Teologia Morale Speciale Sociale 21° Lez - 2° semestre 5° Lez –19 Mar 09 - Ass.: SANTANGELO→(Don Domenico) L’altra volta abbiamo parlato dei 3 tipi di priorità della persona sulla società, abbiamo inquadrato le concezioni riduttive di società. E allora, ci muoviamo in questa sintonia, per affermare che una volta sostenuto che in TMSo il principio di orientamento per la condotta concreta per la vita sociale da credenti, è proprio il ribadire la priorità della persona sulla società. Ma bisogna stare sempre attenti alle forme di ideologie, cioè, il ridurre tutto solo ad un aspetto, se noi volessimo applicare in maniera riduttiva solo questo principio, allora, faremmo noi per primi ideologia. Invece abbiamo detto l’altra volta che è necessaria una comprensione che sia il più possibile integrale di tutti gli aspetti. Questo significa che, non si tratta di esaltare l’uomo in una concezione di tipo assolutista. Perché, una cosa è parlare di priorità di tipo ontologico, di priorità di tipo finalistico, di priorità di tipo operativo, un’altra cosa, invece è sostenere una visione di tipo assolutista dalla persona. Ma si tratta di prendere atto di una visione che sia il più possibile integrale e solidale. Cioè che faccia riferimento a tutti quei profili, che abbiamo considerato, della persona umana, e che abbiamo già preso atto di quello che il compendio, al cap. 3° paragrafo 3°, ci dice. E cioè, quali sono i principali profili della persona umana? Se noi abbiamo un quadro completo ed integrale di questi aspetti allora, abbiamo evitato, sia l’assolutismo, e sia il riduzionismo. Dicevamo allora, unità della persona, unità di corpo ed anima, … ricordate… insieme di intelletto, mente, volontà, intelligenza, azione, apertura alla trascendenza, sia di tipo orizzontale che di tipo verticale; unicità, la persona come unica e una; irripetibilità della medesima, il fatto che non siamo stati creati in maniera clonata, gli uni gli altri; libertà ed uguaglianza in dignità di tutte le persone, e la socialità umana. Quindi se abbiamo questo quadro integrale di tutti questi aspetti, evitiamo entrambe quegli eccessi, perché se voi sottoponete a esame ognuna delle ideologie di riferimento, nella società di tipo culturale, di tipo morale, di tipo religioso, a qualsiasi forma, si possa far riferimento, manca inevitabilmente almeno uno di questi aspetti. Fate voi, come applicazione pratica di questo criterio che abbiamo esaminato, e vi ritroverete, come criterio dell’individualismo, da un lato, o il relativismo, lo scetticismo, da altre parti, tendono inevitabilmente a non considerare, almeno uno di questi aspetti. Io dico di più di uno, però, per un rispetto delle altre visioni, allora diciamo che ne manca almeno uno. Allora, in questo caso, dovendo ribadire la priorità, della persona umana, abbiamo detto, evitiamo l’assolutismo, evitiamo quindi l’esaltare la persona umana, ma senza considerare questi profili che abbiamo considerato…evitando l’altro rischio, quello di sottovalutare le istituzioni sociali, quindi far finta, come se non ci fossero. Ma allora, il contesto sociale a cosa serve? Se la persona deve essere l’unico che deve poter orientare, sostenere e guidare poi la vita concreta nella società? quindi, questa visione della priorità della persona, non elimina, ovviamente l’importanza e la necessità, soprattutto, la necessità, dell’esistenza, del contesto sociale, degli ambiti, e delle varie funzioni, e strutture sociali. Quindi, non si tratta di sottovalutare le istituzioni sociali. Pensate all’economia, alla politica … oggi si parla tanto anche della crisi finanziaria, la finanza, oramai è ambito ineludibile / inevitabile della vita dell’uomo. ormai, chi ha a disposizione denaro, anche quella è una dimensione inevitabile della vita ordinaria di ognuno. Religiosi o laici, a qualsiasi ambito di vita apparteniamo. Quindi, non si tratta di sottovalutare le istituzioni sociali, perché sono gli ambiti in cui l’uomo si sviluppa, l’uomo si perfeziona, si realizza, in questi ambiti, per questo sono stati anche previsti dal nostro creatore, che ha creato inevitabilmente l’uomo in un contesto sociale. E poi, ricordiamo anche quelle citazioni, di quel documento magisteriale, a cui facciamo riferimento nella nostra parte fondativa, e sappiamo come Dio ha voluto, non solo creare, l’uomo isolato, ma ha voluto anche salvarlo, in maniera comunitaria, in maniera relazionale, in un contesto veramente relazionale, che è la comunità dei figli di Dio. E questo si trova proprio rappresentato ed evidenziato nella Chiesa, quindi, questa compagine sociale, è naturale, è naturalmente prevista, è connaturale alla natura dell’uomo. Non è estranea, ne riduce le potenzialità, anzi è chiamata a realizzare le aspettative dell’uomo. Non per niente, l’uomo vive nell’istituzione sociale, l’uomo vive dell’economia, l’uomo vive dell’economia, l’uomo vive dell’ambito politico, l’uomo vive della finanza, e così via. L’uomo vive anche di quelle strutture più elementari, che comunque richiamano alla vita comunitaria, l’uomo vive in una famiglia. L’uomo incontra necessariamente un altro diverso da sé e già quello è un contesto sociale. Quindi, inevitabilmente allora, quella relazionalità, 1 richiama allora quella sua sollecitudine alla società stessa. Il problema, come sempre, non per niente facciamo T Morale per analizzare quali sono le questioni, quali sono gli ambiti problematici, è quanto si nota una scissione, è una opposizione, allora, tra l’uomo da una parte e il mondo materiale in cui vive. Quindi, l’uomo con tutto ciò che si porta dentro, con la sua sete di desideri, di aspirazioni, di ideali, da una parte, e dall’altra parte però, anche la fatica di realizzare, anche questa voglia di realizzazione, di desideri, di bisogni … e come li catalizza l’uomo? e come è chiamato a realizzare questi ideali, questi valori, questi desideri, queste aspettative? È chiamato a realizzarli proprio in un contesto sociale, a cui fa riferimento, non per niente si aggrega, appunto, mette insieme ad altre persone, proprio per poter realizzare, questi obbiettivi. Ma appunto, tra questi 2 ambiti, l’uomo e il mondo materiale e sociale, il politico l’economico e tutto quello che volete, non per niente si nota una scissione, è un’opposizione… quindi, l’uomo va da una parte, il mondo in cui vive, le strutture terrene / le autonomie terrene / le così dette autonomie terrene temporali – di cui sempre quel famoso documento ci parla (n° 36), evidenzia proprio questa scissione. Per non parlare di una opposizione.. e non per niente, già il concilio parlava del rischio fondamentale… parlava della alienazione. I rischi in ambito sociale, sono due, riferiti all’alienazione. L’alienazione è quando