Psicologia Sociale
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Stefano Basso
Maggio 28, 2023
La psicologia sociale è una branca della psicologia che studia come le persone
pensano, si influenzano reciprocamente e interagiscono in contesti sociali. Si
concentra sulla comprensione di come le nostre cognizioni, emozioni e
comportamenti sono influenzati dalle altre persone e dall’ambiente sociale.
La psicologia sociale utilizza una combinazione di metodi di ricerca, tra cui studi di
laboratorio, esperimenti, ricerche sul campo e analisi di dati quantitativi e qualitativi, per
comprendere meglio i processi sociali e le influenze che operano all’interno delle
interazioni umane. Questi studi forniscono una base teorica e pratica per comprendere il
comportamento umano nel contesto sociale e per sviluppare interventi mirati a migliorare
le relazioni e la convivenza sociale.
Principali temi collegati alla Psicologia Sociale
In questo articolo affronteremo 5 temi legati alla Psicologia Sociale:
1. Cognizione Sociale
2. Le Attribuzioni
3. L’influenza Sociale
4. Gli Stereotipi Sociali
5. I Pregiudizi
La cognizione sociale
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La cognizione sociale è l’insieme delle attività mentali con cui “conosciamo”
persone e situazioni del contesto sociale in cui viviamo.
La cognizione sociale è fondamentale per il funzionamento sociale adeguato e per la
costruzione di relazioni interpersonali positive. Cerchiamo di capire quali strategie aziona
la nostra mente quando “valutiamo” una persona e di studiarne i meccanismi:
la nostra percezione degli altri
il ragionamento sociale e l’euristica
i diversi tipi di euristiche
La nostra percezione degli altri
A guidarci nel processo di “valutazione” di una persona sono alcuni meccanismi
fondamentali:
1. l’effetto Primacy
2. le teorie implicite della personalità
3. l’effetto Alone
L’effetto Primacy è un fenomeno per il quale le prime informazioni ricevute permettono
di comprendere le informazioni successive. Esso opera spesso nella nostra valutazione
delle persone. Molto spesso diciamo “ho avuto una buona impressione di quella
persona“. Questa “buona impressione” ci spinge molto spesso a sovrastimare qualcuno,
così come se “ho avuto una cativa impressione” ci porta ad esprimere giudizi negativi
affrettati. Un esperimento in tale senso venne fatto dallo psicologo polacco Solomon
Asch (1907-1996).
Il modo in cui formiamo le impressioni sulle persone è guidato dalle teorie implicite della
personalità, ovvero dalle convinzioni sul modo in cui i diversi tratti psicologi si
associano tra loro. Ad esempio se ci viene detto che una persona è “altruista”
assoceremo stabilmente ad essa anche la “generosità” o altre qualità positive.
La nostra tendenza ad associare automaticamente qualità dello stesso tipo può però
portare ad un errore di valutazione che gli psicologi chiamano effetto alone, ovvero
la tendenza ad estendere un giudizio su un singolo tratto di personalità ad altri.
Il ragionamento sociale e l’euristica
Nelle nostra vita sociale molto spesso dobbiamo anche risolvere piccoli o grandi
problemi e prendere decisioni, affindadoci ad una forma di ragionamento
(ragionamento sociale) che, rispetto a quello classico, si serve di alcune strategie
cognitive che permettono di semplificare i molti dati di cui si dispone e di prendere una
decisione in tempi brevi. Gli psicologi Amos Tversky (1937-1996) e Daniel Kahneman
(vivente) hanno dato a tali strategie il nome di euristiche.
