21/09/2022 RAPPORTO TRA SFERA LOGICA E SFERA ONTOLOGICA Tappe fondamentali - - - - - La questione nasce con Parmenide (fr.3 “sono la stessa cosa infatti il pensare e l’essere”). In ambito eleatico c’è una coalescenza (intravista dal professor Guido Calogero) tra sfera logica ontologica e linguistica: essere, pensare e dire costituiscono una fusione. Da quel momento idealmente e storicamente questo rapporto tra pensiero ed essere viene poi interpretato nelle maniere più diverse Platone vede una stretta correlazione tra essere e pensare Aristotele (384-322 a. C) è il primo a dare forma e consistenza a questa stretta correlazione: interpreta il rapporto tra pensare ed essere nello stesso modo di Parmenide e Platone, e cioè in chiave REALISTICA: quello di Aristotele va definito quindi come un REALISMO GNOSEOLOGICO e cioè la mente e le cose convergono tra di loro, si rispecchiano (sono la stessa cosa infatti il pensare e l’essere). I sintomi, gli indizi che ci permettono di dire questo su Aristotele (come dirà poi anche san Tommaso d’Aquino, che è un aristotelico: tra mente e realtà c’è una sostanziale adaequatio rei et intellectum, un adeguamento, un rispecchiamento tra cose e pensiero): la dottrina delle categorie (le categorie le ritroveremo in Kant ed in Hegel) cioè le supreme forme in cui l’essere si da ma anche le supreme manierare di pensare l’essere. Le categorie hanno contestualmente e contemporaneamente valore ontologico e logico, cioè le categorie sono leges entis (le leggi dell’ente, le massime maniere in cui l’ente fainomai, appare, si riflette), e anche leggi della mente (le massime maniere in cui l’essere viene pensato dalla mente), i teoremi della verità (metafisica VI-IX): la verità non si trova nell’essere o nella cosa ma nel pensiero o nel linguaggio (metafisica VI), però la misura della verità non è nella parola o nella mente ma è nell’essere o nella cosa (metafisica IX). Tanto è vero che il grande logico polacco Alfred Tarski afferma esemplificando che “la neve è bianca: è vera se e solo se la neve è bianca”; in altri termini la verità sta nella mante o nella parola, perché in se per se le cose non sono ne vere ne false, semplicemente sono, però nelle cose sta la misura della verità. LA VERITà è SEMPRE METALINGUISTICA (la certezza è la coerenza mentale mentre l’esterno è la prova della verità). Dottrina del silllogismo. Non è un caso che Aristotele nell’Organon dedichi due opere al sillogismo: gli analitici I che dedica al sillogismo dal punto di vista della forma, gli analitici II li dedica al problema delle premesse: come si costituiscono le premmesse? Attraverso l’induzione. Galilei (1564-1642) , anche se in maniera parafilosofic a interpreta questo rapporto nei termini di un sostanziale REALISMO GNOSEOLOGICO che Galilei sostiene basandosi su delle considerazioni non propriamente filosofia che: stesso grado di conoscenza tra dio e uomo in maniera veridica anche se in maniera diversa (dio conosce in maniera intuitiva mentre l’uomo in maniera deduttiva). La questione inizia a diventare problematica da cartesio (1599-1650) , che revoca in dubbio questo rapporto pensiero-essere. Cartesio ha molto dubitato ed è però facilmente uscito dal dubbio. Il professor masullo diceva che tutta la parte del dubbio non rappresenta altro che la retorica del sistema (larvatus prodeo “avanzo mascherato” di quello che voleva dire tramite il dubbio per poi esporre le proprie soluzioni): per cartesio il dubbio è metodico, dubita per uscire dal dubbio (aveva già la soluzione, ma aveva bisogno di considerazioni filosofiche per giustificare il lavoro del fisico). Quella di cartesio l'abbiamo denominata "metafisica del fondamento", cioè una ricerca metafisica del fondamento di questa coalescenza tra la mente e la realtà. Anche cartesio, quindi, è portavoce di questa dottrina del realismo gnoseologico, ma attraverso lui per la prima volta viene veramente fondata la metafisica del soggetto (inteso in maniera spiritualistica, è una res, una sostana, che sussiste ed esiste sebbene impalpabilmente). Chi devasta questo rapporto è Hume, che vive tra il 1711 e il 1776, il quale mette in discussione in maniera scettica, partendo dall’empirismo), quel rapporto tra certezza e verità che cartesio aveva così faticosamente scucito e ricucito. Hume con la sua critica scettica critica: la consistenza e l’esistenza dello spazio e del tempo (due dei fondamenti della fisica galileiananewtoniana), il principio di causalità il principio di sostanza materiale e spirituale. Dopo Hume sussistono unicamente macerie - Ecco che invece Immanuel Kant svolgerà questo compito fondamentale di una rifondazione epistemiologica. Si avrà una nuova metafisica del fondamento, cioè una nuova ricerca di un fondamento unico e incrollabile tra pensiero e realtà Kant Vive tra il 22 aprile 1724 e il 12 febbraio 1804 (80 anni). Kant non abbandonerà mai la sua città natale. Nasce a Konigsberg, l’attuale Kaliningrad (in Prussia orientale, attuale Estonia). Ricevette la sua prima educazione al collegium friderigiarum (era dedicato a Federico Guglielmo II) che all’epoca era intriso di pietismo(una sorta di calvinismo, ma che non esce dai limiti della religione cristiano-cattolica. i pietisti sono quelli che basano la religione sul sentimento di pietas, cioè solidarietà etc, vivono la religione in maniera fortemente morale. Questo avrà un importanza fondamentale sulla critica della ragione pratica. Kant poi si laurea all’università di kinisberg. Nel 1770 diventerà docente ordinario di Logica e Metafisica e da quel momento terrà puntualmente i suoi corsi all’università fino a quando dopo il 1795 (quando pubblica per la pace perpetua) entra nel tunnel di quello che all’epoca si chiamava rammollimento celebrale (Alzheimer) fino a quando poi non è morto. È sepolto a koensberg, da doe non si è mai mosso, una vita tutta vissuta in maniera interiore, fortemente interiorizzata, dedita alla ricerca. filosofia 3 ottobre Kant morì mormorando "esist gut", cioè "sta bene, è così che deve essere". Sulla lapide c'è l'epigrafe (explicit della critica della ragion pratica) in cui Kant dice " due cose mi hanno sempre commosso e riempito l'animo di profonda meraviglia(il tauma): il cielo stellato sopra di me (=natura che si mostra in una delle sue più alte e significative manifestazioni) e la legge morale dentro di me" GLI SCRITTI Gli scritti vanno considerati in ordine cronologico non solo per un fatto filologico, ma anche perché un grande studioso olandese H.-J. De Vleeschauwer, scrisse un libro (negli anni '70) intitolato "L’evoluzione del pensiero di Immanuel Kant", e seguendo l'ordine cronologico degli scritti ha riconosciuto un filo rosso evolutivo: cioè, attraverso il semplice rammemorare gli scritti di Kant, si può ricostruire pian piano tutta la evoluzione del suo pensiero. IL pensiero di Kant ha il nome di CRITICISMO. LA FILOSOFIA NASCE COME ATTEGGIAMENTO CRITICO; La critica implica un atteggiamento completamente diverso dall'atteggiamento dogmatico (credo quia absurdum) Il criticismo rappresenta l'estensione finale del pensiero di Kant. Il suo pensiero ha attraversato varie fasi evolutive, che possiamo seguire con lo studio di questo olandese. De Vleeschauwer (de vlanciuver), ha riconosciuto almeno tre fasi evolutive del pensiero di Kant: -I fase è quella che va dal 1746 al 1760: Kant ha 22 anni e esordisce con alcuni scritti; -II fase va dal 1760 al 1781. Nel 1781 vede la luce la prima delle 3 critiche di Kant, cioè la critica della ragion pura. -III fase va dal 1781 al 1795. Dopo il 1795 Kant scrisse ancora qualcos'altro, ma ormai si avviava sulla strada dell'alzheimer. Cosa vuole sostenere de Vleenschauwer? Che il criticismo non è una filosofia che sia nata già compiuta, ma è l'epilogo di una serie di fasi di costruzione, di edificazione. - I FASE: l'occupazione principale di Kant è la NATURA (fusis) studiato secondo il filtro newtoniano, quindi secondo i canoni della rivoluzione scientifica, e soprattutto secondo i canoni metodologici di Isaac Newton. Isaac Newton, quando scopri il principio di rivoluzione universale, il re Giorgio III gli chiese qual era il posto di dio, e Newton rispose "iupoteses non fingo", cioè non sono un filosofo, non so che posto abbia Dio: scienziato descrive solo i fenomeni. L'ideale a cui si rifà Kant della natura in questa prima fase, quindi, è quello di uno studio descrittivofenomenologico: allo scienziato non interessa sapere l'essenza delle cose, ma il come si producono (esempio arcobaleno). Kant studia vari eventi, tra i quali per esempio c'è uno scritto sui terremoti (1 novembre 1775= terremoto di Lisbona). Lo scritto forse di maggior evidenza, che dà la cifra del tipo di metodologia adottata dal filosofo, è lo scritto sulla formazione del nostro mondo (cioè l'ipotesi cosmogonica) intitolato "Storia naturale universale e teoria dei cieli" (1775). Storia naturale e universale e teoria dei cieli (1775) È uno scritto di carattere cosmogonico e cosmologico: si interroga cioè su quello che è il fenomeno della genesi dell'universo. Come è nato l'universo? Ipotesi di Kant-Laplace= ipotesi del big bang, cioè "grande esplosione". Kant cioè immagina che all'origine dell'universo ci sia stata una nebulosa originaria, carica di forza elettromagnetica. Ad un certo momento è implosa su se stessa, e questa implosione ha provocato l'esplosione di materiale cosmico che per forza centrifuga è andata a distribuirli per formare l'universo. Ecco perché Giorgio III chiese a Newton qual era il posto di Dio. Non c'è il posto per Dio nemmeno nelle teorie di Kant. Non si può risalire all’infinito, ci deve essere un punto di partenza a partire dal quale poi viene spiegato coerentemente tutto. Kant parte da questa nebulosa originaria, potrebbe effettivamente chiedersi da cosa venga, a sua volta, questa nebulosa, ma non si può risalire all'infinito, deve esserci un punto di partenza dal quale poi viene spiegato coerentemente tutto. Questo scritto, al di là della coerenza della ipotesi, è importante per il metodo, che è descrittivo-fenomenologico, cioè puramente scientifico. - II FASE, importante perché l'interesse di Kant si concentra soprattutto su questioni di carattere filosofico attraverso un approccio all’empirismo: Kant viene a contatto all'empirismo di locke e soprattutto di Hume (che lo ha risvegliato dal sonno dogmatico, gli ha dato l’atteggiamento critico) e comincia ad interessarsi ad un problema che poi sta alla base della critica della ragion cura:cosa sono lo spazio e il tempo. Sin dal libro IV della fisica di Aristotele queste due entità, colonne della fisica, vengono problematicizzate (es. San Tommaso), e vengono studiati da Kant seguendo la prospettiva empirista. Quali sono le opere più importanti si questo periodo? Una del 63 e una del 1765. 1. La prima opera è intitolata "sull'unico argomento possibile per una dimostrazione dell’esistenza di Dio” (1763) cioè Kant prende in considerazione la questione dell'esistenza di Dio ed analizza le varie prove che sono state date nel corso della storia della filosofia. Ne sceglie ovviamente una (lo scritto si intitola sull'unico argomento possibile), e critica, secondo una prospettiva che poi sarà tipica della critica della ragion pura, tutte le altre prove dell'esistenza di Dio, che per Kant si riducono tutte quante, al di là delle loro differenze specifiche, all'argomento di Anselmo d'Aosta, cioè l’argomento asimultaneo (cioè pone simultaneamente essenza ed esistenza di Dio). Verrà ripreso anche da cartesio e viene cambiato anche di meccanismo e poi viene analizzato da Kant sia nel 1863 che nella critica della ragion pure e viene chiamato "argomento ontologico". Kant smonta argomento ontologico attraverso un approfondimento delle argomentazioni del primo critico di Sant’Anselmo Gaunilone , che aveva fatto notare a sant’Anselmo che il suo ragionamento “poteva valere anche per l'isola perfetta” (non perché è perfetta deve esistere per forza). Kant riprende questa critica, la approfondisce da un punto di vista logico e destruttura completamente l’argomento ontologico. Kant sostiene che tra il possibile e l'esistente ci sono gli stessi attributi. Nella critica della ragion cura Kant farà l'esempio dei cento talleri. “la differenza tra i cento tallari che immagino e i cento tallari che ho è che mentre i primi sono unicamente nella mia testa, i secondi esistono anche nella realtà” Questo fatto prova che l’esistenza non è un predicato logico: Kant dice che l'esistenza è un predicato ontologico che posso citare soltanto nel momento in cui l’ente mi si prospetta davanti. Kant conclude la destrutturazione di questa prova affermando che l’esistenza non si dimostra, ma si mostra. L’ESISTENZA E’ TETICA (e’ la posizione esistenziale della cosa stessa) NON SI PUÒ DIMOSTRARE Con Kant, l'argomento ontologico viene completamente smontato, non verrà mai più trattato. Qual è l'unico argomento possibile per l'esistenza di dio? Per il Kant del 1863 è quello che Tommaso d'Aquino chiamava argumentum ex contingentia mundi (cioè si parte dalla contingenza del mondo per arrivare al necessario). Questa è l'unica prova capace di dimostrare l'esistenza di Dio. 18 anni dopo Kant riprenderà il discorso nella dialettica trascendentale della critica della ragion cura, dove smonterà anche questo argomento, arrivando alla conclusione della indimostrabilità della esistenza di Dio, che è semplicemente oggetto di fede. 2. L'opera del 1765, un'opera semplice, piana, è un autentico pamphlet, intitolato "sogni di un visionario spiegati con i sogni della metafisica". Il visionario in parola è un tale che si chiamava Emanuel Swedenborg, uno svedese contemporaneo di Kant, il quale si diceva capace di evocare le anime dei defunti (uno spiritista se dicente), e aveva anche scritto anche un'opera delle sue esperienze medianiche, intitolato "arcania Celestia" (misteri delle cose celesti), Kant lo ridicolizzò definendolo un visionario che era immerso in un mondo onirico, di sogni. Ci interessa di quest’opera il fatto che Kant paragoni questi sogni del visionario ai sogni della metafisica. Kant in quest’opera, secondo un filone empiristico inizia a demolire la metafisica, definendolo come una un’arteria onirica come un abisso senza fondo. la metafisica classica viene destituita, già a partire da questa opera, ma poi soprattutto nella critica della ragione cura. Al posto del concetto di metafisica aristotelico (II definizione->scienza dell’essere in quanto essere), Kant comincia ad intendere la metafisica come scienza dei limiti della ragione umana, risemantizzando il significato del termine, che non è più scienza dell'essere in quanto essere / stabile fondamento dell’, ma come limiti della ragione umana. Hume in una delle pagine più famose del trattato sulla natura umana affermerà che i libri che parlano di metafisica non hanno contenuti ma solo sofistica e retorica. filosofia 6 ottobre La seconda fase può essere divisa in due momenti: la prima che va dal 1760 al al 1770 la seconda che va dal 1770 al 1781 Nella seconda fase Kant non abbandona gli studi scientifici, ma li filtra secondo il pensiero empiristico, tanto è vero che legge Hume, infatti due opere più importanti sono "l'unico argomento possibile per una dimostrazione dell'esistenza di Dio" del 1763 e "i sogni di un visionario spiegati con i sogni della metafisica" del 1765. Kant si avvicina a Hume, ma se ne distacca perché non presenta lo stesso tipo di grossolanità di Hume: se Hume vuole addirittura bruciare i libri che parlano di metafisica, Kant pur rifiutando la metafisica lo fa in maniera meno grossolana e ne fa un discorso particolare sulla metafisica che inizia proprio dall'opera "sogni di un visionario spiegato con i sogni della metafisica", che è importantissimo per il fatto che Kant risemantizza numerose parole (=dà un nuovo significato a queste parole. Metafisica, per esempio, significava un'altra cosa prima di Kant. risemantizza queste parole rispetto alla sua filosofia: il concetto di metafisica, ora, significa infatti la scienza dei limiti della ragione umana. Negli empiristi già c'è questo forte senso del limite: nel razionalismo abbiamo un modello di ragione come un insieme di poteri pressoché limitati, mentre il modello di ragione empiristico è un insieme di poteri fortemente limitati dall'esperienza. questa è un'altra eredità dell'empirismo. la metafisica diventa la scienza dei limiti della ragione umana, cioè la cartina geografica di quelli che sono i titoli di potenza, e allo stesso tempo impotenza, dell'uomo. Infatti, la parola "limes, limitis" significa "via che taglia a metà due campi", poi ha iniziato a significare "confine", quindi territorio in cui io sono potente, ma anche il limite oltre il quale io sono impotente. esempio=se sollevo 100 kg, quella è la mia potenza ma anche il mio limite, perché non riesco a sollevare 101kg. Il problema del limite è di marca socratica, il motto "gnoti se auton" significa "conosci te stesso", nel senso conosci i tuoi limiti e limitati a quelli che sono i tuoi confini. mentre per Socrate però questo confine si limitava alla persona, Kant ne fa un discorso generale, cioè la metafisica diventa la scienza dei limiti della mente umana in generale, non di ogni singola persona - Roberta ed io abbiamo gli stessi limiti per quanto riguarda la ragione, in quanto appartenenti alla specie umana-) La “DISSERTATIO DE MUNDIS SENSIBILIS ATQUE INTELLIGIBILIS FORMA ET PRINCIPIIS” Dopo il 1765, Kant si focalizza soprattutto sulla questione dello spazio e del tempo. Nel 1769 ebbe una sorta di illuminazione sulla via di Damasco, infatti questo anno è ricordato da Kant come "l'anno della grande luce" come disse in una lettera ad un amico. Il 1770, invece, é l'anno in cui Kant approfondisce gli aspetti di questa illuminazione circa la natura dello spazio e del tempo: 1770 Kant pubblica la dissertatio intitolata "dissertatio de mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis", cioè "sulla forma e sui principi del mondo sensibile e del mondo intelligibile". Dissertazione deriva dal verbo "serere" che significa, cioè "intrecciare, concatenare", quel "dis" è un disgiuntivo. Dissertatio significa esporre in maniera completa, sciogliendolo nei suoi elementi fondamentali (es: ruocco interroga qualcuno e dice "fammi una bella dissertazione sulla critica della ragion pura"). Il genere letterario della dissertazione era tipico del '700, era uno scritto che costituiva una specie di tesi che gli aspiranti docenti ad una cattedra ordinaria dovevano redigere su un argomento a piacere. Con questa dissertatio Kant diventa docente ordinario. L'opera è uno scritto di logica e metafisica, e parte da problemi di tipo gnoseologico. L'impostazione e i contenuti di questa opera rimarranno pressoché identici nella "critica della ragione pura", quindi costituisce una sorta di ur-critik, cioè una stesura originaria. il contenuto dell'opera Kant prende in considerazione la conoscenza umana, la quale viene divisa in due conoscenze: una conoscenza sensibile e una conoscenza intelligibile. La conoscenza sensibile è basata sulla recittività della nostra mente, Kant condivide il modello della conoscenza sensibile degli empiristi (nell'empirismo, la nostra mente non ha idee innate): originariamente, per Kant, la mente è vuota. N.B: Non abbiamo parlato di passività della mente, bensì di ricettività: per conoscere, cioè, la mente ha bisogno di materiale esterno. La conoscenza intelligibile non è recettiva, ma è una facoltà dell'intelletto (La facoltà è una possibilità). Se nella mente sensibile la mente è recettiva (quindi è limitata, non è libera, non lavora senza materiale esterno), la conoscenza intelligibile è libera. L'oggetto della conoscenza sensibile è quello che Kant chiama "il fenomeno". Il termine fenomeno deriva da "fainw", cioè "apparire". Gli oggetti della conoscenza sensibile sono, quindi, i fenomeni. L'oggetto della conoscenza intelligibile è quello che Kant chiama "il noúmeno". Il termine "noumeno" viene coniato da Kant, e deriva da "noein", cioè "intuire" (≠da legw). Fenomeno e noumenon sono i due architravi della critica della ragion pura. -La conoscenza sensibile. il fenomeno è l'oggetto filtrato attraverso delle forme di pre-comprensione. Secondo Kant, noi abbiamo nella mente delle forme di pre-comprensione. Esempio: la pagina sulla quale scrivo gli appunti non è completamente bianca, ma ha delle righe, che non sono il contenuto, ma le forme all'interno delle quali chi scrive riporta il contenuto. Il foglio bianco, quindi, non è passivo, bensì recettivo, nel senso che è disposto formalmente a ricevere il materiale. Noi abbiamo all'interno della mente queste forme che ci permettono di ricevere le informazioni esterne e di metterle in ordine. È l'oggetto che si adatta alla forma, quindi non si conosce mai un oggetto per come è, infatti Kant distingue ulteriormente il fenomeno (che non è un oggetto fittizio, ma è un oggetto modificato, poiché filtrato dalle forme > non è che non conosco la penna, ma la conosco filtrata secondo quelle che sono le forme della mia mente). Il fenomeno costa di una materia, che è la modificazione dell'organo di senso, e la forma della conoscenza sensibile (nella quale si inserisce la materia) è lo spazio e il tempo. Kant arriva a concepire lo spazio e il tempo come delle forme che poi nella "critica della ragione pura" chiamerà "forme a priori", cioè "ciò che viene prima", prima della conoscenza sensibile e la rende possibile. È quella forma che viene prima della conoscenza sensibile e la rende possibile. La mente, in generale, per Kant ha delle caselle senza libri, quando metto i libri metto il contenuto, ma secondo delle forme che già esistono. Le forme rendono possibile la conoscenza sensibile. Spazio e tempo sono forme che abbiamo già nella nostra mente. Queste forme sono uguali in tutti gli uomini. Per Kant, spazio e tempo perdono la loro oggettività, a differenza del pensiero di Newton. Per kant la mente è ricettiva nella misura in cui contiene già delle forme a priori, che sono spazio e tempo, ed sono la universale nel quale si inseriscono gli oggetti, secondo il hic et nunc (la penna è qui ed ora. Questo spazio è però un fatto mio mentale, la vedo ora e sul tavolo). La conoscenza intelligibile è una conoscenza libera, non ricettiva. (oggi rob ha la maglia rossa, ma io domani me la posso ricordare con la maglia blu). L'oggetto della conoscenza intelligibile è il noumenon, cioè l'oggetto in sé, quello che Kant chiamerà nella critica della ragione pura "das ding an sich", cioè "la cosa in sé", cioè la cosa come è in sé, cioè indipendentemente dal soggetto che la va a conoscere. Mentre il fenomeno è l'oggetto per me (che ho queste forme di pre-comprensione in quanto essere umano), il noumenon è l'oggetto in sé. La terza fase: la fase criticistica o trascendentale Kant, per gli 11 anni successivi alla dissertatio del 1770, non scrisse più nulla. Sprofondò in uno studio matto e disperatissimo, approfondendo i temi che aveva trattato negli studi del 1770. L'esito fu la pubblicazione della "critica della ragion pura". Kant entrerà quindi in una terza fase, detta criticistica o trascendentale. Questa terza fare è costellata da tre opere che rispondono poi agli interrogativi di base della filosofia. In una pagina della critica della ragion pura Kant dirà che le domande della filosofia sono 3: 1. Cosa posso sapere? Si tratta del problema gnoseologico, impregnata del senso forte del limite (=fin dove posso sapere? Qual è il limite della mia mente?). Critica della ragione pura (1781) 2. Cosa debbo fare? Problema morale (filosofia pratico), senso del dovere, critica della ragione pratica (1788) 3. Cosa posso sperare? Problema teologico, critica del giudizio (1790) 4. Tutte e tre convergono nell'unica domanda "cosa è l'uomo?" La filosofia di Kant è detta criticistica, perché Kant è un pensatore estremamente sistematico. Per Kant, la critica è necessaria proprio perché in ogni campo della attività umana esistono dei limiti. Proprio perché esistono questi limiti, la filosofia di Kant prende l'assetto di una critica, per capire dove si trovano questi limiti e capire i punti di debolezza e forza della mente umana. Interrogarsi criticamente sul limite significa interrogarsi sul fondamento, inteso nel senso di possibilità, validità e limiti. Da questo punto di vista, Kant si distingue nettamente dallo scettico. Kant viene risvegliato da Hume però, mentre questi limiti portano Hume ad una deriva scettica, in Kant ci si ferma ad un certo punto, proprio perché limite significa potenza e impotenza della mente. Il criticismo non è che nasca all'improvviso, ma ha delle precise coordinate storico-filosofiche, cioè: la rivoluzione scientifica, che, inziata alla fine del '500, è proseguita per tutto il' 600 fino ad arrivare a Newton. la crisi delle metafisiche: nel periodo in cui vive Kant, secolo dell'illuminismo, entrano in crisi le metafisiche. Christian Wolff (volf), che vive più o meno nello stesso tempo di Kant, ha messo a sistema la metafisica, che viene proclamata come una vera e propria scienza, a pari della matematica. Wolff individua una metafisica generalis e una metafisica specialis. La prima corrisponde con la metafisica di Aristotele, ed è una metafisica di sfondo quasi, su cui poi vanno ad evidenziarsi le 3 metafisiche speciali, che sono quelle scienze che sono costruite su quelli che sono gli oggetti fondamentali della metafisica: l'anima, il mondo e Dio: 1. Sull'idea dell'anima la metafisica costituisce la psicologia razionale (psicologia perché ha come tema la psyché, razionale perché non è empirica). 2. sull'idea del mondo la metafisica costituisce la cosmologia razionale 3. sull'idea di Dio, la metafisica costruisce la teologia razionale. Wolff aveva proclamato la scientificità della metafisica. la metafisica entra di nuovo, dopo Hume, in crisi. Kant vive in un momento fondamentale che è al crinale della rivoluzione scientifica e delle crisi delle metafisiche. L'etica, molto spesso, si ricava dalla metafisica (es I 10 comandamenti). In generale e per lo più, quindi, l'etica viene sempre modellata sulla metafisica, nel momento in cui viene in meno la metafisica, entra in crisi anche l'etica, cioè quella che è detta eteromena, detta così perché ha il proprio nomos nella metafisica. Dopo il crollo delle etiche eteromene, é possibile un'etica autonoma? Il problema morale in Kant è proprio quello della possibilità di una etica autonoma, cioè che abbia il nomos in sé stesso, non in altro. Il criticismo si differenzia dallo scetticismo, ma anche dall'empirismo e illuminismo: Si differenza dall'empirismo perché il criticismo condivide il senso del limite, ma Kant spinge ancora più in là la ricerca (l'empirismo si ferma al limite, a dirittura si arriva allo scetticismo con Hume. Kant invece si interroga anche perché ci sono i limiti). -Stessa cosa dicasi per l'illuminismo. Kant vive durante questa epoca, é l'ultimo degli illuministi (anzi per Hernest Cassirer, in "vita e dottrina di Kant", Kant è il più grande degli illuministi e pure l'ultimo - è la sintesi dell'illuminismo -, ma è anche il primo dei romantici a partire dalla critica del giudizio). L'illuminismo si impregna sul concetto di portare tutto davanti al tribunale della ragione, Kant condivide questo aspetto ma va oltre l’illuminismo perché crede che non solo tutto lo scibile debba essere portato di fronte al giudizio della ragione ma, di fronte al giudizio della ragione, deve essere portata la ragione stessa. Ecco che significa critica della ragione pura. "della ragione" è un genitivo allo stesso tempo soggettivo ed oggettivo: cioè la ragione è nello stesso tempo il giudice (che compie la critica) ma anche imputato (a cui la critica si rivolge). Il kantismo si differenzia dall'illuminismo perché va oltre la critica illuministica, coinvolgendo non solo lo scibile, ma la ragione stessa. Kant, pur andando però oltre all'illuminismo, è allo stesso tempo è un illuminista, perché crede che il giudice della ragione non può essere altro che la ragione stessa. LA CRITICA DELLA RAGIONE PURA che significa ragione pura? vuol dire la ragione secondo quelle che sono le forme di pre-comprensione. La ragione, prima di apporrociarsi a qualsiasi contenuto, è pura. Questa "purezza" non è altro che lo scaffale prima dei libri. Kant vuole andare ad indagare quelli che sono i fondamenti puri, vuole delineare una anatomia della mente La critica della ragione pura è un'analisi critica dei fondamenti del nostro conoscere e del nostro agire (anche nel caso dell'azione noi abbiamo delle forme apriori). Il criticismo vuole essere una analisi critica del sapere del tempo, che si divide in scienza e metafisica. 1. la scienza è costituita dalla matematica e dalla fisica. 2. poi la metafisica proclamata come scienza Kant nella critica della ragione pura deve rispondere a 4 domande di fondo. Dovendo fare una analisi critica dei fondamenti della nostra conoscenza, ed essendo la nostra conoscenza divisa in scienza (matematica e fisica) e metafisica, Kant si pone queste 4 domande: 1. Come è possibile una matematica pura? 2. Come è possibile una fisica pura? 3. Come è possibile una metafisica come disposizione naturale? Cioè perché abbiamo questa tendenza verso l'assoluto? Kant condivide lo scetticismo metafisico (ma non quello scientifico!!!) con Hume, però senza avere la stessa grossolanità di Hume. L'atteggiamento di Kant, nei confronti della metafisica tradizionale (non quella che egli ha operato nello scritto del 1765) é quello che egli stesso ha sintetizzato con la metafora dell'innamorato deluso, il cui atteggiamento è quello che ha eternato Catullo nell' "odi et amo" (ti odio perché mi hai tradito, però non posso smettere di amarti). Kant, cioè, si rende conto che la metafisica non è una scienza, contrariamente a quello che dice Wolff, ma allo stesso tempo si rende conto che una disposizione naturale verso l'assoluto e l'incondizionato fa parte dell'animo umano, é "una disposizione naturale", dice Kant. 4. È possibile una metafisica come scienza? Filosofia 10 ottobre 2022 La critica del giudizio Abbiamo già fatto una introduzione della critica della ragione pura e siamo arrivati alla dottrina del giudizio, che fu pubblicata nel 1781 ed ebbe una seconda edizione, quella del 1786. Kant dal 1760 al 1781 non scrisse quasi nulla, riservò tutta la sua meditazione ai temi della critica della ragione pura, che ebbe quindi una gestazione decennale. Dopo la gestazione c’è stato un parto immediato: Kant ha scritto la critica della ragione pura in 3-4 mesi. come egli stesso dice in una lettera di quel periodo, ha dato massima attenzione al contenuto, minima attenzione alla forma. La prima edizione, del 1781, è molto impervia dal punto di vista della lettura, proprio perché ha curato in maniera forta il contenuto, svantaggiando la forma. Kant stesso quindi, non solo scrisse una seconda edizione, ma scrisse tra il 1781 e 1787 anche un’altra opera, cioè una versione divulgativa della critica della ragione pura, quindi ad usum popoli: considerando che la prima edizione ha avuto pochi lettori proprio per la difficoltà dello stile, Kant scrisse, oltre ad una seconda edizione, anche una “versione divulgativa” della critica della ragion pura, il cui titolo è “prolegomeni ad ogni futura metafisica che intenderà presentarsi come futura scienza” (prolegomeni significa fare un discorso introduttivo ma definitivo). Kant ha sostenuto la non scientificità della metafisica, tutta l’opera di Kant, soprattutto la critica della ragione pura, vuole dimostrare, scandosamente per l'epoca, la non scientificità Della metafisica. La seconda edizione, del 1787, non solo è più chiara, ma presenta anche delle differenze notevoli in alcuni punti della dottrina di Kant, che rivede le sue posizioni e le corregge, scrivendo una seconda edizione della critica ragione pura. Nel 1788 scrisse poi la critica della ragione pratica, nel 1790 la critica del giudizio. Probabilmente, Kant aveva già premeditato la scansione delle opere, un po’ come Hobbes La dottrina del giudizio e l'articolazione della critica della ragion pura La critica della ragione pura inizia proprio con la dottrina del giudizio. Giudicare significa proprio pensare. Aristotele divideva il giudizio dalla proposizione (oggi è una bella giornata=proposizione, quando PENSO che oggi è una bella giornata=giudizio). La dottrina del giudizio è condotta per via logica e storica. La prima è un po’ complicata, quindi la trattiamo seguendo la via storica. La via storica si basa sulle correnti filosofiche che sono venute prima di Kant o gli sono contemporanee, cioè il razionalismo è l'empirismo, di cui il kantismo, in qualche modo, rappresenta una sorta di sintesi. Il razionalismo e l’empirismo sono state sintetizzate da Giuseppe Bacone (allegoria dei ragni e delle formiche). Dice Kant, i razionalisti mettono capo, proprio perché partono dalle idee innate(che per Kant non esistono), a dei giudizi analitici a priori. Cosa significa? Il giudizio è il pensiero, quindi mettono capo a dei giudizi che sono analitici, perché non fanno altro che sciogliere nella definizione quello che è già contenuto nel definendium (l’ogetto da definire). Esempio: il cerchio è tondo: il definendium è il cerchio. l’oggetto non fa altro che esplicitare il soggetto, perché nel cerchio già c’è la rotondità. Non fa altro che explicitare, che per campanella era ciò che era ripiegato in sé stesso, che va explicato. Nei giudizi analitici, il predicato non fa altro che explicitare ciò che è già implicito all’interno del soggetto. Questi giudizi analitici sono a priori (=vengono prima dell'esperienza, ma Kant da una nuova definizione, intendendo a priori come universale e necessario). Questi giudizi quindi sono necessari ed universali, per questi giudizi vale il famoso “sempre”. Esempio= se dico che il cerchio è rotondo, intendo dire che il cerchio è sempre rotondo. I giudizi analitici, pur essendo necessari ed universali, hanno il difetto di essere conoscitivamente improduttivi (se mi dici che il cerchio è rotondo ti sputo in faccia perché grazie al cazzo). Dicono cioè la stessa cosa che, implicitamente, è detta nel soggetto. I giudizi degli empiristi sono sintetici. La sintesi nasce dalla composizione (esempio dei farmaci di sintesi. Sintesi deriva da sun titemi=mettere insieme). Un esempio pratico è quello dell’acqua che bolle a 100°, perché nel concetto di acqua non c’è il giudizio dei 100°, questo giudizio nasce dalla esperienza che faccio. Questi sono giudizi sintetici e aposteriori (cioè vengono dopo l’esperienza, non sono universali e necessari). L’ideale, conoscitivamente parlando, sarebbe trovare una via di mezzo, quindi giudizi che siano sintetici ma allo stesso tempo necessari e universali. In parole povere, è il vecchio problema del sempre. (Come posso essere sicuro che l’acqua bollirà sempre a 100°? O che il sole si leverà anche domani?). Il garante in Galilei o Cartesio è Dio, ma tolto dio da Kant chi è il garante? Il problema di Kant è quello di trovare un nuovo garante. Cartesio voleva arrivare al fondamento primo, che era il soggetto, inteso dallo stesso cartesio in senso spiritualistico. Ecco che Hume ha avuto buon gioco a criticarlo. Kant, che ha fatto i conti con Hume, non può riproporre lo stesso tipo di fondamento, perché vuole salvare la scienza, il cui fondamento è proprio quel sempre che accompagna le leggi fisiche, le quali senza il sempre non hanno senso. Il fondamento del sempre si trova nella nuova concezione che Kant ha della conoscenza, già vista nella dissertatio del 1770, cioè come sintesi di materia e forma. La materia è l’insieme di imput che mi vengono dall’esterno, che poi vado a collocare nelle forme della mia mente. Di conseguenza, sono possibili dei giudizi sintetici a priori perché la mia mente presenta un'intelaiatura di forme fisse: qualunque cosa mi si presenterà sarà sempre inquadrata in queste forme che sono due per la sensibilità (spazio e tempo) e dodici per l'intelletto (le categorie). Io potrò dire che l’acqua bollirà sempre a 100° perché le forme a priori sono uguali per tutti. Questa impostazione della questione gnoseologica in termini soggettivistici, è una dottrina di Kant, della quale Kant di rese conto della rivoluzionarità tanto è vero che parlò di essa come una vera e propria rivoluzione copernicana: si vantava di aver compiuto, in ambito gnoseologico e filosofico, lo stesso evento rivoluzionario che Copernico aveva realizzato nel campo astronomico, che aveva cambiato il posto tra lo spettatore e lo spettacolo, stessa cosa ha fatto Kant, ribaltando le posizioni tra il conoscente e il conoscendo: non è più la mente che si deve adeguare alle cose da conoscere, ma sono le cose da conoscere che si adeguano alle strutture della mia mente. Il fondamento è, quindi, il soggetto formalistico (con le forme, es computer). Nel linguaggio di Kant, questo si dice trascendentale. La caratteristica delle forme a priori è quella di essere trascendentalmente condivise, ciò fa sì che la sua soggettività non sia spiritualistica, bensì trascendentale. Kant risolve il problema posto da cartesio (da dove deriva il sempre?) dicendo che il sempre deriva dalla condivisione della stessa soggettività trascendentale. Mentre la soggettività in cartesio è spiritualistica, Kant trova un fondamento ancora meglio garantito, e lo trova nella soggettività trascendentale, che è un apparato di forme mentali uguali per tutti gli uomini. La differenza tra fenomeno e noumenon dipende proprio da questo: quando vado ad approcciare un oggetto qualsiasi, lo inquadro soprattutto nello spazio e nel tempo, poi nelle 12 categorie. La differenza tra fenomeno e noumenon Kant lo conserverà fino alla fine dei suoi giorni. Non potrò mai conoscere il noumeno, che è dunque il limite oltre il quale la mia mente non può andare, poiché schiavi di queste forme a priori. Tutto ciò al fisico interessa relativamente. La struttura della critica della ragion pura La critica della ragion pura si divide in due tronconi che stanno tra di loro così come stanno anatomia e fisiologia. Kant distingue la dottrina degli elementi dalla dottrina del metodo. Gli elementi, come gli organi, sono le forme a priori. É la parte più estesa la dottrina degli elementi (93% dell'opera). Il metodo è la parte fisiologica, é la conoscenza della mente. La dottrina degli elementi è, a sua volta, divisa in una estetica trascendentale e in una logica trascendentale. Anche qui Kant risemantizza le parole. Se citiamo "estetica" pensiamo al bello, in realtà estetica deriva da "aistesis", cioè "sensibilità". Estetica trascentale. Kant intende, con estetica trascendentale, la dottrina relativa alle forme a priori della sensibilità. Sulla forma a priori dello spazio, é fondata la geometria, sulla forma a priori dello spazio è formata l'aritmetica. Queste due, insieme, danno la matematica. Geometria e aritmetica sono fondate sulla sensibilità e sulle sue forme a priori, quindi l'estetica trascendetale diventa il luogo della fondazione epistemologica della matematica. Logica trascendentale. È la dottrina del pensiero. Anche questa si divide in due parti, perché oltre alla sensibilità ci sono altre due facoltà della conoscenza: entra con la sensibilità, poi l'intelletto e alla fine la ragione. La analitica trascendentale è il luogo della logica trascendentale in cui Kant studia l'intelletto e le sue forme a priori(i 12 concetti our i o categorie). La fisica è epistemologicamente fondata nella analitica trascendentale. La seconda parte della logica trascendentale, é la dialettica trascendentale, che prende in esame la terza facoltà conoscitiva, cioè la ragione Kant usa il termine ragione in maniera un po' approssimativa, perché la ragione è tutto (insieme di sensibilità e intelletto), ma è anche una facoltà a parte. Possiamo usare il termine ragione, quando parliamo di insieme di facoltà, con R maiuscolo. Quando parliamo di ragione nel senso di una delle tre facoltà della conoscenza, r minuscolo. La ragione ha anche lei tre forme a priori, che sono le idee di anima, mondo e Dio. che formano le 3 presunte (scienze per Wolff) e pseudo scienze per kant: la psicologia razionale, la cosmologia razionale e la teologia razionale. 14-17/10/2022 Su ognuna di queste 3 parti è fondata una scienza: sulle forme apriori di spazio e tempo è fondata la matematica e quindi kant risponde all’interrogativo: “com’è possibile una matematica pura?” sulle 12 forme dell’intelletto (categorie o concetti puri) è fondata la fisica e quindi kant risponde alla domanda “com’è possibile una fisica pura?” infine sulle 3 idee della ragione(anima mondo e dio) viene fondata la metafisica per cui risponde alle 2 domande: “com’è possibile una metafisica come dispozione naturale?” E “è possibile una metafisica come scienza?” (Kant ovviamente risponde di no poi lo vedremo in che modo articola questa risposta è proprio per questo che (1793) l’opera divulgativa della critica della ragion pura è intitolata: “prolegomeni ad ogni futura metafisica che intenderà (velleitariamente) presentarsi come scienza”. Il concetto di TRASCENDENTALE Abbiamo lasciato in sospeso un concetto fondamentale che è quello di TRASCENDENTALE (termine già incontrato in Tommaso d’Aquino e nella filo medievale della scolastica). Trascendentale è un tema così fondamentale che la filosofia di kant oltre a chiamarsi filosofia criticistica si chiama anche filosofia trascendentale. Avendo scritto la critica della ragion pura in 3-4 mesi non ne cura la forma, per cui data la rapidità della stesura Kant da luogo ad interpretazioni diverse di questo termine. I critici hanno individuato addirittura 13 significati diversi del termine trascendentale, di cui due sono fondamentali: primo intende trascendentale in senso sostantivato (IL TRASCENDENTALE). In questo caso lo intende come sinonimo delle forma apriori perché questo termine è stato usato nel medioevo per indicare quei generi sommi, di cui parlava Platone, che sono sommi per la loro trascendenza/generalità: sono talmente generali che sono condivisi da ogni ente (ricordiamo che Tommaso li chiama trascendentali perché per estensione per generalità vanno aldilà delle stesse 10 categorie. Quindi, anche se non si può dire, ì trascendentali sono i generi sommissimi, sono quei generi che vengono condivisi da tutti gli enti e sono : ens, res, aliquid, unum, verum e bonum.) Trascendentale deriva da trans-scendere e indica una oltranza, andare oltre la stessa generalità delle categorie. Kant, data la fisionomia fortemente soggettivistica della sua filosofia, per trascendentale intende non ciò che va aldilà ma ciò che sta al di qua, al di qua dell’esperienza e la rende possibile. Le forme apriori sono delle forme di precomprensione e stanno in qualche modo oltre la comprensione ma nel senso di aldiquà(sono precedenti). Quindi trascendentale in senso sostantivato significa il ciò che viene prima della conoscenza e a niente è destinato più che a rendere possibile la conoscenza; quindi coincide con le forme apriori. Fa anche molto più un uso aggettivato del termine trascendentale e significa: serve a delineare uno studio filosofico teso a rilevare quelle che sono le forme apriori del conoscere (della sensibilità: spazio e tempo; dell’intelletto: 12 categorie; della ragione) . Ecco perché tutte e tre queste facoltà: l’estetica trascendentale, la analitica trascendentale, la dialettica trascendentale sono sempre accompagnate da questo aggettivo. Quindi quando kant parla di estetica trascendentale è come se volesse dire studio critico testo a rilevare quelli che sono gli elementi primi del conoscere sensibile, intellettuale e metafisico. Adesso possiamo cominciare ad analizzar: l’estetica trascendentale, la analitica trascendentale e la dialettica trascendentale. ESTETICA TRASCENDENTALE è la prima parte della dottrina degli elementi della critica della ragion pura. Kant usa il termine estetica secondo quello che è l’etilometro della parola: deriva da aistesis che in greco significa sensibilità. Quindi quando parla di estetica trascendentale si parla di uno studio critico teso a mettere in rilievo quelli che sono gli elementi puri/apriori della conoscenza sensibile. La sensibilità come facoltà è ricettiva(non è ne passiva ne creativa) perché recepisce dal mondo esterno i propri contenuti, non se li inventa da se, ma ovviamente filtrandoli attraverso delle forme di precomprensione sensibile che già sono presenti all’interno della sensibilità. Le forme apriori della sensibilità vengono chiamate da kant anche “INTUIZIONI PURE” (intuizione significa: andare dritti subito al cuore della cosa). La sensibilità mi mette in contatto immediatamente con il mondo esterno. Poi sono intuizioni pure perché sono vuote. secondo il modello kantiano dell’innatismo formale io già nasco con queste forme(spazio e tempo). Per questo la gnoseologica di Kant ha una natura fortemente soggettivistica perché è tutta basta su un soggetto trascendentale: ovvero un soggetto che è un insieme di forme che però sono condivise trascendentalmente da tutti(non spirituale come in cartesio). Ovviamente queste intuizioni pure vengono differenziate dalle “INTUIZIONI EMPIRICHE”: sono le intuizioni pure riempite dal portato dell’esperienza. (Bottiglia vuota =forma apriori. Ora la stessa bottiglia riempita di acqua è un intuizione ma empirica). noi recepiamo le nostre sensazioni sia dall’esterno che dell’interno . (Se sento il telefono squillare recepisco questa sensazione dall’esterno; ma se sono arrabbiato..ecc è una sensazione che vien dall’interno.) Kant sostiene che la intuizione pura dello spazio è la forma del senso esterno perché permette di collocare fuori di me le cose che io sento (se io vedo elena io le colloco immediatamente fuori di me). Mentre invece il tempo è la forma del senso interno. Ora kant attribuisce una primazia(priorità) al tempo che è più importante dello spazio e viene prima dello spazio; perché qualunque sensazione che viene dall’esterno per diventare mia deve passare necessariamente per l’interno. Quindi la forma del senso interno ha una primazia sulla forma del senso esterno. Kant si serve di queste priorità nell’esposizione metafisica della estetica trascendentale della critica della ragion pura. Cos’è l’esplosione metafisica? Kant allega all’estetica trascendentale 2 esposizioni. la grande allegoria che domina la critica della ragione pura è la allegoria del tribunale. Davanti al tribunale della ragione per l’illuminismo deve ispirare tutto lo scibile umano, per kant oltre allo scibile umano deve ispirare la ragione stessa.critica della ragione pura significa proprio una critica istituita dalla ragione come giudice, ma l’imputato è la ragione stessa. All’interno di questa serie di metafore forensi il termine esposizione viene inteso da kant proprio in questo senso: in senso giuridico forense. ( in tribunale la prima cosa che il giudice vuole sapere è un’esposizione dell’imputato e di chi lo ha trascinato li). Kant si rende conto della rivoluzionarietà della sua dottrina(fino a kant lo spazio e il tempo venivano considerati qualcosa di esterno , oggettivo, ontologico (newton la pensava cosiì); invece kant dice che spazio e tempo fuori di noi non esistono son delle nostre maniere di rapportarci al mondo, sono delle forme di precomprensione. Kant allega all’estetica trascendentale 2 esposizioni, che non sono altro che delle giustificazioni: giustificare la apriorità dello spazio e del tempo, ci sono 2 di esplosioni perché vuole giustificare la sua tesi da 2 punti di vista: l’esposizione metafisico: giustificazione della apriorità dello spazio e del tempo però in chiave elenchetica; ovvero ha un carattere confutatorio. (elenkos=confutazione. Una delle opere dell’organo di Aristotele sono gli elenchi sofistici). Kant quindi, nel difendere la sua tesi, fa risaltare la apriorità dello spazio e del tempo attraverso la confutazione delle tesi opposte. (Un po quello che fa Aristotele del libro alfa della metafisica). Per fare ciò confuta la tesi sullo spazio e sul tempo di tipo empiristico (Locke), la tesi sullo spazio e sul tempo di tipo oggettivistico(newton), la tesi sullo spazio e sul tempo di tipo concettualistico (Leibniz) Nell’esposizione trascendentale lui utilizza un altro metodo: provare la stessa cosa: ovvero provare la bontà del suo punto di vista, non con argomenti che nascano da un confronto con le atre tesi, ma con argomenti tratti dalla matematica. Il primo obbiettivo confutatorio è quello sulla visione sullo spazio e sul tempo sostenuta dall’empirismo ( di Locke): Locke sostiene sostiene che noi formiamo le nostre idee di spazio e tempo basandoci sulle nostre esperienze. Kant obietta al punto di vista di Locke il fatto che io già per rappresentarmi qualcosa di esterno a me ho già bisogno della forma della esteriorità (lo spazio è la forma del senso esterno) Quindi Spazio e tempo vengono prima, non derivano dall’esperienza ma anzi costituiscono la forma in cui va inserita l’esperienza. Poi kant passa ad esaminare la dottrina oggettivistica dello spazio e del tempo sostenuta da newton, secondo newton spazio e tempo sono degli assoluti e sono ESTERNI alla mente. Per newton all’esterno di me si trova lo spazio e il tempo . newton paragonava spazio e tempo un grande contenitore dove ruotano gli elementi/eventi. Tutte le cose che si chiamano eventi ( evento vuol dite ciò che viene EX, ciò che è venuto a partire da una situazione ) . Kant obietta il fatto che se così fosse allora tolti questi eventi dovrebbe rimanere il contenitore. Questa è l’ipotesi DELL’ANNICHILATIO REUM tolti gli eventi dovrebbe rimanere un contenitore ma questo contenitore dove sta? Confuta quindi il punto di vista oggettivistico sullo spazio. E sul tempo di newton con argomenti che rimandano alla natura soggettivistico- trascendentale dello spazio e del tempo. Kant sostiene che spazio e tempo hanno nello stesso tempo IDEALITA’ TRASCENDENTALE E di REALTA’ EMPIRICA , lo spazio e tempo non sono reali e stanno solo nella mente come forme apriori della sensibilità (natura soggettiva) però nello stesso tempo poiché io non posso fare a meno di proiettare lo spazio e il tempo su tutte le cose è come se spazio e tempo avessero una natura reale. fa questo per salvare l’oggettivismo però rifondandolo su un'altra base, quindi contesta L’oggettivismo di newton, spazio e tempo non hanno una natura oggettiva ma soggettiva, ma siccome questa natura soggettiva è condivisa da tutti i soggetti umani allora kant è come se avesse rifondato l’oggettivismo su basi diverse. Quindi la differenza tra kant e newton è che mentre per newton spazio e tempo sono degli assoluti/delle costanti e hanno una natura ontologica; invece per kant spazio e etempo non hanno una natura oggettiva ma è come se l’avessero perché tutti abbiamo le stesse forme apriori. Kant rifonda la stessa oggettività nel cuore stesso della soggettività. Kant ha rifondato il principio oggettivo dello spazio e del tempo, però naturalmente sottraendolo alla oggettiva reale e rifondandolo nella soggettività trascendentale. 20/10/2022 Abbiamo precedentemente detto che la logica trascendentale è la seconda parte della critica della ragion pure e viene dopo l’estetica trascendentale, che tratta della dottrina della sensibilità, con la quale inizia la nostra conoscenza (la conoscenza inizia con il piano empirico -sensibilità- e da qui va all’intelletto che elabora i dati forniti. la logica è la parte in cui Kant studia la traduzione in pensieri dei nostri dati sensibili) Kant dice che Sensibilità ed intelletto sono indispensabili per la conoscenza, perché le intuizioni senza pensieri sarebbero cieche, e i pensieri senza intuizioni sarebbero vuoti. cioè se ci fermassimo solo alle intuizioni, per esempio considereremmo la luna grande quanto una moneta da due euro. questa espressione di Kant ci riporta al fatto che la conoscenza, per Kant, è sintesi di materia e forma. è la rielaborazione molto più sofisticata del famoso frammento di Democrito in cui c’è la prosopopea dei sensi e della ragione. La prima parte della logica trascendentale è la analitica trascendentale, dove Kant prende in considerazione i concetti puri (categorie), che sono cioè l’intelaiatura logica dell’intelletto e sul lavoro delle categorie si basa la fisica. Kant deve spiegare come sia possibile una fisica pura. Kant sostiene l’esistenza nel nostro intelletto di 12 categorie. N.B, le differenze tra Kant e Aristotele= 1. in Aristotele le categorie sono nello stesso tempo forme dell’essere e del pensare che si rispecchiano tra di loro (adequatio rei et intellectus), mentre per la predisposizione soggettivistica di Kant, le categorie sono soltanto delle forme mentali che ordinano la materia caotica delle intuizioni empiriche. Kant chiama le categorie anche “concetti puri” (in tedesco begrief, da begreifen=abbracciare. il concetto è un cum-capere, un comprendere ed è il risultato dell’attività mentale del concepire, cioè del prendere insieme), questi concetti sono le supreme funzioni unificatrici dell’intelletto, cioè l’attività dell’intelletto consiste nell’unificare i dati che vengono dai sensi (per esempio, se facciamo il trasloco abbiamo la libreria, i trasportatori portano alla rinfusa i libri. abbiamo quindi questa massa di libri a casa che dobbiamo sistemare, di conseguenza facciamo una catalogazione secondo i generi e le materie dei libri. stiamo unificando il molteplice disordinato), nel senso che la nostra mente recepisce la realtà esterna -che è disordinato- e inizia a dare un primo ordine attraverso lo spazio ed il tempo, poi questi dati sensibili vengono inviati all’intelletto che li unifica ordinandoli. Lo scopo dell’intelletto è proprio riordinare.