l’uomo si estranea, come se si vendesse/alienare, in quel vendere sta l’illuminare la sua dimensione più propria. I due rischi sono: l’alienazione NEL sociale e l’alienazione DAL sociale. L’alienazione nel sociale significa fare di tutto, come se appunto esistesse solo il sociale, come se esistesse solo lo strutturale le funzioni, le istituzioni, gli ambiti istituzionali, i contesti sociali in cui noi viviamo. D’altra parte, l’altro rischio è l’alienazione dal sociale. Come se non ci fosse il sociale, come appunto, se non mi servisse. Come se non fosse necessario per la mia realizzazione. Quindi entrambi questi rischi vanno tenuti presente, e come cristiani dobbiamo in modo particolare evitare entrambi questi rischi, come gli altri rischia a proposito delle democrazie contemporanee. Ricordate… dicevamo, lo scetticismo, il relativismo, sono altri rischi che minano proprio questa vocazione integrale e solidale dell’uomo, inteso in un contesto relazionale, inteso come lui e le autonomie terrene, chiamato a vivere. Non per niente, ci sono anche dati che confermano, proprio come la società, stessa, gli ambiti istituzionali (quando parlo di società in questo senso, mi riferisco agli ambiti istituzionali, le strutture, le funzioni i contesti, quindi, non l’uomo inserito in esse, mi riferisco all’ambito puramente organizzativo. Istituzionale, funzionale, in quel senso lì, quando uso questo tipo di concezione.). Quindi fa riferimento al fatto, che orami questo ambito, è come se si sia sganciato dal controllo dell’uomo. Come se non sia più l’uomo a poter indicare quali sono i fini, quali sono i mezzi, di cui, l’ambito istituzionale, organizzativo funzionale, si serve per poter realizzare le finalità per le quali sono istituiti. Quindi un ambito, che svincolato, nei fini, e nei mezzi usati, al punto che si assiste anche al fatto che l’uomo, talmente dissociato da questa realtà istituzionale, vive come se dubitasse della sua stessa capacità di influire su quel contesto istituzionale. Quindi l’uomo dubita anche di sé stesso, dubita della stessa potenzialità di influire su questo contesto sociale. Quante volte ci facciamo queste domande: ma io da solo cosa posso fare? Le nostre scelte a titolo personale, cosa possono dire alla società, in cui noi ci inseriamo? Ci sentiamo in un discorso di minoranza, perché appunto sentiamo questa incapacità, forse perché manca qualcosa che ci tiene uniti veramente. Perché se ci sentissimo un po’ più uniti, legati, gli uni gli altri, allora, questo sentimento, questa paura, questo timore, verrebbe anche un po’ meno, sarebbe più debole. Invece si assiste proprio al fatto che l’uomo dubita nella capacità di influire sulle sue stesse creature. Quindi le strutture, creazioni dell’uomo, dovrebbero portare il suo segno, dovrebbero portare la sua identità, se è vero che è l’uomo che ha creato queste strutture, queste organizzazioni, queste funzioni; queste stese istituzioni, appunto. Quindi è un po’ come se l’uomo non fosse più il soggetto, il fondamento, il fine di quelle stesse istituzioni, che lui stesso ha creato. Appunto, non manca in società, chi ripete che l’uomo è solo un elemento anonimo del sistema, è solo un meccanismo sociale. L’uomo è semplicemente un meccanismo, è una particella, c’è o non c’è, tanto se ne trovo uno, ne trovo un altro, o un altro ancora. Applicate questo al contesto del mondo del lavoro. Dove la dignità dell’uomo non è realizzata in maniera piena ed autentica, trova automaticamente un’altra particella, che al mio posto può svolgere le mie stesse funzioni. Perché questo è il sistema che lo richiede, non è l’identità, la dignità, prioritaria dell’uomo, in questo senso, a dettare queste indicazioni. Invece appunto, vedremo, che il principio fondamentale è proprio quello che l’uomo supera queste strutture/finalità. Anche qui analizziamoci e chiediamoci, se veramente anche noi nella concezione che noi abbiamo di società di sistema, di funzione di istituzione, l’uomo è sempre soggetto/fondamento e fine di quelle strutture, per poter capire anche noi come ci poniamo, con quale comportamento noi ci relazioniamo alla società stessa? Siamo 2 capaci veramente di sentirci portatori di questa priorità? O anche noi ci sentiamo succubi delle istituzioni e delle creazioni che l’uomo stesso ha determinato? Ancora, indagini psicologiche e sociologiche, tendono ancora ad evidenziare, come praticamente l’uomo, sia talmente condizionato, dai così detti determinismi sociali, le influenze delle società, al punto da perdere la sua stessa identità. Cioè, no essere più capace di essere lui a dominare. Dove il termine dominare, ovviamente non mi riferisco ad una concezione assolutista di dominio, ma semplicemente riuscire ad amministrare. Un po’m quella concezione biblica, quando appunto il creatore, crea l’uomo e gli dice di dominare, ma dominare, nel senso di amministrare, non è un dominio assoluto. Allora, in questo senso, davanti a questi rischi, la TMSo che cosa può fare? Quali responsabilità, ha da evidenziare, e quindi gli uomini e donne che ovviamente vogliono essere partecipi, di questa responsabilità. Io credo che ci siano 2 contributi, che la TMSo è chiamata ad evidenziare, a rafforzare e sono queste: la prima è quella di rinvigorire, di dare vigore/forza/sostegno proprio all’umanum che c’è nell’uomo, dicendo umanum mi riferisco a tutti quegli aspetti evidenziati dei profili di umanità. Quindi a rendere l’uomo, più uomo, e quindi parliamo di tutto l’uomo e ogni uomo. Chiamati a rinvigorire, a rafforzare l’umanum che c’è in ognuno di noi, l’umanum che si relaziona nel contesto sociale e questo indipendentemente da tutto il resto, cioè indipendentemente dalle sue capacità, indipendentemente dalle sue qualità, dalle sue idee, e da chi mi trovo davanti, l’alto che incontro, il volto dell’altro ha di per sé una sua dignità che io non posso subordinare alla mia, solo perché le mie idee la mia qualità, le mie capacità sono superiori alle sue, o io ritengo che siano superiori, e più degne di qualità rispetto alle altre. Perché ognuno di noi è consapevole di possedere una consistenza irriducibile, un’identità irriducibile, una vocazione una dignità, che proprio quando è letta interpretata e vissuta alla luce della fede cristiana assume quella trascendenza che abbiamo individuato essere il fondamento prossimo, della vita sociale. Quali sono queste caratteristiche? Che abbiamo evidenziato nella dignità trascendente della persona umana? (compendio – voce: dignità umana) Il fatto di essere stati creati e redenti da Dio, in modo uno ed unico (ritorna uno dei profili d4ella persona umana). Una dignità incomparabile e inalienabile, intangibile, connaturale alla vita umana e uguale in ogni