La crisi di Suez e la “special relationship” anglo-americana di Michael Dunne* Premessa opo l’11 settembre, con l’immensa perdita di vite umane e le distruzioni materiali causate dagli attentati contro il World Trade Center e il Pentagono, i due simboli della potenza economica e militare degli Stati Uniti, la “special relationship” angloamericana ha trovato nuovo vigore. Nessun alleato si è dimostrato più vicino al Presidente Bush e al popolo americano del governo di Tony Blair e della popolazione britannica. E’ stata una solidarietà che ha superato persino quella della Guerra del Golfo del 1990-1991 tra John Major e Bush padre e che ha richiamato gli anni della signora Thatcher e di Ronald Reagan, quando, con l’eccezione di Grenada nel 1983, le due “anime gemelle” conservatrici combatterono contro nemici comuni, all’interno e all’esterno: i Sandinisti in Nicaragua; i minatori nel nord e nel centro dell’Inghilterra; le pretese dell’Argentina sulle isole Malvinas, le Falkland per gli inglesi; la Libia del colonnello Muhammar Gheddafi; e contro l’Unione Sovietica di Breznev, Andropov e Chernenko, prima che Mikhail Gorbachev si imponesse sulla scena e cominciasse a “fare affari” con i due energici crociati della guerra fredda. Prima di esaminare le relazioni tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna nel contesto della crisi di Suez, bisogna però ricordare che gli Stati Uniti nacquero proprio da una guerra combattuta contro gli inglesi, dal 1776 al 1783. Anche la guerra del 1812 (da alcuni chiamata la seconda guerra d’indipendenza) vide l’America di fronte alla Gran Bretagna. La loro terza guerra, la guerra messicana del 1846-1848, fu in parte dovuta al timore delle mosse inglesi a favore dell’indipendenza texana. La quarta guerra, la Guerra Civile, vide la società e il mondo politico D *Professore di Studi Americani, Università del Sussex Docente, Centro Studi Relazioni Internazionali, Università di Cambridge britannico divisi tra il sostegno all’Unione e alla Confederazione. Una simile reazione inglese, anche se meno intensa, accompagnò la guerra ispanoamericana del 1898, quasi un riflesso della spaccatura nella società americana di fronte alla guerra anglo-boera. Fu solo con l’inizio del nuovo secolo che la diplomazia britannica acquisì le lezioni geopolitiche del periodo napoleonico e le tradusse in un nuovo orientamento di politica estera: mai avere alle spalle un’America ostile mentre la Gran Bretagna fronteggia le sue reali ed immediate minacce al di là del Mare del Nord. Il prolungato risentimento di alcuni ambienti inglesi per il “ritardato arrivo” degli americani nelle due guerre mondiali nascondeva l’amara consapevolezza che solo il massiccio intervento americano aveva consentito all’Inghilterra di prevalere per due volte nei confronti della Germania e, ancor di più, di sconfiggere il Giappone nel 19451. Il Regno Unito e l’Egitto alla vigilia della crisi di Suez Quando Churchill, durante la Seconda Guerra Mondiale, parlò della “fine dell’inizio”, si riferiva ai successi inglesi nella campagna nord-africana e alla conseguente posizione di sicurezza ottenuta per l’Egitto, paese chiave tra l’Africa e il Medio Oriente e, soprattutto, collegamento marittimo tra il Mediterraneo e gli Oceani Indiano e Pacifico, rotta per il commercio e passaggio obbligato per la Royal Navy verso l’impero britannico in Asia e Pacifico. Questi mari erano stati uniti fin dai tempi dei faraoni da Nord a Sud dal fiume Nilo, da est a ovest dai canali; ma fu merito della Francia, nel diciannovesimo secolo, dei disegni imperiali e degli studi militari di Napoleone, del genio ingegneristico e commerciale di Ferdinand de Lesseps, l’impresa di aprire una via d’acqua che corresse da Est del Delta del Nilo verso Sud, fino al Golfo