1 - Dipartimento di Tecnica e Gestione dei Sistemi Industriali

IL FUTURO DEI DISTRETTI
Lavoro, tecnologia, Organizzazione, Istituzioni
Vicenza, 4 giugno 1999
Verso l’impresa relazionale in contesti non favorevoli.
L’esperienza della regione Calabria
Vincenzo Sanguigni*
* Istituto di Economia e Tecnica delle Imprese Industriali, Commerciali e di
Pubblica Utilita’ – Universita’ di Roma “La Sapienza”
Universita’ degli Studi di Roma “La Sapienza”
Facolta’ di Economia
Via del Castro Laurenziano, 9
00161 – ROMA – ITALIA
tel. ..39.06.49766450 - fax. ..39.06.49766962
E - mail: [email protected]
Verso l’impresa relazionale in contesti non favorevoli.
L’esperienza della regione Calabria
ABSTRACT
Negli ultimi tre lustri numerosi contributi prodotti nell’ambito degli studi di strategia aziendale e di teoria
dell’impresa, hanno evidenziato il fondamentale ruolo delle risorse immateriali per lo sviluppo e il successo
delle imprese.
La natura intrinsecamente diffusiva delle risorse immateriali che determinano il successo relazionale – e
quindi competitivo – dell’impresa rende inevitabile combinare l’analisi e il management della “relazionalità”
(capacità e intensità) delle imprese con quella dei contesti socio – economici in cui le stesse imprese operano.
Adottare quale unità di analisi tale combinazione, gia’ rilevante per la media e la grande impresa, diventa
imprescindibile per la piccola impresa. In altre parole il tema del rapporto fra intensità e capacità relazionale
del contesto e dell’impresa, nel caso della piccola dimensione aziendale impone l’ampliamento dell’orizzonte
di analisi e gestione delle competenze relazionali.
Nel paper vengono riportate alcune proposizioni di una ricerca cui ho preso parte, avviata nel mese di
novembre 1998 dal CUEIM (Consorzio Universitario di Economia Industriale e Manageriale) nella regione
Calabria ed intitolata “Sistemi locali di imprese, risorse relazionali ed infrastrutture per lo sviluppo
imprenditoriale".
Sommario
1. Introduzione
2. I modelli teorici di riferimento
3. La ricerca avviata dal C.U.E.I.M. in Calabria
4. Gli obiettivi e la metodologia della verifica empirica
5. Considerazioni conclusive
6. Bibliografia
2
1. Introduzione
Negli ultimi tre lustri numerosi contributi prodotti nell’ambito degli studi di strategia
aziendale e di teoria dell’impresa, hanno evidenziato il fondamentale ruolo delle risorse
immateriali per lo sviluppo e il successo delle imprese.
Soprattutto nell’ambito dei primi, un ampio numero di ricerche ha progressivamente
concentrato l’attenzione su due categorie di risorse, ritenute all’origine di performance
economiche differenziali e di vantaggi competitivi difendibili nel tempo: la conoscenza e la
fiducia. Tali risorse dispiegano il loro potenziale attraverso un ricorsivo processo di
generazione, attivazione, valorizzazione, consolidamento e sviluppo di relazioni, attivate
sia in ambito intra – impresa, sia in ambito interaziendale. In particolare, nel secondo caso,
le relazioni con clienti, fornitori, partner tecnologici, istituzioni finanziarie, azionisti e
stakeholder in genere, detengono il potenziale per generare e rigenerare valore economico,
e perciò sociale.
Lo studio delle relazioni interaziendali ha peraltro evidenziato che:
 dalla maggiore o minore capacità e intensità relazionale (quantità e/o qualità delle
relazioni attivate e/o potenziali) dipende il successo delle imprese;
 dalla maggiore o minore dotazione di risorse immateriali (conoscenza e fiducia)
dipende, ceteris paribus, l’intensità e la capacità relazionale dell’impresa.
Parallelamente allo sviluppo degli approcci resource – based nell’economia d’impresa e nel
management, alcune ricerche di matrice economico – industriale hanno dimostrato che la
dotazione di risorse strutturali, convenzionalmente intesa (le infrastrutture) non spiega, da
sola, il ritardo di sviluppo di alcune aree geografiche. A partire dallo studio a cura di Porter
(1990) sul ruolo dei sistemi locali nel successo competitivo delle singole imprese e delle
nazioni, è stata registrata una rinnovata attenzione degli economisti verso la dotazione di
risorse relazionali1 dei territori e dei contesti socio – economici nei quali le imprese
operano.
La dotazione di fiducia e conoscenza che alimenta le relazioni tra individui e tra
organizzazioni, economiche (profit e non profit) e istituzionali, è emersa ancora una volta
quale variabile esplicativa del successo, tanto delle singole imprese quanto dei sistemi
locali su cui esse insistono.
La natura intrinsecamente diffusiva delle risorse immateriali che determinano il successo
relazionale – e quindi competitivo – dell’impresa rende inevitabile combinare l’analisi e il
management della “relazionalità” (capacità e intensità) delle imprese con quella dei contesti
socio – economici in cui le stesse imprese operano. Adottare quale unità di analisi tale
combinazione, gia’ rilevante per la media e la grande impresa, diventa imprescindibile per
la piccola impresa. In altre parole il tema del rapporto fra intensità e capacità relazionale del
