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Counseling del ciclo di vita
Teorie e Tecniche del Counselling Familiare (Università Cattolica del Sacro Cuore)
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MATERIA: COUNSELING DEL CICLO DI VITA
DOCENTE: LUCA MILANI
ESAME: SCRITTO (ORALE SU RICHIESTA)
PREAPPELLO: 15/12 (SLIDES+COUNSELING PSICOD.)
LEZIONE 1:
LEGENDA:
- Autore
- Concetto/frase chiave
- Libro Psicodinamico
- TITOLO CAPITOLO
- Titolo paragrafo
- Domanda
28/09/15
1. DEFINIZIONE DI COUNSELING
Non esiste una definizione specifica di counseling in quanto la materia risulta essere molto vasta e
continuamente riconnotabile a seconda del tipo di intervento. In generale tuttavia per counseling si intende
un intervento di aiuto psicologico finalizzato ad operare in ottica di promozione del benessere, più che cura
della malattia. Tale processo può essere rappresentato come una relazione di aiuto specifica (non generica)
offerta da un professionista (counselor) ad un cliente (singolo individuo, gruppo, azienda).
Il processo di counseling viene richiesto quando il cliente ritiene di trovarsi in una situazione di conflitto o di
difficoltà e ha come finalità:
-
Orientare
Sostenere
atteggiamenti positivi nel cliente
Sviluppare
Riequilibrare le tensioni della personalità in modo da farle coesistere (May)
Aiutare l’individuo a gestire i propri problemi e disagi utilizzando le proprie risorse personali.
Aiutare ad aiutarsi. (Rogers)
Lo strumento del cambiamento è la relazione e il mezzo attraverso cui si istaura è il colloquio.
Il lavoro svolto è bidirezionale e interattivo poiché entrambi sono coinvolti attivamente nel processo.
Su cosa agisce il counseling?
Il counseling si focalizza sui problemi di sviluppo di persone normali di tutte le età. Questi problemi sono
generalmente riferiti alla sfera personale, sociale e lavorativa e fanno sempre riferimento al superamento
di una crisi.
Quando si parla di crisi è importante distinguere tra:
▪
▪
Crisi normative: sono parte della vita biologica, sociale e emotiva di un individuo (es. passaggio
adolescenza). Sono prevedibili e si verificano sempre.
Crisi non normativa: sono il risultato di eventi importanti che avvengono nella vita di un individuo
(es. lutto, licenziamento). Non si verificano all’interno di un piano prestabilito.
1.1 Definizione di counseling in Italia
Di Fabio e Sirigatti individuano 2 definizioni della materia:
1. Il counselor è un operatore professionale della salute che promuove il benessere di un individuo e
di una comunità. Il suo compito è di valorizzare le risorse della persona e utilizzarle come punti di
forza per un miglioramento.
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2. Il counseling è una particolare forma di intervento comunicativo, finalizzato ad affrontare difficoltà
emergenti in momenti critici dell’esistenza attraverso una relazione di aiuto.
Entrambi gli autori collocano il counseling nell’area della psicologia clinica applicata, in modo tale da
distinguere il semplice consiglio dalla professione di counseling.
2. DEFINIZIONE DI COUNSELOR
Il counselor è colui che offre il suo tempo, la sua attenzione interessata e partecipativa, nonché il suo
rispetto a chi si trova in una condizione di difficoltà e di incertezza e che, attraversando un momento di
difficoltà, sente la necessità di chiarificare alcuni aspetti di sé.
Il counselor è un esperto di comunicazione e relazione in grado di facilitare un percorso di
autoconsapevolezza nel cliente, affinché trovi dentro di sé le risorse per aiutarsi. Aiutare gli altri ad aiutarsi
è infatti, una delle funzioni principali del Counselor.
Il counselor non può e non deve usare la persuasione (non è un coach) poiché non è nei suoi compiti
definire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Se fosse possibile redigere una lista delle qualità del counselor che farebbe bene a possedere, queste
sarebbero:
▪
▪
▪
▪
▪
▪
▪
Essere un individuo maturo
Avere una forte passione nel proprio lavoro
Temperamento estroverso e aperto nei confronti del cliente
Buona capacità comunicativa
Capire il cliente anche attraverso l’osservazione della comunicazione non verbale
Avere una forte componente empatico
Capire senza giudicare le posizioni del cliente poiché non è questo il cambiamento che il counselor
cerca.
Analizzando queste singole caratteristiche è chiaro come il counselor debba considerare il cliente come un
individuo in difficoltà, colto nel momento di un cambiamento inevitabile che fa fatica ad accettare e che,
per questo, ha bisogno di un sostegno amico per capire sia la natura del cambiamento sia l’entità del danno
che questa potrebbe provocare, trasformandola in un fattore di crescita personale.
In definitiva, il lavoro svolto dal counselor mira ad aiutare il cliente a non aver più bisogno del suo aiuto. E’
una relazione che porta al suo interno il germe stesso della sua fine.
3. CONCETTI CHIAVE:
▪
▪
▪
▪
▪
▪
▪
Aiuto psicologico
Si fonda sull’incontro, sulla comunicazione e la relazione
Il cliente è protagonista attivo
Il counselor mette a disposizione le proprie competenze nella relazione di aiuto, rispettando la
soggettività del cliente
Ottica fondamentale: natura preventiva e promozione della salute ≠ guarigione e psicoterapia
Di norma è un intervento definito da una cadenza temporale
Si presuppone un setting definito e concordato con il cliente
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LEZIONE 2:
1/10/15
1. CARATTERI TIPICI E ASPETTI METODOLOGICI
Nell’intervento di counseling possono essere individuate una serie di caratteristiche metodologiche che
vanno a definire l’attività stessa:
▪ Intervento specifico, in quanto l’indagine è limitata solo all’area in cui il counseling è richiesto.
▪ Personalizzato, poiché ogni intervento e costruito a misura del cliente.
▪ Focalizzato, l’attività è incentrata sul qui e ora.
▪ Limitato nel tempo, l’intervento è pensato per avere una determinata durata che viene concordata
all’inizio da entrambe le parti. Tuttavia, nel corso delle sedute alcune variabili (altre difficoltà)
possono modificare la durata del ciclo stesso. Di conseguenza le tempistiche dell’intervento non
sono e non possono essere mai definite con certezza assoluta.
▪ Intenso, essendo i tempi ristretti è necessario raggiungere rapidamente una buona relazione.
▪ Attivo, il counselor assume una posizione attiva guidando il colloquio.
▪ Integrato, il counselor deve essere in grado di mantenere una visione globale della persona.
A queste caratteristiche dell’intervento è importante aggiungerne altre, più incentrate sul counselor:
▪
▪
▪
Formazione e orientamento teorico del counselor
Tecniche impiegate dalla “scuola” di formazione del counselor
Vocazione del counselor (P. 58)
2. ERRORI COMUNI
Spesso il termine counseling viene collegato al “consiglio”. Il counselor tuttavia non da consigli ma bensì
instaura una relazione di aiuto. Altro errore comune è definire il counseling come una “consulenza”, quindi
come un rapporto monodirezionale. Non può essere tale poiché implica una richiesta bidirezionale da
qualcuno più competente a qualcuno meno competente. Bisogna quindi costruire una relazione, anzi, cocostruire.
L’etimologia più corretta proviene dal latino, “consulo”, ovvero avere cura, venire in aiuto.
3. DIFFERENZE TRA COUNSELING E PSICOTERAPIA
Molti non ritengono il counseling adatto a sostituire (o ad essere un’alternativa) al processo
psicoterapeutico. Se si analizzano tuttavia le due discipline è possibile notare come queste vadano ad agire
su aspetti diversi dell’individuo.
COUNSELING
PSICOTERAPIA
Obiettivi definiti e raggiungibili in un tempo breve
e stabilito
Obiettivi ambiziosi in cui si cerca il cambiamento
duraturo della personalità
Focus posto su specifici e puntuali in momenti di
crisi in soggetti sani.
Focus sulla cura psicopatologica
Intervento breve con un numero limitato di
incontri (es. 1 incontro a settimana)
Intervento duraturo nel tempo
Accento su “hic et nunc”, non si lavora sul passato
ma solo sul presente.
Si analizzano vissuti passati come strumento di
lavoro
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Non si analizzano aspetti inconsci ne significati
latenti.
Focus su aspetti inconsci e significati latenti
(psicodinamica in particolare)
Non si modificano/alterano i meccanismi di difesa
Viene promosso un processo attraverso cui il
paziente mette in atto via via meccanismi di difesa
meno arcaici e più sofisticati
La tecnica fondamentale è la “RIFORMULAZIONE”
La tecnica (psicodinamica= fondamentale è l’
“INTERPRETAZIONE” promossa dal terapeuta.
Il presupposto (nel counseling) è che ogni persona, pur trovandosi in uno stato di necessità o di sofferenza
che la pongono in una posizione di vulnerabilità, è sempre dotata di capacità autonome e di risorse
adattive.
LEZIONE 3
6/10/15
1. STORIA DEL COUNSELING
1.1 America
I primi esempi di counseling si possono trovare a Boston (inizio ‘900), dove Parson aprì i primi studi che
offrivano attività di orientamento accademico e lavorativo a giovani indecisi. Il successo di questi studi
portò alla formazione della National Guidance Association basata dapprima sull’orientamento lavorativo e
successivamente al counseling per adolescenti in contesti educativi.
Colui che tuttavia diede il decisivo sviluppo alla materia fu Carl Rogers, il quale, definì il lavoro da lui svolto
con individui disadattati come “Counseling”.
1.2 Inghilterra
Tutti gli studi furono influenzati da Rogers e dal suo lavoro nei contesti scolastici e universitari. Mentre negli
U.S.A l’attività doveva essere svolta da psicologi, in Inghilterra ci si focalizzò sul setting dell’intervento e
venne data maggior tolleranza alla provenienza professionale del counselor.
Furono individuate 3 categorie di counselor:
▪
▪
▪
Operatori con formazione e impegno solo nel counseling;
Operatori con formazione principale non nel counseling ma che si impegnano a tempo pieno nella
materia.
Operatori con formazione principale nel counseling ma che esercitano la professione come
volontari
A queste 3 tipologie professionali di counselor possono essere affiancati 3 modelli di counseling:
▪
▪
▪
informal-counseling, attività di ascolto/facilitazione dell’espressione dei problemi
formal-counseling, oltre il semplice ascolto poiché si stabiliscono obiettivi da raggiungere e regole a
cui sottostare
psycoterapeutic counseling, trattamento a lungo termine rivolto a soggetti seriamente disturbati,
con caratteri più specialistici.
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1.3 Italia
La professione fu fortemente influenzata da ragioni storiche quali la concezione di famiglia, ritenuta dallo
stato come responsabile del sostegno ad ogni suo membro. Un cambiamento di tendenza si ebbe nel 1990,
con l’avvio della campagna informativa dell’AIDS sulla sua diffusione. Nel 2001 nacque l’AURAC
(Associazione universitari relazionale d’aiuto e counseling) con il fine di creare percorsi formativi
universitari per facilitare l’affermazione del counseling. Oggi è diventata una professione disciplinata dalla
legge 4-2013 (professione non regolamentata, quindi non necessita di un iscrizione ad un albo per poter
essere esercitata). E’ presente la S.I.Co (società italiana counseling) che promuove il counseling in ambito
nazionale e internazionale.
Esistono numerose scuole di pensieri sulla materia che, tuttavia, concordano sulla necessità di non
“modificare” in modo profondo la persona e di non utilizzare farmaci durante il percorso. Viene ribadito
come il percorso di counseling non sia una terapia.
Così come per gli psicologi esistono norme (42 articoli tra cui alcuni di legge) anche per il counselor è
possibile trovare un codice formato 14 articoli
2. APPROCCI TEORICI AL COUNSELING
Gli approcci al counseling sono riconducibili a orientamenti teorici di psicologia. Secondo Hough (1996), gli
approcci che hanno trovato applicazione pratica nel counseling sono 3:
1. Centrato sulla persona (umanistico)
2. Psicodinamico
3. Comportamentale
A questi approcci ne vengono poi aggiunti altri 3:
1. Di attaccamento
2. Gestaltico
3. Approcci integrati (i più recenti)
2.1 Approccio centrato sulla persona (umanistico)
E’ l’approccio che getta le basi del futuro counseling (1942). Figura di riferimento è Rogers che è il primo a
ritenere fondamentale una terapia incentrata direttamente sul cliente.
Rogers effettua molte ricerche sul campo e si rapporta ai propri clienti nel modo migliore e più adatto
possibile definendo un metodo non più standardizzato ma incentrato sul singolo individuo.
