Teologia Morale Speciale Sociale
21° Lez - 2° semestre
5° Lez –19 Mar 09 - Ass.: SANTANGELO→(Don Domenico)
L’altra volta abbiamo parlato dei 3 tipi di priorità della persona sulla società, abbiamo inquadrato le
concezioni riduttive di società. E allora, ci muoviamo in questa sintonia, per affermare che una volta
sostenuto che in TMSo il principio di orientamento per la condotta concreta per la vita sociale da credenti, è
proprio il ribadire la priorità della persona sulla società. Ma bisogna stare sempre attenti alle forme di
ideologie, cioè, il ridurre tutto solo ad un aspetto, se noi volessimo applicare in maniera riduttiva solo questo
principio, allora, faremmo noi per primi ideologia. Invece abbiamo detto l’altra volta che è necessaria una
comprensione che sia il più possibile integrale di tutti gli aspetti. Questo significa che, non si tratta di
esaltare l’uomo in una concezione di tipo assolutista. Perché, una cosa è parlare di priorità di tipo ontologico,
di priorità di tipo finalistico, di priorità di tipo operativo, un’altra cosa, invece è sostenere una visione di tipo
assolutista dalla persona. Ma si tratta di prendere atto di una visione che sia il più possibile integrale e
solidale. Cioè che faccia riferimento a tutti quei profili, che abbiamo considerato, della persona umana, e che
abbiamo già preso atto di quello che il compendio, al cap. 3° paragrafo 3°, ci dice. E cioè, quali sono i
principali profili della persona umana? Se noi abbiamo un quadro completo ed integrale di questi aspetti
allora, abbiamo evitato, sia l’assolutismo, e sia il riduzionismo. Dicevamo allora, unità della persona, unità
di corpo ed anima, … ricordate… insieme di intelletto, mente, volontà, intelligenza, azione, apertura alla
trascendenza, sia di tipo orizzontale che di tipo verticale; unicità, la persona come unica e una; irripetibilità
della medesima, il fatto che non siamo stati creati in maniera clonata, gli uni gli altri; libertà ed uguaglianza
in dignità di tutte le persone, e la socialità umana. Quindi se abbiamo questo quadro integrale di tutti questi
aspetti, evitiamo entrambe quegli eccessi, perché se voi sottoponete a esame ognuna delle ideologie di
riferimento, nella società di tipo culturale, di tipo morale, di tipo religioso, a qualsiasi forma, si possa far
riferimento, manca inevitabilmente almeno uno di questi aspetti. Fate voi, come applicazione pratica di
questo criterio che abbiamo esaminato, e vi ritroverete, come criterio dell’individualismo, da un lato, o il
relativismo, lo scetticismo, da altre parti, tendono inevitabilmente a non considerare, almeno uno di questi
aspetti. Io dico di più di uno, però, per un rispetto delle altre visioni, allora diciamo che ne manca almeno
uno. Allora, in questo caso, dovendo ribadire la priorità, della persona umana, abbiamo detto, evitiamo
l’assolutismo, evitiamo quindi l’esaltare la persona umana, ma senza considerare questi profili che abbiamo
considerato…evitando l’altro rischio, quello di sottovalutare le istituzioni sociali, quindi far finta, come se
non ci fossero. Ma allora, il contesto sociale a cosa serve? Se la persona deve essere l’unico che deve poter
orientare, sostenere e guidare poi la vita concreta nella società? quindi, questa visione della priorità della
persona, non elimina, ovviamente l’importanza e la necessità, soprattutto, la necessità, dell’esistenza, del
contesto sociale, degli ambiti, e delle varie funzioni, e strutture sociali. Quindi, non si tratta di sottovalutare
le istituzioni sociali. Pensate all’economia, alla politica … oggi si parla tanto anche della crisi finanziaria, la
finanza, oramai è ambito ineludibile / inevitabile della vita dell’uomo. ormai, chi ha a disposizione denaro,
anche quella è una dimensione inevitabile della vita ordinaria di ognuno. Religiosi o laici, a qualsiasi ambito
di vita apparteniamo. Quindi, non si tratta di sottovalutare le istituzioni sociali, perché sono gli ambiti in cui
l’uomo si sviluppa, l’uomo si perfeziona, si realizza, in questi ambiti, per questo sono stati anche previsti dal
nostro creatore, che ha creato inevitabilmente l’uomo in un contesto sociale. E poi, ricordiamo anche quelle
citazioni, di quel documento magisteriale, a cui facciamo riferimento nella nostra parte fondativa, e
sappiamo come Dio ha voluto, non solo creare, l’uomo isolato, ma ha voluto anche salvarlo, in maniera
comunitaria, in maniera relazionale, in un contesto veramente relazionale, che è la comunità dei figli di Dio.
E questo si trova proprio rappresentato ed evidenziato nella Chiesa, quindi, questa compagine sociale, è
naturale, è naturalmente prevista, è connaturale alla natura dell’uomo. Non è estranea, ne riduce le
potenzialità, anzi è chiamata a realizzare le aspettative dell’uomo. Non per niente, l’uomo vive
nell’istituzione sociale, l’uomo vive dell’economia, l’uomo vive dell’economia, l’uomo vive dell’ambito
politico, l’uomo vive della finanza, e così via. L’uomo vive anche di quelle strutture più elementari, che
comunque richiamano alla vita comunitaria, l’uomo vive in una famiglia. L’uomo incontra necessariamente
un altro diverso da sé e già quello è un contesto sociale. Quindi, inevitabilmente allora, quella relazionalità,
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richiama allora quella sua sollecitudine alla società stessa. Il problema, come sempre, non per niente
facciamo T Morale per analizzare quali sono le questioni, quali sono gli ambiti problematici, è quanto si nota
una scissione, è una opposizione, allora, tra l’uomo da una parte e il mondo materiale in cui vive. Quindi,
l’uomo con tutto ciò che si porta dentro, con la sua sete di desideri, di aspirazioni, di ideali, da una parte, e
dall’altra parte però, anche la fatica di realizzare, anche questa voglia di realizzazione, di desideri, di bisogni
… e come li catalizza l’uomo? e come è chiamato a realizzare questi ideali, questi valori, questi desideri,
queste aspettative? È chiamato a realizzarli proprio in un contesto sociale, a cui fa riferimento, non per
niente si aggrega, appunto, mette insieme ad altre persone, proprio per poter realizzare, questi obbiettivi. Ma
appunto, tra questi 2 ambiti, l’uomo e il mondo materiale e sociale, il politico l’economico e tutto quello che
volete, non per niente si nota una scissione, è un’opposizione… quindi, l’uomo va da una parte, il mondo in
cui vive, le strutture terrene / le autonomie terrene / le così dette autonomie terrene temporali – di cui sempre
quel famoso documento ci parla (n° 36), evidenzia proprio questa scissione. Per non parlare di una
opposizione.. e non per niente, già il concilio parlava del rischio fondamentale… parlava della alienazione. I
rischi in ambito sociale, sono due, riferiti all’alienazione. L’alienazione è quando l’uomo si estranea, come
se si vendesse/alienare, in quel vendere sta l’illuminare la sua dimensione più propria. I due rischi sono:
l’alienazione NEL sociale e l’alienazione DAL sociale. L’alienazione nel sociale significa fare di tutto, come
se appunto esistesse solo il sociale, come se esistesse solo lo strutturale le funzioni, le istituzioni, gli ambiti
istituzionali, i contesti sociali in cui noi viviamo. D’altra parte, l’altro rischio è l’alienazione dal sociale.
