UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE ELABORATO FINALE ASPETTI CLINICI E SOCIO-RELAZIONALI DELLA DISLESSIA Relatore: Laureanda: Prof. DENIS DELFITTO MARIA VENDER ANNO ACCADEMICO 2004/2005 2 SOMMARIO 1. INTRODUZIONE .................................................................................... 5 2. PRIMA PARTE: PROSPETTIVA SCIENTIFICA ............................. 7 2.1. Una prima definizione di dislessia. ............................................................ 7 2.2. Un po’di storia… ............................................................................................ 8 2.3. Malattia o ritardo di apprendimento? ....................................................... 9 2.4. Dislessia o disturbo specifico del linguaggio? .......................................10 2.5. Classificazione delle diverse tipologie di dislessia. ..............................11 2.5.1.Dislessia acquisita e dislessia evolutiva. .................................................... 11 2.6. Ulteriori classificazioni...............................................................................12 2.6.1.Dislessie periferiche.................................................................................... 12 2.6.2.Dislessia lettera per lettera (alessia pura) ................................................. 13 2.6.3.Dislessie centrali ......................................................................................... 13 2.6.4.Dislessia fonologica evolutiva..................................................................... 15 2.6.5.Dislessia superficiale evolutiva ................................................................... 15 2.6.6.Dislessia mista ............................................................................................ 15 2.7. Le manifestazioni della dislessia. ............................................................15 2.8. Disturbi dell’apprendimento del linguaggio connessi alla dislessia..17 2.9. Ipotesi sulle cause di dislessia e difficoltà di apprendimento............18 2.10. Basi genetiche della dislessia. ...............................................................21 3. SECONDA PARTE: PROSPETTIVA SOCIO-RELAZIONALE ..... 23 3.1. Disturbi di apprendimento e disagio psicologico..................................26 3.2. Come si sente il bambino in difficoltà. ....................................................27 3 3.3. Come si sente la famiglia. .........................................................................30 3.4. Strumenti per la diagnosi e per riportare serenità in famiglia. .........31 3.5. Cosa deve sapere e cosa può fare la scuola...........................................32 3.6. Strumenti compensativi.............................................................................33 3.7. Rafforzi emotivi...........................................................................................33 4. CONCLUSIONI ..................................................................................... 35 5. BIBLIOGRAFIA.................................................................................... 36 4 1. INTRODUZIONE Seduto davanti al libro, con la testa tra le mani, concentrato nel compito più arduo: le lettere stampate danzano sotto i suoi occhi, ma anche nella sua mente, imponendogli uno sforzo notevole per distinguerle e pronunciarle. La voce è sommessa, senza intonazione: confonde consonanti simili nel suono, inverte le posizioni delle lettere come se le vedesse riflesse in uno specchio, non distingue le doppie; quelle parole così semplici per i suoi compagni, sono per lui vocali e consonanti disgiunte e prive di significato. Il suo problema è la dislessia, argomento su cui si incentrerà questa tesi: una tematica sempre più attuale, che interessa circa il tre per cento della popolazione scolastica italiana, ma della quale ancora si è parlato troppo poco. Scopo della presente ricerca sarà quello di fare luce su un problema per la maggior parte ancora sconosciuto, svelando le complesse dinamiche connesse all’apprendimento della letto-scrittura. In particolare, la prima parte della tesi presenterà una prospettiva scientifica della dislessia, mettendo in evidenza le differenze che la distinguono dagli altri disturbi dell’apprendimento, classificandone le varie tipologie e le rispettive manifestazioni. Uno sguardo verrà riservato anche alle ipotesi avanzate negli ultimi decenni in merito alle possibili cause della dislessia, e alle implicazioni genetiche ad essa connesse. La seconda parte della ricerca si focalizzerà invece sugli aspetti sociali e relazionali che la dislessia determina nei bambini, nei genitori e negli insegnanti, dando vita a situazioni di disagio psicologico, che contribuiscono ad acuire il problema. Si cercherà infine di dare alcune indicazioni sull’esecuzione di una diagnosi accurata, e sull’utilizzo di strumenti compensativi, che facilitino il dislessico nelle fasi dell’apprendimento, motivandolo e attutendo le sue emozioni negative che, se non opportunamente trattate, possono sfociare in un pericoloso stato d’ansia. 5 Ritengo che il presente lavoro di tesi possa aderire bene al Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione che ho frequentato, proprio perché il suo obiettivo principale è quello di informare e sensibilizzare l’opinione comune su di una tematica tanto attuale quanto sconosciuta. 6 2. PRIMA PARTE: PROSPETTIVA SCIENTIFICA 2.1. Una prima definizione di dislessia. La dislessia è una difficoltà che riguarda la capacità di leggere e scrivere in modo corretto e fluente, ed è dovuta ad un disturbo che ostacola il normale processo di interpretazione dei segni grafici, attraverso il quale si rappresentano per iscritto le parole. Generalmente con il termine “lettura” si intende un processo che consente di comprendere il contenuto di un testo scritto, attraverso una serie di fasi complesse che riguardano: • il riconoscimento dei segni dell’ortografia; • la conoscenza delle regole di conversione dei segni grafici in suoni; • la ricostruzione delle stringhe di suoni in parole del lessico; • la comprensione del significato delle singole frasi e del testo. La dislessia interessa soltanto i primi tre aspetti, riconducibili all’attività di decodifica o transcodifica, e non riguarda la fase di comprensione1. Essa può dunque essere definita come un disturbo della lettura in riferimento al processo di interpretazione dei segni dell’ortografia, che riguarda unicamente la trasformazione dei segni in suoni e viene messa in evidenza attraverso la lettura ad alta voce, che appare stentata e costellata di errori di vario genere. Questo disturbo non ha nulla a che vedere con l’intelligenza: il dislessico è un bambino come gli altri, il suo quoziente intellettivo è nella media o addirittura superiore alla media, parla correttamente, ma quando legge compie moltissimi errori. 