persona, integrale, irrinunciabile, inviolabile. Quindi, primo compito della TMSo è rinvigorire l’umanum che c’è in ognuno di noi, che c’è in ognuna delle persone che incontro nel suo contesto relazionale. Secondo compito allora, quello che ha la TMSo, è proprio quello di rafforzare tutte le istituzioni sociali, una volta rinvigorito/rafforzato l’umano che c’è il più di uomo, in quel senso integrale che ognuno di noi ha, allora siamo chiamati anche a rafforzare le istituzioni sociali in cui l’umanum si ritrova a vivere a essere ad operare e ad agire, che consentono quindi di poter realizzare quindi quello sviluppo pieno ed autentico, degli uomini. Non dimentichiamolo mai, che lo sviluppo pieno, intero ed autentico, l’uomo lo ritrova proprio in questa connotazione sociale, quindi è per questo che bisogna allora, anche rafforzare ciò che le istituzioni sociali portano in se stesse. Quindi rafforzare, tutte quelle istituzioni sociali, tutti quegli ambiti e contesti sociali, in cui l’uomo trova il proprio sviluppo in maniera più piena, più autentica e quindi la sua realizzazione. L’uomo ha quei duplici profili, che dicevamo l’altra volta, l’individualità e la socialità; sempre da tenere presenti, perché altrimenti dimentichiamo qualche aspetto essenziale della natura propria dell’uomo, e non attua la sua vocazione singolare, quindi la sua individualità, se non nella comunione con gli altri. Questa è l’0identità propria, a cui ogni uomo è chiamato, credente e non credente, non è che c’è differenza tra chi pratica e vive la vita di fede e chi non la vive e non la pratica. Questo che io vi ho detto, va benissimo in qualsiasi contesto. Non necessariamente deve essere un contesto dove la fede sia anima di tutto il discorso sociale, no, anche in un ambiente dove la fede può essere meno presente, può non essere presente. E non per niente, sempre su questo fatto che la vocazione singolare si attua nella comunione con gli altri, indovinate un po’; dove lo trovate? Indicato sempre nel nostro documento di riferimento, ai N° 23 - 24 – 25 (documento: GS) . Stabilisce proprio come la vocazione singolare si attua nella comunione con gli altri. Tenetelo presente, queste sono le priorità assolutamente fondamentali da tener sempre presente, in qualsiasi contesto vi troviate. Allora, tenendo conto dei tre tipi di priorità, tenendo conto delle concezioni riduttive della società, che tipo di verità teologico – morali possiamo articolare, proprio sul rapporto persona e società? io individuo 3 verità fondamentali da tenere conto, che discendono da quelle priorità, che abbiamo esaminato. Quindi, avendo presente quelle priorità, riusciremo a comprendere anche queste tre verità fondamentali. Dalla priorità ontologica, dal fatto che è l’essere dell’uomo che è al fondamento di tutto il contesto, noi diciamo che l’uomo (e quindi, tutto l’uomo, ogni uomo) trascende, supera, le istituzioni, 3 sociali, gli ambienti sociali, in cui si inserisce, e poi vedremo il perché. Per il momento prendetelo in buona fede, questo che vi dico. Quando dico sociale, anche in questo senso è sempre l’ambito istituzionale, l’ambito funzionale. Perché quando vi capiterà poi che nel giorno del dialogo fraterno, vi chiederò il contesto sociale di riferimento… non venite a dirmi, non so, la struttura, la funzione, si quello è un aspetto della società, e della concezione sociale. Ma c’è l’elemento personale, quindi la soggettività è elemento del contesto sociale. Ok? Giusto per chiarirci, perché altrimenti poi uno si trova davanti qualcosa che non vorrebbe sentirsi dire. Quindi l’uomo supera l’elemento personale, possiamo anche dire, per capire meglio, l’elemento personale supera in dignità, il contesto e l’ambito funzionale, organizzativo, strutturale, istituzionale. Questa è la prima verità, dalla priorità finalistica, che abbiamo individuato già in passato, possiamo dire che le istituzioni sociali sono per l’uomo. Quindi l’ambito istituzionale, funzionale, organizzativo, esiste per realizzare le finalità prioritarie. Sono le istituzioni, il contesto sociale, per l’uomo. non l’uomo per le istituzioni, il contesto, abito funzionale e organizzativo. Questo discende dalla priorità, finalistica. E poi dalla priorità operativa, deduciamo che le istituzioni sociali, sono opera dell’uomo, è l’uomo che opera nelle istituzioni, nei contesti, negli ambiti istituzionali. Quindi gli ambienti, i contesti, le funzioni, istituzionali sociali, trovano nell’uomo il principio del loro sviluppo, autentico. Ho provato a leggere un documento del magistero dove secondo me potevano essere applicate queste verità, perciò ve ne parlo in modo più specifico, siamo nel trentennale di un documento del magistero, siamo nel trentennale della Redemptor Hominis (RH). Perché ve ne voglio parlare un attimo? Solamente per individuare come queste verità, trovano anche evidenza e luce in un documento del magistero stesso. Proprio infatti, rileggendo questa enciclica del magistero, che secondo me non viene considerata enciclica sociale. Noi quando parliamo di enciclica sociale, facciamo riferimento ad altre encicliche e documenti, che si soffermano in maniera specifica su alcuni ambiti, della vita sociale. Tranne il nostro punto di riferimento, perché lì troviamo tutto (compendio), c’è sia la vita umana nella sua dignità, e poi ambiti specifici. Invece generalmente le encicliche sociali, come sapete, sono dedicate ad un argomento specifico. Quindi non prendono in considerazione tutta la vita sociale. Si individua un ambito e quell’ambito, generalmente è così. Invece la RH non viene considerato documento sociale, anche se però, secondo me, per questo discorso fondativo che abbiamo fatto, bene si presta per verificare queste verità che vi ho evidenziato. Perché la prendo in considerazione? Non solo perché è il trentennale, perché è l’enciclica programmatica di un magistero. La prima enciclica è sempre il programma che un pontefice vuole seguire nel suo percorso. E poi anche perché, questo per me è il motivo fondamentale del perché si presta bene a verificare quanto abbiamo detto fino ad ora, perché il mistero dell’incarnazione e della redenzione. Quindi, quello che il Papa evidenzia in quella enciclica, la RH. L’incarnazione e la redenzione operata da Gesù Cristo, e in Gesù Cristo, donata ad ogni uomo, si presta proprio a mostrare il collegamento, che deve esistere nella vita sociale quando mettiamo in dialogo i due fondamenti, che abbiamo considerato. Fondamento remoto e fondamento prossimo. Non per niente, non c’è documento, allocuzione, esortazione, discorso, messaggio, di GPII dove non c’è sempre l’uno senza riferimento all’altro. Cioè, l’uomo alla luce di Cristo. Provate a verificarlo, troverete sempre