Come se non ci fosse il sociale, come appunto, se non mi servisse. Come se non fosse necessario per la mia
realizzazione. Quindi entrambi questi rischi vanno tenuti presente, e come cristiani dobbiamo in modo
particolare evitare entrambi questi rischi, come gli altri rischia a proposito delle democrazie contemporanee.
Ricordate… dicevamo, lo scetticismo, il relativismo, sono altri rischi che minano proprio questa vocazione
integrale e solidale dell’uomo, inteso in un contesto relazionale, inteso come lui e le autonomie terrene,
chiamato a vivere. Non per niente, ci sono anche dati che confermano, proprio come la società, stessa, gli
ambiti istituzionali (quando parlo di società in questo senso, mi riferisco agli ambiti istituzionali, le strutture,
le funzioni i contesti, quindi, non l’uomo inserito in esse, mi riferisco all’ambito puramente organizzativo.
Istituzionale, funzionale, in quel senso lì, quando uso questo tipo di concezione.). Quindi fa riferimento al
fatto, che orami questo ambito, è come se si sia sganciato dal controllo dell’uomo. Come se non sia più
l’uomo a poter indicare quali sono i fini, quali sono i mezzi, di cui, l’ambito istituzionale, organizzativo
funzionale, si serve per poter realizzare le finalità per le quali sono istituiti. Quindi un ambito, che
svincolato, nei fini, e nei mezzi usati, al punto che si assiste anche al fatto che l’uomo, talmente dissociato da
questa realtà istituzionale, vive come se dubitasse della sua stessa capacità di influire su quel contesto
istituzionale. Quindi l’uomo dubita anche di sé stesso, dubita della stessa potenzialità di influire su questo
contesto sociale. Quante volte ci facciamo queste domande: ma io da solo cosa posso fare? Le nostre scelte a
titolo personale, cosa possono dire alla società, in cui noi ci inseriamo? Ci sentiamo in un discorso di
minoranza, perché appunto sentiamo questa incapacità, forse perché manca qualcosa che ci tiene uniti
veramente. Perché se ci sentissimo un po’ più uniti, legati, gli uni gli altri, allora, questo sentimento, questa
paura, questo timore, verrebbe anche un po’ meno, sarebbe più debole. Invece si assiste proprio al fatto che
l’uomo dubita nella capacità di influire sulle sue stesse creature. Quindi le strutture, creazioni dell’uomo,
dovrebbero portare il suo segno, dovrebbero portare la sua identità, se è vero che è l’uomo che ha creato
queste strutture, queste organizzazioni, queste funzioni; queste stese istituzioni, appunto. Quindi è un po’
come se l’uomo non fosse più il soggetto, il fondamento, il fine di quelle stesse istituzioni, che lui stesso ha
creato. Appunto, non manca in società, chi ripete che l’uomo è solo un elemento anonimo del sistema, è solo
un meccanismo sociale. L’uomo è semplicemente un meccanismo, è una particella, c’è o non c’è, tanto se ne
trovo uno, ne trovo un altro, o un altro ancora. Applicate questo al contesto del mondo del lavoro. Dove la
dignità dell’uomo non è realizzata in maniera piena ed autentica, trova automaticamente un’altra particella,
che al mio posto può svolgere le mie stesse funzioni. Perché questo è il sistema che lo richiede, non è
l’identità, la dignità, prioritaria dell’uomo, in questo senso, a dettare queste indicazioni. Invece appunto,
vedremo, che il principio fondamentale è proprio quello che l’uomo supera queste strutture/finalità. Anche
qui analizziamoci e chiediamoci, se veramente anche noi nella concezione che noi abbiamo di società di
sistema, di funzione di istituzione, l’uomo è sempre soggetto/fondamento e fine di quelle strutture, per poter
capire anche noi come ci poniamo, con quale comportamento noi ci relazioniamo alla società stessa? Siamo
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capaci veramente di sentirci portatori di questa priorità? O anche noi ci sentiamo succubi delle istituzioni e
delle creazioni che l’uomo stesso ha determinato? Ancora, indagini psicologiche e sociologiche, tendono
ancora ad evidenziare, come praticamente l’uomo, sia talmente condizionato, dai così detti determinismi
sociali, le influenze delle società, al punto da perdere la sua stessa identità. Cioè, no essere più capace di
essere lui a dominare. Dove il termine dominare, ovviamente non mi riferisco ad una concezione assolutista
di dominio, ma semplicemente riuscire ad amministrare. Un po’m quella concezione biblica, quando
appunto il creatore, crea l’uomo e gli dice di dominare, ma dominare, nel senso di amministrare, non è un
dominio assoluto. Allora, in questo senso, davanti a questi rischi, la TMSo che cosa può fare? Quali
responsabilità, ha da evidenziare, e quindi gli uomini e donne che ovviamente vogliono essere partecipi, di
questa responsabilità. Io credo che ci siano 2 contributi, che la TMSo è chiamata ad evidenziare, a rafforzare
e sono queste: la prima è quella di rinvigorire, di dare vigore/forza/sostegno proprio all’umanum che c’è
nell’uomo, dicendo umanum mi riferisco a tutti quegli aspetti evidenziati dei profili di umanità. Quindi a
rendere l’uomo, più uomo, e quindi parliamo di tutto l’uomo e ogni uomo. Chiamati a rinvigorire, a
rafforzare l’umanum che c’è in ognuno di noi, l’umanum che si relaziona nel contesto sociale e questo
indipendentemente da tutto il resto, cioè indipendentemente dalle sue capacità, indipendentemente dalle sue
qualità, dalle sue idee, e da chi mi trovo davanti, l’alto che incontro, il volto dell’altro ha di per sé una sua
dignità che io non posso subordinare alla mia, solo perché le mie idee la mia qualità, le mie capacità sono
superiori alle sue, o io ritengo che siano superiori, e più degne di qualità rispetto alle altre. Perché ognuno di
noi è consapevole di possedere una consistenza irriducibile, un’identità irriducibile, una vocazione una
dignità, che proprio quando è letta interpretata e vissuta alla luce della fede cristiana assume quella
trascendenza che abbiamo individuato essere il fondamento prossimo, della vita sociale. Quali sono queste
caratteristiche? Che abbiamo evidenziato nella dignità trascendente della persona umana? (compendio –
voce: dignità umana) Il fatto di essere stati creati e redenti da Dio, in modo uno ed unico (ritorna uno dei
profili d4ella persona umana). Una dignità incomparabile e inalienabile, intangibile, connaturale alla vita
umana e uguale in ogni persona, integrale, irrinunciabile, inviolabile. Quindi, primo compito della TMSo è
rinvigorire l’umanum che c’è in ognuno di noi, che c’è in ognuna delle persone che incontro nel suo contesto
relazionale.
