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Riassunto "Mobilita' Sociale" di M.Pisati
Sociologia della famiglia e delle differenze di genere (Università di Bologna)
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LA MOBILITA' SOCIALE
CAPITOLO 1 – Lo studio della mobilità sociale, concetti di base.
1. Definizione e interrogativi
In linea generale la mobilità sociale può essere definita come il processo mediante il
quale gli individui si muovono fra diverse posizioni sociali all'interno della società a cui
appartengono. Occorre definire le posizioni sociali tra le quali gli individui si muovono, e le
caratteristiche dello stato sociale entro il quale i movimenti si verificano, nonché i
movimenti stessi.
2. Lo spazio sociale e i suoi luoghi
La disuguaglianza sociale può essere definita come il fenomeno per cui, all'interno di
una data società, posizioni sociali diverse offrono a coloro che le occupano diversi schemi
di risorse che, a loro volta, si traducono in differenti opportunità di vita (ovvero quelle che,
senso lato, determinano la qualità della vita di ognuno). Il godimento di queste opportunità
non è uguale per tutti: la capacità di goderne dipende dal sistema di risorse di cui si
dispone, che dipende a sua volta dalla posizione sociale che si occupa all'interno della
propria società. Occorre disegnare una “mappa” di queste posizioni sociali, vale a dire
mettere in luce il sistema di stratificazione sociale, identificando i meccanismi responsabili
della distribuzione diseguale delle risorse.
I sociologi sono generalmente sono d'accordo nel ritenere che la maggior parte delle
disuguaglianze più rilevanti derivano dalla “divisione sociale del lavoro”: posizioni
occupazionali diverse offrono ai loro detentori sistemi di risorse diversi(disuguaglianza
occupazionale), e il sistema complessivo di risorse di cui dispone ciascun individuo
dipende in gran parte dalla sua posizione occupazionale. In secondo luogo, altre
caratteristiche individuali come sesso, età, etnia... di fatto esercitano il loro effetto sulla
disuguaglianza sociale proprio attraverso l'occupazione, sotto forma di influenza sulle
opportunità di accedere alle diverse posizioni. Nella nostra società, esiste dunque una
sostanziale sovrapposizione tra disuguaglianze occupazionali e sociali, dunque si può
affermare che l'occupazione è di fatto l'indicatore principale della posizione sociale di un
individuo. A sostegno di questa tesi, ricordiamo che l'individuo si deve poter muovere
all'interno dello spazio sociale, impossibile se i “canali” di mobilità sociale sono attributi
biologici, mentre l'occupazione può cambiare nel corso della vita.
3. Quante (e quali) posizioni sociali?
Per studiare la mobilità sociale, i sociologi raggruppano, per semplicità, le migliaia di
occupazioni dettagliate in un certo numero di “classi occupazionali”. La scelta dei criteri
per definire queste classi è oggetto di dibattito tra gli studiosi:


da un lato, i “funzionalisti”, che affermano che le occupazioni si differenziano in
base all'importanza funzionale che rivestono per la società: in questo modo la
disuguaglianza occupazionale è un modo per la società di assicurare che le
posizioni più importanti siano occupate dalle persone più qualificate, attraverso un
sistema di ricompense. In questo caso classificare le occupazioni consiste in una
divisione della struttura occupazionale in classi il cui reddito o prestigio è compreso
in un certo intervallo, e ne è il discriminante.
dall'altro, i “relazionali”, per i quali il carattere distintivo delle occupazioni è la loro
situazione di lavoro tipica, cioè la loro collocazione all'interno del sistema di
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relazioni sociali: in questo modo, lo spazio sociale in cui si muovono gli individui
tenderà ad essere articolato in un numero limitato di posizioni sociali, chiaramente
distinte in termini di situazione di lavoro.
A livello internazionale attualmente la maggior parte di coloro che studiano la mobilità
sociale utilizza uno schema di tipo relazionale, di ispirazione weberiana, elaborato da
Erikson e Goldthorpe: esso prevede 11 classi nella sua versione più estesa (7 nella
versione ristretta). La versione a 7 classi include la classe di servizio (tutte le occupazioni
di livello medio-alto); la classe degli impiegati esecutivi; la piccola borghesia urbana; la
piccola borghesia agricola; classe operaia urbana, divisa in 3: ad alto e a basso livello di
qualificazione, e agricola. Sebbene abbia tutti i requisiti di una classificazione relazionale,
questo schema possiede anche una evidente struttura gerarchica.
4.Individui e famiglie
In ogni momento, qualsiasi società comprende un certo numero di individui che non
partecipano attivamente alla forza lavoro, e la maggior parte degli individui sono membri di
famiglie, all'interno delle quali possono esserci più lavoratori, occupando mansioni anche
molto diverse.
Per quanto riguarda gli individui non occupati, come bambini ed adolescenti, la cui
posizione sociale viene derivata dalla posizione occupazionale di uno o entrambi i genitori,
o di chi non lavora più, la cui posizione sociale è derivata dalla sua posizione
occupazionale più recente. Per individui che hanno lasciato la famiglia ma non hanno
ancora avuto un'occupazione retribuita, il lavoro domestico è considerato posizione
occupazionale dagli studiosi, anche se, nella maggior parte dei casi, alle “casalinghe”
viene assegnata la posizione sociale del coniuge occupato.
Secondo il cosiddetto punto di vista “convenzionale”, l'unità di base del sistema di
stratificazione sociale è la famiglia, e tutti i membri di una data famiglia, partecipando allo
stesso sistema di risorse, occupano la stessa posizione sociale, cioè quella relativa
all'occupazione del membro che partecipa al mercato del lavoro nel modo più stabile e
continuo(generalmente il capofamiglia maschio). Si possono distinguere due orientamenti:


L'approccio della dominanza (Erikson): la posizione sociale di una famiglia deve
essere derivata dalla posizione del capofamiglia, cioè il coniuge con una posizione
che possa essere considerata dominante in termini di tempo e posizione di lavoro;
L'approccio della classificazione congiunta: la posizione sociale di ogni famiglia
deve essere determinata tenendo contemporaneamente conto della posizione
occupazionale del marito e della moglie, combinate in modo che ciascuna
combinazione corrisponda ad una specifica posizione familiare. Questo approccio
uguaglia sostanzialmente il contributo dei due coniugi al sistema di risorse
famigliare, offrendo una rappresentazione più accurata delle differenze sociali e
culturali tra le famiglie, ma può frammentare eccessivamente lo spazio sociale.