(l’ordine per Kant significa unificazione, l’ordine è la reduxtio ad unum), (libri disordinati, poi stessi libri ordinati nelle librerie). Anche in Aristotele le categorie sono i generi sommi attraverso i quali l’essere si dà e si pensa, la conoscenza è sempre una adequatio rei et intellectus, ecco perché le categorie aristoteliche hanno questa ambivalenza di essere leges entis ma anche leges mentis. 2. Mentre le categorie di Kant sono 12, quelle di Aristotele sono 10 (in ari c’è ancora una eco della numerologia pitagorica). 3. Secondo Kant, Aristotele nell’elencare le dieci categorie ha agito in maniera rapsodica, cioè in maniera disordinata, mentre lui ha usato un ordine. Kant modula la tavola delle categorie sulla tavola dei giudizi. Kant fa un semplice ragionamento: giudicare significa pensare, quindi quando noi pensiamo esprimiamo dei giudizi, l’intelletto pensa attraverso le categorie, quindi ci saranno tante categorie quanti sono i tipi di giudizi. . I giudizi possono essere di quattro tipi, infatti possono essere divisi per quantità, qualità, relazione e modalità. La tavola dei giudizi consta di tre giudizi per ognuna di queste tipologie.. Se i giudizi sono dodici, devono esserlo anche le categorie. Giudizi e categorie non sono la stessa cosa, il loro è un rapporto per il quale i giudizi si basano sulle categorie (le categorie vengono logicamente prima: per formulare dei giudizi, devo avere le categorie). I giudizi, secondo la quantità, sono divisi in universali particolari e singolari. Per esempio un giudizio universale è “tutti gli uomini sono mortali”. Un giudizio particolare riguarda solo una parte, “alcuni animali sono mammiferi”. Un giudizio individuale è tipo “giova è una studentessa” I giudizi, secondo la qualità, possono essere affermativi, negativi o infiniti “il duomo di Napoli è alto”=affermativo, “giova non è alta”=negativo; i giudizi infiniti sono quei giudizi per i quali per esempio dico “quell’edificio non è il duomo”, perché non riguarda una qualità accidentale ma l’entità stessa, con questa frase voglio dire che questo edificio può essere qualsiasi cosa infinita che non sia il duomo. Il giudizio infinito, simile a quello negativo, riguardano la sostanza, non la caratteristica I giudizi, secondo la relazione, possono essere categorici, ipotetici o disgiuntivi Categorico nel lessico kantiano significa incondizionato, quindi non ammette eccezioni, per esempio “il cerchio è rotondo”; quelli ipotetici sono quelli condizionati, per esempio “la neve al sole si scioglie”, la neve si scioglie solo a condizione che ci sia il sole; quelli disgiuntivi sono quelli formulati secondo l’aut…aut, per esempio vedo un animale da lontano e dico “quel cane o è un cane p un gatto” (aut…aut, terzum non datum) I giudizi, secondo la modalità, si dividono in problematici, assertori e apodittico. Problematici significa presuntivi, per esempio “oggi forse pioverà” perché non ho la certezza ma delle condizioni del tempo attuali posso presumere quelle future; un giudizio assertorio è un giudizio che non ha problematicità, per esempio “oggi sta piovendo”, quelli apodittici sono quelli che valgono sempre tanto e vero che non hanno bisogno di nessuna dimostrazione (apodittico da apodeixis=dimostrazione), per esempio “un giorno morirò”. Per quanto riguarda i giudizi di qualità, Kant ha fatto un pasticcio perché ha posto unità, totalità e pluralità in maniera contro indicativa, perché ha invertito l’ordine del primo e del terzo, ma dal suo punto di vista l’unità è comunque una forma di universalità (tutti gli uomini mortali= umanità) e i giudizi singolari rappresentano una sorta di totalità. Per il resto è tutto ordinato. I giudizi affermativi possono essere concepiti perché ho la categoria di realtà, i giudizi negativi perché ho la categoria di negazione, i giudizi infiniti perché ho una categoria di limitazione. Le più importanti categorie sono quelle di relazione, cioè quelle di sostanza, causalità e comunanza. Queste categorie non sono altro che il bersaglio polemico della scepsi di Hume, che si era esercitata soprattutto sul principio di sostanza e casualità (dimostrando che il principio di casualità non esiste). Kant ha posto la sostanza e la relazione di causa ed effetto -che erano state distruttesul terreno della soggettività. Prima questi erano dei principi oggettivi che stavano nella realtà, poi Hume li ha distrutti, ed infine Kant li ha rifondati nel cuore stesso della soggettività, cioè li trasforma in modi di pensare della nostra psiche. Le categorie però sono trascendentalmente soggettive. Kant rifonda l’oggettività nel cuore stesso della soggettività ancora una volta. La analitica trascendentale Si divide in due tronconi, cioè l’analitica dei concetti e l’analitica dei principi. Della analitica dei concetti fa parte la dottrina della deduzione trascendentale, della analitica dei principi fa parte la dottrina dello schematismo trascendentale. Perché c’è bisogno di una deduzione trascendentale? Le categorie sono forme della nostra mente e vengono applicate ad una realtà esterna, allora cosa ci garantisce che la realtà obbedirà ai nostri modi di pensare? Quando penso la realtà, la categorizzo per ordinarla, ma cosa mi garantisce che questo ordine mentale vale per la realtà vera e propria? Questo problema non si pone per le intuizioni della sensibilità, perché un oggetto che non sia dato nello spazio e nel tempo non è per noi. Se accendo per esempio la radio, non capto i segnali che provengono dalla radio, perché evidentemente non sono per noi (non possono piegarsi in quelle che sono le nostre forme a priori di spazio e di tempo). Un oggetto, per darsi, deve essere intuito. Questo problema sorge per le categorie, cioè il problema della corrispondenza dei nostri modi di pensare la realtà e la realtà stessa (che non è stata la mente a creare). È un problema che nasce dalla impostazione soggettivistica di Kant, perché fino a Hume questa corrispondenza tra mente e realtà era garantita da Dio, ma Kant non può usarlo più come garante. Questo problema è parte della deduzione trascendentale. La analitica dei concetti e la deduzione trascendentale Kant usa il termine “deduzione” non in senso logico, bensì in senso giuridico-forensi, significa cioè rispondere al giudice non per il “quid facti” ma per il “quid iuris” (mio fratello si è impossessato della eredità di nostro padre, se lo porto in tribunale il giudice mi chiede in primis i fatti. Io racconto che la casa sarebbe spettata a me, mio fratello racconta i fatti secondo il suo punto di vista. Il giudice fa una deduzione, chiedendo di mostrare i titoli per i quali ognuno dice che quella casa appartiene all’uno o all’altro. Il quid iuris è diverso dal quid facti: se rubo l’orologio è un fatto che lo indosso, ma poi devo dimostrare al carabiniere i documenti che ne attestino la proprietà). La deduzione non riguarda il quid facti, cioè che le categorie vengano usate, perché è scontato; Kant si chiede il quid facti, cioè se è giuridicamente possibile usare queste categorie per una realtà che non ho creato io, cosa mi garantisce che la realtà risponderà ai miei modi di pensarla? Questo problema viene risolto da Kant con la introduzione di una figura speculativa che Kant chiama “io penso” (ich denke), così chiamato perché è la comune struttura mentale di tutti gli uomini, l’io penso è l’unità di appercezione trascendentale (Appercezione l’abbiamo già utilizzato in Campanella). Abbiamo già detto che trascendentale significa diffuso a tutti gli uomini. L’io penso è questa struttura trascendentale che Kant chiama -appercezione, perché è un sentir di sentire. c’è una differenza tra appercezione rinascimentale e kantiana. La differenza è che mentre in Campanella là appercezione è la perceptio passionis suae, e cioè ci devo arrivare che sto percependo di percepire (non è un fatto continuo), per Kant non è altro che la continua presenza del pensiero a sé stesso, infatti noi siamo sempre consapevoli di pensare. Dice Kant “l’io penso deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni, altrimenti, in caso contrario, ci sarebbe in me una rappresentazione non rappresentata”, è la presenza del pensiero costante a se stesso. -unità, se ad esempio ho una libreria, i vari settori non sono altro che unità parziali. Le categorie sono unità parziali, mentre l’io penso rappresenta l’unificazione di tutte le unità parziali. Quali sono le caratteristiche dell’io penso? 1. L’io penso è formale- perché non ha nulla di sostanzialistico, non è una res, ma solo un’insieme di forme.. Il soggetto trascendentale è formale 2. L’io penso è finito- perché è limitato dal noumenon. l’intelletto -e l’io penso che ne costituisce l’essenza formalesenza dati formali. La realtà empirica costituisce il suo limite. La realtà non è creata dall’intelletto, questo ordina solo una realtà che già esiste. L’idealismo sosterrà il contrario. 3. L’io penso è il supremo legislatore della natura- prima di Kant, il supremo legislatore della natura era Dio. Per Kant la matura non ha delle leggi già in se per se (≠ Galilei, Newton etc), è l’uomo che dà le leggi. dell’io di cartesio abbiamo detto che è lo stabile fondamento dell’apparire, cioè l apparire sta per conto suo, la natura ha le sue leggi e lo scienziato deve scoprirle e formulare leggi. In Kant l’io penso è lo stabile fondamento del costituirsi stesso dell’apparire, la realtà è cioè ordinata da me, io do le leggi. L’io penso è lo stabile fondamento del costituirsi stesso dell’apparire, essendo l’oggetto niente altro che il risultato dei nessi sistematici che lo costituiscono. Un qualunque oggetto non è altro che l’insieme dei nessi sistematici che lo costituiscono, le categorie sono dei nessi sistematici che alla fine del lavoro dell’intelletto costituiscono l’oggetto. È come se all’inizio della conoscenza ci provenisse dall’esterno del materiale, il primo impacchettamento è la temporalizzazione e spazializzazione. Poi questo pacco viene inviato all’intelletto che ci mette il fiocco (ulteriore confezionamento). Alla fine il pacchetto non è altro che l’insieme dei nessi (azioni intelletto etc), questo è l’oggetto per Kant. La analitica dei principi e la dottrina dello schematismo trascendentale Kant prende in considerazione un altro problema legato alla dottrina delle categorie. Quali sono i canali che permettono di mediare il dato empirico verso l’intelletto? È un problema ancora più sentito per la eterogeneità tra sensibilità e intelletto, che sono due grandezze completamente diverse tra loro. com’ è possibile una mediazione fra queste due? È lo stesso problema trattato da Cartesio, quando si trova davanti al problema in cui c’è un’osmosi tra res cogitans e res extensa (ghiandola pineale). Kant non deve spiegare come interagiscano, ma come si mandino le informazioni l’uno all’altro. La soluzione di Kant è illustrata nella dottrina dello schematismo trascendentale, e si basa sulla natura ibrida del tempo, che ha la primazia sullo spazi ed ed è la forma universale della sensibilità. Kant ritiene che l’intelletto, condizionando il tempo, può mettersi in contatto con la sensibilità proprio perché è a metà strada tra la sensibilità e l’intelletto. Questo porta alla dottrina dello schematismo trascendentale. In greco il termine skema, skematos è una raffigurazione intuitiva di qualcosa (schema e immagine sono due cose diverse, il primo è una rappresentazione intuitiva, la seconda una sorta di copia), gli schemi trascendentali non sono altro che le categorie tradotte in termini temporali. La categoria di sostanza, tradotta in termini temporali non è altro che la permanenza del tempo (es la sostanza di rob rimane sempre, pure se è morta suicida nel peggiore dei modi, la sostanza quella è e rimane al di là del corpo che se ne è andato a fanculo). Il tempo funge da medium, è il ponte che permette alla mente di trasmettere le informazioni sensibili all’intelletto. Chi compie tutto questo? È una facoltà che Kant chiama immaginazione produttiva, che per Hume era la capacità di aggregare più idee semplici in un’unica idea complessa, invece in Kant è la facoltà di apprestare per ogni categoria uno schema temporale corrispondente. 24 ottobre Alla fine dell’analitica trascendentale Kant aggiunge sulle categorie e conclude in maniera definitiva il concetto di noumenon e fenomeno. Per quanto riguarda le categorie Kant ne distingue un uso empirico e un uso trascendentale: Le categorie sono le supreme funzioni di unificazione dell’intelletto, quindi il loro ufficio, compito, è quella di riunificare il molteplice, proveniente dall’esperienza attraverso gli schemi trascendentali predisposti dall’immaginazione positiva. Questo uso delle categorie è un uso legittimo: le categorie ricevendo materiale empirico ed edificandolo -ciascuna secondo una propria regola di unificazione- in questo modo si comportano in maniera legittima, normale. Se le categorie, andando oltre il materiale empirico tentano di unificare il vuoto allora corrono un uso trascendentale Uso empirico Esempio: la lavatrice è un insieme di funzioni determinate a funzionare dell’insieme che programma. A seconda della qualità dei panni io imposto determinati programmi. Immaginate che le funzioni siano delle categorie: funzionano allo stesso modo. C’è materiale che viene dall’estero (i panni), ci sono le funzioni (i programmi), materia e forma, e quindi le categorie lavorano seguendo un uso legittimo Questo uso Kant lo chiama uso empirico ed è l’unico legittimato a conoscere. È l’uso che consiste nell’ unificare il molteplice delle esperienze. Uso trascendentale Esempio: se imaginiamo di utilizzare la lavatrice a vuoto svolge tutti quei programmi in cui consiste il suo lavoro solo che non ci sono i panni Senza materiale empirico le categorie unificano il vuoto. Questo uso per Kant è illegittimo, ed è alla base della metafisica In corrispondenza di questi due usi Kant distingue mediamente il conoscere e il pensare, na fa una divisone tecnica: il parto dell’uso empirico delle categorie è naturalmente la CONOSCENZA (sempre sintesi di materia e forma->materiale empirico e categorie); invece l’uso trascendentale, autoreferianzale delle categorie porta non al conoscere ma al PENSARE. Per concludere , alla fine dell’analitica trascendentale Kant specifica, dettaglia ancora meglio in conclusione all’analisi a trascendentale il concetto di NOUMENO. Il noumeno è la cosa in se, quest’incognita concepita come cosa in se ma completamente inattingibile. Kant distingue due valori, due accezioni di quest’incognita: una positiva (cioè che il noumeno può essere) e negativa (ciò che il noumeno non può essere). A noi uomini interessa sostanzialmente l’eccezione negativa del noumeno: in possiamo dire apofaticamente quello che il noumeno non è, perché non possiamo mai venire in contatto con il noumeno (una volta che entriamo in contatto con qualcos’altro questo si spazializza e si temporalizza, poi naturalmente viene pensato attraverso quei concerti a priori che sono le categorie) e quindi non possiamo sapere cos’è A cosa serve quindi il noumeno? Il noueno da un punto di vista negativo è un memento critico: il suo compito sta nel ricordarci l’inoltrepassabilità dell’esperienza. Come le colonne d’Ercole il noumeno sta lì a marcare in maniera determinata e insormontabile quello che è il limite tra il nostro potere conoscitivamente. RICORDA: tutta la critica della ragion pura risponde in primis a questa precisa domanda: fin dove si può spingere la conoscenza? Fino al noumeno (il noueno sono le nostre colonne d’Ercole). Da un punto di vista positivo il noumeno è l’oggetto di una eventuale intuizione intellettuale, una presa della realtà che sia capace di sorpassarel’intuizione sensibile (tema portante dell’IDEALISMO). LA nostra intuizione umana è soltanto quella sensibile: i sensi sono la porta della percezione, per cui un oggetto che non mi è dato sensibilmente nello spazio e nel tempo non è un oggetto. L’uomo non può avere un intuizione che sia in grado di oltrepassare l’intuizione sensibile. L’unico in grado di un intuizione intellettuale secondo Kant è soltanto un ipotetico intelletto divino. Ipotizziamo che esista un dio e questo intelletto divino capace di scavalcare i sensi riuscendo ad avere una conoscenza unicamente intellettuale per ogni cosa. In quel caso il noumeno sarebbe qualcosa di positivo. E invece per l’IDEALISMO con Fichte, Shelling e Hegel la nostra mente è capace di un intuizione intellettuale, che è alla base dell’IDEALISMO. Kant è ancora un realista, anche se il suo è un realismo sui generis che prevede come materia della conoscenza una realtà che non siamo noi a creare. Nel momento in cui l’IDEALISMO afferma era che non solo con il nostro io costituiamo la realtà ma la CREIAMO, allora l’IDEALISMO avrà abbattuto tutti i limiti della conoscenza e ascriverà all’uomo la possibilità di un intuizione intellettuale. La dialettica trascendentale (seconda parte della logica trascendentale) La dialettica trascendentale è il luogo letterario della critica della ragion pura in cui Kant risponde alle seconde due domande 1. Come è possibile una metafisica come disposizione natuarale ? 2. È possibile una metafisica come scienza? Il termina dialettica nell’ accezione che gli da ci dice tutto circa la posizione di Kant riguardo la metafisica e soprattutto riguardo il secondo dei due problemi. Contestualmente a Kant infatti Christian Wolf aveva sistematizzato la metafisica come scienza. Il termine dialettica In Platone la dialettica ha un fortissimo uso positivo, addirittura per Platone ha un significato così positivo da diventare sinonimo della filosofia stessa. Quando Platone nel VI-VII libro della poiteia segna l’itinarario della mente verso le idee parla di tutte le discipline matematiche propedeutiche poi all’esercizio della dialettica, i futuri reggitori dello stato dovranno impegnarsi dai 35 ai 50 anni in questo esercizio della dialectikè tecnè, e solo dopo potranno diventare filosofi e quindi reggitori dello stato. IN Platone la dialettica è la scienza delle idee, è una tiene che ha come oggetto le idee, quindi temi più alti della metafisica. IN Aristotele invece la dialettica asssume un accezione totalmente opposta, negativa, tanto è vero che nei Topici (V libro dell’organo) prende in considerazione il sillogismo dialettico: il sillogismo che is basa su premesse semplicemente probabili , che sembrano vere ma che non lo sono. Il sillogismo dialettico è quello che aristotele chiama entimema: questo termine deriva dal verbo entiumeomai “introflettere”. Tutti I filosofi sono saggi, Socrate è un filosofo, socrate è saggio Questo sillogismo viene comunemente accettato perché in generale e per lo più all0’esercizio della filosofia sia associato quello della saggezza. LA premessa maggiore però non è vera, perché non tutti i filosofi sono saggi, ma è probabile, quindi si tratta non si un sillogismo vero ma probabile che appunto aristotele chiama SILLOGISMO DIALETTICO, che confuta nei topici e pi mostra come su questa forma di sillogismo si articolino i ragionamenti capziosi delle confutazioni sofistiche. Kant riprende questo concetto nella sua Aristotelica e parla della dialettica trascendentale come LOGìK DES SKEIN (shain). Skein vuol dire splendore, in inglese con questo aggettivo si identificano tutte le capacità paranormali (in shining il film il bambino ha capacità paranormali, di antivedere il futuro). Noi abbiamo storicamente tre grandi traduzioni dell critica della ragion pura: di Giovanni Gentile (di epoca fascista pubblicata da Laterza), quella di Giorgio Colli pubblicata da Adelphi, e una terza traduzione di Pietro chiodi pubblicata dalla UTET. (Quella oggigiorno più usata). Tutte e tre traducono in maniera diversa il termine SKEIN: Giovanni gentile lo traduce come apparenza; Giorgio Colli lo traduce in maniera molto più determinato con il termine illusione; Il grande Pietro Chiodi ha trovato una sintesi tra le due accezioni utilizzando il termine parvenza, che semanticamente è proprio mediano tra apparenza e realtà. Oggi si usa il termine di Pietro Chiodi. Quando parliamo della dialettica trascendentale noi dobbiamo parlare della dialettica come LOGICA DELLA PARVENZA, il suo oggetto di studio sono le costruzioni più o meno fantastiche della metafisica Kant deve rispondere innanzitutto alla prima delle due domande che riguardano la metfisica Come è possibile una metafisica come disposizione naturale? Gli uomini a tutte le latitudini e in tutti i tempi hanno continuamente partorito una metafisica, è comune a tutti gli uomini, ed è quindi una disposizione naturale. A cosa è dovut però questo afflato metafisico a? Per kant esso è dovuto alla nostra naturale tendenza al necessario e all’incondizionato: in altro termini il nostro intelletto mai paro del contingente e del condizionato cerca di elevarsi e unificare i dati anche in assenza di materiale empirico. La tendenza naturale alla metafisica nasce da un uso trascendentale delle categorie, che anche in assenza di materiale empirico unificano il vuoto e arrivano a delle grandezze metafisiche. In articolare questa deriva con kant è dovuta a una facoltà tecnicamente intesa, che è la ragione. La metafisica è un parto della ragione la quale non è altro che il delirio dell’intelletto : delirio qui lo intende secondo il significato etimologico: de lirare “uscire fuori dal sennato”, quindi vuole dire attraverso un immagine icastica che l’intelletto, mai paro di un uso semplicemente empirico delle categorie è portato d a una sua naturale tendenza al necessario e al condizionale a delirare, e in questo, seconod il famosissimo paragone ornitologico fatto da Kant nella dialettica trascendentale, somiglia molto alla colomba. La colomba di Kant (metafora): la colomba vola sempre più i n alto e vorrebbe ad un certo punto che non ci fosse l’aria in modo tale da poter volare sempre più in alto, ma non si rende conto che se non ci fosse l’aria non potrebbe nemmeno volare. LA colomba sente allo stesso modo come un freno al proprio volo quella stessa aria che rappresenta la condizione prerequisita allo stesso volo. IN questo sforzo illusorio e velleitario di voler volare senza ali la colomba sembra la metafisica, che vuole andare oltre il fenomeno, il materiale empirico, per unificare anche in assenza di quest’ultimo, senza rendersi conto ch e il materiale empirico è si un limite, ma è anche la condizione fondante dell a sua stessa. Attività, perché se l’intelletto delirando, cioè trasformandosi in ragione facesse a meno del materiale empirico il suo sarebbe soltanto un vuoto pensare, non un conoscere. La metafisica per Kant, contrariamente a quello che dice Wolf, pensa, ma non conosce, perché si articola appunto su quelle che sono le tre idee della ragione (idea di mondo, dell’anima e di dio). Kant non lo dice mai esplicitamente ma queste tre idee possono essere considerate un po’ come se fossero le forme apriori della ragione La sensibilità ha due forme apriori->spazio e tempo L’intelletto ha 12 forme apriori (i 12 concerti puri o categorie) È come se la ragione tecnicamente intesa avesse 3 forme apriori che coincidono con queste idee. IN genere si dice che anima, mondo e Dio sono le tree idee della ragione. In che senso kant parla delle tre idee della ragione? Ne parla in senso prettamente platonico: il termine idea in Platone indica un modello di perfezione non reale (il bello in se). Kant quando parla delle tre idee trascendentali le intende in maniera platonica come oggetto di una perfezione non reale perché costruita attraverso un uso non già empirico, bensì trascendentale delle categorie. Qual è l’errore della metafisica? L’errore della metafisica non consiste nel pensare all’idea di anima mondo e dio, perché è una naturale disposizione dell’uomo, ma quello di costruire su queste idee delle scienze. Sull’idea dell’anima i metafisici creano la psicologia razionale (che per kant è un ossimoro) Sull’idea del mondo costruiscono una pseudo scienza: la cosmologia razionale Sull’idea di Dio è costruita la teologia razionale Queste che per la metafisica sono delle scienze (Wolf), Kant dimostra che sono delle false scienze, e in particolare la psicologia razionale, costituisce il paralogismo della ragione pura: un falso ragionamento La cosmologia razionale costituisce L’antinomia della ragione pura: sono 4 antinomie. L’antinomia è la contrapposizione (anti) ineliminabile, incomponibile, inconciliabile. Tanto è vero che Protagora aveva scritto un operetta per noi perduta intitolata logori antikenoi “discorsi contrapposti”. E la teologia razionale costituisce l’ideale della ragione pura 27 ottobre Kant affronta tutte le tre pseudo scienze. La psicologia razionale La psicologia razionale si fonda su un paralogismo della ragion pura, cioè su un ragionamento errato. L’idea dell’anima nasce da un errata attribuzione della categoria di sostanza a quell’incognita sconosciuta e comunque puramente formale che è l’io penso. Fattualmente l’intelletto trasformandosi in ragione applica la categoria di sostanza all’io penso. Questa è un operazione indebita perchè le categorie possono essere legittimamente applicate solo al materiale empirico (mai uso trascendentale). L’intelletto prende una delle più importanti categorie di relazione, quella di sostanza, e finisce per ipostatizzare l’io penso, per sostanzializzarlo, per trasformare illegittimamente l’io penso in una res. La res è quell’incognita che non è altro che quell’unità di apercezione trascendentale, un’unità formale finita e tutti gli altri attributi che kant predica dell’io penso. È come se io pensassi che il computer abbia un anima; il computer ha una serie di programmi, di funzioni, che non possono essere ridotti e ricondotti ad un anima del computer. L’intelletto applicando indebitamente la categoria di sostanza trasforma l’io penso in una anima personale, immateriale, immortale. La psicologia razione si basa su questo paralogismo La cosmologia razionale La cosmologia razionale si bassa su una serie di antinomie perchè la cosmologia ha a che fare con un idea di mondo. L’idea di mondo è un altra idea metafisica nella misura in cui l’idea di mondo è l’idea della totalità dei fenomeni. Kant dice che la totalità dei fenomeni non è un fenomeno, la totalità delle esperienze non è mai un esperienza possibile. Noi non abbiamo una visione completa della totalità dei fenomeni ma solo di una parte. La totalità delle esperienze non è mai un esperienza, è soltanto noumenon, è soltanto un pensiero. Tanto è vero che proprio la cosmologia razionale da vita ad una serie di antinomie che Kant squaderna nella critica della ragion pura in maniera molto complessa nel paragrafo 51 dei Prolegomeni . Queste antinomie sono proprio dei conflitti della ragione con se stessa, e sono polarizzate su una tesi e un antitesi assolutamente incompatibili, inconciliabili, non presentano possibilità di sintesi (tesi, antitesi e sintesi vengono da titemi “porre”, quindi posizione, opposizione e composizione) Kant sempre ordinatamente, metodicamente, distingue queste 4 antinomie per: Quantità Qualità Relazione Modalità La prima antinomia Tesi: si dice che il mondo ha un cominciamento secondo il tempo e secondo lo spazio. Se ha un cominciamento significa che ha un inizio, un limite, è limitato. Antitesi: si afferma che il mondo è infinito secondo il tempo e secondo lo spazio (Cominciamento e infinito sono evidenziati separando la battuta) Due persone che si opponessero l’una alla tesi e l’altra all’antitesi potrebbero scontrarsi all’infinito perchè non c’è una prova dirimente, decisiva a stabilire chi dei due ha ragione. L’idea di mondo è inconsistente perchè non c’è materiale empirico che possa essere chiamato a testimone Seconda antinomia Tesi: Tutto nel mondo consta nel semplice (tesi che potrebbero sostenere gli atomisti) Antitesi: non vi è niente di semplice, tutto invece è composto Anche qui manca la prova empirica, il phainomenon del mondo, perchè il mondo non si fenomenizza mai, perchè la totalità dei fenomeni non è mai un fenomeno, la totalità dell’esperienza non è mai un esperienza possibile Terza antinomia Tesi: Vi sono nel mondo delle cause con libertà (posizione di chi sostiene che il mondo abbia qualcosa di liebero) Antitesi: non vi è nessuna libertà, tutto è meccanicistico Quarta antinomia Tesi: nella serie delle cause cosmiche vi è un certo essere necessario (esistenza di dio) Antitesi: in quella serie non vi è niente di necessario ma tutto è contingente Anche qui la sostanza della cosa è indecidibile In tutti e 4 i casi si tratta di veri e propri conflitti della ragione con se stessa che sono incomponibili proprio perchè manca l’oggetto del contendere, la prova in grado di determinare chi ha ragione e chi ha torto La parte principale della dialettica trascendentale è però l’ideale della ragione pura La teologia razionale Nella dialettica della ragion pura, nell’analisi della teologia razionale kant ha dimostrato l’indimostrabilità dell’esistenza di dio, cosa che già aveva fatto nel 1763 nell’unico argomento possibile per l’esistenza di Dio. In quello scritto pre-critico Kant demoliva l’argomento ontologico però sosteneva che ci fosse almeno un unico argomento possibile per dimostrare l’esistenza di dio (ex contingentia mundi). Nella critica della ragione pura Kant demolisce anche questo argomento ed un altro, arrivando a dimostrare l’indimostrabilità dell’esistenza di dio. Kant arriva al punto id dimostrare che l’esistenza di dio non può essere razionalmente dimostrata e quindi può essere soltanto ARTICOLO DI FEDE. Kant stabilisce uno spartiacque nettissimo tra fides et ratio, tra ragione e fede, che sono assolutamente incontendibili quanto alla possibilità che la ragione avrebbe di dimostrare l’esistenza di dio. È un discorso che si riallaccia all’antico duns sconto, che fa una differenza tra teoretico e pratico, che si riallaccia ad hockham e tutta una linea di pensiero che attraverso l’empirismo precipita in Kant, tanto è vero che Giòsue Carducci in una poesia intitolata Versaglia (italianizzazione di Versailles) dice in un celeberrimo verso “decapitaro Immanuel Kant iddio e Massimiliano Robenspierre il re”. Kant, uomo dell’ illuminismo, protagonista intellettuale massimo , massima espressione dell’ illuminismo, alla cui stagione appartiene la rivoluzione francese che ebbe come simbolo Maximilian Robenspierre, -a cui viene paragonato kant- nella dialettica trascendentale, e nello specifico nell’esame della teologia razionale decapita dio. KAnt dice che proprio perché l’esistenza di dio non è empiricamente dimostrabile , la storia della filosofia ha creato una serie di prove per dimostrare l’esistenza di dio. Tutte queste prove che sono fiorite nel corso della storia della filosofia vengono categorizzate da kant in tre filoni principali: la PROVA ONTOLOGICA, che kant già ha esaminato e demolito nell’unico argomento possibile per la dimostrazione dell’esistenza di dio. Kant aggiunge poi il parallelo dei 100 tallari: “100 talleri pensati sono uguali a 100 talleri sonanti da tutti i punti di vista. La differenza abissale (ontologica) è che i primi esistono e i secondi no”. Questo è segno che l’esistenza non è un predicato logico, ma è la presentificazione ontologica della cosa. Kant sostiene nel paragrafo 601 della dialettica trascendentale che qualunque sia il contenuto e l’estensione del nostro concetto di un oggetto, dovremo sempre uscire fuori dal concetto per attribuire l’esistenza all’oggetto. Io non posso basarmi sul concetto di un oggetto per attribuirgli l’esistenza, devo constatare empiricamente->L’ESISTENZA SI MOSTRA NON SI DIMOSTRA. Kant quindi conclude questa analisi impietosa e demoliti a della prova ontologica sostenendo che quest’ultima È IMPOSSIBILE VEL CONTRADDITTORIA. Impossibile se tenta di ricavare da un semplice concetto l’esistenza di un oggetto Contraddittoria soprattutto, perché assume sottobanco quell’esistenza che dovrebbe definire. Se io per esempio dico che dio è perfettissimo non gli posso negare l’esistenza perché gli toglierei un grado di perfezione (versione cartesiana della prova asimultanea di Anselmo d’Aosta). È un po’ quello che diceva l’Aquinate, irriducibile nemico della prova asimultanea di Anselmo d’Aosta: la prova ontologica vale per chi si trova già in paradiso (che sa che dio esiste e quindi puù usare l’argomento ontologico). Kant poi prende in considerazione la PROVA COSMOLOGICA (ex contingentia mundi) e smonta a nche questa. La prova osmologica, cioè quella che partendo dall’esperienza del contingente si eleva al necessario, ha per lo meno due vizi di forma (DUE PARALOGISMI): Applica indebitamente la categoria di causa in maniera indebita. Noi siamo contingenti perché siamo eterocausati: ci hanno fatto i nostri genitori, l’idea di Elena rimanda all’idea dei genitori di elena che a loro volta rimandano all’idea dei nonni di elena.. QUest’ascennìsione applica debitamente la categoria di causa perché elena, i genitori, i nonni, i trisnonni ecc, sono tutti materiale empirico. L’errore arriva nel momento in cui, arrivati ad Adamo ed Eva io pretendo di elevarmi a loro creatore, cioè ad una causa necessaria. Ecco in questo salto dal contingente al necessario applico INDEBITAMENTE LA CATEGORIA DI CAUSA, che come tutte le categorie è limitata ad un uso empirico, non trascendentale (non posso applicare le categorie a qualcosa di metaempirico). La prova cosmologica non solo si eleva a dimostrare l’esistenza del necessario, ma vuole anche dire come è questo necessario, dandogli tutta una serie di attributi (l’essere perfettissimo, il creatore) Insomma la prova cosmologica finisce per cadere nella logica della prova ontologica: pretende di attribuire la perfezione a questo necessario che ha attinto attraverso un uso indebito della categoria di causalità. Infine prende in considerazione la PROVA FISICO-TELEOLOGICA. La prova fisico-teleologica venne coniata nel ‘700 ed è quella utilizzata dai teisti (coloro che credono esista un essere divino, una divinità indefinita, non personale, non specifica) alla base del cui ragionamento c’era questa considerazione: il mondo è ben organizzato, ben armonizzato, è bello, somiglia ad un orologio perfettamente strutturato. E come dietro ogni orologio c’è un orologiaio, allora dietro la realtà ci deve essere un demiurgo, un teòs che ha organizzato tutto Questa prova è la più diffusa perché non contiene nessun bizantinismo, nessuna speciosità. Kant qui obietta che innanzitutto questa prova presuppone che dio sia lì organizzatore di quest’organizzazione, senza tenere conto che la natura potrebbe essersi organizzata da sola (teoria di Darwin). E in secondo luogo che è vero si che la natura è ben organizzata ma tuta questa visione della natura è un modo nostro di percepirla (la natura nn è ne bella ne brutta, soprattutto non è un ordine perfetto: affianco alla bellezza dei fiumi, delle piante, ci sono terremoti e maremoti) Kant quindi dimostra l’indimostrabilità razionale dell’esistenza di dio. Kant non è ne ateo ne credente, ma agnostico, “decapita” solo la dimostrazione razionale. 3 novembre 2022 Kant conclude la critica della ragion pura ritornando sul termine della metafisica, e ritornando anche sull’uso delle idee. Anima mondo e dio sono idee trascendentali nel senso platonico del termine (nel senso di essere delle perfezioni non reali). che uso hanno le idee? a cosa servono? se non servono a costituire una metafisica come scienza, tanto è vero che Kant scrive dei prolegomeni a ogni futura scienza che intenderà presentarsi come scienza, denunciando proprio l’errore dellla metafisica consistente nel fatto di trasformare quelle che sono delle semplici idee della ragione in basi per altrettante scienze. Allora se non hanno uso costitutivo (al contrario delle categorie che costituiscono la realtà da un punto di vista fenomenico, tanto è ver che l’io penso che e costituisce la regia, è il garante della natura) , che uso hanno? Hanno lo stesso tipo di uso che abbiamo individuando in Platone Nel primo libro della politeia, in cui c’è questo dialogo tra il vecchio Cefalo (a a casa del quale si svolge il dialogo) e il giovane socrate, quando decidono di parlare della polis ideale, Socrate dice “a noi, caro cefalo, non interessa se questo stato sia mai esistito, esista o esisterà mai, a noi interessa fissare il paradigma dello stato in modo tale da giudicare gli stati del passato, valutare gli stati del presente e costruire gli stati del futuro”. Questo significa che le idee in Platone ( e in Kant hanno una funzione regolativa, normativa, servono da norme per indirizzare la conoscenza (che è sempre sintesi di materia e forma). La conoscenza cerca sempre di unificare gli oggetti che essa conosce, lo sforzo di conoscenza deve essere finalizzato ad una sempre maggiore unità, come se effettivamente esistesse la totalità dei fenomeni interni (anima), dei fenomeni esterni (mondo) e dei fenomeni sia interni che esterni (dio). in altri termini le idee delle ragione non hanno uso costitutivo (≠categorie) ma un uso regolativo. Da questo deriva anche il concetto che qui viene ulteriormente affinato di metafisica: la metafisica è la scienza dei limiti della ragione umana (sogni di un visionario) però questi limiti da cosa sono dati? dalle nostre stesse forme a propri, che sono le modalità di funzionamento della nostra mente, ne costituiscono le basi, i fondamenti del funzionamento, ma ance i limiti. Quindi dire che la metafisica è la scienza dei limiti, significa sostanzialmente (conclusione della dottrina degli elementi) dire che la metafisica non valendo più come scienza iper fisica, diventa la scienza dei limiti della ragione umana intendendo come base dei limiti proprio le forme a priori. LA METAFISICA E’ SCIENZA DEI PRINCIPI PURI APRIORI DEL CONOSCERE E DELL’AGIRE e per kant coincide con la critica della ragion pura, perché nella critica dela ragione pura kant ha voluto delineate una mappa dei limiti della ragione umana (delineare titoli di potenza e impotenza della ragione umana). Da questo punto di vista, la critica della ragione pura è una scienza dei limiti della ragione umana, cioè la metafisica come è intesa da Kant. Sostanzialmente la critica della ragion pura rappresenta una sorta di metafisica della mente per quanto riguarda il conoscere, ma la nostra mente non solo conosce, ma agisce anche, quindi abbiamo una ragione pura teoretica (adibita alla conoscenza) e una ragione pura pratica, cioè una conoscenza destinata alla praxis. Non si tratta prò di due tipi di ragione (duns scoto). Noi esseri umani oscilliamo costantemente tra il teoretico e il pratico (abbiamo UNA ragione, ma ha due funzioni). Anche la ragione pratica ha dei principi puri a priori. E allora s e la metafisica, secondo la definizione di Kant è scienza dei limiti della ragione umana e quindi dei principi puri a priori dovrà essere scienza dei principi puri a priori del conoscere e scienza dei principi puri a priori dell’agire. Ecco perché kant, oltre alla critica della ragion pratica, ha scritto anche un'altra opera di etica, intitolata “fondazione della metafisica dei costumi”, che altro non è che la ragione pratica (è un po’ come i prolegomeni). Si tratta di un discorso sui fondamenti della scienza dei limiti dell’agire. la critica della ragione pratica È l’opera destinata, insieme alla fondazione della metafisica dei costumi, all’analisi dell’etica. Kant in quest’opera (1788) distingue una ragione pura pratica e una ragione empirica o patologica (nel senso etimologico del termine, cioè che implica un patire) pratica. esempio: se rob esce di scuola e trova un portafoglio di un chiattillo (con soldi e documenti), può agire. l’azione viene maturata in base alle alternative: o mi prendo il portafogli del povero chiattillo, oppure lo porto ai carbinieri. se la fessa di roberta lo restituisce, secondo kant agisce in maniera pura pratica. se agisce nel secondo modo (assurdo perché roberta è fessa) agisce in maniera empirica pratica. La cosa importante è che in entrambi i cas ha agito in maniera pratica. Solo che nel primo caso si comporta in maniera morale, nel secondo in maniera immorale. Ora non è importante se morale o non, la cosa importante è che abbiamo esercitato l’uso pratico dell’agire. la ragione pratica è pura quando si decondiziona dagli impulsi egoistici immediati che per Kant sono degli impulsi patologici (e quindi agiamo in maniera morale); se invece agiamo in maniera immorale siamo succubi della ragione empirica pratica, della ragione patologica pratica, perché ci siamo lasciati condizionare da quegli impulsi. Da questo ne deriva che la ragione pratica è pura quando riesce a decondizionassi da questi impulsi egoistici, utilitaristici, materiali ed è empirica vel patologica quando invece è subordinata a questi impulsi. È chiaro che la dimensione della moralità coincide con la ragione pura pratica: mentre la ragione empirica pratica sta “a livello del terreno”, la ragione pura pratica è riuscita, decondizionandosi dagli impulsi, a spiccare il volo. La moralità coincide con la ragione pura pratica. La prospettiva in quest’opera è ribaltata rispetto alla ragione pura teoretica, perché in quest’ultima kant doveva stigmatizzare le pretese della ragione di volare troppo alto, di fare un uso trascendentale e non empirico dell’Elba categorie creando una metafisica. Qua ad essere criticata invece è la ragione empirica pratica, cioè quella ch e pretende di rimanere troppo ancorata alla terrenità, che è incapace di decondizionasi. Allora perché Kant la intitola critica della ragion pratica e non critica della ragion empirica? Perché anche la ragione pura pratica comunque ha dei limiti che sono connaturati a quella che è la natura stessa dell’essere umano (che è limitato anche nell’ agire). Esempio: se sono ricco e trovo un portafogli mi posso permettere il lusso di restituire il portafogli, se sono povero invece vengo condizionato e sarà molto difficile decondizionassi dagli impulsi materiali, egoistici. Anche la ragione pura pratica ha dei limiti invalicabili, perché connaturati a quello che è l’essere umano, che è limitato. È per questo che can’t scrive una critica della ragion pratica, che non è ne pura ne empirica, ma è chiaro che ad essere criticata è la ragione empirica pratica che vorrebbe lei sola stabilire le regole del comportamento. In tutta la critica della ragione pratica circola il tema dell’esistenza di forma di precomprensione: la critica della ragione pratica nasce dal bisogno di Kant di fondare (grundlegund “fondazione”) questa opera perché alla luce dei risultati della critica della ragion pura la metafisica è completamente smantellata, e con essa anche l’etica eteromata. Se non esiste un dio (l’eteros) è possibile un etica autonoma?Kant in quest’opera si occupa di ridare un fondamento autonomo all’etica.. Pe rKant è possibile un etica autonoma, è una realtà che parte dall’esistenza di una legge morale che rappresenta un po’ el campo etico e pratico quello che le forme apriori di sensibilità ed intelletto rappresentavano nel campo della ragione teoretica. Kant parte da una legge morale che è iscritta nel cuore dell’uomo da sempre e per sempre. Se la legge morale non è più eteronoma (non coincide con i 10 comandamenti), perché Dio è venuto meno, allora su cosa potrà basarsi? Du una priori morale: una legge morale che ognuno di noi ha in se stesso, ha nella sua ragione (anche la legge morale nel suo uso pratico fa parte della ragione). Questa legge morale, dice kant, la filosofia non ha il compito di dedurla ne di costituirla, perché è già dentro di noi come un factum della ragione pratica che la filosofia non può che riconoscere. È un po’ la laicizzazione secolarizzazione di quello che Tommaso d’Aquino chiamava SINDERESI: quel giudizio morale che ognuno ha dentro di se e anche quando noi commettiamo qualcosa di moralmente sbagliato fa sentire quella che chiamiamo la voce della coscienza. È quella scintilla coscientia che sopravvive allo stesso peccato originale e che dovrebbe determinare la nostra comunità. In questo senso già sussiste un preannuncio di una rivoluzione copernicana anche in campo morale: è l’uomo, non dio, a fondare la morale. Questo implica due conseguenze fondamentali: 1. libertà: se posso far prevalere la mia ragione pura pratica su quella empirica pratica e posso decondizionarmi dagli impulsi egoistici, significa che io sono libero. Spinoza non ammetteva la libertà, kant, (seppur con un fondo spinoziano perché esclude la libertà dalla critica della ragione pura, tutto è meccanicisticamente determinato) qui la libertà è uno dei corollari della legge morale, una delle conseguenze della legge morale, perché se c’è una legge morale io sono libero. Di seguirla o meno, sottostando o alla ragione pura pratica (se la seguo), oppure sottostando alla ragione empirica pratica. Se seguissimo sempre la legge morale saremmo dei santi, uguali ad un ipotetica volontà divina. Ci sono dei limiti in senso pratico e in senso empirico. 2. L’universalità della legge: per essere una legge morale deve essere l’universalità e necesarietà della legge. La legge deve valere per tutti al di la delle differenze di spazio e di tempo. La struttura della critica della ragion pratica è diversa dalla critica della ragion pura. Anche qui abbiamo una divisione tra dottrina degli elementi e del metodo, solo che qui manca la dottrina dell’estetica ma viene prima l’analisi a dei principi (quando agisco agisco sempre in base a dei principi morali). La successione logica dell’azione pratica è questa: ci sono prima i principi ch e guidano la mia azione, che poi dall’intelletto va verso i sensi. Mentre in campo teoretico la nostra conoscenza inizia dai sensi e poi arriva all’intelletto e alla ragione, in campo etico la prospettiva è ribaltata. Quando io agisco per dirimere una situazione, agisco in base a adei principi, da cui conseguirà una scelta legata all’azione e quindi ai sensi. Troviamo un ribaltamento viene prima l’analisi a e poi la sensibilità (che non viene trattata) e poi troviamo una dialettica della ragion pratica che prende in considerazione l’antico mia della ragione pratica. 10 novembre 2022 la metafisica dei costumi è il discorso dei principi a priori dell’agire, che espone nella analitica della ragion pratica. mentre nella ragione pura inizia con i sensi per poi arrivare alla ragione e all’intelletto, qui l’ordine è diverso: si va dai principi per poi arrivare alla sensibilità. i principi sono le molle della volontà, gli impulsi che la muovono quindi. quando agiamo in maniera morale o non, lo facciamo in base a dei principi (es uno muore a mare: lo salvo o no? in ogni caso agisco). quali sono questi principi? Kant, per la sua mania dell’ordine, distingue i principi pratici in due categorie: le massime e gli imperativi. -le massime sono quei principi che valgono solo soggettivamente (es alzarsi presto alle tre come me per ripetere filosofia, magari francesco se ne sbatte il cazzo) -gli imperativi hanno una valenza oggettiva, e si dividono in imperativi ipotetici e imperativo categorico. se l’azione è pensata come buona per qualcos’altro è imperativo ipotetico. Se l’azione è buona in sé stessa, è un imperativo categorico. 1.gli imperativi ipotetici sono condizionati dal voler raggiungere o no un determinato scopo (vale la formula “se…allora devi”, es: se vuoi bei voti, allora devi studiare sistematicamente. questo imperativo vale per tutti, ma è condizionato dalla volontà di voler andare bene o meno a scuola). è l’imperativo in cui il bene è condizionato dalla volontà di realizzarlo, e si esprime con il verbo tedesco müssen. gli imperativi ipotetici si dividono in regole dell’abilità e consigli della prudenza - le regole dell’abilità sono tutte quelle pratiche che sviluppano un’abilità che si vuole acquisire(si deve subito fare pratica ospedaliera etc per diventare medico). -i consigli della prudenza sono per esempio “se vuoi vivere bene, fai sport, mangia bene etc”. 2-l’imperativo categorico comanda un dovere per il dovere stesso, per questo vale il verbo tedesco zollen. imperativo categorico significa proprio “non condizionato”. Ha un aspetto puramente formale, è uno soltanto. Comanda un imperativo che corrisponde con la ragione stessa, consiste nell’elevare a legge l’esigenza stessa della legge. la legge è l’universale per eccellenza, deve sussumere sotto di sè milioni di casi (non esiste una legge per ogni individuo differente), ed è la fonte perenne della moralità. nella fondazione della metafisica dei costumi da poi altre due formule diverse dell’imperativo categorico. nella critica della ragione pratica Kant dice “agisci sempre in modo che la massima della tua volontà possa valere contemporaneamente come principio di una legislazione universale”. questa formula non dice qualcosa di particolare (non rubare, non tradire, non ammazzare -missione valchiria- etc), ma è una formula formale. non ha connotati materiali, ma solo formali. infatti la legge non comanda niente di preciso, stabilisce solo la forma universale e perpetua). esempio spiegazione frase sopra: se sto sulla riva del mare e vedo roberta che annega (speriamo) posso scegliere se buttarmi o meno. devo chiedermi “se tutti agissero come farei io, che mondo esisterebbe?”, cioè se tutti salvassero rob un mondo fantastico, se la fanno annegare un mondo di merda perché non c’è solidarietà. (0 solidarietà per roberta). dalla legge morale si va poi ai sensi che Kant chiama “tipica del giudizio puro pratico”, che è il medium che mette in grado la legge morale (puramente formale, vuoto) di tradursi in una azione concreta. kant la chiama tipica perché, in greco, il termine “tupos” significa “figura”, cioè tipo skema. è quella figura che permette, così come faceva lo schema nella ragione pura (che traduceva in termini temporali le categorie, quindi mediare due grandezze eterogenee tra loro sensibilità ed intelletto-), a mediare la dimensione sovrasensibile della legge con quella sensibile della azione. sovrasensibile significa al di sopra della sensibilità comune (es se vedo roberta che annega io la lascerei morire a causa della mia sensibilità immediata, se la salvo vado al di là della sensibilità comune, un animale -ma anche io- scapperebbe e non la salverebbe). la ragione patologica empirica è quindi inferiore, decido io se seguirla o meno, e quindi elevarmi. il medium è la natura sensibile (se tutti agissimo come faccio io ora, che mondo ne verrebbe fuori?), la tipica è lo skema (termine di paragone con valore analogico) tra la dimensione sovrasensibile della legge morale (o imperativo categorico) e sensibile della azione. ciò è conseguente del fatto che l’uomo ci vive in mezzo, l’uomo è animale razionale, ha quindi entrambe le dimensioni. questa bidimensionalità porta a tutte queste conseguenze, in primis quella secondo la quale la virtù è l’intenzione morale in lotta, cioè una lotta tra la ragion empirica pratica e la ragione pura pratica. nella fondazione della metafisica dei costumi Kant fornisce altre due formulazioni dell’imperativo categorico (è sempre uno). -la seconda formulazione dice che quando agisco, devo tener conto della dignità umana che è in me e negli altri, considerandoli anche sempre come fini e mai come mezzi. (dignità=l’uomo è fine a se stesso, le altre cose sono utilizzabili, hanno un prezzo. anche=tiene conto anche della fragilità umana, se guardassimo SEMPRE il fine e non il mezzo nelle persone, non avremmo la virtù ma la santità, cioè la perfetta adesione alla legge). questa azione morale che tratta gli altri come fini istituisce quella che Kant chiama regno dei fini, che è quella dimensione utopistica (proiettata all’infinito) del mondo in cui gli uomini non sono più dei mezzi ma diventano dei fini gli uni per gli altri. -la terza formula ripete sostanzialmente la prima (quando agisci fai in modo che la massima…), perché dice “fai sempre in modo che la volontà possa valere come principio di una legislazione universale”, mette in evidenza il carattere libero della volontà. da tutto questo, ricaviamo in maniera sistematica quelli che sono i caratteri fondamentali della morale di Kant. la morale di Kant è -formale, comanda la forma stessa dell’imperativo -fondante, rappresenta il fondamento della morale e non vi è un altro principio sul quale la morale sia fondata. la morale è il fondamento stesso della morale, un fondamento a se stante -anti utilitaristica, agisco sempre in condizione della mia dignità umana, che appartiene anche agli altri esseri umani, trattandoli ANCHE come fini e NON SOLO come mezzi. devo rispettare la libertà che è in me ma che è anche negli altri -rigoristica, il termine rigore deriva da rigere, cioè indurire. è rigoristica nel senso che nella morale di Kant non è ammesso nessun tipo di sentimento, è un factum razionale. l’unico sentimento ammesso è il rispetto per la legge. una cosa è comportarsi bene per ossequio alla legge, una cosa è per ossequio alla morale (differenza legalità e moralità. esempio fantasma di Kant ngopp via caracciolo). la psicologia successiva distinguerà poi l’auto spettacolarizzazione del sé dalla morale. tutto ciò permette di individuare anche in campo morale una rivoluzione copernicana realizzata da Kant, perché non sono più le nozioni di bene e male a formare l’etica, ma è il soggetto stesso che fonda le nozioni di bene e male. è un’etica autonoma, non eteronoma. 