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Sociologia del diritto Prof
Marra
Sociologia Del Diritto
Università degli Studi di Genova
78 pag.
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Domande esame di sociologia del diritto prof Marra:
LIBRO: LA RELIGIONE DEI DIRITTI
Durkeim:
• Evoluzione del contratto
• Contratto
• Proprietà
• Corporazioni
• Stato
• Coscienza collettiva
• Coscienza sociale
• Solidarietà
• Leggi ello sviluppo penale
• Religione dei diritti
• Liturgia politica
• Diritto penale
• Pensiero sulla divisione del lavoro
• Pensiero sulle lezioni di sociologia
• Proprietà privata
• Suicidio
Jellinek:
• Rapporto tra covenant e dichiarazione del 1789
• La sua dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino
• Rousseau
• Critica di Boutmy
• Rapporto tra dichiarazione dei diritti USA, Francia
• Diritti
• Libertà religiosa
• Locke
• Rapporto protestantesimo
• 4 tesi
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• Roger William
• Puritanesimo inglese e costituzionalismo americano
• Fayette
• Mayflower e i padri pellegrini
Weber:
• Chiesa e setta
• Protestantesimo ascetico/calvinista/settario
• Capo carismatico
• Fasulla libertà dei contratti
• Weber e Marx
• Weber e Nietzsche
• Etica protestante
• Spirito del capitalismo
• Ascesi intramondana
• Uguaglianza formale
• Durkeim, Weber e Jellinek
• Burocratizzazione
• Razionalizzazione
• Sviluppo del capitalismo: moderno, antico
• Disincantamento
• Libertà di coscienza degli altri
• Predestinazione
• Luteranesimo
LIBRO: LA LIBERTA’ DEGLI ULTIMI UOMINI
• Liberalismo in Weber —> Perché il liberalismo di Weber è definito strano (?)
• Diritto razionale formale/materiale e diritto irrazionale formale/materiale —> Razionalizzazione
del diritto
• Diritto razionale e capitalismo
• Weber e Naumann
• Hufenverfassung
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• XII Tavole
• Collegamenti tra la riforma in Prussia e le XII tavole
• Concetto di proprietà prima e dopo la riforma delle XII tavole
• Diritto romano e diritto germanico
• Influenza del diritto romano su quello moderno
• Nazionalismo in Weber
• Riforme liberali prussiane
• Weber e Kelsen
• Democrazia di massa di Weber
• Storia agraria romana di Weber
• Instverhaltnis
• Deputatenverhaltnis
• Differenze tra la riforma romana e quella prussiana
• Questione agraria in Germania
• Posizione di Weber riguardo le conseguenze delle riforme prussiane di Bismarck
• Paragoni tra la società agraria romana e quella germanica
• Villaggio germanico —> C’è uguaglianza all’interno di questo villaggio?
• Feudalesimo e Weber
• Differenze tra contadini orientali e occidentali e le influenze slave
• Diritto inglese
• Diritto inglese e capitalismo
• Dogmatica giuridica/legale
• Sociologia del diritto
• Distinzione tra sociologia e dogmatica (Weber e critica di Kelsen)
• Evoluzione rapporto junker e contadini
Domande a cui non ho trovato risposta:
• Religiosità dei diritti
• Faustel de Coulanges
• Weber e il BGB
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LA RELIGIONE DEI DIRITTI
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Durkeim
2 Opere:
1) La divisione del lavoro sociale:
Il tema del libro è l’analisi scientifica della divisione del lavoro sociale.
E’ un tema che Durkeim intende in senso ampio, anche dal punto di vista delle funzioni politiche,
amministrative e non solo economiche.
Il fenomeno è l’affermarsi della specializzazione in ogni campo, l’affermarsi del lavoro parcellizzato
dopo la rivoluzione industriale del 700.
L’obiettivo del libro è accertare il valore, la sostanza morale della divisione del lavoro.
—> Determinare se un fatto è positivo o negativo per le società moderne, cioè se vale la pena di
sostenere questo processo.
2) Il suicidio:
Il tema del libro è il suicidio.
Nel passaggio dal primo al secondo libro si percepisce un orientamento diverso fra le due opere.
La novità è data dall’emergere di un nuovo concetto di anomia, l’anomia soggettiva.
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DURKEIM E COMTE: SOCIOLOGIA E RELIGIONE
Durkeim può essere considerato un allievo di Comte.
Il motto di Comte è “chiudere la rivoluzione” = Bisogna assicurare l’ordine sociale
La sociologia di Durkeim è una sociologia dell’ordine, della coesione, della solidarietà tra
comunità e istituzioni.
Questo avviene solo se la società si dota di una morale, una morale laica, fatta di valori forti,
condivisi e riconosciuti.
L’esito del pensiero è proprio la religione dei diritti, una religione laica.
Per Durkeim più che chiudere la rivoluzione si tratta di completare la rivoluzione.
La rivoluzione dell’illuminismo è un processo incompiuto che deve essere completato con
l’affermazione di una morale laica, di una religione civile.
Il tratto distintivo della nostra contemporaneità è una metamorfosi della sensibilità collettiva, per
cui a credenze e a valori che erano religiosi si sostituiscono altre credenze e valori che sono
credenze e valori umani.
Se questi nuovi valori (diritti, libertà e dignità dell’uomo) sono moderni allora le modalità collettive
di considerare e sostenere questo complesso di nuovi valori rimangono , per Durkeim, quelle
caratteristiche delle società tradizionali: un culto religioso, con miti, cerimonie e superstizioni.
La nuova religione è quella dei diritti.
E’ la religione dell’uomo.
Con la rivoluzione francese nasce una società incentrata sui valori umani: la religione, la libertà e i
diritti.
Durkeim afferma che il problema è che le religioni storiche, tradizionali, fanno sempre meno presa
sugli individui, pertanto vi è la necessità di costruire un’etica laica che possa garantire il processo
di coesione e il principio di solidarietà, ma con forme di celebrazione dei valori che sono quelle
più antiche.
—> I valori umani sono diventato dei valori religiosi.
Nelle cose che ci racconta Durkeim c’è una sorta di divinizzazione dell’umanità (riferimento:
deismo).
Riferimento: August Comte.
Per Comte la persona è il nuovo dio dell’uomo.
“Ordine e progresso” è il motto di Comte.
Il cemento fondamentale è la solidarietà fra gli uomini.
“Ordine” come progresso, come scopo: il progresso, l’evoluzione dell’ente collettivo.
Comte crede in un meccanismo evolutivo che fa automaticamente progredire il corso sociale.
L’uomo è il nuovo dio degli uomini, è la nuova divinità degli uomini.
Non l’individuo singolo ma l’uomo considerato dal punto di vista di quei caratteri che sono
comuni a tutti.
In questo progetto, che è ripreso da Durkeim, vi è un’idea di formazione: bisogna avere come
guida di riferimento l’umanità migliore.
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LA DIVISIONE DEL LAVORO
Il problema di Durkeim è un problema di etica: qual è il valore morale della divisione del lavoro?
La divisione del lavoro è la conseguenza della civiltà industriale.
Si tratta di decidere se favorire o meno questo processo.
—> Siamo ancora in tempo a dire se la divisione del lavoro sociale, ossia la specializzazione del
lavoro, è un fatto negativo.
Dalla fine del 700 e per tutto l’800 la divisione del lavoro sociale è da valutare positivamente, in
quanto garantisce lo sviluppo materiale e intellettuale della società.
La civiltà moderna per Durkeim non genera un perfezionamento morale.
—> Garantisce un’intensa e razionale soddisfazione dei bisogni ma non ha nulla di moralmente
obbligatorio.
L’impressione è quella di un aumento dei fenomeni negativi (c’è più devianza, ci sono più omicidi
e suicidi, ci sono più alcolismo e prostituzione ecc…).
Durkeim pensa che se la divisione del lavoro non ha altra finalità che garantire un livello più alto di
soddisfazione dei bisogni non vi sarebbe ragione per volerla perché i vantaggi economici
sarebbero annullati da inconvenienti di altro tipo e, in modo particolare, dai comportamenti
irregolari dei devianti.
—> E’ possibile che la divisione del lavoro abbia un’atra funzione? E’ possibile che sia in grado di
soddisfare un bisogno superiore?
La risposta è: Si.
La divisione del lavoro è la fonte principale della solidarietà, della coesione sociale,
dell’integrazione sociale.
Questo è il punto di vista fondamentale della corrente funzionalistica di Durkeim.
Bisogna valutare le società, il comportamento individuale e le istituzioni dal punto di vista delle
funzioni di integrazione, di ordine sociale, di costruzione della coesione sociale.
Questa è un’idea che ricava da Comte.
Comte è il primo a sostenere che la divisione del lavoro non è soltanto un fenomeno economico.
Secondo lui ha importante finalità di creare tra gli individui un sentimento di solidarietà.
Se questo sentimento c’è allora la società è coesa.
Secondo Durkeim questa ipotesi va verificata.
Durkeim parte da un orientamento metodologico chiaro: solidarietà, coesione e integrazione
sociale sono fenomeni morali che non si prestano all’osservazione e quindi non sono chiaramente
in evidenza.
Occorre cercare un simbolo che si può concretamente vedere e misurale.
Questo simbolo è il diritto, orche è la forma esteriore delle relazioni umane.
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DIRITTO REPRESSIVO E DIRITTO RESTITUTIVO
Dal momento che il diritto è un insieme di regole soggette a sanzione allora Durkeim, sulla base di
questo, distingue due tipi ideali di sistemi giuridici:
1) Diritto a sanzione repressiva:
In un sistema giuridico di questo tipo prevalgono le sanzioni che hanno come obiettivo degli
agenti trasgressori, cioè le persone che hanno violato le regole della comunità.
Il diritto repressivo, ossia il diritto penale, secondo Durkeim ha natura passionale, emotiva e
vendicativa.
Ha una natura satisfattoria, cioè l’obiettivo di un diritto incentrato sulle sanzioni repressive è quello
di dare soddisfazione, di placare la coscienza collettiva, nel momento in cui la coscienza collettiva
è stata contraddetta, violata da un atto di trasgressione di un agente deviante.
2) Diritto a sanzione restitutiva:
In un sistema giuridico di questo tipo sono prevalenti delle sanzioni che prevedono una
riparazione.
L’obiettivo è quello di ristabilire i rapporti tirati dalla violazione, secondo certi principi.
Durkeim è un funzionalista e la sua è una sociologia dell’ordine, della coesione e dell’integrazione.
Oltre a questo è anche un positivista, cioè ha l’idea che le società si evolvono da uno stadio
primitivo a uno che diventa evoluto, moderno.
—> Tutte le società all’inizio sono caratterizzate da un ordinamento giuridico a sanzione
repressiva.
Con l’evoluzione però si preferiscono le sanzioni di tipo restitutivo.
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COSCIENZA COLLETTIVA
Durkeim definisce come primitivo e selvaggio il diritto delle società semplici.
Questo diritto è un sistema normativo in cui le infrazioni alle regole sono considerate molto gravi,
come se fossero delitti.
Come possiamo definire un reato?
• Reato: E’ un comportamento che offende gli stadi della coscienza collettiva
• Coscienza collettiva: E’ l’insieme dei sentimenti e dei valori comuni di una collettività. La parte
comune, la parte più integrata del pensiero sociale
La coscienza collettiva si posa dove vuole, cioè può considerare come atti devianti, e quindi come
reati, i comportamenti più diversi.
All’interno di questo nucleo del pensiero sociale, Durkeim distingue tra i vari sentimenti/idee/
ecomozioni.
—> Ci sono delle differenze di gradi:
1) Anello centrale: Vi sono delle emozioni collettive violente, passionali, che sono garantite e
difese dal diritto repressivo (diritto penale)
2) Anello intermedio: Vi sono le credenze religione, che sono ugualmente intense ma meno
violente e meno passionali
3) Anello esterno: Vi sono i principi della morale, le opinioni morali in senso stretto (es: principio
di uguaglianza, di libertà, di fratellanza ecc…)
La coscienza collettiva è una realtà a sé stante, distinta dai singoli individui.
Non ci può essere una società senza una coscienza collettiva ( cioè senza che certi delitti non ci
urtassero, senza che certe cose non ci suscitassero una reazione).
COSCIENZA SOCIALE
Al di fuori della coscienza collettiva, ma all’interno dell’attività di riflessione, di pensiero sociale
(coscienza sociale) troviamo delle opinioni morali più deboli.
Sono le opinioni morali che non sono condivise da tutti, ma che toccano e interessano soltanto
settori di attività, soltanto gruppi professionali definiti.
Queste opinioni morali deboli hanno natura professionale e vengono difese dal diritto restitutivo.
Quando Durkeim parla di diritto restitutivo pensa, in prima battuta, al diritto privato, ma anche a
quello amministrativo (diritto pubblico) e a quello costituzionale.
Le opinioni morali più deboli danno vita infatti al diritto e ai costumi contrattuali (es: buona fede,
buon costume, onestà mercantile, diligenza del buon padre di famiglia ecc…).
—> Principi e opinioni che troviamo prevalentemente dei codici civili.
Questi principi rappresentano il minimo etico necessario a un corretto andamento degli scambi,
delle relazioni economico ma anche del diritto costituzionale, delle relazioni politiche e
internazionali.
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SOLIDARIETA’
I tipi di solidarietà sono due e costituiscono i due poli dello sviluppo della società:
1. Solidarietà meccanica:
Quella in cui domina il diritto repressivo è una solidarietà nella quale prevalgono le uniformità
sociali, nella quale i valori collettivi sono forti e condivisi da tutti.
Durkeim la chiama solidarietà meccanica, coesione meccanica.
Durkeim quando introduce il tema della solidarietà meccanica sviluppa un’ipotesi sulla sostanza
spirituale degli uomini.
Secondo Durkeim l’uomo è doppio.
L’uomo si compone di due coscienze, di una duplice sostanza spirituale: una coscienza fatta dai
sentimenti individuali e di un’altra caratterizzata da stati che provengono dall’esterno, che sono
collettivi e sociali.
La solidarietà meccanica è quella in cui i sentimenti, le idee, i valori e le abitudini della coscienza
collettiva occupano quasi interamente le coscienze.
—> Prevalgono sul sentire individuale.
La solidarietà è tendenzialmente più forte dell’individuo e questa circostanza è più vera quando ci
occupiamo delle società primitive, società che troviamo all’inizio della storia umana.
In sintesi: Nella solidarietà meccanica gli individui si somigliano tendenzialmente tutti nella testa,
perché per la teoria dell’uomo duplice i sentimenti prevalgono sulle condizioni individuali.
2. Solidarietà organica:
La solidarietà protetta dal diritto a sanzione restituita è la solidarietà di tipo organico, perché
somiglia a quella che è possibile osservare negli animali superiori (in noi).
E’ la solidarietà più articolata e complessa per differenza.
Le società sono come organismi: si evolvono e passano da un’organizzazione primitiva a una
coesione differenziata e moderna.
—> Si passa da “stiamo insieme perché ci somigliamo un po’ tutti e perché condividiamo gli
stessi valori, sentimenti e le stesse emozioni” a “stiamo insieme perché siamo diversi e perché
nella coesione voluti gli integriamo gli uni con gli altri”.
All’inizio tutto il diritto è repressivo (es: antico testamento. Tutti i comportamenti devianti sono
considerati molto gravi e vengono puniti con interventi molto repressivi, molto intensi da parte
della società).
Già con il diritto rimani però questo rapporto tende a invertirsi (oltre la metà delle disposizioni
riguardano famiglia, società e contratti).
—> Diritto restitutivo o corporativo.
Nel passaggio dalle società antiche a quelle più evolute molti reati scompaiono e la religione, che
si confonde con il diritto repressivo, occupa una porzione sempre minore della vita sociale.
—> Le società diventano secolarizzate.
Il nucleo della coscienza collettiva diventa sempre più piccolo.
Tende a prevalere la solidarietà che nasce dalle cooptazioni, che nasce dalla differenza,
dall’integrazione delle popolazioni (la società che Durkeim definisce organica).
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PENA E COMPORTAMENTO DEVIANTE
Secondo Durkeim il diritto repressivo, anche se violento, è funzionale all’integrazione e alla
coesione sociale.
La pena non serve a punire oppure a prevenire i reati, non si indirizza ai devianti, ma si indirizza
alle coscienze dei membri del gruppo che si riconosco nei valori collettivi, per rafforzarli nella
condivisione di una certa sensibilità collettiva.
—> La pena non ha né una funzione di espiazione del male, né di prevenzione generale negativa
(cioè di intimidazione nei confronti della società).
La pena ha altri obiettivi.
Ci stiamo occupando della solidarietà meccanica, la solidarietà in cui le sanzioni tendono a essere
delle sanzioni di tipo repressivo.
—> Qual è la funzione della repressione? Qual è la funzione della pena?
Secondo Durkeim la funzione della pena è quella di dare conferma, di dare soddisfazione ai valori
collettivi più intensi.
—> Funzione di prevenzione generale positiva.
La pena è un messaggio che si indirizza a coloro che condividono i valori intensi, i valori comuni
della coscienza collettiva.
Con il castigo che interviene a punire il deviante è come se la società si stringesse attorno ai valori
comuni, come se intervenisse a ribadire la salvezza dei propri principi fondamentali.
Durkeim sostiene che il reato, il comportamento deviante (comportamento irregolare) è un
fenomeno normale.
Se guardiamo le società del passato ci rendiamo conto che non esistono delle società senza
comportamenti irregolari, senza comportamenti devianti.
Le società non sono mai state perfette.
All’interno delle società c’è sempre una quota di comportamento irregolare, cioè non
normalizzato, che non viene considerato normale dalla coscienza comune.
Durkeim ha un’idea ampia di devianza:
• Devianza: Non è soltanto l’illecito penale ma anche un semplice comportamento riprovato. E’
tutto ciò che non viene approvato dal pensiero comune (es: alcolismo, suicidio anche se non
sono un reato)
Per Durkeim non ci sono delle società perfette in cui tutto funziona secondo la coscienza comune.
Secondo lui il comportamento deviante può essere utile perché:
- Favorisce la coesione sociale, la solidarietà sociale. Induce la società alla protezione attiva dei
principi che ritiene fondamentali per la sua esistenza. Il reato è una sorta di attivatore della
coscienza collettiva, dell’opinione pubblica
- Può costringere la società a interrogarsi sui suoi valori, sui suoi principi fondanti
—> Il deviante bisogna considerarlo come un agente regolatore della vita sociale, perché
contribuisce a tenere sempre attiva la coscienza collettiva.
Se non ci fosse il deviante occorrebbe inventarlo perché è lo specchio in cui la società si guarda e
se questi valori fondamentali sono ancora forti, la società è costretta a intervenire e quindi a
stringersi intorno ai suoi principi fondamentali.
Se la società comincia a percepire che nel comportamento irregolare c’è del buono, la coscienza
collettiva è, grazie al deviante, aperta al cambiamento.
Il reato rafforza la coscienza collettiva ma a condizione che poi la coscienza collettiva reagisca.
Quindi, se è normale che ci siano i delitti, è normale che siano puniti.
—> La pena e i delitti sono due termini di un binomio inseparabile.
Non può esserci l’uno senza l’altro.
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LEGGI DELL’EVOLUZIONE PENALE
Il diritto penale alla divisione del lavoro rappresenta il centro della coscienza collettiva, la zona
degli stati più forti e definiti (il diritto della vendetta collettiva).
Nel mondo moderno il diritto repressivo occupa una posizione sempre più ristretta della vita
sociale.
Molti reati sono scomparsi o si sono attenuati (es: la disciplina della vita domestica, la sfera della
sessualità, i reati religiosi).
L’unico incremento è costituito dalla più elevato desiderio di protezione degli individui,
testimoniata dalla maggiore attenzione verso i reati contro la persona (omicidi, aggressioni...).
L’individuo diviene oggetto di una specie di religione, e si sviluppa un desiderio di valorizzazione
della dignità umana.
Il diritto repressivo si concentra sempre di più nella difesa dei valori umani.
Leggi dello sviluppo penale:
1) Prima legge: E’ una legge di natura quantitativa. Riguarda la misura della pena. L’intensità
della reazione penale è maggiore nelle società primitive (e quanto più il potere abbia natura
assoluta). La pena, inizialmente una reazione violenta e passionale, è destinata ad attenuarsi
nelle società moderne
2) Seconda legge: E’ una legge natura qualitativa. Riguarda la tipologia della pena. La pena
principale diventa la privazione della libertà per periodi di tempi determinati, e calcolati in base
alla gravità del reato (carcere)
Entrambe le leggi delineano una complessiva attenuazione dei caratteri più cruenti del diritto
penale nel passaggio da società inferiori a società più elevate, e possono essere interpretate con
il rilievo progressivamente più esteso dei valori umani.
Secondo Durkeim esistono due categorie di atti criminali:
1) Criminalità religiosa: E’ diretta contro oggetti collettivi (autorità pubblica e suoi rappresentanti,
costumi, tradizioni, religione ecc…). Sono i reati più gravi, perché attentano alla collettività
2) Criminalità “umana: E’ diretta contro gli individui, offende solo gli individui. L’attentato di un
uomo contro un altro uomo non comporta la stessa indignazione di un reato contro la
collettività, in quanto subentrano quei sentimenti di simpatia che portano ad addolcire le pene
Nell’evoluzione la percezione della criminalità tende a ridursi sempre di più ai soli attentati contro
la persona, determinando un affievolimento della pena media.
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CONTRATTO
All’interno del diritto che rappresenta le società moderne (diritto restituito), un posto importante è
occupato dal diritto dei contratti.
Il posto più importante proviene dalle norme e regole che disciplinano l’attività economica dei
privati.
Attraverso il contratto i soggetti possono incontrarsi, scambiare i propri beni, vendere le loro
prestazioni, affermare sul mercato le proprie competenze professionali.
Dall’analisi di questo strumento principe del diritto restituito, che è il contratto nella divisione del
lavoro sociale, capiamo che per Durkeim è il meccanismo fondamentale della solidarietà organica.
Con lo scambio gli individui scoprono:
- La necessità di cooperazione sociale
- La dipendenza materiale che si trasforma in dipendenza psicologica dal gruppo, dalle persone
che compongono la comunità più vicina al soggetto
Si entra in relazione con l’altro perché si ha bisogno di lui, si ha bisogno di un suo bene, di una
sua attività o di una sua prestazione.
Secondo Durkeim il risultato più duraturo di questi scambi è la comunicazione tra gli individui,
l’incontro tra gli individui, la scoperta della necessità di cooperazione, l’affermarsi come unica
soluzione al problema dei bisogni.
Evoluzione del contratto:
Con le lezioni di sociologia, tenute a 7/8 anni di distanza dalla divisione del lavoro sociale,
Durkeim si interroga sulle tappe èrincipaòi dello sviluppo della forma contrattuale nel corso della
storia
L’evoluzione del contratto si divide in 4 tappe:
1) Patto di sangue: Durkeim parte dal contratto primitivo. Secondo lui è rappresentato dal
vincolo, dal legale di sangue. La creazione di un vincolo di parentela tra individuo, e più
frequentemente fra gruppi di persone, avviene attraverso riti particolari (es: mangiare lo stesso
cibo, mischiare il sangue)
2) Contratto reale: Qui c’è la trasmissione della cosa o del bene con la semplice consegna della
cosa dall’alienante all’acquirente (Traditio del diritto romano)
3) Contratto solenne: Qui il legame nasce in conseguenza di un procedimento formale rigoroso
(Mancipatio, 5 testimoni, un testatore pubblico, acquirente, alienate). Il vincolo è generato dal
giuramento, da formule solenni con contenuto religioso
4) Contratto consensuale: E’ il nostro contratto. Il vincolo nasce dalla semplice dichiarazione di
volontà. E’ la volontà di due o più soggetti, ossia la volontà dei contraenti, a generale il
vincolo, il legame
Secondo Durkeim il problema sta nel capire cosa dà alle volontà dei privati questo potere di
vincolo.