Un terzo gruppo di studiosi, infine, sostiene che la posizione sociale di ogni persona
adulta debba essere derivata dalla posizione che lui o lei occupa personalmente (o ha
personalmente occupato) nella divisione sociale del lavoro: individui della stessa famiglia
possono così occupare posizioni diverse.
Le società non sono comunque fatte né da individui singoli né da famiglie singole, ma da
individui in famiglie: conviene mantenere una posizione aperta, adeguando l'approccio al
singolo problema di ricerca da risolvere.
5. La tavola di mobilità
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Per analizzare i movimenti che gli individui compiono al suo interno nel corso della loro
vita, costruiamo un “tavola di mobilità”, che vuole classificare gli individui oggetto di
analisi in base alla posizione sociale da essi occupata in due momenti distinti della loro
vita: la meno recente è detta “origine” (righe), la più recente “destinazione”(colonne).
Distinguiamo tra tavole di mobilità intragenerazionale, i movimenti compiuti dagli individui
nel corso della loro vita adulta: l'origine sarà la prima occupazione svolta; e tavole di
mobilità intergenerazionale, in cui l'attenzione è rivolta ai movimenti lungo due generazioni
contigue: genitori e figli.
All'interno della tavola, c'è un insieme di celle, ognuna rappresentante una specifica
combinazione di origine e destinazione, all'interno di ogni cella (i, j) è riportata una cifra,
rappresentante il numero di individui che nell'arco di tempo considerato, si sono mossi
dall'origine i alla destinazione j. Esistono 2 tipi di celle: diagonali, combinazioni di riga e
colonna in cui origine e destinazione coincidono(immobilità sociale), ed extradiagonali, che
rappresentano gli individui socialmente mobili.
La mobilità sociale in senso stretto potrà a sua volta essere distinta tra ascendente
(movimenti migliorativi della posizione sociale, regione triangolare in basso a sinistra nella
tavola), oppure discendente (per i movimenti peggiorativi, al di sopra della diagonale
principale). A livello globale, le opportunità di accedere a una posizione migliore di quella
di partenza sono molto superiori a quelle di “scivolare” in una peggiore.
La colonna supplementare (l'ultima a dx) rappresenta la distribuzione marginale delle
origini: il numero di individui che al tempo t 0 occupavano le varie posizioni sociali; la riga
supplementare (ultima in basso) riporta la distribuzione marginale delle destinazioni, il
numero di individui che al tempo t1 occupavano le diverse posizioni dello spazio sociale.
6. Fluidità sociale e uguaglianza delle opportunità
Una società è tanto più fluida o aperta quanto maggiori sono le opportunità che offre ai
suoi membri di muoversi nello spazio sociale e, quindi, di modificare nel tempo le proprie
condizioni di vita, e dunque la propria posizione sociale.
Il fatto che la mobilità sociale sia resa “necessaria” dai cambiamenti che intervengono
nella struttura occupazionale non toglie nulla alla sua genuinità, né al fatto che la sua
presenza consente comunque alla società di godere di un certo grado di fluidità. Possiamo
dunque considerare virtuosa la società che garantisce a tutti i suoi membri uguali
opportunità di mobilità, indipendentemente dalla loro posizione sociale di partenza.
Il principio liberale classico dell'”uguaglianza delle posizioni di partenza” non è mai stato
osservato in nessuna società moderna.
CAPITOLO 2 – Sulle orme del padre
1.Di padre in figlio: la trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze sociali
L'ereditarietà sociale, ovvero la trasferibilità dei caratteri sociali da padre a figlio, è un
fenomeno vecchio come il mondo. Già nelle società preindustriali, la struttura
occupazionale cambiava piuttosto lentamente e, di conseguenza, gli individui non avevano
molte possibilità di godere delle “inevitabili” opportunità di mobilità offerte dai mutamenti
della sfera economica e produttiva. Sebbene nessuna epoca storica sia stata priva di una
certa fluidità, le opportunità di mobilità sociale cominciarono a diffondersi in modo
significativo e generalizzato solo con la nascita e lo sviluppo della società industriale: il
processo di mutamento costante della struttura dello spazio sociale innescato dalla
rivoluzione industriale generò numerose opportunità di mobilità per tutti: il vento del
cambiamento cominciò ben presto a soffiare anche sui meccanismi che regolavano
l'accesso alle diverse posizioni sociali. A partire dal XVII secolo, si sviluppò la tesi secondo
la quale tutti gli individui in realtà nascono uguali e dotati degli stessi diritti, facendosi così
strada una concezione universalista della società, secondo cui l'accesso alle diverse
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posizioni sociali disponibili doveva dipendere più dalle competenze(pubblicamente
certificate e riconosciute) in possesso perché ottenute con lo sforzo e il talento, che dallo
status di origine. Questa visione volutamente meritocratica ha raggiunto il suo apice nel
secondo dopoguerra, esprimendosi in tutte le società occidentali avanzate nel principio
liberale dell'uguaglianza delle condizioni: ogni individuo ha diritto ad uguali possibilità di
accedere a ciascuna posizione: dipenderà da lui e dalle sue capacità ottenerle o meno.
