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HOMO CONSUMENS riassunto

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HOMO CONSUMENS (BAUMAN)
CAPITOLO 1: MODE VOLATILI
Il senso di appartenenza non si ottiene eseguendo procedure stabilite dalle mode del branco, ma bensì
tramite l’identificazione dell’aspirante branco stesso. Essere in anticipo delle mode del branco è l’unico
modo per essere sicuri che il proprio desiderio di “appartenere” rimanga per tutto il tempo desiderato.
L’idea di anticipare gli altri porta con se una chance di sicurezza e rispecchia la promessa di un grande
apprezzamento. Questo si traduce nella certezza del riconoscimento, dell’approvazione e
dell’inclusione.
Oggi ogni emblema di appartenenza con cui ci identifichiamo prima o poi andrà fuori mercato, per
essere rimpiazzato da altri emblemi più nuovi. Nel mondo liquido moderno la lentezza nel compiere
queste scelte per i consumatori è il presagio della morte sociale: chi rimane fermo sarà separato dagli
altri. All’interno di queste scelte si è comunque liberi. Quello che ha importanza è che la responsabilità
delle scelte è nostra : è possibile fare scelte differenti, ma non è possibile non farle.
“Scelta” e “Libertà” nella cultura del consumatore sono sinonimi. La cosa più importante però è che:
non bisogna perdere il momento giusto per intervenire se non ci si vuole trovare in ritardo rispetto alle
mode del branco invece di anticiparle. E non si può nemmeno togliere lo sguardo dalla varietà del
mercato dei consumi.
Aubert= parla di individui che sono rannicchiati nel mondo del presente in una logica ostile e quasi in
ritardo, e si cullano nell’illusione di poter conquistare il tempo mitigando l’effetto della frustrazione. La
vita del consumatore è una vita di continuo apprendimento e di rapido oblio: per ogni “devi” c’è un
“non devi”.
La vita del consumatore o fatta da consumi non si riduce all’acquisto e al possesso di qualcosa, non si
riduce nemmeno al fatto che ci liberiamo di qualcosa che abbiamo acquistato giorni fa, ma ciò che
contraddistingue è l’essere in continuo movimento. In una società che vede nella costumer satisfaction
le motivazioni di fondo e l’obiettivo a cui tendere, l’idea di un consumatore soddisfatto è una minaccia.
Il consumatore soddisfatto rappresenta una catastrofe anche per se stesso: associa l’idea di
soddisfazione a quella della stagnazione economica, ovvero è come se fossimo sempre spinti alla
ricerca di soddisfazione ma temere che una volta soddisfatti smettere di dover cercare. Gli incubi
dell’uomo consumatore sono quelle cose animate o non che minacciano di tenersi più a lungo del
necessario: non è la ricerca di nuovi bisogni, ma è la sistematica tendenza a minimizzare i bisogni di
ieri e rappresentarli come sorpassati. Ciò tiene in vita l’economia dei consumi.
Ogni “nuovo inizio” ha l’aspetto rassicurante ma ingannatore: è l’avvento di qualcosa che si ha sempre
sognato ma di cui prima non si è mai osato fare esperienza. Il sogno di rendere l’incertezza meno
scoraggiante e la felicità più profonda è un sogno che sta a cuore dell’ossessione del consumatore per la
manipolazione dell’identità. Lo scopo della creazione di un’identità permette di facilitare
l’eliminazione di un prodotto o di sostituirlo con qualcos’altro. In questa società consumista coloro che
si accontentano di ciò di cui credono di avere bisogno sono considerati consumatori “avariati”.
I mercati dei beni di consumo sono mercati che alimentano l’insoddisfazione del consumatore verso
quei prodotti che stanno utilizzando e incentivano lo scontento delle identità. I cambiamenti di
identità e l’abbandono del passato sono doveri da rincorrere. Ogni momento della nostra vita ha la
tendenza a trasformarsi subito in passato. Il mondo in cui vivono i consumatori è percepito dai suoi
abitanti come un enorme contenitore di parti di ricambio fornite in continuazione. In una società dei
consumi, i consumatori vengono formati sin dalla nascita a fare della propria percezione del mondo
siffatta con il modus operandi (modo di operare) che ne consegue. Nel tempo frammentato della società
dei consumatori, l’eternità non è più un valore né un oggetto di desiderio.