Secondo compito allora, quello che ha la TMSo, è proprio quello di rafforzare tutte le istituzioni sociali, una
volta rinvigorito/rafforzato l’umano che c’è il più di uomo, in quel senso integrale che ognuno di noi ha,
allora siamo chiamati anche a rafforzare le istituzioni sociali in cui l’umanum si ritrova a vivere a essere ad
operare e ad agire, che consentono quindi di poter realizzare quindi quello sviluppo pieno ed autentico, degli
uomini. Non dimentichiamolo mai, che lo sviluppo pieno, intero ed autentico, l’uomo lo ritrova proprio in
questa connotazione sociale, quindi è per questo che bisogna allora, anche rafforzare ciò che le istituzioni
sociali portano in se stesse. Quindi rafforzare, tutte quelle istituzioni sociali, tutti quegli ambiti e contesti
sociali, in cui l’uomo trova il proprio sviluppo in maniera più piena, più autentica e quindi la sua
realizzazione. L’uomo ha quei duplici profili, che dicevamo l’altra volta, l’individualità e la socialità; sempre
da tenere presenti, perché altrimenti dimentichiamo qualche aspetto essenziale della natura propria
dell’uomo, e non attua la sua vocazione singolare, quindi la sua individualità, se non nella comunione con gli
altri. Questa è l’0identità propria, a cui ogni uomo è chiamato, credente e non credente, non è che c’è
differenza tra chi pratica e vive la vita di fede e chi non la vive e non la pratica. Questo che io vi ho detto, va
benissimo in qualsiasi contesto. Non necessariamente deve essere un contesto dove la fede sia anima di tutto
il discorso sociale, no, anche in un ambiente dove la fede può essere meno presente, può non essere presente.
E non per niente, sempre su questo fatto che la vocazione singolare si attua nella comunione con gli altri,
indovinate un po’; dove lo trovate? Indicato sempre nel nostro documento di riferimento, ai N° 23 - 24 – 25
(documento: GS) . Stabilisce proprio come la vocazione singolare si attua nella comunione con gli altri.
Tenetelo presente, queste sono le priorità assolutamente fondamentali da tener sempre presente, in qualsiasi
contesto vi troviate. Allora, tenendo conto dei tre tipi di priorità, tenendo conto delle concezioni riduttive
della società, che tipo di verità teologico – morali possiamo articolare, proprio sul rapporto persona e
società? io individuo 3 verità fondamentali da tenere conto, che discendono da quelle priorità, che abbiamo
esaminato. Quindi, avendo presente quelle priorità, riusciremo a comprendere anche queste tre verità
fondamentali. Dalla priorità ontologica, dal fatto che è l’essere dell’uomo che è al fondamento di tutto il
contesto, noi diciamo che l’uomo (e quindi, tutto l’uomo, ogni uomo) trascende, supera, le istituzioni,
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sociali, gli ambienti sociali, in cui si inserisce, e poi vedremo il perché. Per il momento prendetelo in buona
fede, questo che vi dico. Quando dico sociale, anche in questo senso è sempre l’ambito istituzionale,
l’ambito funzionale. Perché quando vi capiterà poi che nel giorno del dialogo fraterno, vi chiederò il
contesto sociale di riferimento… non venite a dirmi, non so, la struttura, la funzione, si quello è un aspetto
della società, e della concezione sociale. Ma c’è l’elemento personale, quindi la soggettività è elemento del
contesto sociale. Ok? Giusto per chiarirci, perché altrimenti poi uno si trova davanti qualcosa che non
vorrebbe sentirsi dire. Quindi l’uomo supera l’elemento personale, possiamo anche dire, per capire meglio,
l’elemento personale supera in dignità, il contesto e l’ambito funzionale, organizzativo, strutturale,
istituzionale. Questa è la prima verità, dalla priorità finalistica, che abbiamo individuato già in passato,
possiamo dire che le istituzioni sociali sono per l’uomo. Quindi l’ambito istituzionale, funzionale,
organizzativo, esiste per realizzare le finalità prioritarie. Sono le istituzioni, il contesto sociale, per l’uomo.
non l’uomo per le istituzioni, il contesto, abito funzionale e organizzativo. Questo discende dalla priorità,
finalistica. E poi dalla priorità operativa, deduciamo che le istituzioni sociali, sono opera dell’uomo, è
l’uomo che opera nelle istituzioni, nei contesti, negli ambiti istituzionali. Quindi gli ambienti, i contesti, le
funzioni, istituzionali sociali, trovano nell’uomo il principio del loro sviluppo, autentico. Ho provato a
leggere un documento del magistero dove secondo me potevano essere applicate queste verità, perciò ve ne
parlo in modo più specifico, siamo nel trentennale di un documento del magistero, siamo nel trentennale
della Redemptor Hominis (RH). Perché ve ne voglio parlare un attimo? Solamente per individuare come
queste verità, trovano anche evidenza e luce in un documento del magistero stesso. Proprio infatti,
rileggendo questa enciclica del magistero, che secondo me non viene considerata enciclica sociale. Noi
quando parliamo di enciclica sociale, facciamo riferimento ad altre encicliche e documenti, che si
soffermano in maniera specifica su alcuni ambiti, della vita sociale. Tranne il nostro punto di riferimento,
perché lì troviamo tutto (compendio), c’è sia la vita umana nella sua dignità, e poi ambiti specifici. Invece
generalmente le encicliche sociali, come sapete, sono dedicate ad un argomento specifico. Quindi non
prendono in considerazione tutta la vita sociale. Si individua un ambito e quell’ambito, generalmente è così.