Per Durkeim è una forza sociale, una forza che proviene dall’esterno degli individui.
E’ l’elevato valore sociale, riconosciuto alla presenza dell’individuo in un gruppo (in modo
particolare alla dignità e alla libertà delle persone), che fa proclamare ai nostri codici il principio
per cui una dichiarazione di volontà deve vincolare gli individui analogamente al giuramento o alle
altre formule del contratto solenne, cioè alla terza tappa di cui Durkeim sta parlando.
—> Durkeim immagina una derivazione del contratto consensuale dal contratto solenne.
Qui è però infondata la ricostruzione storica perché la Mancipatio viene prima della Traditio.
In sostanza Durkeim vuole affermare l’idea per cui il formalismo giuridico è sostituto del
formalismo religioso.
Allo stesso tempo il fatto invariabile nel processo evolutivo dell’istituto contrattuale è la religione.
L’obiettivo di Durkheim è far emergere la religione come elemento fisso nell’evoluzione dell’istituto
contrattuale.
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Mutano i contenuti dello scambio, che sono diversi in una società contemporanea, gli interessi e i
valori che un contratto deve mediare, ma si conserva la natura religiosa della fonte di validità dei
contratti, delle convenzioni.
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PROPRIETA’
La più grande correzione operata dalle Lezioni di sociologia (lezioni tenute da Durkeim a
Bordeaux negli ultimi due anni dell’800, a 7/8 anni di distanza dalla “divisione del lavoro sociale”)
rispetto alle tesi contenute nella Divisione del lavoro riguarda la proprietà.
• Diritto di proprietà: E’ il diritto di ritirare una cosa dall’uso comune. La cosa che ha un
proprietario diviene un bene isolato (questa è anche una caratteristica delle cose sacre). Come
per queste ultime, tutti devono tenersene lontani, ad eccezione del proprietario/sacerdote che
ha le qualità per toccarle e servirsene
1. Divisione del lavoro:
La proprietà fa parte dei diritti reali, che rappresentano una porzione del diritto restitutivo relativa a
rapporti che fanno sorgere solidarietà negativa: regole che producono ordini ma non vincolano le
persone, anzi le allontanano.
All’interno delle relazioni disciplinate dal diritto restitutivo, i rapporti degli uomini con le cose sono
sicuramente quelli più lontani di tutti dalla forza unificante della coscienza collettiva.
2. Lezioni di sociologia:
La trattazione è molto più ampia, e si inserisce nel nuovo progetto durkheimiano fondato sulla
religione della modernità.
Durkheim parte dal legame religioso tra proprietà fondiaria e culto dei morti, citando la particolare
intensità religiosa dei confini, attestata in particolare dal culto del dio Termine a Roma.
Per Durkheim i rituali del culto di Termine rappresentano una fase intermedia dell’evoluzione del
diritto di proprietà.
Grazie ad essi si è potuto iniziare a coltivare delle terre in origine assolutamente intoccabili
(perché in origine erano dei morti che in essa riposavano).
Espiando il sacrilegio per mezzo di sacrifici gli uomini hanno potuto usurpare il possesso divino, e
subentrare al posto di questi.
A poco a poco la religiosità, che era negli oggetti, si trasferì alle persone, e da ciò nacque la
proprietà privata, grazie anche a due ulteriori elementi:
1) L’emergere all’interni dei gruppi familiari di un individuo capace di incarnare a sé la vita
religiosa diffusa tra le persone e le cose della famiglia, diventando il detentore di tutti i diritti di
essa
2) Lo sviluppo della proprietà mobiliare di beni da sempre di natura profana e che inizialmente in
posizione accessoria rispetto alla terra, acquistano rilievo sempre maggiore grazie ai
progressi del commercio e dell’industria
Ecco allora che gli dei assumono la forma di forze sociali incarnate, racchiuse sotto forma
materiale.
Ciò che i fedeli adorano è la società stessa, la società-Dio (sviluppato nelle Forme elementari).
I primi dei sono stati gli oggetti materiali grazie ai quali le società si rappresentavano, che erano
l’emblema del gruppo.
A poco a poco la collettività a distolto la sua attenzione dalle cose (la terra sacra, le pietre confitte
al suolo ecc…) e ha rivolto l’energia religiosa direttamente agli uomini.
Di conseguenza, grazie all’elevato valore acquisito dalla persona all’interno della coscienza
collettiva, è diventato necessario che all’individuo fosse lasciata un’ampia iniziativa.
L’individuo deve poter godere di una sorta di signoria privata, deve avere una sfera materiale
indipendente individualismo.
La proprietà è sacra, perché “la proprietà individuale è la condizione materiale del culto
dell’individuo”.
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ANOMIA
Con Durkeim il concetto di anomia si diffonde nel campo delle scienze sociali.
Durkeim pensa che l’anomia debba essere considerata direttamente come una negazione della
morale.
—> Egli fa dell’anomia sociale un fenomeno giuridico e morale.
Anomia indica la mancanza di un corpo, di un insieme di regole in grado di disciplinare, di
regolare la vita di relazione.
• Anomia: E’ l’assenza di norme corrispondenti ai livelli di complessità raggiunti dall’organismo
sociale in quel momento particolare della sua storia
Si ha anomia quando:
- Le regole mancano
- La disciplina vigente non corrisponde più alle caratteristiche sociali, politiche, culturali ed
economiche di un’organizzazione collettiva —> Le regole ci sono ma non sono adeguate alla
condizione sociale di un gruppo in quel determinato momento
Di anomia Durkeim si occupa in due libri:
1. La divisione del lavoro sociale:
L’anomia è una delle forme patologiche della divisione del lavoro.
Un fenomeno per cui, la divisione del lavoro non è nella condizione di produrre la solidarietà del
mondo moderno, ossia la solidarietà organica.
Durkeim pensa di riscontrare uno stato di indisciplina sociale, di insufficiente regolazione sociale,
in 3 situazioni differenti:
A. Crisi industriali e commerciali:
Queste crisi vengono attestate dall’aumento dei fallimenti e della disoccupazione e dal
peggioramento delle condizioni di vita.
Secondo Durkeim la crisi economica ci sta dicendo che in alcuni settori della società alcune
funzioni non sono tra di loro armonizzate e quindi manca una disciplina adeguata delle relazioni
tra attività produttive.
E’ necessario quindi un in trecento regolativo dello stato nelle funzioni economiche.
B. Specializzazione del lavoro scientifico:
La specializzazione mette a rischio l’utilità della scienza.
E’ come se mancassero delle regole di linguaggio, di comunicazione e di comprensione.
Durkeim scrive in un momento in cui la crisi della metafisica è acclarata.
La crisi della metafisica ha provocato un grande sviluppo delle scienze naturali che si sono
staccate da questa considerazione unitaria e hanno prodotto una separazione tra l’ambito delle
scienze sociali e quello delle scienze naturali.
—> Il lavoro scientifico tende a specializzarsi e a frantumarsi.
Si tratta di una contraddizione perché per tutta “la divisione del lavoro sociale” Durkeim ha
sostenuto l’idea che la divisione del lavoro va bene in economia, ma anche in politica e che non
dovrebbe andare bene per l’ambito scientifico.
C. Antagonismo che esiste tra capitale e lavoro:
E’ la condizione più grave di anomia che si è generata tra i conflitti della fine dell’800.
Durkeim afferma che siamo entrati nella fase della rivoluzione industriale.
Il problema sociale della disciplina del rapporto di lavoro è il problema più importante e le relazioni
tra operai e imprenditori sono regolate dall’inadeguata, anemica disposizione del Code Napoleon
sulla locazione delle opere (affitto di lavoro).
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—> Occorre stanare dal corpo del diritto civile un diritto del lavoro autonomo, che provveda a
disciplinare questo settore che è il più importante delle nostre organizzazioni economiche,
capitalistiche.
Durkeim è però convinto che un’adeguata disciplina possa sorgere spontaneamente dalla
divisione del lavoro.
—> Per superare le situazioni di anomia è sufficiente che la divisione del lavoro sia nella
condizione di svilupparsi regolarmente, senza che ci siano interventi che la snaturino.
E’ una visione ottimistica.
La divisione del lavoro deve semplicemente riprendere il suo corso dopo la grande crisi
economica.
Al tempo stesso è però necessario che le diverse attività sociali e i relativi organi siano più in
contatto stabile tra di loro, in modo tale che in tutti i membri della società possa maturare la
consapevolezza della loro funzione utile e la consapevolezza della loro dipendenza reciproca.
2. Il suicidio:
In questo libro emerge un nuovo concetto di anomia: anomia soggettiva/anomia individuale.
• Anomia oggettiva: Riguarda il problema della regolazione sociale, il fatto che la regolazione
sociale è mancante o insufficiente
L’anomia soggettiva invece riguarda gli individui.
E’ l’agitazione, l’insofferenza e l’ansia che si produce nei soggetti, negli individui nel momento in
cui la società non è più in grado di disciplinare un certo settore o un aspetto particolare della vita
di relazione.
E’ una delle maniere più frequenti in cui Durkeim definisce il comportamento deviante, irregolare,
che provoca una reazione allarmata da parte della società.
Fra questi comportamenti vi rientra quello di chi decide di rinunciare alla propria vita —> suicidio.
Se le società e i suoi meccanismi di regolazione sono assenti o insufficienti il soggetto non riesce
più a controllare le pulsioni della propria natura, non sa più riconoscere i propri limiti.
Il suicidio per Durkeim è un fatto sociale.
Anche un caso così individuale deve essere letto a partire da una lettura sociale.
Il tasso di suicidio infatti varia in base alle condizioni sociali, al legame e all’interazione sociale.
—> Il suicidio aumenta dove viene meno il legame sociale.
Aumenta nei momenti di anomia, ossia di mancanza di norme certe, nelle epoche di transazione.
Durkeim parla infatti di suicidio anomico, che è il suicidio che si verifica in società che hanno
perso la capacità di regolare convenientemente le relazioni sociali.
Il suicidio anomico è il suicidio degli insofferenti alle regole, degli inquieti.
- Nella comunità pre moderna l'integrazione era qualcosa di quasi innato, le persone stavano
insieme perché la loro identità era profondamente comunitaria e quindi le persone erano legate
fortemente le une dalle altre da una solidarietà, definita da Durskheim, meccanica, ossia
naturale
- Quando si passa alla società moderna questo legame sociale dovrà essere ricostruito e sarà,
secondo Durkheim, basato su un tipo di solidarietà, chiamata, organica, dovuta dal fatto che le
persone dovranno dipendere le une dalle altre → interdipendenza funzionale. Questo nuovo
tipo di sistema sociale, fatto di interdipendenza, può produrre una serie di disagi e il suicidio è
uno degli esiti di questo legame che viene meno
In questa considerazione dell’anomia soggettiva emerge qual è la concezione antropologia che è
alla base del funzionalismo di Durkeim: il problema è che l’uomo è un animale desiderante, che ha
questa capacità specifica che lo differenzia dagli altri animali, ossia di desiderare all’infinito e, allo
stesso tempo, l’individuo è un essere che ha bisogno di controllo e di disciplina.
—> E’ un essere che soffre, che vive questa contraddizione: è insofferente alla regola ed è ancora
più in difficoltà se la regola non c’è.
Tra queste due dimensioni dell’anomia (anomia asociale e anomia soggettiva) esiste per Durkeim
un rapporto di influenza reciproca: da un lato l’indebolimento del diritto e della morale che tende a
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produrre e accentuale le ansia e le insofferenze delle persone, dall’altro lato la liberazione
incontrollata dei desideri, delle aspirazioni individuali che aggrava la situazione di indisciplina,
quindi di anomia oggettiva della società nel suo complesso.
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CORPORAZIONI
Per Durkeim l’assenza di organizzazione, di disciplina da parte delle attività produttive sembra un
dato endemico.
—> E’ il momento di pensare a una riflessione sui problemi portati e generati dagli istituti
dell’economia liberare.
La critica dell’organizzazione capitalistica rende quasi incomprensibile l’apologia della divisione
del lavoro pronunciata 4 anni prima.
Secondo Durkeim l’economia, invece di essere valutata e considerata come lo strumento in vista
di un obiettivo, è divenuta il fine supremo degli individui, della società intera.
—> Eccessiva valorizzazione dell’aspetto materiale dell’esistenza.
Il problema delle società contemporanee è l’indebolimento della famiglia tradizionale e la
scomparsa di gruppi intermedi tra individui e stato.
E’ questo il punto su cui si deve correggere gli errori della società liberale.
Occorre che, tra gli individui nella comunità politica, torni a stabilirsi una serie di relazioni.
E’ necessario immaginare e creare nuovi centri di solidarietà, di coesione sociale, di integrazione
sociali.
Questi nuovi nuclei devono essere quelli vecchi, ossia le antiche corporazioni professionali del
medioevo (corporazioni delle arti e dei mestieri).
Durkeim entra in contraddizione con se stesso perché da un lato dice che lo stato post
rivoluzionario ha liberato gli individui dalla soggezione ai gruppi e alle corporazioni e ha
incentivato quella che lui chiama “la religione dei diritti”, mentre dall’altro lato si lamenta di un
esito di questo tipo.
Ad ogni modo nel “Suicidio” Durkeim afferma che la corporazione professionale deve rinascere
come personalità che ha il riconoscimento dello stato e quindi una garanzia statale.
—> La corporazione, con queste caratteristiche, potrà svilupparsi come individualità morale con i
suoi usi, le sue regole e le sue tradizioni.
Gli effetti della rinascita corporativa sarebbero positivi perché:
- Ci sarebbe un’organizzazione della vita professionale che è vicina alle concrete attività di ogni
gruppo
- Ci sarebbe un controllo continuo sula formazione, sull’educazione e sui comportamenti
dell’individuo, in modo tale che la corporazione potrebbe quasi sostituirsi alla famiglia, agli altri
gruppi intermedi
Riferimento: Capitolo “Liturgia politica” del libro di testo.
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STATO
Nella quarta delle Lezioni di sociologia Durkeim definisce il concetto di stato, e lo fa in rapporto
all’attività sentimentale e di riflessione della coscienza comune.
Lo stato è un gruppo di funzionari che elabora le rappresentazioni e le volizioni destinate a
guidare il comportamento collettivo.
Non rappresenta la coscienza comune nel suo complesso, ma è l’organo incaricato all’interno di
questa di una funzione specifica, quella di tradurre certi orientamenti in decisioni.
E’ il livello più intenso di riflessione all’interno della coscienza collettiva.
E’ la sede del pensiero sociale, un pensiero con fini pratici.
Lo stato valuta e riflette allo scopo di indirizzare i comportamenti dei membri del gruppo.
—> Quale fine persegue lo stato?
Secondo Durkeim la storia ci fa vedere due linee di sviluppo:
- Le funzioni dello stato si accrescono sempre di più e allo stesso tempo diventano più
importanti
- Più si avanza nella storia, più si rafforza il rispetto per la dignità della persona
Quale relazione istituire tra queste due leggi?
Diritti dell’uomo vs diritti dello stato.
Vi sono due direzioni:
1) Direzione hegeliana: Lo stato deve perseguire la realizzazione di disegni sociali, finalità, senza
alcun rapporto con le aspirazioni individuali. E’ il culto della città (l’individuo lavora per la
grandezza della società e si sente ricompensato delle sue fatiche solo per il fatto di farne
parte)
2) Direzione dei teorici del diritto naturale: I diritti sono innati e costituiscono un elenco definito,
determinato una volta per tutte. Sono indipendenti dall’azione dello stato e al di fuori della sua
competenza
L’unico modo per evitare queste contraddizioni, secondo Durkeim, è quello di non considerare i
due fenomeni come antagonisti.
I progressi dell’individualismo morale e l’espansione morale vanno di pari passo.
—> Più lo stato è forte più l’individuo è rispettato.
Per Durkeim la spiegazione della duplice evoluzione sta nel fatto che un fenomeno è causa
dell’altro.
Lo stato ha tradotto in decisioni gli orientamenti della coscienza collettiva, sempre più indirizzate
verso il culto dell’individuo.
—> Incessante estensione dei suoi interventi.
Lo strumento più importante di quest’opera di consolidamento normativo dei sentimenti collettivi
è il diritto.
E’ lo stato che ha creato e organizzato i diritti.
I diritti non hanno un inizio definitivo, sono un tutt’uno con la storia delle società.
L’intervento dello stato nelle diverse sfere della vita collettiva non ha nulla di tirannico.
Anzi, con l’invenzione dei diritti lo stato ha esercitato, e continua a esercitare, un’azione liberatrice
nei confronti delle personalità individuali, conformemente alla sua funzione di chiarificazione
normativa delle rappresentazioni della coscienza comune.
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Jellinek
4 TESI
Jellinek lo ricordiamo come il grande teorizzatole dei diritti soggetti pubblici, cioè i diritti soggettivi
che il singolo, in una comunità politica, può vantare nei confronti dei poteri pubblici, dello stato.
Jellinek si occupa della Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789.
A riguardo formula 4 tesi:
1. Il modello della dichiarazione francese (Declaration) sono i Bill of Rights americani,
redatti prima della pace di Versailles:
Per Jellinek la prova più importante del fatto che la dichiarazione francese si rifà ai Bill of Rights
delle colonie inglesi è la Fayette.
• Fayette: E’ l’eroe dell’indipendenza americana che, pochi giorni prima della data di inizio della
rivoluzione francese, presenta all’assemblea costituente un progetto di dichiarazione dei diritti
(11 luglio 1789)
Inoltre Jellinek ricorda che già prima del 1789 circolavano in Francia molte traduzioni dei Bill of
Rights delle colonie.
—> Non c’è bisogno di grandi prove: erano testi già conosciuti ai francesi.
Jellinek inoltre dedica l’intero quinto capitolo dell’Erklarung a una comparazione analitica (colonna
per colonna, articolo per articolo) tra il testo della Dichiarazione francese e quelli dei Bill of Rights:
- Diverse parti si assomigliano ma lo stile è diverso: Nella dichiarazione francese lo stile è
conciso e filosofico; nei Bill of Rights lo stile è colloquiale, verboso e poco filosofico
- Differenze sui doveri: Nella dichiarazione francese sono espliciti; nei Bill of Rights sono dati per
scontato e quindi non menzionati
- Differenza sulle circostanze storiche: La dichiarazione francese cerca di assicurare quello che
non esisteva ancora, delle istituzioni corrispondenti a nuovi principi; i Bill of Rights traducono in
formule un orientamento e un’organizzazione politica in gran parte già esistenti (es:
proclamazione come patrimonio eterno e comune a tutti i popoli liberi dei diritti già posseduti)
—> Quella francese è un’esperienza costituzionale che ripete le vicende americane,
riprendendone le forme giuridiche e gli obiettivi politici.
È americana:
- L’idea di una costituzione scritta
- La scelta di far precedere la parte sulla forma di governo da una dichiarazione dei diritti
Senza gli americani, il percorso verso la proclamazione e la codificazione di principi sarebbe
apparso meno lineare e più accidentato.
Secondo Jellinek, tutte le disposizioni che si trovano nella Dichiarazione hanno un antecedente
preciso nei testi americani.
Nella Dichiarazione non è garantita alcuna libertà che non lo sia anche in America (anzi, nel
documento francese mancano il diritto di riunione, di associazione ecc).
Al di là delle diversità tra le due condizioni di partenza e alcune inevitabili dissonanze nel modo di
intendere e di valutare certi principi, la storia ha fatto emergere ugualmente la coincidenza degli
obiettivi perseguiti:
•
Sovranità popolare
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•
Principio di uguaglianza
•
Tutela della libertà degli individui
—> I francesi fecero senz’altro proprio il modello americano.
Jellinek non vuole sminuire l’importanza della Dichiarazione, ma smentisce il primato
dell’esperienza francese riguardo l’enunciazione di diritti.
2. I principi della dichiarazione francese sono lontani e a volte in conflitto con le idee di
Rousseau:
La questione è l’influenza di Rousseau e del contratto sociale sulla Dichiarazione dei diritti del
1789.
Il contratto sociale per Rousseau si riduce ad una clausola soltanto: l’alienazione completa dei
diritti della persona alla comunità politica.
—> Nel momento in cui il membro della comunità politica entra nella stessa i diritti del singolo
sono delle concessioni della volontà generale.
Non c’è spazio per l’idea di una libertà naturale, di diritti naturali, inalienabili e sacri, che vengono
fatti valere come limite all’azione dello stato.
La libertà di Rousseau non è un ideale liberale, ma un ideale democratico e non vi è dubbio che
l’anima democratica sia già presente nella rivoluzione francese
Non è libertà dallo Stato, ma consiste al contrario proprio nella partecipazione ad esso.
—> Secondo Jellinek l’influenza di Rousseau si vede soltanto nell’impiego di certe locuzioni, di
certe formulazioni lessicali, e non dal punto di vista dei contenuti.
Jellinek minimizza: Rousseau ha contribuito a rafforzare le idee rivoluzionarie (il contratto sociale è
l’opera che ha annunciato la rivoluzione), quindi è logico che ci sia.
Le cose però non stanno proprio così:
• Art 6 della Dichiarazione: La legge è espressione della volontà generale
—> Poche parole, ma sufficienti a dimostrare che la presenza di Rousseau in questo documento
non è solo evocativa.
Si esprime l’idea che la legge deve passare attraverso un processo deliberativo, nel quale
dobbiamo immaginare coinvolti tutti i membri della comunità politica
—> Idea di uguaglianza democratica forte.
3. Tutte le teorie giusnaturaliste, le teorie del diritto naturale, sono lontane dalla
Declaration e quindi non possono essere considerate suo fondamento dottrinario:
Jellinek pensa che le teorie giusnaturalistiche, le teorie del diritto naturale, non hanno prodotto
carte o dichiarazione dei diritti, né hanno avuto un’influenza diretta e concreta nella costruzione
nei diritti.
Questo perché in realtà non aspiravano ad avere un riconoscimento di certi principi ideali nel
diritto positivo.
Jellinek porta come esempio Ulpiano.
Ulpiano proclama che tutti gli uomini sono uguali per diritto naturale ma, allo stesso tempo,
riconosce la schiavitù come un’istituzione del diritto civile.
Secondo Jellinek delle concezioni filosofiche, da sole, non possono avere degli effetti pratici se
non sono favorite da certe condizioni storiche, cioè se non incontrano un ambiente sociale
appropriato.
4. Dal punto di vista storico il testo francese si collega alle lotte per la libertà religiosa in
Europa e, in modo particolare, alla riforma protestante in Inghilterra, quindi alle lotte di
religione in Inghilterra del 600:
Questione: La fonte della dichiarazione francese va trovata nei documenti americani che, a loro
volta, fanno riferimento a un’altra vicenda, la vicenda dell’America coloniale e dei coloni che si
trasferiscono in America e colonizzano nuove terre.
—> I Bill of Rights risentono tanto del diritto coloniale inglese (diritto coloniale del 600).
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L’antecedente immediato dei Bill of Rights americani sarebbero i conventas coloniale del 600,
cioè le convenzioni, le intese, i contratti.
• Conventas: Sono le convenzioni nelle quali i coloni, al momento dell’insediamento nelle nuove
terre americane, indicavano i principi fondamentali della comunità
Questi documenti sono in gran parte conosciuti.
Molto spesso si trattava della proclamazione solenne, di fronte a Dio, del rispetto delle leggi poste
dalla maggioranza e, al contempo, del principio fondamentale per cui la religione è sottratta a ogni
regolamentazione nel nome di un’assoluta libertà di coscienza.
