Economia Le bacche del Tibet Goji: l’eterna giovinezza si coltiva a Galliera Nella bassa Bolognese un giovane vivaista produce questa antichissima pianta. Due le specie sul mercato, simili fra loro ma con caratteristiche molto diverse F ra curiosità e mito, le bacche di Goji stanno monopolizzando da diversi mesi il mercato salutistico. La coltivazione di questa pianta che cresce da millenni nelle valli himalayane, costituisce sicuramente una nicchia e le sue capacità di business a queste latitudini sono tutte ancora da provare. Lasciamo, dunque, ad altri il compito di stabilire se davvero regalino l’eterna giovinezza come racconta la leggenda della fonte di acqua circondata da piante di Goji che riversano le proprie bacche donando, appunto, lunga vita. Raccontiamo invece di un giovane vivaista di Galliera, Valerio Gallerati, milanese, da sempre nella Bassa bolognese, che ha cercato un inedito sbocco per la sua impresa, “Vita Verde”, proprio coltivando il Goji. Non è l’unica esperienza in Italia (ma l’unica bio, si): altre realtà operano principalmente in Piemonte ma non con i numeri del vivaio bolognese. L’azienda di Gallerati nasce specializzandosi soprattutto nelle piante autoctone. «Purtroppo ora il mercato dei rimboschimenti è molto più povero rispetto agli anni ’90, caratterizzato da un commercio incrociato con l’est europeo e prezzi low cost, come anche la qualità genetica delle piante», ironizza. Per passione Valerio si è prima occupato di specie rare e, quindi, poi si è quasi completamente dedicato al Goji 7-8 anni fa, dunque in tempi non sospetti, selezionando qualche esemplare di Lycium barbarum, che lo ha affascinato anche per la leggenda che lo ha preceduto, e cioè che fosse la pianta della giovinezza. Più recentemente ha iniziato una produzione biologica in grandi quantità anche per gli impianti agricoli. Circa 25 mila esemplari all’anno La “febbre” da bacche rosse doveva ancora venire. «Quando è scoppiato il boom, ero già pronto e sapevo tutto di questa pianta: diciamo che sono partito con un buon vantaggio. E in breve sono passato da alcune decine di piante in produzione a 20-25 mila all’anno, che rappresentano la quasi totalità del fatturato aziendale, con una vendita di circa 15 mila negli ultimi anni», racconta Valerio. I clienti sono per lo più privati che fanno dell’hobbysmo ma anche aziende biologiche affermate che intendono differenziare il prodotto e qualche consorzio di produttori frutticoli. «Sono venuti anche esportatori che hanno fatto fortuna Gallerati Antonio apruzzese Gallerati Accanto, il Lycium chinense, il “falso” Goji. A destra, frutti di Lycium barbarum 38 038-039Agr_10.indd 38 ottobre 2014 13/10/14 11.56 Il “falso” frutto: acquoso e più amaro Vediamo dunque di aiutare gli operatori del settore nella scelta della pianta più pregiata. Il L. barbarum ha foglie più allungate, molto fragili e simili a quelle di oleandro. La loro lunghezza è come minimo tre volte la larghezza; il L. chinense ha, invece, un rapporto massimo di 1:2,5. Per quanto riguarda le bacche, sono rosse quelle del “falso” e arancioni o arancioni scure quelle del L. barbarum; sono insapore con retrogusto amaro quelle del L. chinense e dolci e gustose le altre; sono acquose le prime, polpose le seconde. C’è poi una differenza anche sul calice che sul L. chinense è tri-quadrilobato, nell’altro è invece sempre bilobato. Insomma le differenze ci sono anche se paradossalmente a livello estetico il L. chinense rende di più, ma la qualità è altra cosa. I costi delle piante sono di gran lunga più abbordabili del frutto essiccato: si va dai tre euro all’ingrosso per una pianta di un anno fino ai 15 per le piante di tre anni al dettaglio, che peraltro sono impiegate soprattutto come arredo per balconi e terrazzi. Discorso diverso per le bacche: ora si trovano nei negozi specializzati come nei supermercati. La forbice è notevole: si va da circa 25 euro/kg fino anche a 150. Quest’anno il prodotto fresco sul mercato italiano è stato quotato sui 50 euro/kg con un quantitativo che non ottobre 2014 038-039Agr_10.indd 39 ha raggiunto i 200 kg. Prezzi importanti ma va detto che il prodotto perde quasi il 90% del suo peso con l’essiccamento: vanno poi considerati i costi di importazione e trasporto. «Una bacca ha una dimensione di un pisello o poco più e va raccolta con estrema cautela. Inoltre – continua Gallerati – per il consumo essiccato viene raccolta senza picciolo, per quello fresco invece sì perché così ha una conservazione maggiore. Insomma manodopera e vita breve fanno il prezzo. Attenzione, però: le bacche essiccate provengono tutte dalla Cina e la presenza di fitosanitari residui non è una leggenda». Per il resto il Goji è una pianta forte. È presto per dire se e da quali parassiti deve guardarsi. Spiega ancora Valerio: «A differenza del L. chinense che è colpito dall’oidio, il L. barbarum ne è immune, però presenta altri funghi come l’alternaria. Per ora però non sembrano eventi di una qualche gravità. Inoltre, resiste anche a temperature molto rigide: fino a -20º non ci sono problemi». Questa coltivazione può essere una diversificazione utile nel portfolio dell’impresa agricola? «Può essere sicuramente un’opportunità. Chi ricorda i primi momenti dell’actinidia? I pionieri sono stati toccati da un successo non indifferente. Il rischio è che possa essere un momento passeggero, una moda che si esaurisce. Ma in Cina dura da 5.000 anni: può non significare nulla ma questa pianta sembra che abbia caratteristiche davvero interessanti». Dalla farmacopea cinese e non solo si tramandano gli effetti benefici di alcuni antiossidanti antagonisti dell’invecchiamento cellulare. Qui però siamo oltre la botanica. «Non credo che questa pianta sia un bluff – conclude il vivaista – temo piuttosto che vi siano eccessive e ingiustificate aspettative che possano poi decretarne la fine». L’eterna giovinezza in affari, e non solo, non esiste. Rescazzi con l’actinidia cercando di ripetere l’avventura con il Goji. Poi ci sono gli agricoltori più o meno improvvisati che si ritrovano un pezzo di terra da coltivare: prima di vendergli le piante li avverto, però, di tutti i rischi che comporta l’impresa». Si, perché il Goji è impegnativo. «Ama l’acqua ma odia i ristagni idrici; cresce molto ma se sbagli ad annaffiare la zolla si disidrata e perde le foglie. La pianta è molto delicata, non muore ma se non la tratti a dovere non si sviluppa secondo gli standard che noi vivaisti dobbiamo avere. È quello che è successo in questa stagione dal clima impazzito». Le specie conosciute sono il Lycium barbarum, il “vero” Goji, che si trova commercializzato in forma di bacche essiccate, e il Lycium chinense, “falso” perchè ha un frutto amaro e insignificante. Però il mercato è pieno, ne sono stati selezionati infatti ibridi che vengono spacciati dai vivaisti per L. barbarum. C’è una ragione: un nemico giurato della pianta è costituito dalle lumache, tutte, sia d’acqua, sia quelle senza sguscio. Sono ghiottissime delle foglie di L. barbarum, mentre ignorano quasi completamente quelle di L. chinense. Pianta di Goji a Marmorta (Bo) 39 13/10/14 11.56