14 novembre 2022 un’azione per non essere semplicemente legale ma anche morale ha bisogno di un assenso interiore. Per Kant, la legalità consiste nella adesione alle legge esterna (per esempio non passo con il rosso solo per un fatto legale, per lo ius), mentre la moralità è la convinta adesione non alla legge esteriore, bensì a quella interiore, cioè l’imperativo categorico. Nomos basileus≠fusis (questo contrasto porta anche alla tragedia, che scaturisce dal contrasto insanabile tra le leggi convenzionali e la legge interiore, che fa parte della fusis. Cosa devo fare? Obbedire a Creonte -mio fratello insepolto- o seguo la legge morale -seppellisco mio fratello contro il volere di Creonte). Tutto questo pertiene al campo della analitica della ragione pratica, nel campo della quale si può raggiungere la volontà buona che rappresenta il bene supremo, supremo sembra il superlativo assoluto, ma in realtà c’è qualcosa ancora più assoluto del bene supremo che è il sommo bene, oggetto della dialettica della ragione pratica la dialettica della ragione pratica cos’è il sommo bene? Il bene sommo è l’addizione di virtù e felicità. In generale e per lo più, comportandosi in maniera virtuosa, in genere non si è felici. Chi è virtuoso non è felice, chi è felice non ha la virtù. Kant nella dialettica, prende in considerazione il sommo bene, cioè l’assoluto morale che dà origine ad un conflitto, ad una antinomia, che si crea tra virtù e felicità. Kant sostiene che nel pensiero antico questa antinomia è stata sanata dagli stoici ed epicurei, in realtà non è accaduto perché già loro si sono resi conto della antinomia che sussiste tra virtù e felicità; gli stoici risolsero la felicità nella virtù, mentre gli epicurei risolsero la virtù nella felicità. Per gli stoici basta comportarsi in maniera virtuosa per essere felici, quindi inglobano la felicità nella virtù. Gli epicurei pensano che basta essere felici (eudaimonia, stato in cui non ti manca nulla) per essere virtuosi. Kant non è soddisfatto da queste due equazioni, perché non fanno che assorbire l’una nell’altra. Il sommo bene potrebbe essere realizzato solo da un santo. Kant allora mette campo ai postulati della ragione pratica. I postulati sono verità non dimostrabili che servono a corroborare quello che l’imperativo categorico(≠assioma che ha valore in se stesso, tipo il quadrato ha quattro lati). I postulati della ragione pratica sono tre: l’immortalità dell’anima l’esistenza di dio la libertà Ci viene da dire che Kant nella dialettica trascendentale della critica della ragion pura aveva dimostrato che non esiste l’anima, ma solo l’io penso; che dio è indimostrabile. Sta ammettendo ciò che aveva negato. Non è come pensiamo: 1. 2. 3. nel primo postulato sostiene che, poiché in questa vita non è possibile realizzare la santità, si può eventualmente postulare che esista dopo la nostra morte un tempo infinito nel quale la nostra anima possa progredire verso la santità. nel secondo postulato scioglie l’antinomia della ragione pratica consistente tra la virtù e la felicità, perché se postulo l’esistenza di Dio, ammesso e non concesso che esista, allora Dio farà corrispondere la felicità al merito, cioè se mi comporto bene dio mi premia con la felicità eterna (questo discorso serve solo come oggetto di fede) * nel terzo postulato vi è una differenza rispetto agli altri: questo non è un postulato religioso, ma laico. Kant nella critica della ragion pura non lascia spazio alla libertà, mentre nella critica della ragion pratica ammette la libertà. Della libertà abbiamo però almeno la prova tangibile, il fatto che siamo liberi ci è testimoniato dal fatto che possiamo comportarci secondo o non il dettato dell’imperativo categorico. Mentre per gli altri postulati non sappiamo cosa siano o se siano, per la libertà possiamo. Perché Kant annovera, allora, anche la libertà tra i postulati? Per coerenza, cioè una verità non scientifica, perché nella critica della ragion pura la libertà non esiste. Tutto ciò può risolvere l’antinomia della ragion pura spostandola ad un eventuale mondo ultraterreno; per quanto riguarda questa vita, virtù e felicità sono destinate a rimanere in continuo conflitto, portando all’oggetto della dialettica della ragione pratica. *sempre differenza tra teoretico e pratico. I postulati non sono razionalmente formulati, sono un qualcosa in più, delle ragionevoli speranza che possono eventualmente colmare la mia azione morale. L’uomo morale di Kant è quello che si comporta bene solo in ottemperanza alla legge morale, con eventualmente in più la ragionevole speranza che in un eventuale mondo ultraterreno possa essere sanata questa antinomia felicità-virtù. Se invece di essere postulati fossero verità scientifiche, la morale ne uscirebbe distrutta, sarebbe di nuovo eteronoma. Se potessimo dire, come possiamo dire che 2+2=4, che esiste un Dio che associa i meriti ai premi e ai demeriti le punizioni, allora avremmo un mondo che è un regno dei fini. Ragionevole speranza=l’immortalità dell’anima e l’esistenza di dio non son un semplice articolo di fede, ma sono una fede accompagnata da un elemento razionale, spero e baso questa speranza su qualcosa di ragionevole. La felicità terrena, per Kant, non esiste (felicità+virtù=santo). La morale ha una primazia rispetto alla ragione teoretica. La ragione pratica ha un primato sulla ragione teoretica per due motivi: 1. 2. Per la prevalenza della azione pratica su quella teoretica. Kant in pratica sta dicendo che è meglio un uomo morale ignorante rispetto ad un gran sapiente immorale La ragione, nel suo uso pratico, può ammettere, ancorché a livello di postulato, cose che la ragione teoretica non può. La morale teoretica non può ammettere ne l’immortalità dell’anima, ne l’esistenza di dio, ne la libertà, nemmeno a livello di postulato. La critica del giudizio Da questo risulta la compresenza di quello che molti critici hanno chiamato “dualismo platonizzante” in Kant, cioè una separazione tra l’uomo della ragion pura e l’uomo della ragion pratica. Per cercare di avvicinare il mondo del teoretico e del pratico, Kant nel 1790 scrive la critica del giudizio (critik des urteils), nella quale Kant si chiede cosa può sperare. La critica del giudizio rappresenta l’anello di passaggio tra l’illuminismo e il romanticismo. Il tema portante è il sentimento, che in qualche modo avvicina la dimensione del mondo teoretico e pratico. Per sentimento, Kant intende una specifica facoltà, che è la facoltà di considerare e interpretare il mondo sub specie finalis, cioè sotto il punto di vista della finalità. Se per esempio consideriamo uno scheletro umano, diciamo “guarda che bello, sembra fatto apposta per il fine di reggere l’animale. La natura ha predisposto questo tipo di scheletro per dare la stabilità all’uomo”. Il sentimento è quella facoltà che ci fa interpretare (non conoscere!!) il mondo dal punto di vista finalistico. Il suo organo è proprio il giudizio. Il giudizio si divide, per Kant, in due modalità: Igiudizi determinanti, che sono quelli della ragione teoretica/scientifica, cioè i giudizi che determinano l’oggetto. Es: io cartesiano stabile fondamento dell’apparire, io Kantiano stabile fondamento dell’apparire e del suo costituirsi, perché l’oggetto proviene a me in maniera caotica ed io lo ordino secondo le forme a priori della sensibilità e delle categorie. L’oggetto alla fine viene costituito, ma da ME, non per sé. Il giudizio determinante è un giudizio teoretico I giudizi riflettenti- la nostra mente riflette su degli oggetti che sono già costituiti: se vedo un bel fiore, a livello di sentimento non ho bisogno di collocarlo nelle forme a priori di spazio e tempo oppure categorizzarlo perché l’ha già fatto la ragione teoretica, nel campo del giudizio riflettente io rifletto su un oggetto che io ho già determinato. Nell’esempio dello scheletro a me non interessa, in sede di giudizio riflettente, vedere lo spazio, il tempo, la forma etc perché già lo fa la ragione teoretica, a me interessa solo riflettere sub specie finalis su quell’oggetto che si è già determinato. La finalità non è tra le dodici categorie. Il giudizio riflettente è un giudizio sentimentale. Kant dice che nel giudizio determinante l’universale è già dato (spazio, tempo e categorie), nel giudizio riflettente l’universale (la finalità) va ricercato i giudizi riflettenti si dividono in: o giudizi estetici o giudizi teleologici entrambi sono giudizi sentimentali, quindi basati sulla finalità, ma nel giudizio estetico la finalità è avvertita come qualcosa di immediato, mentre nel giudizio teleologico la finalità è avvertita come qualcosa di concettualmente immediato. La differenza sta nel diverso rimando al finalismo: i giudizi estetici rimandano alla finalità in termini di immediatezza, mentre i giudizi teleologici rimandano al finalismo in termini di mediazione intellettuale. Esempio giudizio estetico immediato: quando penso che un fiore sia bello, lo penso immediatamente non ho bisogno di ragionarci sulla sua bellezza. Esempio giudizio teleologico: se dico che lo scheletro umano è bello, io ci devo ragionare, perché effettivamente fa pure schifetto lo scheletro umano, penso che sia bello per la sua finalità. Kant chiama il giudizio estetico come soggettivo, mentre quello teleologico come oggettivo, perché si basa su dei concetti, anche se sono concetti sentimentali, non teoretici, altrimenti ci sarebbe una scienza della bellezza (cosa assurda per Kant, il finalismo non è teoretico) 17/11/2022 Nella critica del giudizio manca l’estetica (si tratta di giudizi riflettenti, quindi è già avvenuta tutta la costituzione dell’oggetto) e si divide in critica del giudizio estetico e in critica del giudizio teleologico. Ognuna di queste due parti si divide, a loro volta, in una analitica del giudizio estetico e dialettica giudizio estetico. L’analitica esamina quella che è la dottrina del bello e la dottrina sublime. La critica del giudizio apre la temperie del sentimento romantico. Allo stesso modo, la critica del giudizio teleologico si divide in una analitica del giudizio teleologico e una dialettica del giudizio teleologico. L’analitica del giudizio estetico Kant tenta di dare una definizione alla bellezza, o meglio il sentimento che sta alla base della bellezza dividendo il giudizio estetico in quattro parti, che sono le modalità del giudizio, quindi per qualità, quantità, modalità e relazione (una definizione del sentimento che attinge al bello per ogni modalità, le più importanti sono le prime due). 1. il primo prisma, qualità: il bello è l’oggetto di un piacere disinteressato. Quando vedo uno spettacolo bello, il primo prisma con il quale si presenta e il disinteresse (il marinaio vede il mare con interesse perché è la sua forma di guadagno, Leopardi contempla il mare in maniera disinteressata). La bellezza è oggetto di un piacere estetico disinteressato 2. il secondo prisma, quantità: il bello è l’oggetto di un piacere universale senza concetto. Quando ammiriamo qualcosa di bello, tendiamo all’universalità, non ammettiamo repliche diverse, perché pensiamo che sia universalmente condiviso, ma non la basiamo su un concetto (2+2=4, tutti condividono perché si basa su dei concetti, se dico che puledra è bella è un giudizio mio). Questa frase porrà poi le basi del problema della deduzione del giudizio estetico 3. Il terzo prisma, relazione: la bellezza è l’oggetto di un piacere che è basato su una finalità senza scopo. 4. quarto prisma, modalità: la bellezza è l’oggetto di una necessità extra-logica; il giudizio estetico tende ad una condivisione universale (come il 2 prisma). Sostanzialmente, proprio perché il bello è oggetto di un giudizio sentimentale, del bello non si può dare una definizione concettuale. Non può esistere un manuale della bellezza, tanto è vero che Kant è fautore di una vera e propria educazione alla bellezza. Kant nella critica de giudizio dice che i bambini, dalla più tenera età, dovrebbero essere portati nei musei in modo tale da avere a che fare direttamente con la bellezza per sviluppare il giudizio estetico, ma non dare definizione della bellezza, perché se desse una definizione saremmo sul piano Concettuale e non più sul piano sentimentale. Ma ora ci viene da chiedere: noi siamo abituati alla varietà dei giudizi sulla bellezza, com’è che Kant fissi questo prisma nella universalità, della necessità? Perché per kant il campo della bellezza è estremamente ridotto, non tutto ciò che piace per Kant è necessariamente bello. Innanzitutto lui distingue il: piacevole: è ciò che piace ai sensi nella sensazione (es: ma che bel ragazzo che è x, noi non stiamo esprimendo dei giudizi estetici puri, ma stiamo esprimendo dei giudizi estetici Empirici/patologici che sono basati sulla passione del momento). Il piacere è l’oggetto di giudizio estetico empirico, che riguardano l’esperienza sensibile piacere estetico puro: bada soltanto alla pura forma di ciò che noi definiamo bello, la pura rappresentazione formale (un fiore è bello) Un’altra distinzione che kant fa: - -pulchritudo vaga,bellezza libera: bellezza che non ha a che fare con nessun modello e quindi. È oggetto di un piacere estetico puro -pulchritudo aderens, bellezza aderente. Per esempio, quando dico che una libreria è bella pongo un giudizio estetico empirico perché bado alla bellezza aderente, nel senso che ho in mente un ideale di libreria e questa libreria particolare aderisce a quell’ideale). Quindi se tolgo tutto il campo del piacere, della bellezza aderente, vediamo che il campo della Bellezza vero e proprio si riduce tantissimo. Per Kant c’è un ulteriore restringimento: non solo l’oggetto del piacere estetico puro è così ridotto perché bisogna fare la tara sia di tutto il campo enorme del piacere sia di tutto il campo enorme della bellezza aderente, ma si rstringe ulteriormente al campo della bellezza naturale. Tratterà anche del campo della bellezza artistica ma in maniera molto ridotta. Tutto questo meccanismo mette capo a quella che è la deduzione del giudizio estetico puro: Come facciamo noi a dire che la natura è bella se non l’abbiamo creata noi? come facciamo a formulare questi giudizi? Da cosa nasce il giudizio estetico puro? Per kant il giudizio estetico puro nasce da un libero scambio tra immaginazione e l’intelletto. Che cosa succede quanto noi proviamo il sentimento della bellezza/del bello? Per kant alla base del giudizio estetico puro c’è un libero gioco tra l’immaginazione e l’intelletto L’immaginazione coglie l’immagine del fiore e la presenta all’intelletto, e l’intelletto la trova adeguata a quello che è il suo ordine perché quella cosa è ben proporzionata, ben ordinata. In altri termini si crea una osmosi tra l’immaginazione che coglie l’immagine della cosa bella e le esigenze di ordine dell’intelletto. Il sentimento che ne scaturisce è quello della bellezza, il sentimento della bellezza come armonia (armonia dal greco armozein; connettere collegare. E’ un verbo che si usava per dire che lo scafo di una nave era stato costruito bene. Il termine armonia corrisponde a quello che i romani chiamavano concinnitas. La definizione più icastica del termine concinnitas è quella di gian battista alberti nel suo libro “de rae edificatoria -sulla materia edificatoria-“, “la concinnitas è armonia, è quella connessione di parti ben precisa tal che non si può ne aggiungere, ne togliere, ne cambiare una cosa, senza renderla più brutta.” Per leon battista alberti le caratteristiche della bellezza sono: il numerus(l’armonia matematica), la finizio(ne senso della definizione delle parti) e la collocatio) Anche nella critica del giudizio Kant compie UNA RIVOLUZIONE COPERNICANA, e consiste nell’affermare che la bellezza non è nelle cose ma in noi, cioè siamo noi che proiettiamo questo sentimento sulle cose (un fiore, in se e prr se, non è ne bello ne brutto). Il bello è una qualità di quell’essere sovrasensibile che ha dentro di se la legge morale e giudizio estetico. La bellezza non è una piacere che la natura fa noi, ma siamo noi che facciamo alla natura. Dice Kant “la natura è bella quando ha l’apparenza nell’arte, l’arte è bella quando ha l’apparenza nella natura”. La natura è bella quando è quasi un’opera d’arte e un’opera d’arte è bella quando riesce a riprodurre la natura. Se per formulare il giudizio estetico(cogliere il bello) c’è bisogno del gusto, invece per produrre il bello c’è bisogno del GENIO, il genio è il medium(qualcosa che sta a metà strada tra la natura e la cultura). ( per kant i grandi pittori, scrittori..ecc sono dei geni. Mentre i grandi scienziati sono degli ingegni). La caratteristiche fondamentale del genio è il talento (incrinazione naturale): talento è quindi sia il patto della bilancia ma anche ciò che nella bilancia veniva pesato e in genere veniva pesata la quantità di argento o di oro che costitutiva la moneta. Quindi il talento diventò anche uan moneta. Il termine talento inteso come ingenium rende tute e due le cose: l’incrinazione della bilancia e il valore della moneta) Quindi per realizzare un’opera d’arte cìè bisogno di un genio che è il tred union tra la natura e l’arte. Quali sono le caratteristiche del genio: compie un’opera assolutamente originale, di cui poi coloro che non sono geni dipingono alla maniera di questi(la bottega di caravaggio) da luogo ad una maniera,a un modo di dipingere che rappresenta una copia il genio non sa dire come ha compiuto quell’opera( se chiedo a caravaggio tecnicamente come ha fatto, lui dice che gli viene naturale) Queste caratteristiche aprono al porta alla considerazione romantica del genio, a quello che poi in ambito romantico si chiamerò TITANISMO. Kant è anche il primo che marcherà il territorio di quella caratteristica dell’arte che poi sarà espressa da benedetto croce: ovvero la assoluta autonomia dell’arte. A proposito dell’estetica di Kant, si parla di una forma di IDEALISMO ESTETICO. Non è che Kant sia una idealista, anzi nella seconda edizione della critica della ragion pura ha posto una critica dell’idealismo ante litteram, prevedendo che si sarebbe sviluppato qualcosa del genere. Perché si parla di idealismo estetico? Accade la stessa cosa di quando diciamo che le forme a priori di spazio e tempo hanno non solo una idealità trascendentale ma anche una realtà empirica; idealità trascendentale qui significa la stessa cosa: il bello non è una qualità intrinseca degli oggetti, non è una qualità ontologica che vado a rilevare con il mio giudizio di gusto. Quindi la RIVOLUZIONE COPERNICANA dell’estetica: per Kant, il bello sta nella mia mente, non sono le cose ad essere belle, ma è il giudizio di gusto che proietta il sentimento di finalità sulla realtà; dice Kant “è come se fossimo noi a fare un piacere alla natura, e non viceversa”, questo atteggiamento che vede il bello come una qualità ideale (che pertiene alla mente) fa si che l’estetica di Kant venga definita come una forma di idealismo estetico Filosofia 24 novembre 2022 L’IDEALISMO l’idealismo nasce con Fichte, Schelling e Hegel (tutte personalità tedesche) nello stesso periodo in cui vive Kant. L’idealismo risulta preparato da tutta una serie di filosofi che citeremo semplicemente, ma che non fanno altro che costituire la pars destruens della filosofia Kantiana. questi pensatori vengono chiamati critici immediati di Kant o proto idealisti (perché costituiscono la parte propedeutica all’idealismo, sono già con un piede nell’idealismo) e vivono in quella atmosfera (stimmung) culturale che è individuabile tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800. In Germania si sviluppa un nuovo filone di pensiero apertamente contrario alla ragione illuministica e Kantiana, cioè quella che riconosce e sottolinea i limiti dell’umano (cioè poteri sì validi, ma fortemente limitati dall’esperienza, la filosofia Kantiana si può tradurre come “ermeneutica della finitudine”, cioè interpretazione della finitezza umana, come diceva abbagnano). questa nuova ragione che inizia ad affermarsi in Germania è insofferente a questi limiti, alla ragione Kantiana, e soprattutto ai dualismi lasciati aperti da Kant. quali sono i dualismi fondamentali di Kant? quello del fenomeno e noumenon, poi quello tra foro interiore e inferiore, quello tra l’uomo della ragione pura e pratica etc. l’idealismo rappresenta la punta del romanticismo, è la sua declinazione filosofica, insofferente della ragione Kantiana, rivalutando esperienze come la fede religiosa, l’arte che Kant aveva indicato come conoscitivamente improduttive, e possono al massimo mettere capo ad un vago pensare (kant pone una differenza tra conoscere e pensare) e vengono ora utilizzati come veri e propri mezzi per la conoscenza. l’idealismo può essere sintetizzato da un verso da Holderlin “l’uomo è un mendicante quando pensa e un dio quando sogna”, viene quindi rivalutato qualcosa di impalpabile come il sogno contro la ragione pensante (≠Kant, con l’idealismo il pensiero si libera dalle catene dell’empirismo e poi dell’idealismo). l’oggetto di questo sogno (sehnsucht=desiderio del desiderio) è l’aspirazione all’infinito con tutto ciò che comporta (infinito=oggetto, sehnsucht=sentimento). se Kant aveva messo capo ad una metafisica del finito (metafisica=scienza dei limiti della ragione umana), con gli idealisti avremo una nuova metafisica dell’infinito, l’infinito è il principio filosofico a cui gli idealisti aspirano, che va al di là dei dualismi posti da Kant e che dia senso alla realtà. la scienza dell’infinito è il sapere granitico, empiristico dell’infinito. Tutto questo è preparato dai proto idealisti. La critica dei proto idealisti Prima di arrivare all’idealismo, però, i proto idealisti portano avanti la pars destruens. I proto idealisti (Reinoldnhold, Schulze, Beck e Maimon) si basano sulla prima edizione della critica della ragione pura, basandosi su un deliberato fraintendimento di Kant (ceh fanno gli stronzi e fanno apposta a basarsi su questa edizione contorta, invece che sulla seconda che è più ordinata). qual è l’unico obiettivo dei proto idealisti? quello di distruggere il concetto di cosa in sè, che dai proto idealisti viene sentito come un muro invalicabile. Kant aveva posto il noumenon come un insormontabile limite tra pensare e conoscere; mentre per i proto idealisti rappresenta la sconfitta della ragione, e questo viene percepito come un limite intollerabile. per eliminare il concetto della cosa in sé, bisogna dimostrare le contraddizione. il metodo usato da tutti i proto idealisti è quello di ridurre il Kantismo ad una forma di idealismo coscienzialistico (leggendo la prima edizione). Nella prima edizione della critica della ragion pura, Kant parla del fenomeno come rappresentazione e del noumenon come oggetto della rappresentazione (nel senso di correlazione oggettiva); nella seconda edizione parla del fenomeno come oggetto della rappresentazione (oggetto reale appreso mediante le forme di pre-comprensione, ma non è una rappresentazione) e del noumenon come memento critico dei nostri limiti (conoscibile solo da un probabile intelletto divino, è un oggetto trascendentale). i proto idealisti riducono il Kantismo a idealismo coscienzialistico (=io mi rappresento il mondo, non vedo la realtà ma la mia rappresentazione della realtà, perché riduce il mondo a rappresentazione e la rappresentazione a coscienza) e pongono due critiche fondamentali: 1. 2. Se tutta la visione del mondo è rappresentazione, come faccio a dire che esiste una cosa che non posso rappresentare? La cosa in se è l’oggetto chiuso al pensiero (il pensiero non può arrivare nella cosa in se), ma i proto idealisti dicono che questo è contraddittorio, perché il concetto di una cosa in sé ha già una serie di attributi conoscitivi (es: il noumenon è trascendentale, è una x sconosciuta etc). si tratta di un fraintendimento perché Kant, nella seconda edizione della critica della ragion pura, parla del noumenon come un ens rationis, quindi senza contenuto (es silenzio, non possiamo dire cosa è il silenzio, non si può ascoltare il silenzio, al massimo c’è una dimensione senza rumori) Kant nella prima edizione aveva detto che il noumenon è la causa del fenomeno. Kant si sarebbe contraddetto perché avrebbe allegato la categoria di causa (applicabile solo al materiale empirico) al noumeno. nella seconda edizione però si corregge dicendo che il noumenon è un oggetto senza contenuto. Il termine idealismo l’idealismo ha tutta una serie di significati. l’idealismo è un’etichetta che diamo a persone che vivono in una dimensione intellettuale, tipo Mazzini che spende la sua vita a realizzare i suoi ideali). poi c’è un significato semi-filosofico cognato da Leibnitz, che intendeva come idealista tutte quelle posizioni del pensiero che prevedono una netta preferenza per la dimensione spirituale rispetto a quella materiale (es platonismo). il termine idealismo proprio come corrente filosofica nasce in questo periodo e si divide in idealismo gnoseologico e idealismo vero e proprio. -l’idealismo gnoseologico o coscienzialistico è l’insieme di quelle forme di filosofia che riducono la realtà a rappresentazione (il mondo non è altro che la mia rappresentazione, schopenhauer) -l’idealismo vero e proprio, quello metafisico, è quello che nasce con Fichte, Schelling ed Hegel. questo idealismo classico tedesco si basa su tre caratteristiche fondamentali. dai suoi stessi autori è stato indicato come idealismo trascendentale, idealismo soggettivo e idealismo assoluto. Trascendentale, perché ricalca il legame con Kant, è come se gli idealisti volessero dire “in realtà non facciamo altro che proseguire l’opera di Kant” soggettivo, perché Spinoza diventa il punto di riferimento degli idealisti, soprattutto di Shelling, perché ha ridotto tutta la realtà ad un unico principio, cioè la sostanza deus sive natura. Spinoza parla dell’assoluto intendendolo come natura, quindi è un infinito oggettivo, ecco perché ad essere infinitizzato è l’uomo, cioè il soggetto assoluto, perché è la tesi per la quale tutta la realtà è spirito e nient’altro che spirito, cioè quando gli idealisti usano il termine spirito intendono il pensiero umano. la realtà non è nient’altro che spirito perché, pur volendo ammettere che al di là del pensiero ci sia qualcosa, quel qualcosa nel momento stesso in cui lo penso non è al di là nel pensiero, ma è nel pensiero (es se penso che ci sia un Dio al di là del pensiero, poi sta nel pensiero). l’idealismo, come dice il prof Severino, realizza una rivoluzione copernicana molto più di quella Kantiana, perché l’idealismo realizza una forma più radicale di identità tra realtà e pensiero. Nota bene: 1. adequatio rei et intellectus=formula del realismo occidentale, cioè tra la realtà e la certezza c’è un rispecchiamento, una identità, la filosofia pre Kantiana intende la realtà come qualcosa di esterno al pensiero: il pensiero è il soggetto, la realtà è l’oggetto che vive indipendentemente. 2. con Kant c’è la scissione tra la verità e il pensiero, non posso mai conoscere veramente la verità (noumenon). 3. con l’idealismo c’è una nuova identità, c’è una nuova adequatio rispetto a quella pre-Kantiana, la quale era immediata. qui l’identità idealistica è mediata dall’eliminazione della cosa in sè, cioè non esiste più una cosa in sé rispetto al pensiero, indipendente dal pensiero. Quando penso la realtà, questa non è indipendente nel pensiero, ma si trova nel pensiero: tutto è pensiero. non esiste più la adequatio rei et intellectus, ma come ha scritto Giovanni Gentile “per l’idealismo, l’identità non è più pensata come adquatio rei et intellectus, ma come adquatio intellectus et intellectus”. È SCRITTO PURE SOPRA, SE TI COLLOCO COME PRESENTE, GIÀ SEI NEL MIO PENSIERO, NON FUORI. NON C’È UNA REALTÀ INDIPENDENTE DAL MIO PENSIERO SALOMON BEN JOSUA MAIMON Maimon fu matematico e filosofo, nato tra il 1753 e 1800; è stato sempre considerato uno dei proto idealisti, ma ha un suo ruolo fondamentale: condivide sì con gli altri tutto il processo della dissoluzione della cosa in sé, ma costituisce l’anello di passaggio dal proto idealismo all’idealismo vero e proprio, perché non solo si limitò alla pars destruens, ma anche a quella construens. Secondo Maimon, tutti gli oggetti ci vengono dati dall’esperienza secondo due dimensioni: -quella della datità, cioè il semplice fatto che una cosa si dà -quella della sua pensabilità, cioè noi cerchiamo di comprendere la cosa, e di ridurla progressivamente a pensiero. La conoscenza viene concepita, da Maimon, come una sorta di regressus ad infinitum, cioè il pensiero si occupa di ridurre al pensiero stesso qualunque oggetto che ci è dato. In questa operazione di riduzione a pensabilità della datità delle cose, il pensiero incontra l’impenetrabile limite costituito dalla stessa datità dell’oggetto (per quanti sforzi io faccia, non riuscirò mai ad avere una pensabilità completa dell’oggetto. Es:la scienza in evoluzione). Maimon riconosce quindi un limite alla conoscenza umana, però egli era un grande matematico ed intendeva eliminare in radice la cosa in se, come fecero i suoi precedessori. Maimon si rende conto che esiste un settore della conoscenza privilegiato rispetto agli altri, che è la matematica. Egli si basa su quelli che sono i numeri immaginari, che sono dei numeri che rappresentano la controparte immaginaria dei numeri reali, cioè sono numeri impossibili (radical -1, sotto radice solo pari). La matematica ha questa particolarità: un oggetto, nel momento stesso in cui viene pensato, si dà, cioè è all’interno del pensiero (esempio: potenza di due=quattro, io lo considero reale ma non ho mai visto una potenza). La conclusione è che esiste un settore privilegiato della conoscenza umana in cui un oggetto, per il solo fatto di essere pensato, si dà (cioè esiste). Maimon sostiene che l’oggetto in sé può essere paragonato a radical -1, cioè invece di segnare il limite del pensiero, documenta la spontaneità della nostra mente: così come nel campo della matematica possiamo immaginare delle cose cose che non esistono e che si danno all’interno del pensiero con la spontaneità della nostra mente, noi possiamo pensare il noumenon che esiste nella maniera in cui io lo penso. Quello che per Kant era qualcosa di insormontabile (cioè il noumenon), per Maimon diventa il documento della straripante immaginazione umana. 30 novembre e 1 dicembre 2022 FICHTE biografia Fichte è il primo dei grandi idealisti ed è nato a Rammenau (un paesino della Sassonia) nel 1762 in una famiglia estremamente povera, il padre ferrava i cavalli ed è morto nel 1814. Da bambino frequentò solo le prime classi elementari, per diventare guardiano di oche. un importante tedesco gli pagò poi gli studi e si laureò in teologia (all’epoca comprendeva anche filosofia), fece poi il precettore in varie case patrizie per poi ottenere la cattedra alla università di Jena. mentre insegnava in case patrizie, assunse un giovane che doveva dare un esame sulla critica della ragion pratica, Fichte non conosceva Kant, quindi lo comprò e letteralmente lo divorò. Fichte è un filosofo morale, infatti l’idealismo di Fichte è detto IDEALISMO SOGGETTIVO O ETICO (per l’importanza che riveste il soggetto / perché è basato su principi morali che Fichte ha assorbito leggendo la critica della ragion pratica). Fichte andò poi a trovare Kant nel 1790 e gli diede “ricerca del fondamento razionale di ogni rivelazione” in lettura a Kant per averne un giudizio. l’opera piacque tanto a Kant, tanto che la propose al suo editore che la stampò in forma anonima. i lettori ne attribuirono la paternità a Kant, tanto è vero che il filosofo fu costretto a rivelare il vero autore. una volta successo, questo diede lo slancio a Fichte, e da qui iniziò la sua carriera universitaria. prese poi le distanze da Kant, anche se si pose come processore dell’opera di Kant. nel 1793 uscì però Kant ebbe noia con il problema della religione, infatti diceva che l’unica forma di religione era la prosecuzione dell’opera morale. Fichte prese le difese di Kant, infatti nel 1799 entrò in contrasto con il governo proprio per quanto riguarda la censura e perse la cattedra. allora c’era Schelling che assunse la cattedra del suo professore, per opera di Goethe. Fichte si spostò in altre località fino ad arrivare a Berlino, dove era in costruzione l’alte universitat di Berlino, in questo periodo proprio inizia il fervore culturale di Berlino. in questa università Fichte prima diventa professore e poi rettore. intanto aveva pubblicato la massima parte delle sue opere che portano il nome di “dottrina della scienza”. Il 14 ottobre 1806 ci fu la battaglia di Jena, nell’inverno del 1806 con l’occupazione di Berlino Fichte pronunciò i discorsi alla nazione tedesca, con i quali si riferiva non alla nazione prussiana, bensì a quella tedesca. lo stato commerciale chiuso è un’altra opera politica molto importante di Fichte, il quale intanto si era anche sposato, fu proprio la moglie che nel 1814 fece morire Fichte a causa di un’infezione che gli trasmise (lei faceva l’infermiera). la filosofia la filosofia di Fichte si pone come una prosecuzione della filosofia di Kant. l’idealismo nasce con Fichte mediante due processi: il processo di infinitizzazione dell’io e una sostanziale trasformazione del termine e del concetto di deduzione. infinitizzazione dell’io= in Kant l’io è una struttura puramente formale ed è una forma finita. i proto idealisti hanno messo in dubbio l’esistenza della cosa in sé, mentre Maimon inizia ad intravedere la creatività dell’io nel campo della matematica, quindi si afferma il tema non della ricettività della conoscenza umana ma della CREATIVITÀ DELLA CONOSCENZA UMANA, la matematica dimostra la creatività dello spirito (l’uomo nel momento in cui pone radical -1, impone come reale un qualcosa di immaginario). Con Fichte l’idealismo non è più solo gnoseologico, ma diventa idealismo in senso trascendentale, estendendo cioè la produzione della conoscenza a tutta la realtà, non solo alla matematica: è l’uomo che lo pensa. l’io non è più finito, ma diventa infinito. Se l’io è creatore della realtà, non esista niente al di fuori di me. se l’io è infinito non esiste niente al di fuori dell’io, e questo riporta ad elaborare il concetto di deduzione. - Kant parla di deduzione nel suo significato giuridico forense, quindi porre tutto sotto il quid iuris, non il quid facti. non è più una deduzione trascendentale, ma una deduzione metafisica vel assoluta. metafisica perché deve ricavare dalla prima condizione incondizionata (che è l’io) tutta la realtà. quando Fichte parla di deduzione metafisica vel assoluta intende dire che PARTENDO DALL’IO BISOGNA RICAVARE IL NON IO (cioè quello che non è io, quindi la natura, la cosa in sè e tutta quella sfera della nostra interiorità patica che non è riconducibile immediatamente all’io). il non io è l’oggetto APPARENTEMENTE esterno all’io ma anche la sfera patica (gli egoismi, gli impulsi etc) egoità Kantiana quando si parla di egoità cj si riferisce all’io. -in Cartesio l’io è lo stabile fondamento dell’apparire, -in Kant l’io diventa lo stabile fondamento del costituirsi stesso dell’apparire -in Fichte L’IO DIVENTA ANCHE LO STABILE FONDAMENTO DEL DARSI STESSO DELL’APPARIRE, quindi diventa un io creatore, che nel momento stesso conosce la realtà, la crea anche. La deduzione metafisica o assoluta. deduzione metafisica perché l’io è il principio di tutto. metafisica perché non è una deduzione gnoseologica, ma è una deduzione per la quale dal primo principio assoluto, che Fichte identifica nell’io, deve dedurre sia il soggetto che l’oggetto che il rapporto di tipo gnoseologico ed etico che avviene tra i due. parliamo di deduzione metafisica perché l’io, in Fichte, viene di nuovo metafisicizzato, diventa la sostanza della realtà; mentre in Kant è una forma. deduzione assoluta perché l’io è la condizione incondizionata del sapere, è l’absolutus -sciolto da ogni limitePossiamo quindi parlare di una dottrina della scienza. la dottrina della scienza la dottrina della scienza è il modello che si impone nella filosofia nell’epoca dell’idealismo. la filosofia perde il suo significato in questo periodo: filosofia significa amore per il sapere, quindi sottolinea l’orientamento verso la conoscenza, incarnato nella figura platonica di Eros. Ora la filosofia, in ambito idealistico, smette di diventare tensione verso il sapere e diventa la forma scientifica del sapere, quindi acquista un ambito epistemico. significa quindi scienza di scienza, il fondamento di tutte le scienze. questa dottrina della scienza, cioè questo fondamento unico di tutte le scienze, in Fichte si articola in tre posizioni, che sono dette dallo stesso Fichte grundsätzen (grund sezzen), cioè “posizioni fondamentali”, quindi tre tesi la prima suona in questi termini: “L’Io pone se stesso” la seconda “L’Io pone, nell’io, il non io” la terza “l’Io oppone, nell’io, ad un io divisibile un non io divisibile”. 1. la prima posizione dice che l’Io pone se stesso. l’Io è il fondamento della dottrina della scienza ed è la condizione incondizionata di tutto il sapere. I tre principi (l’io pone etc) sopra citati costituiscono le tappe logiche della deduzione (la scienza si articola in questa deduzione). il punto di inizio è l’Io che non viene posto da niente, ma è il principio originario (principio assoluto che gli idealisti cercano per intenderci). L’Io è la scaturigine prima perché Fichte ribalta completamente il rapporto tra logica e filosofia. Il principio della scienza, finora, era la logica (chiamata da Aristotele proprio come organon, nel senso di “strumento del sapere”), la logica si articola dei tre principi di identità, non contraddizione e terzo escluso. Il principio di identità dice che A=A (puledra è puledra), dice Fichte però che chi dice che questa equazione è valida non è A, ma è l’Io. Il rapporto logico presuppone come sua condizione una coscienza che ponga quel rapporto, ma la coscienza prima ancora di porre il rapporto A=A, deve porre A (prima di dire che il computer è il computer, deve porre il computer, perché il computer non parlerà mai e non si descriverà). Solo per dire che A=A, c’è bisogno che ci sia un Io che prima ponga A, e che poi ne riconosca l’equivalenza. Quindi, viene prima la filosofia e poi la logica. Alexandre Kojeve diceva “senza l’uomo, il mondo ci sarebbe, ma non sarebbe in vero”, cioè senza una coscienza umana nessuno riconoscerebbe la realtà. L’universo esiste per l’uomo: per in senso causale e finale: causale nel senso che nessuno riconoscerebbe le cose senza l’Io, finale nel senso che tutto esiste perché serve a me, fa parte di un mio progetto esistenziale. Il senso dell’oggetto è legato al soggetto che lo pone sia in maniera causale che finale. La realtà esiste per me. l’io pone sé stesso attraverso un’operazione di intuizione intellettuale: l’io intuisce intellettualmente la propria essenza, il proprio esserci (RICORDA: l’intuizione intellettuale, da Kant, era attribuita solo a DIO, non all’uomo). questo atto di porsi, Fichte lo chiama tathandlung; nell’accezione ordinaria questo termine significa agilità, ma nell’accezione Fichtiana significa un’attività (tath) il prodotto della quale azione ricade all’interno di sè stesso (quello che Spinoza chiamava causalità intransitiva, per la quale la natura è madre e figlia di sè stessa. è un’attività il cui prodotto non cade transitivamente al di fuori di questa attività, ma stesso nell’interno. l’azione e l’atto quindi coincidono, ed è quello che accade nella tathandlung, che porta all’equazione io=io). Giovanni Gentile, filosofo neo-idealista, chiama questa auto-posizione dell’io come autoctisis (autó+titemi). La posizione della tathandlung, insieme allo streben (=sforzo) 2. 3. la seconda posizione esplicita, nella sua definizione, che tutto è nell’io. il non io è tutto ciò che non è io (non è il contrario, ma il contraddittorio. contrario del bianco=nero; contraddittorio del bianco=tutte le infinite sfumature di tutti i colori che non siano il bianco). il non io è la natura, l’oggetto etc (tutto ciò che non è soggetto!). per non io, Fichte non solo intende l’oggettività esterna (roberta è un oggetto per me, anche se lei è soggetto. perché i soggetti appaiano ai miei occhi come dei soggetti all’inizio, poi capisco che è un essere umano al pari di me), ma anche l’oggettività interna: internamente, si oppone all’io tutta la sfera affettiva; gli impulsi non sono l’io, perché l’io è IL RAZIONALE, che è contrapposto a ciò che non si lascia ricondurre immediatamente alla ragione, come gli istinti. l’io pone il non io, questo per due motivi fondamentali: un motivo elementarmente dialettico: perché nel momento in cui dico “io sono io”, intendo dire che sono io e di conseguenza, contemporaneamente, sono l’opposto di tutto quello che non è me stesso (“omnis determinatio, est negatio”. cit spinoza) (io sono io, quindi non sono un cappello) un motivo a cui ruocco non da un nome: abbiamo già detto che l’io è attività (ricorda che Fichte attinge alla critica della ragion pratica), infatti l’atto con il quale pone se stesso è un atto attivo. questa azione, se non avesse un ostacolo, che azione sarebbe? l’io deve porre il non io perché deve agire su di lui. la nostra vita non è altro che una corsa ad ostacoli, foss na pall senza ostacoli. l’attività ha bisogno di un ostacolo che la oppone, perché altrimenti sarebbe un’attività che non può agire. l’io pone il non io per superarlo, e deve superarlo perché l’io è azione, attività. questo non io viene posto sempre nell’io, perché al di fuori dell’io non c’è niente. si trova all’interno dell’io in primis perché è l’io che lo pone, ma anche perché il non io è per l’io (per in senso causale e finale, al senso di superarlo) la terza posizione - l’io si trova ad essere limitato dal non io, anche se l’ha posto lui (l’ha posto affinché possa essere superato). che vuol dire un io divisibile? vuol dire molteplice. il termine divisibile è un termine Fichtiano (taibaren= dividere). con questa posizione arriviamo alla scienza del weltheit (weltait. welt=mondo), cioè “mondità”, ovvero la scena del mondo che è costituita da un insieme di soggetti (tanti io divisibili), è come se l’io si fosse scomposto in tutta una serie infinita di soggetti (questo intende fichte con “ad un io dividibile…un non io altrettanto divisibile). mentre il non io è l’oggetto in generale, il non io divisibile sono i tanti oggetti che noi incontriamo (sia oggetti esterni empirici, che interiori tipo le emozioni). A questo punto arriviamo alla scena del mondo dove abbiamo tanto egoità, di fronte ai quali si trovano tanti non egoità (esempio del bambino scassacazzo che scopre il mondo e vede tutti come degli oggetti). queste tre posizioni fondamentali non vanno intese in maniera cronologica, bensì in maniera logica. esiste cioè un io che, per poter essere tale, deve incrociare un ostacolo (non io), trovandosi ad essere limitato dal non io. tutte e tre le posizioni sono contemporanee. nella realtà esiste un io che per essere tale (cioè attività) deve trovare un ostacolo (non io), trovandosi ipse facto ad essere limitato dal non io. qual è il rapporto tra l’Io e gli io empirici? tra l’Io e gli io empirici c’è lo stesso rapporto che sussiste tra la umanità e l’uomo. ognuno di noi è uomo, quindi appartiene all’umanità che costituisce la sostanza degli uomini. c’è lo stesso rapporto tanto è vero che l’io si trova a vivere nella situazione della mondità che presenta già dei non io empirici, però abbiamo detto che il non io esiste per essere superato: poiché io è attività ha bisogno di ostacoli, per cui l’io empirico è tensione continua a diventare io puro, cioè un io privo di ostacoli, è l’io originale. tutti gli Io non sono altro che lo sforzo (lo streben) conoscitivo e morale. conoscitivo nel momento in cui tenta di conoscere il non io e ridurlo ad io (ricorda Maimon=dalla pensabilità alla dadità). l’idealismo quindi passa dal piano immediatamente gnoseologico al piano metafisico: tutta la realtà è posta da me. morale perché tenta di imporre la legge dell’io al non io che abita dentro di se, quindi tenta di ridurre gli impulsi alla legge dell’io. la vita dell’io empirico è questo continuo sforzo di superare gli sforzi (esterni ed interni) e raggiungere la purità dell’io, ma questo è impossibile, perché significherebbe essere privo di ostacoli, e la sua stasi sarebbe quello della morte (attività senza ostacoli=nulla). quindi si tratta di uno streben continuo. come l’umanità è la radice ontologica degli uomini, l’Io puro è la radice ontologica degli io empirici e la radice deontologica (il dover essere), cioè costituisce il fine (che è irraggiungibile) filosofia 16 e 22 dicembre la scelta fra dogmatismo e idealismo questo è un piccolo capitolo che si trova nella scienza nuova; Fichte sostiene che dogmatismo e idealismo sono i due massimi sistemi del mondo, tanto è vero che la filosofia, secondo Fichte, non è altro che una riflessione sulla esperienza. nella esperienza entrano in gioco due dimensioni: il soggetto e l’oggetto, il cui rapporto determina la scelta tra dogmatismo e idealismo. cosa sono? -il dogmatismo consiste nel puntare preliminarmente sull’oggetto facendo per il momento astrazione del soggetto e poi, partendo dall’oggetto, spiegare anche l’oggetto. il concetto è questo: ho l’oggetto e il soggetto, e devo ridurre l’oggetto a pensabilità come insegna maimon. il dogmatismo consiste a puntare prima sull’oggetto, e da questo ricavare il soggetto. -l’idealismo consiste nel puntate preliminarmente sul soggetto facendo per il momento astrazione dell’oggetto e poi, partendo dal soggetto, spiegare il soggetto, l’oggetto e il rapporto tra soggetto e oggetto (io, non io, la mondità). dice Fichte, il dogmatismo in termini gnoseologici ricade nel realismo, in termini etici ricade nel fatalismo, nel senso che chi è un dogmatico è per sua natura fatalista perché ritiene che la natura domini il soggetto. chi sceglie invece l’idealismo, ritiene di essere libero dalle cose. la scelta dipende da quello che si è come uomini: -ci sono uomini che non riescono a trovare se stessi se non nelle cose, nel dominio della cosalità, quindi sono dei dogmatici partendo dalla cosa e trovando difficoltosamente il soggetto -ci sono uomini che sono riusciti ad andare al di la della cose e scelgono l’idealismo. Fichte fa tutto un discorso retorico per sottolineare ovviamente la bontà dell’idealismo. per Fichte non ci sono degli argomenti scientifici/razionali a favore dell’uno o dell’altro, la scelta è puramente etica: la scelta è etica, cioè chi sostiene l’idealismo lo fa perché ha una sua conformazione della personalità che lo porta ad affrancarsi dalle cose. l’idealismo e il dogmatismo, dice Fichte, sono i sostenici, cioè si possono sostenere con la stessa forza e determinazione. alla fine del capitolo però, oltre ad essere una scelta etica, Fichte sostiene che la scelta dell’idealismo si profila anche come una scelta teoretica, perché sostiene che chi è dogmatico coerente, partendo dall’oggetto, difficilmente potrà spiegare il soggetto (ricordati la frase di Kant nell’analitica del giudizio, “una ragione scientifica non riesce a spiegare nemmeno un filo d’erba”). Fichte ha quindi assegnato una superiorità non solo etica ma anche teoretico all’idealismo. la dottrina gnoseologica e la dottrina morale Fichte ha corredato tutte le varie edizioni della dottrina della scienza (soprattutto del 94 e del 96) di una dottrina gnoseologica e una dottrina etica. partiamo dalla gnoseologica. Fichte dice che la conoscenza, oggetto della dottrina gnoseologica, si gioca all’interno della polarità polarità di un soggetto ed un oggetto. chi sostiene il punto di vista realistico, sostiene che sia l’oggetto il punto di partenza e che sia il soggetto che inciampi in esso (es: bambino che “inciampa” negli oggetti e dice “che cos’è questo? cos’è quello??”). l’idealista parte dal soggetto e poi ricava l’oggetto. Fichte si proclama real-idealista, perché riconosce l’inizio del processo gnoseologico parte dall’anstoss (=urto), cioè questo inciampo che il soggetto riceve a partire dall’oggetto; allo stesso tempo, però, sappiamo che l’oggetto l’abbiamo posto noi, allora perché non riusciamo a vederlo come oggetto di nostra produzione, bensì come un oggetto esterno, indipendentemente e sconosciuto rispetto a noi? questo accade, dice Fichte, perché l’atto con il quale noi ci disponiamo a creare l’oggetto è un atto inconscio, inconsapevole, legato a quella funzione dell’intelletto che già Hume aveva chiamato “immaginazione produttiva”, che Kant aveva poi ripreso nella dottrina dello schematismo trascendentale. Fichte riprende quindi questa espressione, chiamandola immaginazione produttiva inconscia, ed è la funzione per la quale l’intelletto si dispone a porre gli oggetti ma in maniera inconsapevole. nel dogmatismo c’è la consapevolezza, che significa ricordare (anamnesi platonica coniugata con la dottrina della conoscenza di Maimon). questa consapevolezza non è un fatto intuitivo, è il prodotto di una produzione agnitiva (l’agnizione nella tragedia è il riconoscimento. es edipo compie una serie di atti in maniera inconscia, poi pian piano insieme alle parole dei saggi etc ricostruisce tutto il quadro). questo processo agnitivo, nel quale si vede l’influenza dell’anamnesis platonica (conoscere=ricordare, tutto il viaggio dell’anima etc) i cui passaggi Fichte chiama “storia prammatica dello spirito” (la prammatica è una serie di provvedimenti che nascono nei confronti di una situazione di fatto che si determina). storia prammatica dello spirito è il processo agnitivo per il quale, partendo dalla più elementare sensazione, si arriva attraverso una serie di passaggi, alla piena consapevolezza, cioè all’agnizione. solo alla fine di questo processo si arriva a dire “caspita, questo oggetto che consideravo totalmente indifferente da me l’ho posto io”. quali sono i passaggi? la nostra conoscenza inizia sempre con i sensi: vedo una borsa e la tocco, la vedo etc. quindi il primo passaggio è la sensazione. dopo di che vi è la intuizione, che dobbiamo intendere proprio alla maniera Kantiana, questa intuizione viene poi fissata nell’intelletto che elabora kantianamente il portato dei sensi filtrato attraverso le intuizioni pure, il frutto dell’intelletto viene poi sottoposto al giudizio (determinante, non riflettente) che articola tutto il materiale sensibile in una serie di proposizione concatenate, e poi alla fine si arriva alla ragione, che in Kant era il delirio dell’intelletto, mentre qui viene valorizzata. (1.sensazione, 2intuizione, 3.intelletto, 4.giudizio, 5.ragione) la ragione viene definita da Fichte come la capacità di astrarre da ogni contenuto materiale, ci si è elevati ad un punto di vista più alto perché si fa astrazione di quelli che sono i contenuti empirici (io non parlo più di borsa, di soggetto etc: parlo di io e di non io), con la ragione mi rendo conto che quell’oggetto che nella sensazione immediata mi appariva esterno, non è altro che opera mia. ecco come, nell’idealismo, ritorni quel vecchio senso della verità, cioè della alèteia (dis-velamento) la dottrina morale. la dottrina morale deriva dalla domanda “perché l’io pone il non io?”