questo binomio, l’uomo, ogni uomo, non si può comprendere se non alla luce dell’incarnazione e della redenzione realizzata da Gesù Cristo. C’è un rapporto ineludibile e fondativo, che esiste tra i due, come esiste un rapporto ineludibile e fondativo tra i due fondamenti. Il fondamento remoto della vita sociale, e il fondamento prossimo della vita sociale. Non per niente la RH inizia al n°1: “IL REDENTORE DELL'UOMO, Gesù Cristo, (già mette insieme Gesù Cristo e Uomo) è centro del cosmo e della storia.” Così iniz1a, quindi anche nella vita sociale, ovviamente il Papa qui riprende sempre il nostro mitico documento(compendio) perché se voi andate a leggerlo ritrovate la stessa sostanza, con parole un po’ diverse. Il redentore dell’uomo è il centro, è il punto essenziale, perciò per noi è il fondamento, è il centro del cosmo e della storia. E alla luce di questa verità, che l’incarnazione e la redenzione pongono il senso più originario della storia, della vita sociale che noi viviamo. Fonte di ogni progettualità sociale e di ogni umanesimo che sia autentico. Ogni umanesimo autentico trova la sua verità proprio alla luce di questo fondamento, del fondamento remoto della fede. Quindi trova alla luce di questo fondamento, la fonte di ogni progettualità, di ogni umanesimo autentico, come la ragione di ogni loro rinnovamento, ogni progetto sociale è chiamato ad autenticarsi, come è chiamato a rinnovarsi. Non è una verità eterna, come la forma democratica di stato, non è una verità eterna, non è una verità di fede, sono quei progetti che evolvono col tempo, e sono chiamati ad evolversi sempre. Perché invece, chi è che resta? È l’uomo che resta. Ma il 4 progetto istituzionale, funzionale, strutturale organizzativo, si adatta all’uomo, quindi ogni contesto sociale istituzionale, trova alla luce di questo principio il suo riferimento. Qui c’è un passaggio centrale, quando lo stesso Papa dice che: la memoria di tali eventi, cioè l’incarnazione e la redenzione, i due ambiti i due aspetti centrali, che stanno al cuore della nostra fede di cristiani, la memoria di tali eventi universali, memoria che la comunità ecclesiale compie ogni volta che celebra l’eucaristia, quindi il momento centrale della nostra vita di fede; noi rinnoviamo l’adesione di fede in questi due misteri che sono un unico mistero centrale. La memoria di tali eventi universali, diviene generatrice di un progetto di missione. Missione ovviamente nel contesto sociale più amplio possibile. Questo non è un riferimento puramente devozionale. Ma voi pensate a ciò che l’eucaristia ha, e rappresenta, ed ha rappresentato, per tanti cristiani, laici e religiosi, proprio nel loro relazionarsi alla società. Quanti ordini e famiglie religiose date al mondo e alla società, sono nate proprio da una partecipazione più attiva all’eucaristia? Quanti progetti di missione sono nati proprio dal centro della fede? E quindi dalla partecipazione centrale alla vita di fede che si vive nell’eucaristia stessa? Quanti santi missionari, dati proprio al mondo, nel senso più amplio della parola. Gli educatori della fede, quanti educatori, negli ambiti sociali, le scuole per eccellenza, e anche quello è un contesto sociale. Come anche santi, e persone non ancora canonizzate, che però appunto si sono date proprio all’evangelizzazione, all’umanizzazione dei contesti sociali di riferimento. Pensate al fatto che noi in genere diciamo che la dottrina sociale della Chiesa, con chi nasce? A livello storico diciamo con Leone XIII, con la Rerum Novarum (RN), ma Leone 13° (L.13°), non fa altro che portare ad evidenza quanto già alcune realtà, già vivevano. In Francia, in Germania, nei paesi del Nord Europa, c’erano già dei laici che vivevano quelle realtà, che poi L.13° dirà nella RN, anche qui, facciamo attenzione a leggere un dato, è vero che è stato il Papa, ma il Papa ha portato fuori quanto era comunque vivo e presente in un contesto sociale, dove la presenza dei cattolici era veramente fermento, era veramente lievito della società del contesto in cui si inseriva, non per niente, poi sono stati proprio questi laici attorno a figure eminenti, attorno a vescovi, come ad esempio von Ketteler, in Germania, vescovo di Magonza, che appunto chiesero anche al Papa di essere un po’ più sensibili proprio sui questo discorso. Domanda dal posto… c’erano nell’800 anche figure di santi Prof: ma ancora, prima, se vogliamo individuare figure di santità, a me viene in mente così, la figura di un Vincenzo De Paoli, il fondatore delle suore della carità, egli è di un epoca ancora precedente, certo lì non è che aiutava il mendicante, se era op non era cristiano. Quindi non c’erano scelte di campo, ma questo per dire proprio come tanti, laici e religiosi, hanno dato proprio un segno di partecipazione alla vita sociale, ma proprio partendo dal centro della loro fede. Non andando a trovare altrove spunti e riferimenti per motivare la loro fede. No, l’hanno trovata in quella che loro già vivevano e vivono, speriamo anche per l’oggi, non solamente ricordare eventi e fatti del passato. E quindi dicevo, la memoria di questi eventi, diventa generatrice di progetti di missione, lo diceva il Papa nella Mane Nobiscum Domine (MND), la lettera esortazione, che il Papa aveva scritto per l’anno dell’eucaristia, nel 2004. Lui proprio questo evidenzia, ve lo leggo, perché secondo me è davvero matrice feconda di progettualità e di umanesimo sociale, quando il Papa nel n°25 della MNB dice: “…l'Eucaristia… è un modo di essere, che da Gesù passa nel cristiano e, attraverso la sua testimonianza, mira ad irradiarsi nella società e nella cultura.” . Quindi, più discorso sociale di questo, ditemi voi che cosa c’è. Nello stesso documento al n°27 e 28. Nel 27 dice: “è lì (cioè dalla partecipazione all’eucarestia) … Il cristiano che partecipa all'Eucaristia apprende da essa a farsi promotore di comunione, di pace, di solidarietà,”. O ancora al n°28, quando dice: “ è da lì che trae la spinta per un impegno fattivo nell'edificazione di una società più equa e fraterna.” Parla di società. quindi non sta parlando di sacrestia di Chiesa, sta parlando di contesto sociale. E allora diciamo qualcosa della RH, secondo me, come cogliere quelle 3 verità, che vi ho evidenziato prima, col dire che l’uomo trascende le istituzioni sociali, come le troviamo, rappresentate in questa enciclica? Qui a dare un po’ più forza alle nostre convinzioni di fede. Partiamo dal 1° punto, l’uomo che trascende, quindi, supera l’elemento organizzativo, l’elemento funzionale. Allora, se consideriamo sempre il binomio, Cristo/Uomo, questo è sempre il binomio, da dover tener presente, e allora, in questo primo aspetto, consideriamo le verità centrali, della fede, quindi, il