Esistono diversi tipi di euristiche:
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1. euristica della rappresentatività (strategia mentale per cui le persone, quando
devono stabilire la probabilità di un certo evento, si basano sulla somiglianza tra
l’evento e la classe a cui dovrebbe appartenere. Ad esempio, se incontriamo in
palestra una persona atletica, alta 2 metri, pensiamo che sia un giocatore di basket
o di pallavolo, dal momento che il suo aspetto corrisponde all’immagine che ci
siamo fatti di coloro che praticano questi sport);
2. euristica della disponibilità (è il meccanismo in virtù del quale le persone
tendono ad attribuire a un evento un grado di probabilità proporzionale alla
facilità con cui ne ricordano il manifestarsi. Ad esempio consideriamo più
probabile essere vittima di un incidente aereo, rispetto ad un incidente
automobilistico, in quanto una sciagura aerea ha un impatto mediatico maggiore);
3. euristica della simulazione (è il meccanismo in base al quale le persone
cambiano i loro giudizi e le loro reazioni emotive di fronte ad eventi in base
alla facilità con cui riescono a figurarsi una situazione alternativa. Ad esempio
se perdiamo un treno per pochi secondi, siamo sicuramente più dispiaciuti rispetto
ad averlo perso per 15 minuti. Questo perchè iniziamo a pensare che se avessimo
camminato più velocemente non lo avremo perso. In altre parole le persone
tendono ad immaginare come sarebbero potute andare le cose rispetto a ciò
che è effettivamente accaduto).
Le attribuzioni
L’attribuzione è il processo con cui si interpretano i comportamenti propri e degli
altri individuando le possibili cause.
Un tipico esempio è quando una persona che dobbiamo incontrare non si reca
all’appuntamento fissato. Dopo un po’ inizieremo a chiederci il motivo del ritardo. Non è
venuto intenzionalmente? Ha avuto qualche impedimento e non ci ha potuto avvisare?
Esistono diversi modi in cui si tende a spiegare e interpretare quanto accaduto (stili di
attribuzione):
1. la distinzione di Heider
2. gli sviluppi di Rotter
3. il modello di Weiner
Lo studioso austriaco Fritz Heider (1896-1988) ha affermato che il processo di
attribuzione risponde al bisogno di ogni persona di capire la realtà che lo circonda
e di prevederne gli sviluppi con una certa approssimazione.
Heider ha identificato due tipi di attribuzioni che le persone tendono a fare:
1. attribuzioni interne (la causa di un evento viene cercata nella persona che agisce.
Ad esempio se parlando di una persona diciamo che “è stato abile e capace a
diventare un influencer famoso”, facciamo una attribuzione interna);
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2. attribuzioni esterne (quando si attribuiscono cause estranee al suo controllo o alla
sua volontà. Ad esempio se diciamo “è stato molto fortunato” facciamo una
attribuzione esterna).
Sulla base di questa distinzione Julian Rotter (1916-2014) ha individuato due stili di
attribuzione principali:
1. lo stile di attribuzione interna (gli individui ritengono che le esperienze di una
persona siano attribuibili a caratteristiche proprie, come ad esempio il
temperamento, la volontà e l’impegno. Ad esempio, se una persona ottiene un buon
voto in Scienze Umane, attribuirà il risultato al proprio impegno nello studio);
2. lo stile di attribuzione esterno (in base al quale gli individui tendono a dare
importanza a fattori esterni, come le circostanze, la fortuna, l’influenza degli altri. Ad
esempio, se una persona non ottiene un lavoro desiderato, potrebbe attribuire la
mancata assunzione alla sfortuna o a una decisione del datore di lavoro).
Rotter ha introdotto il concetto di locus of control, ovvero il grado di controllo che
l’individuo percepisce di avere sugli eventi della propria vita. Le persone con un locus di
controllo interno tendono a attribuire i risultati delle proprie azioni e gli eventi della loro
vita a fattori interni (propri della persona), mentre le persone con un locus di controllo
esterno tendono a attribuire i risultati delle proprie azioni e gli eventi della loro vita a fattori
esterni (come la fortuna).
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Lo psicologo Bernard Weiner ha proposto una nuova lettura dei processi di
attribuzione. Il suo modello nel quale spiega che le persone fanno uso di tre parametri
principali per rendere ragione degli eventi legati alle loro esperienze:
1. Il carattere interno o esterno
2. La stabilità
3. La controllabilità.
Ad esempio, se diciamo che l’incidente stradale è causato da una lastra di ghiaccio,
stiamo dicendo che è provocato da una causa esterna (non è colpa del guidatore)
instabile (perché non sempre c’è il ghiaccio sulla strada) e incontrollabile (non possiamo
prevedere che il ghiaccio si formi).
Se invece diciamo che l’incidente è causato dallo stato di ebbrezza del guidatore, stiamo
dicendo che è provocato da una causa interna (colpa del guidatore) instabile (perché il
guidatore non è sempre ubriaco) e controllabile (perché può decidere se bere a dismisura
o con moderazione).
