lOMoARcPSD|1230207 Riassunto "Mobilita' Sociale" di M.Pisati Sociologia della famiglia e delle differenze di genere (Università di Bologna) Studocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo. Scaricato da Matteo Palazzoni ([email protected]) lOMoARcPSD|1230207 LA MOBILITA' SOCIALE CAPITOLO 1 – Lo studio della mobilità sociale, concetti di base. 1. Definizione e interrogativi In linea generale la mobilità sociale può essere definita come il processo mediante il quale gli individui si muovono fra diverse posizioni sociali all'interno della società a cui appartengono. Occorre definire le posizioni sociali tra le quali gli individui si muovono, e le caratteristiche dello stato sociale entro il quale i movimenti si verificano, nonché i movimenti stessi. 2. Lo spazio sociale e i suoi luoghi La disuguaglianza sociale può essere definita come il fenomeno per cui, all'interno di una data società, posizioni sociali diverse offrono a coloro che le occupano diversi schemi di risorse che, a loro volta, si traducono in differenti opportunità di vita (ovvero quelle che, senso lato, determinano la qualità della vita di ognuno). Il godimento di queste opportunità non è uguale per tutti: la capacità di goderne dipende dal sistema di risorse di cui si dispone, che dipende a sua volta dalla posizione sociale che si occupa all'interno della propria società. Occorre disegnare una “mappa” di queste posizioni sociali, vale a dire mettere in luce il sistema di stratificazione sociale, identificando i meccanismi responsabili della distribuzione diseguale delle risorse. I sociologi sono generalmente sono d'accordo nel ritenere che la maggior parte delle disuguaglianze più rilevanti derivano dalla “divisione sociale del lavoro”: posizioni occupazionali diverse offrono ai loro detentori sistemi di risorse diversi(disuguaglianza occupazionale), e il sistema complessivo di risorse di cui dispone ciascun individuo dipende in gran parte dalla sua posizione occupazionale. In secondo luogo, altre caratteristiche individuali come sesso, età, etnia... di fatto esercitano il loro effetto sulla disuguaglianza sociale proprio attraverso l'occupazione, sotto forma di influenza sulle opportunità di accedere alle diverse posizioni. Nella nostra società, esiste dunque una sostanziale sovrapposizione tra disuguaglianze occupazionali e sociali, dunque si può affermare che l'occupazione è di fatto l'indicatore principale della posizione sociale di un individuo. A sostegno di questa tesi, ricordiamo che l'individuo si deve poter muovere all'interno dello spazio sociale, impossibile se i “canali” di mobilità sociale sono attributi biologici, mentre l'occupazione può cambiare nel corso della vita. 3. Quante (e quali) posizioni sociali? Per studiare la mobilità sociale, i sociologi raggruppano, per semplicità, le migliaia di occupazioni dettagliate in un certo numero di “classi occupazionali”. La scelta dei criteri per definire queste classi è oggetto di dibattito tra gli studiosi: da un lato, i “funzionalisti”, che affermano che le occupazioni si differenziano in base all'importanza funzionale che rivestono per la società: in questo modo la disuguaglianza occupazionale è un modo per la società di assicurare che le posizioni più importanti siano occupate dalle persone più qualificate, attraverso un sistema di ricompense. In questo caso classificare le occupazioni consiste in una divisione della struttura occupazionale in classi il cui reddito o prestigio è compreso in un certo intervallo, e ne è il discriminante. dall'altro, i “relazionali”, per i quali il carattere distintivo delle occupazioni è la loro situazione di lavoro tipica, cioè la loro collocazione all'interno del sistema di Scaricato da Matteo Palazzoni ([email protected]) lOMoARcPSD|1230207 relazioni sociali: in questo modo, lo spazio sociale in cui si muovono gli individui tenderà ad essere articolato in un numero limitato di posizioni sociali, chiaramente distinte in termini di situazione di lavoro. A livello internazionale attualmente la maggior parte di coloro che studiano la mobilità sociale utilizza uno schema di tipo relazionale, di ispirazione weberiana, elaborato da Erikson e Goldthorpe: esso prevede 11 classi nella sua versione più estesa (7 nella versione ristretta). La versione a 7 classi include la classe di servizio (tutte le occupazioni di livello medio-alto); la classe degli impiegati esecutivi; la piccola borghesia urbana; la piccola borghesia agricola; classe operaia urbana, divisa in 3: ad alto e a basso livello di qualificazione, e agricola. Sebbene abbia tutti i requisiti di una classificazione relazionale, questo schema possiede anche una evidente struttura gerarchica. 4.Individui e famiglie In ogni momento, qualsiasi società comprende un certo numero di individui che non partecipano attivamente alla forza lavoro, e la maggior parte degli individui sono membri di famiglie, all'interno delle quali possono esserci più lavoratori, occupando mansioni anche molto diverse. Per quanto riguarda gli individui non occupati, come bambini ed adolescenti, la cui posizione sociale viene derivata dalla posizione occupazionale di uno o entrambi i genitori, o di chi non lavora più, la cui posizione sociale è derivata dalla sua posizione occupazionale più recente. Per individui che hanno lasciato la famiglia ma non hanno ancora avuto un'occupazione retribuita, il lavoro domestico è considerato posizione occupazionale dagli studiosi, anche se, nella maggior parte dei casi, alle “casalinghe” viene assegnata la posizione sociale del coniuge occupato. Secondo il cosiddetto punto di vista “convenzionale”, l'unità di base del sistema di stratificazione sociale è la famiglia, e tutti i membri di una data famiglia, partecipando allo stesso sistema di risorse, occupano la stessa posizione sociale, cioè quella relativa all'occupazione del membro che partecipa al mercato del lavoro nel modo più stabile e continuo(generalmente il capofamiglia maschio). Si possono distinguere due orientamenti: L'approccio della dominanza (Erikson): la posizione sociale di una famiglia deve essere derivata dalla posizione del capofamiglia, cioè