primo riferimento è sempre al dato di fede. E che cosa vi leggiamo alla luce della rivelazione, alla luce del dato di fede. Che è alla luce della rivelazione, più specialmente (questo che vi sto dicendo lo dice la RH) alla luce che irradia, dalla persona, dalla vita, e dalle 5 opere di Gesù Cristo, che affermiamo il carattere unico, singolare, irripetibile, trascendente, dell’uomo. e infatti, dice la RH: è Gesù Cristo, il fondamento della dignità insuperabile dell’uomo. il fondamento è lì, e noi infatti, non per niente lo abbiamo individuato come fondamento remoto della vita sociale, ultimo, più pieno. È Gesù Cristo il fondamento della dignità insuperabile dell’uomo. quale uomo? di quale uomo si parla? Quello creato ad immagine e somiglianza di Dio. Uomo a cui si è unito il Figlio di Dio. E dirà infatti, ogni uomo… Gesù Cristo si è unito in certo qualmodo ad ogni uomo … lo diceva il nostro testo di riferimento (compendio). L’Uomo a cui si è unito il Figlio di Dio e a cui offre la pienezza dei suoi doni. Per esempio al n° 8 o al n° 11, ritrovate questi riferimenti che vi ho detto. E ancora, andando avanti sugli altri aspetti, il secondo sottoprincipio che colgo da questa verità: l’Uomo che trascende, che supera le istituzioni. Il primo è: Gesù Cristo il Fondamento della dignità insuperabile dell’Uomo. Secondo sottoprincipio (così chiamiamolo): Gesù Cristo è il fondamento della dignità di OGNI Uomo. quindi, apertura del discorso, credente e non credente. Infatti la RH al n° 7 – 13 – 12 – 18. viene proprio detto: Gesù Cristo è il fondamento della dignità di OGNI Uomo, credente e non credente. Su questo torna essenziale il n° 13, che non lo leggiamo per un fatto di tempo, però i numeri centrali dell’enciclica, che secondo me non potete permettervi di non leggere sono i n° 13 e 14. Perché il n° 13 dirà proprio che Gesù Cristo è la via centrale della Chiesa, è la via della Chiesa. Ed il n° 14 dirà: l’uomo è la via principale della Chiesa. quindi capite come il binomio ritorna, Gesù Cristo / Uomo. A)E ancora, 3° ed ultimo sottoambito, del primo principio, Gesù Cristo è il fondamento di tutto ciò che è autenticamente umano. Quindi, il fondamento della dignità dell’uomo: 1° ambito. Di OGNI Uomo, credente e non credente: 2° ambito. Di tutto ciò che è autenticamente umano: 3° ambito. È come se il raggio si allarga sempre di più. Al fondamento di tutto c’è questo principio, perciò: Fondamento Remoto. Questo è il primo ambito. B) Il secondo ambito che vi ho individuato come verità fondamentale. Le istituzioni sono per l’uomo. la concezione finalistica, ed abbiamo individuato questa verità fondamentale: le istituzioni sono per l’uomo, non l’uomo per le istituzioni. L’elemento personale prevale sull’elemento organizzativo funzionale. In questo senso allora, quali sottoverità/sottoprincipi evidenziamo? Innanzi tutto le istituzioni sono necessarie. Qui ritorna la necessità del contesto sociale, la necessità dell’ambito organizzativo, funzionale. Perché l’uomo scrive la sua storia, mediante una serie di vincoli relazionali, e di strutture sociali. Che lo uniscono organicamente agli altri uomini. 13. Cristo si è unito ad ogni uomo: Quando, attraverso l'esperienza della famiglia umana in continuo aumento a ritmo accelerato, penetriamo nel mistero di Gesù Cristo, comprendiamo con maggiore chiarezza che, alla base di tutte queste vie lungo le quali, conforme alla saggezza del Pontefice Paolo VI, deve proseguire la Chiesa dei nostri tempi, c'è un'unica via: è la via sperimentata da secoli, ed è, insieme, la via del futuro. Cristo Signore ha indicato questa via, soprattutto quando - come insegna il Concilio - «con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo» La Chiesa ravvisa, dunque, il suo còmpito fondamentale nel far sì che una tale unione possa continuamente attuarsi e rinnovarsi. La Chiesa desidera servire quest'unico fine: che ogni uomo possa ritrovare Cristo, perché Cristo possa, con ciascuno, percorrere la strada della vita, con la potenza di quella verità sull'uomo e sul mondo, contenuta nel mistero dell'Incarnazione e della Redenzione, con la potenza di quell'amore che da essa irradia. Sullo sfondo dei sempre crescenti processi nella storia, che nella nostra epoca sembrano fruttificare in modo particolare nell'àmbito di vari sistemi, concezioni ideologiche del mondo e regimi, Gesù Cristo diventa, in certo modo, nuovamente presente, malgrado tutte le apparenti sue assenze, malgrado tutte le limitazioni della presenza e dell'attività istituzionale della Chiesa. Gesù Cristo diventa presente con la potenza di quella verità e di quell'amore, che si sono espressi in Lui come pienezza unica e irripetibile, benché la sua vita in terra sia stata breve ed ancor più breve la sua attività pubblica. Gesù Cristo è la via principale della Chiesa. Egli stesso è la nostra via «alla casa del Padre», ed è anche la via a ciascun uomo. Su questa via che conduce da Cristo all'uomo, su questa via sulla quale Cristo si unisce ad ogni uomo, la Chiesa non può esser fermata da nessuno. Questa è l'esigenza del bene temporale e del bene eterno dell'uomo. La Chiesa, per riguardo a Cristo ed in ragione di quel mistero che costituisce la vita della Chiesa stessa, non può rimanere insensibile a tutto ciò che serve al vero bene dell'uomo, così come non può rimanere indifferente a ciò che lo minaccia. Il Concilio Vaticano II, in diversi passi dei suoi documenti, ha espresso questa fondamentale sollecitudine della Chiesa, affinché «la vita nel mondo " sia " più conforme all'eminente dignità dell'uomo» in tutti i suoi aspetti, per renderla «sempre più umana». Questa è la sollecitudine di Cristo stesso, il buon Pastore di tutti gli uomini. In nome di tale sollecitudine - come leggiamo nella Costituzione pastorale del Concilio - «la Chiesa che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana». Qui, dunque, si tratta dell'uomo in tutta la sua verità, nella sua piena dimensione. Non si tratta dell'uomo «astratto», ma reale, dell'uomo «concreto», «storico». Si tratta di «ciascun» uomo, perché ognuno è stato compreso nel mistero della Redenzione, e con ognuno Cristo si è unito, per sempre, attraverso questo mistero. Ogni uomo viene al mondo concepito nel seno materno, nascendo dalla madre, ed è proprio a motivo del mistero della Redenzione che è affidato alla sollecitudine della Chiesa. Tale sollecitudine riguarda l'uomo intero ed è incentrata su di lui in modo del tutto particolare. L'oggetto di questa premura è l'uomo nella sua unica e irripetibile realtà umana, in cui permane intatta l'immagine e la somiglianza con Dio stesso. Il Concilio indica proprio questo, quando, parlando di tale somiglianza, ricorda che «l'uomo in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa». L'uomo così com'è «voluto» da Dio, così come è stato da Lui eternamente «scelto», chiamato, destinato alla grazia e alla gloria: questo è proprio «ogni» uomo, l'uomo «il più concreto», «il più reale»; questo è l'uomo in tutta la pienezza del mistero di cui è divenuto partecipe in Gesù Cristo, mistero del quale diventa partecipe ciascuno dei quattro miliardi di uomini viventi sul nostro pianeta, dal momento in cui viene concepito sotto il cuore della madre. 