interessanti affinità strutturali tra siffatta fattispecie e il trust puramente liquidatorio extra-­‐‑concorsuale, atteso che l’ABC rappresenta la costituzione di un trust tecnicamente inteso (i.e., che determina l’acquisto del legal title nell’assignee-­‐‑trustee e la beneficial ownership nei creditori 148 ) funzionale a evitare l’apertura di una 146
Cfr. le tesi riportate supra, § 4.
La letteratura sul punto è frammentaria e manca, quanto meno tra i contributi recenti,
un’analisi organica: oltre alle trattatistica (KOVE-BOGERT, Bogert’s, vol. 5, § 250, 352 ss.;
HUGHES-KENNEL, Assignments, §§ 1 ss., ove ampi riferimenti alla giurisprudenza; per un
ampia disamina delle conseguenze dell’interazione tra disciplina fallimentare federale e istituti
liquidatori statali, v. SKEEL, Rethinking, 491 ss.) v., con approccio empirico, MORRISON,
Bargaining, 255 ss.; MANN, An Empirical, 1375 ss.;; di taglio prevalentemente pratico,
CHATZ-LEVY, Alternatives, 153 ss.; KUPETZ, The Venerable, 297 ss.; J.W. EASTERBROOK,
Bankruptcy, 415 ss.; THORNE, Assignments, 43 ss. L’istituto aveva ricevuto parecchia
attenzione tra la fine della seconda metà del XIX secolo e la prima metà del XX: v., ex multis,
GLENN, The Law, 172 ss.; HANNA, Contemporary, 539 ss.; WEINTRAUB-LEVIN-SOSNOFF,
Assignments, 4 ss.; LOWELL, Conflict, 259 ss.; PRESCOTT, Voluntary, 265 ss.
148
Per tutti, KOVE-BOGERT, Bogert’s, vol. 5, § 250, 353 s.; BOGERT-BOGERT, Bogert’s,
vol. 20, § 1189, 218 s.
147
-59-
procedura concorsuale nei confronti di una società in crisi o insolvente149, che coinvolge l’intero patrimonio attivo della disponente150 e include nei beneficiari tutti i creditori della società151. A prima vista, quindi, potrebbe sembrare che il trust liquidatorio extra-­‐‑concorsuale trovi una significativa conferma a livello comparato, con la conseguenza che l’ABC potrebbe rappresentare un modello di riferimento per strutturare il trust extra-­‐‑concorsuale, se non un istituto direttamente importabile nell’ordinamento interno per il tramite della XV Convenzione152. Sembra peraltro opportuno, però, prima di giungere a siffatta conclusione, analizzare più da vicino l’istituto, senza trascurarne lo sviluppo storico. I primi casi di assignment for the benefit of creditors risalgono, negli Stati Uniti, all’inizio del XIX secolo153: si trattava di un atto unilaterale con il quale l’imprenditore in crisi, in mancanza di una disciplina fallimentare a livello federale e – nella maggior parte dei casi – statale, sottraeva il proprio patrimonio all’iniziativa del singolo creditore e lo metteva a disposizione della collettività dei creditori, la cui pretesa veniva così soddisfatta parzialmente e pro quota 154 . Se inizialmente l’assignment era pressoché integralmente demandato all’autonomia privata – rectius del debitore, atteso che il consenso dei creditori non era necessario155 – e non era soggetto ad alcuna specifica disciplina, le Corti, che per prime furono chiamate a pronunciarsi sulla fattispecie, stabilirono limiti alla libertà di azione del debitore 156 , 149
HUGHES-KENNEL, Assignments, § 1; MORRISON, Bargaining, 257; TABB, The Law,
27; CHATZ-LEVY, Alternatives, 153.
150
Riportano HUGHES-KENNEL, Assignments, § 3, che la maggior parte delle
legislazioni statali sul punto impone, a pena di nullità, un affidamento generale, i.e. di tutti i
beni del debitore; relativamente all’assignment di common law in Illinois, COHENCHALLACOMBE, Assignment, 272; i debiti, invece, rimangono in capo al settlor, salvo quelli che
beneficiano di una garanzia “reale”, la quale circola con il bene: CHATZ-LEVY, Alternatives,
153; KUPETZ, The Venerable, 297.
151
HUGHES-KENNEL, Assignments, § 73; CHATZ-LEVY, Alternatives, 154.
152
Peraltro, ciò si porrebbe in contrasto con gli atti preparatori della Convenzione stessa,
dai quali si evince l’intenzione di escludere l’assignment – sulla scorta di un accostamento (per
la verità corretto soltanto fino a un certo punto: v. infra nel testo) tra l’assignee e il trustee-inbankruptcy – dall’ambito di applicazione dell’accordo: v. DYER-VAN LOON, Raport, § 105, 62,
dove l’ABC viene descritto come un «close cousin of the trustee in bankruptcy […] seems to us
to bear little resemblance to the express private trust».
153
Cfr. GLENN, The Law, 174 s., il quale riferisce di precedenti inglesi della prima metà
del secolo XVIII.
154
GLENN, The Law, 176.
155
GLENN, The Law, 173.
156
V., e.g., i casi riportati in Harv. L. Rev., nella rubrica Recent cases, nei volumi 4
(191), 7 (495 s.), 8 (116), 9 (431), 11 (412 s.), 14 (618).
-60-
finalizzati a prevenire gli abusi a danno dei creditori, immanenti all’operazione in esame157; limiti che, dal momento in cui i parlamenti statali iniziarono a occuparsi della questione, furono recepiti e talvolta intensificati nell’ambito di appositi provvedimenti legislativi (statutes), alcuni dei quali giunsero a vietare tout court il fenomeno 158 . Successivamente, con l’emanazione da parte del Congresso della Bankruptcy Law (1898), fu introdotta una disciplina del general assignment anche a livello federale: si fece rientrare, in particolare, il general assignment nell’ambito degli «acts of bankruptcy», ossia quegli atti il cui compimento legittimava qualsiasi creditore a presentare istanza di fallimento contro il debitore159. Venendo ora all’analisi del diritto vigente, il diritto materiale applicabile agli ABCs è tuttora il risultato dell’interazione tra fonti statali e disciplina federale: la regolazione “organica” del fenomeno si trova soltanto a livello statale. Manca, per contro, nel Bankruptcy Code, il quale vi dedica soltanto alcune, significative, norme sparse. Pare opportuno, pertanto, iniziare dall’analisi delle fonti statali. Ciò premesso, non è questa la sede per esaminare in dettaglio le modalità con cui ciascuna giurisdizione statale disciplina l’assignment for the benefit of creditors, perché ciò esula dagli scopi del presente lavoro, considerate anche la numerosità e varietà delle legislazioni. È qui sufficiente richiamarne alcuni aspetti comuni, sì da potere cogliere gli elementi caratterizzanti dell’istituto. Va detto, anzi tutto, che la maggior parte degli Stati ha adottato dei provvedimenti legislativi che disciplinano espressamente l’assignment160; tra questi, alcuni si presentano come particolarmente 157
HANNA, Contemporary, 541, 545.
HANNA, Contemporary, 541.
159
U.S. Bankruptcy Law (1898), Chap. III, a, (4).
160
In una minoranza di casi (Connecticut, Illinois, Maine, Maryland, Nebraska, Nevada,
Oregon, Wyoming), la regolazione del fenomeno è ancora demandata integralmente all’opera
della giurisprudenza (ABCs di common law): sebbene non si debba dedurre, da ciò solo, che
siffatte giurisdizioni siano di per sé più “liberali” nei confronti del fenomeno – infatti, quanto
meno nei principi generali, gli statutes ricalcano quanto precedentemente stabilito dalla
giurisprudenza – tuttavia, la mancanza di una disciplina positiva, che usualmente va di pari
passo con l’assenza di requisiti pubblicitari (nonché di ogni controllo giudiziario), comporta
che in questi Stati l’assignment si svolge usualmente in maniera piuttosto riservata: cfr., in
part., MORRISON, Bargaining, 272, nota 21. Ciò, nonostante sia prassi consigliata richiedere
alla corte competente l’autorizzazione alla cessione degli assets (HUGHES-KENNEL,
Assignments, § 59) o anche allo svolgimento dell’assignment, pur in mancanza di un
obbligatorio intervento giudiziale: in questa direzione già 47 Yale L. J. (1938), 964.
158
-61-
dettagliati, altri invece minimali161; taluni hanno carattere interamente imperativo162, altri hanno natura suppletiva e sono, entro certi limiti, parzialmente derogabili dall’autonomia privata. Da un punto sostanziale, tutti introducono una più o meno stringente disciplina che si preoccupa di prevenire che l’operazione si realizzi a scapito della totalità o di alcuni creditori. In particolare, va osservato che: a) viene disposta l’invalidità di ogni clausola del trust deed che riservi in capo al disponente qualsiasi potere e/o interesse nella proprietà in trust163; b) l’assignee è tenuto a informare i creditori dell’esistenza dell’assignment164, il cui consenso, tuttavia, continua da un punto di vista strettamente tecnico a non essere necessario165 o, più precisamente, «presunto»166; c) viene richiesta la forma scritta167; d) viene fatto tendenzialmente divieto all’assignee di effettuare pagamenti preferenziali che alterino l’ordine di distribuzione ai creditori, i quali devono necessariamente avvenire pro rata sulla base del valore di ciascun credito, rispettando le preferenze168; e) l’assignee deve essere un professionista specificamente qualificato per lo svolgimento delle funzioni attribuitegli169; f) in alcuni Stati, l’ABC richiede necessariamente una supervisione dell’autorità giudiziaria170, in mancanza della cui 161
Nella prima categoria ricadono, ad esempio, New York, Florida, Washington, nella
seconda Texas, Iowa, Idaho, Vermont.
162
E.g.: Massachussetts, Michigan, Iowa, Indiana, Arizona, Texas, Vermont,
Washington.
163
KOVE-BOGERT, Bogert’s, vol. 5, § 250, 356; HUGHES-KENNEL, Assignments, § 14;
sull’assignment di common law, COHEN-CHALLACOMBE, Assignment, 276.
164
KOVE-BOGERT, Bogert’s, vol. 5, § 250, 357; WINSTON-WINSTON, Complete, 4-6.
165
KOVE-BOGERT, Bogert’s, vol. 5, § 250, 353; WINSTON-WINSTON, Complete, 4-6;
TABB, The Law, 29.
166
HUGHES-KENNEL, Assignments, § 8; MORRISON, Bargaining, 266; GLENN, The Law,
173.
167
KOVE-BOGERT, Bogert’s, § 250, vol. 5, 356; TABB, The Law, 29; relativamente
all’assignment di common law, COHEN-CHALLACOMBE, Assignment, 276.
168
KOVE-BOGERT, Bogert’s, vol. 5, § 250, 356; WINSTON-WINSTON, Complete, 4-6;
HUGHES-KENNEL, Assignments, § 14, ove la spiegazione dell’originario differente trattamento
delle preferenze da parte degli statutes e del common law, nonché § 78; sull’applicabilità
all’assignment di common law della regola della distribuzione proporzionale, COHENCHALLACOMBE, Assignment, 273.
169
HUGHES-KENNEL, Assignments, § 41; WINSTON-WINSTON, Complete, 4-8.
170
HUGHES-KENNEL, Assignments, § 28; CHATZ-LEVY, Alternatives, 153; WINSTONWINSTON, Complete, 4-8; v., e.g. Florida, Ohio (sui quali KOVE-BOGERT-BOGERT, Bogert’s,
-62-
autorizzazione l’assignee è privo dei poteri necessari al compimento di determinati atti; g) un numero significativo di statutes attribuisce all’assignee alcuni poteri che – nelle procedure fallimentari federali – spettano al trustee-­‐‑in-­‐‑bankruptcy, come la competenza esclusiva (i.e., il divieto al singolo creditore) ad agire per il recupero delle somme oggetto di pagamenti preferenziali compiuti dall’assignor in un determinato periodo antecedente all’assignment171 nonché la legittimazione processuale relativa a ogni controversia che riguardi l’assignor172. Come accennato, le discipline statali degli ABCs convivono con la normativa federale. Per un verso, detto intreccio di fonti di differente rango si manifesta sotto forma di sovrapposizione agli statutes di alcune disposizioni di dettaglio dettate dal vigente Bankruptcy Code con specifico riguardo agli ABCs. Per altro verso, il rapporto tra legislazione statale e federale si apprezza a livello ordinamentale, ossia in termini di competenze riservate alla legge fallimentare federale: determinati effetti giuridici possono essere previsti soltanto dal Bankruptcy Code, con la conseguenza che le eventuali norme “contrarie” di livello statale vengono “disapplicate”173. Per quanto concerne il primo punto, per effetto dell’applicazione congiunta delle §§ 101 (11) (B) e 303 (h) (2) US Bankruptcy Code, l’assignment (in maniera analoga al previgente Bankruptcy Act del 1898) è incluso nel novero degli atti che autorizzano i creditori – le cui pretese, però, devono raggiungere le soglie minime di valore imposte dalla § 303 (b) – a richiedere l’apertura di una delle procedure concorsuali regolate dal Bankruptcy Code (Chapter 7 o 12). Per altro verso, la § 101 (11) (B), isolatamente considerata, identifica l’assignee quale «custodian», con la conseguenza di rendere applicabile – inter alia – la § 543, norma che: vieta ai custodians, dal momento dell’apertura di vol. 20, rispettivamente § 1191, 224 e § 1196, 235) al contrario, le giurisdizioni dove il
coinvolgimento del giudice pare essere minore (se non mancare del tutto) sono, oltre a quelle
prive di regolazione, Illinois, California, Nevada, Virginia (v. MORRISON, Bargaining, 272,
nota 21).
171
HUGHES-KENNEL, Assignments, § 46; KUPETZ, The Venerable, passim, in part. 302;
tra gli Stati che attribuiscono tale genere di azione all’assignee, cfr., senza pretesa di
completezza: California, Arizona, New Jersey, New York, Texas.
172
CHATZ-LEVY, Alternatives, 154.
173
Secondo la c.d. pre-emption doctrine: cfr. KOVE-BOGERT, Bogert’s, vol. 5, § 250,
355 s.; KUPETZ, The Venerable, 297; TABB, The Law, 27 s.; HANNA, Contemporary, 545 ss.
-63-
una procedura concorsuale, di svolgere qualsiasi attività che non sia puramente conservativa; impone ai medesimi di consegnare al trustee-­‐‑
in-­‐‑bankruptcy i beni loro assegnati, unitamente a un inventario; conferisce alla corte il potere di disporre una surcharge 174 nei confronti di questi ultimi per for «any improper or excessive disbursement» effettuato durante l’attività liquidatoria, a esclusione di quanto pagato con l’autorizzazione giudiziale o comunque in osservanza delle disposizioni applicabili. In merito al secondo aspetto, vengono in rilievo le limitazioni ai poteri statali connessi all’esercizio della competenza confederale a regolare in maniera uniforme la disciplina concorsuale, che comporta la prevalenza di quest’ultima sulle disposizioni degli statutes difformi o contrastanti. È dato acquisito 175 che una generale discharge (= esdebitazione) prevista da uno statute statale è priva di efficacia, in quanto ritenuta caratteristica qualificante della procedura fallimentare 176 che, pertanto, può essere introdotta soltanto dal legislatore federale. A seguito di un caso deciso dalla Corte d’Appello per il nono circuito177, è divenuto incerto, invece, entro che margini gli Stati possano attribuire all’assignee il potere di agire per recuperare gli assets fuoriusciti dal patrimonio della debitrice nel lasso temporale che precede l’assignment: mentre nella menzionata decisione la Corte ha statuito (a maggioranza) che tale potere rientra nelle competenze esclusivamente attribuite alle fonti di rango federale, decisioni successive (assunte da Corti inferiori) hanno interpretato differentemente i principi stabiliti dalla Corte Suprema in Pobreslo e – in 174
Identificabile come il diritto dei beneficiari, in caso di breach of trust, alla
reintegrazione del valore del fondo a spese del trustee: cfr. AMERICAN LAW INSTITUTE,
Restatement (Third) of Trusts, 4 (2012), § 100, 63 ss.
175
La questione è pacifica almeno a partire dagli anni ’30, a seguito dell’intervento della
Corte Suprema nel caso Pobreslo v. Joseph M. Boyd Co, 287 U.S. 518 ss. (1933); v. GLENN,
The Law, 210 ss. (criticando la decisione); HANNA, Contemporary, 547 ss.; WEINTRAUBLEVIN-SOSNOFF, Assignments, 23 s.
176
Più di recente KOVE-BOGERT, Bogert’s, vol. 5, § 250, 354 testo e nota 61; HUGHESKENNEL, Assignments, § 9, p. 15; KUPETZ, The Venerable, 297; CHATZ-LEVY, Alternatives,
154. Va però sottolineato che, nonostante quanto ora osservato, nell’ABC i beni vengono
trasferiti al trustee (nonché ai suoi aventi causa) gravati unicamente delle garanzie speciali su
di essi detenute dai singoli creditori, ma – dal momento che i debiti rimangono sempre in capo
al debitore assignor – fuoriescono dalla garanzia patrimoniale generica a disposizione dei
creditori privi di cause di prelazione, le cui pretese, conclusasi la procedura di liquidazione,
vengono quindi azzerate: cfr. MORRISON, Bargaining, 265; CHATZ-LEVY, Alternatives, 154;
KUPETZ, The Venerable, 297.
177
Sherwood Partners, Inc. v. Lycos, Inc., 53 Collier Bankr. Cas. 2d (MB) 743 (9th
Circ. 2005).
-64-
esplicito dissenso con il caso Sherwood – hanno concluso che disposizioni statali di siffatto tenore non devono ritenersi sospese dalla normativa federale 178. In questa sede, non è possibile approfondire ulterioremente detta problematica, la quale tuttavia fornisce spunti interessanti per svolgere alcune considerazioni conclusive sul diritto vivente degli ABCs. Al riguardo, preme anzi tutto osservare che, a dispetto delle affermazioni che si possono leggere in parte della trattatistica179, le indagini quantitative aventi a oggetto il fenomeno inducono a ritenere che, in realtà, gli ABCs rimangono a tutt’oggi un’alternativa piuttosto diffusa al fallimento federale, in particolare nel caso in cui la società in crisi eserciti una impresa di dimensione medio-­‐‑piccola 180 nonché qualora l’attività sia collocata nelle giurisdizioni dove non è espressamente prevista alcuna forma di pubblicità per la procedura181. Assume un certo rilievo, inoltre, la circostanza che nonostante la legittimità dell’assignment – il quale, a ben vedere, realizza una sostituzione della pretesa obbligatoria dei creditori con l’attribuzione di diritti reali sulla trust estate – fosse in origine strettamente correlata alla sua funzione esclusivamente liquidatoria 182 , esso sia utilizzato nella prassi odierna anche quale strumento di riorganizzazione dell’attività e, addirittura, di mera ristrutturazione dell’esposizione debitoria. L’impresa trasferita all’assignee viene spesso amministrata interinalmente dallo stesso (in prima persona o tramite un soggetto professionalmente qualificato incaricato ad hoc), prima di essere messa all’asta (privata) e ceduta come going concern a un “terzo”, di frequente 178
Cfr. i casi riportati e descritti da KUPETZ, The Venerable, 304 ss., il quale tratta
approfonditamente la questione; cui adde, EASTERBROOK, Bankruptcy, 417 ss.; cfr., inoltre,
MORRISON, Bargaining, 299 s. Prima della pronuncia Sherwood, sulla questione v. SKEEL,
Rethinking, 492 ss.
179
KOVE-BOGERT, Bogert’s, vol. 5, § 250, 354, secondo cui l’assignment «...is a lawful
transaction, though not often used since the adoption of the federal Bankruptcy Act» (enfasi
aggiunta).
180
MORRISON, Bargaining, 257.
181
E.g. Illinois e California: v. rispettivamente MORRISON, Bargaining, 257, 272 (cfr.
anche nota 21); e MANN, An Empirical, 1381 ss., 1422 ss. Del resto, sarebbe altrimenti difficile
spiegare l’interesse dimostrato nella prassi forense, come attesta l’elevato numero di recenti
pubblicazioni di carattere prettamente professionale: senza pretesa di completezza, v. KUPETZ,
The Venerable; ID., Assignment, 16 ss.; ID., Assignment, 19 ss.; GIBBS, Revisions, 13 ss.;
THORNE, Alternatives, 26 ss.; ID., Assignments, 43 ss.; EASTERBROOK, Bankruptcy, 415 ss.;
BUCKLEY-STERLIN, What Banks, 48 ss.
182
V., infatti, la rigida opinione espressa da GLENN, The Law, 185 s.; cfr., altresì,
HANNA, Contemporary, 540.
-65-
individuato prima dell’avvio dell’assignment; “terzo”, che, talvolta, è rappresentato da una newco appositamente costituita dal debitore-­‐‑
assignor e finanziata dai creditori garantiti 183 . In questo modo, il compratore (sia effettivamente “terzo” o meno) acquista il complesso imprenditoriale gravato soltanto dalle garanzie reali, ma “ripulito” dai debiti non garantiti 184, che rimangono in capo alla società assignor, spogliatasi di ogni attività patrimoniale. In tale contesto, infine, va collocato il tema del consenso dei creditori, che, come visto viene considerato presunto al momento dell’affidamento all’assignee: in realtà, la disciplina federale fa sì che un ABC non possa essere concretamente attuato senza l’assenso dei creditori, o, quanto meno, dei maggiori creditori della società, i quali possono in ogni momento escutere la propria garanzia (atteso che l’ABCs non determina di per sé alcuna moratoria) oppure optare per l’attivazione di una procedura concorsuale federale185. Alla luce di tale quadro, sembra che – al contrario di quanto si potrebbe essere indotti a pensare con riferimento agli ABCs – le conclusioni in ordine alla possibilità di utilizzare l’esperienza degli assignments quale argomento comparatistico volto a dimostrare la legittimità del trust liquidatorio extra-­‐‑concorsuale debbano essere decisamente negative. A siffatto risultato si giunge se si tiene presente, in primo luogo, che lo sviluppo storico dell’assignment mostra come l’affidamento a un trustee dell’intera impresa esercitata da una società insolvente o in stato di crisi è un fenomeno la cui disciplina non può essere lasciata integralmente all’autonomia delle parti, dal momento che negli Stati Uniti tanto i legislatori statali e federale quanto le corti se ne sono prontamente occupati. In conseguenza di siffatto processo evolutivo – entrando così nel merito del secondo punto – l’assignment è divenuto un istituto “ibrido”, a cavallo tra autonomia e eteronomia. Basti pensare che: alcuni poteri dell’assignee-­‐‑trustee, infatti, pur 183
MORRISON, Bargaining, 265.
È stato messo in luce che i debiti della disponente non vengono trasferiti, a eccezione
delle garanzie “reali”: MORRISON, Bargaining, 265; KUPETZ, The Venerable, 297; CHATZLEVY, Alternatives, 154 ss., i quali, infatti, mettono in evidenza che in caso di continuità
sostanziale tra società acquirente e debitrice, la newco corre il rischio di trovarsi «saddled with
the unsecured debts of the assignor under successor liability or other theories» (enfasi
aggiunta).
185
Dal momento che raggiungono da soli i requisiti quantitativi: MORRISON,
Bargaining, 266; invece, i creditori non garantiti, le cui pretese sono usualmente di valore
limitato e inferiore alla soglia, non avranno incentivi a organizzarsi per raggiungere le soglie
dimensionali necessarie per presentare istanza di fallimento.
184
-66-
originando sempre da un atto di natura privata (tecnicamente unilaterale), oltre a dovere sottostare a una serie di limiti prestabiliti dall’ordinamento (il che, di per sé, è comune a tutti gli atti giuridici), trovano la loro fonte direttamente nella legge, dal momento che perseguono effetti che mai potrebbero essere conseguiti soltanto dalle parti, come, ad esempio, il recupero delle pagamenti preferenziali nell’interesse della collettività dei creditori 186 ; salve le eccezioni rappresentate da alcune giurisdizioni, per effetto dell’affidamento si instaura (se non una vera e propria micro-­‐‑procedura giudiziaria, quanto meno) un rapporto – la cui stabilità varia a seconda dei singoli statutes – tra assignee e autorità giudiziaria. Coerentemente, i doveri che sorgono in capo all’assignee vengono accomunati a quelli del trustee in bankruptcy187; per quanto ciò non sia formulato espressamente, sembra possibile affermare che l’assignee (in un assignment regolato da uno statute) svolge alcune funzioni tipiche dei soggetti che, nell’ordinamento italiano, assumono la qualifica di pubblico ufficio. Ciò nonostante, merita di essere sottolineato che l’ABC non determina il prodursi dell’automatic stay, la quale è prerogativa esclusiva delle procedure disciplinate dal Bankruptcy Code, rimanendo quindi i creditori liberi di assumere le iniziative giudiziare che ritengono opportune188. Da ultimo, giova porre in evidenza che alla possibilità che l’assignment for the benefit of creditors funga da modello di riferimento utilizzato per confermare la legittimità del trust liquidatorio extra-­‐‑
concorsuale – o più radicalmente quale schema direttamente optabile da parte del disponente – si frappongono non soltanto ostacoli di carattere tecnico-­‐‑formale, ma anche considerazioni di opportunità. Sotto il profilo comparatistico, infatti, sembra doversi dubitare della 186
KUPETZ, The Venerable, 302.
WINSTON-WINSTON, Complete, 4-7.
188
In particolare, i creditori muniti di garanzia reale potranno esercitare i loro diritti di
foreclosure, mentre qualsiasi creditore (garantito o meno) potrà tentare di aggredire i beni
trasferiti al trustee sulla base della dottrina delle fraudulent conveyances o, se raggiunge le
soglie dimensionali richieste dalla § 109, US Bankruptcy Code, potrà richiedere l’apertura di
una procedura fallimentare; va detto, però, che l’istituzione di un assignment rappresenta un
ostacolo tecnico capace di frustrare la soddisfazione delle pretese creditizie di minore valore
(come implicitamente accettato già da GLENN, The Law, 173): da un lato, i creditori non
garantiti non troveranno nel patrimonio della debitrice alcun bene su cui soddisfarsi, per effetto
del trasferimento al trustee; dall’altro lato, i titolari di pretese di modico valore non potranno
attivare la tutela fallimentare (in quanto esclusi, come singoli, dai limiti dimensionali della §
109; cfr. anche MORRISON, Bargaining, 266) e tanto meno saranno incentivati a esercitare
un’azione volta a fare accertare la natura fraudolenta della transazione.
187
-67-
correttezza di un’importazione – diretta, in applicazione della XV Convenzione, o indiretta – di un istituto straniero che, sebbene goda nei fatti di una certa diffusione, pare trovare le ragioni di tale apprezzamento nella prassi nel suo prestarsi a operazioni distrattive a danno dei creditori meno sofisticati e meno in grado di autotutelarsi189; tanto che, da un punto di vista di politica del diritto, non vi è una visione univoca degli ABCs190 ed è pertanto difficile prevederne i futuri sviluppi191. 8.2. (segue): fraudulent conveyances e preferential payments (e asset protection trusts). – L’istituto analizzato nel paragrafo precedente è strettamente correlato con la disciplina dei trasferimenti patrimoniali compiuti dal debitore nel periodo antecedente al fallimento e della “revocabilità” di siffatti trasferimenti; disciplina, presente non solo nell’ordinamento statunitense, ma anche in quello inglese e di Jersey. L’assignment non costituisce, in quanto tale, una distrazione di natura fraudolenta192. Tuttavia, l’affidamento a un trustee rappresenta sempre, di per sé, un atto a titolo gratuito (senza consideration) che, se effettuato da un disponente insolvente (o che tale diventi a seguito dello 189
MORRISON, Bargaining, 297 s., e cfr. anche nota 15, dove l’A. osserva che gli ABCs,
così come le altre procedure liquidative statali, «have long been seen as devices to shield
insider self-dealing, preferential payments to favored creditors, or other prepetition conduct
that would not withstand scrutiny in a federal bankruptcy court. Several (anonymous)
practitioners described ABCs in precisely these terms» (enfasi aggiunta), richiamando anche
WEINTRAUB-LEVIN-SOSNOFF, Assignments, 4; contra v. CHATZ-LEVY, Alternatives, 155 («the
most economically reasonable and efficient alternative to bankruptcy [...] in the best interest of
both unsecured creditors and secured creditors as well as the debtor»).
190
MORRISON, Bargaining, 298 ss., il quale inferisce, sulla base delle evidenze
empiriche riscontrate, che agli Stati dovrebbe essere lasciata maggiore libertà di regolare le
procedure di insolvenza (nelle quali verrebbero inclusi gli ABCs) per le imprese di dimensioni
ridotte, così da diminuire il rischio di comportamenti opportunistici da parte del debitore
nonché il rischio di collusione tra quest’ultimo e i creditori “forti”, senza che tuttavia obbligare
le small businesses a ricorrere alle procedure federali, i cui costi sarebbero non proporzionati ai
valori dell’impresa riorganizzanda o liquidanda; sostanzialmente analoghe le conclusioni del
precedente studio empirico di MANN, An Empirical, 1422 ss., 1443, il quale tuttavia esprime
decisamente meno preoccupazioni rispetto alle possibilità di abuso da parte della società
debitrice e dei suoi creditori maggiori; cfr., già, SKEEL, Rethinking, 553 s.
191
Tanto in ragione della ricordata pronuncia Sherwood, la quale, se dovesse essere
seguita dalle Corti inferiori – al contrario di ciò che è fino a ora accaduto – priverebbe le
procedure liquidatorie statali di buona parte del loro significato, quanto perché molti Stati
stanno progressivamente abrogando gli statutes sugli ABCs (cfr. WINSTON-WINSTON,
Complete, 4-9: «some states have repealed the statutes authorizing an assignment for the
benefit ofcreditors based oh the premise that the bankruptcy statute is a better alternative, and
other states are processing bills to repeal the statute»), privandoli pertanto di legittimità, se non
come common law assignment, con l’impraticabilità che ne consegue.
192
TABB, The Law, 30; GLENN, The Law, 173;
-68-
spostamento patrimoniale), rientra nel novero delle fraudulent conveyances recuperabili dal trustee in bankruptcy, senza che sia peraltro necessario provare in concreto l’esistenza di un intento fraudolento193. Pertanto, affinché un ABC possa essere considerato valido e fugare ogni dubbio di frode, esso deve rispettare le condizioni descritte supra sub a)-­‐‑
e) e, in generale, quelle stabilite dalle norme statali a carattere imperativo194. Inoltre, è stata individata una serie di altri elementi i quali fanno presumere che l’ABC persegua lo scopo fraudolento di sottrarre il patrimonio della debitrice alle pretese dei suoi creditori o di soddisfarne alcuni in via preferenziale: qualora, per esempio, non coinvolga l’intero patrimonio attivo dell’assignor ma soltanto una sua parte195. In siffatti casi, l’assignment viene considerato una fraudulent conveyance o un pagamento destinato a soddisfare in via preferenziale uno o più creditori. Vale la pena notare, sul punto, che un ABC, qualora strutturato in maniera analoga a un trust liquidatorio extra-­‐‑concorsuale italiano, sarebbe con ogni probabilità ritenuto atto in frode ai creditori da una Corte statunitense: si pensi, infatti, alla circostanza che: frequentemente il settlor – il quale spesso figura anche tra i beneficiari – si riserva poteri anche rilevanti nei confronti del fondo in trust e del trustee 196 (quando non è anche beneficiario residuale 197); inoltre, con altrettanta ricorrenza, il trustee coincide con soggetti tutt’altro che terzi (e men che meno professionalmente qualificati); infine, negli atti istitutivi difetta ogni previsione relativamente all’ordine di 193
SCOTT-FRATCHER-ASCHER, Scott, vol. 3, § 15.4, 951 ss. (per il caso in cui il settlor
sia anche beneficiario); e ID., vol. 2, § 9.4, 521 ss. (per l’ipotesi generale del trust costituito
allo scopo di frodare i creditori); SHAPO-BOGERT-BOGERT, Bogert’s, vol. 4, § 211; e cfr. altresì
§ 4(a)(1), (b)(9), Uniform Fraudulent Transfer Act («UFTA», sul quale v., infra, nota 197) e il
relativo Comment, (5), 7A ULA.
194
TABB, The Law, 30; nella dottrina risalente HANNA, Contemporary, 562; GLENN, The
Law, § 112, 185 ss. (dove la superata considerazione che, qualora l’assignment preveda la
continuazione dell’attività, quest’ultimo costituisce una fraudulent conveyance), § 113, 187 ss.
(per l’affermazione che è attaccabile l’assignment nel quale il disponente si riservi dei poteri
e/o interessi nella proprietà in trust).
195
TABB, The Law, 30; CHATZ-LEVY, Alternatives, 154; differentemente, affermano che,
in mancanza di altri elementi, la frode non sia dimostrata soltanto dal carattere parziale
dell’assignment HUGHES-KENNEL, Assignments, § 21.
196
KOVE-BOGERT, Bogert’s, vol. 5, § 250, 346; TABB, The Law, 30; CHATZ-LEVY,
Alternatives, 154; GLENN, The Law, § 113.
197
Il caso del disponente che istituisca un trust includendosi tra i beneficiari è un caso
emblematico di trust con scopo illecito in quanto rivolto a diminuire la garanzia patrimoniale a
disposizione dei creditori: esso è fraudulent conveyance anche se il settlor era solvente al
momento dell’istituzione: SCOTT-FRATCHER-ASCHER, Scott, vol. 3, § 15.4, 951 ss.; SHAPOBOGERT-BOGERT, Bogert’s, vol. 4, § 223.
-69-
distribuzione dell’attivo ai creditori, il quale può quindi essere in sostanza stabilito discrezionalmente del trustee. Più in generale, si può constatare che, analogamente agli ordinamenti di civil law, nell’esperienza giuridica di common law, sia inglese sia statunitense, è storicamente ben radicata l’idea che il debitore – a prescindere dal fatto che quest’ultimo sia effettivamente insolvente o anche soltanto a conoscenza della propria futura insolvenza – possa, con atti di distrazione di vario genere (tra i quali rientra a pieno titolo il trust), tentare di porre attività patrimoniali al riparo dalle pretese dei creditori 198 . In altri termini, il trattamento giuridico del trasferimento al trustee non è diverso da quello riservato in via generale a tutte le categorie di atti dispositivi che, a vario titolo, 198
Tra le prime discipline dettate dall’esigenza di rimediare alle iniziative distrattive dei
debitori – vi è testimonianza che queste ultime furono attuate anche con l’istituzione del trust a
partire dal basso medioevo: BIANCALANA, Medieval, 112, 124 ss. – fu lo Statute of Elizabeth
(1571, 13 Eliz 1, c 5) che disponeva «[…] that all and every feoffment, gift, grant, alienation,
bargain and conveyance of lands, tenements, hereditaments, goods and chattels, or any of
them, by writing or otherwise, and all and every bond, suit, judgment and execution at any time
had or made to or for any intent or purpose before declared and expressed, shall be from
henceforth deemed and taken, only as against that person or persons, his or their heirs,
successors, executors, administrators and signs of every of them, whose actions, suits, debts,
etc; by such guileful, covinous or fraudulent devices and practices, as is aforesaid, are, shall or
might be in anywise disturbed, hindered, delayed or defrauded, to be clearly and utterly void,
frustrate, and of none effect, any pretence, color feigned consideration, expressing of use or
any other matter or thing to the contrary notwithstanding» (enfasi aggiunte). Nell’ordinamento
britannico, siffatta regola confluì, modificata, nel Bankruptcy Act 1883 e successivamente nel
Law of Property Act 1914 – quest’ultimo di particolare rilevanza in quanto sostanzialmente
ancora in vigore in molti Stati del Commonwealth, e cioè in una molteplicità di giurisdiszioni
offshore – e infine, notevolmente temperata, nell’Insolvency Act 1986: sul punto THOMASHUDSON, The Law, §§ 9.20 ss., 240 ss.; PANICO, International, 478 ss.; negli Stati Uniti, il
common law sul punto si è evoluto sulla base dello Statute of Elizabeth, fino all’emanazione
del Bankruptcy Act 1898 e, infine, da una parte del Bankrutpcy Code 1978, dall’altra
dell’Uniform Fraudulent Conveyance Act (1918) e, poi, dell’Uniform Fraudulent Transfer Act
1984. Quanto meno prima degli innovativi scritti di KETTERING [Securitization and Its
Discontents: The Dynamics of Financial Product Development, in 29 Cardozo L. Rev. (2008),
1585 ss.; ID., Pride and Prejudice in Securitization: A Reply to Professor Plank, in 30 Cardozo
L. Rev. (2009), 1989 ss.; ID., Codifying a Choice of Law Rule for Fraudulent Transfer: A
Memorandum to the Uniform Law Commission, in 19 ABI L. Rev. (2011), 320 ss.; ID., True
sale of receivables: a purposive analysis, in 16 ABI L. Rev. (2008), 511 ss.], la dottrina angloamericana contemporanea non sembra avere dedicato, in realtà, particolare attenzione alla
tematica delle fraudulent conveyances e del loro rapporto con il diritto fallimentare, nonostante
l’indubbia vigenza delle regole ora menzionate – tanto che non sembra peregrino ritenere che
tale situazione integri un’ipotesi di “criptotipo” nei termini di regola (pur non verbalizzata ma
del tutto) consolidata, delineati da SACCO, Legal, 385 ss. In argomento, cfr. altresì SCOTTFRACHTER-ASCHER, Scott, vol. 2, 469, che individua l’origine della disciplina delle fraudulent
conveyances in un momento ancora anteriore allo statuto elisabettiano; e, in tema di asset
protection trust, STERK, Asset, 1041 s.
-70-
depauperano il patrimonio del debitore in maniera “atipica” e/o fraudolenta e che sono, pertanto, “revocabili” o “annullabili”. Nell’ordinamento inglese si riscontrano due categorie, l’una necessariamente collegata con il fallimento del settlor (transaction at undervalue e preferences), l’altra da esso indipendente. Relativamente alla prima ipotesi, in applicazione della norma risultante dall’interpretazione sistematica delle §§ 339 e 341 dell’Insolvency Act 1986, il trasferimento a un trustee a titolo gratuito o per una consideration significativamente inferiore al valore dei beni trasferiti, è “revocabile” dal trustee in bankruptcy se effettuato entro due anni dall’istanza di fallimento; inoltre, se effettuato dopo i due ma prima dei cinque anni, può essere privato di efficacia se si riesce a dimostrare che il settlor si trovava in stato d’insolvenza al momento dell’affidamento (o che lo è divenuto in conseguenza del fallimento)199. Parimenti, ai sensi delle §§ 339 e 342 dell’Insolvency Act 1986, quando una conveyance (nel caso di specie, l’atto di trasferimento al trustee) avvenga a titolo oneroso, ma al fine di riservare un trattamento preferenziale a uno o più creditori (per esempio, utilizzando il trust quale strumento di garanzia), si ricade nelle preferences, anche queste “revocabili” su iniziativa del trustee in bankruptcy. Quanto alla seconda ipotesi, la § 423 prevede la possibilità di recuperare quanto fuoriuscito dal patrimonio del debitore anche senza l’apertura di una procedura fallimentare, e cioè quando quest’ultimo abbia trasferito attività patrimoniali, a un prezzo inferiore al loro effettivo valore, allo specifico scopo di porle al di fuori della portata di uno o più creditori200, attuali o futuri201. 199
La definizione letterale di transaction at undervalue [«a gift to that person or he
otherwise enters into a transaction with that person on terms that provide for him to receive no
consideration», § 339, (3), (a)] non fa riferimento al trust, ma è indubbio che anche questo
rientri nell’ambito di applicazione della norma: cfr. per tutti HAYTON-MATTHEWS-MITCHELL,
Underhill, §§ 16.1 ss., 394 ss.; THOMAS-HUDSON, The Law, §§ 9.26 ss., 242 ss.; THOMAS,
Asset, § 6.102 ss., 385 ss.
200
HAYTON-MATTHEWS-MITCHELL, Underhill, §§ 17.1 ss., 399 ss.; THOMAS-HUDSON,
The Law, §§ 9.45 ss., 248 ss.; soggetto legittimato all’azione è: ogni «victim» della condotta
distrattiva; qualora sia in atto una procedura concorsuale, il trustee in bankruptcy; qualora, poi,
sia stato approvato un Company Voluntary Arrangement («CVA») – al riguardo v., ultra,
capitolo II, § 6 –, ogni «victim» che non sia parte dell’accordo oppure il supervisor, nel caso in
cui il danneggiato sia un soggetto coinvolto nel CVA; THOMAS, Asset, § 6.126 ss., 394 ss.
201
Proprio siffatta caratteristica distingue la disciplina inglese da quelle offshore
(compresa quella di Jersey), nelle quali il potere di invalidare le fraudulent transactions viene
limitato ai creditori il cui titolo è antecedente alla creazione del trust: per una rassegna v.
PANICO, International, 11.113 ss., 484 ss.
-71-
Molto vicina all’esperienza inglese è quella dell’ordinamento statunitense, dove la dottrina delle fraudulent conveyances è stata prima elaborata da parte della giurisprudenza sulla base dello Statute of Elizabeth, e poi parzialmente trasfusa in atti legislativi, federali e – in particolare per il tramite delle proposte di uniformazione provenienti dall’Uniform Law Commission («ULC»), quali l’Uniform Fraudulent Transfer Act («FTA») 202 – statali. Attualmente, una pluralità di fonti concorre a determinare in quali casi un trust è ritenuto in frode ai creditori: assume speciale rilevanza il Bankruptcy Code: la § 548 (a) (1) conferisce al trustee in bankruptcy il potere di colpire, inter alia, ogni trasferimento di proprietà compiuto dal debitore entro due anni dall’istanza di fallimento purché effettuato con l’intento «ostacolare, ritardare o frodare» i creditori o per un controvalore inferiore al reasonably equivalent value, se il debitore era insolvente. È dato pacifico che il concetto di «trasferimento» comprende l’istituzione di un trust203, la cui costituzione è di regola un atto a titolo gratuito. Inoltre, l’assegnazione in trust di uno specifico bene, oltre a una fraudulent transaction, può costituire anche una soddisfazione preferenziale di uno o più creditori. Di tenore simile è, poi, l’FTA, , la cui § 4 (a) dispone che sono fraudolenti – e quindi voidable – i trasferimenti compiuti dal debitore con l’intento di «ostacolare, ritardare o frodare» i creditori attuali o futuri così come quelli effettuati senza un «reasonably equivalent value», a prescindere dall’apertura di una procedura fallimentare. Ancora, la natura fraudolenta viene presunta nel caso in cui la transazione è a titolo gratuito o se il debitore era insolvente al momento dell’operazione o se lo è divenuto per effetto della medesima. In aggiunta, la § 5 (b) amplia la possibilità di invalidare i trasferimenti, anche a titolo oneroso, se effettuati dal debitore insolvente a beneficio 202
L’Uniform Fraudulent Transfer Act è stato adottato dalla ULC nel 1984, a
sostituzione del precedente Uniform Fraudulent Conveyance Act (1918). Come già osservato a
proposito del UTC, occorre ricordare che gli atti emanati dall’ULC sono privi, in quanto tali, di
valore normativo, essendo proposte di codificazione uniforme la cui trasposizione in legge
formale rimane nella discrezione dei singoli Stati, i quali sono inoltre liberi di alterarne il
contenuto: al 2011, l’FTA era in vigore in quarantadue Stati; per una rassegna cfr. FTA
General Notes, 7A ULA (e per un panorama delle modifiche alla centrale section 4 v. UFTA, §
4 Comment, 7A ULA); COLTOFF-DANNE-LINDSLEY, Fraudulent, § 3. Va segnalato che la § 4
(b) FTA codifica, ai nn. (1)-(11) i c.d. «badges of fraud», ossia le circostanze, tipizzate dalla
case law a partire dalla sentenza Twyne, 76 Eng.Rep. 809 (1601), al ricorrere delle quali
l’intento fraudolento da parte del debitore è presunto; v. sul punto THOMAS, Asset, 358 ss. per
individuare la ricorrenza in concreto dell’intento fraudolento del disponente.
203
Cfr. SHAPO-BOGERT-BOGERT, Bogert’s, vol. 4, § 211 e la giurisprudenza ivi citata in
nota 11.
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di un «insider» il quale poteva ragionevolmente essere a conoscenza dello stato di incapienza del trasferente. Così come accade nell’interpretazione della § 548 (a) (1) del Bankruptcy Code, anche il concetto di «trasfer» ai sensi dell’FTA comprende l’assegnazione di beni a un trustee204. L’ipotesi che, nell’ordinamento americano, viene ritenuta fattispecie esemplare di trust in frode alla legge è quello nel quale il settlor costituisca un trust nell’interesse di sé stesso205, in particolare se con clausola spendthrift, in forza della quale l’equitable ownership del beneficiario è sottratta all’aggressione dei suoi creditori206. In merito alle normative ora richiamate, è nel complesso interessante osservare che, negli ordinamenti di common law, le problematiche a esse sottostanti (i.e., il rischio di distrazioni abusive perpertrate dal debitore in danno ai creditori) sono sempre state trattate come esogene rispetto al diritto dei trusts – sebbene il trust abbia da sempre ricevuto una particolare “attenzione” –, e come tali affrontate207. Come si è visto, infatti, le regole che assumono rilievo al riguardo o sono proprie – tanto per collocazione normativa quanto per attinenza tematica – del diritto fallimentare o sono parte di interventi normativi dedicati in via generale a limitare le facoltà del debitore di compiere validamente disposizioni patrimoniali in frode ai creditori e, quindi, a 204
PANICO, International, 480; SHAPO-BOGERT-BOGERT, Bogert’s, vol. 4, § 211; UFTA,
§ 4 Comment, (5), 7A ULA.
205
SCOTT-FRATCHER-ASCHER, Scott, vol. 2, § 9.4, 521 ss.; SCOTT-FRATCHER-ASCHER,
Scott, vol. 3, § 15.4, 951 ss.; SHAPO-BOGERT-BOGERT, Bogert’s, vol. 4, § 211; diffusamente
COLTOFF COLTOFF-DANNE-LINDSLEY, Fraudulent, §§ 138 s.
206
Lo spendthrift trust si caratterizza per l’intenzione del trustor di limitare la portata
dell’equitable interest dei beneficiari, i quali non possono disporne (pur potendone godere i
frutti): per l’effetto, la posizione beneficiaria non può essere aggredita dai creditori personali
dei beneficiaries: va notato che, mentre nell’ordinamento americano da siffatto tipo di trust è
pacificamente valido [AMERICAN LAW INSTITUTE, Restatement (Third) of Trust, 2 (2003), § 58,
355 ss.; UTC, §§ 502 s. (2000); SHAPO-BOGERT-BOGERT, Bogert’s, vol. 4, § 222; SCOTTFRACHTER-ASCHER, Scott, vol. 3, § 15.2, 898 ss.; DUKEMINIER-SITKOFF-LINDGREN, Wills, 614
ss.; HANSMANN-KRAAKMAN, The Essential, 395, 400; ampiamente pure HIRSCH, Spendthrift, 3
ss.], il diritto dei trust inglese non ammette siffatta costruzione: MOFFAT, Trusts, 276 ss., il
quale, nel discutere dei family trust, nota (a 278) che anche in Inghilterra è conseguibile,
sostanzialmente mediante il discretionary trust, un certo effetto “protettivo” dei beneficiari;
cfr. così pure DUKEMINIER-SITKOFF-LINDGREN, Wills, 610 s. e 615 nota 6; inoltre, il Trustee
Act (1925) ha introdotto lo statutory protective trust: v. MOFFAT, Trusts, 263 ss.; THOMASHUDSON, The Law, § 9.11 ss., 236 ss., e § 9.01, 235 sull’inammissibilità dello spendthrift.
Peraltro, attualmente negli Stati Uniti la vera questione – oltre a quella di permettere a certe
categorie creditori di raggiungere la trust property – concerne appunto le sorti dello spendthrift
trust cui si accenna nel testo, i.e. quello nel quale il settlor è anche l’unico beneficiario, nel
quale la struttura fiduciaria si riduce a un meccanismo di mera tutela patrimoniale (asset
protection trust): v. infra, in questo paragrafo.