. innanzitutto per un motivo dialettico (omnis determinatio est negatio), ma soprattutto perché ha bisogno di un ostacolo. -a livello della cosalità, è rappresentato dagli oggetti che devo conoscere -a livello etico, è rappresentato dalla interiorità patica (impulsi, istinti etc. quel mondo che Freud chiamerà “es”). proprio sulla base dell’azione nasce Fichte, che dice “agiamo in un primo momento per conoscere, ma conosciamo per agire”, cioè il nostro primo impulso è quello di conoscere il mondo circostante, ma poniamo questo mondo per agire su di esso, ecco perché Fichte parla di una genesi teoretica della praxis, che vuole dire che la praxis deriva da un’operazione conoscitiva: agiamo per conoscere, ma conosciamo perché siamo costretti ad agire, più conosciamo più siamo attivi. dice Fichte “essere liberi è niente, diventare liberi è cosa celeste”. l’uomo deve vivere in società, e una volta che è arrivato all’agnizione deve aiutare agli altri (ricorda platone, l’uomo che esce dalla caverna e torna indietro per aiutare gli altri). “lezioni sulla missione del dotto” è uno degli scritti più importanti di Fichte, e qui inizia a definirsi la figura dell’intellettuale come sale della terra, che è intesa a liberare non solo se stesso ma anche gli altri. le dottrine politiche di Fichte fichte ha attraversato un’epoca storica densissima: quando aveva 17 anni scoppiò la rivoluzione francese e visse tutta l’esperienza napoleonica. tra le opere politiche due spiccano: “lo stato commerciale chiuso”, 1800 “discorsi alla nazione tedesca”, 1807-1808 lo stato commerciale chiuso. già vi è un ossimoro, perché uno stato commerciale non è chiuso. Fichte sostiene il pensiero liberale, che è l’antitesi dell’assolutismo politico. il liberalismo propugna uno stato “leggero”, non forte come quello dell’assolutismo, che cioè salvaguardi i diritti naturali imprescrittibili dell’uomo (diritto alla libertà, alla sicurezza personale e il diritto alla proprietà). Fichte, pur accentando questa visione liberale, nel 1800 la corregge in senso socialistico, perché sostiene che lo stato oltre a salvaguardare questi tre diritti, ne deve salvaguardare un altro, ovvero il diritto al lavoro, perché lo stato deve garantire che non ci siano ne estrema ricchezza ne povertà. lo stato deve quindi pianificare le attività di tutti i componenti dello stato (es: ci devono essere tot medici, ne uno in meno ne uno in più). Fichte individua tre classi: -i produttori della ricchezza, cioè i contadini e gli artigiani, coloro che producono la ricchezza materiale -i trasformatori della ricchezza, coloro che trasformano ad esempio i cereali dei contadini in pane -i diffusori della ricchezza, cioè i venditori e i professori, perché distribuiscono la ricchezza spirituale per fare questo, lo stato deve essere, secondo fichte, completamente autarchico (autarkeia, autogoverno), lo stato deve quindi avere al suo interno tutto ciò di cui i suoi cittadini ha bisogno, ecco perché deve essere chiuso all’esterno, così da non portare nemmeno a quella che è la guerra, che scaturisce sempre da motivi economici e commerciali. se tutti gli stati evitano il commercio, si evita la guerra. gli unici a non subire questi tipi di chiusura sono ovviamente gli intellettuali che sono abituati a conoscere nuove culture etc. i discorsi alla nazione tedesca. questi discorsi furono pronunciati e poi messi per iscritto e quindi pubblicati tra il 18071808, quindi dopo il 14 ottobre 1806, data della battaglia di Jena con la quale Napoleone I’occupò la Prussia. In questo periodo ancora non c’è l’ideale nazionalista, che anzi nasce anche grazie a questo libro. quando i francesi occuparono la Prussia stabilirono la censura, per cui in questi discorsi, nei quali Fichte invocava i prussiani a sollevarsi contro l’occupazione francese, Fichte assunse diverse cauzioni, usando lo schermo platonico della educazione: i discorsi alla nazione tedesca pongono il problema di una crisi non solo della prussiana, ma addirittura mondiale, poiché il mondo intero a causa della guerra sta attraversando una crisi morale che però affonda le sue radici nel terreno culturale. è lo stesso discorso che fa Platone nella politeia, è una crisi totale dell’uomo dalla quale può riscattarsi solo grazie ad una rivoluzione culturale, pedagogica, educativa. questa educazione deve essere portata avanti dai tedeschi (nota bene che non parla di prussiani, quindi già prefigura quella koinè nazionale che poi sorgerà solo nel 1871), quindi già “batte il cuore” del nazionalismo tedesco. devono essere proprio i tedeschi a portare avanti questo piano educativo perché è il popolo privilegiato, in quanto hanno una lingua che non è stata, diversamente dalle lingue neo-latine, corrotta dal tempo; le lingue neoplatoniche hanno subito una evoluzione (talvolta si tratta addirittura di una vera e propria involuzione) che ha portato alla frattura tra la lingua degli intellettuali e del popolo, a differenza di quanto sia avvenuto per il tedesco, che è la lingua, secondo Fichte, degli urvolk (ur=originario, volk=popolo, la v si legge con la f), e visto che la lingua è rimasta incorrotta il popolo tedesco forma un’unica patria, e quindi può dirsi una nazione. Fichte partendo da un tema neutro, pian piano arriva ad esortare il popolo tedesco al riscatto nazionale contro Napoleone. questa opera è così importante perché contiene il deposito primo del nazionalismo tedesco, tanto è vero che veniva fornita negli zaini nazisti che andavano in guerra, che doveva servire ad infervorire gli animi dei soldati, mentre negli zaini degli ufficiali la politeia di platone (nota come i regimi totalitari strumentalizzano le tematiche culturali a proprio uso e consumo). Questi discorsi furono sempre accusati di essere stati il prorogo verso quelle ideologie ipernazionaliste, razziste etc che poi sono giunte nel nazismo. Ovviamente song t quant sciem perché Fichte sta parlando di un riscatto di tipo culturale, ed ha come fine l’umanità intera, non una razza tedesca. Filosofia 11gennaio2023 FRIEDRICH SCHELLING Biografia La vita di Shelling è poco significativa, tipica di un professore, è però importante il contrasto che ebbe con Hegel. Nasce nel 1775 e muore nel 1854; dall’1788 frequenta con Hegel e Holderlin (entrambi nati nel 1770) lo stift di tubinga, che forma i pastori protestanti, quindi era una università teologica; il cursus studiorum constava di due fasi: una primo biennio in cui si faceva soprattutto filosofia, al cui fine biennio ogni alunno diveniva magister philosophiae, a cui seguivano altri tre anni di teologia. Hegel, Schelling ed Holderin si laurearono nello stesso anno e presero strade diverse rispetto all’obiettivo dello stift di tubinga. nacque una grande amicizia tra i tre, soprattutto tra Hegel e Schelling. quando uscirono dall’uni divennero precettori. Schelling divenne assistente della cattedra di Fichte nell’università di Jena, infatti quando Fichte fu licenziato Schelling prese la cattedra (grazie a Goethe), infatti Hegel disse “un astro tramonta, un altro ne sorge”. Schelling collaborò con Hegel fino al 1807 in un giornale critico della filosofia. nel 1807 avvenne l’episodio fondamentale della vita di Schelling, perché Hegel pubblicò “la fenomenologia dello spirito”, nel quale Hegel definisce, nella prefazione, l’assoluto di Schelling “come una notte in cui, come suol dirsi, tutte le vacche sono nere”, quindi la notte rende tutte le vacche-che hanno colori diversi-uguali. Questa frase servì a rompere questa solida amicizia, per cui i due non si riappacificarono mai più, Schelling poi pian piano iniziò a calare per quanto riguarda importanza filosofica, a differenza di Hegel. l’assoluto come unità, identità e indifferenza di spirito e natura l’idealismo di Schelling è quindi un idealismo oggettivo ed estetico, in contrapposizione con quello soggettivo ed etico di Fichte. Schelling fra i tre idealisti è il più romantico, ha interessi naturalistici, estetici e metafisici, infatti parleremo di arte. Questi interessi naturalistico-estetici portano Schelling ad avvicinarsi allo spirito dello Spinozismo (deus sive natura) e a Giordano Bruno. la natura, in Fichte, non funge ad altro che da ostacolo, mentre Schelling cerca di esporne il valore intrinseco, anche se condivide l’impostazione idealistica di Fichte. Schelling allora si mette alla ricerca di un unico principio infinito, che non può essere ne soltanto un solo principio soggettivo (altrimenti la natura ne uscirebbe distrutta) ne un principio esclusivamente oggettivo (altrimenti non si spiega l’io, una ragione meccanicisticamente condotta non può spiegare nemmeno un filo d’erba). allora Schelling arriva alla concezione del principio unico e assoluto come l’Assoluto, che deve essere contemporaneamente e contestualmente unità, identità e indifferenza di natura e spirito, quindi l’Assoluto di Schelling è questo principio assoluto infinito che è allo stesso tempo il principio dell’infinità naturale e dell’infinità spirituale. l’Assoluto di Schelling non è semplicemente autocoscienza, ma è l’insieme di natura-spirito, è una circolarità nei quali i due termini si fondono, così da rendere l’assoluto un unicum. naturalmente, la filosofia, che ha come tema e problema l’assoluto, deve seguire le due parti confuse tra di loro dell’assoluto, quindi prenderà due direzioni: una di una filosofia della natura e una della filosofia della coscienza (filosofia trascendentale). la natura in Fichte viene quindi completamente sacrificata, Schelling accetta il principio però dell’autocoscienza di Fichte, coniugando Spinoza e Fichte. Da Spinoza prende il tema dell’infinità oggettiva, quindi la natura da Fichte prende il tema dell’infinità soggettiva, quindi l’io Quindi mette capo ad un assoluto che sia allo stesso tempo oggettivo e soggettivo, che sia quindi unità, identità e indifferenza di natura e spirito (indifferenza=coalescenza, sono la stessa cosa). La filosofia ha come tema assoluto, che è costituita da natura e spirito, quindi la filosofia deve prendere due strade, che alla fine però convergono perché sono due strade circolari -una strada della filosofia della natura; che deve dimostrare come, partendo dalla natura, si pertenga allo spirito -una strada della filosofia dello spirito; che deve dimostrare come, partendo dallo spirito, si ritorni alla natura in ogni momento del cerchio, c’è un inizio e una fine, dato che l’assoluto è identità, unità e indifferenza dello spirito, è chiaro dire che partire da un punto si arriva allo stesso punto: partendo dalla natura, si arriva allo spirito e viceversa. la filosofia della natura deve dimostrare che la natura è spirito visibile (tutto questo è romantico). questo è quello che vuole dire Schelling quando afferma che “la natura è spirito visibile, mentre lo spirito è natura invisibile”. la natura è spirito visibile= nella natura opera una spiritualità prima latente, che poi piano piano diventa sempre più visibile fino ad arrivare al cervello dell’uomo (dice Schelling “il cervello dell’uomo è come il fiore in cui si conchiude tutta la pianta della natura”) nel quale si produce l’autoctisi (autocoscienza). la filosofia dello spirito, deve spiegare come dall’autoctisi si arrivi al non io Fichtiano, cioè partendo dallo spirito si arriva alla natura la filosofia della natura la filosofia della natura di Schelling è la costruzione tipicamente romantica, cioè Schelling è il più romantico di tutti gli idealisti. Schelling parte proprio dalla filosofia della natura (le sue prime opere su questo si incentrano), la quale filosofia della natura è una costruzione tipicamente romantica che risente di una serie di suggestioni: -la prima suggestione è la critica del giudizio di Kant, nel quale c’è la famosa frase del filo d’erba (ragione meccanicistica) -la seconda suggestione è lo studio del chimismo e della elettrologia (entrambe vedono la natura come un qualcosa di vivente). in questi anni ci fu la scoperta di tutta una serie di elementi chimici (ossigeno, idrogeno etc) che poi saranno collazionati nella tavola periodica, quindi si sviluppa il chimismo, che rappresenta l’esordio grossolano della chimica, e Schelling lo studia molto. si diffonde anche l’elettrologia, che studia i fenomeni elettrici. -la terza suggestione è rappresentata dai presocratici, da bruno e da Spinoza. i primi investigano la natura, alla ricerca di un principio che la spieghi completamente (proprio come gli altri due e Schelling). Schelling quindi, basandosi su queste suggestioni, mette capo ad un nuovo modo di intendere la natura. i due approcci fondamentali di intendere la natura sono quello teoretico e quello pratico (in Kant uomo “puro” e uomo “pratico”, il primo ha una conoscenza meccanicisticamente orientata, mentre il secondo apre la strada al possibilismo e alla libertà), quindi quello meccanicistico e finalistico. -l’approccio meccanicistico tenta di conoscere la natura iuxta propria principia, ma ovviamente non riesce a spiegare nemmeno un filo d’erba, che non va a genio a Schelling perché calpesta il senso della natura -l’approccio finalistico tenta di conoscere la natura in termini finalistici, cioè a partire da un disegno generale che si realizza nella natura, ma nemmeno questo andava a genio a Schelling, perché calpestava l’autonomia della natura prospettando questo disegno generale che rimontava ad un disegnatore Schelling arriva ad una terza via, parlando di organicismo finalistico immanentistico. organicismo= concezione della natura non in termini disjecta membra, ma come un grande organismo in cui tutto si tiene. finalistico= la natura tende a seguire un telos immanentistico= il disegno che la natura tende a seguire non è trascendentistico (che derivi quindi da un ente superiore ed esterno alla natura), Schelling afferma che la natura è un ente che organizza se stesso. nella natura, evidentemente, opera uno spirito interno. simile a Galileo e cartesio (la natura ha le sue leggi, l’uomo le scopre) che però non affermavano un logos. all’interno della natura c’è quella che Platone chiama psyche tou cosmou, anche Schelling parla sostanzialmente di un’anima del mondo, l’entità spirituale è un’entità in progredire che poi si rivela per quello che è (la natura è spirito visibile). Schelling distingue le potenze della natura in due fasi (in realtà parla di tre fasi, una è intermedia): una natura inorganica; nella quale una vita, intesa come maniera specifica, non c’è ancora -una natura organica, in cui avviene la vita vi è una natura inorganica nella quale questo spirito latente diventa via via sempre più visibile fino ad arrivare ad una natura organica. c’è un’attività spirituale in marcia verso la coscienza, ogni attività spirituale, diceva Fichte, vive in patto di dialettizzarsi. gli studi sulla elettrologia dimostravano che, nella natura, ci sono delle forze dialetticamente opposte; nella natura inorganica questa polarità di forza si rivela come magnetismo, elettricità e chimismo. magnetismo: quella forza per la quale tutte le cose della natura gravitano le une verso le altre, cioè si attirano. è una forza aggregante, attrattiva elettricità: quella forza per la quale le cose si oppongono chimismo: la trasformazione delle cose (nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma). tutto questo porta alla seconda fase di passaggio, la luce, che dà luogo alla terza fase, cioè la natura organica, nella quale le forze che abitavano la natura inorganica (magnetismo, elettricità e chimismo) si trasformano in sensibilità, irritabilità e riproduzione che corrispondono alle prime sensibilità: consiste nell’attrazione, tutte le cose si sentono tra loro irritabilità: capacità di reazione ad uno stimolo esterno riproduzione: capacità della trasformazione tutta la natura, nel suo insieme, ha una struttura piramidale il cui cuspide è rappresentato dal cervello dell’uomo: è come se tutta la natura, dai sassi alle montagne agli animali, fosse un’unica pianta che mette capo ad un fiore che è il cervello dell’uomo, nel cervello del quale lo spirito che aleggia invisibile negli elementi più originali diventa massimamente visibile, cioè produce quell’atto che in Fichte si chiama autoctisi, cioè produce quell’intuizione intellettuale di se che è l’autocoscienza. nel cervello dell’uomo, nel quale si produce l’autocoscienza, la natura diventa visibile a se stessa e quindi dal cervello dell’uomo comincia l’altro semicerchio dell’assoluto. Infatti Schelling nel 1800 scrive “il sistema dell’idealismo trascendentale”, che è la controparte della filosofia della natura (dalla natura alla autocoscienza), la filosofia dello spirito espressa nel sistema dell’idealismo trascendentale parte dalla autocoscienza per arrivare alla natura ed ha un’impostazione tipicamente Fichtiana (dall’io al non io e i rapporti tra io e non io) FILOSOFIA, 20 GENNAIO 2023 SCHELLING La filosofia trascendentale copre l’altro semicerchio dello sviluppo dell’assoluto, e cioè la filosofia dello spirito (il sistema di Schelling parte dai sassi, arriva al cervello dell’uomo e, poi, compie questa sorta di secondo semicerchio per arrivare a comporre in maniera definitiva l’assoluto). La filosofia trascendentale (o filosofia dello spirito) è molto semplice, perché Schelling non fa altro che riprendere la filosofia di Fichte: parte, quindi, dall’autocoscienza e ricava l’oggetto dal soggetto. Questo significa che quello che abbiamo detto per la deduzione metafisica di Fichte vale anche per Schelling, solo che mentre in Fichte la deduzione è assoluta perché parte dall’autocoscienza, per Schelling dietro l’autocoscienza c’è tutto il vissuto della natura; cioè in Schelling noi possiamo parlare di una deduzione metafisica, ma non possiamo parlare di una deduzione assoluta perché è comunque vincolata alla natura, che è una delle due parti di cui si compone l’assoluto. Però, il compito che Schelling si assume nella filosofia trascendentale è analogo a quello di Fichte, e cioè ricavare l’oggetto dal soggetto: partendo dal soggetto, quindi, ricavare l’oggetto ma anche la vita teoretica e la vita pratica dell’uomo. Quindi, Schelling parte dall’autocoscienza, e in essa individua due tipi di attività, una reale (limitabile) e una ideale (illimitabile). L’attività reale è quella per la quale l’io, dopo essersi posto anch’esso attraverso un atto di intuizione intellettuale (tathandlung), si imbatte nell’oggetto, e quindi l’io viene limitato dall’oggetto, perché non sa di averlo egli stesso prodotto come non io. Quindi, l’attività limitabile è quella per la quale l’io, dopo essersi posto, si scontra con il reale, e cioè con l’oggetto; non lo riconosce come posto da sé, per cui comincia tutta quell’attività illimitabile che consiste nel superare il limite: anche qui l’io pone il limite per superarlo, è limitabile nella misura in cui è illimitabile ed è illimitabile nella misura in cui è limitabile (l’io non sarebbe illimitabile se non incontrasse il limite, e viceversa). L’attività illimitabile consiste proprio nell’attività ideale dell’io, cioè sviluppa l’idealità, l’intellettualità, e quindi cerca di superare questo limite. Il superamento di questo limite in Fichte si chiamava storia prammatica dello spirito, cioè quella rammemorazione attraverso la quale l’io, dopo aver prodotto il non io, ne acquisisce consapevolezza; cioè pian piano, attraverso i 5 gradi della storia prammatica dello spirito, che vanno dalla più elementare sensazione fino alla ragione (che è la capacità di astrarre da qualunque contenuto) l’io si riappropria del non io, dell’oggetto, e quindi capisce e riconosce (atto di agnizione) che quell’oggetto è stato posto da lui. Ora, la stessa cosa avviene anche in Schelling, che però riduce a 3 le epoche dell’io, ovvero i gradi di sviluppo di questa consapevolezza, cioè il soggetto più conosce, e più si rende conto che quell’oggetto che prima gli appariva come esterno e indifferente, in realtà è un suo prodotto. Questo avviene attraverso 3 momenti di passaggio che però da Schelling, a differenza di Fichte, sono posti in maniera dinamica; cioè mentre Fichte parlava di momenti statici, in Schelling c’è una processualità dinamica, infatti il processo conoscitivo inizia con la sensazione e dalla sensazione va a quella che Schelling chiama intuizione produttiva; quindi, la sensazione consiste nel fatto che io inciampo nell’oggetto e faccio tutt’uno con l’oggetto, ovvero non riesco ancora a distinguere tra me soggetto percipiente e l’oggetto percepito. Però, questo avviene pian piano, e dalla sensazione si passa in questa prima epoca dell’io, all’intuizione produttiva, con la quale pian piano comincio a differenziarmi dall’oggetto sentito; cioè, inizio a scavare un primo solco tra me soggetto e l’altro da me, ovvero l’oggetto. Tutto questo va avanti soprattutto nella seconda fase, in cui si passa dall’intuizione produttiva (in cui comincia ad apparire un barlume di soggettività) alla riflessione: quindi, attraverso questo movimento dinamico, arrivo alla riflessione, con la quale mi rendo conto che io sono il soggetto, e che quella cosa è l’oggetto. Quindi, arrivo alla differenziazione piena tra me e l’oggetto (questa è una sorta di ripresa di “appercezione” rinascimentale). La riflessione ha come prodotto, quindi, la presa di coscienza dell’autonomia dell’io rispetto all’oggetto. Infine, la terza epoca va dalla riflessione alla volontà la quale, dal punto di vista teoretico, rappresenta il vertice di questa operazione, cioè con la volontà mi rendo conto che sono stato io stesso a produrre l’oggetto (quindi si arriva a quel grado che Fichte chiamava “ragione”), e quindi alla piena agnizione del fatto che sono stato io a porre il non io; però, la volontà schiude anche il campo pratico (in Fichte abbiamo un terzo momento, ovvero quello della mondità), perché la volontà (lett. volere libero) si incarna in una pluralità di soggetti, ognuno dei quali è portatore di una volontà, la quale si sdoppia in un duplice approccio alla realtà, ovvero l’approccio determinato dalla morale da una parte, e dal diritto dall’altra; quindi, vediamo che la volontà stessa comporta una scissione tra quello che la tragedia greca ha tematizzato come il rapporto tra la fùsis e il nòmos (esempio di Antigone). La fùsis è il momento della libertà e della spontaneità, in cui io decido di fare delle cose anche oltrepassando la legge che sento ingiusta; mentre il nòmos è il momento della necessità meccanica (c’è lo stesso tipo di conflittualità che abbiamo trovato espresso da Kant, per il quale la legge morale è scevra da qualunque tipo di considerazione giuridica: cioè non basta comportarsi bene in ossequio alla legge; quindi anche qui c’è un contrasto tra fùsis e nòmos, tra la libertà tipica della dimensione della morale e la necessità meccanica tipica della leggge, e cioè del diritto). Questa contrapposizione è la stessa che si trova tra materia e spirito, tra natura e filosofia trascendentale; cioè il mondo è il campo di una scissione che ha bisogno di essere ricomposta, ed è in questo che consiste l’azione pratica, che viene dischiusa da quella teoretica. Quindi, anche in Schelling abbiamo lo stesso tipo di operazione che abbiamo trovato in Fichte, ovvero quel processo di genesi teoretica della praxis (per Fichte era determinata dal fatto che l’io agisce per conoscere, ma conosce soprattutto per agire), perché in Schelling la volontà è il culmine del processo teoretico quindi noi conosciamo perché siamo destinati ad agire, che per Schelling significa “cercare di ricomporre quella divaricazione che sussiste tra fùsis e nòmos”. Per ricomporre queste due parti, che non fanno altro che riprodurre la fondamentale composizione dell’assoluto naturaspirito, ci sono due strade: La storia; in questo caso, parliamo di filosofia della storia, che consiste in questa visione olistica della storia (in Sant’Agostino si passa da una visione circolare del tempo ad una visione lineare, che deve avere un inizio ed una fine, che, in realtà, corrisponde al fine); cioè in Schelling abbiamo una metafisica della storia, e per Schelling la storia rappresenta una delle due dimensioni attraverso le quali è possibile sanare questa dieresi tra diritto e morale, e infatti Schelling si mette in una prospettiva che sarà detta dal padre della psicologia moderna, Wilhelm Vundt, eterogenesi dei fini, in base alla quale le azioni umane perseguono dei fini consapevoli, ma mettono capo a delle conseguenze non previste. Quindi, questo significa che l’uomo si propone dei fini che, però, hanno una genesi altra da quella che l’uomo consapevolmente si propone. Per Schelling la storia è la produzione di quello che egli definisce “l’assoluto come poeta (lett. colui che produce) della storia”; cioè gli uomini, nella storia, perseguono dei fini personali, ma in realtà finiscono per servire ad un piano generale che è prodotto proprio da questo assoluto che è il poeta della storia. Inoltre, in Schelling il poeta della storia diviene attraverso lo stesso divenire storico, quindi è anch’egli che ha questo ruolo di coordinatore e di indirizzatore delle azioni verso un fine, il quale pian piano, ovviamente, si fa attraverso la storia. Per la precisione, Schelling parla di tre epoche della storia, ovvero il Destino, momento del sorgere e del crollare dei grandi imperi del passato remoto (come l’impero egizio, l’impero assiro-babilonese ecc…); quindi, tutti questi grandi imperi crollano per una sorta di destino che apre le porte a qualcosa di diverso e di più evoluto, e cioè al secondo momento che Schelling denomina Natura, in cui funge da protagonista l’impero romano, che è l’unico impero del passato a non crollare, e che persegue dei fini di accrescimento di potenza attraverso i 12 cesari che si susseguono; però, in realtà, pur servendo ai piani di conquista, l’impero romano porta alla formazione della Res Pubblica romana, cioè all’unità del genere umano sebbene sotto Roma. Infine, vi è la terza grande epoca della storia, ed è quella che Schelling definisce Provvidenza: quest’epoca ancora non è giunta, infatti sarebbe una specie di età dell’acquario, un’età che finalmente realizzerà l’unità tra natura e spirito, tra fùsis e nòmos. Quando avverrà questa età, essa realizzerà quella federazione planetaria di cui parlava Kant; cioè realizzerà quel regno dei fini in cui ognuno diventerà fine dell’altro, e quindi una completa sutura di diritto e moralità. Ora, la storia differisce questa unitarietà tra natura e spirito ad un futuro indeterminato; però, dice Schelling, c’è un’attività che realizza, con il suo stesso produrre, questa unità in maniera non mediata temporalmente, ma in maniera immediata: si tratta dell’arte (la storia, infatti, differisce questa unità al futuro). L’arte, secondo Schelling, è il vero e proprio organo di rivelazione dell’assoluto, perché l’arte non è altro che un produrre naturale in forme spirituali, e allo stesso tempo non è altro che un produrre spirituale in forme naturali (pietà di Michelangelo, marmo che suscita emozioni, che suscita spiritualità, che suscita l’idea della pietà umana. Quindi attraverso la natura (il marmo) si veicola un messaggio di carattere spirituale). Quindi l’artista realizza l’unità, l’identità e l’indifferenza di spirito e natura perché l’artista agisce sotto la spinta di una suggestione ispirativa, che è qualcosa di libero e, quindi, di spirituale; però, trasfonde questo contenuto spirituale in forme materiali che vengono scolpite secondo delle necessità di carattere tecnico. E infine, l’arte realizza questa unitarietà anche per il fatto che un’opera d’arte ha un contenuto spirituale infinito, che va ben oltre le intenzioni artistiche dell’artista, tant’è vero che ogni opera d’arte si apre ad una infinita interpretazione (ermeneusi), per cui dipende da com’è fatto caratterialmente l’uomo, da quale epoca appartiene, creando, in questo modo, tra l’uomo stesso e l’opera d’arte quella che viene chiamata “circolarità ermeneutica”, cioè un circolo interpretativo (tra l’opera d’arte, quindi, e me come uomo nelle varie fasi della mia vita; qui Schelling passa dal romanticismo all’ermeneutica). Quindi, l’opera d’arte, che ha nell’intenzione dell’artista un messaggio e un significato finiti, in realtà contiene una serie di valori e di interpretazioni infiniti. GEORG WILHELM FRIEDRICH HEGEL con Hegel arriviamo all’assoluto assoluto, definito anche come panlogismo, cioè il logos è dappertutto per Hegel. parlare di logos significa citare Eraclito, infatti in un luogo della scienza della logica Hegel dice “non c’è un solo frammento di Eraclito del cui io non abbia tenuto il debito conto nello scrivere questa mia logica”, quando diciamo che la sua filosofia è un panlogismo intendiamo dire che la realtà è permeata dal logos (=idea o ragione, dove idea è la certezza svincolata dalla verità. ricordati idea ed ideato per Cartesio), è la coincidenza di ragione e realtà. quali sono i caratteri fondamentali della sua filosofia? -la sistematicità, è il filosofo più sistematico di tutta la storia del pensiero occidentale -il linguaggio, non perché usi un linguaggio tecnico come quello di Kant (a volte accade anche questo), ma perché il linguaggio di Hegel è assolutamente solenne. citare Hegel “fa bella figura”. -l’estrema teodiceità, cioè il problema del male, il problema della sussistenza del male nel mondo in rapporto alla giustificazione della divinità e del suo operato. la teodicea permea tutto il sistema a punto tale che questo sistema è una rappresentazione ma anche una giustificazione della realtà biografia Hegel nacque il 27 agosto 1870 a Stoccarda in una famiglia di protestanti luterani, cosa che ebbe grande incidenza sulla sua formazione. nel 1788 (18 anni) andò a costituire la classe allo stift di tubinga con compagni Schelling e Holdering, con i quali formò un terzetto molto affermato. l’epoca in cui vive Hegel è molto complessa: scoppia la rivoluzione francese, ascende Napoleone, i moti del ‘20 ‘21 etc. dopo la laurea si appassiona alla filosofia, il suo destino era già insegnato, infatti andò a fare il precettore in varie case: prima andò in svizzera in una casa aristocratica, poi si spostò a Francoforte sul meno (glielo diede Schelling questo posto) fin quando non morì il padre verso il 1799 con il quale ereditò un piccolo gruzzolo con il quale tentò l’avventura a Jena diventando docente universitario. Nel 1800 Hegel aveva già in mente il sistema, infatti pubblica un abbozza di sistema. Nel 1801 pubblica la differenz “differenza tra i sistemi filosofici di Fichte e Schelling”, in cui prende posizioni a favore di Schelling; finché Hegel nel 1807 non pubblica la sua prima importante opera, che funge un po’ da introduzione al sistema, cioè “fenomenologia dello spirito” (ricordati che c’è la battaglia di Jena, Hegel vide napoleone a cavallo, disse “oggi ho visto l’imperatore, questo spirito del mondo”, questo mostra la razionalità della storia), preceduta dalla prefazione del 1806 in cui accusa l’assoluto di Schelling (notte in cui tutte le vacche sono nere). dal 1808 al 1816 Hegel divenne poi rettore del ginnasio di Norimberga (antica istituzione cittadina, dove si tenne il processo di Norimberga e le convocazioni da parte di Hitler). in questi 8 anni scrisse la “scienza della logica”, pubblicata in due grandi volumi, il primo pubblicato nel 1812, il secondo nel 1816. è la prima grande parte sistematica che comprende la logica. nel 1817 Hegel va ad insegnare ad Heidelberg e pubblica “enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio”, questa opera contiene tutto il sistema (anche la logica che aveva già trattato) e rappresenta il planisfero del sistema di Hegel (prima ha sviluppato l’africa, poi l’asia e l’europa) nel 1818 dopo la breve permanenza ad Heidelberg, viene chiamato alla cattedra più prestigiosa ovvero la alt universität (alt universitet, significa antica università) e conserverà la cattedra fino alla morte del lunedì 14 novembre 1831, Hegel aveva fatto lezione fino al sabato precedente; lunedì entrò in coma, secondo alcuni ebbe il colera, secondo altri un ictus, ma non prima di aver scritto nel 1821 “lineamenti della filosofia del diritto”. come dicono i suoi detrattori (tipo Schopenhauer che parlò della sua filosofia come una filosofia delle università, cioè del salotto, non ricerca della verità). Le sue lezioni non furono cristallizzate, ma furono i suoi studenti che pubblicarono i suoi appunti scrivendo delle opere. i capisaldi della filosofia di Hegel “quadratum est lex naturae, triangulum mentis”. la mente, per Hegel, procede sempre per tesi, antitesi, e sintesi. il pensiero di Hegel è dominato dal tre, infatti i capisaldi sono tre: la risoluzione del finito nell’infinito, cioè per Hegel l’infinito è una totalità organica che si compone di varie parti, che vanno intese come il finito, quindi le parti parziali dell’infinito. se così è, significa allora dire che il finito è lo stesso infinito sub specie temporis, cioè dal punto di vista parziale (ricorda le onde e il mare). quella di Hegel, è la forma suprema di una dottrina organicistica e monistica (organicistica perché la realtà è un grande organismo, monistica perché c’è un unico principio, che è ‘infinito, di cui le parti, organicamente intessute nell’infinito, rappresentano gli aspetti parziali). per spinoza il principio assoluto è il deus sive natura, cioè la sostanza statica, invece per Hegel il principio assoluto della realtà è un soggetto dinamico, cioè un soggetto a cui Hegel dà il nome di idea, o ragione, o logos, che acquista sempre più consapevolezza di sè nella sua stessa realtà. la perfetta identità di ragione e realtà, Hegel in un luogo di una sua opera esprime questo aforisma “tutto ciò che è razionale è reale, tutto ciò che è reale è razionale”, con la prima parte di questa formula Hegel ha voluto dire che la ragione che domina il mondo non è qualcosa di astratto che deve divenire (tipo mondo dei fini), per Hegel la ragione diviene con lo stesso divenire del mondo, che passa dal suo essere in se al suo essere per se (ricordati il poeta del mondo per schelling). il senso e il significato della filosofia per Hegel, se tutto ciò che è reale è razionale, allora la filosofia non deve più indicare alla realtà cosa dovrebbe essere e non è (tipo la ragione illuministica), ma deve “mantenersi in pace con la realtà”, perché deve solo giustificare la realtà, deve giustificare la razionalità della realtà. Hegel paragona, a questo proposito, la filosofia alla nottola di minerva, che spicca il suo sul far del crepuscolo, in egual modo la filosofia rappresenta la concettualizzazione di un’epoca compiuta, la filosofia è “il proprio tempo appreso nella forma del concetto”. il divenire dell’idea è proprio uno sviluppo, prima è avviluppata, poi diventa sempre più consapevole di se (cioè da essere in se diventa per se), questo sviluppo dell’idea segue tre momenti logici (non cronologici) il concetto del divenire è fondamentale nella filosofia di Hegel, perché questo soggetto in divenire, che è l’anima del mondo (logos), diviene attraverso questo processo triadico che si compone di tre momenti: ⁃ l’idea è in sè e per sè. Hegel paragona questo momento a quello di Dio prima di una creazione di un mondo e di uno spirito finito, questo è un paragone equivocante perché quello di Hegel è una forma di organicismo immanentistico (quindi il logos è nella realtà). paragone di ruocco meno equivocante: quando dobbiamo fare un tema, prima di scrivere facciamo una scaletta logica (io non so di che parlare, raccolgo i miei pensieri e poi ciò che volevo scrivere prende sempre più forma e diventa consapevole, ecco perché Hegel dice che il primo momento è quello della idea in se e per se, perché l idea è prima tutta involuta, poi si sviluppa ma sempre su un piano logico -scaletta, non tema-). quando Hegel dice che questa idea è paragonabile a dio prima di una creazione di un mondo e di uno spirito finito, intende dire che il momento dell’idea è semplicemente il momento logico/astratto in cui l’idea sviluppa il piano di quello che verrà calato nella realtà (scaletta logica>tema) ⁃ l’idea esce di se nel campo del suo contrario, cioè diventa natura, è l’alienazione dell’idea (da alius, “diventare altro da se”). la natura è l’alienazione della natura, cioè è l’idea prima nell’elemento astratto del pensiero come logica, poi l’idea del suo essere altro da se. l’idea che prima era solo logica (scaletta) ora viene calato nella natura (tema), cioè nell’elemento contrario a quello che è la natura. la natura è l’idea nell’elemento del suo essere altro, cioè l’idea si è trasferita nel mondo naturale. ⁃ l’idea ritorna a se come spirito. lo spirito, geist (si legge gaist) è l’uomo. l’uomo non nasce così bello e fatto come nella notte in cui tutte le vacche sono nere, ma è prima spirito soggettivo (antropologia, sociologia, psicologia), poi spirito oggettivo (si riversa nella realtà oggettiva) e poi diventa spirito assoluto con le grandi espressioni della mente umana (arte, religione, filosofia). nella realtà delle cose esiste l’uomo come spirito che ha come sua eterna condizione la natura, a cui appartiene, e come sua premessa fondamentale l’idea. non è un processo cronologico, ma logico. come in Schelling avevamo una filosofia dello spirito e una filosofia della natura, anche qui la filosofia avrà una forma ripartita: per il primo momento c’è una scienza dell’idea che Hegel chiama “scienza della logica”, che è la scienza filosofica dell’idea nella sua astrattezza, cioè nel momento in cui l’idea è in se per se, non si è ancora alienata nella natura. ci sarà poi anche una “filosofia della natura” e una “filosofia dello spirito”, divisa in spirito soggettivo, oggettivo ed oggettivo. Hegel ha sviluppato varie parti di questa enciclopedia ma il tracciato complessivo che riproduce tutto il sistema Hegel l’ha dato nella enciclopedia delle “scienze filosofiche in compendio”. qual è il motore di tutto questo processo del divenire? il motore è quello che Hegel chiama dialettica. questa parola l’abbiamo trovata anche in Kant che riprende il senso Aristotelico (smascheramento dei ragionamenti fallaci della metafisica), invece Hegel riprende il senso Platonico, affermando che non è una metodos (come in platone), ma è la legge del divenire della realtà e la legge contemporaneamente del pensare da parte del pensiero: dato che realtà e ragione sono la stessa cosa per Hegel, la dialettica è nello stesso tempo la legge ontologica dello sviluppo della realtà ma anche la legge logica dello sviluppo del mio pensiero. quali sono le differenze con Platone? Platone assimila la dialettica alla filosofia stessa (dialettike tekne), in Platone però diviene la mente, l’idea è ferma; in Hegel a divenire sono sia la mente (episteme) che l’idea (che, attraverso la realtà, diviene). Hegel, come Platone, non ci ha lasciato uno scritto specifico sulla dialettica, c’è solo un testo al paragrafo 79 dell’enciclopedia nel quale parla della dialettica, e distingue i tre momenti -dell’astratto o intellettuale -del dialettico o negativo razionale -dello speculativo o positivo razionale il primo momento: a intervenire è l’intelletto a differenza degli altri due. si ripropone la coppia intelletto/ragione che abbiamo già scorto in Kant. se io guardo le cose dal punto di vista intellettuale, ho delle conoscenze che sono astratte. es: ruocco ci assegna i promessi sposi, noi li leggiamo e sappiamo dire molte cose limitate alla semplice lettura dei promessi sposi, questo è momento astratto intellettuale, perché l’intelletto schematizza e opera in base ai principi di identità, non contraddizione e terzo escluso (es oggi è giorno aka non è notte, sono vivo aka non sono morto). l’intelletto è limitato per Hegel, parla di astratto perché ogni cosa appartiene ad una rete di relazione, infatti ok so i promessi sposi ma ho una visione completa quando so che è stato sceito nell’800, so della ventisettana e della quarantana, collego il romanzo all’illuminismo e al romanticismo, creo quindi una serie di rapporti logici che è il contesto, che non è colto dall’intelletto (l’intelletto è come se astraesse proprio da una libreria i promessi sposi, senza rendersi conto che i promessi sposi sono un finito parziale di una totalità che lo comprende). chi comprende il contesto è la ragione secondo momento: la ragione si rende conto che oggi è giorno, ma non è nemmeno notte, quindi capisce il contrario. la ragione consiste proprio nel mettere insieme, nel paragonare. chiama questo momento dialettico vel negativo razionale, perché consiste nell’opposizione (la vita richiama la morte, omnis determinatio est negatio) terzo momento: è il momento in cui si coglie la verità. chiama questo momento speculativo o positivo razionale, speculativo perché c’è una visione d’insieme. a svolgere la funzione conoscitiva è sempre la ragione, ma a comporre la verità parziale della tesi e la verità parziali dell’antitesi. quando si arriva allo speculativo, si guardano le cose dall’alto in base ad una ragione che adesso è positiva, che ripropone la verità dell’uno arricchita dalla verità dell’opposto. ci si rende conto quindi che la verità non è ne la vita ne la morte, ma la esistenza, che è un vivere morendo e un morire vivendo. la dialettica offre una rete di rapporti che Hegel chiama aufhebung (da aufheben, cioè eredità> togliere qualcosa a qualcuno e comservarla). “l’aufhebung - che è l’ultimo momento ma con il quale concetto si può intendere l’intero movimento dialettico - è un togliere conservando, un conservar togliendo”, si conserva la verità della tesi e dell’antitesi, ma si conservano in una sintesi superiore che le invera entrambe, quindi si toglie il conflitto e si conserva la verità di entrambe. il ruolo dell’intelletto e della ragione in Kant ed Hegel in Kant l’unico che può conoscere veramente è l’intelletto, che è comunque limitato, però è degno di fede, conoscitivamente parlando. la ragione invece non produce che un vago pensare, perché è il delirio dell’intelletto, in questo modo genera la metafisica (bella, ma solo vago pensiero). in Hegel l’intelletto è lo strumento di conoscenza del finito, dell’astratto; la ragione è lo strumento che mi porta a considerare l’infinito, l’assoluto. differenza: in hegel il primo rimane parziale (=Kant), il secondo dà la verità (≠Kant). quello che in Kant era rappresentazione, in Hegel diventa presentazione, cioè non esiste più un lato oscuro delle cose, le cose si presentano come sono, bisogna però saperle interpretare con la ragione. il punto di partenza è l’intelletto, i cui risultati sono astratti (esempio libro, estraggo dalla realtà una sola fetta), la ragione perviene alla visione olistica della realtà. I rapporti di Hegel con il pensiero precedente e le critiche che pone -Hegel critica l’illuminismo, perché pretende di far prevalere l’intelletto astratto, cioè ergersi a giudice della storia, che non ha invece bisogno di giudici perché la storia è quello che è, e quello che è, è la ragione stessa. -Hegel critica poi tutti i dualismi di Kant (fenomeno e noumenon, diritto e morale etc) -Hegel critica la pretesa di Kant di isolare e di anatomizzare la ragione senza usarla. Kant voleva mettere su un tavolo settorio la mente e trovarne le forme apriori etc. Hegel dice che il pensiero non si può mai arrestare, “la pretesa di Kant di immobilizzare la ragione notomizzarla somiglia alla pretesa di quell’antico scolastico che pretendeva di imparare a nuotare senza immergersi nell’acqua” -Hegel critica il circolo romantico, in primis perché aveva valorizzato delle esperienze irrazionali come la fede e l’arte, mentre io la ragione che domina la realtà posso conoscerla solo mediante la ragione. Hegel contesta l’immediatezza di queste esperienze che per i romantici sono conoscitive, e predilige la mediatezza della ragione. in secundis non condivide, del circolo romantico, il titanismo, cioè ergersi in una torre estraniandosi dalla realtà. per Hegel bisogna partecipare al proprio tempo, perché “non si può saltar via dal proprio tempo più di quanto non si possa saltar via dalla terra” -Hegel critica Fichte, perché innanzitutto Fichte non riesce a ricavare l’oggetto dal soggetto, quindi rischia di creare un nuovo dualismo di stampo Kantiano. in secondo luogo anche perché in Fichte l’io empirico non si adegua mai all’io puro, lo insegue in una corsa infinita e questo infinito è quello che Hegel chiama “cattivo infinito” perché non si realizza mai -Hegel critica Schelling per il suo assoluto, perché gli manca la luce, che nel sistema di Hegel è rappresentato dalla dialettica. il sistema di schelling, per Hegel, è quindi un sistema a-dialettico, e finisce per rappresentare una specie di abisso vuoto nella quale si perdono tutte queste differenze e categorie. gli contesta poi il privilegiare le esperienze irrazionali quale l’arte (che è il massimo strumento di conoscenza per Schelling, invece per Hegel è la ragione stessa). 08/02/23 ripetizione a caso di ruocco questo soggetto razionale (l’idea) diviene nella realtà attraverso un movimento dialettico, cioè composto a spirale da tesi, antitesi e sintesi. la dialettica è la legge tanto del movimento della realtà (o dell’idea all’interno della realtà) quanto la legge del movimento del pensiero: c’è una perfetta sintonia tra la sfera logica e ontologica, così come si muove l’idea dialetticamente, allo stesso modo si muove il pensiero, perché la ragione è una, cioè quella oggettiva che governa il mondo, ma è allo stesso tempo la ragione soggettiva, che pensa quella realtà. in altri termini si potrebbe dire che la nostra ragione non è altro che il luogo in cui la ragione universale pensa se stessa (ricorda Aristotele che definisce Dio come noesis noesews, quindi il nostro pensiero non è altro che il luogo in cui la ragione si rivela a se stessa). cose circa la dialettica che giustamente ruocco si è scordato di dire rovinandomi gli appunti ⁃ in primo luogo affrontiamo l’argomento dell’immane travaglio del negativo. la dialettica ha questo movimento a spirale: tesi, antitesi e sintesi. è stata paragonata al solenoide (spirale che procede in orizzontale), questo movimento a spirale è il tema di un sostanziale ottimismo metafisico di Hegel. come abbiamo gia detto, Hegel è un ottimista dal punto di vista metafisico (il negativo non è altro che un momento di passaggio del farsi del positivo. es: rivoluzione francese con morti>mette capo a cose positive in futuro). Hegel parla del male, solo che il negativo rappresenta ciò che egli ha definito “l’immane travaglio del negativo” (travaglio è sia lavoro pesante sia parto, che è un momento di crisi, che però porta a qualcosa di positivo quale è la nascita), con il quale Hegel si riferisce al momento di passaggio che, come il parto puerperale, porta alla nascita di qualcosa di positivo; tanto è vero che Hegel parla, nella fenomenologia dello spirito, a proposito di questo farsi del positivo attraverso il negativo, della rosa nella croce (la rosa al posto di cristo nella croce, è il simbolo della fede luterana. la croce è la sofferenza che però partorisce la rosa della salvezza). l’immane travaglio del negativo è il modo in cui Hegel teodicisticamente considera il male: l’ottimismo di Hegel non è una stupida negazione del male, ma significa la considerazione del male come fondamentale momento del farsi del positivo. ⁃ Il secondo argomento consiste nella domanda che sempre i critici si sono fatti: “la dialettica parte da una tesi, si sviluppa in un’antitesi e si conclude con una sintesi. quindi la dialettica Hegeliana (nella quale ogni aufebung, ogni sintesi, rappresenta poi la tesi di una nuova triade dialettica) ha una sintesi chiusa -cioè arriva ad un fine che contemporaneamente ne rappresenta la fine- oppure è destinata ad andare all’infinito?”. per Hegel la dialettica è a sintesi finale chiusa, perché se fosse a sintesi finale aperta si avrebbe quel cattivo infinito di cui Hegel accusa Fichte. la fenomenologia dello spirito fu terminata nel 1807, proprio mentre i francesi si avvicinavano a Jena, e il 13 ottobre Hegel vide napoleone Bonaparte sul cavallo, avendo la visione dello spirito a cavallo. prima che Hegel scegliesse il titolo consueto, egli decise di intitolare l’opera come “scienza delle esperienze della coscienza”, quindi la scienza che vuole ricalcare tutte quelle che sono l’esperienze che la nostra coscienza, individuale e collettiva, compie nella sua esistenza. il termine fenomenologia dello spirito rappresenta la stessa cosa, in quanto è la scienza delle manifestazioni (da faino) dello spirito. in tedesco, l’opera suona come Phänomenologie des Geistes, e il termine importante è proprio geist, che significa tre-quattro cose che poi convergono in una cosa fondamentale: significa intelligenza, cultura, moralità, pensiero, in generale tutto quello che i greci sintetizzavano nel termine paideia, al postutto di tutto ciò, geist significa mediazione, cioè la capacità di dominare l’immediatezza dell’impulso istintivo, di rispondere con civiltà e in maniera mediata anche se vorrebbe rispondere in maniera istintuale. quest’opera vuole essere una storia romanzata della coscienza che pian piano esce dalla caverna e si eleva allo spirito. in altri termini, questa opera è l’espressione di quei due principi fondamentali della filosofia Hegeliana che sono la risoluzione del finito nell’infinito e l’identità di ragione e realtà, Hegel ha dimostrato questi due capisaldi in due modi diversi: il primo è la fenomenologia dello spirito, nella quale dimostra come questi due principi si affermino pian piano all’interno della coscienza umana o come attraverso la coscienza umana, la coscienza universale acquisisce piena consapevolezza di se; poi Hegel ha dimostrato questi due principi nella enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio. esempio per capire il significato di quest’opera: immaginiamo di non conoscere napoli; se ci muoviamo casualmente, no conosceremo la città, ma riusciremo a farlo quando sapremo attingere un punto di osservazione alto della città, tendiamo allora ad andare a san martino, anche se inizialmente sarà difficoltoso. poi arriviamo a san martino e vedremo tutte le strade che abbiamo preso erroneamente e giustamente per arrivare sul luogo. san martino rappresenta l’enciclopedia in cui c’è idea, natura e spirito. anche la strada che abbiamo percorso per arrivare a san martino fa parte di tutto questo disegno, infatti la fenomenologia è un’introduzione al sistema ma deve ritornare al sistema. Hegel stesso ingenerò un fraintendimento per il quale uno dei suoi critici lo accusò di essersi contraddetto, affermando che se la fenomenologia era un’introduzione al sistema non poteva ritornare al sistema. costui non aveva capito lo scopo di Hegel, che era quello di spiegare che lo spirito pian piano arriva a vedere tutta la realtà. la fenomenologia dello spirito, lo dice Hegel stesso, è la storia romanzata della coscienza che, attraverso i suoi errori, pian piano si eleva fino ad arrivare a trasformarsi in spirito e di rendersi conto che tutta la realtà non è che ragione dispiegata, della risoluzione del finito nell’infinito. la fenomenologia dello spirito è giocata su due piani, che è quello individuale e quello collettivo. in altri termini, ogni uomo nella sua vita riproduce questo movimento dello spirito per acquisire consapevolezza di se (trasformarsi in spirito), così come l’umanità durante la sua storia millenaria si è messa sulla strada del progresso fino ad arrivare a questo principio fondamentale. ecco perché la fenomenologia dello spirito è un romanzo pedagogico. la fenomenologia si compone di tre parti, nel sistema fa parte dello spirito soggettivo (lo spirito è prima soggettivo, poi oggettivo e infine assoluto), e in particolare viene dopo l’antropologia. la fenomenologia dello spirito è composta da due parti, ma noi tratteremo solo la prima parte, cioè coscienza, autocoscienza e ragione. -per parlare di coscienza, Hegel usa il termine bewusstsein (percepire con l’anima), in questa parte l’attenzione è rivolta verso l oggetto, quindi ha un impianto gnoseologico, -la parte dell’autocoscienza, cioè quella più ricca, è focalizzata verso il soggetto. in questa parte iniziano a comparire le più importanti figure della fenomenologia dello spirito. Le figure sono delle epoche storico-ideali, cioè dei mondi spirituali, delle weltanshauung, che hanno uno stato storico e un significato simbolico: sono il simbolo di un’epoca. La prima figura dell’autocoscienza è la dialettica servitù signoria, che riproduce lo schiavismo antico (fatto storico: atene e sparta hanno basato il loro sviluppo sullo schiavismo), Hegel però eleva lo schiavismo da fatto storico a simbolo di un’epoca, che ha una sua spiritualità. -nel momento della ragione, avviene la sintesi tra soggetto ed oggetto, quindi l’aufebung che costituisce il vero di tutto il processo. La coscienza. La coscienza, al suo sorgere, è certezza sensibile. Immaginiamo un bambino che inizia ad interessarsi ai vari enti del mondo, senza saperli nominare, infatti si limita a dire “cos’è?”, questo è il momento della “questità”, secondo Hegel. Il momento della certezza sensibile e quello della questità. Chi dice “questo è”, sono io, ma non sono ancora arrivato alla determinazione di me stesso (avverrà nell’autocoscienza), anche io sono un generico “questo” e non “io”. Questa certezza sensibile, proprio perché è basata sui sensi, sembra la più ricca, è in realtà la più povera. Le cose iniziano a chiarirsi quando pervengo alla percezione, che Hegel definisce come wahrnehmung (wahr=verità, nehmen=prendere), che significa letteralmente “presa del vero”, cioè mentre prima noi eravamo nel campo della certezza, ora approdiamo al campo della verità, infatti gli oggetti iniziano ad apparire per quello che sono (Hegel fa esempio della zolletta di zucchero, con la vista cogliamo il colore e la forma, con l’odorato sentiamo il suo odore, con la lingua il suo sapore. Nella zolletta di zucchero inziamo a sentire una serie di qualità, che poi vengono incollate in una unità. Chi incolla sono io). Pian piano inizia ad emergere l’io che si pone come sedimento uno di qualità molte. C’è sempre un più maggiore sforzo di sintesi. Questo io che emerge, si sviluppa soprattutto nell’intelletto, con il quale quell’oggetto che prima era un generico questo, poi acquista un nome che rimanda alla funzione di io unificatore, ora viene ridotto a forza e legge: qualsiasi oggetto non è altro che una forza, c’è una progressiva dematerializzazione dell’oggetto che fa risaltare il soggetto (chi dice tutto sono io!!). “in questo momento, la coscienza sembra impegnata a conoscere il mondo, in realtà non sta conoscendo altro che se stessa”. L’autocoscienza. Non avviene come in Fichte o Schelling che all’improvviso si accende la luce, anche il soggetto è prodotto di un lavorio. La prima forma di manifestazione della autocoscienza, dice Hegel, è l’appetito (ad petere, chiedere verso di se), questo desiderio di tutto si rivolge soprattutto verso la cosalità generale, perché io consumando l’oggetto, affermo la mia indipendenza rendendo dipendente l’oggetto (prendo il frutto e lo mangio: frutto dipendente da me). L’autocoscienza nasce attraverso il riconoscimento della propria indipendenza. Una volta mangiato il frutto, l’appetito viene meno temporaneamente, infatti dopo un po’ devo rimangiare, è una cosa che ritorna sempre. L’appetito che trova il suo soddisfacimento è un riconoscimento temporale, perché si rinnova continuamente, cioè si tratta di uno specchio della mia indipendenza, ma è uno specchio continuamente frangibile. Ovviamente, vado alla ricerca di uno specchio che sia infrangibile, cioè che mi rimanda l’immagine della mia indipendenza. Questo specchio non possono essere le cose, perché dileguano attraverso la mia consumazione, ciò che può esserlo è l’altro da se, che va reso dipendente alla mia indipendenza. Questo è possibile assoggettando. Hegel aveva pensato in primis all’amore, che è il miracolo per il quale due diventa uno, però conservando sempre la propria dualità. Hegel poi pensa all’assoggettamento, che si ha attraverso la guerra. È la guerra lo strumento che caratterizza al riconoscimento delle autocoscienze (nella guerra ci sono due autocoscienze che si combattono per l’indipendenza, ma siccome una ha paura della morte-prima sottofigura della figura generale della servitù signoria) si dichiarerà schiavo in contrasto dell’altro che sarà signore). Più che di paura, Hegel parla di angst zum tode (paura della morte), cioè ristrettezza, paura non di questo o quello, ma paura di perdere la stessa essenza. Questa lotta rimanda al frammento 53 di eraclito “polemos è padre di tutte le cose, e alcuni rendi schiavi ed altri rende liberi”. Questa lotta non può terminare con la morte di chi ha tremato di fronte alla morte, perché altrimenti si ridurrebbe alla cosa: il signore ha bisogno di un dipendente, ecco perché il servo ha la coscienza che gli permette di sapere che è servo, così da rimandare l’indipendenza del signore (servi che tolgono il cappello). Il servo è servo da molti punti di vista: è servo del signore, ma anche della natura, perché non può più consumarla, ma deve prepararla per il signore (a caccia per portare il cervo cucinato al signore). Il signore non ha assoggettato il corpo del servo, ma la sua volontà. Per il miracolo della dialettica, c’è un’inversione dei ruoli: il signore