L’autore introduce nuovi concetti che saranno poi definiti come le basi del counseling:
▪
▪
▪
▪
Colloquio non direttivo, non è un interrogatorio e non è in alcun modo prevedibile. Il colloquio
viene definito come libero ma comunque diretto in minima parte dal “counselor” poiché i ruoli al
suo interno devono essere rispettati.
Ascolto attivo, in quanto non basta ascoltare ma è essenziale co-partecipare. Il counselor non è
passivo recettore ma attivo protagonista del colloquio (es. utilizzo comunicazione non verbale
come feedback al cliente).
Comprensione empatica, capire le emozioni e gli stati d’animo del cliente attraverso un lavoro di
immedesimazione (es. camminare con le scarpe di un altro).
Rispetto del cliente, è fondamentale non imporre ma mia rappresentazione a quella del cliente. Il
counselor ha il compito di aiutare, non di imporre.
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▪
Autenticità del counselor nella relazione, indipendentemente dall’approccio usato il counselor deve
dimostrare, nella propria attività, comportamenti naturali e non artificiosi. Si mira ad essere
autentici e congruenti, rispecchiando la propria indole. Quest’ultimo punto risulta essere alla base
di tutte le scuole di counseling.
Quali sono i ruoli del cliente e del counselor?
Secondo Rogers il cliente ha una conoscenza intuitiva (non sempre superficiale e spesso veritiera ma
fortemente soggettiva che impedisce di vedere i contorni del problema in modo lucido) di quello che vuole
ed è colui che meglio conosce la propria situazione. Il cliente è quindi l’unico in grado di definire il proprio
percorso di trattamento e diventa quindi l’unica parte necessaria.
Il counselor ha un ruolo marginale?
No, il counselor svolge il ruolo di facilitatore (Rogers/May P.40): il cliente (spesso intuitivamente) porta
dentro di se la soluzione alla difficoltà. Il counselor ha il compito di aiutare il paziente ad immaginarsi sano
(procedura immaginativa) e lavorare su se stesso per il recupero della propria salute e della propria
identità, in un’atmosfera di relazione aperta che sia in grado di aprire le porte del cambiamento e alla
positività nei confronti della vita.
Il counselor non è quindi un “Deus Ex-machina” (persona che risolve inaspettatamente problemi complessi)
ma è un portatore di congruenza in uno stato di incongruenza, deve portare consapevolezza nel cliente.
Tra i due “protagonisti” deve nascere un rapporto esclusivo, in cui non è importante la realtà oggettiva ma
quella soggettiva portata dal cliente. Deve quindi nascere un rapporto di fiducia all’interno del quale
sviluppare empatia e attenzione positiva.
Rogers non si limita a definire solo il ruolo del counselor/cliente ma, nella sua teoria del Counseling
centrato sulla persona, sostiene come il counselor deve proporsi, interagire e mostrare la propria unicità
attraverso:
▪
▪
▪
▪
▪
▪
Capacità assertiva
Massima disponibilità nei confronti del cliente
Assenza di pregiudizi verso il cliente e i suoi vissuti
Capacità di attribuire il successo al cliente e non a se stesso
Disponibilità di farsi coinvolgere
Lasciare la massima libertà al cliente
2.2 Approccio Cognitivo-Comportamentale
Tipo di approccio che adotta un atteggiamento pragmatico al counseling; se si desidera modificare un
comportamento disfunzionale ci si deve focalizzare su di esso e farne l’obiettivo dell’intervento.
Tale comportamento disfunzionale deriva da un processo di apprendimento che ha associato uno stimolo
proveniente dall’ambiente a tale condotta non desiderabile. Un esempio classico sono le fobie.
Le tecniche utilizzate per correggere questi comportamenti disfunzionali sono quelle classiche del
comportamentismo:
▪
▪
▪
▪
▪
Decondizionamento
Estinzione delle risposte
Problem solving
Acquisizione di strategie
Brainstorming
Queste tecniche vengono apprese con la relazione counselor-cliente
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L’approccio comportamentista riprende le basi teoriche di Rogers ma si differenzia per il tipo di colloquio
effettuato: utilizzando infatti un metodo pragmatico lo stile di conduzione sarà molto più direttivo e meno
di ascolto.
2.3 Approccio Psicodinamico
Approccio che si basa sia sulle teorie freudiane sia su successivi sviluppi psicoanalitici e che ha come
assunto di base l’asimmetria tra counselor e cliente (nella fase iniziale). E’ una forma specifica di
psicoterapia che si è sviluppata intorno alla richiesta di aiuto di coloro che sentono l’urgenza di risolvere un
pressante conflitto e si trovano in una situazione psichica molto penosa.
Il metodo psicodinamico, non essendo di base congruente con gli approcci del counseling, ha subito un
processo di adattamento a questa materia. Secondo il counseling psicodinamico è necessario porsi 3
obiettivi:
1. Aiutare il cliente ad acquistare consapevolezza dei propri problemi emotivi.
2. Sostenere l’adattamento psicologico.
3. Il counselor deve aiutare il cliente, attraverso la relazione, ad essere consapevole dei propri
problemi inconsci
In che modo questo modello si discosta dalle altre scuole di counseling?
In primo luogo viene data fondamentale importanza alle esperienze pregresse del cliente (gli altri approcci
sostengono la necessità del “Qui e ora” durante il percorso di counseling). Si parla quindi di analizzare il
passato in termini di M.O.I (Modelli Operativi Interni) e di come questi abbiano impatto anche sul presente
e sulla relazione counselor-cliente. Si cercano quindi legami tra situazioni attuali e passate del soggetto.
Collegandosi alle esperienze passate il counselor analizza anche i meccanismi di difesa e il ruolo
dell’inconscio come elementi che possono determinare il comportamento attuale del cliente.
Ellen Noonan nel suo “Counseling psicodinamico psicoanaliticamente orientato” delinea 3 aspetti
fondamentali e necessari per un buon lavoro del counselor:
1. E’ necessario fare riferimento a testi classici della psicoanalisi
2. L’importanza della storia personale del soggetto e dei suoi contenuti inconsci.
3. Utilizzo del transfert e del controtransfert come metodo di riferimento. Vengono ritenute le
tecniche più corrette perché permettono di percepire in modo più vivido e diretto il paziente.
Come si svolge l’attività di counseling nell’approccio psidonicamico?
▪
▪
▪
In primo luogo viene definita l’importanza di creare un’atmosfera terapeutica della relazione,
ovvero uno spazio in cui i clienti possono allentare il controllo sul proprio se.
E’ importante creare un’alleanza terapeutica (definendo il setting) in modo che il paziente arrivi
all’insight e al cambiamento.
Questa alleanza viene paragonata da Winnicott al rapporto madre-figlio, andando a utilizzare il
concetto di “holding” (capacità della madre di fungere da contenitore delle angosce del bambino)
anche nel processo di counseling. Si deve quindi creare un’ambiente sufficientemente buono al fine
di fornire un holding attendibile.
Il counselor durante la seduta ha un doppio compito: mantenere i confini della relazione
(distaccandosi) e al tempo stesso dimostrare il proprio coinvolgimento. E’ necessario trovare il
giusto equilibrio in modo da istaurare un corretto rapporto counselor/cliente. Mantenere i confini
permette al cliente di sentirsi più sicuro.
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▪
▪
▪
▪
Altro aspetto fondamentale è quello della resistenza, ovvero il desiderio del paziente di mantenere
lo status quo, di opporsi al tentativo del terapeuta di produrre consapevolezza e cambiamento.
Questa resistenza è l’insieme delle forze tendenti alla guarigione e quelle che si oppongono ad essa
(Freud).
E’ necessario mantenere anche la giusta prospettiva in quanto il counselor deve inquadrare la
situazione del cliente nella propria interezza. Analizzare il singolo problema risulta spesso
controproducente (gestalt).
Saper mantenere una relazione anche sul piano ludico (da non intendere come mancanza di serietà
ma bensì come un metodo/atteggiamento di sfida). Grazie al metodo ludico viene stimolata la
creatività del cliente che, mettendosi in gioco, non ha paura di esplorare e utilizzare nuove
modalità per risolvere i problemi
Diventa quindi fondamentale costruire un’alleanza nella relazione: le parti mature del counselor e
del cliente lavorano insieme per agire sulla parte immatura del cliente. Si riprende quindi il conetto
cardine del counseling, ovvero il lavoro bidirezionale e attivo da entrambe le parti.
Counseling psicodinamico - La psicologia dell’io
Focus di Freud su inconscio e sistema con cui vengono conservati i contenuti rimossi.
Modello Strutturale:
L’io è considerato distinto dalle pulsioni aggressive e sessuali ed è composto da aspetti consci e
inconsci
▪ L’Es è totalmente inconscio e controllato dal super io e dagli aspetti inconsci dell’io
▪ Il Super io è prevalentemente inconscio
▪ L’angoscia è determinata dal conflitto tra le tre istanze sull’espressione della sessualità e della
aggressività
Bambino: polimorfo perverso, ovvero in lui sono presenti tutte le perversioni. Alla pubertà il bambino passa
dalla condizione di autoerotismo a quella di amore oggettuale. Il bambino, infatti, è orientato in senso
narcisistico sul proprio corpo.
▪
Narcisismo primario: stadio evolutivo precoce durante il quale il bambino investe tutta la sua libido su se
stesso.
Narcisismo secondario: ripiegamento sull’io della libido, sottratta ai suoi investimenti oggettuali.
La teoria delle relazioni oggettuali: lo sviluppo emozionale è caratterizzato dalle relazioni oggettuali più che
dallo sviluppo pulsionale.
Klein:
▪
▪
▪
Posizione schizoparanoidea, fase di sviluppo con meccanismi di scissione dell’oggetto e carattere
persecutorio.
Posizione depressiva, attenuazione della scissione
Posizione riparatoria: ripristino dell’integrità dell’oggetto – madre che avviene attraverso difese
maniacali o una realizzazione onnipotente.
Fairbairn: la libido ricerca l’oggetto non il piacere. Assunti principali della sua teoria:
▪
▪
▪
Progressiva evoluzione da uno stato di relativa mancanza di differenziazione tra sé e oggetti verso
una condizione di crescente differenziazione;
Caratteristica di tale evoluzione sarebbe il senso crescente della propria separatezza;
Progressiva acquisizione di capacità relazionali sempre più valide basate sul senso di separatezza;
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▪
▪
Il tempo di tale evoluzione sarebbe quello della vita precoce, il luogo quello della relazione madre
– bambino;
La psicopatologia si configurerebbe come conseguenza di alterazioni del rapporto tra madre e
bambino e quindi di difficoltà nello svolgersi dello sviluppo preedipico piuttosto che edipico.
La psicologia del sé
Kohut: il sé è un’entità psicologica sovraordinata a quella dell’apparato mentale e delle sue istanze,
contiene i valori e gli ideali più stabili e forti di un individuo.
Stern: alla nascita il bambino ha un senso corporeo di sé, a cui consegue un sé nucleare in grado di entrare
in relazione con l’oggetto sé che si prende cura di lui; intorno all’ottavo mese si sviluppa un sé soggettivo;
tra i 15/18 mesi si sviluppa il sé verbale; tra i 3/5 anni si crea il sé narrativo. Per uno sviluppo del sé è
indispensabile un reale contatto empatico e valorizzante da parte della madre.
LEZIONE 4
7/10/15
2.4 Modello di attaccamento
Il modello di attaccamento è un approccio molto recente al counseling. Le sue caratteristiche fondamentali
possono essere riassunte nella poca rigidità teorica e dall’assenza di una metodologia di intervento
prefissata e standard (Binetti e Bruni, 2003).
Vengono ripresi gli aspetti della teoria dell’attaccamento di Bowlby e dalla successiva teoria dei legami della
Ainsworth (vedi appunti psicologia dello sviluppo).
Dalle teorie risultano che i tipi di attaccamento che si sviluppano nel bambino (4 tipi) generano delle
aspettative (M.O.I = Modelli Operativi Interni) nei rapporti con gli altri.
Da questi assunti di base è possibile delineare le tappe del processo di counseling:
▪
▪
▪
▪
Dal punto di vista pratico, il counselor deve essere una base sicura per il cliente. Si va quindi a
sostituire, sotto certi aspetti, alla figura di attaccamento.
Deve di conseguenza assistere il cliente nel processo di esplorazione delle relazioni di tutti i giorni. Il
compito del counselor è quello di esplorare le modalità di interazione del cliente con gli altri.
Una volta creata la base sicura si inizia a lavorare sulla relazione counselor/cliente in modo tale da
scoprire e operare direttamente sui M.O.I. Questo è possibile solo se tra i due soggetti si istaura un
rapporto di fiducia.