contesto e dell’impresa, nel caso della piccola dimensione aziendale impone l’ampliamento
dell’orizzonte di analisi e gestione delle competenze relazionali.
Con il termine “risorse relazionali” si intendono tutti i beni intangibili necessari allo sviluppo delle imprese
e, in misura ancora maggiore, allo sviluppo di imprenditorialita’ e cooperazione tra imprese. Ci si riferisce
quindi alle gia’ citate dotazioni di conoscenza ed informazioni da un lato e fiducia ed autostima dall’altro.
1
3
Con specifico riferimento alla piccola dimensione imprenditoriale, vi sono almeno tre aree
in cui lo stock di risorse relazionali posseduto da un determinato contesto locale può
risultare determinante per il successo dell’impresa.
La prima riguarda il ruolo della fiducia (e della sfiducia) nelle relazioni sociali, che
costituiscono il substrato dell’ambiente economico. Tali relazioni generano la
“contestualità” (embeddedness ), fondamentale fattore di sviluppo. Le risorse relazionali
embedded, infatti, agiscono in una duplice direzione: a) da una parte, alimentano il network
cooperativo che incrementa l’efficienza degli scambi e agevola, mediante il flusso
informativo esistente, il processo innovativo (particolarmente critico nei mercati
ipercompetitivi e certamente imprescindibile per l’impresa di piccole dimensioni); b)
dall’altra, favoriscono e rinforzano la percezione di successo delle forme di mercato e,
conseguentemente, consolidano negli imprenditori il positivo orientamento al marketing e
allo sviluppo economico – aziendale.
La seconda area concerne il ruolo della fiducia nel paradigma economico emergente dal
post – fordismo, caratterizzato dalla scomposizione dei processi produttivi in moduli
virtuali, ricomponibili mediante interazione comunicativa. L’intensità e il potenziale
relazionale del contesto diviene, in questi casi, un indispensabile collante delle interazioni
cognitive inter e intra – organizzative. Tale prospettiva assume una rilevanza ancora
maggiore se si considera che la “conoscenza” genera valore economico solo se distribuita e
condivisa. E dati gli elevati investimenti necessari alla creazione di nuove conoscenze
tecnologiche e commerciali, negli attuali contesti ipercompetitivi la loro valorizzazione
economica può scaturire solo dalla diffusione, possibilmente mediante reti di operatori
economici (economie di replicazione). Tale fenomeno ha luogo solo in presenza di robuste
dosi di fiducia e di un’ampia predisposizione alla cooperazione.
La terza area, infine, riguarda il ruolo delle relazioni “ambientali” nello start up e nel
successo delle nuove iniziative imprenditoriali. Così come per le altre risorse d’impresa,
anche per quelle relazionali esistono “dimensioni ottime”, ovvero livelli di soglia, minimi e
massimi, al di fuori dei quali può verificarsi: a) l’inefficacia dell’azione imprenditoriale
individuale, provocata dalla carenza di autodeterminazione (e di autostima) nel superare le
difficoltà insite nei processi di start up, a sua volta determinata dall’insufficiente sostegno
sociale e culturale offerto nell’intorno geografico in cui l’iniziativa è localizzata; b) il
fallimento dell’iniziativa, determinato dall’eccesso di autostima imprenditoriale, e dalla
conseguente sottostima dei segnali ambientali di rischio, oppure dall’eccesiva estensione
delle aree di business nelle quali si ritiene di poter competere con successo; c) l’incapacità
di valorizzare collaboratori e partner, sulle cui capacità è indispensabile fare leva per
sostenere lo sviluppo dimensionale.
Orbene, considerando la riconosciuta centralità dei cluster2 (Porter, 1998) nel determinare
la capacità competitiva delle imprese, e assumendo che tale capacità sia funzione del loro
Con il termine “cluster” viene definito un insieme di imprese, coordinato per contiguita’ spaziali e/o di
specializzazione, normalmente aggregato sulla base dell’omogeneita’ nel trattamento integrato di:
 una o piu’ risorse primarie materiali (lana, pelle, acciaio, oro, legno) o immateriali (ambiente, paesaggio,
conoscenze tecnologiche);
 una o piu’ risorse tecnico-produttive, tangibili o intangibili, spesso associate a capacita’ e competenze
diffuse e condivise entro definiti contesti geografici.
2
4
capitale sociale (inteso quale capitale di relazioni della singola organizzazione), si ritiene
rilevante studiare se e in che misura tale stock sia influenzato dal “capitale relazionale
locale”. Con tale locuzione si intende definire una configurazione di “capitale sociale” che
il contesto locale genera e rende disponibile per tutte le imprese che appartengono a un
cluster geograficamente localizzato.
Al riguardo vengono presentate alcune proposizioni di ricerca con riferimento alla Calabria,
una regione del Sud Italia che, stando allo stato dei convenzionali indicatori di ricchezza,
risulta essere in forte ritardo di sviluppo.
L'ipotesi di fondo è che oltre alla gestione delle relazioni della singola impresa, e quindi del
suo capitale sociale, sia fondamentale l'analisi e il management del capitale di relazioni
cumulato nel contesto locale all'interno del quale l'impresa opera. Se si accetta l'ipotesi che