diventa servo del servo, e il servo diventa signore del signore: questo avviene grazie alle altre due sottofigure, che sono il servizio ed il lavoro (insieme alla morte, sottofigure della figura della servitù signorile). Esempio della napoli per bene che ha le filippine a casa, la signora bene il cesso non sa lavarlo, ha bisogno di qualcuno che glielo lavi, ovvero la filippina. La filippina mette le palle sopra alla signora per bene. Il signore diventa dipendente del suo stesso dipendente, tutto questo grazie alla sottofigura del servizio, perché grazie a questa sottofigura il servo serve ed impara a disciplinarsi, ad essere educato con il signore etc, e pian piano acquisisce quella che Marx chiamerà coscienza di classe, il per sé. Il servo capisce la sua insostituibilità, senza di lui il signore non sarebbe signore. Tutto questo su concretizza nella terza sottofigura, il lavoro, che viene definito da Hegel come appetito trattenuto. L’appetito originario della coscienza appena nata non era trattenuto (prendeva tutto subito, poi aveva immediatamente bisogno di altre immagini che gli rimandassero l’immagine della indipendenza), mentre quello del servo deve essere trattenuto (il servo va a caccia e vorrebbe mangiarsi il cervo, ma non può). Ecco in che servo il lavoro è un appetito trattenuto. Questa presa di coscienza da parte del servo, pensiamo che sfoci in una rivoluzione, ma non accade in Hegel, perché la liberazione non avviene su piano dello scontro sociale, ma sul piano culturale. Infatti, le figure successive sono quelle dello stoicismo(marco aurelio, imperatore filosofo) e scetticismo (epitteto schiavo liberto). Hegel definisce la figura dello stoicismo come la libertà sul trono e in catene (trono=marco aurelio, catene=epitteto). Lo stoicismo comporta un distacco dal mondo, attraverso il lavoro quindi il servo imprime, nelle opere che compie, un marchio: lo schiavo prende il cervo ma non per se, trattiene l’appetito, ma questo cervo cucinato porta i segni della mia raggiunta indipendenza, innanzitutto perché attraverso il sevizio imparo a trattenere l’appetito, poi il trattenere l’appetito mi fa vedere questo cervo e mi fa dire “che bravo che sono stato a catturare questo cervo”. All’inizio, la cosalitá era uno specchio franto, ora almeno per dieci minuti (finché non lo consegno al signore) mi rimanda all’immagine della mia indipendenza, che diventa distacco dal mondo grazie allo stoicismo. Questo capovolgimento dei ruoli avviene proprio con lo stoicismo, quindi si ha una liberazione spirituale, non politicasociale. Lo stoico produce uno stacco dalla realtà che è incompiuto, perché è vero che egli proclama la propria indifferenza rispetto al mondo, ma ne è vittima allo stesso tempo, perché lo stoico deve comunque mangiare, quindi è un’indipendenza parziale che diventa totale nello scetticismo. Lo scettico è colui che proclama che il mondo è cosi estraneo a lui che non saprà mai niente (ignoramus et ignoramibus). Contro lo scetticismo, Hegel usa l’argomento della contraddizione dello scettico, il quale si contraddice perché nello stesso momento in cui dice che niente è vero, sta affermando qualcosa di vero. Inoltre, gli scettici sono tanti, quindi ognuno porta una visione di nullità del mondo che si trova a vivere. Lo scetticismo si chiude in questa profonda contraddizione tra una coscienza che vuole essere intrasmutabile rispetto ad una coscienza che, invece, si sente vittima della trascurabilità, cioè: il mondo diviene continuamente ed io ne ho coscienza, però cerco di elevarmi ad un punto più alto per proclamare la inconoscibilità del mondo; all’interno della coscienza scettica avviene una scissione tra una parte di me che si ritiene intrasmutabile (al di là del continuo cambiamento delle cose), e un’altra parte che è immersa in questo mondo, che è la parte trasmutabile. All’interno della coscienza scettica si produce quindi questa scissione tra una coscienza intrasmutabile, che dice “nulla è” come se fosse vero, e una coscienza trasmutabile che vive nel panta rei eracliteo. Questa lacerazione fondamentale si acuisce nella figura successiva, che è la figura della coscienza infelice(ascetismo). La coscienza è infelice proprio a causa di questa lacerazione, perché non sa di essere tutta la realtà; coscienza infelice che si ha nella religione. La serie di passaggi è questa: dialettica servitù-signorile, presunta liberazione del servo con lo stoicismo, ulteriore presunta liberazione con lo scetticismo, lacerazione totale, coscienza infelice con la coscienza religiosa. N.b, noi siamo arrivati alla scissione tra un io intrasmutabile ed un io trasmutabile, la coscienza religiosa la si ha quando l’io intrasmutabile viene ipotastitizzato e diventa Dio, cioè non altro che la sostanzializzazione in un cielo metafisico di quella parte della coscienza che io ritengo intrasmutabile, Dio assume i caratteri della intrasmutabilità e a me rimane la coscienza trasmutabile, ovvero la “valle di lacrime”. La scissione tra una coscienza trasmutabile ed intrasmutabile diventa lacerazione come coscienza religiosa mettendo capo alla coscienza infelice, che è tale perché non si riconosce nella realtà, scinde la realtà tra il mondo vero ed il mondo falso, non sa di far parte di questa realtà, e quindi è infelice. Con l’ebraismo, che è la prima sottofigura della figura della coscienza infelice, questa lacerazione raggiunge il grado più alto di separazione, perché gli ebrei credono e venerano un dio assolutamente lontano (il nome di dio non si pronuncia mai). L’ebraismo, dice Hegel, raggiunge un diapason tra il dio giudicatore e l’uomo verme. Il cristianesimo, invece, cerca di ridurre la frattura tra il divino e l’umano, tra la coscienza intrasmutabile divinizzata e la coscienza trasmutabile secolarizzata, attravero la umanizzazione di Dio: gesu cristo è dio che si è fatto uomo, quindi i lembi di questa frattura diminuiscono. Questo tentativo di avvicinamento delle due coscienze, però, è destinato doppiamente al fallimento: da un punto di vista spirituale, perché cristo, pur essendo uomo, continua comunque ad essere Dio; e poi da un punto di vista temporale, perché Cristo è vissuto in un tempo storico (0–33) e poi è risorto. Il simbolo concreto di questo tentativo di avvicinare il trasmutabile e l’intrasmutabile è la crociata, che rappresenta la ricerca di questa saturazione, le crociate però vanno tutte a puttane: i crociati si impossessano del santo sepolcro, ma non trovano niente. La sottofigura del sepolcro vuoto rappresenta la inanità di questo tentativo di suturare le due parti di questa frattura. Dopo tutto questo, la coscienza religiosa si immiserisce sempre di più nelle sue sottofigure della devozione, il fare e l’operare e la mortificazione di se. Il devoto è chi va in chiesa, il devoto è certo che dio esista, ma non ne ha la certezza, la devozione è solo sentimento religioso che non ha però il concetto, la verità. La coscienza religiosa, allora, si rinchiude in un monastero (quello benedettino), la cui regola è ora et labora, cioe la coscienza ripiega sulle attività manuali, questa sottofigura rappresenta sul piano religioso quello che sul piano dello scontro delle autocoscienze rappresentava la dialettica servitù-signoria (sono equivalenti!), il monaco però inizia a sentire i prodotti della propria attività e la sua forza come dei doni di dio, quindi anche il monaco ha piena coscienza della sua totale dipendenza nei confronti di dio (dio da i prodotti, la forza per produrli etc), questa dipendenza arrivare al suo punto più basso con la mortificazione di se (ascetismo, Iacopone da Todi), con la quale la coscienza raggiunge il diapason dell’infelicità, non può più scendere ma solo salire, la risalita (anabasis) può essere iscritta solo nel momento della ragione (dopo il medioevo, l’umanesimo) Filosofia 13 La coscienza in generale è la coscienza di “non essere ogni realtà”. Il vero e proprio protagonista della fenomenologia dello spirito è lo spirito, che altro non è che la sintesi tra soggetto e oggetto. Con la coscienza infelice si arriva alla massima divaricazione di questa unità: la coscienza infelice è tale perché non sa di essere tutta la realtà, e arriva al punto più basso a cui arriva l’autocoscienza. Ricorda: il motivo della polemica con Shelling è proprio l’indeterminatezza dell’assoluto. Hegel accusa Shelling di aver prodotto un assoluto in cui si sono perse tutte le determinazioni “che assomiglia alla notte, in cui improvvisamente compaiono gli elementi (cioè senza un sistema di concause)”. Il sistema di Hegel è MEDIATO, e mediazione vuol dire processualità nel tempo. Il sistema hegeliano è TOTALITÀ PROCESSUALE NECESSARIA, ogni cosa si fa , diventa lentamente; l’apparire della ragione non è un colpo di pistola ma la ragione è prima osservativa, poi attiva e in ultimo ci appare diventando spirito. La seconda parte della fenomenologia si trova espressa in tutto il sistema, soprattutto in quella parte del sistema che è lo spirito oggettivo. Se dobbiamo definire la ragione, essa diventa la coscienza di essere tutta la realtà. È la “certezza di essere tutta la realtà” (rapporto tra certezza e verità). La ragione rappresenta la lenta e progressiva sutura di tutte quelle lacerazioni passate che avevano reso la coscienza infelice. La certezza piano piano deve diventare realtà: per questo la ragione osservativa. Le figure della ragione osservativa vengono tratte dalla storia della filosofia: Hegel attinge a piene mani a quello che è stato lo sviluppo storico, filosofico, culturale e sociale della realtà fissandone delle tappe simboliche fondamentali. Quando parliamo di ragione osservativa parliamo di umanesimo e rinascimento, la filosofia della natura. Hockkam libera la filosofia dal suo ruolo ancillare rispetto alla fede, tornando ad essere interesse per la natura -per questo lo definiamo l’ultimo dei medievali e il primo dei moderni, dopo lui la filosofia torna ad occuparsi della fusis-. Da quel momento comincia la lenta risalita , attraverso questo nuovo, rinnovellato interesse per la natura; l’uomo è portato ad osservare la natura, è impegnato a conoscere la natura ma in realtà sta conoscendo la propria coscienza. Lentamente dall’umanesimo si arriva all’empirismo: le due figure storicamente delineate sono L’UMANESIMO – RINASICMENTO e che poi arriva al suo apice con L’EMPIRISMO che è osservazione della natura. Queste due filosofie arrivano alle soglie del positivismo, quando comincia a delinearsi e diffondersi una nuova mentalità, una STIMUNG, un clima, un atmosfera -che porterà dopo Hegel al positivismo-. In questo periodo si sviluppano due pseudoscienze: La fisiognomica è dovuta a Johan Kaspar Lavater, contemporaneo di Hegel che si inventò questo termine FISIOGNOMICA ( GNOMICA= GNOMEN= conoscere) , è il termine anteriore a fisionomia: Lavater riteneva che lo spirito di una persona fosse rintracciabile attraverso i tratti somatici del tuo viso ( capisco se sei intelligente, scemo…). È una scienza che non ha nessun tipo di fondamento scientifico. La frenologia è ancora più a-scientifica , FREN in greco vuol dire mente, significa fondamentalmente il cranio, la frenologia di Franz Joseph Gall , ritiene che dallo studio delle protuberanze del cranio si possa arrivare al carattere, allo spirito di una persona. Questi pseudo studiosi sono gli anti segnano di Cesare Lombroso il quale, in ambito positivistico, nel famoso “prototipo del criminale” sosteneva che poteva classificare dal punto di vista criminologico le persone in base al loro aspetto e in base alla forma del cranio. Hegel critica queste pseudoscienze, e arriva a dire a proposito di GALL che si tratta di un’illusione perché vuole ricavare lo spirito dall’osso, fa coincidere lo spirito con le protuberanze del cranio. Con la fisiognomica e la frenologia la ragione osservativa consuma la sua crisi perché pretende di osservare l’unità tra io e mondo, tra spirito e materia, senza rendersi conto che quest’unità va conquistata ed elaborata attraverso un’attività dello spirito, la presunta coincidenza tra natura e spirito in realtà è qualcosa che va prodotto. Ecco come dalla ragione semplicemente osservativa si passa alla ragione attiva. Ognuno di questi momenti sta all’altro come in sé e per se. Tutta la fenomenologia è il passaggio dall’in se al per sé. IN SE = inconsapevolezza-> ragione OSSERVATIVA PER SE = consapevolezza- > ragione ATTIVA La ragione attiva rappresenta il per se mentre quella contemplativa in se. La vertà è la sintesi che riesce a fondere insieme momento implicito (in se) e esplicito (per se). Le figure della ragione ⁃ Il piacere e la necessità ⁃ La legge del cuore e il delirio della presunzione ⁃ La virtù e il corso del mondo 1. Il piacere e la necessità È quel momento in cui, dopo aver studiato la natura nella filosofia della natura, nell’ empirismo ecc. il filosofo si rende conto del divario che ancora sussiste tra l’io e il mondo, e ne resta profondamente deluso. Ripiega quindi su se stesso, sulla ricerca del piacere. La figura storico-simbolica di riferimento del piacere e della necessità è il Fausto di Goethe (pubblicato dopo, prima pubblica l’ur faust). Faust è un personaggio semi-mitologico della letteratura tedesca: si tratta di un topos che rappresenta lo studioso che dopo aver passato una vita intera chiuso nel suo studio, si rende conto dell’inanità (vuotezza) del suo sforzo immane. Faust, come il filosofo, passa tutta la sua vita a studiare, però poi si rende conto di non aver prodotto niente; nel frattempo la giovinezza è passata, e lui non ha goduto i piaceri. Stringe quindi un patto con Mefistofele (diavolo), il quale gli restituisce la giovinezza in cambio dell’anima. Lui torna giovane, seduce ed è sedotto dalla bella margherita, fanciulla innocente. Quando lui finalmente coglie questo fiore si rende conto che il piacere che trae da questa unione carnale dura un attimo. Ecco perché piacere e necessità: Faust, lo spirito, in questo momento, si rende conto che “la verità del piacere sta nel suo inesorabile venir meno”: Il piacere è un qualcosa di talmente effimero e subitaneo che dura un attimo, e questa stessa effimerità del piacere viene sentita come una necessità utile che impedisce all’uomo di questo periodo di raggiungere la felicità. il primo momento della ragione attiva, quello della ricerca della felicità individuale, attraverso il piacere, è destinato al fallimento nel momento in cui faustianamente l’uomo si rende conto che la verità vera del piacere sta nel suo inesorabile venir meno. Subentra la seconda figura della ragione attiva, e cioè la legge del cuore e l delirio della presunzione 2. Mentre il piacere e la necessità rappresenta la ricerca della felicità individuale, la legge del cuore e il deliro della presunzione rappresenta la ricerca della felicità collettiva. Infatti, deluso e frustrato dalla ricerca della felicità individuale, l’individuo cerca di elevarsi a livello collettivo cercando di elaborare una legge del cuore che possa rendere felice l’umanità intera, sovraindividuale (ecco perché legge del cuore), elevandosi al piacere individuale. In questo va incontro ad un fatale delirio di presunzione perché la legge del cuore non può essere universale. L’individuo cerca di elevarsi ancora di più cercando di attingere, partendo dalla legge del cuore, in sé e per se alla virtù. In questo caso la figura simbolica di riferimento è rappresentata da Robespierre, l’incorruttibile, il cavaliere della virtù. La sua esperienza però sarà effimera e soprattutto si concluderà con il 9 termidoro. In generale, il cavaliere della virtù (Robespierre come lo spirito della seconda fase), infatti, si crea un mondo ideale che vuole cercare di riformare il mondo reale, ma viene travolto dal corso del mondo, che secondo hegel “ha sempre ragione”. 3. a questo punto la ragione, dopo aver conosciuto il tramonto della virtù a causa del corso del mondo, ripiega ancora una volta su sé stessa, e si dedica ai propri doveri. Dopo il 9 termidoro c’è il trionfo della borghesia; e infatti questa ulteriore figura che si viene a creare in questo terzo momento, che Hegel chiama dell’individualità reale in se e per se reale, si viene a creare un atteggiamento di onesta, “piccoloborghese”, cura dei propri doveri. La prima figura di questa nuova parte della femenologia -che Hegel chiama momento della individualità in se e per se reale- si chiama “il regno animale dello spirito e l’inganno vel (ovvero) la cosa stessa”. che cos’è il regno animale dello spirito? è un po’ quello che piacere e necessità rappresentano per il primo momento della ragione attiva. Il regno animale dello spirito è questo momento di ripiego per il quale, deluso dal corso del mondo e non ancora elevatosi all’unità di io e il mondo, lo spirito si immiserisce nella cura dei propri interessi. La figura del piccolo borghese che si inserisce nel contesto sociale francese dopo la Rivoluzione francese è una figura che si dedica ai propri doveri e alle proprie cure, spacciandoli per gli interessi collettivi. In questo modo lo spirito si immiserisce fino ad arrivare al livello animale. In questo una sostanziale condanna allo spirito piccolo borghese. si arriva quindi a questo regno animale dello spirito che però presenta un inganno: e cioè la cosa stessa. che cosa sta perseguendo il piccolo borghese? il proprio interesse personale, che egli spaccia per il bene (l’inganno). Nel momento in cui si rende conto dell’inganno l’individuo passa ad un livello superiore diventando ragione legislatrice, la quale pretende di dare delle leggi che vadano al di la dell’interesse personale. Anche quo però c’è uno stacco che mette capo a una nuova figura: LA RAGIONE ESAMINATRICE delle leggi. La ragione legislatrice (un po’ come la legge del cuore e delirio della presunzione) si rede conto che le leggi che elabora sono sue e ei pensa di poterle estendere a tutti. Dopo il fallimento di tutto ciò la ragione legislatrice si mette ad esaminare le leggi già esistenti: anche in questo caso si mette, in una nuova forma di hybris, al di sopra della legge stessa. HEGEL CON TUTTE QUESTE FIGURE CI VUOLE DIRE CHE UNO A QUANDO LO SFORZO PER SUTURARE IL RAPPORTO IO-MONDO È UNO SFORZO INDIVIDUALE, NON APPRODERÀ MAI A NULLA. Ci sarà il riconoscimento di questa unità io-mondo quando NELLO SPIRITO OGGETTIVO (NON NELLA RAGIONE) -quando la ragione finalmente diventata spirito si renderà conto che quel bene rincorso a livello individuale si trova già in parte realizzato nelle tre grandi istituzioni storico-politiche di ogni popolo: famiglia, società civile e stato, che realizzano collettivamente il bene, prodotto non dall’individuo, ma dallo spirito che abita la storia. Ecco allora che finalmente lo spirito individuale si può riconciliare con lo spirito universale: ecco allora che all’interno dello stato fioriscono l’arte, la religione e la filosofia, e soltanto attraverso la filosofia che posso avere una visione complessiva di tutto. Ecco come dalla fenomenologia dello spirito si passa all’enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio. Il principio che Hegel vuole trattare è il principio proprio della sua filosofia: la risoluzione del finito nell’infinito e la coincidenza di spirito e natura. Hegel per dimostrare tutto questo utilizza due strade, la prima consiste nel mostrare come l’uomo arrivi ad avere consapevolezza della risoluzione del finito nell’infinito e la coincidenza tra spirito e natura (quella appena terminata). La seconda strada è quella che egli mette in atto nel sistema: rendersi conto di questa totalità processuale necessaria, e quindi della risoluzione del finito nell’infinito e della coincidenza di spirito e natura in tutte le determinazioni della realtà. ecco perché la fenomenologia dello spirito ritorna nel sistema, perché ne è parte integrante. il sistema è composto da 3 parti: logica, natura e spirito. Si tratta sostanzialmente del processo di sviluppo dell’idea: prima è in se e per se, poi si aliena nella natura e poi ritorna sinteticamente a se nello spirito, che è sintesi di logica e natura. hegel nell’enciclopedia ricapitola tutto ciò che già aveva trattato nel sistema peroni compendio, cioè sintetizzata. 23/02/2023 Siamo arrivati ad un punto di vista speculativo (oramai il pensiero filosofico di Hegel è strutturato e completo) ; da questo punto Hegel scrive l’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio in cui sintetizza tutte le parti del sistema e al contempo si occupa di dettagliare meglio le parti che compongono il sistema stesso. Scrive infatti: • 1812- 1816: scienza della logica ( la scrive quando era direttore del ginnasio di Norimberga) • 1817: Enciclopedia delle scienze filosofie in compendio ( quando insegna ad Heidelberg) • 1821 ( 10 anni prima di morire ) : Lineamenti della filosofia del diritto, nella quale tratta dello spirito oggettivo. Nei 13 anni (dal 1818) in cui insegna all’università di Berlino tiene tutta una serie di corsi sullo spirito assoluto ( arte, religione, filosofia ) , sulla storia della filosofia, sulla filosofia della storia, sull’estetica (i suoi allievi pubblicheranno un “estetica” di Hegel) , su vari aspetti. Hegel è un pensatore estremamente sistematico e infatti le opere ricalcano quasi puntualmente lo sviluppo dell’idea nel suo farsi, e cioè innanzitutto come idea in se e per se ( primo momento ), poi l’idea nel suo essere altro, e cioè il momento dell’alienazione nella natura, e poi il terzo momento in cui l’idea torna a se nello spirito: questo è il momento in cui l’idea conosce se stessa attraverso le attività dello spirito. La filosofia è il momento in cui l’idea prende consapevolezza di se stessa attraverso i filosofi. Sono momenti da intendersi non in maniera cronologica ma in maniera logica, sussiste nella realtà lo spirito che ha come presupposto l’idea e ha come suo eterno presupposto la natura dal quale emerge. LA SCIENZA DELLA LOGICA – I MOMENTO Scritta fra il 1812 e 1816 e poi ricapitolata nella prima parte dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche. L’Enciclopedia è la carta generale ( l’atlante geografico ) dove scienza della logica, scienza della natura e quella dello spirito sono le tre parti dettagliate. Il termine scienza Tutti i grandi esponenti dell’idealismo classico tedesco ( Fichte, Schelling) utilizzano questo termine scienza perché tendono a cristallizzare la filosofia da un semplice anelito ( aspirazione al sapere) a scienza esatta ( WISSENSHAFT) . Hegel su questa scia chiamerà la dottrina che si occupa dell’idea in se per se come scienza della logica. Il termine logica Il termine logica va inteso in questo caso come la dottrina del logos ( il frammento I di Eraclito recita proprio : non ascoltando me ma il logos è saggio convenire che tutto è uno) , il termine logica va inteso come dottrina del logos, e il logos come l’idea stessa, un soggetto spirituale in divenire che costituisce il protagonista del sistema hegeliano. Infatti, con Hegel il termine logica assume un significato ben preciso, che non allude più ad una dottrina puramente formale. RICORDA: nel campo della logica - in Aristotele abbiamo visto Analitici I che è una dottrina formale, cioè focalizza il meccanismo del pensiero prescindendo i contenuti, e Analitici II che analizza i contenuti, sotto forma del problema delle premesse. La logica aristotelica è quindi formale e contenutistica. - la logica kantiana - trascendentale che si basa su quei particolari contenuti che sono le forme apriori dell’intelletto, le 12 categorie, è una logica contenutistica anche se i suoi contenuti sono dei particolari contenuti formali che sono le categorie dell’intelletto. La logica hegeliana-dialettica, non è una disciplina formale ma il suo CONTENUTO è IMMANENTE alla logica stessa, e il contenuto altro non sono che i pensieri di Dio stesso. Il momento in cui l’idea è in se e per se, la logica di Hegel non è altro che il programma logico, lo schema di ciò che succederà (momento astratto) , e che nel secondo momento si concretizzerà nella natura; il terzo momento poi altro non è che una sintesi tra l’astrazione e la concretizzazione, tra primo e secondo momento. Con la scienza della logica noi siamo nell’elemento astratto del pensiero ( l’idea è in se per se, è l’idea nell’elemento astratto del pensiero, e cioè nel momento della più abissale inconsapevolezza a quello della consapevolezza, però sempre a livello astratto, è l’idea nell’elemento astratto del pensiero = quando parlammo di Aristotele citammo il primo motore immobile, che è forma pura, sostanza e siamo arrivati a dire che Dio è NOESIS NOESEOS e cioè pensiero dello stesso pensiero, la scienza della logica di Hegel vuole fotografare quelli che sono i pensieri di Dio che si appresta ad immanentizzarsi nella realtà, che fissa il piano logico del suo progressivo immanentizzarsi nella realtà naturale e umana ) . In questo senso La scienza della logica è un opera di RESTAURAZIONE, la restaurazione di un senso, cioè quello della verità reale, che si era completamente perso con il criticismo Kantiano: con Kant abbiamo una profonda divaricazione tra certezza (approccio al fenomeno, l’oggetto reale viene filtrato attraverso le mie forme apriori) e verità; io di come sia la realtà non potrò mai dire nulla perchè la realtà per me sarà sempre NOUMENO. Con Hegel c’è una restaurazione di un senso della verità che era stato compromesso dal criticismo kantiano e infatti per Kant la natura è l’ordine formale dell’ apparire, cioè l’insieme delle leggi che derivano dall’attività dell’intelletto stesso, non esistono leggi della natura ma sono create dall’intelletto stesso. Sull’architrave della critica della ragione pura regna sovrana la domanda: “CHE COSA POSSO SAPERE”? Domanda fondamentale che implica un’altra questione, fino a che punto mi posso spingere? Da dove la mia conoscenza fallisce? problema di Kant tipicamente illuministico (la questione del senso del limite della ragione umana). Con l’idealismo viene tolto il limite e gli idealisti si accaniscono sul concetto del Noumeno: l’eliminazione di questo concetto ingombrante come il noumeno comporta la riapertura all’intelletto delle porte del vero reale, come dice Hegel. La scienza della logica è un’opera di restaurazione del senso della verità che era stato compromesso dal criticismo kantiano, Kant aveva considerato la natura come puro e semplice ordine formale dell’apparire. Hegel ritorna alla vecchia concezione della conoscenza come ADEQUATIO REI ET INTELLECTUS però mediata attraverso quello che diceva Giovanni Gentile e cioè che si può meglio parlare di un ADEQUATIO INTELLECTUS ET INTELLECTUS. Per Hegel logica e metafisica coincidono e anche logica e ontologia così come accadeva in Aristotele. RICORDA: - Per Aristotele le categorie sono LEGES MENTIS e LEGES ENTIS, leggi sia della realtà e del pensiero che conosce la realtà, - per Kant sono solo LEGES MENSTIS, hanno solo valore formale. Hegel opera la restaurazione grazie ad una sutura aristotelica, cioè opera una mediazione aristotelica e ritorna all’antico senso della verità. Quest’opera infatti riprende la tradizione ontologica e metafisica antica, per Hegel la filosofia è un CONTINUUM, è qualcosa che sta al di sopra dei filosofi ( è la conoscenza che Dio , inteso come Logos, ha di se stesso ) di cui filosofi non sono altro che i corifei. Tutto il tessuto della scienza della logica è trapuntato ( così come il tessuto della fenomenologia dello spirito era trapuntato da una serie di figure, che sono dei simboli concreti che hanno una loro pregnanza storica elevata al valore del simbolo) da tutta un serie di categorie che Hegel chiama CONCETTI ( ritorna un termine aristotelico e kantiano). Le categorie hegeliane sono i concetti della scienza della logica; sono dei pensieri concreti. A differenza delle figure queste categorie sono prive di storicità. La scienza della logica è il sapere dell’idea nell’elemento astratto del pensiero, cioè l’idea non si è ancora immanentizzata nella realtà; quindi, non ha una sua concrezione storica; quindi sono concetti che però hanno una valenza sia ideale che reale, non sono pensieri astratti ma pregni di quella realtà che poi sarà. Questi concetti stanno proprio ad indicare la perfetta sincronia tra logica e ontologia. Hegel addirittura si spinge ad un azzardata etimologizzazione di questo fatto facendo rivelare come nella lingua tedesca come in quella inglese ci sia un assonanza tra il termine DING ( cosa - THING in inglese ) e il ( DENKEN = pensare, THINK in inglese ). Non è causale che siano simili perchè nella lingua degli antichi erano tutt’uno: la cosa e il pensare la cosa. Per cui i concetti rappresentano l’intelaiatura logica della scienza della logica. La scienza della logica si divide in 3 parti: • dottrina dell’Essere ( tesi ) • dottrina dell’Essenza ( antitesi ) • dottrina del Concetto La dottrina dell’Essere L’opera si apre con una decina di pagine dove Hegel si pone il problema dell’ANFANG ( deriva dal verbo tedesco ANFANGEN ) Il termine Anfang significa cominciamento; lo possiamo tradurre in greco come ARKE. La filosofia antica parte dal problema dell’arke, del cominciamento. Hegel allo stesso modo si chiede da quale concetto bisogni iniziare a investigare. Si deve partire dal concetto che sembra più ricco ma che alla fine è il più semplice, il più immediato; è il concetto di ESSERE che è, secondo Hegel l’IMMEDIATO INDETERMINATO, e cioè non è il frutto di nessuna mediazione ma è il cominciamento che parte proprio dall’essere Immediato = viene per primo, non è frutto di mediazione Indeterminato = in greco APEIRON. Hegel parte proprio -tra le righe- dall’apeiron di Anassimandro (indeterminato perché non è frutto di nessuna determinazione, è arke) PROPRIO PERCHÉ L’ESSERE È L’IMMEDIATO INDETERMINATO È IDENTICO ALL’OPPOSTO. La triade di aleteia: l’essere è la tesi, l’opposto è l’essenza; il risultato, l’aufebung, è il concetto. In Hegel la prima triade dell’essere è: essere, nulla e divenire. L’opposto dell’essere è il non essere, e cioè il nulla. Per Hegel da questo punto di vista l’essere come puro essere in cui non c’è ancora nulla di determinato (è immediato indeterminato) è identico al nulla, perché anche il nulla è un abisso vuoto in cui non c’è alcuna determinazione: essere e nulla sono due antitesi, si contrappongono, e dalla loro contrapposizione scaturisce il divenire. Anche gli antichi hanno sempre concepito il divenire come passaggio dal non essere ancora all’essere al non essere più. Con il divenire si passa dall’essere come IMMEDIATO INDETERMINATO all’ente come il MEDIATO DETERMINATO. L’essere è questo apeiron in cui c’è tutto ma nessuna determinazione, che attraverso l’opposizione con il nulla passa al divenire dal quale viene in luce l’ente come il MEDIATO (mediato dall’opposizione tra essere e non essere) DETERMINATO. L’ente si specifica attraverso qualità, quantità e misura. La qualità (io sono uomo, questo è un tavolo) trova riscontro positivo nella quantità (QUANTA qualità ci vuole per creare un ente); la sintesi perfetta tra qualità e quantità è rappresentata dalla misura, che non è altro che la quantità nella qualità. L’ente si determina e si costituisce. Però questo ente che è immediato determinato è considerato soltanto nel suo isolamento. Dall’essere si passa all’essenza quando l’essere esce dal suo isolamento si confronta nell’altro da se; a questo punto l’essere riflette su se stesso e scopre la sua essenza (posso ora dire “io sono un uomo” ): ogni ente ha una sua essenza che si determina attraverso il confronto con gli altri. Questa scoperta è mediata dai principi di identità, di contraddizione e del terzo escluso: in questo modo l’ente smuovendosi dal suo isolamento entra in rapporto con gli altri enti e si scopre nello stesso tempo identico a se stesso e diverso dagli altri; e in questo modo scopre la propria essenza la quale si caratterizza nell’esteriorità come fenomeno. RICORDA: In Aristotele la sostanza è nello stesso tempo l’essenza dell’essere (forma) e l’essere dell’essenza (esteriorità). Ritorna Aristotele nell’essenza perché l’essenza è essenza come ragione dell’esistenza, come ragion d’essere; è fenomeno come esteriorità, come manifestività, e la sintesi tra esistenza come ragion d’essere e il fenomeno come esteriorità è l’interno-esterno che è la realtà effettuale L’essenza così arricchita di se, diventa concetto. Non è il semplice concetto dell’intelletto svincolato dalla realtà, ma è il concetto come ricchezza della realtà stessa. Non è un concetto soggettivo ma oggettivo. Il concetto è innanzitutto soggettivo, poi oggettivo e soltanto infine diventa idea. Il concetto soggettivo è il concetto logico -in senso formale- e che Hegel iscrive in una intelaiatura fittissima di rapporti. Il concetto soggettivo si basa su identità, non contraddizione e terzo escluso, e quindi sempre in ambito aristotelico i concetti soggettivi sono i concetti logici elementari che poi si organizzano in concetti elementari, nel giudizio e nel sillogismo. Dal punto di vista formale per Hegel tutta la realtà non è altro che sillogismo e cioè una totalità necessaria in cui le cose avvengono necessariamente perché tutto ciò che è razionale è reale e viceversa. Da un punto di vista formale il sillogismo esprime l’essenza stessa della realtà, la quale passa per il concetto oggettivo che si estrinseca per tutti gli aspetti della natura (3 categorie del concetto oggettivo): • Meccanismo • Chimismo • Teleologia = tutta la natura è una piramide finalizzata (come diceva shelling) a cosa ruocco non lo dice Il concetto oggettivo è il concetto si calerà negli aspetti della natura che sono dai più elementari al e poi sfocia nel cervello dell’uomo ma per Hegel sfocia nello spirito che conosce l’idea- l’idea conosce se stessa. Il concetto più alto che è l’idea che è la verità. L’idea è la vità = unione di un’anima e un corpo ( uomo potenzialmente spirito ) in secondo luogo è il conoscere che può prendere due direzioni ( il conoscere teoretico = la spinta è data dalla verità e il pratico = la spinta è data dal bene ) il conoscere è conoscere teoretico e agire pratico la sintesi dell’ideaa come vita e l’idea come conoscere teoretico e agire pratico è l’idea assoluta = l’idea OBIECTO A SE MEDESIMA l’idea è partita dal grado più inconsapevole di se per poi diventare pienamente consapevole di se. 1 marzo 2023 filosofia della natura: meccanica, fisica, fisica organica Il secondo momento del sistema di Hegel è la natura, ovvero il momento dell’idea nel momento del suo essere altro. Abbiamo visto che la scienza filosofica segue pari pari i momenti dello sviluppo dell’ idea: idea in sé per sé (a cui corrisponde la scienza della logica), dopodiché l’idea nel suo essere altro, cioè la natura (nessuna opera specifica, parla della natura in solo 7-8pag nella seconda parte dell’enciclopedia). Hegel è molto più vicino a Fichte che a Schelling, per quanto riguarda la natura: in Schelling c’è una grande rivalutazione della natura, Fichte la considera come “prope nihil”, anche per Hegel la natura, in quanto è la dimensione della natura nel suo essere altro (cioè la natura è antitesi, non ens), ha ben poca importanza (questo si capisce comunque dal fatto che Hegel non dedica un’intera opera alla natura, nell’enciclopedia c’è tutto), “vale molto più il pensiero dell’ultimo dei criminali piuttosto che il più bel panorama” (parte dello spirito>natura). Hegel apre queste pagine dedicate alla natura con una considerazione dei rapporti tra fisica empirica e filosofia della natura: ci deve essere, dice Hegel, un rapporto ancillare, la fisica empirica deve svolgere il lavoro di osservazione che in se per se non vale nulla, secondo Hegel, per poi offrirlo alla considerazione generale della filosofia della natura. Hegel getta le basi per quella dicotomia tra le scienze esatte e le scienze dello spirito. Hegel divide la natura (estrinsecazione dell’idea) in meccanica, fisica, e fisica organica. La meccanica considera l’esteriorità della natura (spazio, tempo, materia) La fisica inorganica considera le leggi interne alla natura (magnetismo, elettricità etc) La fisica organica considera il mondo geologico, la natura vegetale e l’organismo animale (che culmina nell’uomo) Hegel riprende, sostanzialmente, la filosofia della natura di Schelling, ma c’è una differenza: in Schelling rappresenta una parte dell’assoluto, in Hegel ha un valore puramente estrinseco. Filosofia dello spirito, spirito oggettivo: il diritto astratto o dell’esteriorità legale Subito dopo là filosofia della natura, c’è la sintesi del sistema di Hegel, che è lo spirito: dopo esser stata in se e per se e dopo essersi alienata, l’idea ritorna a se proprio nel senso dell’aufebung: ritorna a se stessa, ma è un ritorno potenziato da tutto ciò che c’è stato durante l’antitesi. Lo spirito è l’uomo, ed è l’idea che è consapevole di sé, quindi Primo momento: idea in se e per se, idea nell’elemento astratto del pensiero Secondo momento: idea fuori di se, idea nell’elemento del suo essere altro Terzo momento: idea che ritorna a se con piena consapevolezza di se A questo terzo momento, che è l’aufebung, corrisponde, dal punto di vista filosofico, la filosofia dello spirito (al primo momento corrisponde la logica, al secondo la filosofia della natura) che Hegel chiama come “la più alta e complessa”. È scandita in tre momenti (spirito soggettivo, oggettivo ed assoluto). Rispetto alla natura, lo spirito ha una sua caratteristica fondamentale: mentre nella natura i momenti coesistono l’uno accanto all’altro (es natura geologica=natura vegetale), invece nello spirito c’è una sussunzione dei momenti, ,cioè tutti i momenti sono preparati dai precedenti e già includono e preparano i successivi (es: l’individuo è il primo spirito, ma non vive accanto alla società civile, ha in se lo stato che poi nascerà dallo spirito. Non esiste l’individuo accanto allo stato, esiste l’individuo che ha già in se lo stato civile). Lo spirito è innanzitutto soggettivo, cioè lo spirito individuale nell’insieme delle sue caratteristiche. È l’individuum, il soggetto Lo spirito oggettivo è lo spirito sovra individuale, cioè quello sociale, è lo spirito nell’insieme dei rapporti con gli altri Lo spirito assoluto non ha più nessuna limitazione, non è semplicemente uno o l’altro (che diventano due astrazioni dal punto di visto dello spirito assoluto, astrazioni delle quali il completamento è lo spirito assoluto, cioè lo spirito che diventa pienamente consapevole di se attraverso l’arte, la religione e la filosofia). lo spirito soggettivo è diviso in antropologia, fenomenologia e psicologia, coglie lo spirito nei suoi elementi ancora naturali, non dimentichiamo il processo a cui eravamo arrivati: la matura culmina con l’organismo animale che ha la sua vetta nell’uomo, il quale non nasce bello e fatto, ma ha bisogno a sua volta di uno sviluppo, il cui primo grado è lo spirito soggettivo che considera l’uomo nell’insieme di tutti quei rapporti che lo legano alla natura (è l’uomo a metà strada tra la natura e lo spirito vero e proprio, es “i prigioni di Michelangelo”, quasi lottano contro la natura). L’antropologia considera lo spirito come “anima”, noi ci aspetteremmo anima nel senso di psicologia, invece l’antropologia considera l’uomo come anima (il primo sviluppo dell’idea nella scienza della logica è la vita intesa come un’anima unita ad un corpo), l’anima è il primo momento. Divide l’anima in anima naturale, senziente e naturale. Hegel intende per “anima” tutta quella serie di vincoli che, nonostante la nostra vita spirituale, continuano a persistere come base del nostro stesso essere (es noi studiamo filosofia, ma intanto abbiamo anche fame, proviamo noia, facciamo uno starnuto etc, tutti questi vincoli sono legati alla nostra essenza naturale, e secondo Hegel vanno sotto il nome di “anima), tra questi elementi naturali abbiamo quelli delle diverse fasi della vita (considerazione della vita di ruocco vs una ragazzina), la differenza di genere etc. a proposito della varie età della vita, nel paragrafo 396 dell’enciclopedia Hegel riprende un tema che abbiamo già trovato in Hobbes, perché in questo paragrafo Hegel parla delle differenti età della vita dicendo che: 1. l’infanzia è caratterizzata da un rapporto armonico ed armonioso con il mondo (il bimbo non mette in discussione il mondo), 2. il mondo viene messo in discussione, e quindi l’individuo ha un rapporto conflittuale con il mondo, durante l’età dell’adolescenza (contestare i genitori, le leggi etc), all’adolescenza segue la terza età, cioè 3. la maturità, che è l’aufebung delle prime due: è il ritorno consapevole alla situazione iniziale, inf l’individuo si concilia con il mondo. C’e un’accettazione dell’esistenza della realtà, ma è un’accettazione consapevole (≠fanciullezza) 4. la vecchiaia è caratterizzata dall’abitudine che ottunde dopo l’antropologia c’è la fenomenologia della quale abbiamo già parlato (lo spirito è coscienza, autocoscienza e ragione), poi c’è la psicologia che tratta delle caratteristiche generali dello spirito umano, che è innanzitutto conoscere teoretico, poi agire pratico e volere libero (tesi, antitesi, sintesi). A questo punto, c’è il secondo momento, che è quello più importante di tutta la filosofia dello spirito di Hegel, cioè lo spirito oggettivo. Hegel ha trattato dello spirito in varie opere, poi ha trattato dello spirito oggettivo nei lineamenti di filosofia del diritto, tutta questa parte dello spirito è stata poi recuperata nella enciclopedia. Lo spirito oggettivo è quello sociale, ed è scandito da tre momenti: il diritto la moralità lo spirito nella sfera dello spirito oggettivo si entra attraverso l’ultima propaggine dello spirito soggettivo, cioè il volere libero. È proprio questa volontà di libertà che fa si che l’individuo entri nella dimensione dello spirito sovra individuale, infatti nel momento in cui io intendo esercitare la mia libertà, la mia libertà stessa attacca la libertà altrui, ecco che si entra nella sfera collettiva, il cui primo punto è il diritto astratto. Il termine diritto viene visto come qualcosa di rettilineo, non storico. Hegel parla di diritto astratto perché nel diritto ogni individuo viene visto come “persona” (persona=maschera, ricorda l’antico teatro greco nei quali i personaggi erano chiamati “persone”, persona giuridica=maschera con una serie di diritti), all’interno del diritto gli individui non vengono più considerati come tizio e caio, ma come delle persone. Il diritto richiama il suo opposto (ma non il torto), Hegel dice che se il diritto è il lecito, l’opposto del lecito è l’illecito.l’illecito ha tre fattispecie, che sono inserite in una sorta di climax: dall’illecito meno grave a quello più grave. Il torto, che è il riconoscimento formale del diritto ma lo nego (es del bagno) La frode, che riguarda non una singola persona, bensì tutti. Si basa sul riconoscimento formale ed ipocrita del diritto. Il delitto, delinquere è un verbo che rimanda al disgregare: con il diritto non c’è più il riconoscimento del diritto, infatti c’è la pena. Hegel sta giustificando la bontà della pena, attraverso la quale avviene il ripristino dell’uomo nel criminale (in antico il carcere era chiamato bagno penale) Nel diritto astratto, Hegel fa convergere il diritto pubblico e privato (privato=il diritto che regolamenta le azioni tra privati cittadini, coincide con il diritto civile). La pena esige una dimensione diversa da quella puramente esteriore della legalità, ecco perché Hegel chiama il diritto astratto come “esteriorità legale”, perché la legge colpisce solo dal punto di vista esteriore, il codice. La pena però deve essere inserita in una dimensione non estetica ma interna. Questa interiorità richiama il secondo momento dello spirito oggettivo, ovvero la moralità. La moralità riguarda non più l’esteriorità legale, ma l’interiorità morale, che nasce da un proponimento, ovvero la prima spia del nostro essere morali (sono morale nel momento in cui mi pongo un obiettivo), questo proponimento diventa un’intenzione perché è frutto di un essere razionale.l’intenzione è il proponimento coscienze di se, il quale non punta immediatamente al bene generale, il fine è il benessere (benessere riguarda me, il bene riguarda la collettività). Il proponimento, che diventa intenzione in quanto scaturisce da una mente razionale, mira il benessere. Se l’intenzione si eleva al piano generale, il fine diventa il bene. (proponimento, intenzione e benessere, bene>tre momenti della moralità). Il bene che io intendo perseguire, è però sempre in qualche modo individuale. La morale vive sempre questo squilibrio tra l’intenzione, che vuole realizzare bene, e la capacità effettiva di realizzare il bene. “il bene diventa un universale che, nello stesso tempo, è potente ma nello stesso tempo non è (perché deve essere realizzare. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare). Abbiamo fusis e nomos, esteriorità legale ed interiorità morale. Hegel ha posto un terzo termine che ne rappresenta la sintesi, cioe la eticit, che è diritto che ha assunto la forma della morale, e la morale che ha assunto le forme del diritto. L’eticitá è moralità sociale concreta. la moralità semplice è una moralità astratta (voglio realizzare il bene, ma non ci riesco), mi pacifico quando realizzo che il bene realizzato è già inserito nei grandi istituti storico-sociali del mio tempo, cioè la famiglia, la società e lo stato(la ragione diventa spirito quando si pacifica con la realtà, perché è la realtà è già la ragione dispiegata. La filosofia, dice Hegel, non deve entrare in conflitto con la realtà, deve solo realizzare quello che è già realizzato nella realtà). l’eticità è la grande intuizione di Hegel, perché ricuce la lacerazione già teorizzata dai greci nel corpo della tragedia (che nasce tra il contrasto tra il nomos basileus -il diritto che è re- e la fusis -l’interiorità morale) diritto e morale sono astratte, l’eticità è concreta, in quanto è moralità che ha perso le forme dell’interiorità astratta ed è diritto che ha perso le forme dell’esteriorità altrettanto astratta. Per quanto riguarda le istituzioni storico-sociali La famiglia. La famiglia è la forma legale in cui avviene la conferenza, dice Hegel, della naturale attrazione dei sessi, questa attrazione naturale trova una sua forma legale nella famiglia. Il termine famiglia deriva dall’osco “faama”, la famiglia indica l’unità organica che vive in una casa, quindi rappresenta quella che Hegel chiama società naturale, è una società basata sull’attrazione dei sessi che viene poi formalizzata in maniera legale con il matrimonio. È una unità organica perché è basata su due elementi: l’amore e la fiducia, quando mancano queste due cose, non si parla più di famiglia. Grazie a questi due termini, gli individui diventano coniugi, cioè hanno un rapporto di coniugio (deriva da iugum, cioè il giogo che tiene insieme due buoi). La famiglia si basa su tre elementi: il matrimonio, il patrimonio, l’educazione dei figli (cioè la sintesi). Alla base delle parole matrimonio e patrimonio, c’è la parola monio (che deriva da munus, che significa sia dono -persona munifica-, sia impegno e dovere.) il matrimonio è il dono in pegno della madre, il patrimonio è il dono in pegno del padre. La naturale attrazione dei sessi porti alla procreazione, ma la vera e propria vita dei figli nasce con l’educazione dei figli, che Hegel ritiene essere la loro vera e propria nascita. L’educazione dei figli, dice Hegel nei lineamenti della filosofia del diritto, è una seconda nascita ed è la più importante, perché è la nascita civile, non biologica, i figli poi formano nuove famiglie, e creeranno il secondo momento della società civile vera e propria invenzione di Hegel, si trova tra la famiglia e lo stato-. La società civile. Nel momento in cui la mattina esco fuori dalla casa, è come se indossassi un’altra maschera, che è la maschera civile: sono un cittadino, prima che membro della mia famiglia. La famiglia è lo spazio della interiorità naturale, la società civile è lo spazio della esteriorità civile. Dice Hegel “la società civile è lo spazio della socievole insocievolezza e della insocievole socievolezza”, perché per esempio noi vorremmo alzarci ed andare via, ma siamo costretti ad ascoltare filosofia, quindi noi diventiamo socievoli (facenti parti della società) anche se naturalmente saremmo insocievoli. La società civile è lo spazio economico-sociale e giuridico-amministrativo del vivere insieme,cioè le famiglie vivono insieme ma in maniera disgregata (≠famiglia, dove c’è una coesione massima. Nella società civile c’è una disgregazione massima). Questa società civile Hegel la chiama anche stato esterno, perché la società civile già prefigura lo stato, però è la forma semplicemente esteriore dello stato, in quanto le manca quell’unitarietà che invece è il dato caratteristico dello stato, riprende l’unitarietà della famiglia ma in grande scala, quindi è una famiglia in grande di cui il momento di passaggio è la società civile come stato esterno. I tre momenti della società civile sono: il sistema dei bisogni, l’amministrazione della giustizia, la polizia e le corporazioni. Per quanto riguarda il sistema dei bisogni, Hegel riprende il quarto libro della politeia di Platone, nella quale viene giustificata la divisione in classi (“siccome in una società ci sono tante necessità da soddisfare, è giusto che il demos si particolarizzi organicamente). Le classi sono strutturalmente naturali all’interno della società civile, perché corrispondono al sistema dei bisogni. Hegel individua tre classi: la classe sostanziale(produce la sostanza materiale del vivere insieme, gli agricoltori), la classe formale(chi da forma alla sostanza, produttori, artigiani etc), la classe universale (classe degli addetti allo stato, quindi amministratori dello stato, professori -ricchezza spirituale di un popolo-). Per quanto riguarda l’amministrazione della giustizia, per Hegel avviene a livello di società civile, non a livello di stato, che non si abbassa ad amministrare la giustizia. Infine, per quanto riguarda la polizia e le corporazioni, la polizia fa rispettare le leggi e le corporazioni hanno una funzione che troveremo nelle società totalitarie, la corporazione svolge il ruolo di un anello di passaggio tra l’individuale tipico della società civile e l’universale tipico dello stato. Per esempio, Ruocco entrando nella corporazioni dei professori si spoglia del suo interesse particolare per abbracciare l’interesse generale di una sola categoria, quindi già inizia ad uscire dalla sua individualità. Si tratta di un’universalità parziale, però. Lo stato rappresenta l’unica totale. Le corporazioni sono importanti perché sono l’anello di passaggio tra l’individuale della società civile e l’universale dello stato. filosofia 8 marzo 2023 la dottrina dello stato e le lezioni sulla filosofia della storia siamo arrivati a parlare dell’eticità (moralità sociale concreta, sintesi di interno e di esterno, è moralità che si è concretizzata, non appartiene più al regno dei buoni propositi. la famiglia è la società naturale, contrapposta alla società civile, ovvero “stato esterno”, che rappresenta una forma di stato senza l’omogeneità propria dello stato sia esterno che interno), ora tocchiamo la parte più importante: la dottrina dello stato, che si trova esposta soprattutto nei lineamenti di filosofia del diritto(1821), e si trova poi ricapitolata nella enciclopedia. Hegel, in primis, esprime una concezione etica ed organicistica dello stato, organicistica ovvero lo stato non è un’addizione di individui, ma è un organismo, poi Hegel esprime una concezione etica dello stato: -lo stato esprime l’etos del popolo, ovvero i costumi e la sostanza (Hegel dice “noi siamo sempre nella sostanza etica dello stato”, sostanza proprio nel senso di fondamento etico dello stato) -lo stato si regge sull’idea di un bene universale, cioè lo stato non è asettico, nella visione di Hegel lo stato ha una missione etica, ovvero realizzare il bene, anzi lo stato è il bene realizzato, è fondato sull’idea di un bene universale. “stato etico”=stati in Iran, commettono crimini in vista del raggiungimento del bene. lo stato sta alla società civile come l’universale sta al particolare (bene universale≠individualità universale, esempio dello stipendio). attraverso quest’approccio etico ed organicisitico (che marca la differenza tra la concezione statuale di Hegel e le altre concezioni statuali precedentemente esposte), Hegel si oppone al modello liberale dello stato, a quello democratico, a quello contrattualistico e quello giusnaturalistico. -dottrina liberale> i diritti, nello stato di Hegel, sono tutelati non a livello di stato (stato leggero, salvaguarda i diritti dell’uomo=Locke) ma a livello della società civile, quindi della dimensione economico-sociale-giuridicoamministrativa della società civile. Hegel ha una concezione altissima dello stato,“lo stato è l’ingresso di Dio nel mondo” -dottrina democratica>stato basato sui singoli cittadini. per Hegel anche questo è un insulto, perché è Dio che è sceso in terra. Hegel si oppone sia da un punto di vista storico-cronologico sia assiologico. per quanto riguarda il primo, sono i cittadini che nascono nello stato, non è lo stato che viene dopo i cittadini (ricorda prosopopea di Socrate), per quanto riguarda il secondo motivo, lo stato ha maggiore valore degli individui, come l’universale è superiore al particolare. Hegel aggiunge che “i cittadini, al di fuori dello stato, che non sanno cosa vogliono, non sono altro che una moltitudine informe. è lo stato che da forma” -modello contrattualistico> Hegel è uno statolatra, e lo stato non potrebbe mai nascere grazie ad un contratto di individui -modello giusnaturalistico> secondo questo modello ci sono dei diritti afferenti alla fiusis, non al nomos (prima e fuori dallo stato), ovviamente questa è una prospettiva da rigettare. Questa prospettiva