Ultima tappa del processo è quella di aiutare il cliente a considerare quanto le sue esperienze
attuali derivino da esperienze vissute con la F.D.A (figura di attaccamento) in infanzia. Il counselor
cerca quindi di sviluppare un senso di autoconsapevolezza nel cliente.
2.5 Approccio Gestaltico
Secondo questo approccio l’individuo e l’ambiente devono essere considerati come un sistema unico,
inscindibile e in continua relazione. Tutti gli interventi di counseling non possono e non devono finire
all’interno dello studio poiché il cliente è in continuo contatto con gli ambienti di vita; al cambiare di
ognuno di essi cambia anche il soggetto. Ci si muove in una prospettiva sistematica di continua analisi del
presente (qui e ora) al fine di trovare una coesione tra percezione, emozione e movimento.
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Com’è possibile fare ciò?
Attraverso un intervento articolato in 5 aspetti:
1. Identificazione di una percezione, ovvero riuscire a comprendere una propria emozione (spesso i
bambini non riescono a definire ed etichettare le proprie emozioni)
2. Confronto ed espressione (vivere l’emozione indicata)
3. Scarica, il momento catartico in cui si supera lo stato precedente. Questa fase deve essere fatta in
seduta, il paziente deve sentirsi libero di “sfogare” le proprie emozioni in presenza del counselor.
4. Cambiamento, in cui si inizia ad essere consapevoli del “movimento” interiore.
5. Crescita, in cui si raggiunge uno stato di conoscenza (riprende la teoria di Rogers). A fine processo il
soggetto deve aver sviluppato la capacità di usare l’espressione passata per funzionare in modo
corretto nel presente.
2.6 Approcci integrativi
Sono un insieme di approcci moderni definiti integrati poiché prendono spunto da teorie di vari autori.
Secondo questo approccio l’individuo tende sempre al benessere, la responsabilità e l’autorealizzazione.
Compito del counselor diventa quello di facilitatore.
3. CONCLUSIONI SUGLI APPROCCI AL COUNSELING
Le diverse forme di counseling vanno a formare elementi diversi di un puzzle. Sono approcci diversi che
compongono una stessa materia.
Ogni posizione vorrebbe detenere una visione totale della materia ma è in realtà prospettica (un punto di
vista dal quale si inquadrano e si giudicano i fatti).
Il counseling tocca ogni scuola e non ha senso focalizzarsi solo su una.
4. SOCIETA’ MODERNA E COUNSELING
I diversi ruoli assunti possono generare conflitti e disagi interni. Per questo motivo nascono numerose
professioni di aiuto con interventi sempre più brevi e mirati.
Nella società in cui viviamo si punta sempre più all’efficienza della persona mentre la sofferenza viene
“lasciata” agli altri poiché ritenuta controproducente.
Tuttavia la sofferenza è nella natura dell’uomo, solo attraverso questo un soggetto può comprendere e
crescere. Si rischia quindi di oscillare tra:
▪
▪
Negazione, nascondere i propri problemi autoconvincendosi che non esistano
Onnipotenza: convincersi di essere in grado di gestire tutto in modo autonomo
Da questo nascono una maggior fragilità e disagio negli individui; quest’ultime sono sempre più nascoste e
di conseguenza rendono il compito del counselor più complesso. Il setting è in continuo movimento
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(gestalt) e vi è sempre più, da parte del cliente, una valutazione di costi/benefici prima di rivolgersi ad uno
specialista.
LEZIONE 5
15/10/15
1. ATTEGGIAMENTI SCORRETTI DEL COUNSELOR
Durante il processo di counseling diventano fondamentali, per la relazione counselor/cliente e per la
risoluzione del problema, i tipi di atteggiamenti/risposte adottate dal counselor.
Muchielli individua 5 atteggiamenti “scorretti” che fanno riferimento al tipo di risposta che viene data dal
counselor al cliente. Questi sono:
▪
Valutazione/Giudizio morale: si basa sul giudizio personale del counselor nei confronti del cliente.
E’ un tipo di atteggiamento paternalistico poiché si cerca di mettere in guardia il cliente sul suo
modo di agire. Il tipo di valutazione data può essere sia negativa (biasimo) che positiva (lode).
Conseguenze:
- Il fenomeno principale è l’inibizione della libertà del cliente. Questo tipo di risposta non promuove
la libertà ma, in modo indiretto, la limita.
- L’essere giudicati non viene visto in modo positivo e questo può minare la relazione
counselor/cliente
- Si genera un senso di inferiorità del cliente e si assiste ad un processo di regressione nella seduta
(rapporto padre/figlio).
▪
Interpretazione: si verifica quando il counselor cerca di dare una lettura personale collegando
elementi non considerati dal cliente. Si cerca di portare il cliente ad una lettura che viene ritenuta
corretta (giudizio personale).
Conseguenze:
- Attribuisce al cliente un chiave interpretativa che è in realtà del counselor
- Non concede molta libertà al cliente e questo causa una perdita di fiducia nel rapporto
- Il cliente, a lungo andare, può sentirsi incompreso.
▪
Supporto/Consolazione: si cerca di dare supporto emotivo al cliente ma si cade spesso
nell’approssimazione del problema. E’ un tipo di atteggiamento in cui si banalizza il problema (es. il
tempo cura tutte le ferite).
Conseguenze:
- Normalizzando una situazione problematica si valuta anche il cliente in modo approssimativo
- Può generare un atteggiamento di dipendenza del cliente
- Può generare reazioni di contro dipendenza e di rifiuto da parte del cliente.
- Atteggiamenti passivi nei confronti del counselor a cui viene delegata tutte l’iniziativa
dell’intervento.
▪
Investigazione: è molto diffusa nei giovani counselor e riflette l’atteggiamento di voler raccogliere
un numero elevato di informazioni sul cliente in modo da avere una maggior possibilità di indagine.
Avere più informazioni ci fa capire meglio la situazione?
Spesso si sposta l’attenzione sui fatti e non sullo stato d’animo.
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L’investigazione è corretta ma non immediatamente attuabile poiché si rischia di aprire troppi
canali emotivi che, se non adeguatamente gestiti, possono portare il cliente a ritenere la seduta
inconcludente.
Con l’investigazione si abbandona inoltre l’atteggiamento non direttivo della seduta.
Conseguenze:
- Genera spesso nel cliente risposte di difesa o, in alternativa, genera risposte che risentono della
“desiderabilità sociale” (dare la miglior visione di se)
- Risulta quindi deviata la ricostruzione di eventi passati.
▪
Soluzione: è un tipo di risposta in cui si tende a dare una propria soluzione al problema del cliente.
Prevale l’idea mentale del counselor e non quella del cliente. Può non essere efficace poiché non si
conosce il cliente.
Conseguenze:
- Il cliente può avere la sensazione di non essere ascoltato dal counselor.
- Può generarsi svalutazione (con conseguente bassa autostima) poiché il cliente può ritenersi
incapace di trovare una soluzione personale al problema.
- Tende ad inibire l’autonomia del cliente e si rischia che quest’ultimo scelga la soluzione del
counselor in ogni circostanza. Può generare una forma di dipendenza nella presa di decisione.
2. IL COUNSELOR EFFICACE
E’ necessario, per il processo di counseling, avere un buon livello di relazione con il cliente.
Diventa quindi necessario creare un contesto (setting) interpersonale in cui il cliente possa esprimersi
liberamente e con la massima trasparenza.
partendo da questo presupposto Rogers individua 3 condizioni generali che permettono lo sviluppo di una
buon relazione Counselor-Cliente. Queste 3 condizioni devono essere vissute attivamente da entrambi i
protagonisti e non si devono mai trovare in dissonanza.
▪
Autenticità e congruenza: il counselor deve sintonizzare la propria comunicazione con i vissuti
interiori suscitati dal cliente.
E’ importante, per il counselor, essere vero in quanto persona e avere un notevole livello di
congruenza con propri livelli del funzionamento psicologico. Deve esserci coerenza tra ciò che si
sente e ciò che si fa. Bisogna evitare l’espressione di sentimenti negativi.
▪
Considerazione positiva e incondizionata, ovvero accettare incondizionatamente il cliente
indipendentemente dalle sue idee e ideologie. Bisogna considerare una persona nella sua
interezza storica e accettarla nella sua interezza biografica, senza opporre condizioni. Compito del
counselor è quello di cercare nel passato i motivi per cui il cliente si comporta così nel presente.
▪
Comprensione empatica, ovvero comprensione profonda del cliente, avere la vividezza e
raffigurarsi emotivamente e cognitivamente il racconto del cliente senza però entrare a farne
parte. Rogers definisce il processo empatico come “capacità di sentire il mondo più intimo dei
valori personali del suo cliente come fosse proprio, senza perdere mai la qualità del come se”.
Nella pratica non è sufficiente che il counselor sia dotato delle sole caratteristiche viste in precedenza
(empatia, considerazione positiva e congruenza). E’ necessario che queste 3 condizioni vengano messe in
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atto attraverso strategie pratiche, al fine di renderle operative nella relazione di aiuto. In altri termini il
counselor deve mostrare, in modo tangibile, al cliente la sua vicinanza e la sua comprensione empatica.
Come può riuscirci?
Attraverso il passaggio da “Modi di fare” a “Modi di essere”.
Di Fabio individua due grandi categorie di abilità che permettono al counselor il passaggio ai “modi di
essere”:
▪
Microabilità: avere attenzione nel counseling significa saper approcciare il cliente comprendendo
vari aspetti della sua persona. L’osservazione di ogni suo gesto diventa importante. L’osservazione
favorisce spesso un buon legame.
Durante la seduta le microabilità individuabili sono:
▪ Aspetti comunicativi e interattivi che servono a instaurare e mantenere l’interazione; il
canale uditivo e visivo.
▪ Prestare attenzione
▪ Mantenere un contatto visivo adeguato per trasmettere al cliente sicurezza e fiducia.
Se si esagera si possono trasmettere sentimenti opposti come l’aggressività.
▪ Controllo della postura, saper posizionarsi all’interno del setting è fondamentale.
▪
Abilità di base: fano riferimento alla capacità di fornire risposte empatiche al cliente. Possono
essere riassunte in:
▪ Praticare un ascolto attivo mediante l’uso di atti verbali e non verbali.
▪ Utilizzo della riformulazione del problema portato dal cliente.
▪ Essere consapevoli del proprio linguaggio corporeo.
▪ Capacità di autosservazione e automonitoraggio.
▪ Capacità di conduzione del colloquio, essere assertivi e quindi prendersi la
responsabilità di chiudere la seduta in modo positivo.
A queste abilità Hough individua altre caratteristiche non-tecniche che possono migliorare l’intera seduta.
Queste sono:
▪
▪
▪
▪
▪
▪
Obiettività e assenza di pregiudizi evitando i bias e le scorciatoie mentali.
Capacità di rilassarsi resettando lo stato emotivo alla fine di ogni seduta
Interessarsi ed essere curiosi delle storie dei clienti.
Capacità di saper gestire e separare la vita individuale da quella lavorativa, evitando di portare
problemi personali nella seduta.
Rispetto delle differenze individuali, culturali, etniche e religiose del cliente.
Senso dello humor, ovvero la capacità di sapere sdrammatizzare una situazione complessa.
3. DARE CONSIGLI
Dare consigli all’interno di una seduta risulta essere spesso controproducente poiché si rischia, in maniera
più o meno diretta, di anteporre il proprio giudizio a quello del cliente. Dare consigli trova spesso risposta
all’esplicito ma non all’implicito.
E quando il cliente richiede un consiglio?
Spesso il cliente richiede un consiglio, soprattutto nelle fasi iniziali del colloquio. Le richieste possono essere
dirette, indirette o di immedesimazione (es: cosa farebbe al mio posto?).
Questo tipo di richieste può mettere in seria difficoltà il counselor, che oscilla tra la “norma” che suggerisce
di non dare consigli, e la necessità di rispondere in qualche modo alla richiesta del cliente.
Come deve agire il counselor?
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Il counselor deve essere in ascolto attivo del cliente senza però cadere nella trappola del consiglio. Di
conseguenza il miglior tipo di atteggiamento è quello empatico, in cui si cerca di immedesimarsi nella
situazione del cliente e di comprendere il suo punto di vista.
In quest’ottica il counselor non svia la domanda ma, in modo autoritario, cambia registro riportando
l’attenzione su un corretto atteggiamento di ascolto empatico.
3.1 Fornire informazioni
Le informazioni sono diverse dai consigli per alcuni aspetti:
▪
▪
▪
▪
Risultano neutre poiché non vanno ad influenzare il parere o le idee del cliente.