l'economia della competizione richiede un ampliamento dell'unità d'analisi dall'impresa al
cluster, infatti, non si può prescindere dall'esame del capitale sociale dei contesti: una fonte
rilevante di capacità relazionale e quindi di vantaggi competitivi per le singole imprese che
in tali contesti operano.
Il lavoro prende le mosse dal sintetico esame di alcuni modelli teorici di riferimento
(paragrafo 2), sulla base dei quali sono state identificate alcune proposizioni di ricerca che
si ritiene di poter sviluppare, verificando sul campo la misura di alcune variabili che
definiscono il "capitale sociale del contesto". Tutto ciò potrebbe condurre a individuare le
determinanti sovra-aziendali della capacità relazionale delle singole imprese, e quindi di
una importante fonte del loro vantaggio competitivo.
2. I modelli teorici di riferimento
La specificità dei contesti locali è ricondotta, in letteratura, ad alcuni fattori (economici,
strutturali, infrastrutturali e culturali) ritenuti in grado di incidere sullo sviluppo dei contesti
medesimi e su quello delle imprese ivi localizzate (Becattini, 1989; Becattini e Rullani,
1993; Rullani, 1996; Porter, 1990; 1998). Tali fattori sono stati individuati: nella dotazione
di strutture e infrastrutture; nella dotazione di risorse naturali; nella tradizione culturale e
civica delle popolazioni e dei gruppi sociali.
Recenti studi sulla ‘dinamica relazionale’ delle imprese hanno rilevato, inoltre, come lo
sviluppo di una rete di legami sociali, sottostanti ai rapporti di lavoro, incida a sua volta
sulla prestazione del contesto in toto, e su quella delle imprese che vi prendono parte
(Saxenian, 1991; 1994). Il sostrato sociale delle relazioni economiche, in sostanza,
influenzerebbe le prestazioni sia delle singole imprese che della rete in cui queste operano.
La configurazione piu’ frequente di un cluster e’ riconducibile alla rappresentazione del distretto industriale,
definito come “ispessimento” localizzato di attivita’ produttive caratterizzate da un certo grado di
omogeneita’ (nelle risorse impiegate, nelle tecnologie di produzione adottate, nei mercati di sbocco
frequentati etc.).
5
Sebbene i contributi a tale riguardo siano numerosi, la lettura di tale fenomeno necessita di
alcune ulteriori specificazioni. La dimensione locale nell’economia e nella gestione delle
imprese, infatti, si presta, quantomeno a due differenti interpretazioni, e conseguentemente
approcci di studio.
Un primo approccio vede il contesto locale quale sede idonea allo sviluppo di un
atteggiamento cooperativo tra imprese. Alla luce di tale approccio, in una logica di filiera,
le lavorazioni complesse e le attività per il cui svolgimento occorre il concorso di più
operatori economici trovano in tale contesto una sede idonea per lo sviluppo di relazioni
orizzontali. Non occorre, cioè, che si sviluppino processi di integrazione verticale, poiché il
contesto di localizzazione agisce da salvaguardia contro i comportamenti opportunistici. Da
tale situazione discende la convenienza alla specializzazione: avendo identificato una fonte
di vantaggio competitivo nella suddivisione dell’attività lavorativa, infatti, le imprese
operanti in tali contesti suddividono anche i processi innovativi relativi a tale attività. Il
contesto, dunque, si configura quale topos per la divisione del lavoro cognitivo.
L’implicazione di tale approccio, per l’economia e la gestione delle imprese, è
rappresentata dall’iperspecializzazione di filiera, tesa ad esaltare la complementarità delle
capacità e delle competenze d’impresa. Quanto più il contesto ‘incoraggia’ (Ghoshal e
Moran, 1996) l’assunzione del rischio naturalmente legato all’innovazione, tanto più le
imprese tenderanno, nella logica della divisione del lavoro cognitivo, a specializzarsi lungo
traiettorie tecnologiche proprie. La logica sottostante a tale approccio è, appunto, quella
della complementarità, caratterizzata da interdipendenza più o meno elevata, in ragione
della capacità delle imprese di cercare altri sbocchi fuori dal contesto medesimo
(Grandinetti e Rullani, 1996).
Il secondo approccio, invece, ipotizza che nel tempo, in un determinato contesto, si
localizzino comportamenti e competenze dalla cui sedimentazione, o ispessimento,
derivano le capacità produttive e operative delle singole imprese, il cui sviluppo configura
la traiettoria tecnologica seguita da ciascuna di queste (Becattini, 1989). La formazione di
tali capacità e competenze, sebbene di matrice di comune (l’origine, cioè, può essere
rappresentata da uno o più fattori economici, geofisici e strutturali illustrati in apertura),
può seguire percorsi differenti tra le imprese. Derivando, infatti, dalla continua applicazione
nelle attività d’impresa, competenze e capacità finiscono per rappresentare un know-how
specifico del luogo di creazione, unico nel suo genere. Occorre rilevare, pertanto, che
sebbene un determinato contesto presenti un’elevata presenza di una specifica produzione
(gelati, rubinetti, occhiali, coltelli, e tante altre ancora), tale produzione può essere condotta