Invece la RH non viene considerato documento sociale, anche se però, secondo me, per questo discorso
fondativo che abbiamo fatto, bene si presta per verificare queste verità che vi ho evidenziato. Perché la
prendo in considerazione? Non solo perché è il trentennale, perché è l’enciclica programmatica di un
magistero. La prima enciclica è sempre il programma che un pontefice vuole seguire nel suo percorso. E poi
anche perché, questo per me è il motivo fondamentale del perché si presta bene a verificare quanto abbiamo
detto fino ad ora, perché il mistero dell’incarnazione e della redenzione. Quindi, quello che il Papa evidenzia
in quella enciclica, la RH. L’incarnazione e la redenzione operata da Gesù Cristo, e in Gesù Cristo, donata
ad ogni uomo, si presta proprio a mostrare il collegamento, che deve esistere nella vita sociale quando
mettiamo in dialogo i due fondamenti, che abbiamo considerato. Fondamento remoto e fondamento
prossimo. Non per niente, non c’è documento, allocuzione, esortazione, discorso, messaggio, di GPII dove
non c’è sempre l’uno senza riferimento all’altro. Cioè, l’uomo alla luce di Cristo. Provate a verificarlo,
troverete sempre questo binomio, l’uomo, ogni uomo, non si può comprendere se non alla luce
dell’incarnazione e della redenzione realizzata da Gesù Cristo. C’è un rapporto ineludibile e fondativo, che
esiste tra i due, come esiste un rapporto ineludibile e fondativo tra i due fondamenti. Il fondamento remoto
della vita sociale, e il fondamento prossimo della vita sociale. Non per niente la RH inizia al n°1: “IL
REDENTORE DELL'UOMO, Gesù Cristo, (già mette insieme Gesù Cristo e Uomo) è centro del cosmo e
della storia.” Così iniz1a, quindi anche nella vita sociale, ovviamente il Papa qui riprende sempre il nostro
mitico documento(compendio) perché se voi andate a leggerlo ritrovate la stessa sostanza, con parole un po’
diverse. Il redentore dell’uomo è il centro, è il punto essenziale, perciò per noi è il fondamento, è il centro
del cosmo e della storia. E alla luce di questa verità, che l’incarnazione e la redenzione pongono il senso più
originario della storia, della vita sociale che noi viviamo. Fonte di ogni progettualità sociale e di ogni
umanesimo che sia autentico. Ogni umanesimo autentico trova la sua verità proprio alla luce di questo
fondamento, del fondamento remoto della fede. Quindi trova alla luce di questo fondamento, la fonte di ogni
progettualità, di ogni umanesimo autentico, come la ragione di ogni loro rinnovamento, ogni progetto sociale
è chiamato ad autenticarsi, come è chiamato a rinnovarsi. Non è una verità eterna, come la forma
democratica di stato, non è una verità eterna, non è una verità di fede, sono quei progetti che evolvono col
tempo, e sono chiamati ad evolversi sempre. Perché invece, chi è che resta? È l’uomo che resta. Ma il
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progetto istituzionale, funzionale, strutturale organizzativo, si adatta all’uomo, quindi ogni contesto sociale
istituzionale, trova alla luce di questo principio il suo riferimento. Qui c’è un passaggio centrale, quando lo
stesso Papa dice che: la memoria di tali eventi, cioè l’incarnazione e la redenzione, i due ambiti i due aspetti
centrali, che stanno al cuore della nostra fede di cristiani, la memoria di tali eventi universali, memoria che la
comunità ecclesiale compie ogni volta che celebra l’eucaristia, quindi il momento centrale della nostra vita
di fede; noi rinnoviamo l’adesione di fede in questi due misteri che sono un unico mistero centrale. La
memoria di tali eventi universali, diviene generatrice di un progetto di missione. Missione ovviamente nel
contesto sociale più amplio possibile. Questo non è un riferimento puramente devozionale. Ma voi pensate a
ciò che l’eucaristia ha, e rappresenta, ed ha rappresentato, per tanti cristiani, laici e religiosi, proprio nel loro
relazionarsi alla società. Quanti ordini e famiglie religiose date al mondo e alla società, sono nate proprio da
una partecipazione più attiva all’eucaristia? Quanti progetti di missione sono nati proprio dal centro della
fede? E quindi dalla partecipazione centrale alla vita di fede che si vive nell’eucaristia stessa? Quanti santi
missionari, dati proprio al mondo, nel senso più amplio della parola. Gli educatori della fede, quanti
educatori, negli ambiti sociali, le scuole per eccellenza, e anche quello è un contesto sociale. Come anche
santi, e persone non ancora canonizzate, che però appunto si sono date proprio all’evangelizzazione,
all’umanizzazione dei contesti sociali di riferimento. Pensate al fatto che noi in genere diciamo che la
dottrina sociale della Chiesa, con chi nasce? A livello storico diciamo con Leone XIII, con la Rerum
Novarum (RN), ma Leone 13° (L.13°), non fa altro che portare ad evidenza quanto già alcune realtà, già
vivevano. In Francia, in Germania, nei paesi del Nord Europa, c’erano già dei laici che vivevano quelle
realtà, che poi L.13° dirà nella RN, anche qui, facciamo attenzione a leggere un dato, è vero che è stato il
Papa, ma il Papa ha portato fuori quanto era comunque vivo e presente in un contesto sociale, dove la
presenza dei cattolici era veramente fermento, era veramente lievito della società del contesto in cui si
inseriva, non per niente, poi sono stati proprio questi laici attorno a figure eminenti, attorno a vescovi, come
ad esempio von Ketteler, in Germania, vescovo di Magonza, che appunto chiesero anche al Papa di essere un
po’ più sensibili proprio sui questo discorso.
Domanda dal posto… c’erano nell’800 anche figure di santi
Prof: ma ancora, prima, se vogliamo individuare figure di santità, a me viene in mente così, la figura di un
Vincenzo De Paoli, il fondatore delle suore della carità, egli è di un epoca ancora precedente, certo lì non è
che aiutava il mendicante, se era op non era cristiano. Quindi non c’erano scelte di campo, ma questo per
dire proprio come tanti, laici e religiosi, hanno dato proprio un segno di partecipazione alla vita sociale, ma
proprio partendo dal centro della loro fede. Non andando a trovare altrove spunti e riferimenti per motivare
la loro fede. No, l’hanno trovata in quella che loro già vivevano e vivono, speriamo anche per l’oggi, non
solamente ricordare eventi e fatti del passato.
E quindi dicevo, la memoria di questi eventi, diventa generatrice di progetti di missione, lo diceva il Papa
nella Mane Nobiscum Domine (MND), la lettera esortazione, che il Papa aveva scritto per l’anno
dell’eucaristia, nel 2004. Lui proprio questo evidenzia, ve lo leggo, perché secondo me è davvero matrice
feconda di progettualità e di umanesimo sociale, quando il Papa nel n°25 della MNB dice: “…l'Eucaristia… è
un modo di essere, che da Gesù passa nel cristiano e, attraverso la sua testimonianza, mira ad irradiarsi
nella società e nella cultura.” . Quindi, più discorso sociale di questo, ditemi voi che cosa c’è. Nello stesso
documento al n°27 e 28. Nel 27 dice: “è lì (cioè dalla partecipazione all’eucarestia) … Il cristiano che
partecipa all'Eucaristia apprende da essa a farsi promotore di comunione, di pace, di solidarietà,”. O
ancora al n°28, quando dice: “ è da lì che trae la spinta per un impegno fattivo nell'edificazione di una
società più equa e fraterna.” Parla di società. quindi non sta parlando di sacrestia di Chiesa, sta parlando di
contesto sociale.