Offrono libertà di scelta. Il cliente può decidere di prenderle in considerazione come di rifiutarle.
Amplificano il bagaglio di conoscenze del cliente
Rettificano informazioni errate possedute dal cliente
Pro:
- Permette di approfondire un determinato argomento non trattato dal cliente.
Contro:
- E’ processo molto delicato poiché si deve essere certi della loro attendibilità. Informazioni sbagliate o non
veritiere possono minare il rapporto di fiducia e l’intera relazione della seduta.
LEZIONE 6
21/10/15
1. IL COLLOQUIO
L’atteggiamento del counselor, durante la seduta, può influenzare notevolmente il colloquio.
E’ bene quindi che adotti un tipo di stile non-conduttivo (≠ da passività). Viene infatti lasciata la massima
libertà al cliente di esprimere il proprio punto di vista senza interferenze. Importante in questo stile risulta
essere l’ascolto attivo in cui il counselor abbandona la direzione del colloquio per raccogliere e riformulare
meglio tutte le informazioni ritenute essenziali.
2. IL SETTING
Per setting si intende lo scenario spazio-temporale in cui si svolge la relazione di aiuto. Il setting può essere:
▪
▪
Esterno, si riferisce al luogo fisico dell’incontro, alla sua durata e anche alla presentazione del
counselor.
Interno, riguarda la capacità dell’operatore di instaurare la relazione di aiuto.
E’ importante che le caratteristiche e le regole che definiscono il setting siano rigorose ma non rigide
2.1 Il setting esterno: la stanza
La stanza del colloquio è funzionale al fine di entrare in un buon rapporto con il cliente. Un luogo mal
gestito può ostacolare notevolmente l’intera seduta.
La stanza deve quindi rappresentare un luogo sicuro e accogliente, un luogo in cui si sta bene e ci si sente
protetti (primo esempio di protezione è la porta). Deve essere separata dagli altri locali e la porta,
metaforicamente, rappresenta una barriera che protegge il cliente. Quest’ultima non deve essere
trasparente. Le dimensioni della stanza devono essere idonee, né troppo grande (dispersiva), né troppo
piccola (senso di chiusura). I dettagli come piante, quadri, orologio e finestre risultano importanti.
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La configurazione della stanza dovrebbe permettere l’adattamento ai diversi tipi di intervento. Esistono
alcuni errori di posizione:
▪
Asimmetrica: la postura non è utile per
il counselor
▪
Distanza accentuata dalla scrivania:
barriera
▪
Posizione troppo frontale.
▪
Angolare le sedie è corretto.
2.2 Il setting esterno: il tempo
Molto importante è il flusso temporale in cui avviene l’intero incontro. L’orario deve essere stabilito
all’inizio del primo incontro (o con un contatto precedente) in modo da creare regolarità in tutti gli incontri
con il cliente.
La durata del colloquio è solitamente 45-50’ nel counseling individuale. Questo perché:
▪
▪
Si ha tempo tra ogni seduta per riorganizzare le idee
I livelli di attenzione non superano i 45 minuti
Importante è anche specificare anche la frequenza delle sedute. Tendenzialmente se né effettua una ogni
settimana.
2.2 Setting interno: il contratto
Il contratto è una funzione necessaria del setting che definisce le caratteristiche essenziali della relazione,
gli obiettivi, i ruoli, i tempi/modi della seduta concordati con il cliente.
Il contratto deve quindi:
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▪
▪
▪
▪
▪
Essere discusso con linguaggio chiari
Definire gli obiettivi e strumenti utilizzati, indicando i compiti che verranno svolti da entrambe le
parti.
Dare indicazioni circa lo spazio e il tempo
Rispettare le regole deontologiche
Definire il costo degli incontri. Il costo non è rigidamente indicato da un tabellario ma è a
discrezione del counselor stesso. Tuttavia è bene tenere conto di due principi fondamentali quali il
principio di uguaglianza (il trattamento deve essere indifferenziato per tutte le persone) e di equità
(in base all’individuo posso valutare il costo della seduta).
Il contratto tuttavia non ha una valenza notarile ma bensì umana; entrambi i protagonisti si assumono le
responsabilità e i rischi di un percorso, da fare insieme, in cui dovranno mettere il massimo dell’impegno.
Diventa quindi importante preparare il cliente a farsi coinvolgere, preparare il contesto per facilitare la
comunicazione e preparare se stesso.
Come ci si prepara?
E’ importante rivedere gli obiettivi dell’intervento prima di ogni seduta. Fare chiarezza è fondamentale al
fine di compiere un buon intervento. Altro aspetto è la postura; è necessario infatti non essere mai troppo
invasivi e mai troppo ingessati al fine di esprimere sempre sicurezza.
2.3 Setting interno: il silenzio
E’ un’esperienza straniante che può, a prima vista, rappresentare un momento di vuoto. Tuttavia, se si
analizza più nel dettaglio, il silenzio può essere valutato come un momento di profonda riflessione e di
insight del cliente, un momento delicato in cui il cliente prova emozioni forti che non riesce a condividere o
ancora può rappresentare un forma di aggressività e sfida nei confronti del counselor.
Come può reagire il counselor?
In silenzio può generare nel counselor reazioni di:
▪
▪
Imbarazzo
Attribuzione a se stessi della causa del silenzio
In definitiva il ruolo del counselor è quello di rispettare il silenzio rimanendo in linea con le tempistiche
dell’intervento
Il setting nel counseling psicodinamico
Lo studio dovrebbe essere caldo e accogliente e abbastanza personalizzato. L’arredamento dovrebbe
essere sobrio, confortevole. Lo studio può contenere una scrivania e due poltrone poste a 45 gradi circa.
Accordo relazionale:
▪ Tempo della consultazione e delle sedute;
▪ Frequenza degli incontri
▪ Onorario del counselor
▪ Responsabilità di entrambi
▪ Sedute mancate
▪ Rapporti extraprofessionali, interferenze di terze persone, regali
▪ Uso di eventuali registratori e altri elementi che possono intervenire nel processo di aiuto.
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L’illusione e la delusione nel setting relazionale
Essendo il processo una relazione, ne consegue che l’illusione appartiene a entrambi i protagonisti
dell’interazione.
Il cliente arriva con fantasie, sentimenti consci e inconsci, che riguardano se stesso, il counselor e
l’intervento. Alcune di queste fantasie possono riguardare il suo stato mentale, la capacità del counselor di
prendersi cura di lui, le ambivalenze rispetto alla crescita: il cliente si aspetta che il counselor risolva
“magicamente” i suoi problemi. La conseguenza di questo atteggiamento è che il cliente esterna i suoi
introietti e parti infantili e cerca di manipolare il counselor, di imporsi a lui e alle sue regole. Se il counselor
accetta il cliente continua a illudersi.
L’accordo dell’aiuto relazionale
Con accordo si intende il rapporto responsabile, razionale e ragionevole che il cliente instaura con il proprio
consulente e che gli consente di operare nella situazione relazionale in modo costruttivo.
Il colloquio nel counseling psicodinamico
Attraverso la creazione della relazione si gettano le basi per co-costruire una valida alternativa al disagio
vissuto e spingerlo a impiegare proficuamente l’opportunità di intraprendere percorsi rispondenti ai bisogni
esplicitati e a quelli inespressi. Per essere efficace, la relazione deve instaurarsi su un’accoglienza non
giudicante e su una disponibilità all’ascolto della persona.
Il colloquio è uno strumento a disposizione del counselor impiegato in una relazione d’aiuto, caratterizzato
da uno scambio verbale e non. Al fine di agevolare la comunicazione, il counselor fa in modo che l’utente si
senta valorizzato e non sottoposto a un giudizio valutativo.
Un counselor, nel raccogliere la storia di una persona, dovrebbe tener conto non solo dei fatti raccontati,
ma come la persona li narra e li interpreta.
I prerequisiti per poter svolgere un colloquio sono:
▪ Disponibilità attenta e rispettosa
▪ Curiosità non invadente
▪ Capacità di essere attivamente neutrale
▪ Coscienza del proprio stile comunicativo sia verbale sia non verbale.
Supervisione e identità professionale
La supervisione può essere intesa come guida e sostegno nell’acquisizione di competenze e capacità
professionali specifiche. Nella formazione degli allievi counselor la supervisione ha una valenza formativa e
relazionale molto importante, in quanto promuove la crescita dell’allievo e agevola il cambiamento nel
percorso della relazione di aiuto. Questo cambiamento è promosso dal supervisore, che, in quanto terzo
neutrale, visiona il lavoro dell’allievo e il dipanarsi della relazione professionale.
Lo strumento attraverso il quale supervisore e counselor lavorano insieme è la narrazione.
La supervisione permette di esprimere preoccupazioni ed ansie relative al percorso relazionale di aiuto
attraverso il gioco delle identificazioni e delle proiezioni. L’esplicazione dei meccanismi relazionali può
condurre il counselor a una maggiore mentalizzazione tanto in se stesso quanto nella relazione con il
cliente.
Affettività mentalizzata: capacità matura di regolazione affettiva; capacità di scoprire i significati soggettivi
dei sentimenti. Costituisce il nucleo del trattamento della relazione d’aiuto.
La supervisione può far emergere quanto la paura di non farcela del counselor lo porti a interpretare
elementi fondamentali per il cambiamento tardivamente, promuovendo l’aggressività e distruttività
dell’altro come conseguenza del non sentirsi ascoltato nell’espressione più profonda degli affetti. Permette
inoltre di osservare e prendere consapevolezza della presenza di una identificazione proiettiva
particolarmente intensa che racchiude un oggetto interno o parte dell’Io del cliente di cui il counselor sta
parlando.
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Macchie cieche: non consentono la nascita di nuove rappresentazioni, mancanza che può causare una
rottura della comunicazione.
I report nel counseling psicodinamico
Resoconto: strumento che permette di elaborare specifiche esperienze di lavoro e organizzare i vissuti a
essa connessi, rappresentando verbalmente un’esperienza emotiva.
La produzione del resoconto promuove nel counselor l’assunzione di un pensiero meta. È un indicatore
della competenza organizzativa: consente un’ampia riflessione su tutti gli aspetti dell’intervento.
Verifica: condizione necessaria perché la competenza relazionale dia origine a un prodotto che si traduce
sempre nell’attivazione di processi di sviluppo.
Il resoconto presenta una descrizione-interpretazione dell’evento fondata sui modelli interpretativi
utilizzati dal suo autore.
LEZIONE 7
27/10/15
1. LE FASI DEL COLLOQUIO
All’interno di ogni colloqui è possibile individuare 3 fasi distinte:
1. Fase iniziale, introduce il cliente alle dinamiche del colloquio.
2. Fase centrale, dedicata alla conoscenza reciproca.
3. Fase finale e chiusura, insieme di modalità usate per chiudere il colloquio.
1.1 Fase iniziale
E’ solitamente contraddistinta dalla domanda di apertura, un “rito” che dal il via alla seduta. Deve essere
molto semplice, chiara e spesso risulta utile anche per introdurre il contratto o per fare un rimando al
colloquio precedente.
In questa fase si vanno a formare le prime impressioni, sia del counselor che del cliente.
1.2 Fase centrale
Fase in cui si lascia molto spazio al cliente e al suo racconto. All’inizio il discorso sarà molto incentrato
sull’aspetto fattuale e solo in seguito verrà dato spazio alla messa a tema della problematica per la quale il
cliente ha richiesto l’intervento. Questo perché il counselor deve guadagnarsi la fiducia del cliente
attraverso gli atteggiamenti e comportamenti visti in precedenza.
In questa fase il counselor massimizza l’atteggiamento di ascolto attivo e adotta il metodo del proprio
approccio teorico. E’ possibile trovare delle differenze metodologiche a seconda dell’approccio del
counselor:
▪
▪
Un counselor di matrice non direttiva adotterà un intervento nel quale faciliterà l’espressione da
parte del cliente, con l’obiettivo di sostenerlo nel processo di comprensione e consapevolezza delle
proprie difficoltà;
Un counselor di matrice orientata all’azione diverrà più propositivo e affiancherà all’ascolto attivo
delle tecniche di problem solving tendenti a identificare insieme al cliente delle strategie di
risoluzione del problema.
In questa fase, di norma, il counselor dovrebbe evitare di parlare troppo, esprimere giudizi o fare domande.
Questa fase è totalmente incentrata sulla storia del cliente.
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1.3 Fase finale e chiusura
La fase finale è quella di accompagnamento alla chiusura dell’incontro. Prevede una buona gestione del
tempo e per fare ciò è necessario “addestrare” il cliente alle tempistiche della seduta.