6 14. Tutte le vie della Chiesa conducono all'uomo La Chiesa non può abbandonare l'uomo, la cui «sorte», cioè la scelta, la chiamata, la nascita e la morte, la salvezza o la perdizione, sono in modo così stretto ed indissolubile unite al Cristo. E si tratta proprio di ogni uomo su questo pianeta, in questa terra che il Creatore ha dato al primo uomo, dicendo all'uomo e alla donna: «Soggiogatela e dominatela» 94. Ogni uomo, in tutta la sua irripetibile realtà dell'essere e dell'agire, dell'intelletto e della volontà, della coscienza e del cuore. L'uomo, nella sua singolare realtà (perché è «persona»), ha una propria storia della sua vita e, soprattutto, una propria storia della sua anima. L'uomo che, conformemente all'interiore apertura del suo spirito ed insieme a tanti e così diversi bisogni del suo corpo, della sua esistenza temporale, scrive questa sua storia personale mediante numerosi legami, contatti, situazioni, strutture sociali, che lo uniscono ad altri uomini, e ciò egli fa sin dal primo momento della sua esistenza sulla terra, dal momento del suo concepimento e della sua nascita. L'uomo, nella piena verità della sua esistenza, del suo essere personale ed insieme del suo essere comunitario e sociale - nell'àmbito della propria famiglia, nell'àmbito di società e di contesti tanto diversi, nell'àmbito della propria nazione, o popolo (e, forse, ancora solo del clan, o tribù), nell'àmbito di tutta l'umanità - quest'uomo è la prima strada che la Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione: egli è la prima e fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che immutabilmente passa attraverso il mistero dell'Incarnazione e della Redenzione. Proprio quest'uomo in tutta la verità della sua vita, nella sua coscienza, nella sua continua inclinazione al peccato ed insieme nella sua continua aspirazione alla verità, al bene, al bello, alla giustizia, all'amore, proprio un tale uomo aveva davanti agli occhi il Concilio Vaticano II allorché, delineando la sua situazione nel mondo contemporaneo, si portava sempre dalle componenti esterne di questa situazione alla verità immanente dell'umanità: «È proprio all'interno dell'uomo che molti elementi si contrastano a vicenda. Da una parte, infatti, come creatura, egli sperimenta in mille modi i suoi limiti; d'altra parte, si accorge di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, egli è costretto sempre a sceglierne qualcuna ed a rinunciare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di raro fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe. Per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società». Quest'uomo è la via della Chiesa, via che corre, in un certo modo, alla base di tutte quelle vie, per le quali deve camminare la Chiesa, perché l'uomo - ogni uomo senza eccezione alcuna - è stato redento da Cristo, perché con l'uomo - ciascun uomo senza eccezione alcuna - Cristo è in qualche modo unito, anche quando quell'uomo non è di ciò consapevole: «Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo» - ad ogni uomo e a tutti gli uomini - «... luce e forza per rispondere alla suprema sua vocazione». Essendo quindi quest'uomo la via della Chiesa, via della quotidiana sua vita ed esperienza, della sua missione e fatica, la Chiesa del nostro tempo deve essere, in modo sempre nuovo, consapevole della di lui «situazione». Deve cioè essere consapevole delle sue possibilità, che prendono sempre nuovo orientamento e così si manifestano; la Chiesa deve, nello stesso tempo, essere consapevole delle minacce che si presentano all'uomo. Deve essere consapevole, altresì, di tutto ciò che sembra essere contrario allo sforzo perché «la vita umana divenga sempre più umana», perché tutto ciò che compone questa vita risponda alla vera dignità dell'uomo. In una parola, dev'essere consapevole di tutto ciò che è contrario a quel processo. Per questo l’elemento sociale/funzionale/istituzionale è comunque necessario. E di rilevanza centrale è il n°14, lì vi ritrovate la sintesi di tutto il discorso. Perchè ritorna il fatto che si parla di uomo, ogni uomo, e tutto l’uomo e la necessità della presenza sociale. Ed è quindi l’aspetto centrale del n° 14, quando dice: “questo uomo tutto l’uomo ogni uomo, pensato secondo il progetto di Dio è la via della Chiesa.”. se al n°13 diceva: Gesù Cristo è la via della Chiesa - al n° 14 dice: “l’uomo è la via della Chiesa”. “via che corre alla base di tutte quelle vie per le quali deve camminare la Chiesa” … “ogni uomo, senza eccezione lacuna, è stato redento da Cristo” “ciascun uomo senza eccezione alcuna” in un rigo lo ripete 2 volte. “con questo uomo, Cristo è in qualche modo unito, anche quando quell’uomo non è di ciò consapevole”. Anche quando l’uomo non lo sa, anche quando l’uomo non è consapevole del suo dono di fede, anche allora, Gesù Cristo è unito a lui. Quindi questo è il primo ambito, le istituzioni sono necessarie, perché l’uomo vive di vincoli relazionali e di strutture sociali. Secondo sottoprincipio. Se le istituzioni sono necessarie, è il primo aspetto. Le istituzioni, allora, sono da apprezzare in positivo per i loro benefici, per quello che apportano alla realizzazione dell’elemento personale, quindi dell’uomo. Quindi, da apprezzare in positivo per i benefici, Ma da denunciare, ancora, per il loro abusi. Per i loro rischi di irrigidimento, o di oppressione, di che cosa? Dell’umanum, che è contenuto comunque, nella strutture sociale. Quindi se è necessario, l’elemento organizzativo funzionale, è da apprezzare per il positivo, però è da evidenziare anche il negativo, quando questo comunque si verifica. E allora, ultimo criterio, 3° sottoprincipio, le istituzioni allora sono valutate proprio in funzione dello sviluppo, del servizio che rendono all’uomo, e alle comunità umane. Questo lo trovate nei n° 16 – 17. Quindi, le istituzioni sono per l’uomo, sono finalizzate all’uomo, e alle comunità degli uomini. Anche perché l’uomo non si esaurisce in una connotazione sociale uniforme e basta. Ma c’è un pluralismo sociale, la società non è che si riduce ad una forma sola. Ci sono tante forme di società. E allora, 3° sottoindicazione, quando abbiamo detto: le istituzioni sociali sono opera dell’uomo; quindi priorità