da ciascuna impresa senza sviluppare forme di collaborazione ‘palese’ con le altre imprese
ubicate nel contesto di riferimento.
Tuttavia, sia nel caso dell’iperspecializzazione promossa dalla complementarità che nel
caso della concentrazione di una stessa lavorazione da parte di una moltitudine di imprese,
è possibile rilevare l’esistenza di fattori sociali atti a promuovere il capitale relazionale
delle imprese e, in ultima analisi, il loro sviluppo.
6
Occorre, dunque, interpretare quali siano le specificità di ciascun fattore sociale e il relativo
impatto sulle prestazioni economiche del contesto e delle imprese, tenendo sempre in
considerazione anche l’effetto esercitato dai fattori strutturali, infrastrutturali, geofisici,
culturali e sociali. In sostanza, occorre rilevare il ruolo svolto da tali fattori nel contesto
locale: se essi cioè siano elementi concorrenti alla creazione di vantaggi competitivi per le
imprese e per il contesto in generale, ovvero se rappresentino fattori in grado di generare
vantaggi differenziali solo per specifiche imprese, o se, invece, il loro effetto non sia in
realtà scarsamente rilevante sia per le imprese che per il contesto.
Il punto focale diviene, dunque, l’indagine sul ruolo svolto dal ‘fattore sociale’ (Etzioni e
Lawrence, 1991) nell’economia e nella gestione delle imprese operanti in contesti locali. Il
‘fattore sociale’ si manifesta attraverso l’importanza detenuta dalle relazioni tra individui,
istituzioni e imprese3. Tale fattore può assumere la valenza di una risorsa (Wernerfelt,
1984; Barney, 1991), quando è distribuito in maniera eterogenea tra le imprese di un
determinato contesto, vale a dire quando la capacità di fare leva su legami sociali a fini
economici non è diffusa nel contesto, ma è specifica di determinate aziende.
Occorre pertanto distinguere il ‘fattore sociale’ a seconda che rappresenti una fonte di
vantaggio competitivo per le imprese dotate di maggiore capacità relazionale (social capital
– Loury, 1977; Bourdieu, 1980; Coleman, 1990; North, 1990; Burt, 1992; Putnam, 1993),
ovvero che rappresenti un elemento di ‘garanzia’ a livello metaziendale, in grado di
alimentare lo sviluppo di relazioni sociali a sostegno delle attività economiche dell’intero
contesto (Larsson, 1992; Lazerson, 1992; Saxenian, 1994; Ghoshal e Moran, 1996).
A tale proposito occorre rilevare come i contributi empirici sull’importanza del capitale di
relazioni detenuto dalle imprese abbiano, in realtà, messo opportunamente in luce la
dinamica sociale delle relazioni (Burt, 1997; Uzzi, 1997; Walker, Kogut e Shan, 1997). In
tali contributi, tuttavia, non appaiono opportunamente esplorate i fattori che determinano la
‘relazionalità’ dei contesti e in che misura questa impatti sulla prestazione delle imprese,
tenendo conto dell’influenza esercitata anche dagli altri fattori sopra citati. In sostanza si
rileva come l’essere o meno in una posizione favorevole nell’ambito di un contesto,
rappresenti una fonte di vantaggio competitivo. Inoltre, viene evidenziato come tale fattore
rappresenti l’origine di una possibile posizione di potere nello sviluppo di relazioni future
(Gulati, 1995), ma non viene adeguatamente analizzato l’effetto di interazione fra
relazionalità del contesto (capitale sociale di contesto) e relazionalità delle singole
organizzazioni (capitale sociale convenzionalmente inteso).
3
Ben-Porath (1980) ha definito tale modello ‘legame-F’ poiché coinvolge amici (friends), famiglie (families)
e imprese (firms).
7
3. La ricerca avviata dal C.U.E.I.M. in Calabria4
Il progetto “Sistemi locali di imprese, risorse relazionali ed infrastrutture per lo sviluppo
imprenditoriale" e’ stato concepito muovendo dal sintetico esame delle numerose ricerche
condotte sulla situazione economico-imprenditoriale calabrese.
Analizzando la geografia economica della regione, si puo’ facilmente rilevare come in
Calabria, a differenza di quasi tutte le altre regioni italiane, non vi siano aggregazioni
spaziali di imprese caratterizzate da relazioni economiche ed organizzative.
La convinzione dei docenti e dei ricercatori che hanno partecipato allo sviluppo del
progetto e’ che vi siano due ordini di fattori determinanti il ritardo nello sviluppo
economico ed imprenditoriale della Calabria:
 il primi costituito dalle ben note carenze infrastrutturali (trasporti, telecomunicazioni,
servizi alla produzione, servizi amministrativi, etc);
 il secondo, meno noto ma non meno rilevante, rappresentato dalla carenza di risorse
relazionali di cui sono dotate le istituzioni economiche e gli attori stessi della
comunita’ imprenditoriale.
La premessa del progetto, dunque, e’ rappresentata dalla consapevolezza che il gap di
risorse determinante il contenuto grado di sviluppo economico ed imprenditoriale della
Calabria sia connesso all’assenza di sistemi locali di imprese e che cio’ derivi sia da
carenze infrastrutturali, ma anche da carenze nelle risorse relazionali.
A tale riguardo, la proposizione di ricerca può essere così formulata: il capitale sociale