Questo perché i coloni inglesi andavano in America per sottrarsi alle guerre di religione in
Inghilterra.
La vicenda più importante è quella del Padri pellegrini che sono considerati i primi coloni del
nuovo mondo.
I Padri pellegrini partirono dall’Inghilterra nel 1620 sul Mayflower, dove stipularono il primo
contratto.
Da questa vicenda si ricava l’idea per cui l’origine della pratica di consacrare in un documento i
diritti fondamentali della futura comunità politica è un patto che ha natura religiosa e non politica.
Una prova importante adottata da Jellinek è Locke.
Di Locke Jellinek ricorda la costituzione per la Carolina del nord, che entra in vigore del 1669.
Locke ammette l’istituto della schiavitù però, contemporaneamente, proclama che nessuno può
disturbare, molestare e perseguire altri per le loro opinioni speculative in materia religiosa oppure
per il loro modo di praticare il culto.
—> La cosa più importante è la libertà religiosa.
In realtà, nelle sue Lettera sulla tolleranza, Locke è tutt’altro che liberale nei confronti delle
confessioni diverse dal cristianesimo riformato.
Egli infatti afferma che tutte le confessioni devono essere tollerate, ma non è ammissibile la
tolleranza dei confronti degli atei e dei cattolici.
Jellinek dà anche rilievo all’opera di Roger Williams:
Roger è un oppositore della chiesa anglicana e fonda, nel 1636, la Provvidenza, cioè il nucleo
della nuova colonia inglese del Rhode Island (di cui ne fu governatore) e la prima chiesa battista
americana.
Williams predica la necessità di una separazione fra stato e chiesa, nel nome di una libertà di
coscienza assoluta come principio fondamentale della comunità.
Questo perché un’unità confessionale creata artificialmente dallo Stato contraddice i pèrincipi del
cristianesimo.
Gli stati devono limitarsi alla gestione delle cose terrene, ed è loro vietata qualsiasi intromissione
negli affari di coscienza degli individui.
Vi deve essere tolleranza nei confronti di tutte le confessioni (ebrei, pagani, musulmani ecc..).
—> Tutti devono essere liberi di praticare i loro culti e manifestare le loro convinzioni.
Agli occhi di Jellinke Williams è un importante anello di congiunzione con le vicende europee.
Non ci sono dubbi sulla continuità tra le vicende di Williams e i principi visti nei convenants.
—> Il primo apostolo dei diritti non è La Fayette, ma Roger Williams.
Quindi:
L’idea di dedicare testi normativi ai diritti ha fondamento religioso e non politico, come dimostrato
dal collegamento tra covenants e conflitti religiosi in Inghilterra.
Quello che normalmente si considera un prodotto delle rivoluzioni, e della Rivoluzione francese in
particolare, è un prodotto della riforma e delle lotte di religione che la riforma aveva innescato in
Inghilterra.
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PURITANESIMO INGLESE E COSTITUZIONALISMO AMERICANO (e Roger Williams)
Problema: Come mai le vicende inglesi del 600 danno i loro frutti nel costituzionalismo
americano? Com’è possibile che proprio il puritanesimo inglese ha, secondo l’opinione di Jellinek,
influenzato la riforma costituzione della monarchia che segue alla rivoluzione gloriosa, a
cominciare dal Bill of Rights del 1689?
In apparenza molte circostanze, In Inghilterra, sembrerebbero poter favorire il trapasso delle idee
religiose sulla libertà di coscienza delle correnti più radicali, e in particolare dell'indipendentismo,
alla politica, ad una pratica costituzionale fondata sul principio dell’intangibilità da parte dei
pubblici poteri, di certe libertà degli individui.
Gli storici del resto riconoscono a questo periodo, e soprattutto all'esperienza repubblicana, un
ruolo fondamentale nella formazione della coscienza moderna del paese, idealmente legato (dopo
Cromwell) alle aspirazioni di riforma politico-culturale dei movimenti puritani.
Eppure, nei documenti che contrassegnano le vicende inglesi del seicento, non vi è quasi traccia
dell'idea di un diritto naturale alla libertà religiosa, e soprattutto della formulazione su questa base
di un progetto di organizzazione politica incentrata sul riconoscimento di alcuni diritti inviolabili e
sulla conseguente limitazione del potere dello Stato.
Su queste posizioni è possibile trovare soltanto il progetto di una nuova Costituzione per
l'Inghilterra (Agreement of the people 28 ottobre 1647).
In esso effettivamente troviamo la proclamazione della libertà di coscienza come diritto innato e il
divieto di interferenza dello Stato nelle questioni religiose.
La stessa cosa non può dirsi dei documenti costituzionali ufficiali (Bill of Rights, Habeas corpus,
Petition of Rrights e anche la Magna Charta).
In essi non vi è un riconoscimento esplicito del principio di libertà religiosa.
I documenti Inglesi sono tutte dichiarazioni adottate in occasione di fatti precisi, con l'obiettivo di
confermare-interpretare il diritto pre-esistente.
Le leggi inglesi sono molto lontane insomma da ogni idea di diritti naturali ed eterni.
I loro sono diritti storici, nazioni, ossia i veri diritti del popolo inglese.
Le dichiarazioni americane, al contrario, contengono regole dichiaratamente costituzionali, norme
che intendono mettersi al di sopra del potere legislativo ordinario.
E soprattutto proclamano dei diritti che sono naturali e inviolabili.
Ma allora, in ragione di quali differenze le correnti calviniste più rigorose hanno potuto realizzare in
America ciò che non furono in grado di far sorgere in Inghilterra?
Per Jellinek è un idea politica che riesce ad affermarsi nel nuovo mondo grazie a circostanze
storiche particolari.
E' l'ideale democratico che regola l'organizzazione delle comunità riformate e che nelle colonie ha
l'opportunità di dispiegarsi compiutamente sino a toccare l'idea stessa di Stato.
Al momento di insediare le loro comunità in terre cosi lontane e diverse dalla madrepatria,
staccatisi da essa proprio per sfuggire al tormento delle persecuzioni religiose, i coloni inglese si
sentono davvero nella posizione di chi dallo stato di natura entra nello stato sociale in base ad un
libero accordo.
In simili circostanze non è più necessario pensare ad un patto con il potere per la tutela di certe
libertà.
Si può pervenire direttamente all idea di un contratto tra liberi che dia vita ad una nuova comunità
politica, e in particolare la istituisca sul principio che sta a cuore ai coloni, la libertà di coscienza, e
a questa la vincoli per sempre fin dall'inizio.
Siamo arrivati per Jellinek alla prima vera manifestazione storica delle idee che guideranno le
rivoluzioni: la sovranità popolare che fonda le leggi e il governo, la comunità politica che si
organizza direttamente per la tutela delle libertà.
In definitiva:
Non tanto le carte coloniali costituiscono l'antecedente immediato dei Bills americani, ma
piuttosto i Covenants, i contratti coi quali i coloni al momento dell'insediamento nelle nuove terre,
stabiliscono i principi fondamentali cui deve ispirarsi la vita della comunità.
In questo quadro (l’America coloniale del seicento) Jellinek da grande rilievo alla figura di Roger
Williams, espressione del puritanesimo radicale inglese e fondatore nel 1636 di Providence.
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Roger Williams è una personalità centrale per illuminare i rapporti tra le vicende del puritanesimo
in Inghilterra e la mentalità politico-religiosa che si afferma nelle colonie.
La sua attività è anche importante per affrontare la questione dei complessi rapporti all'interno
delle sette puritane, in particolare tra congregazionalismo, indipendentismo e movimenti battisti.
L'opera di Williams ricordata da Jellinek è The Bloudy tenent of persecution del 1644.
In essa è illustrato il principio per cui il carattere intrinseco dell’organizzazione politica limita
l'intervento degli Stati alla gestione delle cose terrene.
Dopo la venuta di Cristo, tutti devono essere liberi di praticare i loro culti e di manifestare le loro
convinzioni.
Contro di essi si può combattere solo con le armi dello spirito e con le parole delle scritture.
Di conseguenza, un unita confessionale creata artificialmente dallo Stato contraddice i principi del
Cristianesimo.
E’ errato adoperarsi per qualche forma di conciliazione o compromesso.
Solo una rigida separazione può consentire la convivenza tra esse.
Jellinek stesso alla fine del settimo capitolo, dedicato al problema della libertà religiosa nelle
colonie americane, riassume la sua argomentazione nell'idea di consacrare legislativamente i
diritti inalienabili e inviolabili, i diritti naturali dell’uomo.
Quest’idea non è di origine politica, bensì di natura religiosa.
—> Allora, diversamente da quello che si crede, non è La Fayette il primo apostolo dei diritti,
bensì quel colono inglese che emigra in America, spinto dal suo entusiasmo religioso per fondarvi
il regno della fede e della libertà di coscienza: Roger Williams.
Troeltsch (filosofo e storico inglese), è importante per circoscrivere le tesi di Jellinek e per dare
indirettamente una risposta alla questione sui motivi delle migliori fortune del principio di libertà
religiosa in America rispetto all ‘Inghilterra.
Jellinek attribuisce correttamente le origini storiche dell’indipendentismo e di tutte le idee sulla
separazione tra stato e chiesa alle concezioni democratiche di Robert Browne e all'esperienza del
congregazionalismo di John Robinson.
Inoltre ricorda anche come le comunità indipendenti abbiano avuto in patria un'esistenza difficile
(esclusa la parentesi Cromwell): il "non conformismo" del loro calvinismo, la rivendicazione di
forme di culto più pure, il dissidio verso l'idea di una chiesa "di stato" e sottomessa al potere,
l'opposizione ad ogni forma di sistema episcopale.
Il legame tra madrepatria e colonie si costruisce attorno ad un'espressione particolare del
calvinismo inglese tanto radicale, da non riuscire ad essere accettato in Inghilterra.
Questo motivo politico religioso, è trascurato da Jellinek, ed è grave, innanzitutto perché la
questione è essenziale per la comprensione delle vicende inglesi, e di tutte le relazioni successive
tra Inghilterra e America, ma anche perché avrebbe dato una configurazione in fondo più precisa
e coerente alla tesi del legame tra puritanesimo inglese e costituzionalismo americano.
Questa è sostanzialmente la correzione apportata da Troeltsch: il merito di aver dato origine ai
diritti dell'uomo non spetta al vero e proprio protestantesimo ecclesiastico bensì al settarismo e
allo spiritualismo, da quello odiati e banditi nel Nuovo Mondo.
Per egli lo spiritualismo è la forma estrema dell'individualismo protestante.
Sono questi sviluppi anti-istituzionali del puritanesimo (che l'autore chiama calvinismo moderno),
rappresentati da persone come/soprattutto da Williams, che hanno avvicinato il diritto naturale
dello stato di peccato, al moderno diritto naturale classico-razionalistico del liberismo.
Troeltsch prosegue affermando che alle dichiarazioni dei diritti hanno si cooperato delle forze
religiose, ma in aggiunta a "svariati motivi esteriori e specialmente idee razional-illuministiche.
—> Questo è dunque il limite della tesi di Jellinek: una sottovalutazione eccessiva del contributo
dell'illuminismo giuridico, ed un insufficiente considerazione delle condizioni che resero possibili
l'incontro tra le dottrine moderne del diritto naturale con l'etica religiosa del puritanesimo inglese e
americano.
Nell'ultimo capitolo di “Assolutismo e codificazione del diritto”, Tarello discute criticamente dei
pregiudizi storiografici che avrebbero condizionato lo studio della codificazione costituzionale
americana.
Il primo di questi riguarda la credenza in una specifica tradizione giuridica americana risultante dal
processo che dalle fondazioni coloniali conduce alle carte dei diritti.
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Il secondo invece, originatosi da Max Weber, ma frutto di meno intelligenti e più meccanici usi di
quelle considerazione, secondo cui tutto il costituzionalismo americano avrebbe origine e sarebbe
determinato dallo spirito puritano.
Tarello parla della prassi contrattualistica dei Covenants e dell'ideologia libertaria che essa
dovrebbe esprimere.
Secondo lui, in realtà, le comunità dei coloni della Nuova Inghilterra non furono egualitarie,
libertarie, tolleranti.
Si rivelarono tutt'al contrario comunità chiuse e intolleranti.
Inutile pertanto cercare di rintracciare nella cultura coloniale le origini storiche del
costituzionalismo liberale.
Tarello ammette qualcosa: talune formule contrattualistiche della riflessione politico-religiosa dei
puritani e di Wisepee, richiamano espressamente dottrine illuministiche europee, ma la
motivazione di fondo non è religiosa, bensì politica, è la difesa dell'autonomia delle nuove
comunità dal controllo politico, economico e finanziario della madrepatria.
—> E’ certo evidente anche a Tarello l'esistenza di un'affinità elettiva tra l'individualismo e
l'indipendentismo delle sette puritane e il costituzionalismo liberale, ma in ogni casso sono
squisitamente motivazioni politiche (e non religiose) a trasformare queste inclinazioni in una teoria
costituzionale.
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CONNESSIONI CON IL MONDO GERMANICO
(Parliamo della sua riflessione sui rapporti tra i diritti dell’uomo e la concezione germanica del
diritto).
Jellinek si chiede: Come mai le idee sulla libertà riligiosa e sui limiti all’intervento dello stato hanno
trovato dapprima in Inghilterra e poi nelle colonie un terreno di sviluppo così favorevole?
Come mai una valorizzazione così intensa della libertà religiosa nei movimenti in Inghilterra e poi
nell’esperienza del diritto coloniale americano, arrivando ai Bill of Rights di fine 700?
La ragione è che il diritto pubblico inglese è cresciuto su una base fondamentalmente germanica,
contraria alle concezioni sull’assolutismo di derivazione romanistica.
Questo perché vi è una base storica.
L’Inghilterra viene infatti colonizzata da popolazioni germaniche nel primo medioevo.
—> Componente germanica nella storia inglese.
Secondo Jellinek le lotte inglesi per la libertà religiosa vanno venire alla luce lo spirito autentico
della cultura giudica germanica in opposizione con l’idea romana dello stato.
Lo Stato germanico ha sempre avuto poteri minimi d’intervento nella sfera degli individui.
I soggetti che vivevano nelle comunità germaniche erano sottoposti più che altro alla disciplina
della famiglia, del gruppo parentale e delle corporazioni.
Quest’idea sui limiti dell’intervento dello stato, secondo Jellinek, ha avuto un’influenza decisiva sui
movimenti di riforma (la politica assolutistica degli Stuart e la repressione religiosa da esse
scatenata provocarono una reazione difensiva).
Questa è l’altra conclusione del libro di Jellinek: Non solo la dichiarazione del 1789 non ha un
fondamento tutto francese, ma l’idea dei diritti che essa racchiude risale, con la mediazione della
riforma del diritto americano, all’esperienza giuridica del medioevo delle libertà germaniche.
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POLEMICA CON BOUTMY
Emile Boutmy è una delle figure più importanti nella Francia della Terza Repubblica, fondatore
della “Libera scuola di scienze politiche” (dove studiò diritto costituzionale per oltre trent’anni),
scuola dall’enorme successo e rinomanza che esiste tutt’oggi con il nome di “Istituto di studi
politici di Parigi” ed è da poco stata giudicata la 4° università migliore del mondo nel campo della
scienza politica (dopo Harvard, Oxford e la scuola di scienze politiche di Londra).
Boutmy si preoccupa di ricondurre la Rivoluzione entro confini francesi.
Accusa Jellinek di nazionalismo inconsapevole, ma intanto fa emergere apertamente il proprio.
Argomentazione di Boutmy:
Perché mai la Francia avrebbe dovuto servirsi dei Bill of Rights americani quando soltanto la
Manica la divideva dalla vera fonte di questi ultimi, cioè la common law inglese? Questa era
conosciuta molto meglio di quelli.
L’unica influenza venuta d’oltreoceano, che concede Boutmy, è di natura formale, l’idea cioè di
unificare i diritti in un testo da mettere al principio di una Costituzione.
E’ motivazione strutturalistica di Boutmy.
Nel diciottesimo secolo, in tutto l’occidente, con il contributo di apporti diversi, si consolida un
tesoro culturale e sociologico comune al quale attingono, con modalità varie, a seconda delle
inclinazioni nazionali, tutti i paesi.
A questa corrente di pensiero hanno contribuito Locke, Montesquieu, Voltaire e Rousseau.
Boutmy accusa Jellinek di scorrettezza nel procedimento formativo della sua tesi.
Secondo lui non si può confrontare la Declaration soltanto con gli articoli dei Bill of Rights
americani che evidenzialo le affinità maggiori.
Analizzati complessivamente, i documenti appaiono profondamente discordanti tra loro:
- I documenti americani, influenzati dalla concezione cautelare del diritto inglese, guardano al
processo e a concrete garanzie giurisdizionali; nella Declaration il punto di vista è quello del
legislatore e del filosofo. La preoccupazione è indicare positivamente la forma e i contenuti
della legge
- Differenza di stile: Nei documenti americani lo stile è meticoloso, sovrabbondante e patetico;
nel documento francese è sobrio, breve, chiaro e vibrante
Infine sulla libertà di coscienza la tesi francese è che nel cristianesimo vi sono già tutte le
premesse per un riconoscimento del principio, in considerazione della forte inclinazione di questa
religione a valorizzare, nella prospettiva della salvezza, ogni destino individuale.
La Riforma avrebbe potuto essere un’occasione per dare concretezza etica-normativa a questo
orientamento, ma da questo punto di vista Roger Williams è solo un’eccezione, e non può dunque
rappresentare lo spirito delle colonie.
La loro idea di tolleranza, secondo Boutmy, fu solo postuma ad un periodo di violente
persecuzioni.
Queste hanno infatti generato una fede più tenace e inflessibile, e le pratiche iniziali delle
comunità della Nuova Inghilterra furono di diffidenza o di aperta e violenta persecuzione.
Solo in seguito esse si aprirono a idee di tolleranza, e solo per la consapevolezza che comunità
troppo chiuse sarebbero state frenate nel loro sviluppo economico.
Ma la tolleranza non è ancora libertà di coscienza.
Questa si afferma soltanto nel periodo pre-rivoluzionario, in modo simile a quanto accaduto anche
in Francia.
L’evoluzione dalla tolleranza alla libertà religiosa si sarebbe realizzata compiutamente solo in
Francia con l’Art10 della Dichiarazione.
Risposta di Jellinek:
Jellinek cita la formula ambigua dell’Art. 10.
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• Art 10 della Dichiarazione: Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose,
purché la manifestazione di esse non turbi l’ordine pubblico stabilito dalla Legge
Secondo Jellinek questa non può essere l’enunciazione della libertà di coscienza, ma al limite di
un principio di tolleranza reticente, e, per questo, potenzialmente autoritario.
Non sono i francesi dunque, come afferma Boutmy, a portare a compimento il processo di
trasformazione della tolleranza in libertà di coscienza, perché, pur avendo chiari i termini, sia
teorici che giuridici della questione, hanno preferito non fare uno sgarbo alla Chiesa cattolica: il
riconoscimento integrale della libertà di coscienza avrebbe avuto l’effetto di mettere la religione
cattolica su un piano di uguaglianza con le altre confessioni, e questo la maggioranza della
Costituente non lo voleva.
Jellinek, dopo aver rispedito al mittente le accuse di nazionalismo, sfrutta la risposta per chiarire
meglio alcune sue posizioni:
- Il primato della libertà religiosa è il primo diritto ad essere stato formulato. Con la libertà
religiosa, e quindi la libertà di coscienza, si arriva per la prima volta all’elaborazione di un
principio nuovo, quello della limitazione del potere dello Stato
- I documenti americani sono fondamentali per la Declaration perché hanno dato ai francesi un
modello, un esempio di legislazione della libertà. Qualcosa di diverso da una semplice filosofia
della libertà. È stato essenziale, nei mesi della Rivoluzione, avere sotto gli occhi
un’affermazione energica e precisa di un catalogo di diritti umani. Grazie agli americani, la
filosofia della libertà diventa legislazione della libertà
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Weber
Opere:
1) La storia agraria romana:
E’ redatta con l’assistenza di un economista: August Meitzen.
E’ importante perché colma una lacuna nell’ambito della storia giuridica romana.
2) L’etica protestante e lo spirito del capitalismo:
L’opera è un esempio di ricerca condotta con il metodo dell’individualismo metodologico.
E’ un’opera pubblicata in due parti: una nel 1904 e una nel 1905.
Questi due saggi vengono poi ripubblicati nei saggi di “sociologia della religione”, che fanno di
Weber, assieme a Durkeim, il sociologo della religione più importante fra tutti.
3) Economia e società:
Opera pubblicata dalla moglie di Weber dopo la sua morte.
All’interno di quest’opera vi è un lungo manoscritto di Weber dedicato alla sociologia del diritto.
Questo manoscritto costituisce una delle opere più importanti di sociologia del diritto insieme alla
divisione del lavoro di Durkeim e alla sociologia del diritto di Luhmann.
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CHIESA E SETTE
Weber si occupa dell’indagine sul problema della tolleranza religiosa.
In apparenza Weber sembra adoperare in maniera indifferente “libertà religiosa” o “tolleranza”,
come se fossero due termini interscambiabili.
Tuttavia il suo obiettivo principale è quello di individuare una linea di confine storico-culturale tra
la rivendicazione, da parte di gruppi e movimenti religiosi, della propria libertà di coscienza, e i
principi volti a garantire la libertà di coscienza degli altri.
—> Occorre capire quando, e in quali condizioni, si realizza il passaggio da una libertà di
coscienza in senso stretto, a una in senso più ampio, che per Weber è la tolleranza.
Secondo Weber il passaggio da una libertà di coscienza limitata alla protezione delle proprie
convinzioni religiose, a una libertà di coscienza universalistica, non può realizzarsi sul terreno delle
chiese, ma solo su quello del protestantesimo ascetico (protestantesimo calvinista, settario —>
sul terreno delle sette) e del movimento battista (con le sette che ne derivano, come i quaccheri).
La direzione naturale del calvinismo è la setta.
Secondo Weber il calvinismo è una chiesa ma tuttavia, in conseguenza dei suoi fondamenti
dogmatici, non può restare tale a lungo.
Calvino in effetti pensava ancora alla sottomissione, anche dei reprobi (reprobo=colui
contrapposto all’eletto, anima dell’inferno), all istituzione della chiesa come l’unica soluzione
compatibile con la gloria di Dio.
Però, più si porta a compimento il principio del privilegio divino degli eletti, più si fa strada una
forte versione nei confronti dell’autorità degli uomini, sia questa rappresentata da una chiesa
come istituzione per la salvezza delle anime, ovvero dal potere politico.
Questo è il fondamento psicologico decisivo della libertà di coscienza.
—> Il principio per cui si deve ubbidire a Dio più che agli uomini acquista la sua nota antiautoritaria.
• Chiesa: E’ l’istituzione fondata per la salvezza delle anime degli individui che sono nati in seno
ad essa
• Setta: E’ una libera comunità di individui qualificati solo rigorosamente, nella quale il singolo
viene ammesso in virtù di una libera decisione da entrambe le parti
—> E’ una distinzione che avviene solo sulla modalità di adesione ad essa.
Avviene quindi che all’interno di comunità qualificate dal punto di vista religioso (le sette) si tende
a sviluppare un orientamento rigorosamente anti-politico, e si maturano gli ideali di libertà
caratteristici della concezione liberale del potere.
Questa è la scoperta di Jellinek, a cui Weber rende omaggio.
La libertà di coscienza è il primo diritto dell’uomo, quello che abbraccia il complesso dell’agire e
che garantisce una libertà dal potete, e in particolare dal potere statale.