1 Secondo la visione espressa da G. STELLA nel volume La dislessia, Bologna, Il Mulino, 2004, PP.10-11 7 2.2. Un po’di storia… Nel 1895 esce per la prima volta tra le pagine di una rivista scientifica un articolo che riferisce l’esistenza di una «strana cecità per le parole»: secondo l’autore, il chirurgo oculista inglese Hinshelwood, questa condizione è meno rara di quanto si pensi, ma risulta difficile da diagnosticare perché i suoi effetti non sono tangibili e non si è in grado di riconoscerla nel momento in cui si manifesta. Il fatto che il disturbo della lettura non sia riconducibile ad un deficit o ad una menomazione fisica visibile, sommato alla scarsità di conoscenze e di strumenti per la diagnosi, comporta da subito pericolosi fraintendimenti ed errori di valutazione: la dislessia viene infatti spesso scambiata per svogliatezza o mancanza di impegno da parte dello scolaro, con la grave conseguenza che non si prendono misure compensative per arginare o almeno alleviare il problema. In Italia la situazione non è più rosea: di dislessia si inizia a parlare soltanto dopo gli anni Sessanta, e con molta titubanza, anche perché il disturbo ha un’incidenza sul totale della popolazione molto più bassa rispetto a quella degli altri paesi. Si va da una percentuale compresa fra i 2 e il 3,5% della popolazione italiana, pari a circa 1.500.000 individui2, ad un 4-5 % di quella inglese3. Ciò è dovuto principalmente al fatto che l’ortografia italiana presenta un’elevata regolarità di corrispondenza fra segni e suoni ed è quindi più semplice da apprendere rispetto ad una lingua del ceppo anglosassone, che ha un’ortografia molto più difficile ed irregolare. I bambini italiani possono quindi imparare a leggere e scrivere in poco tempo, e chi non apprende è considerato una sorta di «mosca bianca»4; questo 2 www.geocities.com/Athens/Crete/2429/dislessi.html 3 www.dyslexia-inst.org.uk 4 G. STELLA, La dislessia, cit., p.53 8 è, senza dubbio, uno dei motivi per cui la scoperta di un disturbo come la dislessia nel nostro paese ha destato tanto scalpore.. Un secondo fraintendimento del problema consiste nell’attribuire la difficoltà di apprendimento della lettura a fattori psicologici: in ambito clinico, infatti, la mancanza di informazioni sull’origine della dislessia ha contribuito a sviluppare un approccio che tende ad individuarne alla base cause psicologiche. Basti pensare che ancora oggi la psicologia clinica italiana considera la dislessia come un disturbo essenzialmente emotivo o relazionale, dovuto all’ansia legata alla prestazione scolastica, oppure ad una cattiva relazione tra insegnante e alunno, o ancora a problemi famigliari. Questo tipo di approccio ha avuto la conseguenza di provocare la colpevolizzazione del bambino o del genitore, impedendo dunque di analizzare in profondità quella che è la natura effettiva della dislessia. Questa interpretazione è tanto radicata, che la maggior parte dei genitori ritiene che la causa delle difficoltà del figlio sia dovuta ai propri comportamenti educativi5. 2.3. Malattia o ritardo di apprendimento? A destare maggiore sconcerto fra genitori ed insegnanti è soprattutto il forte divario fra le autentiche capacità dei bambini, attestate dal QI che rivela generalmente valori nella norma, e la loro prestazione: alcuni hanno problemi nella lettura o nella scrittura, altri nel calcolo; alcuni hanno tempi di attenzione molto brevi, altri sono distraibili, insofferenti, impulsivi, poco coinvolgibili, altri ancora sono perennemente in ansia e nutrono un’avversione ostinata nei confronti della scuola6. 5 G. Stella, La dislessia, cit., pp. 54 -55 6 A. Biancardi, G. Milano, Quando un bambino non sa leggere, Milano, Rizzoli, 1999 9 Tuttavia è necessario distinguere tra difficoltà scolastiche e disturbi dell’apprendimento come la dislessia: si ha dislessia esclusivamente quando l’automatizzazione nell’identificazione della parola nei processi di lettura e scrittura non si sviluppa o lo fa in modo incompleto e difficoltoso. La dislessia va distinta anche dal ritardo di apprendimento: quando viene esposto ad una rieducazione intensiva, il bambino con ritardo, accelera infatti il suo ritmo di apprendimento, fino a mettersi al passo con i suoi coetanei7. Il bambino con una disabilità specifica di lettura, invece, non riesce ad inserire stabilmente fra i suoi schemi il risultato dell’apprendimento, e spesso una nuova acquisizione si manifesta a scapito di una vecchia che sembrava ormai stabilizzata. Di conseguenza, l’adulto ha spesso l’impressione di ripetere la lezione come se fosse la prima volta che il bambino la ascolta. È necessario ribadire che la dislessia non è una malattia, dal momento che non consiste in un’alterazione di determinate condizioni di partenza e non è transitoria, ovvero non esiste un rimedio chiaro e rapido per eliminarla. 2.4. Dislessia o disturbo specifico del linguaggio? Per molti anni dislessia e specific language impairment (SLI) sono stati trattati come problemi diversi, per poi venire invece considerati quali manifestazioni differenti del medesimo disturbo sottostante. Ciò è dovuto primariamente al fatto che entrambi presentano deficit a livello fonologico, nel passaggio da ortografia a fonologia8. La conoscenza fonologica si riferisce all’abilità di comparare, segmentare e discriminare le parole sulla base della loro struttura fonologica; un deficit in 7 G. Stella, La dislessia, Bologna, Il Mulino, 2004 8 cfr. D. Bishop, M. Snowling, Developmental Dyslexia and Specific Language Impairment, Psychological Bulletin, 2004, Vol.130, No. 6 10 questo campo comporta difficoltà nello stabilire corrispondenze tra grafema e fonema. Nonostante sia i dislessici che i bambini affetti da SLI presentino rilevanti lacune a livello fonologico, i due disturbi sono sostanzialmente diversi e vanno distinti, come mettono in evidenza gli studiosi inglesi Bishop e Snowling. Lo SLI comporta infatti anche problemi di comprensione del linguaggio scritto e di produzione del parlato, con la tendenza a compiere errori di tipo sintattico, come la declinazione dei casi e dei tempi verbali. I bambini affetti da SLI spesso tendono a produrre solo strutture sintattiche piuttosto semplici, ed hanno problemi nella comprensione di frasi complesse. Questi deficit sintattici e semantici sono del tutto estranei, invece, alla patologia riscontrata nei bambini dislessici, e devono essere considerati come la maggiore differenza tra SLI e dislessia. 2.5. Classificazione delle diverse tipologie di dislessia. 