La chiusura implica la fine di un processo ma non dell’argomento che, se concordato, potrà essere ripreso
nella seduta successiva.
In questa fase può essere utilizzata la tecnica della cristallizzazione, una forma di chiusura in cui si orienta il
soggetto sui contenuti più significativi dell’incontro.
LEZIONE 8
28/10/15
1. LA RIFORMULAZIONE
Si tratta delle traduzione operativa del semplice ascolto attivo. E’ una delle tecniche (e degli atteggiamenti)
più utilizzate nel processo di counseling poiché ha un costo in termini di risorse e di rischi molto basso. Con
questo il counselor riformula, in modo più conciso e chiaro, ciò che il cliente ha appena detto, ricercando
l’accordo da parte del soggetto. L’obiettivo non è comunicare al cliente un dato di fatto, quanto
comunicare il tentativo di comprenderlo. E’ importante evitare il giudizio personale nella riformulazione.
Esistono 3 elementi che contraddistinguono questo tipo di risposta:
▪
▪
▪
E’ una risposta del counselor al cliente.
E’ una risposta molto più breve e concisa, che riprendere l’intero discorso effettuato dal cliente.
Non si tratta di una semplice affermazione ma bensì una richiesta che cerca la conferma del cliente.
Il counselor non conosce la storia del cliente e le sue problematiche. Con la riformulazione si cerca
quindi di far propria la storia del cliente, capendone problematiche e potenzialità.
TUTTAVIA:
Non è sempre necessario che la riformulazione colga il punto di vista e il senso implicato del cliente. La sua
finalità è quella di mostrare interesse nei confronti della storia portata dal cliente. Se il counselor si
approccia in modo corretto alla storia, anche se la riformulazione non è precisa, sarà il cliente stesso a
correggerla approfondendo il suo punto di vista.
Se il cliente capisce lo sforzo di comprensione del counselor, si sentirà molto valorizzato e sarà più
propenso ad ampliare la propria storia.
Correggere una riformulazione non significa valutare l’operato del counselor in modo negativo. Correggere
può rappresentare il primo sintomo di una buona relazione (fiducia) counselor/cliente.
La riformulazione è dinamica poiché richiede un continuo lavoro di comprensione:
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LEZIONE 9
29/10/15
1.1 La riformulazione per Rogers
Questa tecnica fu proposta per la prima volta da Rogers che, nel suo approccio umanistico, riteneva
fondamentale partecipare all’esperienza immediata del cliente.
La riformulazione ha l’effetto positivo di massimizzare ed accrescere le competenze di organizzazione
psicologica degli eventi (avvenimenti, categorizzazioni degli avvenimenti, stati emotivi collegati). Il
counselor deve attingere soprattutto dai “fatti oggettivi” del racconto del cliente, senza introdurre
troppi elemento esterni e/o propri (interpretazione).
Secondo Rogers è possibile individuare 3 tipologie di riformulazione:
1. Riformulazione semplice in cui si rimane sul contenuto manifesto (molto spesso fattuale e non
emotivo). Tendenzialmente si paragrafa o si riassume il contenuto del discorso del cliente e si
effettua nei momenti di pausa. E’ possibile individuarne 3 sotto-tipologie:
▪
▪
▪
Eco/Reiterazione semplice, consiste nel riprendere l’ultima parola del discorso, utilizzando
un tono leggermente interrogativo. Utile nei discorsi descrittivi.
Reiterazione parziale, ripetere alcune parole del cliente in modo da incentivarlo ad
approfondire un argomento.
Parafrasi, sintetizzare il contenuto del messaggio del cliente mantenendone il senso.
2. Riformulazione del sentimento, è la più utilizzata e ha l’obiettivo di mettere in luce i sentimenti
espressi nel discorso del cliente. In altri termini cerca di tradurre in parole i sentimenti (presenti)
del cliente. Questo intervento deve essere spontaneo, senza pressioni da parte del counselor.
L’intervento può riguardare non solo i sentimenti ma anche lo stato d’animo, le aspettative e le
intenzioni.
Per Carkhuff la riformulazione del sentimenti ha anche un significato comunicativo. Comunica al
cliente la capacità del counselor di comprendere la sua esperienza.
3. Riformulazione del significato (chiarificazione), è il processo più complesso e lungo poiché cerca di
rielaborare sia il contenuto che il sentimento (Carkhuff). In questa rielaborazione il counselor coglie
alcuni elementi logicamente presenti e li mette in relazione tra loro, cercando di ricostruire il punto
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di vista del cliente per comprenderne meglio il messaggio. E’ il processo che più si avvicina
all’interpretazione ed è per questo il meno usato nel counseling umanistico.
Egan individua alcuni aspetti, utili per la rielaborazione del significato:
▪
▪
▪
▪
▪
▪
E’ necessario, per il counselor, individuare sia il sentimento che il suo grado di intensità.
E’ necessario fare una distinzione tra stati d’animo espressi e narrati. I clienti possono
esprimere emozioni e stati d’animo che stanno vivendo nel colloquio come se fossero
riferiti al passato, e viceversa
Fondamentale è l’osservazione della comunicazione non verbale, considerata la più diretta
per l’espressione delle emozioni. Spesso infatti gli stati d’animo espressi dal verbale
vengono attenuati e possono risultare distorti.
Verbalizzare (portare alla luce qualcosa) le emozioni del cliente mantenendo un buon grado
di sensibilità. Un’elaborazione imprecisa di un’emozione può generare insicurezza nel
cliente. Se ci si rende conto che il cliente è spaventato si ritorna alla fase più “verbale” del
discorso.
Riuscire a distinguere e a verbalizzare al meglio le emozioni espresse dal cliente.
Adottare un approccio equilibrato circa le dimensioni affettive del cliente. Bisogna trovare
un equilibrio, evitando di enfatizzare eccessivamente poco/troppo gli stati d’animo del
cliente. E’ necessario trovare equilibrio tra dimensione razionale e emozionale.
2. LA PERSONALIZZAZIONE
Riuscire a formulare delle efficaci risposte personalizzate è la chiave del processo di aiuto, perché facilita la
comprensione. Per fare questo tuttavia è necessario coinvolgere attivamente il cliente.
Da cosa è determinato il coinvolgimento del cliente nella relazione?
1. Secondo Rogers è compito del counselor stimolare il coinvolgimento del cliente mediante l’uso
dell’attenzione; questa rappresenta un’abilità di pre-aiuto che si ha attraverso:
▪ L’osservazione, ovvero l’aspetto fisico e comportamentale dell’utente.
▪ L’ascolto, ovvero comprendere il tono e lo spirito delle espressioni verbali dell’utente
2. Il rispondere (del counselor) è una fase che porta all’insight. Per il fattore rispondere si fa
riferimento ad abilità come l’empatia, il rispetto e il calore umano.
Tutto ciò facilita l’autoesplorazione e lo sviluppo di una buona consapevolezza nel cliente.
3. Personalizzare o interiorizzare aiuta il cliente nel processo di auto comprensione. Permette
all’utente di vedere dove desiderano o dovrebbero essere. Il personalizzare permette al cliente di
comprendere e quindi di trasformare i problemi in obiettivi.
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In quest’ottica si differenziano i fenomeni di l’esplorazione e comprensione da parte del cliente. Questi 2
aspetti sono mediati dalla personalizzazione del counselor.
LEZIONE 10
03/11/15
1. LE DOMANDE
Oltre alla riformulazione è possibile utilizzare, nel processo di counseling, la formulazione di domande. Si
tratta di una tecnica molto più direttiva, utilizzata per indirizzare i colloqui verso un determinato
argomento. Non hanno una semplice funzione informativa ma mirano ad approfondire ulteriormente
l’espressione del punto di vista del soggetto circa l’argomento trattato.
Se la domanda viene posta correttamente è possibile trasmettere il proprio interesse al cliente,
aumentando così il livello della relazione. Tuttavia le domande sono un intervento poco usato nel
counseling.
Come si formulano domande corrette?
Fare domande implica un rischio in termini pratici. Il counselor deve sapere in anticipo dove la domanda lo
porterà all’interno del colloquio. Senza le giuste premesse si rischia di perdere di vista l’obbiettivo
dell’intero percorso.
Esistono quindi delle indicazioni pratiche quali:
▪
▪
▪
▪
▪
▪
Formulare domande con voce chiara e lenta.
Usare un linguaggio semplice, simile a quello del cliente, per evitare contrasto e distacco.
Devono essere neutre e mai giudicanti. Porre domande con giudizi comporta l’attivazione dei
meccanismi difensivi del cliente.
Evitare l’abuso delle domande
Porre domande ricollegate al discorso del cliente in modo da ridurre al minimo le interruzioni del
flusso di informazioni o di reindirizzare il discorso verso un altro tema.
Porre le domande nei momenti opportuni, evitando di interrompere il flusso del pensiero del
cliente
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▪
Le migliori domande sono quello che stimolano di più le riflessioni del cliente.
Le domande dovrebbero essere evitate nella fase iniziale (potrebbe non esserci ancora una buona
confidenza) e nella fase finale (si rischierebbe di aprire nuovi cassetti che non potrebbero poi essere
affrontati). In definitiva risulta essere più corretto fare domande nella fase centrale.
E’ possibile distinguere le domande in differenti tipologie:
▪
▪
▪
▪
▪
▪
Aperte
Semi-aperte
Chiuse
Interlocutorie
Indirette (o implicite)
Proiettive
1.2 Domande aperte
Sono le domande che danno il maggior numero di informazioni. Facilitano l’apertura di un discorso poiché
lasciano il massimo grado di libertà al cliente non influenzandolo o ponendogli tempistiche di risposta.
Non è possibile rispondere con un “Si” o un “No”.
1.3 Domande semi-aperte
Sono una particolare forma di domanda aperta poiché lasciano spazio di risposta al cliente ma si focalizzano
su un evento o argomento specifico. Anche in questo caso non è possibile rispondere con un “Si” o un “No”
e la risposta risulta essere totalmente libera ma specifica.
LEZIONE 11
04/11/15
1.4 Domande chiuse
Sono quel tipo di domande che implicano una risposta “Si” o “No”. Offrono scarse opportunità di sviluppare
un discorso poiché danno poche opportunità di scelta. Tendenzialmente vengono usate per ottenere
informazioni precise, evitando le domande aperte che spesso risultano essere dispersive.
Le domande chiuse hanno anche la funzione di ridurre la verbalizzazione del cliente che risulta essere
spesso problematica per l’intera seduta.
TUTTAVIA:
E’ possibile trasformare le domande chiuse in aperte se si decide di rimanere sullo stesso tema senza inibire
la risposta del cliente.
CHIUSA
APERTA
Le domande Aperte/Chiuse rappresentano due estremi di uno stesso continuo.
Chiusa
Aperta
Minima informazione ma
massima precisione
Massima informazione ma
minima precisione
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1.5 Domande interlocutorie
Rappresentano una via di mezzo tra le domande aperte e chiuse. Sono composte da due parti distinte, una
prima chiusa (vorrei parlarti di…) e una seconda aperta (quello che è successo…).
Hanno il vantaggio di lasciare molta libertà al cliente, che può decidere di rispondere (positivamente) alla
parte aperta della domanda o (negativamente) a quella chiusa.
Es: “Vorrebbe parlarmi di…”
1.6 Domande indirette implicite
Sono domande indirette, definibile come “domande non domande”. Nella struttura sono simile alle
domande interlocutorie poiché lasciano la libertà di risposta al cliente.
Tendenzialmente il counselor usa queste domande per sondare e testare il cliente, evitando quindi le
domande chiuse. Una domanda indiretta che genera disagio nel cliente può essere facilmente recuperata
dal counselor.
Questa tipologia di domanda è utile poiché si rivolge indirettamente ai sentimenti e agli stati d’animo del
cliente dando un eventuale sostegno empatico.
Es: “Deve sentirsi…”.
1.7 Domande proiettive
Sono domande utili a sondare e analizzare scenari ipotetici proposti dal counselor al cliente (usate molto
spesso con gli adolescenti). Si tratta quindi di andare ad analizzare la risposta ad uno scenario ipotetico.
Questo tipo di domanda può avere varie funzioni:
▪
▪
▪
Testare le funzioni cognitive per capire le la persona è orientata o meno.
Sollecitare nel paziente in merito al problema che lo preoccupa.
Focalizzare l’attenzione sul futuro e su come intraprendere il cambiamento.
Es: “Se potesse esprimere un desiderio…”
2. ERRORI COMUNI NELLA FORMULAZIONE
Gli errori più comuni riguardano la struttura della domanda e gli aspetti del contenuto:
▪
▪
▪
Domande multiple: troppi quesiti posti in una sola domanda. Confondono e mettono sulla difensiva
il cliente.