di Suez, il braccio nord-occidentale del Mar Rosso2. Dalla sua inaugurazione nel 1869 (celebrata nell’Aida di Verdi), la Compagnie Universelle du Canal Maritime de Suez, i cui maggiori azionisti erano inizialmente francesi e in seguito anche inglesi con una partecipazione diretta anche dello Stato, controllava tutti gli aspetti del Canale di Suez all’interno di un Egitto che, nonostante la formale indipendenza raggiunta nel 1923 dopo il crollo dell’Impero Ottomano, rimaneva di fatto un protettorato britannico. Il regime legale internazionale del Canale venne stabilito nella Convenzione di Costantinopoli del 1888, che prevedeva il libero passaggio per le navi in tempo di pace e di guerra. Non esisteva una data di scadenza per la Convenzione; ma i titoli della Compagnia del Canale, della durata di 99 anni, concessi dal Khedivè Ismail Pascià, era previsto che tornassero, nel 1968, alla sovranità giuridica dell’Egitto, proprio come una proprietà in affitto torna al proprietario 3. La rivoluzione egiziana del 1952 aveva visto l’estromissione del filo-britannico re Faruk da parte dei “Giovani Ufficiali” di Gamal Abdel Nasser e la proclamazione, l’anno seguente, della repubblica. Il cuore del programma politico nasseriano era l’allontanamento delle forze armate britanniche dalle loro basi egiziane: una forza militare straniera di 80.000 uomini stanziata nella zona del Canale di Suez. L’accordo anglo-egiziano del 1954 risolse pacificamente la questione, ma segnò anche l’inizio di due anni di crisi, sfociati in una guerra, le cui origini profonde risalgono non solo nella questione della proprietà e del controllo del Canale, ma nell’utilizzazione del Nilo e nella contemporanea politica mediorientale, tra cui soprattutto il conflitto arabo-israeliano. Dietro a questi fattori locali stava il confronto globale tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica: il conflitto politico ed ideologico che i contemporanei hanno chiamato guerra fredda. La guerra fredda in Medio Oriente Fino alla metà degli anni ’50, a parte il contrasto sovietico-americano nell’Iran musulmano e in Turchia nelle ultime fasi della seconda guerra mondiale, la guerra fredda non era stata un fattore determinante nello scenario mediorientale. La questione chiave nell’area era stata invece la divisione della Palestina, ex mandato britannico, e la creazione dello Stato d’Israele in una guerra sanguinosa (1948-1949). Mentre Londra aveva cercato di mantenere la sua influenza in Iraq e Giordania, Parigi, piuttosto che cercare di gestire la propria eredità in Siria e Libano, aveva scelto di privilegiare il mantenimento della propria presenza nel Maghreb, in Algeria innanzitutto. Gli Stati arabi successori dei mandati anglo-francesi, più la Libia, l’Arabia Saudita e lo Yemen, avevano formato nel 1945 la Lega Araba, all’interno della quale l’Egitto era riuscito a ritagliarsi la parte di primus inter pares, un ruolo che era uscito esaltato dal colpo di stato militare di Nasser, tra i cui obiettivi vi era proprio quello di fare dell’Egitto l’indiscusso leader delle nazioni arabe. Ma nel corso del 1955, la formazione di una serie di alleanze che univano l’Iraq, la Turchia, l’Iran e il Pakistan alla Gran Bretagna nel Patto di Baghdad spaccò il mondo arabo, con l’Egitto, la Siria e l’Arabia Saudita particolarmente ostili a questo accordo percepito come una miscela di vecchio imperialismo europeo e di manipolazione di problemi interni nel quadro della guerra fredda. Fonti autorevoli, sebbene non ufficiali, del governo inglese, ammettevano la mancanza di favore popolare in Iraq e in Iran verso il patto di Baghdad; un’ostilità che finì per compromettere soprattutto la filo-britannica monarchia giordana. Contemporaneamente l’Egitto concludeva un accordo per l’acquisto