ANTONIO MOSCHETTA Intervento Collegamento tra tumore e sindrome metabolica Nella malattia neoplastica la mutazione nel DNA può essere causata da un cancerogeno di origine alimentare o di tipo inalatorio che venendo a contatto con una cellula ha la possibilità di mutarla. Tale cellula mutata può essere riconosciuta dal nostro corpo che provvede ad eliminarla attraverso un meccanismo chiamato morte cellulare programmata (anche noto come apoptosi). Se questo meccanismo di difesa viene meno, ad esempio prolungate abitudini alimentari errate, insorgenza di sindrome metabolica e obesità viscerale contribuiscono alla mancata capacità del nostro organismo di difendersi, il tumore inizia a crescere. Quando il tumore cresce, le cellule mutate perdono la loro carta di identità naturale di cellule differenziate (nello specifico gli enterociti nell’ intestino ed epatociti nel fegato) e acquisiscono un profilo caratterizzato da un’intensa proliferazione. Le cellule tumorali, proliferando, crescono una sull’altra all’interno di piccole nicchie dove la quantità di ossigeno è ridotta. Avendo a disposizione poco ossigeno, le cellule tumorali si adattano a vivere in una condizione detta ipossia (ridotti livelli di ossigeno) e non fanno uso dei mitocondri, i cosiddetti polmoni delle cellule. Il premio Nobel Otto Warburg negli anni ’20 osservò che le cellule tumorali sopravvivono senza ossigeno e sono in grado di produrre energia (molecole di ATP) dal glucosio attraverso un processo di glicolisi aerobia e la conversione del metabolismo delle cellule tumorali verso una glicolisi aerobia è noto come effetto Warburg. E’ interessante che le cellule tumorali usano il glucosio come substrato per produrre energia sia in assenza di ossigeno (ipossia) che in presenza dello stesso (da qui la denominazione aerobia). Quando il tumore progredisce e dissemina ha inizio il processo di metastatizzazione durante il quale le cellule tumorali entrano a contatto con il torrente circolatorio. Nel torrente ematico la quantità di ossigeno disponibile è elevata ma le cellule tumorali continuano a preferire la glicolisi anaerobia e a consumare enormi quantità di glucosio per proliferare. In altre parole, le cellule tumorali prediligono un ambiente privo di ossigeno, sono impegnate in un intenso consumo di ossigeno e soprattutto rimangono avide di glucosio. L’elevato consumo di glucosio delle cellule tumorali, descritto da Warburg circa un secolo fa, trova oggi un’applicazione biomedica nella PET: l’avidità delle cellule tumorali nel captare un analogo del glucosio marcato viene così sfruttata a scopi diagnostici. Teoricamente se riuscissimo a diminuire l’avidità per il glucosio della cellula tumorale o a riaccendere i mitocondri (e sappiamo che si potrebbe fare consumando determinati alimenti), la cellula potrebbe tornare a utilizzare l’ossigeno e cambiare così il suo assetto metabolico. Cambiare il metabolismo della cellula tumorale per indurla ad assumere uno stato differenziato potrebbe essere una strategia da sperimentare: quando è nello stato differenziato, la cellula è più suscettibile ai radicali liberi che, inducendo l’apoptosi, ne favorirebbero la morte. La sindrome metabolica è una condizione clinica caratterizzata da aumento della circonferenza addome, ipertensione arteriosa, ipertrigliceridemia, ridotti livelli di colesterolo HDL e insulinoresistenza. Studi epidemiologici suggeriscono con sempre più evidenza la stretta relazione tra l’avidità delle cellule tumorali verso il glucosio e condizioni patologiche incluse sindrome metabolica,diabete mellito, obesità e insulino-resistenza. Sebbene i tumori più frequenti e più studiati siano il tumore della mammella e del colon retto, tumori la cui prevalenza era bassa fino a qualche decennio fa, come quello del pancreas, hanno visto negli ultimi 30 anni un incremento del numero di casi associato ad una riduzione dell’età della loro insorgenza. Ad esempio, la Puglia negli anni ’80 era considerata una regione “blu” per numero di tumori del colon retto mentre oggi è la seconda regione italiana per frequenza di tumori del colon retto. Modifiche sostanziali delle nostre abitudini alimentari e dello stile di vita hanno contribuito alla nostra attuale maggiore suscettibilità all’insorgenza di malattie neoplastiche. Due fattori appaiono essere cruciali: da un lato siamo molto più esposti a cancerogeni rispetto al passato e dall’altro offriamo al tumore la possibilità di crescere più velocemente perché gli forniamo la “benzina” di cui ha bisogno: glucosio per produrre energia e insulina per proliferare. Un recente contributo pubblicato sulla prestigiosa rivista Science supporta proprio queste osservazioni: soggetti normo-glicemici in condizioni basali quando esposti ad una dieta ricca in zuccheri vengono esposti ad un incremento pericoloso dei livelli di insulina che è un fortissimo induttore della