operativa, è l’uomo che opera in esse. Le istituzioni sono infatti al servizio dell’uomo, ma qui si aggiunge qualcosa di più, rispetto al secondo ambito, che abbiamo esaminato. Le istituzioni sono al servizio dell’uomo, solo se sono opera dell’uomo, perciò la priorità operativa. Se le istituzioni sono opera dell’uomo, e non solo, se permangono, sotto la sua responsabilità. È sempre l’uomo, il soggetto, il fondamento, il fine delle istituzioni, ma questo non solo quando vengono create, o creati i contesti associativi/organizzativi. No, anche se poi rimangono/permangono, sotto questo controllo dell’umano, che è in esse. Quindi, proprio in questo senso va verificata se questa verità si realizza o non si realizza. E allora, anche qui evidenziamo tre ambiti, come abbiamo fatto, fino ad ora. Quindi, se il criterio è quello che l’uomo deve essere colui che opera nelle istituzioni, e le istituzioni vengono misurate alla base di questa verità, della priorità operativa, allora, possiamo dire che: senza l’opera dell’uomo le istituzioni, le funzioni sociali organizzative si 7 irrigidiscono ed opprimono. E voi fateci caso, anche qui, sottoponete ad esame i vari contesti organizzativi/funzionali/economici/politici , quello che volete, e toglieteci l’uomo, e vedete cosa esce fuori. Domanda: come fa un’istituzione ad esistere senza essere creata dall’uomo? Prof: ma mi riferivo, ti ricordi quando prima ho detto, quando l’uomo si dissocia dalla sua creatura. Cioè, ok, ci siamo riuniti assieme, abbiamo deciso assieme, però poi sembra come quasi quel contesto funzionale raggiunge un tale sviluppo ed una tale maturità, da non fare riferimento a colui che lo ha creata a colui che l’ha voluta. Poni il confronto, tra l’uomo e Dio. Succede la stessa cosa. Quando l’uomo si sgancia un po’ da quelle sue responsabilità. Quindi questo non è solo un fatto di responsabilità del contesto funzionale istituzionale. Ma alla fine capite come è sempre la responsabilità dell’uomo. Anche per questo ne parliamo in un contesto di morale, perché ovviamente la qualità della responsabilità, decide poi la connotazione morale o meno di quel contesto di riferimento. Domanda: questo sembra avvicinarsi all’impostazione laica, a quello che sosteneva anche Max Weber, sofisticazione dell’autosufficienza che sembra prescindere dal vero proprio umanum, la razionalità sembra quasi sganciarsi dall’orizzonte del fine … Prof: se non vuoi ritornare necessariamente ad un secolo fa, o a quando lui scriveva queste cose, analizza la realtà tecnocratica di oggi, pensiamo all’influsso dominante oggi degli strumenti tecnologici, a cui facciamo riferimento, e senza i quali oramai come uomini, non possiamo più esistere. Voi fateci caso, se per mezza giornata non riuscite ad essere connessi in rete, ti sembra veramente di essere perso., di essere fuori dal mondo, non più in contatto con gli altri. Vedete, ritorna il problema, un certo contesto, organizzativo istituzionale, ci ha reso talmente dipendenti da quella creatura che quasi nessuno , riesce più a farne a meno. Guardiamo anche il cellulare. Per dire i rischi sono presenti oggi in questa mentalità, che vanno per la maggiore. Senza parlare poi degli altri rischi che la tecnocrazia, comunque presenta, nel momento in cui mette in secondo piano l’uomo. non voglio parlare del fatto che ormai oggi, siccome tutto si fa con i computer, si resteranno pochi uomini che dovranno dirigere la macchina, ama poi tutto il resto non servono. Quindi in tutti i contesti professionali e di lavoro, anche lì l’uomo viene messo fuori. Perché ovviamente conviene di più il computer. Permette di raggiungere funzionalità, molto più intelligenti, del comune quoziente intellettuale dell’uomo o della donna che si applica a quella macchina. Questi discorsi applicateli un po’ di più ai contesti in cui noi viviamo, e vi ritrovate un po’ di rischi a cui comunque una certa mentalità, può abituarci, anche noi che bene o male, forse non abbiamo tutta questa mentalità. Però volenti o nolenti, per relazionarci agli altri per vivere in quelle strutture, in quei vincoli relazionali, che fanno parte della nostra natura umana, subiamo comunque le conseguenze. Anche se non siamo noi volontariamente a deciderlo. Perché, chi di noi vorrebbe essere messo appunto da parte? Eppure però, ecco il sistema, riesce ad avere una logica dominante che fa perdere di vista il mio essenziale, ecco il problema, non per essere i soliti moralisti, ma questa è lettura di una certa problematica. Nelle sue conseguenze anche più umane, perciò è anche importante sottolinearlo. Quindi quando l’uomo abdica alla sua responsabilità, perde di vista ciò che veramente lo fonda, lo costituisce… Domanda: perché considera la realtà religiosa così fuori dal sociale? Prof: Allora, devi considerare che a me piace scherzare, quindi le mie battute sulle suore… non è per un riferimento negativo, faccio anche ritiri alle religiose, quindi se avessi motivi contrari alla vita religiosa non mi permetterei questo tipo di … A me serve per ironizzare, anche del fatto che una certa mentalità, anche ecclesiale, che fino al concilio era almeno prevalente questo, come se la vita religiosa fosse da parte, che in un certo senso è anche vero e va bene. Però non si può essere ancora da parte, in una concezione dove quei riferimenti sono cambiati, basta appunto leggere la realtà in cui noi ci troviamo. Per capire quanto è importare che ognuno di noi ha una sua vocazione eminentemente sociale. Ma questo, come già dicevo, ce lo hanno anche i monaci e le monache. Domanda: non mi sembra che prima del concilio ci sia stata tutta questa chiusura, questa cosa un po’ da parte … es ospedali, mondo del lavoro… Prof: si, ma se tu vai a guardare bene la mentalità ed il concetto che era sottostante, ma la concezione che c’era della vita religiosa quale era? Come ti dicevo a me capita di girare per conventi, faccio ritiri e cose varie. Ti potrei fare gli esempi di comunità religiose dove vado tuttora, quindi è ancora la realtà così. Dove per ogni minima cosa, pure per dire: “posso andare in bagno” c’è sempre - permettano i laici presenti se facciamo queste disquisizioni- però mi sembra un po’ esagerato come discorso, quindi vedi, che quel rischio 8 non ti credere che sia del tutto eliminato e messo da parte. Io mi auguro appunto che le nuove leve che diventeranno superiori un domani, terranno conto di questi discorsi, traggano insegnamento da questo, proprio per cambiare un po’ la mentalità. Perché ripeto, in tanti ambienti in cui io sono stato, di vita religiosa, soprattutto femminili, non parlo di quelli maschili, perciò lo faccio con le suore. Ma quelli femminili, è una realtà che veramente alle volte ti viene il coraggio di dire:, ma