di armi con la Cecoslovacchia, che americani, inglesi e francesi denunciarono, ufficialmente perché stravolgeva l’equilibrio militare arabo-israeliano, ma soprattutto per inserire l’Unione Sovietica, il cui imprimatur era stato individuato dietro l’iniziativa cecoslovacca, nell’equazione mediorientale. (Due elementi, soprattutto, erano stati trascurati dalle potenze occidentali: la vicinanza geografica dell’Unione Sovietica rispetto a quella regione chiamata in russo il “Vicino Estero”; l’offerta di armi americana era vincolata all’adesione egiziana ad un’alleanza militare e all’accoglimento di forze americane, una richiesta che confliggeva con il ruolo che stava assumendo l’Egitto come uno dei paesi leader del movimento dei non allineati). Subito dopo, il governo sovietico fece una pubblica offerta di aiuto agli egiziani offrendo di finanziare in parte il progetto della diga di Assuan sull’Alto Nilo4. Questa offerta, che entrava in competizione con una proposta simile da parte anglo-americana giunta alla fine di un anno segnato da seri scontri di confine tra Israele ed Egitto, segnava il penultimo stadio della crisi di Suez. Verso la crisi di Suez: Egitto e Stati Uniti All’inizio del 1956 la situazione per l’Egitto appariva positiva per due motivi. L’offerta della Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Banca Mondiale) di contribuire allo sforzo finanziario per il progetto della diga di Assuan e l’espandersi del mercato per il cotone e riso egiziano, soprattutto nei paesi del blocco cinosovietico (un terzo delle esportazioni). Un aspetto commerciale che però non si tradusse, all’interno, in un allentamento dei controlli sui comunisti di casa propria e sui loro improbabili compagni di viaggio, i “Fratelli Musulmani”. Al piano dell’alta diga di Assuan (ossia alla prima cateratta) si legavano un aumento dell’energia idroelettrica e quindi una rapida industrializzazione; la regolazione delle inondazioni stagionali del Nilo per diminuirne i perenni costi sociali; l’allargamento delle terre coltivabili così da produrre più raccolti da esportazione. Il progetto della diga era perciò il gioiello del programma nasseriano di modernizzazione: rappresentava il motore indispensabile per potenziare lo sviluppo economico e sociale dell’Egitto e per accrescere il prestigio internazionale dell’Egitto tra le nazioni arabe e il mondo afro-asiatico. (La conferenza di Bandung nell’aprile del 1955 era stato un momento epocale, che aveva visto l’Egitto assumere, insieme all’India, all’Indonesia e alla Jugoslavia, la guida del movimento dei non-allineati, che gli americani chiamarono “blocco afro-asiatico”). Ma negli Stati Uniti gli eventi furono visti in maniera diversa. Due fattori aggravavano la vendita di armi del blocco sovietico: il loro probabile utilizzo contro Israele, un “anatema” per la “lobby ebraica”, il cui peso all’interno del congresso era sempre crescente; il fatto che venissero scambiate con i raccolti che potevano essere esportati dagli stati del Sud, il cui potere politico era sempre stato fortemente rappresentato all’interno del Congresso. Il presidente repubblicano Dwight D. Eisenhower (insieme al suo segretario di Stato John Foster Dulles), sarebbe stato con ogni probabilità rieletto nelle elezioni di novembre; allo stesso modo i Democratici sembravano poter vincere di misura al Congresso; ma nessuno dei due poteva rischiare di crearsi nuovi oppositori politici, né nel Nord urbano né nel Sud rurale. Alla metà di luglio Dulles annunciò che gli Stati Uniti non avrebbero finanziato la diga; una mossa che gli osservatori stranieri interpretarono come ispirata da motivi antisovietici e pro-israeliani. Immediatamente il governo britannico e la Banca Mondiale, che avevano legato i loro impegni al