207
V. DUKEMINIER-SITKOFF-LINDGREN, Wills, 624.
-73-
introdurre specifici rimedi contro siffatto rischio; disposizioni, delle quali l’istituzione di un trust (e gli atti di dotazione a esso connessi) rappresenta una species, il cui connotato soggettivo della fattispecie (cioè che il destinatario dello spostamento patrimoniale sia un trustee/fiduciario) non ha alcuna incidenza in termini di trattamento giuridico. Più esplicitamente, come nel sistema italiano la revocatoria (ordinaria e fallimentare) colpisce, al ricorrere di determinati requisiti, tutti i trasferimenti patrimoniali a prescindere dalla forma giuridica che essi assumono e delle caratteristiche soggettive dell’accipiens, analogamente in common law il trust è una delle possibili manifestazioni di atto “revocabile”: la circostanza che l’avente causa del debitore sia un trustee è indifferente ai fini della (dis)applicazione della disciplina delle fraudulent conveyances, lungi dal garantirne una sorta di esenzione208. 208
Il punto merita di essere sottolineato perché sembra, fino a ora, trascurato da gran
parte della letteratura italiana sul trust (v., supra, §§ 4-5) nonché della giurisprudenza
(esemplare, da ultimo, Cass., 9 maggio 2014, n. 10105), la quale, sotto il paradigma della
«segregazione», finisce per far passare l’idea – estranea, invece, al common law – che sia
connaturata all’istituzione di un trust una fuoriuscita dei beni affidati dal patrimonio del settlor
definitiva e irrevocabile, senza possibilità che le circostanze del caso assumano rilievo ai fini di
un giudizio di legittimità (o di revocabilità), come se il solo nomen «trust» integrasse,
nell’esperienza anglosassone, una presunzione di conformità all’ordinamento di ogni interesse
perseguito dal disponente. Al contrario, quando in common law si parla di “separazione
patrimoniale” immanente al trust – volendo impropriamente tradurre la locuzione «asset
partitioning» –, non si fa mai riferimento al settlor, bensì al trustee (utile in merito la lettura di
SITKOFF, Trust as “Uncorporation”, 20, il quale, commentando i “trusts” di diritto cinese,
ricorda che «the asset partitioning literature […] emphasized the separateness from the
trustee’s personal obligations because in the Anglo-American tradition the trustee is the legal
owner of the trust property. This is the feature of trust law—in effect, the splitting of the trustee
into two separate persons—that cannot be replicated by mere contract. But if the settlor and not
the trustee owns the trust property, then the locus of the partitioning or separateness issue shifts
to the settlor […]»; e cfr. altresì MATTHEWS, The Comparative, 289: «[…] “trusts” as
introduced by statute into Japanese, Taiwanese and Chinese law are in truth no more than
specially enhanced contracts, with asset ring-fenced from creditors […]» (enfasi aggiunta),
effetto quest’ultimo che – si deduce implicitamente dal discorso dell’A. – non può essere
ottenuto dalle parti senza il supporto dell’ordinamento) o al massimo ai beneficiari, nel
contesto degli spendthrift trusts (HANSMANN-KRAAKMAN, The Essential, 395, 405; ma v.
HANSMANN-MATTEI, The Functions, 453). Che l’obiettivo di conseguire una “segregazione”
patrimoniale nell’ottica del settlor si ponga in conflitto con la disciplina delle fraudulent
conveyances è dimostrato con chiarezza dall’esperienza degli asset securitization trusts:
nell’ambito di siffatte operazioni, l’utilizzo del trust quale special purpose vehicle della
cartolarizzazione – in termini semplicistici, il trust “acquista” i beni da cartolarizzare dalla
società originator, raccogliendo fondi nel mercato dei capitali mediante l’emissione di
certificati di partecipazione nel trust, rappresentativi di posizioni beneficiarie, che fondano il
diritto a pagamenti periodici (analogamente a dei titoli obbligazionari) e sono garantiti dal
fondo in trust – persegue lo scopo di creare un soggetto che è «bankruptcy-remote» rispetto
all’originator (settlor), e, con ciò, di isolare la posizione del creditore garantito da ogni pretesa
da parte dei creditori della massa nell’eventualità del successivo fallimento di quest’ultimo
(cfr. KETTERING, Securitization, 1567 s.). E infatti: da una parte il fondamento giuridico della
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Ritornando, dunque, al fenomeno che rappresenta l’oggetto principale della trattazione, è possibile affermare che il trust liquidatorio extra-­‐‑concorsuale, qualora fosse una Corte di common law a essere ipoteticamente investita della questione, verrebbe ritenuto una fraudulent conveyance (US) o una transaction defrauding creditors (UK), poiché non rispetta, per i suoi tratti concreti, i requisiti di validità dell’assignment, atteso che rappresenta un atto con il quale la società debitrice, già insolvente, si spoglia, a titolo gratuito, dell’intero residuo attivo, trasferendolo a un trustee (o, peggio, dichiarando di detenerlo in trust) e frustrando, così, i tentativi di recupero del credito da parte dei creditori209. Nell’ambito di siffatto ragionamento meritano un cc.dd. cenno i trusts di «protezione patrimoniale» (asset protection trusts). Si tratta di una fattispecie, progressivamente diffusasi nel corso degli ultimi decenni, che si pone in controtendenza rispetto a quanto ora analizzato: gli asset protection trusts sono, nei fatti, strumenti fiduciari con i quali il settlor intende soltanto porre parte del proprio patrimonio stabilmente al riparo dall’aggressione dei suoi creditori 210 . Proprio in ragione dei ridotti margini di validità di un affidamento di tale natura nel tradizionale modello di common law inglese e statunitense, dove l’assetto normativo discendente dalle discipline sopra menzionate è complessiva operazione è stato posto convicentemente in dubbio (da parte di KETTERING,
Securitization, 1620 ss.; ID., Pride, 1989 ss.), nella parte in cui l’operazione, di per sé motivata
unicamente dall’obiettivo di evitare che un determinato asset rientri nella massa fallimentare,
sarebbe annullabile in quanto fraudulent conveyance (cfr., inoltre: HANSMANN-KRAAKMAN,
The Essential, 420 s., secondo i quali la diffusione delle cartolarizzazioni si spiega in quanto
essa sarebbe «an artifact of the weakness of U.S. bankruptcy law in respecting priorities-a
weakness not generally shared by other legal systems»); LEVITIN-GELPERN, Rewriting, 1093
ss., ove un esempio di un trust-spv effettivamente “bankruptcy-remote”; dall’altra, anche i
sostenitori della (maggioritaria) tesi della legittimità della cartolarizzazione concedono che la
bankruptcy remoteness non è un risultato garantito di per sé dal ricorso al trust (né ad altre
forme organizzative), bensì è raggiunto soltanto se, inter alia, avviene un “true sale” tra
originator e trustee, in mancanza del quale gli assets oggetto della cartolarizzazione ricadono
nella massa attiva dell’originator dichiarato fallito: ex multis, SCHWARCZ-MARKELL-BROOME,
Securitization, 45 ss. e 69 ss.; KOTHARI, Securitization, Singapore, 2006, 578 ss., 636 ss.; in
argomento, cfr. pure PEARCE, Special Purpose, 197 ss.; ID., Bankruptcy-remote, 507 ss.
209
Sarebbero così integrato più di uno dei badges of fraud, in part. quelli di cui alla §
4(b)(5), (8), (9); v. THOMAS, Asset, §§ 6.19 ss., 356 ss.
210
Mediante la creazione di un self-settled spendthrift trust del quale il disponente è
anche il solo beneficiario; THOMAS, Asset, §§ 6.1 ss., 348 s.; THOMAS-HUDSON, The Law, §§
40.4 s., 1074; DUKEMINIER-SITKOFF-LINDGREN, Wills, 624 ss.; MOFFAT, Trusts, 276 ss.; e,
ampiamente, STERK, Asset, 1035 ss.; in senso critico LOPUCKI, The Death, 32 ss.; KETTERING,
Codifying, 327 ss.
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estremamente favorevole ai creditori211, una pluralità di legislazioni offshore 212 nonché di giurisdizioni statali americane 213 ha introdotto disposizioni maggiormente liberali nei confronti del fenomeno. Più specificamente, in particolare per quanto riguarda le giurisdizioni offshore, le modifiche legislative sono volte a garantire maggiore stabilità ai trusts con funzioni di protezione patrimoniale e, per converso, a limitare o rendere (anche proceduralmente) più onerosa l’attivazione dei poteri invalidatori/revocatori dei creditori, nell’ottica di introdurre un ambiente favorevole al disponente-­‐‑debitore più che ai creditori214 e di attrarre, così, settlors stranieri215 . Una delle più ricorrenti differenze introdotte (con legge formale o mediante l’interpretazione della giurisprudenza) dalle giurisdizioni offshore è quella di escludere dal novero dei soggetti legittimati ad agire per la revoca del trust quanti non fossero creditori già al momento della sua istituzione216. 211
THOMAS, Asset, § 6.2, 349; THOMAS-HUDSON, The Law, §§ 40.5, 1074 s.; PANICO,
International, § 11.96, 478; cfr., sui limiti di validità ed efficacia degli asset protection trust
nell’ordinamento statunitense, KETTERING, Codifying, 328 s., ove il rilievo che «even
advocates of the product do not seriously contend that a conveyance to such a trust should be
completely immune from fraudulent transfer scrutiny»; HIRSCH, Fear, 2700 ss.; STERK, Asset,
1035 ss.
212
Per una rassegna v. THOMAS, Asset, §§ 6.197 ss., 431 ss.; più di recente, PANICO,
International, § 11.113 ss., § 484 ss.
213
Raccolte in SHAPO-BOGERT-BOGERT, Bogert’s, vol. 4, § 223, 31; diffusamente su
Alaska e Delaware, STERK, Asset, 1051 ss.; v. anche DUKEMINIER-SITKOFF-LINDGREN, Wills,
625 ss.
214
In particolare, le prime restringendo le possibilità di aggredire gli atti di dotazione
del trust, le seconde introducendo una disciplina positiva dello spendthrift trust di cui il settlor
sia anche beneficiario: cfr. PANICO, International, § 11.94, 477 s., il quale nota come il
concetto di asset protection trust «does not define a specific category of trust under the laws of
any particular jurisdiction. It relates to a set of statutory provisions meant to enhance the ability
of a disposition on trust to withstand any third parties’ attempts to “claw it back”»;
similarmente, secondo THOMAS, Asset, § 6.2, 348, «the essence of an asset protection trust […]
is that it is governed by a more sympathetic system of law than that applicable in the settlor’s
or transferor’s home jurisdiction».
215
Tanto che, per alcune giurisdizioni, la validità (o la “protezione giuridica” di fatto
ricevuta) degli asset protection trusts è condizionata alla nazionalità (straniera) del disponente
e dei beneficiari: cfr. e.g. Cook Island, International Trusts Act (1984) § 2(1) (1996) (Cook
Islands) (al riguardo v. STERK, Asset, 1048, «a sure sign that the purpose of the statute was to
attract foreign capital»); Cyprus International Trust Law, § 2, richiedendo pure
l’“internazionalità” della trust property; Cayman Island, dove la normativa fallimentare
impone, tra i presupposti dell’assogettamento al fallimento, la residenza (cfr. THOMAS, Asset,
§§ 6.272 ss.).
216
Fra gli ordinamenti muniti di una disciplina esplicita, cfr., e.g., Cayman (§ 2,
Cayman Fraudulent Dispositions Law 1989); Cook Islands, [§ 13B(12), International Trusts
Act 1984]; tra le giurisdizioni nelle quali le limitazioni – rispetto all’ordinamento inglese e
nordamericano – alle prerogative dei creditori sono state previste dalla giurisprudenza, deve
essere qui ricordata la legge di Jersey, che non dispone di specifiche disposizioni di legge
-76-
Al di là della considerazione che il trust liquidatorio extra-­‐‑
concorsuale potrebbe essere aggredito con una certa probabilità di successo perfino qualora la legge sostanziale applicabile sia una delle giurisdizioni ostacolano l’azione “revocatoria” dei creditori, sulla base dell’esistenza degli asset protection trusts non pare certo plausibile argomentare alcunché relativamente alla legittimità o meno di siffatta esperienza. Occorre, infatti, stabilire un punto fermo nell’analisi: un trust extra-­‐‑concorsuale con funzione meramente liquidatoria istituito da una società insolvente, non potrà mai essere strutturato quale asset protection trust, proprio perché in tali circostanze nulla rimane da rivolte a garantire stabilità agli asset protection trusts: l’art. 17 del Bankruptcy (Desastre)
(Jersey) Law disciplina le transactions at undervalue in modo in buona parte identico alle §§
339 e 341 dell’UK Insolvency Act [cfr. THOMAS-HUDSON, The law, §§ 40.105, sulla differenza
tra mancanza di «consideration» (per il diritto inglese) e di «cause» per l’ordinamento di
Jersey: Art. 17 (7) (b) (i), (ii)]. Tuttavia, una delle più decisioni rese nell’ambito del caso
«Grupo Torras S.A.», pronunciandosi sull’azione paolina (Pauline action) nell’ordinamento di
Jersey, ha stabilito che essa può essere esercitata, impregiudicata la sussistenza degli altri
presupposti, soltanto da parte dei creditori il cui titolo risale a un momento antecedente
all’istituzione del trust: v. In re Esteem Settlement, [2002] JLR 53, parr. 180 ss., 120 s.; cfr.,
inoltre, l’isola di Man, sulla quale v. PANICO, International, § 11.170 s., 498 s., il quale (a §
11.188, 503), considera probabile la futura applicazione della Pauline action nei termini
delineati dalla Jersey Royal Court anche a Guernsey.
Come accennato, anche alcuni Stati statunitensi hanno emanato statutes che,
introducendo un’eccezione alla regola che vieta al settlor di costituire uno spendthrift trust del
quale sia anche beneficiario, permettono l’utilizzo del trust a scopi di protezione patrimoniale.
I punti comuni delle varie disciplina nazionali sono, approssimativamente, i seguenti: i)
l’istituzione deve essere irrevocabile, discretionary e spendthrift (SHAPO-BOGERT-BOGERT,
Bogert’s, vol. 4, § 223, 32 ); ii) è fatta comunque salva l’applicazione della disciplina delle
fraudulent conveyances (PANICO, International, §§ 11.206 ss., 509 s.), ma vengono introdotti
dei limiti temporali abbreviati entro i quali i creditori (anche futuri) possono agire (PANICO,
International, §§ 11.206 ss., 509 s.; SHAPO-BOGERT-BOGERT, Bogert’s, vol. 4, § 223, 32 ); iii)
in caso di successo dell’azione di un creditore, il trasferimento al trustee viene invalidato
soltanto per l’ammontare sufficiente a soddisfare la pretesa del medesimo (PANICO,
International, § 11.207 ss., 510). Al di là della considerazione che la stabilità di siffatto
strumento deve ancora essere messa alla prova di una controversia a rilevanza interstatale
(ossia, qualora il creditore del disponente ottenga una condanna in uno stato che non riconosce
l’asset protection trust e ne chieda l’esecuzione nello stato dove sono collocate i beni del
disponente vincolati in un tale genere di trust: SHAPO-BOGERT-BOGERT, Bogert’s, vol. 4, §
223, 32) – tanto che taluni ne consigliano l’utilizzo specificamente per quanto il settlor sia
soggetto non residente negli U.S., non verificandosi in questo caso il conflitto di giurisdizioni
ora accennato: BOVE, The United, 16 ss. – hanno trovato una prima risposta i dubbi sulla
effettiva capacità di superare il vaglio giudiziale degli onshore asset protection trusts (cfr. per
esempio SHAPO-BOGERT-BOGERT, Bogert’s, vol. 4, § 223, 32; DUKEMINIER–SITKOFFLINDGREN, Wills, 627; STERK, Asset, 1075 ss.): nel caso In re Mortensen (2011) WL 5025249,
la Bankruptcy Court per il distretto dell’Alaska ha dichiarato la revocabilità ex § 548(e)
dell’asset protection trust.
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“proteggere”217. Pare doversi dare per assodato che, se la società è insolvente, i soci non possono avanzare pretese sul patrimonio attivo residuo (se non quella di vedersi liquidare la propria partecipazione, nell’improbabile eventualità che a seguito della soddisfazione dei creditori rimanga qualcosa da distribuire), il quale spetta (fiduciariamente) ai creditori, con la conseguenza che ogni tentativo di “proteggerlo” dalle loro azioni è da ritenersi atto contrario ai basilari principi che informano il fallimento delle società. Per giunta, anche nel caso in cui un trust meramente liquidatorio sia istituito da una società solvente, i beneficiari (quanto meno prioritari) del patrimonio in trust non possono che essere comunque i creditori: ne discende che nemmeno in siffatta ipotesi può avere senso alcuno parlare di “protezione” dalle loro iniziative e, per l’effetto, di un trust con funzione di protezione patrimoniale. 9. La (pretesa) «meritevolezza» del trust extra-­‐‑concorsuale nelle soluzioni negoziali della crisi (piani attestati e accordi di ristrutturazione). – La situazione è in parte differente qualora il disponente (e i creditori) instaurino un collegamento funzionale tra il trust e le soluzioni non concorsuali della crisi, i.e. accordi di ristrutturazione e piani di risanamento. Come si è messo in luce (cfr., supra, §§ 4-­‐‑5), parte della dottrina e della giurisprudenza italiana ha suggerito, infatti, che il trust potrebbe venire incontro all’interesse alla protezione patrimoniale della debitrice dalle iniziative individuali (e eventualmente opportunistiche) dei singoli creditori, le quali rappresenterebbero un rischio per il raggiungimento e/o la buona riuscita dell’accordo o del piano. Per quanto riguarda gli accordi ex art. 182-­‐‑bis l. fall., detta funzione del trust dovrebbe essere valutata positivamente sia nella fase prodromica al raggiungimento di un accordo di ristrutturazione – anche quale alternativa al blocco delle azioni esecutive conseguibile con la micro procedura dell’art. 182-­‐‑bis, commi 6° e 7° 218 – sia quale 217
E rappresenterebbe un caso tipico di applicazione della fraudulent transfer doctrine:
KETTERING, Codifying, 329. Nell’ordinamento italiano, è di interesse Trib. Trieste, 22 gennaio
2014, nella parte in cui ha negato la meritevolezza di un trust interno retto dalla legge di
Jersey, nel quale disponente e beneficiario coincidevano, il cui atto costitutivo prevedeva il
dovere del trustee di gestire il patrimonio del settlor al fine di mantenere quest’ultimo nel
corso della vecchia, proprio sulla base della considerazione che si sarebbe trattato di un asset
protection trust, privo di un effettivo affidamento fiduciario e giustificato unicamente
dall’intento di creare un’articolazione patrimoniale.
218
In giurisprudenza v. Trib. Reggio Emilia, 27 agosto 2012.
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strumento di esecuzione dell’accordo, proprio al fine di conseguire una moratoria dall’orizzonte temporale più esteso rispetto ai sessanta giorni dall’omologa, allo spirare dei quali termina la protezione garantita dal comma terzo dell’art. 182-­‐‑bis, comma 3°219. Relativamente alla fattispecie di cui all’art. 67, lett. d), dovrebbe essere parimenti valutato con favore un trust nel quale venga trasferita l’intera impresa esercitata dalla debitrice come strumento esecutivo del piano di risanamento: si conseguirebbe così l’effetto di bloccare, in virtù delle proprietà segregative del trust relativamente al trust fund, ogni azione esecutiva (e cautelare) relativa alle attività trasferite al trustee da parte di creditori estranei [oltre a quello di vincolare in trust i beni necessari alla buona riuscita del programma risanatorio e garantire in questo modo i creditori beneficiari partecipanti (finanziatori)]220. Si è già detto (supra, § 7) perché ogni costituzione di un trust da parte di una società in crisi (o insolvente), nel quale l’oggetto del trust sia rappresentato dall’intera impresa (o comunque dalla totalità del patrimonio), non possa essere ritenuta compatibile con il diritto della crisi d’impresa, a prescindere da ogni pretesa «meritevolezza» dell’assetto di interessi che si ritenga raggiungibile con l’operazione in parola. I dati comparatistici acquisiti nei paragrafi che precedono permettono, ora, di svolgere delle più puntuali considerazioni riguardo siffatta «meritevolezza», avendo simultaneamente riguardo alle fattispecie concrete di trust liquidatorio extra-­‐‑concorsuale. Al riguardo, emergono due elementi di peculiare interesse. Il primo punto sul quale l’interprete deve soffermare l’attenzione è che, qualora – ragionando in via del tutto ipotetica – un trust liquidatorio extra-­‐‑concorsuale, dalle caratteristiche concrete con le quale esso si è finora presentato nel nostro sistema, fosse stato posto in essere in un ordinamento di common law, non si sarebbe prodotto alcun effetto protettivo, a beneficio del disponente, relativamente alle entità trasferite al trustee: al contrario, l’istituzione del trust sarebbe stata con ogni probabilità giudicata una fraudulent conveyance e, come tale, soggetta all’azione di annullamento esercitabile dai singoli creditori, da una parte, nonché dal trustee-­‐‑in-­‐‑bankruptcy, nel corso di un’eventuale 219
V., supra, note 73-75.
CAVALLINI, Trust, 1098 ss.; nel senso dell’ammissibilità del trust nei piani attestati,
cfr. anche D’ARRIGO, L’impiego, 458 s., che però sembra escludere la possibilità di vincolare
in trust l’intera impresa, limitandone quindi la legittimità all’ipotesi di una costituzione in trust
di «alcuni beni» a garanzia di «determinati creditori» (459).
220
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procedura concorsuale, dall’altra. In altri termini – nella prospettiva di un common lawyer – non sussisterebbe alcuna ragione per applicare, nella valutazione della legittimità (o fraudolenza) del ricorso allo strumento fiduciario, un metro diverso da quello con cui si giudica qualsiasi altro genere di “trasferimento”, a prescindere dalla forma giuridica che esso assuma (e.g., donazione, compravendita, conferimento in società, cessione di ramo d’azienda): la circostanza che il destinatario soggettivo sia un trustee è priva di rilevanza in siffatto giudizio, mentre nell’ordinamento italiano sembra che, fino ad ora, lo status di fiduciario del ricevente sia garanzia automatica della produzione dell’effetto segretativo. Ancora più esplicitamente, se si osserva da una prospettiva anglosassone l’istituzione di un trust da parte di una società insolvente, che ha ad oggetto l’intero suo patrimonio – e che, per giunta, non rispetta i requisiti minimi necessari per potere essere validamente ritenuta un ABC –, spesso senza nemmeno l’intervento di un trustee effettivamente terzo e professionale, nel quale il disponente si riserva incisivi poteri sull’operato del trustee e del guardiano, senza alcun limite di durata, risulta evidente che non si produce alcun effetto “segregativo” e che i beni in trust restano a disposizione delle pretese dei creditori del disponente. In un’ottica italiana, nelle circostanze descritte sembra non potersi negare che, da un lato, non solo i creditori possano agire in revocatoria (ordinaria) nei confronti dell’istituzione del trust e/o del negozio di trasferimento – in quanto atto a titolo gratuito–, ma anche agire avviare un’azione (di cognizione, dapprimae, ed esecutiva, poi) direttamente nei confronti del settlor, nell’ambito della quale può essere accertato, in via incidentale, che l’effettivo “interest” è rimasto in capo al disponente (= nullità e, pertanto, radicale inefficacia del trust); dall’altro, si applichi la disciplina del trasferimento d’azienda, con la conseguenza che il trustee risponde direttamente dei debiti del disponente221. Non si hanno dubbi, infatti, sul fatto che la disciplina della circolazione dei crediti e dei debiti degli art. 2555 ss. c.c. troverebbe applicazione se, nella fattispecie descritta, in luogo del “trust liquidatorio” si avesse, ad esempio, un conferimento a una “newco con scopo liquidatorio” o una cessione d’azienda: non v’è motivo per 221
Sembrano non cogliere questo profilo: Trib. Torino, 19 novembre 2013; Trib.
Milano, 23 maggio 2012.
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riservare trattamento differente all’istituzione del trust. D’altro canto, non si fatica a giungere a siffatta conclusione se si valuta che la totalità degli atti istitutivi di trusts liquidatori extra-­‐‑concorsuali prevede la traslazione al trustee non soltanto dell’attivo ma anche dell’intero passivo della società assignor222. Sembra, infine, opportuno passare a evidenziare come, anche volendo ammettere che si produca un effetto segregativo e, dunque, “protettivo” – quanto meno in via di fatto, e cioè per la necessità di esperire un’azione di revocatoria/nullità –, ciò sarebbe in ogni caso difficilmente armonizzabile con la disciplina sia dei piani di risanamento sia degli accordi di ristrutturazione. Per quanto riguarda i piani di risanamento, deve riscontrarsi che la compatibilità con i piani di un effetto di protezione patrimoniale a beneficio della debitrice-­‐‑disponente 223 sembra bisognosa di una giustificazione più robusta rispetto a quelle fino a ora addotta. Infatti, affermare che, in dette circostanze, potrebbero trarre giovamento dal trust i creditori beneficiari, che nella tesi richiamata sarebbero i finanziatori del risanamento, tanto perché acquisterebbero una “speciale” garanzia sui cespiti in trust, quanto poiché la riuscita del piano non sarebbe minata dalle azioni esecutive e/o cautelari di altri creditori – le quali sarebbero inibite, secondo la dottrina, dall’effetto segregativo del trust –, è cosa assai differente dal dimostrare che tale assetto di interessi è compatibile con la legge fallimentare. In particolare, si deve notare che, fino a ora, l’ordinamento costantemente ricollega la moratoria delle azioni esecutive e cautelari se non all’apertura di una procedura concorsuale (concordato preventivo), quanto meno all’intervento – anche successivo – dell’autorità giudiziaria (accordi di ristrutturazione). La conseguenza implicita della tesi che ammette la possibilità di costituire un trust con funzione di (garanzia e di) protezione patrimoniale nell’ambito di un piano di risanamento è che l’autonomia privata avrebbe facoltà di introdurre un blocco delle iniziative creditizie non solo al di fuori delle specifiche ipotesi nelle quali la realizzazione di tale obiettivo è positivamente e eteronomamente contemplata, ma 222
Contrariamente a quanto avviene nell’assignment statunitense.
CAVALLINI, Trust, 1098 ss.; D’ARRIGO, L’impiego, 458 s.; differentemente
GALLETTI, Trust liquidatorio, 631 s., per il quale l’ammissibilità del trust nei piani attestati è
da valutarsi con lo stesso parametro con i quali devono in via generale valutarsi le
«convenzioni di salvataggio», delle quali, in ultima analisi, il trust è componente.
223
-81-
soprattutto mediante un atto di per sé unilaterale, tendenzialmente riservato e che si perfeziona senza alcun collegamento con una futura “procedura” (concordato preventivo) o con un intervento dell’autorità giudiziaria (accordi di ristrutturazione); intervento che, invece, pare invece di regola condizione necessaria per conseguire la moratoria224. In tale contesto, merita, peraltro di essere osservato che, nel vigore del nuovo art. 161, comma 6°, l. fall., non solo il blocco delle azioni esecutive e cautelari può essere ottenuto automaticamente con la semplice presentazione di una domanda di concordato c.d. «in bianco» – ossia con riserva di presentare il piano di concordato in un momento successivo rispetto al deposito della domanda, difettando in questa ipotesi ogni genere di controllo giudiziale ex ante rispetto all’operatività dell’automatic stay – ma la stessa domanda di concordato può in una seconda fase essere convertita nella domanda di omologa di un accordo di ristrutturazione raggiunto nelle more del termine previsto dal medesimo art. 161225. L’impossibilità di “surrogare” il meccanismo della moratoria – ripetesi: di fonte legale – delle azioni esecutive e cautelari con l’istituzione di un trust non sembra, per una pluralità di ragioni, essere scalfita dai dati normativi ora richiamati. In primo luogo, si deve tenere presente che il blocco delle iniziative individuali dei creditori decorre soltanto dal momento della pubblicazione del ricorso, a differenza di quanto avverrebbe ammettendo il trust con funzione protettiva nel piano attestato, la cui “indole” è quella di rimanere segreto, nonostante la facoltà – introdotta dall’art. 33, comma 1º, lett. a), n. 1) del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, 224
E v., infatti, in tema di accordi di ristrutturazione, SCIUTO, Effetti, 342, il quale
chiarisce che è all’intervento di un controllo pubblico, nella forma del decreto rispettivamente
di apertura del concordato e di omologa dell’accordo di ristrutturazione, che viene ricollegato il
prodursi dell’effetto sospensivo delle azioni esecutive individuali; cfr. PRESTI, Gli accordi di
ristrutturazione dei debiti, ovvero la sindrome del teleobiettivo, 569 ss., per la precisione
critico nei confronti dell’automaticità del meccanismo protettivo. Tale concezione trova
interessanti conferme a livello comparato: v. BORK, Sanierungsrecht, Rdnn. 10.4 ss., 136 s.,
che distingue appunto tra i sistemi “a effetto automatico” e quelli che richiedono la preventiva
approvazione del giudice: in nessun caso, tuttavia, la moratoria è conseguibile soltanto con un
atto privatistico; cfr., poi, la più ampia carrellata comparatistica condotta da ID., Das
Moratorium, 1631 ss.
225
Su tale “passerella” cfr., in part., FABIANI, La consecuzione, 670 ss. ove un’analisi
delle conseguenze – sotto il profilo degli effetti conseguenti all’apertura del concordato – della
conversione della domanda in omologa di accordo di ristrutturazione; DELLE MONACHE,
Profili, 565 ss.
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n. 134 – di provvedere alla pubblicazione del piano226. In secondo luogo, la tecnica della moratoria pare porsi in ogni caso in rapporto servente e strumentale a momenti di regolazione della crisi connotati da un crescente grado di eteronomia (la procedura di concordato preventivo, per un verso; gli accordi di ristrutturazione, per l’altro) 227 . Infine, assume rilievo il raffronto tra la durata, necessariamente limitata, della moratoria prevista dall’art. 161 (e dall’art. 182-­‐‑bis) e quella di un trust, di per sé non soggetto a limitazioni temporali. Con specifico riferimento al rapporto tra autonomia e controllo giudiziario, sembra doversi aggiungere che il controllo del giudice, nei piani di risanamento, è sempre successivo e interviene soltanto qualora, fallito il piano, il tribunale venga investito della questione e si trovi quindi a valutare postumamente l’attività di attestazione compiuta del professionista, i.e. a controllare nel merito se il piano appariva ex ante «fattibile»228, oltre alla «veridicità dei dati aziendali» in esso contenuti. Manca invece qualsiasi considerazione sul punto: ne discende che le motivazioni addotte sembrano esporsi troppo facilmente alla critica ora evocata. Per quanto concerne gli accordi di ristrutturazione, l’utilizzo del trust in un’ottica protettiva pone la questione se l’interesse alla protezione del patrimonio della società in crisi dalle iniziative individuali del singolo creditore, tanto nei delicati momenti delle trattative, quanto nella fase di esecuzione dell’accordo omologato, 226
Possono formularsi delle riserve in ordine all’esistenza di reali incentivi in capo alla
società che abbia predisposto un piano di risanamento, verosimilmente – ma non
necessariamente –con l’accordo o l’avallo di una parte dei creditori, a pubblicizzare tale
evento, con l’effetto di mettere in allerta i creditori non partecipanti e pregiudicare, almeno
potenzialmente, l’esito del risanamento; cfr., LOMBARDI-BELTRAMI, I criteri, 732, secondo i
quali – pur con riferimento all’assetto normativo anteriore al 2012 – il piano di risanamento
rappresenta lo strumento che «offre le maggiori garanzie di riservatezza tra i tre strumenti
considerati» [piani attestati, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo].
227
Tale impostazione sembra essere suffragata dall’intervento normativo dell’agosto
2013, con il quale il legislatore ha previsto, come noto, l’obbligatorietà dell’informativa
periodica dovuta (almeno mensilmente) dal debitore successivamente all’apertura del
concordato “con riserva” e la facoltà per il tribunale di nominare il commissario giudiziale già
con il decreto di apertura della procedura.
228
Con riferimento alla previgente «ragionevolezza» COSTA, Esenzione, 541;
PISCITELLO, Piani, 123; cfr., inoltre, TERRANOVA, La nuova, 279 s.; NARDECCHIA, Le
esenzioni, 263; non pare, in ultima analisi, potere deporre a favore della legittimità del ricorso
al trust nell'ambito dei piani attestati la circostanza che – a seguito dell’art. 33, comma 1º, lett.
a), n. 1) del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n.
134 – l’art. 67, comma 3°, lett. d), individui standards soggettivi e oggettivi per il
«professionista indipendente» incaricato più stringenti che in passato.
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debba essere tutelato solo con gli strumenti a ciò esplicitamente destinati da parte dell’ordinamento; o se, invece, l’autonomia privata sia legittimata a mettere in atto una tutela «contrattuale» e alternativa a quella pubblica e, in caso positivo, quali limiti debbano in essere ogni caso rispettati. Una serie di argomenti induce a fornire risposta negativa all’interrogativo da ultimo richiamato. Anzi tutto, nella legge fallimentare vigente si rinvengono appositi istituti dedicati alla protezione del patrimonio dell’imprenditore per la fase tanto preventiva alla conclusione dell’accordo quanto di esecuzione del medesimo. In particolare, l’imprenditore può ottenere la protezione patrimoniale durante le trattative sia attivando il micro-­‐‑procedimento dei commi sesto e settimo dell’art. 182-­‐‑bis sia depositando un ricorso contenente la sola «domanda di ammissione» alla procedura di concordato preventivo, senza presentare al contempo una proposta, e «convertirla» in un secondo momento in una domanda di omologa di un accordo di ristrutturazione ex art. 182-­‐‑bis229. Raggiunto l’accordo, l’omologazione garantisce un effetto protettivo per un lasso temporale di sessanta giorni dalla data del decreto. Di conseguenza, non priva di criticità si presenta nel vigore della nuova normativa la legittimità – in precedenza prospettata dalla dottrina e dalla giurisprudenza230 – di un utilizzo del trust con finalità di protezione del patrimonio della società debitrice da manovre opportunistiche poste in essere dai singoli creditori (prima del definitivo raggiungimento di un accordo o durante la sua esecuzione) sembra potere essere messa in dubbio nel momento 229
Art. 161, comma 6º, l. fall. Si deve peraltro notare che anche nella disciplina
riformata la domanda di «protezione anticipata» di cui al comma sesto dell'art. 182-bis l. fall.
mantiene, sotto il profilo formale, una sua autonomia rispetto alla domanda di concordato “in
bianco” di cui all’art. 161, comma 6º, in particolare dal punto di vista dei limiti al potere di
amministrazione dell’impresa che insorgono in capo al debitore, il quale rimane più “libero”
nel caso della domanda di protezione anticipata. Ciò nonostante, pare ragionevole aspettarsi
che la prassi ricorrerà in modo prevalente alla domanda di concordato “in bianco” anche nelle
more di trattative in realtà finalizzate, sin dalla loro origine, al raggiungimento di un accordo di
ristrutturazione, dal momento che lo strumento in questione permette di ottenere i medesimi
effetti previsti dall'art. 182-bis, comma 6º, tuttavia imponendo al debitore dei “costi” (in
termini di requisiti “documentali” imposti) assai meno onerosi. Se ne può plausibilmente
inferire che la domanda di protezione anticipata di cui all’art. 182-bis, comma 6º, risulterà
decisamente meno attraente per gli operatori. Altra questione concerne, poi, l’opportunità di
tale scelta legislativa: per una critica, v. PRESTI, Il finanziamento.
230
ZANCHI, Osservazioni, 165; ROVELLI, I nuovi, 1038; nel senso del testo, prima
dell’ultima novella, FIMMANÒ, Trust e diritto, 520; ATZORI, Riflessioni, 563 s.; GALLETTI,
Trust liquidatorio, 630; ID., Il trust e le procedure, 898 s.; critico anche STANGHELLINI, Trust,
citato da ZANCHI, Osservazioni, 161, nota 23.
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in cui l'ʹordinamento contempla strumenti ad hoc per le identiche finalità, i quali differiscono proprio nella parte in cui presuppongono sempre un intervento (successivo) del giudice, da un lato, e impongono una forma di pubblicità obbligatoria, dall’altro231. Pare potersi affermare, in ultima analisi, che la moratoria è un effetto che la legge ricollega a una determinata fattispecie, della quale è elemento integrante il coinvolgimento (successivo) dell’autorità giudiziaria nonché il soddisfacimento (preventivo) di determinati requisiti pubblicitari, ma che di per sé non deriva dal contratto concluso tra le parti (accordo di ristrutturazione). Di conseguenza, all’autonomia privata è preclusa ogni possibilità di disporre una moratoria privata, che pretenda di avere efficacia anche nei confronti dei terzi, al di fuori degli schemi a tale scopo preposti. Infatti, il legislatore ha subordinato l’attuazione dell’interesse alla protezione del patrimonio della società in crisi al rispetto di specifiche procedure e dettagliati requisiti a tutela di tutti i soggetti (volontariamente o non volontariamente) coinvolti in tale processo, la cui protezione non è invece di per sé assicurata dalla semplice istituzione di un trust. Pertanto, non è configurabile un prolungamento della moratoria oltre i sessanta giorni previsti dall’art. 182-­‐‑bis l. fall. 10. Conclusioni intermedie. –– Arrivati a questo punto del discorso, sembra opportuno individuare i risultati sinora raggiunti, così da chiarire simultaneamente il percorso dell’indagine nei prossimi capitoli. L’istituzione di trust che preveda il trasferimento dell’intera impresa o comunque della totalità del patrimonio a un trustee (privo di adeguate qualifiche professionali), senza stabilire un termine di durata preciso, nel quale il disponente si riservi significativi poteri, non è compatibile con il diritto della crisi d’impresa, tanto se istituito a scopi meramente liquidatorio, quanto se con funzione protettiva in concomitanza con piani attestati o accordi di ristrutturazione, perché – anche qualora tutti i creditori vengano investiti della posizione beneficiaria – determina intrinsecamente un’alterazione per via “contrattuale” dell’ordine delle priorità nelle distribuzioni. In ogni caso, un trust costituito nelle medesime circostanze non potrebbe nemmeno legittimamente aspirare a essere riconosciuto quale 231
Cfr., sul punto, le similari osservazioni di ZANCHI, Osservazioni, 161, il quale a nota
23 richiama, in senso analogo, STANGHELLINI, Trust.
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general assignment for the benefit of creditors di diritto statunitense, dato che non ne rispetterebbe i requisiti essenziali. Un trust costituito nelle medesime circostanze sarebbe considerato una fraudulent conveyance negli ordinamenti di common law. Ne discende che non si produrrebbe alcun effetto segregativo e non sarebbe pertanto materialmente conseguibile l’effetto di protezione patrimoniale che è stato spesso (acriticamente) attribuito al trust. In ogni caso, anche concedendo che il trust possa svolgere una funzione protettiva, non è ammissibile l’introduzione di una moratoria di fonte privatistica, al di fuori degli istituti disciplinati dalla legge fallimentare che positivamente la prevedono. Resta ora da affrontare la questione se il trust, strutturato in termini differenti da quelli analizzati – in particolare, qualora non coinvolga l’intero patrimonio del disponente – possa svolgere le altre due funzioni in precedenza individuate dalla dottrina, in particolare: quella di garanzia atipica a beneficio dei creditori, che in particolare permetterebbe di contribuire – con elevato grado di stabilità – alla soluzione (liquidativa o risanatoria) della crisi con beni riferibili a patrimoni “terzi” rispetto a quello del disponente, e ciò tanto nell’ambito dei piani attestati e degli accordi di ristrutturazione, quanto nel concordato preventivo; quella di innalzare il livello di trasparenza e di protezione dei creditori, anche in questo caso – ma con problemi radicalmente differenti – tanto nell’ambito dei piani attestati e degli accordi di ristrutturazione, quanto nel concordato preventivo. -86-
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CAPITOLO II TRUST E CRISI D’IMPRESA: REALTÀ APPLICATIVE IN DIRITTO COMPARATO SOMMARIO. 1. Premessa. – Sezione prima. Trust e soluzioni contrattuali della crisi d’impresa – 2. . Finanziamento della società e trust a “protezione” dei finanziatori. – 2.1. I cc.dd. «twilight trusts». – 2.2. Il c.d. Quistclose trust – 3. Trust e garanzie nei finanziamenti plurisoggettivi. – 3.1. Il security trustee nei finanziamenti in pool («syndicated loans»). – 3.2. Il «bondholder trustee» nella rinegoziazione dei finanziamenti obbligazionari. – Sezione seconda. I trust nella concorsualità. – 4. Trusts e Company Voluntary Arrangements di diritto inglese. 1. Premessa. – Per poter verificare la legittimità del trust nell’ambito delle soluzioni alternative della crisi d’impresa al di fuori dell’esperienza del trust liquidatorio extra-­‐‑concorsuale – e più precisamente nei termini e agli scopi descritti a conclusione del capitolo I –, pare necessario soffermarsi sulle ulteriori realtà applicative del trust nella crisi d’impresa, note, in particolare, all’esperienza comparata (e transnazionale) così come, in un secondo momento, all’ordinamento italiano. Ed è in special modo il dato comparativo a costituire il punto di partenza per comprendere le funzioni in concreto svolte dal ricorso al trust in siffatto contesto. Considerata la molteplicità ed eterogeneità delle fattispecie negoziali rilevanti in questa sede, sembra opportuno procedere sulla base di un criterio che permetta di fare emergere i ruoli e le problematiche comuni del trust nelle varie fattispecie, per poi esaminare in maniera trasversale le specifiche questioni. In particolare, pare utile in questa sede adottare quale metro valutativo la circostanza che l’istituzione del trust preceda la formale apertura di una procedura concorsuale o, al contrario, si inserisca nell’ambito della medesima. Tale suddivisione pare essere coerente non solo con la struttura complessiva della presente trattazione (e con la prospettiva ricostruttiva che si adotterà nel successivo capitolo III), nella quale le ipotesi applicative del trust nella crisi verranno analizzate a seconda che si collochino al di fuori o all’interno della concorsualità; ma soprattutto necessaria ai fini della comprensione dei corollari normativi ne discendono. Pertanto, l’analisi svolta nel presente capitolo segue un itinerario il cui punto di partenza ideale è rappresentato da fattispecie del tutto -88-
privatistiche e procede con l’esame di istituti caratterizzati da un grado progressivamente crescente di intervento giurisdizionale. In particolare, in un primo momento (: sezione prima, §§ 2-­‐‑3) sono esaminati i casi nei quali sussiste un legame fra il trust e la situazione di crisi della società disponente, benché manchi una formale apertura di una procedura concorsuale. In questo contesto assumono, anzi tutto, precipuo rilievo le tipologie di trust, proprie del sistema inglese, istituite a “protezione” (o “garanzia”) di specifici creditori (attuali o potenziali) nella prossimità della crisi d’impresa e/o nell’ambito di operazioni di salvataggio: i cc.dd. «twilight trusts» (§ 2.1.), da una parte, e il c.d. Quistclose trust (§ 2.2.), dall’altra. In secondo luogo, di particolare interesse è il ricorso al trust – e più in generale a meccanismi fiduciari – quale strumento di detenzione congiunta di una garanzia “reale” («security trustee») nell’ambito di finanziamenti erogati alla società da una pluralità di creditori, e in particolare nei finanziamenti bancari in pool al risanamento/ristrutturazione (Collective Securities Agreements) (§ 3.1.) e nelle emissioni obbligazionarie corporate («indenture» o «debenture» trust) (§ 3.2.). In un secondo momento (: sezione seconda, § 4), si prendono in considerazione le fattispecie nelle quali il trust viene istituito dopo l’apertura di una procedura concorsuale. Le fattispecie che compongono il secondo gruppo sono accomunate dal fatto che, in tali casi, i trusts vengono istituiti nell’ambito di una procedura concorsuale (alternativa a quella fallimentare) e, di conseguenza, sono oggetto di approvazione da parte della collettività dei creditori che vi partecipano. Fra essi si possono annoverare i trusts istituiti in concomitanza a un Company Voluntary Arrangement di diritto inglese e il conferimento in trust di beni di terzi a “garanzia” del concordato preventivo: quest’ultima fattispecie, in quanto di diritto interno, è analizzata nel successivo capitolo terzo. SEZIONE PRIMA. TRUST E SOLUZIONI CONTRATTUALI DELLA CRISI D’IMPRESA 2. Finanziamento della società e trust a “protezione” dei finanziatori. – Nell’ipotesi di trust nel contesto della crisi d’impresa esaminata per prima nel presente capitolo, esso svolge una funzione di “garanzia” su determinati beni, a “protezione” di uno o più creditori specificamente individuati. Anticipando le questioni sollevate da siffatte fattispecie, è plausibile affermare che in esse il trust opera come strumento capace di -89-
assicurare una “garanzia” o una “prededuzione” rispettivamente a tutela dei creditori estranei a un tentativo stragiudiziale di salvataggio della società (c.d. twilight trust)1 o a beneficio del finanziatore della medesima (Quistclose trust) 2. In via preliminare, si deve notare che nell’ordinamento inglese è diffuso l’accostamento (e spesso l’analisi congiunta) delle due differenti fattispecie menzionate 3 . Detta scelta sembra derivare dal fatto che in entrambi i casi ci si troverebbe di fronte a trusts connotati dall’immissione di specifici creditori (o categorie di) in una posizione beneficiaria a protezione del grado della loro pretesa nell’eventualità di una futura liquidazione concorsuale. In questa sede, invece, si è ritenuta preferibile una trattazione che distingue i due fenomeni 4 , in virtù del loro notevolmente diverso significato economico-­‐‑finanziario. Nel primo caso, infatti, si tratta di strumenti nei quali prevale lo scopo di prevenire un peggioramento della situazione di soggetti inconsapevoli (e, sul piano degli equilibri contrattuali, meno capaci di autotutelarsi) per effetto di un loro involontario coinvolgimento in tentativi di salvataggio della società debitrice in crisi. Nella seconda ipotesi, invece, la funzione (mediata) del ricorso al trust è quella di incentivare i finanziamenti alle imprese in crisi, per il tramite (immediato) costituito da una sorta di superpriority che l’utilizzo dello schema proprietario immanente al trust assicurerebbe al finanziatore, nel caso in cui il tentativo di salvataggio non dovesse andare a buon fine (v. § 2.2.). 2.1. I cc.dd. «twilight trusts». – La prima ipotesi di utilizzo del trust nella crisi d’impresa che desta particolare interesse è rappresentata dai cc.dd. twilight trusts 5 . In una società in difficoltà finanziaria (o patrimoniale) nota all’organo gestorio (c.d. «twilight period»)6 e per il cui superamento sono già in atto, con l’accordo di alcuni creditori, tentativi di 1
Il riferimento è alle ipotesi Sendo e Kayford: v., infra, § 2.1.
Come nella fattispecie Quistclose: v., infra, § 2.2.
3
In dottrina: STEVENS, Insolvency, 157 ss.; PARMAAR, The Uncertainty – Part Two, 203 s.;
LOI, Quistclose, 422 ss.; BELCHER, Corporate, 170 ss.; GOODHART-JONES, The Infiltration, 494
ss.; WOOD, Principles, §12-079, 305 ss.; MCCORMACK, Conditional, 216 ss.
4
Così anche MOFFAT, Trusts, rispettivamente 766 ss. e 772 ss.; FINCH, Corporate, 651 ss. e
654 ss.; cfr., altresì, FLETCHER, The Law, § 26-029 ss., 826 s.; in giurisprudenza, OT Computers
Ltd v. First National Tricity Finance Ltd [2003] E.W.H.C. 1010 ss. (Ch), par. 14.
5
L’argomento non è stato particolarmente approfondito. In generale, v. FINCH, Corporate,
648 ss.; HANNIGAN, Company, 635 s.; MOFFAT, Trusts, 765 ss.; ELLIS-VERRILL, Twilight, 151 ss.;
PRITCHARD, Trust, 112; REDSTONE, Customer, 17; MILMAN, Trusts, 1 ss.; CRANSTON-SIMS,
Twilight, 1 ss.
6
Proprio la circostanza che la disponente si trovi nel c.d. twilight period costituisce – come
si intuisce – la ragione della denominazione attribuita al trust in esame.
2
-90-
risanamento o di cessione dell’attività in blocco (talvolta preordinati a una «pre-­‐‑packaged bankruptcy»7), la società dichiara di detenere in trust un determinato ammontare di denaro a beneficio dei soggetti esterni all’accordo di risanamento8 , che usualmente trasferiscono in un conto 7
Cfr. Re Sendo International Ltd, [2007] B.C.C. 493; Kaupthing Singer & Friedlander Ltd
(In Administration), Re, [2010] 1 B.C.L.C. 673, par. 122; REDSTONE, Customer, 21; MILMAN,
Trusts, 2; CRANSTON-SIMS, Twilight, § 7, 2; PRITCHARD, Trust, 112.