Stili attributivi nella vita scolastica
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I processi di attribuzione si attivano spesso nella realtà scolastica, guidando il modo in
cui studenti e docenti interpretano successi e fallimenti nel percorso di apprendimento.
Weiner combinando i tre parametri principali, ha individuato tutti i possibili tipi di
attribuzione:
1. Interno-stabile-controllabile
2. Esterno-stabile-controllabile
3. Interno-stabile-incontrollabile
4. Esterno-stabile-incontrollabile
5. Interno-instabile-controllabile
6. Esterno-instabile-controllabile
7. Interno-instabile-incontrollabile
8. Esterno-instabile-incontrollabile
Il punto è capire quali possano essere i modelli interpretativi “vincenti”, in grado di favorire
il percorso di apprendimento di un allievo, mettendolo nelle condizioni migliori per
svolgere compiti diversi e superare ostacoli.
I biases di attribuzione
Secondo gli studiosi nell’operare attribuzioni possiamo incorrere in tendenze distorsive
della mente umana, capaci di creare errori di valutazione e di giudizio (biases). Tra le più
diffuse ci sono:
1. errore fondamentale di attribuzione (tendenza a valutare il comportamento di una
persona privilegiando le attribuzioni interne rispetto a quelle esterne. Spesso
spieghiamo il comportamento delle persone sottovalutando il peso di fattori esterni
a favore di fattori interni ai soggetto che agiscono. Ad esempio possiamo giudicare
la nostra professoressa di matematica molto pignola – attribuzione interna-, senza
tenere conto che la matematica è una materia che richiede precisione e cura nei
dettagli);
2. self-serving bias (tendenza ad attribuire i propri successi a cause interne e i propri
fallimenti a cause esterne. Ad esempio Marco ha preso un brutto voto in Italiano,
ma attribuisce questo al fatto che il compito era difficile e alcuni argomenti sono stati
spiegati quando era assente);
3. effetto sé-altro (meccanismo per cui i processi di attribuzione di un individuo si
modificano a seconda che egli sia protagonista o no di una certa situazione. Ad
esempio durante un litigio con un altra persona, si è portati a dare più peso agli
insulti dell’altra persona, rispetto a quelli che avete pronunciato voi, giustificabili dal
momento di collera).
L’influenza sociale
Meccanismo psicologico per cui il pensiero, i sentimenti e i comportamenti delle
persone (“fonte”) sono modificati dalla presenza (reale o immaginaria o implicita) di
altre persone (“bersaglio”).
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A differenza del significato del termine “influenza” usato nel linguaggio quotidiano (ovvero
“azione esercitata da una cosa o da una persona su un’altra), in psicologia tale termine
ha caratteristiche diverse:
1. è spesso bidirezionale, ovvero le persone sono contemporaneamente
soggetto e oggetto di influenza. In altri termini non trasmettono solo il messaggio
(“fonte”) ma lo ricevono anche (“bersaglio”);
2. l’influenza sociale può avvenire anche senza che la “fonte” sia materialmente
presente, ma è sufficiente che venga materialmente percepita come “vicina” sotto il
profilo affettivo ed emotivo (ad esempio il ricordo di una persona defunta);
3. l’influenza può prodursi a prescindere daf fatto che la “fonte” da cui proviene
intenda effettivamente esercitarla (ad esempio nella Moda, una persona può
adottare un particolare look, che si diffonde senza necessariamente che lui voglia
farlo).
I meccanismi dell’influenza sociale
Quando una persona si trova esposta all’influenza degli altri, può reagire in diversi modi:
1. con un cambiamento puramente esteriore della condotta (acquiescenza),
provocato dalla possibilità di ricevere ricompense e punizioni dalla fonte (“fonte
potente”). In altre parole una persona può cambiare il proprio atteggiamento ma
solo perchè vuole evitare una punizione o ricevere una ricompensa;
2. modificando pensieri, sentimente e comportamenti al fine di mantenere una
relazione gratificante con la fonte (“fonte attraente”) di influenza (identificazione).