il coniuge con una posizione che possa essere considerata dominante in termini di tempo e posizione di lavoro; L'approccio della classificazione congiunta: la posizione sociale di ogni famiglia deve essere determinata tenendo contemporaneamente conto della posizione occupazionale del marito e della moglie, combinate in modo che ciascuna combinazione corrisponda ad una specifica posizione familiare. Questo approccio uguaglia sostanzialmente il contributo dei due coniugi al sistema di risorse famigliare, offrendo una rappresentazione più accurata delle differenze sociali e culturali tra le famiglie, ma può frammentare eccessivamente lo spazio sociale. Un terzo gruppo di studiosi, infine, sostiene che la posizione sociale di ogni persona adulta debba essere derivata dalla posizione che lui o lei occupa personalmente (o ha personalmente occupato) nella divisione sociale del lavoro: individui della stessa famiglia possono così occupare posizioni diverse. Le società non sono comunque fatte né da individui singoli né da famiglie singole, ma da individui in famiglie: conviene mantenere una posizione aperta, adeguando l'approccio al singolo problema di ricerca da risolvere. 5. La tavola di mobilità Scaricato da Matteo Palazzoni ([email protected]) lOMoARcPSD|1230207 Per analizzare i movimenti che gli individui compiono al suo interno nel corso della loro vita, costruiamo un “tavola di mobilità”, che vuole classificare gli individui oggetto di analisi in base alla posizione sociale da essi occupata in due momenti distinti della loro vita: la meno recente è detta “origine” (righe), la più recente “destinazione”(colonne). Distinguiamo tra tavole di mobilità intragenerazionale, i movimenti compiuti dagli individui nel corso della loro vita adulta: l'origine sarà la prima occupazione svolta; e tavole di mobilità intergenerazionale, in cui l'attenzione è rivolta ai movimenti lungo due generazioni contigue: genitori e figli. All'interno della tavola, c'è un insieme di celle, ognuna rappresentante una specifica combinazione di origine e destinazione, all'interno di ogni cella (i, j) è riportata una cifra, rappresentante il numero di individui che nell'arco di tempo considerato, si sono mossi dall'origine i alla destinazione j. Esistono 2 tipi di celle: diagonali, combinazioni di riga e colonna in cui origine e destinazione coincidono(immobilità sociale), ed extradiagonali, che rappresentano gli individui socialmente mobili. La mobilità sociale in senso stretto potrà a sua volta essere distinta tra ascendente (movimenti migliorativi della posizione sociale, regione triangolare in basso a sinistra nella tavola), oppure discendente (per i movimenti peggiorativi, al di sopra della diagonale principale). A livello globale, le opportunità di accedere a una posizione migliore di quella di partenza sono molto superiori a quelle di “scivolare” in una peggiore. La colonna supplementare (l'ultima a dx) rappresenta la distribuzione marginale delle origini: il numero di individui che al tempo t 0 occupavano le varie posizioni sociali; la riga supplementare (ultima in basso) riporta la distribuzione marginale delle destinazioni, il numero di individui che al tempo t1 occupavano le diverse posizioni dello spazio sociale. 6. Fluidità sociale e uguaglianza delle opportunità Una società è tanto più fluida o aperta quanto maggiori sono le opportunità che offre ai suoi membri di muoversi nello spazio sociale e, quindi, di modificare nel tempo le proprie condizioni di vita, e dunque la propria posizione sociale. Il fatto che la mobilità sociale sia resa “necessaria” dai cambiamenti che intervengono nella struttura occupazionale non toglie nulla alla sua genuinità, né al fatto che la sua presenza consente comunque alla società di godere di un certo grado di fluidità. Possiamo dunque considerare virtuosa la società che garantisce a tutti i suoi membri uguali opportunità di mobilità, indipendentemente dalla loro posizione sociale di partenza. Il principio liberale classico dell'”uguaglianza delle posizioni di partenza” non è mai stato osservato in nessuna società moderna. CAPITOLO 2 – Sulle orme del padre 1.Di padre in figlio: la trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze sociali L'ereditarietà sociale, ovvero la trasferibilità dei caratteri sociali da padre a figlio, è un fenomeno vecchio come il mondo. Già nelle società preindustriali, la struttura occupazionale cambiava piuttosto lentamente e, di conseguenza, gli individui non avevano molte possibilità di godere delle “inevitabili” opportunità di mobilità offerte dai mutamenti della sfera economica e produttiva. Sebbene nessuna epoca storica sia stata priva di una certa fluidità, le opportunità di mobilità sociale cominciarono a diffondersi in modo significativo e generalizzato solo con la nascita e lo sviluppo della società industriale: il processo di mutamento costante della struttura dello spazio sociale innescato dalla rivoluzione industriale generò numerose opportunità di mobilità per tutti: il vento del cambiamento cominciò ben presto a soffiare anche sui meccanismi che regolavano l'accesso alle diverse posizioni sociali. A partire dal XVII secolo, si sviluppò la tesi secondo la quale tutti gli individui in realtà nascono uguali e dotati degli stessi diritti, facendosi così strada una concezione universalista della società, secondo cui l'accesso alle diverse Scaricato da Matteo Palazzoni ([email protected]) lOMoARcPSD|1230207 posizioni sociali disponibili doveva dipendere più dalle competenze(pubblicamente certificate e riconosciute) in possesso perché ottenute con lo sforzo e il talento, che dallo status di origine. Questa visione volutamente meritocratica ha raggiunto il suo apice nel secondo dopoguerra, esprimendosi in tutte le società occidentali avanzate nel principio liberale dell'uguaglianza delle condizioni: ogni individuo ha diritto ad uguali possibilità di accedere a ciascuna posizione: dipenderà da lui e dalle sue capacità ottenerle o meno. 2. La mobilità intergenerazionale in Italia Lo schema utilizzato per classificare le occupazioni dei padri e quelle dei figli si articola in sei categorie: 