2. La mobilità intergenerazionale in Italia
Lo schema utilizzato per classificare le occupazioni dei padri e quelle dei figli si articola in
sei categorie:
1. Borghesia: imprenditori medio-grandi, liberi professionisti, dirigenti;
2. Classe media impiegatizia: dipendenti non manuali a livello medio-alto di
qualificazione;
3. Piccola borghesia urbana: commercianti e artigiani;
4. Piccola borghesia agricola: proprietari e coadiuvanti famigliari dei fondi;
5. Classe operaia urbana: impiegati esecutivi di basso livello e lavoratori manuali;
6. Classe operaia agricola: lavoratori manuali dipendenti nel primario
La maggior parte di figli di operai agricoli che hanno lasciato la classe di origine è finita
nella classe operaia urbana(48,6%): non sono usciti dai confini del lavoro manuali. I figli
mobili della piccola borghesia agricola sono diventati per lo più operai urbani o agricoli, ma
non mancano i casi (21,1%) di individui giunti alla classe media impiegatizia. Dalla classe
operaia urbana, il 45,1% degli individui è rimasto immobile, mentre i figli mobili della
piccola borghesia urbana hanno avuto destino simile ai coevi operai. Per quanto riguarda i
figli della classe media impiegatizia, la maggior parte (51,4%) è riuscita a mantenere la
posizione ereditata, il 18,5% ha raggiunto posizioni più elevate, mentre i rimanenti hanno
dovuto scendere di “grado”.
In Italia dunque le opportunità di mobilità sono distribuite in modo diseguale e dipendono
in misura significativa dalla classe di origine. Nella società italiana attuale risultano mobili
rispetto ai padri poco meno di due terzi degli individui che lavorano: esiste dunque un
apprezzabile grado di apertura sociale. Il processo di industrializzazione prima e quello di
terziarizzazione poi hanno determinato da un lato la forte contrazione delle classi agricole
e operaia urbana, dall'altro la crescita di pari passo dei classe media impiegatizia e
borghesia: le opportunità di mobilità ascendente di cui hanno goduto i figli erano
“inevitabili”: se si rendono disponibili posizioni in alto, non si può fare altro che
abbandonare la classe di origine e salire.
La tavola di mobilità non è in grado di dirci quanta fluidità sociale è frutto di “necessità” e
quanta, invece, frutto di “virtù”. Tuttavia, a livello aggregato è utile e rilevante cercare di
valutare l'apertura di una data società al netto degli effetti esercitati dai cambiamenti
intervenuti nella struttura dello spazio sociale; ciò equivale a misurare il grado di
disuguaglianza delle opportunità di mobilità intergenerazionale della società in esame,
ovvero l'influenza esercitata dalla classe di origine sulle probabilità di accedere alle
diverse posizioni sociali disponibili. Sono stati studiati proprio a questo scopo una serie di
indicatori (analitici o sintetici) come il coefficiente concorrenziale medio:
 pari a zero: la classe di origine non offre in media vantaggi competitivi nell'accesso
alla classe occupazionale in questione;
 positivo: la classe di origine è in media in vantaggio sulle altre classi;
 negativo: è in media in svantaggio rispetto alle altre classi
Nella situazione ideale di uguaglianza delle opportunità di mobilità, ogni (sono tanti quante
le celle nella tavola) coefficiente dovrebbe essere uguale a zero. Nel nostro paese le
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opportunità sono distribuite in modo diseguale: sono fortemente influenzate dalla
posizione sociale della famiglia in cui si nasce, soprattutto ai due estremi della scala
sociale: le classi più elevate riescono ad assicurare ai propri figli un netto vantaggio per le
posizioni più desiderabili e una protezione contro il rischio di scendere di rango, mentre
per i figli delle famiglie più in basso nella scala sociale incontreranno molte difficoltà nella
scalata. Comunque, l'influenza esercitata dalla classe di origine sulla probabilità di
accedere alle diverse posizioni sociali disponibili non varia in misura rilevante secondo il
sesso o la regione di residenza, tuttavia, a parità di classe di origine, le donne hanno
maggiori opportunità di accedere alla classe media impiegatizia, mentre gli uomini hanno
più probabilità di diventare borghesi, e le opportunità assolute di mobilità
intergenerazionale variano sensibilmente secondo l'area geografica, in gran parte a causa
di differenze regionali nelle distribuzioni occupazionali. Se teniamo sotto controllo queste
ultime, possiamo ancora concludere che l'effetto esercitato dalla classe di origine sulle
opportunità di mobilità è largamente lo stesso in tutte le regioni italiane.
Volendo ancora misurare la mobilità intergenerazionale tra 6 indagini nazionali nell'arco di
35 anni dal 1963 al 1997, possiamo utilizzare tre indici: il tasso complessivo di mobilità
sociale, che esprime la percentuale di individui che, al momento dell'indagine,
appartenevano ad una classe occupazionale diversa dai padri, il tasso di mobilità
strutturale, che offre una misura approssimativa della quantità di mobilità sociale
“inevitabile”, infine, l'indice di disuguaglianza delle opportunità di mobilità, che esprime in
modo sintetico l'influenza della classe del padre su quella del figlio. Notiamo che:





Tra il 1963 e il 1968, la “necessità” ha prevalso sulla “virtù”, nel processo di
creazione della fluidità sociale;
Tra il 1968 e il 1972 la situazione si è invertita: la mobilità strutturale è calata
leggermente, ma il suo effetto negativo sulla fluidità sociale è stato annullato e
sopravanzato dalla diminuzione della disuguaglianza delle opportunità che,
complessivamente, ha prodotto un leggero aumento della mobilità totale;
Tra il 1972 e il 1975 questa scena si è ripetuta: alla fine, si è verificato un aumento
della mobilità totale, dal 66% al 69%;
Tra il 1975 e il 1985, abbiamo assistito ad un calo del tasso complessivo di mobilità
sociale, dal 69% al 61%;
Infine, tra il 1985 e il 1997 la mobilità strutturale è rimasta praticamente invariata.
Nell'insieme, in Italia negli ultimi 30 anni, la mobilità strutturale ha seguito un andamento
tendenzialmente decrescente. Nel secondo dopoguerra il nostro paese è stato
protagonista di un profondo processo di modernizzazione, che tuttavia non ha portato con
sé alcuna spinta verso una maggiore apertura della società.