2.5.1. Dislessia acquisita e dislessia evolutiva. Recenti studi hanno evidenziato l’esistenza di più tipologie di dislessia. Una prima distinzione viene fatta tra dislessia acquisita e dislessia evolutiva: • dislessia acquisita: si manifesta in un soggetto che è in grado di leggere normalmente e con facilità e che incomincia improvvisamente a compiere errori o ad incontrare difficoltà di decodifica prima non esperite. Questi disturbi sono spesso la conseguenza di qualche evento patologico che ha determinato delle lesioni nelle aree corticali coinvolte nel procedimento di transcodifica; • dislessia evolutiva: è molto più frequente della dislessia acquisita e si manifesta all’inizio del processo di apprendimento della lettura. Il bambino mostra subito difficoltà 11 nel riconoscere le lettere dell’alfabeto, nel fissare le corrispondenze fra segni grafici e suoni, e nell’automatizzarle, cioè nell’imparare a compierle in modo rapido e senza sforzo apparente come fanno i suoi coetanei. L’organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha stabilito che devono sussistere cinque condizioni affinché un disturbo della lettura possa venire considerato come dislessia evolutiva: • Il livello intellettivo deve essere nella norma (Q.I. ≥ 85); • Il livello di lettura deve essere significativamente distante da quello di un bambino di pari età o classe frequentata; • Il soggetto non deve presentare disturbi neurologici o sensoriali che possano giustificare la difficoltà di lettura come conseguenza diretta; • Il disturbo deve essere persistente, nonostante una scolarizzazione adeguata e interventi didattici specifici; • Il disturbo deve presentare conseguenze sulla scolarizzazione o nelle attività sociali in cui è richiesto l’impiego della letto-scrittura. 2.6. Altri Ulteriori classificazioni. studi definiscono ulteriori classificazioni. Sul sito internet www.neuropsy.it/deficit/dislessia/ vengono riconosciuti diversi tipi di dislessie acquisite ed evolutive. Fra le dislessie acquisite troviamo: 2.6.1. Dislessie periferiche Vengono colpite le prime fasi di elaborazione delle parole, le più periferiche. Si suddivide in: • Dislessia da neglect: è un disturbo dell’elaborazione visiva delle parole che comporta la mancata elaborazione di una parte del 12 campo visivo, generalmente la sinistra. Il paziente commette errori perché non presta attenzione alle porzioni di parole corrispondenti alle aree dello spazio negletto. Ad esempio la parola “letto” può essere letta come “etto, petto, setto, tetto”. La sede lesionale della dislessia è solitamente parietale. • Dislessia attenzionale: i pazienti sono in grado di leggere le parole, ma non le lettere che le compongono. Ovvero leggono correttamente la parola “CASA” ma non riescono a denominare le singole lettere C-A-S-A. Inoltre riescono a leggere parole e lettere solo qualora vengano presentate separatamente, mentre non riescono a leggerle se fanno parte di una serie. Uno degli errori più tipici è la “migrazione” delle lettere: se vengono presentate contemporaneamente le stringhe RINE-PATO i bambini affetti da questo tipo di dislessia possono leggere PANE-RITO. 2.6.2. Dislessia lettera per lettera (alessia pura) La lettura delle parole può avvenire solo attraverso la lettura separata delle singole lettere. Gli errori sono di tipo visivo, ovvero vengono confuse parole visivamente simili. 2.6.3. Dislessie centrali Il deficit è riscontrato nella via fonologica e in quella visiva. Si suddividono in: • Dislessia superficiale o lettura fonologica: è un disturbo della lettura di parole non regolari o che costituiscono eccezioni di pronuncia, ed è quindi più diagnosticabile in pazienti la cui lingua madre presenta ortografia irregolare, come l’inglese. Il paziente è solitamente in grado di decifrare le non-parole, ovvero stringhe di lettere prive di significato ma pronunciabili (es. TREMBLERINDO) che vengono lette come se fossero regolari; la lettura di parole omofone ma non 13 omografe, che vengono pronunciate nello stesso modo ma scritte diversamente (LAGO – L’AGO) è deficitaria. Nella produzione scritta, invece, le parole sono corrette dal punto di vista fonologico, ma non da quello ortografico (A DOGNI al posto di AD OGNI). Questo disturbo viene spiegato attraverso l’ipotesi dell’iperutilizzo della via fonologica, che permette la conversione grafema-fonema. L’inoperatività della via lessicale costringerebbe i soggetti a seguire la via fonologica anche alla presenza di parole irregolari. • Dislessia fonologica o lettura visiva: il paziente è in grado di leggere solo facendo ricorso ad un vocabolario visivo, che associa ad ogni parola un significato senza passare per l’analisi fonologica, che è deficitaria. Questo disturbo si concretizza nell’incapacità di leggere le non-parole e le parole sconosciute, mentre viene conservata la capacità di leggere le parole che fanno parte del vocabolario usuale. C’è inoltre un’incapacità di leggere le parole-funzione, come congiunzioni, preposizioni e avverbi, in quanto prive di significato e non immaginabili visivamente. • Dislessia profonda: il paziente vede compromessa la propria capacità di leggere le non-parole e commette diversi tipi di errori con le parole. Gli errori più comuni sono di tipo semantico (legge LEONE al posto di TIGRE), oppure visivo (LETTO al posto di METTO) o entrambi, nel caso di parole funzione (QUANTO al posto di QUANDO), o ancora morfologici (ANDAVO al posto di ANDATO). Le parole molto concrete, e quindi facilmente immaginabili, vengono lette meglio di quelle astratte. Agli errori si aggiungono inoltre sintomi quali l’afasia, la disgrafia e il deficit di memoria a breve termine. • Dislessia diretta o iperlessia o lettura senza comprensione: è caratterizzata da un’incapacità di leggere le non-parole e una mancata comprensione delle parole, che però vengono lette 14 correttamente. Nel paziente sembrano essere lesionate sia la via fonologica che quella semantica, mentre rimane intatta la via visiva. Fra le dislessie evolutive si trovano invece: 2.6.4. Dislessia fonologica evolutiva Il bambino ha maggiori difficoltà a leggere le non-parole. Ciò potrebbe essere la conseguenza di un arresto dello sviluppo nel processo di apprendimento della lettura, e precisamente a livello del passaggio dallo stadio alfabetico a quello ortografico. Lo sviluppo della lettura nel bambino resterebbe dunque fermo a livello della conversione grafema-fonema delle singole lettere, non riuscendo a raggiungere la fase in cui le regole vengono applicate a sillabe, affissi e morfemi. 2.6.5. Dislessia superficiale evolutiva È caratterizzata da una sostanziale inefficienza della lettura di parole contenenti eccezioni di pronuncia o accentate in modo irregolare, mentre vengono lette bene le non-parole. Un deficit di questo tipo potrebbe essere il risultato di un blocco dello sviluppo a livello dello stadio ortografico, per cui il bambino non ha difficoltà nella conversione grafema-fonema ma non ha costruito un vocabolario lessicale necessario ad automatizzare la lettura. 2.6.6. Dislessia mista È la dislessia che si può osservare più frequentemente, e che comprende i sintomi tipici delle categorie precedenti. Essa sarebbe il frutto di un arresto alle prime fasi dello stadio alfabetico dello sviluppo. 