delle imprese è influenzato in misura rilevante dal capitale sociale del contesto nel quale
sono localizzate. Esistono livelli soglia di capitale sociale di contesto, al di sotto dei quali
anche individui e organizzazioni dotati di elevati livelli di capitale sociale non riescono a
produrre sviluppo economico e imprenditoriale.
Ciò che sembra necessitare di un approfondimento empirico, pertanto, concerne
principalmente l’identificazione dei costrutti e delle relative variabili che definiscono e
consentono di misurare la ‘relazionalità’ del contesto e delle imprese. Occorre rilevare,
cioè, quali sono i concetti alla base dei comportamenti sociali delle imprese, e quali
variabili possano opportunamente esprimere tali concetti, in vista di una ricerca esplorativa
finalizzata alla misurazione dell’impatto di tali variabili sulla prestazione del contesto e
delle imprese.
Nello sviluppare la proposizione di ricerca, sono state anzitutto definite alcune variabili che
si ritiene determinino la relazionalità dei contesti. In particolare, si tratta delle variabili che
negli studi di marketing (Blois, 1999) e in quelli organizzativi, identificano le determinanti
La ricerca, avviata nel mese di novembre 1998 ed ancora in corso di svolgimento, e’ affidata alla
supervisione scientifica del Prof. Gaetano Golinelli ed al coordinamento operativo del Prof. Michele
Costabile; a loro ed a tutti i docenti e ricercatori impegnati nel Progetto va il mio grazie per aver consentito
una prima “esternazione” di quanto sta emergendo dopo circa sei mesi di lavoro.
4
8
della fiducia e delle relazioni: affidabilità, percezione di competenza, percezione di
correttezza/equità e percezione di finalità convergenti. Ai fini della presente ricerca quindi:
 una prima variabile è stata identificata nell'affidabilità percepita dagli operatori
responsabili delle singole imprese del contesto nei confronti di: istituzioni pubbliche e
private, fornitori e intermediari locali, dipendenti e stakeholder locali in genere;
 una seconda variabile è stata individuata nella capacità percepita dai medesimi operatori
nelle stesse categorie di organizzazioni e individui, con i quali si creano le reti di
relazioni nel contesto locale;
 una terza variabile riguarda la correttezza/trasparenza e l’equità percepita nei
comportamenti mantenuti nello svolgimento delle relazioni;
 una quarta variabile, infine, è stata identificata nel grado di condivisione degli obiettivi
e delle condotte operative e comportamentali dei soggetti operanti nel contesto e,
quindi, nel grado di convergenza tra le finalità (organizzative, operative, culturali,
imprenditoriali) di istituzioni, imprese rivali, fornitori, e stakeholder con l’impresa
attivano relazioni economiche e sociali.
Si è inoltre ritenuto che la relazione fra capitale sociale del contesto e capitale relazionale
(capitale sociale delle imprese) passi attraverso un ulteriore costrutto cognitivo:
l’autofiducia, intesa quale proiezione che i soggetti imprenditoriali operano nei confronti
delle dinamiche economiche e aziendali, sia a livello micro (crescita del fatturato,
internazionalizzazione, aumento delle quote di mercato, etc. etc.), sia a livello macro
(sviluppo degli indicatori economici e sociali del contesto).
Di seguito tali costrutti vengono inseriti nel più ampio contesto delle determinanti della
relazionalità dei contesti locali, identificate anche con riferimento a fattori strutturali quali
l’orografia del territorio, le infrastrutture tecniche, le infrastrutture sociali, la
concentrazione territoriale delle imprese; a fattori sociali quali la cultura e le tradizioni
religiose, l’ordine sociale registrati nel territorio; a fattori “economici” quali la dotazione di
strutture specialistiche a supporto delle attività economiche prevalenti nell’area.
9
4. Gli obiettivi e la metodologia della rilevazione
La ‘relazionalità’ di un contesto costituisce un costrutto multidimensionale, per l’analisi del
quale occorre tenere in considerazione tutti i fenomeni concernenti, in differente misura,
l’agire sociale degli individui, dei gruppi e delle organizzazioni. Alle convenzionali
categorie che definiscono il profilo dei contesti locali, quindi, è stata aggiunta una nuova
categoria che, in linea di principio, può essere identificata con la locuzione “capitale sociale
di contesto”.
A tal fine occorre, in prima battuta, identificare i differenti costrutti che possono essere
inclusi nella ‘sfera’ dell’agire sociale, e successivamente proporre delle variabili attraverso
cui operazionalizzare i costrutti identificati. Inoltre, occorre considerare come la
relazionalità di un contesto possa essere fortemente influenzata da altri fattori, strutturali,
sociali ed economici. Pertanto, anche i costrutti e le relative variabili concernenti questi
fattori devono essere tenuti in debito conto (metodologicamente definibili variabili di
controllo).
Di seguito sono riportate le categorie di costrutti illustrate nel paragrafo precedente. Tali
costrutti sono ritenuti in grado di influenzare "strutturalmente" la relazionalità di un
contesto locale di imprese.