3. Qualche confronto internazionale
Nel 1959 i sociologi americani Lipset e Zetterberg, presero in esame 9 società
industrializzate per le quali erano allora disponibili dati confrontabili (Danimarca, Francia,
Germania Occidentale, Giappone, Gran Bretagna, Italia, Usa, Svezia e Svizzera),
classificando le occupazioni degli individui a 3 categorie: lavoratori non manuali, manuali
dell'industria e dei servizi e lavoratori agricoli. Essi giunsero alla conclusione che tutti e 9 i
paesi erano caratterizzati da tassi elevati e sostanzialmente simili di mobilità
intergenerazionale (intorno al 30%). A questo proposito, i due studiosi misero in luce
alcune caratteristiche comuni tra le società esaminate, in particolare:

i mutamenti della struttura occupazionale: le società industriali sono economie in
espansione, manifestando un crescente bisogno di manager per le questioni
dirigenziali e amministrative: i figli di operai svolgeranno quasi tutti impieghi di
natura impiegatizia, spingendo verso l'alto i tassi di mobilità sociale;
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
la diminuzione delle posizioni sociali acquisibili per via ereditaria: nella società
industriale l'impresa famigliare lascia progressivamente il posto a quella di tipo
burocratizzato: di conseguenza, l'ereditarietà delle posizioni sociali viene meno, a
favore di metodi di selezione formale.
Lipset e Zetterberg conclusero dunque che, nel complesso, tutte le moderne società
industriali sono aperte, hanno tassi di mobilità relativamente elevati e tendono a regolare
l'accesso alle diverse posizioni sociali in base a criteri meritocratici: è il funzionalismo
tecnologico, secondo cui le economie avanzate esigono una standardizzazione delle
strutture sociali, tendendo a convergere verso un modello unico di sviluppo. In questo
ambito si possono distinguere due correnti di pensiero:


tutte le società avanzate sono caratterizzate da regimi di mobilità molto simili,
sebbene in senso diverso rispetto a quanto teorizzato (1975, Featherman, Jones,
Hauser): i tassi complessivi di mobilità non sono simili ovunque, perché le società
avanzate hanno strutture occupazionali diverse, e offrono dunque opportunità di
mobilità assolute tutt'altro che simili tra loro, sebbene si possa notare che tenendo
“sotto controllo” le differenze, si può constatare una sostanziale somaglianza tra i
regimi di mobilità di tutte le società caratterizzate da un'economia di mercato e da
un sistema famigliare di tipo nucleare.
In paesi come Usa, Canada e Australia, società “nuove”, la meritocrazia ha un ruolo
primario, a scapito delle origini sociali, contrariamente a quanto avviene in Europa,
e nei paesi occidentali dove la sinistra ha avuto più a lungo il potere le differenze tra
le classi in termini di mobilità sono minori, in virtù di politiche di tipo perequativo.
Negli anni '80 i sociologi Erikson e Goldthorpe hanno scoperto che, mentre i tassi assoluti
di mobilità variano significativamente da società a società in funzione delle differenti
strutture occupazionali, i regimi di mobilità relativa di tutte le nazioni analizzate
condividono un ampio nucleo comune che li rende in gran parte simili. Tuttavia, trovarono
anche che queste peculiarità nazionali svolgono un ruolo minore rispetto al nucleo comune
e non mostrano alcun carattere di sistematicità, nel senso che non sono riconducibili a
“tipi” di società ben definiti, bensì sembrano derivare da specificità storiche, culturali e
istituzionali dei diversi paesi. In realtà, le differenze di cui sopra sono ben più ampie di
quanto i due sociologi abbiano voluto ammettere: considerando 24 paesi in tutto il mondo,
questi variano ampiamente in termini sia di tasso complessivo di mobilità (dal 51,5%
spagnolo al 74,8% israeliano), che di livello complessivo di disuguaglianza delle
opportunità di mobilità (dal -2,5 di Israele al 3,2 danese). Tale disuguaglianza risulta
tuttavia essere minore per le società “nuove”, nei paesi socialdemocratici scandinavi e nei
paesi ex URSS, maggiore nelle società conservatrici dell'Europa occidentale.
Il passaggio dalla società preindustriale alla società moderna ha determinato una netta
espansione delle opportunità di mobilità, sebbene Erikson e Goldthorpe siano giunti alla
conclusione che durante il XX secolo la fluidità delle società avanzate abbia seguito un
andamento temporale analogo al caso italiano, senza tendenza nettamente ascendenti né
discendenti, contraddicendo così le aspettative della teoria liberale, che afferma che
l'evoluzione delle società industriali avrebbe determinato un costante aumento della
fluidità sociale.
Le conclusioni dei due sociologi hanno suscitato ulteriori analisi, tra cui quella firmata da
Ganzeboom, Luijkx e Treiman, che ha messo in luce l'esistenza di una tendenza secolare
generalizzata verso una crescente fluidità sociale, essenzialmente dovuta a una costante
diminuzione della disuguaglianza delle opportunità di mobilità.
4. Mobilità di carriera e traiettorie sociali
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I percorsi che gli individui seguono per raggiungere una data destinazione sociale possono
essere molto diversi, generalmente divisi in una serie di tappe che ne formano la carriera
lavorativa. Per analizzare questi percorsi facciamo uso di rappresentazioni semplificate,
considerando una sola tappa intermedia, la prima occupazione: confrontiamo così la
posizione di classe occupata all'ingresso nel mercato del lavoro con l'occupazione svolta
10 anni dopo: il tasso complessivo di mobilità intergenerazionale è molto più basso del
corrispondente tasso di mobilità intergenerazionale. Questa elevata rigidità delle carriere è
confermata dal fatto che, indipendentemente dalla classe di origine, la destinazione più
probabile coincide sempre con la classe di ingresso stessa. Inoltre, gli individui mobili
seguono percorsi piuttosto definiti, nei loro movimenti.