1. Borghesia: imprenditori medio-grandi, liberi professionisti, dirigenti; 2. Classe media impiegatizia: dipendenti non manuali a livello medio-alto di qualificazione; 3. Piccola borghesia urbana: commercianti e artigiani; 4. Piccola borghesia agricola: proprietari e coadiuvanti famigliari dei fondi; 5. Classe operaia urbana: impiegati esecutivi di basso livello e lavoratori manuali; 6. Classe operaia agricola: lavoratori manuali dipendenti nel primario La maggior parte di figli di operai agricoli che hanno lasciato la classe di origine è finita nella classe operaia urbana(48,6%): non sono usciti dai confini del lavoro manuali. I figli mobili della piccola borghesia agricola sono diventati per lo più operai urbani o agricoli, ma non mancano i casi (21,1%) di individui giunti alla classe media impiegatizia. Dalla classe operaia urbana, il 45,1% degli individui è rimasto immobile, mentre i figli mobili della piccola borghesia urbana hanno avuto destino simile ai coevi operai. Per quanto riguarda i figli della classe media impiegatizia, la maggior parte (51,4%) è riuscita a mantenere la posizione ereditata, il 18,5% ha raggiunto posizioni più elevate, mentre i rimanenti hanno dovuto scendere di “grado”. In Italia dunque le opportunità di mobilità sono distribuite in modo diseguale e dipendono in misura significativa dalla classe di origine. Nella società italiana attuale risultano mobili rispetto ai padri poco meno di due terzi degli individui che lavorano: esiste dunque un apprezzabile grado di apertura sociale. Il processo di industrializzazione prima e quello di terziarizzazione poi hanno determinato da un lato la forte contrazione delle classi agricole e operaia urbana, dall'altro la crescita di pari passo dei classe media impiegatizia e borghesia: le opportunità di mobilità ascendente di cui hanno goduto i figli erano “inevitabili”: se si rendono disponibili posizioni in alto, non si può fare altro che abbandonare la classe di origine e salire. La tavola di mobilità non è in grado di dirci quanta fluidità sociale è frutto di “necessità” e quanta, invece, frutto di “virtù”. Tuttavia, a livello aggregato è utile e rilevante cercare di valutare l'apertura di una data società al netto degli effetti esercitati dai cambiamenti intervenuti nella struttura dello spazio sociale; ciò equivale a misurare il grado di disuguaglianza delle opportunità di mobilità intergenerazionale della società in esame, ovvero l'influenza esercitata dalla classe di origine sulle probabilità di accedere alle diverse posizioni sociali disponibili. Sono stati studiati proprio a questo scopo una serie di indicatori (analitici o sintetici) come il coefficiente concorrenziale medio: pari a zero: la classe di origine non offre in media vantaggi competitivi nell'accesso alla classe occupazionale in questione; positivo: la classe di origine è in media in vantaggio sulle altre classi; negativo: è in media in svantaggio rispetto alle altre classi Nella situazione ideale di uguaglianza delle opportunità di mobilità, ogni (sono tanti quante le celle nella tavola) coefficiente dovrebbe essere uguale a zero. Nel nostro paese le Scaricato da Matteo Palazzoni ([email protected]) lOMoARcPSD|1230207 opportunità sono distribuite in modo diseguale: sono fortemente influenzate dalla posizione sociale della famiglia in cui si nasce, soprattutto ai due estremi della scala sociale: le classi più elevate riescono ad assicurare ai propri figli un netto vantaggio per le posizioni più desiderabili e una protezione contro il rischio di scendere di rango, mentre per i figli delle famiglie più in basso nella scala sociale incontreranno molte difficoltà nella scalata. Comunque, l'influenza esercitata dalla classe di origine sulla probabilità di accedere alle diverse posizioni sociali disponibili non varia in misura rilevante secondo il sesso o la regione di residenza, tuttavia, a parità di classe di origine, le donne hanno maggiori opportunità di accedere alla classe media impiegatizia, mentre gli uomini hanno più probabilità di diventare borghesi, e le opportunità assolute di mobilità intergenerazionale variano sensibilmente secondo l'area geografica, in gran parte a causa di differenze regionali nelle distribuzioni occupazionali. Se teniamo sotto controllo queste ultime, possiamo ancora concludere che l'effetto esercitato dalla classe di origine sulle opportunità di mobilità è largamente lo stesso in tutte le regioni italiane. Volendo ancora misurare la mobilità intergenerazionale tra 6 indagini nazionali nell'arco di 35 anni dal 1963 al 1997, possiamo utilizzare tre indici: il tasso complessivo di mobilità sociale, che esprime la percentuale di individui che, al momento dell'indagine, appartenevano ad una classe occupazionale diversa dai padri, il tasso di mobilità strutturale, che offre una misura approssimativa della quantità di mobilità sociale “inevitabile”, infine, l'indice di disuguaglianza delle opportunità di mobilità, che esprime in modo sintetico l'influenza della classe del padre su quella del figlio. Notiamo che: Tra il 1963 e il 1968, la “necessità” ha prevalso sulla “virtù”, nel processo di creazione della fluidità sociale; Tra il 1968 e il 1972 la situazione si è invertita: la mobilità strutturale è calata leggermente, ma il suo effetto negativo sulla fluidità sociale è stato annullato e sopravanzato dalla diminuzione della disuguaglianza delle opportunità che, complessivamente, ha prodotto un leggero aumento della mobilità totale; Tra il 1972 e il 1975 questa scena si è ripetuta: alla fine, si è verificato un aumento della mobilità totale, dal 66% al 69%; Tra il 1975 e il 1985, abbiamo assistito ad un calo del tasso complessivo di mobilità sociale, dal 69% al 61%; Infine, tra il 1985 e il 1997 la mobilità strutturale è rimasta praticamente invariata. Nell'insieme, in Italia negli ultimi 30 anni, la mobilità strutturale ha seguito un andamento tendenzialmente decrescente. Nel secondo dopoguerra il nostro paese è stato protagonista di un profondo processo di modernizzazione, che tuttavia non ha portato con sé alcuna spinta verso una maggiore apertura della società. 