8
Il leading case è In re Kayford Ltd (In Liquidation), [1975] 1 W.L.R. 279 ss.: è stata
riconosciuta la validità del conto bancario fiduciario costituito, all’aggravarsi delle difficoltà
finanziarie della società, con le somme anticipate dai (e a beneficio dei) clienti della medesima per
l’acquisto di beni non ancora consegnati; v., successivamente: Re Chelsea Cloisters Ltd, (1981) 41
P.&C.R. 98 ss., ove la Corte ha affermato la validità del trust a beneficio dei conduttori sulle
somme consegnate alla società proprietaria a titolo di deposito cauzionale e trasferite dalla
medesima in un conto bancario separato nell’imminenza dell’apertura della procedura di
liquidation; Re Lewis’s of Leicester Ltd, [1995] B.C.C. 514 ss., caso nel quale sono state costituite
in trust le somme transitanti nella disponibilità della società ma destinate ad alcuni soggetti in
strette relazioni commerciali con la disponente (i.e. concessionari degli spazi vendita del centro
commerciale gestito da quest’ultima); OT Computers Ltd v. First National Tricity Finance Ltd,
[2003] E.W.H.C. 1010 ss. (Ch), che rappresenta la prima fattispecie nella quale il medesimo
schema è stato esteso (tecnicamente mediante la costituzione di due trusts) alla tutela delle pretese
dei fornitori, nonostante la validità del conto fiduciario acceso a beneficio di costoro sia stata in
concreto negata dalla Corte per indeterminabilità dei beneficiari del trust (parr. 22, 27); Re Uno
Plc Secretary of State for Trade and Industry v. Gill, [2006] B.C.C. 725 ss., decisione in cui la
giurisprudenza si è occupata di una fattispecie nella quale il customer deposit trust è stato
costituito soltanto in una fase di accertata irreversibilità dello stato d’insolvenza; è stato in tale
occasione chiarito che, ai fini della valutazione della responsabilità da wrongful trading (e della
conseguente disqualification degli amministratori), non è obbligatorio vincolare in trust i
pagamenti anticipati da parte dei clienti, se questi ultimi rappresentano la fonte finanziaria che
permette la prosecuzione dell’attività e se sussistono prospettive realistiche di liquidazione in
blocco degli assets aziendali che rappresentano un miglioramento dei margini di soddisfazione dei
creditori rispetto a quelli che discenderebbero da una cessazione immediata delle attività. Di
particolare importanza è Re Sendo International Ltd, [2007] B.C.C. 491 ss., che costituisce il
primo esempio di twilight trust “bifronte” (per i consumatori, da una parte, per i creditori
commerciali estranei, dall’altra) a supporto di un tentativo di risoluzione stragiudiziale della crisi
la cui operatività e validità è stata integralmente confermata in giudizio. Di segno diverso sono le
indicazioni che si traggono da Re Farepak Food and Gifts Ltd, [2006] E.W.H.C. 3272 ss. (Ch), nel
quale si è ritenuto che l’istituzione del trust integri un trattamento preferenziale a beneficio di
determinati creditori (sul punto, v. infra nel testo); interessante, per quanto differente – soprattutto
in quanto si tratta di trust non volontario bensì imposto dall’Autorità di vigilanza competente
(Financial Services Authority) –, è l’applicazione del medesimo schema ai rapporti banca-cliente:
cfr. Kaupthing Singer & Friedlander Ltd (In Administration), Re, [2010] 1 B.C.L.C. 673 ss., nel
quale FSA, in conseguenza del peggioramento delle condizioni della filiale britannica dell’istituto
di credito islandese Kaupthing, ha ordinato alla medesima di vincolare in un conto fiduciario le
somme corrispondenti ai depositi effettuati successivamente al momento di intervento di FSA.
Dalle fattispecie concrete ora citate, ove vi è stata una consapevole e – salvo l’ultima ipotesi –
volontaria creazione di uno strumento fiduciario nell’intento di tutelare le posizioni di quanti non
erano a conoscenza della situazione finanziaria della disponente, devono essere distinte le ipotesi
che si caratterizzano come iniziative giudiziarie esperite (senza successo) da clienti di società
fallite, che hanno pagato in anticipo beni poi non consegnati, al fine di vedersi riconoscere una
pretesa proprietaria sui medesimi importi, nonostante la società non abbia né costituito un conto
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bancario fiduciario 9 . In particolare, oggetto del trasferimento in trust possono essere le somme necessarie al pagamento dei creditori estranei all’operazione di ristrutturazione10 e/o la liquidità derivante dai pagamenti anticipati di controparti contrattuali, per beni (servizi) che ancora devono essere consegnati (erogati)11. Da un punto di vista formale, i trusts in esame costituiscono articolazioni più o meno complesse del medesimo schema base, a sua volta tendenzialmente identificabile, a ben vedere, nel c.d. escrow o trust account. Come già anticipato, in tale operazione, una parte trasferisce una somma di denaro a un istituto di credito, il quale la conserva in trust ed è tenuto a corrisponderla al soggetto che risulterà beneficiario al verificarsi di un determinato evento12. Pertanto, nel twilight trust la società in crisi (disponente) versa al trustee (la banca presso la quale viene aperto il conto fiduciario) le somme in questione, e quest’ultima assume l’obbligo di conservazione e di restituzione: alla società disponente (o alla società acquirente l’impresa esercita), nel caso in cui il risanamento o la cessione dell’attività diano buon esito; oppure, ai creditori individuati nell’atto istitutivo, nell’eventualità che detti tentativi falliscano. La struttura rimane invariata, a prescindere da quali siano i beneficiari individuati: soltanto i consumatori/acquirenti dei prodotti o dei servizi forniti dalla società in crisi13 o, invece, anche i fornitori/creditori fiduciario né mantenuto separati i fondi liquidi dal proprio patrimonio: v. Re Equilift Ltd, [2010]
B.C.C. 860 ss.; BA Peters Plc v. Moriarty & Anr, [2008] E.W.C.A. Civ 1604 ss.
9
In re Kayford Ltd (In Liquidation) [1975] 1 W.L.R. 280; Re Sendo International Ltd
[2007] B.C.C., 492 s.; OT Computers Ltd v. First National Tricity Finance Ltd [2003] E.W.H.C.
1010 ss. (Ch), parr. 8 ss.; Re Lewis’s of Leicester Ltd [1995] B.C.C. 518 s.; Re Farepak Food and
Gifts Ltd [2006] E.W.H.C. 3272 ss. (Ch), parr. 15 ss.; Re Uno Plc Secretary of State for Trade and
Industry v. Gill [2006] B.C.C. 742, 751; Kaupthing Singer & Friedlander Ltd (In Administration),
Re [2010] 1 B.C.L.C. 673, parr. 49 ss.
10
Re Sendo International Ltd [2007] B.C.C., 493: materialmente, le somme trasferite sono
state recuperate mediante la rinuncia da parte dei creditori partecipanti all’accordo (finanziatori)
alla loro garanzia.
11
In re Kayford Ltd (In Liquidation) [1975] 1 W.L.R. 280; Re Sendo International Ltd
[2007] B.C.C., 492 s.; OT Computers Ltd v. First National Tricity Finance Ltd [2003] E.W.H.C.
1010 ss. (Ch), parr. 3 ss.; Re Farepak Food and Gifts Ltd [2006] E.W.H.C. 3272 ss. (Ch), par. 4;
Re Uno Plc Secretary of State for Trade and Industry v. Gill [2006] B.C.C. 742, 751; Kaupthing
Singer & Friedlander Ltd (In Administration), Re [2010] 1 B.C.L.C. 673, parr. 49 ss.; v. pure
MOFFAT, Trusts, 765; FINCH, Corporate, 654; HANNIGAN, Company, § 24-35, 635 s.; REDSTONE,
Customer, 21; ELLIS-VERRILL, Twilight, 153 s.
12
V. amplius, supra, capitolo I, § 2, nota 20.
13
In re Kayford Ltd (In Liquidation) [1975] 1 W.L.R. 280; Re Farepak Food and Gifts Ltd
[2006] E.W.H.C. 3272 ss. (Ch), parr. 16, 20; Re Uno Plc Secretary of State for Trade and Industry
v. Gill [2006] B.C.C. 725 ss., par. 110.
-92-
commerciali14. Al di là di suddetta differenza, la funzione economico-­‐‑
sociale assolta dal trust è quella di coniugare l’esigenza di consentire la continuazione della normale attività d’impresa durante eventuali tentativi extra-­‐‑giudiziali di risanamento o (più frequentemente) di liquidazione in blocco dell’azienda – nonostante l’“insolvenza” (prospettica) della società – con le istanze di protezione di quei soggetti che, essendo all’oscuro di siffatte circostanze, continuino a “fare credito” alla società 15. A ciò si aggiunge, di riflesso, l’interesse perseguito dagli amministratori a evitare che una prosecuzione dell’attività senza una esteriorizzazione al pubblico dell’esistenza delle criticità patrimoniali e finanziarie nelle quali verte la società si risolva in profili di responsabilità da wrongful trading, dovuta al potenziale peggioramento dei margini di soddisfazione dei creditori: situazione che potrebbe evidentemente presentarsi nel caso in cui non si realizzi la cessione o la ristrutturazione sperata16. Con l’utilizzo del trust nei termini descritti si è inteso – in particolare in una prima fase – prestare una tutela di carattere “cautelativo” ai consumatori/clienti della società che effettuino pagamenti anticipati rispetto all’erogazione del servizio o alla consegna del prodotto17: si tratta, quindi, della protezione di soggetti che, relativamente alle somme vincolate in trust, sono creditori soltanto potenziali, la cui pretesa restitutoria è subordinata al definitivo inadempimento della società, in conseguenza del fallimento dei tentativi di liquidazione dell’attività quale going concern o di risanamento. Detti creditori solo difficilmente possono essere tuttavia intesi quali creditori/finanziatori consapevoli delle attività condotte dalla disponente18. 14
Re Sendo International Ltd [2007] B.C.C., 496 s.; OT Computers Ltd v. First National
Tricity Finance Ltd [2003] E.W.H.C. 1010 ss. (Ch), parr. 8 ss.; particolare è il caso Re Lewis’s of
Leicester Ltd [1995] B.C.C. 520, nel quale oggetto del trust sono somme di controparti
commerciali della disponente che tuttavia non sono riconducibili alla categoria né dei fornitori né
tanto meno dei consumatori.
15
Re Sendo International Ltd, [2007] B.C.C., 495; Kaupthing Singer & Friedlander Ltd (In
Administration), Re, [2010] 1 B.C.L.C. 673, parr. 123 ss.; OT Computers Ltd v. First National
Tricity Finance Ltd, [2003] E.W.H.C. 1010 ss. (Ch), par. 26; FINCH, Corporate, 657; MILMAN,
Trusts, 2 («counterparty protection»); REDSTONE, Customer, 21.
16
V., in part., ELLIS-VERRILL, Twilight, 121 s.; CRANSTON-SIMS, Twilight, §§ 5 ss., 2;
FINCH, Corporate, 657; MILMAN, Trusts, 2; ampiamente, in giurisprudenza, Re Uno Plc Secretary
of State for Trade and Industry v. Gill [2006] B.C.C. 751, 764 ss. Sulla responsabilità da wrongful
trading, fra i tanti DAVIES, Directors’, 304.
17
HANNIGAN, Company, § 24-35, 635 s.; FINCH, Corporate, 654 ss.; MOFFAT, Trusts, 765
ss.
18
MOFFAT, Trusts, 769, citando il c.d. Cork Report [Report of the Review Committee on
Insolvency Law and Practice (1982), Cmnd 8558]; ma v., contra, STEVENS, Insolvency, 158: «the
-93-
Ciò nonostante, a ben vedere, il ricorso al trust in esame si presenta come strumento funzionale a tutelare categorie fra loro eterogenee – sia sotto il profilo formale (creditori attuali o potenziali) sia sotto quello economico (fornitori o consumatori) – di soggetti accomunati dall’essere involontariamente coinvolti da un processo di risoluzione informale (stragiudiziale e in quanto tale riservato) di una situazione di crisi, anche grave, della società. La protezione si realizza con la “trasformazione” di una situazione soggettiva “obbligatoria” (il diritto di credito, non garantito, attuale o potenziale) in una posizione reale (equitable ownership) 19
, che sfrutta il già analizzato principio per il quale i beni detenuti dal fallito in trust a beneficio di terzi rimangono estranei alla massa fallimentare attiva (v. capitolo I, § 7). Dal punto di vista del trattamento giuridico, si deve segnalare che lo strumento in esame, sebbene sembri essere relativamente diffuso nella prassi inglese dei workouts20, non va esente da criticità. Non sembra infatti potersi a priori escludere, nella fattispecie concreta, l’esistenza di interferenze regolatorie fra la disciplina del trust e quella, analizzata nel capitolo I, § 8.2, dei trattamenti preferenziali di cui alle §§ 238-­‐‑239 dell’Insolvency Act (1986): caso in cui l’atto istitutivo del trust potrebbe, pertanto, essere considerato come invalido e/o revocabile. In un primo momento, il menzionato problema era stato affrontato nel caso Kayford, deciso nel vigore della disciplina previgente all’attuale Insolvency Act21, nella quale era stata esclusa la possibilità che siffatto customers were clearly creditors, at least in the sense that the company was obliged to supply them
with goods».
19
Criticamente GOODHART-JONES, The Infiltration, 511; FLETCHER, The Law, §§ 26-029
ss., 826 ss.
20
Oltre ai casi riportati, esista certamente una serie di altre fattispecie concrete la cui
esistenza rimane riservata. In tale senso depone non solo il fatto che i twilight trusts siano trattati
dalla manualistica (HANNIGAN, Company; FINCH, Corporate; MOFFAT, Trusts), ma soprattutto la
circostanza che essi figurino nelle client alert di numerosi studi legali (e.g. v. Evershed, Field
Fisher Waterhouse, Boyes & Turner) nonché nei programmi di aggiornamento professionale (v.
Lime Legal), oltre che nelle citate pubblicazioni di impronta pratica (REDSTONE, Customer, 17;
ELLIS-VERRILL, Twilight, 151 ss.].
21
E parzialmente differente: per effetto della combinazione fra le §§ 44 Bankruptcy Act
(1914) e 320 Companies Act (1948), erano revocabili soltanto quelle disposizioni a carattere
preferenziale connotate dalla dominant intention di preferire il destinatario dello spostamento
patrimoniale. Secondo la disciplina in vigore, è invece sufficiente – oltre a una molteplicità di
requisiti, tra i quali quello che dall’atto discenda un peggioramento della situazione degli altri
creditori, che il destinatario sia un creditore o un garante, che la preferenza sia avvenuta entro un
determinato lasso temporale – che la decisione di effettuare il trasferimento sia stata «influenced
by a desire» di migliorare la posizione del recipiente. Approfonditamente sulla disciplina delle
preferences cfr., per tutti, GOODE, Principles, §§ 13-74 ss., 572 ss.
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utilizzo del trust potesse configurare una preference, perché – si è considerato – nella fattispecie concreta non si trattava di privilegiare una certa classe di creditori bensì di evitare che quanti trasferiscono denaro a una società in crisi, senza averne contezza, ne diventino creditori non garantiti e quindi chirografari in un successivo fallimento22. In un secondo momento, successivo all’entrata in vigore dell’Insolvency Act, la giurisprudenza ha escluso che il twilight trust ricada nell’ambito di applicazione dei trattamenti preferenziali sulla base dell’argomento che la funzione perseguita non è in sé quella (altruistica) di migliorare la posizione dei destinatari bensì quella di salvaguardare la possibilità che la società continui a esercitare l’attività d’impresa 23 – pare doversi aggiungere – nell’ottica di una soluzione negoziale della crisi in cui versa, nonché quella di evitare una responsabilità da wrongful trading in capo agli amministratori24. L’eventualità che la fattispecie in questione possa costituire una preference non è stata soltanto in astratto paventata da parte della dottrina25, ma si è altresì concretizzata nel (noto e discusso) caso Farepak. In detta occasione, il giudice ha ritenuto che il trust account acceso su iniziativa degli amministratori della società, avente a oggetto il denaro trasferito dai clienti, i quali ne sarebbero stati i beneficiari, perseguiva il solo motivo di collocare questi ultimi in una posizione migliore rispetto agli altri creditori nell’imminente procedura fallimentare, la cui apertura appariva allo stato inevitabile26. Non è del tutto chiaro quanto la regola sottesa alla decisione da ultimo richiamata possa essere plausibilmente suscettibile di applicazione generale, atteso che la fattispecie concreta si distingue da quelle sulle quali si è pronunciata la giurisprudenza negli altri precedenti riportati, anzitutto nella parte in cui al momento dell’istituzione del trust era 22
In re Kayford Ltd (In Liquidation) [1975] 1 W.L.R. 281, «not of preferring creditors but
of preventing those who pay money from becoming creditors, by making them beneficiaries under
a trust»; contra GOODHART-JONES, The Infiltration, 496 s.; STEVENS, Insolvency, 158.
23
Re Lewis’s of Leicester Ltd [1995] B.C.C. 522 s.
24
In dottrina MILMAN, Trusts, 3; MOFFAT, Trusts, 767 s.; GOODE, Principles, § 6-42, 213,
nota 177 («the decision is controversial, but in my view correct»).
25
FINCH, Corporate, 663 s.; da ultimo LOI, Quistclose, 422 ss., il quale ritiene che non
sarebbe ricompreso nell’ambito di applicazione della § 239 unicamente il caso in cui il trust sulla
liquidità trasferita venga istituito dallo stesso trasferente in luogo che dalla società; CALNAN,
Proprietary, § 6.129, 230 s.; STEVENS, Insolvency, 158; possibilista altresì FLETCHER, The Law, §
26-034, 828; PARMAAR, The Uncertainty – Part One, 144; MCCORMACK, Conditional, 217;
SEALY-HOOLEY, Commercial, 1228.
26
Re Farepak Food and Gifts Ltd [2006] E.W.H.C. 3272 ss. (Ch), par. 52.
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assolutamente certo (e non soltanto temuto) il prossimo assoggettamento della società a una formale procedura concorsuale. Mancava, inoltre, a differenza dei casi Sendo e Kaupthing, ogni iniziativa di salvataggio del valore del going concern dell’impresa esercitata dalla disponente. In ogni caso, la potenziale sovrapposizione tra twilight trust e la disciplina delle revocatorie fallimentari pare un fattore da tenere in considerazione nell’ottica di una valutazione del fenomeno nell’ordinamento italiano, anche in ragione delle significative prese di posizione sul punto in letteratura, le quali vengono spesso altresì giustificate in termini giuspolitici27. 2.2. Il c.d. Quistclose trust. – Il secondo esempio di trust istituito nella crisi societaria, ma prima della formalizzazione dell’insolvenza, è il c.d. Quistclose trust. In siffatta ipotesi, un soggetto (A) concede un “finanziamento” alla società debitrice (B), al solo e dichiarato scopo di permettere a B – che non ne avrebbe altrimenti la possibilità – di soddisfare le pretese (di alcune classi) dei suoi creditori (C). Nel caso in cui B versi successivamente in stato di insolvenza (e, quindi, lo scopo del finanziamento/trust risulti impossibile), le somme trasferite (da A a B) sono detenute da B in trust per il finanziatore A, e non sono quindi soggette alle pretese dei creditori concorsuali (C)28. Iniziando con l’analisi degli aspetti formali della fattispecie fiduciaria in esame, si deve segnalare che essa, oltre a rappresentare una delle più 27
GOODHART-JONES, The Infiltration, 497 s., 511; PARMAAR, The Uncertainty – Part One,
144, a dire il vero sulla base dell’accostamento fra Quistclose e Twilight trusts; in termini
dubitativi: ELLIS-VERRILL, Twilight, 155; FINCH, Corporate, 657; cfr. PRITCHARD, Trust, 114,
secondo il quale da Farepak non può desumersi una regola che vieta alla società di autodichiararsi
trustee con riferimento ad asset trasferiti da terzi.
Un’ulteriore problematica, che verrà affrontata nel successivo § 2.2, investe i rapporti fra
twilight trust e requisiti pubblicitari, il cui rispetto è imposto dall’ordinamento inglese a
condizione di validità delle charges: è stato infatti proposto di estendere – sulla base di
un’analogia sostanziale tra la funzione di “garanzia” svolta dal trust nell’ambito esaminato e la
charge – ai twilight trusts la disciplina pubblicitaria propria delle seconde (CALNAN, Proprietary,
§§ 6.130 ss., 231). Al di là delle critiche, di carattere dogmatico, a detta interpretazione formulate
da LOI, Quistclose, 425 ss. – peraltro con riferimento al Quistclose trust (e alle c.d. Romalpa
clauses), nel quale l’A. fa rientrare anche lo scenario deciso da Kayford –, si deve osservare che,
qualora siffatta idea venisse accolta, verrebbe meno la causa economica dell’operazione
sottostante al ricorso a un twilight trust e, precisamente, la necessità che le attività della società
appaiano all’esterno come «business as usual» nelle more di un workout o di un pre-pack.
28
Il leading case è: Barclays Bank Ltd v. Quistclose Investments Ltd [1970] AC 567 ss.; di
primaria importanza sono poi: Twinsectra Limited v. Yardley [2002] 2 AC 164 ss.; Carreras
Rothmans Ltd v. Freeman Mathews Treasure Ltd [1985] Ch 207 ss. Il Quistclose trust è stato
recepito in altre giurisdizioni di common law, tra le quali la Nuova Zelanda – General
Communications Ltd v. Development Finance Corpn Yardley [1990] 3 NZLR 406 ss. – e
l’Australia Re Australian Elizabeth Theatre Trust [1991] ALR 681 ss.
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rilevanti applicazioni commerciali-­‐‑finanziarie del trust, si pone al contempo in tensione con i principi fondamentali di detto istituto: il che spiega la ragione per cui la stessa ha formato oggetto di numerose controversie. Sono state, infatti, notevoli le difficoltà affrontate da dottrina e giurisprudenza nella generale ricostruzione della struttura fiduciaria così come nella precisa individuazione dei soggetti che si assumono beneficiari del trust. Sebbene il dibattito sulla questione sia oggi tutt’altro che sopito 29, secondo la tesi che pare preferita (quanto meno) in giurisprudenza, il Quistclose trust rappresenta un’applicazione del resulting trust: all’atto del trasferimento, la società finanziata-­‐‑trustee (B) acquista il legal title del denaro, non venendogli trasferito il beneficial interest nella somma erogata, che rimane invece in capo al “finanziatore” (A), tanto nella fase in cui B ha il potere-­‐‑dovere di utilizzare la somma erogata per il fine concordato, quanto nel successivo momento in cui il fine si riveli impossibile da conseguire30. Pertanto, nel Quistclose, il titolare della posizione beneficiaria si identifica non con C (creditori di B), bensì con lo stesso finanziatore A. 29
Secondo l’originale rappresentazione del Quistclose trust, fornita da Lord Wilberforce in
Barclays Bank Ltd v. Quistclose Investments Ltd [1970] AC 580, in esso convivono – o, più
precisamente, si succedono a seconda dell’esito pratico della fattispecie concreta – due trusts: il
primo, connotato dallo scopo del disponente di permettere la soddisfazione dei creditori di B (= C,
che divengono “beneficiari”), la quale assume il ruolo di trustee; il secondo, che emerge – come
resulting trust – nel momento in cui il primo si manifesti di impossibile attuazione a causa
dell’insolvenza della società finanziata-trustee (B) e i cui beneficiari non concidono con i creditori
di B, ma si identificano con lo stesso finanziatore A. Ulteriormente elaborando detta ricostruzione,
la giurisprudenza ha specificato – in Carreras Rothmans Ltd v. Freeman Mathews Treasure Ltd
[1985] Ch 223 s.; cfr. altresì WOOD, Principles, § 12-079, 305 – che il primo trust andrebbe inteso
come purpose trust o comunque come un trust nel quale la posizione beneficiaria (dei creditori) è
sottoposta a “condizione sospensiva”. L’idea dell’esistenza di due trusts l’uno susseguente
all’altro sembra – nonostante le critiche e le successive teorie – mantenere comunque una certa
attrattiva: v. NATHAN, In Defence, 2012, 123 ss.; EDWARDS, Quistclose, 176 ss.; nell’ordinamento
australiano cfr. Re Australian Elizabeth Theatre Trust, [1991] ALR 681 ss.; nella letteratura
italiana, sul Quistclose trust v. DI MARCELLO, Flussi, 404 ss.; BERTI RIBOLDI, Il “Quistclose
trust”, 54 ss.; LUPOI, I trust nel diritto, 337 s., 363; ID., Trusts2, 115 ss.
30
Limited v. Yardley, [2002] 2 AC 188; WATT, Trusts, 156 ss.; THOMAS-HUDSON, The
Law, §§ 9.106 ss., 273 ss., ove una rassegna dei successivi casi conformi; conf. PETTIT, Equity,
174; cfr., in posizione similare, ma non coincidente, CHAMBERS, Resulting, 76 s., 89; ID.,
Restrictions, 78 ss., in cui si registra un’evoluzione del pensiero dell’A., il quale ritiene che la
qualificazione del trust dipende, in ultima analisi, dalla concreta configurazione della transazione;
LOI, Quistclose, 416; differente, invece, la tesi di PENNER, Lord Millet’s, 43 ss.; una radicale
critica alla teoria elaborata da Lord Millet in Twinsectra (192 s.), viene formulata da
SMOLYANSKY, Reining, 558 ss.; per una replica, cfr. MILLET, The Quistclose trust—a reply, 8 ss.;
critico nei confronti della formulazione di Twinsectra anche CALNAN, Proprietary, §§ 6.86 ss.,
220 ss.; sostiene la radicale incompatibilità fra la fattispecie decisa in Barclays Bank Ltd v.
Quistclose Investments Ltd [1970] AC 567 e i principi fondamentali del trust inglese pure
SWADLING, Orthodoxy, 19 ss.; per una completa rassegna della molteplicità di tesi relative
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Sotto il profilo – non formale 31, ma – della funzione economica assolta, il Quistclose trust può essere assimilato alla concessione di una garanzia a beneficio del finanziatore A con effetti proprietari 32 , dal momento che il creditore il quale finanzi una società in stato di crisi secondo tale schema si trova, nell’eventualità di un susseguente fallimento, in una posizione privilegiata rispetto agli altri creditori: egli ha il diritto (di natura reale) di ottenere l’integrale restituzione dell’importo corrisposto, che non va a comporre la massa concorsuale a disposizione della generalità dei creditori. Il rapporto, dunque, fra detta tipologia di trust e la crisi societaria nonché le procedure concorsuali è, seppur ambivalente, particolarmente stretto: per un verso, tale fattispecie negoziale è funzionale proprio a permettere alla società finanziata di proseguire l’attività e di scongiurare, così, l’apertura di una procedura concorsuale, che, in mancanza di finanziamento/trust, non avrebbe potuto essere in alcun modo evitata. Per altro verso, il ricorso all’istituto del trust si spiega specificamente con la volontà di esonerare A dal rischio dell’insolvenza di B o, più correttamente, dal rischio di sopportare le conseguenze – i.e. figurare quale creditore non garantito – dell’eventualità dell’apertura di una procedura (liquidatoria o risanatoria) giudiziale nei confronti di B. Le questioni sollevate dal Quistclose non si limitano a quelle di natura meramente dogmatica sopra menzionate, ma si estendono anche a profili all’inquadramento del Quistclose trust nella teoretica del trust britannico (e i relativi riferimenti),
cfr. EDWARDS, Quistclose, 178 ss.; cui adde PARMAAR, The Uncertainty – Part One, 138 ss.
L’impostazione di Twinsectra è stata fatta propria dalla Court of Appeal della Nuova Zelanda: v.
General Communications Ltd v. Development Finance Corpn Yardley, [1990] 3 NZLR 406 ss.
31
Cfr. infra nel testo.
32
BRIDGE, The Quistclose, 345; MOFFAT, Trusts, 771, 775; HAYTON-MATTHEWSMITCHELL, Underhill, §§ 1.25 ss., 21 ss. e § 1.118, 66; FINCH, Corporate, 652 s., chiarendo che gli
effetti del Quistclose trust rimangono invariati in ultima analisi a prescindere dall’inquadramento
formale che si preferisca (v. infra nel testo e nota seguente); GOODE, Principles, § 6-42, 212 s.;
GLISTER, Trusts, 475; implicitamente MCKENDRICK, Commerce, 148 s.; PARMAAR, The
Uncertainty – Part Two, 206, il quale giunge ad affermare che la ragion d’essere dell’istituto è
quella di favorire l’apporto di nuova finanza alle società in crisi e, dunque, di contribuire alla
rescue culture; in posizione più moderata LOI, Quistclose, che intende il quistclose in termini di
«quasi-security», per distinguerlo dalle ipotesi di «security» strettamente (e formalmente) intese,
ma ne rifiuta l’equiparabilità sostanziale con le charges, ragione che per cui non sarebbe corretto
né applicare analogicamente né estendere positivamente le norme in materia di registration
(pubblicità) delle charges al Quistclose trust (sul punto cfr. infra nel testo); così anche STEVENS,
Insolvency, 165 s.; v. pure FLETCHER, The Law, §§ 26-029 s., 826; v., però, DI MARCELLO, Flussi,
408 s., secondo il quale la posizione del beneficiario di quistclose non si differenzierebbe da quella
di un creditore chirografario; ciò è probabilmente vero se il finanziamento permette la
prosecuzione dell’attività, ma non nel caso del fallimento del finanziato: cfr. ultra, capitolo III,
par. 2.2.
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applicativi. Anzitutto, analogamente a quanto rilevato per il twilight trust, anche siffatto istituto si pone in rapporto problematico con la disciplina concorsuale delle preferenze suscettibili di revoca/annullamento. È statoda taluni sostenuto, infatti, che il Quistclose rappresenta di per sé una transazione revocabile per violazione della normativa sulle preferenze33: il trattamento privilegiato sarebbe costituito non solo e non tanto dalla costituzione del trust a beneficio del finanziatore, bensì dal compimento dell’originario scopo del finanziamento, e cioè che soltanto alcuni creditori di B vengano soddisfatti grazie a tale immissione di liquidità34. Per contro, si è fatto notare come non sia coerente un’applicazione delle Sections 239 ss. al Quistclose trust, dal momento che secondo detto schema – se si accede alla tesi maggioritaria in materia – i beni in trust non appartengono al debitore e che, anzi, in difetto della transazione in questione, mancherebbe radicalmente qualsiasi entità patrimoniale con la quale soddisfare in via preferenziale alcuni (o, per converso, da distribuire paritariamente tra i) creditori35. Sono stati sollevati dubbi, in termini di politica del diritto, sull’opportunità di riconoscere la validità di una garanzia “ad effetti proprietari” per la quale non trovi applicazione la generale disciplina a cui sono soggetti i titoli di prelazione, specialmente in punto di pubblicità (registration). In particolare, è stato affermato che a fronte della mancata pubblicità, i terzi potrebbero essere indotti nella (falsa) convinzione della solidità patrimoniale e finanziaria della società, anche se la liquidità della quale quest’ultima “dispone” non le appartiene, essendo soggetta a pretese reali (e, come tali, “privilegiate” in sede concorsuale) altrui: tale ultima informazione, però, non circola nel traffico giuridico, salvo un atto 33
PARMAAR, The Uncertainty – Part Two, 203 ss., peraltro con riferimento al caso In Re
Kayford, che l’A. considera una species del genus Quistclose; LOI, Quistclose, 421 s.,
limitatamente all’ipotesi in cui il settlor sia la società debitrice.
34
STEVENS, Insolvency, 160 s. L’idea pare fortemente influenzata dalle circostanze concrete
del primo Quistclose trust, nel quale il credito che il finanziatore intendeva rendere possibile
soddisfare era quello vantato dai soci per i dividendi la cui distribuzione era in precedenza stata
approvata dall’assemblea.
35
MILLET, The Quistclose trust—a reply, 14; similare la teoria di LOI, Quistclose, 423 s.,
secondo il quale il Quistclose trust non può essere considerato a beneficio, in termini preferenziali,
di uno o più specifici creditori, atteso che riguarda beni sui quali il vincolo del trust viene
impresso non dalla società debitrice (finanziata) bensì da un terzo (finanziatore), prima (o
comunque all’atto) del trasferimento al trustee/società: beni che, dunque, non entrano mai a fare
parte del patrimonio della società. Per considerazioni analoghe, ma con riferimento alla questione
della pubblicità, GLISTER, Trusts, 477, secondo cui proprio tale aspetto permetterebbe di
distinguere, funzionalmente e non solo formalmente, il Quistclose da una charge.
-99-
volontario di disclosure da parte della società coinvolta36. Sulla base di queste considerazioni, si è ritenuto che siano meritevoli di tutela i Quistclose trusts soltanto se utilizzati in occasione di finanziamenti a tentativi di salvataggio, al di fuori dei quali siffatte transazioni contraddirebbero esigenze di equità e di efficienza37; inoltre, sono state formulate proposte di estendere, de lege ferenda, i requisiti pubblicitari imposti a pena di validità alla charges (e alle altre garanzie reali) al Quistclose trust38. L’interpretazione dominante, tuttavia, pare contraria all’estensione in parola, in prospettiva tanto de jure condito quanto de jure condendo. In un’ottica interpretativa, risulta fondamentale la circostanza che il sistema inglese della pubblicità delle “garanzie reali” («security») ruoti attorno a un’individuazione delle stesse sulla base di un criterio eminentemente formale e non economico-­‐‑funzionale, con la conseguenza che non sarebbe ammissibile un’estensione analogica della disciplina ad altre fattispecie non espressamente previste39. Non potrebbe altresì convincere a deporre in tal senso l’idoneità a indurre i terzi in errore relativamente alla solidità patrimoniale di un soggetto, che costituisce caratteristica non esclusiva né tipica del Quistclose, bensì rinvenibile in altre (comuni) fattispecie 36
MOFFAT, Trusts, 774; FINCH, Corporate, 663 s., secondo la quale il Quistclose
rappresenta una tecnica a svantaggio dei creditori non sofisticati.
37
FINCH, Corporate, 665.
38
In termini ipotetici MOFFAT, Trusts, 774, il quale si richiama a STEVENS, Insolvency, 165
s., che, sul punto, si esprime, in realtà, in termini dubitativi.
Parallelamente alle osservazioni formulate nel testo, vanno tenute in considerazione,
inoltre, le proposte di includere nel novero delle situazioni soggette a obbligo di registrazione le
fattispecie nelle quali grava una charge sui beni detenuti in trust dalla società: cfr. Registration of
Charges Created by Companies and Limited Liability Partnerships. Proposals to amend the
current scheme and relating to specialist registers, BIS Consultation Paper, 2010, 14; THE LAW
COMMISSION, Company Security Interests, 2005, §§ 3.113 ss., 59 s.; cfr., inoltre, THE LAW
COMMISSION, Registration of Security Interests: Company Charges and Property other than Land,
2002, § 7.46, 195, «[a] person can in principle create an effective equitable charge over chattels by
declaring that he holds them in trust for a creditor by way of security for the payment of a
specified debt. A declaration of trust by way of security will therefore be a registrable charge
where it is given over registrable charge property or in substance constitutes a floating charge».
Occorre, tuttavia, segnalare che a § 7.53, 196 s., viene escluso da detto ambito il Quistclose trust,
sulla base della considerazione – espressione di una posizione minoritaria – che quest’ultimo
configurerebbe un’ipotesi di «special purpose trust» ove l’effetto di garanzia troverebbe la sua
fonte nella legge piuttosto che nell’autonomia privata; per una critica di siffatto orientamento, v.
GLISTER, Trusts, 474.
39
LOI, Quistclose, 430 ss., rivendicando peraltro il ruolo cruciale della forma nella
determinazione della sostanza (i.e. funzione economica) delle security; BRIDGE, The Quistclose,
351 ss. e 361; CALNAN, Proprietary, § 2.80, 60.
-100-
concrete40. Da un punto di vista giuspolitico, poi, si è fatto notare come l’imposizione di requisiti di pubblicità sia strutturalmente incompatibile con le esigenze di riservatezza e speditezza che caratterizzano le circostanze in cui si ricorre a un Quistclose trust41: spesso un tentativo (estremo) di ristrutturazione e/o salvataggio stragiudiziale42. 3. Trust e garanzie nei finanziamenti plurisoggettivi. – Il nesso fra trust e “garanzia” nella crisi d’impresa non è limitato alle fattispecie analizzate nei paragrafi precedenti, nelle quali – si è visto – il trust svolge in quanto tale una funzione di “garanzia atipica” su determinati beni, a beneficio del finanziatore di un’operazione di salvataggio 43 o a tutela dei creditori estranei a quest’ultima44. Un’ulteriore significativa applicazione pratica che, a vario titolo, è collegata alla crisi d’impresa si ha, infatti, nel caso in cui il trust venga utilizzato quale strumento di detenzione e gestione unitaria di un bene – o di un complesso di beni – rilasciato dal debitore in garanzia congiunta a beneficio di una pluralità di finanziatori. Secondo siffatto schema, la garanzia concessa dal debitore a fronte di un apporto a capitale di debito, anziché essere rilasciata direttamente e singolarmente a ciascuno dei creditori, è trasferita a un solo soggetto, che la “detiene”45 in trust a beneficio di questi ultimi, i quali ne acquistano la beneficial ownership. Tale modello “base” conosce – per quanto qui rileva – due specifiche possibili articolazioni: a) la prima consiste nel ricorso ai meccanismi fiduciari caratteristici del trust nell’ambito di operazioni di (ri-­‐‑
)finanziamento – a fini di salvataggio e/o ristrutturazione – da parte di un 40
Essendo presente, invece, in molteplici situazioni in cui non sorgono dubbi sulla “non
registrabilità”: cfr. STEVENS, Insolvency, 165, «If I lend you my Rolls Royce for the weekend, my
title is hidden to any creditor foolish enough to lend you money on the basis of the expensive car
you are driving»; osservazione ripresa da LOI, Quistclose, 427 s.
41
GLISTER, Trusts, 480 s.; BRIDGE, The Quistclose, 360 s.; PARMAAR, The Uncertainty –
Part Two, 206, il quale osserva come sia piuttosto ridotto il rischio che il Quistclose abbia l’effetto
di indurre altri soggetti a effettuare iniezioni di liquidità illudendoli sulla stabilità patrimoniale
della società, atteso che si tratta di finanziamenti effettuati in extremis e soprattutto dei quali i terzi
non vengono tendenzialmente a conoscenza, visto che la liquidità transita nella disponibilità della
debitrice soltanto per pochi giorni; v. pure MCKENDRICK, Commerce, 151 s., secondo il quale il
terreno di elezione del Quistclose è quello in cui risulta impraticabile il ricorso alle forme
“tradizionali” di garanzia.
42
SMOLYANSKY, Reining, 566; GLISTER, Trusts, 480; PARMAAR, The Uncertainty – Part
Two, 202.
43
Come nello scenario Quistclose: v., supra, § 2.2.
44
Il riferimento è alle ipotesi Sendo e Kayford: v., supra, § 2.1.
45
La scelta di utilizzare in accezione atecnica il termine «detenere» è effettuata in ragione
di quanto rilevato nel precedente capitolo I, § 7, relativamente al problema dell’inquadramento –
in particolar modo secondo le categorie di civil law – della posizione soggettiva del trustee.
-101-
consorzio di istituti di credito («Collective Security Agreements»); b) la seconda si rinviene all’interno delle emissioni obbligazionarie corporate garantite da una specifica entità patrimoniale, la quale viene trasferita in garanzia al bondholder trustee, che la conserva e amministra a beneficio degli obbligazionisti. Nella fattispecie sub b), inoltre, il trustee viene utilizzato – nei termini che saranno esposti infra, § 3.2. – anche qualora non vi sia una specifica garanzia da conservare, bensì anche semplicemente come momento organizzativo a tutela della collettività degli obbligazionisti. 3.1. Il «security trustee» nei finanziamenti in pool. – Come accennato, qualora al finanziamento erogato da una pluralità di istituti di credito acceda una garanzia reale concessa dal debitore congiuntamente ai finanziatori e avente a oggetto un’unica entità patrimoniale, nella contrattualistica transnazionale, di matrice inglese46 , è diffuso il ricorso al trust quale strumento giuridico di “detenzione” e gestione della garanzia nel corso dell’esecuzione del contratto fondamentale. In particolare, la transazione viene usualmente strutturata nei seguenti termini47: i. il bene oggetto della garanzia viene trasferito alla banca capofila (o, meno frequentemente, a un soggetto diverso), che lo detiene in trust nell’interesse e a beneficio di tutte le banche partecipanti al pool, assumendo così il ruolo di «Security Trustee» (o, talvolta, «Security Agent»48); ii. in aggiunta all’impegno principale di pagare quanto pattuito alle singole co-­‐‑finanziatrici, il debitore assume l’obbligo di versare il totale dovuto direttamente al Security Trustee. Detto obbligo è sottoposto a 46
Cfr. e.g. LOAN MARKET ASSOCIATION, Intercreditor Agreement for Leveraged
Acquisition Finance Transactions (Senior Facilities and Mezzanine Facility), 2009 (d’ora innanzi
«LMA ICA 03»); THIELE, Collective, § 39, 14. Siffatta considerazione vale sicuramente per i
finanziamenti a rilevanza transnazionale europea, mentre il diritto statunitense è generalmente
deputato a regolare quelli domestici o erogati nei mercati predominati da istituti di credito
statunitensi o, ancora, qualora i beni del debitore siano collocati negli Stati Uniti: v. MUGASHA,
The Law, §§ 5.99 ss., 257 s. Per quanto riguarda i finanziamenti in pool a rilevanza transnazionale,
i più significativi sul piano quantitativo sono quelli a beneficio dei debitori statunitensi: cfr. Bank
for International Settlements Quarterly Review, Marzo 2013, tavola 10; il mercato statunitense
domestico, nonostante una forte contrazione negli anni 2008-2009, è tornato a volumi paragonabili
a quelli pre-crisi [cfr. (in milioni di dollari) 1.745.441 (2007); 660.211 (2008); 471.897 (2009);
1.006.321 (2010); 1.773.121 (2011); 1.523.482 (2012), elaborazione personale dati Bloomberg].
47
V. in generale WOOD, Comparative, §§ 4-023 ss., 77 s. e §§ 32-035 ss., 642 ss.
48
Ciò non toglie che, nonostante la denominazione, il Security Agent sia in realtà un
trustee: THIELE, Collective, §§ 335 ss., 145 s.; cfr., infatti, la clausola 16 del LMA ICA 03, la quale,
rubricata «Security Agent», prevede che «The Security Agent declares that it shall hold the
Security Property on trust for the Secured Parties on the terms contained in this Agreement»
[clausola 16.1 (a), «Trust»]; per l’ordinamento americano, con riferimento alla agent bank quale
«grantee of relevant security interests», DENNIS-MULLINEAUX, Syndicated, 408.
-102-
condizione sospensiva fino al momento in cui il primo non sia in default (c.d. duplicate covenant); iii. così come la garanzia, anche il diritto di credito conseguentemente vantato dal Security Trustee è detenuto dal medesimo in trust per i partecipanti al pool; iv. al realizzarsi di determinate condizioni previste nell’accordo (usualmente un inadempimento qualificato dalla decisione del consorzio di ritenere la debitrice in default da parte del debitore), il Security Trustee è competente in via esclusiva49 – a seguito di una decisione a maggioranza delle banche consorti 50 – di agire esecutivamente sulla proprietà in garanzia e, realizzatone il valore, di distribuirne il ricavo tra i beneficiari pro quota51. I vantaggi applicativi che l’utilizzo del trust ha nell’ambito di siffatte strutture negoziali sono plurimi e di natura eterogenea. Possono essere suddivisi in tre gruppi: il primo è tendenzialmente ricollegabile a profili di carattere concorsuale; il secondo attiene ai vantaggi di natura finanziaria; il terzo concerne le utilità di carattere organizzativo-­‐‑amministrativo. Merita in questa sede di essere esaminato il primo gruppo, in cui le utilità operative derivano dai collegamenti tra la specifica applicazione del trust in questione e la crisi d’impresa. Tale indagine si impone (anche) a prescindere dall’esistenza di un legame “genetico” tra dette fattispecie e la crisi d’impresa: l’apporto di nuova finanza a una società in difficoltà rappresenta infatti uno dei casi tipici di ricorso ai finanziamenti concessi collettivamente da un sindacato di banche52. Uno dei principali motivi di successo dello schema del security trustee fra gli operatori – e della sua maggiore diffusione rispetto all’agency – è che, conformemente ai principi fondamentali in materia di trust (v. capitolo I, § 7), le banche consorti sono esenti dal rischio di insolvenza del security trustee, perché in caso di fallimento di quest’ultimo la trust property 49
LMA ICA 03, clausola 16.3; ALI, Security, 34; WOOD, Comparative, § 32-039, 644.
LMA ICA 03, clausola 12.-12.3; WOOD, Comparative, § 32-039, 644.
51
LMA ICA 03, clausola 14.
52
WOOD, Comparative, § 4-020, 75; BRUNNER-KRAHNEN, Multiple, 421 s.; cfr. altresì
CHAMBLEE-TENHOLDER, Converging, 7; MEARS-GREGG-MCFADDEN, Strategies, 201 ss.; per
alcuni esempi concreti v. ChTPZ Group finishes restructuring loan portfolio, in Interfax: Russia &
CIS Business and Financial Newswire, 5 marzo 2013, riportando la notizia del rifinanziamento in
pool di un gruppo energetico russo; Emerging Market Syndicated Loans, in Euroweek, 13
dicembre 2012 (ristrutturazione di un consorzio minerario russo da parte di un sindacato
transnazionale di istituti di credito); Chinese rescue saves $2bn Saudi Oger loan, in Euroweek, 16
settembre 2011; cfr. anche Oerlikon begins Sfr1bn rescue rights issue, in Euroweek, 28 maggio
2010.
50
-103-
non ricade nella massa fallimentare attiva ma rimane soggetta alle prerogative reali dei beneficiari-­‐‑creditori53. Un altro beneficio pratico, conseguibile con l’attribuzione congiunta di una garanzia a un trustee in favore di una pluralità di creditori, è dato dalla (pur imperfetta) “concentrazione” delle iniziative esecutive in capo al security trustee, che si realizza al momento dell’(inadempimento definitivo e dell’)insolvenza della società finanziata. Più nello specifico, siffatta concentrazione – facilitata dall’inquadramento dei rapporti nel trust – viene ottenuta tramite una combinazione di accorgimenti contrattuali: mentre (come accennato) la decisione di (dichiarare l’acceleration e quindi di) avviare l’azione esecutiva sulla garanzia viene assunta a maggioranza dagli istituti bancari partecipanti 54, il concreto compimento delle attività necessarie a fare valere tale privilegio patrimoniale viene demandato in via esclusiva al trustee 55 . A ciò si aggiunge, poi, l’introduzione della c.d. «pro-­‐‑rata sharing clause», in base alla quale la singola banca consorte, pur mantenendo il potere di agire esecutivamente in via individuale56, deve versare al trustee57 tutto quanto essa sia stata in grado di ottenere dal debitore – e che non sia stato parimenti ricavato dalle altre banche consorti – affinché possa essere ripartito fra tutti i co-­‐‑finanziatori in proporzione alla quota di 53
WOOD, Comparative, § 4-027, 78, e § 32-026, 643; THIELE, Collective, §§ 367 s., 160 s.;
GIBBONS, Taking, 512.
54
Cfr. WOOD, International, § 7-001, 121, il quale osserva come possa essere previsto
anche il potere della banca agent di dichiarare l’acceleration autonomamente, ma soltanto per casi
di eccezionale emergenza in cui non vi sia il tempo di consultare il consorzio.
55
LMA ICA 03, clausola 16.3: «the Secured Parties shall not have any indipendent power
to enforce, or have recourse to, any of the Transaction Security or exercise any rights or powers
arising under the Security Documents (other than the Facility Agreement) except through the
Security Agent»; ALI, Security, 34; WOOD, Comparative, § 32-039, 644; cfr., tuttavia, ID,
International, § 7-001, 120, affermando, con generale riferimento ai finanziamenti in pool
(garantiti o meno), che «There will not usually be a power to enforce the loan agreement by the
taking of legal proceedings: banks prefer to retain the right to take their own individual action one
the loan has been accelerated».