finanziamento americano, ritirarono il loro appoggio. Si trattò di una decisione politica, presentata in termini economici, che spinse l’Egitto ad una risposta adeguata. Il 26 luglio 1956 Nasser annunciò la nazionalizzazione della Compagnia del Canale così che le sue entrate potessero finanziare la diga. Verso la crisi di Suez: Egitto e Gran Bretagna La presenza britannica in Egitto era in ritirata sin dall’estromissione del re Faruk; mentre la sua costruzione di alleanze in Medio Oriente aveva trovato l’ostilità, non solo dell’Egitto, ma anche degli Stati Uniti e della Francia (quest’ultima particolarmente ostile all’Egitto per il suo aiuto alla ribellione algerina). Alla guida del governo di sua Maestà vi era Anthony Eden, che era subentrato a Winston Churchill quale primo ministro conservatore nell’aprile del 19555. Eden si era costruito la sua fama durante gli anni Trenta come un oppositore dell’appeasement britannico: Facing the Dictators intitolò il primo volume delle sue memorie. E quell’esperienza indubbiamente influì sul comportamento di Eden nei confronti di Nasser, che lui chiamava “il Mussolini islamico”. Mentre venivano preparati segretamente piani per una azione militare (che includevano anche il rovesciamento di Nasser), la risposta ufficiale iniziale fu diplomatica: Londra ospitò due conferenze, nei mesi di agosto e settembre, attraverso le quali fu deciso dai britannici (con l’appoggio francese) di strappare il controllo del Canale di Suez agli egiziani piuttosto che accettare i risarcimenti per gli azionisti della Compagnia. (Londra riteneva che indennizzare le perdite finanziarie avrebbe significato accettare la legalità del colpo di mano sulla compagnia. La posizione americana, a seguito delle precedenti espropriazioni petrolifere in Messico e in Iran, era di accettare l’espropriazione di beni di proprietà straniera, ma di richiedere un adeguato compenso). L’Egitto, da parte sua, insisteva sul suo diritto sovrano di possedere, controllare e gestire una via d’acqua interamente interna al territorio egiziano. Le conferenze di Londra mostrarono una Gran Bretagna sempre più divisa dai suoi partner del Commonwealth (con le importanti eccezioni di Australia e Nuova Zelanda); mentre la posizione americana veniva percepita come vacillante, un’oscillazione che infastidiva i sostenitori del governo più di una franca opposizione. Una vicenda simile accadde alle Nazioni Unite, dove le delegazioni francese e britannica difesero le loro posizioni nel Consiglio di Sicurezza con l’uso del veto, ma solo per trasferire il dibattito all’Assemblea Generale, dove i voti negativi furono così numerosi da poterli liquidare come “partito preso”.Anche a Londra il partito conservatore era diviso, mentre la leadership dell’opposizione laburista temeva che Eden, cedendo alle pressioni della Francia, compatta su una posizione di risposta militare, decidesse di usare la forza per tentare di recuperare il canale di Suez. La guerra di Suez Qualunque tipo di operazione militare risultava molto più complicata dopo l’evacuazione, in giugno, delle truppe inglesi dal Canale e il loro stanziamento a Cipro (sede esso stesso di un conflitto etnico tra ciprioti greci e ciprioti turchi, rispettivamente spalleggiati da Atene e da Ankara)6. Ma, contemporaneamente, la situazione ungherese si andava aggravando. Il 29 ottobre, con l’attenzione internazionale concentrata sull’Europa centrale, Israele lanciò un attacco contro l’Egitto attraverso il Sinai, ufficialmente per sradicare i fedayn (guerriglieri suicidi) e per riaprire il Golfo di Aqaba7. Secondo la dichiarazione tripartita del 1950, la Gran Bretagna, la Francia e gli Stati Uniti sarebbero dovuti venire in difesa dell’Egitto preservando le linee dell’armistizio. Invece Londra e Parigi