3. Qualche confronto internazionale Nel 1959 i sociologi americani Lipset e Zetterberg, presero in esame 9 società industrializzate per le quali erano allora disponibili dati confrontabili (Danimarca, Francia, Germania Occidentale, Giappone, Gran Bretagna, Italia, Usa, Svezia e Svizzera), classificando le occupazioni degli individui a 3 categorie: lavoratori non manuali, manuali dell'industria e dei servizi e lavoratori agricoli. Essi giunsero alla conclusione che tutti e 9 i paesi erano caratterizzati da tassi elevati e sostanzialmente simili di mobilità intergenerazionale (intorno al 30%). A questo proposito, i due studiosi misero in luce alcune caratteristiche comuni tra le società esaminate, in particolare: i mutamenti della struttura occupazionale: le società industriali sono economie in espansione, manifestando un crescente bisogno di manager per le questioni dirigenziali e amministrative: i figli di operai svolgeranno quasi tutti impieghi di natura impiegatizia, spingendo verso l'alto i tassi di mobilità sociale; Scaricato da Matteo Palazzoni ([email protected]) lOMoARcPSD|1230207 la diminuzione delle posizioni sociali acquisibili per via ereditaria: nella società industriale l'impresa famigliare lascia progressivamente il posto a quella di tipo burocratizzato: di conseguenza, l'ereditarietà delle posizioni sociali viene meno, a favore di metodi di selezione formale. Lipset e Zetterberg conclusero dunque che, nel complesso, tutte le moderne società industriali sono aperte, hanno tassi di mobilità relativamente elevati e tendono a regolare l'accesso alle diverse posizioni sociali in base a criteri meritocratici: è il funzionalismo tecnologico, secondo cui le economie avanzate esigono una standardizzazione delle strutture sociali, tendendo a convergere verso un modello unico di sviluppo. In questo ambito si possono distinguere due correnti di pensiero: tutte le società avanzate sono caratterizzate da regimi di mobilità molto simili, sebbene in senso diverso rispetto a quanto teorizzato (1975, Featherman, Jones, Hauser): i tassi complessivi di mobilità non sono simili ovunque, perché le società avanzate hanno strutture occupazionali diverse, e offrono dunque opportunità di mobilità assolute tutt'altro che simili tra loro, sebbene si possa notare che tenendo “sotto controllo” le differenze, si può constatare una sostanziale somaglianza tra i regimi di mobilità di tutte le società caratterizzate da un'economia di mercato e da un sistema famigliare di tipo nucleare. In paesi come Usa, Canada e Australia, società “nuove”, la meritocrazia ha un ruolo primario, a scapito delle origini sociali, contrariamente a quanto avviene in Europa, e nei paesi occidentali dove la sinistra ha avuto più a lungo il potere le differenze tra le classi in termini di mobilità sono minori, in virtù di politiche di tipo perequativo. Negli anni '80 i sociologi Erikson e Goldthorpe hanno scoperto che, mentre i tassi assoluti di mobilità variano significativamente da società a società in funzione delle differenti strutture occupazionali, i regimi di mobilità relativa di tutte le nazioni analizzate condividono un ampio nucleo comune che li rende in gran parte simili. Tuttavia, trovarono anche che queste peculiarità nazionali svolgono un ruolo minore rispetto al nucleo comune e non mostrano alcun carattere di sistematicità, nel senso che non sono riconducibili a “tipi” di società ben definiti, bensì sembrano derivare da specificità storiche, culturali e istituzionali dei diversi paesi. In realtà, le differenze di cui sopra sono ben più ampie di quanto i due sociologi abbiano voluto ammettere: considerando 24 paesi in tutto il mondo, questi variano ampiamente in termini sia di tasso complessivo di mobilità (dal 51,5% spagnolo al 74,8% israeliano), che di livello complessivo di disuguaglianza delle opportunità di mobilità (dal -2,5 di Israele al 3,2 danese). Tale disuguaglianza risulta tuttavia essere minore per le società “nuove”, nei paesi socialdemocratici scandinavi e nei paesi ex URSS, maggiore nelle società conservatrici dell'Europa occidentale. Il passaggio dalla società preindustriale alla società moderna ha determinato una netta espansione delle opportunità di mobilità, sebbene Erikson e Goldthorpe siano giunti alla conclusione che durante il XX secolo la fluidità delle società avanzate abbia seguito un andamento temporale analogo al caso italiano, senza tendenza nettamente ascendenti né discendenti, contraddicendo così le aspettative della teoria liberale, che afferma che l'evoluzione delle società industriali avrebbe determinato un costante aumento della fluidità sociale. Le conclusioni dei due sociologi hanno suscitato ulteriori analisi, tra cui quella firmata da Ganzeboom, Luijkx e Treiman, che ha messo in luce l'esistenza di una tendenza secolare generalizzata verso una crescente fluidità sociale, essenzialmente dovuta a una costante diminuzione della disuguaglianza delle opportunità di mobilità. 4. Mobilità di carriera e traiettorie sociali Scaricato da Matteo Palazzoni ([email protected]) lOMoARcPSD|1230207 I percorsi che gli individui seguono per raggiungere una data destinazione sociale possono essere molto diversi, generalmente divisi in una serie di tappe che ne formano la carriera lavorativa. Per analizzare questi percorsi facciamo uso di rappresentazioni semplificate, considerando una sola tappa intermedia, la prima occupazione: confrontiamo così la posizione di classe occupata all'ingresso nel mercato del lavoro con l'occupazione svolta 10 anni dopo: il tasso complessivo di mobilità intergenerazionale è molto più basso del corrispondente tasso di mobilità intergenerazionale. Questa elevata rigidità delle carriere è confermata dal fatto che, indipendentemente dalla classe di origine, la destinazione più probabile coincide sempre con la classe di ingresso stessa. Inoltre, gli individui mobili seguono percorsi piuttosto definiti, nei loro movimenti. L'osservazione ci consegna un'immagine di rigidità. Un certo grado di “vischiosità” dei processi di mobilità intergenerazionale, però, è normale e riflette semplicemente l'esistenza di linee di carriera be definite. A questo