E allora diciamo qualcosa della RH, secondo me, come cogliere quelle 3 verità, che vi ho evidenziato prima,
col dire che l’uomo trascende le istituzioni sociali, come le troviamo, rappresentate in questa enciclica? Qui
a dare un po’ più forza alle nostre convinzioni di fede. Partiamo dal 1° punto, l’uomo che trascende, quindi,
supera l’elemento organizzativo, l’elemento funzionale. Allora, se consideriamo sempre il binomio,
Cristo/Uomo, questo è sempre il binomio, da dover tener presente, e allora, in questo primo aspetto,
consideriamo le verità centrali, della fede, quindi, il primo riferimento è sempre al dato di fede. E che cosa vi
leggiamo alla luce della rivelazione, alla luce del dato di fede. Che è alla luce della rivelazione, più
specialmente (questo che vi sto dicendo lo dice la RH) alla luce che irradia, dalla persona, dalla vita, e dalle
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opere di Gesù Cristo, che affermiamo il carattere unico, singolare, irripetibile, trascendente, dell’uomo. e
infatti, dice la RH: è Gesù Cristo, il fondamento della dignità insuperabile dell’uomo. il fondamento è lì, e
noi infatti, non per niente lo abbiamo individuato come fondamento remoto della vita sociale, ultimo, più
pieno. È Gesù Cristo il fondamento della dignità insuperabile dell’uomo. quale uomo? di quale uomo si
parla? Quello creato ad immagine e somiglianza di Dio. Uomo a cui si è unito il Figlio di Dio. E dirà infatti,
ogni uomo… Gesù Cristo si è unito in certo qualmodo ad ogni uomo … lo diceva il nostro testo di
riferimento (compendio). L’Uomo a cui si è unito il Figlio di Dio e a cui offre la pienezza dei suoi doni. Per
esempio al n° 8 o al n° 11, ritrovate questi riferimenti che vi ho detto. E ancora, andando avanti sugli altri
aspetti, il secondo sottoprincipio che colgo da questa verità: l’Uomo che trascende, che supera le istituzioni.
Il primo è: Gesù Cristo il Fondamento della dignità insuperabile dell’Uomo. Secondo sottoprincipio (così
chiamiamolo): Gesù Cristo è il fondamento della dignità di OGNI Uomo. quindi, apertura del discorso,
credente e non credente. Infatti la RH al n° 7 – 13 – 12 – 18. viene proprio detto: Gesù Cristo è il
fondamento della dignità di OGNI Uomo, credente e non credente. Su questo torna essenziale il n° 13, che
non lo leggiamo per un fatto di tempo, però i numeri centrali dell’enciclica, che secondo me non potete
permettervi di non leggere sono i n° 13 e 14. Perché il n° 13 dirà proprio che Gesù Cristo è la via centrale
della Chiesa, è la via della Chiesa. Ed il n° 14 dirà: l’uomo è la via principale della Chiesa. quindi capite
come il binomio ritorna, Gesù Cristo / Uomo.
A)E ancora, 3° ed ultimo sottoambito, del primo principio, Gesù Cristo è il fondamento di tutto ciò che è
autenticamente umano. Quindi, il fondamento della dignità dell’uomo: 1° ambito. Di OGNI Uomo, credente
e non credente: 2° ambito. Di tutto ciò che è autenticamente umano: 3° ambito. È come se il raggio si allarga
sempre di più. Al fondamento di tutto c’è questo principio, perciò: Fondamento Remoto. Questo è il primo
ambito.
B) Il secondo ambito che vi ho individuato come verità fondamentale. Le istituzioni sono per l’uomo. la
concezione finalistica, ed abbiamo individuato questa verità fondamentale: le istituzioni sono per l’uomo,
non l’uomo per le istituzioni. L’elemento personale prevale sull’elemento organizzativo funzionale. In
questo senso allora, quali sottoverità/sottoprincipi evidenziamo? Innanzi tutto le istituzioni sono necessarie.
Qui ritorna la necessità del contesto sociale, la necessità dell’ambito organizzativo, funzionale. Perché
l’uomo scrive la sua storia, mediante una serie di vincoli relazionali, e di strutture sociali. Che lo uniscono
organicamente agli altri uomini.
13. Cristo si è unito ad ogni uomo: Quando, attraverso l'esperienza della famiglia umana in continuo aumento a ritmo accelerato, penetriamo nel mistero di Gesù Cristo, comprendiamo
con maggiore chiarezza che, alla base di tutte queste vie lungo le quali, conforme alla saggezza del Pontefice Paolo VI, deve proseguire la Chiesa dei nostri tempi, c'è un'unica via: è la
via sperimentata da secoli, ed è, insieme, la via del futuro. Cristo Signore ha indicato questa via, soprattutto quando - come insegna il Concilio - «con l'incarnazione il Figlio di Dio si è
unito in certo modo ad ogni uomo» La Chiesa ravvisa, dunque, il suo còmpito fondamentale nel far sì che una tale unione possa continuamente attuarsi e rinnovarsi. La Chiesa desidera
servire quest'unico fine: che ogni uomo possa ritrovare Cristo, perché Cristo possa, con ciascuno, percorrere la strada della vita, con la potenza di quella verità sull'uomo e sul mondo,
contenuta nel mistero dell'Incarnazione e della Redenzione, con la potenza di quell'amore che da essa irradia. Sullo sfondo dei sempre crescenti processi nella storia, che nella nostra
epoca sembrano fruttificare in modo particolare nell'àmbito di vari sistemi, concezioni ideologiche del mondo e regimi, Gesù Cristo diventa, in certo modo, nuovamente presente,
malgrado tutte le apparenti sue assenze, malgrado tutte le limitazioni della presenza e dell'attività istituzionale della Chiesa. Gesù Cristo diventa presente con la potenza di quella verità
e di quell'amore, che si sono espressi in Lui come pienezza unica e irripetibile, benché la sua vita in terra sia stata breve ed ancor più breve la sua attività pubblica.
Gesù Cristo è la via principale della Chiesa. Egli stesso è la nostra via «alla casa del Padre», ed è anche la via a ciascun uomo. Su questa via che conduce da Cristo all'uomo, su questa
via sulla quale Cristo si unisce ad ogni uomo, la Chiesa non può esser fermata da nessuno. Questa è l'esigenza del bene temporale e del bene eterno dell'uomo. La Chiesa, per riguardo
a Cristo ed in ragione di quel mistero che costituisce la vita della Chiesa stessa, non può rimanere insensibile a tutto ciò che serve al vero bene dell'uomo, così come non può rimanere
indifferente a ciò che lo minaccia. Il Concilio Vaticano II, in diversi passi dei suoi documenti, ha espresso questa fondamentale sollecitudine della Chiesa, affinché «la vita nel mondo "
sia " più conforme all'eminente dignità dell'uomo» in tutti i suoi aspetti, per renderla «sempre più umana». Questa è la sollecitudine di Cristo stesso, il buon Pastore di tutti gli uomini.
In nome di tale sollecitudine - come leggiamo nella Costituzione pastorale del Concilio - «la Chiesa che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si
confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana».