proliferazione; questo si traduce in un aumento fino a 6 volte nella frequenza di tumori in tali soggetti. A supporto di ciò, pazienti affetti da diabete o obesi hanno un rischio maggiore di sviluppare neoplasie rispetto a soggetti sani. Analogamente, pazienti diabetici che prendono l’insulina hanno una maggiore incidenza di tumori rispetto ai diabetici che assumono metformina, un farmaco che agisce riducendo i livelli di insulina. Numerosi studi sembrano suggerire che, da un punto di vista terapeutico, più che modulare i livelli di glucosio sia importante modificare il destino metabolico del glucosio circolante facendo in modo che il glucosio prediliga alcuni organi (muscolo) piuttosto che altri (fegato). Cambiamenti importanti nello stile di vita avvenuti negli ultimi trenta anni ci hanno portato a consumare eccessive quantità di zuccheri che sono fortemente dannose per il nostro organismo : Scarsa attività fisica e dieta troppo raffinata (farina 00, zuccheri e alimenti troppo raffinati) rispetto al passato quando con la dieta mediterranea si prediligevano alimenti come grano integro, farro, orzo) Orario in cui assumiamo gli zuccheri: prima si assumevano a colazione e a pranzo mentre alla sera si cenava poco e ci si coricava presto rispettando quindi i ritmi circadiani del metabolismo (si rispettava quindi una regolamentazione basale del nostro metabolismo). Oggi gli orari dei pasti sono slittati favorendo una maggiore assunzione di zuccheri nella seconda parte della giornata. Gli zuccheri assunti con la dieta vengono convertiti in grassi nel fegato. L’assunzione di zuccheri alla sera, quando la richiesta di glucosio da parte di organi quali muscolo è fortemente ridotta, fa sì che i grassi, generati dagli zuccheri, si depositino nel fegato generando il cosiddetto fegato grasso mentre alcuni di essi possono depositarsi nella zona addominale. L’accumulo di grassi nella regione addominale genera adiposopatia che appare essere il primum movens per l’istaurarsi dell’iper-insulinemia. Da un lato al nostro pancreas arriverebbe il messaggio di secernere più insulina perché è necessario recuperare tutti questi zuccheri in più che l’organismo non brucia dall’altro l’insulina è l’unico ormone che induce il programma trascrizionale (denominato SREBP1c) che media la conversione del glucosio in acidi grassi. Gli acidi grassi si accumulano nell’addome favorendo un aumento eccessivo nel volume degli adipociti che appaiono anche infiltrati di cellule macrofagiche che conferiscono una connotazione infiammatoria al già compromesso assetto metabolico. Adiposità, insulino-resistenza, eccessiva secrezione di insulina costituiscono elementi di un circolo vizioso che si autoalimenta e che ha luogo nel nostro organismo quando lo esponiamo ad un consumo eccessivo di zuccheri. Possiamo riassumere così il messaggio principale: accanto a tutti gli alimenti che proteggono, è l’aumento indiscriminato degli zuccheri ad alto indice glicemico nei momenti sbagliati della giornata che favorisce l’iper-insulinemia. Io e il gruppo di ricercatori che coordino siamo attivamente impegnati nello studio della relazione tra nutrienti e patrimonio genetico e del ruolo svolto da proteine chiamate recettori nucleari. I recettori nucleari sono agganciati al DNA delle nostre cellule e ne inducono l’accensione o lo spegnimento di una serie di geni. Dal momento che i recettori nucleari vengono attivati da composti presenti nella nostra dieta come colesterolo, acidi grassi, vitamine e xenobiotici agiscono da trade union tra nutrizione e genetica. Studiando l’interazione nutrienti-DNA la nostra ricerca delinea gli eventi molecolari alla base delle osservazioni riportate dagli studi nutrizionali di tipo epidemiologico. Scopo principe della nostra ricerca è quello di scoprire come determinati alimenti siano in grado di modulare quei geni che sono mutati o ipo- o iperespressi nelle neoplasie. Studi di nutrigenomica e nutrigenetica hanno evidenziato che la predisposizione dell’individuo a sviluppare una specifica patologia non risiede solo nel suo corredo genetico ma anche nell’abilita’ dei nutrienti assunti di “accendere” o “spegnere” geni specifici. La comprensione dei meccanismi tramite i quali i nutrienti influenzano l’espressione genica promuovendo o prevenendo lo sviluppo di patologie e’ di particolare rilevanza terapeutica. Il focus dell’attivita’ di ricerca del nostro gruppo e’ la comprensione dei meccanismi molecolari alla base della trasformazione delle cellule intestinali in cellule tumorali e del ruolo svolto dalla dieta nella formazione del tumore del colon retto. Recentemente abbiamo riportato la scoperta di una proteina chiamata PGC-1 alpha che quando attivata conferisce protezione dalla colon tumorigenesi inducendo l’apoptosi delle cellule tumorali; uno dei principali attivatori di tale proteina, il resveratrolo è contenuto nella buccia dell’acino d’uva.