Donne e uomini del giorno d’oggi hanno meno tempo per l’empatia reciproca, perché impegnati a
guadagnare l fine di poter comparare le cose di cui pensano di avere bisogno.
CAPITOLO 2: LO SCIAME INQUIETO
Le questioni che i giornali definiscono di “interesse pubblico” in realtà hanno una durata brevissima.
L’apatia politica è un destino politico prodotto da forze, strutture, azioni o manipolazione da parte
delle elités su cui abbiamo scarso controllo. Se vogliamo davvero comprendere le cause sociali
dell’apatia politica dobbiamo ricordare l’evaporazione del potere politico verso la terra di nessuno: la
divaricazione tra potere dello stato e politica trasformano i cittadini in consumatori. Il vuoto lasciato ai
cittadini da un punto di vista politico è riempito da un attivismo in consumatori. La risposta dei
consumatori al problema della rappresentanza politica è quella di evitare completamente la questione.
Il mercato potrà soddisfare le richieste dei cittadini. Esso non è l’unico fattore, ma è diventato un
maestro di esclusione sociale. Si possono comunque trovare altri strumenti per rimpiazzare
l’inefficienza e l’inaffidabilità della politica come ad esempio: la rinascita della democrazia sarebbe
affidata ad internet (la qualità delle informazioni che circola su internet è molto al di sopra della
capacità di assorbimento e di utilizzazione del consumatore). Anche la comunicazione maschera il
livello di azione politica. La tecnologia diventa un sostituto dell’impegno politico dando l’impressione
di essere cittadini partecipi e informati. I canali dell’informazione nutrono la cosiddetta moderna
“cultura liquida”.
La politica reale e virtuale viaggiano in direzioni opposte e la distanza fra esse si sta allargando. La
socializzazione efficace è quella che obbliga, induce, persuade gli individui a desiderare di fare quello
che il sistema ha bisogno che essi facciano per continuare ad esistere, e questo avviene in maniera
diretta. Mentre in modo indiretto è possibile addestrare gli individui a seguire certi comportamenti e ad
affrontare certi problemi seguendo protocolli. Il fondamento della civiltà è la sostituzione del potere
dell’individuo con il potere della comunità.
EXCURSUS> L’INDIVIDUO E LA COMUNITA’, OVVERO IL DILEMMA DELL’UOVO E DELLA
GALLINA
La civiltà deve basarsi sulla coercizione o almeno sulla minaccia della coercizione. La coercizione è
una tutela prevista dal diritto tramite la quale viene fatto uso della forza al fine di ottenere un bene o
una prestazione da parte di un soggetto. La coercizione è necessariamente monopolio dello stato. Il
potere della comunità non si è costituito a spese del potere individuale: la comunità poteva avere potere
sopra gli individui solo se questo potere fosse stato un fatto universale e incontestabile. In altre parole
la comunità poteva controllare gli individui solo nella misura in cui questi non si rendevano conto di
essere una comunità. Il momento in cui la comunità veniva percepita come organismo che ha dei
bisogni che devono essere soddisfatti segnava un’inversione di logica nello sviluppo moderno. La
comunità è antica quanto l’umanità; ma l’idea della comunità come condizione necessaria dell’umanità
poteva nascere solo dall’esperienza della sua crisi. La nazione è stata concepita sul modello della
comunità, doveva essere una comunità più grande fatta su misura della nuova rete di scambi e di
rapporti.
Il nuovo concetto di libertà di scelta presuppone in realtà la soppressione della possibilità di scegliere o
meno, che minaccerebbe lo stato-nazione inteso come comunità.