2.7. Le manifestazioni della dislessia. La dislessia è dunque un disturbo specifico dell’apprendimento della lettura, che si manifesta come una particolare difficoltà nel riconoscere e nel 15 discriminare i segni alfabetici contenuti nelle parole, nell’analizzarli in sequenza e nell’orientarsi sul rigo da leggere. Vediamo in dettaglio come si manifesta la dislessia e quali sono le dinamiche relative alla decodifica della parole e del testo scritto9. Scarsa discriminazione di grafemi diversamente orientati nello spazio: il bambino dislessico tende a confondere grafemi uguali o simili ma diversamente orientati, come “p” e “b”, “d” e “q”, “u” e “n”, “a” ed “e”, “b” e “d”; Scarsa discriminazione di grafemi che differiscono per piccoli particolari, come “m” ed “n”, “c” ed “e”, “f” e “t”; Scarsa discriminazione di grafemi che corrispondono a fonemi simili sordi e sonori, come “f” e “v”, “t” e “d”, “c” e “g”, “l” e “r”, “s” e “z”. Il soggetto dislessico presenta ulteriori difficoltà nell’ambito della decodifica sequenziale. Premesso che la lettura richiede di procedere con lo sguardo da sinistra a destra, si rileva come questo procedimento appaia complesso a tutti gli individui nelle fasi iniziali di apprendimento della lettura, ma, con l’affinarsi della tecnica, diminuisca gradualmente fino a scomparire. Nel soggetto dislessico, invece, questo vincolo continua a rappresentare un vero e proprio ostacolo nella decodifica sequenziale, per cui si manifestano frequentemente: • salti di parole, oppure salti da un rigo all’altro, dovuti ad evidenti difficoltà a procedere sul rigo e ad andare a capo; • inversioni di sillabe, che comportano errori nella decodifica della sillaba (il soggetto legge “il” al posto di “li”) e della parola (“talovo” al posto di “tavolo”); • 9 aggiunte e ripetizioni (“tavovolo” al posto di “tavolo”) www.centromethod.it/dislessia.htm 16 Il bambino che presenta chiare difficoltà di lettura tende a privilegiare il procedimento intuitivo rispetto a quello di decodifica; l’intuizione della parola scritta rappresenta indubbiamente un valido strumento, ma al tempo stesso è fonte di errore. Non di rado, infatti, il soggetto esegue la decodifica della prima parte della parola, talvolta anche solo del primo grafema o della prima sillaba, e procede “inventando” l’altra parte. La parola viene così spesso trasformata in un’altra il cui significato può essere completamente diverso. 2.8. Disturbi dell’apprendimento del linguaggio connessi alla dislessia.10 Spesso i bambini dislessici presentano ulteriori disturbi che comportano ripercussioni sulla scrittura e sull’apprendimento logico-matematico, conosciuti come disgrafia, disortografia e discalculia. La disgrafia è un disturbo che riguarda le abilità esecutive della scrittura, e si manifesta in una prestazione scadente dal punto di vista della grafia. Il disgrafico scrive in modo irregolare, l’impugnatura della penna è spesso scorretta e la mano scorre con fatica sul piano di scrittura. La capacità di utilizzare lo spazio a disposizione è solitamente molto ridotta: il soggetto tende a non rispettare i margini del foglio, lasciando spazi irregolari tra i grafemi e le parole; spesso non segue la linea di scrittura e procede in salita o in discesa rispetto al rigo. La pressione della mano sul foglio non è adeguatamente regolata: talvolta è troppo forte e il segno lascia un’impronta marcata anche nelle pagine seguenti del quaderno, altre volte è troppo debole e svolazzante. Vi è inoltre una tendenza alla macro e alla micrografia, e alla ritoccatura del segno già tracciato. Sono frequenti anche le inversioni nella direzione del gesto, che si evidenziano sia nell’esecuzione dei singoli grafemi che nella scrittura autonoma, 10 Documentazione tratta dal sito www.centromethod.it/imparare.htm e dal volume di A. BIANCARDI e G. MILANO Quando un bambino non sa leggere, Milano, Rizzoli, 1999. 17 che a volte procede da destra a sinistra. La scarsa coordinazione oculo-manuale comporta anche errori nella copia di parole e frasi. Tutto ciò rende le parole molto spesso illeggibili anche a chi le ha scritte. La disortografia, invece, è la difficoltà a tradurre correttamente i suoni che compongono le parole in simboli grafici; si presenta con errori sistematici dovuti alla confusione di fonemi o grafemi simili (“afere” al posto di “avere”), con frequenti omissioni di alcune parti della parola (“catolina” al posto di “cartolina”), e inversioni nella sequenza dei suoni all’interno della parola (“sefamoro” invece di “semaforo”). La discalculia è invece una difficoltà specifica nell’apprendimento del calcolo, che si manifesta nel riconoscimento e nella denominazione dei simboli numerici, nella scrittura degli stessi, nell’associazione del numero alla quantità corrispondente, nella numerazione in ordine crescente e decrescente e nella risoluzione di problemi. Spesso alla base del disturbo ci sono difficoltà di orientamento spaziale e di organizzazione sequenziale evidenziate anche nella lettura, con l’inversione di simboli simili (il 9 col 6, il 21 con il 12). Di solito è presente anche la capacità di numerare in senso progressivo ma non in senso regressivo, unita alla difficoltà di memorizzare la tavola pitagorica e le tabelline. 2.9. Ipotesi sulle cause di dislessia e difficoltà di apprendimento.11 Nel corso del tempo le difficoltà di apprendimento sono state attribuite alle cause più disparate. Per anni si è pensato che la dislessia fosse dovuta ad un deficit del sistema visivo nell’elaborazione fonologica delle parole. Nel 1944 un’equipe 11 Per approfondimenti vedasi il volume di A. BIANCARDI e G. MILANO Quando un bambino non sa leggere, Milano, Rizzoli, 1999. 18 oculistica di St. Loius ha dimostrato che nei bambini dislessici lo stimolo visivo viaggia più lentamente e l’immagine resta più a lungo nel cervello. Questa tesi troverebbe conferma nella dimostrazione che i bimbi dislessici hanno spesso difficoltà a captare immagini in movimento, andando a rilevare un deficit nell’elaborazione delle informazioni visive che coinvolgerebbe il sistema magnocellulare e una mancata attivazione dell’area cerebrale vista-movimento. Un’ipotesi avanzata invece da altri ricercatori sostiene che il difetto di percezione del movimento visivo potrebbe essere segno di un più grande deficit cognitivo nella coordinazione, il quale coinvolgerebbe anche la percezione uditiva. L’ipotesi che vede nella dislessia la conseguenza di un deterioramento uditivo, rivela che, nonostante il bambino senta perfettamente, i centri del cervello che dovrebbero elaborare i suoni non siano in grado di farlo, finendo per confonderli e sovrapporli. Altri studiosi hanno ricercato nella dislessia cause di tipo linguistico, notando come i bambini affetti abbiano manifestato, nella maggior parte dei casi, difficoltà nell’esprimersi già a partire dalla scuola materna, faticando a pronunciare correttamente parole lunghe e complesse. Più di recente, un filone di ricerca ha spostato l’attenzione sull’integrazione dei diversi processi cerebrali che elaborano l’informazione. Daria Mauer e Alan Khami della Memphis State University hanno verificato le capacità di associazione di stimoli visivi e sonori di bambini dai 5 ai 9 anni con difficoltà di apprendimento, scoprendo che i soggetti riescono bene nei compiti associativi ma necessitano di tempo superiore per eseguirli. La cattiva lettura potrebbe dunque dipendere non tanto da una generale difficoltà di associazione o di riconoscimento dei diversi stimoli visivi o acustici, quanto dall’elaborazione simultanea di tutte le informazioni da prendere in esame. 