56
A differenza di quanto avviene nelle emissioni obbligazionarie: v. il sottoparagrafo che
segue. Per quanto riguarda i finanziamenti in pool, la facoltà di procedere individualmente può
essere sottoposta alla condizione che la banca agent (sovente coincidente con il security trustee)
dichiari l’esistenza di un default event: cfr. MUGASHA, The Law, § 5.11, 209.
57
O alla banca agent: la clausola non è prerogativa dei finanziamenti in pool garantiti ma è
diffusa anche nei syndicated loans non assistiti da una garanzia speciale; v. però WOOD,
Comparative, § 4-022, 76, «the pro rata sharing of recoveries is less easy to replicate in an
intercreditor agreement without a trustee».
-104-
partecipazione al finanziamento 58. Pertanto, nei finanziamenti in pool – con tecniche diverse e meno incisive di quelle proprie degli strumenti obbligazionari – viene disincentivato l’avvio di una pluralità di azioni individuali, a favore di un’esecuzione accentrata da parte del trustee. È evidente che da tale assetto traggono giovamento sia le banche, tra le quali si instaura una sorta di par condicio contrattualmente regolata, prevenendosi così il rischio che tra queste ultime si instauri una competizione sulla garanzia residua; sia il debitore “insolvente”, che in linea di massima non dovrà affrontare una molteplicità disorganica di azioni esecutive sulla medesima garanzia patrimoniale. Per quanto riguarda il secondo tipo di funzioni assolte dal security trustee, i vantaggi economico-­‐‑finanziari – tanto per i finanziatori quanto per il finanziato – che l’utilizzo del trust permette di ottenere comprendono in primo luogo la possibilità per il debitore di attribuire (e per le banche finanziatrici di ottenere) congiuntamente a un numero elevato di soggetti una garanzia (anche relativa a un unico bene), con l’adempimento di un solo obbligo pubblicitario (la registrazione del titolo del trust) 59 : il che sarebbe operazione altrimenti non praticabile o, comunque, estremamente costosa. Inoltre, la circostanza che i co-­‐‑
finanziatori siano titolari (soltanto) della beneficial ownership nei confronti della trust property, mentre il legal title sia esclusivamente in capo al trustee semplifica in modo notevole la circolazione del credito e dell’annessa garanzia. Invero, alla cessione del credito non deve seguire una registrazione della modifica della titolarità soggettiva nella posizione soggettiva garantita (la quale consiste nel trasferimento dell’equitable ownership)60, poiché è soltanto il trustee, titolare del legal title, a (dover) rimanere intestatario della garanzia. Le stesse considerazioni stanno altresì alla base della facilità con la quale, in forza di detto meccanismo, ulteriori soggetti possono essere aggiunti al pool in un momento posteriore all’erogazione (della prima tranche) del finanziamento e beneficiare della 58
Cfr. WOOD, International, § 7-029, 132, secondo il quale la clausola è «standard in debt
restructuring agreements»; GULLIFER-PAYNE, Corporate, 357; ALI, Security, 33 s.; cfr. l’analoga
(ma più complessa) architettura della clausola 14.3, LMA ICA 03.
59
WOOD, Comparative, § 4-022, 76; THIELE, Collective, § 365, 159 s.
60
WOOD, Comparative, § 4-022, 76; HAYTON-MATTHEWS-MITCHELL, Underhill, § 1.100,
60; ALI, Security, 34; MUGASHA, The Law, § 5.43, 227; § 365, 160; HAYTON-PIGOT-BENJAMIN,
The Use Of Trusts, 27 s.; GIBBONS, Taking, 512; ELLAND, The Trust, § 144, 966.
-105-
garanzia 61 . Altrettanto può dirsi per l’eventualità nella quale le parti vogliano ampliare l’oggetto della garanzia, anche mediante l’apporto di beni da parte di soggetti differenti dal debitore. Vi è, infine, una serie di utilità conseguibili con security trustee che si manifesta a livello “organizzativo”. Principalmente, l’utilizzo di un security trustee permette, infatti, un accentramento delle attività di controllo (ed eventualmente di gestione) del bene, dal quale a sua volta discende una complessiva riduzione dei costi di monitoraggio: le banche partecipanti non sono costrette a controllare in proprio la consistenza della garanzia e le attività del debitore al riguardo, dal momento che si affidano, a tale scopo, al security trustee 62 . In virtù degli obblighi fiduciari che sorgono in capo al security trustee, egli è tenuto, nell’espletamento dei suoi incarichi amministrativi e di controllo della garanzia, a rispettare gli elevati standard di diligenza e correttezza immanenti alla sua posizione – ulteriormente intensificati dall’essere un soggetto professionale e remunerato. Pertanto, il security trustee è responsabile nei confronti delle altre banche consorti (beneficiarie) per la mala gestio del trust fund o per l’inosservanza del dovere di evitare situazioni di conflitto di interessi63, con la conseguenza che, a fronte dell’illegittima fuoriuscita dei beni in trust, dalla disponibilità del trustee, sono esperibili i rimedi reali a disposizione dei beneficiari (cfr. capitolo I, § 7). Più nello specifico, rientrano nei doveri basilari del trustee quello di procedere agli adempimenti pubblicitari necessari per la validità della garanzia e quello 61
HAYTON-MATTHEWS-MITCHELL, Underhill, § 1.101, 60; THIELE, Collective, § 365, 159
s.; ELLAND, The Trust, § 144, 967. Merita di essere evidenziato che detta possibilità dipende, in
realtà, dalle modalità con le quali vengono individuati i beneficiari del trust nell’atto istitutivo.
62
Nei finanziamenti consorziati, tuttavia, al di fuori di ciò che concerne la garanzia (e,
quindi, per i finanziamenti non garantiti, in generale), in genere le parti escludono in via
contrattuale l’instaurarsi di relazioni di trust (MUGASHA, The Law, § 6.32, 289; WOOD,
Comparative, § 7-002 s., 122; GULLIFER-PAYNE, Corporate, 364 s.; FRANKEL, Securitization-II,
291); ciò, tuttavia, non preclude a priori che: un trust possa, in ipotesi eccezionali, comunque
essere implicitamente costituito (MUGASHA, The Law, § 6.34 ss., 290 s., ove una discussione delle
eccezioni a detta regola); che – quanto meno per il diritto inglese – la banca agent possa essere
tenuta, proprio quale «agent», al rispetto di doveri fiduciari nei confronti delle participants
(WOOD, Comparative, § 7-006, 123; nell’ordinamento statunitense, FRANKEL, Securitization-II,
291). In senso differente, per il diritto inglese, GULLIFER-PAYNE, Corporate, 364; negli USA, v.
WIGHT, The LSTA’s, 461 ss.
63
THIELE, Collective, §§ 384 ss., 168 ss.; ALI, Security, 36 s., il quale – con riferimento ai
security trustees indistintamente nei finanziamenti in pool e nelle emissioni obbligazionarie –
sottolinea come gli obblighi del fiduciario siano (o meglio, debbano essere) non limitati soltanto
alla fase successiva all’insolvenza del debitore, ma siano anche a essa pregressi; ELLAND, The
Trust, § 146, 967 s.
-106-
di non erogare in proprio alla società debitrice ulteriori finanziamenti a titolo di credito. Ulteriori vantaggi in termini di riduzione dei costi amministrativi dell’operazione derivano dal fatto che il trustee sia proprietario della garanzia-­‐‑trust fund: il che lo rende di per sé legittimato (e in quanto trustee tenuto) a gestire nonché – nel limite generale dell’interesse dei beneficiari – a porre in essere ogni adempimento relativamente al bene in garanzia, ivi inclusa l’escussione di quest’ultima, senza che sia necessario ottenere l’autorizzazione formale da parte di ogni creditore garantito64. Il security trustee nei finanziamenti in pool non si sottrae, in ogni caso, a rilievi critici. Problematica – in quanto si frappone all’efficiente svolgimento di alcune funzioni ora considerate – è la questione dell’esclusione della responsabilità del trustee. Per effetto di una prassi negoziale diffusa 65 , infatti, l’ambito in cui è configurabile una responsabilità del security trustee è significativamente più ristretto rispetto a quello tipico di un “ordinario” trustee. Le clausole di esonero da responsabilità non possono, tuttavia, escludere la possibilità di addebitare al trustee un comportamento “disonesto o in mala fede”66. È stato ritenuto che il contenuto minimo del dovere di mantenere una condotta corretta e onesta sia rappresentato – limitatamente a quanto rilevante ai fini della presente indagine – dal dovere di mantenere e salvaguardare i beni in trust e di documentare contabilmente le attività relative al trust fund67. 3.2. Il «bondholder trustee» nella rinegoziazione dei finanziamenti obbligazionari. – Tecniche analoghe a quelle ora descritte vengono 64
Come già chiarito, resta inteso che l’esecuzione della garanzia è atto successivo
all’accertamento di un default event il quale, normalmente, viene deciso a maggioranza dalle
banche partecipanti; ne deriva che l’azione esecutiva non viene avviata autonomamente dal
trustee. L’aspetto da sottolineare è che, mentre un agent è soltanto un “mandatario” del consorzio,
il trustee è vero e proprio titolare dei beni in trust e, pertanto, nel momento in cui venga assunta la
decisione di procedere all’esecuzione sulla garanzia, dispone già di per sé di tutti i poteri a ciò
necessari.
65
Cfr., e.g., LMA ICA 03, §§ 16.8, 16.9, 16.11.
66
Armitage v. Nurse [1998] Ch. 254.
67
THOMAS-HUDSON, The Law, § 21.46, 624; cfr., inoltre, LAW COMMISSION, Trust
Exemption Clauses, 2006, 68 ss., che, a seguito di una pubblica consultazione, propone – quale
best practice – la regola secondo cui ogni clausola di limitazione della responsabilità deve essere
resa nota da parte di un trustee remunerato e professionale al settlor prima dell’istituzione del
trust.
La limitazione negoziale della responsabilità è dato che connota anche il trust utilizzato
nell’ambito delle emissioni obbligazionarie e che sarà analizzato amplius – per il maggiore
impatto (sul pubblico dei risparmiatori) che ha rispetto alla situazione dei consorzi bancari – nel
seguente sottoparagrafo.
-107-
utilizzate, inoltre, nell’ambito delle operazioni di emissione di obbligazioni da parte di società, tanto qualora i titoli siano offerti sui mercati “domestici”, statunitense e britannico, quanto nel caso in cui essi siano destinati alla circolazione nel mercato europeo, atteso che in quest’ultima ipotesi la normativa dell’ordinamento inglese viene generalmente scelta quale legge applicabile68. Più precisamente, all’interno di siffatte operazioni è opportuno distinguere fra quelle che sono assistite da una garanzia specifica, di varia natura, sui beni dell’emittente (secured) 69 e quelle che, invece, attruibuiscono una pretesa non garantita, il cui titolare è creditore chirografario nel caso di insolvenza della società debitrice (unsecured). Se i titoli obbligazionari sono garantiti, il «bondholder trustee» svolge un duplice ruolo, dal momento che: per un verso detiene e amministra in trust per la garanzia i beneficiari/obbligazionisti70, in maniera analoga a quanto avviene nei syndicated loans, per altro verso è titolare, in qualità di trustee, del diritto di credito nei confronti dell’emittente 71 , con la conseguenza che è in quanto tale legittimato ad agire nei confronti della 68
THIELE, Collective, § 39, 14; cc.dd. «eurobonds», sui quali v., in lingua inglese, WOOD,
International, §§ 10-027 ss., 199; GULLIFER-PAYNE, Corporate, 330 s.;
69
Merita di essere precisato che nelle operazioni di cartolarizzazione, nella quali la garanzia
è strutturalmente ineliminabile, si presentano particolarmente interessanti in quanto la forma
preferita per l’organizzazione della detenzione collettiva della garanzia è il trust (generalmente un
corporate trustee): v. FRANKEL, Securitization-I, 411; KOTHARI, Securitization, 635; nell’ambito
delle residential mortgage-backed securities LEVITIN-GELPERN, Rewriting, 1082; v. anche
GULLIFER-PAYNE, Corporate, 333 («[…] one situation in which the advantages of having a trustee
are overwhelming: where security is given […, This] is fundamental to other structures, such as
securitization»); sull’utilizzo del trust nelle operazioni di securitization, cfr. anche capitolo I, §
8.2, nota 207. L’interesse nei confronti di siffatto tipo di transazioni è inoltre destato dal fatto che,
se vi è più di una banca originator, esse – semplificando i livelli – rappresentano una
combinazione di finanziamenti in pool e di emissione di titoli di debito destinati al pubblico, che
costituiscono frazioni del credito originario e sono garantiti dall’unica garanzia.
70
KOVE-BOGERT, Bogert’s, vol. 5, § 250, 333 s.; ALI, Security, 36; WOOD, Comparative,
§§ 4-021 s., 75 ss.; GULLIFER-PAYNE, Corporate, 330 (sulle stock issuance) e 333 (sui secured
bonds); DAVIES-WORTHINGTON, Gower and Davies’, § 31-16, 1191. È particolarmente
significativa l’informazione relativa all’origine storica del bondholder trustee: pare essere
riconducibile a operazioni di raccolta di capitale da parte di più soggetti tramite mutuo ipotecario,
nelle quali la garanzia reale speciale veniva rilasciata a un singolo individuo (trustee): v. LEV, The
Indenture, 50 s., con riferimento ai primi casi di emissioni obbligazionarie nonché alle operazioni
di sollecitazione al risparmio condotte dalle compagnie ferroviarie alla fine del secolo XIX. Il
bondholder trustee sarebbe nato, dunque, quale security trustee, per espandersi in un secondo
momento alle emissioni non garantite; cfr., altresì, SMITH-CASE-MORRISON, The Trust, 163 s.
71
WOOD, International, § 16-013, 291 s.; ALI, Security, 36; con specifico riferimento
all’ordinamento statunitense KOVE-BOGERT, Bogert’s, vol. 5, § 250, 333; sul sistema inglese
GULLIFER-PAYNE, Corporate, 330, e con riferimento alla struttura propria dei duplicate covenant
propri dei bonds (cfr., supra, § 3.1. nota 49), 333; HUDSON, The Law, 2009, §§ 35-24 s., 921 s.
-108-
debitrice in caso di default72. Per contro, nell’eventualità di un’emissione non garantita, il bondholder trustee assolve unicamente a quest’ultima funzione. In altri termini, mentre la funzione di detenzione congiunta di una garanzia è propria esclusivamente delle emissioni secured, in entrambe le ipotesi il bondholder trustee rappresenta una figura di organizzazione – con finalità protettive – degli obbligazionisti, e dovrebbe permettere un monitoraggio accentrato delle attività del debitore da parte di un operatore sofisticato, una valutazione professionale dell’inadempimento del medesimo nonché un’esecuzione forzata unitaria73. Nel caso delle obbligazioni garantite, viene utilizzata in maniera pressoché identica la struttura del security trustee già analizzata con riguardo ai finanziamenti in pool: di conseguenza, sul bene (o complesso di beni) che garantisce l’emissione, il debitore concede titolo di prelazione 72
WOOD, International, § 16-002, 285; GULLIFER-PAYNE, Corporate, distinguendo tra il
meccanismo degli stocks (329 s.), nei quali l’effetto descritto nel testo è conseguito direttamente
(senza l’attribuzione del diritto di credito agli obbligazionisti), e i bonds, ove esso è ottenuto con la
no-action clause; cfr. anche, analogamente, FULLER, Corporate, § 12.8, 215 s.; HUDSON, The Law,
§ 35-23, 919.
73
WOOD, Comparative, § 16-002, 285 s.; per l’ordinamento inglese: DAVIESWORTHINGTON, Gower and Davies’, § 31-16, 1191; GULLIFER-PAYNE, Corporate, 331; FULLER,
Corporate, § 12.3, 213 s.; nell’ordinamento nordamericano, la constatazione dell’insufficiente
livello di controllo nei confronti degli emittenti, dovuto ai problemi di azione collettiva che
caratterizzano la condizione degli obbligazionisti e dei loro rapporti (e tradottosi in una serie di
insolvenze in loro danno) ha rappresentato la giustificazione dell’imposizione, avvenuta con il
Trust Indenture Act («TIA», 1939), di una figura “attiva” – quanto meno successivamente al
default della società debitrice – di bondholder trustee: HAZEN, Treatise, 2009, 468 s.; SCHWARCZSERGI, Bond, 1043 s.; per un’approfondita (e critica) analisi – anche in chiave storica – del Trust
Indenture Act e delle novella apportatavi nel 1990, cfr. LEV, The Indenture, 52 ss. Le principali
aree in cui vi è stato, con l’emanazione del TIA alla fine degli anni ’30, un intervento normativo
sono quelle la cui mancata regolamentazione era stata da più parti ritenuta la ragione di un
peggioramento delle condizioni del pubblico risparmio nel corso della crisi. Pertanto, si è assistito
a un’introduzione di requisiti soggettivi minimi del trustee e di una disciplina delle situazioni di
conflitto d’interessi, una limitazione dell’ambito di validità delle clausole di esonero da
responsabilità e una definizione degli obblighi del trustee successivamente all’inadempimento
dell’emittente.
In entrambe le ipotesi richiamate nel testo, la struttura muta: è diffusa tanto la tecnica che –
analogamente ai finanziamenti in pool – combina la duplicazione dell’obbligo di pagamento in
capo all’emittente, a favore sia degli obbligazionisti sia del trustee, con la sospensione del secondo
fino all’avveramento di una condizione (default) o la congiunta soddisfazione di entrambi con
l’unico atto solutorio nei confronti dei beneficiari (v. WOOD, International, § 16-013, 291 s.; cfr.
però ID., Comparative, § 4-042, 85, «the usual market practice is to grant the security only to the
trustee and not to the bondholders themselves»); quanto quella – accennata nel testo – in cui
l’attribuzione del diritto di credito avviene esclusivamente a favore del trustee, la cui titolarità
viene sdoppiata tra legal title (al trustee) e beneficial ownership (agli obbligazionisti) (HUDSON,
The Law, § 35-23, 919; GULLIFER-PAYNE, Corporate, 329; KOVE-BOGERT, Bogert’s, vol. 5, § 250,
333 s.; FULLER, Corporate, §§ 12.1 s., 213).
Sull’operato del trustee cfr. infra nel testo.
-109-
soltanto al trustee, che lo detiene in trust per i beneficiari/titolari dello strumento. Anche per quanto attiene alla funzione economica in concreto assolta, il security bondholder trustee può essere accomunato al security trustee nei finanziamenti consorziati, atteso che entrambe le fattispecie sono assimilabili, quanto agli obiettivi pratici perseguiti dalle parti, specialmente per gli aspetti “patrimoniali”. Anzitutto, l’utilizzo del security trustee permette di fare beneficiare di una garanzia (all’occorrenza, sul medesimo bene) una platea numerosa di soggetti, senza la necessità che a ciò debbano seguire tanti adempimenti pubblicitari quanti sono i beneficiari74. Ancor più sentita (rispetto al caso dei mutui bancari in pool)75 è, poi, l’esigenza che il diritto di credito (o la titolarità beneficiaria del medesimo) incorporato nel titolo possa circolare liberamente in modo congiunto alla garanzia che vi accede, senza che in occasione di ogni trasferimento sia necessario assolvere nuovamente agli adempimenti pubblicitari relativi alla garanzia76. Alcune notevoli differenze si manifestano, a ben vedere, fra il bondholder security trustee e il security trustee esaminato nel precedente sottoparagrafo sotto il profilo “organizzativo”. Esse paiono principalmente riconduncibili alla circostanza che soltanto nel primo caso ci si trova di fronte a un’operazione con le caratteristiche tipiche della raccolta di capitale di credito presso il pubblico. Per contro, la banca capofila del consorzio di finanziatori (o altro soggetto a ciò incaricato) è, in quanto security trustee, titolare di poteri (e doveri) fiduciari limitatamente all’asset rilasciato in garanzia, il bondholder trustee, oltre ad assolvere la medesima funzione di monitoraggio e gestione “accentrata” della garanzia nella sua qualità di security trustee, ricopre il ruolo – a cui sono intrinseci compiti più ampi – di “preposto” alla rappresentanza e alla tutela degli interessi della pluralità degli obbligazionisti, cosicché i diritti vantati dai titolari dello strumento nei confronti del bondholder (security) trustee sono maggiori di quelli che la singola banca participant può fare valere nei 74
GULLIFER-PAYNE, Corporate, 333; WOOD, International, § 16-004, 287 s.; ALI, Security,
33; DAVIES-WORTHINGTON, Gower and Davies’, § 31-16, 1191.
75
Ciò vale principalmente per il mercato europeo, poiché negli Stati Uniti è invece
particolarmente sviluppato il mercato secondario delle “partecipazioni” ai syndicated loans: cfr.
FRANKEL, Securitization-I, 70, la quale tuttavia rileva come il mercato secondario sia meno
evoluto di quello delle asset-backed securities.
76
Ex multis, GULLIFER-PAYNE, Corporate, 333, 356; WOOD, Comparative, § 4-042, 85,
sottolinea peraltro che il trasferimento della garanzia è meno problematico nel caso di titoli
soggetti a gestione accentrata, nei quali circola non tanto il titolo in sé quanto la proprietà
beneficiaria del medesimo; KOVE-BOGERT, Bogert’s, vol. 5, § 250, 333.
-110-
confronti dell’istituto capofila77. Inoltre, come già accennato, mentre le singole banche finanziatrici si dimostrano restie ad accettare una privazione della facoltà di agire contro il debitore in via individuale – con la conseguenza che rimangono tendenzialmente titolari del diritto di promuovere iniziative a titolo individuale, salvo gli effetti della pro-­‐‑rata sharing clause – le emissioni obbligazionarie sono caratterizzate da una maggiore e intensa concentrazione dei poteri in capo al bondholder trustee, e la speculare limitazione dei poteri del singolo obbligazionista. È, infatti, tipica delle emissioni obbligazionarie la no-­‐‑action clause, la quale priva il singolo obbligazionista del potere di avviare iniziative giudiziali nei confronti dell’emittente, attribuendo unicamente al trustee il potere – di dichiarare l’esistenza di un effettivo pregiudizio (material prejudice) per i titolari in conseguenza del default e pertanto – di chiedere il rimborso integrale anticipato del debito (acceleration) e, poi, di agire esecutivamente per il pagamento delle somme dovute78. Peraltro, si deve osservare che la validità di siffatta convenzione contrattuale è dubbia nell’ordinamento statunitense, per effetto della Section 316 (b) del TIA79; è più diffusa, per contro, nel Regno Unito di quanto lo sia negli indenture trusts nordamericani. Infine, pare opportuno notare che l’accentramento dei poteri in capo al bondholder security trustee rappresenta per determinati aspetti – e a determinate condizioni – anche un meccanismo di “protezione” della società debitrice: quest’ultima beneficia di un temporaneo blocco delle azioni esecutive individuali dei singoli creditori, in particolare mediante le c.d. no-­‐‑action clauses (sulle quali ci si soffermerà infra nel corso della trattazione). Come si porrà altresì in evidenza, le iniziative del singolo rimangono inibite – oltre che dalla (discrezionale) valutazione da parte del trustee in ordine all’esistenza di un material prejudice conseguente 77
È considerazione diffusa che, con l’eccezione di tutto ciò che concerne l’eventuale
garanzia concessa e detenuta in trust per le consorziate, fra queste ultime e la banca agent non si
instaurano in linea di massima relazioni di trust: cfr., supra, nota 62.
78
WOOD, International, §§ 16-021 ss., 293 s.; DAVIES-WORTHINGTON, Gower and Davies’,
§ 31-43, 1204; GULLIFER-PAYNE, Corporate, 331, e, amplius, 345 ss.; FULLER, Corporate, § 12.8,
215 ss. Il singolo obbligazionista (ri-)ottiene il potere di agire individualmente nel momento in cui
il trustee non agisca nonostante abbia ricevuto indicazioni in tal senso da parte della maggioranza
degli obbligazionisti.
79
La quale prevede che il diritto del singolo obbligazionista di agire indivualmente per
ottenere il pagamento dell’obbligo principale e degli interessi «shall not be impaired or affected
without the consent of such holder»: WOOD, International, § 16-027, 296; per un’estesa
discussione di tale disposizione, v. SHUSTER, The Trust, 432 ss. (con riguardo alle no-action
clauses 434 s.).
-111-
all’inadempimento nonché dal suo potere di rinunciare a esercitare l’acceleration – fino a quando il trustee non adempia alla richiesta deliberata dall’assemblea dei bondholder 80. Del resto, le fattispecie in esame sono – come si intuisce – notevolmente influenzate dalla regolazione dei mercati finanziari e soggette, in particolare nell’ordinamento statunitense, a una disciplina che non distingue tra emissioni garantite e non garantite. E, nonostante una trattazione esaustiva di siffatte discipline esuli dai limiti della presente indagine, i lineamenti fondamentali dei relativi apparati normativi risultano rilevanti per una piena comprensione del fenomeno e meritano, appunto, una seppur breve trattazione. In ordine al sistema statunitense, infatti, il TIA81 impone alle società che intendano ricorrere all’emissione obbligazionaria (di titoli che abbiano una diffusione interstatale), oltre al rispetto della procedura autorizzativa comportante una serie di obblighi pubblicitari, la nomina di un «indenture trustee» (Sections 304 e 306). Il TIA definisce, inoltre, i requisiti soggettivi minimi così come poteri e obblighi rispettivamente dell’intenture trustee e di ciascun titolare. Quanto alle qualifiche soggettive del trustee, il TIA introduce una serie di situazioni nelle quali il trustee è ritenuto in conflitto d’interessi. L’integrazione di una delle fattispecie elencate, tuttavia, non preclude l’attribuzione e lo svolgimento dell’incarico di trustee, ma rimane “latente” fino al verificarsi di un default event: momento a partire dal quale il trustee è obbligato a eliminarne la causa o a rimettere l’incarico entro novanta giorni82. Con riferimento ai doveri del trustee, il TIA, allo scopo di evitare il ripetersi dell’esperienza dei primi decenni del ‘900 – durante i quali il ruolo meramente passivo del trustee aveva permesso e favorito il compimento di operazioni a danno della collettività degli obbligazionisti –
, prevede numerosi doveri (e poteri) in capo all’indenture trustee, così da far assolvere al trustee una funzione attiva. Al contempo, però, il TIA esplicitamente limita l’operatività degli obblighi di controllo e di attivazione imposti all’indenture trustee a una fase “patologica”, ossia successivamente all’inadempimento dell’emittente. Nella fase fisiologica, dunque, prima di siffatto evento, il ruolo del trustee è invece (ancora) piuttosto meccanico, potendo quest’ultimo limitarsi all’osservanza dei 80
WOOD, International, § 16-003, 286 s. («protection against “mad bondholder”»); per una
discussione di siffatta questione RAWLINGS, The Changing, 46 ss.
81
Sulle ragioni storiche dell’introduzione del TIA, cfr. supra nota 73.
82
15 U.S.C.A. § 77jjj(b).
-112-
doveri (minimi) esplicitati nell’atto istitutivo83. Tali doveri tipicamente comprendono quello di tenere il registro dei mutamenti soggettivi nella titolarità dei bonds, di trasmettere le somme corrisposte dal debitore agli obbligazionisti, di compiere le attività conservative nei confronti (se naturalmente esistente) del bene in garanzia. Sotto molti punti di vista, il quadro è parzialmente differente nel Regno Unito. Anzitutto, nel contesto delle obbligazioni corporate, il ricorso a un bondholder trustee quale soggetto intermedio tra società emittente e risparmiatori non è imposto in via legislativa; tuttavia, l’istituzione di un trust e la conseguente nomina di un bondholder trustee è l’ordinaria prassi di mercato84, almeno per quanto riguarda i titoli destinati a essere ammessi a quotazione nel mercato regolamentato londinese85. Pertanto, la disciplina del fenomeno è lasciata in massima parte all’autonomia contrattuale, fatta eccezione per alcune sporadiche disposizioni collocate in differenti apparati normativi nonché per i confini stabiliti dai precedenti in materia, principalmente in punto di limitazione dell’ambito di responsabilità del trustee (cfr. infra nel testo). Ciò nonostante, il ruolo in concreto svolto dal trustee in specie a partire dall’inadempimento del debitore (o anche nella fase anteriore 86 ) è – paradossalmente – più attivo di quello assunto dall’indenture trustee statunitense87. 83
La considerazione è pacifica de jure condito: ex multis, v. SCHWARCZ-SERGI, Bond,
1044; HAZEN, Treatise, nota 1; LANDAU-KRUEGER, Corporate, 26 s.; 15 U.S.C.A. § 777ooo(a)(1).
Sul punto v., però, le critiche formulate da LEV, The Indenture, passim, la quale propone
l’introduzione di trustee dal ruolo attivo anche nella fase anteriore al default, e, spec. sulla
discutibilità della scelta di limitare la rilevanza del conflitto d’interessi alla situazione post-default,
98 ss.; per un’ulteriore critica de jure condendo alla disciplina del conflitto di interessi
dell’indenture trustee, precedente alla novella del 1990, CAMPBELL-ZACK, Put a Bullet, 1708 ss., i
quali pure mettono in luce come già nella fase anteriore all’inadempimento possono darsi ipotesi
di conflitto d’interessi non solo potenziale ma attuale (1718 ss.).
84
HUDSON, The Law, § 35-22, 918 s.; DAVIES-WORTHINGTON, Gower and Davies’, § 3116, 1190 s.; WOOD, International, § 16-009, 289; cfr. UKLA Listing Rules, §§ 17.3.10, 17.3.12.
Prima delle modifiche apportate alle Listing Rules nel 2005, queste prevedevano l’obbligatoria
istituzione di un bondholder trustee: cfr. THIELE, Collective, § 335, 145.
85
Fino al 2005, le FSA listing rules richiedevano la nomina di un debenture trustee quale
condizione per l’ammissione a quotazione, mentre nella versione aggiornata al 2013 è possibile
rilevare una serie di disposizioni che, pur non imponendolo esplicitamente, ne presupponogono
l’esistenza: cfr., ad es., LR 5.2.9, 13.8.16, 17.3.10.
86
Sostengono che il trustee debba avere e quindi abbia una funzione (prevalentemente di
monitoring) attiva anche prima del realizzarsi di un default event, con particolare riferimento al
security bondholder trustee, ALI, Security, 36 ss.; GULLIFER-PAYNE, Corporate, 343 ss., dando
però atto che il riconoscimento di detta funzione è ostacolato dalle clausole contrattuali che
escludono l’esistenza di obblighi di controllo nella fase anteriore al default; BOX-MILDRED, The
role, 191.
87
V. spec. RAWLINGS, The Changing, 64 ss.; BOX-MILDRED, The role, 191.
-113-
Pur a fronte delle diversità di contesto normativo, è comune a entrambi gli ordinamenti in questione il tema più discusso dalla letteratura negli ultimi decenni: la riconducibilità del bondholder (security) trustee nell’alveo del trust classico, con particolare riguardo agli obblighi e alle responsabilità del trustee. In particolare, si riscontrano alcune linee interpretative che negano de jure condito che il bondholder trustee costituisca un esempio di trust tradizionalmente inteso 88 ; altre proposte de jure condendo dirette a “ripensare” gli obblighi fiduciari dell’indenture o del debenture trust89. Ciò pare potere essere spiegato se si tengono in considerazione due fattori. In primo luogo, a fondamento di tale tendenza si rinviene l’impostazione che sembra emergere dal TIA, il quale, in realtà, pare per certi versi limitare considerevolmente i poteri-­‐‑doveri – e così il ruolo complessivo – del trustee90. In secondo luogo sono diffuse nei documenti pattizi che disciplinano l’emissione di debt stocks e (domestic o euro-­‐‑)bonds – nel Regno Unito – o di indentures – negli Stati Uniti – clausole che prevedono un’esenzione dai doveri e dalle responsabilità del trustee. In generale, viene previsto che il trustee non solo non sia tenuto a svolgere di 88
Nell’ordinamento inglese, nega che il debenture trust rappresenti, sotto il profilo in
esame, un’ipotesi “tradizionale” di trust, RAWLINGS, The Changing, 46 ss. (ove ulteriori ragguagli
su tesi analoghe nella dottrina inglese anteriore), sulla base della considerazione che il bondholder
trustee non fungerebbe (più) da istituto di tutela esclusiva degli interessi degli obbligazionisti,
mentre rappresenterebbe un momento di mediazione fra le avverse istanze della collettività dei
bondholder e quelle della società emittente, potendo a determinate condizioni sacrificare
l’interesse dei singoli titolari in considerazione di queste ultime; nel sistema statunitense, su
posizioni similari: LANDAU-KRUEGER, Corporate, 23 («[t]he trust indenture is an instrument sui
generis, combining elements of several other legal relationships but without being identical with
any of them»); SCHWARCZ, Commercial Trusts as Business Organizations: Unravelling, 569 («A
trust indenture therefore appears to be a hybrid form of a trust»); LANGBEIN, The Secret, 173 s.
Siffatte tendenze trovano importanti riscontri a livello giurisprudenziale: v., e.g., Meckel v.
Continental Resources Co., 758 F.2d 811 (1985) («Unlike the ordinary trustee, who has historic
common-law duties imposed beyond those in the trust agreement, an indenture trustee is more like
a stakeholder whose duties and obligations are exclusively defined by the terms of the indenture
agreement»); Elliott Assocs. v. J. Henry Schroder Bank & Trust Co., (1988) 838 F.2d 71 ss.; v. da
ultimo Asr Levensverzekering NV v. Breithorn ABS Funding P.l.c., 958 N.Y.S.2d 380 (2013).
89
Cfr., senza pretesa di esaustività, SCHWARCZ-SERGI, Bond, 1057 ss., i quali, sulla scorta
del rilievo che i doveri incombenti sul bondholder trustee a seguito dell’inadempienza/insolvenza
della società emittente sono affini più a quelli propri dell’amministratore di una società –
massimizzazione del valore di un asset mediante decisioni (discrezionali) che importano un
margine di rischio – che a quelli tipici di un trustee classico (conservazione del valore del trust
fund sulla base di investimenti risk-averse), propongono la sostituzione dello standard di
valutazione dell’operato del trustee di origine “fiduciaria” («prudent man rule») con il criterio
della business judgement rule.
90
Da siffatti elementi prendono spunto molte delle proposte ricostruttive diffuse nella
dottrina statunitense: v., supra, nota 83.
-114-
propria iniziativa indagini sulle condizioni patrimoniali e finanziarie dell’emittente ma altresì e soprattutto che il trustee non possa essere ritenuto responsabile per i danni derivanti dal suo negligente operato91. La questione è, ancora, in parte incerta92. Invero, sembrerebbe che i tratti di disciplina – positiva nell’ordinamento statunitense e pattizia in quello inglese – ora richiamati introducano una significativa distanza tra il bondholder trustee e il trust tradizionale: il che potrebbe indurre a ritenere che, in effetti, di quest’ultimo l’indenture o il debenture trustee conservino soltanto il nomen, ma non la relativa disciplina. Per altri aspetti, invece, pare difficile negare che la posizione del bondholder trustee sia – quanto meno per taluni profili – assimilabile a quella di un vero e proprio trustee, con gli obblighi (e i margini di responsabilità) che ne discendono93. Con riferimento agli Stati Uniti, basti pensare che nel momento del default i poteri del trustee si espandono di misura, e che possono essere esercitati solo fiduciariamente a beneficio dei 91
WOOD, International, §§ 17-034 ss., 327 ss.; THIELE, Collective, §§ 389 s., 170 s.;
GULLIFER-PAYNE, Corporate, 344 s.; amplius RAWLINGS, The Changing, 51 ss.
92
Cfr. York v. Guaranty Trust Co. of New York, (1944) 143 F.2d 512 – decisione
successivamente superata per altri motivi – con la già citata Meckel v. Continental Resources Co.
758 F.2d 811 (1985); v. altresì In re Bankers Trust Co. (2006) 450 F.3d 127 ss., ove una rigorosa
considerazione in astratto dei doveri del trustee (pur in concreto ritendo assente il danno per gli
investitori e, quindi, insussistente la responsabilità del trustee). Merita di essere segnalata anche
l’incerta posizione sul punto assunta dal Restatement (Third) of Trusts, il quale esplicitamente
dichiara di non occuparsi dei trusts utilizzati per operazioni di investimento e/o di garanzia (§ 1,
Comment, b., 7), senza tuttavia chiarirne la natura. Si deve, tuttavia, osservare che, in particolare a
seguito della crisi finanziaria del 2008, sembra che venga progressivamente rivalutata la posizione
fiduciaria – e non meramente contrattuale – del trustee e i doveri che ne discendono, tanto negli
interpreti (così FRANKEL, Note, 29 aprile 2013, Boston University School of Law) quanto
nell’atteggiamento delle Corti: ex multis, v. BNP Paribas Mortg. Corp. v. Bank of America, (2011)
778 F.Supp.2d 401; Howe v. Bank of New York Mellon, (2011) 783 F.Supp.2d 483; l’aumento del
contenzioso è facilmente comprensibile se si tiene in considerazione che nelle cartolarizzazioni (e
di riflesso negli strumenti finanziari derivati rispetto ai quali queste ultime fungono da sottostante,
quali e CDO e CDS, in particolare nel settore dei mutui immobiliari) l’indenture trustee è il
soggetto a diretto contatto con l’investitore/risparmiatore finale e, per l’effetto, il primo a essere
chiamato a rispondere dell’inadempimento del debitore originale: cfr. anche ALI, Security, 35.
93
Per siffatta interpretazione, nell’ordinamento americano, oltre alle decisioni citate nella
nota precedente, v., nella dottrina, KOVE-BOGERT, Bogert’s, vol. 5, 345 ss.; CAMPBELL-ZACK, Put
a Bullet, 1706 ss.; FRANKEL, Note; SKLAR, The Corporate, 42 ss.; a contrario SCHWARCZ-SERGI,
Bond, passim, i quali pure richiedono una sostituzione legislativa dei doveri attualmente imposti
all’indenture trustee, tipici del trust, con gli standards propri del diritto societario; LEV, The
Indenture, passim, sostenendo l’opportunità di un’estensione in via regolamentare dei poteri e dei
doveri fiduciari in capo all’indenture trustee alla fase anteriore all’inadempimento; nella
letteratura inglese, senza pretesa di completezza, GULLIFER-PAYNE, Corporate, 334 s.; HUDSON,
The Law, §§ 35-24 ss., 921 ss.; FULLER, Corporate, §§ 12.21 ss., 224 ss.
-115-
titolari degli strumenti obbligazionari94. Altro dato che induce a ritenere che l’indenture trustee costituisca un esempio di vero e proprio trust è rappresentato dalla regola [15 U.S.C.A. § 77kkk(a)] che impone al trustee, il quale – in conflitto d’interessi – sia anche creditore dell’emittente, di corrispondere agli obbligazionisti ogni somma ricevuta dal debitore nei quattro mesi antecedenti al default. Siffatta norma introduce un disgorgement a tutela dei beneficiari95: quest’ultimo è rimedio tipicamente collegato ai connotati proprietari del trust96. Infine, va ricordato che le menzionate previsioni contrattuali di esenzione della responsabilità non hanno validità incondizionata, incontrando i limiti non derogabili posti dall’ordinamento a tutela degli obbligazionisti 97 . Parimenti, anche in 94
KOVE-BOGERT, Bogert’s, vol. 5, § 250, 346 ss.; LEV, The Indenture, 73 ss.; SCHWARCZSERGI, Bond, 1045 ss.; FRANKEL, Note; FULLER, Corporate, § 12.9, 219; GULLIFER-PAYNE,
Corporate, 334 s.
95
HAZEN, Treatise, 478; cfr. il caso Dudley v. Mealey, (1945) 147 F.2d 268 ss., in cui la
Corte ha imposto il disgorgement di quanto ricevuto dal trustee-creditore in conflitto di interessi,
assumendo una violazione del duty of undivided loyalty.
96
V. capitolo I, § 7; e, sulla accountability dell’indenture trustee, adde FRANKEL, Note; con
riferimento alla SPV/trustee nelle cartolarizzazioni, ID., Securitization-I, 411.
97
Coerentemente con quanto sinora analizzato, la disciplina statunitense interviene
nell’accordo fra le parti, atteso che il TIA limita molto l’ambito di validità di siffatte clausole
contrattuali: viene fatto divieto (e sancita l’invalidità delle clausole contrarie) di prevedere
l’esclusione della responsabilità del trustee per atti e/o omissioni negligenti o arbitrarie – con
l’eccezione di «any error of judgment made in good faith […], unless it shall be proved that such
trustee was negligent in ascertaining the pertinent facts» – nello svolgimento dei suoi doveri (cfr.
15 U.S.C.A. § 777ooo(d); LANDAU-KRUEGER, Corporate, 56 ss.). Peraltro, visto il carattere
meccanico proprio di siffatti trustee nella fase anteriore all’inadempimento, la disposizione in
esame è rilevante principalmente per il ruolo del trustee successivamente al default dell’emittente:
WOOD, International, § 17-044, 332. La regolazione di detto fenomeno nell’ordinamento
britannico, di fonte prevalentemente giurisprudenziale, è invece più liberale. Nel Regno Unito,
infatti, si ritiene (FULLER, Corporate, § 12.14, 221 e 12.28; GULLIFER-PAYNE, Corporate, 351) che
la Section 750 (1) del Companies Act, pur vietando clausole che esplicitamente escludano la
responsabilità del debenture trustee, non comprenda accordi in base ai quali il medesimo effetto
viene assicurato in via indiretta, e.g. mediante previsioni che autorizzino il trustee a compiere atti
che altrimenti rappresenterebbero una breach of trust (cc.dd. «enabling provisions»), con la
conseguenza che, di fatto, l’unico dovere che il trust deed non può validamente escludere è quello
di onestà e buona fede, in conformità con Armitage v. Nurse [1998] 1 Ch 241 ss., ove Lord Millet
descrive tale obbligo come l’irreducible core in mancanza del quale la fattispecie non
corrisponderebbe più a un trust (253 s.) (per un’analisi delle conseguenze sistematiche e una
critica a siffatta impostazione, PENNER, Exemptions, 249 ss.). Inoltre, pure il dovere di diligenza
introdotto, in capo ai trustee professionali, dal Trustee Act 2000, Section 7, può essere derogato dai
termini del trust deed: FULLER, Corporate, §§ 12.12 ss., 220, ss. Infine, viene da più parti
affermato che la raccomandazione formulata da THE LAW COMMISSION, Trust exemption, 84 – i.e.
che ogni convenzione di limitazione e/o esonero della responsabiltà di un trustee professionale
debba essere portata, a cura di quest’ultimo, adeguamente a conoscenza del disponente/cliente – è
destinata ad avere rilevanza del tutto limitata per le emissioni obbligazionarie, i cui termini
dovrebbero già di per sé essere resi noti ai sottoscrittori: GULLIFER-PAYNE, Corporate, 355;
WOOD, International, § 17-042, 331; THE LAW COMMISSION, Trust exemption, § 6.81, 75. Per
-116-
Inghilterra sembra prevalere l’opinione secondo cui il debenture trustee è un trustee a tutti gli effetti, con la conseguenza che è tenuto ai doveri generalmente connessi a tale posizione nei confronti dei beneficiari/obbligazionisti 98 . Si rinviene inoltre una tendenza (che non trova però ancora supporto esplicito nella giurisprudenza) a ritenere che il trustee – quanto meno nel caso in cui le figure del bondholder e security trustee si sovrappongano – sia tenuto ad attivarsi anche antecedentemente al default dell’emittente99. Peraltro, a prescindere da quale soluzione si ritenga preferibile, è doveroso evidenziare come la questione assuma toni diversi a seconda del momento in cui il trustee sia titolare non soltanto del diritto di credito nei confronti dell’emittente ma anche di un security interest. Nel caso delle emissioni garantite da uno specifico asset, detenuto in trust, pare che non vi siano dubbi in ordine all’esistenza di un vero e proprio trust100anche in ragione della complessità dei suoi compiti una volta accertato l’inadempimento del debitore101. Dalle osservazioni che precedono emerge il motivo per il quale le fattispecie analizzate assumono – come già anticipato – particolare rilievo nel presente discorso. Si tratta, infatti, di trust che, oltre a combinare profili di detenzione congiunta di una garanzia patrimoniale con momenti di organizzazione e rappresentanza di una collettività – di per sé dispersa e non coordinata – di creditori, sono sì istituiti prima della crisi della società, ma con lo specifico obiettivo di risolvere anticipatamente problemi che insorgono proprio in siffatta eventualità. Ciò spiega perché il ruolo del trustee sia così differente nelle fasi rispettivamente pre-­‐‑ e post-­‐‑insolvenza un’opinione parzialmente diversa, in relazione al security trustee: ALI, Security, 38. s., secondo cui
le Corti potrebbero ritenere non valida una esclusione dell’obbligo di diligenza a beneficio di un
security trustee professionale.
98
Cfr., contra, gli Autori citati, supra, alla nota 88. Peraltro, va dato atto che la tesi del
ruolo “istituzionale” o arbitrale del trustee – secondo cui, semplificando la questione, quest’ultimo
dovrebbe, nel decidere se dichiare il default dell’emittente e, pertanto, se avviare iniziative
giudiziali (la mancata azione potrebbe, per contro, legittimare l’azione dei singoli
beneficiari/creditori), contemperare l’interesse della collettività dei risparmiatori (al suo interno)
con quello dell’emittente; per un’analisi dei recenti sviluppi sul punto e un ponderato confronto tra
trustee inglese e statunitense, cfr. RAWLINGS, The Changing, 62 ss. – è fatta propria anche da
alcuni interpreti dichiaratamente fautori della riconducibilità del bondholder trustee al trust
“tradizionale”: HUDSON, The Law, § 35-35, 925.
99
ALI, Security, 36 ss.; GETZLER, Equitable, 256; in generale, con riferimento al
bondholder trustee, BOX-MILDRED, The role, 191.
100
GULLIFER-PAYNE, Corporate, 333 s.; ALI, Security, 36; ELLAND, The Trust, 143 ss.;
THIELE, Collective, §§ 364 ss., 159 ss.; WOOD, International, §16-013, 291.
101
SCHWARCZ-SERGI, Bond, 1046 s.; cfr., nel senso della maggiore discrezionalità del
security trustee, LANDAU-KRUEGER, Corporate, 174.
-117-
della debitrice: all’ampliamento dei poteri discrezionali in capo al bondholder trustee, che è funzionale a una migliore realizzazione degli interessi della collettività dei risparmiatori-­‐‑beneficiari, corrisponde specularmente una (parziale) restrizione dei poteri individuali del singolo obbligazionista, a beneficio della situazione dell’emittente e degli obbligazionisti come gruppo. Ne discende un duplice corollario. Il primo è che all’ampliamento del potere discrezionale corrisponde un intensificarsi delle responsabilità del trustee per l’attività svolta – nell’accertamento del e – successivamente al default del debitore principale. Il contenzioso sui titoli e i margini di responsabilità del bondholder trustee, infatti, è tutto incentrato sulle iniziative assunte – od omesse – dal trustee una volta che la debitrice si avvicini alla crisi e all’insolvenza102. La seconda osservazione è che il bondholder trustee ha progressivamente assunto un ruolo di primaria importanza nei salvataggi delle imprese in crisi, tanto nelle soluzioni stragiudiziali quanto nelle riorganizzazioni sottoposte a controllo dell’autorità giudiziaria. Detta centralità si apprezza a più livelli e con intensità differente nei sistemi rispettivamente inglese e statunitense: tendenzialmente, pare possibile affermare che i margini di discrezionalità e il ruolo operativamente svolto dal trustee è maggiore nel Regno Unito che negli USA. In entrambi gli ordinamenti, a un primo stadio viene in rilievo il fatto che, di fronte all’inadempimento della società emittente, il bondholder trustee è nella posizione di negoziare con la medesima, disponendo di maggiore potere contrattuale di quanto ne possano avere i singoli obbligazionisti, i quali con ogni probabilità sono privi comunque degli incentivi economici per affrontare le spese che detta attività (così come l’eventuale avvio di dell’esecuzione) comporta: il trustee sotto questo profilo risolve – almeno teoreticamente – i problemi di azione collettiva che affligono i rapporti interni agli obbligazionisti. Prevalentemente (per non dire quasi esclusivamente) nell’ordinamento inglese il peso assunto dal trustee in occasione della crisi si manifesta a uno stadio più sofisticato, e cioè nell’ambito di tentativi di riorganizzazione a rilevanza meramente privatistica: qui il trustee dispone di poteri – dai confini pur incerti e, come tali, potenziamente forieri di 102
Non a caso, evidenze aneddotiche indicano che il contenzioso è incrementato nel corso
degli ultimi anni, in particolare a partire dal biennio 2007-2008: cfr., e.g., BNP Paribas Mortg.