L'osservazione ci consegna un'immagine di rigidità. Un certo grado di “vischiosità” dei
processi di mobilità intergenerazionale, però, è normale e riflette semplicemente
l'esistenza di linee di carriera be definite. A questo proposito, è stato osservato che i
percorsi di carriera seguiti dagli individui vengono plasmati dagli “effetti inerziali” esercitati
da investimenti professionali specifici e da altre risorse specializzate, per incentivare gli
individui a mantenere la loro posizione occupazionale iniziale o, comunque, a rimanere
all'interno di una data famiglia di occupazioni, e anche volendo cambiare posizione,
tenderanno a sceglierne una che richieda le stesse risorse specializzate.
In Italia, sono relativamente pochi gli individui che si muovono lungo la scala sociale, e
quasi sempre è un movimento ascendente per non più di un gradino. In Inghilterra, invece,
chi sale lo fa raggiungendo altezze più elevate: il 50% degli inglesi che salgono nella scala
sociale lo fa per più di un gradino, contro il 25% italiano.
Individuiamo 5 categorie di individui entrati in questo secolo nel mercato del lavoro:





Immobili: sia rispetto al padre, che nel corso della propria vita lavorativa (43%,
soprattutto figli di classe media impiegatizia e operai);
Mobili con ritorno alle origini: cominciano con una classe diversa rispetto al
padre, ma vi ritornano nel corso della propria vita lavorativa (6%, soprattutto
borghesi);
Mobili all'ingresso della forza lavoro: cominciano con classe diversa dal padre,
rimangono immobili nel corso della propria vita lavorativa (32%, di cui più di metà in
senso discendente);
Mobili durante la vita lavorativa: cominciano nella stessa classe del padre,
cambiano durante la vita lavorativa (12%, 10% in senso ascendente);
Supermobili: cominciano con una classe diversa dal padre, finiscono in un'altra
ancora (7%).
In conclusione, combinando l'analisi intergenerazionale con quella intragenerazionale, si
ottiene un'immagine dello spazio sociale italiano persistentemente “vischiosa”.
CAPITOLO 3 – Studiare conta?
1. La riproduzione delle disuguaglianze: uno sguardo ai meccanismi
A parità di talenti e abilità personali, chi, in virtù della posizione sociale della famiglia di
origine, si trova in una situazione di vantaggio, avrà maggiori chances di “arrivare primo” e
conseguire le posizioni migliori; al contrario, coloro che partono in svantaggio faranno
fatica a recuperare il distacco iniziale, dovendosi così accontentare di un piazzamento
arretrato. La differenza consta essenzialmente nelle diverse risorse a disposizione dei figli
delle diverse classi. Poiché per certificare meriti e capacità nelle società avanzate è
necessario un titolo di studio, la via universalista per ottenere l'uguaglianza delle
opportunità consiste nel garantire ad ogni individuo pari possibilità di accesso
all'istruzione, ipotesi tuttavia non ancora realizzata, nonostante i numerosi tentativi.
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Ciascuna classe di origine mette a disposizione dei figli tre tipi di risorse:



Economiche: il denaro e la proprietà dei mezzi produttivi;
Culturali: in primis, il liv. di istruzione dei genitori e dei consumi culturali in famiglia;
Sociali: la rete di relazioni in cui la famiglia è inserita.
Ogni processo di mobilità sociale è configurato in due fasi:
1. Gli individui conseguono un livello di istruzione certificato da un titolo di studio,
utilizzando le risorse a disposizione in virtù della famiglia di origine. Le opportunità
che gli individui hanno di conseguire un titolo di studio più o meno elevato
dipendono in modo significativo dalle risorse che ciascuno può ottenere da
quest'ultima;
2. Gli individui accedono al mercato del lavoro e, seguendo una determinata carriera,
raggiungono la propria classe di destinazione. Questo stadio è rappresentato da
due azioni: la prima esprime l'azione dei principi universalistici e meritocratici di
selezione sociale, indicandoci che le opportunità di accedere alle varie posizioni
occupazionali dipendono dal livello di istruzione posseduto; la seconda sottolinea
che indipendentemente dal livello di istruzione posseduto, la classe sociale di
origine influisce direttamente sulle opportunità di accesso alle varie posizioni
occupazionali, soprattutto mediante l'azione delle risorse economiche e sociali.
L'influenza totale esercitata dalla classe di origine sulla classe di destinazione può essere
espressa con la seguente formula:
Influenza totale = Influenza diretta + Influenza indiretta, dove:


Influenza diretta = effetto della seconda forza del secondo stadio
Influenza indiretta = effetto della prima forza del secondo stadio x effetto
dell'influenza della classe d'origine sul livello di istruzione.
In una società perfettamente universalista e meritocratica l'influenza totale della classe di
origine su quella di destinazione sarebbe pari a zero in quanto il legame tra istruzione e
posizione occupazionale sarebbe certamente positivo, ma gli altri due effetti coinvolti
sarebbero nulli.
Nella misura in cui gli effetti di cui sopra non sono più nulli ma assumono un carattere
sperequativo, l'influenza totale dell'origine sulla destinazione sociale viene ad avere un
valore maggiore di zero.
2. La disuguaglianza delle opportunità di istruzione
L'articolo 34 della Costituzione afferma che le opportunità di conseguire i diversi titoli di
studio devono dipendere esclusivamente dai talenti e dalle capacità individuali, e non
dall'origine sociale. Per far sì che ciò avvenga, bisogna eliminare la disuguaglianza delle
condizioni di partenza, fornendo agli individui “privi di mezzi” le risorse economiche
necessarie. Tuttavia, tra l'affermazione del principio e la sua affermazione concreta esiste
un divario non indifferente, e come dimostrano le statistiche, le probabilità di conseguire i
vari titoli di studio previsti dal nostro ordinamento scolastico variano in misura significativa
secondo la classe di origine, infatti man mano che si sale lungo la gerarchia sociale la
probabilità di conseguire una laurea aumenta.