Ad esempio se un ragazzo si innamora di una persona che ha stima verso coloro
che hanno un buon rendimento scolastico è molto probabile che il nostro soggetto
farebbe di tutto per migliorare il proprio profitto scolastico;
3. mutando il proprio pensiero, sentimenti e comportamenti in modo consapevole e
profondo provocato da una fonte (“fonte credibile”) in grado di suscitare nella
persona un atteggiamento positivo, condivideno le ragioni e i punti di vista della
fonte (interiorizzazione). Ad esempio se un ragazzo incontra nel suo percorso
scolastico una persona che riesce a fargli cogliere il valore dello studio, lui cambierà
atteggiamento al fine di meritarsi il rispetto della persona (“fonte”)
Alcune forme di influenza sociale
A partire dalla prima metà del Novecento, sono state analizzate diverse forme di infuenza
sociale:
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Consenso e normalizzazione: nel 1935 Muzafer Sherif ha studiato la formazione
del consenso attraverso una serie di esperimenti, arrivando alla conclusione che
all’interno di gruppi più o meno ampi di persone si giunge ad una uniformità di
pensiero e di giudizio. Le persone, in gruppo, tendono a modificare le proprie
opinioni, senza accorgersene, uniformandole a quelle del gruppo. Per lo studioso, in
situazioni di incertezza, ovvero privi di criteri oggettivi per stabilire la verità di un
giudizio o una affermazione, la ricerca del consenso prende il sopravvento sui
giudizi individuali. I diversi soggetti elaboravano una “norma”
comune (“normalizzazione”)
Conformismo: in presenza di criteri oggettivi, Solomon Asch, attraverso un
esperimento, arrivò alla conclusione che un individuo è portato ad allinearsi alle
opinioni, agli atteggiamenti e ai comportamenti di un certo gruppo sociale per
essere accettato dal gruppo stesso (processo di conformismo).
Sottomissione all’autorità: nel 1965, lo psicologo Stanley Milgran, attraverso un
esperimento, volle testare l’obbedienza all’autorità, arrivando alla conclusione
che le persone sono sensibili all’influenza dell’autorità molto di più di quanto
si possa credere e di quanto esse siano disposte ad ammettere. L’influenza
esercitata dall’autorità (una persona che da dei comandi da eseguire) crea una
particolare condizione (stato eteronomico) in cui il soggetto si sente responsabile
non di ciò che fa, ma verso la persona che glielo prescrive.
Gli stereotipi sociali
Nella nostra consocenza delle altre persone ci facciamo guidare spesso da stereotipi,
ovvero generalizzazioni e concetti preconfezionati che vengono applicati ad un
determianto gruppo di persone o ad una determinata categoria sociale, in base a
caratteristiche superficiali, come l’etnia, il genere, la religione, l’orientamento sessuale, la
nazionalità, la professione e così via. Essi possono influenzare la nostra percezione degli
altri e possono essere basati su pregiudizi o mancanza di conoscenza accurata. Molto
spesso le persone, in presenza di informazioni limitate, ricorrono alla categorizzazione,
che ci costringe ad operare generalizzazioni.
I meccanismi di azione degli stereotipi
Gli stereotipi cominciano ad agire fin dal livello della percezione, in quanto ci spingono a
notare maggiormente le differenze tra gruppi che quelle tra gli elementi di uno stesso
gruppo e guidano, in maniera inconsapevole, le nostre aspettative nei confronti delle
persone (meccanismo di accentuazione).
Oltre all’attività percettiva gli stereotipi influenzano anche altre operazioni cognitive, quali
la selezione e la memorizzazione delle informazioni. Essi infatti orientano il modo in
cui noi valutiamo e immagazziamo le informazioni, portandoci a privilegiare quelle che
confrmano la nostra visione stereotipata delle cose. Se, ad esempio, un automobilista
condivide lo stereotipo maschilista della “donna incapace di guidare”, ricorderà più
facilmente le infrazioni al voltante commesse dalle donne che non dagli uomini.
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Inoltre, gli stereotipi definiscono preliminarmente le nostre aspettative nei confronti
delle persone. Ad esempio “tutti i genovesi sono tirchi” quando in realtà non è così.
Autoconvalida
Meccanismo psicologico in virtù del quale un’affermazione o una convinzione viene
mantenuta anche a dispetto di esperienze dirette contrarie. Ad esempio, ritornando
all’esempio di prima, anche se trovo un genovese spendaccone, non cambio la mia
convinzione che “tutti i genovesi sono tirchi”.