19 Questa osservazione individua pertanto alla base del deficit la mancata automatizzazione delle varie abilità. Se un’abilità non viene eseguita automaticamente, infatti, occorre uno sforzo maggiore per eseguire un compito che viene percepito difficile, come scrivere, leggere, allacciarsi le stringhe, camminare su un asse di equilibrio contando contemporaneamente all’indietro. A rinforzo di questa tesi, è stato notato che quando al bambino dislessico viene chiesto di portare a termine due compiti contemporaneamente, molto spesso non riesce a farlo, proprio perché il sistema di elaborazione è saturo e di conseguenza la prestazione ne risente. Un’ultima ipotesi, infine, mette in luce le basi neurobiologiche del disturbo, rivelando una presunta differenza cerebrale nei dislessici, dovuta alla mancata asimmetria dei due emisferi. Nel campo della neurobiologia gli studiosi concordano nell’associare la dislessia ad anormalità del primo sviluppo neurologico, piuttosto che a lesioni successive12. La maggior parte dei bambini con disturbi specifici del linguaggio non presenta anormalità neurologiche individuabili ad una prima analisi del cervello. Ad un esame più approfondito è emersa invece una differenza cerebrale nei dislessici, dovuta alla mancata asimmetria dei due emisferi. Già Broca aveva dimostrato il ruolo predominante dell’emisfero sinistro nella produzione del linguaggio, nel calcolo, nelle funzioni percettive e motorie; l’asimmetria avrebbe un ruolo determinante e fornirebbe un substrato anatomico alla lateralizzazione della funzione del linguaggio. Dai risultati delle osservazioni effettuate con la nuovissima tecnica delle neuro-immagini, in grado di visualizzare il cervello mentre esegue operazioni mentali, è emersa la presenza di neurosistemi specifici stranamente non attivati 12 cfr. D. Bishop, M. Snowling, Developmental Dyslexia and Specific Language Impairment, Psychological Bulletin, 2004, Vol.130, No. 6 20 nei dislessici, e di aree attivate che invece non svolgono alla perfezione il loro compito. Tuttavia l’ipotesi di attribuire alle simmetrie cerebrali i deficit di apprendimento del linguaggio, non sembra convincere, dato che cause ed effetti sono difficilmente individuabili. Questi studi dimostrano in ogni caso come sia necessario abbandonare il semplice approccio comportamentista e psicologico ai disturbi dell’apprendimento, cercando piuttosto di analizzare approfonditamente i processi cognitivi sottostanti, e distinguendo chiaramente tra dislessia e disturbi specifici del linguaggio. 2.10. Basi genetiche della dislessia.13 Numerosi studi effettuati su soggetti dislessici hanno messo in luce la presenza di un fattore genetico alla base del deterioramento del livello fonologico. Una ricerca, in particolare, si è concentrata sull’esercizio basato sulla ripetizione delle non-parole, rivelando come nelle famiglie di bambini, che hanno ottenuto risultati particolarmente scarsi, il tasso di ereditarietà sia significativamente elevato. È quindi probabile che nella storia genetica di un individuo colpito da dislessia, esista un parente prossimo che ha avuto le medesime difficoltà. Questo emerge anche dai racconti raccolti da Giacomo Stella nel suo libro Storie di dislessia, nel quale genitori e nonni vedono i propri problemi riflessi in quelli dei figli. Tuttavia, nel ricercare le cause genetiche della dislessia, il compito si rivela arduo e complesso: gli studiosi, infatti non possono semplicemente comparare 13 confronta con l’articolo di D. BISHOP e M. SNOWLING, Developmental Dyslexia and Specific Language Impairment, Psychological Bulletin, 2004, Vol.130, No. 6 21 individui affetti e non affetti gene per gene, dal momento che i geni da analizzare sono troppo numerosi per un lavoro di questo tipo. Non ci si aspetta dunque di trovare un’associazione univoca tra indicatore e fenotipo, posto che l’indicatore non è un gene, ma una stringa di DNA che tende ad essere ereditata assieme al gene. Ad incrementare il grado di difficoltà dell’impresa, contribuisce la consapevolezza che molti disturbi complessi dipendano dall’azione combinata di geni e fattori ambientali. Questi ultimi non possono venire ignorati: bisogna considerare, infatti, che i membri di una famiglia condividono la stessa situazione ambientale, oltre al bagaglio genetico, tanto che un basso grado di alfabetizzazione nei genitori può aumentare il rischio che i figli siano cattivi lettori. È possibile in altre parole ammettere che i fattori ambientali assumano più importanza in bambini geneticamente già predisposti alla dislessia, anche se questo non è ancora stato dimostrato. 22 3. SECONDA PARTE: PROSPETTIVA SOCIO-RELAZIONALE «All’asilo i miei disegni erano indecifrabili, così dice il mio papà. Ma i grossi problemi sono iniziati con la scuola elementare. Scrivevo male e leggevo peggio. Ero continuamente sollecitato a fare meglio e, siccome la cosa non avveniva, sono arrivate le brontolate, poi i brutti voti e la costrizione a riscrivere il compito dopo aver strappato la pagina. Questa punizione mi gettava nella disperazione più violenta perché per me aver scritto quella pagina aveva voluto dire una grande fatica fisica e mentale. Purtroppo anche mia mamma credeva che fosse svogliatezza (non sapeva nulla della dislessia) e a casa si metteva a fare l’aguzzina come facevano in classe i miei insegnanti: mi faceva piangere e qualche volta scappava la pacca o il pizzicotto. A scuola non riuscivo a stare attento, ero sempre distratto e sul mio viso calava come una maschera inespressiva. (Mattia, 19 anni) »14 «Quando leggo non riesco a riconoscere bene le parole e così faccio fatica a capire quello che c’è scritto. Io lo so che sono dislessico, ma gli altri non ci credono. Gli insegnanti dicono che non ho voglia ed è vero che io non ho più voglia, ma io ho provato a imparare a leggere come gli altri ma non ci sono riuscito e non ci riesco.(Gianluca, 14 anni) »15 Queste sono solo alcune delle testimonianze raccolte da Giacomo Stella nel volume Storie di dislessia: un collage di esperienze che riflettono la sofferenza e la frustrazione di bambini e genitori, costretti a confrontarsi con un problema ancora indefinito come la dislessia, poco conosciuto sia a livello sociale che scolastico. 