La partecipazione al sistema scolastico comporta una serie di costi, crescenti
all'aumentare dell'altezza del titolo di studio da conseguire, tra cui anche i costiopportunità. Pertanto, il livello di istruzione conseguito dipenderà dalle risorse economiche
ricavabili dalla propria famiglia di origine e/o da forme di sussidio pubbliche o private. Le
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risorse economiche, in ogni caso, non esauriscono l'impatto dell'origine sociale sulle
opportunità di istruzione, che è influenzata anche dalle risorse culturali presenti in famiglia:
così, i figli di genitori di bassa classe occupazionale, ma dotati di un titolo di studio medioalto, possono comunque conseguire un titolo di studio elevato, in certi casi.
In Italia, indipendentemente dalla classe occupazionale del padre i figli di diplomati e
laureati hanno sempre maggiori probabilità di diplomarsi o laurearsi a loro volta. Se a
livello aggregato risulta che i figli della borghesia hanno maggiori oppotunità di conseguire
un diploma o una laurea rispetto ai figli della classe media impiegatizia è perchè nella
prima classe i genitori diplomati e laureati hanno un peso doppio rispetto a quello che
rivestono nella seconda. A parità di titolo di studio del padre, tuttavia, gli effetti “netti” della
classe occupazionale tornano a farsi sentire: dunque, classe occupazionale e titolo di
studio del padre agiscono insieme nel determinare il livello di studio dei figli. Nel nostro
paese, il sostegno al “diritto allo studio” è rimasto in gran parte lettera morta: tutto ciò che
è stato fatto è l'innalzamento dell'obbligo scolastico e la liberalizzazione all'accesso
all'università. La distribuzione totale dei titoli di studio può variare nel tempo, diventando
anche più ugualitaria, senza che i meccanismi di allocazione dei titoli di studio si
modifichino. In Italia, infatti, le riforme hanno ampliato l'accesso a tutti i livelli di istruzione,
ma essendo rimaste immutate le differenze socio-economiche e i loro effetti, dalle nuove
opportunità hanno tratto vantaggio tutte le classi indistintamente, anche quelle superiori: la
torta dell'istruzione si è allargata, ma a ognuno è rimasta la stessa proporzione.
Occorrerebbe dunque un un intervento veramente incisivo sulle disparità economiche,
offrendo agli individui “capaci e meritevoli” ma “privi di mezzi” le risorse necessarie a
raggiungere un livello di istruzione almeno adeguato.
3. Dalla scuola al lavoro: il rendimento dell'istruzione
Quanto più elevato è il titolo di studio ottenuto da un individuo, tanto maggiori saranno le
capacità che gli sono riconosciute e, pertanto, tanto migliore sarà la posizione
occupazionale alla quale egli accederà. Distinguiamo tra almeno 3 attori fondamentali:
gli individui che desiderano partecipare al mercato del lavoro (offerta), i datori di lavoro
(domanda) e il sistema scolastico. L'istruzione è un investimento, quindi chi “investe”
(l'offerta) vuole massimizzarne il rendimento, scegliendo un percorso occupazionale più
possibile congruente con la sua formazione scolastica. I datori di lavoro, dal canto loro,
sceglieranno le persone più consone alle mansioni da assegnare loro, considerandone il
titolo di studio posseduto. Quest'ultimo talvolta è valutato unicamente come possesso di
abilità professionali specifiche, altrimenti come misura del grado di “addestrabilità” e
adattabilità dell'individuo, con un sistema di valutazione largamente influenzato dal
sistema scolastico vigente. A questo proposito, i sociologi hanno individuato tre dimensioni
per classificare i vari sistemi scolastici:



Livello di standardizzazione: esprime il grado di uniformità con il quale l'istruzione
viene amministrata e impartita nelle scuole sul territorio nazionale;
Livello di stratificazione dell'istruzione secondaria: esprime il grado di
differenziazione degli indirizzi di scuola media superiore: è tanto più ampia quanto
più precoce è la scelta imposta allo studente;
Livello di specificità professionale dell'istruzione secondaria: esprime il grado
in cui gli studenti che completano la scuola media superiore acquisiscono una
preparazione tecnico-professionale specifica immediatamente spendibile nel
mercato del lavoro.
Innanzitutto, il ruolo svolto dalle credenziali educative nel processo di reclutamento è tanto
più importante quanto più il sistema scolastico vigente è stratificato e standardizzato,
mentre il legame tra titolo di studio e posizione occupazionale risulta generalmente più
stretto all'aumentare della specificità professionale dell'istruzione secondaria.
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Alla luce di tutto questo, l'influenza complessiva del livello di istruzione sulle opportunità di
accesso alle classi occupazionali crescerà all'aumentare del livello delle tre dimensioni . In
Italia il titolo di studio posseduto influisce in modo particolarmente rilevante sulle
opportunità di lavoro degli individui: infatti, il possesso di una laurea garantisce quasi
sicuramente l'accesso alle prime due classi, rispettivamente per il 40% e il 56,3%,
diminuendo considerevolmente le possibilità di occupare le posizioni sociali inferiori. Dai
trent'anni in poi tuttavia i differenziali di rendimento economico dell'istruzione diventano
sempre più rilevanti.
4. Particolarismo o universalismo?
La relazione tra titolo di studio e occupazione non tiene conto di eventuali effetti diretti
esercitati dalla classe di origine. Nella ricerca del posto di lavoro gli individui infatti mettono
in gioco anche le risorse economiche e sociali ricavabili direttamente dalla classe di
origine. La percentuale di laureati che riescono a diventare borghesi diminuisce più o
meno regolarmente mano a mano che si scendono i gradini della gerarchia sociale. In
generale, possiamo affermare che l'influenza diretta esercitata dalla classe di origine sulla
classe di destinazione dipende essenzialmente dalle risorse economiche e sociali che
ogni famiglia riesce a fornire ai propri figli in aggiunta al titolo di studio. In effetti, in Italia
l'origine sociale esercita un sostanziale effetto diretto (indipendente cioè dal titolo di studio
posseduto) sulla probabilità di accedere alle diverse classi di destinazione: se questo
effetto supera l'influenza del titolo di studio, il sistema di stratificazione sociale si basa
essenzialmente su criteri particolaristici, selezionando dunque gli individui in base alla
loro condizione di nascita. Viceversa, si può definire universalistico il sistema di
stratificazione sociale. Nel nostro paese, i criteri universalistici di selezione sociale
prevalgono su quelli particolaristici: i laureati sono i più avvantaggiati: indipendentemente
dalla loro origine sociale, sono più avvantaggiati di qualunque altro nella competizione per
l'accesso alle posizioni di vertice della gerarchia sociale; tuttavia, al diminuire del livello di
istruzione, l'influenza dell'origine sociale si fa sempre più importante, e i figli di borghesi
sono quasi sempre in vantaggio per l'accesso alla borghesia, indipendentemente dal
livello di istruzione posseduto.