L’OBBLIGO DI SCEGLIERE COME LIBERTA’ DI SCELTA
Il potere di tipo “panottico” (=governare, disciplinare, punire) si è rivelato dispendioso, complicato e
conflittuale, scomodo per i governanti. Dopo che la civiltà è stata considerata come sistema
centralizzato di coercizione è emerso un altro tipo di processo di civilizzazione: questo metodo, tipico
della società dei consumatori senta l’obbligo di scegliere come libertà di scelta. In questo modo viene
superata l’opposizione tra principio di realtà e principio di piacere. La “totalità” alla quale l’individuo
dovrebbe giurare fedeltà ed obbedienza si manifesta come una continua celebrazione dello stare
insieme e dell’appartenere. In questa maniera arrendersi alla totalità non è più un dovere, ma un tuffo
nel piacere e nel divertimento.
LO SCIAME
Nella società dei consumi, lo sciame tende a sostituire il gruppo con i suoi leader. Gli sciami non hanno
bisogno di imparare l’arte della sopravvivenza. Gli sciami non sono squadre e non conoscono la
divisione del lavoro. In uno sciame non ci sono specialisti: ogni elemento deve saper fare tutto. Gli
sciami a differenza dei gruppi, non conoscono eretici e ribelli, solo “pasticcioni” e “pecore nere”. La
società di consumatori tendono verso la disgregazione dei gruppi a vantaggio di sciami perché il
consumo è un’attività solitaria anche quando avviene in compagnia. Essa non stimola la formazione di
legami duraturi, ma solo di legami che durano nel tempo dell’atto di consumo. La società dei
consumatori aspira alla ricerca dei desideri. Il desiderio deve rimanere insoddisfatto perché fino a
quando il cliente non è soddisfatto sentirà il bisogno di comprare qualcosa di nuovo. La società dei
consumi, si fonda perciò sull’insoddisfazione permanente (cioè sull’infelicità). Il desiderio si
trasforma in un bisogno e diventa un’esigenza compulsiva e una dipendenza (es.fare shopping contro
l’angoscia/dolore). Questo comportamento non è solo permesso anzi, è incoraggiato perché la società
dei consumi ha bisogno per funzionare di ricoprire con un velo di ipocrisia la differenza tra le
convinzioni popolari e la realtà della vita dei consumatori. Oltre ad essere un’economia basata
sull’eccesso e sullo spreco, il consumismo è anche un’economia dell’inganno e si distingue per le
strategie per mantenere i modelli di comportamento e gestire la tensione. La società dei consumi
assorbe e ricicla a suo beneficio il dissenso che provoca.
CAPITOLO 3: MIXOFOBIA
Il mal-essere non avrebbe significato senza il bene-essere. La condizione di “malessere” deriva dalla
struttura e dalle dinamiche della società in cui ha luogo. Il malessere non può essere spiegato a partire
dalle caratteristiche dei luoghi in cui si presenta, ne dai tratti particolari dei loro abitanti.
I POVERI COME VITTIME COLLATERALI DEL NUOVO ORDINE
L’idea di “ordine” è moderna. I concetti di ordine e di norma derivano dalla percezione
dell’imperfezione del presente stato di cose e segnalano la necessità di intervenire per cambiarlo.
L’origine e la norma sono 2 lame affilate puntate contro la società così come è per farla diventare come
dovrebbe essere attraverso la separazione, l’amputazione, l’escissione, l’esclusione. Nel mantenimento
dell’ordine, gli esclusi e i banditi vengono descritti come persone che “infrangono le regole” e
attraverso la definizione della norma queste persone sono percepite come individui che non
raggiungono gli standard normali. Quindi l’esclusione viene rappresentata come suicidio sociale (e non
come un’esclusione sociale).