Domande retoriche, una tipologia di domanda che non richiedono al soggetto una risposta. Spesso
sono inserite nel discorso come intercalare ma sono altamente sconsigliate poiché non portano
informazioni e minano la fiducia del rapporto.
Domande allusive, falsificano e stimolano determinate risposte del cliente. Sono domande induttive
che suggeriscono la risposta che ci si aspetta dal cliente.
3. DOMANDE DEL CLIENTE
Durante un colloquio risultano frequenti anche le domande poste dal cliente al counselor. Ci sono domande
che fanno riferimento al contratto e alle quali il counselor è tenuto, in ogni caso, a rispondere sempre e in
modo esaustivo.
Ci sono poi alcune domande non relative al contratto ma al counselor stesso (es: “Lei ha figli?”). Anche se
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poste in modo retorico, queste domande rompono lo schema abituale del counseling e segnalano
l’esistenza di particolari e importanti stati d’animo.
Come deve reagire il counselor?
In questi casi non esiste una singola strategia da seguire per ciascuna situazione. La strategia più utile è
sempre quella di comprendere le ragioni e il significato esplicito ed implicito di tali domande. Il counselor in
particolare dovrebbe chiedersi se le domande del cliente abbiano un significato connesso con la relazione
di aiuto. Una volta accertato questa connessione, si apre un secondo dilemma: rendere esplicito o meno
questo aspetto con il cliente?
In termini generali, le domande del cliente che riguardano la relazione di counseling spesso si concentrano
in tre aree:
▪
▪
▪
Fiducia nel counselor
Richieste di feedback sul processo
Domande difensive
LEZIONE 12
10/11/15
1. COUNSELIGN CON BAMBINI E ADOLESCENTI
Perché fare counseling con bambini e adolescenti?
Fare counseling con bambini e adolescenti implica un notevole cambiamento sia nelle dinamiche relazionali
che nell’intero setting di svolgimento dell’intervento.
Alla base di numerosi interventi ci sono cambiamenti sia sociali che culturali individuabili nei punti sotto
elencati:
▪
▪
▪
▪
Per quanto riguarda il sistema famiglia è possibile affermare che, da inizio secolo, c’è stato un
fortissimo cambiamento sia dal punto di vista strutturale che relazionale. La famiglia, nella società
odierna, è chiamata a rispondere sia alle crescita del bambino che alle numerose richieste sociali.
In sostanza si è passati dal concetto di “Famiglia allargata” composta dal nucleo genitoriale e dai
parenti alla “Famiglia nucleare” composta dal semplice nucleo genitoriale.
Questo fenomeno ha portato i genitori ad una sempre maggior responsabilizzazione verso il loro
ruolo ma anche, e di conseguenza, ad una richiesta di spazi socializzanti e un supporto al ruolo
genitoriale stesso.
Il cambiamento delle relazioni interne ha portato ad un rimescolamento dei ruoli genitoriali stessi.
La condizione femminile si è notevolmente evoluta in positivo. Con questo sono aumentate le
opportunità ma anche le pressioni e le responsabilità sia verso il ruolo genitoriale che lavorativo.
Spesso la troppa pressione genera un fallimento in uno dei ruoli ricoperti.
Anche l’immagine del bambino è notevolmente cambiata rispetto al passato. Oggi viene posto al
centro di situazioni e decisioni famigliare che spesso non lo possono riguardare. Il bambino diventa
così responsabile di alcuni processi di scelta che non gli competono.
1.1 Aspetti del counseling con bambini/adolescenti
Importante, nel caso in cui si voglia intraprendere un percorso di counseling con questo tipo di “categoria”,
individuare la natura e gli obiettivi verso cui si vuole indirizzare l’intero percorso. Gli obiettivi non
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dipendono esclusivamente dagli strumenti usati ma anche dalla relazione che si istaura con il cliente, la
famiglia e gli amici.
Quali sono gli obiettivi?
Esistono 4 livelli di obiettivi che vengono stabiliti dai soggetti coinvolti nel processo di counseling.
Questi obiettivi sono:
▪
▪
▪
▪
Obiettivi di base, lavorano su un aiuto concreto al bambino (simile agli obiettivi formulati con una
persona adulta). Si cerca di aiutarlo ad affrontare tematiche emozionali delicate, ad aumentare il
suo livello di congruenza e ad accettare i propri limiti e punti di forza. Obiettivo di base
fondamentale è l’aiuto alla modifica di comportamenti che producono conseguenze negative nella
vita del bambino.
Obiettivi dei genitori, importanti poiché portati dalla diretta esperienza dei genitori. I genitori
rappresentano una fonte di conoscenza per il counselor poiché sono testimoni diretti dei
comportamenti osservabili del bambino.
Obiettivi formulati dal counselor, formulati dopo un periodo di studio e osservazione del cliente.
Tengono conto sia dell’esperienza professionale del counselor sia delle conoscenze di psicologia
dell’infanzia sia della testimonianza di fonti esterne (es. genitori o amici)
Obiettivi del bambino, fondamentali poiché servono a ricalibrare gli altri livelli. Sono spesso da
intuire poiché non sempre emergono direttamente durante le sedute. Questi obiettivi
rappresentano i bisogni reali del bambino/adolescente
Come si crea la relazione con il bambino?
La relazione deve essere esclusiva ma a intermittenza. A differenza di un colloquio con gli adulti in cui è
garantita la massima esclusività (tutte le informazioni raccolte rimarranno nello studio), nel counseling con
bambini alcune informazioni potranno essere riferite dal counselor ai genitori al fine di garantire una
migliore relazioni. Nel processo di counseling non si aiuta solo il bambino ma, in modo indiretto, si agisce
migliorando anche i genitori.
LEZIONE 13
11/11/15
1.2 Comportamenti del counselor
Il counselor deve garantire, durante tutto il processo, una serie di comportamenti volti a creare una buona
relazione con il cliente. Per fare ciò diventa fondamentale essere:
▪
▪
▪
▪
Congruenti con se stessi dimostrando un certo grado di autorità al bambino
In contatto con il proprio bambino interiore in modo da favorire maggiormente l’empatia con il
cliente.
Accoglienti e positivamente accettanti.
Mantenere una certo equilibrio tra vicinanza e distacco emotivo.
1.3 Il processo di counseling
Il processo viene diviso in 3 parti distinte:
1. Assessment iniziale
2. Trattamento
3. Valutazione dei cambiamenti
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1. Nella prima fase (assessment) vengono raccolte informazioni attraverso un colloquio con i genitori.
Le informazioni ottenute vertono principalmente sui comportamenti (anche sintomatici) del
bambino, sulle risposte al problema, sulla sua storia, su tutti i suoi caratteri di personalità e
sull’ambiente in cui è inserito.
Nel colloquio non è presente il bambino poiché spesso non risulta consapevole dei suoi problemi
risultando così una fonte inattendibile.
In questa fase si instaura inoltre un’alleanza e si crea il contratto con i genitori che possono, in
modo più o meno diretto, esplicitare dubbi sul trattamento, ansie personali o problemi riguardanti
il loro ruolo genitoriale. Compito del counselor è quindi dare l’opportunità ai genitori di esprimere
questi problemi in modo da avere un quadro molto più ampio sulla situazione famigliare.
2. Nella seconda fase (trattamento) si assiste ad una situazione di seduta simile a quella con un
adulto. E’ una seduta fatta esclusivamente con il bambino. Può essere riassunta nello schema
seguente:
3. Infine si osservano e si valutano i cambiamenti attraverso un nuovo assessment che valuta gli
obiettivi raggiunti. Quest’ultima fase risulta essere la più complessa poiché il counselor deve
decidere, soggettivamente, se concludere o meno il trattamento. Ad ostacolarlo ci sono spesso
delle nuove problematiche portate in seduta dal bambino, il regresso delle nuove abilità apprese e
il legame che può essersi sviluppato durante il percorso tra i due protagonisti.
1.4 Tecniche di counseling rivolte ai bambini
Esistono tecniche specifiche che possono essere utilizzate in una seduta con un bambino. Possiamo trovare:
▪
▪
Osservazione; inizia con il primo colloquio in cui il counselor osserva la relazione genitori/bambino
e prosegue per tutte le sedute. Si possono osservare i movimenti e la postura, le emozioni
espresse, gli aspetti fisici per valutare anche la possibile trascuratezza dei genitori, i termini usati in
seduta e i vari processi di pensiero messi in atto per svolgere un’azione.
Riformulazione dei contenuti; un processo simile a quello svolto in una seduta con adulti ma molto
più accentuato. Diventa importante dire al bambino in modo chiaro e conciso i concetti più
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▪
importanti che lui ha appena espresso in modo da renderlo più consapevole delle sue azioni e
facilitarlo nell’esplorazione di nuovi eventi.
Riformulazione degli stati emotivi; processo in cui si accresce e si rende più consapevole il bambino
delle proprie emozioni e stati d’animo. Si cerca di stimolarlo ad affrontare le proprie emozioni
piuttosto che ad evitarle.
LEZIONE 14
17/11/15
1. IL GIOCO
Il gioco nel processo di conseling va oltre la semplice funzione ludico/ricreativa. Giocare assume 3 forme
differenti:
▪
▪
▪
Forma di comunicazione
Forma di esperienza emotiva poiché giocare genera emozioni differenti a seconda della situazione.
Forma di azione trasformativa poiché il bambino manipola a suo piacimento la realtà che lo
circonda. Questo tipo di azione è un plus osservabile solo con clienti “bambini” poiché non
possiedono ancora una realtà consolidata.
Il gioco diventa utile ai fini dell’esplorazione del proprio corpo, delle relazioni con i genitori e gli adulti e del
mondo circostante (processi di assimilazione e accomodamento).
Sono individuabili 3 forme differenti di gioco:
▪
▪
▪
Gioco sensomotorio, rappresenta le prime fasi dello sviluppo. Il bambino è ancora in una forte fase
esplorativa e quindi ogni sua azione è caratterizzata da instabilità e ripetitività. Ogni azione
manipolativa è inoltre rivolta alla conoscenza dell’oggetto manipolato.
Gioco simbolico, presente nel secondo anno di vita. Compare la capacità di immedesimazione dei
ruoli (far finta di essere) e quindi un pensiero di tipo rappresentativo. Ogni azione fa riferimento a
esperienze pregresse.
Gioco con regole, presente nella seconda infanzia. Il bambino inizia a comprendere il valore della
norma e quindi ad accettarla.
Oltre alle tipologie è importante osservare, dal punto di vista del counselor, una scelta consapevole dei
giochi da portare in seduta. Una scelta appropriata permette di entrare in relazione col il bambino in modo
positivo fin da subito. Diventa quindi importante scegliere in base all’età, al genere, alle caratteristiche
personali e al tipo di problema emozionale portato in seduta.
1.1 Il pongo
Giocare con il pongo può avere diversi obiettivi:
▪
▪
▪
▪
Aiutare il bambino a raccontare e condividere la sua storia e le sue emozioni attraverso il concreto.
Dare la possibilità al bambino di proiettare sul pongo le emozioni più profonde in modo da renderlo
più consapevole. In questo modo il bambino può riconoscerle e decidere se farle proprie o meno.
Aiutare il bambino a riconoscere e trattare temi nascosti. Questi temi, a differenza dell’adulto,
risultano spesso inconsci. Diventa quindi importante verbalizzarli.
Mettere in risalto la creatività del bambino. La creatività permette al bambino di sperimentare
un’ampia gamma di emozioni.
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▪
La versatilità del pongo permette al bambino di poter trattare più temi modificando facilmente e
velocemente la forma del gioco.
1.2 Gli animali
Assume notevole significato simbolico poiché gli animali sono rappresentativi di alcune caratteristiche
umane. Solitamente il bambino si immedesima nell’animale di cui vorrebbe possedere le caratteristiche
mentre accosta i genitori ad animali con le loro caratteristiche.
Il set di animali scelti dal counselor deve avere caratteristiche specifiche come le dimensioni, la tipologia
(anche animali fantastici) e un numero notevolmente alto di particolari.
Da queste premesse è possibile individuare gli obiettivi di questo gioco:
▪
▪
▪
Esplorare le relazioni passate e presenti del bambino attraverso un accostamento delle figure
famigliari agli animali.
Ottenere una comprensione del quadro famigliare.
Esplorare le paure relative alle proprie relazioni future e correggere eventuali problemi relazionali.
Il gioco con gli animali permette quindi al bambino di proiettare le proprie caratteristiche verso un oggetto
esterno. In questo modo i meccanismi difensivi si abbassano e il counselor può analizzare meglio la
situazione.