Qui, dunque, si tratta dell'uomo in tutta la sua verità, nella sua piena dimensione. Non si tratta dell'uomo «astratto», ma reale, dell'uomo «concreto», «storico». Si tratta di «ciascun»
uomo, perché ognuno è stato compreso nel mistero della Redenzione, e con ognuno Cristo si è unito, per sempre, attraverso questo mistero. Ogni uomo viene al mondo concepito nel
seno materno, nascendo dalla madre, ed è proprio a motivo del mistero della Redenzione che è affidato alla sollecitudine della Chiesa. Tale sollecitudine riguarda l'uomo intero ed è
incentrata su di lui in modo del tutto particolare. L'oggetto di questa premura è l'uomo nella sua unica e irripetibile realtà umana, in cui permane intatta l'immagine e la somiglianza con
Dio stesso. Il Concilio indica proprio questo, quando, parlando di tale somiglianza, ricorda che «l'uomo in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa». L'uomo così
com'è «voluto» da Dio, così come è stato da Lui eternamente «scelto», chiamato, destinato alla grazia e alla gloria: questo è proprio «ogni» uomo, l'uomo «il più concreto», «il più
reale»; questo è l'uomo in tutta la pienezza del mistero di cui è divenuto partecipe in Gesù Cristo, mistero del quale diventa partecipe ciascuno dei quattro miliardi di uomini viventi sul
nostro pianeta, dal momento in cui viene concepito sotto il cuore della madre.
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14. Tutte le vie della Chiesa conducono all'uomo
La Chiesa non può abbandonare l'uomo, la cui «sorte», cioè la scelta, la chiamata, la nascita e la morte, la salvezza o la perdizione, sono in modo così stretto ed indissolubile unite al
Cristo. E si tratta proprio di ogni uomo su questo pianeta, in questa terra che il Creatore ha dato al primo uomo, dicendo all'uomo e alla donna: «Soggiogatela e dominatela» 94. Ogni
uomo, in tutta la sua irripetibile realtà dell'essere e dell'agire, dell'intelletto e della volontà, della coscienza e del cuore. L'uomo, nella sua singolare realtà (perché è «persona»), ha
una propria storia della sua vita e, soprattutto, una propria storia della sua anima. L'uomo che, conformemente all'interiore apertura del suo spirito ed insieme a tanti e così diversi
bisogni del suo corpo, della sua esistenza temporale, scrive questa sua storia personale mediante numerosi legami, contatti, situazioni, strutture sociali, che lo uniscono ad altri
uomini, e ciò egli fa sin dal primo momento della sua esistenza sulla terra, dal momento del suo concepimento e della sua nascita. L'uomo, nella piena verità della sua esistenza, del
suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale - nell'àmbito della propria famiglia, nell'àmbito di società e di contesti tanto diversi, nell'àmbito della propria
nazione, o popolo (e, forse, ancora solo del clan, o tribù), nell'àmbito di tutta l'umanità - quest'uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua
missione: egli è la prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell'Incarnazione e della Redenzione.
Proprio quest'uomo in tutta la verità della sua vita, nella sua coscienza, nella sua continua inclinazione al peccato ed insieme nella sua continua aspirazione alla verità, al bene, al
bello, alla giustizia, all'amore, proprio un tale uomo aveva davanti agli occhi il Concilio Vaticano II allorché, delineando la sua situazione nel mondo contemporaneo, si portava sempre
dalle componenti esterne di questa situazione alla verità immanente dell'umanità: «È proprio all'interno dell'uomo che molti elementi si contrastano a vicenda. Da una parte, infatti,
come creatura, egli sperimenta in mille modi i suoi limiti; d'altra parte, si accorge di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da molte
attrattive, egli è costretto sempre a sceglierne qualcuna ed a rinunciare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di raro fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe.
Per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società».
Quest'uomo è la via della Chiesa, via che corre, in un certo modo, alla base di tutte quelle vie, per le quali deve camminare la Chiesa, perché l'uomo - ogni uomo senza eccezione
alcuna - è stato redento da Cristo, perché con l'uomo - ciascun uomo senza eccezione alcuna - Cristo è in qualche modo unito, anche quando quell'uomo non è di ciò consapevole:
«Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo» - ad ogni uomo e a tutti gli uomini - «... luce e forza per rispondere alla suprema sua vocazione».
Essendo quindi quest'uomo la via della Chiesa, via della quotidiana sua vita ed esperienza, della sua missione e fatica, la Chiesa del nostro tempo deve essere, in modo sempre
nuovo, consapevole della di lui «situazione». Deve cioè essere consapevole delle sue possibilità, che prendono sempre nuovo orientamento e così si manifestano; la Chiesa deve,
nello stesso tempo, essere consapevole delle minacce che si presentano all'uomo. Deve essere consapevole, altresì, di tutto ciò che sembra essere contrario allo sforzo perché «la
vita umana divenga sempre più umana», perché tutto ciò che compone questa vita risponda alla vera dignità dell'uomo. In una parola, dev'essere consapevole di tutto ciò che è
contrario a quel processo.
Per questo l’elemento sociale/funzionale/istituzionale è comunque necessario. E di rilevanza centrale è il
n°14, lì vi ritrovate la sintesi di tutto il discorso. Perchè ritorna il fatto che si parla di uomo, ogni uomo, e
tutto l’uomo e la necessità della presenza sociale. Ed è quindi l’aspetto centrale del n° 14, quando dice:
“questo uomo tutto l’uomo ogni uomo, pensato secondo il progetto di Dio è la via della Chiesa.”. se al n°13
diceva: Gesù Cristo è la via della Chiesa - al n° 14 dice: “l’uomo è la via della Chiesa”. “via che corre alla
base di tutte quelle vie per le quali deve camminare la Chiesa” … “ogni uomo, senza eccezione lacuna, è
stato redento da Cristo” “ciascun uomo senza eccezione alcuna” in un rigo lo ripete 2 volte. “con questo
uomo, Cristo è in qualche modo unito, anche quando quell’uomo non è di ciò consapevole”. Anche quando
l’uomo non lo sa, anche quando l’uomo non è consapevole del suo dono di fede, anche allora, Gesù Cristo è
unito a lui. Quindi questo è il primo ambito, le istituzioni sono necessarie, perché l’uomo vive di vincoli
relazionali e di strutture sociali.
Secondo sottoprincipio. Se le istituzioni sono necessarie, è il primo aspetto. Le istituzioni, allora, sono da
apprezzare in positivo per i loro benefici, per quello che apportano alla realizzazione dell’elemento
personale, quindi dell’uomo. Quindi, da apprezzare in positivo per i benefici, Ma da denunciare, ancora, per
il loro abusi. Per i loro rischi di irrigidimento, o di oppressione, di che cosa? Dell’umanum, che è contenuto
comunque, nella strutture sociale. Quindi se è necessario, l’elemento organizzativo funzionale, è da
apprezzare per il positivo, però è da evidenziare anche il negativo, quando questo comunque si verifica. E
allora, ultimo criterio, 3° sottoprincipio, le istituzioni allora sono valutate proprio in funzione dello sviluppo,
del servizio che rendono all’uomo, e alle comunità umane. Questo lo trovate nei n° 16 – 17.
Quindi, le istituzioni sono per l’uomo, sono finalizzate all’uomo, e alle comunità degli uomini. Anche perché
l’uomo non si esaurisce in una connotazione sociale uniforme e basta. Ma c’è un pluralismo sociale, la
società non è che si riduce ad una forma sola. Ci sono tante forme di società.