14 G. STELLA, Storie di dislessia, Firenze, Libri Liberi, 2002, p. 95 15 G. STELLA, Storie di dislessia, cit., p. 64 23 Un problema dei bambini, che non riescono ad apprendere come i loro coetanei, dei genitori, consapevoli che il futuro è sempre più strettamente connesso all’istruzione e alla formazione scolastica, degli insegnanti, che spesso sono ancora all’oscuro delle complesse dinamiche della dislessia e infine dei medici specialisti, che vengono sollecitati dagli uni e dagli altri ma in genere non sono in grado di dare risposte. A causa dei ritardi nel riconoscimento del disturbo e nella diffusione dei contributi della neuropsicologia dell’età evolutiva, in Italia è, infatti, ancora prevalente tra gli specialisti un approccio al problema di tipo psicodinamico. Al centro dell’analisi vengono poste le reazioni del bambino di fronte al compito, tanto che il problema della letto-scrittura viene attribuito ad un non meglio definito «blocco psicologico», una sorta di «inibizione ad apprendere la cui origine viene spesso cercata nelle relazioni tra il bambino e gli adulti che gli fanno delle richieste».16 In quest’ottica si cerca di migliorare le relazioni dello scolaro con compagni, maestri e genitori, ignorando come il disagio espresso sia piuttosto fondato su uno specifico disturbo dell’apprendimento. Allo stesso modo, l’insegnante si interroga sull’impegno del bambino, sulle sue condizioni famigliari, lamenta scarso impegno e distrazione, disinteresse e rifiuto, sovente accompagnati da problemi di comportamento in classe. Generalmente non è in grado di spiegarsi perché il bambino, che in apparenza è sveglio ed intelligente, non riesca a seguire un percorso di apprendimento parallelo a quello dei suoi compagni, mostrando atteggiamenti di rifiuto o di grande difficoltà quando gli si chiede di leggere o scrivere. Spesso l’insegnante ritiene che lo scolaro si eserciti poco e lo invita a moltiplicare gli sforzi, vessandolo con punizioni talvolta umilianti che nella maggior parte dei casi ottengono il risultato contrario, consolidando il rifiuto per la scuola. 16 G. STELLA, Storie di dislessia, cit., p. IX 24 In questo quadro, i genitori si trovano immersi in una situazione di grande disorientamento: all’inizio è logico accettare la spiegazione più semplice, quella del rifiuto a crescere, manifestato attraverso i disturbi scolastici. Si tende così a dare ragione all’insegnante, credendo che il bambino non si applichi a sufficienza; il genitore cerca di stimolarlo alternando punizioni e blandizie, diventando una sorta di torturatore inflessibile e inducendo un senso di confusione anche nel figlio, che oscilla fra il desiderio di compiacerlo e l’impulso di sottrarsi al compito. In questa fase, infatti, il bimbo dislessico si trova intrappolato in una morsa di incomprensione sia in famiglia che a scuola, e comincia a dubitare delle proprie possibilità. Mentre all’inizio i testardi rifiuti di approcciarsi al compito vengono considerati capricci, dopo innumerevoli tentativi il genitore capisce che sono espressione di una difficoltà autentica. «Ci ripenso solo oggi - dopo che ci hanno finalmente detto che Eleonora è dislessica - a tutte le prediche che le abbiamo fatto, e quello che mi dispiace è che allora lei non si sentisse capita nemmeno da noi, i suoi genitori. Ammetto di aver pensato che non si impegnava abbastanza fino a quando non ho provato io a farle fare i compiti. Sono rimasto colpito soprattutto un giorno in cui, dopo aver scritto una pagina di parole ripetute, girando il foglio Eleonora non si ricordava più come si scriveva la parola che aveva scritto almeno venti volte. Sono andato su tutte le furie rimproverandola per la scarsa attenzione, e, come al solito, è finita in lite e in pianti, ma poi ho cominciato a pensare che dovevamo consultare qualcuno per capire se c’era qualche problema. »17 A questo punto, il genitore tende ad assumere comunque un ruolo di difesa del bambino e, a volte in contrapposizione con la scuola, comincia a cercare presso vari specialisti una risposta al problema. 17 G. Stella, La dislessia, cit., p. 58 25 I bambini, naturalmente, sono in questo contesto i più incompresi ed indifesi: dovendo confrontarsi quotidianamente con le loro difficoltà, spesso senza la comprensione e l’aiuto di nessuno, reagiscono nei modi più disparati. C’è chi si ammala e manifesta disturbi somatici al momento di andare a scuola, chi rifiuta testardamente le attività, chi vi si sottrae, opponendosi aggressivamente alle richieste, e infine chi cerca di scomparire nel gruppo dei compagni, mascherando il più possibile le difficoltà con stratagemmi vari. I genitori vengono visti come aguzzini che pretendono con insistenza ancora maggiore rispetto a quella dell’insegnante: «costringere il bambino dislessico a leggere o a scrivere è altrettanto doloroso che far fare attività motoria ad un bambino spastico, o a fargli ingoiare ripetutamente una medicina amara».18 Dopo tanti sforzi, il bambino a scuola non ottiene nessun riconoscimento, anzi viene spesso accusato di non essersi esercitato abbastanza: la scoperta della letto-scrittura per lui diviene un incubo, un’esperienza negativa che spesso segna in modo irreversibile tutto il successivo percorso scolastico.19 3.1. Disturbi di apprendimento e disagio psicologico. Il risultato di questo grave malinteso, che si crea fra insegnanti, genitori e specialisti, è che il bambino non viene aiutato proprio nella fase in cui ne avrebbe maggiormente bisogno: il suo recupero risulta addirittura ostacolato, tanto che difficoltà ulteriori vanno ad aggiungersi a quelle già presenti. Il bimbo dislessico si ritrova così costretto a vivere una serie di insuccessi a catena, senza che se ne riesca a comprendere il motivo, e le punizioni che gli vengono inflitte contribuiscono ad aumentare il senso di responsabilità e 18 G. STELLA, Storie di dislessia, cit., p. VIII 19 Per un approfondimento vedasi il volume di G. STELLA, Storie di dislessia, cit., pp. V-XI 26 consapevolezza, che si assomma al peso della propria incapacità, già difficile da sostenere. L’insuccesso prolungato genera scarsa autostima, e dalla conseguente mancanza di fiducia nelle proprie possibilità scaturisce un disagio psicologico che, nel tempo, può strutturarsi e dare origine ad un’elevata demotivazione all’apprendimento e a manifestazioni emotivo-affettive particolari quali la forte inibizione, l’aggressività, gli atteggiamenti istrionici di disturbo in classe e, in alcuni casi, la depressione.20 Il bimbo con disturbo di apprendimento vive quindi il proprio problema a tutto tondo e ne rimane imprigionato fino al momento in cui non viene elaborata una diagnosi accurata, che permetta di chiarire l’esistenza di un disturbo sottostante e di procedere ad un diverso modo di approcciarsi al problema. 3.2. Come si sente il bambino in difficoltà. Il bimbo dislessico si trova a far parte di un contesto scolastico, all’interno del quale gli vengono proposte attività che gli appaiono troppo complesse o astratte. Allo stesso tempo, però, si accorge che i suoi compagni hanno eseguito con serenità i compiti proposti, ottenendo buoni risultati, mentre lui rimane costantemente indietro, ed esposto alle sollecitazioni ed ai rimproveri degli adulti. Spesso non trova soddisfazione neanche nelle attività extra-scolastiche, a causa delle lacune percettivo-motorie che possono non farlo eccellere nello sport e non renderlo pienamente autonomo nella quotidianità. Si accresce così nel bimbo uno spiccato senso di incapacità e di incompetenza, che finisce per sfociare in un forte senso di colpa: si percepisce come responsabile delle proprie difficoltà ed inferiore rispetto ai coetanei, e 20 www.centromethod.it/disturbi_apprendimento.htm 27 crede che nessuno, né insegnanti né genitori, sia soddisfatto ed orgoglioso di lui. Ritiene inoltre di non essere all’altezza dei compagni e di non venire considerato parte del gruppo ed accettato, e per non percepire il proprio disagio mette in atto meccanismi di difesa che non fanno che aumentare il senso di colpa, come il forte disimpegno o l’aggressività. Talvolta il