proposito, è stato osservato che i percorsi di carriera seguiti dagli individui vengono plasmati dagli “effetti inerziali” esercitati da investimenti professionali specifici e da altre risorse specializzate, per incentivare gli individui a mantenere la loro posizione occupazionale iniziale o, comunque, a rimanere all'interno di una data famiglia di occupazioni, e anche volendo cambiare posizione, tenderanno a sceglierne una che richieda le stesse risorse specializzate. In Italia, sono relativamente pochi gli individui che si muovono lungo la scala sociale, e quasi sempre è un movimento ascendente per non più di un gradino. In Inghilterra, invece, chi sale lo fa raggiungendo altezze più elevate: il 50% degli inglesi che salgono nella scala sociale lo fa per più di un gradino, contro il 25% italiano. Individuiamo 5 categorie di individui entrati in questo secolo nel mercato del lavoro: Immobili: sia rispetto al padre, che nel corso della propria vita lavorativa (43%, soprattutto figli di classe media impiegatizia e operai); Mobili con ritorno alle origini: cominciano con una classe diversa rispetto al padre, ma vi ritornano nel corso della propria vita lavorativa (6%, soprattutto borghesi); Mobili all'ingresso della forza lavoro: cominciano con classe diversa dal padre, rimangono immobili nel corso della propria vita lavorativa (32%, di cui più di metà in senso discendente); Mobili durante la vita lavorativa: cominciano nella stessa classe del padre, cambiano durante la vita lavorativa (12%, 10% in senso ascendente); Supermobili: cominciano con una classe diversa dal padre, finiscono in un'altra ancora (7%). In conclusione, combinando l'analisi intergenerazionale con quella intragenerazionale, si ottiene un'immagine dello spazio sociale italiano persistentemente “vischiosa”. CAPITOLO 3 – Studiare conta? 1. La riproduzione delle disuguaglianze: uno sguardo ai meccanismi A parità di talenti e abilità personali, chi, in virtù della posizione sociale della famiglia di origine, si trova in una situazione di vantaggio, avrà maggiori chances di “arrivare primo” e conseguire le posizioni migliori; al contrario, coloro che partono in svantaggio faranno fatica a recuperare il distacco iniziale, dovendosi così accontentare di un piazzamento arretrato. La differenza consta essenzialmente nelle diverse risorse a disposizione dei figli delle diverse classi. Poiché per certificare meriti e capacità nelle società avanzate è necessario un titolo di studio, la via universalista per ottenere l'uguaglianza delle opportunità consiste nel garantire ad ogni individuo pari possibilità di accesso all'istruzione, ipotesi tuttavia non ancora realizzata, nonostante i numerosi tentativi. Scaricato da Matteo Palazzoni ([email protected]) lOMoARcPSD|1230207 Ciascuna classe di origine mette a disposizione dei figli tre tipi di risorse: Economiche: il denaro e la proprietà dei mezzi produttivi; Culturali: in primis, il liv. di istruzione dei genitori e dei consumi culturali in famiglia; Sociali: la rete di relazioni in cui la famiglia è inserita. Ogni processo di mobilità sociale è configurato in due fasi: 1. Gli individui conseguono un livello di istruzione certificato da un titolo di studio, utilizzando le risorse a disposizione in virtù della famiglia di origine. Le opportunità che gli individui hanno di conseguire un titolo di studio più o meno elevato dipendono in modo significativo dalle risorse che ciascuno può ottenere da quest'ultima; 2. Gli individui accedono al mercato del lavoro e, seguendo una determinata carriera, raggiungono la propria classe di destinazione. Questo stadio è rappresentato da due azioni: la prima esprime l'azione dei principi universalistici e meritocratici di selezione sociale, indicandoci che le opportunità di accedere alle varie posizioni occupazionali dipendono dal livello di istruzione posseduto; la seconda sottolinea che indipendentemente dal livello di istruzione posseduto, la classe sociale di origine influisce direttamente sulle opportunità di accesso alle varie posizioni occupazionali, soprattutto mediante l'azione delle risorse economiche e sociali. L'influenza totale esercitata dalla classe di origine sulla classe di destinazione può essere espressa con la seguente formula: Influenza totale = Influenza diretta + Influenza indiretta, dove: Influenza diretta = effetto della seconda forza del secondo stadio Influenza indiretta = effetto della prima forza del secondo stadio x effetto dell'influenza della classe d'origine sul livello di istruzione. In una società perfettamente universalista e meritocratica l'influenza totale della classe di origine su quella di destinazione sarebbe pari a zero in quanto il legame tra istruzione e posizione occupazionale sarebbe certamente positivo, ma gli altri due effetti coinvolti sarebbero nulli. Nella misura in cui gli effetti di cui sopra non sono più nulli ma assumono un carattere sperequativo, l'influenza totale dell'origine sulla destinazione sociale viene ad avere un valore maggiore di zero. 2. La disuguaglianza delle opportunità di istruzione L'articolo 34 della Costituzione afferma che le opportunità di conseguire i diversi titoli di studio devono dipendere esclusivamente dai talenti e dalle capacità individuali, e non dall'origine sociale. Per far sì che ciò avvenga, bisogna eliminare la disuguaglianza delle condizioni di partenza, fornendo agli individui “privi di mezzi” le risorse economiche necessarie. Tuttavia, tra l'affermazione del principio e la sua affermazione concreta esiste un divario non indifferente, e come dimostrano le statistiche, le probabilità di conseguire i vari titoli di studio previsti dal nostro ordinamento scolastico variano in misura significativa secondo la classe di origine, infatti man mano che si sale lungo la gerarchia sociale la probabilità di conseguire una laurea aumenta. La partecipazione al sistema scolastico comporta una serie di costi, crescenti all'aumentare dell'altezza del titolo di studio da conseguire, tra cui anche i costiopportunità. Pertanto, il livello di istruzione conseguito dipenderà dalle risorse economiche ricavabili dalla propria famiglia di origine