chi te lo fa fare di starci ancora. Questa è una confessione pubblica, ma veramente viene la domanda di dire, ma questa è più di una croce, con questo spero che le religiose presenti non…. però per dire, se io lo faccio come battuta, è anche per evidenziare un dato, che è problematico comunque, poi, per carità, ci sono forme di vita religiosa oggi, più attive, più dinamiche, ma stai tranquilla che molto dipende da chi è al vertice. Ma se sopra a quella comunità c’è qualcuno ancora con q1uella mentalità per la quale per ogni minima cosa ti guardano anche quanti minuti stai a guardare la tv, o altre cose di questo tipo. Secondo me devono cambiare i quadri dirigenti, fin che non cambiano e allora quel rischio ancora sarà presente, perché in un certo senso è anche naturale, è gente che è stata formata è abituata a quella mentalità lì, è chiaro che tu oggi, a 60/70 anni che hanno, non gli puoi andare a dire: è ma anche la vita religiosa ha una sua dimensione sociale. Ti guardano con gli occhi di fuori, come per dire, ma questo che sta dicendo, ma come noi la vita religiosa, … oggi mo arriva questo e ci viene a dire. Quindi bisogna anche rispettare un po’ … la mia vuole essere una battuta ma che vuole cogliere un rischio presente, assolutamente me ne guardo bene dall’accusare. Anzi guardo con una forma di rispetto e di attenzione profonda chi vive quel tipo di fatica a cui facevo riferimento prima. Perché lo osservo, e te lo vengono a dire nella direzione spirituale. Perciò se ne parlo, porto fuori qualcosa che mi è stato riferito, io non sto in convento, quindi non potrei dire qualcosa che non mi è stato detto. Se mi permetto è solo per questo, non per fare battute di cattivo gusto. Domanda: questa è una dicotomia, che è ad intra nel convento, però poi nel sociale, penso (a parte la vita caustrale), però nella vita attiva le suore escono, anzi. Prof: Si e No, almeno per certe letture che ho fatto, per certe conoscenze che ho fatto, per l’interpretazione del dato che mi è concesso. Poi, ripeto, ci saranno altre che hanno una natura più emancipata (nel senso buono della parola), perché poi ogni famiglia religiosa, fa riferimento alle sue costituzioni, alla sua identità a quello che è e a quello che deve essere, anche nel contesto sociale, quindi assolutamente. Però secondo me in un certo senso tante cose, mi sembrano veramente un po’ riduttive, nel nostro modo di relazionarci agli altri. Ma questo ripeto, io vorrei dirlo soprattutto alle superiore, perché è lì la responsabilità principale, non è della suora giovane o che arriva da un altro contesto e si ritrova davanti un contesto gerarchico, quasi paralizzato, e ci sono contesti ancora così. E quindi se mi consenti, la battuta, se a te è dato di vivere un ambiente così, menomale, a me fa piacere per te e per chi vive come te, questa apertura relazionale e dinamica. Io sono fiducioso, perché si tratta di aspettare solo qualche altro anno, ma questo non perché voglio che quelle persone … come dire, terminino la loro esistenza terrena, no. Però bisogna fare anche quello che si può, ognuno secondo la sua responsabilità. Quindi anche questo mio modo di parlare di un certo contesto sociale, vorrei che fosse più uno sprone, per dire: ma io che sono religioso, non è che proprio vivo questa apertura di cui lei ci sta parlando. È più in modo per poter allargare gli orizzonti, che per poter dire, ok, allora facciamo così. Almeno inquadrare quale è il discorso ideale, perché altrimenti la nostra mente rischia di restare ristretta e non va oltre. Domanda: secondo me è giusto considerare le situazioni in cui si è troppo chiusi, credo che l’esagerazione opposta sia anche sbagliata, credo cui sia bisogno di un equilibrio, e penso che le congregazioni religiose siano un segno nel mondo, per tutti noi, che ricordano che siamo fatti per il cielo,. Quindi, se ci sono delle congregazioni che non usano internet, ben vengano, perché davvero sono un segno, perché questo mondo davvero è pieno di tutto tranne … Prof: ma io la penso come te, nel dire le cose che dicevo a lei, non mi riferivo all’uso di internet, cellulari e cose varie. Non era questo il discorso. Prima ne abbiamo parlato, quando stavamo parlando della tecnologia di oggi, ma non aveva a che fare con il discorso tecnologico, quello che stavo rispondendo a lei, non ha a che fare con gli strumenti tecnologici. Domanda: io credo che sia giusta una apertura, però credo che lo stare fuori, sia un bene, perché si ha una capacità di poter vedere, in modo più limpido la realtà. Prof: guarda sono d’accordo con te, io però dico questo, nei momenti e negli ambiti nostri sociali, in cui comunque entriamo in dialogo con l’altro: Come vivo quel momento? Non mi sto riferendo a quella sfera 9 più religiosa, mi riferisco però all’ambito sociale, che io incontro inevitabilmente quando incontro la m ia consorella. Come mi relaziono con la mia consorella? Quindi la dimensione religiosa a cui io faccio riferimento è quella, non l’ambito consacrato, ovviamente il primato va dato a Dio. Quindi non voglio distogliere e dire , allora, benissimo, pensate al mondo non pensate a Dio… assolutamente. Ma la mia osservazione sulla vita sociale è proprio quando invece io, esco per un attimo da me e dico, a ok, sto incontrando suor Maria che sta al mio fianco, chi è questa che sta al mio fianco? È quell’ambito lì che io vorrei fosse maturato da una consapevolezza diversa, non invece, quella cosa di chiusura, perché appunto, 40 anni fa, 50 anni fa si veniva formati a questo. E invece è ancora lì che secondo me oggi, quindi io mi riferisco non all’ambito più personale e intimo, quello resta un discorso tuo religioso, assolutamente, io non posso inserirmi. E lì sbaglierebbe anche la stessa superiora che per esempio volesse entrare a dominare la vita della suora su cui esercita l’autorità. Sarebbe anche quello un errore da parte della superiora, per esempio. Entrare in conflitto, con questo aspetto. Invece io dico, proprio nel momento in cui io vivo la relazione con l’altro, diverso da me, allora, è li che si scatena il mio modo di essere aperto a quella relazzionalità. O al contrario, perché ancora formato in un certo modo. E allora mi viene detto che l’altro resta sempre altro, e quindi basta, chiuso. È quell’aspetto lì sul quale invece, io vorrei, si pensasse in modo diverso. Del resto noi non facciamo morale religiosa, se la facessimo,allora, potremmo … ma invece facciamo morale sociale. Quindi a tutto ciò, le mie osservazioni hanno a che fare con quel tipo di ambito e di osservazione… cmq non vi dico neanche le altre cose, perché siamo già in ritardo, rimandiamo alla prossima lez… però credo che anche questo dialogo sia servito. Grazie e buona serate. 10