Nella nostra società, l’adesione incondizionata ai precetti consumistici è la sola scelta possibile e
l’unica che può procurare il certificato di idoneità, cioè di non esclusione. Così i poveri sono obbligati
a impiegare i loro pochi soldi nell’acquisto di oggetti di consumo invece di beni necessari per la
sopravvivenza per proteggersi dalla derisione sociale. Quel che è nuovo è che la società contemporanea
a differenza delle precedenti, si rivolge ai suoi membri in quanto consumatori e solo secondariamente
in quanto produttori : per essere considerati membri attivi della società dobbiamo continuare a
consumare per mantenere attivo il mercato. I poveri di oggi sono prima di tutto non-consumatori. La
loro colpa è quella di non partecipare pienamente alle attività di consumo dei beni e servizi. Così sono
diventati di onere sociale, non avendo nulla da offrire. Sono quindi un cattivo investimento, una pura
perdita, e i consumatori (ovvero gli onesti membri della società) non chiedono ne si aspettano nulla da
loro.
L’AMBIVALENZA DELLA SOCIETA’ PARANOICA
Una società che teme per la propria sopravvivenza sviluppa una specie di paranoia. L’invito al
consumo deve viaggiare in tutte le direzioni e rivolgersi a tutti: il problema è che non tutti coloro che
sono in ascolto sono in grado di raccogliere l’invito. Consumare è segno di successo e fama. Ma se il
consumo è la misura di una vita riuscita (cioè di felicità e perfino virtù) non c’è più limite al desiderio
umano. Nessun oggetto o sanzione potrà mai regalare la felicità promessa.
Dunque, pieni di perplessità e confusione, i cittadini vedono che nelle nuove aziende privatizzate, i
nuovi manager ricevono stupendi migliori e quando vengono licenziati ricevono liquidazioni altrettanto
alte. Quindi non ci sono altri obiettivi se non quello di arricchirsi e l’unica regola è quella di giocare
bene le proprie carte. La miseria degli esclusi è ora vista come il risultato di un “crimine individuale”:
quel che un tempo erano definite classi sociali, oggi sono ridefinite come “aggregati di individui
pericolosi”.
I POVERI NELLA CITTA’ E LA PAURA DI RIMESCOLARSI
La separazione e la distanza sono diventate la strategia più comune nella lotta urbana per la
sopravvivenza. I residenti poveri sono considerati una minaccia dai loro vicini e vengono spinti a
spostarsi in zone separate o ghettizzate. Anche i residenti ricchi si uniscono ai ghetti ovvero in aree
privilegiate dove i poveri non possono entrare. Si tratta di due mondi separati che si escludono
reciprocamente.
I nuovi condomini delle elite permettono isolamento, dove isolamento significa separazione dalle classi
inferiori. I muri separano il ghetto volontario dei ricchi da quello obbligatorio dei poveri: infatti i ricchi
che abitano nei loro ghetti non “vogliono” andare negli altri ghetti, mentre per i poveri i ghetti dei
ricchi sono luoghi dove non “possono” andare. Il risultato è paradossale: le città sono diventate delle
zone pericolose.
Ci sono anche spazi repellenti che non possono essere occupati perché difesi da spruzzatori automatici
che allontanano i vagabondi ecc. Tutti questi spazi “difensivi” hanno il solo scopo di ritagliare aree di
extraterritorialità all’interno del tessuto urbano, cioè erigere zone fortificate. Questi spazi difensivi
diventano il simbolo delle disintegrazioni delle comunità urbane locali: in breve, le città sono diventate
una discarica dove si accumulano i problemi dell’economia globale. Gli abitanti delle città devono
confrontarsi con problemi più grandi di loro: è impossibile trovare soluzioni locali a problemi globali.
GUARDANDO AL FUTURO
La “mixofobia” è il prevedibile risultato della spaventosa confusione di tipi umani e stili di vita che si
incontrano ogni giorno nelle strade delle città. Non è difficile prevedere che, con l’avanzare della
globalizzazione e l’intensificarsi delle varietà linguistiche e culturali, le reazioni mixofobiche derivanti
dall’estraneità e ostilità dell’ambiente causeranno un aumento delle tendenze di segregazione.
I fattori che causano la mixofobia sono facili da comprendere, ma non da perdonare. Il desiderio di
fare parte di una comunità di simili indica non solo il desiderio di proteggersi dall’alterità esterna. La
comunità di simili è un’assicurazione contro i rischi di vita. La spinta verso la creazione di spazi
omogenei e separati è prodotta dalla mixofobia, ma a sua volta la pratica di separazione territoriale va a
rinforzare la mixofobia stessa.