A questo si aggiungono anche altri diritti fondamentali: libera tutela dei propri interessi economici
(inviolabilità della proprietà, libertà contrattuale, libertà di scelta della professione) e libertà
politica.
Weber condivide con Jellinek anche la tesi per cui gli ideali di libertà sono maturali all’interno di
momenti particolari della storia protestante.
Per Weber quello rappresentato dal protestantesimo ascetico, soprattutto con l’esperienza delle
sette del movimento battista.
Ai nostri fini la distinzione tra chiesa e setta vale soprattutto per mettere in luce le caratteristiche
peculiari ed esclusive della seconda.
—> Solo all’interno di una religiosità ascetica attiva, e in particolare quella delle sette, può
maturare, a partire dal rifiuto di ogni omaggio a poteri terreni, la necessità di una libertà di
coscienza.
Vale a dire una richiesta religiosa di carattere positivo.
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Pagina 32 di 78
La chiesa, soprattutto quella cattolica, è in prima linea per la negazione radicale di questo
principio.
In quanto fondana da Dio ha il dovere di evitare agli uomini la dannazione, a cui sarebbero
condotti dall’eresia, e pertanto di rifiutare la libertà religiosa.
Se l’accetta è solo per motivi di opportunità politica.
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Pagina 33 di 78
LIBERTA’ DI COSCIENZA DEGLI ALTRI
Weber spiega come è proprio il carattere delle sette a garantire alla libertà di coscienza la spinta
universalistica necessaria a trasformarlo in un diritto di tutti.
Sul terreno delle sette la libertà deve sussistere anche al di la della propria.
—> La libertà di coscienza deve essere anche degli altri.
Le sette fanno in modo che l’individualismo non generi la polverizzazione degli individui,
caratteristica della società di massa.
Simili effetti sono visibili nella democrazia americana.
L’individuo, per acquistare una posizione stabile in ogni ambito della vita, entra a far parte di un
gruppo sociale, all’interno del quale può ottenere gratificazioni personali.
Il gruppo sociale è sempre un mezzo in funzione dei suoi propri scopi.
—> Inserimento preciso dell’individuo nell’attività del gruppo in vista di uno scopo.
Grazie allo spirito di setta l’America è diventata la società più libera e dinamica dell’Occidente.
Weber, nel 1906, scrive a Adolf Harnack, presidente del Congresso evangelico sociale:
Il luteranesimo è per me, nelle sue forme storiche di manifestazione, il più terribile degli orrori e
anche nella forma ideale nella quale si configura nelle sue speranze per lo sviluppo a venire è per
me, per noi tedeschi, un prodotto di cui non sono sicuro della reale forza di penetrazione della vita
che è in grado di generare.
Nessuno di noi potrebbe di per sé essere un uomo di setta, quacchero, battista ecc..
Ognuno di noi non può percepire al primo sguardo la superiorità dell’istituzione ecclesiale dal
punto di vista dei valori non etici e non religiosi.
Ma che la nostra nazione non sia passata mai, in nessuna forma, per la scuola del duro ascetismo
è la fonte di tutto ciò che in essa trovo odioso.
L’uomo medio delle sette in America sta più in alto del nostro cristiano della chiesa nazionale,
quanto Lutero, come personalità religiosa, sopravanza Calvino e tutti quanti.
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ILLUMINISMO
Il legame dell’illuminismo con il capitalismo è un legame più forte e si apprezza sul piano dei
diritti.
L’illuminismo plasma i diritti in una duplice direzione:
- Li trasferisce da un piano politico a uno economico
- Ne fa il fondamento di tutte le richieste di uguaglianza giuridica formale, contribuendo così
all’oscuramento dei contenuti della fede religiosa del passato
—> Si passa dal diritto naturale materiale del cristianesimo al diritto naturale formale.
Si completa così il disincantamento del mondo.
Le richieste di uguaglianza giuridica formale e di libertà di movimento preparano la distruzione del
sistema precedente a favore di un cosmo di norme astratte, e quindi indirettamente della
burocratizzazione, e vengono incontro all’espansione del capitalismo.
—> Dalla giustificazione dei diritti sulle premesse anti-autoritarie e anti politiche del
protestantesimo ascetico si passa alla giustificazione dei diritti in termini economici.
Secondo Weber le radici religiose dell’uomo moderno sono ormai morte.
La religiosità ascetica è stata dissolta.
Con la definitiva scomparsa di ogni pathos religioso delle sette, l’ottimismo illuministico ha
raccolto l’eredità dell’ascesi protestante sul terreno della mentalità economica.
L’ethos economico viene spogliato del suo senso religioso.
Era possibile che la classe lavoratrice accettasse la propria sorte fin che le si poteva permettere la
beatitudine eterna, ma una volta venuta meno questa consolazione, già da questo dovevano
insorgere quelle tensioni all’interno della società che dopo di allora sono continuamente cresciute.
Vi è evidente disappunto per una dimensione dell’esistenza progressivamente soffocata dal
capitalismo.
Vi è il rimpianto per la dimensione sociale della religione, improntata su principi di carità e
fratellanza.
Il mondo del capitalismo non lascia posto per cose del genere.
Il capitalismo ha portato l’uomo sotto una schiavitù senza padrone, in un mondo in cui
considerazione indipendenti da ogni etica decidono dei comportamenti dell’individuo.
Il protestantesimo ascetico, avendo contribuito a superare la tensione fra religiose e sviluppo delle
forze economiche, deve essere paradossalmente considerato uno dei responsabili del percorso
che conduce all’irreligiosità del mondo moderno.
Tuttavia, è solo con l’illuminismo che l’individualismo si sviluppa direttamente in termini
economici, diventando una giustificazione morale dell’egoismo e della competizione.
Ciò che nel protestantesimo ascetico è ancora una declinazione singolare dell’amore per il
prossimo nella direzione della non-fratellanza, nell’illuminismo è ormai apprezzamento
dell’aggressività nel segno dell’amor di sé.
La fede nella naturale armonia degli interessi di liberi individui è stata per sempre distrutta dal
capitalismo.
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BUROCRAZIA
• Razionalizzazione: E’ il processo caratterizzato dalla scoperta di tecniche e procedure più
adeguate di quelle del passato. Tutto diventa più organizzato, sistematico, preciso, calcolabile.
La razionalizzazione che ha operato nel campo dell’economia ha prodotto il capitalismo, inteso
come economia acquisitiva
L’economia acquisitiva a sua volta si divide in due parti:
1) Capitalismo della modernità (capitalismo razionale): E’ caratterizzato dal modo di produzione
che guarda al futuro, facendo calcoli di redditività su tempi molto lunghi, tendendo al
reinvestimento e al profitto. È un capitalismo autonomo, in quanto conta solo sulle sue forze
2) Capitalismo dell’antichità (capitalismo irrazionale): E’ il capitalismo di guerra, di rapina, di
razzie di uomini, ha come idea fondamentale lo sfruttamento di situazioni favorevoli. È un
capitalismo istintivo, che non fa calcoli, pensa in termini di stretta contingenza
Lo sviluppo della burocrazia è un fenomeno tipico della società moderna.
Weber individua nel processo di razionalizzazione della società l’aspetto che qualifica più di ogni
altro la modernità.
Tale processo consiste in una trasformazione radicale, attraverso la quale i metodi di produzione, i
rapporti sociali e le strutture culturali, caratterizzati da modi spontanei e basati sulla pratica
persone, vengono sostituiti da procedure sistematiche, precise e calcolate razionalmente.
Ciò permette di applicare le regole in modo parziale.
Infatti, nelle società moderne, le leggi sono applicate secondo regole definite e in modo
impersonale (a differenza di come avveniva nel mondo premoderno, in cui la giustizia veniva
amministrata dal capo o dagli azionati del villaggio e quindi dipendeva dalle relazioni personali).
La burocrazia, per Weber, è una forma di tale processo di razionalizzazione, perché implica
direttamente la gestione di esseri umani, non di oggetti, i quali devono essere organizzati per
conseguire finalità specifiche.
I sistemi burocratici si distinguono dalle forme tradizionali in base ai seguenti aspetti:
-
Le attività che richiedono personale sono distribuiti in modo stabile
Ogni ufficio inferiore è controllato e diretto da uno superiore
Un sistema di regole governa le decisioni ufficiali
Le decisioni vengono registrate in archivi scritti permanenti
I mezzi di produzione appartengono all’ufficio
I funzionari sono scelti sulla base di qualificazioni tecniche che vengono assunti e compensati
attraverso un salario
Un funzionario è un impiegato a tempo pieno e dopo un periodo di prova diviene
L’organizzazione delle attività fondata sulla divisione del lavoro e su una burocrazia specializzata,
col tempo, tende a diventare universale, a riguardare cioè non solo lo Stato, ma anche
l’ordinamento del lavoro, le attività economiche in generale, ogni tipo di istruzione, lo stesso
lavoro scientifico.
—> Burocratizzazione universale.
Burocrazia e capitalismo:
Burocrazia e capitalismo moderno procedono insieme perché sono le due declinazioni del
processo di razionalizzazione in Occidente dal punto di vista dell’agire politico (burocrazia) e
dell’agire economico (capitalismo).
Secondo Weber il progresso verso lo Stato burocratico, regolato e amministrato secondo un
diritto razionalmente istituito e secondo regolamenti razionalmente concepiti, è oggi in strettissima
connessione con il moderno sviluppo capitalistico.
L’impresa capitalistica moderna si fonda sul calcolo.
Ha bisogno per la propria esistenza di una giustizia e di un’amministrazione il cui funzionamento
possa essere razionalmente calcolato in base a precise norme generali.
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Pagina 36 di 78
Non può esistere la “giustizia di Cadì” (caso per caso secondo equità), né principi giuridici
irrazionali, tipo quelli esistenti ovunque in passato o in Oriente (al tempo di Weber).
Capitalismo e burocrazia appartengono intimamente l’uno all’altro.
E’ un’alleanza a sostegno della razionalizzazione giuridica formale e dello spirito formalistico della
modernità, inteso come indifferenza nei confronti di ogni considerazione etica.
L’azione dell’uomo politico degli apparati burocratici dello Stato e dell’uomo economico
dell’impresa capitalistica non ha riguardo alla persona, del tutto libera da sentimenti e passioni.
—> Si arriva quindi ad un dominio per mezzo di norme giuridiche astratte nei confronti della
massa dei dominati.
Weber si schiera contro la statalizzazione dell’economia.
Se la scelta è fra l’espansione capitalistica privata e un capitalismo di Stato, Weber sceglie
decisamente la prima alternativa.
Solo un capitalismo libero e dinamico serve meglio gli interessi della nazione (incide la speranza di
veder risorgere, in qualche modo, lo spirito eroico dei pionieri).
Bisogna dire sì alla vita, accettarne anche (e soprattutto) gli aspetti tragici, ricostruirne da soli il
senso, sopportare il disincantamento.
—> Eroismo della vita quotidiana.
L’assolvimento del dovere con passione e discernimento è per Weber la sola possibilità di far
valere la propria personalità, la propria vocazione, all’interno della gabbia d’acciaio della
modernità.
La consapevolezza di essere ormai degli schiavi senza padrone deve diventare il presupposto per
un atteggiamento responsabile nei confronti di sé stessi e della propria vita: libertà come
responsabilità.
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Pagina 37 di 78
CAPO CARISMATICO
Il capo carismatico di Weber è un uomo dotato di una qualità ritenuta straordinaria da una
pluralità di individui che, in base ad essa, lo riconoscono come leader.
Dopo la conferma il leader gode della fiducia e dell'ubbidienza incondizionata del seguito,
nell'ambito della missione che egli crede e afferma di dover compiere.
A Weber interessa soprattutto come portatore di nuovi valori, di nuove energie, di nuovi orizzonti,
e per questo capace di opporsi con successo al dominio meccanizzato e routinario delle
burocrazie.
Al capo carismatico Weber affida le sue aspettative per un’esistenza liberata, almeno in parte, dai
riti dell’obbedienza nei confronti di apparati di dominio impersonali.
—> La libertà salvata dal carisma.
Ma qual è il prezzo di questa libertà?
E’ la proletarizzazione spirituale dei seguaci: il capo ha bisogno di un seguito, di una comunità di
adepti che lo aiutino obbedendogli ciecamente.
Capo e seguaci costituiscono una comunità, caratterizzata da una disposizione all'agire che
poggia su una comune appartenenza soggettivamente sentita degli individui che ad essa
partecipano.
Per Weber il dominio di un capo carismatico è una condizione necessaria della realizzazione
dell'uomo in società, perché con il carisma l'uomo può trascendere se stesso e diventare
propriamente civile.
Preso da internet:
—> Il leader (nella nostra epoca soprattutto il capo politico) resta la sola forza che, secondo
Weber, può assicurare la dinamica sociale, e anche l'ordine sociale.
Perché egli sopravvive quando il vecchio ordine entra in crisi irrevocabilmente, e instaura
attraverso la sua rivoluzione, un nuovo ordine, destinato a durare e a estinguersi mediante la
medesima vicenda.
Il capo è un uomo che ha la forza di costituirsi come punto di vista su una realtà anarchica e di
creare con ciò nuovi valori nel mondo.
Significa lottare per il dominio.
Il carisma consiste nella partecipazione alla dimensione dello straordinario, definito dalla
dedizione assoluta e operante a un punto di vista e a valori che stanno oltre la realtà ordinaria
della vita.
Il capo politico è colui che si è elevato ad una visione complessiva della storia, e si è fatto
portatore dei suoi fini, ponendosi alla testa di un gruppo imano a ciò qualificato.
Come capo nazionale, il leader rappresenta il senso della storia di un popolo e quindi lotta per la
sua sopravvivenza.
Per questo nella vera democrazia egli sarà il capo eletto direttamente da tutto il popolo: perché il
popolo ha in sé i valori che nel capo diventano consapevoli, quindi la massa cessa di essere
inerte e diventa il criterio di verità e fonte di legittimazione.
La sociologia della leadership è la ricerca intorno alle condizioni che consentono ai capi nati di
emergere ed esercitare la loro missione
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Pagina 38 di 78
FASULLA LIBERTA’ DEI CONTRATTI
Analizziamo il significato economico che Weber attribuisce ai diritti, e in particolare ai diritti di
autonomia negoziale.
Lo sviluppo delle relazioni ordinamento giuridicamente verso la società contrattuale e lo sviluppo
del diritto verso la libertà contrattuale sono presentati come una diminuzione dei vincoli e un
progresso, di conseguenza della libertà degli individui.
Dal punto di vista giuridico è così. La possibilità di stringere relazioni contrattuali nel diritto
moderno è molto più grande che nel passato.
Tuttavia la questione della libertà non può essere decisa sulla base di parametri giuridici.
—> Non è detto che la valorizzazione dei parametri di autonomia abbia accresciuto la libertà degli
individui di determinare le condizioni della propria condotta di vita.
Un’osservazione delle condotte reali degli scambi sembra avvalorare l’ipotesi per cui la
valorizzazione dei parametri di autonomia ha aumentato la tendenza a una schematizzazione
coercitiva dell’esistenza.
L’aumentata varietà degli schemi contrattuali sul mercato non garantisce che queste possibilità
siano accessibili a tutti.
Il soggetto più forte sul mercato, di regola l’imprenditore, ha la possibilità di fissare tali condizioni
a suo arbitrio e di offrirle al lavoratore che. a sua volta, ha semplicemente la possibilità di
accettarle o rifiutarle.
—> La libertà contrattuale si traduce in un’imposizione unilaterale.
E’ quindi lo strumento di acquisizione di potere sugli altri.
La misura della libertà dunque non è determinata dai contenuti del diritto, ma dipende
esclusivamente dall’ordinamento economico concreto.
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Pagina 39 di 78
WEBER, MARX E NIETZSCHE
Secondo Weber se vogliamo capire qualcosa del mondo sociale nel quale ci siamo ritrovati ad
abitare e operare dobbiamo guardare Marx e Nietzsche.
1. Marx:
Marx è fondamentale per l’analisi scientifica della storia del capitalismo.
Secondo Weber il problema di Marx è che l’analisi scientifica si confonde troppo con l’attività
politica, con la visione profetica di un mondo nuovo.
Se siamo però in grado di separare la parte non oggettiva, questa parte politica del suo pensiero,
ci rendiamo conto che siano di fronte a un’analisi scientifica di primo livello.
In questo caso, secondo Weber, siamo di fronte a uno dei grandi storici, a uno dei grandi analisti
del capitalismo.
Per Marx la religione, come tutti gli altri sistemi di credenza, è una sovrastruttura e quindi è
determinata, influenzata e creata direttamente dai rapporti di produzione.
Secondo lui il sentimento religioso è un prodotto sociale, deriva dalle condizioni economicosociali di ciascuna società
Weber su questo non è d’accordo.
—> Esprime una grande distanza dalla posizione di Marx.
Per Weber, al contrario, è un’etica religiosa a generare lo spirito del capitalismo, cioè a generare
quella corrente di forme individualismo che attraversa tutte le società moderne.
E’ un’etica religiosa che è fondamentale per l’affermazione (per la genesi) di un’umus culturale
favorevole all’affermazione di certe relazioni economiche.
La religione quindi non spiega tutto, ma spiega molto.
—> Ci sono degli altri fattori che sto decisivi per la formazione dell’individualismo moderno.
2. Nietzsche:
Per Weber Nietzsche è fondamentale per la sua critica antropologica dello sviluppo della società
occidentale, nel senso di un razionalismo che avrebbe negato la natura istintuale dell’uomo.
Nelle riflessioni di Weber è evidente il fascino dello Zarathustra, che annuncia un nuovo tipo di
uomini, gli oltre uomini: individui liberi, forti, capaci di dire di sì all’esistenza, di accettare la natura
tragica e vitale della vita.
Nietzsche è importante per Weber perché in quest’autore c’è la profezia di una nuova umanità e
Weber spera che si avveri nelle condizioni difficili della Germania del dopo guerra.
L’idea di combinare una democrazia di massa con il faro di una guida politica carismatica,
individuata nel presidente della repubblica nella condizione di parlare direttamente con la base
della comunità politica, era una speranza che guardava allo stesso tempo a forme di democrazia
plebiscitaria o carismatica, realizzata in altri paesi (in particolare negli Stati Uniti).
Weber immagina che nelle condizioni difficili del dopoguerra sarebbe stato possibile selezionare
un ceto politico di grandi e elevati ideali, in grado di guidare la Germania nella uova forma di
governo repubblicana e non più monarchica.
Purtroppo questo non si è realizzato, per via della nascita del nazismo.
LIBRO: Weber tra Marx e Nietzsche
La Rivoluzione è il culmine di uno sviluppo in cui l'emancipazione politica, è nei termini di Marx,
emancipazione dalla politica ad opera del capitalismo, e inizio di un periodo del tutto nuovo,
quello del capitalismo maturo prima, e poi tra 800 e 900, delle spinte verso la socializzazione
economica, è questo quindi il mondo della "meccanizzazione burocratica" lasciatoci in eredità
dalla Riforma e dalla Rivoluzione.
Nietzsche e Weber (in modo più raffinato rispetto al primo) mette la Rivoluzione nella linea storica
che inizia col in cristianesimo, in particolare relativamente alla produzione dell'uguaglianza nel
segno dei diritti, Weber concorda nel dira che l'uniformità è l'obiettivo che ciascuno "sia allo
stesso livello dell’altro" (da Nietzsche - L'anticristo).
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Pagina 40 di 78
Sul pensiero di Nietzsche vi è l'accenno di un motivo che Weber trova sviluppato completamente
in Marx: la considerazione cioè, in "Al di la del bene e del male" , per cui anche troppo facilmente
l'uguaglianza dei diritti può trasformarsi "nell'uguaglianza dei torti".
Qui Marx rappresenta per Weber lo sviluppo di Nietzsche nell'analisi del capitalismo divenuto
"destino" dell'umanità.
L'uguaglianza giuridica formale è la premessa indispensabile per rapporti di subordinazione
"oggettivi".
Nel nome dei valori, profittando soprattutto della capacità di questi di occultare le dinamiche
economiche reali con il velo dell'uguaglianza (giustizia degli scambi) e della libertà (vincoli
liberamente scelti) si afferma un mondo completamente anetico, fatto di relazioni impersonali e di
formidabili poteri coercitivi.
Cosa fare per salvare la libertà da se stessa?
Le risposte di Weber sono molteplici, riunificarle in un discorso coerente è sostanzialmente
impossibile; il discorso più lineare riguarda il piano più economico, la domanda sui destini del
capitalismo.
Nell'intervento al Congresso di Vienna nel 1909, Weber si schiera chiaramente contro le idee di
Wagner e degli altri "socialisti della cattedra" favorevoli alla statalizzazione dell’economia.
Se la scelta è tra espansione capitalistica privata, ed un capitalismo di Stato, Weber sceglie
decisamente la prima alternativa.
Solo un capitalismo libero e dinamico serve meglio, ancorché indirettamente, gli interessi della
nazione, e può favorire al contempo i legittimi obiettivi di emancipazione delle classi lavoratrici.
La questione più complessa invece è quella che la riguarda la vita professionale: il motto di
Nietzsche è anche quello di Weber (Werde, der du bist), dire si alla vita, accettarne anche gli
aspetti tragici, ricostruirne da soli il senso, sopportare in una parola il disincantamento.
Ma queste qualità che pure sembrano corrispondere allo Ubermensch di Nietzsche non sono
riferite al futuro, servono solo a orientarsi nel presente, affinché ciascuno trovi la propria strada e
abbia la forza e la tenacia di seguirla, ubbidendo da qui in avanti ai "doveri del giorno"; anche in
questo caso Weber risente del culto degli eroi di Carlyle, l'eroismo che è possibile coltivare nel
presente come eroismo della vita quotidiana.
Non pare insomma esserci alternativa, la libertà deve essere cercata nella razionalità;
l'assolvimento del dovere con "passione e discernimento" è per Weber la sola possibilità di far
valere la propria personalità, la propria vocazione, all' interno della gabbia d'acciaio e degli altri
reclusiori della modernità.
La consapevolezza di essere ormai degli "schiavi senza padrone" deve diventare il presupposto
per un atteggiamento responsabile nei confronti di se stessi e della propria vita: libertà come
responsabilità dunque (ci sono poi gli spazi di libertà della vita privata).
Anche nella riflessione sulle sette ascetiche questa nostalgia di comunità ha un significato
politico, ciò che egli ammira nelle sette puritane e nel "sistema americano dei club", o prima
ancora nelle forme consociative germaniche, è la funzione educativa del gruppo, il suo ruolo di
addestramento alla vita (sociale).
Parliamo infine del "capo carismatico", Weber: il carisma delle grandi personalità è una forza
rivoluzionaria, capace di suscitare nuove energi e per questo di opporsi con successo al dominio
meccanizzato e routinario delle burocrazie, al capo carismatico Weber affida le sue aspettative
per un' esistenza liberata, dai riti dell'obbedienza nei confronti di apparati di dominio impersonali.
La libertà salvata dal carisma: è questo uno dei molti paradossi di Weber.
Ma qual'è il presso di questa "libertà"? la "proletarizzazione" spirituale dei seguaci, risponde egli.
Il capo ha bisogno di un seguito, di una comunità di adepti che lo aiutino nell'organizzazione e nel
proselitismo, obbedendogli ciecamente.
A questo per Weber, non c'è alternativa, se non quella di una democrazia senza capi, di politici
senza vocazione e qualità carismatiche.
E evidente: nelle dinamiche di liberazione ad opera dei capi carismatici nei confronti della massa
dei dominati ai diritti non è riservato alcun ruolo.
La loro missione di libertà s'è compiuta, ma anche esaurita, con il protestantesimo ascetico; ne
Weber sembra disposto a concedersi in questo caso, diversamente dagli altri suoi auspici, la
speranza in una "ripetizione" della storia.