disagio è tanto elevato da annientare il bimbo, ponendolo in una condizione emotiva di forte inibizione e chiusura. Uno dei primi studiosi a descrivere gli aspetti emotivi connessi alla dislessia è stato il neurologo Samuel Orton: le sue ricerche dimostrano come la maggior parte dei dislessici nel periodo pre-scolare siano felici e ben inseriti. I problemi emotivi compaiono con il primo approccio alla scuola, e si accrescono con gli anni, accompagnati ad un forte senso di frustrazione21. L’umiliazione cresce ad ogni parola in cui il bimbo leggendo si inceppa, consapevole di pronunciare qualcosa che ha poco a che vedere con il testo: il dislessico si rende conto, infatti, della sua difficoltà e del fatto che probabilmente non capirà il significato di quello che sta leggendo, e saprà che gli altri potranno chiedersi come sia possibile essere tanto ottusi e incapaci da confondere lettere, parole e righe.22 L’ansia diventa il più frequente sintomo emozionale riscontrato nei dislessici: dal momento che non possono correggere anticipatamente i propri errori, tutte le nuove situazioni sono fonte di ansia e nervosismo. Questo sentimento comporta la tendenza ad evitare ciò che è fonte di paura, nello specifico l’esercizio della letto-scrittura; tale tendenza, però, viene spesso fraintesa e scambiata per pigrizia. Gli scienziati sociali hanno osservato come la frustrazione esperita dai bimbi dislessici possa sfociare in accessi di rabbia, che si presentano in misura 21 http://www.interdys.org/servlet/compose?section_id=5&page_id=95 22 A. BIANCARDI, G. MILANO, Quando un bambino non sa leggere, Milano, Rizzoli, 1999 28 sempre maggiore con il passare degli anni, scagliandosi contro la scuola e gli insegnanti in generale, ma anche contro i genitori. Nonostante l’ambiente domestico venga percepito come sicuro, il ragazzino tende, infatti, a sfogare la propria rabbia in particolare contro la figura materna che, paradossalmente, è l’unica in grado di alleviare e vincere questo sentimento d’angoscia. L’atteggiamento violento è particolarmente evidente nel periodo dell’adolescenza, quando il dislessico comincia a sentire come soffocante ed umiliante il sostegno che gli è necessario per portare a termine i suoi studi. La tensione fra le aspirazioni di autonomia e la dipendenza scolastica causano spesso grandi conflitti interiori mentre, a partire dall’età di circa 10 anni, aumenta il senso di inferiorità. Gli studi hanno messo in evidenza come il dislessico abbia un basso “locus of control”: tende ad attribuire i propri successi alla fortuna o alla facilità del compito, imputando invece gli insuccessi alla propria incapacità ed inadeguatezza23. La depressione è un’altra complicazione che può comparire tra le conseguenze psicologiche e relazionali della dislessia, e che si manifesta quando il bambino non riesce a sfogare la propria rabbia su elementi esterni, indirizzandola contro se stesso.24 Il soggetto comincia a costruire un’immagine negativa di sé e del mondo, si diverte difficilmente e non riesce ad apprezzare le esperienze positive, prevedendo per sé una vita di insuccessi e fallimenti. Sia genitori che insegnanti, in questi casi, hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo psicologico del bambino, e devono offrirgli incoraggiamento continuo e supporto. 23 A. BIANCARDI, G. MILANO, Quando un bambino non sa leggere, Milano, Rizzoli, 1999 24 www.interdys.org/servlet/compose?section_id=5&page_id=95 29 3.3. Come si sente la famiglia. L’ingresso nella scuola elementare fa emergere un problema: il bambino, che era sempre apparso intelligente, non apprende come gli altri. Inizia così una storia che può avere risvolti addirittura drammatici: i genitori non riescono ad individuare da subito il problema e ad intraprendere percorsi adeguati ed efficaci, cercando soluzioni spesso dannose, anche se decise in buona fede. Il bimbo viene sottoposto ad estenuanti esercizi di recupero pomeridiano, subisce punizioni e talvolta viene perfino costretto a cambiare scuola. Tutto ciò dà origine ad una relazione affettiva complessa e basata principalmente su elementi negativi: il figlio, nonostante tutti gli sforzi, non ottiene i risultati desiderati, e i genitori spesso non si sentono all’altezza della situazione, e si ritengono responsabili delle difficoltà del figlio, mettendosi a caccia delle cause del problema. Il senso di colpa viene spesso rimbalzato da un membro all’altro della coppia: la madre accusa il padre di non occuparsi del figlio, il padre accusa la madre di arrabbiarsi troppo per i compiti e così via25. Talvolta i genitori attribuiscono la responsabilità della difficoltà alla scuola e alla mancanza di professionalità dei docenti, mentre il figlio si sente responsabile del conflitto genitoriale e accresce la sua ansia, vivendo con la paura dell’abbandono. In definitiva, il problema di apprendimento del bambino si trasforma spesso in un problema relazionale e sociale che coinvolge tutta la famiglia26. 25 www.centromethod.it/famiglia_disturbo.htm 26 G. Stella, La dislessia, Bologna, Il Mulino, 2004 30 3.4. Strumenti per la diagnosi e per riportare serenità in famiglia. Quasi sempre il genitore comprende da solo che le difficoltà del figlio sono dovute ad un problema indipendente dalla sua volontà, e decide di rivolgersi a specialisti in cerca di risposte e soluzioni al disturbo. Purtroppo questa ricerca può durare anche a lungo, dal momento che in Italia la diagnosi di dislessia evolutiva è ancora molto aleatoria e dipende dai modelli interpretativi degli specialisti, quali neuropsichiatri infantili, psicologi e logopedisti, più che dall’analisi sistematica dei sintomi27. Per una diagnosi accurata è necessaria una seduta iniziale con i genitori, utile per conoscersi e raccogliere i data anamnesici; una serie di test standardizzati verificheranno, quindi, il livello cognitivo, attraverso prove specifiche di lettura, scrittura e calcolo, ed esami delle funzioni linguistiche, metalinguistiche e visuospaziali. Nel corso della ricerca, può essere utile rivolgersi ad associazioni che si occupano del problema, come l’Associazione Italiana Dislessia (www.dislessia.it), presente su tutto il suolo nazionale, che può dare alle famiglie un importante aiuto nella fase diagnostica e in quella riabilitativa, oppure consultando siti internet come www.dislessia-genitori.org, curato da genitori di bimbi dislessici, con i quali è possibile confrontare le proprie esperienze e trarne positivi incoraggiamenti. Per ristabilire la serenità all’interno del nucleo domestico, è possibile rivolgersi alla consulenza famigliare, con l’obiettivo di ridurre la sensazione di colpa e incompetenza sia nei genitori che nel figlio e di favorire l’interiorizzazione di esperienze soddisfacenti, aiutando a comprendere che il 27 G. Stella, La dislessia, Bologna, Il Mulino, 2004 31 figlio non è solo uno scolaro e a valorizzarne tutte le componenti extrascolastiche28. Una misura importante da prendere potrebbe essere anche quella di affidare il lavoro scolastico a casa ad una persona diversa dal genitore, in modo da mettere il bimbo nelle mani