approfittarono dell’invasione per attaccare l’Egitto. Le due potenze europee lanciarono un ultimatum che richiedeva il ritiro di entrambi i contendenti a 16 Km dalle due sponde del Canale e la cessione, da parte dell’Egitto, delle sue basi militari lungo il Canale. Israele, militarmente lontano dal Canale, subito accettò quello che era de facto un invito a occupare il Sinai; l’Egitto comprensibilmente rifiutò e dovette fronteggiare i raid aerei e l’attacco terrestre degli anglo-francesi, e per la prima volta bloccò deliberatamente il Canale alla navigazione (aiutato dalle distruzioni causate dall’operazione militare europea). Eden sostenne sempre l’assenza di una collusione tra la Gran Bretagna ed Israele; una difesa che non fu accettata né allora né dopo, innanzitutto da Washington. La stessa pretesa, da parte francese, fu a prima vista ancora meno credibile, perché Parigi aveva rifornito Israele di aerei da combattimento, con la benedizione americana (i contemporanei giustamente supposero l’esistenza di un coordinamento franco israeliano e di uno anglofrancese, unica combinazione di alleanze in grado di tenere distanziato il governo di Eden da quello del primo ministro israeliano, Ben Gurion). Alla Camera dei Comuni Eden sostenne che l’operazione anglo-francese aveva fermato la guerra israeloegiziana e portato all’intervento delle Nazioni Unite, due risultati positivi; ma l’opposizione parlamentare ribatté che la guerra non dichiarata aveva in realtà affossato l’autorità delle Nazioni Unite, spaccato il Commonwealth, allontanato gli Stati Uniti e creato il rischio di una terza guerra mondiale, poiché l’Unione Sovietica aveva minacciato di usare l’arma nucleare in difesa dell’Egitto. (La CIA e il US Joint Chiefs of Staff non avevano dato credito a queste minacce). Infine, secondo l’opposizione, l’azione militare si era risolta in una carneficina. Psicologicamente, fisicamente e politicamente danneggiato dal fallimento militare, Eden si dimise all’inizio del 1957; mai riuscì a spiegarsi il perché i suoi contemporanei, esclusi i suoi compatrioti, non misero sullo stesso piano la sua risposta militare a Nasser con il suo atteggiamento pre-bellico contro i dittatori europei. Come dichiarò nella sua ultima difesa di fronte al Parlamento: “Per evitare le grandi guerre, bisogna… agire contro le piccole”. L’aggressione anglo-francese (come gli egiziani chiamarono la guerra) durò appena una settimana. Guidate dal delegato americano al Consiglio di Sicurezza e dalla sua controparte canadese nell’Assemblea Generale, le Nazioni Unite crearono una brigata militare multilaterale (UNEF), composta da una dozzina di stati membri, con il compito di imporre il cessate il fuoco. Poco prima di Natale le truppe franco-britanniche completarono il ritiro e le truppe israeliane ritornarono ai confini armistiziali del 1949. L’operazione si era conclusa in un completo fallimento. Tutte le iniziali critiche all’operato di Eden trovarono conferma; mentre il prestigio internazionale della sua bestia nera, il presidente Gamal Abdel Nasser, e dell’Egitto raggiunsero il loro acme post-bellico. La crisi di Suez e le relazioni anglo-americane: il passaggio ad un “Impero informale” Tra la fine del ’46 e l’inizio del ’47 Washington si preparava ad ereditare la lunga egemonia britannica in Grecia e la più recente influenza in Turchia, così come aveva rilevato il ruolo britannico in Iran. Il mondo sarebbe venuto a conoscenza di questi cambiamenti con la dottrina Truman. Durante lo stesso periodo, ma senza una drammatica conclusione fino al 1954, Washington cominciava a subentrare ai francesi in Indocina. Dopo la Dottrina Truman, attraverso il piano Marshall e il ponte aero di Berlino, si sarebbe giunti alla costituzione della NATO (North Atlantic Treaty