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DURKEIM, WEBER E JELLINEK: DIFFERENZE E PUNTI IN COMUNE
(Da approfondire).
Weber e Durkeim:
Durkeim per tutta la sua vita si è affannato a cercare, anche nelle organizzazioni contemporanee, il
primato della coesione, il primato della solidarietà.
Weber invece, ha una visione diversa.
Con il capitalismo si afferma la primazia di relazioni, di rapporti esclusivamente economici.
Nascono le classi, e il conflitto di classi diventa un elemento strutturale delle società moderne.
—> Cercare di trovare, negli antichi ideali cooperativi, un modo per superare gli antagonismi di
classe è una vana speranza.
Il passato non può ritornare.
A weber la proposta di Durkeim di ritornare alle antiche corporazioni di mestiere è apparsa
un’idea anacronistica.
Eppure resterà sempre fedele all’immagine idealizzata dell’antichità germanica, in cui vi è la
centralità della comunità, dei gruppi e un’economia di villaggio in cui gli obiettivi economici dei
contadini non si differenziano da quelli dei signori feudali che danno le loro terre.
Weber e Jellinek:
Tra i due vi è un’amicizia e un grande debito intellettuale che li lega.
Interessi comuni: religione e individualismo come destino della società.
Stimoli principali venuti dai lavori di Jellinek: l’aver documentato l’impatto della religione nella
genesi dei diritti umani per l’indagine sull’importanza dell’elemento religioso in aree in cui non lo si
cerca.
Tutte le ricerche più importanti di Weber sulla sociologia della religione muovono dalla scoperta di
Jellinek sul legame fra la Riforma e la modernità dei diritti.
Anche il pessimismo di Weber sulla progredire del disincantamento e della burocratizzazione,
relazioni che non sono più in grado di riconoscere la fonte etico-religiosa che ha contribuito a
produrle: travisamento del significato originario dei diritti.
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ETICA PROTESTANTE (protestantesimo calvinista = protestantesimo ascetico)
Secondo Weber in Occidente la formazione dello spirito del moderno capitalismo razionale è da
imputare alla diffusione (in Europa e poi in America) dell’etica religiosa del protestantesimo e, in
modo particolare, di una forma specifica di protestantesimo: il protestantesimo delle sette
(protestantesimo settario, calvinista).
Weber lo chiama il protestantesimo dell’ascesi intramondana.
—> La ragione calvinista/ragione delle sette, come fatto sociale, come potenza mondana e forza
che influenza la vita e le condotte nei soggetti nel mondo.
L’influenza di questa etica su quella specifica spinta culturale è favorevole alla diffusione del
capitalismo.
L’etica non influisce direttamente sul capitalismo, ma sullo spirito del capitalismo.
Si può quindi definire lo spirito del capitalismo:
• Spirito del capitalismo: E’ la spinta verso l’individualismo, verso l’intensa valorizzazione della
razionalità di scopo. E’ l’ideale dei valori etici specifici molto particolari
L’etica religiosa protestante, e in modo particolare quella calvinista, può essere riassunta in questi
termini:
1) Esiste un Dio assoluto che ha creato il mondo e che governa questo mondo secondo progetti
che lo spirito degli uomini non può comprendere
2) La divinità ha creato il mondo per la sua gloria e, di conseguenza, ogni uomo ha il dovere di
santificare la vita (il dono ricevuto) e di impegnarla utilmente con il lavoro.
3) Ognuno di noi è destinato alla salvezza oppure alla dannazione, senza che nessun uomo
possa farci qualcosa. La salvezza è un dono gratuito dalla grazia divina. Non si ci deve
chiedere se si è tra i salvati o i dannati, sarebbe un tentativo blasfemo. Bisogna affidarsi a Dio
Secondo Weber, a prima vista, sembra che un’etica religiosa di questo tipo, cioè che interviene
sui comportamenti che l’uomo fedele deve tenere, un’etica religiosa così rigida, severa e
spezzante dei beni terreni, non può avere alcun rapporto con lo sviluppo dello spirito del
capitalismo (con l’individualismo).
Bisogna però compiere una lettura più profonda, bisogna andare nei meccanismi interni.
Si ci rende così conto che le cose stanno in maniera diversa, opposta:
- Il calvinismo afferma la necessità del lavoro e dell’impiego per glorificare Dio e santificare il
dono della vita. Quindi la vita deve essere attiva, deve essere una vita laboriosa
- Il fatto di non spere nulla del proprio destino soprannaturale può, nel tempo, risultare
intollerabile. Il calvinista cercherà di trovare la sicurezza del suo stato di grazia in questo
mondo, nella vita di tutti i giorni
Sembra dunque che tutti i beni di questo mondo tendono a rappresentare la prova dell’elezione
divina, la prova che non può essere confessata.
L’individuo è spinto a lavorare e ad affermarsi per superare l’angoscia, per respingere l’incertezza
sul suo destino.
Inoltre l’etica protestante impone al credente di lavora, ma allo stesso tempo di diffidare
dell’esteriorità, dei beni di questi mondo.
—> Lo costringe a condurre una vita severa, senza ostentazione.
Secondo Weber l’ambito mentale del puritano (questa condotta puritana) si rivela funzionale allo
sviluppo della mentalità capitalistica moderna: lavorare razionalmente in vista del profitto ma
senza avere l’obiettivo di doverlo spendere.
—> Si genera l’idea del calcolo e dell’investimento.
L’etica protestante, secondo Weber, può spiegare questa singolare condotta per cui si ricerca il
massimo profitto possibile, però non per acquisire dei vantaggi nell’oggi, ma per la soddisfazione
di una crescita continua nel tempo e nelle dimensioni della ricchezza.
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Quindi: il protestantesimo puritano è un fattore di innesco del capitalismo, ma più si va avanti con
la modernità, più il capitalismo diventa sempre più autonomo.
La tesi di Weber è plausibile?
Le carte geografiche sembrano dargli ragione.
I paesi più ricchi, cioè i paesi a capitalismo sviluppato, sono soprattutto quei paesi che hanno
conosciuto l’esperienza della riforma.
Per Weber il protestantesimo settario è soltanto un fattore di innesco del capitalismo, e neanche
l’unico.
Quanto più si va avanti nello sviluppo, sempre più lo spirito razionale del capitalismo vive di vita
propria.
Infatti, secondo Weber, l’individualismo, che ha consentito lo sviluppo del capitalismo razionale, si
è ormai esaurito da tempo, proprio dal processo rivoluzionario.
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Pagina 44 di 78
LO SPIRITO DEL CAPITALISMO
• Capitalismo: E’ quell’agire economico dei singoli, e sempre più frequentemente di gruppi/
associati che si mettono insieme, che ha come obiettivo la ricerca del profitto attraverso lo
scambio, attraverso il mercato
Weber è attratto dalla potenza rivoluzionaria del capitalismo ma, allo stesso tempo, pensa che la
natura oggettiva, formalizzata, e meccanica del capitalismo prepara le condizioni di un nuovo e
più intenso assoggettamento.
—> Una servitù senza padrone.
Cioè la dipendenza esclusiva dei soggetti ai doveri dell’economia, al dovere professionale.
Questo comporta la soggezione dell’individuo moderno a grandi strutture impersonali (la grande
fabbrica e le burocrazie).
Il capitalismo genera un mondo per cui tutti sono dipendenti dei meccanismi impersonali,
oggettivi e fortemente formalizzati.
Per Weber lo spirito del capitalismo può essere considerato come una forza espansiva ceca, che
va avanti senza riguardo alla persona, alla soggettività concreta.
Questo spirito produce, alla fine, una gabbia d’acciaio.
Una gabbia che costringe le prospettive di vita all’interno di meccanismi non controllabili dal
soggetto e che quindi mettono a rischio la propria libertà di movimento e di determinare l’indirizzo
della propria esistenza.
Lo spirito del capitalismo è un’energia impersonale che orienta le esistenze al primato del lavoro,
dell’economia, del dovere professionale e all’imperativo dello scopo e dell’efficienza razionale.
E’ il governo del principio di prestazione, per cui si conta qualcosa nel mondo soltanto se si è
nella condizione di realizzare un obiettivo razionale.
Le strutture economiche e politiche della modernità hanno costruito, hanno generato un uomo
massificato senza reali margini di libertà personal.
Nella dimensione antropologica della contemporaneità non troviamo più soggettività concrete,
distinte o distinguibili, ma tutti gli uomini valgono soltanto come pedine negli ingranaggi del
mondo economico del capitalismo e del mondo del potere burocratico (la burocrazia non è solo
quella pubblica dello stato ma è anche quella privata delle grandi organizzazioni collettive come il
partito burocratico o le organizzazioni sindacali).
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Pagina 45 di 78
ASCESI INTRAMONDANA
Weber definisce il protestantesimo calvinista “protestantesimo ascetico”.
L’ascesi del calvinismo è un’ascesi molto particolare.
E’ un’ascesi intramondana.
Nel calvinismo l’uomo si fa strumento di Dio, ma non cercando di interrogare troppo la divinità sul
proprio destino soprannaturale, bensì si fa strumento di Dio agendo nel mondo.
Il calvinista dedica una vita di sacrifici e di rinunce per affermarsi concretamente nel mondo.
Secondo Weber è per questo che il calvinismo si presenta a noi come una religione paradossale,
proprio perché contribuisce a generare una forza, cioè la forma dell’individualismo, che è una
forza irreligiosa.
L’individualismo generato dal calvinismo è indifferente a motivazioni di tipo etico.
E’ volto soltanto all’affermazione del proprio sé, in questo mondo.
—> Ascesi intramondana.
E’ un’orientamento ascetico, ma volto alla ricchezza, al prestigio, al potere, all’affermazione di sé.
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Pagina 46 di 78
PROCESSO DI RAZIONALIZZAZIONE DELLE RELIGIONI
Secondo Weber il protestantesimo calvinista è la stazione ultima di un processo iniziato con le
religione monoteiste.
E’ un processo realizzato da una vicenda di razionalizzazione.
In questo processo di razionalizzazione religiosa le religioni si liberano dalla magia, cioè si
razionalizzano.
—> Tendono a trasformare il rapporto del credente con la divinità in una forma sempre più
razionale, quindi controllabile dalla ragione.
La razionalizzazione delle religioni contribuisce a screditare le credenze sull’incantesimo del
mondo e quindi sulla possibilità di condizionare il mondo attraverso delle modalità di tipo magico.
Weber afferma che il protestantesimo, in particolare quello calvinista, rappresenta, all’interno delle
religioni monoteistiche, il punto più alto di questo processo di razionalizzazione.
Processo storico-religioso che definisce disicantamento del mondo, dismagamento del mondo.
Questo progetto rigetta tutti i mezzi magici nella ricerca della salvezza, considerandoli come
superstizione delittuosa, e trova nel protestantesimo la sua conclusione.
Il processo di razionalizzazione riguarda, in modo particolare, la religione cristiana.
Secondo Weber è un processo che comincia già con l’antico testamento e si approfondisce poi
con il nuovo testamento.
In questo processo di razionalizzazione della religione cristiana il protestantesimo ascetico è il
punto più alto.
(Protestantesimo ascetico: E’ la religione dell’ascesi intramondana, cioè la religione che valorizza
un atteggiamento ascetico nei confronti delle potenze mondane, dell’agire economico, di una
condotta di vita ordinata e razionalizzata).
Tuttavia la religione, soprattutto quella cristiana nella versione del calvinismo, non è nella
condizione di dare risposte sul destino sovrannaturale degli uomini.
—> Si produce una situazione problematica per quanto riguarda la condizione esistenziale degli
uomini.
C’è il problema che una religiosità di questo tipo è nella condizione di generale un deserto di
senso: il deserto di senso del disincantamento, della razionalizzazione del diritto.
E’ in una condizione di questo tipo che l’uomo può sentire il bisogno di un nuovo incantamento.
Questo è testimoniato dal ritorno delle religioni nella loro veste meno razionalizzata, ma anche
dalle dottrine esoteriche, segrete, cioè dal nostro mondo politeistico.
L’etica post moderna, generata dalla razionalizzazione del mondo, adesso ci consegna come
fenomeno di reazione una vita sociale popolata da valori che si incaricano di essere i nuovi
costruttori di senso.
Il problema è che sono valori molteplici, in una condizione politeistica.
Sono valori che vanno in direzioni diverse, tendenzialmente in conflitto fra di loro.
Un giurista che ha ascoltato Weber è Carl Schmitt.
Partendo da questa analisi di Weber sul politeismo Schmitt parla con toni allarmanti di questa
condizione politeistica di valori.
Fa soprattutto riferimento al costituzionalismo democratico che si è affermato dopo la seconda
guerra mondiale e che si è incentrato sula celebrazione dei diritti valori, cioè su quei diritti-valori
che trovino in tutte le prime parti delle costituzioni democratiche del 900.
Il testo a cui facciamo riferimento è la “Tirannia dei valoro” del 1959.
Parlare dei valori e il pensare per valori, secondo Schmitt, conduce a un eterno conflitto di valori,
a una guerra tutti contro tutti.
Questo perché il valore non è mai oggettivo, ma è sempre soggettivamente riferito alla realtà che il
soggetto, o quel gruppo particolare, all’interno di una comunità politica percepisce come proprio,
come valore ultimo.
In una condizione politeistica i valori rischiano di diventare terreno di sconto, di prevaricazione e
di aggressione.
Nel nome di diversi valori si possono fare guerre sante o guerre giuste.
Con il trionfo dei valori, scrive Schmitt, viene meno ogni considerazione del nemico.
Per lui la condizione politeistica rischia di diventare una condizione di eterno conflitto, che rende
difficile una convivenza pacifica tra le diverse idee sui valori supremi.
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Pagina 47 di 78
WEBER E LA COSTITUZIONE DI WEIMAR
Durante la prima guerra mondiale Weber è diventato il più autorevole commentatore politico
tedesco infatti nel 1918 fa parte della commissione che discute la pace di Versailles.
Un anno dopo, nell’agosto 1919, c’è la nuova costituzione tedesca (Costituzione di Weimar), due
mesi dopo al firma del trattato di Versailles.
Questa è una costituzione importante per il lungo elenco dei diritti che contiene, che certamente
ha influenzato la redazione della nostra carta costituzionale.
Il progetto di Weimar viene elaborato da una commissione di esperti, in cui vi rientra anche Weber,
poiché è riconosciuto come il primo intellettuale tedesco.
—> Weber è nella commissione di esperti per redigere il progetto della nuova costituzione di
Weimar.
Weber è in quella commissione per indirizzare il progetto verso la congiunzione fra un modello
parlamentare classico e un modello presidenziale, incentrato sull’elezione diretta, plebiscitaria del
capo dello stato.
Capo dello stato che, nella costituzione, si chiamerà “il presidente del Reich” = il presidente
dell’impero.
Weber è un liberal democratico che pena che nelle condizioni difficili del dopoguerra i principi
dello stato liberale dovrebbero incontrare i principi di un’organizzazione di potere che vede al
vertice un capo carismatico.
Weber ha simpatie per le organizzazioni politiche anglo-americane, soprattutto per quella degli
Stati Uniti d’America.
La soluzione che ha in mente è quella del presidenzialismo americano, nel quale il presidente
appare come una specie di nuovo cesare, un sovrano democratico, un leader, un capo investito in
maniera plebiscitaria dal popolo e, per questo, dotato di ampi poteri anche nei confronti del
parlamento.
Il problema è che in Germania l’evoluzione non è andata in questo senso auspicato.
Lo sbocco di questa soluzione costituzionale è diventato il nazismo.
A partire dal fatto che la costituzione, voluta anche da Weber, ha prodotto una soluzione
totalitaria, molti sono arrivati a sostenere che senza questa architettura della costituzione troppo
aperta alla soluzione di democrazia forte, il nazismo non avrebbe avuto la via spianata.
C’è da considerare che anche Weber affidava al carisma una parziale soluzione al problema
antropologico legato allo sviluppo del capitalismo moderno.
Il rapporto di Weber con il mondo di produzione capitalistico è un rapporto ambiguo: da un lato è
affascinato dalla grande forza del capitalismo, che attiva energie economiche e sociali; dall’altro
lato produce anche strutture burocratiche delle imprese, cioè organizzazioni burocratiche che
sembrano anticipare quella che sarà la schiavitù del futuro.
Lui adopera l’espressione “la schiavitù senza padrone” = la dipendenza degli individui nella
comunità politica da apparati, da regole impersonali, senza volto.
E’ il mondo delle grandi masse, delle comunità politiche che sono grandi stati, il mondo della
fabbrica che dà lavoro a migliaia di persone.
Nelle società contemporanee secondo Weber la democratizzazione della vita è assolutamente
necessaria, soprattutto in paesi come la Germania, in cui resistono strutture di potere patriarcale,
semi feudale.
Weber scrive: Abbiamo richiesto a gran voce la guerra contro l’Inghilterra, contro la Francia,
contro la Russia; abbiamo chiesto un grande sacrificio ai tedeschi e questo sacrificio in qualche
modo deve essere ripagato; il suffragio deve essere il più esteso possibile.
E tuttavia Weber pensa che la democrazia di massa genera grandi tendenze alla
burocratizzazione in tutti gli ambiti (politico, economico, sociale).
La possibile alternativa a tutto questo, secondo Weber, è la democrazia plebiscitaria del capo, in
cui il carisma legittimato in maniera democratica può rappresentare una sorta di contrappeso alla
forza di gruppi di pressione.
Il carisma del capo supera o può superare le barriere e i limiti posti dalle burocrazie dello stato e
delle organizzazioni private.
Il carisma può sottrarre gli individui a una condotta di vita ruotinizzata, li libera parzialmente o può
liberarli parzialmente dall’obbedienza dovuta ad apparati di dominio anonimi.
Davanti al leader è possibile coltivare l’idea di un rapporto immediato tra le masse e il vertice.
Es: Gli Stati Uniti.
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Pagina 48 di 78
LA LIBERTA’ DEGLI ULTIMI UOMINI
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Pagina 49 di 78
DIRITTO ROMANO E DIRITTO GERMANICO
Stiamo parlando del giudizio di Weber sul ruolo assolto dall’elemento romano e dall’elemento
germanico nel processo di formazione del diritto moderno.
L’apprendistato giuridico di Weber si svolge sotto una contraddizione di fondo.
Egli:
- Riconosce l’importanza del diritto romano per la storia giuridica e politica della Germania
- Aderisce a orientamenti e metodi di ricerca del movimento germanista
—> Weber non mette in discussione che il diritto romano costituisce il fondamento della
formazione giuridica ma, allo stesso tempo, aderisce a molte delle caratteristiche del movimento
germanista.
Negli anni giovanili Weber privilegia gli studi di diritto romano.
La scuola storica romanistica privilegia la dogmatica.
Si occupa poco della storia e dell’analisi concreta.
—> Il suo desiderio di approfondimento pratico degli istituti non può essere appagato dai soli
studi romanistici.
Si avvicina così alla scuola germanista.
Il movimento germanista invece è caratterizzato da uno studio storico del diritto e da un’analisi
concreta dei rapporti e degli interessi ad esso collegati.
Così Weber entra in contatto con i massimi esponenti del movimento germanista per capirne gli
aspetti metodologici.
Nelle due opere giovanili Weber conduce una ricerca sulle fonti giuridiche minori, che sono:
•
•
•
•
Scritti pratici come gli agrimensori
Statuti cittadini
Atti notarili
Formule contrattuali
Infatti il contributo delle idee germaniste alla sua formazione va ritrovato nella ricerca di queste
fonti giuridiche minori.
Quando nel 1895 viene pubblicato il secondo progetto del codice civile Weber concorda solo su
un punto della critica dei germanisti.
Egli concorda sull’eccessivo formalismo del progetto del codice, causato, non del diritto romano,
ma dalla formazione dei giuristi incentrata sul Digesto, che li rende incapaci di pensare e utilizzare
concetti diversi dagli schemi romanistici.
Secondo Weber il tratto distintivo del diritto romano è la sua analiticità, cioè la tendenza a
scomporre situazioni complesse in atti semplici.
—> Si può dire che gli apporti di diritto romano e di quello germanico si sono verificati su piani
diversi:
- Il diritto romano ha agito a livello di razionalizzazione formale
- Il diritto germanico ha fornito un contributo importante sul piano dei contenuti
—> La diversa influenza sulla formazione del diritto moderno può avvenire in direzione formale o
sostanziale, ma entrambe si sono verificate contemporaneamente, senza antagonismo.
La contrapposizione tra diritto romano e diritto germanico è solo nelle teste dei giuristi tedeschi
che per tutto l’800 hanno cercato di far valere il primato dell’una e dell’altra esperienza giuridica.
In realtà la polemica è basata intorno a un fatto inesistente.
La formazione del diritto moderno è contraddistinta dalla parallela influenza dell’elemento romano
in maniera formale e dell’elemento germanico in senso materiale.
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Pagina 50 di 78
LA STORIA AGRARIA ROMANA
E’ il secondo libro di Weber tradotto in italiano.
Con questo libro Weber diventa professore di diritto romano e di diritto commerciale.
—> E’ un’opera di svolta per la sua carriera accademica.
In questo libro si contrappongono due storie:
1) Ricostruzione dell’organizzazione economico-sociale della Roma antica: Dalla costituzione dei
primi villaggi alla nascita della proprietà privata
2) Storia della dissoluzione della costituzione agraria Germania: La dissoluzione comincia all’inizio
dell’età moderna ma poi viene realizzata dalle riforme liberali, soprattutto in Prussia, a inizio
800
La tesi centrale dell’opera è che i rapporti agrari romani si sono evoluti a partire da una struttura
corporativa simile a quella adottata dai villaggi tedeschi durante il Medioveo (Hufervenfassung).
—> Vi è una comparazione tra la storia agraria dei paesi tedeschi (in generale della parte centrale
dell’Europa) e la storia agraria romana.
(La comparazione tra due storie è un’altra caratteristica dello stile di Weber come ricercatore
sociale.
Utilizza una scienza sociale che si serve di comparazioni di momenti anche molto distanti tra loro).
Struttura dell’organizzazione agraria dei villaggi tedeschi durante il Medioevo:
l’Hufervenfassung
L’insediamento germanico è un insediamento collettivo con cui più persone e famiglie si
riuniscono per fondare un villaggio.
L’organizzazione agraria del medioevo tedesco è basata sulla Hufe (equivalente del fundus
romano, del nostro manso).
• Hufe: E’ il complesso dei diritti che spetta a ciascuno
—> Da qui il termine Hufervenfassung.
• Hufervenfassung: E’ l’organizzazione agraria in base al principio della Hufe, cioè in base al
principio per cui ogni famiglia ha un complesso di diritti
Il villaggio si compone di una struttura ad anelli (5 anelli):
1) Anello interno: E’ il nucleo. Contiene le case delle famiglie del villaggio
2) Anello attaccato al nucleo: Contiene gli orti per le piccole coltivazioni e la terra che è attaccata
alle case (tanti orti quante sono le case del villaggio)
3) Anello più importante: Contiene le coltivazioni più significative, che servono alla vita agraria del
villaggio
4) Quarto anello: E’ il pascolo comune
5) Anello più esterno: E’ il bosco comune e il terreno incolto comune
Il quarto e il quinto anello sono le terre che non sono divise, cioè che non appartengono a
nessuno e che quindi appartengono alla comunità del villaggio tutta intera.
Sono territorio comune, indivise, sulle quali la comunità del villaggio vanta degli usi civici.
La coltivazione agricola, sul terzo anello, è organizzata secondo il principio della coltura a
intercalare (cultura dei tre campi).