E allora, 3° sottoindicazione, quando abbiamo detto: le istituzioni sociali sono opera dell’uomo; quindi
priorità operativa, è l’uomo che opera in esse. Le istituzioni sono infatti al servizio dell’uomo, ma qui si
aggiunge qualcosa di più, rispetto al secondo ambito, che abbiamo esaminato. Le istituzioni sono al servizio
dell’uomo, solo se sono opera dell’uomo, perciò la priorità operativa. Se le istituzioni sono opera dell’uomo,
e non solo, se permangono, sotto la sua responsabilità. È sempre l’uomo, il soggetto, il fondamento, il fine
delle istituzioni, ma questo non solo quando vengono create, o creati i contesti associativi/organizzativi. No,
anche se poi rimangono/permangono, sotto questo controllo dell’umano, che è in esse. Quindi, proprio in
questo senso va verificata se questa verità si realizza o non si realizza. E allora, anche qui evidenziamo tre
ambiti, come abbiamo fatto, fino ad ora. Quindi, se il criterio è quello che l’uomo deve essere colui che
opera nelle istituzioni, e le istituzioni vengono misurate alla base di questa verità, della priorità operativa,
allora, possiamo dire che: senza l’opera dell’uomo le istituzioni, le funzioni sociali organizzative si
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irrigidiscono ed opprimono. E voi fateci caso, anche qui, sottoponete ad esame i vari contesti
organizzativi/funzionali/economici/politici , quello che volete, e toglieteci l’uomo, e vedete cosa esce fuori.
Domanda: come fa un’istituzione ad esistere senza essere creata dall’uomo?
Prof: ma mi riferivo, ti ricordi quando prima ho detto, quando l’uomo si dissocia dalla sua creatura. Cioè, ok,
ci siamo riuniti assieme, abbiamo deciso assieme, però poi sembra come quasi quel contesto funzionale
raggiunge un tale sviluppo ed una tale maturità, da non fare riferimento a colui che lo ha creata a colui che
l’ha voluta. Poni il confronto, tra l’uomo e Dio. Succede la stessa cosa. Quando l’uomo si sgancia un po’ da
quelle sue responsabilità. Quindi questo non è solo un fatto di responsabilità del contesto funzionale
istituzionale. Ma alla fine capite come è sempre la responsabilità dell’uomo. Anche per questo ne parliamo
in un contesto di morale, perché ovviamente la qualità della responsabilità, decide poi la connotazione
morale o meno di quel contesto di riferimento.
Domanda: questo sembra avvicinarsi all’impostazione laica, a quello che sosteneva anche Max Weber,
sofisticazione dell’autosufficienza che sembra prescindere dal vero proprio umanum, la razionalità sembra
quasi sganciarsi dall’orizzonte del fine …
Prof: se non vuoi ritornare necessariamente ad un secolo fa, o a quando lui scriveva queste cose, analizza la
realtà tecnocratica di oggi, pensiamo all’influsso dominante oggi degli strumenti tecnologici, a cui facciamo
riferimento, e senza i quali oramai come uomini, non possiamo più esistere. Voi fateci caso, se per mezza
giornata non riuscite ad essere connessi in rete, ti sembra veramente di essere perso., di essere fuori dal
mondo, non più in contatto con gli altri. Vedete, ritorna il problema, un certo contesto, organizzativo
istituzionale, ci ha reso talmente dipendenti da quella creatura che quasi nessuno , riesce più a farne a meno.
Guardiamo anche il cellulare. Per dire i rischi sono presenti oggi in questa mentalità, che vanno per la
maggiore. Senza parlare poi degli altri rischi che la tecnocrazia, comunque presenta, nel momento in cui
mette in secondo piano l’uomo. non voglio parlare del fatto che ormai oggi, siccome tutto si fa con i
computer, si resteranno pochi uomini che dovranno dirigere la macchina, ama poi tutto il resto non servono.
Quindi in tutti i contesti professionali e di lavoro, anche lì l’uomo viene messo fuori. Perché ovviamente
conviene di più il computer. Permette di raggiungere funzionalità, molto più intelligenti, del comune
quoziente intellettuale dell’uomo o della donna che si applica a quella macchina. Questi discorsi applicateli
un po’ di più ai contesti in cui noi viviamo, e vi ritrovate un po’ di rischi a cui comunque una certa mentalità,
può abituarci, anche noi che bene o male, forse non abbiamo tutta questa mentalità. Però volenti o nolenti,
per relazionarci agli altri per vivere in quelle strutture, in quei vincoli relazionali, che fanno parte della
nostra natura umana, subiamo comunque le conseguenze. Anche se non siamo noi volontariamente a
deciderlo. Perché, chi di noi vorrebbe essere messo appunto da parte? Eppure però, ecco il sistema, riesce ad
avere una logica dominante che fa perdere di vista il mio essenziale, ecco il problema, non per essere i soliti
moralisti, ma questa è lettura di una certa problematica. Nelle sue conseguenze anche più umane, perciò è
anche importante sottolinearlo. Quindi quando l’uomo abdica alla sua responsabilità, perde di vista ciò che
veramente lo fonda, lo costituisce…
Domanda: perché considera la realtà religiosa così fuori dal sociale?
Prof: Allora, devi considerare che a me piace scherzare, quindi le mie battute sulle suore… non è per un
riferimento negativo, faccio anche ritiri alle religiose, quindi se avessi motivi contrari alla vita religiosa non
mi permetterei questo tipo di …
A me serve per ironizzare, anche del fatto che una certa mentalità, anche ecclesiale, che fino al concilio era
almeno prevalente questo, come se la vita religiosa fosse da parte, che in un certo senso è anche vero e va
bene. Però non si può essere ancora da parte, in una concezione dove quei riferimenti sono cambiati, basta
appunto leggere la realtà in cui noi ci troviamo. Per capire quanto è importare che ognuno di noi ha una sua
vocazione eminentemente sociale. Ma questo, come già dicevo, ce lo hanno anche i monaci e le monache.