I tentativi di opporsi alla segregazione degli spazi urbani si scontrano con 2 nemici fondamentali:
-la globalizzazione
-commercializzazione della vita
Con la globalizzazione= i problemi degli abitanti delle città sfuggono alle loro capacità di intervento
perché non rientrano nella loro sfera di azione.
Mentra la commercializzazione della vita= prosegue indisturbata sia per ricchi che per poveri.
La politica di aiutare quelli che hanno più bisogno è inefficiente e non fa altro che aggravare i conflitti
sociali e culturali. La causa del malessere non è quel che fanno i poveri, ma lo stile di vita e il modo in
cui influenza la rete dei rapporti sociali ed economici.
CAPITOLO 4: RISENTIMENTO
Il precetto di “amare il prossimo come te stesso” è uno dei principi fondamentali della civiltà.
L’assurdità emerge nel momento in cui ci si rende conto che in questo senso bisogna amare chiunque.
In realtà se “io” amo qualcuno è perché deve meritarselo.
Amare il prossimo diventa ancora più difficile se mi accorgo che costui non solo non mi ama, ma che
non mostra nemmeno la minima considerazione per me e non esiterebbe a ferirmi per mostrare la sua
superiorità.
“Amare il prossimo” è forse la norma più difficile da mettere in pratica.
L’amor proprio è costituito attraverso l’amore che ci è offerto dagli altri. Noi possiamo amare noi
stessi solo se gli altri ci hanno amati per primi. E’ grazie al rispetto che riceviamo dagli altri che
arriviamo a pensare che quel che diciamo o facciamo conta, che noi contiamo e che valiamo qualcosa.
Se altri mi rispettano ci deve essere qualcosa in me che loro saranno lieti e grati di ricevere.
Dunque amare il prossimo come se stessi significherebbe rispettare l’unicità dell’altro. Ma esiste anche
un lato oscuro: l’altro può rappresentare una promessa tanto quanto una minaccia. Può ispirare
rispetto, ma anche disprezzo e paura.
I filosofi sono divisi su questo problema:
-HOBBES> diceva che se lasciati liberi e senza coercizioni, gli uomini si ucciderebbero a vicenda
-ROUSSEAU> pensava che gli uomini sono stati resi crudeli proprio dalla coercizione
-NIETZSCHE e SCHELER> hanno risposto che il tutto dipendeva dalle circostanze e dal tipo di
persone coinvolte. Loro considerano che il risentimento sia il maggiore ostacolo all’amore per il
prossimo. Per Nietzsche il risentimento è quel che gli oppressi, i poveri, gli emarginati e gli umiliati
sentono verso quelli migliori di loro, cioè i ricchi, i potenti, i liberi, coloro che incutono rispetto.
Il risentimento è una curiosa combinazione di sottomissione, invidia e rancore.
La causa principale del risentimento è l’agonia di un’irrisolvibile ambivalenza: da un lato emerge il
desiderio di uscire dalla contraddizione e dall’altro ne deriva la domanda di uguaglianza. Per Nietzsche
questa era la stessa causa della nascita della religione.
Il risentimento non conduce a maggiore libertà, ma ad alleviare le pene della prigionia negando la
libertà a tutti.
Per MAX SCHELER: il risentimento si sviluppa soprattutto tra i membri della classe media che sono in
competizione tra loro. Il risentimento per Scheler ha un significato opposto a quello teorizzato da
Nietzsche.
Per Nietzsche il risentimento produce una lotta contro le disuguaglianze e ha funzione di mettere a pari
livello le gerarchie sociali.
Per Scheler è l’opposto. Il risentimento produce spirito di competizione e istiga le lotte al potere e il
prestigio sociale. Si tratta della famosa “ostentazione del consumo”.
Possiamo giungere a un terzo tipo di risentimento: si tratta di un risentimento senza età, ma cresce
con la fluidità sociale, con il cambiamento dei costumi, la fragilità dei legami sociali e in condizioni di
incertezza. E’ il risentimento contro gli stranieri.