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Pagina 51 di 78
C’è l’idea di arrivare a un miglior sfruttamento del suolo, ci sono maggiori cure e un migliore
impiego del lavoro e delle risorse naturali.
Il terzo anello, che è quello che dà da mangiare, è diviso in 3 settori: semina autunnale, semina
primaverile e maggese (terra che riposa).
Ogni anno le tre porzioni mutano in circolo la loro utilizzazione.
—> Movimento rotatorio.
Ciascuno di questi tre settori è diviso, a seconda della qualità del terreno, in un numero di strisce
chiamate Gewann (gevanne).
Ciascun membro del villaggio possiede, in ciascuna striscia, un appezzamento di terreno, in
modo tale che le quote del terreno sono, tra i membri familiari che compongono il villaggio, tutte
uguali.
—> Il villaggio tedesco è strutturato in modo da far partecipare tutti gli aventi diritto alla comunità
di villaggio.
Si tratta di una vera e propria cooperativa fondata su principi ugualitari e di condivisione.
—> La coltivazione quindi deve essere di tipo cooperativo e non individualistico.
Questo avviene, secondo Weber, secondo un piano comune predisposto dal capo del villaggio,
dall’anziano del villaggio.
Bisogna mettere insieme le energie.
Per Weber quest’organizzazione agraria del villaggio germanico non è completamente razionale
dal punto di vista economico, ma esprime un’idea etico-giuridica: quella della ricerca di una
perfetta uguaglianza fra i membri del villaggio, fra le varie famiglie che compongono il villaggio.
E’ questo il vero senso di questo sistema giuridico-economico.
Secondo Weber l’economia del villaggio è caratteristica dei primi secoli della nostra era.
Iniziano poi le prime trasformazioni al sorgere del feudalesimo.
Si afferma così la necessità di un ceto guerriero, alle dipendenze di un sovrano o di un imperatore.
Un ceto guerriero con funzioni politiche, militari e anche religiose.
Il beneficio feudale, cioè la cessione di beni e di diritti da parte del re a vantaggio dei vassalli, si
diffonde per il bisogno di creare una società militare, di creare, in modo particolare, un esercito,
composto da cavalieri, da nobili, equipaggiati in modo uniforme e regolamenti addestrati di
persone che fanno della quella e della mobilitazione militare la loro ragione di vita come ceto.
Secondo Weber quest’organizzazione agraria democratica cooperativa si trasforma perché
l’impatto con il feudalesimo è un impatto molto forte ma non scompare.
Riesce a resistere fino ai primi dell’800.
—> Con i tentativi dei signori feudali è vero che la terra è formalmente terra del signore e non più
del villaggio, ma l’organizzazione agraria continua secondo i principi cooperativi del passato.
Secondo Weber il meglio della nazione tedesca è stata proprio la vita rurale medievale.
Weber non rinuncia nelle sue opere a utilizzare il mondo medievale come termine di confronto con
il mondo moderno, deturpato da rapporti capitalistici impersonali e anti-etici.
Il mondo rurale è depositario dei valori migliori, e il razionalismo ha portato alla fine di questo
mondo.
Struttura dell’organizzazione agraria romana:
Secondo Weber, nella storia agraria romana, bisogna riconoscere due fasi fondamentali:
1. Fase arcaica:
E’ un periodo caratterizzato da una forma di economia cooperativa, da un’economia del villaggio.
Weber la chiama Hufervenfassung romana.
E’ basata sulla proprietà comune del suolo e formata da una collettività di famiglie di pari grado.
—> Qui si vede un tentativo di accostare la storia romana a quella germanica.
E’ un’economia di villaggio vicina, simile a quella del medioevo tedesco.
La base del ragionamento di Weber è molto fragile.
Si basa sull’interpretazione che il suo maestro di diritto romano Mommsen aveva fatto sulla lettura
della leggenda dei bina iugera, cioè i due iugeri di terra (circa mezzo ettaro) che, secondo la
tradizione, Romolo aveva assegnato a ciascun pater familias.
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Pagina 52 di 78
Il ragionamento di Mommsen, che Weber riprende, è che questa misura di terra è insufficiente per
mantenere una famiglia, quindi dobbiamo immaginare che ai bina iugera si siano aggiunti degli usi
civici, in modo particolare sulla terra incolta, qui boschi e sui pascoli, in maniera analoga a quello
che era avvenuto durante il medioevo germanico (—> necessità di una terra riservata all’utilizzo
comune).
Inoltre vi sono anche delle assegnazioni, dovute a un’estrema frammentazione del territorio: le
lacinie, che sono piccoli appezzamenti assegnati a ciascun colono all’interno di ogni porzione del
territorio (di ogni Gewann) in modo di risolvere, come i germani, il problema di una perfetta
uguaglianza fra tutti gli aventi diritto (aree compatte, anche se di uguale estensione, per la
differente qualità del terreno possono non avere lo stesso valore).
2. Fase post-monarchica:
E’ la fase che coincide con l’inizio della Repubblica.
In questa fase l’economia del villaggio cede il passo a un’economia agraria individualistica,
fondata su fattorie isolate.
I protagonisti di questa seconda fase sono i cavalieri, che sono la parte più ricca della plebe e
che, dopo la fine delle guerre pubbliche, favoriscono un orientamento economico invece che
politico-militare.
Le loro aziende sono piantagioni a schiavi.
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XII TAVOLE (450-451 d.c)
Il colpo decisivo alla più antica costituzione agraria romana è inferto, per Weber, dalla legislazione
delle XII (che lui chiama, in maniera impropria, codice decemvirale).
Per Weber le XII tavole sanciscono la vittoria repubblicana dei proprietari terrieri.
Costituiscono la vittoria della plebe sui patrizi, creando una rottura radicale dell’ordine
precedente.
E’ un evento rivoluzionario che travolge gli antichi assetti economici e modifica gli equilibri
istituzionali.
In sintesi riorienta l’intero corso della storia romana.
Si voltano le spalle alla tradizione, si fa una scommessa con la storia, si ricomincia daccapo, con
principi e istituti nuovi (l’interpretazione tradizionale vede invece l’innovazione soprattutto nella
forma, nella fissazione delle norme consuetudinarie per iscritto, piuttosto che nel contenuto di
quest’ultime).
Verso la fine della monarchia nella società romana avviene un ampio processo di riorganizzazione
sociale e istituzionale, caratterizzato dal riconoscimento dei nuovi ceti emergenti.
Dopo l’avvento della Repubblica, i plebei acquistano la forza di elaborare con chiarezza gli
obiettivi delle loro lotte per l’emancipazione politica ed economica.
—> La creazione di un diritto codificato.
Il partito plebeo si oppone all’Hufenverfassung e all’ordinamento gentilizio, in quanto tale
ordinamento costringe i piccoli e medi agricoltori a rimanere tali, in una posizione di
subordinazione nei confronti dei patrizi (grandi proprietari terrieri).
Gli obiettivi della riforma sono due:
1) Libertà di disposizione e di commercio in materia fondiaria (della terra)
2) Libertà di testare: Ora il pater familias che vuole escludere alcuni discendenti dall’eredità deve
solo dichiararlo espressamente e in questo modo le diseredazioni sono frequenti
L’innovazione fondamentale, portata dalla libertà contrattuale e dall’abolizione delle servitù,
consiste nell’assegnazione di fondi compatti (continuae possessiones), non più di quote.
Le terre sono definitivamente liberate dai vincoli dell’economia di villaggio.
—> Proprietà libera da vincoli e suscettibile di scambio.
Si assiste così al fenomeno della riaggregazione fondiaria:
• Riaggregazione fondiaria: E’ il fenomeno con il quale si ha l’eliminazione della frammentazione
fondiaria implicata dall’Hufenverfassung. Essa viene sostituita da fondi compatti, liberi da
servitù e dalle altre limitazioni derivanti da rapporti collettivistici
In Germania questo obiettivo viene raggiunto mediante lo scambio coatto dei singoli
appezzamenti fra i proprietari di poderi sparsi, così da creare estensioni continue.
Il superamento della frammentazione fondiaria, insieme all’abolizione delle servitù, è lo strumento
che spiana la strada alla nuova forma di assegnazione coloniale: la distribuzione di continuae
possessiones, di aree compatte e di estensione ormai largamente superiore ai dieci iugeri di terra.
La creazione di una rete varia, pubblicamente garantita, perfeziona il processo.
Equiparazione delle XII tavole con le riforme liberali in Prussia del 1807-1821:
Nella storia agraria romana il confronto con la rivoluzione liberale prussiana non è sottinteso ma
viene argomentato da Weber adoperando la terminologia con cui gli storici avevano descritto i
contenuti e gli effetti delle riforme liberali prussiane.
Le XII tavole vengono equiparate alle riforme liberali in Prussia che vanno dal 1807 al 1821.
Ci sono delle differenze però.
Soltanto la rivoluzione romana è una vera rivoluzione dal basso.
Le riforme agrarie prussiane, invece, sono dirette da nuovi ceti dirigenti prussiani.
Secondo Weber, quanto più si va avanti nella storia di questo processo di liberalizzazione delle
terre e quindi di superamento della comunità di villaggio, questa riforma liberale profitterà sempre
meno alla fascia rurale più bassa e sempre più, invece, ai cavalieri.
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Sono i cavalieri i veri protagonisti della rivoluzione agraria, perché sono un ceto di mercanti,
finanzieri e affittuari demaniali.
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RIFORME LIBERALI IN PRUSSIA (1807-1821 d.c)
Con le guerre napoleoniche (1803) finisce il sacro romano impero germanico.
Le spinte, da parte dei governi prussiani, volte a superare la vecchia organizzazione economica,
portano a una radicale riforma agraria in tutti gli stati tedeschi, che avviene in circa 10 anni.
La parola d’ordine è “liberazione dei contadini”, cioè liberazione dal servaggio ereditario.
—> Svincolare i contadini dalle forme di affitto che erano delle concessioni enfiteutiche perpetue.
Gli obiettivi sono:
1) Abolizione dei privilegi feudali
2) Abolizione della servitù ereditaria —> Libertà di testare (si supera l’istituto per cui il possesso
fondiario poteva essere trasferito tutto solo al primogenito)
3) Libertà di vendere pezzi di terra
4) Divisione delle terre comuni
5) Eliminazione usi civici (non è più possibile che ci siano terre di cui nessuno è proprietario)
6) Soppressione della frammentazione fondiaria attraverso misure di riaggregazione forzata
7) Liberazione dei contadini: formazione di un proletariato rurale libero dalla soppressione
dei vincoli feudali con gli Junker
In Prussia le cose però non vanno come sperato, infatti questa diventa una rivoluzione guidata
dall’alto.
Weber pensa che, per il fatto che la signoria fondiaria dei nobili si è sovrapposta alle relazioni
dell’economia del villaggio, il legame del contadino si è sciolto anche in un altro senso.
Cioè, con le riforme liberali dei primi dell’800, si mette in crisi il rapporto tra signori e contadini,
che aveva organizzato l’organizzazione dell’economia agraria nei paesi tedeschi lungo tutto il
medioevo.
—> Un’organizzazione sociale ed economica che comincia con l’alto medioevo ma che non
finisce con il basso medioevo, bensì tempo dopo, con le riforme liberali dei primi dell’800.
Queste riforme vengono realizzate molto rapidamente e anche in maniera autoritaria:
- Due editti del 1807: Sopprimono il servaggio ereditario (feudale). Non sono più possibili degli
affitti agrari, vale a dire delle concessioni perpetue che si trasmettevano automaticamente da
una generazione all’altra (quelli realizzati dal signore feudale con i suoi contadini coloni)
- Editto del 1811: Elimina ogni tipo di limitazione alla disponibilità e alla circolazione delle terre,
soprattutto di quelle nobiliari che sono le più estese
Prima: Il possesso fondiario si trasferisce al primogenito
Ora: La circolazione è completamente liberalizzata.
- Provvedimento che dispone la divisione delle terre incolte, dei boschi, dei pascoli e
l’accorpamento ai fondi più gradi
—> Principio: Non ci devono essere più usi civici, non ci possono essere terre che non hanno
proprietari.
I piccoli proprietari, quando lo sono, sono ricompensati in denaro.
—> Perdono l’impiego delle terre comuni sulle quali hanno fondato la loro sopravvivenza.
E’ la fine dell’economia del villaggio.
La fine anche dei contadini coloni, destinati a un processo di riconversione in lavoratori agricoli.
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In sintesi:
Si forma un proletariato rurale, libero, però è senza terra perché tutte le terre sono state accorpate
ai fondi nobiliari.
—> Una classe sociale che è solo in grado di lavorare la terra, ma questa terra non ce l’ha più e
quindi è economicamente dipendente dai proprietari fondiari aristocratici, che in Prussia si
chiamano Junker.
Dall’altra parte vi è:
- Il consolidamento del potere politico, sociale ed economico dell’aristocrazia terriera
- La trasformazione dei privilegi feudali dell’aristocrazia terriera all’interno di un diritto
proprietario, che si può già definire un diritto proprietario compiutamente borghese
—> Passaggio da un’economia di villaggio, incentrata sulle terre in concessione da parte del
signore feudale ai contadini economici, a un’azienda padronale che organizza l’attività in maniera
capitalistica.
Si passa da un principio cooperativo di sfruttamento del suolo a un’organizzazione
individualistica.
Si passa da un’economia naturale, un’economia di sostentamento (un’economia che mette
insieme concretamente sia i contadini coloni che i signori feudali), a un’economia capitalistica, dei
Junker.
Nei territori prussiani però gli antichi legami servili non scompaiono completamente, ma vengono
rimodellati su nuove forme contrattuali da parte degli agrari, degli Junker.
I coloni concessionari (servi della gleba) che per tutto il medioevo hanno lavorato la terra del
signor ora si trasformano in mezzadri.
Il rapporto di mezzadria si chiama Instverhaltnis.
Questo contratto è stipulato anno per anno dal proprietario terriero con un’intera famiglia di
contadini.
—> La stabilità del rapporto non è garantita e quindi non si può dire che esiste un legame con la
terra.
- Il capo famiglia (Instmann) è obbligato a far lavorare nel terreno uno o due braccianti da lui
retribuiti
- L’Instamann e la sua famiglia hanno diritto a:
•
•
•
•
•
Una casa nell’azienda padronale
Un orto
Un appezzamento di terreno
Uso del pascolo
Una quota della trebbiatura e della molitura, cioè della separazione della macinatura dei
cereali
—> E’ una sorta di associazione in partecipazione.
Anche se parzialmente, si mantiene una comunità tra interessi del signore e i suoi contadini.
Questo mezzadro è una sorta di piccolissimo imprenditore che vive nell’orbita della tenuta
padronale e che ne condivide gli obiettivi economici, in modo particolare l’aspettativa per un
livello vantaggioso dei prezzi dei cereali e degli animali.
Gli agrari esercitano un forte ed esteso controllo sulle persone occupate al loro servizio.
La forma del rapporto è il contratto.
—> I lavoratori sono formalmente liberi.
I contadini non hanno dei tributi da pagare (come i vecchi coloni), ma sono salariati con i diritti di
partecipazione all’attività e agli utili dell’impresa.
Il potere degli agrari è un potere patriarcale.
A fine 800 i progressi dell’organizzazione capitalistica nelle campagne e la concorrenza dei bassi
prezzi del grano di altri paesi mettono definitivamente in crisi i resti dell’antica organizzazione
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feudale, e in particolare il contratto agrario.
Tende ad affermarsi un rapporto basato sulla retribuzione fissa sulla base di prestazioni.
—> Proletarizzazione integrale delle masse rurali.
Nascono così nuovi contratti.
Si afferma un nuovo tipo di rapporto, stipulato annualmente, con la concessione di una casa nel
podere del signore e con un compenso fisso (annuale o a giornata) chiamato
Deputatenverhaltnis.
La previsione della quota della trebbiatura e della molitura viene eliminata e sostituita da una
quantità fissa di beni in denaro, per il sostentamento del lavoratore e della sua famiglia.
—> Il contadino si trasforma in lavoratore agricolo, un proletario.
Tutto ciò fa si che il contadino perda ogni interesse all’economia del signore, anzi i suoi interessi
entrano in conflitto con suoi, in quanto appartengono ormai a due classi diverse, con interessi
contrapposti.
TAPPE PRINCIPALI:
1. Fino all’alto medioevo:
Liberi contadini associati nella libera economia cooperativa del villaggio: Hufenverfassung,
ossia un’organizzazione collettivistica, di lavoro comune delle terre, un’organizzazione tra
alcune famiglie che fondano il villaggio rurale
2. Alto medioevo, fino alle riforme liberali dei primi dell’1800:
Contadini coloni che lavorano la terra del signore e che dispongono di terre comuni (boschi,
pascoli, terreno incolto) e cercano di conservare, sulla terra del signore, gli antichi principi
dell’organizzazione cooperativa del lavoro agrario
3. Fase di transizione durata 50 anni:
Mezzadri che hanno una quota fissa per il loro lavoro e delle loro famiglie, ma hanno anche
una partecipazione agli utili dell’azienda del signore.
—> Mezzadri in partecipazione
4. Fine 800:
Lavoratori agricoli salariati.
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LA QUESTIONE AGRARIA IN GERMANIA
Nella quarta fase, ossia nella fase di fine 800 in cui i mezzadri diventano lavoratori agricoli
salariati, aumenta l’utilizzo, nelle tenute degli Junker, dei lavoratori agricoli liberi, cioè dei
braccianti a giornata, che sono lavoratori senza vincolo contrattuale in prevalenza lavoratori
stranieri (soprattutto polacchi ma anche russi).
E’ proprio rispetto a questo fenomeno che per Weber, che è nazionalista, si pone un problema: la
difesa della nazionalità tedesca alle frontiere orientali.
La grande disponibilità dei lavoratori stranieri favorisce la diffusione di contratti a giornata.
I periodi lavorativi dei lavoratori stranieri dovrebbero essere stagionali, ma molto spesso questi
lavoratori trovano il modo di continuare a lavorare le terre grazie alla protezione degli Junker.
—> Gli stranieri sostituiscono i tedeschi perché sono lavoratori inferiori, sia culturalmente che dal
punto di vista delle pretese economiche (costano meno).
—> Concorrenza al contrario: mentre i tedeschi vogliono di più, gli stranieri si accontentano di
meno.
Secondo Weber sono gli stessi contadini tedeschi a rifiutare la condizione di mezzadri al servizio
degli agrari.
Questo rapporto di transazione da loro sicurezza, e guadagni accettabili, ma allo stesso tempo li
costringe a uno stato di soggezione personale che è sempre più lontano da un’idea moderna di
rapporto di lavoro.
—> Migrazione dei tedeschi.
Lasciano le loro tre e preferiscono diventare, ad esempio, operai dell’industria, piuttosto che
vivere come servi o semi-servi alle dipendenze degli agrari.
E’ interessante osservare come nei fenomeni migratori le generazioni che migrano non sono
sicure di stare meglio di prima anzi, tendenzialmente questo non si realizza mai, ma l’aspettativa è
un investimento, l’aspettativa è quella di migliorare la condizione dei propri nipoti.
E’ qui che siamo in presenza di una delle più note riflessioni di Weber: l’individualismo come tratto
distintivo della modernità, cioè l’aspirazione di tutti gli uomini, di qualunque condizione e stato, a
una realizzazione personale nel mondo, come una delle conseguenze psicologiche e culturali più
significative del processo di razionalizzazione in Occidente.
Weber considera problematico il fenomeno migratorio dei contadini tedeschi verso la Germania
occidentale.
Lo considera problematico perché quella che dovrebbe essere, nella sua immagine di
nazionalista, la barriera nei confronti della cultura slava, in realtà si indebolisce, in conseguenza
anche dell’altra grande migrazione, nel senso che i lavoratori tedeschi, sono più o meno alla pari,
soppiantati dai lavoratori stranieri, prevalentemente polacchi.
Secondo Weber, di fronte a questa situazione problematica e al rischio di trovare delle province
sempre più occupate da stranieri e meno dai tedeschi, lo stato deve intervenire.
Quest’aspetto è importante a delineare il particolare liberalismo di Weber: Weber è un liberale, per
quanto riguarda la difesa dell’autonomia della volontà, cioè un liberale per quanto riguarda il libero
sviluppo della personalità individuale, però non è un liberista in economia.
Pensa che lo stato, se vi sono delle condizioni problematiche, deve intervenire, non si deve
astenere.
Lo stato deve prenderne atto e farsi carico della situazione.
Weber propone due soluzioni:
1) Colonizzazione interna/colonizzazione agricola statale: Lo sto deve acquistare terre dagli junker
e dai latifondisti polacchi e darle ai contadini. Il contadino (e la sua famiglia), con questa
politica, sarebbe trattenuto al pagamento di un piccolo canone come corrispettivo per il
godimento del terreno che riceve dallo stato. I più capaci e più meritevoli, dopo un certo
periodo di tempo, sarebbero nella condizione diventare proprietari del terreno, acquistando il
podere con il pagamento di un riscatto
Per Weber questa è una fase di transazione, che dovrebbe portare alla frantumazione progressiva
delle grandi proprietà terriere.
—> Bisogna agevolare l’accesso dei contadini alla proprietà.
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2) Chiusura della frontiera orientale: Secondo Weber qualsiasi intervento nella situazione delle
province orientali sarà inutile, se non c’è la chiusura delle frontiere, in quanto continuerà il
flusso dei lavoratori stranieri
La posizione degli Junker:
E’ qui che si innesca la polemica nei confronti degli agrari prussiani, che sono il ceto al potere in
Germania dal momento dell’unità (dal 1971).
(E’ questo il patto che Bismark ha stretto con gli Junker).
Bismark è il capo degli Junker, è un grande proprietario terriero.
Gli Junker prussiani in realtà sono perplessi nei confronti del progetto unitario di Bismark, non
sono entusiasti della prospettiva dell’unità nazionale.
Busmark però li convince dicendo: facciamo unita la Germania, e poi la Prussia rimane al centro
di questo progetto politico e voi sarete, anche con la Germania unita, la classe dirigente.
Secondo Weber questa posizione degli Junker nella Germania unita è molto pericolosa.
Gli Junker premono per una riapertura delle frontiere orientali alla manodopera slava, che costa
meno e ha meno pretese assicurative rispetto a quella tedesca.
—> Denuncia l’ipocrisia degli Junker.
Secondo Weber gli Junker, che si mostrano nazionalisti, custodi dello spirito dell’unità nazionale,
dell’unità della Germania, tuttavia rinnovano le loro pressioni per liberalizzare le frontiere, perché
sono capitalisti agrari e hanno bisogno di manodopera.
—> Non hanno problemi a chiedere manodopera anche straniera ai governi di turno.
Questa ipocrisia degli Junker mette quindi a rischio la presenza tedesca nei confini orientali.
Secondo Weber è necessario che la dinastia prussiana (che vede al governo Guglielmo II)
sostenuta dagli Junker, acquisisca una visione chiara delle proprie responsabilità e dei propri
doveri.
L’imperatore deve rinunciare all’alleanza con gli agrari (con gli Junker) e farsi promotore dell’unico
possibile intervento dello stato nella situazione delle province orientali, cioè guidare la soluzione
del sistema patriarcale prussiano, in modo da arrivare a un’organizzazione politica che concili la
presenza tedesca e i confini orientali con l’aspirazione dei contadini delle popolazioni di quelle
terre a una condizione di libertà e di indipendenza economica.
I contadini vogliono libertà.
Ed è proprio la libertà la motivazione fondamentale di tutti i fenomeni migratori.
La politica di Guglielmo II non va nella direzione auspicata da Weber.
Gli Junker rimangono al centro del sistema politico tedesco fino alla prima guerra mondiale.
—> Nuove misure protezionistiche nei confronti degli Junker, con la garanzia di privilegi fiscali.