organicistica ed etica di Hegel, porta il filosofo ad una concezione che è stata definita rechtstaat (diritto di stato), ovvero uno stato in cui a comandare sono le leggi, che afferiscono all’altro tema importante che è quello della costituzione (cum+statuere, il cum intensifica, ovvero stabilire saldamente), la costituzione è la forma originaria di tutti i paesi, tutte le leggi devono rispettare la lettera e lo spirito della costituzione (es reddito di cittadinanza). per Hegel, così come per Mazzini, la costituzione è un fatto che si svolge dallo stesso spirito di un popolo: non è mai avvenuto che un popolo abbia scritto una costituzione, è avvenuto che una costituzione si sia svolta dallo spirito del popolo che l’ha emanata, tanto è vero che tutti i popoli che hanno una costituzione, trasmettono il loro spirito, tanto è vero che quando i francesi imposero la loro costituzione agli spagnoli, questi insorsero, perché gli spagnoli non si riconoscevano nello spirito della costituzione francese. il popolo è una parte dello spirito del mondo, che si manifesta nei vari spiriti dei popoli. esiste però una costituzione migliore degli altri, ovvero la costituzione della monarchia rappresentativa (quella prussiana dei suoi tempi). nella costituzione tedesca moderna (=a quella prussiana di Hegel) c’è la distinzione dei tre poteri (legislativo, esecutivo e principesco. quello giudiziario non c’è perché compete alla società civile. Il potere legislativo è svolto dai rappresentanti del popolo, che dovrebbero puntare al bene universale però vengono fuorviati dal ceto al quale appartengono, e non curano il bene universale. le leggi vengono formate dal potere esecutivo dai funzionari dello stato, che fissano una legge per tanti individui. potere principesco>incarnazione dello spirito dei popoli, Hegel dice che lo spirito di un popolo deve trovare la sua concrezione in un individuo in carne ed ossa, il quale è il principe, che concretizza lo spirito del popolo. la funzione del principe è solo quella di dire sì e mettere l’accento sulla i, ovvero di promulgare le leggi). Data la concezione così altamente statolatrica dello stato, lo stato per Hegel non può soggiacere alle leggi morali e ad alcun tipo di procura o pretura sovranazionale: ai tempi di Hegel non c’erano la società delle nazioni o l’ONU, che cioè salvaguardano la pace. per hegel, i contrasti tra gli stati, non possono essere appianati da una pretura internazionale, ma possono essere risolti solo attraverso uno strumento: la guerra. non è un bellicista, parla della guerra solo in extrema ratio, non è comunque un pacifista come Kant. la guerra la vince quello stato che in quel determinato momento storico esprime la più alta coscienza dello spirito (veltgaist si incarna negli spiriti del popolo, ogni popolo incarna quello spirito in un modo diverso), Hegel condivide quell’antica concezione germanica della guerra come ordalia, la guerra diventa giudizio di dio. tutto questo apre il discorso sulla filosofia della storia. in quella serie di lezioni che furono appuntate dai suoi allievi (lezioni sulla filosofia della storia) Hegel sostiene che la storia, dal punto di vista dell’intelletto astratto (quello parziale, che non riesce a vedere al di la del proprio naso) sembra come una congerie di fatti dominati dal caos, ma la ragione riesce a vedere quello che è il fine della storia e anche il suo mezzo per arrivarci. La filosofia della storia attinge quindi ad un punto di vista speculativo della ragione, vede le cose da un punto di vista olistico e può individuare il fine della storia e il mezzo per realizzarlo. il fine della storia è che l’idea, che inabita la realtà, che lo spirito arrivi alla sempre maggiore consapevolezza di se stesso, quindi che lo spirito si faccia attraverso la storia e pian piano acquisisca una maggiore consapevolezza di se, ovvero diventa più libero quanto più diventa consapevole. il fine quindi è la libertà. i mezzi utili per perseguire questo obiettivo sono gli individui e le loro passioni, che sono da elogiare e non da condannare (“niente è stato fatto al mondo senza passione”), si parla di eterogenesi dei fini(l’individuo sembra perseguire il proprio fine, invece segue un fine che al di la, di cui l’individuo non ha consapevolezza). gli individui si dividono in conservatori e progressisti, cioè gli eroi, gli individui che Hegel chiama storico-cosmici, sono pochi -Hegel cita Alessandro Magno, Cesare, Napoleone-. i cavalieri della virtù perseguono il fine personale spacciandolo per universale, la sua parabola esistenziale dura pochissimo. l’eroe, al quale Hegel riconosce il compito di sovvertire lo stato di cose presenti, perché l’eroe incarna lo spirito stesso, gli eroi sanno di ciò che è giunta l’ora e tentano di realizzarlo (ecco perché storico cosmici), il loro segno esteriore è il successo. Gli eroi sono tali perché il popolo si raccoglie attorno alle loro bandiere, gli eroi preparano il nuovo di cui è giunta l’ora ma quando lo spirito si è servito di loro, li abbandona (5maggio,” e fu…”). Il fine della storia è quello della libertà, che non può essere un’astrazione ma deve incarnarsi in una forma concreta che è lo stato, infatti la storia dei vari stati che Hegel riconduce alla solita triade, segna proprio la storia della conquista della libertà. Le tre forme di stato più importanti sono il dispotismo elementare, poi lo stato greco e romano, e poi lo stato germanico. Nello stato dispotico elementare, è libero solo uno (il desposta), in quello greco romano sono liberi alcuni, nello stato germanico sono liberi tutti. La storia del farsi della libertà umana si fa nella storia del progressivo apparire della fenomenologia degli stati. Lo spirito assoluto. Lo spirito assoluto (ne spirito solo soggettivo ne spirito solo oggettivo), viene scandito dalle più alte forme di conoscenza dello spirito che sono l’arte, la religione e la filosofia, ovvero le tre forme attraverso lo quali lo spirito sa e conosce se stesso. La differenza è unicamente di forma, il contenuto è lo stesso: la conoscenza dello spirito di se. La forma attraverso la quale la conoscenza è espressa è la differenza: L’arte esprime il contenuto spirituale nella sua forma propria, ovvero l’intuizione sensibile La religione esprime il contenuto spirituale nella sua forma propria, ovvero la rappresentazione La religione esprime il contenuto spirituale nella sua forma propria, ovvero il concetto Dal punto di vista della filosofia dell’arte, Hegel condivide la concezione di Schelling. Schelling considera l’arte come la forma più alta della filosofia, invece Hegel pensa che sia la più bassa. Nell’arte assistiamo al miracolo per il quale la natura è natura spiritualizzata, mentre lo spirito è spirito materializzato (Pietà di Michelangelo). L’intuizione sensibile è la forma dell’arte, che si articola di tre momenti:, la prima forma dell’arte è quella simbolica, nella quale il contenuto simbolico è molto povero, tanto è vero che gli artisti fanno ricorso al simbolo. C’e uno squilibrio tra contenuto e forma (eccessiva, per compensare il contenuto povero). Il secondo momento è quello dell’arte classica, che Hegel chiama anche l’esperimento della perfezione. L’arte classica è costituita da un perfetto equilibrio tra il contenuto spirituale e la forma materiale, equilibrio tra natura e spirito che si incarnano nella natura umana. Il terzo momento, cioè l’arte romantica, è caratterizzata da un nuovo spirito, che ha un contenuto spirituale eccedente che non trovano delle forme adatte. L’arte va interpretata, infatti Hegel parla di una morte dell’arte. L’arte, in conclusione, è inadeguata perché trabocca di filosofia Un grandino più in alto è rappresentato dalla religione, che coglie l’assoluto nella forma che le è propria, cioè la rappresentazione. Le lezioni sulla filosofia della religione di Hegel cominciano con il dilemma “la filosofia della religione deve creare una nuova religione o deve semplicemente interpretate la religione storicamente esistente?” Hegel sostiene la seconda, quindi interpretare razionalmente la religione gia esistente. Il soggetto e l’oggetto della religione sono rispettivamente l’anima umana e Dio, l’obiettivo è la fusione dei due (religio=doppio legame, religare). Il primo momento è il sentimento religioso, che è la certezza dell’esistenza di Dio ma non la verità (es beghina ignorante). Un gradino più basso del sentimento, è l’intuizione sensibile, che è propria dell’arte, che cerca di dare sostanza al sentimento (stati e quadri=divino). La forma più compiuta (e inadeguata) della religione è la rappresentazione. Con rappresentazione, Hegel intende delle figure, delle metafore di concetti. Metafore di concetti giustapposte in maniera a dialettica; per esempio la rappresentazione dei rapporti tra Dio e il mondo, in campo religioso, consiste nella favola della creazione, invece in campo filosofico (che non si basa sull rappresentazione, ma sul concetto) la trinità è la rappresentazione del concetto della triade Hegeliana di natura idea e spirito, ma la religione non ce la fa ad arrivare al concetto, si ferma alla rappresentazione, sono metafore di concetti affrastollate in maniera a dialettica. Storicamente, la religione inizia con la religione naturale, che è lo sviluppo più basso perché i primitivi che si basavano su questa religione adoravano il sole, la natura etc, avevano un sentimento vago, tanto è vero che questo divino veniva seppellito in forme naturali, poi pian piano attraverso altre forme di religione più avanzate, si libera il divino dal naturale, infatti il secondo gradino storico sono le religioni naturali che trapassano in religioni della individualità spirituale, per esempio la religiosità ebraica e islamica, nelle quali dio viene ancora concepito in maniera naturale ma gia acquisisce una sua individualità spirituale, fino ad arrivare alla religione assoluta (es cristiana, ma si ferma cmq alla rappresentazione). Questi processo storico ha un senso nel sognificato di una progressiva de-materializzazione di Dio: è come se Dio prima fosse incarcerato nella natura, poi emerge e si dematerializza .L’ultima forma dello spirito assoluto, quella perfettamente adeguata, è quella del concetto, quindi la filosofia che rende l’assoluto nella sua forma più adeguata, cioè la forma del concetto. Hegel dice inf che la filosofia è il proprio tempo appreso nella forma del concetto, cioè la filosofia ha come suo strumento formale non più l’intuizione sensibile/rappresentazione, ma il concetto, che è la forma più adeguata per rendere l’essenza di Dio, cioè dell’idea. Che rapporto c’è tra filosofia e storia della filosofia? Per Hegel non c’è nessuna differenza, perché la filosofia è un sapere che si è articolato storicamente (no ogni filosofo ha avuto la sua filosofia, ma la filosofia ha avuto i suoi “eroi della filosofia”, che hanno espresso il grado di conoscenza a cui lo spirito era arrivato ij quel determinato momento. Spinoza=massimo del ‘600), non esistono tante filosofie, ma una sola grande filosofia. Gli autori che non condividono questa visione Hegeliana (apprezzata invece da Croce) scrivono dei manuali che chiamano “storia delle filosofie”, coloro che condividono invece scrivono “storia della filosofia” (i filoosfi non sojo altro che gli araldi che annunciano il grado dello spirito di quel particolare momento). La storia della filosofia ovviamente inizia con i greci, e culmina ovviamente con quella di Hegel (raccoglie tutto il lungo travaglio dello spirito che ha preso consapevolezza di se stesso) 9/03/2023 Hegel Cose importanti che Ruocco ha omesso: Per quanto riguarda la Dottrina dello Stato (Rapporto società civile-stato) Lo Stato sta alla società civile come l’universale sta al particolare. Il corollario di questo punto è che lo stato rappresenta il momento in cui le pulsioni individualistiche della società civile vengono convogliate in un’organicità, in un’unitarietà, tipica della famiglia (questa unitarietà altro non è che il bene comune). Lo stato non è che elimini la società civile né tampoco viene eliminata la famiglia; queste tre istituzioni coesistono nel senso che nella famiglia già c’è la società civile e nella società civile già ci sono la famiglia e lo stato; quindi lo Stato rappresenta una famiglia in grande, rappresenta il momento unitario, organico, integrato, e come tutte le aufebunghen (le sintesi) rappresenta la riproposizione della tesi però arricchita da tutto ciò che ha contribuito a dare l’antitesi. In questo senso possiamo dire che lo stato rappresenta una famiglia in grande: c’è un ritorno alla famiglia, però con tutte le particolarizzazioni che vi ha apportato la società civile. Famiglia, società civile e Stato coesistono. Per Hegel questa visione non è IDEALE, per lui nello Stato attuale tutto ciò già esiste. Per quanto riguarda la Filosofia della Storia Hegel riprende un po’ l’impianto della filosofia e della storia di Shelling e quindi anche in Hegel troviamo quel meccanismo che Wunt chiamerà della Eterogenesi dei fini (cioè al di la del fine che ti sei proposto c’è un altro fine che ignori. Scendo di casa in ritardo perchè voglio dormire e faccio tardi -penso che il mio fine sia essermi riposata- ma incontro un amico che non vedevo da anni. Se non fossi scesa più tardi non l’avrei incontrato. Al di la del fine che individualmente mi sono proposta c’è un fine ulteriore di cui non ho tenuto conto. Il mio fine ha una GENESI DIVERSA da quella che mi sono proposta). Hegel chiama questa eterogenesi dei fini come LIST DER VERNUNFT (astuzia della Ragione -intendi Ragione come Spirito, come idea). La Ragione si serve delle passioni umane per raggiungere i propri obiettivi; è chiaro che nel momento in cui la Ragione (Ragione, Idea, Spirito come la vuoi chiamare) ha raggiunto i propri obiettivi, lascia sulla strada questa larva che era stata invasata. È quella che a livello religioso si chiama Provvidenza. La rappresentazione religiosa è immaginarsi la Provvidenza; mentre dal punto di vista concettuale, filosofico Hegel ci parla di astuzia della Ragione; è la Ragione che programma e dirige la storia. La religione ha il limite strutturale di non riuscire ad andare oltre la rappresentazione, non riesce a strutturare un concetto. La provvidenza è una forma di rappresentazione. Ecco perché la religione, per Hegel, si arena nelle secche di un presunto mistero dell’assoluto, non riesce ad andare oltre proprio perché non riesce ad elevarsi concetto, perché è questo il limite della sua forma. Arte, religione e filosofia non sono altro che le forme in cui la mente coglie l’assoluto. Artur Schopenhauer Fa parte di quell’insieme di filosofi che rappresentano la vera e propria reazione filosofica all’hegelismo. Hegel dal momento in cui nel 1818 inizia ad insegnare all’università di Berlino esercita una vera e propria dittatura filosofica e culturale sulla Germania: le sue opere corrono per tutta la Germania, Hegel diventa il pensatore di riferimento. Dopo la sua morte nel 1831 -anzi nel caso di Schopenhauer e Kierkegaard con Hegel ancora vivente- inizia una reazione anti-hegeliana, il cui primo e forse più importante rappresentante è proprio Schopenhauer. Schopenhauer dal 1821-1831 insegnò anche lui all’università di Berlino. Quando scoppia la pandemia di colera a Berlino, che colpì anche Hegel, Schopenhauer se ne va a Francoforte. In questi 10 anni egli arrivò addirittura, proprio per la sua idiosincrasia (antipatia. Lett. che non si lega) nei confronti di Hegel, a fissare l’orario delle sue lezioni nello stesso orario in cui faceva lezione Hegel. Ovviamente nessuno andava alle sue lezioni (fallito cazzo fai il prezioso). Caratteri della filosofia di Schopenhauer La filosofia di Schopenhauer rappresenta la prima reazione all’hegelismo, e infatti ne presenta caratteri completatamene capovolti rispetto a quelli dell’hegelismo. ⁃ L’irrazionalismo: Con Hegel parliamo di una forma assoluta di razionalismo, qui troviamo in Schopenhauer una delle forme più radicali di irrazionalismo (il mondo non è guidato dalla ragione ma dalla irragione, è un caos, non un cosmos, dall’eternità e per l’eternità; ⁃ Antiteodiceismo: il sistema di Hegel rappresenta una gigantesca Teodicea, una giustificazione DEL MALE NEL MONDO -non è che egli neghi l’immane travaglio del negativo, però lo vede come un momento di passaggio al farsi del positivo; il male per Hegel viene riassorbito dal positivo-. Quella di Schopenhauer è al contrario una altrettanto colossale ANTITEODICEA. ⁃ Pessimismo: Se lo sfondo della filosofia hegeliana è sostanzialmente ottimistico, la sua filosofia è globalmente ottimistica, quella di Schopenhauer è una delle forme più abissali di pessimismo filosofico. Molto simile a quello di giacomo leopardi vita Nasce il 22 febbraio del 1788 nella città di Danzica, che all’epoca faceva parte della Prussia orientale (Germania) . Nasce in una famiglia molto agiata, da un banchiere e una scrittrice e intellettuale che creerà anche dei salotti ben frequentati all’epoca. Il padre voleva che il figlio, nonostante le inclinazioni letterarie, diventasse commerciante, tant’è che Schopenhauer frequentò degli istituti commerciali, ed era così convinto che diventasse commerciante che gli diede il nome Artur perché in tutte le lingue si scrive e si pronuncia sempre nello stesso modo (così era più semplice essere introdotto in tutti i circoli commerciali e bancari). Schopenhauer mostra già dalla tenera età un’inclinazione per la letteratura e la filosofia; era un lettore instancabile. Frequentò queste scuole commerciali formando d’altra parte una cultura classica molto solida. Nel 1805 avvenne un episodio fondamentale nella sua vita: il padre si suicidò per ragioni ignote (forse perché la madre lo tradiva): questo diede anche un’impronta al pensiero di Schopenhauer inclinandolo verso il pessimismo. Da questa morte ebbe un ingente pensione con cui Schopenhauer fece molti viaggi (fu anche qui in Italia). Attraverso la madre poi entrò in rapporto con Goethe e proprio grazie alle cure di questo Schopenhauer riuscì a pubblicare la sua tesi di laurea pubblicata con il nome di Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente (egli poi, come da usanza per molti studenti dell’epoca, la inviò all’università di Jena -si forma all’università di Berlino- laureandosi in absentia). Il principio di ragion sufficiente è il principio di causalità, che rappresenta uno delle 12 categorie di Kant. Schopenhauer ebbe come autori di riferimento Platone e Kant (egli riteneva Kant il più grande filosofo mai vissuto). All’università aveva iniziato ad approcciarsi alla filosofia kantiana attraverso le lezioni di Sciulse, uno dei primi critici del noumeno kantiano: egli aveva letto Kant secondo una prospettiva coscienzialistica, tipica dei primi critici di Kant. Si laureò, viaggiò, si interessò alla vista e in particolare al problema dei colori (come si manifestano). Nel 1818 (pubblicato con data 1819) pubblicò il suo capolavoro “il mondo come volontà e rappresentazione”. Va inserito nell’idealismo coscienzialistico: quella forma gnoseologica di idealismo che si base sulla tesi che il mondo non è altro che la visione che io ho di esso. E infatti il titolo dell’opera ricalca il modo di approcciarsi a Kant di Schopenhauer. Quest’opera, radicalmente pessimistica, non ebbe successo, proprio perché c’è il clima dell’hegelismo in Germania quest’opera andava controcorrente- . Addirittura, le copie stampate andarono al macino. Nonostante ciò, Schopenhauer inizia ad insegnare all’università di Berlino, dove più volte si scontra con Hegel. Nel 1831 l’epidemia di colera che mieté tra le tante vittime anche l’illustre Hegel, allontanò Schopenhauer da Berlino e lo spinse a Francoforte sul Meno, dove trascorse l’ultimo periodo della sua vita in perfetta solitudine, alleviata soltanto dalla presenza del suo cane barboncino (unico essere vivente che sia stato in qualche modo amato da Schopenhauer. Era misantropo e misogino -non gli dispiacevano le donne, pare abbia anche avuto un figlio illegittimo ma le considerava meno di zero-) Buetz -lui lo chiamava anche Bràman o Atma-. In questo periodo si dedica agli studi. Il successo di Schopenhauer comincio ad arridere dopo il 1848-1849. Da punto di vista politico si tratta di un biennio estremamente effervescente i cui risultati però furono disastrosi, e instillarono un’atmosfera a livello europeo di pessimismo e tristezza che ben si coniugava con il pessimismo del filosofo. Egli nel 1851 pubblicò un’altra opera importantissima che altro non è che una silloge di opere dal titolo “Parerga (cioè opere collaterali, appendici) e paralipomeni (para leipon->tralasciare)” e cioè appendici e cose neglette: si tratta di una silloge di saggi di carattere estremamente popolare da cui sono stati estratte tante piccole opere. 15/03/2023 Schopenhauer Noi abbiamo parlato della sua vita e introdotto qualcuna delle sue opere : opera del 1813 , la sua tesi di Laurea e la sua opera scritta del 1819 “ il mondo come volontà e rappresentazione”. Poi infine durante gli anni di Francoforte abbiamo parlato dei PARERGA E I PARALIPOMENA formazione che gli diede una grande fama. IL SUO PENSIERO È influenzato da una serie di suggestioni culturali. -A livello filosofico è influenzato da Platone e Kant che viene acquisito attraverso un filtraggio coscienzialistico, schopenhauer veicola il pensiero di Kant attraverso l’insegnamento di Shulse che legge Kant attraverso una prospettiva coscienzialistca. -Altri filoni culturali che agiscono su lui sono : illuminismo, il romanticismo e l’idealismo. *illuminismo: dal quale prende il filone materialistico per quanto riguarda l’apparato sensoriale. Il materialismo-illuministico sosteneva la strutturazione materiale del nostro apparato sensoriale. Il nostro apparato sensoriale non funzionava a partire da questa anima impalpabile, ma era un fatto squisitamente materiale, un fatto neuro-fisiologico. Quindi Schopenhauer apprende dall’illuminismo questa impostazione neurofisioloigica della nostra sensibilità, che lui coniuga con la dottrina kantiana delle forme apriori dal romanticismo: prende gran parte dei temi della sua filosofia: l’irrazionalismo( filone del Romanticismo che si riverbera nel decadentismo con pascoli che rappresenta to la forma parossistica di temi già presenti nel romanticismo: temi dell’irrazionalismo, tema del dolore, tema dell’importanza dell’arte e della musica. ) idealismo: Schopenhauer attinge molto, nonostante la sua avversione nei confronti di quest’ultimo, attinge anche dall’ idealismo, la sua vera e propria bestia nera, nonostante l’odio di fondo verso l’idealismo comunque attinge al serbatoio dell’idealismo. Attinge all’idealismo Soprattutto per il punto fondamentale dell’idealismo: concepire alla base della realtà un infinito ( per Fichte: io , per shelling: assoluto, per Hegel: ragione/Spirito / Idea) un principio infinito di cui le realtàI ontiche non sono altro che manifestazioni temporanee ( ricordiamo la prima delle tre tesi alla base del pensiero di Hegel: risoluzione del finito nell’infinito, il finito in quanto tale non esiste perché non è altro che una manifestazione dell’infinito ). Schopenhauer fa suo questo principio( non parla di spirito ) ma pone come epicentro della sua filosofia un principio di infinito. Mentre nei confronti degli idealisti veri e proprio ( Fichte e Shelling )ha un atteggiamento abbastanza morbido, invece detesta Hegel soprattutto per il suo linguaggio solenne e suggestivo e ne parla come un sicario della verità ( assassino della verità) , ne parla come un filosofo delle università cioè ha smarrito il compito vero della filosofia che é amore per il sapere, invece, per Schopenhauer, Hegel ha trasformato il sapere in sapere degli apparati, delle università. Infine l’ultima grande suggestione culturale che agisce sul sistema di Schopenhauer è una disciplina che nasceva in quegli anni, ovvero l’orientalistica. Il pensiero orientale é il pensiero delle antiche civiltá indù (civiltà buddistiche). Anche se il pensiero orientale, non agisce in maniera pesante per quanto riguarda i contenuti, ma agisce sopratutto sul piano figurativo e simbolico ( riprende miti, immagini, simboli ), è di carattere estetizzante. Il punto di partenza della sua filosofia è il pensiero di Kant che viene completamente travisato da Schopenhauer non solo perché Schopenhauer abbia letto Kant attraverso una prospettiva shulsiana (quindi coscienzialistica, che era già un traviamento di Kant—-ricorda I proto idealisti ), ma anche perchè lo legge in un modo particolare, affine a quella che è la sua tesi generale che già si riverbera nel titolo del suo capolavoro “ il mondo come volontà e rappresentazione “. Schopenhauer ritiene che il fenomeni (Il fenomeno per Kant è un oggetto concreto sebbene venga appreso e modificato dalle nostre forme di precompressione. Nel momento in cui approccio il telefono dico che sta qui e ora, quindi lo spazializzo e lo temporalizzo, quindi la cosa( diventa FAINOMENON . ) per Schopenhauer il fenomeno è un’illusione, è una pura e semplice rappresentazione, ma una rappresentazione illusoria dietro la quale c’è la realtà vera.( la realtà vera per Kant é quella che chiama NOUMENO: é un memento. Kant valorizza sopratutto l’aspetto negativo dle noumeno, dice solo ciò che il noumeno non é, é possibile conoscere il noumeno soltanto per un ipotetico intervento divino che sia capace di una intuizione intellettuale). invece Schopenhauer, contaminando Kant con la cultura orientale, sostiene che il fenomeno è solo un’illusione: il mondo che ci appare dalla mattina alla sera è un illusione, dietro la dietro la quale si cela la vera realtà che per Schopenhauer è la volontà di vivere. Differenza tra Schopenhauer e Kant: -MODO DIVERSO DI INTENDERE FENOMENO E NOUMENO Kant crea un atmosfera gnoseologica, scientifica. Intende il fenomeno come oggetto della rappresentazione. Schopenhauer crea una atmosfera immaginifica: dietro alla maschera della illusione della realtà si cela poi la vera verità. Schopenhauer ritiene non solo di essere il massimo seguace di Kant, ma anche di averlo integrato scoprendo quello che nella filosofia di Kant era vietato: il noumeno, che ë la vera realtà quindi la volontà di vivere. -MODO DIVERSO DI INTENDERE LA RAPPRESENTAZIONE. Per Kant la rappresentazione è un fatto che nasce dall’incrocio tra l’interno e l’esterno ( una borsa la approccio con le mie forme apriori. Sintesi di materia e forma), per Schopenhauer la rappresentazione è un fatto puramente mentale: é un illusione mentale che nasce nella nostra mente. “Il mondo é la mia rappresentazione del mondo” . C’è una terza differenza mentre Kant ha 14 forme apriori(2 forme apriori della sensibilità: spazio e tempo, 12 forme apriori dell’intelletto: ovvero le 22 categorie o concetti puri); Schopenhauer invece ha 3 forme apriori ( spazio, tempo , causalità). Sin dalla sua tesi di laurea “sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente” Schopenhauer ritiene che tutte le 12 categorie di Kant possono essere ridotte solo ad una categoria: causalità (in filo chiamata: principio di ragion sufficiente, indica la ragione sufficiente per la quale é successo qualcosa). la causalità è l’unica categoria ammessa da Schopenhauer, non solo “nel mondo é la mia rappresentazione del mondo” , ma già a partire dalla tesi di laurea. Per Schopenhauer il principio di ragion sufficiente(ovvero la causalità) si articola in quattro radici: -necessità fisica: qui il principio di ragion sufficiente regolamenta i rapporti del divenire , tutto quello che avviene nella realtà come necessità fisica si basa sul principio di causalità, infatti la scienza non è altro che scire per causas. -necessità logica: La causalitá Presiede anche la dimensione logica: ovvero il campo della conoscenza , ogni nostra conoscenza si articola sempre secondo il principio di causalità. -necessità matematica: Poi abbiamo detto che presiede l’ambito dell’essere , cioè l’ambito matematico o ontologico, regolamenta i rapporti di spazio e tempo - causa ed effetto. -necessario morale: Poi si presenta come causalità etica nei rapporti che esistono in relazioni umane tra l’azione e il movente. In una parola: La causalità riassume tutte le dodici categorie. Queste forme apriori (spazio, tempo e causalità) rappresentano Per Schopenhauer questo sistema che ci permette di vedere la realtà deformandola. Questa é un altra differenza con Kant: mentre in Kant le forme apriori danno forma alla realtà, per Schopenhauer deformano la realtà, sono quelle che nell’ antica sapienza orientale/indù viene chiamato “ il velo di maia” maia era una dea del pantheon indù/buddista ed era una dea Pietosa, dotata di una forma di pietas/ solidarismo nei confronti degli esseri umani . Nella filosofia buddista ci sono due paini della realtà: -piano del Brahaman: non é altro che la realtà materiale ricca di dolore, sofferenza , mali , sulla quale realtà maia pietosamente stende un velo , stende un velo sugli occhi dei mortali. Questo velo di maia, rappresentato dalle 3 forme apriori (spazio, tempo e causalita) finisce per ricoprire/maschera gli aspetti più terribili della realtà (Dolore, sofferenza, morte) in questo modo la realtà vera si rende accettabile. Questo velo, dato che il filosofo é vero amante della verità, deve squarciare questo velo. ( il termine ALETEIA già contiene questo termine di distruzione del velo ( Platone ). Per Schopenhauer noi viviamo una vita che è una trapunta onirica che il filosofo ha il dovere di squarciare il velo perchè l’uomo è animal metafisicum che non solo vive nella realtà ma si chiede il perchè della realtà ( Schopenhauer ha contribuito a interrogarsi sul perchè sul perchè, la SEINSFRAGE ). Dice Schopenhauer che più elevato il grado di intelligenza dell’uomo più la domanda è assillante “ melanconia dell’uomo di genio “ . Schopenhauer sostiene di aver trovato la via per trovare la verità che parte dal corpo , perchè noi animali metafisici ci viviamo non solo dall’esterno ma anche dall’interno , “ se noi fossimo delle teste d’anello saremmo costretti.a viverci solo dall’esterno “, l’esperienza del copro è la via regia per la verità, se io considero la mia corporeità io vedo che il corpo è la sede di una serie di desideri, aspirazioni in una parola gira attorno alla volontà di vivere , i pensieri sono il riflesso della volontà del corpo ( “ perchè vuoi andartene “ “ perchè non ce la faccio “ se chiedo “ perchè vuoi vivere ? “ l’uomo risponderebbe “ perchè voglio “), non c’è risposta alla volontà di vivere che viene fenomenizzata dalla tre forme aprio( spazio , tempo e causalità) . Per gli idealisti c’è una cera negligenza del corpo ( regno animale dello spirito ) ì, qui il or po’ viene rivalutato e valorizzato ( apparato digerente: mangiare per vivere, apparato sessuale : volontà di riproduci e volere la vita ) , il corpo ci mette davanti il noumeno della realtà la WILLE ( volontà ) ZUM ( verso )LEBEN ( vita) = volontà verso la vita , una corsa a staffetta verso quelli che perpetuavano la volontà di vivere meglio citarlo in tedesco come diceva Ettore Smitz, italo avevo che conosceva interi passi del mondo come volontà e realizzazione a memoria. La vera realtà che si cela non è un fatto solo del nostro corpo, la volontà di vivere è il nocciolo non solo del nostro copro ma di tutta la realtà, è il principio infinito della realtà , delle varie realtà ontiche. I caratteri dell volontà di vivere che chiama anche VOLUNTAS alla latina ( sono i caratteri che vengono attribuiti da sempre e per sempre alla divinità, che per Schopenhauer è malvagia) - inconscia: la volontà intesa come principio generale non è consapevole di se : è una forza cieca e bruta , è un’anca specie di ARKE della realtà, è a Susa del divenire stesso - Unica : è in una quercia come in un milione di querce. Ogni cosa ogni pianta e animale è un fenomeno di un unica volontà che noi vediamo con le orme apriori che ci particolarizzano un’unità indistinta - Eterna: per ogni ente che muore ce ne sono milioni di altri che nascono , non tramonta mai - Incausata e senza scopo: non ha una causa se io chiedo ad un uomo perchè vuoi questo o quello , l’uomo mi rispondo e , ma se chiedo “ perchè vuoi vivere “ l‘uomo non sarà capace di rispondere se non con una tautologia. Questa volontà non ha senso, non ha uno scopo Questa volontà rappresenta la matrice del dolore universale che porta Schopenhauer ad una virata pessimistica. L’anello di passaggio è costituito dal fatto che volere, vuol dire desiderare, desiderare vuol dire soffrire per qualcosa che non si ha. Desiderare, bramare vuol dire soffrire , tutta la realtà soffre. Per Leopardi il male, l’imminente travaglio del negativo, è presente nel mondo ma il male per Schopenhauer è la radice stessa nel mondo. Nel 1858 Francesco De Santis ( 1817-1883) scrisse “ Leopardi e Schopenhauer “, dialogano uno schoperaniano e un leopardiano . Tutto soffre e il principio della realtà è il principio radicale del male. Tre sono le tonalità affettive della vita: il dolore : stato positivo nel senso logico, lo stato al neutro, tutti soffriamo , il piacere brevemente e con ano avara c viene elargito in qualche momento ma il piacere nel go già di Platone è presente una dottrina catastematica del piacere che secondo questa dottrina è uno stato negativo perchè è la NEGAZIONE MOMENTANEA DEL DOLORE, quando io sono arso dalla sete in una spiaggia assolata e ho un desiderio di bere quando finalmente prendo una bottiglia d’acqua quel piacere non è altro che la catastemizzazione del dolore CATISTEMI vuol dire sedare, calmare, il piacere non è altro che il calmante del dolore e non cura la radice del male ( è qualcosa di irreale) . D’altra parte se il piacere si prolunga a troppo abbiamo la noia ( piacer figlio d’affanno- Leopardi ) se il piacere se perdura troppo le persone si annoiano e non vedono l’ora di tornare a lavoro. Dice Schopenhauer “ la vita non è altro che un pendolo che oscilla tra dolore e noia con brevi intervalli di piacere ( è un sedativo temporaneo) “= pessimistica verità sul mondo= BRHAMAN della filosofia di Schopenhauer . L’uomo per sopportare il dolore ha varie illusioni, tra le quali quella dell’amore ( metafisica dell’amore sessuale), l’amore ha un inimitabile base solo per la sessualità che on è fine a se stessa ma è un espediente che il genio della specie, la volontà i vivere si serve per produrre se stessa. Ogni amore ha sempre anche se è etereo, romantico ( anche l’amore di Petrarca e Laura) se la passione del Petrarca per Laura fosse stata soddisfatta il suo canto si sarebbe ammutolito. Ogni inteso come eros ( Schopenhauer distingue eros dall’ agape che vuol dire solidarismo “social catena) è solo sessuale e l’uomo non fa altro che riprodurre se stesso ed è il movente causale seppur etereo. Dice Schopenhauer che le donne proprio in preda a questo freddo genio della specie offrono la propria mercanzia come un mercante offre la propria mercanzia, la donna si imbelletta per attrarre il maschio per i fini della riproduzione e dopo aver fatto i figli si sfascia completamente= ecco perchè l’atto sessuale è accompagnato da uno tra più intensi piaceri e viene visto con vergogna ( in latino infatti vengo chiamati PUDENDA parti delle quali avere vergogna) . Definisce l’amore: due infelicità che si incontrano, due infelicità che si mettono insieme e un’infelicità che si prepara Finisce la parte sostanziosa che possiamo chiamare o analitica esistenziale= è la parte meno strutturata e coerente ( HEIDEGER ) o diagnostica ( RUOCCO ) . A questa parte diagnostica segue la terapia e nell’asilo è onda parte della volontà come rappresentazione viene esposta la terapeutica esistenziale. Schopenhauer al pari dell’antico filosofo Egesia ( TANATO PEINOSES = persuasore di morte ) che dopo le sue lezioni la gente si suicidava. Schopenhauer rifiuta il suicidio ( e menomale ) , il compito sarebbe quello di eliminare la volontà di vivere, il suicidio è inadeguato per due motivi: - chi si suicida uccide soltanto se stesso, un fenomeno ì, una particolarizzai zone della volontà di vivere che è unica - In secondo luogo è altrettanto inadeguato perché chi si suicida non è che si nega la vita ma si afferma la vita. Chi si suicida per amore con quel suicidio l’uomo vuol dire “ io vorrei continuare a vivere ma senza mia moglie non ce la faccio “è atto affermativo. Schopenhauer individua tre strade per eliminare la volontà di vivere in senso gerarchico dall ameno adeguata a quella più adeguata: - arte: l’arte mette la sordina taccia perchè è contemplazione delle idee ( Platone) . Quando contempliamo l’arte non è che stiamo guardando un’amore, una pietà ma l’essenza stessa dell’amore o della pietà o di altro. Placa la volontà di vivere per un momento. Chi contempla un opera d’arte viene sollevato dalla volontà di vivere. C’è una differenza fondamentale perchè pin Shelling e in Hegel l’arte è una forma di conoscenza ( per Shelling è la forma assoluta della conoscenza, anche per Hegel è una forma di conoscenza anche se sta al di sotto della religione e della filosofia) per Schopenhauer l’arte è blocco della conoscenza : la forma più bassa è l’architettura poi abbiamo la scultura, pittura.. per poi arrivare alla musica che tocca la tonalità affettiva interiore dell’uomo che ci mette in contatto con la volontà di vivere e la definisce una METAFISICA IN SUONI ( trattato di metafisica espresso in suoni ) , io un opera d’arte la contemplo per un breve termine però poi torno nella realtà e nella volontà di vivere - Agape : è qualcosa di diverso dall’eros che ha base sessuale. Si traduce in latino con CARITAS e in italiano con principio di solidarietà, quindi è un CUM- PATIRE , ci permette di uscire dal nostro egoismo e ci mette in contatto con il dolore degli altri , è la social catena, lo spirito di solidarietà e rappresenta una miracolosa volontà di vivere che si mostra in due modi : la giustizia che è la declinazione negativa perché permette di non fare qualcosa : non fare agli altri ciò che non vorresti che venisse fatto a te, l declinazione positiva. La carità che è il fare agli altri. Questa via non arriva all’ e-radicazione della volontà - Ascesi : deriva dal greco : esercizio alla Jacopone da Todi ( che si fustigava ) e infatti è la rinuncia a tutti gli impulsi e i desideri fisici fino ad arrivare d una vera e propria ESTASI , un uscita fuori di se che vuol dire passare dalla VOLUNTAS alla NOLUNTAS= sgretolare la volontà di vivere in se stesso e in questo modo dice Schopenhauer si deprime la volontà di vivere in generale, passando a quello che nelle dottrine orientali viene detto NIRVANA buddistico, che significa il nulla, non è un NIHIL NEGATIVUM ma un NIHIL PRIVATIVUM ( per quelli che sono legati nella volontà di vivere ) ma per quelli che sono arrivati al Nirvana, i saggi, il nirvana è un TUTTO è un affrancamento totale. Leopardi e Schopenhauer sono simili ma non identici. Secondo Francesco de Sanctis condividono entrambi la concezione natura matrigna e condividono anche la social catena però tolto queste analogie piuttosto superficiali restano profonde differenze che si riscontrano nel punto di partenza e punto di arrivo. Il punto di partenza di Schopenhauer è lo stesso punto di partenza dell’idealismo anche se si tratta di un punto di vista negativo e il punto di arrivo e un pessimismo totale dove si arriva come se si fosse morti dice proprio Francesco de sanctis , un pessimismo inane. Il punto di partenza di leopardi è un lucido e concreto materialismo e riva ad un pessimismo molto più sottile e dice Francesco de sanctis che leopardi si rende conto dell’illusorietà dell’amore ma nello steso tempo che dice che l’amore è illusione, le lo fa desiderare. Leopardi vede la società L’effetto di Leopardi è l’esatto opposto. Quello che predica invece Schopenhauer predica un pessimismo inane che vi è anche difficile arrivarci 22 marzo Abbiamo parlato della reazione all'hegelismo, la prima forma di reazione è quella di shopenauer, la seconda è quella di kierkegard. Di cui non parleremo per il poco tempo DESTRA e SINISTRA HEGELIANA Approcciamo a marx partendo dal remoto, parlando di destra e sinistra hegeliana, che è la terza reazione all'hegelismo, che è molto più lunga. Dopo la morte di Hegel 1831 la sua scuola si spaccò in due tronconi(sono tre ma due sono più importanti): -i vecchi hegeliani, chiamati così per un motivo anagrafico, ma dal piano anagrafico transitò su un piano anche filosofico, questi erano quelli nati prima del 1800, -mentre i giovani hegeliani erano tutti quelli nati dopo il 1800. Dal 1837 si determinò una spaccatura non solo di carattere anagrafico ma anche filosofico, quando un hegeliano, david freiderich strauss, distinse questi giovani hegeliani e i vecchi hegeliani li denominò con due termini che rimontavano all'assemblea legislativa francese: "destra" e "sinistra"(nascono come denominazione politologica durante la rivoluzione francese, quando si insedia l'assemblea legislativa): -i vecchi hegeliani, su posizioni più conservatrici, -giovani hegeliani, su posizioni più progressiste. -Esisteva anche un centro che però era molto esiguo e per questo non viene citato. Costituito da una sola persona: Karl Rosenkranz. Ha scritto una biografia filosofica di hegel, scrive questa "vita di hegel". La spaccatura tra destra e sinistra hegeliana avvenne sui seguenti TEMI: 1.Il TEMA DELLA RELIGIONE, la scolastica consiste di usare la ragione di un grande personaggio filosofico ai fini della corroborazione della religione, (tommaso d'aquino di aristotele per curvare il cristianesimo cattolico e dargli maggiore forza. la stessa cosa fanno gli occasionalisti nei confronti della ragione cartesiana), la stessa cosa fanno anche gli esponenti della destra hegeliana, infatti costituisce la SCOLASTICA DELL'HELISMO: si serve della filosofia hegeliana per sostenere la fede cristiano cattolica. La spaccatura avvenne proprio nel modo di concepire la religione. -Per la destra tra religione e filo c'è il medesimo contenuto, quindi sono la stessa cosa è come se la filosofia fosse il perfezionamento della religione (ricorda l'aufebung). -Quelli della sinistra sottolineavano la differenza di forma, si hanno lo stesso contenuto, ma la religione tratta in maniera inadeguata l'assoluto e invece la filosofia ha lo strumento perfettamente adeguato per rendere l'assoluto. Infatti sia foyerbech che marx diranno che la religione è una cosa del passato. La destra rappresenta la scolastica della filosofia di Hegel, quelli a sinistra intendono la filosofia come un superamento definitivo della religione. 2.Hegel ha proclamato l'identità di ragione e realtà, tutto ciò che è reale è razionale, tutto ciò che è razionale è reale. Ora sempre sulla base di questa sostanziale ambiguità concettuale del termine aufebung: OGNI REALTÀ È IPSO FACTO RAZIONALE oppure OGNI REALTÀ È DESTINATA A DIVENTARE RAZIONALE? -Se noi applichiamo alla lettera l'aforisma di hegel, come facevano gli esponenti della destra, allora dovremmo dire che anche Aushwiz è razionale. Invece possiamo dire che aushwiz è razionale perchè prepara 80 anni di pace. per gli esponenti della destra significa che ogni momento della realtà è razionale, ne deriva un atteggiamento giustificatorio della realtà. -gli esponenti della sinistra invece lo interpretano: come la realtà non è tutta razionale ma è chiamata/ destinata a diventare razionale attraverso quello che hegel chiamava come l'immane travaglio del negativo. Hegel qui era morto quindi non poteva intervenire nella diatribe. -Gli esponenti della DESTRA sono così oscuri che non li ricordiamo. -La SINISTRA, che significava impegno rivoluzionario di trasformare la realtà, per farla diventare razionale. FAUYERBACH Il rappresentante più importante è Ludwig Feuyerbach(torrente di fuoco), tenne fede al suo nome, spaccò la scena culturale del suo tempo preparando la critica di marx, ha questa funzione propedeutica che ha dato ampio respiro alla critica di marx, Fauyerbach esegue una critica corrosiva della religione, è il padre dell'ateismo contemporaneo. Rappresenta la coppa di cicuta(morte di socrate) di Hegel. Fauyerbach nacque nel 1804, è un bavarese, nacque, visse e morì in Baviera. Il padre era un docente universitario e anche la madre era colta, frequentò la scuola di formazione e arrivò all'università, si distinse al punto tale che fu indirizzato a teologia, cambia facoltà da religione a filosofia, si laurea in filosofia comincia a lavorare nell'ambito universitario, quando pubblica il volume "Pensieri sulla morte e sulla immortalità" sosteneva la mortalità dell'anima . Gli fu completamente tagliata la carriera universitaria, si ritirò in campagna perchè aveva sposato una ricca ereditiera, consentì a fauyerbach a dedicarsi ai suoi libri, fino al 1848, fra il 1841 e il 45 aveva pubblicato "L'essenza della religione" e "L'essenza del cristianesimo", il suo nome divenne prestigioso anche se fuori dal circuito universitario, gli studenti della università di heidelberg invitarono fayuerbach a tenere una serie di lezioni all'università, non riuscirono ad occuparla quindi vennero tenute nel municipio, nel 49 fauyerbach ritornò nell'oscurità. Fino al 72(morte) godette del benessere economico della moglie, ma le fabbriche ben presto fallirono, per altro tradì la moglie con una donna molto più giovane e quindi morì in miseria, dimenticato da tutti. IL SUO PENSIERO Il suo pensiero va diviso in una premessa teorico-metodologica a cui segue una pars destruens(dedicata alla critica corrosiva della religione) a cui segue una parte adstruens. -La PREMESSA TEORICO-METODOLOGICA si basa su una critica della filosofia hegeliana sul piano teorico e metodologico, ritiene che l'hegelismo sia una forma di religione mascherata, si basa su un inghippo metodologico cioè il ribaltamento dei rapporti di predicazione. Quando componiamo una proposizione, questa si basa su rapporti sintattici di predicazione. Si predica l'astratto del concreto. Invece l'hegelismo mistificatoriamente predica il concreto dell'astratto, non dice “l'uomo pensa” dice “il pensiero è l'uomo”. C'è prima la frutta e poi la fruttità, per hegel c'è prima la fruttità e poi le frutte particolari. Dio crea l'uomo, invece risistemando le cose è l'uomo che crea dio, questo comportamento sta alla base di ogni religione. In questo senso la religione/teologia è un'antropologia capovolta. "Gli uomini dapprima sentono(bestione), poi avvertono con animo perturbato e commsso" G.B. Vico. Il compito della filosofia è quello di far camminare di nuovo su due piedi. Fauyerbach si chiede il perchè di questa operazione: 1. La differenza fra la specie e l'individuo, come individui ci sentiamo fragili, come specie ci sentiamo forti, poniamo in un cielo metafisico le caratteristiche migliori della specie 2. La distinzione fra il volere ed il potere. Dio non è altro che l'ottativo(somma dei desideri umani) del cuore diventato tempo presente. Ha un modo di ragionare molto grammaticale(Francesco Sorrentino, 2023). Si occupa di smantellare tutte le mistificazioni della religione. 3. Dipendenza dagli eventi e dagli enti naturali. Il fatto religioso in generale per Fauyerbach è una forma di alienazione(entfrendung, deriva da entfrendem=rubare,sottrare qualcosa a qualcono.) E' il meccanismo di trasferimento da una realtà ad un'altra.Il termine alienazione ha un significato sia negativo che positivo, questo tema l'abbiamo trovato anche nella fenomenologia dello spirito, dove la coscienza infelice è la convinzione di non appartenere a nessuna realtà, lo scetticismo è una spaccatura fra una coscienza intransmutamile e una transmutabile. E' anche positiva perchè prelude al momento della ragione. In Fauyerbach questo tema ha un significato puramente negativo, prendo le mie migliori qualità e le ipostatizzo. Da questo punto di vista l'alienazione è un processo di kenosis(deriva dalla lettera ai filippesi di san paolo apostolo) san paolo dice che quando dio si è incarnato ed è diventato cristo ha fatto kenosis(svuotamento), quando si è incarnato si è svuotato della sua natura divina per assumere una natura molto più bassa. Per fauyerbach succede l'opposto, l'uomo si svuota delle sue più grandi qualità e le pone in dio, è una kenosis dell'umano. La risposta a tutto questo(pars adstruens) è il riordinare sintatticamente il rapporto di predicazione fra astratto e concreto. La pars adstruens si trova nel libro "Principi della filosofia dell'avvenire", la ragione, la volontà e il cuore sono cose divine, sostituire la teologia ad un antropoteismo, l'uomo è un essere "divino" al centro del discorso filosofico. Il suo ateismo è particolare, non è puramente negativo, l'ateismo per lui è un dovere intellettuale ed anche morale, l'uomo si deve riappropriare di ciò che ha messo in dio e tolto in sè. Da camerieri di dio a protagonisti dell'al di qua, questo è l'obiettivo. E' molto importante considerare l'uomo non astrattamente, è un essere di carne e di sangue, è corporeità, il suo è un umanismo naturalistico, il focus del ragionamento filosofico è l'uomo inteso come sintesi di corpo e mente, l'uomo come ente naturle. Ha particolarmente importanza il tema dell'amore, questo è la prova ontologica dell'esistenza degli altri, l'io ha bisogno del tu, sono necessare due uomini per farne uno. Assume una importanza fondamentale la teoria degli alimenti. E' noto come colui che ha detto "L'uomo è ciò che mangia", vuole sottolineare la naturalità dell'uomo. E' un materialismo, non ancora materialismo stoico come in marx. 23 marzo Karl Marx Biografia Marx nacque a Tréviri, nella Germania centro-occidentale, confina con il Lussemburgo (verdun etc, territorio da sempre conteso) il 5 maggio 1818 e morì il 14 marzo 1883. Nacque in una famiglia molto colta ed ebrea non praticante, era una famiglia molto colta, infatti ricevette un’educazione improntata al razionalismo. Marx si iscrisse all’università di Bonn (capitale della Germania occidentale), seguì le tracce del padre iscrivendosi a giurisprudenza ma poi, attratto dalla filosofia Hegeliana (Hegel muore nel 1831, quando Marx ha 13 anni, è un giovane Hegeliano, è il più importante esponente della sinistra Hegeliana) si sposta a Berlino e cambia facoltà, viene a contatto con il mondo dei giovani Hegeliani, soprattutto con c e si laurea all’università di Jena in filosofia, con una tesi che rappresenterà l’esordio della filosofia Marxiana, il titolo è “differenza tra il sistema di Democrito e il sistema di Epicuro”, in questa tesi Marx mette a comparazione le due filosofie propendendo però per il secondo, questo perché Democrito è un filosofo speculativo (per Democrito, l’obiettivo della vita è semplicemente il conoscere teoretico, mentre in Epicuro c’è un maggiore impatto sulla realtà, tenta di trasformare l’uomo, tenta di insegnare a non avere paura della morte, delle sofferenze etc), Marx assume quindi questo atteggiamento prometeico (da prometeo). Intanto Marx si impegna nella attività giornalistica, tenta la carriera universitaria ma viene completamente assorbito dal giornalismo, diventando capo direttore della Gazzetta renara, di ispirazione sinistra. Nello stesso tempo, la gazzetta proprio per la sua ispirazione di sinistra, viene chiusa dal governo. Marx nello stesso momento conosce l’amore della sua vita, estremamente colta, ed inizia questo sodalizio spirituale e amoroso, avranno otto figli (di cui molti moriranno, due di loro di suicidio). Marx sarà costretto a lasciare la Germania trasferendosi in Francia, sulla via di Parigi Marx conosce quello che sarà l’amico di tutta la sua vita: Friedrich Engels, con il quale Marx non andava inizialmente d’accordo, perché in Germania intanto era stata fondata la società dei liberi, al quale Engels è iscritto. Engels cerca di far aggiungere anche Marx, il quale non solo non si avvicina ma critica anche l’amico per la sua iscrizione. Marx arriva a parigi ed incontra di nuovo Engels (aveva lasciato la società dei liberi). Engels era due anni più giovane, e decripterà gli ultimi due libri del “il capitale”, Engels aiutò sempre economicamente l’amico. Marx scrisse comunque anche, nel 1843, “critica della filosofia Hegeliana del diritto pubblico”, opera molto importante, che resterà però interrotta, verrà riscoperta solo nel 1927 e sarà giustamente valutata dalla critica come un momento fondamentale della critica di Marx. Marx, a Parigi, approccia un’altra materia fondamentale: l’economia politica (applicazione pratica delle teorie economiche) e scrive i “manoscritto economico-filosoficii del 1844”, poi in questi anni (in cui Marx si spostò molto, sempre a causa della censura etc), nel 1845 uscirono le “tesi su Feuerbach”, in cui Marx esprime le tesi su Feuerbach rivelando su ciò che vivo e ciò che è morto delle teorie di Feuerbach, questo libro è strutturato secondo delle tesi che poi vengono discusse (l’11esima tesi si trova proprio nell’atrio dell’università di Berlino); tra il 1845 e il 1846 Marx insieme ad Engels scrive “l’ideologia tedesca”, importante perché in primis chiarifica quello che è il concetto Marxiano di “ideologia”, e ne ha un’idea completamente negativa, in secundis questa opera contiene la dottrina del materialismo storico, cioè la filosofia della storia di Marx, di conseguenza questo testo è decisivo anche se non fu finito. Dopo questi anni Marx scrisse altri opuscoli, per esempio nel 1848 si tenne a Londra il convegno per la lega dei comunisti e Marx è tenuto a scrivere un fondamento teorico di questa lega dei comunisti, infatti nel febbraio del 1848 nasce il famoso “il manifesto del partito comunista”, è un testo divulgativo, doveva essere letto soprattutto dagli operai (incipit: uno spettro si aggira per l’europa: lo spettro del comunismo), nel 1848 scoppia la rivoluzione e Marx scrive “le lotte civili in francia”. Nel ’49 emigra a Londra definitivamente, ha svolto per tutto il resto della sua vita il lavoro di impiegato presso il British Museum, lo stipendio non era chissà che e quindi Marx, insieme alla famiglia, inizia ad avere problemi economici a cui cerca di rimediare con l’aiuto dell’amico e scrivendo numerosi articoli per il New York Tribune. Intanto, nel 1864 nasce la prima delle tre internazionali e Marx ne è parte integrante, nel frattempo concepisce la sua opera fondamentale, “Das capital”, che è uno studio a tutto tondo del fenomeno del capitalismo (origini nel ‘500), lo studia non solo come modo di produzione economico, ma anche come visione del mondo. Il primo libro (consta di 4 libri tutta l’opera) esce nel 1867 ma non avrà grande riscontro, Marx scrisse che il primo libro del capitale è stato assalito dalla critica demolitrice dei topi. Il secondo e il terzo usciranno nel 1875 e 1894, sarà decisivo il contributo di Engels (l’unico a saper decifrare la scrittura di Marx). Nel 1895 muore Engels, quindi il quarto libro sarà pubblicato da Karl Kautsky (segretario di Engels, che gli aveva forse insegnato a decifrare la scrittura di Marx), intitolato “teorie del plus valore”. Marx nel 1881 ebbe questo trauma perché morì la moglie, poco dopo Marx la seguì e fu sepolto nel cimitero di Highgate a Londra (“proletari e popoli oppressi di tutto il mondo, unitevi!”) Quali sono le caratteristiche del Marxismo? 