Corp. v. Bank of America (2011) 778 F.Supp.2d 401; Howe v. Bank of New York Mellon (2011)
783 F.Supp.2d 483; In re Sears (2013) WL 2147803.
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responsabilità – che possono “alterare” la posizione dei beneficiari. Siffatta capacità del trustee di incidere sui diritti di beneficiari si presenta o in forma indiretta – tramite la discrezione nell’esercizio del potere di dichiarare l’acceleration e nel notificare l’inadempimento agli obbligazionisti, entrambi generalmente attribuiti al bondholder trustee103 – o in forma diretta, mediante il potere (usualmente previsto nei debenture trust deeds inglesi) di accettare modifiche ai termini dell’obbligo gravante sul debitore, se a suo giudizio queste non comportano un «material prejudice» per i titolari dello strumento104. 103
Nel Regno Unito siffatti poteri del trustee sono principalmente definiti nella
contrattualistica invalsa in materia e sembrano più ampi di quelli dell’intendure trustee: oltre ai
poteri a cui si è fatto cenno nel testo, al debenture trustee inglese è concessa una certa
discrezionalità nel dichiarare il default, qualora reputi che l’inadempimento non sia “materially
prejudicial” per i beneficiari; a tale ultima condizione, il potere di rinunciare a far valere alcune
violazioni contrattuali dell’emittente; cfr. FULLER, Corporate, § 12.8, 217 ss.; GULLIFER-PAYNE,
Corporate, 345 s.; HUDSON, The Law, §§ 35-23, 919 s., ove significativamente si afferma che il
«trustee is a referee deciding whether or not breaches are significantly serious to be actionable by
the investors», e 35-25, 925; RAWLINGS, The Changing, 54. Negli Stati Uniti, poteri analoghi a
quelli ricordati trovano la loro fonte sia nel trust indenture sia nello stesso TIA: v. HAZEN,
Treatise, 482, che ad esempio specifica come, nella decisione sul se procedere esecutivamente o
meno contro l’emittente in default, il trustee «must also determine whether immediate resort to
litigation will best serve the interests of the bondholders»; LANDAU-KRUEGER, Corporate, 174 ss.;
SCHWARCZ-SERGI, Bond, 1045 s.; a livello legislativo v., e.g., 15 U.S.C.A. § 77ooo(b), che
introduce un’eccezione all’obbligo di comunicare agli obbligazionsti il verificarsi di un default
event per il caso in cui il trustee ritenga che la mancata informativa sia nel migliore interesse dei
beneficiari. I margini concessi all’indenture trustee sono, tuttavia, notevolmente minori di quelli di
un bondholder di diritto inglese, poiché l’ordinamento statunitense appresta, sotto questo specifico
profilo, una maggiore tutela all’interesse individuale del singolo obbligazionista: cfr. la già citata
Section 316 (b) del TIA, per effetto della quale, da una parte, il trustee non può acconsentire a
modifiche sostanziali ai termini fondamentali dell’obbligazione apportate da un out-of-bankruptcy
agreement senza previamente acquisire il consenso degli obbligazionisti; dall’altra, le no-action
clauses sono invalide (se non portate specificamente a conoscenza del sottoscrittore): § 15
U.S.C.A. 77ppp; LEV, The Indenture, 108 s.; LANDAU-KRUEGER, Corporate, 26 s.; SCHWARCZSERGI, Bond, 1045 s.; specificamente sul rapporto tra i poteri del bondholder trustee e i workouts,
ROE, The Voting, 232 ss., sostenendo l’inconsistenza di siffatta disciplina con l’esigenza di tutela
dei sottoscrittori (immanenti allo stesso TIA) e, pertanto, la necessità di abrogare la Section 316
(b); SHUSTER, The Trust, 433, secondo cui la disposizione in parola è funzionale a «protect an
individual, “retail” holder from the attempts of institutional investors, usually in coordination with
the debt issuer, to restructure all of the issuer’s debt» e chiarisce come, tuttavia, i diritti
“inviolabili” del singolo titolare siano limitati al diritto di ricevere le somme dovute a titolo di
capitale e di interessi, ma non comprendono i covenants, i quali potrebbero essere così modificati
con l’assenso della maggioranza degli obbligazionisti anche fuori da una procedura giudiziale.
104
Ciò accade unicamente in UK: FULLER, Corporate, § 12.8, 218; GULLIFER-PAYNE,
Corporate, 332, sottolineando peraltro come il trustee abbia bisogno dell’autorizzazione dei
creditori per concludere modifiche significative all’accordo originario; così anche WOOD,
International, § 16-002, 285; cfr. BOX-MILDRED, The role, 191, i quali notano che l’«increasing
ambitiousness of the requested amendments which are claimed not to be “materially prejudicial”,
combined with increasingly litigious bondholders, is understandably forcing the trustee onto the
defensive».
-119-
Infine, sussiste un terzo e ulteriore livello con riferimento al quale si osserva la centralità del trustee in rapporto alle crisi d’impresa: in talune ipotesi – di fonte contrattuale e/o legislativa – il trustee ha il potere di intervenire sul piano di riorganizzazione proposto nell’ambito di procedure formali. Al riguardo, è necessario operare dei distinguo tra l’indenture trust statunitense e il debenture trust inglese. Nell’ordinamento nordamericano, il trustee – pur avendo il potere di richiedere l’apertura di una procedura concorsuale [Section 317(a)(1)] nonché il diritto di partecipare attivamente alla procedura e di ricevere tutte le relative informazioni105 – non ha il potere di esprimere voti nell’ambito del Chapter 11 in difetto di un esplicito conferimento (preventivo106 o successivo) di siffatto potere107. Nel sistema inglese, invece, sembra emergere che, per quanto riguarda le emissioni organizzate quale stock (diritto di credito attribuito soltanto al trustee, del quale i beneficiari hanno l’equitable ownership), il soggetto legittimato a esprimersi nell’ambito di un CVA (su cui cfr., ultra, § 4) sia il trustee stesso e non il singolo obbligazionista108. Le ragioni di interesse per il bondholder (security) trustee sono dunque plurime: si tratta non solo di un utilizzo del trust nell’ambito finanziario come strumento di detenzione di una garanzia a beneficio di una collettività di finanziatori, ma soprattutto di una tecnica giuridica nel quale il trust assurge a momento fondamentale per la risoluzione “anticipata” delle problematiche che nascono al momento della crisi della 105
NORTON-JONES, Norton, § 15:6; LEV, The Indenture, 109 s.; LANDAU-KRUEGER,
Corporate, 218 ss.
106
FULLER, Corporate, § § 12.8, 218, per il richiamo a clausole che autorizzano il trustee a
stipulare modifiche ai termini dell’obbligazione anche relativamente alle «payment dates, amounts
of principal and interest, currency».
107
WOOD, International, § 16-002, 285, e § 16-028, 297; con specifico riguardo al sistema
concorsuale statunitense LANDAU-KRUEGER, Corporate, 216; cfr. SHUSTER, The Trust, 438 ss.,
che spiega come la bankruptcy exception alla Section 316 (b) del TIA – i.e. la possibilità che una
modifica dei diritti del singolo titolare sia decisa a maggioranza nell’ambito di un Chapter 11 – si
giustifica proprio in ragione del fatto che nell’ambito di tale procedimento soltanto il «beneficial
holder» del diritto di credito ha il potere di intervenire e votare; cfr., altresì, RAWLINGS, The
Changing, 65 s., secondo il quale, mentre il trustee inglese, informato dalla «rescue culture»
propria della City, «has, normally, been involved in proposals for restructuring of debt and, indeed,
its participation has been seen as useful for both the issuer and for the bond-holders [...] US
trustees tend to play a relatively minor role in restructuring, which is largely undertaken by a small
committee of major bond-holders […]»; v., però, Bank of New York Mellon v. Builders Financial
Corp. (2013) WL 1568171, 3 s., ove, riguardo a un indenture trustee nel contesto di un’operazione
di cartolarizzazione, la Corte ritiene che spetti all’indenture trustee, in qualità di unico titolare del
diritto di credito nei confronti dell’originator, e non al singolo investitore – il quale sarebbe
meramente titolare di un beneficial interest in the funds of the trust –, il potere di votare
nell’ambito del piano di riorganizzazione proposto, mediante Chapter 11, dal debitore.
108
GULLIFER-PAYNE, Corporate, 342 s.
-120-
società debitrice. Non da ultimo, il bondholder (security) trustee svolge un ruolo di primaria importanza nell’ambito delle soluzioni negoziate della crisi d’impresa, in particolare nell’ordinamento inglese. SEZIONE SECONDA. I TRUST NELLA CONCORSUALITÀ 4. Trusts e Company Voluntary Arrangements di diritto inglese. – Il dato che accomuna il gruppo di ipotesi sul quale si concentra l’attenzione della presente Sezione è rappresentato – in particolar modo – dalla fase genetica dei trusts. L’istituzione dei trusts, infatti, si verifica successivamente e nell’ambito di una procedura “concorsuale” o comunque giudizialmente monitorata (alternativa a quella fallimentare classica). Si potrebbe, pertanto, ritenere che, almeno a prima vista, essi siano oggetto di approvazione da parte della collettività dei creditori partecipanti. Se ne rinviene un primo esempio all’interno del trust nel «Company Voluntary Arrangement» di diritto inglese («CVA»). Per comprendere appieno la funzione svolta dal trust applicato nel contesto di detto istituto, appare in via preliminare necessario soffermarsi su alcuni aspetti del CVA. Al riguardo, risulta assai difficoltoso inquadrare la fattispecie nelle categorie del diritto concorsuale di civil law (“contrattualità” o “concorsualità”): il voluntary arrangement ha, infatti, natura irreducibilmente “ibrida” 109 , atteso che combina componenti fortemente contrattuali con profili che – nell’ordinamento italiano – sono tipicamente riservati alle procedure giudiziali. Da un lato, il CVA costituisce uno strumento – introdotto dall’Insolvency Act invero a seguito delle proposte formulate dal Cork Report nella più ampia opera di sponsorizzazione della rescue culture110 – che permette a una società (in crisi finanziaria) di ristrutturare agevolmente la propria esposizione debitoria, mediante una (ri)negoziazione unitaria con i creditori: non è dunque necessario contrattare individualmente tale operazione con ciascun creditore111. La circostanza che il CVA sia inteso come un accordo di carattere pattizio fra 109
Per una considerazione analoga, da parte di un giurista di civil law, cfr. STEFFEK,
Gläubigerschutz, 126, testo e nota 310.
110
FINCH, Corporate, 488, richiamando il Cork Report; KEAY-WALTON, Insolvency, 141;
BELCHER, Corporate, 107; BAILEY-GROOVES, Corporate, 191; SEALY-MILMAN, Annotated, 20;
FLETCHER, UK Corporate, 127.
111
FINCH, Corporate, 488; GOODE, Principles, § 12-26, 494.
-121-
società e creditori112 si evince dal fatto che non sono imposti requisiti contenutistici minimi all’accordo – il cui merito non può essere sindacato dal giudice: cfr. infra – nonché nel fatto che non ha luogo lo spossessamento, dal momento che la società (e l’impresa) continua a essere gestita dagli amministratori113. Più specificamente, sottesa al CVA è l’idea per la quale proprio grazie ai risultati economici ottenibili con la continuazione (o con la sua cessione quale going concern) si intendono soddisfare (pur parzialmente) i creditori114. Coerentemente con siffatto approccio, il coinvolgimento dell’autorità giudiziaria è minimo: come accennato, il giudice non solo non esegue alcun controllo di merito 112
GOODE, Principles, § 12-26, 495; SEALY-MILMAN, Annotated, 37 s.; sulla natura
contrattuale, o più precisamente di «statutory contract», dell’arrangement: WEISGARD-GRIFFITHSDOYLE, Company, § 1.11 s., 5, pur sottolineandone l’efficacia “speciale” che – in virtù della legge
– lo distingue da un accordo puramente contrattuale; analogamente BAILEY-GROOVES, Corporate,
191, «[…] there is a consensual agreement between the company and all the creditors entitled to
vote […] these creditors are treated as consenting parties to the arrangement under the statutory
hypothesis whichever way they voted», enfasi aggiunta; ampiamente sulla natura del CVA, con una
ricostruzione dell’evoluzione giurisprudenziale sul punto KEAY-WALTON, Insolvency, 163 ss.
113
GOODE, Principles, §12-26, 494; WEISGARD-GRIFFITHS-DOYLE, Company, §1.2, 1;
BAILEY-GROOVES, Corporate, 192; PARRY, Corporate, § 10-13, 131; la caratteristica del debtorin-possession rende il CVA l’istituto “concorsuale” più vicino alle esperienze americane:
FLETCHER, The Law, 127, 133.
114
Da un punto di vista pratico, il CVA è strumento che può essere funzionale i) alla
riorganizzazione (nel caso di un c.d. «trading CVA») o ii) a una cessione dell’impresa o di rami
d’azienda quale going concern (c.d. «asset based»). È pacifica la considerazione che il CVA,
nonostante sia intrinsecamente caratterizzato dalla continuazione dell’attività imprenditoriale nella
fase della formazione dell’accordo, solo raramente opera quale riorganizzazione puramente
finanziaria, dal momento che sono assai più frequenti i casi di liquidazione – in blocco –
dell’attività, con successiva estinzione della società debitrice: cfr., al proposito, le risultanze
empiriche raccolte da WALTERS-FRISBY, Preliminary, 8 ss. Si deve notare, peraltro, che a lungo è
stato lamentato lo scarso impatto pratico dell’istituto: v., prima della novella del 2000, BELCHER,
Corporate, 16, 35 s.; successivamente, PARRY, Corporate, § 10-01, 131 s.; sulle plausibili ragioni
di tale fenomeno, v. diffusamente WEISGARD-GRIFFITHS-DOYLE, Company, §§ 1.25 ss., 9 ss.;
KEAY-WALTON, Insolvency, 143; SEALY-MILMAN, Annotated, 20. Si può poi osservare che la
finalità liquidatoria è prevalente qualora la debitrice sia una società di piccole dimensioni, mentre i
CVAs sono usati quale strumento di ristrutturazione da parte società caratterizzate da una maggiore
complessità della struttura organizzativa (di gruppo) (v., e.g., i casi SISU, Powerhouse) nonché
nell’esposizione debitoria (in quest’ultimo caso principalmente al fine di beneficiare della
moratoria: MALLON, The continuing evolution of company voluntary arrangements, in 24 Insolv.
Int. 2011, 64). È interessante notare che i CVAs godono di una certa attrattiva fra le società
calcistiche (v., per alcuni casi concreti, non sempre conclusisi con esito positivo: Leeds; Luton
Town; Bournemouth; Rotherham; Darlington; Portsmouth, sul quale Re Portsmouth City Football
Club Ltd [2010] EWHC 2013 (Ch): ciò per effetto delle regole interne dell’associazione di
categoria, le quali prevedono penalità “sportive” (in termine di decurtazioni del punteggio) per le
società che vengano sottoposte a una procedura fallimentare “classica”, oltre a un trattamento
prioritario per i crediti dei calciatori e delle altre società calcistiche. La compatibilità di detta
regola con la procedura di administration è stata peraltro confermata da HMRC v The Football
League Ltd and The Football Association Premier League Ltd [2012] EWHC 1372 (Ch).
-122-
sull’accordo approvato dai creditori115, ma non può neanche intervenire in un secondo momento sul contenuto dell’accordo116, tanto che parte dei commentatori attribuisce un ruolo meramente “amministrativo” all’autorità giudiziaria 117 . Del pari, nel CVA – al contrario di quanto avviene nella procedura di administration 118 – la cristallizzazione della situazione patrimoniale attiva e passiva della società debitrice è una facoltà (il cui esercizio presuppone un procedimento differente, caratterizzato da più stringenti requisiti pubblicitari), introdotta in un secondo momento con l’Insolvency Act 2000119 e di cui possono avvalersi soltanto società di piccole-­‐‑medie dimensioni120. Dall’altro lato, la specialità del CVA rispetto ai principi generali in materia di contracts – che lo rende entro certi termini assimilabile a una procedura concorsuale – si esplicita tanto nelle modalità di perfezionamento dell’arrangement, quanto negli effetti che produce. Per quanto riguarda il primo profilo, è sufficiente notare che il consenso fra società proponente e creditori si forma – non in via privata bensì – a seguito di un procedimento deliberativo dotato di una pur limitata formalizzazione121. Passando così a trattare i profili di efficacia del CVA, l’arrangement, una volta ottenuto il consenso dei creditori e dei soci, si perfeziona ed è vincolante per tutti i creditori “partecipanti”, i.e. in astratto titolari del 115
GOODE, Principles, § 12-26, 495; FINCH, Corporate, 489; STEFFEK, Gläubigerschutz,
129.
116
GOODE, Principles, 507; Beloit Walmsley [2008] EWHC 1888 (Ch).
PARRY, Corporate, § 11-28, 171.
118
Cfr., per tutti, GOODE, Principles, §§ 11-49 ss., 423.
119
2000 Chapter 39, An Act to amend the law about insolvency; to amend the Company
Directors Disqualification Act 1986; and for connected purposes, 30 novembre 2000; la mancanza
di una moratoria era stata in precedenza criticata in dottrina: BELCHER, Corporate, 113; KEAYWALTON, Insolvency, 52; WEISGARD-GRIFFITHS-DOYLE, Company, § 1.34, 12; FLETCHER, The
Law, 127, ove riferimenti agli orientamenti anteriori.
120
L’IA, Sch.A1, § 3 (2) prevede determinate soglie dimensionali massime il cui
superamento preclude la possibilità di ottenere il CVA con la moratoria.
121
La società (rectius gli amministratori) è tenuta a trasmettere la proposta di CVA a un
insolvency practitioner, il quale, se accetta, assume la qualifica di «nominee» e dispone di ventotto
giorni per depositare presso il giudice competente una relazione (report) contente il suo giudizio
sulla “fattibilità” del piano e, di conseguenza, sull’opportunità di convocare l’“adunanza”
(meeting) dei creditori, da una parte, e l’assemblea dei soci, dall’altra. In caso di giudizio positivo
del nominee, una volta notificata ai creditori coinvolti dal piano (e ai soci) l’adunanza dei creditori
(e l’assemblea) a cura del medesimo, l’arrangement viene approvato se raggiunge il 75% dei voti
dei soggetti legittimati all’esercizio del voto nell’adunanza dei creditori e il 50 % delle voti
favorevoli nell’assemblea dei soci.
117
-123-
diritto di voto122, anche se dissenzienti o assenti all’adunanza (pure nel caso in cui l’assenza sia dovuta a una mancata convocazione imputabile a un errore del nominee). Pare evidente, quindi, che il CVA permette alla società debitrice congiuntamente alla maggioranza dei suoi creditori di modificare unilateralmente la posizione soggettiva dei creditori di minoranza, a prescindere dal loro consenso: effetto, quest’ultimo, il quale non può che derivare dalla legge123. I margini di siffatto potere non sono, peraltro, illimitati. Non possono, infatti, essere pregiudicati né i diritti dei creditori assistiti da garanzie reali (secured) 124 né quelli dei creditori “preferential” (fondi pensione e lavoratori)125. Inoltre, non è tecnicamente possibile incidere sulla posizione dei creditori che non prendano formalmente parte all’Arrangement. Sebbene siffatta affermazione sia certamente indiscutibile da un punto di vista formale, ciò non toglie che, in realtà, un CVA sia sostanzialmente capace di intervenire in maniera significativa sulle pretese: non solo perché i beni compresi nel CVA vengono, quale regola di default, detenuti in trust dal supervisor a beneficio esclusivo dei creditori aderenti all’accordo – con la conseguenza che potrebbero concretamente non essere disponibili beni per soddisfare integralmente i diritti vantati dai creditori estranei – ma anche (e soprattutto) per effetto della pronuncia TBL Realisation. In tale decisione, la Court of Appeal, oltre a ribadire che la creazione del trust sui beni inclusi nel CVA determina l’impossibilità per i creditori estranei di aggredirli, ha altresì stabilito che il supervisor non può procedere alla liquidazione per intero della pretesa del creditore estraneo, qualora si dimostri che quest’ultimo non avrebbe potuto ricevere trattamento migliore prendendo parte al CVA o conseguendo il soddisfacimento della sua pretesa in sede di liquidazione fallimentare126. 122
Sono legittimati a esprimersi nell’adunanza tutti i creditori le cui pretese siano oggetto di
modifiche nella proposta di accordo formulata dalla società.
123
È questo l’aspetto a cui la dottrina generalmente si riferisce in generale con la locuzione
«statutory contract»: cfr., implicitamente, gli Autori richiamati supra alla nota 112, cui adde,
esplicitamente, KEAY-WALTON, Insolvency, 141; STEFFEK, Gläubigerschutz, 126; in
giurisprudenza, cfr. In re Halson Packaging Ltd [1997] B.C.C. 995; al cram down si riferisce
FLETCHER, The Law, 127.
124
IA s. 4(3).
125
IA s. 4(4); cfr., amplius, WEISGARD-GRIFFITHS-DOYLE, Company, §§ 6.18 ss., 85 ss.
126
TBL Realisation, [2005] 2 B.C.L.C. 85. Peraltro, la soluzione è stata chiaramente
influenzata dalle specificità del caso concreto (così anche GOODE, Principles, § 12-48, 512), nel
quale un creditore, che già aveva manifestato l’intenzione di votare a favore della proposta di CVA
– esprimendo il consenso alla falcidia del suo diritto prevista nella proposta –, non era stato
(erroneamente) ammesso al voto nell’adunanza dei creditori. Con la conseguenza che il suddetto
creditore, non potendo ritenersi vincolato dall’accordo, aveva agito pretendendo il pagamento
-124-
Sempre nell’ottica della specialità (i.e. concorsualità) del CVA è possibile interpretare l’imposizione di requisiti pubblicitari, che fanno da contrappeso ai poteri attribuiti al debitore e alla maggioranza dei creditori 127
. Nonostante sia generalmente ritenuto che il coinvolgimento giudiziale nel CVA sia minimo, l’intervento della Corte è in realtà previsto, tanto i) a presidio delle prerogative dei creditori di minoranza relativamente al contenuto dell’accordo quanto ii) con ruolo di sorveglianza sull’operato del supervisor nella fase esecutiva. Relativamente al punto sub i) i creditori dissenzienti possono, di fatto, opporsi al CVA, lamentando che esso comporta un «unfair prejudice» a loro carico128. Detto «unfair prejudice» si concretizza qualora il CVA il trattamento preveda un trattamento sproporzionatamente più gravoso nei confronti di alcuni creditori rispetto a quello riservato ad altri, che si trovino nella medesima o in una peggiore situazione129. Per quanto concerne il profilo sub ii), si deve osservare che ogni creditore coinvolto dall’accordo può rivolgersi al giudice qualora sia “insoddisfatto” dalla condotta del supervisor 130, con la conseguenza che dell’intero. La Corte conclude ordinando ai supervisors di pagare all’attore una somma
corrispondente a quanto egli avrebbe ricevuto se avesse participato al CVA, in quanto migliore a
quella potenzialmente ottenibile con un winding-up. Sulla decisione, che ha ricevuto una certa
attenzione nella dottrina inglese, cfr., ancora, GOODE, Principles, § 12-48 s., 510 ss.; PARRY,
Corporate, § 13-04, 190 ss.; CHAN HO, Judicial, 2008, 160 ss.; MOKAL-HO, Interplay, 3 ss.
127
Sulla funzione di tutela dei creditori esterni assolta dalla pubblicità richiesta nel CVA, v.
STEFFEK, Gläubigerschutz, 131; peraltro, WEISGARD-GRIFFITHS-DOYLE, Company; §§ 8.1 ss., 151
s., considerano l’attuale disclosure insufficiente a proteggere i creditori estranei al CVA, in
particolare quelli successivi alla sua approvazione, nella parte in cui l’IA non impone di rendere
pubblica – mediante inserimento nella ragione sociale e nella corrispondenza – la circostanza che
la società stia continuando a operare nell’ambito di un tentativo di salvataggio.
128
IA s. 6(1)(a).
129
Prudential Assurance Co Ltd v PRG Powerhouse Ltd [2007] B.C.C. 500, in cui la Corte
ha elaborato (515), quale criterio guida per la valutazione in ordine alla unfairness del CVA, il
criterio di una comparazione simultaneamente “verticale” (i.e. con il trattamento che il creditore
riceverebbe nella liquidazione concorsuale, winding-up) e “orizzontale” (i.e. con la posizione
riservata ai creditori della stessa ipotetica classe che si sarebbe dovuta creare nel caso di uno
scheme of arrangement); FINCH, Corporate, 510 s., anche per un commento alla decisione citata;
GOODE, Principles, § 12-54, 515; KEAY-WALTON, Insolvency, 160 ss., ove ulteriori riferimenti alla
giurisprudenza; per un’esposizione della giurisprudenza sull’unfair prejudice v., altresì,
WEISGARD-GRIFFITHS-DOYLE, Company, §§ 7.89 ss., 145 ss.; diffusamente anche BAILEYGROOVES, Corporate, 283 ss.; sulla funzione di Minderheitschutz propria del rimedio dell’unfair
prejudice, STEFFEK, Gläubigerschutz, 129; fra le sentenze più recenti si segnalano Mourant & Co
Trustees Ltd v Sixty UK Ltd (In Administration) [2010] B.C.C. 882 (Ch), in cui il giudice,
applicando il parametro valutativo elaborato in Powerhouse, ha accolto la doglianza di unfairness
in un caso analago a quello giudicato, in senso opposto, da Powerhouse (c.d. “guaranteestripping”: eliminazione delle garanzie fornite dalla holding a beneficio dei proprietari dei locali
dei quali la controllata debitrice è conduttore); SISU Capital Fund Ltd v Tucker [2006] B.C.C.
463; Re Portsmouth City Football Club Ltd [2010] E.H.W.C. 2013 (Ch).
130
IA s. 7(3).
-125-
l’autorità giudiziaria ha il potere di controllare il comportamento di quest’ultimo131. Infine, nella medesima prospettiva deve essere tenuto presente che il ruolo svolto dal nominee (prima) e dal supervisor (dopo) non è soltanto di carattere privatistico, dal momento che lo stesso supervisor – oltre a essere tenuto a doveri fiduciari nei confronti dei creditori partecipanti nella fase di esecuzione dell’accordo132 – assume una funzione quasi pubblicistica già nelle fasi precedenti al perfezionamento del CVA 133 . Alle luce delle considerazioni che precedono, sembra ragionevole evidenziare, ai fini della presente trattazione, che il CVA, se osservato con le categorie di civil law, deve essere inquadrato quale contratto “a efficacia speciale” se non quale procedura concorsuale134. Il nesso fra trust e CVA si manifesta nella fase esecutiva dell’accordo, della quale è responsabile il supervisor135, principalmente in due modi. Anzitutto, l’analisi della casistica sul punto dimostra che non è infrequente, nell’ambito di tali pattuizioni, la previsione di un trasferimento su base periodica di una determinata somma (generalmente corrispondente ai ricavi ottenuti per la parte eccedente le esigenze operative) dalla società debitrice al supervisor a beneficio dei creditori 131
SEALY-MILMAN, Annotated, 36 («wide–indeed, unlimited–powers to oversee the
conduct of the arrangement by the supervisor»); cfr. altresì KEAY-WALTON, Insolvency, 168.
132
Cfr. infra nel testo.
133
Tratta il supervisor come munus pubblico Pinson Wholesale (2007) WL 2573843, § 3
(«officer of the court»); così anche: GOODE, Principles, § 12-55, 516, richiamando anche
Appleyard Ltd v Ritwcrown Ltd [2009] BPIR 235; SEALY-MILMAN, Annotated, 36; KEAYWALTON, Insolvency, 169; l’osservazione che l’insolvency practitioner ricopre un ruolo di “terzo
arbitratore” fra le opposte esigenze della società e dei creditori, già nella qualità di nominee, è
diffusa: v. WEISGARD-GRIFFITHS-DOYLE, Company, §§ 3.2 ss., 53, «the nominee acts as facilitator
or mediator between the company and its creditors […] must be more than a mouthpiece of the
company […] must apply his own indipendence […]»; GOODE, Principles, § 12-55, 516; PARRY,
Corporate, § 10-05, 134; FINCH, Corporate, 501 s., manifestando anche il timore che l’eccessivo
ampliamento dei doveri del nominee induca gli insolvency practitioner a evitare di accettare tale
genere di incarichi o a essere particolarmente cauti e scrupolosi, con le conseguenze che ne
discendono in termini di rallentamento delle tempistiche; BAILEY-GROOVES, Corporate, 201 s.,
attribuiscono al nominee un «quasi-judicial role», essendo quindi «essenziale» che questo
mantenga la sua «“utter indipendence” from any party»; KEAY-WALTON, Insolvency, 169 s.
134
Anche STEFFEK, Gläubigerschutz, 126, riconduce il CVA, pur affermandone la natura
“contrattuale”, agli Insolvenzverfahren; SEALY-MILMAN, Annotated, 38, secondo i quali con la
decisione Gallagher (Re N T Gallagher & Son Ltd [2002] 3 All E R 476 ss.), la «Court of Appeal
has confirmed that at heart CVAs are a matter of contract and that this contract can have a negative
impact upon the general creditors outside the scheme by establishing a resilient trust of corporate
funds».
135
IA s. 7(2); cfr. WEISGARD-GRIFFITHS-DOYLE, Company, 153.
-126-
partecipanti al CVA 136: è pacifico che siffatti fondi vengano detenuti in trust dal supervisor-­‐‑trustee per i creditori da soddisfare 137. Inoltre, più in generale, si ritiene che, salva diversa pattuizione, al perfezionamento di un CVA tutti i beni (con ciò intendendosi non solo la liquidità effettivamente trasferita, ma anche i diritti di credito nonché eventuali beni mobili o immobili) il cui utilizzo/realizzazione è previsto quale momento di esecuzione del medesimo e/o di pagamento dei creditori partecipanti sono detenuti dal supervisor-­‐‑trustee in trust per questi ultimi138. Quale conseguenza della ricordata giurisprudenza, il legame intercorrente fra CVA e trust è divenuto così intenso che è ormai diffusa l’affermazione secondo la quale il CVA costituirebbe un istituto che cumula alcune caratteristiche dei contracts (e più precisamente degli statutory contracts, nella parte in cui è capace di incidere sulle posizioni di soggetti dissenzienti) con gli aspetti (e gli effetti) proprietari del trust, i quali si manifestano (e si producono) con riferimento a tutti gli assets inclusi nel CVA 139. L’aspetto maggiormente rilevante ai fini della presente indagine emerge nell’eventualità in cui al CVA segua l’apertura di una procedura concorsuale: in tale caso, secondo giurisprudenza ormai consolidata, il trust non viene meno e, pertanto, le entità patrimoniali detenute in trust dal supervisor sono a disposizione soltanto dei creditori partecipanti, non 136
Re N T Gallagher & Son Ltd [2002] 3 All E R 476 ss., par. 2385; In re Halson
Packaging Ltd [1997] B.C.C. 994; In re Arthur Rathbone Kitchens Ltd [1998] B.C.C. 452, 465; In
re Excalibur Airways Ltd [1998] 1 B.C.L.C. 437; Welsby v Brelec Installations Ltd [2001] B.C.C.
422; Re Kudos Glass Ltd (in liq.) [2002] B.C.C. 417; cfr. anche il complesso schema, poi ritenuto
dalla Corte unfairly prejudicial, di Prudential Assurance Co Ltd v PRG Powerhouse Ltd [2007]
B.C.C. 506.
137
Cfr. le decisioni citate alla nota precedente.
138
Re Zebra Industrial Projects Ltd (In Liquidation) [2004] E.W.H.C. 549 ss. (Ch), § 6,
«all property included in the arrangement and any property or assets of the company»; Welsby v
Brelec Installations Ltd [2001] B.C.C. 422, «All of the company’s other assets […] were also to
be subject to the CVA»; in Re Kudos Glass Ltd (in liq.) [2002] B.C.C. 426 s., la High Court
Chancery Division ha ritenuto che nell’ambito del trust dovessero essere compresi anche i crediti
da riscuotere, sebbene ciò non fosse espressamente menzionato nell’accordo; In re Excalibur
Airways Ltd [1998] 1 B.C.L.C. 437; in Beloit Walmsley [2008] EWHC 1888 (Ch), § 10.17, il trust
comprendeva l’intero e solo ricavato della vendita dei beni della società, ma non i beni in sé
considerati.
139
WEISGARD-GRIFFITHS-DOYLE, Company, § 8.36, 161; BAILEY-GROOVES, Corporate,
308; Pinson Wholesale (2007) WL 2573843, § 3; Beloit Walmsley [2008] EWHC 1888 (Ch), § 22;
e, infatti, nella letteratura tedesca sul tema il «supervisor» viene ex se tradotto in «treuhänderischer
Verwalter»: STEFFEK, Gläubigerschutz, 127; in una prospettiva (solo parzialmente) diversa,
sottolineano la possibilità che un CVA venga strutturato in termini puramente contrattuali (in luogo
che fiduciari), con la conseguente limitazione dell’ambito dei doveri incombenti sul supervisor,
KEAY-WALTON, Insolvency, 167 s.
-127-
andando a costituire la massa fallimentare e, dunque, non potendo essere distribuiti fra i creditori estranei all’accordo (in genere quelli le cui pretese sono insorte dopo la conclusione dello stesso)140. Dal punto di vista dei rapporti con le soluzioni della crisi d’impresa alternative alla liquidazione fallimentare – ma soggette a un certo grado di giurisdizionalità –, la dinamica patrimoniale del trust assolve nel CVA a una funzione precisa: quella di garantire ai creditori partecipanti all’arrangement una superpriority avente a oggetto la distribuzione dei beni compresi nel CVA in caso di esito negativo del tentativo di risanamento (e di conseguente fallimento della società). Invero, tutte le attività patrimoniali funzionali al piano proposto e approvato con il CVA, atteso che vengono detenute dal supervisor in trust a beneficio esclusivo dei creditori aderenti, non compongono poi la massa attiva di una successiva liquidazione concorsuale e non sono, pertanto, a disposizione dei creditori estranei all’accordo, in genere quelli le cui pretese sono insorte dopo la sua conclusione. È possibile, pertanto, individuare un obiettivo immediato dell’applicazione del trust nei CVAs: quello di tutelare i soggetti che prestano il consenso a un tentativo di salvataggio (a prescindere dal fatto che questo riguardi la società o l’impresa) dal rischio che la prosecuzione dell’attività li ponga in una posizione deteriore rispetto ad altri creditori i quali, invece, abbiano deciso di non finanziare l’iniziativa141. Sulla base di siffatte considerazioni, è agevole infine intuire come lo scopo mediato e ultimo dell’istituto in esame sia quello di creare un ambiente favorevole ai tentativi di risanamento delle imprese in crisi, mediante l’introduzione di un incentivo, sotto forma di trattamento preferenziale, all’erogazione di finanziamenti alla ristrutturazione142. Non da ultimo, oltre ai profili strettamente patrimoniali ora analizzati, il ricorso al trust nelle operazioni in esame presenta vantaggi di tipo organizzativo: sia perché i creditori aderenti/finanziatori vengono protetti dal pericolo di 140
Cfr., ex multis, Re N T Gallagher & Son Ltd [2002] 3 All E R 486 s.; Re Zebra
Industrial Projects Ltd (In Liquidation) [2004] E.W.H.C. 549 ss. (Ch), §§ 13 s. e 28, 16; Welsby v
Brelec Installations Ltd [2001] B.C.C. 420 ss.; Re Kudos Glass Ltd (in liq.) [2002] B.C.C. 417,
426 s.; TBL Realisation, [2005] 2 B.C.L.C. 85; implicitamente: Pinson Wholesale (2007) WL
2573843, §§ 7 ss.; Beloit Walmsley [2008] EWHC 1888 (Ch), § 22, 27; In re Halson Packaging
Ltd [1997] B.C.C. 997 ss.
141
Di fatto, sebbene ciò non sia esplicitato, tale obiettivo viene realizzato anche tramite la
sottrazione dei beni in trust all’azione esecutiva dei creditori estranei.
142
Re N T Gallagher & Son Ltd [2002] 3 All E R 487 s.; Re Zebra Industrial Projects Ltd
(In Liquidation) [2004] E.W.H.C. 549 ss. (Ch), § 26 s.; sul fatto che il CVA-trust rappresenti
un’introduzione surretizia di una forma di super-priority, ma in termini dubitativi sulla sua
efficacia complessiva, WEISGARD-GRIFFITHS-DOYLE, Company, §§ 1.80 ss., 27 s.
-128-
comportamenti distrattivi e/o preferenziali per mezzo della sottrazione – coessenziale al trust – delle entità patrimoniali coinvolte nella proposta di CVA dalla sfera patrimoniale della società debitrice; sia – in maniera quasi speculare – poiché i creditori, diventando beneficial owners del trust fund detenuto dal supervisor/trustee, dispongono dei rimedi propri della posizione beneficiaria per far valere l’eventuale violazione dei doveri fiduciari del supervisor/trustee nonché delle azioni a tutela del trust fund143. Le conseguenze che discendono dal CVA-­‐‑trust, in termini di assetto di interessi rilevanti, non hanno in ogni caso mancato di suscitare perplessità. Secondo alcuni autori, il CVA si presterebbe invero a essere utilizzato in maniera opportunistica da parte della società debitrice per prevedere trattamenti preferenziali a favore di alcuni creditori – e a scapito di altri – che sarebbero considerati non compatibili con le altre procedure concorsuali di diritto inglese (Schemes of Arrangement, Administration e Liquidation). In particolare, sarebbe la combinazione fra l’insorgere di un trust sui beni coinvolti dall’accordo a esclusivo beneficio dei creditori partecipanti e il profilo contrattuale del CVA (i.e. l’impossibilità per il giudice di rivedere e intervenire ex post sul contenuto dell’accordo e, di riflesso, di autorizzare il supervisor/trustee a porre in essere comportamenti che rappresentino una breach of trust, come ad es. l’esborso di somme componenti il trust fund a creditori estranei) a rendere possibile un’abusiva estromissione dei soggetti che al momento 143
Si deve rilevare, tuttavia, che è comune la previsione, nell’ambito delle proposte di CVA,
di clausole che circoscrivono gli obblighi (e la responsabilità) del supervisor a quelli
espressamente previsti dalle rilevanti disposizioni dell’IA e nell’accordo: cfr. KEAY-WALTON,
Insolvency, 168; WEISGARD-GRIFFITHS-DOYLE, Company, § 9.25, 198. Pare, tuttavia, opportuno
mantenere distinto, da un lato, l’ambito dei doveri («statutory») dovuti dal supervisor nella sua
qualifica di «officer of the court», relativamente ai quali è stato chiarito (King v Antony [1998] 2
B.C.L.C. 517) che le parti interessate (società debitrice, creditori, terzi) possono attivare
unicamente i rimedi espressamente previsti dall’IA e soltanto con riferimento ai doveri
esplicitamente imposti dalla medesima normativa – e che, dunque, saranno gli unici esperibili
nelle ipotesi in cui il CVA non crei un trust, dal momento che non sussistono altri rimedi
“privatistici” –; dall’altro, il campo degli obblighi (eventualmente) incombenti sul supervisor in
qualità di trustee, per cui rimangono a disposizione le ordinarie forme di protezione dei
beneficiari. E cfr., infatti, BAILEY-GROOVES, Corporate, 313; in detta prospettiva, v. Pinson
Wholesale (2007) WL 2573843, §§ 7 ss., 25 ss.; sull’ambito di validità delle clausole limitative
della responsabilità del trustee si rinvia a § 3.2, supra. Infine, ancora distinti (oltre che
potenzialmente sostitutivi rispetto a quelli fiduciari) sono gli obblighi di natura contrattuale ai
quali il supervisor è tenuto in virtù di espresse pattuizioni contenute nell’accordo. Per una rassegna
della giurisprudenza, in verità non univoca, sulla responsabilità del supervisor, v. WEISGARDGRIFFITHS-DOYLE, Company, §§ 9.11, 194 ss., ove viene peraltro sostenuto che anche il
supervisor dovrebbe beneficiare della s. 1157 del Companies Act (business judgment rule per gli
amministratori di società).
-129-
dell’approvazione non erano (o – in quanto creditori soltanto “potenziali” – non avrebbero potuto essere) coinvolti 144. Altra parte della dottrina ha, per contro, espresso la differente preoccupazione che l’attribuzione ai finanziatori del CVA-­‐‑trust di una superpriority quasi assoluta – nella forma di proprietà beneficiaria –, sebbene possa per un verso facilitare il reperimento di fondi nella fase antecedente all’approvazione del medesimo, fungendo da incentivo per i creditori, rappresenti per altro verso un ostacolo alla raccolta di ulteriore capitale di debito, che potrebbe risultare necessario in sede di esecuzione dell’accordo. Infatti, detto ultimo rischio deriverebbe dalla circostanza che, una volta istituito un CVA-­‐‑trust, sarebbe impossibile incentivare un potenziale finanziatore a erogare un finanziamento al programma di risanamento/riorganizzazione in corso (o la liquidazione in blocco), che verrebbe al contrario disincentivato dal fatto che il suo credito, una volta concesso, potrebbe essere trattato, in sede di liquidazione concorsuale, solo come chirografario ammesso a soddisfarsi limitatamente sui beni esclusi dal trust145. Condivide il medesimo sostrato, infine, il timore che la mancanza di una pubblicità, la quale caratterizza la fase di esecuzione di un CVA – salvo il caso in cui sia in vigore una moratoria –, si traduca in un difetto di protezione dei soggetti terzi i quali, non a conoscenza dell’approvazione 144
Si tratta della critica sviluppata da CHAN HO, Judicial, 156 ss., in commento a Beloit
Walmsley [2008] EWHC 1888 (Ch). L’osservazione, pur potendo prima facie apparire non del
tutto infondata, sembra essere fortemente influenzata dalle specificità del caso analizzato: in
quest’ultimo, la società aveva nel corso degli anni fatto utilizzo di asbesto per la sua attività
produttiva e, all’avanzare delle difficoltà, aveva proposto un CVA ai creditori da fatto illecito, e
cioè ai soggetti danneggiati in quanto colpiti da asbestosi in conseguenza dell’attività lavorativa
svolta alle dipendenze della società. La proposta di accordo prevedeva, ai fini della definizione dei
creditori partecipanti, una «cut-off date» che escludeva dalla partecipazione all’accordo i soggetti
il cui danno si fosse manifestato solo successivamente alla medesima data. In questo caso, la
questione centrale (e la chiave di lettura della decisione) pare dovere essere individuata non tanto
nella preferenzialità del trattamento di alcuni creditori a dispetto di altri, quanto nella problematica
definizione del concetto di “creditore” di fronte a situazioni nelle quali l’insorgere della pretesa è
non solo futuro, ma anche meramente potenziale. Proprio la criticità nella definizione, a un
momento dato, dei creditori/soggetti danneggiati tipicamente afflige le controversie giudiziarie
sviluppatesi, in diversi ordinamenti, sulla responsabilità risarcitoria per danni da asbestosi, come
testimonia, e.g., l’esperienza americana, dove si è tentato – con alterne fortune – di risolvere
siffatto problema con i c.d. asbestos trust (v., supra, capitolo I, § 7, alla fine). Peraltro, merita
essere notato che rimane a tali soggetti la possibilità di opporsi al CVA con il rimedio dell’unfair
prejudice, tuttavia soltanto a condizione che essi non siano a conoscenza, al momento
dell’insorgere della patologia, dell’accordo; contra CHAN HO, Judicial, 158, il quale ipotezza poi
una serie di possibili strumenti di reazioni per i danneggiati che siano esclusi dal CVA.
145
KEAY-WALTON, Insolvency, 173; BAILEY-GROOVES, Corporate, 334; SEALY-MILMAN
Annotated, 38.
-130-
dell’accordo, facciano credito a una società che sta esercitando la propria attività nel corso di un CVA, ignorando, dunque, il fatto che la garanzia patrimoniale di cui potranno disporre, nell’eventualità di un successivo fallimento, è inferiore a quella della quale questi possono avere contezza dell’esterno146. 146
WEISGARD-GRIFFITHS-DOYLE, Company, §§ 8.3 ss., 151 s., i quali di conseguenza
propongono de jure condendo la necessità di una generalizzazione a tutti i CVAs dei requisiti di
disclosure attualmente previsti soltanto per i CVAs assistiti da moratoria.
-131-
CAPITOLO III TRUST E SOLUZIONI ALTERNATIVE DELLA CRISI D’IMPRESA NEL DIRITTO INTERNO SOMMARIO. 1. L’indagine. – Sezione prima. Il trust nei piani attestati e negli accordi di ristrutturazione. – 2.1. Trust e finanziamento dell’impresa in crisi. – 2.2. (segue): nei piani attestati. – 2.3. (segue): negli accordi di ristrutturazione. – 3. Trust a “garanzia” dei creditori «estranei». – 4.1. Trust e governance. – 4.2. Trust in funzione di “moratoria” delle azioni esecutive individuali: critica – Sezione seconda. Il trust nel concordato preventivo – 5. L’affidamento in gestione al trustee di specifici assets. – 6. L’“intervento” di terzi. Garanzia e assunzione. 1. L’indagine – All’esito dell’analisi – svolta nei precedenti capitoli – sui possibili utilizzi del trust nella crisi d’impresa societaria noti agli ordinamenti statunitense e inglese, l’indagine si rivolge, in questa sede, all’esame delle fattispecie, attuali e potenziali, di utilizzo del trust nell’ambito delle tecniche di regolazione della crisi d’impresa alternative al fallimento nell’ordinamento italiano (: piani attestati, accordi di ristrutturazione e concordato preventivo). Si tratta, a ben vedere, di un’operazione interpretativa che presenta un duplice risvolto: essa impone di verificare se i risultati che emergono nell’esperienza comparatistica possano trovare accoglimento nell’ordinamento interno, sotto il profilo della (astratta) compatibilità sistematica del trust con il nucleo di principi regolatori delle menzionate soluzioni “alternative” della crisi d’impresa societaria, da un lato; di valutare a quali funzioni concrete il trust può assolvere, dall’altro. In merito, è doveroso precisare che la funzione svolta dal trust nel contesto della crisi societaria nelle fattispecie esaminate nel corso del capitolo II, sebbene possa fungere da ausilio interpretativo, rimane – di per sé – estranea al giudizio di compatibilità sistematica, sia in quanto quest’ultimo attiene ai riflessi propriamente giuridici conseguenti alla combinazione, ad opera dell’autonomia privata, del trust con le soluzioni “negoziate” della crisi d’impresa, sia poiché sembra che nulla di per sé vieti che una tecnica giuridica possa prestarsi a svolgere funzioni diverse -132-
rispetto al sistema di origine, pur lasciandone invariata la struttura fondamentale. A tale ultimo riguardo, deve più specificamente essere verificato sia se, alla luce del quadro descritto nei precedenti Capitoli, il trust possa operare con le modalità già prospettate da parte della dottrina e della giurisprudenza, sia se il ruolo, che il trust gioca [in particolare: twilight trust (capitolo II, § 2.1.); Quistclose trust (capitolo II, § 2.2.); CVA-­‐‑trust (capitolo II, § 4)] negli istituti propri dell’esperienza angloamericana della crisi d’impresa, possa essere utilmente replicato per soddisfare le (ulteriori) esigenze che discendono dalle criticità proprie di una disciplina – come quella in esame – frammentaria e oggetto di ripetuti e periodici interventi da parte del legislatore1. Appare sin d’ora evidente che il programma di analisi qui proposto deve essere condotto, in special modo per quanto attiene agli aspetti applicativi, tenendo comunque presenti le (talora notevoli) differenze, in punto di contesto normativo (ed extra-­‐‑normativo), esistenti tra gli ordinamenti rispettivamente di “origine” e di “destinazione” 2 : senza 1
L’osservazione discende anche dalla semplice constatazione, pacifica, del succedersi delle
note modifiche apportate dal legislatore alla materia in esame.