e/o da forme di sussidio pubbliche o private. Le Scaricato da Matteo Palazzoni ([email protected]) lOMoARcPSD|1230207 risorse economiche, in ogni caso, non esauriscono l'impatto dell'origine sociale sulle opportunità di istruzione, che è influenzata anche dalle risorse culturali presenti in famiglia: così, i figli di genitori di bassa classe occupazionale, ma dotati di un titolo di studio medioalto, possono comunque conseguire un titolo di studio elevato, in certi casi. In Italia, indipendentemente dalla classe occupazionale del padre i figli di diplomati e laureati hanno sempre maggiori probabilità di diplomarsi o laurearsi a loro volta. Se a livello aggregato risulta che i figli della borghesia hanno maggiori oppotunità di conseguire un diploma o una laurea rispetto ai figli della classe media impiegatizia è perchè nella prima classe i genitori diplomati e laureati hanno un peso doppio rispetto a quello che rivestono nella seconda. A parità di titolo di studio del padre, tuttavia, gli effetti “netti” della classe occupazionale tornano a farsi sentire: dunque, classe occupazionale e titolo di studio del padre agiscono insieme nel determinare il livello di studio dei figli. Nel nostro paese, il sostegno al “diritto allo studio” è rimasto in gran parte lettera morta: tutto ciò che è stato fatto è l'innalzamento dell'obbligo scolastico e la liberalizzazione all'accesso all'università. La distribuzione totale dei titoli di studio può variare nel tempo, diventando anche più ugualitaria, senza che i meccanismi di allocazione dei titoli di studio si modifichino. In Italia, infatti, le riforme hanno ampliato l'accesso a tutti i livelli di istruzione, ma essendo rimaste immutate le differenze socio-economiche e i loro effetti, dalle nuove opportunità hanno tratto vantaggio tutte le classi indistintamente, anche quelle superiori: la torta dell'istruzione si è allargata, ma a ognuno è rimasta la stessa proporzione. Occorrerebbe dunque un un intervento veramente incisivo sulle disparità economiche, offrendo agli individui “capaci e meritevoli” ma “privi di mezzi” le risorse necessarie a raggiungere un livello di istruzione almeno adeguato. 3. Dalla scuola al lavoro: il rendimento dell'istruzione Quanto più elevato è il titolo di studio ottenuto da un individuo, tanto maggiori saranno le capacità che gli sono riconosciute e, pertanto, tanto migliore sarà la posizione occupazionale alla quale egli accederà. Distinguiamo tra almeno 3 attori fondamentali: gli individui che desiderano partecipare al mercato del lavoro (offerta), i datori di lavoro (domanda) e il sistema scolastico. L'istruzione è un investimento, quindi chi “investe” (l'offerta) vuole massimizzarne il rendimento, scegliendo un percorso occupazionale più possibile congruente con la sua formazione scolastica. I datori di lavoro, dal canto loro, sceglieranno le persone più consone alle mansioni da assegnare loro, considerandone il titolo di studio posseduto. Quest'ultimo talvolta è valutato unicamente come possesso di abilità professionali specifiche, altrimenti come misura del grado di “addestrabilità” e adattabilità dell'individuo, con un sistema di valutazione largamente influenzato dal sistema scolastico vigente. A questo proposito, i sociologi hanno individuato tre dimensioni per classificare i vari sistemi scolastici: Livello di standardizzazione: esprime il grado di uniformità con il quale l'istruzione viene amministrata e impartita nelle scuole sul territorio nazionale; Livello di stratificazione dell'istruzione secondaria: esprime il grado di differenziazione degli indirizzi di scuola media superiore: è tanto più ampia quanto più precoce è la scelta imposta allo studente; Livello di specificità professionale dell'istruzione secondaria: esprime il grado in cui gli studenti che completano la scuola media superiore acquisiscono una preparazione tecnico-professionale specifica immediatamente spendibile nel mercato del lavoro. Innanzitutto, il ruolo svolto dalle credenziali educative nel processo di reclutamento è tanto più importante quanto più il sistema scolastico vigente è stratificato e standardizzato, mentre il legame tra titolo di studio e posizione occupazionale risulta generalmente più stretto all'aumentare della specificità professionale dell'istruzione secondaria. Scaricato da Matteo Palazzoni ([email protected]) lOMoARcPSD|1230207 Alla luce di tutto questo, l'influenza complessiva del livello di istruzione sulle opportunità di accesso alle classi occupazionali crescerà all'aumentare del livello delle tre dimensioni . In Italia il titolo di studio posseduto influisce in modo particolarmente rilevante sulle opportunità di lavoro degli individui: infatti, il possesso di una laurea garantisce quasi sicuramente l'accesso alle prime due classi, rispettivamente per il 40% e il 56,3%, diminuendo considerevolmente le possibilità di occupare le posizioni sociali inferiori. Dai trent'anni in poi tuttavia i differenziali di rendimento economico dell'istruzione diventano sempre più rilevanti. 4. Particolarismo o universalismo? La relazione tra titolo di studio e occupazione non tiene conto di eventuali effetti diretti esercitati dalla classe di origine. Nella ricerca del posto di lavoro gli individui infatti mettono in gioco anche le risorse economiche e sociali ricavabili direttamente dalla classe di origine. La percentuale di laureati che riescono a diventare borghesi diminuisce più o meno regolarmente mano a mano che si scendono i gradini della gerarchia sociale. In generale, possiamo affermare che l'influenza diretta esercitata dalla classe di origine sulla classe di destinazione dipende essenzialmente dalle risorse economiche e sociali che ogni famiglia riesce a fornire ai propri figli in aggiunta al titolo di studio. In effetti, in Italia l'origine sociale esercita un sostanziale effetto diretto (indipendente cioè dal titolo di studio posseduto) sulla probabilità di accedere alle diverse classi di destinazione: se questo effetto supera l'influenza del titolo di studio, il sistema di stratificazione sociale si basa essenzialmente su criteri particolaristici, selezionando dunque gli