La prevalenza dei criteri universalistici è riscontrabile più o meno in tutti i paesi avanzati,
sebbene in Italia le selezioni sociali per chi ha un titolo di studio inferiore alla laurea sono
più orientate verso criteri particolaristici, rispetto ad altri stati industrializzati, come poc'anzi
detto. Questo perchè nel nostro paese la classe di origine influenza le opportunità anche
mediante meccanismi di stampo nepotistico: in particolare, alcuni studiosi hanno osservato
che molti contratti di lavoro collettivi e aziendali in vigore in Italia prevedono la possibilità di
trasmissione ereditaria del posto di lavoro, il che non fa che rafforzare l'effetto diretto
dell'origine sociale, aumentando in misura significativa i tassi complessivi di immobilità
intergenerazionale. Nel nostro paese il processo di affermazione dell'universalismo sul
particolarismo sembra aver raggiunto una fase di stasi.
5. Studiare conta: note conclusive su istruzione e mobilità sociale
Nel complesso, il vantaggio competitivo “netto” fornito dall'istruzione supera ampiamente
quello offerto dall'origine sociale, sebbene questa in realtà continui ad influire in modo
significativo sui destini occupazionali. In Italia, l'effetto diretto esercitato dall'origine sociale
sul livello di istruzione è 0,39, che moltiplicato per il coefficiente che esprime la relazione
tra titolo di studio e classe di destinazione (0,57), otteniamo un nuovo valore, 0,22, che
esprime l'influenza indiretta tra titolo di studio e classe di destinazione sociale, una forza
non immediatamente visibile, ma che si fa sentire attraverso la disuguaglianza delle
opportunità di istruzione: infatti, la parte di disuguaglianza delle opportunità di mobilità
attribuibile all'effetto indiretto rappresenta oltre la metà della disuguaglianza totale, cioè
0,42: 0,22/0,42 x 100 = 52%. Nel 1985 il 13% più agiato della popolazione italiana
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possedeva quasi la metà delle lauree e il 30% dei diplomi esistenti.
Il sistema scolastico può rafforzare o indebolire in modo significativo il legame esistente tra
origine e destinazione sociale: se i meccanismi di partecipazione all'istruzione riflettono le
disuguaglianze sociali, il valore universalistico dei titoli di studio rafforzerà ulteriormente il
vantaggio competitivo delle classi più elevate.
La formula della disuguaglianza ci dice che la disuguaglianza complessiva delle
opportunità di mobilità sociale è la somma dell'effetto diretto della classe di origine con
l'effetto indiretto, cioè il prodotto della disuguaglianza delle opportunità educative
moltiplicata per il rendimento dei titoli di studio. Per quanto riguarda l'effetto diretto
dell'origine sociale, si tratta di un fenomeno fisiologico, che in Italia si può indebolire
riducendo le sue componenti più inique, come il nepotismo; l'effetto indiretto può essere
indebolito diminuendo la disuguaglianza delle opportunità educative, realizzando
pienamente quel “diritto allo studio” che farebbe sparire l'effetto sopracitato, più che
dimezzando di fatto le opportunità di mobilità, da 0,42 a 0,20.
CAPITOLO 4 – Sposarsi “Bene”
1. Matrimonio e mobilità sociale
Prendiamo in esame gli individui che non hanno mai partecipato alla forza lavoro retribuita,
ma si sono sposati con una persona occupata: la loro classe di destinazione può
essere appropriatamente derivata dall'occupazione svolta dai rispettivi coniugi (nel caso di
un campione formato esclusivamente da donne). In questo caso, dunque, analizzare i
processi di mobilità intergenerazionale significa confrontare l'occupazione dei padri delle
donne con quella dei loro mariti. In primo luogo, ci interessa sapere se le opportunità di
mobilità che esse esprimono sono equamente distribuite tra le donne coniugate senza
esperienza di lavoro oppure sono influenzate dalla loro classe di origine: se le scelte
matrimoniali fossero completamente indipendenti dall'origine sociale, la relazione tra
classe del padre e classe del marito sarebbe, fra le donne in questione, assolutamente
nulla. Le cose, in realtà, non stanno affatto così: l'intensità del legame esistente tra origine
e destinazione sociale risulta pari a 0,41: le opportunità di matrimonio e dunque di mobilità
sociale dipendono in misura significativa dalla classe del padre. Uomini e donne con
esperienza di lavoro risultano leggermente meno immobili e mostrano qualche probabilità
in più di essere mobili in senso ascendente rispetto alle loro sorelle coniugate senza
esperienza di lavoro. Tuttavia, i meccanismi sperequativi che regolano le scelte
matrimoniali e quelle occupazionali producono risultati identici.
L'immagine complessiva della disuguaglianza tra classi in termini di opportunità di mobilità
non dovrebbe cambiare in modo sostanziale adottando un approccio di tipo familiare,
definendo cioè la classe di destinazione degli individui sposati tenendo conto
congiuntamente tanto della loro occupazione, quanto di quella del coniuge. Una
sostanziale somiglianza fra gli esiti dei processi di mobilità mediati dal matrimonio e quelli
mediati dal mercato del lavoro è stata osservata anche in altre società: in Inghilterra e Stati
Uniti, tuttavia, le donne hanno maggiori opportunità relative di mobilità via matrimonio che
via occupazione.