Lo stato tedesco riconquista, praticamente comprandolo, l’appoggio politico degli Junker e si
assicura la loro neutralità nei confronti dei programmi di espansione degli industriali e della
crescente aggressività nel nazionalismo.
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LIBERALISMO
Weber, nella storia delle idee, appare come un pensatore liberale.
E proprio lui che, in realtà, più volte si definisce in questa maniera.
Riferimento: La partecipazione di Weber alla vita politica della Germania con l’adesione al partito
democratico, il partito dei liberali.
La storia del 1848 ci fa capire che in Germania ci sono almeno due versioni di liberalismo:
1) Versione razionalista: E’ vicina al liberalismo continentale, vicina ai francesi
2) Versione organica: E’ una versione più moderata. Per quanto riguarda la Germania è un
liberalismo composto prevalentemente da giuristi, storici, accademici
Weber è vicino al liberalismo organico, vicino alla tradizione del costituzionalismo inglese.
La raffigurazione del percorso intellettuale di Weber viene proposta da Hennis.
Quello di Weber è un liberalismo attivo.
E’ il liberalismo sociale e nazionale che si è affermato con la rivoluzione del 1848.
Le riflessioni confermano che il giovane Weber vede, in una collaborazione tra cittadini e potere, la
soluzione ai problemi nazionali, nonostante questo tipo di liberalismo organico dei tedeschi sia
una negazione al liberalismo classico.
Dopo questi anni (dopo il 1982) però le convinzioni di Weber si modificano.
Abbandona l’idea di armonia e di collaborazione, per sostituirla con la convinzione che nella
società moderna è il conflitto a caratterizzare le situazioni della vita.
A causa del capitalismo e della divisioni in classi, Weber, diventato maturo, abbandona l’idea che
il passato della Germania può fornire un modello per un’organizzazione costituzione moderna, ma
non abbandona la convinzione che il passato costituisce un importante punto di partenza per
individuare e risolvere i problemi nazionali.
—> Il liberalismo nazionale e sociale è caratterizzato da due orientamenti:
1) Il vincolo con le tradizioni, il confronto con la storia nazionale come momento decisivo per
l’elaborazione di una strategia politica complessiva. Per capire e risolvere il presente
bisogna“partire da lontano” e studiare il passato
2) La credenza della supremazia della nazione rispetto ai diritti dell’individuo. Sopra di tutto è
sempre la Germania.
Per Weber la libertà non è la libertà generica del popolo, di tutti i cittadini, ma è la sfera di
autonomia delle classi dirigente.
La libertà deve essere necessariamente vincolata a doveri e responsabilità di un popolo verso lo
stato.
Inoltre, per “potere”, intende la sovranità dello stato e l’autorità che la nazione deve conquistare
nella vita politica mondiale e nella lotta contro gli altri stati.
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WEBER E NAUMANN
Friedrich Naumann è una personalità fondamentale per inquadrare il pensiero politico di Weber e il
liberalismo sociale e nazionale.
Il primo incontro tra Weber e Naumann avviene dopo l’uscita di scena di Bismark.
Adolph Stoecker, predicatore di corte e parlamentare, convoca a Berlino, con il sostegno dello
stesso Guglielmo II, il primo Congresso evangelico-sociale, a cui vi prendono parte uomini di
chiesa, ma anche operai, studenti e accademici tra cui Weber.
(Stoecker: ultra-conservatore e antisemita).
La guida di Stoecker, all’interno del congresso, è contestata dai giovani progressisti, guidati da
Friedrich Naumann.
(I giovani sono per cambiamenti radicali e per un confronto con i socialdemocratici).
Alla fine la loro posizione i progressista alle politiche di Stoecker porterà quest’ultimo ad
abbandonare il Congresso.
Weber entra così in contatto con il gruppo e collabora alla redazione di una serie di brevi
pubblicazioni sulla rivista Christiche Welt, che è la massima espressione, insieme alla rivista di
Naumann, della posizione dei giovani progressisti.
Sul Christiche Welt Weber pubblica un energico intervento in difesa del pastore Paul Gohre,
segretario del Congresso evangelico dal 1891, dagli attacchi del teologo ortodosso Herman
Cremer.
In un articolo pubblicato sulla rivista, Crener ha aspramente criticato un libro di Gohre, nato
dall’esperienza fatta da questo come operaio in una fabbrica, allo scopo di conoscere dall’interno
le condizioni della classe lavoratrice.
Weber lo difende per due motivi:
1) Nel libro di Gohre si tratta della separazione tra professione e vita privata provocata
dall’avvento del capitalismo razionale
2) Il lavoro va apprezzato perché si spinge là dove le indagini statistiche sulle classi lavoratrici
non possono arrivare, vale a dire agli aspetti interni, psicologici e morali della condizione
operaia. Lo stesso obiettivo che lui stesso intende perseguire (con il metodo del questionario)
dall’inchiesta commissionata dal Congresso sulla condizione del lavoratori agricoli. Obiettivo
di conoscere più da vicino la condizione, anche culturale, sociale e psicologica dei lavoratori
agricoli
Fra Weber e Naumann nasce un’amicizia e una collaborazione, che durerà fino all’anno della
morte di Neumann (1919).
I due si sono ideologicamente influenzati:
1. Weber converte Neumann alle idee sul dovere per la Germania di una politica di potenza
mondiale:
Queste idee sono condivise solo da Neumann in quanto funzionali all’obiettivo da lui prioritario di
un’energetica politica sociale.
In Weber invece il pathos nazionalista prevale su tutto e discende dalla retorica responsabilità del
popolo tedesco nei confronti della storia.
2. Neumann converte Weber agli ideali democratici, verso i quali Weber nutriva diffidenza:
Per Naumann la nazione tedesca si identifica con il suo popolo e la democrazia va considerata
come una condizione d’esistenza, una necessità imposta dallo sviluppo culturale e materiale del
popolo tedesco.
Il futuro della nazione è delle grandi masse lavoratrici, che devono essere associate stabilmente
alla conduzione dello stato.
Queste riflessioni contribuiscono all’accettazione, da parte di Weber, della prospettiva della
democrazia di massa.
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3. Pensiero diviso su Guglielmo II:
Per Weber è un politico dilettante, incline verso forme esteriori del comando (disciplina militare,
parate).
E’ un sovrano d’ombra con soltanto l’apparenza del potere.
Per Neumann il suo ruolo è indispensabile per avviare la democratizzazione della vita nazionale
tedesca e per conquistare le masse per formare una politica mondiale.
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PROCESSO DI RAZIONALIZZAZIONE: DIRITTO RAZIONALE E DIRITTO
IRRAZIONALE
Partiamo dal concetto di razionalizzazione:
• Razionalizzazione: E’ quel processo storico caratterizzato dalla scoperta e dall’uso di tecniche e
procedure più adeguate e sistematiche di quelle del passato, in ogni campo dell’attività umana,
dell’agire umano
Per Weber non necessariamente il processo di razionalizzazione coincide con la modernità.
—> Ci sono campi dell’agire umano in cui la razionalizzazione si è manifestata già prima (es:
architettura della civiltà classica e la tecnica militare. Per contro, con la modernità , diventano
razionali la medicina, la fisica e altre discipline).
Il tema è: Come ha influito il processo di razionalizzazione nell’agire giuridico?
Secondo Weber la razionalizzazione ha fatto sì che la produzione, il reperimento e poi
l’applicazione del diritto, con il tempo, sono diventati calcolarli, sempre più prevedibili e quindi
sempre più controllabili razionalmente.
Weber, nel processo di razionalizzazione giuridica, distingue due movimenti, due orientamenti
culturali che convivono e che tendono a entrare un po in conflitto tra loro:
1) Generalizzazione: E’ la riduzione delle ragioni rilevanti per la decisione di un caso concreto a
principi generali. Quindi è l’elaborazione di norme generali e astratte da applicare a una serie
di casi
2) Sistematizzazione: E’ il coordinamento di tutte le norme create in un sistema chiaro, ordinato,
non contraddittorio ed esente da lacune
—> Da un lato un movimento di sintesi, di semplificazione e dall’altro lato un movimento analitico.
Secondo Weber i fattori decisivi del processo di razionalizzazione giuridica sono la struttura del
potere politico e il ruolo dei giuristi.
Due fattori legati: potere e cultura giuridica.
Secondo Tarello, infatti, se vogliamo capire qualcosa del processo che porta alla nostra
razionalizzazione giuridica, cioè al processo di codificazione, dobbiamo tener conto di ciò che
fanno e ciò che pensano i giuristi e il ceto/la persona al vertice del potere.
Weber fa una grande linea di democrazia.
Distingue tra: sistemi giuridici razionali e irrazionali.
Ciascuno di questi due tipi di ordinamento giuridico può, a sua volta, essere formale oppure
materiale.
—> Quadripartizione: ordinamento giuridico formalmente rirazionale, materialmente irrazionale;
ordinamento giuridico formalmente razionale, materialmente razionali.
1. Diritto irrazionale:
E’ il diritto non formalizzato e non ordinato.
Al diritto irrazionale si avvicinano, a giudizio di Weber, i diritti premoderni, cioè quelli prima del
processo di razionalizzazione.
A. Diritto formalmente irrazionale: E’ un sistema giuridico che conosce delle procedure stabilite in
anticipo. Si può arrivare a una decisione giuridica con una norma generale (che vale per una
pluralità di casi) oppure una norma individuale (che vale solo per alcuni casi). Tutte queste
procedure però sono irrazionali, cioè non controllabili dalla ragione (es: i sistemi giuridici che
riconoscono l’autorità di profeti, oracoli e, per decidere, si basano sul volo degli uccelli)
B. Diritto materialmente irrazionale: E’ un sistema giuridico in cui non esistono delle procedure
predeterminate e quindi la decisione è presa caso per caso (es: il diritto islamico prima
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dell’occidentalizzazione. Esiste un giudice monocratico, detto Cadì. E’ un giudice religioso che
decide su tutte le controversie in base a principi religiosi e giudizi di equità)
2. Diritto razionale:
A. Diritto formalmente razionale: La produzione e l’applicazione del diritto sono formali quando
nel processo che porta alla decisione di un caso concreto si rimane entro i confini di un
sistema giuridico dato, ordinato e calcolato. E’ un sistema chiuso, in cui l’operatore giuridico
per decidere deve seguire delle procedure giuridiche stabilite in anticipo e può attingere a
principi o a norme giuridiche statuite che devono essere presenti nell’ordinamento (es: il diritto
codificato dell’Europa continentale)
B. Diritto materialmente razionale: Si ha quando la legislazione e la giurisdizione sono dirette da
operatori del diritto, non vincolati soltanto a principi giuridici, ma guidati anche da principi
extra giuridici (etici, religiosi, politici, economici) non formalizzati da norme. Non è un sistema
chiuso ma è suscettibile di integrazione (es: il nostro diritto canonico. E’ un diritto prevedibile,
controllabile razionalmente perché c’è il codice canonico che risponde a ogni dubbio ed non è
un sistema di principi soltanto giuridici. Si tiene conto sia delle norme che di altro, come
l’opinione pubblica dei cattolici o gli input del Papa)
Diritto inglese vs il nostro diritto:
L’esempio più importante di diritto razionale in senso materiale è quello del diritto inglese, cioè del
common law in Inghilterra.
E’ un diritto razionale in senso materiale perché è un diritto non codificato, non delimitato da
principi giuridici prefissati e non è sistematico o almeno lo è meno rispetto ai nostri diritti.
—> E’ un diritto più mobile ed elastico, con altre caratteristiche rispetto ai nostri ordinamenti per:
1) Interessi materiali
2) Attaccamento alla tradizione: Presso i giuristi inglesi è molto forte. I giuristi in Inghilterra hanno
da sempre il tratto di una casta corporativa di pratici del diritto, con una vocazione
tendenzialmente contraria a qualsiasi tentativo di sistemazione e di semplificazione
concettuale
3) Importanza data ai giudici non togati: La separazione del procedimento tra giudice togato e
giurati si basa solo sulle funzioni di direzione del processo, riconosciute al giudice togato.
Questa divisione è tipica anche da noi ma nel diritto inglese non è mai rigida
4) Giurisdizione di equity: Cioè il rimedio di giustizia nei confronti del sistema di common law.
Prima c’era la possibilità di ricorrere in appello re contro le decisioni delle corti. La decisione
successivamente, secondo equità, viene rilegata al lord cancelliere. Nel 1873 i due sistemi
sono stati armonizzati. Il sistema di common law e il sistema di equità sono stati attribuiti alla
giurisdizione delle stesse corti
—> Vi è una grande differenza tra il diritto inglese e il nostro diritto codificato
Noi abbiamo avuto la ricezione del diritto romano.
Prima si è sviluppato il diritto comune e il processo di codificazione sul fondamento del diritto
romano.
Inoltre ha influito la codificazione di Giustiniano con il Corpus Iuris Civilis, che ha un carattere
sistematico.
Nell’esperienza inglese invece il diritto romano è meno considerato.
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RAPPORTO TRA DIRITTO ED ECONOMIA
Weber si interroga sulle relazioni tra gli istituti giuridici e gli istituti economici.
E’ soprattutto con l’analisi relativa al processo di razionalizzazione che si chiariscono le idee sui
rapporti tra diritto ed economia.
In generale Weber pensa che i fenomeni giuridici non sono condizionati da fattori economici.
I fattori giuridici dipendono da:
1) Questioni, relazioni intra-giuridiche, cioè dai tratti della cultura giuridica e, in particolare, dagli
interessi scientifici e materiali dei giuristi —> Dipendono dalle persone che più da vicino
influenzano la formazione del diritto
2) Condizioni politiche
Weber non si ferma a questo punto.
Cerca di dimostrare come un certo tipo di forme giuridiche, insieme ad altri fattori economici,
possono valere come cause attive di un certo processo economico.
—> Diritto come causa dell’economia.
Il diritto quindi non dipende da fattori economici ma, in certe circostanze, può agire direttamente
come causa favorevole all’affermazione di certi istituti economici.
Weber cerca di dimostrare che gli elementi della sovrastruttura di Marx (religione, politica, diritto)
non sono stati causati dall’economia ma, al contrario, in determinate circostanze, possono valere
come agenti attivi, come cause, delle relazioni economiche e, in modo particolare, delle relazioni
capitalistiche.
In particolare Weber pensa che il diritto razionale rappresenta un fattore importante per lo
sviluppo del capitalismo moderno.
Di quale diritto razionale stiamo parlando? Formale o materiale?
Le risposte di Weber non sono per univoche.
In generale sembra valere la tesi secondo cui è stato soprattutto un diritto razionale formale, cioè
codificato, a favorire la genesi del capitalismo.
Questo perché il capitalismo moderno è basato sul calcolo, sulla previsione e quindi è favorito da
rapporti, da relazioni giuridiche certe e sicure.
Lo sviluppo del capitalismo è stato ovunque omogeneo
L’Inghilterra però, con la razionalizzazione giuridica, ha imboccato una strada diversa.
—> Le influenze delle condizioni economiche sono limitate.
L’Inghilterra, fino alla prima guerra mondiale, è il paese capitalistico per eccellenza.
Ma come mai l’economia più sviluppata è quella inglese che non ha un diritto codificato?
Su questo punto Weber oscilla un po, non ha sempre una posizione univoca.
- All’inizio sostiene la tesi secondo cui l’Inghilterra ha ottenuto questo primato in Occidente
nonostante la struttura del suo diritto (diritto razionale materiale) e che quindi il caso inglese
rappresenta l’eccezione alla conferma della regola
- Successivamente sostiene che il capitalismo inglese si è sviluppato proprio grazie alle
caratteristiche del suo diritto e, quindi, non nonostante il suo diritto. E’ vero che il diritto
materiale assicura meno certezza del diritto e scarsa sicurezza dei traffici, ma questo
inconveniente è superato dalla maggiore elasticità di tale diritto. Essendo meno rigido e più
flessibile del diritto formale, il diritto materiale si adegua più velocemente agli interessi di
mercato
Tendenzialmente però la sua tesi, quella che dobbiamo tenere ferma, è che il capitalismo
moderno è favorito da un diritto razionale.
Certe volte è un diritto razionale formale, altre è materiale.
Tendenzialmente è però un diritto razionale, cioè un diritto calcolabile, prevedibile, di tipo
occidentale.
E’ questa l’assunzione fondamentale di Weber, proprio perché pensa che, almeno all’inizio, il
capitalismo è un fenomeno tipico dell’occidente.
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Conclusioni:
In linea di massima è il diritto ad aver condizionato le strutture economiche.
Quindi si può escludere del tutto una qualche influenza dell’economia sul processo di formazione
e di evoluzione del diritto.
—> Si può escludere la relazione istituita da Marx, per cui il diritto è condizionato anche
dall’economia.
Secondo Weber questa influenza non è un’influenza immediata, ma mediata.
Nella sua analisi si avverte l’influenza della teoria dell’evoluzione di Darwin.
Weber afferma che sono due ambiti diversi però qualche affinità esiste.
Qual è questo ragionamento?
Il diritto produce, con autonomia, norme, principi e istituti giuridici.
Non tutte le forme giuridiche tendono però a sopravvivere.
Rimangono quelle che superano un processo di soluzione, cioè rimangono in piedi le forme utili,
quelle che riescono a stabilire una corrispondenza con qualche bisogno economico.
Le altre tendono a scomparire.
Questa corrispondenza non è però automatica (a differenza di come se la immagina Marx), non si
realizza al principio.
Si realizza dopo, sulla base di una selezione lenta, sull’adattamento reciproco, nel tempo, di
bisogni economici e istituti giuridici.
Weber esprime un orientamento che si trova anche in Darwin cioè: se non è direttamente l’utilità
di un istituto/forma giuridica che pone in essere quell’istituto, occorre che quell’istituto sia utile
per sopravvivere. Se non serve a nulla è destinato, alla lunga, a scomparire.
In questo modello di ragionamento concretamente avviene che il capitalismo razionale sceglie tra
gli schemi tecnico-giuridici disponibili, cioè tra quelli che si trovano nel mercato giuridico, quelli
più adatti ai suoi obiettivi.
Scegliendo interviene nel processo evolutivo del diritto.
Usando alcuni istituti contribuisce a mantenere in vita quelle forme giuridiche.
Trascurando certi strumenti giuridici, invece, li condanna alla scomparsa.
—> Argomentazione di Weber si articola in 3 passaggi:
1) Il diritto razionale è indipendente dallo sviluppo del capitalismo. Il diritto razionale dipende da
altri fattori che sono fattori intra-giuridici (dal ceto dei giuristi e dalle aspirazioni di potere dei
vertici della comunità politica)
2) Il diritto razionale è una delle condizioni che hanno favorito lo sviluppo del
capitalismo
3) Il capitalismo, servendosi di determinati schemi tecnico-giuridici, provvede alla loro
selezione e alla loro diffusione (il diritto produce norme e istituti, ma sopravvivono soltanto
quelle utili: è il capitalismo che fa questa selezione, scegliendo quelli più adatti ai suoi fini)
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SOCIOLOGIA DI WEBER
Le scienze sociali, come scienze della cultura, studiano fatti umani.
Studiano l’uomo e il suo agire, propriamente non tutto il suo agire ma solo il suo agire sociale.
Weber dà una definizione di agire sociale:
• Agire sociale: L’agire umano è sociale nel momento in cui il suo comportamento è
soggettivamente e praticamente riferito all’atteggiamento di altri uomini, di altri soggetti, quando
cioè si fonda sull’aspettativa di una razione in risposta da parte di altri uomini (es: guidare in
macchina nel traffico, andare a votare)
Weber pensa che un agire individuale è un agire che non mette in connessione la persona con
l’altra persona (es: dormire, mangiare).
La differenza tra l’agire individuale e l’agire sociale è il fatto che, nell’agire sociale, mi muovo,
agisco, mi comporto aspettandomi certi comportamenti da un numero più o meno grande di
persone.
—> L’oggetto di studio della scienza sociale è dunque l’agire sociale.
L’obiettivo della scienza sociale, secondo Weber, è decifrare il senso del comportamento e
contestualizzarlo in relazione a un determinato periodo storico.
—> Leggerne l’origine culturale, le motivazioni, gli interessi, le finalità.
Per agire da scienziati sociali dobbiamo cogliere il senso di questo agire intenzionato.
Per Weber “intenzionato” vuol dire correlato in relazione con l’agire di una comunità di individui
più o meno ampia (es: agire di uno studente in una comunità universitaria).
Weber pensa che per capire davvero i comportamenti sociali delle persone bisogna partire dal
senso, dalla ragione della motivazione individuale, dalle buone ragioni per comportarsi in un certo
modo piuttosto che in un altro.
Il “senso” è questo riferirsi dell’agire individuale al comportamento di altre persone.
L’orientamento metodologico di Weber lo chiamiamo individualismo metodologico, perché il
metodo delle scienze sociali weberiano parte dalle motivazioni individuali, parte dal senso interno
delle condotte.
Non considera l’agire di un gruppo, come un tutto, ma lo scompone nei suoi comportamenti
individuali.
Per capire quali sono le buone ragioni dei comportamenti (comportamento politico, religioso,
giuridico ecc..) Weber si serve di apparati concettuali che lui chiama “tipo ideale”:
- E’ la specifica costruzione nomologica o nomotetica delle scienze sociali
- E’ la legge delle scienze sociali
- E’ lo strumento che serve per orientarci nelle diverse motivazioni che caratterizzano un ambito
particolare dell’agire sociale
- Sottolinea i caratteri essenziali di un tipo di comportamento e delle relative motivazioni
- Ha l’obiettivo di individuare i caratteri più tipici di una condotta all’interno di una gire
determinato
- E’ un concetto, un’etichetta che opera una schematizzazione
- Si serve di concetti, in quanto i concetti aiutano a ordinare la complessità del mondo sociale
—> E’ un modo per mettere ordine nella complessità di senso dell’agire sociale per stabilire dei
punti fermi.
Sulla base di questi punti fermi si riparte per analisi sempre più precise e raffinate
- E’ un’astrazione, uno stereotipo. Non può e no deve essere una rappresentazione esaustiva
del reale. Non è una copia della realtà
—> I concetti non sono la realtà, servono soltanto a ordinare la realtà.
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La destinazione finale della ricerca è una destinazione empirica.
Bisogna capire come vanno realmente le cose.
Bisogna dare una spiegazione a un fenomeno speciale.
- Si chiama ideale perché, nella sua purezza concettuale, non lo ritroveremo mai nella realtà
Weber e Kant:
Nell’idea di Weber del come organizzare una ricerca sociale c’è molto Kant, soprattutto il Kant
delle due fonti principali della conoscenza (sensibilità/intelletto; esperienza/categoria).
Kant:
Per Kant la nostra conoscenza trae origine da due sorgenti fondamentali dell’animo: ricevere le
rappresentazioni e la facoltà di conoscere un oggetto per mezzo di queste rappresentazioni.
—> Da un alto l’esperienza e dall’altro la spontaneità dei concetti (Weber pensa: da un lato
l’esperienza, dall’altro la costruzione concettuale).
Secondo Kant nessuna di queste facoltà deve anteporsi all’altra.
Senza sensibilità nessun oggetto ci verrebbe dato però, senza intelletto, nessun oggetto verrebbe
pensato.
I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetto sono cieche.
Weber:
Per fare ricerca sociale, secondo Weber, abbiamo bisogno delle costruzioni concettuali, che ci
mettono nella condizione di ordinare la realtà, e della ricerca empirica, cioè l’osservazione.
Bisogna mettere mano nei fatti, nei fenomeni, e quindi è questa la vera finalità della ricerca: la
spiegazione del fenomeno particolare, sul fondamento di quest’assunto per cui la realtà storicogiuridica è tutta individuale, cioè non ci sono due eventi giuridici, politici, economici che possono
essere perfettamente sovrapposti.