1.3 I pupazzi
Rispetto ai giochi visti in precedenza i pupazzi richiedono al bambino di ingaggiarsi personalmente,
diventato lui stesso protagonista attivo del gioco. Il bambino crea una sequenza di eventi in cui i protagonisti
sono i pupazzi, su cui proietta le sue idee attribuendo loro caratteristiche di personalità, scegliendo i loro
comportamenti e facendoli parlare. Le storie che vengono inventate permettono al bambino di esprimere le
proprie fantasie e di esplorare le situazioni conflittuali e le sequenze di eventi create forniscono al bambino
una via per trattare in modo indiretto tematiche altrimenti per loro difficili; I pupazzi proteggono il bambino
dalle angosce interne che deriverebbero da un racconto diretto;
Gli obiettivi sono:
▪
▪
▪
▪
▪
Facilitare e aiutare il bambino ad avere padronanza degli eventi vissuti.
Sviluppare capacità di problem solving
Sviluppare competenze sociali.
Incrementare le competenze comunicative
Sviluppare le capacità di insight.
1.4 Drammatizzazione simbolica
La drammatizzazione è un’abilità che si sviluppa nel bambino dai 3-4 anni. E’ la capacità di “far finta di”,
ovvero l’imitazione. La drammatizzazione si basa sull'immaginazione del bambino: essa è gioco imitativo,
simulazione di ruolo, abitudini, aspetto di qualcuno, è gioco di mimo arricchito di gesti e parole.
Nel counseling solitamente si assiste a 3 forme di drammatizzazione:
▪
▪
▪
Gioco parallelo, in cui il counselor imita le azioni del bambino
Gioco collaborativo, in cui il counselor gioca con il bambino e può influenzare attivamente l’attività.
Tutoring, in cui è il counselor a prendere l’iniziativa, suggerendo il tema del gioco.
Gli obiettivi sono:
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▪
▪
▪
▪
▪
▪
▪
Esternalizzare e articolare idee, desideri, paure e fantasie (verbalmente e non);
Esprimere pensieri e processi di pensiero inconsci;
Diminuire il dolore emotivo;
Sentire la propria efficacia attraverso l’espressione fisica delle emozioni;
Appropriarsi degli eventi del passato;
Sviluppare la capacità di insight sugli eventi attuali e passati;
Incrementare le capacità comunicative.
Qual è la differenza tra gioco con pupazzi e drammatizzazione?
Mentre nel gioco con i pupazzi il bambino inventa delle storie che fa vivere ai pupazzi, proiettando su di
loro le sue idee e le sue emozioni, nella drammatizzazione simbolica il bambino si identifica e realmente
diventa un personaggio della storia.
1.5 Giochi strutturati
Sono utili per capire la capacità del bambino di organizzare e arrivare ad un obiettivo. Permettono inoltre di
analizzare le reazioni ad eventuali imprevisti/problematiche.
Il bambino deve mettere in gioco la propria capacità di perdere, di imbrogliare, di prendere/perdere il
turno, di rispettare le regole, di fallire, di essere imparziale e di essere eliminato; in questo modo
sperimenta e mette in pratica risposte ai compiti connessi alla comunicazione, alle interazioni sociali e alle
capacità di risolvere i problemi confrontandosi inoltre con le proprie abilità.
Gli obiettivi sono:
▪
▪
▪
▪
▪
▪
Intrecciare una relazione con bambini resistenti o riluttanti;
Aiutare i bambini ad esplorare le proprie risposte alle restrizioni, alle limitazioni e alle aspettative
degli altri;
Aiutare il bambino ad individuare i propri punti di forza e di debolezza;
Aiutare il bambino ad esplorare le proprie abilità di affrontare e concentrarsi su un compito;
Utilizzare le competenze sociali (cooperazione e collaborazione);
Regolare le proprie reazioni emotive in relazione al disappunto, allo scoraggiamento, al fallimento
e al successo.
LEZIONE 15
18/11/15
1. ADOLESCENZA
E’ una fase di vita non necessariamente problematica in cui il ragazzo viene messo di fronte a nuovi
dinamismi che possono risultare conflittuali.
Infanzia
Adolescenza
▪
▪
▪
▪
▪
L’adolescenza è un periodo di cambiamenti. Il
ragazzo si trova lungo un continuum i cui estremi
sono l’infanzia e l’adolescenza. I cambiamenti
possono far avanzare o retrocedere il ragazzo lungo
questa linea.
Periodi di scelte
Nuove autonomie
Sono definiti “compiti
Nuove aspettative
evolutivi” e possono
Nuovi valori e norme rappresentare ostacoli.
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2. LE SFIDE DELL’ADOLESCENZA
Esistono diverse sfide che si presentano durante tutto l’arco dell’adolescenza in maniera ciclica.
Sistema olistico in cui una parte ha
influenza sulle altre
2.1 Sfide biologiche
Quando parliamo di sfide biologiche facciamo riferimento ai cambiamenti fisiologici, sessuali e nella sfera
affettiva. Questi cambiamenti generano spesso instabilità nel immagine corporea.
2.2 Sfide cognitive
A
B
C
F
E
D
[A] Nel periodo adolescenziale si supera il concreto per operazioni di tipo astratto. Si iniziano a formulare e
a creare soluzioni a un dato problema
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[B] Nasce un pensiero egocentrico in cui l’adolescente si pone al centro della propria storia, ritenendolo
incomprensibile dagli altri (es. nessuno può comprendermi e quindi è inutile provare a spiegarmi agli altri).
Questo tipo di pensiero genera spesso senso di vulnerabilità.
[C] Si inizia a delocalizzare il proprio pensiero confrontandosi con gli altri, solitamente i pari. Iniziano gli
investimenti affettivi sulle altre persone.
[D] Sviluppo e perfezionamento del cervello che implica una maggiore memoria e quindi maggior velocità di
pensiero e sviluppo di un pensiero critico.
[E] Il pensiero critico viene rivolto sia a se stessi che al mondo esterno. Vi è una forte messa in discussione
di tutto, anche della propria persona. Questo pensiero può essere utilizzato come tecnica nel counseling
poiché aiuta l’adolescente a valutare meglio una situazione, consolidarla e se necessario correggerla e
migliorarla.
[F] E’ un pensiero di tipo divergente in cui vi è un primo utilizzo delle metafore e un progressivo
distaccamento dal dato concreto.
2.3 Sfide psicologiche
A
B
F
C
E
[A] Vi è un passaggio di identità poiché si abbandona quella del bambino e si abbraccia quella adulta.
Bisogna farla crescere con le giuste responsabilità. Maggiore sarà la forza dell’Io (resilienza) maggiore sarà
la crescita e l’adattamento alle sfide della vita.
[B] Quando si parla di identità personale si deve fare riferimento a 5 funzioni di base che si sviluppano in
questo periodo:
▪
▪
▪
▪
▪
Comprensioni di chi si è; un adolescente tende a distinguersi dagli altri poiché si ritiene unico.
Controllo e arbitrarietà, in quanto vi è la presa di decisione in modo autonomo.
Senso e orientamento
Costanza e armonia dei propri valori.
Apertura a possibilità future in quanto diventa importante prendere in considerazione le diverse
possibilità e scelte.
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[C] Individuazione, è un processo naturale che provoca un rallentamento dei rapporti con i genitori.
L’adolescente sperimenta per la prima volta una certo grado di autonomia dalla sfera famigliare. Si
allontana da relazioni “comode” per passare a relazioni più instabili e “scomode”.
[D] I livelli emotivi tendono ad alzarsi notevolmente.
[E] Individuare e fare proprie le condizioni dimensionali e sociali della propria etnica di origine.
2.4 Sfide morali e spirituali
Lo sviluppo morale fa riferimento alle 3 fasi individuate da Kolhberg:
▪
▪
▪
Pre-Convenzionale, in cui le norme vengono dettate dagli altri.
Convenzionale, norma data dalla societàPost-Convenzionale, in cui si individuano valori morali e etici più importanti di quelli identificati
dalla società.
Nell’adolescente vi è una forte oscillazione tra fase pre e post-convenzionale.
Per quanto riguarda lo sviluppo spirituale inizia un vero e proprio confronto tra la fede e la ragione. Nasce
una sorta di ambivalenza critica in cui vi è una forte tensione dettata dalla ricerca di senso al di là dei
fenomeni.
2.5 Sfide sociali
LEZIONE 16
25/11/15
3. I PERICOLI DELL’ADOLESCENZA
In adolescenza ogni sfida può generare degli ostacoli e in alcune circostanze anche dei veri e propri pericoli.
In generale possiamo suddividere i pericoli in 5 categorie:
▪
▪
▪
▪
▪
Ambiente familiare e sociale: spesso i genitori risultano fragili e incapaci di mantenere delle buone
relazioni con i figli. Questo può generare eventi traumatogeni e relazioni distorte che portano
spesso a disturbi o abusi nei confronti dell’adolescente stesso. Un esempio può essere il disturbo da
stress post-traumatico in cui il ragazzo viene esposto in prima persona o come spettatore ad un
evento spiacevole e fortemente destabilizzante.
Controllo del peso: si possono verificare disturbi alimentari (anoressia/bulimia)
Comportamenti sessuali
Comportamenti rischiosi di tipo anti-sociale come il bullismo.
Dipendenze: sono fenomeni rischiosi poiché si possono sviluppare in ogni contesto e situazione di
vita (es. relazioni, droghe, alcool, videogiochi…). La dipendenza è strettamente legata alla
costruzione della propria realtà e a forti impatti su comportamenti e stili di vita adottati
dall’adolescente.
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Cosa risulta essere protettivo in questo caso?
▪ Le informazioni sulle dipendenze.
Non sempre funzionano
▪ Osservare in prima persona gli effetti sugli altri
▪ Le regole famigliari, ovvero il continuo sostegno dei genitori nei confronti del figlio. Il genitore,
metaforicamente, assume il ruolo di “guardiano” poiché si prende cura del figlio interessandosi a
lui e aiutandolo in caso di necessità. Tuttavia, nel caso in cui non ci sia interesse il figlio potrà
ritenere di non avere un peso e quindi di non essere “considerato” e “considerabile”
1. PROCESSO DI COUNSELING CON L’ADOLESCENTE
Il counseling con gli adolescenti differisce da quello con i bambini per le problematiche portate da cliente;
l’adolescente si trova in un periodo di grande cambiamento connotato da nuove scelte, aspettative e sfide.
I cambiamenti riguardano la sfera biologica e sociale, i valori e le norme. In questo periodo si ha un forte
desiderio di indipendenza dalla famiglia e un iperinvestimento nelle relazioni con i pari. È proprio negli anni
dell’adolescenza che avviene il processo di individuazione, di formazione dell’identità e del pensiero critico.
Si inizia quindi il passaggio transitorio tra bambino e adulto e questo si riflette direttamente anche sulla
seduta. Gli adolescenti iniziano ad avvicinarsi alla sfera adulta dal punto di vista di “presa di decisioni” (es.
decisioni di quando affrontare le sedute).
Tuttavia, trattandosi di un periodo transitorio, non è accostabile ad una seduta fatta con un adulto.
Cambiano infatti gli strumenti, la comunicazione (molto più metaforica) e gli obiettivi.
Come si procede nel conseling con gli adolescenti?
Diventa fondamentale seguire alcuni passaggi:
▪
Costruzione delle relazione: è un processo molto complesso poiché l’adolescente assume spesso
atteggiamenti e comportamenti sfidanti nei confronti del counselor. E’ necessario approcciarsi e
avvicinarsi in modo “cauto” poiché l’adolescente sarà sospettoso nei confronti del counselor.
All’avvicinamento segue una fase di sviluppo della relazione in cui l’adolescente continua a
ritrattare e rivalutare il ruolo e la figura del counselor. Si istaura un tipo di relazione ambivalente.
Per finire è fondamentale definire un contratto con il ragazzo, in modo da trasmettere sicurezza e
serietà. Le informazioni che emergeranno dalle sedute rimarranno confidenziali a meno che non
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▪
▪
risultino dannose per l’adolescente stesso. I genitori sono parte interessata poiché fanno le veci del
ragazzo.
Valutazione del problema: spesso gli adolescenti ritengono di essere poco considerati e creduti.
Diventa fondamentale sapere ascoltare e validare la storia in modo da attribuirle una certa
importanza, individuandone le tematiche e valutare lo stato emotivo dell’adolescente.
Affrontare il problema: dopo aver valutato il problema si inizia un lavoro collaborativo in cui si
valutano insieme le possibili soluzioni. Si pianificano degli esperimenti attraverso la creazione di
role-playing.