Domanda: non mi sembra che prima del concilio ci sia stata tutta questa chiusura, questa cosa un po’ da
parte … es ospedali, mondo del lavoro…
Prof: si, ma se tu vai a guardare bene la mentalità ed il concetto che era sottostante, ma la concezione che
c’era della vita religiosa quale era? Come ti dicevo a me capita di girare per conventi, faccio ritiri e cose
varie. Ti potrei fare gli esempi di comunità religiose dove vado tuttora, quindi è ancora la realtà così. Dove
per ogni minima cosa, pure per dire: “posso andare in bagno” c’è sempre - permettano i laici presenti se
facciamo queste disquisizioni- però mi sembra un po’ esagerato come discorso, quindi vedi, che quel rischio
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non ti credere che sia del tutto eliminato e messo da parte. Io mi auguro appunto che le nuove leve che
diventeranno superiori un domani, terranno conto di questi discorsi, traggano insegnamento da questo,
proprio per cambiare un po’ la mentalità. Perché ripeto, in tanti ambienti in cui io sono stato, di vita
religiosa, soprattutto femminili, non parlo di quelli maschili, perciò lo faccio con le suore. Ma quelli
femminili, è una realtà che veramente alle volte ti viene il coraggio di dire:, ma chi te lo fa fare di starci
ancora. Questa è una confessione pubblica, ma veramente viene la domanda di dire, ma questa è più di una
croce, con questo spero che le religiose presenti non…. però per dire, se io lo faccio come battuta, è anche
per evidenziare un dato, che è problematico comunque, poi, per carità, ci sono forme di vita religiosa oggi,
più attive, più dinamiche, ma stai tranquilla che molto dipende da chi è al vertice. Ma se sopra a quella
comunità c’è qualcuno ancora con q1uella mentalità per la quale per ogni minima cosa ti guardano anche
quanti minuti stai a guardare la tv, o altre cose di questo tipo. Secondo me devono cambiare i quadri
dirigenti, fin che non cambiano e allora quel rischio ancora sarà presente, perché in un certo senso è anche
naturale, è gente che è stata formata è abituata a quella mentalità lì, è chiaro che tu oggi, a 60/70 anni che
hanno, non gli puoi andare a dire: è ma anche la vita religiosa ha una sua dimensione sociale. Ti guardano
con gli occhi di fuori, come per dire, ma questo che sta dicendo, ma come noi la vita religiosa, … oggi mo
arriva questo e ci viene a dire. Quindi bisogna anche rispettare un po’ … la mia vuole essere una battuta ma
che vuole cogliere un rischio presente, assolutamente me ne guardo bene dall’accusare. Anzi guardo con una
forma di rispetto e di attenzione profonda chi vive quel tipo di fatica a cui facevo riferimento prima. Perché
lo osservo, e te lo vengono a dire nella direzione spirituale. Perciò se ne parlo, porto fuori qualcosa che mi è
stato riferito, io non sto in convento, quindi non potrei dire qualcosa che non mi è stato detto. Se mi permetto
è solo per questo, non per fare battute di cattivo gusto.
Domanda: questa è una dicotomia, che è ad intra nel convento, però poi nel sociale, penso (a parte la vita
caustrale), però nella vita attiva le suore escono, anzi.
Prof: Si e No, almeno per certe letture che ho fatto, per certe conoscenze che ho fatto, per l’interpretazione
del dato che mi è concesso. Poi, ripeto, ci saranno altre che hanno una natura più emancipata (nel senso
buono della parola), perché poi ogni famiglia religiosa, fa riferimento alle sue costituzioni, alla sua identità a
quello che è e a quello che deve essere, anche nel contesto sociale, quindi assolutamente. Però secondo me in
un certo senso tante cose, mi sembrano veramente un po’ riduttive, nel nostro modo di relazionarci agli altri.
Ma questo ripeto, io vorrei dirlo soprattutto alle superiore, perché è lì la responsabilità principale, non è della
suora giovane o che arriva da un altro contesto e si ritrova davanti un contesto gerarchico, quasi paralizzato,
e ci sono contesti ancora così. E quindi se mi consenti, la battuta, se a te è dato di vivere un ambiente così,
menomale, a me fa piacere per te e per chi vive come te, questa apertura relazionale e dinamica.
Io sono fiducioso, perché si tratta di aspettare solo qualche altro anno, ma questo non perché voglio che
quelle persone … come dire, terminino la loro esistenza terrena, no. Però bisogna fare anche quello che si
può, ognuno secondo la sua responsabilità. Quindi anche questo mio modo di parlare di un certo contesto
sociale, vorrei che fosse più uno sprone, per dire: ma io che sono religioso, non è che proprio vivo questa
apertura di cui lei ci sta parlando. È più in modo per poter allargare gli orizzonti, che per poter dire, ok,
allora facciamo così. Almeno inquadrare quale è il discorso ideale, perché altrimenti la nostra mente rischia
di restare ristretta e non va oltre.
Domanda: secondo me è giusto considerare le situazioni in cui si è troppo chiusi, credo che l’esagerazione
opposta sia anche sbagliata, credo cui sia bisogno di un equilibrio, e penso che le congregazioni religiose
siano un segno nel mondo, per tutti noi, che ricordano che siamo fatti per il cielo,. Quindi, se ci sono delle
congregazioni che non usano internet, ben vengano, perché davvero sono un segno, perché questo mondo
davvero è pieno di tutto tranne …
Prof: ma io la penso come te, nel dire le cose che dicevo a lei, non mi riferivo all’uso di internet, cellulari e
cose varie. Non era questo il discorso. Prima ne abbiamo parlato, quando stavamo parlando della tecnologia
di oggi, ma non aveva a che fare con il discorso tecnologico, quello che stavo rispondendo a lei, non ha a che
fare con gli strumenti tecnologici.
Domanda: io credo che sia giusta una apertura, però credo che lo stare fuori, sia un bene, perché si ha una
capacità di poter vedere, in modo più limpido la realtà.
Prof: guarda sono d’accordo con te, io però dico questo, nei momenti e negli ambiti nostri sociali, in cui
comunque entriamo in dialogo con l’altro: Come vivo quel momento? Non mi sto riferendo a quella sfera
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più religiosa, mi riferisco però all’ambito sociale, che io incontro inevitabilmente quando incontro la m ia
consorella. Come mi relaziono con la mia consorella? Quindi la dimensione religiosa a cui io faccio
riferimento è quella, non l’ambito consacrato, ovviamente il primato va dato a Dio. Quindi non voglio
distogliere e dire , allora, benissimo, pensate al mondo non pensate a Dio… assolutamente. Ma la mia
osservazione sulla vita sociale è proprio quando invece io, esco per un attimo da me e dico, a ok, sto
incontrando suor Maria che sta al mio fianco, chi è questa che sta al mio fianco? È quell’ambito lì che io
vorrei fosse maturato da una consapevolezza diversa, non invece, quella cosa di chiusura, perché appunto, 40
anni fa, 50 anni fa si veniva formati a questo. E invece è ancora lì che secondo me oggi, quindi io mi
riferisco non all’ambito più personale e intimo, quello resta un discorso tuo religioso, assolutamente, io non
posso inserirmi. E lì sbaglierebbe anche la stessa superiora che per esempio volesse entrare a dominare la
vita della suora su cui esercita l’autorità. Sarebbe anche quello un errore da parte della superiora, per
esempio. Entrare in conflitto, con questo aspetto. Invece io dico, proprio nel momento in cui io vivo la
relazione con l’altro, diverso da me, allora, è li che si scatena il mio modo di essere aperto a quella
relazzionalità. O al contrario, perché ancora formato in un certo modo. E allora mi viene detto che l’altro
resta sempre altro, e quindi basta, chiuso. È quell’aspetto lì sul quale invece, io vorrei, si pensasse in modo
diverso.
Del resto noi non facciamo morale religiosa, se la facessimo,allora, potremmo … ma invece facciamo
morale sociale. Quindi a tutto ciò, le mie osservazioni hanno a che fare con quel tipo di ambito e di
osservazione… cmq non vi dico neanche le altre cose, perché siamo già in ritardo, rimandiamo alla prossima
lez… però credo che anche questo dialogo sia servito. Grazie e buona serate.
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