Orografia. La categoria orografia è espressa attraverso il costrutto ‘distribuzione
orografica e può essere analizzata attraverso la variabile ‘pendenza media del territorio
di localizzazione del sistema locale’.

Infrastrutture Tecniche. Tale categoria rappresenta l’insieme delle forme di
comunicazione latu sensu, presenti sul territorio. I costrutti connessi sono i seguenti:
Viabilità, Raggiungibilità, Reperibilità, Formazione. La formazione viene inserita tra le
infrastrutture tecniche, poichè rappresenta uno strumento di veicolazione e
trasferimento di risorse immateriali, cioè competenze. Le variabili connesse a tali
costrutti sono:

Km di autostrada

Metri di banchine portuali

N. di porti

N. di aeroporti

Km di ferrovie

Scuole Tecniche

Centri di comunicazione di massa

Infrastrutture Sociali. Tale categoria comprende le risorse che agevolano, seppure
indirettamente, lo svolgimento di attività produttive su un territorio. I costrutti connessi
a tale categoria sono i seguenti: Intrattenimento; Consumi culturali, Servizi Sociali alle
famiglie e alle persone. Le variabili che operazionalizzano i costrutti illustrati sono:
10







il numero di cinema
il numero di teatri
il numero di musei
il numero di biblioteche
il numero di asili nido
il numero di centri per anziani
il numero di centri di assistenza per problemi della sfera familiare

Concentrazione delle imprese. La concentrazione, espressa attraverso il costrutto
omologo, è operazionalizzata attraverso la variabile ‘numero di imprese per mille
abitanti’ nel contesto considerato, rispetto ai valori medi nazionali.

Cultura, Tradizioni, Religioni. Tali categorie sono riportate attraverso il costrutto
‘associazionismò. Le variabili riconducibili a tale costrutto sono rinvenibili nelle ‘forme
associative’ legate specificamente ad attività produttive localizzate sul territorio, quali
ad esempio, le corporazioni, le confraternite, etc.

Ordine Sociale. Tale categoria viene adottata in termini negativi, cioè per misurare la
presenza di fenomeni che concorrono ad intaccare l’ordine sociale medesimo. Il
costrutto derivato da tale categoria esprime tale approccio in negativo, ed è identificato
in ‘(fenomeni di) Criminalità. Le variabili adottate per operazionalizzare il costrutto
sono: il numero di reati annui contro il patrimonio; numero di reati annui contro la
persona; numero di reati annui contro i beni pubblici.

Economia Locale. Questa categoria comprende la presenza di particolari attività
economico-produttive sul territorio. I costrutti connessi a tale categoria sono rinvenibili:
nelle produzioni tradizionali, negli insediamenti storici di attività produttive, nella
presenza di snodi-centri-tappe di percorsi storici; nelle tracce di trasmigrazioni Storicosociali e di Influenze Etnico-culturali. Le variabili che operazionalizzano tali costrutti
sono: Numero di attività produttive localizzate, Esistenza di tradizioni produttive in
loco; Esistenza di contatti storici con sistemi produttivi esterni, ma connessi all’area di
localizzazione del sistema; e così via, fino a acentri di ricerca e università con atttività
specialistiche coereneti con la vocazione prevalente delle imprese operanti nel contesto
e così via.
11
Tabella 1: una classificazione per categorie di costrutti
Categoria
Orografia
Concentrazione
Capitale Sociale di Contesto
Costrutto
Variabile/Indicatore
Distribuzione Orografica del 
territorio di localizzazione del
sistema locale
Concentrazione

Fiducia/affidabilità;

Fiducia/Capacità; Fiducia/Equità;
Finalismo
Convergente;
Attitudine
a
Cooperare; 
Autofiducia imprenditoriale