—> Ogni volta la realtà si presenta in forme diverse.
La congiunzione tra due momenti dell’analisi (tra una parte di ordinamento concettuale della realtà
e una parte di osservazione empirica con l’obiettivo di arrivare alla spiegazione causale di un
fenomeno), ci fa comprendere qual è il motivo fondamentale della valorizzazione della scienza
giuridica dogmatica da parte di Weber.
• Scienza giuridica dogmatica: E una disciplina concettuale, è il primo pezzo ideale dell’analisi
della scienza giuridica. E’ la disciplina che si occupa di analizzare il significato delle norme e
inoltre si occupa della congiunzione sistematica dei vari significati normativi. Si occupa della
costruzione sistematica dei vari significati normativi con l’obiettivo di arrivare a un ordinamento
logico, coerente, senza contraddizioni o lacune, che si occupa della concezione di concetti (il
concetto di “stato”, di “norma”, di “obbligo”, di “sanzione”, di colpevolezza”) e delle
connessioni ideali e ipotetiche tra eventi (es: se si verifica un fatto illecito la conseguenza
giuridica è una pena o una sanzione amministrativa)
—> Secondo Weber la scienza giuridica dogmatica è una disciplina nosologica, estremamente
formalizzata, che ero mette a disposizione della scienza socio-giuridica, una serie di connessioni
tifico-ideali di giudizi di possibilità.
“Tipi ideali” come “giudizi di possibilità” del mondo ideale, del mondo ipotetico del diritto, in cui
sono accadendo delle cose ma si prevede che possano accadere.
Gli enunciati giuridico sono spesso costituiti così, come dei giudizi di possibilità in un mondo
ideale.
Secondo Weber per capire le connessioni causali reali bisogna costruire di reali, ed è quello che fa
la giurisprudenza dogmatica.
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WEBER E LA DOGMATICA GIURIDICA
Per Weber le cose fondamentali per fare scienza della società in qualunque ambito sono 2: la
storia, per capire da quale punto siamo partiti (anche andando molto indietro) e la comparazione,
cioè mettere insieme epoche differenti, comunità politiche differenti, diritti differenti.
Weber si lega a:
- Mommset: Studioso di diritto romano, pubblico e privato romano
- Goldschimdt: Fondatore della scienza del diritto commerciale in Germania e fautore di una
scienza economica del diritto, cioè una scienza giuridica interessata a scoprire i nessi e le
relazioni tra gli istituti e le relazioni economiche sottostanti
Weber si adegua all’idea per cui la scienza giuridica è scienza di norme, è studio del significato
logicamente corretto dalle norme, con l’obiettivo di costruire il sistema del diritto, un ordinamento
giuridico senza contraddizioni e senza lacune.
Nonostante il suo non grandissimo amore per la scienza giuridica sistematica tutto sommato ha
una posizione conservatrice.
Appunto il ruolo del giurista, soprattutto di quello dottrinale, è quello di mettere insieme il sistema
delle norme e dei significati da attribuire agli enunciati legislativi, oppure agli enunciati normativi
ricostruiti dalla scienza del diritto.
Weber non è mai stato un dogmatico in senso stretto.
Giustifica però la scienza giuridica dogmatica (quella praticata nelle nostre aule).
• Scienza giuridica dogmatica: E’ una disciplina cha studia il significato delle norme. Si occupa
della costruzione sistematica dei vari significati normativi con l’obiettivo di arrivare a un
ordinamento logico, coerente, senza contraddizioni o lacune, che si occupa della concezione di
concetti (il concetto di “stato”, di “norma”, di “obbligo”, di “sanzione”, di colpevolezza”) e delle
connessioni ideali e ipotetiche tra eventi (es: se si verifica un fatto illecito la conseguenza
giuridica è una pena o una sanzione amministrativa)
Come mai un comparatista, un sociologo del diritto, ha una visione così positiva della scienza
giuridica dogmatica?
I motivi di spiegazione sono due:
1) Motivo biografico: Negli scritti metodologici Weber conferma le procedure scientifiche, gli
obiettivi della scienza dogmatica, ma poi concretamente non li ha mai applicati. Quando si
tratta di intervenire su problemi giuridici le sue ricerche son prevalentemente delle ricerche
storico-sociali sul diritto
—> La sua approvazione alla scienza giuridica dogmatica deriva da una posizione assunta
dall’esterno, abbastanza convenzionale, comprensibile in relazione alle caratteristiche degli studi
giuridici in Germania di quegli anni.
2) Motivo teorico: Riguarda il tema del metodo delle scienze sociali, delle scienze dell’uomo e
della cultura. Weber ritiene che la dogmatica è un buon esempio per mostrare come anche
una scienza sociale può diventare, nel suo apparato teorico, una scienza formale orientata
all’edificazione di un sistema di leggi generali
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WEBER E IL POSITIVISMO
All’origine dello storicismo contemporaneo c’è il dibattito sul metodo.
E’ una discussione iniziata in Germania, che si è estesa poi soprattutto nei paesi continentali
europei.
Lo storicismo contemporaneo si divide in due filoni:
- Orientamento di Hegel: La storia appare come la rappresentazione, la descrizione del processo
divido del corso graduale in cui lo spirito conosce se stesso, conosce la verità e la realizza nella
storia
- Orientamento che vede come matrice Kant: E’ uno storicismo che pensa che tutta la
conoscenza è conoscenza dell’individuale storico. E’ uno storicismo interessato ai problemi
epistemologici e metodologici sul fondamento di una qualche teoria della conoscenza
Weber combatte il monismo naturalista, cioè il monismo degli autori del positivismo (800 d.c)
• Monismo: E’ la concezione filosofica che considera la realtà come unica o riducibile a un unico
principio fondamentale
I positivisti, nel corso dell’800, sostengono l’adeguamento delle scienze sociali ai metodi e agli
obiettivi delle scienze naturali.
Weber tendenzialmente esprime un orientamento antipositivistico ma, allo stesso tempo, ritiene
che costruire una divisione troppa netta tra i due ambiti sia un grave errore.
Il suo orientamento è quello di mediazione.
E’ quello di uno storicismo critico che rimane antipositivista, ma che al contempo ha interesse per
gli sviluppi delle scienze naturali e soprattutto per lo sviluppo delle teorie evoluzionistiche in
sociologia.
Per il fatto che Weber dice che i due ambiti scientifici devono comunicare tra di loro e magari
anche collaborale, è aperto alla possibilità di un confronto dialettico, positivo con la tradizione
positivista.
E’ aperto ad accogliere, in modo particolare, alcune idee della tradizione positivista tra cui il
principio di causa.
Le nostre scienze, come quelle naturali, devono sforzarsi di individuaRe quali sono le cause dei
fenomeni.
Un altro principio che Weber apprezza è quello dell’oggettività conoscitiva.
Dobbiamo andare alla ricerca della verità, con la consapevolezza che questo è un compito difficile
e impegnativo ma, tuttavia, dobbiamo sforzarci nelle nostre operazioni scientifiche di essere il più
oggettivi possibile.
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WEBER E DILTHAY
L’indirizzo che Weber contesta in modo particolare è quello di Dilthay.
Dilthay sostiene la necessità di separare rigidamente le scienze della cultura dell’uomo dalle
scienze della natura.
Secondo lui sono discipline diverse per:
- L’oggetto: Da un lato ci occupiamo dell’uomo, dei suoi rapporti sociali, di diritto, di politica, di
arte e cultura; dall’altro delle scienze della natura
- L’obiettivo: Nelle scienze sociali la conoscenza parte dall’esperienza interna vissuta dal
soggetto, che viene messa in relazione con i vissuti di altri soggetti, quindi l’obiettivo è
comprendere le motivazioni dell’agire; nel caso delle scienze della natura l’obiettivo è spiegare i
fatti naturali servendosi di leggi
Weber ha un’orientamento diverso.
Lui pensa che la distinzione deve essere compiuta in base all’orientamento della ricerca.
Ci sono discipline, delle scienze, rivolte a una spiegazione dell’individuale degli eventi, del
fenomeno singolo (es: la linguistica storica, che si occupa della formazione dell’italia, cioè come è
nato, in quale momento e con che influenze) e poi ci sono delle discipline che hanno un obiettivo
diverso, ossia arrivare a stabilire delle leggi, dette scienze normative o nomotetiche (es: la
grammatica, che si occupa di studiare come si forma il plurale o il passato dei verbi).
Entrambe le discipline:
- Hanno come obiettivo la spiegazione: In un caso è di tipo causale-idrografico, e cioè cerca di
stabilire in che modo e in quale maniera un evento si è verificato; nell’altro caso è di tipo
causale-generalizzante, cioè è orientata a stabilire un sistema di leggi generali che devono
valere per una molteplicità di fenomeni
- Si servono di cause
- Prevedono una conoscenza nomologica
—> Secondo Weber le scienze della natura sono delle scienze che hanno questo carattere
normativo, cioè hanno come obiettivo arrivare a stabilire delle leggi; le scienze sociali invece
hanno un orientamento individualizzato (prevalentemente, non tutte).
Le scienze sociali hanno inoltre il compito di confrontarsi con la libertà dell’uomo, con la libertà
dei suoi atti e quindi anche con l’imprevedibilità del comportamento umano.
Secondo Weber la realtà storica dell’uomo è tutta individuare, cioè non ci sono due eventi che si
producono nella stessa maniera.
Ogni evento ha una sua specificità, proprio in conseguenza della libertà e dell’imprevedibilità della
condotta umana.
—> Le scienze della cultura hanno questo orientamento verso l’individualità, verso la ricerca, volta
per volta, di specifiche e concrete connessioni casuali di fenomeni ben individuati.
A questo scopo si servono di un’apparato nomoetico, un apparato di regole.
Queste regole non sono leggi a validità generale come quelle delle scienze di natura, ma sono
delle costruzioni concettuali, cioè un insieme di concetti, di regole generali dell’accadere.
L’individuazione di queste leggi della casualità non sarà, come avviene nelle scienze naturali, lo
scopo ultimo della ricerca, ma solo la sua cassetta degli attrezzi.
L’obiettivo finale è spiegare il perché di un fenomeno determinato (es: perché il nazismo in
Germania?).
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Pagina 72 di 78
WEBER E KELSEN
Kelsen, dopo Weber, arriva a negare autonomia scientifica alla sociologia del diritto, come scienza
storico-sociale dei fenomeni normativi.
La sua critica è comprensibile.
Secondo Kelsen se, come fa Weber, si accettano le conseguenze di una separazione radicale tra
essere e dover essere, bisogna rendere palese si in fondo, anche nelle scelte terminologiche, che
scienza giuridica e sociologia si occupano di oggetti diversi tra loro.
- Weber impiega largamente concetti tipo “stato, “ordinamento giuridico”, “sanzione”,
“obbligazione ecc”. Si giustifica affermando di aver inserito in tali circostanze il sapere
nomologico caratteristico di una scienza storico-sociale e cioè i tipi ideali (i concetti che
racchiudono i caratteri tipici, essenziali, di un certo fenomeno)
Per Kelsen questi sono gli stessi concetti adoperati dalla dogmatica.
Le ambiguità di Weber ne confermano la superiorità e la necessità.
Secondo Kelsen le discipline esterne all’universo del diritto (sociologia o psicologia) che fanno
riferimento a questioni e termini giuridici, appartengono a un ambito peculiare, diverso e separato
dal mondo dell’essere.
L’ideale di scienza che si afferma per una buona parte del 900 prescrive discipline rigorose, esatte
e verificabili.
—> In campo giuridico l’attenzione torna a concentrarsi sulla dogmatica, mentre il discredito per
gli “pseudo-problemi” delle discipline filosofiche investe anche, inevitabilmente, la sociologia.
A parte i realisti, l’idea di una scienza sociale del diritto, caratterizzata dai procedimenti e dagli
obiettivi propri delle altre scienze sociali, difficilmente riesce ad elevarsi al rango di un’alternativa
credibile alle dispute infinite sulla coerenza e la completezza dell’ordinamento giuridico,
nonostante le molte frustrazioni pratiche dei giuristi.
Per i giuristi tradizionali, abituati al lavoro secolare sui codici e sulle leggi, la lusinga della
parificazione della giurisprudenza alle scienze esatte va naturalmente di pari passo con
rivendicazioni di “purezza” e conseguenti atteggiamenti di chiusura nei confronti delle analisi
storico-sociali.
Queste discussioni mostrano che le grandi divisioni, i punti di vista che moltiplicano, a seconda
delle necessità di legittimazione scientifica di discipline particolari, non hanno giovato per nulla
alla scienza del diritto.
Non hanno giovato alla dogmatica, che è stata indotta a perpetuare la convinzione che il suo
ruolo consiste nel rendere visibile o compiuta l’unità e la coerenza del sistema
Nè alla sociologia del diritto.
Studiare il diritto dalle motivazioni dell’agire non è studiare il diritto, ma qualcos’altro: legittima
l’ideologia dell’autonomia della dogmatica e conferma implicitamente l’idea che lo studio dei
nessi sociali all’interno dei quali si applicano la produzione e l’applicazione delle norme non possa
individuare alcun elemento essenziale per la comprensione di esse.
Esterno = fuori dal diritto.
—> Il problema è la configurazione della scienza del diritto.
È evidente che nel discorso su dogmatica e sociologia del diritto, conservare un’etichetta unitaria
vuole soprattutto sottolineare due aspetti:
a) Che l’oggetto in esame non muta con la messa a fuoco di volta in volta operata
dall’osservatore
b) Che i diversi risultati in tal modo ottenuti non possono reciprocamente ignorarsi, ma devono
mantenere tra loro un elevato livello di comunicazione
Detto ciò è evidente che all’interno di questa imprese comune che ha l’obiettivo di sottolineare
questi aspetti di collaborazione necessaria, può e deve programmarsi una divisione del lavoro,
anche con la storia del diritto, la teoria generale, l’antropologia giuridica ecc…
—> L’analisi è rivolta a un medesimo oggetto, il diritto, colto però nelle sue differenti articolazioni
e nei diversi momenti del suo operare.
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Argomento a scelta
Come legge un atto normativo: l’interpretazione e gli argomenti
interpretativi. In particolare come leggere una sentenza
Nel lavoro del giurista acquista rilievo particolare l’attività di interpretazione, ovvero l’attività di
accertamento del significato delle norme giuridiche.
Nel nostro ordinamento il numero di norme in vigore è rilevantissimo.
La norma è costituita da enunciati linguistici.
Il compito dell’interprete (del giurista) è attribuire significato a tali enunciati.
Il tema dell’interpretazione interessa anche cultori di altre scienze.
In particolare in ambito filosofico si definisce ermeneutica la metodologia dell’interpretazione.
Il dialogo tra giuristi e filosofi è molto fecondo.
Il diritto deve infatti a un grande filosofo del 900, Gadamer, la definitiva scoperta che il testo non
vive al di fuori dell’interpretazione e che l’interprete non si avvicina al testo come una tabula rasa,
bensì risente della sua precomprensione, dei suoi pregiudizi, delle sue attese.
Pensiero di Gadamer:
Chi si mette a interpretare un testo attua sempre un progetto.
Sulla base dell’immediato senso che il testo gli esibisce, egli abbozza preliminarmente un
significato del tutto.
Successivamente vi sono le revisioni del progetto.
—> L’interpretazione comincia con dei pre-concetti che via via vengono sostituiti da concetti più
adeguati.
Infatti, proprio questo continuo rinnovarsi del progetto, costituisce il movimento del comprendere
e dell’interpretare.
Chi cerca di comprendere è esposto agli errori derivanti da pre-supposizioni che non trovano
conferma nell’oggetto.
L’unica cosa obiettiva è la conferma che una pre-supposizione può ricevere attraverso
l’elaborazione.
—> Costruzione di modelli mentali in sede di costruzione di conoscenza e necessità di rivederli o
cambiarli allorché si acquisisca nuova conoscenza.
Analizziamo alcuni elementi propri dell’interpretazione:
1) Nozione: Con il termine interpretazione si intende tanto l’attività attraverso cui si giunge alla
costruzione del significato degli enunciati linguistici, quanto il risultato di detta attività
2) Fonte: L’interpretazione può essere di fonte dottrinale, giurisprudenziale o legislativa.
Nell’ultimo caso si parla di interpretazione autentica perché il significato degli enunciati
linguistici è chiarito dallo stesso soggetto che li ha posti
3) Norme sull’interpretazione: Nel nostro ordinamento esistono norme sull’interpretazione (es: Art
12 delle preleggi)
• Art 12 delle preleggi: Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che
quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e
dalla intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa
disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il
caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico
dello Stato
4) Teorie: Sono state elaborate molte teorie sull’interpretazione. In sintesi si può dire che a un
capo vi sono i fautori del formalismo giuridico, secondo cui esiste sempre un’interpretazione
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Pagina 74 di 78
corretta di un enunciato giuridico. Sul versante opposto si coccola chi ritiene che ogni
accertamento di significato corrisponde alla creazione di un significato nuovo (realismo
giuridico e nichilismo giuridico)
5) Problemi legati al linguaggio: In quanto attività legata al linguaggio, l’interpretazione presenta
una serie di problemi connessi a quest’ultimo. L’interpretazione di un testo giuridico richiede
contemporaneamente:
- Un’attenta considerazione della sua struttura sintattica e grammaticale
- Una comprensione del suo lessico
- Una collocazione di questo nel contesto degli enunciati e delle unità di discorso maggiori
(dai commi e articoli di legge all’intera regolamentazione della disciplina)
- Una serie di complesse considerazioni pragmatiche, riguardanti i possibili effetti generali
delle varie possibilità interpretative
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Argomenti interpretativi:
I giuristi hanno sviluppato delle tecniche interpretative, ovvero degli argomenti interpretativi che
possono essere portati a sostegno di una soluzione interpretativa.
• Argomenti interpretativi: Sono gli schemi di discorso che si utilizzano per attribuire un significato
a documenti e testi normativi e specificatamente a documenti e testi di legge (definizione di
Giovanni Tarello)
Sono gli schemi discorsivi attraverso i quali:
- Gli interpreti dotati di autorità (i giudici) motivano le attribuzioni di significato a documenti
normativi
- Gli operatori giuridici che intervengono nelle procedure che portano alle decisioni (gli avvocati)
persuadono o tentano di persuadere a un’attribuzione di significato
- I dottori (scienziati del diritto)propongono e propagandano siffatte attribuzioni di significato in
via generale
Argomenti:
1) Argomento a contrario: Raccomanda di attenersi alla lettera della legge, escludendo ogni
estensione del significato dei termini e ogni analogia
2) Argomento analogico: E’ l’opposto dell’argomento a contrario. Suggerisce di intendere la
legge considerando ogni termine come portatore di un concetto estensibile secondo analogie
e considerando ogni previsione come estesa ai casi simili a quello esaminato
—> Analogia legis
3) Argomento a fortiori: Consente di estendere il divieto di un’attività pericolosa a una ancora più
pericolosa, ovvero di permettere un’attività ancora più meritevole di incentivo di un’attività
meritevole di incentivo già premessa
4) Argomento della completezza della disciplina giuridica: Se non si trova una norma che
attribuisce a un determinato soggetto un diritto in merito a un dato comportamento, si deve
presumere che valga una norma che prescriva al comportamento dato un diritto. Non vi può
essere un caso qualsiasi non disciplinato dal diritto, la disciplina giuridica non può essere
indeterminata
5) Argomento della coerenza della disciplina giuridica: Due enunciati validi e conviventi non
possono essere interpretati come esprimenti norme configgenti l’una con l’altra
6) Argomento psicologico: Suggerisce il ricorso a indizi concreti di volontà psicologica (es: lavori
parlamentari, discussioni parlamentari)
7) Argomento storico: Suggerisce di attribuire a un enunciato normativo lo stesso significato
attribuito a un enunciato normativo precedente che regolava la stessa materia. Quindi
suggerisce di leggere, ove possibile, dietro ai mutamenti delle formule la costanza delle
discipline
8) Argomento apagogico: E’ l’argomento per cui si deve escludere l’interpretazione di un
enunciato normativo che da luogo a una norma irragionevole. Il diritto non ha e non deve
avere norme assurde
9) Argomento teleologico: Suggerisce di interpretare secondo i fini propri della legge, che sono
diversi da quelli dell’autore.
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10) Argomento economico: Esclude l’attribuzione a un enunciato normativo di un significato che è
già stato attribuito a un altro enunciato non gerarchicamente superiore al primo
11) Argomento autoritario: A un enunciato normativo va applicato il significato che gli è stato
attribuito dai giudici precedentemente. Questo argomento tiene conto della certezza del diritto
(prevedibilità per i cittadini delle applicazioni future della legge) e dell’uguaglianza di
trattamento di situazioni analoghe. Questo argomento non obbliga/vincola nessuno,
suggerisce solo di seguire tali decisioni di giudici superiori
12) Argomento sistematico: Suggerisce di interpretare secondo sistema, cioè secondo
collegamenti tra norme che sono precostituiti all’interpretazione
13) Argomento naturalistico: Ravvisa negli enunciati normativi norme che si uniformano a una
qualche concezione della natura
14) Argomento equitativo: Suggerisce di evitare le interpretazioni sentite come ingiuste, anche se
non esiste una percezione univoca dell’ingiustizia
15) Argomento a partire dai principi generali: In mancanza di una regolamentazione normativa e in
mancanza di argomentazioni normative che riguardano qualcosa di simile all’oggetto che si
sta interpretando, si riconduce l’interpretazione della cosa ai criteri generali dell’ordinamento
giuridico
—> Analogia iuris
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Come leggere una sentenza:
Una pronuncia giurisdizionale è un documento lungo, in media, 20/30 cartelle.
Sul piano formale esso contiene una serie di elementi utili a identificare l’atto.
Essi sono:
a) Organo giudicante: E’ l’organo che ha emanato il documento. Se si compone di più sezioni
viene segnata quella che ha reso la pronuncia
b) Nome dei giudici che compongono il collegio (o del giudice in caso di organo monocratico)
c) Nome del giudice che ha redatto la motivazione: Può essere giudice estensore o giudice
relatore
d) Tipo di atto emanato: Può essere sentenza, ordinanza o decreto
e) Numero progressivo attribuito alla decisione
f)
Data del deposito in cancelleria: E’ un elemento attestato dal responsabile dell’ufficio
g) Nome delle parti del giudizio
h) Nome dei difensori delle parti
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La porzione più rilevante sul piano quantitativo di una pronuncia giurisdizionale è la motivazione.
La motivazione si articola in due parti:
1) Svolgimento del processo o narrativa: Questa parte contiene l’illustrazione dei fatti di causa
2) Motivi della decisione: Questa parte riporta le ragioni che hanno portato il giudice ad
assumere quella particolare decisione
All’interno della motivazione in senso stretto è utile distinguere tra:
A) La Ratio decidendi: E’ il principio di diritto adottato dal giudice per definire la causa in
relazione al contenuto di una domanda. E’ il criterio di decisione adottato dal giudice per la
soluzione del caso che gli è stato sottoposto
B) Gli Obiter dicta: Sono costituiti dall’insieme delle argomentazioni da cui il giudice ha tratto il
proprio convincimento. Sono comprese anche le questioni preliminari e collaterali che il
giudice ha creduto opportuno esaminare per giungere alla decisione di ciò che forma il vero
oggetto della controversia
Il provvedimento giurisdizionale si chiude con il dispositivo.
• Dispositivo: Sono poche righe nelle quali viene espresso il comando del giudice dopo lo
svolgimento della motivazione. Segue l’acronimo (Pmq = per questi motivi), con il quale si
chiude a parte argomentativa
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