La Siciliana
La Siciliana (denominata anche al maschile ‘Siciliano’) è un’antica danza di origine popolare, di carattere pastorale
(e forse proveniente dalla Sicilia), che nell’epoca barocca (secoli XVII e XVIII) si affermò anche nella musica
colta sia strumentale che vocale.
Essa è generalmente in 6/8 o in 12/8, di andamento cantabile e moderato, quasi sempre in modo minore, ed è
contraddistinta da particolari figurazioni ritmiche puntate che la rendono subito riconoscibile. Ad esempio:
Ascoltiamo il secondo movimento della Sonata per flauto (o oboe) e clavicembalo BWV 1031 di Johann
Sebastian Bach (1685-1750): Bach ha infatti composto tale movimento in tempo di Siciliana.
LINK:
http://www.youtube.com/watch?v=hNsAyAGqfL0
Esattamente come per altre forme musicali del passato (abbiamo già visto il caso della Pavana), anche la Siciliana
viene ripresa da compositori sia della fine dell’Ottocento sia del Novecento con l’intento di elaborare un tipo di
espressione musicale più intima, delicata e raffinata,1 in contrapposizione alle estremizzazioni emotive del
Romanticismo.
A titolo esemplificativo ascoltiamo e analizziamo due Siciliane “rivisitate”: una strumentale di Gabriel Fauré e
una, vocale, di Igor Stravinsky.
Gabriel Fauré (1845-1924), Sicilienne per orchestra, op. 80
[dalle musiche di scena per il dramma Pelléas et Mélisande di M. Maeterlinck, 1898]
Il dramma Pelléas et Mélisande, scritto dal poeta belga Maurice Maeterlinck, narra dell’amore contrastato tra due
giovani; il tutto si svolge in un clima fatato, misterioso, arcano, dove ogni elemento si carica di valori simbolici,
magici. Esso andò in scena per la prima volta a Parigi nel 1892, con la regia di Aurélien Lugné-Poe il quale ne
propose un allestimento ‘simbolista’, cercando il più possibile – in linea coi significati del testo – di dare
l’impressione che sulla scena a muoversi non fossero uomini in carne e ossa, ma figure fantasmatiche, spiriti,
creature dell’anima, appunto dei ‘simboli’. Per raggiungere tale risultato, Lugné-Poe fece calare davanti alla scena
un velo di tulle che, pur consentendo agli spettatori la visione, rendeva i profili degli attori sfumati, evanescenti,
proiettandoli in una dimensione da sogno. Lo spettacolo destò grande interesse, inaugurando un nuovo modello
di teatralità, tant’è che sullo stesso testo il compositore Claude Debussy nel 1902 avrebbe composto un’opera
lirica.
Quando nel 1898, sei anni dopo la prima rappresentazione, Pelléas et Mélisande fu ripreso a Londra in un altro
allestimento, il nuovo regista – chiamato a dirigere lo spettacolo – chiese a Gabriel Fauré di comporre le musiche
di scena. La critica londinese rimase entusiasta delle musiche composte per l’occasione da Fauré e rilevò come
esse, in qualche modo, svolgessero nello spettacolo la stessa funzione che nella rappresentazione parigina era
stata svolta dal velo di tulle calato davanti alla scena: tali musiche infatti, con il loro sapore antico, la loro
espressività delicata, sospesa, riuscivano a trasfigurare la scena, avvolgendola in un clima sognante, fatato,
misterioso.
Uno dei brani composti da Fauré per la rappresentazione londinese del Pelléas et Mélisande è proprio la Sicilienne
(‘Siciliana’), che riprende il ritmo dell’antica danza diffusasi nell’epoca barocca: è infatti subito riconoscibile il
particolare ritmo puntato in tempo composto.
Quello stesso tipo di espressività che abbiamo approfondito ascoltando, ad esempio, il Pie Jesu tratto dal Requiem di Gabriel
Fauré, il cui testo, intonato dal soprano, dice: «Pie Jesu domine, dona eis requiem sempiternam» [‘Pio signore Gesù, dona
loro una pace eterna’]: una melodia distesa, semplice, dal sapore antico, ripetuta per tre volte e via via amplificata,
accompagnata delicatamente solo dall’organo cui poi si aggiungono gli archi e pochi legni. Il Requiem in re minore, op. 48,
per orchestra, organo, coro misto e due voci soliste (soprano e baritono) fu composto da Fauré tra il 1887 e il 1890 ed è
strutturato in sette sezioni (il Pie Jesu è la n. 4). All’epoca il Requiem di Fauré venne criticato per il suo carattere sereno,
pacato, che nulla aveva a che fare con le tradizionali immagini cupe e angosciose connesse alla morte (si pensi al celebre
Requiem di Mozart o a quello di Verdi, composto nel 1874 per il primo anniversario dalla morte di Alessandro Manzoni); ...e
così rispose Fauré ai suoi detrattori: «Sì, il mio Requiem ha la dolcezza di una ninna nanna; perché è così che io vedo la morte:
come una liberazione felice, un’aspirazione alla felicità ultraterrena piuttosto che un’esperienza dolorosa».