Tra gli stranieri più riconosciuti trionfa la figura dello straniero che proviene dalle parti più
impoverite.
I profughi sono senza stato, perché lo stato a cui dovrebbero appartenere non esiste. Anche quando si
fermano, il loro insediamento non è permanente perché la destinazione finale rimane sconosciuta. Essi
non si libereranno mai dal loro stato di transitorietà.
In questo senso, essi incarnano le paure che assalgono la nostra vita. I profughi sono gli emarginati
assoluti, sono fuori posto ovunque.
I giovani invece è possibile che tino ottimismo e fiducia nel mondo con la loro esperienza quotidiana. I
giovani si identificano nei reality dove il messaggio lanciato è completamente diverso: dicono che
bisogna diffidare dello straniero, nessuno è indispensabile e che nessuno può pretendere di
guadagnare se ha contribuito a un lavoro comune. Ogni giocatore gioca per sé.
In questo tipo di spettacoli, l’altro è un concorrente che ci tende delle trappole per farci cadere. Se non
diventi più forte degli altri, sarai mandato via senza rimorsi. Siamo tornati al mondo di Darwin dove
solo i più forti sopravvivono. I giovani di oggi pensano che il mondo sia fatto per i duri, perciò nei
confronti dello straniero bisogna essere vigili, trarne vantaggi.
Il mondo di oggi sembra congiurare contro la fiducia.
ELIN sviluppa il concetto di “fenomeno dell’urbanizzazione”: osserva che le città furono costruite in
origine per proteggersi dai pericoli, con mura e barriere. Oggi le città si stanno trasformando da rifugi a
fonti di pericoli. La vita urbana è diventata una sorta di stato di natura dove regnano paura e terrore.
La guerra contro i pericoli si combatte all’interno. Amici e nemici camminano fianco a fianco.
L’obiettivo è tenere lontano gli indesiderati ed impedirne la loro entrata.
I ricchi costituiscono zone di extraterritorialità. I vagabondi sono l’incarnazione di pericoli e diventano
il bersaglio delle classi alte.
LEVINAS insiste sulla questione del perché si dovrebbe essere morali.
La moralità è una manifestazione innata dell’umanità (senza scopi né profitti). E’ una manifestazione
spontanea e radicale.
Per un essere umano sia la scelta giusta che quella sbagliata derivano dalla stessa condizione: senza il
rischio di fare la cosa sbagliata non è possibile ricercare la cosa giusta.
L’incertezza non è una minaccia alla moralità, ma è il fondamento dell’etica.
L’espressione sovrana della vita assomiglia a quel che HEIDEGGER ha chiamato “situazione
emotiva” associata alla “disposizione emotiva”. Come Heidegger ha intuito, prima di poter fare una
qualsiasi scelta, ci si immerge nel mondo dei “predisposti” ovvero tutto ciò che precede il conoscere e
lo rendono possibile. Dunque, all’inizio “io” non sono me stesso, ma un’entità impersonale.
LOGSTRUP include tra le espressioni forzate della vita: rancore, gelosia e invidia, che sono tutte
componenti del risentimento. Il tratto determinante di questi comportamenti è la malafede, cioè la
volontà di mascherare il vero motivo di un’azione. La soddisfazione di sentirsi una vittima deriva dalla
necessità di trovare sempre nuovi torti per nutrire la propria autoindulgenza. E’ l’altro che ha
cominciato ad agire male, per cui lui è responsabile.
Il risentimento è il prodotto di realtà sociali i cui interessi sono in conflitto. In questo senso, noi
abbiamo tracciato 3 tipi di relazioni ad alto rischio: l’umiliazione, la rivalità e l’ambivalenza dovuta
alla paura.
Tutte e tre queste relazioni sono di natura sociale (non individuale) e devono essere affrontate
esclusivamente attraverso la modifica degli ordini sociali che le producono. La lotta contro il
risentimento è a largo raggio.
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