I pregiudizi
Prima di analizzare i pregiudizi, dobbiamo partire dalla definizione di atteggiamento:
Un atteggiamento è il diverso grado di favore o sfavore con cui un individuo si pone
interiormente nei confronti di un oggetto sociale (persona, gruppo, istituzioni,..)
Quando l’oggetto dell’atteggiamento è un gruppo o una categoria sociale si parla
di pregiudizio. Un pregiudizio può essere positivo, quando si traduce in apprezzamento
e favore nei confronti del gruppo o della categoria sociale, o può essere negativo nel
caso opposto. Gli studiosi sono più attirati dagli effetti che il pregiudizio negativo è in
grado di produrre (pensiamo al Nazismo, alla emarginazione nazista contro i neri
d’America…). Termini specifici negativi nei confronti di certe categorie sociali, sono nati a
causa di alcuni pregiudizi negativi:
antisemitismo (odio e disprezzo nei confronti degli ebrei);
xenofobia (atteggiamento di rifiuto nei confronti dello straniero);
omofobia (avversione nei confronti delle persone omosessuali)
Origine dei pregiudizi
Sull’origine dei pregiudizi sono state formulate diverse teorie:
1. la personalità autoritaria di Theodor Adorno;
2. la teoria dell’identità sociale di Henry Tajfel;
3. l’influenza sociale e la formazione dei gruppi di Muzafer Sherif
Theodor Adorno
Il sociologo tedesco Theodor Adorno analizzò l’ondata di antisemitismo negli anni trenta
e quaranta del novecento. Notò che il pregiudizio si diffuse più facilmente tra individui
dotati di una personalità particolare, da lui definita “personalità autoritaria“. Secondo la
sua prospettiva, il pregiudizio non è semplicemente una questione di atteggiamenti
individuali, ma è radicato in profonde dinamiche sociali ed economiche. L’autoritarismo,
come concetto chiave nella sua teoria, si riferisce a una tendenza psicologica delle
persone a sottomettersi all’autorità e ad adottare atteggiamenti rigidi, stereotipati e
discriminatori verso i gruppi emarginati.
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Adorno sosteneva che l’autoritarismo si sviluppa come meccanismo di difesa psicologica
contro l’incertezza e l’ansia derivanti da una società caratterizzata da disuguaglianza
sociale e oppressione. L’individuo autoritario cerca sicurezza e ordine attraverso
l’adesione a valori tradizionali, l’accettazione acritica dell’autorità e l’attribuzione di colpa
e discriminazione verso gruppi sociali considerati diversi o minacciosi.
Secondo Adorno, il pregiudizio si manifesta attraverso l’internalizzazione di stereotipi
culturali e sociali, che possono essere perpetuati e rinforzati da istituzioni sociali, media e
interazioni interpersonali. Questo può portare a comportamenti discriminatori e alla
perpetuazione delle disuguaglianze sociali.
Adorno ha sostenuto che il superamento del pregiudizio richiede una critica profonda
delle dinamiche sociali e culturali che lo sostengono. Ha enfatizzato l’importanza della
consapevolezza critica, della riflessione individuale e dell’educazione per promuovere la
comprensione interculturale, il rispetto e l’uguaglianza.
Tuttavia, la teoria di Adorno non è priva di critiche. Alcuni studiosi hanno sollevato dubbi
sul concetto di personalità autoritaria e sulla sua generalizzabilità, sostenendo che le
dinamiche del pregiudizio sono complesse e influenzate da molteplici fattori sociali,
culturali ed economici.
In ogni caso, l’opera di Theodor Adorno ha contribuito a una comprensione critica del
pregiudizio e ha influenzato la psicologia sociale e la teoria critica nella loro analisi delle
dinamiche sociali e delle disuguaglianze.
Henry Tajfel
Henry Tajfel, psicologo britannico, nella sua teoria dell’identità sociale, affermò che il
pregiudizio attecchisce anche sulle persone che cercano di difendere la propria identità
sociale (complesso di tratti che ci caratterizza e ci distingue nel confronto con gli altri).