2
Come è stato, d’altro canto, evidenziato dalla vasta letteratura comparatistica in tema di
c.d. legal transplants e circolazione dei modelli giuridici: v., per tutti, SACCO, Voce Circolazione,
368 ss.; ID., Legal, 390; FEDTKE, Legal, 552; oltre che, benché in un certo senso ante litteram,
dalla più trazionale dottrina comparatistica che si è concentrata sulla ricerca del problema di fatto
sottostante quale termine di comparazione delle regole giuridiche: ZWEIGER-KÖTZ, Einführung, 33
ss.; R. SCHLESINGER, Formation, 30.
Per un apprezzamento del fenomeno dei «trapianti giuridici» parzialmente diverso da
quello riportato nel testo, cfr., anzi tutto, WATSON, Legal, passim, ma in part. 18 ss. e 95 ss., il
quale sostiene – a bene vedere, in netto distacco rispetto a talune altre correnti del metodo
funzionale, almeno nell’accezione che esso è venuto ad assumere nella dottrina italiana – che la
frequente ricorrenza dei trapianti giuridici nella storia del diritto (capp. 5-14) sia resa possibile
proprio dal fatto che le regole giuridiche non sarebbero in quanto tali collegate a nessuno specifico
contesto storico-culturale; e, inoltre, LEGRAND, The Impossibility, 111 ss., per la tesi (storicamente
opposta a quella di WATSON), secondo cui ogni regola giuridica sarebbe strettamente collegata a
(e, dunque, espressione di) un determinato contesto sociale, e, pertanto, soltanto nel medesimo
intelligibile e funzionante; per una visione critica v., altresì, MONATERI, Methods, 19 s. In
argomento, cfr., inoltre, PORTALE, Il diritto, 328 ss.; GRAZIADEI, Comparative, 463 ss.; REHM,
Rechtstransplante, 13 ss. Per alcuni attuali esempi di applicazione della teoria dei trapianti a
differenti settori dell’ordinamento v., e.g., VON HEIN, Die Rezeption; CHEN-WISHART, Legal, 1 ss.
In quest’ottica, peraltro, si potrebbe forse sostenere che, nel caso del trust nell’ambito delle
soluzioni negoziate della crisi d’impresa, si sta attualmente osservando un «legal transplant», come
è stato affermato con riferimento in generale al trust: v. GAMBARO, Il «trust», 512, il quale ritiene
che «la ricezione del trust in Italia […] è infatti un esempio eclatante [di] circolazione dei
modelli»; ID., Voce Trust, 460 ss.; LENER, La circolazione, 1050 ss. Qualora si intendesse
coltivare siffatta ipotesi, al di là della necessità di individuare le ricadute normative di rilievo per
un’analisi giuscommercialista, sarebbe necessario confrontarsi con la tesi, riportata in breve supra
-133-
potere in questa sede prendere posizione su problematiche di carattere metodologico che esulano dai limiti della presente trattazione, sembra però potersi affermare che una trasposizione sic et simpliciter (: a prescindere dal contesto di riferimento) di un istituto da un ordinamento all’altro, pur astrattamente possibile, si accompagna al rischio di pregiudicare ab origine le potenzialità applicative dello stesso3. Benché – come ora notato – la funzione “originariamente” svolta da un istituto non abbia, infatti, conseguenze “vincolanti” sull’operazione interpretativa di trasposizione del medesimo in un altro ordinamento e sul collegato giudizio di compatibilità sistematica, il rilievo per cui il contesto influisce in maniera determinante sulle concrete modalità di operatività della regola giuridica, una volta “trapiantata” nell’ordinamento di destinazione, assume particolare pregnanza per l’attuale ambito di indagine, specialmente se si osserva uno dei “motori” del fenomeno dei trapianti giuridici e della circolazione delle tecniche normative va individuato (oltre in questa nota, che siffatte operazioni sarebbero – di per sé – non desiderabili e/o destinate
all’insuccesso (LEGRAND, The Impossibility), da un lato; dall’altro, si dovrebbe dare conto della
circostanza che, nelle vicende in esame, è stata per prima la prassi a ricorrere concretamente a un
istituto di diritto straniero (trust) – con la conseguenza che difficilmente si potrebbe ravvisare un
“trapianto normativo” (od «occulto»: cfr. PORTALE, Lezioni, 16), se con ciò si intende un
intervento espresso del legislatore –, creando così l’occasione per la produzione di diritto
giurisprudenziale, da una parte [sull’uso interpretativo del diritto comparato da parte dei giudici
quale fenomeno circolatorio, nella dottrina italiana, CARIELLO, Sensibilità, 258 ss.]; dall’altra,
attirando l’attenzione da parte della letteratura, la quale, tuttavia, non sembra avere svolto un ruolo
propulsivo, a differenza della funzione assegnatole nel modello elaborato da WATSON, Roman, 97.
Come osservato in altri contesti (pur lontani: cfr. CAGGIA, Elezioni; ID., La raccolta, 2038) non
sembra del tutto fuori luogo parlare di una “replicazione” in una certa misura inconsapevole, di
modelli esteri da parte dell’autonomia privata – avvenuta spesso senza tenere presente le
menzionate diversità tra ordinamenti – la quale gode di alterne fortune nelle decisioni
giurisprudenziali (cfr. capitolo I, § 4; capitolo III, § 5).
3
Detta osservazione, che pare del tutto connaturata all’idea della convivenza di una
pluralità di formanti che contribuiscono tutti a comporre l’“ordinamento” (SACCO, Legal; ID.,
Sistemi, 5 s.), differisce, quanto meno prima facie, dalla metodologia elaborata da uno dei più
accesi sostenitori dei trapianti giuridici (WATSON, Legal), il carattere distintivo della cui tesi
risiede proprio nel dimostrare lo scollamento, se non quasi l’indifferenza, del contesto extranormativo rispetto al funzionamento della regola giuridica. A bene vedere – come esplicitato da
GRAZIADEI, The functionalist, 121 s. –, nella parte in cui lo stesso WATSON riconosce che la
semplice trasposizione da un ordinamento all’altro non garantisce il raggiungimento un
determinato esito (: il mantenimento del modus operandi che la regola ha nel modello “donante”),
il quale è per definizione influenzato dal donee (e, cioè, in ultima analisi dal contesto di ricezione),
ai presenti fini si deve sottolineare che, per quanto le regole possano “funzionare” in contesti
diversi – i.e. a prescindere dal contesto stesso –, detta affermazione è muta circa il quomodo
dell’operare della regola: in altri termini, il contesto (o, da un altro punto di vista, l’integrazione
fra i formanti) si riflette sul significato concreto che la regola, una volta “importata” assume; cfr,
anche HUSA, Methodology, 1114 s.; MICHEALS, The Functional, 364 ss.; GORDLEY, The
functional, 116 s.
-134-
che nel «prestigio»: SACCO) nei profili di efficienza della regola/istituto della cui traslazione trans-­‐‑ordinamentale si tratta4. Ciò, proprio in quanto il presente capitolo costituisce un esame dei limiti della regolazione privata degli strumenti di risoluzione della crisi d’impresa nell’optare per soluzioni già praticate – quand’anche con una trasposizione “deviante” dall’omologo estero – in altri ordinamenti. L’esigenza, dunque, di tenere in debita considerazione i complessivi contesti normativi di origine e di destinazione si avverte con riferimento non solo alle diversità esistenti tra civil e common law in punto di trust e rapporti fiduciari5, ma anche – e soprattutto – al trattamento regolatorio della crisi d’impresa societaria e delle soluzioni alternative alla procedura fallimentare. Sembra così opportuno, nell’ottica “funzionale” come ora precisata, suddividere la struttura dell’indagine nei termini che seguono. Coerentemente con l’impostazione adottata nel precedente capitolo, la valutazione prende le mosse dall’esame degli istituti a minore tasso di eteronomia/giudizialità, per procedere poi con quelli connotati da un grado progressivamente crescente di giurisdizionalizzazione. In una prima sezione, pertanto, vengono prese in considerazione le funzioni (attuali e potenziali) assolte dal trust in fattispecie caratterizzate da un intervento limitato del giudice, e, comunque, dalla extra-­‐‑concorsualità (piani attestati e accordi di ristrutturazione6): anzi tutto, nella prospettiva 4
Per tutti, MATTEI, Efficiency, 8 ss., con esplicito riferimento al trust; REIMANN,
Comparative, 30 ss.; GAROUPA-GINSBURG, Economic, 58 ss.
5
Sul punto, di fondamentale importanza l’analisi di RUDDEN, Things as Things, 88 ss., non
da ultimo in quanto permette di superare le difficoltà nell’applicazione della metodologia
funzionale allo studio del trust in un’ottica comparata, sottolineata – peraltro successivamente – da
GRETTON, Trusts, 599.
6
La tesi della natura extra-concorsuale degli accordi di ristrutturazione, pur ancora
prevalente (la dottrina in materia è ormai sconfinata: tra gli altri, successivamente alle modifiche
apportate con il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla l. n. 143 del 7 agosto 2012, v.
AMBROSINI, Gli accordi, 1183 s.; INZITARI, Gli accordi, 17 s.; NIGRO, La disciplina, 73 ss.;
FRIGENI, Linee, 540 s.; MUNARI, Crisi, 2012, 171 ss.; NOCERA, Gli accordi, 395 ss.; in
precedenza, PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, 23 ss.; ID., Gli accordi di
ristrutturazione dei debiti, ovvero la sindrome del teleobiettivo, 560 ss.; ROPPO, Profili, 376;
BOGGIO, Gli accordi di salvataggio, 139 s.; MACARIO, Insolvenza, crisi d’impresa, 138 ss., per una
riflessione civilistica sulla causa del “contratto di salvataggio”; DI MARZIO, Il diritto, 76 ss.;
LOMBARDI-BELTRAMI, I criteri, 717 s.) non è unanimemente condivisa: a seguito dell’ultima
novella cfr., TERRANOVA, I nuovi accordi, 4; DELLE MONACHE, Profili, 550 ss.; VALENSISE, Gli
accordi, 117 ss.; anteriormente, FRASCAROLI SANTI, Gli accordi, 82; PAJARDI-PALUCHOWSKI,
Manuale, 907 ss.; VALENSISE, sub art. 182-bis, 2254 ss. V., peraltro, FABIANI, L’ulteriore upgrade, 901, secondo il quale, a seguito dell’intervento del 2010 «gli accordi di ristrutturazione sono
ancora espressione di autonomia negoziale, ma da questi sortiscono una serie di effetti che si
riflettono sulla collettività nel contesto di un controllo giudiziale “leggero”»; nonché ID., La
consecuzione, 672; STANGHELLINI, Finanziamenti-ponte, 1347.
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del trattamento della c.d. nuova finanza al risanamento (§ 2.1); poi, quale tecnica di tutela dei creditori estranei a siffatte operazioni (§ 2.2); in terzo luogo, quale momento a rilevanza organizzativa delle soluzioni negoziali della crisi d’impresa (§ 2.3). Successivamente, in una seconda sezione, sono analizzate le (parzialmente differenti) funzioni che il ricorso al trust può svolgere nel concordato preventivo (§§ 3-­‐‑4). SEZIONE PRIMA. IL TRUST NEI PIANI ATTESTATI E NEGLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE 2.1. Trust e finanziamento dell’impresa in crisi. – In via preliminare a un’analisi – da svolgere alla luce delle esperienze di diritto (principalmente) inglese – del trust nelle soluzioni della crisi d’impresa (stragiudiziali o “ibride” ma comunque) extra-­‐‑concorsuali proprie del diritto italiano, si impone la necessità di chiarire similitudini e differenze dei rispettivi complessi normativi rilevanti. Per quanto riguarda le soluzioni puramente stragiudiziali, l’ordinamento italiano si caratterizza – come noto – per la presenza dell’art. 67, comma 3°, lett. d), l. fall., che permette ai creditori che abbiano concluso con l’imprenditore in crisi un accordo7 allo scopo di consentire il risanamento delle attività del medesimo, di ottenere – soddisfatti determinati presupposti, e, in particolare, acquisita l’attestazione dell’esperto indipendente 8 – l’esenzione da revocatoria per gli atti e i 7
È noto che, sotto il profilo strettamente formale, il piano attestato di risanamento rileva ex
se quale atto unilaterale: cfr. PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, 18; SCIUTO, Effetti
legali, 340; PISCITELLO, Piani, 112; ROPPO, Profili, 368, il quale sostiene che il piano di
risanamento rilevi come «mero fatto»; MEO, I piani, 33, secondo cui, però, il terzo dovrebbe
essere in ogni caso «parte sostanziale» del piano, nel senso di esserne a conoscenza e poterlo
produrre nel giudizio instaurato dall’azione revocatoria esperita dal curatore, «al fine di poterne
trarre il fondamento della resistenza all'azione revocatoria» (36 s.); LIBERTINI, Accordi, 374, che,
pur affermando la potenziale natura unilaterale del piano, al contempo precisa: «l’eventualità di un
piano privo di adesioni di uno o più creditori è del tutto remota»; nello stesso senso anche: ZORZI,
Il finanziamento, 1244 s.; GALLETTI, I piani, 1204; cfr. anche JORIO, Le soluzioni, 48;
NARDECCHIA, Le esenzioni, 234; NIGRO, sub art. 67, 934; MUNARI, Crisi, 143; nella manualistica,
NIGRO-VATTERMOLI, Diritto, 401; ABRIANI, in AA. VV., Diritto fallimentare. Manuale breve2, 84.
Contra, nel senso della necessaria consensualità del piano, DI MARZIO, “Contratto”, 82 ss.; ID., Il
diritto, 116 s.; MACARIO, Insolvenza, crisi d’impresa, 142; BOGGIO, Gli accordi di salvataggio,
139 ss.; nonché – pare – TEDESCHI, Gli atti, 239; da ultimo, T.M. UBERTAZZI, Accordi, 238 s.
8
Secondo l’art. 67, comma 3°, lett. d), «non sono soggetti all’azione revocatoria» «gli atti, i
pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un
piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad
assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato
dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall’articolo
28, lettere a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano». La novella
-136-
pagamenti posti in essere in esecuzione del piano9. La pubblicazione del piano, nell’ordinamento italiano, è facoltativa10. È osservazione del tutto pacifica che detta disciplina costituisce una delle innovazioni apportate al sistema della procedure concorsuali – dalla riforma del 2005-­‐‑2007, prima, e dalle modifiche degli anni 2010-­‐‑2012-­‐‑2013, dopo – ispirata dalla finalità di incentivare i tentativi privatistici di risanamento della crisi d’impresa, tramite la previsione di un trattamento “preferenziale” dei pagamenti e degli atti posti in essere in esecuzione del piano, che può prevedere l’erogazione di c.d. nuova finanza11. Se negli accordi di ristrutturazione, tuttavia, la “tutela” della posizione dei finanziatori dell’eventuale tentativo di “salvataggio” si completa con il riconoscimento – nei limiti e alle condizioni espressamente previste dall’ordinamento – della prededuzione12, lo stesso non può dirsi nel caso del 2012 ha introdotto requisiti di «indipendenza» dell’esperto maggiormente rigorosi, stabilendo
che quest’ultimo «è indipendente quando non è legato all'impresa e a coloro che hanno interesse
all'operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da
comprometterne l'indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso
dei requisiti previsti dall'articolo 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di
soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni
attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di
amministrazione o di controllo»: sulla figura dell’attestatore e sui requisiti di indipendenza imposti
a quest’ultimo, LO CASCIO, Il professionista, 1328; BERTACCHINI, Crisi, 317 s.; STASI, Terzietà,
117 ss.
9
Sui presupposti e sull’estensione di tale esenzione v., con tesi differenti, TERRANOVA, La
nuova disciplina, 53 ss.; D’AMBROSIO, sub art. 67, 992 s.; NIGRO, sub art. 67, 937 s.; COSTA,
Esenzione, 536 ss.; PISCITELLO, Piani, 118 s.; LIBERTINI, Accordi, 375; GALLETTI, I piani, 1204
ss.; MARANO, Le ristrutturazioni, 101 s.; NARDECCHIA, Le esenzioni, 258 ss.; MEO, I piani, 34 s.;
ZORZI, Il finanziamento, 1251 ss.
10
Art. 67, comma 3°, lett. d), ultima parte: «[I]l piano può essere pubblicato nel registro
delle imprese su richiesta del debitore».
11
Il finanziamento dell’impresa in crisi e il trattamento giuridico, nel caso di insuccesso del
tentativo di risanamento (= fallimento), dei crediti così: i) sorti ma non ancora estinti (:
prededuzione); ii) sorti e già soddisfatti (: esenzione da revocatoria) [sul nesso tra prededuzione ed
esenzione da revocatoria cfr. COSTA, Esenzione, 536 ss., il quale (oltre a enumerare l’istituzione di
un trust tra i possibili «nuclei fondamentali dell’accordo», 537) chiarisce gli «effetti perversi» che
discendono dal riconoscimento di esenzione dalla revocatoria senza prededuzione; il tema è
analizzato nel dettaglio da VICARI, I finanziamenti, 483 s. e 489; cfr., pure, GALLETTI, I piani,
1206 s.; TERSILLA, La prededucibilità, 356; nella manualistica, GUGLIELMUCCI, Diritto, 349]
rappresenta un fenomeno la cui crucialità ai fini della riuscita del “risanamento” è stata
riconosciuta anche dalla letteratura giuridica italiana (tra i primi, v. STANGHELLINI, Le crisi, 283
ss.; PRESTI, Il finanziamento; TERRANOVA, La nuova disciplina, 50 s.; adde, tra gli altri,
AMBROSINI, I Finanziamenti, 469 s.; GALLETTI, I piani, 1206; BRIZZI, Le fattispecie, 805 ss.;
VICARI, I finanziamenti, 480; ASSONIME, Circolare 33/2010, 10). La portata di detto fenomeno è
stata evidenziata con particolare attenzione dalla dottrina statunitense: cfr., per tutti, SKEEL, The
Past, 1905 ss.; BAIRD-RASMUSSEN, Private Debt, 1236 ss.; BAIRD, The Elements, 233 ss.;
MORRISON-AYOTTE, Creditor Control, 512 ss.; ADLER, Game-Theoretic.
12
Introdotta, a dire il vero, soltanto gradualmente: cfr. le novelle del 2010 (prededucibilità
dei crediti sorti «in esecuzione» dell’accordo omologato e «in funzione» della presentazione della
-137-
dei piani di risanamento, in cui il creditore che decida di (ri-­‐‑)finanziare non è ammesso a beneficiare di siffatto trattamento di favore. Nell’ordinamento inglese, al contrario, nonostante la diffusione di una «rescue culture» (in particolare tra gli istituti di credito13), gli accordi di “salvataggio” senza alcun intervento dell’autorità giudiziaria rimangono fenomeni puramente contrattuali che non sono oggetto di specifiche disposizioni di origine legislativa. Le regole che assumono rilevanza per la materia sono limitate a fenomeni di autodisciplina14. In siffatto contesto, come si è cercato di mettere in luce15, il Quistclose trust, nel quale un soggetto (A) concede un finanziamento a una società in stato di crisi (B) al fine esclusivo ed espresso di permettere a quest’ultima di pagare (alcuni fra) i propri creditori (C), si pone – nonostante le diverse ricostruzioni a livello tecnico-­‐‑formale – nell’ottica di assicurare quanti facciano consapevolmente credito a una società ormai priva di mezzi propri, nell’ambito di un tentativo di risanamento, che il loro apporto, nell’eventualità di un successivo fallimento della società finanziata, non sia compreso nella massa attiva a disposizione dei creditori concorsuali, rimanendo invece destinato a soddisfare in via prioritaria la loro pretesa. Infatti, nel caso in cui B versi successivamente in stato di insolvenza (e, quindi, lo scopo del finanziamento/trust risulti impossibile), le somme domanda di omologa: rispettivamente art. 182-quater, commi 1° e 2°, l. fall.) del 2012
(prededucibilità dei c.d. finanziamenti “ponte”). In tema v., per tutti, STANGHELLINI,
Finanziamenti-ponte, 1346 ss.; BASSI, La illusione, 811 ss.; PRESTI, Il finanziamento;
BARTALENA, Crediti, 2961 ss.; BRIZZI, Le fattispecie, 855 ss.; GIORGI, Nuove norme, 403 ss.; P.
VELLA, Autorizzazioni, 663 ss.
13
In merito, decisamente significativa è l’esperienza del c.d. London approach, e cioè del
complesso di principi, non formalizzati ma oggetto di generale condivisione da parte degli istituti
bancari, promosso da Bank of England, relativi al comportamento “raccomandato” in occasione di
accordi di salvataggio in pool: v., sul punto, FINCH, Corporate, 307 ss., la quale riporta che,
nell’ambito di tali accordi, alla “nuova finanza” è “generalmente riconosciuto un diritto di
preferenza nella soddisfazione” (308); con riferimento, poi, ai c.d. principi INSOL («Global
Principles for Multi-Creditor Workouts»), GOODE, Principles, § 12-03, 476 s. e, § 12-09, 481, per
un analogo rilievo quanto al finanziamento dell’attività nelle more della ristrutturazione;
MCCORMACK, Corporate Rescue, 15 ss.; nella letteratura italiana, BOGGIO, Gli accordi di
ristrutturazione, 28 ss.
14
Tanto che sono state discusse proposte di codificazione del London approach, rilevate le
problematiche che, tra le altre, possono discendere dall’assenza di una moratoria ex lege può
destare, in particolare nell’attuale contesto finanziario: cfr. FINCH, Corporate, 314 s.; INSOLVENCY
SERVICE,
Proposals
for
a
Restructuring
Moratorium,
giugno
2010
http://webarchive.nationalarchives.gov.uk
/+/http://www.insolvency.gov.uk/insolvencyprofessionandlegislation/con_doc_register/Restructuri
ngMoratoriumConsultationDocument.pdf; GOODE, Principles, § 12-11. 482 s.
15
V. capitolo II, § 2.2.
-138-
trasferite (da A a B) sono detenute da B in trust per il finanziatore A, e non sono quindi soggette alle pretese dei creditori concorsuali (C) In questo senso, dunque, si ritiene generalmente che il Quistclose trust rappresenti l’equivalente funzionale di una concessione di una garanzia con effetti proprietari (v., supra, capitolo II, § 2.2, testo e nota 32). In ultima analisi, sembra ragionevole affermare che, pur atecnicamente, con il Quistclose trust vengono perseguite le medesime finalità che il diritto interno esplicitamente contempla, attraverso la prededuzione, per il finanziamento all’impresa in crisi negli accordi di ristrutturazione (e nel concordato preventivo). Per quanto riguarda, poi, gli accordi “ibridi”, si deve anzi tutto notare che sussistono elementi di omogeneità che giustificano una trattazione congiunta degli accordi di ristrutturazione ex art. 182-­‐‑bis e dei CVA, pur senza negare le diversità esistenti tra i due istituti16 (cfr., supra, capitolo II, § 4). In particolare, se si prendono in considerazione i profili (finanziari e organizzativi) che distinguono gli accordi di ristrutturazione dai company voluntary arragement, gli istituti in esame possono dirsi in un certo senso speculari. Infatti, relativamente al trattamento della c.d. “nuova finanza”, mentre l’accordo ex art. 182-­‐‑bis prevede, a determinate condizioni, la prededuzione dei crediti “relativi” all’accordo 17 , le 16
Non sembra scorretto ricondurre entrambi gli istituti alla categoria degli accordi “ibridi”,
in ragione, per un verso, della natura tendenzialmente “pattizia” di entrambe le fattispecie,
connotate da un limitato coinvolgimento giudiziale [i.e., il giudice non svolge un sindacato di
merito sul contenuto dell’accordo raggiunto secondo le regole prestabilite (cfr. anche supra,
capitolo II, § 4)]; per l’altro, dell’esistenza di rimedi “iniziali” per i creditori che si reputino
pregiudicati dalle operazioni in parola (: opposizione all’omologa per i creditori “estranei”; unfair
prejudice per i creditori dissenzienti). Tutto ciò non può comunque eclissare i fattori che, invece,
distinguono i CVA dagli accordi ex art. 182-bis: i primi sembrano, infatti, presentare delle
caratteristiche più marcatamente “procedurali”, se si considera che il consenso dei creditori si
forma sulla base di un metodo maggioritario (pur limitato ai creditori “coinvolti”: cfr., supra,
capitolo II, § 4); e che è espressamente prevista la nomina di un supervisor della fase esecutiva
dell’arrangement, a sua volta sottoposto a controllo giudiziale. Peraltro, ritenere che gli accordi ex
art. 182-bis presentino natura ibrida non equivale necessariamente a sostenerne la natura
concorsuale: in questa prospettiva, invece, FRASCAROLI SANTI, Gli accordi di ristrutturazione dei
debiti, un procedimento concorsuale, 354 ss., la quale argomenta l’accostamento degli accordi di
ristrutturazione alle procedure «ibride» nell’accezione fatta propria dalla Commissione Europea
nella proposta di modifica del Reg. 1346/2000 [(COM(2012) 744 final]; per i riferimenti
all’opposta tesi, v., supra, nota 4.
17
Più nello specifico, (i) dei crediti «derivanti da finanziamenti in qualsiasi forma
effettuati in esecuzione […] di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi
dell'articolo 182-bis) (art. 182-quater, comma 1°); (ii) dei crediti «derivanti da finanziamenti
erogati in funzione della presentazione della […] domanda di omologazione dell’accordo di
ristrutturazione dei debiti, qualora i finanziamenti siano previsti […] dall’accordo di
ristrutturazione e purché […] l’accordo sia omologato; (iii) «il debitore che presenta […] una
domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'articolo 182 bis,
-139-
disposizioni in materia di CVA non contegono alcuna disciplinano espressamente il trattamento dei finanziamenti alla ristrutturazione. Per contro, nella fase di attuazione dell’accordo, mentre il CVA implica la nomina di supervisor-­‐‑trustee, a sua volta controllato, su impulso dei creditori, dalla Corte, negli accordi di ristrutturazione dei debiti non è previsto, successivamente all’omologa dell’accordo, alcun meccanismo di “controllo” sull’esecuzione dell’accordo da parte del debitore, il che – in combinazione con gli aspetti più strettamente finanziari caratterizzanti l’istituto: esenzione da revocatoria e prededuzione – può peraltro rappresentare un incentivo per il debitore e i creditori organizzati a tenere comportamenti opportunistici a danno dei creditori “estranei”18. Con un ragionamento in una certa misura analogo a quello sviluppato in merito ai workouts, anche nel contesto dei CVA è l’effetto delle dinamiche patrimoniali del trust che giustifica l’applicazione di suddetto istituto. In particolare, a seguito all’assetto giurisprudenziale stabilizzatosi per effetto della pronuncia Gallagher, con la quale si è stabilito che i beni necessari ai fini dell’esecuzione del CVA (e cioè, sovente, l’intera impresa sociale nonché i crediti) sono detenuti dal supervisor in trust per i creditori partecipanti e non sono soggetti all’aggressione da parte dei creditori le cui pretese siano insorte successivamente al perfezionarsi del CVA. In detta prospettiva, il trust realizza una sorte di prededuzione (= superpriority) a beneficio dei crediti “partecipanti” (tanto quelli anteriori quanto quelli che costituiscono nuova finanza in esecuzione dell’accordo) all’iniziativa di “risanamento”19, atteso che i creditori sia posteriori sia estranei non potranno aggredire quanto convogliato nel trust fund (v., supra, capitolo II, § 4). 2.2. (segue): nei piani attestati. – Volendosi limitare, in questo frangente, a prendere in considerazione soltanto gli aspetti concernenti il finanziamento dell’impresa in crisi, alla luce delle considerazioni svolte, pare possibile affermare che, con riferimento ai piani attestati di risanamento, appare assai problematica la possibilità di replicare i primo comma, o una proposta di accordo ai sensi dell'articolo 182 bis, sesto comma, può chiedere
al tribunale di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a contrarre
finanziamenti, prededucibili ai sensi dell'articolo 111, se un professionista designato dal debitore
in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), verificato il complessivo
fabbisogno finanziario dell'impresa sino all'omologazione, attesta che tali finanziamenti sono
funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori».
18
Come è stato osservato da parte di molti: v., ultra, nota 38.
19
Che può, peraltro, concludersi con una liquidazione, come nella maggioranza dei casi
avviene: v. WALTERS-FRISBY, Preliminary Report, 8 ss.
-140-
meccanismi del Quistclose trust a garanzia del finanziatore, dal momento che la legge fallimentare non dispone alcunché quanto a forme di prededuzione in tale contesto20. Sebbene nell’attuale diritto dell’impresa societaria in crisi gli spazi demandati all’autonomia privata siano decisamente ampi, sembra possibile affermare che sono comunque sottratte alla contrattazione le regole relativamente all’ordine legale di priorità nelle distribuzioni della massa attiva 21: ordine che viene, per definizione, alterato dal riconoscimento di titoli (reali) di priorità ad alcuni (e non ad altri) crediti. Se, dunque, si ritiene che rimanga ferma la tradizionale regola di tipicità delle fonti di prededuzione (“codificata” nell’art. 111, comma 2°, l. fall.)22, in base al quale il diritto di un creditore ad essere soddisfatto in via 20
Per quanto siffatto assetto normativo possa rivelarsi, da un punto di vista di politica del
diritto, non ottimale: per una critica alla scelta del legislatore a non estendere la prededuzione ai
piani attestati, COSTA, Esenzione, 535; cfr. inoltre, VICARI, I finanziamenti, 483 s.
21
Cfr., da un punto di vista societario, STANGHELLINI, La nuova revocatoria, 77,
affermando l’esistenza di un diritto dei creditori al rispetto della graduazione delle pretese nella
distribuzione dell’attivo, dal momento in cui si verifichi una «situazione di pericolo» per le loro
ragioni e quindi anche «prima e a prescindere da una procedura concorsuale» (corsivo
nell’originale); con riferimento alla mancanza di prededuzione nei piani attestati, ID.,
Finanziamenti-ponte, 1348; FERRI jr., in AA. VV., Diritto fallimentare. Manuale breve, 66; con
riferimento ai criteri di formazione delle classi nella proposta concordataria, GUERRERA, Struttura,
720 ss.
22
Oltre agli Autori citati alla nota precedente, v. GUGLIELMUCCI, Diritto, 18 s.; pur con
differenti opinioni, quanto alla valenza dell’omologa, AMBROSINI, I finanziamenti, 474,
distinguendo tra crediti anteriori alla presentazione della domanda di omologazione (o di
concordato) («prededucibili per loro natura») e quelli successivi a tale momento («solo se
equiparati per legge a quelli»); INZITARI, Gli accordi, 43 («soltanto, infatti, per effetto del decreto
di omologa» i crediti privilegiati sono tali); relativamente ai finanziamenti negli accordi di
ristrutturazione, FABIANI, L’ulteriore up-grade, 904 s.; DIDONE, Le impugnazioni, 827; BONFATTI,
Gli incentivi, 11; sostanzialmente pure TERRANOVA, I nuovi accordi, 6 s.; BONFATTI-CENSONI,
Manuale, 660 s.; cfr., anche, BRIZZI, Le fattispecie, 852 s.; ritengono «ardua la possibilità di
qualificare in siffatti termini [prededuzione] la nuova finanza prevista in un piano attestato»
LOMBARDI-BELTRAMI, I criteri, 725. In giurisprudenza, v. Trib. Varese, 11 aprile 2011, che ha
ritenuto illegittima la previsione, nel piano concordatario, di trattamento “prededucibile”
nell’ambito del concordato stesso (= pagamento “anticipato”), dei crediti sorti nella continuazione
dell’attività imprenditoriale, ma anteriormente alla presentazione della domanda; cfr. Trib. Milano,
23 febbraio 2013: «quanto ai finanziamenti erogati in esecuzione dell’accordo […], gli stessi sono
prededucibili a termini dell’art. 182-quater, comma 1, l. fall.»; inoltre, sebbene relativa a un
finanziamento in prededuzione nell’ambito di un concordato preventivo, v. altresì Cass., 8 giugno
2012, n. 9373, per l’affermazione che il trattamento prededucibile (previsto nella formazione delle
classi) non può alterare l’«intangibile» ordine legale delle prelazioni, il quale «ha il suo
fondamento nella legge e non è disponibile dalle parti»; per un’interpretazione dell’inciso «in
occasione o in funzione delle procedure concorsuali» di cui all’art. 111, comma 2°, l. fall., cfr.
Cass., 5 marzo 2012, n. 3402: «il nesso, non tanto cronologico nè solo teleologico, tra l’insorgere
del credito e gli scopi della procedura, [è] strumentale in quanto tale a garantire la sola stabilità del
rapporto tra terzo e l’organo fallimentare, ma altresì nel senso che il pagamento di quel credito,
-141-
prioritaria rispetto ai crediti concorsuali è geneticamente collegato a una sanzione dell’ordinamento in tale senso – consegua siffatto effetto automaticamente al ricorrere di determinati presupposti (: art. 104, comma 9°, l. fall.; art. 182-­‐‑quater, comma 1°) o solo in virtù di un espresso riconoscimento giudiziale (: art. 182-­‐‑quater, comma 2°; art. 182-­‐‑quinquies, comma 1°)23 –, si deve reputare non compatibile con tali dati normativi24 l’utilizzo di un Quistclose trust allo scopo di attuare una prededuzione di origine extra-­‐‑legale a beneficio del soggetto che apporta nuova finanza nel contesto di un piano attestato, atteso che ciò si pone inevitabilmente in tensione con le regole sull’ordine della massa attiva25. ancorché avente natura concorsuale, rientra negli interessi della massa, e dunque risponde allo
scopo della procedura in quanto inerisce alla gestione fallimentare».
Prima dell’espressa introduzione negli accordi di ristrutturazione della prededucibilità per
la nuova finanza, si tendeva a escludere che siffatto trattamento di favore potesse essere oggetto di
applicazione analogica: v. PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, 41; AMBROSINI, Gli
accordi, 951; ROPPO, Profili, 388; SCIUTO, Effetti legali, 368 s.; TERRANOVA, Problemi, 156;
BONFATTI-CENSONI, Manuale, 660 s.; CAPOBIANCO, Gli accordi, 320; ASSONIME, Circolare
33/2010, 9 s.; contra, tuttavia, VICARI, I finanziamenti, 491 ss. il quale argomentava l’estensione
analogica dell’ambito della prededucibilità all’istituto in parola; cfr., inoltre, FILOCAMO, La
prededucibilità, 1154 ss., che sostiene la configurabilità di una prededuzione «volontaria», la quale
– a ben vedere – finisce per coincidere con le ipotesi di pagamento integrale di un debito nel pieno
rispetto dell’ordine dei privilegi; D’AMORA, La prededuzione nell’anno di grazia 2013, in
osservatorio-oci.org, citato da P. VELLA, Autorizzazioni, 617.
23
Ciò sembra essere incontestabile a prescindere – oltre che dalle differenze tra le
discipline rilevanti rispettivamente per gli accordi di ristrutturazione e il concordato: v. ASSONIME,
Circolare 33/2010, 13 ss. – dalla circostanza che si reputi la prededuzione un effetto automatico
dell’omologa (cfr. STANGHELLINI, Finanziamenti-ponte, 1356; PRESTI, Il finanziamento;
BONFATTI, Il sostegno finanziario, 11 ss.) o meno (con la conseguenza che sarebbe necessaria a
tale scopo una specifica statuizione del giudice: VALENSISE, sub art. 182-quater, 2340;
CARMELLINO, Primi spunti, 864; sulla questione cfr. NIGRO, La disciplina, 92 s.). Il che è
coerente, peraltro, con quanto avviene negli Stati Uniti in materia di «DIP-financing»: 11 U.S.C.
§§ 363-364; In re Lightstyles, Ltd. (Bankr. M.D. Pa. 2012); ma v. SKEEL, The Past, 1917 ss.
24
Impregiudicata ogni considerazione sull’ambito oggettivo di applicazione della XV
Convenzione, atteso che è, infatti, discusso se in esso debbano intendersi inclusi o meno i resulting
trusts: per l’esclusione dei resulting trusts, BROGGINI, Il trust nel diritto internazionale, 17;
MAZZAMUTO, Trust, 808; GAILLARD-TRAUTMAN, Trust, 318; ma v., contra, VON OVERBECK,
Explanatory, § 51, 601, il quale richiama il Report of the Special Commission, in HAGUE
CONFERENCE ON PRIVATE INTERNATIONAL LAW, Proceeding of the Fifteen Session, II, Trust –
applicable law and recognition, § 34 s., 149; HAYTON, The Hague, 1987, 263 s.; P. RESCIGNO,
Notazioni, 1998, 456; BUSATO, sub art. 3, 1236 s. la quale sembra propendere per la soluzione
affermativa. Come osservato supra, capitolo II, § 2.2, secondo parte della letteratura e
giurisprudenza inglesi sarebbe difficile immaginare il Quistclose trust senza ricorrere alla nozione
del resulting trust.
25
La conclusione potrebbe essere differente se si ritenesse (come DI MARCELLO, Flussi,
408 s.) che, in una fattispecie Quistclose, la posizione del finanziatore «nei confronti dei soggetti
che hanno acquistato crediti nel corso dell’iniziativa a cui sono state destinate le risorse» sia quella
di «semplice credito[re] chirografario». Come si accennava (supra, capitolo II, § 2.2),
quand’anche tale osservazione possa essere considerata corretta con riferimento all’ipotesi della
continuazione dell’attività (i.e., la nuova finanza permette di conseguire l’obiettivo – il salvataggio
-142-
Discorso in parte diverso potrebbe valere, forse, quanto all’interrogativo se un eventuale Quistclose trust possa essere considerato una «garanzia concessa» nell’accezione di cui all’art. 67, lett. d). In senso negativo induce a deporre, tuttavia, la caratteristica strutturale della fattispecie in questione, nella quale i “fondi” provenienti dal soggetto finanziatore e la “garanzia” a favore del medesimo coincidono, laddove la lettera dell’art. 67, comma 3°, lett. d) pare alludere a titoli di prelazione rilasciati ex novo dal debitore-­‐‑finanziato a fronte della nuova erogazione di credito. Ciò non toglie, però, che sia al contrario legittimo adoperare la tecnica fiduciaria del trust quale garanzia atipica su specifici beni, a fronte della nuova finanza, secondo schemi rinconducibili o al security trustee26 o, più generalmente, al trust «a scopo di garanzia» 27 : siffatte operazioni della società – e allora il finanziatore è un creditore come gli altri: ma, allora, sembra che non
abbia molto senso distinguere tra “chirografari” o “privilegiati”), ciò si rivela infondato nel
contesto con riferimento al quale il Quistclose trust è stato in ultima analisi ideato: il successivo
fallimento della società finanziata, nel quale il “creditore”-beneficiario di Quistclose trust gode di
un trattamento “privilegiato” rispetto alla massa. Per una diversa valutazione, rispetto quella
prospettata nel testo, in ordine all’idoneità del trust a violare la tipicità delle cause di prelazione, v.
GALLETTO, Il trust, 43, muovendo tuttavia dall’idea – per una critica della quale si rinvia al
capitolo I, § 7 – per cui gli effetti del trust sarebbero soltanto obbligatori. Sull’utilizzo del trust nei
piani attestati, v. anche D’ARRIGO, L’impiego, 459, il quale – senza espresso riferimento al
quistclose – pare giungere a conclusioni ad esso similari, nella parte in cui ritiene ammissibile che
il trust svolga da garanzia per i «creditori essenziali per il finanziamento del rilancio
imprenditoriale», sulla scorta della riflessione che l’esenzione da revocatoria di cui alla lettera d)
dell’art. 67 comporterebbe in ogni caso un’alterazione delle priorità; tuttavia, siffatto
ragionamento non sconta il fondamentale dato che differenzia l’esenzione da revocatoria dalla
prededuzione: la prima riferita a pagamenti già effettuati (e/o garanzie già concesse), la seconda a
finanziamenti ancora da soddisfare. In generale, sul trust in funzione di garanzia, cfr.
MASTROPAOLO, I contratti, 235 e 249 ss. (ove una valutazione critica sulla possibilità di utilizzare
il trust per garantire i creditori «in modo non equanime»); LUPOI, Trusts, 677 ss.
Come si può intuire, da quanto rilevato nel testo discende un ulteriore motivo per il quale
non può accogliersi la tesi (CAVALLINI, Trust, 2011, 1098 ss.; cfr. supra, capitolo I, § 4) secondo la
quale un piano di risanamento potrebbe prevedere, quale strumento di attuazione del medesimo, il
trasferimento dell’intero patrimonio sociale a un trustee, con l’effetto voluto di garantire i creditori
finanziatori (nonché quello di “bloccare” le azioni esecutive da parte dei creditori estranei: quanto
a tale ultima questione, ci si deve qui limitare a richiamare a quanto già osservato nel capitolo I, §
9, in ordine alla (ir)realizzabilità, per mezzo del trust, di una moratoria privatistica; adde
LICCARDO, Il trust, 407); così pure GALLETTO, Il trust, 51, il quale, però, a 53, pare ammetterne la
revocabilità.
26
Il cui utilizzo potrebbe rivelarsi particolarmente utile nell’ipotesi di un finanziamento in
pool alla ristrutturazione, come testimonia l’indagine di cui al capitolo II, § 3.1.
27
Nella lettura italiana, in tema v., da ultimo, GALLETTO, Il trust, 41 ss. anche per un
confronto con le garanzie tradizionali (tra le quali il pegno rotativo: 45 ss.) e con l’escrow account
(57 ss.; cfr. anche supra, capitolo I, § 2, testo e nota 20); cfr., inoltre, DI MARCELLO, Flussi, 400
ss.; MASTROPAOLO, I contratti, 2006, 229 ss.; GABRIELLI, Garanzie, 518 ss.; LUPOI, Trusts, 2001,
677 ss.; M. SACCHI, Trusts, 55 ss.; DI LANDRO, Trust, 353 ss.; SANTO, Trust, 322 ss.; BERTI
RIBOLI-MOLINARI, Trust, 319 s.
-143-
dovrebbero ricadere, dunque, nell’esenzione da revocatoria nel caso di un successivo fallimento28. Sul punto, assume significativa rilevanza la natura intrinsecamente interinale del titolo del trustee, il quale è tenuto, a un certo momento, a devolvere il fondo fiduciariamente detenuto (ed eventualmente i risultati della sua gestione) ai soggetti, individuati o individuandi, come beneficiari29. In questo caso l’esenzione da revocatoria, non potendo trasformarsi in un ingiustificato arricchimento del trustee, opera, quindi, soltanto nella misura in cui i beneficiari siano in condizione di ottenere il pagamento della propria pretesa direttamente dal trustee (e di attivarsi giuridicamente a tale scopo), ma non, ad esempio, qualora al trustee siano trasferiti determinati assets – che, per ragioni di opportunità, debbano essere sottratti alla disponibilità (tanto dei creditori quanto) del debitore – con l’incarico di amministrarli temporaneamente e in modo prodromico a una cessione a terzi, senza che (in ragione della natura Per il dato comparato, oltre alle specifiche fattispecie analizzate supra, capitolo II, § 3., cfr.
WATERS, The institution, 329 ss.; LANGBEIN, The Secret, 168.
28
Così anche D’ARRIGO, L’impiego, 464. Ciò in particolare, ma non soltanto, se si ritiene
che dell’esenzione possano beneficiare anche soggetti “estranei” al piano: in senso affermativo,
TERRANOVA, La nuova disciplina, 54 (secondo il quale la posizione del terzo deve essere «valutata
secondo i consueti canoni, che impongono d’agire con particolari cautele nei confronti di un
soggetto, che versa in difficili condizioni economiche»); LIBERTINI, Accordi, 375; NIGROVATTERMOLI, Diritto, 176 s., 400 (con riferimento invece al pagamento a creditori estranei agli
accordi di ristrutturazione); così pure, TEDESCHI, Gli atti, 243, il quale sostiene, inoltre,
l’applicazione dell’esenzione per gli atti compiuti a favore dei creditori estranei all’accordo di
ristrutturazione omologato (246 s.); dubitativo, per quanto riguarda i piani di risanamento, NIGRO,
sub art. 67, 937 s. (ma, per gli accordi di ristrutturazione, ID., La disciplina, 90); v., anche,
MUNARI, Crisi, 160 s. (ove ulteriori riferimenti); sugli accordi di ristrutturazione, cfr. PRESTI, Gli
accordi di ristrutturazione dei debiti, 32 s.; (conf. ROPPO, Profili, 386 s.; SCIUTO, Effetti legali,
366; SCOTTI, Appunti, 177; INZITARI, Gli accordi, 20); cfr., inoltre, D’AMBROSIO, sub art. 67, 993,
che nega l’operatività dell’esenzione da revocatoria per i creditori estranei ai piani attestati, mentre
(a 998) ritiene che ne beneficino gli atti a favore dei creditori esterni all’accordo di
ristrutturazione; contra, PORZIO, Effetti, 365; MUNARI, Crisi, 200; BOGGIO, Gli accordi di
salvataggio, 263 ss.; nonché BONFATTI-CENSONI, Manuale, 658 s.; FABIANI, Diritto, 708; con
riferimento agli accordi, GENTILI, Accordi, 309 ss.
Sul rapporto tra il sistema delle esenzioni da revocatoria e le soluzioni negoziali della crisi
d’impresa, v., senza pretesa di completezza, STANGHELLINI, La nuova revocatoria, 93, con
particolare riferimento ai piani attestati e agli accordi di ristrutturazione; INZITARI, Gli accordi, 31;
BONFATTI-CENSONI, Manuale, 255 ss.; SANDULLI, La nuova, 613 ss.; quanto al rapporto tra trust
(rispettivamente “solutorio” e “di garanzia”) ed esenzione di cui all’art. 67, comma 3°, lett. d) ed
e), LICCARDO, Il trust, 424.
29
Tale dato è coessenziale alla natura del trust: per diritto inglese, v., per tutti, Saunders v
Vautier (1841) 4 Beav. 115, sulla quale HAYTON-MARSHALL, Commentary, § 3-59, 149 s.;
HUDSON, Equity, 76 s.; per la ricostruzione di siffatta caratteristica il capo al fiduciario, nella
dottrina italiana, v. per tutti GINEVRA, La partecipazione, 120, 142 ss.
-144-
discrezionale o di scopo del trust) i creditori siano immessi in una posizione beneficiaria tutelabile 30. 2.3. (segue): negli accordi di ristrutturazione. – Negli accordi di ristrutturazione, parimenti, in applicazione del ragionamento articolato con riferimento ai piani attestati, si deve ritenere che l’effetto della prededuzione della c.d. nuova finanza non possa essere perseguito con la creazione Quistclose trust, bensì soltanto con le forme a detto fine individuate dall’ordinamento. Da siffatta considerazione non discende, tuttavia, la illegittimità di un accordo di ristrutturazione che preveda espressamente, come modalità di esecuzione del medesimo, l’erogazione un finanziamento articolato sullo schema del Quistclose, che sarebbe comunque prededucibile già per effetto dell’art. 182-­‐‑quater, comma 1°: siffatta previsione potrebbe, eventualmente, incidere sulle valutazioni dell’esperto indipendente (sull’idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori «estranei»), prima, e del tribunale in sede di omologa, dopo, ma in maniera non differente da un altro finanziamento in qualsiasi forma effettuato31. La questione può porsi in termini più articolati per quanto riguarda la liceità di una combinazione tra accordi di ristrutturazione ex art. 182-­‐‑bis e trust in termini analoghi a quanto avviene nel CVA di diritto inglese, secondo il modello espresso nel leading case Gallagher. Come in precedenza osservato, anche in detta fattispecie si realizza, in termini funzionali, una sorta di prededuzione, alla quale si aggiunge però l’effetto di sottrarre i beni (funzionali alla realizzazione dell’accordo e quindi) vincolati in trust (siano essi “nuova finanza” o componenti “originarie” del patrimonio 30
Oltre all’ipotesi del portafoglio crediti, si potrebbe pensare al trasferimento di un ramo
d’azienda o di una partecipazione in altra società a garanzia indiretta (: tramite il ricavato della
realizzazione degli assets) dei beneficiari-creditori finanziatori. In questo caso, la soddisfazione
della pretesa dei beneficiari potrebbe, nei fatti, risultare molto più complessa rispetto
all’eventualità in cui il trust fund sia composto di beni liquidi.
Sulla base dell’argomento sviluppato nel testo, non potrebbe rientrare nell’ambito di
operatività dell’esenzione da revocatoria nemmeno l’istituzione di un trust «di scopo» – qualora lo
si ritenesse ammissibile (per la tesi contraria v., supra, capitolo I, § 1.2, nota 10) – atteso detto
schema fiduciario, non prevedendo dei beneficiari specificamente individuati, preclude la
possibilità che ai creditori finanziatori sia riconosciuto un potere di attivarsi per ottenere dal
trustee il pagamento.