1. 2. 3. L’irriducibilità del pensiero di Marx ad un’unica dimensione: Marx non è semplicemente un filosofo, un sociologo, un politico; Marx è tutto questo insieme. Marx ha voluto studiare la società del suo tempo da tutti i punti di vista, viene chiamato considerazione totalistica della realtà, è un approccio alla realtà da tutti i punti di vista (sociologico, storico, politico e filosofico). Per Marx la filosofia, la storia, la politica, non sono solo delle discipline astratte, ma sono la base teorica per un impegno di trasformazione prassistica della realtà. Marx interpreta Hegel secondo la prospettiva della sinistra Hegeliana, quindi l’aufebung non significa che ogni momento della realtà sia intrinsecamente razionale, ma significa piuttosto che il mondo è chiamato a diventare razionale, attraverso l’intervento umano, cioè quello che i Greci ed Hegel stesso chiamano praxis. lo storico/filosofo deve impegnarsi a trasformare rivoluzionariamente la realtà (finora i filosofi non hanno fatto altro che interpretare il mondo, è giunta l’ora di cambiare) Le influenze culturali che hanno agito sul pensiero di Marx: il pensiero Hegeliano (soprattutto la sinistra), pur polemizzando con il filosofo; l’economia politica classica (l’economia nasce intorno al ‘700); tutto il pensiero pre e proto socialistico (abbiamo forme pre socialiste prima di Marx, tipo Owen, la società dei liberi etc), anche se Marx pretende di dare al socialismo una veste scientifica, infatti quello di Marx si chiama socialismo scientifico, cioè far passare il socialismo dal sentimentalismo (essere vicino al disagio dei poveri) ad una dottrina scientifica, quindi una visione epistemica del socialismo. Le opere La critica alla filosofia Hegeliana del diritto pubblico. Marx si era inizialmente iscritto a giurisprudenza e poi si trasferì a berlino (sinistra Hegeliana), poi prese le distanze da Hegel. La posizione di Marx rispetto ad Hegel: ci sono alcuni studiosi che sottolineano soprattutto i nessi di continuità tra i due, poi ci sono altri studiosi che sottolineano i nessi di distanza. Secondo lo studioso Mario Dal Pra in effetti non si può parlare ne esclusivamente di prevalenza di nessi di rottura ne di connessione, ma fondamentalmente di un costante sfondo Hegeliano: Marx, pur avendo abbandonato e criticato Hegel, nella critica alla filosofia Hegeliana del diritto pubblico (1843) Marx si confronta con l’antico maestro, rivelandone luci ed ombre. Lo scritto si divide in due parti 1. Una parte ha un impianto di tipo filosofico-metodologica, cioè analizza il metodo di Hegel. Analizza luci ed ombre. Analizza i lati di ombre, calcando proprio le orme di Feuerbach, criticando il misticismo logico. Cos’è il misticismo logico? Il termine misticismo deriva dal verbo greco muein, cioè tacere, chiudere la bocca. Il misticismo contiene cose che non possono essere rivelate. Il misticismo logico: per Hegel c’è un logos dietro le cose, che non sono altro manifestazioni empiriche di una realtà logica (nel senso di logos) che se ne sta nascosta dietro le cose e le mette in movimento (c’è la monarchia perché DOVEVA esserci la monarchia, per Marx, secondo Hegel le cose non sono per quelle che sono ma per quelle che DOVREBBERO essere, c’è quindi una giustificazione della realtà). Questo misticismo logico di Hegel, oltre ad essere fallace dal punto di visto gnoseologico (inverte i normali rapporti di conoscenza), è anche conservatore sul piano politico, perché quasi santifica le cose per quelle che sono, perché per Hegel tutto ciò che è razionale è reale e viceversa. Alla base di questo misticismo logico c’è l’impianto scoperto da Feuerbach, cioè il capovolgimento del normale ordine di conoscenza delle cose. Dice Marx, mentre nell’ordine naturale delle cose esistono prima le mele e le arance e dopo il concetto astratto del frutto, in Hegel viene prima l’astratto e poi il concreto (la fruttità si inserisce nelle manifestazioni empiriche). Marx ha usato Feuerbach ma poi ha aggiunto l’elemento del misticismo logico che rende Hegel conservatore dal punto di vista politico. Questo è uno dei limiti principali di Hegel. La “luce” della filosofia Hegeliana è la dialettica, infatti Marx tesaurizza la dialettica e apprezza maggiormente il fatto che Hegel, ovunque, inizi con l’opposizione, che è la legge della realtà (polemos di tutte le cose è re). Solo che muove due appunti alla dialettica Hegeliana: dal punto di vista di Marx (materialistico) Hegel ha giocato troppo con le opposizioni astratte, concettuali. Inoltre, secondo appunto, Hegel fa derivare da queste opposizioni astratte una sintesi troppo semplice; tesi ed antitesi stanno tra di loro come due armate nemiche. 2. Una parte ha un impianto storico-politico. Marx parte, sempre da Hegel, dalla considerazione della modernità, di cui si è ampiamente occupato Hegel. La modernità è caratterizzata dalla categoria della scissione, che in termini politici e sociali si caratterizza soprattutto con la scissione tra società civile e stato. Marx valorizza quindi il fatto che Hegel abbia notato per primo di questa fondamentale scissione che esiste nell’ambito della modernità tra società civile e stato. Questa scissione, Max dice, nell’antico non esisteva (polis greche=no contrasto tra l’ego pubblico e quello privato, perché nell’antica Grecia ego pubblico e privato erano la stessa cosa, non esisteva la scissione tra società civile e stato). Hegel ha prospettato a questa scissione una soluzione troppo semplice (società civile=famiglia, stato=famiglia in grande, lo stato è la sintesi che riprende le pulsioni della società civile e poi le indirizza verso un fine superiore, rappresenta l’aufebung), per Marx questo è del tutto mistificatorio, perché nella realtà delle cose, dice Marx, accade il contrario: è la società civile che tira verso di sé lo stato, è lo stato che si modella sulla società civile, non il contrario. Per Marx esiste non LO stato come per Hegel, ma lo stato borghese, capitalista etc (da una serie di attributi allo stato, perché la società civile tira verso di se lo stato). Perché la modernità è il luogo della scissione (ego privato e pubblico non sono più la stessa cosa)? Questa scissione provoca una sorta di schizofrenia, noi siamo scissi tra quella che è la vita borghese nell’ambito della società civile, quindi una vita sulla terra come borghesi (dice Marx, è il luogo dell’atomismo e dell’individualismo:ognuno persegue i propri interessi, consolandosi poi davanti al fatto che davanti allo stato siamo tutti uguali. La frase “la legge è uguale per tutti”, dice Marx, non fa altro che sanzionare una falsa uguaglianza di tutti davanti alla legge che in realtà nasconde la differenza, tra tutti, in ambito economico), poi viviamo una vita nel cielo mistificatoria dello stato, dove siamo tutti uguali (come i cristiani: disuguali sulla terra, uguali dinanzi a dio). La modernità è caratterizzata da questa scissione, tutto questo va cercato nel modo in cui si è formata la modernità: la modernità comincia con la rivoluzione, soprattutto quella francese, che è l’evento che sta alla base della modernità. La società che esce dalla rivoluzione è quella borghese, che è una società individualistica. A questo tipo di società, Marx contrappone una società socialista (non antisociale), per arrivare alla quale Marx indica il suffragio elettorale universale (ricorda sempre nella critica stiamo, in “manoscritti economico-filosofici del 1844” indicherà la rivoluzione sociale, individuando anche il soggetto che la deve realizzare, cioè il proletariato) I manoscritti economico-filosofici del 1944 In questo scritto Marx approccia l’economia politica, ovvero quello che egli chiama economia politica borghese. L’economia politica è l’economia applicata alla polis, nata nel l’inghilterra verso la metà del ‘700, avendo come uno dei maggiori araldi in Antonio Genovesi. Perché parliamo di economia politica borghese? L’economia politica è una scienza, e non può avere un aggettivazione sociale (es chimica borghese assurdo). Marx usa questo aggettivo in un senso ben preciso: Marx vede l’economia politica classica allo stesso tempo come espressione teorica della società borghese (rispecchiamento a livello di idee, weltanschauung della borghesia che si cristallizza nell’economia politica) ma anche come una mistificazione della società borghese (molte volte formiamo la rappresentazione di qualcosa, ma ne mistifichiamo gli aspetti). È un espressione teorica della società borghese mistificata perché ha un in pianto a-dialettico, l’economia politica classica non usa la dialettica. È mistificatoria perché non usa la dialettica, quindi l’economia politica borghese fa due errori: 1. Metatemporalizzare il capitalismo. Significa che invece di constatare che in un certo tempo c’è un’economia capitalista, l’economia politica borghese prende il capitalismo come un assioma, come un valore intrinseco da cui partire (il modo economico migliore è il capitalismo, vediamo come declinarlo nel miglior modo possibile). Parte dalla proprietà privata come se fosse un dato metafisico, in qualche modo; ill punto indiscusso da cui partire 2. Non rendersi conto della opposizione interna al suo stesso oggetto, ovvero il capitalismo. L’opposizione che sussiste all’interno del mondo capitalistico è il mondo dei salariati e degli imprenditori, tra i quali c’è un’opposizione che l’economia borghese non riesce a scorgere proprio perché non usa la dialettica. “tutta la storia è lotta tra le classi” dice Marx. La contrapposizione di classi, Marx la chiama alienazione. Economia politica classica rappresenta, allo stesso tempo, una valida anatomia della società borghese perché ne offre una dimostrazione teorica, ma è anche mistificazione del mondo capitalistico (perché lo prospetta in maniera falso, ne crea una rappresentazione falsata, es donna angelica che cucina, affinché io la possa tenere a casa a servirmi), ecco perché Marx dice, nel manifesto del partito comunista (1848), “la maggior parte dei sudditi ritiene di essere tale perché il re è il re, e non si rendono conto che il re è re proprio perché essi sono sudditi”, nella realtà non mistificata delle cose il re esiste perché ci sono i sudditi. Ritorniamo al termine di alienazione. Il termine deriva da alius, “altro”. In Hegel riveste un significato positivo (per quanto riguarda l’alienazione dell’idea che si aliena nello spazio e nel tempo, ritornando poi in sé ampiamente arricchita) e negativo. In Feuerbach solo negativo, quindi quell’estraniazione da se per la quale per poi dopo, attraverso la critica filosofica, appropriarsene. È un processo che avviene esclusivamente nel perimetro della coscienza Max usa il termine in ambito storico-sociale, l’operaio è alienato da quattro punti di vista 1. Rispetto allo stesso prodotto che produce, l’operaio che produce per la Fiat non ha la macchina, il proletariato produce una “potenza nemica” 2. 3. Il salariato si aliena anche rispetto alla sua stessa attività; il lavoro dell’uomo dovrebbe essere libero, creativo, multilaterale (la caratteristica dell’uomo è quella di produrre secondo di ogni specie). Invece, nel mondo capitalistico questo lavoro diventa costrittivo, unilaterale, specifico. È alienato anche rispetto al prossimo, perché il prossimo, per il lavoratore dissociato, diventa il capitalista, che lo sfrutta. Se l’alienazione è prodotta dal modo di produzione capitalistico, il processo di dis-alienazione deve avvenire abbattendo il sistema capitalistico. In feuerbach il processo della dis-alienazione avviene a livello coscienzialistico, in Marx è un fatto storico-sociale (sia l’inizio che l’antitodo). Le tesi su Feuerbach Questo libro è una presa di coscienza di Feuerbach organizzata secondo delle tesi, attraverso le quali Marx vuole sottolineare luci ed ombre del filosofo Punti di forza: Marx riconosce a marx due meriti: quello che viene chiamato umanismo naturalistico dì Feuerbach, che ha rivendicato la naturalità dell’uomo. L’uomo di feuerbach è quello di “carne e sangue”. Poi a Feuerbach va riconosciuto il merito di aver combattuto contro l’idealismo teologizzante. 30/03/2023 Marx - Opere “Critica della filosofia Hegeliana del diritto pubblico”: prima opera che Marx scrive nel 1843 e che è stata ritrovata nel 1927. Marx originariamente si era iscritto a giurisprudenza a Bonn per seguire le orme del padre che era un famoso avvocato, poi mutò indirizzo proprio attraverso la lettura di Hegel che lo colpì e quindi si trasferì a Berlino dove entrò nell’ambiente dei giovani hegeliani orientandosi soprattutto verso la sinistra hegeliana. In questo primo momento Marx era un hegeliano, poi prese le distanze dal maestro spirituale (spirituale perché Hegel muore nel 1831 quando Marx aveva appena 15 anni). Quindi Marx non ha seguito le lezioni di Hegel ma lo ha letto, se ne è entusiasmato e poi ha preso le distanze attraverso la lezione dei giovani hegeliani di sinistra. Qual è la posizione di Marx nei confronti di Hegel? Alcuni studiosi sottolineano soprattutto gli aspetti di continuità tra Marx ed Hegel; invece, ci sono altri studiosi che sottolineano i nessi di rottura, di discontinuità. La verità, come sempre, sta nel mezzo. Secondo un altro studioso italiano, Mario Dal Pra, (ha insegnato filosofia teoretica a Milano) non si può parlare né propriamente in modo esclusivo di prevalenza di nessi di rottura né in modo esclusivo di prevalenza di nessi di continuità ma si può parlare di un costante sfondo hegeliano: Marx pur avendo consumato una rottura con Hegel, pur avendolo criticato, ha sempre presente questo sfondo hegeliano nella sua filosofia. In questo primo testo del 1843 Marx si confronta con l’antico maestro rilevando quelle che sono le luci (=gli aspetti ancora vivi) e quelle che sono le ombre (=gli aspetti morti) di Hegel. Questo scritto si divide in due parti: Prima parte: impianto filosofico-metodologico 1) OMBRE nella quale Marx analizza quello che è stato il metodo di Hegel, calcando proprio le orme di Feuerbach. Si serve, in questa prima parte, di Feuerbach per criticare Hegel. Critica quello che egli definisce MISTICISMO LOGICO (=misticismo, mistero deriva da un verbo greco “miuein” che significa serrare e poi diventa un serrare figurato ovvero tacere, fare silenzio, chiudere le labbra. Misticismo = cose che non possono essere rivelate). È un misticismo logico (=parola logos): nella filosofia hegeliana, secondo Marx, c’è questo logos (secondo Hegel) che sta dietro le cose e del quale le cose non sono altro che delle manifestazioni empiriche. Le cose, gli eventi, gli oggetti, i valori, le categorie politiche sono manifestazioni empiriche di una realtà logica, nel senso di logos, che se ne sta occulta dietro di essi e che li muove, che li fa essere. Marx, in questo testo, fa un esempio famoso quando parla della monarchia: uno studioso realista, non hegeliano prende atto del fatto che in alcuni ordinamenti politici di alcuni paesi c’è la monarchia invece Hegel presuppone che in un regime politico debba esserci un principio unico, questo principio unico deve essere la monarchia, ritrova la monarchia nei regimi politici e ne sancisce la logicità cioè dice che c’è la monarchia perché doveva esserci. Secondo questo metodo che usa Hegel, sostiene Marx, le cose non appaiono per quello che sono ma appaiono per quello che devono essere secondo uno schema logico che se ne sta alle spalle delle cose di cui rappresenta il fondamento e anche la giustificazione perché noi siamo portati, attraverso questo ragionamento, a dire c’è la monarchia e doveva esserci, quindi a giustificare, a legittimare, quasi a santificare i regimi politici. Questo misticismo logico, oltre ad essere fallace sul piano conoscitivo, gnoseologico, logico, perché inverte i normali rapporti di conoscenza delle cose: io le cose prima le conosco e poi dopo mi formo l’idea astratta; inoltre, questo modo di conoscere le cose è anche conservatore sul piano politico perché ha l’obiettivo di giustificare quasi di santificare le cose per quello che sono (Per Hegel tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale). Alla base di questo misticismo logico c’è un ben chiaro impianto che è quello che ha scoperto Feuerbach: il capovolgimento dei normali rapporti di predicazione tra il concreto e l’astratto, tra il soggetto e il predicato. Mentre nell’ordine naturale delle cose, dice Marx, in questa opera, esistono prima le mele, le pere, le arance, e poi DOPO come funzione derivata esiste il concetto astratto di frutta: il soggetto è concreto (arancia ad es.) e il concetto di frutta è l’astratto; invece, in Hegel viene prima l’astratto e poi il concreto. L’idea astratta di frutto che per Hegel è realissima, si incarna poi in quelle che sono manifestazioni empiriche derivate: allora dico che la fruttità è la mela, che il frutto è la mela ecc; quindi, capovolgo i normali rapporti di predicazione. Marx ha interpretato Hegel attraverso il meccanismo scoperto da Feuerbach però poi ha aggiunto UN ELEMENTO CHE IN F. NON C’E’: questo misticismo logico che permette ad Hegel di essere conservatore sul piano politico perché se io parto dal fatto che in uno stato deve esserci un’autorità politica e la migliore è la monarchia, quando trovo nella concreta realtà di un paese la monarchia, la giustifico. Misticismo logico che diventa conservatore sul piano politico. A tutto ciò Marx oppone un ribaltamento di questo meccanismo. 2) LUCI: la dialettica come legge della realtà: Marx fa tesoro della dialettica di Hegel, valorizza questa fondamentale scoperta di Hegel che inizia tutto dall’opposizione, Hegel comincia con l’opposizione che eracliteamente è la legge della realtà (Polemos è padre di tutte le cose). Valorizza questa scoperta fondamentale eracliteo hegeliana. Muove però DUE appunti alla dialettica hegeliana: 1- dal punto di vista di Marx (che è materialistico) Hegel ha giocato troppo con le opposizioni astratte. Le opposizioni che di solito formano la tesi e l’antitesi di ogni processo dialettico, sono puramente astratte e concettuali. Invece per Marx bisogna parlare opposizioni concrete. 2- Hegel da queste opposizioni astratte ne fa derivare una sintesi pacificatoria troppo semplice laddove in generale e per lo più le opposizioni stanno tra di loro come due armate nemiche (Due armate nemiche che si affrontano sul terreno di guerra molto difficilmente si pacificano, difficilmente convolano a una sintesi risolutiva pacificatrice, spesso si scontrano fino all’ultimo sangue). Ha prospettato una sintesi troppo semplicistica laddove come dice Marx tesi ed antitesi stanno tra di loro come due armate nemiche delle quali o vince una o l’altra. Seconda parte: impianto storico – politico: Marx parte dalla considerazione della modernità. La modernità, di cui si è occupato ampiamente Hegel, è caratterizzata da una categoria fondamentale della scissione che in termini politici e sociali si caratterizza soprattutto attraverso la scissione fra la società civile e lo stato. Marx valorizza il fatto che Hegel per primo si sia reso conto di questa fondamentale scissione che esiste nell’ambito della modernità tra la società civile e lo stato. Questa scissione non esisteva, Marx riprende un po’ la nostalgia del mondo greco su cui si era imperniato tanta parte del romanticismo però la riprende in modo diverso e cioè dal punto di vista politico. Dice, ad es., nelle poleis attiche non c’era nessuna differenza, nessun contrasto tra quello che era l’ego pubblico e l’ego privato (anche il privato era politico), quindi non esisteva questa scissione tra società civile e lo stato. Invece questa scissione è diventata la categoria fondamentale della modernità. Hegel ha prospettato, come al solito, una risoluzione troppo semplicistica, troppo ottimistica infatti risolve questo contrasto così: la famiglia rappresenta la società naturale, la società civile e lo stato è la sintesi cioè è una famiglia in grande che riprende le pulsioni della società civile però le indirizza verso un fine superiore, verso un bene collettivo, verso lo stato. Tutto questo per Marx è assolutamente mistificatorio perché nella realtà delle cose avviene esattamente il contrario e cioè avviene che è la società civile che tira lo stato verso di sé: è lo stato che si modella sulla società civile non la società civile sullo stato come voleva Hegel. Quindi lo stato assume le caratteristiche della società civile delle quali lo stato è la proiezione, tanto è vero che per Marx esiste NON lo stato come per Hegel ma esiste lo stato feudale, lo stato borghese, lo stato capitalista: c’è tutta una serie di attribuzioni e di aggettivazioni che dà allo stato. Perché la modernità è il luogo della scissione che fa sì che nell’era moderna (diversamente dall’era antica in cui io pubblico e io privato erano la stessa cosa) noi siamo scissi come è scissa la modernità in società civile e in stato? Cosa provoca questa scissione? Questa scissione provoca una sorta di schizofrenia che tutti viviamo: noi siamo scissi, divisi tra una dimensione che è quella della vita borghese di tutti i giorni nell’ambito della società civile dove ognuno persegue il proprio interesse. La società civile è il luogo dell’atomismo e dell’individualismo. Ognuno pensa ai fatti suoi consolandosi per il fatto che davanti allo stato siamo tutti quanti uguali (il che non è vero). La scritta che c’è nei tribunali “la legge è uguale per tutti”, dice Marx, non fa altro che rimarcare questa falsa uguaglianza di tutti davanti alla legge che in realtà nasconde la differenza tra tutti in ambito economico. Noi cittadini della modernità viviamo come due vite: una sulla terra come borghesi e un’altra nel cielo mistificatorio dello stato proprio come fanno i cristiani che sono tutti disuguali sulla terra però si consolano di essere tutti quanti uguali davanti a Dio. La modernità è caratterizzata da questa scissione. Tutto questo va ricercato nel modo in cui si è formata la modernità. Qual è l’evento che rappresenta il momento formativo della modernità? Quando comincia la modernità? La modernità comincia con la rivoluzione soprattutto con la Rivoluzione francese che è l’evento che sta alla base, all’origine della modernità. La società che esce fuori dalla Rivoluzione francese è una società borghese. Rivoluzione francese: I fase Monarchico-costituzionale; II fase Repubblicano-democratica; III fase Repubblicano-moderata. La borghesia che fa la Rivoluzione inizia la rivoluzione per avere i diritti, si serve del popolo per poi spezzare il circuito rivoluzionario e prendere nelle sue mani, soprattutto con Napoleone, la gestione del potere. È una rivoluzione borghese, la quale sanziona quelli che sono gli interessi borghesi. Questi interessi borghesi vengono sanzionati dallo stato. Interessi borghesi quali sono? Articolo 17 della “Dichiarazione universale dell’uomo e del cittadino” del 26 agosto del 1789 che sanziona il principio della proprietà. Viene sanzionato il diritto alla libertà personale, il diritto di proprietà che sono i canoni, sono i punti fissi dell’universo borghese. A partire dalla Rivoluzione francese si è venuta a creare questo tipo di società che è una società individualistica, atomizzata in cui ognuno pensa solamente al proprio interesse, allora a questo tipo di società Marx contrappone una società diversa che non sia contro sociale o antisociale ma una società socialista per arrivare alla quale, nell’opera, Marx indica come metodo il SUFFRAGIO ELETTORALE. “I manoscritti economico – filosofici” del 1844 Marx cambierà prospettiva e indicherà non più il suffragio universale ma la rivoluzione sociale individuando anche il soggetto che la deve portare a termine e cioè il proletariato. Qui Marx approccia per la prima volta all’economia politica o meglio quello che egli definisce con un termine apparentemente misterioso, analizza l’economia politica (= economia applicata alla polis, applicata allo stato) borghese. L’economia politica classica è nata in Inghilterra verso la metà del 700 e ha avuto uno dei suoi maggiori corifei in Antonio Genovesi (1713-1769) che è stato il primo docente universitario di economia politica (all’epoca si chiamava meccanica e commercio) in Europa. L’economia politica classica che ha contato i nomi di Adam Smith, David Ricardo, Thomas Malthus ecc., viene definita da Marx economia politica borghese. L’economia politica è una scienza e nessuna scienza è mai stata etichettata con una categoria sociale. Marx utilizza questo aggettivo “borghese” apparentemente inappropriato ma invece lo utilizza in un senso ben preciso: Marx intende e vede l’economia politica nello stesso tempo come un’espressione teorica della società borghese ma anche come una mistificazione della società borghese. Vuol dire che l’economia politica è una espressione teorica cioè rappresenta il rispecchiamento a livello ideologico di quello che è il mondo borghese; anche se l’economia politica è una valida anatomia, è una valida espressione teorica per studiare il mondo borghese, nello stesso tempo è anche una mistificazione del mondo borghese stesso, è un’espressione teorica deformata per il fatto che ha un impianto adialettico, non adotta la dialettica e non adottandola, l’economia politica borghese compie due errori fondamentali: 1 - eternizzare il capitalismo, metatemporalizzare il capitalismo: invece di constatare che in un determinato ordine economico c’è un’economia capitalistica, l’economia politica borghese parte dalla proprietà privata come se si trattasse di un modo metastorico, eterno di organizzare la produzione e la ripartizione del profitto. Invece di considerare il modo di produzione capitalistico come uno dei tanti modi storicamente avvenuti nel corso dei secoli per organizzare la produzione e la ripartizione del profitto, l’economia politica classica è borghese nella misura in cui essendo adialettica eternizza il capitalismo. Parte dalla proprietà privata come se si trattasse di un assioma, di un principio assiomatico autovalorizzante dal quale partire, come il punto di partenza indiscutibile. 2 – non rendersi conto della opposizione interna al suo stesso oggetto cioè al capitalismo: opposizione tra i salariati e gli imprenditori che l’economia politica borghese non riesce a cogliere proprio per il suo impianto teorico adialettico. (le origini del capitalismo vedemmo le due classi che emergono: i lavoratori salariati e gli imprenditori – differenza tra i lavoratori salariati e i servi della gleba ecc.). Marx ne “Il Manifesto” 1848 - parla di lotta tra le classi e dice che la maggior parte dei sudditi ritiene di essere tale perché il re è il re e non si rendono conto che il re è il re proprio perché essi sono sudditi. Qui nei Manoscritti economico – filosofici sta solo cominciando a parlare di queste due classi che si oppongono. Questa contrapposizione di classi la chiama ALIENAZIONE 31/03/2023 Marx (“Manoscritti economico – filosofici” del 1844, testo che rappresenta il frutto del primo approccio di Marx con l’economia politica che egli definisce economia politica borghese) ALIENAZIONE (=da alius-alia-aliud: altro, quindi è un estraniarsi.) Termine con il quale Marx definisce il contrasto, la contrapposizione di classi tra i lavoratori salariati e gli imprenditori (capitalisti). In Hegel riveste un significato sia positivo che negativo. Positivo per quanto riguarda l’alienazione dell’idea che dopo essere stata in sé e per sé diventa altro da sé quindi si aliena nello spazio diventando natura, si aliena nel tempo diventando storia e si riappropria di sé in maniera arricchita. Cioè l’idea prima diventa spazialità, entra nell’elemento del suo essere altro: nella natura, poi si riappropria di sé attraverso la storia alienandosi nel tempo, si riappropria di sé come spirito. In Feuerbach riveste un significato solo negativo: sta ad indicare quel meccanismo di estraniazione da sé per il quale la teologia non è altro che un’antropologia capovolta: l’uomo producendo quella sorta di kenosis dell’umano, si spoglia delle sue migliori qualità che sono la volontà, la ragione, il cuore ecc. e le traspone fittiziamente in un cielo metafisico per poi dopo, attraverso la critica filosofica, riappropriarsene antropologicamente cioè scoprire quelle che sono le qualità divinizzate in Dio, in realtà non sono altro che le migliori qualità della propria specie e quindi capovolgendo la teologia in antropologia. In F. l’alienazione si svolge all’interno della coscienza: è la coscienza che si scinde e poi è la coscienza che attraverso la critica filosofica si riappropria di sé stessa. E’ un fatto coscienziale. Invece Marx utilizza il termine ALIENAZIONE non più in chiave coscienzialistica bensì in chiave storico-sociale. Infatti, l’alienazione per M. è la condizione del salariato nella società capitalistica. Il salariato, l’operaio è alienato da 4 punti di vista: 1- Alienato rispetto allo stesso prodotto della sua attività perché ad es. un operaio della Ferrari che costruisce una macchina della Ferrari che costa tantissimo, si aliena dal suo prodotto perché non gli appartiene e che anzi si erge come una potenza nemica nei suoi confronti; 2- Alienato rispetto alla sua stessa attività. Nel modo di produzione capitalistico per M. l’uomo è essenzialmente lavoro. Quella di Marx (come dirà Gramsci) è una filosofia della praxis cioè è una filosofia che focalizza l’intervento fattivo dell’uomo (homo faber (=uomo fabbro del mondo che ha). Il lavoro è proprio dell’uomo. Cosa succede nel modo di produzione capitalista? Quando l’uomo esplica la migliore parte di sé cioè quando lavora si sente come una bestia da soma quando invece dovrebbe sentirsi propriamente uomo quando sta lavorando. Nel momento in cui lavora, l’uomo dovrebbe sentirsi al culmine della sua umanità, dovrebbe avere consapevolezza del fatto che è fabbro del mondo e invece nella moderna società capitalistica l’uomo si sente come una bestia e invece si sente come uomo quando fa la bestia: quando, finito di lavorare entra in un bar e si ubriaca oppure mangia smodatamente oppure va a letto con qualche prostituta. M. fa riferimento alla società che vive, quella che è stata descritta da Charles Dickens in Hard Times (fotografia pedissequa della società capitalistica in cui c’è questa scomposizione dell’uomo, questa alienazione.) 3- Alienato rispetto alla sua stessa essenza: Wesen: (=essenza) L’essenza vera e propria dell’uomo è quella di essere fabbro, di lavorare ma secondo un lavoro che è/dovrebbe essere libero (non sotto padrone come uno schiavo), creativo (basato sull’immaginazione) e universale (cioè produce tutto) perché la caratteristica dell’uomo è quella di produrre secondo la misura di ogni specie. Gli altri animali non lavorano ma producono delle cose anche se rudimentali, ognuno in maniera specifica rudimentale. Ad es. una rondine viene qui in primavera e produce il suo nido; quindi, è capace di attività architettonico/ingegneristiche molto rudimentali però lo sa costruire. Oppure altro animale che costruisce la sua tana sottoterra ecc. L’uomo invece è capace di produrre qualsiasi cosa: dalle cattedrali gotiche alla penna stilografica attraverso un lavoro che è libero, creativo e universale e invece nel modo di produzione capitalistica questo lavoro assume la forma di un lavoro non libero ma costrittivo, non creativo ma unilaterale, non universale ma specifico, particolare. Pensiamo alla catena di montaggio (che ai tempi di M. non c’era ancora ma introdotta da Henry Ford nel 1912), prototipo di quella vera e propria introdotta dopo. 4- Alienato rispetto al prossimo: Il prossimo per il lavoratore dissociato, alienato nella moderna società capitalistica, diventa il capitalista cioè un uomo che ne sfrutta le energie, lo sottopaga e di cui si riveste la forma del prossimo. (ad es. gli individui alienati dal lavoro parlano sempre del datore di lavoro e quindi per loro il prossimo si incarna generalmente nell’imprenditore). Pian piano, prendendo consapevolezza e coscienza della propria attività, passando dall’essere classe in sé all’essere classe per sé, pian piano io mi rendo conto della mia forza, della mia dignità, della mia importanza sociale ecc. ecc. e quindi mi lego al prossimo che sta accanto a me, che lavora con me e quindi passo dall’essere un individuo in sé a diventare una CLASSE, una unità di intenti. Nei primi momenti della società industriale, qual è il fenomeno sociale della lotta, l’insubordinazione? E’ la distruzione delle macchine cioè il LUDDISMO è la prima rudimentale, ingenua, forma di lotta: la macchina diventa il nemico perché l’operaio non riesce a distinguere tra l’uso (sociale) della macchina e l’uso capitalistico (sfruttatorio) della macchina. Se l’alienazione è prodotta dal modo di produzione capitalistico, è ovvio che per Marx il processo di DISALIENAZIONE deve avvenire abbattendo il sistema capitalistico. In Feuerbach il meccanismo dell’alienazione e della successiva disalienazione è un meccanismo che avviene all’interno della coscienza, è un fatto coscienziale mentre per Marx è un fatto storico – sociale sia per quanto riguarda l’origine dell’alienazione sia per quanto riguarda la cura: attraverso l’eliminazione della causa che è la proprietà privata del mezzo di produzione, lo sfruttamento capitalistico. Per il Marx del 1843 (“Critica della filosofia Hegeliana del diritto pubblico”) questo si può fare attraverso lo strumento del suffragio universale, invece per il Marx dei “Manoscritti..” del 1844 questo si può fare soltanto attraverso la rivoluzione sociale (=rivoluzione di cui Marx ha individuato anche il soggetto di questa rivoluzione che è il proletariato alienato che attraverso la rivoluzione sociale si disalienerà cioè eliminerà le cause dell’alienazione.) (film su alienazione: “Tempi moderni” di Chaplin) “Tesi su Feuerbach” 1845, questo libro è una presa di coscienza dell’importanza di Feuerbach sempre redatto, organizzato secondo delle tesi che poi motiva. Attraverso queste tesi su Feuerbach, Marx intende sottolineare quelle che solo le luci e le ombre di Feuerbach, grandezze e limiti. Punti di forza -LUCI di Feuerbach: Marx gli riconosce DUE grandi meriti: 1- Umanismo naturalistico: rivendicazione della naturalità dell’uomo. Feuerbach, finalmente, dopo l’ubriacatura della spiritualizzazione dell’uomo ecc. (L’uomo di Hegel è spirito), Feuerbach ha rivendicato e sottolineato la naturalità dell’uomo. L’uomo di cui parla Feuerbach è l’uomo di carne e di sangue, l’uomo che ha bisogno di mangiare ecc. 2- Aver combattuto contro l’idealismo teologizzante (=idealismo calcato sulle orme della teologia) di Hegel – aver scoperto la comune matrice della teologia e dell’idealismo nei rapporti di predicazione. Feuerbach scorge l’origine della religione (sue opere: Essenza della religione 1841 – Essenza del Cristianesimo 1844). F. ha scoperto il metodo dell’alienazione religiosa però partendo da Hegel anzi coniugando la religione con il sistema di Hegel; F. dice che il limite di Hegel, la magagna metodologica, sta nell’aver alterato, capovolto i normali rapporti di predicazione. L’essenza dell’idealismo sta proprio in questo cioè nell’alterazione dei normali rapporti di predicazione. Stesso metodo che usa anche la religione: la religione dice che Dio crea l’uomo, in realtà è l’uomo che crea Dio. In realtà si può definire quello di Hegel come un idealismo teologizzante: così come la teologia capovolge i normali rapporti di predicazione, allo stesso modo anche l’idealismo hegeliano si basa proprio sul capovolgimento dei normali rapporti di predicazione e questo meccanismo che sta alla base sia della teologia sia dell’idealismo hegeliano è stato scoperto da Feuerbach. Da questo punto di vista, Marx corregge Feuerbach con Hegel e corregge Hegel con Feuerbach. Limiti - Ombre di Feuerbach: 1- Accusa Feuerbach di astrattezza di intellettuale: L’uomo di Feuerbach, sebbene F. non abbia dimenticato la naturalità, la materialità, continua ad essere un uomo astratto cioè un uomo decontestualizzato dalla sua realtà storico-sociale. L’uomo di cui parla Feuerbach è un’astrazione. Che cosa manca per dare concretezza a quest’uomo di Feuerbach? Manca il suo contesto storico-sociale. Ogni discorso sull’uomo non può assolutamente prescindere dalla storicità dell’uomo. (esempio: se io devo studiare Machiavelli che nasce nel 1469 e muore nel 1527, lo posso studiare come un essere di carne, di sangue che ha fatto delle cose ma non posso prescindere dal contesto storico – politico – sociale in cui è vissuto Machiavelli perché altrimenti non colgo niente di Machiavelli). Anche i sofisti e soprattutto Hegel hanno evidenziato questa cosa: la storia ha un ruolo fondamentale. Marx corregge Hegel con Feuerbach perché contro Hegel rivendica la naturalità e la materialità dell’uomo e poi corregge Feuerbach con Hegel perché con Hegel rivendica la storicità di quest’uomo, mette insieme i due: rivendica un uomo che è nello stesso tempo materiale, naturale, è ciò che mangia, è lavoratore ma è anche un prodotto storico, vive in uno specifico contesto storico-sociale. 2- Feuerbach ha individuato il meccanismo dell’alienazione religiosa (che si basa sul capovolgimento dell’antropologia; alterazione dei rapporti normali di predicazione ecc.) MA proprio per la sua astrattezza da intellettuale non ha colto il fatto che l’uomo religiosamente alienato è un uomo che soffre dal punto di vista della sua esistenza storico-sociale, non è un uomo astratto che si inventa Dio perché prima deve venire la teologia e poi l’antropologia secondo quella norma che gli uomini prima sentono senza avvertire, poi avvertono e infine pensano con mente pura. (Ancora una volta Marx corregge Feuerbach con Hegel.) Non è per questo, perché l’uomo che inventa la religione è un ben determinato prodotto sociale, è un uomo che soffre nell’al di qua e quindi prospetta la felicità escatologicamente in un aldilà che gli viene promesso. L’uomo che inventa Dio NON è un uomo astratto ma è un uomo che soffre all’interno della società (per le diseguaglianze, per lo sfruttamento, per il modo in cui è costretto a vivere) e quindi prospetta un mondo dell’aldilà in cui sarà felice e libero. Dio è prodotto di questa semplice escatologia che rimanda a un aldilà a venire, il ripianamento delle sofferenze. Marx era convintamente ateo e definisce la religione “Opium des Volkes”, oppio dei poveri, una sostanza stupefacente che ti fa dimenticare le sofferenze dell’al di qua in vista del ripianamento di queste sofferenze nell’aldilà e definisce Dio, la religione “il sospiro della creatura oppressa”. 3- Feuerbach non ha colto il legame tra la filosofia e la praxis. La filosofia di Feuerbach non è una filosofia della praxis, corrisponde ancora al vecchio teoreticismo astratto: F. è ancora un intellettuale teoretico che si costruisce le sue elaborazioni teoretiche ma che non vede il legame della filosofia con l’agire pratico. (Famosa undicesima tesi su Feuerbach che si trova all’ingresso dell’Università di Berlino: finora la filosofia non ha fatto altro che interpretare il mondo. È giunta l’ora di cambiare). Differenza della natura di Democrito e sistema della natura di Epicuro: Marx predilige Epicuro. Democrito si è perso nella sua astrattezza intellettuale: famosa frase su Democrito “Quale meraviglia se gli armenti e le greggi di Democrito invadono i suoi campi e rovinano le …mentre il pensiero di Democrito se ne va veloce nei mondi artificiali che ha creato”, sottolinea proprio il teoreticismo di Democrito a cui Marx contrappone invece il pragmatismo di Epicuro. Facendo una proporzione con i termini si potrebbe dire che Feuerbach sta a Democrito come Marx sta ad Epicuro. Mentre Democrito ha semplicemente aperto una nuova visuale (come ha fatto Feuerbach) ma senza scorgere la storicità dell’uomo, senza scorgere la pragmaticità, il fatto che l’uomo è essenzialmente praxis invece Marx ha colto i frutti pragmatici di tutto questo. “L’ideologia tedesca” 1845-46 (tra le più importanti opere giovanili di Marx) Con questo testo Marx fonda il materialismo storico (=concezione materialistica della storia). Testo scritto a sei mani: a quattro mani da Marx e da Engels ma ha preso parte (in maniera marginale) anche un altro appartenente alla sinistra hegeliana che si chiamava Moses Hess. Questa opera è rimasta anch’essa inedita per lungo tempo ed è stata scoperta nel 1932. Concezione materialistica della storia partendo dall’intento di dare una rappresentazione non più ideologica della storia ma partendo dal proposito di svelare la verità sulla storia. Svelare significa compiere un’opera di disvelamento (aletheia= arrivare alla verità disvelando qualcosa che è scoperto). Da che cosa è coperta la verità della storia? È coperta da quella che Marx chiama ideologia. Il termine ideologia è stato utilizzato per la prima volta da un illuminista francese che si chiama Antoine Destutt de Tracy e vive tra la seconda metà del 700 e la prima metà dell’800. Questo intellettuale è rimasto famoso, diede il là a un filone dell’illuminismo. (Hobbes muove quella famosa critica a Cartesio - “meditazioni metafisiche” di Cartesio nel 1641 che contengono anche le obiezioni e le risposte alle obiezioni. Famosa obiezione che muove Hobbes: fino a quando Cartesio dice cogito ergo sum non c’è nulla da ridire, il problema è quando Cartesio, partendo dal cogito vuol dire anche che cosa è questa sostanza e dice che è una res cogitans. Lì è l’errore di Cartesio che fa come colui che dice “io passeggio dunque sono una passeggiata” Per Hobbes il pensiero, lungi dall’essere un prodotto di una sostanza spirituale, evanescente, impalpabile, è frutto - diremmo oggi - dell’attività bioelettrica, riconducibile alla materialità del cervello. Due modi di vedere le cose completamente antitetiche, distonia totale. Cartesio balbetta una sua contro obiezione.) Antoine Destutt de Tracy fa la stessa cosa: cerca di ricondurre il pensiero alla sua origine presupposta materiale cioè il pensiero non veniva da niente di spirituale ma veniva da qualcosa di materiale che sta nel nostro cranio anatomicamente inteso che noi oggi sappiamo essere l’attività bioelettrica delle cellule celebrali, attraverso le sinapsi si diffonde questa attività bioelettrica che viene rilevata da un elementare apparecchio che si chiama elettroencefalografo che dà l’elettroencefalogramma (=registrazione dell’attività bioelettrica del cervello) da cui secondo Hobbes (se avessero visto questo apparecchio), secondo Destutt de Tracy, veniva la nostra attività di pensiero. Questa impostazione viene chiamata IDEOLOGIA e non ha niente a che fare con quella che normalmente chiamiamo ideologia. Però da questa parola pian piano attraverso le varie trasformazioni semantiche alle quali le parole vanno incontro, ideologia è passata a indicare una linea di pensiero per lo più eversiva e rivoluzionaria. Tanto è vero che Napoleone Bonaparte considerava i filosofi sdegnosamente Ideolog, sinonimo di testa calda. Quello che noi chiamiamo un idealista oggi, uno che vuole sommuovere una situazione esistente. 5/04/2023 Ideologia tedesca - MARX Testo nel quale Marx elabora, descrive quella che è la sua filosofia della storia (filosofia della storia che si origina a cominciare da Agostino, Vico, Schelling, Hegel). Questo testo di Marx, che non portò nemmeno a termine e che è stato riscoperto a partire dal 1932, è depositario di quella che è la filosofia della storia (potremmo quasi dire la metafisica della storia ma in realtà non è così perché si tratta di una concezione materialistica della storia che è la concezione di Marx). Perché è intitolato Ideologia tedesca? Il termine Ideologia era stato coniato in ambito illuministico. Antoine Destutt de Tracy nel momento in cui intendeva con questo termine ideologia lo studio del pensiero però a partire dalle sue basi anatomiche. Un po’ come diceva Hobbes, contestando Cartesio: L’errore di Cartesio non è tanto aver detto: Cogito ergo sum ma aver voluto specificare che cosa sia quella cosa che pensa. Cartesio avrebbe dovuto limitarsi a dire Cogito ergo sum ma non dire Io sono una sostanza pensante perché il pensiero potrebbe anche derivare dalla materia cerebrale, da una base materiale. Ed è quello che intendono proprio gli illuministi che studiano il pensiero su base fisiologica. Poi questo termine viene ripreso da Napoleone Bonaparte e segna un retaggio (= eredità – deriva dal francese heritage) Eredità che sarà tipicamente francese, in Francia il termine Ideologue, che viene usato per la prima volta da Napoleone, diventerà sinonimo di rivoltoso, di capopopolo. Un ideologo è una “testa calda”, come diceva Napoleone. Marx riprende questo termine Ideologia in una accezione semantica che è molto vicina a quella di Napoleone Bonaparte. Cosa intende Marx per Ideologia? Intende la falsa coscienza mistificatoria (vuol dire ad es. che se voglio fare guerra all’Ucraina per conquistarla, devo in qualche modo giustificare, devo elaborare quella che in filosofia si chiama “rappresentazione”, e che oggi va sotto il nome di “narrazione”. La narrazione è quella per la quale ho fatto questa operazione militare speciale per combattere contro i nazisti, non ho fatto una guerra; quindi, mi dovreste dare un premio per ciò che sto facendo. L’ideologia finisce per stravolgere l’ordine naturale dei fatti). Dal punto di vista di Marx, l’ideologia della storia è quella tipica elaborata da Hegel. Per Hegel la storia è un evento spirituale, evento che scaturisce dal farsi dello spirito, evento che ha le sue basi nella metafisica, tutti gli eventi storici non sono altro che manifestazione dello spirito, dell’idea che, attraverso la storia, acquisisce sempre più consapevolezza dì sé. Dal punto di vista Hegeliano, la storia è un evento spirituale: questo si chiama IDEALISMO STORICO (gli artefici della storia non sono gli uomini ma le idee). A questo Idealismo storico Marx contrappone il proprio MATERIALISMO STORICO. Il termine Materialismo non rimanda alla tesi (che per altro è una tesi metafisica) per la quale tutto è materia e tutto e riconducibile e riducibile alla materia; MATERIALISMO STORICO significa una visione della storia che si oppone nettamente all’idealismo storico (è esattamente la controparte). Mentre per l’idealismo storico l’artefice della storia è l’idea, per il materialismo storico il protagonista della storia è un fatto materiale, economico. L’intento di Marx è quello di svelare l’aletheia (= svelamento, rivelazione) della storia cioè togliere quella specie di velo di maga, di involucro idealistico che ricopre la storia andando a studiare il MOVIMENTO REALE DELLA STORIA, non il presunto movimento ideologico. Marx intende svelare la verità nella storia. Secondo questo intento, tolto questo velo che ricopre gli eventi storici, la storia è un evento materiale che è prodotto dall’uomo, non dalle idee. Il punto di partenza è andare a vedere che cosa è l’umanità al di là dei rivestimenti ideologici, al di là delle favole con cui i vari ideologi hanno voluto ricoprire questa materia. Che cos’è l’umanità? Marx risponde, nell’Ideologia tedesca, che l’umanità non è altro che una specie evoluta la quale ha come primario bisogno quello di riprodurre ogni giorno le basi materiali della sua propria esistenza. Basi materiali = Sono atti elementari apparentemente banali ma in realtà fondamentali come il mangiare, il bere, l’abitare, il vestirsi. Atti che rappresentano i BISOGNI PRIMARI dell’essere umano. Marx quindi arriva a questa prima definizione della storia (la seconda la vedremo soprattutto ne “Il Manifesto del Partito Comunista”: la storia per Marx è concepita come storia di una lotta di classe). Qui invece Marx parla della storia come produzione sociale dell’esistenza (= produzione sociale vuol dire che, essendo l’umanità una specie evoluta, ed essendo l’umanità capace di lavorare secondo la misura di ogni specie, la STORIA non è altro che un evento materiale che consiste nella continua produzione sociale ( = fatta da tutti) dell’esistenza alla cui base sta il LAVORO). Il lavoro è un’attività valoriale, attività pregna di valore perché trasforma il mondo, il lavoro è praxis, il lavoro produce costantemente le basi sociali dell’esistenza. Ecco perché il lavoro viene così tanto tesaurizzato da Marx. Per lui il lavoro è un valore culturale, è il valore che permette all’uomo di trasformare il mondo, di agire come praxis sul mondo e di riprodurre le condizioni della sua stessa esistenza. Nell’ambito di questa PRODUZIONE SOCIALE dell’esistenza alla cui base sta il lavoro, Marx distingue DUE livelli che spiegano nello stesso tempo la statica della Società e la dinamica della Società. In ogni grande epoca storica abbiamo due livelli (struttura e sovrastruttura) che Marx chiama: BAU (in tedesco significa costruzione, struttura) è la base economica. Della STRUTTURA fanno parte le forze produttive e i rapporti di produzione. Si tratta di una struttura ECONOMICA della società, che nel loro insieme costituiscono quello che si chiama il modo di produzione (= rappresenta la base in una determinata epoca della società capitalistica) di una determinata epoca FORZE PRODUTTIVE sono 3 elementi: 1- la concreta forza lavoro (gli uomini che concretamente lavorano): il fabbro, l’artigiano, il commerciante, l’agricoltore. In particolare, Marx pensa agli operai i quali per lavorare hanno bisogno di 2- mezzi di produzione: le falci, i rastrelli, nella fabbrica sono dei macchinari semplici ecc. Per poter utilizzare in maniera idonea i mezzi di produzione occorre 3- il know how: insieme di conoscenze tecniche, tecnologiche che permettono di utilizzare adeguatamente una macchina, anche una semplice, una falce. - RAPPORTI DI PRODUZIONE: rapporti nei quali inevitabilmente, in maniera naturale quindi, gli uomini che lavorano, entrano nel corso della produzione. Da un punto di vista giuridico i rapporti di produzione si cristallizzano in rapporti di proprietà. I rapporti di produzione riguardano: a) la proprietà dei mezzi di produzione b) la ripartizione del profitto che si ottiene attraverso l’utilizzo di quei mezzi di produzione UBER BAU (sopra la struttura): una sovrastruttura che rappresenta, nella sua interezza, la VISIONE DEL MONDO in termini di rapporti giuridici, politici, rapporti culturali che è la visione del mondo che è espressione della situazione economica della struttura. Quindi, sulla struttura economica si eleva, secondo Marx, una sovrastruttura di carattere giuridico, politico, culturale (la visione del mondo che è espressione della visione economica della struttura). Giuridico-politico e culturale. Ecco perché ho detto che i rapporti di produzione sono cristallizzati a livello giuridico in quelli che vengono chiamati rapporti di proprietà. Però i rapporti di proprietà pertengono a un livello che sta al di sopra della base economica cioè rappresentano la visione del mondo di una determinata società. Quindi tutte le forme giuridiche, tutte le forme politiche, tutte le forme culturali (la religione, la filosofia, l’arte, la musica) sono tutte espressioni sovrastrutturali alla cui base c’è una base economica. Quando prendete un libro, ad esempio, di letteratura italiana o inglese, e leggete, il momento della crisi oppure il momento del romanzo borghese, che vuol dire romanzo borghese? Significa che è quella forma tipica di romanzo che è sorta nell’epoca della borghesia, cioè un’epoca in cui la borghesia rappresenta le forze produttive e i rapporti di produzione. Così come, dal punto di vista di Marx, si spiega perché l’economia politica classica viene detta economia politica borghese: perché l’economia politica, al pari di tutte le forme culturali, rappresenta l’espressione di un mondo economico ben preciso. La sovrastruttura, o meglio le espressioni giuridiche, politiche e culturali, non sono altro che l’espressione, sul piano ideale, di forze economiche che stanno alla base, rappresentano anche la visione che la classe che domina ha di sé. La classe che domina dal punto di vista economico costruisce anche un mondo a sua immagine e somiglianza, un mondo costituito da forme giuridiche, politiche, da idee culturali, filosofiche. Quindi ogni epoca costruisce, sulla base dell’economia, una propria immagine che è un’immagine che legittima il dominio di quella classe che è dominante dal punto di vista economico. Quando Gramsci parla di dominio (= che è affidato alle forze repressive, alla forza militare, ecc.) ed egemonia (=riflesso di mutati rapporti economici che si esprimono in forze culturali che formano quella che Gramsci chiama egemonia, la quale può cominciare a preparare il terreno egemonico già prima di quello del dominio. Un gruppo sociale che aspira al dominio, perché oramai i rapporti economici sono già mutati, deve già essere capace, prima di arrivare al dominio di essere egemonico in maniera tale da creare una serie di rapporti di subordinazione, di subalternità tra le classi, che poi lo porterà ad avere anche il dominio), ha ripreso ed adattato a tutta la situazione italiana il discorso che Marx fa relativamente alla struttura e alla sovrastruttura. Marx diceva la stessa cosa: alle volte le idee sembrano venire prima, come nel caso della Riv Francese, ad es. prima è stata pubblicata la Enciclopedia e poi il 1789 è scoppiata la Riv, in realtà non è così; le idee sembrano venire prima perché già sono l’espressione di rapporti economici che si muovono in territorio sottostante. La sovrastruttura (da non confondere con i termini “sovrastrutturale” che significa qualcosa di accessorio, di marginale) per Marx è importante al pari della struttura perché rappresenta il terreno su cui una classe dominante (da un punto di vista economico) elabora la propria coscienza di classe, esprime il proprio dominio di classe. Per es. a una base economica di tipo borghese corrisponde una visione del mondo di tipo borghese; a una base economica di tipo agricolo corrisponde una sovrastruttura feudale. Con Marx quando noi parliamo del feudalesimo, dobbiamo distinguere tra il modo di produzione feudale(che riguarda i rapporti di produzione e le forze produttive) e la società feudale( che riguarda la costruzione ideologica attraverso la quale il feudalesimo legittima sé stesso, cioè la visione del mondo che si costruisce a partire da quella base economica). A proposito dell’importanza della sovrastruttura, Marx usa DUE VERBI (che dicono la stessa cosa ma con un’intensità diversa) per determinare il rapporto tra struttura e sovrastruttura: CONDIZIONARE (questo verbo prevede un rapporto più lasco) DETERMINARE (verbo molto più forte, pregnante) Talvolta Marx dice che la struttura condiziona la sovrastruttura altre volte Marx dice che la struttura determina la sovrastruttura. Al di là del verbo che usa, Marx attribuisce sempre la priorità alla struttura rispetto alla sovrastruttura, l’elemento fondamentale è sempre la base economica. Le idee, ad es. della Riv. Francese, c’erano perché la base economica della società già stava mutando, già erano espressione di mutati rapporti di produzione cioè di quella lotta tra borghesia e aristocrazia che determinò la Riv.Francese e che fa sì che quella rivoluzione sia stata una rivoluzione borghese. La struttura e la sovrastruttura per Marx rappresentano la STATICA STORICO-SOCIALE (statica in termini fisici che è una specie di anatomia). Questa STATICA permette di comprendere la: DINAMICA STORICO-SOCIALE (=movimento reale della storia) In base a quale legge si basa il divenire della storia? Per Marx è la legge della corrispondenza e della contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione. Legge costituita da due elementi; forze produttive e rapporti di produzione che sono il modo di produzione, la base economica di una determinata epoca; quindi, se la legge della storia è costituita da questi due elementi che sono strutturali, economici, la legge del movimento della storia è determinata dalla sua base economica. Ecco in cosa consiste il MATERIALISMO STORICO: il protagonista della storia non sono le idee ma sono gli elementi materiali! Tra forze produttive e rapporti di produzione c’è un rapporto di corrispondenza cioè: a determinate forze produttive corrispondono in un primo momento determinati rapporti di produzione (per es. a forze produttive agricole corrispondono rapporti di produzione di tipo feudale). In un primo momento, per un’ampia fase c’è questa corrispondenza. In un secondo momento s’instaura una contraddizione. La legge della storia è data dalla frizione, ogni volta tra forze produttive e rapporti di produzione. Perché questa frizione è naturale, è inesorabile? Perché le forze produttive che sono basate soprattutto sull’innovazione tecnologica, sullo sviluppo tecnico, sull’aumento della produttività e quindi sono sempre forze produttive PROGRESSIVE (= che si sviluppano). - Invece, i rapporti di produzione, proprio perché incarnano dei rapporti di proprietà, sono CONSERVATIVI. Anzi politicamente, a livello sovrastrutturale, sono conservatori. Ad esempio, è normale che un proprietario, un aristocratico dell’Inghilterra del 600 vedeva come il fumo degli occhi questa ascesa della borghesia perché metteva in pericolo determinati rapporti di proprietà. Questa frizione determina una RIVOLUZIONE, determina una dialettica. DIFFERENZA TRA MARX ed HEGEL: Quindi anche Marx vede la storia (alla pari di Hegel) come una totalità processuale e necessaria mossa dalla forza della contraddizione; solo con una differenza abissale: mentre la storia per Hegel, pur essendo una totalità processuale necessaria mossa dalla forza della contraddizione, è un evento spirituale che si svolge nell’empireo dell’idea invece per Marx è un evento concreto, materiale. Per Marx le idee non hanno storia nel senso che le idee, essendo espressione della base economica, essendo l’elemento sovrastrutturale, in sé e per sé non hanno storia ma la loro storicità è determinata dallo sviluppo del fattore economico. La storicità in sé e per sé la ha solamente la struttura, la base economica. Nel 1843 Marx dice che gli opposti stanno tra di loro come due armate antitetiche delle quali una vince e l’altra perde, come nella rivoluzione che si determina grazie alla legge della contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione. Alla fine, dice Marx, vince sempre o quasi sempre la forza che incarna il grado di progresso di quell’epoca storica. Le forze che, invece, incarnano i vecchi rapporti di produzione sono costituite da una classe in declino. Forze produttive e rapporti di produzione si incarnano in CLASSI, non sono soggetti astratto, non sono soggetti senza struttura (non sono idee che nomina Hegel), ma si incarnano in una classe in ascesa e in una classe al tramonto. Per es. nella Francia rivoluzionaria o ad es nell’Inghilterra rivoluzionaria c’era una classe in ascesa che incarnava le forze produttive nuove e c’era una classe al declino che era incarnata dalla classe aristocratica. Marx, già nell’Ideologia tedesca prepara il terreno per Il Manifesto del Partito Comunista. Tutto questo fa sì che si possa riguardare alla storia come ad una sequenza di grandi formazioni storico-sociali (varie tappe della storia) che in alcuni testi di Marx parla di 4 grandi formazioni storico-sociali che sono: 1- La società asiatica 2- La società antica 3- La società feudale 4- La società borghese Per arrivare alla società borghese c’è stato bisogno prima della società asiatica, poi dell’antica e poi della feudale in altri testi ne annovera 6: 1- La società originaria: URGEMEINSCHAFT (=UR originaria - GEMEINSCHAFT società), nella quale vigeva un modo di produzione che era fondato su un comunismo rozzo, elementare e che si basava soprattutto sul baratto. 