Organization); dalla crisi indocinese sarebbe scaturita la SEATO (South East Asia Treaty Organization). Nella seconda metà degli anni ‘50 gli americani cercarono di tenere collegati i due sistemi di alleanze, prima attraverso il patto di Baghdad e poi attraverso la CENTO (Central Treaty Organization), all’interno di una catena di alleati che contenesse l’Unione Sovietica e la Repubblica Popolare Cinese. Perciò la geopolitica eurasiatica degli Stati Uniti nei primi anni della guerra fredda si fondò sul declino degli imperi inglese e francese. E mentre il potere territoriale e politico delle due potenze europee tramontava, altrettanto avveniva al loro potere economico in quanto causa ed effetto di questo indebolimento. E in nessun caso questo collegamento fu più evidente che nella crisi di Suez, quando la perdita di circa 280 milioni di dollari nelle riserve inglesi durante il solo mese di novembre (l’equivalente di un anno di esportazioni), unita alla minaccia del Tesoro americano di non sostenere la sterlina senza il ritiro dall’Egitto, minarono l’“avventura imperialistica” dell’Inghilterra. Più di 100 parlamentari conservatori censurarono pubblicamente l’amministrazione Eisenhower per aver minacciato l’Alleanza Atlantica, ma il presidente non aveva alcuna intenzione, come disse, di “trasferire sugli Stati Uniti tutta l’ostilità araba nei confronti di Israele”, sostenendo i due tradizionali alleati europei. (Infatti, l’Arabia Saudita e l’Iraq avevano un'altra preoccupazione: l’esportazione sicura del loro petrolio in Europa). Queste critiche dei conservatori, rafforzate da un ultimo e disperato tentativo di identificare nell’influenza comunista in Egitto la causa dell’attacco, suggerirono la mossa successiva del governo americano, che sembrò quasi una vendetta di quella bizzarra accusa. Nel gennaio del 1957, il presidente Eisenhower, in un messaggio speciale al Congresso, richiese un’azione militare ed economica degli Stati Uniti per combattere il “comunismo internazionale” nell’“area generale del Medio Oriente”, una richiesta che venne tradotta in marzo nella Risoluzione per il Medio Oriente (PL 85-7). Contemporaneamente, il successore di Eden, Harold Macmillan, tenne un summit con Eisenhower nelle isole Bermuda, che confermò che qualunque special relationship non poteva che fondarsi sulla dipendenza britannica dagli Stati Uniti, soprattutto nel definitivo controllo americano sui “Thor” britannici, missili nucleari che solo teoricamente potevano essere considerati indipendenti. Nella vasta area del Medio Oriente, definita come l’area che si estende dal Marocco verso Est fino al Pakistan e alla Turchia e verso Sud fino al Sudan, la Gran Bretagna avrebbe seguito le linee guida tracciate da Washington: non ci sarebbe più stata una politica autonoma da parte di Londra. Plus ça change, plus c’est la même chose. Questi temi sono sviluppati in M. Dunne, "The Treaty of Gent: the British Perspective", Handelingen der Maatschappij voor Geschiedenis en Oudheidkunde te Gent 44 (1990), pp. 35-48. 2 Il Canale si sviluppa per una lunghezza di circa 160 Km., compresi alcuni laghi intermedi. Port Suez, all’estremità meridionale, è situato a 130 Km. ad est del Cairo. 3 La Compagnia, con sede a Parigi, era composta da 16 amministratori francesi, 9 inglesi e 5 egiziani, sebbene la maggior parte delle azioni fossero di proprietà inglese, sia pubblica che privata. 4 Assuan si trova a 900 Km. a sud del Cairo per via ferroviaria e a 220 Km. dal confine Sudan-Egitto. 5 Eden aveva sposato, in seconde nozze, la nipote di Churchill. 6 Grecia e Turchia erano, ovviamente, entrambi membri della NATO. 7 Per cinque anni l’Egitto aveva chiuso il Canale alla navigazione israeliana, così come aveva bloccato il Mar Rosso attraverso il Golfo di Aqaba. 1