2. Nozze di classe: il ruolo dell'omogamia sociale
La scelta del coniuge avviene nell'ambito di quello che gli studiosi chiamano “mercato
matrimoniale”. Le doti in gioco possono essere di diversi tipi, ma al sociologo interessa
soprattutto considerare il ruolo svolto dalle risorse socioeconomiche (intese come fonte
primaria di benessere materiale, che si tenta di massimizzare nella scelta del coniuge:
omogamia sociale, derivante dalla tendenza dei benestanti a sposarsi tra “simili”) e da
quelle culturali (valori e opinioni simili, che spingono ancora di più all'omogamia, dal
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momento che le persone tenderanno a scegliere coniugi dotati di un titolo di studio simile
al proprio). Tendenze confermate dai dati: più di un terzo delle coppie sono perfettamente
omogame: sono formate da coniugi che appartengono alla stessa classe occupazionale e
possiedono lo stesso titolo di studio, e una sola coppia su 5 è formata da coniugi
socialmente eterogenei (entro certi limiti, per giunta) sia sul piano occupazionale che
educativo. Circa l'80% delle borghesi scelgono un coniuge “all'altezza”, mentre solo l'8%
sceglie un individuo della classe operaia.
La disuguaglianza complessiva delle opportunità di mobilità sociale tende ad essere
maggiore nei paesi dove esiste una propensione all'omogamia educativa superiore alla
media, e viceversa; in Italia, si riscontra un livello di omogamia tra i più elevati.
CAPITOLO 5 – Le conseguenze della mobilità sociale
1. Classi, fluidità e ordine sociale
Effetti macro (a livello dell'intera società) della mobilità sociale: due tesi:


La mobilità sociale è una fonte di stabilità sociale: Karl Marx sosteneva nel Capitale
che quando più di una classe è capace di assimilare i membri migliori delle classi
dominate, tanto più solido e pericoloso diventa il suo dominio: da un lato, la mobilità
funge da “valvola di sicurezza” dell'ordine sociale, perchè attenua alcune delle
tensioni generate dalle disuguaglianze di classe, dando alle classi inferiori la
possibilità di accedere alle classi medie e superiori, risolvendo naturalmente la
propria condizione di svantaggio iniziale. In una società tendenzialmente immobile,
ogni classe recluterà i suoi membri prevalentemente al suo interno, godendo di un
alto grado di omogeneità: i membri di ciascuna classe avranno contatti soprattutto
con i propri simili, tendendo così a sviluppare un certo senso di solidarietà
reciproca; se invece la mobilità è elevata, gli individui tenderanno a muoversi più o
meno liberamente tra le diverse classi, attenuando il loro naturale antagonismo;
La mobilità può essere fonte di instabilità sociale (tesi dello sradicamento):
muoversi da una classe all'altra implica innanzitutto la necessità di abbandonare la
propria classe di origine e, con essa, buona parte delle proprie relazioni sociali
primarie e l'integrazione può essere lunga e difficile. Sebbene chi sale, in genere,
ha forti motivazioni a integrarsi nella nuova classe sociale, avrà problemi a farlo,
perchè coloro che già ne facevano parte potrebbero essergli ostili, mentre chi
scende, stenta ad integrarsi, principalmente perchè la discesa non era voluta: in
ogni caso di mobilità sociale, si corre il rischio di cadere in una forma di isolamento
sociale, con conseguenze rilevanti sui loro comportamenti. Chi sale, tenterà così di
aderire agli stili di vita e ai comportamenti tipici della classe di destinazione,
sperando di venire così accettato dai membri già presenti in quest'ultima; le
persone mobili in senso discendente tendono invece a rifiutare queste consuetudini
e conformismi sociali, aderendo in modo ancora più convinto alla classe di origine.
2. Mobilità sociale e orientamento politico (effetti micro, cioè relativi al singolo individuo)
In tutte le società avanzate esiste una certa relazione tra classe sociale di appartenenza e
preferenze politiche: così i membri delle classi più elevate saranno più vicini al centrodestra, quelli inferiori saranno indirizzati verso la sinistra. Individuando l'orientamento
politico “tipico” dei membri socialmente immobili di ciascuna classe e assumendolo come
valore di riferimento, possiamo rilevare in che misura e in che direzione gli individui mobili
si discostano da questo benchmark, tanto nella classe di origine, quanto in quella di
destinazione. Consideriamo l'orientamento politico delle persone mobili come una media
ponderata dell'orientamento tipico di origine e di destinazione, usando come pesi le
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percentuali di un certo orientamento nelle due classi in questione. In termini più generali,
quando si analizza la relazione tra mobilità e orientamento politico esistente in una
determinata società in un certo periodo, bisogna determinare empiricamente l'influenza
relativa esercitata dalla classe di origine e da quella di destinazione sull'orientamento
politico medio degli individui socialmente mobili. Gli studiosi a questo proposito hanno
formulato essenzialmente tre tipi di ipotesi:



“Teoria economica del voto”: gli individui tendono a votare il partito che tutela meglio
i loro interessi di classe;
Le preferenze politiche si formano durante l'adolescenza interagendo con i membri
del gruppo di riferimento, e sarà dunque più simile a quello tipico della sua classe di
origine, inizialmente; tuttavia, in seguito l'individuo mobile si adatterà sempre di più
a valori e stili di vita tipici della sua nuova classe (“risocializzazione”);
le persone che cambiano la propria posizione sociale tendono ad adottare l'identità
più prestigiosa, dunque gli individui socialmente mobili tenderanno a votare a destra
e, pertanto, tassi elevati di mobilità sociale possono contribuire ad aumentare i
consensi di natura conservatrice.
Gli studi più recenti, tuttavia, con analisi più sofisticate, hanno mostrato che la tesi
vincente è quella della risocializzazione. Per quanto riguarda l'Italia, le uniche analisi
pubblicate negli ultimi anni hanno prodotto risultati che tendono a confermare la validità di
quest'ipotesi: la mobilità ascendente sposta verso destra l'orientamento politico
dell'individuo mobile, mentre quella discendente lo sposta verso sinistra.
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