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Fauré – riproponendo tale danza del passato – è come se con le sue musiche di scena avvolgesse musicalmente le
vicende di Pelléas e Mélisande in un’epoca lontana, indefinita, sognata più che reale (proprio com’era accaduto con
il velo di tulle nell’allestimento parigino).
E a ciò molto contribuisce la strumentazione: il tema principale (A) – che ritorna più volte durante il brano quasi
a determinare una forma di Rondò – è inizialmente eseguito dal flauto solo, accompagnato prima solamente
dall’arpa, poi dall’arpa e dagli archi in pizzicato; subito dopo esso viene ripetuto dagli archi che suonano con la
sordina. Sono sonorità sempre estremamente rarefatte e delicate, con dinamiche che per lo più si mantengono
nel piano; e il tema è caratterizzato da una melodia estremamente pura, semplice e, nello stesso tempo, di grande
eleganza, con un sapore vagamente antico e struggente.
Ascoltando la Sicilienne, si avvertono subito molte analogie con l’atmosfera della Pavane dello stesso Fauré o con
quella della Pavane pour une infante défunte di Ravel.
LINK:
http://www.youtube.com/watch?v=K-ucDjeG_XM
Igor Stravinsky (1882-1971), Serenata [in tempo di Siciliana] per tenore e orchestra
[dalle musiche del balletto Pulcinella, 1919]
La tendenza musicale – sviluppatasi a partire dalla seconda metà dell’Ottocento – a rivolgersi al passato, in
opposizione al gusto romantico, per individuare un’espressività più nitida, stilizzata ed elegante (ovvero quella
tendenza che abbiamo già visto in compositori come Fauré e Ravel) sfociò, a partire dagli anni Venti del
Novecento, nel cosiddetto Neoclassicismo musicale.
Dietro l’acutizzarsi di questo ‘sguardo al passato’ ci fu in verità un cambiamento anche di carattere storico: il
trauma della prima guerra mondiale, conclusasi nel 1918, aveva fatto percepire come ci fosse stato, nella storia,
una specie di strappo con il passato; un passato che, dopo tanti morti e tanta distruzione, si avvertiva come
perduto per sempre.
– Alcuni compositori, di fronte a questa amara consapevolezza, scelgono la strada di una rottura radicale
con il passato, con la tradizione, negando il sistema tonale e giungendo, con Arnold Schönberg, alla
Dodecafonia [ http://www.youtube.com/watch?v=6pdJRPuoT8g];
– altri compositori invece (quelli che, appunto, vengono ricondotti al Neoclassicismo) non rinnegano
esplicitamente la tradizione, non cancellano il passato musicale, ma lo fanno rivivere come fosse un
insieme di relitti, di ingranaggi e meccanismi smembrati da ricombinare liberamente: la materia prima
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con cui costruire dei gioielli di artigianato musicale, dei congegni artistici perfetti, celebrando “l’arte per
l’arte”, un’arte fine a se stessa.
Il compositore Igor Stravinsky (russo, ma che visse a lungo a Parigi), nella seconda fase della sua carriera (ovvero
dagli anni Venti del Novecento) abbracciò il cosiddetto Neoclassicismo, divenendone il capofila: la sua prima
composizione che segue strettamente lo stile neoclassico è il balletto Pulcinella, per orchestra e voci soliste, scritto
nel 1919 per la compagnia dei Balletti russi e composto rielaborando dei temi del compositore Giovan Battista
Pergolesi (1710-1736) e di altri compositori settecenteschi (si riprendono quindi non solo le forme del passato,
come già avevano fatto Fauré o Ravel, ma anche ‘materiali’ del passato).
Stravinsky rielabora tali temi del passato mantenendone la struttura melodica quasi inalterata, ma modificando
l’armonizzazione (anche inserendo accordi dissonanti), l’orchestrazione (con grande sfoggio di combinazioni
timbriche inusuali), trasfigurandoli in un raffinatissimo gioco di artigianato compositivo. La sensazione è di
trovarsi di fronte a dei bellissimi (magari anche emozionanti, divertenti o commoventi) automi musicali.
Pulcinella andò per la prima volta in scena a Parigi nel 1920. Le scenografie erano realizzate da Pablo Picasso.
ASCOLTO – Nella parte iniziale del balletto, dopo un’Ouverture solo strumentale basata sul tema di
una Sonata del compositore Domenico Gallo (nato nel 1730), Stravinsky inserisce una Serenata per
tenore e orchestra che egli deriva dall’opera Flaminio di G. B. Pergolesi (1735). Si tratta di una Siciliana,
com’è subito evidente dalla figurazione ritmica intonata prima dall’oboe, nella sezione introduttiva, e poi
dal tenore che canta:
Mentre l’erbetta
pasce l’agnella,
sola soletta
la pastorella
tra fresche frasche
per la foresta
cantando va.
LINK al balletto Pulcinella: http://www.youtube.com/watch?v=nFNl6D75Jxo [la Serenata inizia al
minuto 2’18’’]
Ecco di seguito le prime battute dello spartito della Serenata del balletto Pulcinella:
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