Cultura, Tradizioni, Religione
Associazionismo di vario genere

Ordine Sociale
(Fenomeni di) Criminalità



Pendenza media del territorio
Numero di imprese per
isocrone;
Accordi cooperativi stipulati
formalmente dalle imprese
appartenenti al sistema locale;
Accordi cooperativi stipulati
informalmente dalle imprese
appartenenti al sistema locale;
Strumenti di enforcement degli
accordi:
scambi
azionari,
interlocking
management;
ostaggi finanziari;
Atteggiamenti fiduciari verso
l’ambiente istituzionale;
Atteggiamenti fiduciari verso
l’ambiente economico;
Atteggiamenti fiduciari verso
l’ambiente interno all’impresa
Atteggiamenti di condivisione
degli
obiettivi
di
enti,
istituzioni, e altri soggetti
pubblici
Atteggiamenti verso i percorsi
di sviluppo futuri
Presenza sul territorio di forme
di associazionismo legato a
specifiche attività produttive
N. di reati annui contro il
patrimonio;
N. di reati annui contro la
persona;
N. di reati annui contro i beni
pubblici
Categoria
Infrastrutture Tecniche
Costrutto
Viabilità,
Raggiungibilità, 
Reperibilità, Formazione






Variabile/Indicatore
Km di autostrada
Metri di banchine portuali
N.di porti
N. di aeroporti
Km di ferrovie
Scuole Tecniche
Centri di comunicazione di
massa
Infrastrutture Sociali
Intrattenimento;
Consumi 
culturali, Servizi Sociali alle 
famiglie e alle persone





Numero di cinema
Numero di teatri
Numero di musei
Numero di biblioteche
Numero di asili nido
Numero di centri per anziani
Numero di centri di assistenza
per problemi della sfera
familiare
Economia Locale
Produzioni
Tradizionali, 
Insediamenti Storici, SnodoCentro-Tappa di percorsi storici; 
Trasmigrazioni
Storico-sociali;
Influenze Etnico-culturali