individui in base alla loro condizione di nascita. Viceversa, si può definire universalistico il sistema di stratificazione sociale. Nel nostro paese, i criteri universalistici di selezione sociale prevalgono su quelli particolaristici: i laureati sono i più avvantaggiati: indipendentemente dalla loro origine sociale, sono più avvantaggiati di qualunque altro nella competizione per l'accesso alle posizioni di vertice della gerarchia sociale; tuttavia, al diminuire del livello di istruzione, l'influenza dell'origine sociale si fa sempre più importante, e i figli di borghesi sono quasi sempre in vantaggio per l'accesso alla borghesia, indipendentemente dal livello di istruzione posseduto. La prevalenza dei criteri universalistici è riscontrabile più o meno in tutti i paesi avanzati, sebbene in Italia le selezioni sociali per chi ha un titolo di studio inferiore alla laurea sono più orientate verso criteri particolaristici, rispetto ad altri stati industrializzati, come poc'anzi detto. Questo perchè nel nostro paese la classe di origine influenza le opportunità anche mediante meccanismi di stampo nepotistico: in particolare, alcuni studiosi hanno osservato che molti contratti di lavoro collettivi e aziendali in vigore in Italia prevedono la possibilità di trasmissione ereditaria del posto di lavoro, il che non fa che rafforzare l'effetto diretto dell'origine sociale, aumentando in misura significativa i tassi complessivi di immobilità intergenerazionale. Nel nostro paese il processo di affermazione dell'universalismo sul particolarismo sembra aver raggiunto una fase di stasi. 5. Studiare conta: note conclusive su istruzione e mobilità sociale Nel complesso, il vantaggio competitivo “netto” fornito dall'istruzione supera ampiamente quello offerto dall'origine sociale, sebbene questa in realtà continui ad influire in modo significativo sui destini occupazionali. In Italia, l'effetto diretto esercitato dall'origine sociale sul livello di istruzione è 0,39, che moltiplicato per il coefficiente che esprime la relazione tra titolo di studio e classe di destinazione (0,57), otteniamo un nuovo valore, 0,22, che esprime l'influenza indiretta tra titolo di studio e classe di destinazione sociale, una forza non immediatamente visibile, ma che si fa sentire attraverso la disuguaglianza delle opportunità di istruzione: infatti, la parte di disuguaglianza delle opportunità di mobilità attribuibile all'effetto indiretto rappresenta oltre la metà della disuguaglianza totale, cioè 0,42: 0,22/0,42 x 100 = 52%. Nel 1985 il 13% più agiato della popolazione italiana Scaricato da Matteo Palazzoni ([email protected]) lOMoARcPSD|1230207 possedeva quasi la metà delle lauree e il 30% dei diplomi esistenti. Il sistema scolastico può rafforzare o indebolire in modo significativo il legame esistente tra origine e destinazione sociale: se i meccanismi di partecipazione all'istruzione riflettono le disuguaglianze sociali, il valore universalistico dei titoli di studio rafforzerà ulteriormente il vantaggio competitivo delle classi più elevate. La formula della disuguaglianza ci dice che la disuguaglianza complessiva delle opportunità di mobilità sociale è la somma dell'effetto diretto della classe di origine con l'effetto indiretto, cioè il prodotto della disuguaglianza delle opportunità educative moltiplicata per il rendimento dei titoli di studio. Per quanto riguarda l'effetto diretto dell'origine sociale, si tratta di un fenomeno fisiologico, che in Italia si può indebolire riducendo le sue componenti più inique, come il nepotismo; l'effetto indiretto può essere indebolito diminuendo la disuguaglianza delle opportunità educative, realizzando pienamente quel “diritto allo studio” che farebbe sparire l'effetto sopracitato, più che dimezzando di fatto le opportunità di mobilità, da 0,42 a 0,20. CAPITOLO 4 – Sposarsi “Bene” 1. Matrimonio e mobilità sociale Prendiamo in esame gli individui che non hanno mai partecipato alla forza lavoro retribuita, ma si sono sposati con una persona occupata: la loro classe di destinazione può essere appropriatamente derivata dall'occupazione svolta dai rispettivi coniugi (nel caso di un campione formato esclusivamente da donne). In questo caso, dunque, analizzare i processi di mobilità intergenerazionale significa confrontare l'occupazione dei padri delle donne con quella dei loro mariti. In primo luogo, ci interessa sapere se le opportunità di mobilità che esse esprimono sono equamente distribuite tra le donne coniugate senza esperienza di lavoro oppure sono influenzate dalla loro classe di origine: se le scelte matrimoniali fossero completamente indipendenti dall'origine sociale, la relazione tra classe del padre e classe del marito sarebbe, fra le donne in questione, assolutamente nulla. Le cose, in realtà, non stanno affatto così: l'intensità del legame esistente tra origine e destinazione sociale risulta pari a 0,41: le opportunità di matrimonio e dunque di mobilità sociale dipendono in misura significativa dalla classe del padre. Uomini e donne con esperienza di lavoro risultano leggermente meno immobili e mostrano qualche probabilità in più di essere mobili in senso ascendente rispetto alle loro sorelle coniugate senza esperienza di lavoro. Tuttavia, i meccanismi sperequativi che regolano le scelte matrimoniali e quelle occupazionali producono risultati identici. L'immagine complessiva della disuguaglianza tra classi in termini di opportunità di mobilità non dovrebbe cambiare in modo sostanziale adottando un approccio di tipo familiare, definendo cioè la classe di destinazione degli individui sposati tenendo conto congiuntamente tanto della loro occupazione, quanto di quella del coniuge. Una sostanziale somiglianza fra gli esiti dei processi di mobilità mediati dal matrimonio e quelli mediati dal mercato del lavoro è stata osservata anche in altre società: in Inghilterra e Stati Uniti, tuttavia, le donne hanno maggiori opportunità relative di mobilità via matrimonio che via occupazione. 