2- La società asiatica: anch’essa basata su un comunismo originario ma già un pochino più evoluto. 3- La società antica: quella greco-romana basata sul modo di produzione che si fonda a sua volta sullo schiavismo e quindi a quel modo di produzione schiavile corrisponde una società schiavile. Per es. i greci consideravano cittadini soltanto i liberi. 4- La società feudale: basata sempre sulla contrapposizione fra i liberi ( i signori) e gli schiavi (servi della gleba). Quando scoppia la conflittualità tra forze produttive che ormai sono borghesi e rapporti di produzione che continuano ad essere feudali, scoppiano la rivoluzione inglese, francese. Quelle che Hobbes, da buon marxista, chiama rivoluzioni borghesi, attraverso le quali i nuovi fautori delle nuove forze di produzione si scontrano con i conservatori del vecchio potere politico cioè l’aristocrazia. 5- La società borghese: in cui il posto dei liberi è preso dagli imprenditori e il posto degli schiavi è preso dagli operai di fabbrica. Pian piano le nuove forze produttive che sono sempre più sociali: la fabbrica è lo strumento attraverso il quale non solo si producono beni materiali ma si produce quella fondamentale inversione dall’esser classe in sé all’esser classe per sé. Pian piano, proprio attraverso la presa di coscienza, che le nuove forze produttive finiranno per scontrarsi con i vecchi rapporti di produzione che sono sempre più privatistici. Ne scaturirà un’ultima rivoluzione, secondo Marx, perché mentre nelle rivoluzioni precedenti a un dominio di classe si sostituiva un nuovo dominio di classe, la nuova classe imponeva il proprio dominio e anche la propria egemonia, la propria visione del mondo; invece, la rivoluzione proletaria sarà l’ultima rivoluzione perché da essa scaturirà una società priva di classi: 6- Società comunista (Perché i menscevichi contrastavano i bolscevichi? Lenin propugnava il passaggio alla rivoluzione prima che si compisse tutto questo percorso. I menscevichi dicevano che ci doveva essere prima una rivoluzione borghese e poi si poteva arrivare a una rivoluzione proletaria. Frase famosa proferita da un esponente della corrente menscevica, un leader Georgij Plechanov, collaboratore di Lenin, (uno dei primi ad introdurre il marxismo in Russia soppiantando il populismo): “noi in Russia soffriamo non solo per il capitalismo, ma anche per la lentezza del suo sviluppo”: soffriamo per il fatto che il capitalismo non si è ancora sviluppato completamente; se non fosse così, avrebbe partorito quella contraddizione tra le forze produttive proletarie e i rapporti di produzione di tipo capitalistico. 19 aprile 2033 Il manifesto del partito comunista Fu scritto a Londra nel 1848. A complicare il quadro del ’48, fu proprio questo libro. Marx scrisse a quattro mani quest’opera perché a Londra si riunì una delle prime formazioni socialiste europee, cioè la lega dei comunisti (nota come già c’era il termine comunista) nel febbraio 1948. Marx non potè intervenire, gli venne dato l’incarico di redigere un manifesto. Che caratteristiche ha un manifesto? Quello della semplicità e della sintesi (dovevano leggerlo operai, contadini etc). Questo testo è poi caratterizzato a blocchi: non ha capitoli ma è come se lo fosse, i più importanti dei quali sono tre, Marx sembra un cantore borghese delle sorti della borghesia. Primo blocco: funzione storica della borghesia: la borghesia ha caratteristiche particolari, che vengono messe in evidenza con una sorta di nostalgia. Viene delineata la funzione storica della borghesia Secondo blocco: delineare il concetto di storia come lotta di classe: la storia non è altro che produzione sociale alla cui base c’è il lavoro, quindi la storia parte dalla contrapposizione tra forze produttive e rapporti di produzione, che agli occhi di Marx sembrano delle “strutture senza soggetto”, cioè come se fossero delle categorie Hegeliane, delle strutture metafisiche non incarnate in un soggetto particolare; per evitare allora questa deriva metafisica, Marx parla non più di storia come attrito tra queste forze, ma parla di storia come lotta di classe. Terzo blocco: critica dei socialismi pre-scientifici: Marx ritiene che il suo sia un socialismo scientifico, cioè costituito da parti empiricamente constatabili (rivoluzione scientifica=empirica). Prima il socialismo era qualcosa di sentimentale ed utopistico, ha a che fare con la morale ed il sentimento; il socialismo di Marx vuole essere una forma di socialismo scientifico, basato su fatti razionalmente esplicabili, quindi un “socialismo more-geometrico”. Il fatto economico prima era un fatto emarginale (era meno pragmatico), con Marx diventa fondamentale. Analizziamo questi punti nel particolare funzione storica della borghesia. “noi in Russia non soffriamo solo per il capitalismo, ma anche per la lentezza del suo sviluppo”, per i Marxisti esiste una sequenzialità: la storia è totalità processuale necessaria, esistono quindi degli step necessari (non si può passare dal regime feudale a quello comunista ad cazzum). Marx, proprio nel manifesto, assegna una funzione storica enorme alla borghesia. Dice Marx che la borghesia è destinata a rivoluzionare l’economia, la tecnologia etc. Marx riprende l’immagine dell’apprendista stregone di un’opera di Goethe: l’apprendista stregone, si impossessa dei primi rudimenti di magia e approfittando del fatto che il maestro dorme, vuole metterle in atto, solo che non è bravo quindi evoca delle forze che non riesce a controllare e si scatena il putiferio. L’apprendista stregone è colui che evoca delle forze che, però, per la sua inadeguatezza, non riesce a controllarle. Dice Marx, la borghesia assomiglia all’apprendista stregone nella misura in cui ha evocato delle forze (il proletariato) che non riesce più a controllare. Di conseguenza, si arriva al secondo punto il concetto come lotta di classe. Queste forze che costituiscono una classe in sé, pian piano devono acquistare una sempre maggiore coscienza di classe arrivando alla classe per se, organizzandosi in un partito comunista e facendo guerra alla classe in discesa: ecco come Marx arriva al concetto di storia come lotta di classe. Marx ha una visione dualistica della realtà, costituita quindi dalla lotta di classe. Le due classi sono mutatis mutandis, si trasformano nel corso della storia: si passa dagli schiavi ai patrizi, dai servi della gleba ai signori, ora si passa alla borghesia e al proletariato, che sono fatalmente portate a scontrarsi. In genere, le forze produttive finiscono per avere la meglio sui vecchi sistemi di produzione (=classe al tramonto). Ne deriva uno scontro tra le classe che, secondo Marx, porta al comunismo. La critica ai socialismi pre-scientifici. C’è ora la critica ai falsi socialismi, che Marx chiama anche “socialismo borghese”, può sembrare un ossimoro, questa espressione nel contesto Marxiano non lo è però, perché Marx parla di questi socialismi sentimentali come falsi o borghesi. Ce ne sono diversi tipi: 1. La prima forma di socialismo borghese è il socialismo feudale, che consiste, dice Marx, nel voler far girare indietro le lancette della storia, cioè nel sostituire una forma di alienazione, ovvero quella presente nella società borghese-capitalistica, con una forma di alienazione antica. Il socialismo feudale o reazionario, è quello di coloro che dicono “la fabbrica ci ha rovinato, sarebbe bello ritornare indietro quando non c’erano le macchine, prima eravamo tutti affratellati etc (ovviamente è una visione distorta del passato),cioè sostituire la forma di alienazione moderna con una forma di alienazione passata. Di questo socialismo feudale, fa parte quello che Marx chiama socialismo pretesco, cioè quello dei preti che dicono “noi siamo diversi nella società attuali, ma saremo uguali nel regno dei cieli”. 2. La seconda forma di socialismo è il socialismo borghese che vorrebbe il capitalismo senza i guasti del capitalismo, vuole riformare il capitalismo, che per Marx va semplicemente estinto, in quanto radice di tutti i mali, e non si può riformare, afferma che questo socialismo non è altro che una deviazione in senso adialettico, cioè non tiene conto della dialettica. 3. La terza forma ed quella del socialismo riformista, che comprende tutti quei socialisti utopistici, che intendevano riformare la società. Owenn aveva istituito una fabbrica modello, dove c’erano gli asili per i figli degli operari, orari più bassi etc. Owenn voleva instituire delle riforme con le quali fossero d’accordo anche i borghesi. Il socialismo riformista fu però rigettato dai Marxisti ortodossi. È un socialismo moralistico-utopistico, non è scientifico. La base scientifica viene gettata nel capitale Il capitale Il capitale rappresenta l’opera somma di Marx, fu scritta durante il periodo inglese, dove lavorerà al british museum. Il primo libro del capitale viene pubblicato nel 1867, che non vide nessun successo (il capitale fu affidato, dice Marx, alla critica roditrice dei topi). Dopo la morte di Marx verranno pubblicato il secondo e il terzo libro sotto la cura di Engels, il quarto da katusky. Il capitale, das kapital, è l’opera somma di Hegel, consta di quattro libri e non è solo un libro di economia politica, ma Marx intende utilizzare il metodo che egli stesso chiama, sulle scie di Hegel, “metodo della totalità organica”: il capitalismo, come tutti i modi di produzione, è costituito da forze produttive, rapporti di produzione che rappresentano la struttura, e poi una sovrastruttura di tipo giuridico, politico, culturale. Marx intende esaminare il capitalismo da tutti i punti di vista, secondo il metodo della totalità organica. Il capitalismo non è solo un modo di produzione, ma -proprio come metodo di produzione- crea una weltanshaaug, cioè la società capitalistica. Quando noi parliamo di capitalismo, anche se le cose sono compenetrate, dobbiamo distinguere il modo di produzione (costituito a sua volta da forze produttive e forze di produzione) dalla società capitalistica. Il cinquecento è il secolo dell’inflazione, segna l’origine del capitalismo. Il capitalismo è produzione generalizzata di merci finalizzata alla riproduzione, all’aumento e all’accumulo del capitale. Analizziamo frase per frase il significato di questa opera: Il capitalismo è un modo di produzione basato su una produzione generalizzata di merci>il capitalismo non è un modo di produzione come quelli del passato, dove si producevano le merci basiche per i fabbisogni; con il capitalismo si producono merci a non finire, la merce ha una funzione principale, infatti il primo libro del capitale si focalizza sulla merce e sull’analisi del valore della merce. Il termine merce deriva dal verbo mereo, ovvero avere valore/guadagnare (prostitute=meretrici); la merce ha un determinato valore. Marx studia il valore delle merci come punto di partenza. Ogni merce, nel sistema capitalistico, ha due tipi di valore: un valore d’uso e un valore di scambio. Il valore di uso è dettato o dallo stomaco, o dalla fantasia (esempio: giovanna vende gli appunti di filosofia pcche e fa tropp bell sincer, allora deve comprare prima la penna che costa 1 euro oppure 10euro. Ho bisogno della penna pk devo scrivere. Se compro la penna da un euro, lo faccio perché c’è un uso dettato dallo stomaco, se prendo quella da 10euro è pk ha un valore dettato dalla fantasia). Il valore di scambio è diverso: l’economia capitalistica è un’economia di scambio, la merce ha un valore di scambio che si traduce in prezzo. Marx, nel primo del capitale, si chiede su cosa si basa il valore di scambio di una merce. Alcuni ritengono che la merce abbia un proprio valore intrinseco, Marx chiama questo fenomeno “feticismo delle merci”. Feticismo deriva da fetus, che deriva da facere e quindi facticiuum, cioè una specie di fantoccio (es le popolazioni primitive, invece di adorare le divinità in se e per se, adorano delle vestigie della divinità, quindi un totem etc. può essere anche una forma di devianza sessuale). Il feticismo delle merci consiste nel fatto che alcuni ritengono che le merci abbiano un valore in se stesso, invece il valore di una merce viene dato dalla quantità di lavoro socialmente utile a produrre una determinata merce (tesi scoperta da David Ricardo). Il feticismo (termine che deriva da fetus, il quale deriva da facere e quindi veniva da facticium cioè una specie di fantoccio) è: - quel principio religioso per il quale le popolazioni primitive invece di adorare la divinità in sé e per sé, adorano delle vestigia della divinità, quindi adorano un manufatto, un totem (per es. gli indiani) - ma è anche una forma di devianza sessuale per la quale, siccome non sono capace di avere un rapporto diretto con una persona dell’altro sesso, mi limito a trovare piacere dalla contemplazione e dalla manipolazione di un feticcio, ad es. un reggiseno, una mutandina. MARX parla di FETICISMO DELLE MERCI consistente nel fatto che si ritiene, da parte di parecchie persone, che le merci è come se avessero un valore in sé stesso. Mentre invece, il valore di una merce da cosa è dato? Marx sostiene (lo aveva scoperto già DAVID RICARDO - economista classico britannico) che il VALORE delle merci è dato dalla quantità di lavoro socialmente utile a produrre una determinata merce. Perché Marx usa la formula “quantità di lavoro socialmente utile”? Perché con il variare del tempo con il processo tecnologico aumenta la produttività (=la produzione fratto il tempo). SCIENTIFICITA’ di Marx: non dice la quantità di lavoro (generica) ma la quantità di lavoro SOCIALMENTE UTILE cioè legata al processo tecnologico e quindi ai processi di aumento della produttività. VALORE: concrezione, cristallizzazione del lavoro. Il VALORE è un’entità ASTRATTA, una struttura senza soggetto, il valore è indefinibile, è quasi un’entità metafisica. Se io dico ad es. che Marcella è una ragazza di valore, non dico nulla ma se dico è una ragazza di valore perché ha avuto 9 al compito di storia ecc. ecc., in questo caso, il voto è la quantificazione del lavoro. Così come il PREZZO è la quantificazione del valore (infatti quando andiamo a comprare qualcosa, non chiediamo quanto vale ma qual è il prezzo) perché il prezzo è la monetizzazione, la traduzione in termini monetari di un qualcosa che è impalpabile, che è quasi metafisico è cioè quel valore). Sul prezzo, sull’andamento dei prezzi influisce anche un altro elemento: la abbondanza o scarsità di una merce. Il MODO DI PRODUZIONE CAPITALISTICA è un ciclo di produzione generalizzata di merce che tende alla riproduzione, all’aumento e all’accumulazione di capitale; quindi, si tratta di una forma di economia non di sussistenza, ma di una forma di ECONOMIA DI SCAMBIO. Il Capitalismo non segue il ciclo M-D-M ma segue il ciclo tipico dell’economia pre-capitalistica, di alto consumo, il ciclo D-M-D’ (con 1 apicale che rappresenta il profitto, l’aumento del denaro.) Nel modo di produzione capitalistico c’è un soggetto che noi chiamiamo imprenditore, il quale già detiene un capitale di partenza, infatti, Marx si dilunga moltissimo nel primo libro de “Il capitale” a ricostruire il processo di accumulazione originaria: Come nasce questa D iniziale? Da cosa nasce? Ecco perché Marx dice che il capitalismo è nato soprattutto in Inghilterra: perché attraverso le enclosures (chiusura delle terre comuni prodotta da Enrico VIII e poi da Elisabetta I), si è creata quella forma di accumulazione originaria del capitalismo che ha fatto si che ci fossero dei soggetti, la borghesia di epoca di Enrico VIII, Elisabetta I, che si dedicasse all’impresa. Lasciando stare il problema dell’accumulazione originaria del capitale, abbiamo un soggetto che compra della merce, ha del capitale (o perché lo ha da per sé o perché se lo fa prestare dalle banche) e lo impegna nell’acquisto di merci grezze con la finalità di far lavorare quelle merci e di produrre più denaro, un plus di denaro. È partito dal valore D e arriva ad un altro valore D’ (D con uno), dove l’apicale segna proprio l’aumento di questo valore. VALORE (D) e PLUSVALORE (D’) Marx si chiede qual è il mistero di questa operazione, come è possibile che ci sia una persona che compra della merce a 100, e alla fine del processo ne ricava 150? Il mistero del PLUSVALORE sta in un meccanismo perverso creato proprio dalla società capitalistica: se io compro la tela, il cotone ecc. (materia prima grezza) per fabbricare dei cappelli, poi assumo ad es. 12 persone e le faccio lavorare, attraverso le mie macchine, in modo tale che producano un cappello che trasformino della materia grezza in un oggetto utile, necessario, anche esteticamente apprezzato. I lavoratori in cambio hanno un salario. Se io pagassi una quantità di denaro del valore 10, i lavoratori producono un valore 10, io non ci guadagno niente! Di conseguenza, necessariamente, per guadagnarci devo sottopagare i lavoratori. Marx fa un esempio: a 10 ore di lavoro, li pago 6 ore. I lavoratori cosa fanno in queste 4 ore che non li pago? Producono altro valore GRATIS! Questa è la logica dello sfruttamento! Lo sfruttamento è proprio organico al modo di produzione capitalistica. Se io pagassi in corresponsione del valore prodotto, non guadagnerei niente. Il ciclo sarebbe T-L-D, sarebbe un ciclo inutile. Invece se producono 10 io devo pagare 6. Pagando 6, i lavoratori mi regalano 4 ore del loro lavoro, del loro tempo. Questa è l’ORIGINE DEL PLUSVALORE: è costituito dal PLUS LAVORO cioè da quella quota di lavoro in più che non viene retribuito e che il lavoratore REGALA al capitalista. Una cosa è il PLUSVALORE è un’altra è il SAGGIO o TASSO del PLUSVALORE (=misura di qualcosa che viene espresso aritmeticamente in termini percentualistici). Per avere l’esatta misura del PLUSVALORE: è vero che pago 6 e che il lavoratore mi regala 4 però devo anche considerare i 6 che vi pago e allora per avere il saggio del plusvalore farò 4 (plusvalore) fratto 6 (salario) per 100 = 2 terzi, poi se fai 200 diviso 3 ti viene = 66,6 periodico che per 100 è l’esatta, la scientifica misura percentuale del saggio del plusvalore. Tutto questo tiene in considerazione la distinzione che Marx opera tra: CAPITALE VARIABILE= il salario (che infatti può essere aumentato, diminuito) CAPITALE COSTANTE= tutta quella serie di macchinari, l’energia elettrica, la luce che serve per produrre. Tutto ciò che viene ammortizzato come fabbrica come inerente al processo di produzione. Il capitalista per far funzionare la fabbrica ha bisogno degli operai che egli sfrutta, ma ha bisogno anche delle macchine che per funzionare hanno bisogno dell’energia elettrica, della luce: sono tutti costi vivi che Marx riassume nella formula di capitale costante. Se io voglio ottenere il SAGGIO DEL PROFITTO (che è cosa diversa dal saggio del plusvalore), quindi se voglio sapere quanto effettivamente guadagno alla fine del mese con la mia fabbrica di cappelli, ad es., devo tener conto anche del capitale costante. Allora invece di fare plusvalore 4 diviso salario 6 cioè capitale variabile, io devo aggiungere ad es. 1: capitale costante. Quindi avrò una frazione che sarà minore rispetto a quella del plusvalore: avrò una frazione che non sarà più 4/6 (quattro sesti) ma sarà 4/7 (quattro settimi). Quattro settimi, in termini percentualistici (4 diviso 7 per 100), viene 57,14 che è inferiore a 66,6. Questo vuol dire che il vero e proprio guadagno è quello del saggio del profitto che tiene conto anche dell’impegno del capitale costante. Con queste nozioni possiamo capire il II e III libro de Il Capitale: abbiamo già detto che Il modo di produzione capitalistica è produzione generalizzata di merci il cui fine è la riproduzione, all’aumento e all’accumulo di capitale che deve essere investito in un processo all’infinito perché il modo di produzione capitalistica non conosce limiti. (Vedi Berlusconi che pur essendo ricco sfondato, ora che sta in clinica, ancora telefona a quelli di Forza Italia, convoca quelli delle sue aziende ecc. – coazione a ripetere -come la chiamava Freud-, è un fatto automatico, nonostante abbia TUTTO!) La mentalità capitalistica è così: mentalità malata (Horkheimer e Adorno - autori della scuola di Francoforte - nella “Dialettica dell’Illuminismo” hanno analizzato la mentalità capitalistica hanno identificato il capitalista con Ulisse sulla nave che fa le gare per non sentire la voce delle sirene per non cadere nella loro trappola ma che comunque vuole sentirle!). Ossessività del dinamismo borghese che diventa iperdinamico e che sta sempre sul pezzo. Dato che il modo di produzione capitalistica e produzione generalizzata di merci, tendente non solo alla riproduzione ma anche all’aumento e all’accumulazione di capitale, è chiaro che il capitalista cercherà tutti i modi possibili e immaginabili per aumentare il plusvalore e quindi per aumentare il profitto. In un primo momento, il capitalista aumenterà la giornata di lavoro: invece di far lavorare 10 ore che già sono tante: pratica quello che Marx chiama il: PLUSVALORE ASSOLUTO (=chiamato così perché basato semplicemente sulla disumana dilatazione della giornata di lavoro.). L’operaio, però, dopo un certo numero di ore, (come per gli studenti dopo ore la curva dell’attenzione comincia a calare) l’attività dell’operaio diventa improduttiva perché l’operaio è stanco. Allora il capitalista deve cercare altri modi per ottenere lo stesso risultato cioè l’aumento del plusvalore (cioè delle ore non pagate, regalate dall’operaio) però con altri mezzi. Si passa da quella che era la cooperazione semplice (=cooperazione familiare: per es. dobbiamo fare le bomboniere, come si fa in tanti bassi napoletani per sbarcare il lunario, ci si mette a confezionare le bomboniere) Questa è una forma grezza di cooperazione. Molto più avanzata è la manifattura che è una forma di cooperazione, però più complessa e organicamente strutturata e organizzata all’interno di una fabbrica rudimentale. Il terzo ed ultimo step, quello dei tempi di Marx, è rappresentato dalla fabbrica. Il PLUSVALORE RELATIVO è ancora più subdolo, è molto più articolato perché è basato sulla macchina e quindi sulla grande industria, sulla grande fabbrica. Scientificamente la MACCHINA cosa permette di fare? Mentre prima dell’introduzione della macchina, per aumentare la produttività (quel 6 che io gli do, l’operaio lo guadagna, invece che in 6 ore, in 4; io riduco la parte che serve ad integrare il salario cioè ti pago sempre la stessa cifra però l’operaio quella cifra, quel salario lo guadagna già in 4 ore. L’operaio, invece di regalarmi 4 ore di pluslavoro me ne dà 7, produce anche di più. Però, la macchina, dice Marx, crea tutta una serie di scompensi: 1. la possibilità di assumere anche le donne e i bambini (lavoro minorile, l’Inghilterra ai tempi di Marx, Inghilterra dei tempi di “Hard Times” di Dickens). Quindi si crea una CONFLITTUALITA’ OPERAIA perché le donne e i bambini sono dei lavoratori molto più docili degli uomini, si stanno alle condizioni imposte dal capitalismo. 2. la macchina aumenta la produzione per cui si crea anche il lavoro notturno (in tante fabbriche ancora oggi si lavora anche di notte, anche perché tante volte spegnere i macchinari costa di più). La macchina, con l’accelerazione dei processi produttivi, porta anche a maggiore stress che ancora oggi chiamiamo l’alienazione. “Tempi moderni” di C. Chaplin. L’operaio diventa il SERVO della macchina. Ecco perché, dice Marx, nei primi tempi, quando il movimento operaio è ancora classe in sé e non è ancora diventato classe per sé, si stabilisce tra l’operaio e la macchina un rapporto di conflittualità che porta a quel fenomeno che si chiama il LUDDISMO. Gli operai non riescono a concepire, a comprendere ancora la differenza tra l’uso della macchina e l’uso capitalistico della macchina. 3. La macchina genera quel fenomeno che è tipico del modo di produzione capitalistica che sono LE CRISI DI SOVRAPPRODUZIONE (ad es. crisi del 29 che è una gigantesca crisi di sovrapproduzione): succede che si produce talmente tanta merce che addirittura si genera la STAGNAZIONE cioè qualcosa che prima del capitalismo era qualcosa di assolutamente inaudito. Mentre le crisi precedenti erano crisi di sottoproduzione (la società entrava in crisi perché c’era poca merce), adesso invece con il Capitalismo si finisce per avere un eccesso di produzione che genera la 1) DISOCCUPAZIONE e addirittura genera 2) la DISTRUZIONE CAPITALISTICA DEI BENI: per mantenere alto il prezzo, quindi per assicurare il guadagno, si distruggono quei beni, soprattutto alimentari, che servirebbero per il fabbisogno delle classi più povere. Se ad. Es., l’estate prossima ci sarà una sovrapproduzione di pesche, per la legge della domanda/offerta, laddove c’è abbondanza di pesche, il prezzo scende; per cui se io voglio mantenere alto il prezzo e quindi per assicurare un guadagno cospicuo, distruggo le pesche in modo che l’abbondanza si impoverisca. Fenomeno assolutamente odioso e antisociale! La crisi di sovrapproduzione genera disoccupazione, distruzione capitalistica dei beni e genera 3) l’IMPERIALISMO (come fase suprema del capitalismo) che è il fenomeno del decremento del profitto cioè si genera la famosa legge della caduta tendenziale del saggio del profitto. Abbiamo detto che il saggio del profitto è dato al numeratore dal plusvalore e al denominatore dal capitale variabile più il capitale costante. Proprio perché il capitalismo è logica del profitto privato, incrementa sempre più la produzione cioè aumenta sempre di più il capitale COSTANTE. Che se ne fa di questo denaro il capitalista? Lo investe sia comprando merce ma comprando anche macchinari. Piano piano così fa aumentare il capitale costante. Se prima era 477, AUMENTANDO IL CAPITALE COSTANTE, invece di essere 6+1=7, diventa 6+2, diventa 6+3 e così via. Cioè il quoto di questa frazione diminuisce sempre di più. Ecco perché questa legge si chiama LEGGE DELLA CADUTA TENDENZIALE (è un tendere naturale) DEL SAGGIO DEL PROFITTO. Venire incontro a questa legge, per Marx, è il vero è proprio tallone di Achille del capitalismo, è quello che porta a un’esplosione di quella che è la contraddizione del capitalismo e quindi alla rivoluzione proletaria ecc. ecc. Per venire incontro a tutto questo, che cosa fanno i capitalisti? Cercano di trovare delle merci a bassissimo costo, preferibilmente a costo zero, e cercano di abbassare il capitale variabile cioè di abbassare i salari. Tutto questo si fa con l’IMPERIALISMO CHE PORTA INEVITABILMENTE ALLA GUERRA! (Schumpeter sosteneva, invece, che l’imperialismo sia una forma di atavismo: l’imperialismo è un residuo dell’aggressività delle antiche monarchie assolute) Per Marx, invece, scientificamente, più si svilupperà il capitalismo, più si ha l’imperialismo – che porta diritto alla guerra. Ciò porta alla dicotomizzazione della società in due classi estremisticamente contrapposte: - Oligopolio di capitalisti (gruppo sempre più ristretto), pescecani dell’industria - Massa sempre più ampia di sfruttati i quali però, pian piano, passeranno a prendere consapevolezza sempre maggiore della propria importanza e quindi, dice Marx, l’involucro capitalistico della società si spezzerà e gli sfruttati faranno la rivoluzione. (Queste sono spiegazioni scientifiche, aritmetiche. Quello che invece i socialisti utopisti vagheggiano a livello moralistico, a livello sentimentalistico – “La piccola fiammiferaia” spaventata dal buon signore; le riforme ecc. ecc. – Invece chi è marxista vero e proprio non può avere a che fare con i borghesi perché sono dei socialfascisti). O3 /04 /2023 Completiamo quello che abbiamo detto a proposito di Marx. Da Paul Richoeor (1913-2005 ) sono stati definiti Marx, Freud e Nietzsche "I tre maestri del sospetto" tutti e tre hanno sospettato che la vita( valga soprattutto per Nietzsche), come la vediamo nasconda un fondo ancora non scrutato, Marx ha scrutato il fondo della storia è sul fondo della storia è della vita umana ci sono i rapporti economici ( fondo i perscrutato, ha cercato di attingere all’ ALETEIA ), per Freud la fusione sessuale è alla base delle nostre esistenze. Sospettano la superficie per attingere al fondo. Nietzsche la tematizza proprio questa sospettività, "quanta verità può osare un uomo?", quanta verità può sospettare l’uomo, tutta la filosofia di Nietzsche c'è uno sforzo iconoclastico di spezzare le immagini che danno ordine alla nostra vita andando a vedere nel profondo cosa nascondino. Poi si pone il problema di "quanta verità può sopportare un uomo?". Lui non li poté sopportare in quanto spese gli ultimi 11 anni della sua vita in una quiete follia. Abbiamo terminato il capitale di Marx, ora il capitale comporta questa divisione della società in due grandi masse, da una parte la massa degli sfruttati, dall'altra un manipolo sempre più stretto di sfruttatori, quindi scoppia la rivoluzione, questo é il punto debole della dottrina di Marx; Marx prevede la presa del potere da parte del proletariato, ha una missione storica di abolire i domini di classi ( già sottolineata nel manifesto), e non sostituire a un dominio di classe un altro dominio di classe, infatti in tutte le 5 fasi precedenti partendo dalla URGEMAISHAFT, questa società originaria , passando per la società antica, asiatica poi quella feudale fino ad arrivare a quella borghese capitalistica tutte queste fasi sono determinate da forme diverse di dominio di classe, nelle varie fasi evolutive a un determinato gruppo di sfruttatori se n’è posto un altro, stessa cosa per i sfruttati. Tutte le varie tappe sono caratterizzate da un alternarsi di domini di classe. La società del futuro deve arrivare ad una società non più classista, sostituire all'homo economicus un homo novus. Quest'ultimo con la realtà non intratterrà più un rapporto di proprietà, (male assoluto =proprietà privata) questo determinerà il sorgere di un uomo nuovo che ha un rapporto poliedrico con la realtà. COME SI ARRIVA A QUESTO? È la seconda questione fondamentale di Marx post capitale, come si arriva a questa società senza classe che a suo fondo comporta addirittura u regime completamente anarchico. L'epilogo del marxismo è rappresentato da quello che Marx chiama aufhebung des staats (superamento dello stato), i questa futura società comunista non solo sarà abolita la proprietà privata lo sfruttamento e cosi via ma sarà abolito addirittura lo stato, (ne parla soprattutto ella critica del programma di Gotha) che porta all'anarchia, l'annichilimento dello stato. Qual è la differenza con gli anarchici? La differenza è sostanziale, mentre per gli anarchici la rivoluzione porta immediatamente all’anarchia, per Marx ci sono varie fasi della futura fase comunista. Il metodo per arrivare a questo è la rivoluzione necessariamente violenta, come dirà Mao Tze Thung (leader cinese) dirà che “la rivoluzione non è un pranzo di gala”, la rivoluzione veste necessariamente vesti violente, dice che il potere sta sulla canna fucile. Marx riteneva che questo fosse un discorso sul quale si può generalizzare poiché ogni paese ha le sue caratteristiche e la sua storia, quindi dice Marx che in qualche modo ha previsto anche quella rivoluzione contro il capitale che è stata la rivoluzione sovietica, Marx non so sarebbe mai aspettato che la rivoluzione avvenisse nell’arretrata Russia, Marx si aspettava che la rivoluzione avvenisse in Inghilterra, culla dell’industrializzazione. Marx prevedeva la possibilità della conquista del potere in forme non violente (elezioni a suffragio universale), pare che in privato era pessimista sulla via pacifica. Quali sono le fasi della figura della società comunista? La fase intermedia è quella della dittatura del proletariato è necessaria per Marx, mentre per gli anarchici l’estinzione dello stato avviene immediatamente, per Marx è una prospettiva a- scientifica perché dopo la rivoluzione ci sarà necessariamente della durata varia ci sarà un periodo contro rivoluzionario dove le classi scalzate dal potere cercheranno di riappropriarsi del potere ( della Russia bolscevica) ecco che si rende necessario di una fase più o meo lunga di una fase della dittatura del proletariato ( motivo di contrasto fra bolscevichi e menscevichi , Lenin diceva proprio “può credersi marxista chi crede nella dittatura del proletariato ) questa fase intermedia si trova in tutti i testi di Marx soprattutto quelli che trattavano la comune rivoluzionaria del 1871, non solo nelle pagine della critica del programma di Gotha ma in tutta la letteratura di Marx. La dittatura del proletariato, mentre le dittature di classe del passato non facevano altro che esercitare la dittatura di una minoranza su una maggioranza, (i signori sugli schiavi, i cavalieri sui servi della gleba) , la dittatura del proletariato è una dittatura TEMPORANEA per altro esercitata da una maggioranza su una minoranza impenitente che non si vuole arrendere. Quale sarà la forma dell’ordine nuovo? In Marx on c’è nessuna forma concreta della futura società comunista, i critici di Marx hanno sostenuto che Marx ha posto un vuoto teorico, fatta la rivoluzione “che fare?”, Marx avrebbe lasciato i propri sostenitori i questo vuoto teorico. I sostenitori di Marx dicono che Marx era troppo scientifico per elaborare delle ricette per l’osteria del futuro. Proprio per la sua estrema scientificità non ha prescritto delle formule, noi abbiamo degli abbozzi, nella critica del programma di Gotha parla brevemente di alcune fasi della costruzione della società comunista 1. PRIMA FASE: comunismo rozzo = la chiama così perché non viene abolita la proprietà privata ma viene attribuita allo stato, quindi viene socializzata (come è avvenuto in Russia dopo le tesi di aprile di Lenin). 2. SECONDA FASE: comunismo vero e proprio quindi abolizione della proprietà privata, consiste nella formula aurea “DA CIASCUNO SECONDO LE PROPRIE CAPACITA’ A CIASCUNO SECONDO I PROPRI BBISOGNI/ SECONDO LE PROPRIE NECESSITA’” in altri termini una società dove l’uomo, smettendo di intrattenere un rapporto proprietario, si apra agli altri e dia a ciascuno secondo i propri bisogni e pretenda da ciascuno secondo le proprie capacità. Don Lorenzo Virani ha scritto "non c'è provvedimento più iniquo di fare parti uguali fra disuguali", si ritiene di fare uguaglianza tra disuguali, piuttosto che ispirarmi solo al principio di uguaglianza, mi ispiro al principio di equità. Un'immagine per capire: tre ragazzi guardano la partita, uno è molto alto, uno medio, uno piccolo, l'uguaglianza consiste in dare tre sgabelli uguali e darli a tutti e tre, quando invece bisogna fare tre pedane diverse per distribuire in maniera non uguale, ma equa. Io mi devo ispirare non al principio di uguaglianza, ma a quello di equità. FRIEDRICH NIETZSCHE È uno di quei pensatori in cui vita e dottrina (tipo Bruno) si compenetrano, testimoniano con la loro stessa esistenza la concretezza del loro pensiero Nasce a Rotcken il 15 ottobre del 1844, un piccolo villaggio a pochi chilometri a Lutzen (quella della battaglia del 1632) si trova nei pressi di Lipsia. Il padre era un pastore protestante, la madre proveniva da una famiglia di pastori, il padre morì quando Nietzsche aveva 12 anni, la sorella avrà un’importanza decisiva nella vita del filosofo. Già verso i 12 anni fece delle sue composizioni musicali, entra in questa scuola di Pforta, molto rigida ed estremamente formativa. Prima si iscrisse alla facoltà di teologia dell'università di Bon, gli interessi di Nietzsche sono filologicofilosofici si spostò all'università di Lipsia, siamo verso il 1868-69, qui compie numerose esperienze fondamentali e decisive per la sua formazione, conosce il maestro Frederich Ritschl, uno dei più grandi filologi classici del periodo, epoca di grade fervore di studi filologici (la Germania è la culla di filologia classica latina e greca) , intendeva la filologia in una maniera particolare, all'epoca vigeva un pregiudizio di carattere neoclassicista, i filologi come Vilanoviz Mullendorf, la intendeva in maniera schematica e scientifica, serve solo a determinare la natura del testo, bisogna stare alla lettera del testo, non interessa ciò che il testo comunica, invece ha importanza la forma, la lettera dello scritto che si sta esaminando, così è una disciplina arida. Rietchel ed Erwin Rohde, intendono la filologia in una maniera diversa, compenetrata con la filosofia, come una specie di ancilla philosophiae, la filologia deve accertare il vero dei testi per servirlo su un piatto d'argento alla filosofia. Nietzsche si forma nella scuola di Ritschl, conosce Rohde, è un grecista così bravo che nel settembre del 1869 ( a meno di 25 anni) è chiamato alla cattedra di filologia greca alla università di Basilea (svizzera). Negli anni ’60 oltre che a formarsi legge il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer (viene segnato da questo testo), e poi per la priva volta va in un casino, dove secondo alcuni avrebbe "consumato" e secondo altri non aveva "consumato", secondo altri avrebbe contratto la sifilide che lo aveva portato alla follia. Con questo bagaglio di esperienze approda a Basilea avrà come collega e ne seguirà le lezioni di Jacopo Burkard (insegava storia comparata. Nietzsche scrive dei testi tra il 69-79, scrive "la nascita della tragedia dallo spirito della musica ovvero: grecità e pessimismo", titolo completo dell’opera citata come “nascita della tragedia”, con quest’opera va contro corrente sostituisce ad una visione neoclassica della grecità, un’immagine completamente opposta. Nel 1873 scrive un’opera che rimase inedita per molto tempo “la filosofia nell’età tragica dei greci “è una storia della filosofia greca letta attraverso il filtro schopenhaueriano. Tra il 73-75 progetta un'opera che doveva constare 20-21 “considerazioni inattuali”. Si sentiva inattuale nella sua epoca in quanto aveva scorto le dimensioni del futuro. "A giordano bruno, il secolo (da parte del secolo) da lui previso”. Nietzsche si spegne nel 1900 ma già con la sua opera aveva previsto tanti aspetti di quella che è ancora oggi la nostra epoca, considerazioni che mi rendo conto che saranno attuali nel secolo successivo. Delle 20 considerazioni che aveva previsto, ne scrisse solo 4, la più importante è la seconda. La seconda inattuale si chiama "sull'utilità e il danno della storia per la vita", è lo scritto su cui si basa la filosofia della storia di Nietzsche. In questo periodo conosce e frequenta il compositore tedesco Richard Wagner (si trovava sul lago dei quattro cantoni) uno dei massimi compositori dell’800. FILOSOFIA 10/05/2023 Noi ci eravamo fermati alla fase “schopenhaueriana e wagneriana “, la produzione filosofica di Nietzsche è divisa in tre /quattro fasi. Noi siamo nella prima fase 1869- 79,Nietzsche all’età di 25 anni assume questa prestigiosa cattedra di filosofia classica all’università di Basilea, è collega di Burkard. Le cose più importanti sono - 1872= la nascita della tragedia, dallo spirito della musica ovvero grecità e pessimismo Nel 1873 scrive le 4 considerazioni inattuali, questo titolo deriva dal fatto che Nietzsche già si considerava inattuale, una scheggia nel futuro proiettata nella sua epoca, è importante la seconda inattuale. Nietzsche scrive anche la filosofia dell’età tragica dei greci e poi conclude questo periodo con “umano, troppo umano”. I titoli sono molto significati, quest’opera nasce tra il 1878 e il 1880. In questi anni di Basilea Nietzsche ha due esperienze fondamentali: conosce Burkard e conosce Richard Wagner. Wagner era un grande musicista dell’epoca che vive questi anni tra il 1872 e il 1873 vive sul lago di Lucerna dove viene conosciuto i da Nietzsche che lo trasforma in un vero e proprio titolo. Nietzsche parte da un presupposto diverso da quello di Winckelmann “nobile semplicità e quieta grandezza”, la grecità per Hegel e Winckelmann non ha nulla a che vergere con il pessimismo a differenza di Nietzsche. Nietzsche vede in Wagner la rinascita della tragedia greca, le sue opere hanno una caratteristica fondamentale, innanzitutto è l’unico a scrivere anche il libretto (altri grandi compositori avevano dei librettisti) persegue l’ideale di un’opera d’arte totale in cui la musica, il testo fanno tutt’uno, Wagner si ispira soprattutto a Schopenhauer. Poi si distaccherà da Wagner perché nelle ultime opere di Wagner soprattutto nel Parsifal, Wagner accarezzerà uno spirito cristiano, Nietzsche era fortemente anti cristiano (cristianesimo male dell’umanità) , diventerà un nemico mortale di Wagner e scriverà un testo “ Nietzsche contra Wagner”. Wagner nel frattempo aveva fondato un teatro “teatro wagneriano “con Ludwig II di Baviera (che amava molto la musica di Wagner) dove si rappresentavano (e si rappresentano tutt’ora) solo opere di Wagner. Uno dei più fedeli amanti delle opere di Wagner era lo stesso Adolf Hitler. Nietzsche comincia a declinare verso la metà degli anni 70 e le sue lezioni diventano sempre più rade, probabilmente per la sua sifilide. Di conseguenza sospende nel 1977 sospende le sue lezioni in università e nel 79 abbandona completamente la cattedra universitaria, sua attività università dura dal 69 al 79. Nietzsche godrà do una piccola pensione offrirà dall’università di Basilea che gli assicura una vita dignitosa. Dal 79 al 3 gennaio del 1889 diventerà un globe trotter alla ricerca di una salute che non riuscirà mai a riconquistare (venne anche a Napoli e a Sorrento). Questo periodo può essere diviso in due parti: 1879-1880 pubblica “umano, troppo umano” Nietzsche si affranca da Schopenhauer e Wagner perché vede in entrambi in uno spirito di rinuncia e di abbandono, nel cristianesimo senile di Wagner e nello spirito di rinuncia di Schopenhauer vede un segno di tradimento. Nuova fase della sua vita che va dal 79-80 fino ad arrivare a quello che è il suo capolavoro “ cosi parlò Zarathustra “ che venne pubblicato tra il 1883 e il 1885 ed è detta fase del mattino e pubblica anche “ aurora” ( 1881) , scrive anche “ la gaia scienza” ( 1882) al culmine di questo lavoro febbrile, cambiando pensioni su pensioni Nietzsche comincia a scrivere nel 1883 le quattro parti di cui è composto “ cosi parlò Zaratustra ”, nel 1882 si conclude la parabola sentimentale con una donna importate nella sua epoca Lou Andrea Salomé era un ebrea russo che si era trasferita in Europa occidentale ed è era stata una musa dii vari intellettuali occidentali. (Anche Freud) era una donna estremamente seducente, anche intellettualmente. Nietzsche le chiede la mano, ma lei sposò un famoso orientologo, che la costrinse a sposarlo (la minacciò di suicidarsi con un coltello) con un patto che non avrebbero mai consumato il matrimonio. Nel 1882 intraprende questo rapporto intellettuale con Nietzsche ma la sorella cerca di ostacolare questo rapporto, c’era un legame morboso tra Nietzsche e la sorella Elizabeth era una razzista e sposò Forster. Nel 1882 si conclude anche questa parabola e Nietzsche completò il suo capolavoro e secondo alcuni biografi dicono che Nietzsche in quest’opera Nietzsche avrebbe detto tutto, altri studiosi dicono che c’è un’altra fase dal1885 al 1889, è una fase molto febbrile dal punto di vista intellettuale ed è egemonizzata dalla follia incipiente, in questa fase Nietzsche pubblica capolavori come “ genealogia della morale” “ crepuscolo degli idoli” fino a pubblicare i famosi biglietti della pazzia, scrive telegrammi a vari personaggi della nostra epoca Umberto I , Cosima Wagner ( Diotima , sacerdotessa di Apollo nel simposio) fino a quando il 3 gennaio del 1889 ( Nietzsche si era trasferito a Torino) , Nietzsche scese sulla pubblica aizza dove c’erano dei vetturini, uno di questi vetturini nel tentativo di smuovere il avallo lo cominciò a frustare, Nietzsche sconvolto tolse la frusta al vetturino e abbracciò le zampe del cavallo, nel frattempo Burkard ottenne uno dei biglietti della follia e capì le condizioni dell’amico, inviò un comune amico ritornò a Basilea, fu affidato prima alla madre fino al 1997 e poi alla morte di questa lo prese in affidamento a Weimar dove fondò un Waimar’s Archif per curare la redazione delle carte del fratello, prima del 3 gennaio del 89 aveva fritto una serie di frammenti immensa che dovevano costituire la summa del suo pensiero , quest’opera doveva intitolarsi DER WILLE SUR MACHT “la volontà di potenza” , tutti questi frammenti disiecta membra furono curati da Elizabeth Forster Nietzsche e si prese carico di tutte queste opere e le sistemò manipolandole, cioè manipolando il contenuto letterario di queste opere, rendendo il fratello un antesignano del nazismo. Nietzsche muore il 25 agosto del 1900. Data la manipolazione di questi frammenti, Elizabeth ha realizzato l’opera che il fratello viva progettato ma mai pubblicato, Nietzsche ci stava lavorando a quest’opera che avrebbe dovuto essere la summa del suo pensiero. La volontà di potenza oggi è pubblicata sotto il nome di Nietzsche. Tutte le edizioni di tutte le opere (OPERA OMNIA) le prime edizioni di tutte le opere di Nietzsche sono state ripubblicate dalla sorella di Nietzsche corrette e manipolate fino al 1926 dal WAIMAR’S ARCHIF. Nelle altre edizioni dell’opera di Nietzsche hanno avuto il loro epilogo con l’edizione del 1963 e del 1964 in Germania e in Italia contemporaneamente da un grande studioso della filosofia tedesca, Giorgio Colli assieme ad un suo studente Mazzino Montanari. L’aeditio Maior di Nietzsche è quella degli adelfi. Colli e Montanari hanno pubblicato le opere di Nietzsche in maniera cronologica e ordinata, ricostruendo i frammenti. Hanno restituito a Nietzsche quello che era di Nietzsche, è un’edizione benemerita e dopo il secondo dopo guerra hanno lavorato alla seconda edizioni grandi filosofi come Heidegger e Gadamer, di conseguenza è su questa opera che hanno lavorato la maggior parte dei filosofi della seconda metà dell’900. Nella seconda metà del 900 c’è stata una rivalutazione di Nietzsche, è vero che la sorella ha manipolato per fini suoi la figura del fratello, ma è tutto merito della sorella? No, un grande studioso italiano Maurizio Ferraris si è incaricato di andare a vedere cosa ha manipolato Elizabeth Nietzsche e cosa fa parte del corpus del fratello. Ha scoperto che molte delle frasi che provocano sdegno erano originarie di Nietzsche stesso, ci sono vari spunti autoritari, reazionari. Di qui a dire che Nietzsche è stato ideologo del nazismo è un eufemismo. Ferraris parla della “sorella parafulmine “perché noi ci sentiamo sdegnati a varie frasi di Nietzsche che sono violente e misogine e cerchiamo di giustificarle. Non si può dire che Nietzsche era un anti- semita, nello stesso tempo negli anni dopo la seconda guerra mondiale Nietzsche vene salvato. Mentre la sinistra ha un retroterra culturale straordinario, la maggior parte dei pensatori era di sinistra la destra è povera in questo senso e va cercando punti di riferimento culturale strumentalizzandole. Negli ultimi tempo c’è una tendenza a fare di Nietzsche un progressista, ci sono delle concordanze ma non ci sono monopoli orientativi, sfugge sia alla presa di destra sia a quella dii sinistra.