31
Si potrebbe riscontrare un’analogia con il metro utilizzato nella valutazione compiuta
nell’omologa dell’accordo delle conseguenze dell’esenzione da revocatoria: cfr. INZITARI, Gli
accordi, 32: «[…] essendo ragionevolmente che [i creditori estranei] trovino comunque la
soddisfazione del loro credito […], la concessione della deroga e dell’esenzione non comporta
alcun pregiudizio, ma anzi, al contrario, consente al debitore e ai creditori aderenti di esprimere
una negozialità dai contenuti più liberi».
-145-
della società debitrice) all’azione esecutiva – quanto meno diretta – dei creditori esterni all’arrangement, atteso che tali attività patrimoniali sono detenute in trust dal supervisor-­‐‑trustee per i creditori-­‐‑beneficiari. È opportuno tentare di risolvere separatamente ciascuno dei quesiti che si pongono. Anzi tutto, per quanto riguarda l’aspetto della prededuzione, è possibile ripetere quanto ora osservato in merito all’eventuale innesto di un Quistclose trust in un accordo di cui all’art. 182-­‐‑bis: mentre se si intende ottenere un trattamento super-­‐‑privilegiato dei finanziamenti contemplati dal comma secondo dell’art. 182-­‐‑quater e/o dal comma primo dell’art. 182-­‐‑
quinquies, è necessario sempre esperire i procedimenti rispettivamente dettati da suddette disposizioni, non potendo siffatto trattamento, per contro, basarsi esclusivamente sull’autonomia privata (: il trust, nel caso che qui interessa), per i finanziamenti in esecuzione la questione si riduce a una questione di fatto valutanda dall’esperto, al momento dell’attestazione, e dal tribunale, in occasione dell’omologa32. Per quanto attiene, poi, alla possibilità che, in tale modo, alcuni beni vengano sottratti all’azione esecutiva dei creditori esterni all’accordo, è necessario operare degli ulteriori distinguo. Da una parte, si deve negare la conformità al diritto italiano della crisi d’impresa di un accordo che preveda una traslazione a un trustee dell’intero patrimonio sociale, al fine – quand’anche celato – di realizzare a tal guisa una moratoria di fatto delle azioni esecutive e cautelari 33 (eventualmente ricorrendo al trust “di 32
Le osservazioni svolte del testo non conducono, in astratto, a negare che anche un
finanziamento in funzione della presentazione della domanda di omologa dell’accordo (o di c.d.
protezione anticipata) possa assumere le forme del Quistclose trust: si intende piuttosto rimarcare
che questa eventualità non è esentata dall’applicazione delle regole generali in tema di
prededuzione di siffatti finanziamenti, il cui trattamento giuridico (prededucibilità) è sottratto «alla
volontà delle parti», atteso che la «funzionalità del finanziamento alla presentazione della
domanda di concordato o di omologazione di un accordo … sussiste o non sussiste in fatto»
[STANGHELLINI, Finanziamenti-ponte, 1355, (corsivo originale)]: ne discende che l’utilizzo del
Quistclose trust ai predetti fini non può essere considerato un’“assicurazione” in quanto tale della
prededuzione del finanziamento, che dipende dalla sua «funzionalità» e dal provvedimento di
omologa dell’accordo.
33
Come osservato (capitolo I, §§ 8-9), tale effetto, oltre a porsi di per sé in contrasto con le
regole in materia di moratoria (relativamente agli accordi ex art. 182-bis, da ultimo, INZITARI, Gli
accordi, 35 ss.), non sarebbe neppure concretamente conseguibile, non solo perché i creditori
pregiudicati – oltre a poter esperire una (complessa) azione di nullità e/o – avrebbero facoltà di
azionarie il generale rimedio revocatorio, ma soprattutto perché questi potrebbero, in applicazione
della disciplina del trasferimento d’azienda di cui agli artt. 2555 ss. c.c., ottenere l’adempimento
direttamente da parte del trustee: cfr. capitolo I, § 8; GINEVRA, L’utilizzo, 839.
-146-
scopo”34). Per contro, sembra che, quando l’oggetto del trust sia limitato a parte dei beni della debitrice: (i) non si possa ottenere, anche in tale ipotesi, la prededuzione dei finanziamenti in funzione della presentazione della domanda e/o dei finanziamenti c.d. “ponte” senza esperire le relative procedure; (ii) relativamente ai finanziamenti in esecuzione dell’accordo, invece, l’utilizzo del trust non dovrebbe incidere sulla valutazione dell’esperto indipendente e del tribunale, atteso che ogni altro finanziamento, a prescindere dalla sua “veste” giuridica, avrebbe natura prededucibile35. In ogni caso – ma ciò si intreccia con gli aspetti più propriamente “organizzativi” trattati ultra, sub § 4.1 –, in determinate circostanze la costituzione di un trust su specifici beni, se forse ininfluente dal punto di vista finanziario, può utilmente risolvere problemi (di agency o, appunto, organizzativi) che si possono riscontrare nelle situazioni in esame. Infine, con riguardo sia al Quistclose trust sia al modello Gallagher sembra porsi in maniera non troppo difforme l’interrogativo se la costituzione del trust possa beneficiare dell’esenzione da revocatoria di cui all’art. 67, lett. e). Analogamente a quanto sottolineato con riferimento ai piani di risanamento, il carattere transitorio della proprietà beneficiaria del trustee attribuisce valenza dirimente alla concreta conformazione della struttura fiduciaria: nell’ambito dell’esenzione da revocatoria possono ricadere soltanto quei trust che si presentano come capaci di garantire, in un arco di tempo ragionevole, la soddisfazione dei creditori-­‐‑beneficiari. 34
Sulle strutturale incompatibilità di siffatta costruzione con il modello naturale e il
significato ultimo del trust – testimoniata pure dalla circostanze che, nei fatti, confinano
l’esistenza di tale struttura è confinata alle giurisdizioni offshore – cfr. supra, capitolo I, § 8.2.
35
Potrebbe sembrare, però, che il trust sia capace di dare al finanziatore un quid pluris in
termini di “certezza” della garanzia concessa: la “realità” del titolo potrebbe – forse – esonerare il
finanziatore dall’onere di fare accertare il medesimo in sede fallimentare. Dalla lettura congiunta
degli artt. 92-93 l. fall. emergerebbe, invero, che sono tenuti a presentare domanda di «restituzione
o rivendicazione» quanti vantino un diritto reale su beni «di proprietà o in possesso» del fallito.
Detta ultima condizione potrebbe non ricorrere nel caso del Quistclose trust, atteso che i beni in
trust non sarebbero né di proprietà né in possesso del fallito, con la conseguenza che il creditorebeneficiario non sarebbe onerato dal presentare domanda di «restituzione» o «rivendica». Come
noto, i finanziamenti prededucibili, invece, devono essere in ogni caso accertati in sede di
formazione del passivo (sul punto, BASSI, La illusione, 818 s.; NIGRO, La disciplina, 93;
BARTALENA, Crediti, 2979, s.; GUIZZI, in AA. VV., Diritto fallimentare. Manuale breve, 287 s.;
GUGLIELMUCCI, Diritto, 257 s.; NIGRO-VATTERMOLI, Diritto, 260), nonostante il giudice delegato
sia tenuto a riconoscere la prededucibilità dei crediti conseguenti ai finanziamenti erogati ex art.
182-quater, comma 2° – quanto meno, ma presumibilmente pure di quelli ex art. 182-quinquies,
comma 1° –: STANGHELLINI, Finanziamenti-ponte, 1357; BASSI, La illusione, 818; AMBROSINI,
Accordi, 144 s.; P. VELLA, Autorizzazioni, 665. In ogni caso, siffatte considerazioni non valgono
nel caso di un trust auto-dichiarato, nel quale i beni, originariamente di proprietà del trusteedebitore fallito, rimangono nella titolarità (fiduciaria) di quest’ultimo.
-147-
3. Trust a “garanzia” dei creditori «estranei». – Il trust extra-­‐‑
concorsuale, se non può essere utilizzato, nell’ordinamento italiano, per attribuire ai finanziatori dell’iniziativa un miglioramento della loro posizione nell’ordine di priorità, può però forse prestarsi a svolgere funzioni di carattere differente, la cui desiderabilità è stata riscontrata in dottrina36. Nello specifico, nell’ambito dei piani attestati e degli accordi di ristrutturazione, pare si possa pensare a un’ulteriore, alternativa, applicazione dell’istituto fiduciario anglosassone, e cioè a un trust costituito a tutela non della collettività dei creditori, bensì soltanto di alcuni: i creditori estranei al tentativo di risanamento37 perseguito da parte del debitore con l’accordo di altri creditori. Ciò può destare notevole interesse, nella parte in cui il trust si profilerebbe quale tecnica giuridica capace di risolvere alcune delle molteplici criticità sollevate dalla peculiare situazione – sia nei piani attestati sia (soprattutto) negli accordi di ristrutturazione – dei creditori esterni38. 36
Cfr. note 38 e 43.
O di liquidazione (inclusa la cessione dell’impresa in blocco) gestita d’accordo con i
creditori bancari: cfr., sul trust con natura solutoria in esecuzione degli accordi, GINEVRA,
L’utilizzo, 847, il quale, tuttavia, chiosa: «mi chiedo quale sia qui il valore aggiunto del ricorso al
trust piuttosto che alla cessione dei beni ai creditori».
38
Questi, negli accordi di ristrutturazione, oltre a vedere temporaneamente bloccata ogni
iniziativa giudiziaria, in ultima analisi si “affidano” al giudizio di omologa, considerato che – non
essendo prevista alcuna forma di controllo sulla fase esecutiva dell’accordo – per effetto sia
dell’esenzione da revocatoria sia della prededuzione riconosciuta ai creditori partecipanti,
potrebbero rimanere del tutto insoddisfatti, essendo le forme di tutela loro riconosciute ridotte ai
rimedi dell’opposizione all’omologa, prima, e dell’istanza di fallimento, dopo: su questi
argomenti, cfr.; AMBROSINI, Accordi, 71; ROVELLI, Il ruolo, 402 ss.; ID., Assetti, 1038 (ripreso da
GALLETTI, Trust liquidatorio, 629); GABRIELLI, Soluzioni, 558 s.; SCOTTI, Appunti, 174 ss.;
VALENSISE, sub art. 182-bis, 2306 s.; CAPOBIANCO, Gli accordi, 295; CAVALLINI, 2011, 1102;
SANTANGELI, Auto ed etero tutela, 613 ss. (sui piani attestati) e 631 (sugli accordi); PRESTI, Il
finanziamento, relativamente al rapporto tra creditori prededucibili e “ordinari”; ID., Gli accordi di
ristrutturazione dei debiti, ovvero la sindrome del teleobiettivo, 570 s., con riferimento
all’automaticità del meccanismo della moratoria, la quale, prevedendo soltanto la paralisi delle
iniziative dei creditori ma non una corrispondente cristallizzazione degli «atti disposizione» e dei
«pagamenti volontari» del debitore, lascia spazio a uno «spregiudicato sfruttamento opportunistico
dell’istituto da parte del debitore, magari in accordo con alcuni creditori»; SANDULLI, La nuova,
614, pur senza riferimento alla mancanza di controlli nella fase esecutiva del piano; con specifico
riferimento all’abusivo utilizzo della prededuzione, STANGHELLINI, Finanziamenti-ponte, 1356;
TERRANOVA, I nuovi accordi, 9, il quale, sulla scorta del nuovo regime della prededuzione,
afferma l’esistenza di una «situazione piuttosto opaca» nella quale «il consenso delle banche
diventa decisivo per approvare un accordo (sottratto alla revocatoria in un eventuale successivo
fallimento) che ha per effetto … quello di “trasformare” un credito chirografario in una pretesa
privilegiata»; MUNARI, Crisi, 227.
Nonostante sia stata messa in luce l’inadeguatezza sistematica di una distinzione tra
creditori anteriori e successivi all’accordo, che richiama categorie concettuali proprie della
37
-148-
Il problema, pur sollevato in prima battuta solo con riferimento agli accordi di ristrutturazione ex art. 182-­‐‑bis, per i quali l’«integrale» pagamento deve essere previsto nel piano e oggetto di apposita valutazione da parte dell’esperto e del tribunale, sussiste anche per i piani attestati di cui all’art., 67, comma 3°, lett. d). In tale ultima ipotesi, sebbene la lettera della disposizione non faccia espresso riferimento ai creditori esterni, la questione si pone in termini analoghi, da una parte attenuati dalla circostanza che nei piani attestati l’unica “protezione” dei finanziatori è rappresentata dall’esenzione da revocatoria (e non dalla prededuzione), dall’altra aggravati, se si tiene conto che la pubblicità del piano è soltanto eventuale e rimessa alla volontà della società debitrice. In tema, sembra possibile ipotizzare due scenari. Il primo consiste nella costituzione di una struttura fiduciaria analoga a quella realizzata nel caso Gallagher (supra, capitolo II, § 2.2) , ma in termini “invertiti”: se, nel sistema inglese degli accordi di ristrutturazione “ibridi”, siffatta attribuzione della proprietà beneficiaria su determinati beni – attuali e potenziali – serve a riconoscere una “priorità” sul trust fund a favore di quanti apportano nuova finanza, nel nostro ordinamento tale schema potrebbe essere invece realizzato per garantire la posizione dei creditori estranei 39 . Nel paradigma Gallagher, il trust fund potrebbe essere concorsualità (INZITARI, Gli accordi, 19), merita di essere sottolineato che ancora deteriore
potrebbe rivelarsi la condizione di quanti diventano creditori soltanto successivamente all’omologa
del piano, atteso che – oltre a non potere, intuitivamente, opporsi a siffatto provvedimento – le loro
pretese non godono, in quanto tali, di alcun trattamento “preferenziale”. I creditori il cui titolo
sorga in corso di esecuzione dell’accordo, tuttavia, potrebbero essere reputati sufficientemente
tutelati dalle forme di pubblicità imposte a tale istituto: così ZORZI, Il finanziamento, 1256.
D’altra parte, è in ogni caso riconosciuto che, in occasione di tentativi lato sensu
“stragiudiziali” di salvataggio, i creditori che decidono di non partecipare all’accordo possono
spesso beneficiare dell’attività (di monitoraggio e negoziazione) condotta a spese dai creditori
aderenti (generalmente sofisticati), per vedere poi soddisfatta per intero la propria pretesa: PRESTI,
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, 26 ss., ove peraltro la conclusione che «il passaggio che i
creditori estranei … prendono sull’autobus della ristrutturazione non è affatto gratis; ha un prezzo
(il peggioramento delle condizioni in caso di esito negativo) che viene stabilito nell’accordo tra
debitore e creditori aderenti»; GENTILI, Accordi, 311; SCOTTI, Appunti 180; v., inoltre, le
considerazioni di DI MARZIO, Il diritto, 146 ss. In giurisprudenza, Trib. Reggio Emilia, 14 maggio
2007.
Con riferimento al potenziale utilizzo abusivo dei piani attestati, NIGRO, «Privatizzazione»,
11; SANDULLI, La nuova, 614; MARANO, Le ristrutturazioni, 102; GALLETTI, I piani, 1202 ss.
Per un’analisi economica delle problematiche ora abbozzate, BELCREDI, Le soluzioni, 13
ss.; ID., Le ristrutturazioni, 215 ss.; ID., Crisi d’impresa, passim.
39
Nel presente discorso, assume rilevanza l’osservazione di INZITARI, Gli accordi, 19, il
quale – pur senza espresso riferimento al trust – ritiene che gli «accordi potranno prevedere la
destinazione e la separazione di una specifica somma destinata ai creditori estranei oppure in
alternativa, o con previsione mista, l’assunzione dell’obbligo da parte del debitore di destinare
-149-
rappresentato da una parte del patrimonio esistente nella fase genetica dell’accordo o del piano, e dai ricavi di attivi patrimoniali la cui gestione è stata affidata ad hoc a un trustee. L’altra soluzione potrebbe consistere nella replica dei cc.dd. twilight trusts (supra, capitolo II, § 2.1.): specialmente nella fase preparatoria dell’accordo o del piano, potrebbero essere trasferiti a un trustee i beni (anche produttivi) che si reputano necessari (e sufficienti) per il pagamento dei creditori estranei e/o degli obblighi nascenti da specifici rapporti contrattuali non ancora eseguiti40. In virtù della trasformazione del titolo della pretesa da obbligatorio a reale, siffatta operazione potrebbe costituire un mezzo capace di evitare che il periodo delle trattative – quando la società è mantenuta in vita dalle linee di credito ancora aperte – possa trascorrere trasferendo il rischio dell’incapienza del debitore ai creditori meno sofisticati. Inoltre, se previsto per la fase esecutiva, il menzionato processo di “realizzazione” di una pretesa obbligatoria rende detta soluzione idonea ad assicurare – prescindendo dalla problematica, fattuale, della consistenza economica di quanto convogliato in trust – l’integrale pagamento dei creditori estranei, potendo forse corroborare la “serietà”, dal punto di vista del tribunale e dei creditori, dell’impegno assunto dalla società. Peraltro, a ciò si aggiungerebbe la protezione fornita dai rimedi “reipersecutori” a disposizione dei beneficiari nel caso di infedele o colposo trasferimento di entità patrimoniali dal trustee a destinatari i quali difficilmente potrebbero rientrare nel novero dei soggetti che – alla stregua dei parametri anglosassoni applicabili – sono preferiti nel conflitto tra beneficiario e terzo acquirente del trustee (il quale, per prevalere sul beneficiario, deve qualificarsi come bona fide purchaser without notice): come, per esempio, da un lato i creditori finanziari “forti”, dall’altro i soci e gli amministratori (nonché altri soggetti ai medesimi “vicini”)41. prioritariamente ai creditori estranei le risorse che man mano si realizzano ad esempio con la
liquidazione dei diversi assets».
40
In questa prospettiva, desta interesse l’accordo di ristrutturazione omologato da Trib.
Milano, 15 novembre 2011, in Fallimento, 2012, 461, nella parte in cui prevede la costituzione di
un «conto corrente vincolato» – assimilabile all’escrow – per il pagamento dei crediti estranei
liquidi ed esigibili e il pagamento con il flussi di cassa generati dall’attività della società debitrice
per gli altri creditori estranei, garantiti inoltre da fideiussioni a prima richiesta rilasciate da una
società veicolo (nell’ambito di una ristrutturazione di gruppo).
41
Senza considerare, poi, la responsabilità del trustee per gli atti di «self-dealing» e, in
generale, per la violazione del duty of loyalty: SCOTT-FRACHTER-ASCHER, Scott, vol. 3, § 17.2,
1077 ss.; BOGERT-BOGERT-HESS, Bogert’s, vol. 11, § 543.
-150-
Ancora più radicalmente, si potrebbe pensare che, sempre nell’ipotesi esaminata, il soggetto a cui venga affidato il trust fund coincida con l’istituto di credito che eroga il finanziamento-­‐‑ponte o il finanziamento alla ristrutturazione (o alla banca capofila dell’eventuale consorzio): tale soluzione potrebbe forse temperare i rischi, già messi in luce dalla dottrina, di comportamenti opportunistici resi possibili dalla disciplina delle esenzioni da revocatoria nonché da quella della prededuzione42. 4.1. Trust e governance. – Siffatto ultimo accenno richiama, da ultimo, i profili “organizzativi” propri del trust. Si è detto come gli accordi di ristrutturazione ex art. 182-­‐‑bis 43 , in coerenza con la loro natura essenzialmente “negoziale”, ma in parziale distonia con la rilevanza esterna che questi hanno progressivamente assunto, non prevedano alcun 42
V., sul punto, anche GALLETTI, Trust liquidatorio, 631. Inoltre, merita di essere osservato
che, se si ammette la liceità di un trust a garanzia dei creditori concordatari avente ad oggetto beni
di “terzi” (v. ultra, § 6), a una prima analisi sembrerebbero non sussistere ostacoli a traslare tale
possibilità anche agli accordi di ristrutturazione (cfr. anche ZANCHI, Osservazioni, 159;
RAGANELLA-REGNI, Il trust liquidatorio, 606; GALLETTI, Trust liquidatorio, 638 ss.; GALLARATI,
La crisi, 111 s.) e ai piani attestati. Ci si può chiedere, poi, che rapporti si possano instaurare fra
l’utilizzo di un trust quale veicolo dell’apporto da parte terzi e il principio espresso dalla già citata
Cass., 8 giugno 2012, n. 9373, 1410 s., secondo la quale l’ordine legale delle priorità deve essere
rispettato anche qualora sia prevista la soddisfazione dei creditori (concordatari) per mezzo di beni
messi a disposizione da parte di terzi (nel caso di specie, c.d. nuova finanza), se questi
«transit[ano] nel patrimonio del debitore»: sembra infatti chiaro che, qualora il terzo “garantisca” o
“contribuisca” i creditori (aderenti o meno) mediante il trasferimento di attività patrimoniali a un
trustee, il patrimonio del debitore rimane “neutro”. Su tale decisione v. STANGHELLINI, Il
concordato, 1240.
43
Nemmeno nei piani attestati vengono previste forme di controllo esterno sull’attuazione
del piano stesso, con le conseguenze in termini di problemi di opportunismo a danno – non solo –
dei creditori estranei già evidenziate: v., oltre agli autori citati alla nota 36, TEDESCHI, Gli atti,
238; NIGRO, La disciplina, 100 s.; MUNARI, Crisi, 157, 161; SANDULLI, La nuova, 614. Ponendosi
ora in una prospettiva dei rapporti tra l’eventuale istituzione del trust quale meccanismo di
governance che regola i rapporti tra i soggetti coinvolti (creditori finanziatori, creditori esterni e
società/soci), si può in linea di massima affermare – con l’espunzione di ogni riferimento alle
prospettive liquidatorie, le quali, come noto, non possono essere attuate con i piani attestati:
PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, 18; PISCITELLO, Piani, 114 s.; NIGRO, La
disciplina, 97; v., contra, GALLETTI, I piani, 1209 s.; cfr., inoltre, MEO, I piani, 40 s. – che le
soluzioni proposte di seguito nel testo con riferimento agli accordi di ristrutturazione siano
applicabili anche ai piani attestati. Tuttavia, è innegabile che, nel contesto – solo eventualmente
pubblico – dei piani attestati, potrebbero mancare sufficienti incentivi per gli insiders a mettere in
atto complesse strutture come quelle qui analizzate, salvo forse la preoccupazione di evitare
un’eventuale successiva imputazione di responsabilità a titolo di concessione/gestione abusiva del
credito.
-151-
meccanismo di governance (né di monitoring)44 del momento attuativo di quanto accordato45. Dall’esecuzione dell’accordo dipende in primo luogo il pagamento dei creditori non aderenti e, in secondo luogo, l’adempimento degli obblighi assunti in sede di “ristrutturazione”: di qui la crucialità di tale fase. Alla criticità derivante dalla mancanza, nell’impianto legislativo, di meccanismi di controllo dell’attività del debitore che coinvolgano soggetti terzi (rispetto tanto alla società, quanto ai creditori) nella fase attuativa46, si potrebbe sopperire con il ricorso al trust, sia allo scopo di fornire una forma di tutela rafforzata ai creditori estranei, sia per collocare l’onere 47 di un’attività di monitoraggio (a beneficio dei finanziatori) in capo a un trustee terzo. Più esplicitamente, in questa ipotesi, il controllo sulle attività svolte dalla società in sede di esecuzione dell’accordo (e sulla loro coerenza con il rispetto degli impegni assunti) sarebbe affidato a un trustee; corrispondentemente, l’attribuzione dei poteri, consustanziali alla posizione beneficiaria, in capo ai creditori che vi vengono immessi, permetterebbe a questi ultimi di svolgere attività di impulso nei confronti del trustee e, pertanto, di controllo (soltanto) indiretto nei confronti del debitore48. 44
Con l’utilizzo di siffatta terminologia si vuole sottolineare che negli accordi di
ristrutturazione ci si trova già in quella situazione dove la separazione (fattuale) tra proprietà e
controllo si è (quanto meno parzialmente) spostata dalla direttiva soci-amministratori a quella
creditori-amministratori/impresa; “reindirizzamento”, il quale non può non assumere una rilevanza
anche prettamente giuridica.
45
Il che costituisce, forse, uno degli elementi che distinguono sistematicamente siffatto
istituto dal concordato preventivo.
46
Cfr., supra, nota 36.
47
In via incidentale, va notato che siffatto accorgimento potrebbe forse costituire un mezzo
per evitare – quanto meno per l’arco temporale successivo all’istituzione del trust –
un’imputazione al finanziatore di responsabilità a titolo di scorretto finanziamento dell’impresa (o
quale amministratore di fatto): cfr., nell’ordinamento statunitense, per un rilievo analogo
relativamente agli ABCs, FRIEDLAND, Strategic, 388 (California), 473 (Florida), 514 (Indiana);
sulla lender liability nell’ordinamento statunitense v. ROE-CENZI, A Capital Market, 59 ss., ove
ulteriori riferimenti. Sulla responsabilità da ingerenza del finanziatore nell’ordinamento italiano,
anche con ampi richiami al diritto statunitense, cfr. MOZZARELLI, Business, in part. 110 ss.; in
precedenza, VISCUSI, Profili, passim.
48
Cfr., in termini parzialmente similari, GALLARATI, La crisi, 112, il quale limita però
siffatte considerazioni all’ipotesi di un trust su beni – eventualmente provenienti anche da terzi
(111) – destinati alla liquidazione. In generale, l’ipotesi che il trust possa costituire, nell’ambito
degli accordi di ristrutturazione, un momento di organizzazione dei poteri di controllo diretto da
parte dei creditori nei confronti del debitore gode di una certa diffusione: cfr. ROVELLI, I nuovi,
595 ss.; ID., Assetti, 1038; conf. AMBROSINI, Accordi, 69 s., con specifico riferimento all’utilizzo
del trust quale «strumento dotato di maggiore incisività» per supplire all’«assenza di poteri di
monitoraggio e verifica da parte del tribunale ...[e] configurare la possibilità di inserire all’interno
dell’accordo meccanismi di tutela dei creditori»; CAVALLINI, 1093 ss.; GALLETTI, Trust
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Per quanto attiene all’articolazione concreta di tale strumento fiduciario, è ipotizzabile una pluralità di differenti – e finora pressoché inesplorate – soluzioni, in particolare per quanto riguarda l’aspetto “oggettivo” (: che investe la questione degli assets da veicolare in trust), il quale si riflette, poi, sui problemi di carattere “soggettivo”, ossia come conseguire il coordinamento delle situazioni soggettive dei vari creditori (i.e. quali siano da includere tra i beneficiari e come debbano essere articolati i rapporti interni a questi ultimi). Per quanto concerne il primo profilo, sembra immaginabile uno schema nel quale il trustee detiene in trust per i creditori i beni (produttivi) necessari all’esecuzione dell’accordo, dovendo comunque in questo caso essere garantita alla società debitrice la facoltà di utilizzarli, senza poterne però disporne. Un’ulteriore possibilità, poi, è quella di prevedere che nel trust debbano progressivamente confluire, mano a mano che si realizzano, i risultati ottenuti dalla gestione dell’impresa (o dalla liquidazione dei beni). Probabilmente, una soluzione equilibrata potrebbe rinvenirsi nella combinazione delle due alternative, affidando in prima battuta a un trustee un nucleo di assets iniziali – quelli ritenuti di particolare “importanza”, vuoi perché si prestano ad atti distrattivi, vuoi perché considerati essenziali nella riuscita del piano di ristrutturazione (: in questo caso la relativa gestione potrebbe verosimilmente essere ri-­‐‑affidata al debitore da parte del trustee, il quale verrebbe così a svolgere attività di supervisione sul primo) o liquidazione (che potrebbe verosimilmente essere portata a termine dallo stesso trustee) – e, in un secondo momento, gli introiti dell’attività gestoria e/o liquidatoria medio tempore realizzati. Siffatta funzione del trust, inoltre, si delinea specialmente atta ad alcune specifiche categorie di assets, in particolare i beni ai quali segnatamente si confà un’amministrazione da parte di terzi, come potrebbe essere la gestione di un portafoglio crediti: in questo caso, compito del trustee sarebbe la loro realizzazione e la detenzione delle somme progressivamente incamerate (senza che queste entrino nella disponibilità della società) fino al realizzarsi di determinate condizioni previste nel trust deed oppure rimettendosi alle indicazioni provenienti dai beneficiari (se previsto nel liquidatorio, 629 s.; ZANCHI, Osservazioni, 155 ss.; LICCARDO, Il trust, 409; GRECO, Il trust quale
strumento, 219 s.; per un cenno v., altresì, CAPOBIANCO, Gli accordi, 322; MUNARI, Crisi, 213 s.;
VALENSISE, Gli accordi, 474.
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trust deed), i quali – a seconda delle circostanze concrete – potrebbero optare per la distribuzione o per il reinvestimento nella società49. Come accennato, le problematiche connesse al profilo “oggettivo” del trust in esame (: di quali beni dovrebbe comporsi il trust fund) non sono scollegate dai suoi aspetti “soggettivi”: si pone, infatti, il tema di quali creditori, nella situazione in esame, dovrebbero diventare beneficiari del trust50. Ciò se si tiene presente che, visti i presupposti della fattispecie in esame (crisi della impresa societaria), una certa (ma allo stato indefinita) porzione del patrimonio della società debitrice già spetta, almeno in potenza, fiduciariamente ai creditori, ma in misura e – soprattutto – secondo un ordine di soddisfazione differente. In ultima analisi, il trust sarebbe particolarmente idoneo a risolvere alcuni conflitti che emergono in tali circostanze, caratterizzate dalla temporanea incertezza proprio per la loro “naturale” interinalità: dal momento che una parte del patrimonio della società proponente è destinata alla soddisfazione dei creditori, ma è incerto fino a che punto e con quale ordine, il trust potrebbe efficientemente svolgere una funzione “ordinatrice” rispetto a siffatte problematiche. Potrebbe darsi che il tentativo di salvataggio non dia gli esiti sperati – ciò a prescindere da ogni valutazione in punto di adempimento/inadempimento – e, in tale caso, il trust sarebbe capace di garantire che le pretese dei creditori estranei vengano nei fatti 49
L’opportunità di un affidamento a un trustee della gestione dei portafoglio crediti è stata
già prospettata da GINEVRA, Crisi; cfr., inoltre, LICCARDO, Il Trust, 408 s., per il rilievo che il
ricorso al trust presenterebbe vantaggiosità per la gestione a fini liquidatori di «partecipazioni
ritenute strategiche nel piano di risanamento».
Un utilizzo che potrebbe essere specialmente proficuo, poi, è quello della costituzione di un
trust di garanzia nell’ambito di finanziamenti al risanamento erogati in pool nel quale un unico
bene venga concesso in garanzia congiuntamente a tutte le banche consorziate. Oltre alla
possibilità di dare luogo a una “garanzia atipica” sulla totalità dei beni della società, senza
spossessamento, analogamente ad alcune declinazioni dell’indenture trust (nella letteratura
italiana, LICCARDO, Il trust, 417 ss.; v. capitolo II, § 3.2), nella medesima fattispecie il trust
potrebbe svolgere anche – cumulativamente o alternativamente – una funzione di organizzazione
dei rapporti intra-creditori, nel momento in cui i partecipanti al consorzio si accordassero per
attribuire alla banca arranger (quale trustee) il diritto di ricevere in via esclusiva i pagamenti da
parte del debitore nonché, più ampiamente, di gestire unitariamente le relazioni con il medesimo
(es. accertare/far accertare la ricorrenza di un Acceleration event e la conseguente decadenza dal
beneficio del termine). L’utilità di siffatto strumento si manifesta ancora più nitidamente se si
considera che nei finanziamenti a società italiane, erogati da consorzi di istituti di credito anche
stranieri, frequentemente si pone la problematica della gestione della garanzia rilasciata in via
collettiva, e che gli operatori spesso rifuggono dall’utilizzo del trust per i timori dell’«incertezza
nell’ordinamento circa il concetto di trust» (comunicazione all’autore dal banking department di
uno studio legale milanese, 14 maggio 2013).
50
Per un esempio concreto, v. ZANCHI, Osservazioni, 155 ss.; cfr., inoltre, GRECO, Il trust
quale strumento, 219 s.
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“integralmente” soddisfatte. Potrebbe verificarsi, invece, che l’accordo si raggiunga, i creditori (prima estranei e poi i partecipanti) vengano pagati e gli assets produttivi debbano essere “restituiti” alla società. In entrambi i casi – che attengono, in realtà, più all’aspetto patrimoniale del trust di cui al paragrafo precedente –, l’utilizzo del trust attuerebbe un sistema di governance di natura privatistica all’interno delle soluzioni negoziali della crisi d’impresa: il trustee svolgerebbe una funzione di controllo del debitore, nell’interesse dei creditori, tanto estranei quanto insider, i quali sarebbero in grado di dare impulso all’operato del trustee, senza peraltro essere costretti a controllare essi stessi in prima persona le attività del debitore. Come si può intuire, la funzionalità di siffatto sistema non può essere affermata in astratto, essendo strettamente collegata alle modalità con cui in concreto viene strutturato il trust e la “partecipazione” al medesimo da parte dei creditori. In particolare, viene in rilievo la possibilità di articolare differentemente la posizione beneficiaria dei creditori, prevedendo plurime classi distinte di beneficiari. Se, da una parte, è infatti ipotizzabile un trust con un’unica classe di creditori51, sembra ragionevole affermare che si presta a riflettere più compiutamente gli interessi in gioco un’architettura che, relativamente ai diritti “economici” (: ordine di priorità nella soddisfazione delle pretese) distingua i beneficiari in tre classi: la prima costituita dai creditori estranei, la seconda dai creditori partecipanti e la terza, integralmente subordinata alla soddisfazione delle prima due, dalla società/soci. Nel rapporto tra le prime due classi, dovranno, invece, essere di pari intensità le prerogative “amministrative” (: di impulso e di controllo nei confronti del trustee), le quali dovrebbero invece rimanere “dormienti” per quanto riguarda la terza e ultima classe, con efficacia subordinata alla condizione che i flussi generati dal continuazione dell’attività (o dalla liquidazione) siano sufficienti a soddisfare il capitale altrui (i.e., di credito) e sia perciò giustificata la “restituzione” del residuo ai soci. 4.2. Trust in funzione di “moratoria” delle azioni esecutive individuali: critica. – Sebbene si tratti di tematiche già parzialmente affrontate (v., 51
Affinché detta ipotesi si possa adattare al diritto italiano della crisi d’impresa, i creditori
beneficiari dovrebbero essere identificati nei creditori estranei all’accordo (ricadendosi altrimenti
nelle fattispecie che mirano a ottenere una prededuzione privatistica a beneficio dei creditori
finanziatori). D’altra parte, ciò implica che il trustee non potrebbe agire a beneficio di questi
ultimi, con la conseguenza che i finanziatori dell’accordo dovrebbero o controllare in proprio le
attività del debitore o ricorrere a un proprio soggetto “controllore”.
-155-
supra, capitolo I, § 9), deve in questa poi ribadita che, al di là delle valutazione (negativa) in ordine all’ammissibilità di una moratoria di fonte non eteronoma, il trust non (sia deputato a né) svolga, in quanto tale, una funzione di “protezione patrimoniale”52. L’idea, tutta “interna”, per cui la separazione patrimoniale si produrrebbe (anche) in capo al disponente (oltre che al trustee, la combinazione delle due costituendo la c.d. “segregazione”) non trova, infatti, riscontro nel dato comparatistico: negli ordinamenti di common law la “protezione” patrimoniale che certi asset protection trusts – del tutto sconosciuti in diritto inglese, di assai dubbia validità nel diritto americano, e in ultima analisi noti soltanto alle giurisdizioni offshore – intendono fornire si riduce a un piano fattuale, essendo rappresentata semplicemente dal porre un concreto ostacolo aggiuntivo (: la necessità di “revocare” o comunque porre nel nulla il trasferimento patrimoniale a un trustee) all’aggressione del creditore (in maniera non difforme a una cessione, un conferimento, etc.) ma resta, in quanto tale, priva di un autonomo significato giuridico. In common law, il trasferimento di beni al trustee non è – e di riflesso, nemmeno nel nostro ordinamento dovrebbe – essere valutato in maniera differente, nella prospettiva del creditore, da qualsiasi altra forma di disposizione patrimoniale (v., supra, capitolo I, § 8.2). SEZIONE SECONDA. IL TRUST NEL CONCORDATO PREVENTIVO 52
Cfr., con tesi opposta, GALLARATI, La crisi, 109, che argomenta l’idea per cui con il trust
si potrebbe rimediare alle «inefficienze» proprie della moratoria ex art. 182-bis nonché (113)
conseguire un effetto protettivo anche nel contesto dei piani attestati. Peraltro, al di là della non
condivisibilità di siffatta tesi, bisogna riconoscere l’effettiva crucialità di una delle problematiche
sollevate, i.e. il rischio che il tribunale non si pronunci sull’omologa entro il termine di scadenza
della moratoria (sessanta giorni dal deposito della domanda), con la conseguenza che il patrimonio
del debitore potrebbe essere oggetto di aggressione prima della decisione sull’omologa; tutto ciò in
contrasto con una delle possibili rationes della paralisi delle azioni esecutive, e cioè l’esigenza che
il patrimonio del debitore non venga intaccato (e rimanga quindi immutato) prima dell’omologa:
così, in part., INZITARI, Gli accordi, 35 s. («temporanea cristallizzazione del patrimonio al fine di
assicurare una assoluta corrispondenza tra la situazione patrimoniale descritta e presa in
considerazione nell’accordo e quella reale»); AMBROSINI, Accordi, 59; cfr., anche, FABIANI,
«Competizione», 208, in una prospettiva parzialmente diversa («il divieto delle azioni vuole
consentire … che il procedimento di omologazione si snodi senza il timore che il patrimonio
dell’imprenditore possa essere distratto dalla sua destinazione impressa secondo il piano oggetto
dell’accordo»). Al riguardo, merita di essere tuttavia osservato che la moratoria non garantisce, di
per sé, una corrispondenza tra la situazione patrimoniale del debitore al momento dell’accordo e a
quello dell’omologa, atteso che non si verifica una completa cristallizzazione di tale patrimonio, la
quale rimane invero sempre parziale, non essendo vietati atti volontari di disposizione e/o
pagamento da parte dell’impresa debitrice: PRESTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti,
ovvero la sindrome del teleobiettivo, 570.
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5. L’affidamento in gestione al trustee di specifici assets. – Volendo attenersi alla premessa metodologica esposta supra (§ 1), diviene a questo punto necessario chiarire che alcune delle funzioni del trust nella gestione della crisi d’impresa, riscontrate nell’analisi comparatistica, non sembrano suscettibili di essere traslate tout court nel contesto del concordato preventivo. Detta considerazione vale in primo luogo per il twilight trust (capitolo II, § 2.1): non sembra, infatti, che si possa logicamente discorrere di un trust a protezione dei soggetti estranei a un tentativo di risanamento puramente contrattuale – e, anzi, volutamente riservato – nell’ambito del concordato preventivo, il quale realizza sempre una procedura a rilevanza pubblica e coinvolge, a prescindere dall’accezione che si voglia riconoscere alla “concorsualità”, la collettività dei creditori 53 . Non sembra utile, dunque, dedicare un’autonoma trattazione a una simile tematica, atteso che, nel concordato, per definizione non esistono creditori estranei; eventualmente, possono darsi problemi di tutela con riferimento alla posizione dei creditori di minoranza54, la quale presenta natura del tutto differente rispetto a quelle per le quali il twilight trust è stato pensato. Del pari, discorso analogo pare doversi svolgere per il Quistclose trust (capitolo II, § 2.2). Come si è già cercato di mettere in luce, il diritto della crisi d’impresa non ammette alterazioni dell’ordine di priorità nelle 53
Come noto, è discussa – e il dibattito non può essere interamente ripercorso in questa
sede – la nozione di “concorsualità”: mentre, secondo alcuni, è sufficiente che un istituto sia
destinato a «regolare la corsa dei creditori, e cioè nel subordinare le iniziative dei singoli ad un
ordine procedurale» affinché possa essere considerato “concorsuale” [TERRANOVA, Problemi, 155;
ID., Le procedure, 51 ss.; per DELLE MONACHE, Profili, I, 550, «il tratto … fondamentale nelle
procedure concorsuali [è] l’attitudine a comprendere … l’intero patrimonio del debitore in vista
della soddisfazione della totalità dei suoi creditori»; FRASCAROLI SANTI, Gli accordi, 82; PAJARDIPALUCHOWSKI, Manuale, 28 s., («la concorsualità è carattere naturale della procedura, e significa
esclusivamente che il processo è naturalmente stato creato per risolvere una situazione di pluralità
di creditori, in concorso tra loro (e a 908 ss., con riferimento agli accordi di ristrutturazione)],
secondo altri è tale fine imprescindibile almeno l’«universalità degli effetti, sia sul lato attivo (tutto
il patrimonio del debitore), sia su quello passivo (la generalità dei creditori)», «un provvedimento
giudiziale di apertura, recante la nomina di un organo deputato alla “gestione” della procedura»,
l’«esistenza di una collettività di creditori globalmente intesa e retta dal principio maggioritario»:
AMBROSINI, Gli accordi, 1138, da cui i virgolettati; cfr., diffusamente, NIGRO, La disciplina, 144
ss., il quale individua nella «universalità» (del patrimonio del debitore), «generalità» (dei creditori)
e nella «officiosità» le tre caratteristiche comuni alle procedure «concorsuali»; v., anche, DI
MARZIO, Il diritto, 178 ss., con particolare enfasi sul momento procedurale-deliberativo della
concorsualità; FRIGENI, Linee, 540 s., ove ulteriori riferimenti; implicitamente STANGHELLINI, Il
ruolo, 1077). Diverse possono essere, pertanto, le opinioni sulla “concorsualità” degli accordi di
ristrutturazione (v., supra, nota 4).
54
La letteratura sul tema è ampia: senza pretesa di esaustività, v. R. SACCHI, Dai soci, 440;
ID., Concordato, 30; TERRANOVA, Problemi di diritto concorsuale, Padova, 2011, 105 ss.;
SCIUTO, La classificazione, 575 ss.; D’ATTORRE, Il voto, 757 ss.
-157-
soddisfazioni di fonte privatistica: queste ultime, piuttosto, necessitano di una sanzione da parte dell’ordinamento per incidere legittimamente ed efficacemente su siffatto ordine. Se si tiene presente tale considerazione, sembra che nemmeno il Quistclose trust – di per sé – possa aspirare a un autonomo spazio di operatività nel concordato preventivo, atteso che la prededuzione dei crediti derivanti dai finanziamenti alla ristrutturazione è subordinata al rispetto dei requisiti esplicitamente stabiliti dalla disciplina dettata a tale fine55. Ciò non significa che non sia legittimo ricorrere allo schema del Quistclose trust nell’ambito dei finanziamenti “in funzione” (art. 182-­‐‑quater, comma 2°) o dei finanziamenti “ponte” (art. 182-­‐‑quinquies, comma 1°) dei quali la società intenda, sulla base dei requisiti prestabiliti e secondo le procedure previste, (chiedere ed eventualmente) ottenere il trattamento privilegiato della prededuzione: se ne deve dunque dedurre che la prededuzione si produce in conseguenza di siffatti “adempimenti” – e in particolare del «provvedimento» del tribunale – e non per effetto del Quistclose56. Il discorso può, quindi, essere esteso alla prededuzione dei finanziamenti in esecuzione del concordato preventivo omologato: non è necessario ricostruire un Gallagher trust, in quanto la prededuzione deriva ex se dalla formulazione dell’art. 182-­‐‑quater, comma 1°. Passando all’analisi della fase esecutiva del concordato, è stato in più occasioni ipotizzato che il trust possa, in tale sede, prestarsi a svolgere funzione “liquidatoria”. Più nel dettaglio, un piano di concordato con cessione potrebbe prevedere l’affidamento a un trustee dell’attività di liquidazione dei beni compresi nel piano 57 : a) nell’ipotesi in cui esso coinvolga l’intero complesso imprenditoriale del debitore; b) nell’eventualità in cui sia stata concordata, con una combinazione delle 55
Artt. 111, 182-quater, 182-quinquies, l. fall.; v., supra, note 21-22.
Va osservato, tuttavia, che il Quistclose trust potrebbe prestarsi a un’elusione della
disciplina dei finanziamenti «in funzione della presentazione della domanda»: seguendo la tesi
degli effetti naturalmente reali prodotti da tale schema, il finanziamento erogato in funzione della
presentazione della domanda sotto forma di un Quistclose potrebbe beneficiare, nel caso di un
successivo fallimento, di un trattamento de facto prededuttivo. Come è evidente, siffatta soluzione
non può ritenersi compatibile con il dettato normativo. Ne discende che, nell’eventualità in cui si
verifichi una tale fattispecie, o i) la prededuzione viene sancita dal decreto di omologa – sulla base
della sua effettiva «funzionalità» rispetto alla domanda o ii) nel susseguente fallimento, il
finanziamento non potrà essere ammesso quale credito da soddisfare in prededuzione.
57
GINEVRA, L’utilizzo, 2013; GUGLIELMUCCI, La riforma, 85; D’ARRIGO, L’impiego, 465;
POLI, Concordato, 599; FABIANI, La “programmazione”, 2012, 910 s., il quale, però, parla di
«fiduciario», assimilandolo – pare – alla figura del mandatario; cfr., in prospettiva in parte diversa,
SCIUTO, La classificazione, 571, che include il trust tra le «tecniche» funzionali al «trasferimento
del controllo» sull’impresa ai creditori.
56
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tecniche di soddisfazione dei creditori58, una liquidazione parziale del patrimonio dell’imprenditore. Per quanto riguarda l’ipotesi sub a), si potrebbe sostenere che, considerata la derogabilità della disciplina dell’art. 182 59 , il piano concordatario potrebbe prevedere la nomina di un trustee e il contestuale trasferimento al medesimo trustee della totalità delle attività da liquidare: ciò permetterebbe non solo di investire i creditori della posizione beneficiaria – le pretese creditizie dovendo così essere soddisfatte con il ricavato delle vendite attuate dal trustee – ma anche di venire incontro all’esigenza che, nella fase liquidatoria, la società debitrice sia spossessata delle medesime attività da liquidare60. D’altra parte, si deve osservare61 che avverso detta tesi si pone la corrente giurisprudenziale secondo la quale l’attuazione di un concordato con liquidazione è riconducibile al “tipo” dell’esecuzione forzata e, in quanto tale, soggiace alle «rigorose disposizioni sul cui rispetto gli organi della procedura sono chiamati a vigilare» previste per le vendite coatte62. 58
La cui ammissibilità è da ritenersi ormai incontestata: v., da ultimo, GUERRERA, in
AA.VV., Diritto fallimentare. Manuale breve2, Milano, 2013, 148; M. CAMPOBASSO, Il
concordato; P. VELLA, Autorizzazioni, 660; AMBROSINI, Il concordato, 35 ss.; PAJARDIPALUCHOWSKI, Manuale, 823.
59
Da ultimo FABIANI, La “programmazione”, 911 ss., il quale argomenta la natura
suppletiva dell’art. 182, che pertanto si applicherebbe soltanto «in assenza di diversa disciplina
organizzativa della liquidazione indicata nel piano» (914), con la conseguenza che il «potere
conformativo del giudice è inversamente proporzionale al dettaglio del piano concordatario»;
COSTA, Il concordato preventivo; afferma il «carattere suppletivo» della disposizione in parola:
GUGLIEMUCCI, Diritto, 345; RACUGNO, Concordato, 533; MARANO, sub art. 182, 2525; distingue
tra la legittimità di una deroga rispettivamente agli artt. 105-107 (ammessa) e all’art. 108 (che
rivestirebbe, di contro, carattere inderogabile), CALANDRA BUONAURA, Concordato, 269; v.,
inoltre, DI CECCO, sub art. 182, 2233 s.; v., pure, AMBROSINI, Il concordato, 35 («quando il
concordato consiste nella cessione dei beni, la sentenza di omologazione deve contenere la nomina
del liquidatore…»); una significatività non secondaria riveste, in argomento, l’art. 7 della legge 27
gennaio 2012, n. 24 («Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione
delle crisi da sovraindebitamento»), il quale prevede la possibilità che il piano possa «prevedere
l’affidamento del patrimonio del debitore ad un gestore [nella versione originaria: “fiduciario”] per
la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori»; gestore, che deve essere
nominato dal giudice.