2. Nozze di classe: il ruolo dell'omogamia sociale La scelta del coniuge avviene nell'ambito di quello che gli studiosi chiamano “mercato matrimoniale”. Le doti in gioco possono essere di diversi tipi, ma al sociologo interessa soprattutto considerare il ruolo svolto dalle risorse socioeconomiche (intese come fonte primaria di benessere materiale, che si tenta di massimizzare nella scelta del coniuge: omogamia sociale, derivante dalla tendenza dei benestanti a sposarsi tra “simili”) e da quelle culturali (valori e opinioni simili, che spingono ancora di più all'omogamia, dal Scaricato da Matteo Palazzoni ([email protected]) lOMoARcPSD|1230207 momento che le persone tenderanno a scegliere coniugi dotati di un titolo di studio simile al proprio). Tendenze confermate dai dati: più di un terzo delle coppie sono perfettamente omogame: sono formate da coniugi che appartengono alla stessa classe occupazionale e possiedono lo stesso titolo di studio, e una sola coppia su 5 è formata da coniugi socialmente eterogenei (entro certi limiti, per giunta) sia sul piano occupazionale che educativo. Circa l'80% delle borghesi scelgono un coniuge “all'altezza”, mentre solo l'8% sceglie un individuo della classe operaia. La disuguaglianza complessiva delle opportunità di mobilità sociale tende ad essere maggiore nei paesi dove esiste una propensione all'omogamia educativa superiore alla media, e viceversa; in Italia, si riscontra un livello di omogamia tra i più elevati. CAPITOLO 5 – Le conseguenze della mobilità sociale 1. Classi, fluidità e ordine sociale Effetti macro (a livello dell'intera società) della mobilità sociale: due tesi: La mobilità sociale è una fonte di stabilità sociale: Karl Marx sosteneva nel Capitale che quando più di una classe è capace di assimilare i membri migliori delle classi dominate, tanto più solido e pericoloso diventa il suo dominio: da un lato, la mobilità funge da “valvola di sicurezza” dell'ordine sociale, perchè attenua alcune delle tensioni generate dalle disuguaglianze di classe, dando alle classi inferiori la possibilità di accedere alle classi medie e superiori, risolvendo naturalmente la propria condizione di svantaggio iniziale. In una società tendenzialmente immobile, ogni classe recluterà i suoi membri prevalentemente al suo interno, godendo di un alto grado di omogeneità: i membri di ciascuna classe avranno contatti soprattutto con i propri simili, tendendo così a sviluppare un certo senso di solidarietà reciproca; se invece la mobilità è elevata, gli individui tenderanno a muoversi più o meno liberamente tra le diverse classi, attenuando il loro naturale antagonismo; La mobilità può essere fonte di instabilità sociale (tesi dello sradicamento): muoversi da una classe all'altra implica innanzitutto la necessità di abbandonare la propria classe di origine e, con essa, buona parte delle proprie relazioni sociali primarie e l'integrazione può essere lunga e difficile. Sebbene chi sale, in genere, ha forti motivazioni a integrarsi nella nuova classe sociale, avrà problemi a farlo, perchè coloro che già ne facevano parte potrebbero essergli ostili, mentre chi scende, stenta ad integrarsi, principalmente perchè la discesa non era voluta: in ogni caso di mobilità sociale, si corre il rischio di cadere in una forma di isolamento sociale, con conseguenze rilevanti sui loro comportamenti. Chi sale, tenterà così di aderire agli stili di vita e ai comportamenti tipici della classe di destinazione, sperando di venire così accettato dai membri già presenti in quest'ultima; le persone mobili in senso discendente tendono invece a rifiutare queste consuetudini e conformismi sociali, aderendo in modo ancora più convinto alla classe di origine. 2. Mobilità sociale e orientamento politico (effetti micro, cioè relativi al singolo individuo) In tutte le società avanzate esiste una certa relazione tra classe sociale di appartenenza e preferenze politiche: così i membri delle classi più elevate saranno più vicini al centrodestra, quelli inferiori saranno indirizzati verso la sinistra. Individuando l'orientamento politico “tipico” dei membri socialmente immobili di ciascuna classe e assumendolo come valore di riferimento, possiamo rilevare in che misura e in che direzione gli individui mobili si discostano da questo benchmark, tanto nella classe di origine, quanto in quella di destinazione. Consideriamo l'orientamento politico delle persone mobili come una media ponderata dell'orientamento tipico di origine e di destinazione, usando come pesi le Scaricato da Matteo Palazzoni ([email protected]) lOMoARcPSD|1230207 percentuali di un certo orientamento nelle due classi in questione. In termini più generali, quando si analizza la relazione tra mobilità e orientamento politico esistente in una determinata società in un certo periodo, bisogna determinare empiricamente l'influenza relativa esercitata dalla classe di origine e da quella di destinazione sull'orientamento politico medio degli individui socialmente mobili. Gli studiosi a questo proposito hanno formulato essenzialmente tre tipi di ipotesi: “Teoria economica del voto”: gli individui tendono a votare il partito che tutela meglio i loro interessi di classe; Le preferenze politiche si formano durante l'adolescenza interagendo con i membri del gruppo di riferimento, e sarà dunque più simile a quello tipico della sua classe di origine, inizialmente; tuttavia, in seguito l'individuo mobile si adatterà sempre di più a valori e stili di vita tipici della sua nuova classe (“risocializzazione”); le persone che cambiano la propria posizione sociale tendono ad adottare l'identità più prestigiosa, dunque gli individui socialmente mobili tenderanno a votare a destra e, pertanto, tassi elevati di mobilità sociale possono contribuire ad aumentare i consensi di natura conservatrice. Gli studi più recenti, tuttavia, con analisi più sofisticate, hanno mostrato che la tesi vincente è quella della risocializzazione. Per quanto riguarda l'Italia, le uniche analisi pubblicate negli ultimi anni hanno prodotto risultati che tendono a confermare la validità di quest'ipotesi: la mobilità ascendente sposta verso destra l'orientamento politico dell'individuo mobile, mentre quella discendente lo sposta verso sinistra. Scaricato da Matteo Palazzoni ([email protected])