Numero di attività produttive
localizzate
Esistenza
di
tradizioni
produttive in loco;
Esistenza di contatti storici con
sistemi produttivi esterni, ma
connessi
all’area
di
localizzazione del sistema;
13
Le interviste sono in corso di esecuzione su attori imprenditoriali operanti in cluster di
imprese calabresi che allo stato attuale non presentano la forma e i caratteri tipici dei
distretti industriali e, comparativamente, in distretti industriali di successo. L’obiettivo è
cogliere il differenziale di risorse, strutturali e relazionali, che caratterizzano i cluster di
imprese più competitivi, quali i distretti italiani di successo, rispetto a quelli sinora meno
dinamici e competitivi operanti in Calabria.
5. Considerazioni conclusive
L’indagine in corso pare offrire una conferma all’ipotesi “latente” nella proposizione di
ricerca: la dotazione di “capitale sociale di contesto” spiega le differenze fra un distretto
industriale di successo e un cluster di imprese scarsamente “cooperativo - competitivo”,
vale a dire caratterizzato da contenute relazioni collaborative, ma anche da scarso
dinamismo competitivo. Allo stesso tempo il capitale sociale, o sarebbe meglio dire
relazionale, delle singole imprese dispiega il suo potenziale in funzione dello stato del
capitale sociale di contesto.
Il risultato dell’indagine, peraltro, appare convalidare alcune recenti analisi sul percorso di
successo dei cluster di imprese e dei distretti (Albertini e Pilotti, 1996). Tali analisi hanno
evidenziato il ruolo critico di alcune istituzioni intermedie definite “meta –organizzatori”
nella gestione e nell’indirizzo dei sistemi generativi di conoscenze e nel governo di livelli
elevati di relazionalità (“reti di reti”).
In sostanza, l’ipotesi è che vi sia una nuova categoria di organizzazioni, caratterizzate da
una configurazione intermedia che le pone fra l’impresa e l’istituzione di governo pubblico
dell’economia, la cui missione implicita, ma caratterizzante, consista proprio nello sviluppo
di catene reticolari e reti di imprese, nella capacita’ di generare relazionalita’ interimprenditoriale.
Tali organizzazioni -assimilabili alle Agenzie di Sviluppo territoriale, ai Business
Innovation Center, ai Parchi Tecnologici, e così via- al di là degli ambiti tecnici di
operatività, contribuiscono in misura significativa ad innalzare il grado di relazionalità dei
contesti e, conseguentemente, il potenziale competitivo delle imprese che in tali contesti
operano.
La necessita’ di individuazione e potenziamento dei meta-organizzatori, appare
particolarmente importante per i contesti (quali quello calabrese) caratterizzati dalla
prevalenza di piccolo-medie imprese, il cui successo non puo piu’ dipendere solo dagli
straordinari talenti imprenditoriali individuali, ma anche e soprattutto da un ricco tessuto di
relazioni economiche ed istituzionali, piegato verso traiettorie convergenti di competizione
e cooperazione di sistema.
6. Bibliografia
Albertini S. e Pilotti L., “Reti di reti”, CEDAM, Padova, 1996.
Asanuma B. 1985, “The Organization of Parts Purchases in Japanese Automotive
Industry”, Japanese Economic Studies, Summer: 32-53.
Baccarani C. e Golinelli G.M. (a cura di), 1993, Testimonianza sull’impresa
distrettuale e sull’evoluzione delle aree a specializzazione produttiva, Quaderno n. 8,
Istituto Tagliacarne, Roma.
Baccarani, sulla fiducia nell’introduzione al libro di Marta Ugolini sulle calze
Barney J.B. e Hansen M.H. 1994, “Trustworthiness as a Source of Competitive
Advantage, Strategic Management Journal, Vol. 15, n.2: 175-90.
Busacca B., 1994, “Le risorse di fiducia delle imprese”, Utet, Torino.
Burt R., 1992, “Structural Holes: The Social Structure of Competition”, Harvard
University Press, Cambridge, Ma.
Conner K.R. e Prahalad C.K., 1996, “A Resource – based Theory of the Firm: Some
Critical Comments”, Organization Science, Vol. 7, n.5: 477-501.
Demset H., 1988, “The Theory of the Firm Revisited”, Journal of Law, Economics
and Organization, Vol.4: 141-161.
Foss n.J.,1996, “Knowledge-based Approach to the Theory of the Firm: Some
Critical Comments, Organization Science, Vol.7, n.5: 470-476.
Gerlach M.L.,1992, “Alliance Capitalism: the Social Organization of Japanese
Business”, University of California Press, Berkley, Ca.
Golinelli G.M., Economia e finanza nel governo dell’impresa, in Sinergie n. 39,
1996.
Golinelli G.M. e Dezi L., “Reti Finanza e Progetti”, CEDAM, Padova, 1997.
Grant R.M., 1996, “Towards a Knowledge-based Theory of the Firm”, Strategic
Management Journal, Vol.17 (Winter Special Issue): 109-122.
Granovetter M., 1985, “Economic Action and Social Structure: the Problem of
Embeddedness”, American Journal of Sociology, 91: 481-510.
15
Helper S., 1990, “Comparative Supplier Relations in the U.S. and Japanese AutoIndustries: an Exit-Voice Approach”, Business Economic History, 19: 153-162.
Kogut B. e Zander U., 1992, “Knowledge of the Firm, Combinative Capablities and
the Replication of Technology”, Organization Science, Vol. 3 n.3: 383-397.
Kogut B. e Zander U., 1996, “What Firms Do? Coordination, Identity and Learning”,
Organization Science, Vol.7 n.5: 502-518.
Lanza A., 1998, “Le relazioni tra imprese all’origine dei vantaggi competitivi
knowledge-based”, Economia & Management, n.5: 101 –115.
Larson A., “Network Dyads in Entrepreneurial Settings. A Study of the Governance
of Exchange Processes”, Administrative Science Quarterly, Vol.37,n.1: 76-104.
Lazerson M., 1995, “A New Phoenix: Modern Putting- Out in the Modena Knitwear
Industry”, Administrative Science Quarterly, Vol.37, n.1: 34-59.
Nonaka I., 1991, “The Knowledge Creating Company”, Harvard Business Review,
November – December: 96-104.
Ostrom E., 1995, “Self Organization and Social Capital. Industrial and Corporate
Change”, Vol.4 n.1: 131-159.
Paoli M., “Marketing d’area per l’attrazione di investimenti esogeni”, Guerini e
Associati, Milano, 1999.
Porter M.E., 1998, “Clusters and the New Economics of Competition”, Harvard
Business Review, November – December, 77 –92.
Porter M.E., 1990, “The Competitive Advantage of Nations”, The Free Press, New
York.
Rullani E. 1993, La conoscenza e le reti: gli orizzonti competitivi del caso italiano.
Una riflessione metodologica sull’economia d’impresa, Sinergie, n.31: 49-86.
Rumelt R.P., 1984, “Towards a Strategic Theory of The Firm”, in Lamb R. (a cura
di), Competitive Strategic Management, Prentice Hall, Englewood Cliffs, NJ: 556570.
Spender J.C., 1996, “Making Knowledge the Basis of a Dynamic Theory of the
Firm”, Strategic Management Journal, Vol.17 / Winter (Special Issue): 45-62.
16
Uzzi B., 1997, “Social Structure and Competition in Interfirm Networks. The Paradox
of Embeddedness”, Administrative Science Quarterly, Vol.42, n.1: 35-67.
Walker G., Kogut B. and Shan W., “Social Capital Structural Holes and the
Formation of an Industry Network”, Organization Science Vol.8, n.2: 109-125.
Weber M., 1982, (note originali 1905; 1920), “L’etica protestante e lo spirito del
capitalismo”, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano.
Wernerfelt B., 1984, “A Resource–based View of the Firm”, Strategic Management
Journal, Vol.5, n.2: 171-180.
17