60
FABIANI, La “programmazione”, 909 s. Inoltre, si è prospettata la possibilità di nominare
un comitato dei creditori quale protector: POLI, Concordato, 599.
61
GINEVRA, L’utilizzo, 847, il quale conclude che «potrà anche continuare a chiamarsi
“trustee” l’affidatario dei beni da liquidare e precisare che il commissario giudiziale dovrà
necessariamente assumere le vesti del protector: purché sia chiaro che a questo “trustee” e a
questo “protector” andranno applicate le inderogabili norme di legge previste per il liquidatore e il
commissario giudiziale»; si dubita, in tale caso, dell’utilità di siffatta duplicazione di forme
giuridiche.
62
Così Cass., Sez. Un., 16 luglio 2008, n. 19506.; critico FABIANI, La “programmazione”,
914 s.; di particolare interesse, sul punto, è Trib. Catania, 10 aprile 2012, la quale ha ritenuto che
-159-
Maggiori spazi, per contro, sembrano esservi per la soluzione sub b), e cioè per l’istituzione di un trust con un oggetto limitato a determinati (tipi di) assets, la cui utilità si manifesta specialmente per particolari categorie di beni, come i portafoglio crediti63 o le partecipazioni di futura dismissione64: merita di essere sottolineato che in questi casi – così come in precedenza notato in merito agli accordi di ristrutturazione – il trust potrebbe costituire uno strumento di organizzazione del complesso dei rapporti intercreditori, in maniera analoga al bondholder o al security trustee. In altri termini, in tale alternativa, la posizione creditoria verrebbe intestata unitariamente, a beneficio dei creditori, al trustee, il quale – oltre a svolgere attività di tipo “intermediazione” ricezione/inoltro dei pagamenti – avrebbe il potere/dovere di monitorare il debitore nell’interesse dei creditori, i quali potrebbero così ridurre i relativi costi connessi alle attività di controllo. A seconda dei casi, inoltre, i creditori potrebbero optare se assoggettare a un meccanismo maggioritario l’attivazione di un default event e, ancora, se devolvere e accentrare in capo al trustee l’attività recuperatoria (cfr. supra, capitolo II, § 3). Inoltre, da un’ulteriore prospettiva, si potrebbe immaginare un affidamento dell’intera impresa a un trustee non con finalità liquidatorie, bensì allo scopo di attuare una gestione “disinteressata” delle attività della società ristrutturanda, nelle more di un’attribuzione della medesima a un assuntore 65 (o a una newco) o, più radicalmente, quale strumento di «un trust così strutturato [trust autodichiarato sui beni della società proponente a beneficio dei
crediti concordatari, nell’ambito di un concordato liquidatorio, con nomina di “garanti” incaricati
di vigilare sullo svolgimento della vendita dei beni] si pone in insanabile contrasto con le regole
che governano la procedura di concordato preventivo nella quale il potere di controllo sulla attività
di liquidazione è inderogabilmente affidato al Tribunale … In particolare … nel concordato con
cessione dei beni … non [può] competere alla società proponente la nomina del liquidatore». Il
collegio prosegue, in senso forse non del tutto coerente, affermando che: «in direzione contraria,
poi, non varrebbe richiamare l’inciso contenuto nell’art. 182, comma I, l. fall. (“se il concordato
consiste nella cessione dei beni e non dispone diversamente, il tribunale nomina”), … considerato
che detta disposizione … semplicemente è tesa ad evidenziare la possibile coesistenza, accanto a
una liquidazione giudiziale tipizzata nel testo … di altre modalità “atipiche”, anche puramente
privatistiche, attraverso cui realizzare la cessione dei beni oggetto del concordato».
63
GINEVRA, L’utilizzo, 847.
64
Così LICCARDO, Il trust, 408, ma con riferimento agli accordi di ristrutturazione.
Relativamente alle due ipotesi elencate nel testo, particolarmente utile potrebbe rivelarsi l’utilizzo
del trust a servizio del concordato nel quale si intenda combinare la «continuità aziendale» (art.
186-bis) da parte della società debitrice con una parziale «cessione dei beni»: cfr., al riguardo, M.
CAMPOBASSO, Il concordato. In tale ipotesi, si potrebbero infatti trasferire a un trustee le attività
patrimoniali di cui è programmata la liquidazione, affidandogli l’incarico di realizzarle e dividere
il risultato tra i creditori concordatari o anche a beneficio esclusivo di una o più classi.
65
GINEVRA, L’utilizzo, 847: «trust “di passaggio”»; cfr., altresì, SCIUTO, La classificazione,
571.
-160-
esecuzione del concordato66. In detto ultimo caso, non solo il trasferimento al trustee assumerebbe una marcata – quanto meno rispetto alle altre ipotesi – connotazione “di durata”, ma soprattutto il trust si contraddistinguerebbe per l’intrinseca incertezza dei soggetti beneficiari: questi ultimi potrebbero (rectius dovrebbero) coincidere con i creditori concordatari, fino al momento dell’avvenuta soddisfazione del loro titolo (nonché nell’eventualità di un insuccesso del concordato), e, in via subordinata o residuale, la società debitrice originaria, in maniera condizionata all’avvenuto pagamento dei creditori67. Le principali obiezioni finora sollevate alle ricostruzioni delineate vertono sulla circostanza che il legislatore non avrebbe espressamente previsto, nell’ambito degli strumenti per la risoluzione concordata della crisi, il trust68. Tuttavia, in considerazione dell’ormai affermata atipicità dei contenuti del piano concordatario, non sembra che siffatto utilizzo del trust possa trovare un serio ostacolo in tali rilievi, se si considera poi che, in effetti, alcuni profili del trust permettono di porre in essere assetti organizzativi non altrimenti conseguibili, come, ad esempio, la possibilità di una gestione del patrimonio della società ristrutturanda – la cui “destinazione” finale è, a un momento dato, non ancora conoscibile, in quanto dipende dall’esito del tentativo di ristrutturazione – da parte di un soggetto “equidistante” al contempo dai creditori e dal debitore. Piuttosto, alcune criticità potrebbero presentarsi, in termini astratti, nella definizione della posizione dei crediti il cui titolo sia posteriore all’omologazione del concordato (in «continuità»), i.e. quelli che sorgono nella prosecuzione dell’attività imprenditoriale: qualora, infatti, costoro entrino in un rapporto obbligatorio il cui lato passivo sia rappresentato dalla società, mentre l’impresa (sociale) sia – sebbene temporaneamente – imputata al trustee, mancano entità patrimoniali direttamente disponibili per la soddisfazione dei crediti il cui titolo è successivo all’omologazione 66
GUGLIELMUCCI, La riforma, 84 s., sostanzialmente nell’ottica di permettere ai creditori di
governare l’attuazione del concordato mediante l’affidamento delle attività a un (loro) fiduciario;
LICCARDO, Il trust, 415; una ulteriore variante è prospettata da D’ARRIGO, L’impiego, 466, che
prevede – se ben si intende – una sorta di combinazione tra l’istituzione di un trust e la
costituzione di una newco: le partecipazioni della società di nuova costituzione verrebbero
attribuite al trustee in trust per i creditori-beneficiari, sulla base del presupposto che ciò
permetterebbe ai creditori di “disinteressarsi” del tutto dell’attuazione del piano concordatario, che
sarebbe curata esclusivamente dal trustee, limitandosi i creditori a percepirne i benefici economici.
67
Esplicitamente LICCARDO, Il trust, 415; implicitamente, GUGLIELMUCCI, La riforma, 85.
68
FIMMANÒ, Il trust a garanzia, 77; GINEVRA, Crisi, § 6.2; implicitamente Trib. Catania,
10 aprile 2012.
-161-
del concordato. Ciò nonostante, siffatto problema non si pone allorché la controparte del rapporto obbligatorio sia non la società, ma più propriamente il trustee, il quale risponde dei debiti contratti nell’amministrazione del trust 69 . Pertanto, la soluzione dipende dalla concreta configurazione del trust e dei rapporti trustee-­‐‑società-­‐‑terzi: nel momento in cui i creditori, che vantano pretese successive all’omologa del concordato, possano agire contro il trustee, non sembra che il diritto della crisi d’impresa ponga ostacoli insuperabili a siffatto utilizzo del trust70. 6. L’“intervento” di terzi. Garanzia e assunzione. – Nelle fattispecie concrete di trust maggiormente diffuse nella prassi del concordato preventivo71, tuttavia, lo scopo perseguito con l’utilizzo del trust non è tanto (rectius: non solo) quello strettamente liquidatorio, quanto più quello 69
Illimitatamente, con successivo diritto di rivalsa sul fondo in trust e sui beneficiari, in
diritto inglese; limitatamente al valore dei beni in trust, secondo il diritto statunitense: v. supra,
capitolo I, § 7.
70
Impregiudicata ogni valutazione quanto a eventuali ostacoli di natura fiscale (cfr., e.g.,
Trib. Napoli, 19 novembre 2008-12 marzo 2009; e SEMINO, Concordato preventivo, 60 ss.; sul
punto, è di particolare interesse la decisione della Comm. Trib. Prov. Padova, 9 luglio 2013, la
quale – del tutto ragionevolmente, sembra – ha applicato all’atto di dotazione di un trust con
funzione di garanzia l’imposta di registro in misura fissa, escludendo la possibilità di ricondurre
l’operazione alle liberalità o agli atti a titolo gratuito; nello stesso senso, prima Comm. Trib. Prov.
Bologna, 30 ottobre 2009, n. 120; Comm. Trib. Prov. Pesaro, 9 agosto 2010, n. 287; Comm. Trib.
Prov. Lodi, 12 gennaio 2009, n. 12; deve essere ricordato che, tuttavia, siffatta prospettazione
contrasta con la Circolare n. 48/E dell’Agenzia delle Entrate del 6 agosto 2007) o a preferenze che
la prassi potrebbe dimostrare: v. la previsione di GINEVRA, Crisi, § 8.1 («scenario del tutto
ipotetico»); ID., L’utilizzo, 847.
71
Sebbene gli utilizzi del trust nella procedura fallimentare “classica” esulino dai limiti del
presente lavoro – per le ragioni illustrate amplius supra, capitolo I, § 1.1 –, merita di essere
ricordato il caso della «convenzione» fra la curatela fallimentare e il trustee di un trust istituito,
con finalità liquidatorie, antecedentemente alla dichiarazione di fallimento (cfr. «Convenzione», in
BASSO, Fallimento, 279 ss.), in quanto rappresenta un’esperienza di liquidazione “atipica”
dell’attivo: con l’accordo si prevede che il trustee continui a detenere in trust, a beneficio della
massa dei creditori, le attività già trasferitegli, e si attribuisce al contempo al curatore «procura
speciale irrevocabile al curatore alla vendita di tutto il compendio aziendale» (art. 2.,
Convenzione). Si possono altresì richiamare, benché si collochino nell’ambito del fallimento, due
precedenti riconducibili nell’alveo della concessione di garanzie da parte di terzi a mezzo del trust
a beneficio della massa dei creditori (concorsuali): Trib. Bologna, 27 luglio 2010, nel quale la
transazione sottoscrivenda fra la curatela e l’amministratore della società fallita, a chiusura
dell’azione di responsabilità, viene garantita da un trust istituito a beneficio della procedura da
parte di un terzo con un bene di sua proprietà; Trib. Bologna, 2 marzo 2010 (trust costituito da
parte dell’avente causa di un immobile del fallito e suscettibile di revocatoria fallimentare, il quale
prevede l’obbligo di alienare il bene stesso – e di coinvolgere il curatore nell’atto di
compravendita – e di trasferirne il ricavato alla procedura).
-162-
di ricorrere a una tecnica di garanzia “atipica” 72 , con particolare riferimento alle ipotesi nelle quali i creditori concordatari “beneficiano” dell’apporto di soggetti “terzi” rispetto alla società debitrice. Nei limiti di quanto appare possibile evincere dalla documentazione edita nei casi noti, la struttura complessiva dell’operazione può essere ricostruita nei termini che seguono. Nel caso più ricorrente, la proposta di concordato preventivo prevede l’istituzione di un trust da parte di un “terzo” rispetto alla debitrice ricorrente, con la quale quest’ultimo “vincola” determinate attività, riferibili al suo patrimonio personale, a favore dei crediti concordatari. Il ricavato della liquidazione – affidata al trustee – dei beni del terzo contribuisce alla soddisfazione dei creditori concorsuali, in aggiunta a quanto offerto dalla società debitrice 73 . Nell’ipotesi in esame, dunque, il ricorso al trust si spiega con l’intento di incrementare la massa attiva da destinare, una volta aperta la procedura di concordato preventivo, alla soddisfazione dei creditori, mediante l’inclusione di entità patrimoniali appartenenti a soggetti terzi rispetto alla società proponente (concordato denominato, in passato, «misto»74). Ci si 72
Per siffatta terminologia CAPRIOLI, Assunzione, 101; PANZANI, Trust, 558 ss.; Tribunale
Napoli, 19 novembre 2008-12 marzo 2009.
73
Sono costruiti su tale modello: Trib. Reggio Emilia, 21 ottobre 2014; Trib. Reggio
Emilia, 12 agosto 2014; Trib. Ravenna, 22 maggio 2014 (in tale caso, parallelamente alla
costituzione di un trust avente ad oggetto quote di altre società, veniva trascritto un vincolo di
destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c. su parte degli immobili dei terzi); Trib. Ravenna, 4 aprile
2013; Trib. Pescara, 11 ottobre 2011; Trib. Mondovì, 16 settembre 2005; Trib. Parma, 3 marzo
2005; cui adde Trib. Chieti, 14 maggio 2013: nella massima si fa riferimento a un apporto
patrimoniale di un “terzo” (il socio della ricorrente), sotto forma di trust autodichiarato a beneficio
dei creditori concordatari avente a oggetto i suddetti beni (: «il Tribunale di Chieti ha ritenuto
legittima ed accolto la proposta di concordato preventivo con alterazione della par condicio
mediante apporto di nuova finanza da parte del socio unico di s.r.l. in quanto svincolata dalla
previsione del comma III, art. 182-quater l. fall. ed irrilevante sia sull’attivo che sul passivo del
debitore come prescritto dalla Corte di Cassazione con sentenza 8 giugno 2012, n. 9373, in quanto
il piano prevede l’apporto mediante istituzione di trust autodichiarato liquidatorio o, in subordine,
il transito sui conti d’ordine del debitore», enfasi aggiunta). Dal testo del decreto, tuttavia, non si
evince alcun riferimento al trust.
74
La locuzione «concordato misto» è foriera di possibili fraintendimenti. Prima della
riforma del diritto fallimentare, infatti, con essa si usavano indicare principalmente le fattispecie di
ibridazione tra concordato (anche fallimentare) «garantito» (i.e. da un “terzo”) e concordato con
cessione dei beni del debitore. In siffatto contesto, il qualificativo “misto” era riferito dunque non
solo alla duplice provenienza soggettiva dei beni, ma anche alla combinazione fra le ipotesi tipiche
di soddisfazione dei creditori previste dalla l. fall., e cioè la “garanzia” (offerta dal terzo sui propri
beni) in aggiunta alla cessione del patrimonio del debitore [cfr. BLANDINI-MASTRIA, Il concordato,
226 ss.; BONSIGNORI, Del concordato preventivo, 72 s., il quale dedica un distinto paragrafo alla
trattazione del concordato con «cessione dei beni da parte di terzi» (75 ss.); PANZANI, Ipotesi, 337
ss., ove – oltre a rilievi critici – ulteriori riferimenti alla dottrina e giurisprudenza anteriori (nota
16); LO CASCIO, Ulteriori risvolti, 1361 ss.; CENSONI, Proposta, 721 ss.; sempre con riferimento a
fattispecie concrete antecedenti alla riforma, Cass., 26 marzo 2010; Cass., 30 agosto 2007, n.
-163-
trova, dunque, nell’ambito di un concordato c.d. «con cessione», nel quale, oltre alla liquidazione dell’attivo della società – è indifferente che quest’ultima assuma la forma di una cessione in blocco dell’intera attività (o di rami d’azienda) oppure di un’alienazione dei singoli beni facenti parte dell’attivo – i creditori beneficiano di quanto “spontaneamente” apportato dal terzo con il trust. Merita di essere evidenziato che, nel suddetto contesto, il “terzo” coincide, in realtà, con un soggetto le cui sorti sono più o meno legate a quelle della società proponente: si tratta, infatti, di volta in volta del socio75 o dell’amministratore (e/o dei suoi familiari)76. Per quanto riguarda, poi, gli aspetti tecnici del rapporto fiduciario, il trust auto-­‐‑dichiarato (sul quale v. supra, capitolo I, § 7) sembra essere lo schema preferito, con la conseguenza che il terzo, oltre a essere disponente, è anche trustee77. In 18324; dopo la riforma, con specifico riguardo alle ipotesi indicate nel testo, Ambrosini, Il
concordato, 37 s.; PANZANI, Trust, 553; LO CASCIO, Il concordato preventivo ed il trust, 250;
Cass., 23 giugno 2011, n. 13817; Trib. Genova, 2 luglio 2011 (s.m.)]. Peraltro, siffatte fattispecie
erano strettamente collegate – tanto in via di fatto quanto in punto di diritto – alla questione dei
limiti di efficacia dell’omologazione del concordato (preventivo e fallimentare) nei casi in cui il
debitore (proponente o fallito) fosse una società personale, con riferimento alla posizione dei soci
illimitatamente responsabili e dei rapporti con i creditori personali con questi ultimi. Sul punto,
cfr. Cass., 1 luglio 1992, n. 8097; Cass., 29 novembre 1995, n. 12405, con nota di NALDINI; in
dottrina, oltre a CENSONI, Proposta, e PANZANI, Ipotesi, v. FRASCAROLI SANTI, I problemi, 236 ss.
Una volta venuti meno, per effetto delle novelle apportate alla l. fall. tra gli anni 2005 e 2012, i
vincoli di “contenuto” relativamente al piano di concordato, nel vigore della nuova normativa si è
diffuso l’utilizzo della medesima locuzione anche per le forme di commistione fra concordato con
«cessione dei beni» e concordato «con continuità aziendale» (v., ex multis, DI MARZIO, L’offerta;
BRANCADORO, Il piano), con la conseguenza che l’espressione «concordato misto» ha assunto un
significato non necessariamente collimante con quello precedente. Nella presente trattazione, si
utilizzerà il binomio «concordato misto» principalmente per indicare la compresenza di beni (e/o
garanzie) riferibili al debitore e a un terzo.
75
In molti casi il socio è rappresentato dalla società controllante: Trib. Reggio Emilia, 21
ottobre 2014; Trib. Chieti, 14 maggio 2013, ove si tratta di società a socio unico; Trib. Mondovì,
16 settembre 2005; Trib. Pescara, 11 ottobre 2011; per un caso di socio persona fisica: Trib.
Ravenna, 4 aprile 2013. Cfr. GALLETTI, Trust liquidatorio, 638, che, oltre a individuare un
possibile incentivo alla “partecipazione” dell’amministratore nel timore di eventuali azioni di
responsabilità nel caso di fallimento, aggiunge al novero dei soggetti “terzi” potenzialmente
disponibili a fornire apporti i potenziali destinatari di azioni revocatorie.
76
Trib. Parma, 3 marzo 2005; in un contesto diverso (fallimento), cfr. Trib. Bologna, 27
luglio 2010; Trib. Bologna, 2 marzo 2010.
77
Così Trib. Chieti, 14 maggio 2013; Trib. Ravenna, 4 aprile 2013; Trib. Pescara, 11
ottobre 2011; Trib. Mondovì, 16 settembre 2005; la sola eccezione è rappresentata da Trib. Parma,
3 marzo 2005, ove l’atto istitutivo prevedeva che il trustee coincidesse con la figura del
commissario giudiziale e che spetti al Tribunale la nomina del protector; critico, con riguardo alla
sovrapposizione dei ruoli di commissario e trustee, LO CASCIO, Il concordato preventivo ed il
trust, 251.
-164-
alcuni precedenti 78 , è stata proposta – e ritenuta ammissibile ai fini dell’apertura della procedura – l’istituzione di un trust “di scopo” (i.e., senza beneficiari, ma con nomina obbligatoria di «guardiano»: v. supra, capitolo I, § 7), mentre in tutte le altre ipotesi si è optato per il trust “tradizionale”. È diffusa la previsione della figura del protector, il quale spesso viene identificato nel commissario giudiziale 79 o in un altro soggetto da nominarsi a cura del tribunale80. Si può registrare, inoltre, una fattispecie analoga di trust nel concordato preventivo, che presenta un’articolazione più complessa dello schema di base ora descritto. Si fa riferimento al caso in cui il trust si pone in rapporto funzionale con l’assunzione del concordato81. Nello specifico precedente in esame, la società controllante si accolla l’intera esposizione debitoria della controllata (debitrice) e, oltre a risultare al contempo trasferitaria del residuo patrimonio attivo di quest’ultima, istituisce un trust nel quale confluiscono sia tutti i beni acquisiti dalla debitrice “principale” sia il patrimonio (interamente o parte dello stesso) del quale la holding è titolare e del quale, di conseguenza, i creditori concordatari assumono la proprietà beneficiaria. Anche in questo caso, l’attività liquidatoria – costituendo, dal punto di vista delle modalità di soddisfazione, un concordato con cessione – viene affidata al trustee, la cui individuazione e nomina spetta al Tribunale82, sotto la supervisione del commissario giudiziale, in qualità di protector, dei creditori/beneficiari e – parrebbe in ultima istanza – del giudice delegato 83 . La maggiore complessità dell’operazione si apprezza non solo (e non tanto) perché nell’ipotesi di base non vi è un’assunzione in senso tecnico del debito da parte del terzo/disponente/garante 84 , ma soprattutto perché il trust si realizza congiuntamente sui beni della controllata e dell’assuntore. 78
Trib. Ravenna, 22 maggio 2014 (in questo caso, il trustee è individuato nella persona del
«liquidatore giudiziale pro tempore nominato»; Trib. Chieti, 14 maggio 2013; Trib. Ravenna, 4
aprile 2013.
79
Trib. Ravenna, 4 aprile 2013.
80
Trib. Parma, 3 marzo 2005, atto istitutivo. Per quanto riguarda la legge applicabile, non
appare allo stato possibile, in ragione degli elementi a disposizione valutare quale sia
l’ordinamento “preferito” dalla prassi per la disciplina sostanziale del trust: l’unico dato a
disposizione è quello relativo al Tribunale di Parma, 3 marzo 2005, nel quale si è optato per
l’ordinamento inglese.
81
Trib. Napoli, 19 novembre 2008-12 marzo 2009.
82
Trib. Napoli, 12 marzo 2009.
83
Trib. Napoli, 12 marzo 2009.
84
Sotto questo profilo, i confini tra le due fattispecie sembrano essere in realtà piuttosto
labili, se si considera che, entro certi termini, sebbene in mancanza di un atto espresso di accollo, il
-165-
Dal punto di vista della funzione svolta, è stata individuata una pluralità di ragioni a fondamento dell’utilizzo del trust quale “veicolo” dell’apporto fornito dal terzo o dall’assuntore alla procedura concordataria. In primo luogo, si è ritenuto che siffatto istituto sarebbe idoneo a fornire una garanzia «atipica» a beneficio dei creditori concordatari e capace di evitare l’insorgere delle criticità presentatesi – nell’ambito del concordato «misto» e del concordato con assunzione – con riferimento all’interazione fra la procedura e le vicende patrimoniali del terzo. Più nello specifico, il “vincolo di destinazione” creato sul trust fund (: i beni del terzo) permetterebbe di assicurare “stabilità” alla contribuzione patrimoniale proveniente dal patrimonio del medesimo. Il problema della “stabilità”, invero, dell’apporto e dell’impegno del terzo era considerato immanente tanto al concordato misto quanto a quello con assunzione, atteso che i beni del terzo rimanevano estranei all’effetto protettivo di cui all’art. 168 l. fall., con la conseguenza che erano soggetti alle iniziative esecutive dei creditori personali del garante (e dell’assuntore), e, per l’effetto, non potevano reputarsi definitivamente acquisiti alla massa attiva a disposizione del concordato (o dell’assuntore)85. Precipuamente con la finalità di risolvere – rectius evitare alla radice – dette problematiche concorsuali si spiega, secondo la giurisprudenza e parte della dottrina, terzo settlor diventa “garante” dell’obbligato principale il quale non beneficia di un onere di
preventiva escussione del patrimonio di quest’ultimo: al contrario, i beni vincolati in trust sono
immediatamente a disposizione della massa. La differenza principale – e con conseguenze assai
rilevanti ai presenti fini – pare ridursi al fatto che, mentre nel concordato misto la debitrice rimane
titolare del proprio residuo patrimonio attivo (fino ovviamente alla liquidazione del medesimo),
nel concordato con assunzione tutto il residuo attivo viene trasferito all’assuntore (v., infra, nota
96) e diventa – in mancanza di tecniche di articolazione patrimoniale – parte del suo patrimonio
generale.
85
GUGLIELMUCCI, Diritto, 330, nota 5; ID., La riforma, 82 ss.; PANZANI, Ipotesi, 341; con
riferimento al concordato con assunzione, v. DI CATALDO, Il concordato, 266 s.; parte della
giurisprudenza, tuttavia, risolveva il problema facendo leva sul significato pubblicistico della
procedura di concordato (non solo fallimentare, ma anche preventivo), con la conseguenza che
l’effetto degli artt. 167 e 168 l. fall. verrebbero estesi anche al terzo garante o assuntore: v. Cass.,
11 maggio 1978, n. 2295; Cass., 16 aprile 1996, n. 3588); cfr. sul punto LO CASCIO, Il concordato
preventivo, 204 ss., il quale sosteneva che gli effetti protettivi, dopo l’omologazione, si
estendessero anche al patrimonio del terzo, in virtù della natura pubblicistica della procedura e
degli interessi a essa sottostanti. Siffatte impostazioni non possono più ritenersi accoglibili con
riferimento alla procedura di concordato preventivo come attualmente inquadrata
dall’ordinamento; infatti, successivamente alla riforma della legge fallimentare, la tesi è stata
abbandonata anche dall’A.: ID., Il concordato preventivo ed il trust, 250. Ciò rende nuovamente
attuale la questione della suscettibilità del patrimonio del terzo a essere esposto alle aggressioni dei
creditori personali dello stesso, come rilevato dalla citata Trib. Parma, 3 marzo 2005; nella
giurisprudenza pre-riforma, v. Trib. Roma, 5 aprile 1996.
-166-
l’applicazione del trust in esame, nella parte in cui opererebbe quale garanzia atipica (anche) su attività riferibili a patrimoni distinti da quello della società soggetta a concordato, dotata di particolare “resistenza”, ponendo tali beni al riparo dall’aggressione da parte dei creditori personali del terzo86. Sempre nell’ottica della protezione del patrimonio del terzo si coglie un secondo vantaggio che si potrebbe ritenere conseguibile con il trust nell’ambito del concordato con assunzione. In particolare, l’istituzione del trust sui beni del terzo assuntore potrebbe essere di ausilio in quelle situazioni in cui al generico accollo del debito della società in concordato da parte dell’assuntore non può corrispondere – per impossibilità e/o per difficoltà tecniche – la concessione di una garanzia tipica da parte di quest’ultimo. In siffatte ipotesi, la mera assunzione da parte della società controllante dell’obbligo di soddisfare i creditori della controllata, in difetto di una garanzia reale, lascerebbe in ogni caso il patrimonio della prima esposto alle azioni dei creditori della società madre. Una soluzione per detto problema potrebbe essere costituita dall’attribuzione di una “garanzia reale atipica”, sotto forma di trust, a beneficio dei creditori concorsuali, la quale permetterebbe non solo una sicurezza nella stabilità dell’apporto, in termini di sottrazione dello stesso dai creditori personali dell’assuntore, ma anche una forma oltremodo agevole di «concreta esecuzione» dell’obbligo assunto87. Il coinvolgimento del trust nel concordato preventivo con intervento di terzi servirebbe, perciò, a risolvere un duplice ordine di problemi: da una parte, quello della “stabilità” dell’apporto del terzo – in quanto tale escluso dal perimetro di applicazione dell’art. 168 l. fall. –; dall’altra, quello della pratica attuazione del generico impegno del terzo; sempre, però, nella prospettiva della tutela del patrimonio di quest’ultimo dalle 86
Con specifico riferimento al concordato «misto», v., in giurisprudenza, Trib. Parma, 3
marzo 2005; Trib. Ravenna, 22 maggio 2014 (anche con riferimento al vincolo di destinazione ex
art. 2465-ter c.c.); in senso opposto, Trib. Reggio Emilia, 21 ottobre 2014; Trib. Reggio Emilia, 12
agosto 2014; in dottrina SANTAGATA, sub art. 2447-novies, 423 s.; PANZANI, Trust, 556 e 558;
GALLARATI, La composizione, 125 s.; D’ARRIGO, L’impiego, 465; POLI, Concordato, 599, 601;
relativamente al trust sui beni dell’assuntore, cfr. Trib. Napoli, 19 novembre 2008; LO CASCIO, Il
concordato preventivo ed il trust, 251; ID., Proposta, 592; CAPRIOLI, Assunzione, 100.
87
Trib. Napoli, 19 novembre 2008; GALLETTI, sub art. 160, 2298, nota 99; senza esplicito
riferimento al concordato con assunzione, ma esprimendo considerazioni suscettibili di estensione
a detta ipotesi, LO CASCIO, Il concordato preventivo ed il trust, 251; CAPRIOLI, Assunzione, 100.
-167-
iniziative dei suoi creditori personali 88 . Ora, la valutazione in ordine all’idoneità del trust a svolgere a dette funzioni solleva nuovamente il tema, più volte affrontato nel corso della presente trattazione, della capacità dello strumento fiduciario ad operare quale tecnica di protezione patrimoniale. Con riferimento sia al trust puramente liquidatorio (cap. I, § 5) sia ai piani attestati e agli accordi, si è già detto della estraneità di tale concetto al trust “tradizionale”, la quale, unitamente a una valutazione dei tratti caratteristici della disciplina della moratoria nell’ordinamento italiano, ha condotto a esprimere un giudizio tendenzialmente negativo sull’interrogativo in questione. Il problema si pone in termini sostanzialmente non dissimili nell’ambito qui analizzato, con la conseguenza che la “stabilità” dell’apporto del terzo, veicolato nel trust, non può che assumere sempre caratteristiche piuttosto “deboli”, essendo suscettibile di essere travolta (o comunque superata) in conseguenza: di un’azione revocatoria ordinaria89; in applicazione dell’art. 64 l. fall. 90 o per effetto della revocatoria fallimentare, nell’ipotesi di un successivo fallimento del “terzo”; in applicazione della disciplina di cui agli artt. 2555 c.c. ss., ove nell’atto di disposizione a favore del trustee siano rinvenibili gli elementi costituiti di un fenomeno circolatorio d’azienda. A differenza del trust che miri alla protezione del patrimonio della società disponente – ed eventualmente alla sua liquidazione (cfr. capitolo I) –, il caso ora in esame, tuttavia, non rappresenterebbe un’ipotesi di “non riconoscibilità” attuale dell’attribuzione fiduciaria, che rimarrebbe quindi interinalmente efficace fino all’eventuale revoca (ordinaria o fallimentare): ciò, in considerazione della diversità degli interessi sottostanti alle due fattispecie. 88
Con riferimento all’assuntore, un ulteriore profilo viene sollevato da GALLARATI, La
composizione, 147 s., ove viene argomentata la possibilità che le partecipazioni della newcoassuntore del concordato, attribuite ai creditori, vengano trasferite a un trustee, che verrebbe
dunque a esercitare tutti i diritti tipici della posizione sociale nellasocietà di nuova costituzione.
89
La considerazione è pressoché unanimemente condivisa: GALLARATI, La composizione,
131; GALLETTI, Trust liquidatorio, 642 ss.; SANTAGATA, sub art. 2447-novies, 424; Trib. Reggio
Emilia, 12 agosto 2014, che in concreto ha negato, infatti, l’idoneità del trust a fungere da mezzo
con il quale i beni dei terzi possano essere stabilmente destinati alla soddisfazione dei crediti
concordatari; Trib. Reggio Emilia, 21 ottobre 2014.
90
GUGLIELMUCCI, La riforma, 84; cfr., però, SANDULLI, La nuova, 613, che ritiene che la
concessione di garanzie per operazioni di finanziamento altrui, «a favore di chi [ha] compiuto un
sacrificio patrimoniale», non possa essere qualificata come atto a titolo gratuito, ma rientri al
contrario nella nozione dell’art. 67, comma 2° («atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un
diritto di prelazione per debiti, anche di terzi»).
-168-
A una conclusione parzialmente alternativa potrebbe, forse, giungersi nel caso del concordato con assunzione da parte della capogruppo, sulla scorta del rilievo che, in detta ipotesi, l’atto di disposizione a favore del trustee non presenta le caratteristiche degli atti a titolo gratuito di cui all’art. 64 l. fall. – se ed in quanto collocato nel più ampio contesto dell’operazione di ristrutturazione di gruppo – ma dovrebbe dunque qualificarsi quale atto giustificato dalle esigenze di tutela del valore della partecipazione nella controllata. Anche in tale caso, tuttavia, rimarrebbe la possibilità per il curatore di impugnare l’atto ai sensi dell’art. 67, comma 1°, n. 1)91. A questo punto del discorso, sembra opportuno esplicitare alcuni ulteriori profili applicativi del trust nel concordato misto e/o con assunzione, sui quali la letteratura non sembra essersi particolarmente soffermata. Il primo aspetto che qui interessa sembra, in realtà, implicito ad alcune delle ipotesi analizzate, quanto meno a quelle connotate da un’elevata complessità92. Nei casi caratterizzati dalla presenza (oltre che di una pluralità di creditori 93 ) di complessi di beni eterogenei (mobili, immobili, crediti, beni immateriali) riferibili a soggetti giuridici distinti, il cui pieno valore emerge soltanto ove gli stessi siano fra loro integrati (come spesso accade nell’ambito dei gruppi), l’utilità del trust si può apprezzare soprattutto nella parte in cui consente di “convogliare” in unico atto (la costituzione del trust, appunto) il rilascio di una “garanzia” (atipica), unitaria ma relativa a siffatta molteplicità di beni94. Così facendo, sarebbe possibile: sostituire il rilascio di plurime garanzie (tipiche), ciascuna riferita a un singolo bene, con il solo atto istitutivo del trust, per un verso; attribuire una garanzia su un complesso di beni funzionalmente 91
Salvo sostenere che sono compresi nella nozione di «atti» o «garanzie» beneficianti
dell’esenzione da revocatoria di cui all’art. 67, comma 3°, lett. e), anche l’assunzione (o altri atti di
garanzia) prestata da terzi (nel caso di specie, la controllante): così ROSAPEPE, in AA.VV., Diritto
fallimentare2, 261: D’AMBROSIO, sub art. 67, 991; BONFATTI-CENSONI, Manuale, 269 s.; in senso
affermativo, quanto agli accordi di ristrutturazione, ROPPO, Profili, 386 s.; BONFATTI, Gli
incentivi, 30; e v., ancora, SANDULLI, La nuova, 613; sembra esprimere un’opinione contraria,
riguardo agli accordi di ristrutturazione, INZITARI, Gli accordi, 22.
92
E cioè a quella giudicata da Trib. Napoli, 19 novembre 2008.
93
Il che, nell’ambito di una procedura giudiziale, non desta quei problemi di azione
collettiva che si verificano, per contro, in una situazione puramente “privata”.
94
In generale, sulle problematiche giuridiche scaturite a seguito dell’esigenza, avvertita
dalla moderna prassi commerciale, di beneficiare di forme di garanzie prive dei connotati
tradizionalmente “statici” delle garanzie reali: GABRIELLI, “Forma”, 449 ss. Cfr., inoltre, DI
MARCELLO, Flussi, 45 ss. Specificamente sul pegno rotativo, v., tra i molti, GABRIELLI, Il pegno,
passim; M. RESCIGNO, Le garanzie, 1 ss.; DELLE MONACHE, Una parola, III ss.; MALVAGNA,
Sulle clausole.
-169-
collegati e soltanto parzialmente determinati (ad es., l’intera azienda), introducendo un meccanismo analogo a quello proprio della floating charge di diritto inglese, per l’altro95. Il secondo effetto investe, invece, le problematiche tradizionalmente sollevate dagli effetti “confusivi”, per i patrimoni dei soggetti coinvolti, dell’assunzione del concordato. Per quanto riguarda il lato passivo del patrimonio trasferito, la tematica è stata affrontata dalla dottrina e dalla giurisprudenza con particolare riferimento alla questione della responsabilità (e della sua limitabilità “convenzionale”) dell’assuntore nei confronti dei debiti concordatari (rectius concorsuali, trattandosi, fino al 2005, soltanto di concordato fallimentare): per effetto dell’accollo, l’intero patrimonio dell’assuntore viene di per sé messo illimitatamente a disposizione dei diritti dei creditori concordatari96. Sotto questo profilo, potrebbe essere costituito un trust quale mezzo – particolarmente efficace – attuativo di una clausola limitatrice della responsabilità, ove ritenuta necessaria (e ammissibile)97, alternativo alla costituzione, ad esempio da parte dei creditori che intendano rendersi assuntori, di una società ad hoc. 95
Cfr. anche DI LANDRO, Trust, 355, testo e nota 10.
Da ultimo CAPRIOLI, Assunzione, 98 ss., il quale, da un angolo visuale societario,
individua in tale fattispecie un caso di alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento dei
soci che giustificherebbe una competenza assembleare implicita (sul tema, cfr. per tutti PORTALE,
Le competenze, 3 ss.); GHIGNONE, Gli effetti, 199; con riferimento al concordato fallimentare, la
discussione si è storicamente soffermata sulla estensione o meno della responsabilità
dell’assuntore ai crediti non ancora ammessi al passivo: per la tesi della “naturale” limitazione
della responsabilità ai crediti ammessi, v. DI CATALDO, Il concordato, 195 ss. (e, per una critica
delle opposte tesi, 170 ss.), ove viene anche sostenuta (163) la limitazione del privilegio generale
vantato dai creditori concorsuali ai beni provenienti dal fallito; ID., Assuntore, 491 s.;
TERRANOVA, L’assuntore, 100 ss.; SCHIAVON, Il concordato, 155 ss. (ove riferimenti alla
giurisprudenza contraria, che si esprimeva nel senso della responsabilità illimitata dell’assuntore);
ID., Obblighi, 795 s.; MARCELLINO, Considerazioni, 1653; DI SABATO, Tipicità, 460.
Relativamente al concordato fallimentare, la questione sembra risolta, a seguito della riforma del
2005-2007, dall’art. 135, comma 1°, l. fall.: cfr. A.M. PERRINO, Concordato, 782.
97
Relativamente al concordato preventivo, dopo la riforma, ritengono legittima una
clausola di limitazione della responsabilità ai soli debiti risultanti dalle scritture contabili:
RACUGNO, Concordato, 499; CALANDRA BUONAURA, Concordato, 257; JORIO, Il concordato
preventivo, 975, il quale condiziona siffatta eventualità alla non liberazione del debitore; contra
GALLETTI, sub art. 160, 2299; LO CASCIO, Il concordato preventivo nel quadro degli istituti di
risanamento, 145 s., sulla base del difetto, nel concordato preventivo, di un accertamento del
passivo nonché per pretesa incompatibilità con l’art. 184 l. fall.
Con riferimento alla clausola di limitazione della responsabilità dell’assuntore di
concordato fallimentare ai creditori concorsuali ammessi – oltre agli Autori citati alla nota 94 –, v.,
in giurisprudenza, Trib. Pinerolo, 23 luglio 2012, con nota di GRIFFINI, Mutamento; PERRINO,
Concordato, 781 s.; MONTANARI, Clausole, 541 ss.; per i riferimenti alla precedente
giurisprudenza (la quale, come accennato, si pronunciava per il carattere “naturalmente” illimitato
96
-170-
L’altro versante dalla questione attiene, però, ai rapporti patrimoniali che si instaurano, in conseguenza della traslazione delle attività del debitore nella sfera giuridica dell’assuntore – che si realizza immediatamente per effetto della sentenza di omologazione 98 –, tra creditori concordatari e creditori personali di quest’ultimo. Si può notare che il fenomeno traslativo porta con sé un “aggravamento” del rischio sopportato dai creditori concordatari, atteso che il patrimonio (dell’assuntore) non è a loro (esclusiva) disposizione, essendo soggetto anche alle iniziative esecutive dei creditori personali: non solo sui beni che appartenevano al patrimonio della società assuntrice prima dell’assunzione – il che, come si intuisce, difficilmente può essere interpretato come un “aggravamento” del rischio dei creditori concordatari –, ma soprattutto sul residuo attivo del debitore originario99, di per sé istituzionalmente deputato alla soddisfazione dei creditori concordatari. Nell’ambito di tale riflessione, si può scorgere un potenziale utilizzo del trust di particolare interesse: il ricorso all’istituto da parte dell’assuntore, nel quale potrebbe essere vincolato (almeno) il residuo attivo proveniente dalla società debitrice, consentirebbe di attuare un’articolazione patrimoniale in capo all’assuntore – non “artificiosa” ma della responsabilità dell’assuntore), MARCELLINO, Considerazioni, 1654, nota 5; contra JORIO, Le
crisi, 728 s.
98
Ora, con riferimento al concordato preventivo, cfr. Trib. Verona, 4 agosto 2006, e il
commento di GHIGNONE, Gli effetti, 198; NIGRO-VATTERMOLI, Diritto, 350; ritengono legittima la
previsione di un effetto traslativo limitato a soltanto una parte del patrimonio del debitore:
CALANDRA BUONAURA, Concordato, 257 s.; SANTONI, Contenuto, 522; JORIO, Il concordato
preventivo, 975 s.; GALLETTI, sub art. 160, 2299. In precedenza, sul concordato fallimentare, Trib.
Napoli, 13 dicembre 1993, sulla quale v. DI SABATO, Tipicità, 453 ss., in senso critico quanto
all’esistenza di uno schema tipico di concordato con assunzione e, in particolare, quanto
all’inderogabilità della cessione dell’attivo fallimentare all’assuntore, nel caso di assunzione con
effetto liberatorio a beneficio del debitore; DI CATALDO, Il concordato, 249 ss.; in argomento cfr.,
altresì, SCHIAVON, Il concordato, 157 s., anche per i necessari richiami giurisprudenziali. Nel
senso della validità di una clausola di differimento degli effetti traslativi, tuttavia, v. Cass., 28
febbraio 2007, n. 4766.
99
E, infatti, cfr. DI CATALDO, Il concordato, 257 e 266 ss., il quale, oltre a considerare non
«equa l’idea di precludere ai creditori personali [dell’assuntore] l’aggressione dell’attivo
fallimentare, riservandolo ai soli creditori concordatari», ritiene che, una volta accettata la tesi
dell’effetto immediato del trasferimento della proprietà sulla massa attiva (dal fallimento
all’assuntore), non possa essere tecnicamente precluso ai creditori personali di quest’ultimo – in
virtù «vuoi [del] principio di tipicità delle cause di prelazione vuoi [dell’] irrealizzabilità di
patrimoni autonomi» – l’esercizio dell’azione esecutiva sull’intero suo patrimonio, inclusa la
massa attiva trasferitagli; GHIGNONE, Gli effetti, 199; SCHIAVON, Il concordato, 159, secondo il
quale, però, «il rischio di dispersione dell’attivo è, tutto sommato, solo teorico e controbilanciato
dal fatto che i creditori concorsuali acquisiscono la garanzia sui beni personali dell’assuntore».
-171-
– che rifletterebbe il sostanziale assetto di interessi sottostante al meccanismo fiduciario. In altri termini, un trust con siffatte caratteristiche permetterebbe di evitare una confusione patrimoniale nella quale l’attivo della società in concordato, che prodromicamente già appartiene (e, dopo, “definitivamente” nell’ipotesi di un successivo fallimento del debitore originario) ai suoi creditori – la cui gestione, proprio per tali ragioni, viene limitata da una serie di cautele e accorgimenti quasi fiduciari100 – venga loro sottratto senza una ragione giustificatrice, che non sia il mero rilievo formale del trasferimento “integrale” del patrimonio in capo all’assuntore. Merita di essere osservato che, in questo caso, il trust godrebbe di una resistenza sì particolarmente intensa, a differenza dei trust di “protezione patrimoniale” con finalità di moratoria “privatistica”, tanto se riferiti ai beni del debitore (nell’ambito delle soluzioni contrattuali della crisi: piani e accordi) quanto ai beni di terzi nel concordato. Infatti, nel caso da ultimo delineato, non si tratta di isolare attivi dal loro patrimonio “naturale” e, quindi, di sottrarli – a prescindere da ogni valutazione di “meritevolezza” – alla loro “naturale” destinazione alla soddisfazione dei creditori che su detto patrimonio fanno affidamento, bensì di mantenere una “destinazione” originariamente impressa a tali beni, da parte non dell’autonomia privata, bensì dei basilari principi del diritto della crisi dell’impresa esercitata in regime di responsabilità limitata. 100
Per l’idea – che sembra rieccheggiare, in una certa misura, la c.d. «trust fund doctrine»,
in passato diffusa nel diritto societario americano, ma ora a dire il vero ritenuta superata (cfr., per
tutti, ROE, Corporate Reorganization, 475 ss.; BOGERT-BOGERT-HESS, Bogert’s, vol. 1, § 16, 223
ss.) secondo la quale gli amministratori di corporation detengono il patrimonio della società in
trust per i creditori sociali – per cui «l’amministrazione concordataria (similmente a quella
fallimentare) può considerarsi una sorta di trust tipico», v. GINEVRA, L’utilizzo, 846.
-172-
-173-
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Trib. Napoli, 3 marzo 2014, in ilCaso.it. Trib. Reggio Emilia, 12 agosto 2014, in ilCaso.it. Trib. Reggio Emilia, 21 ottobre 2014, in ilCaso.it. COMMISSIONI TRIBUTARIE Comm. Trib. Prov. Lodi, 12 gennaio 2009. Comm. Trib. Prov. Bologna, 30 ottobre 2009. Comm. Trib. Prov. Pesaro, 9 agosto 2010, in Trusts, 2011, 148. Comm. Trib. Prov. Padova, 9 luglio 2013, in ilCaso.it. REGNO UNITO Twyne (1601) 76 Eng. Rep. 809. Saunders v Vautier (1841) 4 Beav. 115. Barclays Bank Ltd v. Quistclose Investments Ltd [1970] AC 567. In re Kayford Ltd (In Liquidation) [1975] 1 W.L.R. 279. Carreras Rothmans Ltd v. Freeman Mathews Treasure Ltd [1985] Ch 207. Re Chelsea Cloisters Ltd [1981] 41 P.&C.R. 98. Re Lewis’s of Leicester Ltd [1995] B.C.C. 514. In re Halson Packaging Ltd [1997] B.C.C. 994. Armitage v. Nurse [1998] Ch. 254. In re Arthur Rathbone Kitchens Ltd [1998] B.C.C. 452. In re Excalibur Airways Ltd [1998] 1 B.C.L.C. 437 King v Antony [1998] 2 B.C.L.C. 517. Foskett v. McKeown [2001] 1 AC 102, 128. Welsby v Brelec Installations Ltd [2001] B.C.C. 422. Re Kudos Glass Ltd (in liq.) [2002] B.C.C. 417. Re N T Gallagher & Son Ltd [2002] 3 All E R 476. Twinsectra Limited v. Yardley [2002] 2 AC 164. -221-
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In re Bankers Trust Co. (2006) 450 F.3d 127. BNP Paribas Mortg. Corp. v. Bank of America (2011) 778 F.Supp.2d 401. Howe v. Bank of New York Mellon (2011) 783 F.Supp.2d 483. In re Mortensen (2011) WL 5025249. In re Lightstyles, Ltd. (Bankr. M.D. Pa. 2012). Asr Levensverzekering NV v. Breithorn ABS Funding P.l.c. (2013) 958 N.Y.S.2d 380. In re Sears (2013) WL 2147803. Bank of New York Mellon v. Builders Financial Corp. (2013) WL 1568171. NUOVA ZELANDA General Communications Ltd v. Development Finance Corpn Yardley [1990] 3 NZLR 406. AUSTRALIA Re Australian Elizabeth Theatre Trust [1991] ALR 681. JERSEY In re Esteem Settlement [2002] JLR 53. -223-
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