Secondo Tajfel noi non ci limitiamo a classificare cose e persone in categorie ma
stabiliamo anche chi fa parte del nostro gruppo di appartenenza (ingroup) e chi ne è fuori
(outgroup).
Muzafer Sherif
Infine, l’ultima teoria elaborata da Muzafer Sherif, psicologo sociale turco-americano,
mostrò come la competizione tra i gruppi per il raggiungimento di uno stesso obbiettivo
possa generare altri pregiudizi. Sherif arrivò a questa conclusione grazie alla ricerca su
un gruppo di ragazzi che partecipavano ad un campeggio estivo:
Nel 1954 Muzafer Sherif all’epoca professore di psicologia sociale alla University of
Oklahoma , condusse il primo dei suoi studi nel campo estivo di Robbers Cave. I
partecipanti erano ragazzini di 11-12 anni che non si conoscevano tra di loro e furono
suddivisi in 2 gruppi e fatti alloggiare in baracche distanti. Alla fine della settimana si creò
un legame profondo tra i ragazzi. I ragazzi di entrambi i gruppi esibivano con orgoglio su
magliette e bandiere i nomi che si erano scelti. Successivamente i ragazzi di entrambi i
gruppi furono informati della presenza di un altro gruppo nelle vicinanze. I ragazzi
desideravano fare delle partite di baseball o tiro alla fune e lo staff organizzò tali gare. La
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squadra vincente avrebbe vinto un coltellino tascabile per ogni membro del gruppo ed
anche una coppa. Le gare iniziarono sportivamente ma con il passare del tempo
emersero le prime ostilità: i membri di ciascun gruppo iniziò a dare dei nomiglili ai rivali,
alla fine i ragazzi sceglievano di evitare qualsiasi contatto con l’altro gruppo. I ragazzi
svilupparono dei forti sentimenti di antipatia nei confronti del gruppo estraneo perchè
erano in competizione con loro per qualcosa a cui attribuivano un grande valore e che
solo uno dei due gruppi poteva ottenere.
L’opera di Muzafer Sherif ha avuto un impatto significativo sulla comprensione dei
processi sociali, dell’influenza sociale e della formazione dei gruppi. Le sue ricerche
hanno contribuito a delineare i meccanismi di conformità, di competizione e di
cooperazione tra i gruppi, e hanno influenzato ulteriori sviluppi nella psicologia sociale.
Come si attenuano i pregiudizi
È possibile attenuare i pregiudizi agendo in due modi:
secondo Albert il pregiudizio può essere attenuato grazie al contatto diretto e alla
conoscenza personale tra gli individui dei diversi gruppi (outgroup), che
permetterebbe una decategorizzazione, consentendo alle persone di incontrarsi
come “individui” e non come rappresentanti di una categoria;
molto spesso il contatto puro e semplice non è sufficiente per attenuare il
pregiudizio. Per raggiungere tale obiettivo è necessario fornire alle persone la
possibilità di condividere obiettivi comuni, in grado di rompere le barriere che le
dividono.
Dal pregiudizio al razzismo
Quando noi consideriamo gli altri attraverso i pregiudizi, i pregiudizi possono costituire
un terreno fertile per una condotta razzista. Il razzismo è una ideologia distorta,
fondata sulla convinzione errata che esistano razze biologicamente “superiori” e altre
“inferiori”. Va sottolineato il fatto che è stato il razzismo a creare il concetto di “razza”.
Alcune ricerche hanno infatti dimostrato che l’umanità deriva da un unico ceppo, di
origine africana: dall’Africa in nostri antenati si sono diffusi nei vari continenti, di volta in
volta rafforzando i caratteri più adatti a sopravvivere nei vari ambienti (processo di
adattamento).
Casi tristemente noti di razzismo si sono avuti nel XX secolo:
antisemitismo degli anni 30 e 40, che ha portato alla morte milioni di ebrei da parte
dei nazisti del Terzo Reich;
apartheid, politica discriminatoria tra la minoranza bianca e la maggioranza nera
applicata in Sudafrica.
Ad oggi si va affermando il cosiddetto razzismo differenzialista, che tende a esasperare
le differenze culturali tra le diverse comunità etniche e a respingere ogni possibilità di
integrazione. Esso può venire utilizzato da forze politiche per ottenere il consenso delle
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masse.
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