di un insegnante con esperienza e da preservare i rapporti affettivi. A volte il genitore esita nell’affidarsi ad una terza persona, ritenendo che fare i compiti con il proprio figlio sia un modo per aiutarlo e stargli vicino, ma nella maggior parte dei casi il ricorso ad un estraneo è la scelta più giusta, nell’interesse del bambino e di tutta la famiglia.29 3.5. Cosa deve sapere e cosa può fare la scuola.30 La prima vera causa degli errori che si fanno con i bambini dislessici è l’ignoranza del problema: pertanto, le informazioni scientifiche sulla dislessia e gli strumenti necessari per effettuare una corretta diagnosi sono elementi necessari agli insegnanti, per riconoscere il problema e poter intervenire. Una volta al corrente della natura del disturbo e del suo modo di manifestarsi, il docente può aiutare il bambino e i genitori ad intraprendere un percorso di approfondimento specialistico, adottando fin da subito modalità didattiche specifiche per ridurre l’impatto del problema e facilitare il recupero, e dimostrandosi disponibile ad adottare metodi di insegnamento non convenzionali. In questo modo, è utile permettere al bimbo dislessico di utilizzare il carattere più facile e congeniale da apprendere, invece di insistere sulla necessità di adeguamento al metodo: i dislessici, ad esempio, utilizzano con maggiore facilità lo stampatello invece del corsivo, più semplice da discriminare dal punto di vista percettivo. Anche consegnare una fotocopia con i compiti da 28 www.centromethod.it/consulenza_familiare.htm 29 G. STELLA, La dislessia, Bologna, Il Mulino, 2004 30 Per un approfondimento consultare il volume di G.STELLA La dislessia, cit., p. 69-85 32 eseguire a casa al posto di dettarli, con il rischio che il bimbo non arrivi a scriverli tutti, può essere una strategia utile per alleviare il problema. 3.6. Strumenti compensativi. Tra le misure compensative per la dislessia, figura l’introduzione di supporti tecnologici, come programmi di sintesi vocale che trasformano la lettura in un compito di ascolto. Anche la videoscrittura può essere un buon metodo per andare incontro alle difficoltà del bambino, permettendogli di rileggere il testo da lui prodotto: un’operazione, questa, altrimenti difficile, dato che raramente il dislessico è in grado di decifrare la propria grafia. In genere la scuola si mostra refrattaria all’impiego di questi strumenti, contrari al metodo tradizionale, ma consentire l’introduzione in classe di computer e calcolatrice può essere un metodo efficace per risolvere alcuni dei problemi che lo scolaro si trova a dover affrontare quotidianamente, alleggerendo il peso della difficoltà e attenuando l’umiliazione di dover restare ogni volta indietro. Le facilitazioni informatiche, infatti, innalzano notevolmente il livello di autonomia del bambino e gli consentono di poter studiare come gli altri. 3.7. Rafforzi emotivi. Oltre all’introduzione di strumenti tecnologici, il bambino può essere aiutato con rafforzi di tipo emotivo; il dislessico è infatti molto spesso un allievo demotivato, con scarsa tolleranza nei confronti del minimo insuccesso, e tendenza a gettare la spugna alle prime avvisaglie di difficoltà. Per rimediare a questa situazione risulta utile presentare compiti semplici, incrementandone gradualmente la difficoltà, ed instaurando relazioni empatiche, che accrescano la sua sicurezza. Il livello di motivazione può essere innalzato anche 33 presentando brani interessanti, abbassando l’ansia e creando situazioni prive di stimoli distraenti31. Ciò che desta maggiori preoccupazioni, è che la condizione di diversità in cui versa il bimbo dislessico, diventi un marchio a vita: nella maggior parte dei casi, infatti, pur non risolvendosi completamente, il disturbo si attenua, lasciando difficoltà che non interferiscono più di tanto con la vita sociale, intellettuale ed affettiva, e non impediscono nemmeno di leggere e scrivere. I neuropsicologi sostengono che quando un bambino raggiunge il livello di competenza di lettura e scrittura, che normalmente è previsto alla fine della quarta elementare, non sarà più riconosciuto come dislessico: moltissimi raggiungono questa soglia entro la terza media32. Ciò che conta è quindi dare alla dislessia il giusto peso, individuarla come un problema attraverso una diagnosi specifica, accettarla ed essere accettati, per poter crescere sviluppando le capacità di esprimere appieno la propria intelligenza e creatività. «A scuola i miei compagni e i miei insegnanti hanno capito che io posso imparare, ma con strumenti diversi. È molto faticoso, ma i risultati stanno aumentando. Adesso ho meno paura, e quando la prof. ci chiede di fare qualcosa, io ascolto e provo a farla. Prima non ascoltavo perché per me era tutto troppo difficile. A scuola ho molti amici e mi apprezzano per quello che sono, nonostante la mia difficoltà. (Arianna, 12 anni). »33 31 P. Meazzini, La lettura negata, ovvero la dislessia e i suoi miti, Milano, FrancoAngeli, 2002 32 P. Meazzini, La lettura negata, ovvero la dislessia e i suoi miti, Milano, FrancoAngeli, 2002 33 G. Stella, Storie di dislessia, p. 69 34 4. CONCLUSIONI Conducendo la ricerca che ha dato vita alla presente tesi, mi è stato possibile constatare come le conoscenze scientifiche, legate ad un disturbo tanto rilevante come la dislessia, siano ancora limitate ed incomplete. La difficoltà di interpretare da subito le manifestazioni del problema e i fraintendimenti che ne sono susseguiti, hanno impedito, infatti, l’elaborazione di strategie di ricerca solide e compatte, tanto che le informazioni ad oggi disponibili sull’argomento sono spesso discordanti fra loro, e per la maggior parte rimangono solo ad un livello ipotetico. La reticenza delle istituzioni scolastiche e politiche a confrontarsi con il problema ha avuto pesanti ripercussioni, non solo sull’apprendimento dei bambini dislessici, ma soprattutto sul lato emotivo e psicologico, scatenando sentimenti di inferiorità e di colpa che, una volta radicati nella personalità, sono difficili da combattere e da estirpare. Fortunatamente, però, gli studi compiuti nell’ultimo decennio hanno contribuito a diffondere la consapevolezza dell’esistenza della dislessia, dando vita parallelamente ad un fiorire di associazioni e siti internet che si occupano di far conoscere i disturbi dell’apprendimento e di offrire, a quanti devono confrontarsi con esso, un supporto per la diagnosi e per la riabilitazione. Non resta dunque che auspicare che le istituzioni sappiano riconoscere il problema e trattarlo adeguatamente, impedendo che si cada ancora in fraintendimenti, che possono lasciare pesanti strascichi nella vita dei dislessici e dei loro famigliari. Il linguaggio, e in particolare la comunicazione attraverso la letto-scrittura, ci accompagna in ogni nostra attività, consentendoci di esprimere pensieri e stati d’animo, e di comunicare con gli altri: il grande e pericoloso equivoco è pensare che la dislessia possa impedire tutto ciò. 35 5. BIBLIOGRAFIA. • G. Stella, La dislessia, Bologna, Il Mulino, 2004 • G. 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