LEZIONE 17
26/11/15
1. PUNTI NODALI NELLA SEDUTA CON L’ADOLESCENTE
Nel lavoro con gli adolescenti è possibile individuare 5 punti nodali:
▪
▪
▪
▪
▪
Sensibilità ai bisogni dell’adolescente: il counselor deve conoscere le tappe e le sfide evolutive
dell’adolescente per poter lavorare e instaurare un rapporto positivo. Deve quindi:
▪ Essere consapevole del fatto che l’adolescente si trova nella fase di esercizio del potere in cui
metterà in discussione anche il ruolo del counselor stesso.
▪ Lasciare il massimo grado di libertà di scelta all’adolescente senza perdere il setting
dell’intervento.
▪ Essere assertivo, ovvero mantenere le proprie posizioni senza ledere quelle altrui.
Avere fiducia nell’adolescente che si sente spesso sfiduciato (simile all’adulto). L’adolescente si
confronta con un mondo in cui ritiene di non poter portare propri valori. Di conseguenza, per
aumentare la fiducia, bisogna ottimizzare e massimizzare l’ascolto attivo, validando e riconoscendo
sempre i costrutti portati in seduta. Non bisogna sconfessare ma approfondire gli argomenti.
Adottare lo stesso stile comunicativo dell’adolescente che risulta essere diverso da quello degli adulti.
E’ uno stile molto improntato sulla narrazione poiché in questa fase di vita si sviluppa e si consolida il
pensiero narrativo. Questo comporta un racconto spesso “tangenziale” degli eventi in cui la storia
prende spesso pieghe e direzioni diverse nel momento in cui si sta per arrivare ad un evento
emotivamente rilevante.
Compito del counselor dovrebbe essere quello di rimanere sullo stesso re4gistro comunicativo del
cliente.
Essere proattivi, molto più che nel colloqui con un adulto. L’adolescente tende sempre a confrontarsi
con chi ha davanti per ottenere una continua conferma. Essere proattivi e dinamici ha effetti positivi
per la relazione.
Rispettare i processi di rilevazione personale. Gli adolescenti abitualmente sfruttano l’autoapertura tra
pari. A differenza del counseling con gli adulti, condividere esperienze personali del counselor può
essere utile. A patto che tali esperienze siano:
▪ Risolte
▪ Di Poco Conto
▪ Rilevanti Per Avvicinare Il Cliente
2. PERCORSI COMUNICATIVI
▪
Situazione 1 [Corretta]
Nel processo di counseling l’adulto
interno del counselor deve entrare in
sintonia e comunicazione con l’adulto
interno dell’adolescente. Nel processo
il counselor attribuisce valore e
conferma alle parti adulte
dell’adolescente in modo da
consolidarle.
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▪
Situazione 2 [Corretta]
Più frequentemente si assiste alla
situazione in cui l’adolescente interno
(del ragazzo) parla all’adulto interno
del counselor
▪
Situazione 3 [Scorretta]
Si sta adottando uno stile
comunicativo errato e quindi
l’adolescente regredisce. E’ la
situazione in cui l’adolescente
risponde al counselor come se stesse
rispondendo ad un genitore
3. PROCESSI TIPICI DI COMUNICAZIONE DELL’ADOLESCENTE
Da quello che è emerso fino ad ora è chiaro come l’adolescente comunichi aspetti personali in modo
diverso da un adulto o bambino. In sostanza l’adolescente tende a:
▪
▪
Usare domande dirette per ottenere informazioni.
Rivelare informazioni su di sé attendendosi reciprocità.
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▪
▪
▪
▪
▪
▪
▪
Corroborare il punto di vista dell’interlocutore.
Commentare positivamente l’interlocutore.
Affermare chiaramente quello che piace e quello che non piace.
Ricalcare ed esagerare le espressioni emozionali dell’interlocutore.
Fare digressioni.
Assumere la guida di una conversazione.
Dare e ricevere consigli.
4. MICROABILITA’ DEL COUNSELOR
▪
▪
▪
▪
▪
Osservazione che non si deve limitare agli aspetti fattuali. E’ sbagliato fermarsi ad osservare ciò che
manifesta l’adolescente poiché spesso non è coerente con la sua interiorità.
Distinguere umore e affetto poiché spesso vi è incongruenza tra ciò che si manifesta e ciò che si
pensa.
Adeguare il linguaggio, da non intendere come un cambio di registro comunicativo ma piuttosto
come la capacità di capire ciò che l’adolescente vuole comunicare
Dare feedback, attraverso la tecnica “cheerleading”, ovvero fare il “tifo” per il proprio adolescente,
manifestandolo in seduta.
Normalizzare
L’adolescente si sente sempre lontano dalla media,
spesso ai margini poiché ritiene di non essere capito.
▪
▪
Porre domande, ovvero domande proiettive che vanno ad analizzare le strategie che l’adolescente
consiglierebbe ad un altro (es. “Che cosa diresti ad un tuo amico che ha questo problema?”
Usare metafore
5. STRATEGIE E METODI DI INTERVENTO
▪
▪
▪
▪
Usare rituali come ad esempio la scrittura di una lettera.
Role playing, ovvero far immedesimare l’adolescente in una figura genitoriale di riferimento.
Usare il diario, rileggere gli eventi in maniera rivisitata.
Viaggio immaginario, in cui si racconta al cliente l’outline di uno scenario, lo si guida all’interno di
alcune scene, che sarà il cliente stesso a completare. Con questo metodo si ha un alto potenziale
espressivo in termini di:
▪ Ricordi
▪ Emozioni
▪ Fantasie
Tecnica molto potente che necessità esperienza
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▪
Figure significative
LEZIONE 18
01/12/15
1. COUNSELING DI COPPIA E FAMIGLIA
Quando si parla di counseling di coppia si fa riferimento ad un intervento con 2 adulti legati da una
relazione sentimentale. Si parla invece di counseling con famiglia quando si interviene su due o più
componenti di uno stesso nucleo famigliare.
In entrambi i casi la sfida centrale per il lavoro è il doversi relazionare contemporaneamente e in maniera
accettante con tutte le persone coinvolte nell’intervento.
In quest’ottica il counselor si trova spesso nella condizione di relazionarsi con chi ha bisogno di esercitare il
controllo e chi si sente controllato.
Il counselor deve sapere esercitare un atteggiamento (non è una tecnica) di parzialità multidirezionale,
ovvero deve essere dalla parte di più di una persona allo stesso tempo. Il focus dell’attenzione è posto
sull’incontrare i propri clienti come realmente sono all’interno del contesto relazionale prossimale (di
coppia e familiare).
1.1 Fasi evolutive della coppia – Fase pre-matrimoniale
▪
▪
▪
▪
▪
▪
▪
▪
▪
▪
Formazione della coppia – fase prematrimoniale.
Apertura e confidenza.
Comunicazione aperta e rispettosa.
Risolvere le differenze e i conflitti imparando.
Chiarire gli impliciti.
Marcare i confini: cosa è privato e cosa è pubblico.
Esprimere il distress direttamente e a parole.
Perseguire la riparazione e il perdono.
Nutrire e rispettare le relazioni individuali, creare relazioni di coppia.
Sviluppare un forte senso del «noi».
LEZIONE 19
02/12/15
1.2 Fasi evolutive della coppia e della famiglia
Prima di indicare l’evoluzione della famiglia è importante delineare gli aspetti fondamentali che si vengono
a creare con la formazione di una famiglia:
▪
▪
▪
▪
▪
▪
I primi anni di matrimonio non simboleggiano solo un aspetto contrattuale ma rappresentano un
rito che sancisce l’inizio di una nuova famiglia (vi è convivenza stabile).
Si stabilisce di conseguenza un’intimità fisica permanente in cui le attività e le decisioni vengono
prese insieme e non più singolarmente.
Vi è una scelta, sia che si parli di convivenza con matrimonio che senza matrimonio. Questa scelta
implica un passaggio da due dimensioni individuali a un'unica visione.
Impegno
Comunicazione, fondamentale per il superamento di eventuali conflitti che possono nascere negli
anni. Una buona comunicazione genera una maggior probabilità di problem solving adeguato.
Conflitto/Compromesso/Soluzione
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▪
Cura attraverso l’identità di coppia.
Ci sono tre fasi dell’evoluzione della famiglia in cui si possono identificare determinate caratteristiche che
possono riguardare i problemi portati in seduta e sono:
▪
Primi anni di matrimonio in cui vi è intimità fisica permanente, convivenza, impegno,
comunicazione e compromessi.
▪ Coppie con figli piccoli in cui iniziano a formarsi le aspettative sui ruoli genitoriali. Vi è intimità,
relazioni con le famiglie di origine e mantenimento delle relazioni amicali.
▪ Coppie con figli adolescenti: rinegoziazione del potere, dell’autonomia e dei legami; ridefinizione
degli obiettivi individuali e di coppia e preparazione per il “nido vuoto”
▪ Coppie in età avanzata, in cui si assiste a 3 sfide a livello psicologico, fisico e generative.
2. PROCESSO DI FACILITAZIONE DELLA RISOLUZIONE DEI PROBLEMI
Uno dei problemi principali che riguarda le coppie/famiglie è la scarsa e cattiva comunicazione.
Nel processo di counseling il primo obiettivo mira all’emozionalità espressa, ovvero la capacità di essere
congruenti con le proprie emozioni e con ciò che si comunica al fine di poter comunicare meglio con gli altri
membri del quadro famigliare/coppia.
Come si ottiene questa congruenza?
Il cliente deve percepire che la sua comunicazione è accolta senza pregiudizio. Se questo si verifica il cliente
stesso avvertirà la crescente possibilità di essere capito e sarà quindi più propenso a condividere alcuni
contenuti più profondi e a percepire un’accettazione positiva incondizionata (sia a livello individuale che di
coppia/famiglia).
Superata questa fase il cliente sarà in grado di accettare tutte le proprie parti (abbassando di conseguenza i
meccanismi difensivi) e di conseguenza aumenteranno le capacità di comunicazione e ascolto tra i membri
della famiglia/coppia
2.1 Nodi problematici della scarsa comunicazioni
I seguenti sono nodi problematici tra i più frequenti:
▪
▪
▪
▪
▪
▪
▪
▪
Regole della famiglia: abitudini inconsce che regolano la vita relazionale nella coppia o nella famiglia;
norme implicite su quello che è lecito e quello che non è lecito.
Compiti evolutivi: problemi connessi con la necessità di adempiere a determinati compiti di sviluppo
(sia individuale sia inter-individuale/relazionale).
Pressioni ambientali: influenza degli eventi esterni (norme culturali, situazioni sociali, avvenimenti a
scuola o al lavoro) sulla famiglia o sulla coppia.
Modelli intergenerazionali: di tratta del modo in cui i contesti di crescita nelle famiglie di origine
influenzano le dinamiche familiari e/o di coppia attuali. L’atteggiamento può essere tanto di
adesione/riproposizione quanto di rifiuto/negazione.
Questioni riguardanti i confini: modalità di regolazione della privacy, della vicinanza emotiva tra
componenti.
Alleanze: polarizzazione tra sostegno/legame vs. esclusione/lontananza tra componenti della
famiglia/coppia. In una famiglia vi possono essere configurazioni di alleanze che mutano a seconda
delle situazioni e delle sfide evolutive.
Gerarchia: problemi che riguardano “chi ha il controllo su chi” e in quali condizioni. Vi possono essere
percezioni differenti di gerarchia in base agli eventi, e in base a chi esprime il giudizio.
Perdite: in alcuni casi vi possono essere reazioni di mancato riconoscimento dell’entità di una perdita
(lutto, malattia, ma anche ruolo professionale).
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3. FEDELTA’ E INFEDELTA’
Si parte da un assunto di base condiviso: l’esclusività della relazione. Quando uno dei partner viola l’assunto
si parla di infedeltà e tradimento.
L’evento risulta essere traumatico per entrambi poiché il carico emotivo che reggeva la relazione viene
perso.
Si assiste ad una prima fase definita peritraumatica, riguardante il periodo di tempo che comprende la
situazione al momento del trauma e immediatamente dopo. In questa prima fase viene frammentata la
consolidazione della famiglia (perdita di fiducia).
3.1 Fasi della seduta
Fase 1: Ripristinare la fiducia attraverso:
▪
▪
▪
▪
Esplorazione del trauma iniziale.
NON promessa di salvare il rapporto.
Moderare il dolore e la rabbia dello «scopritore» a livelli trattabili.
Alti livelli di EE in entrambi.
Fase 2: Esame dei fattori attraverso:
▪
▪
▪
▪
Ripercorrere engagement e matrimonio.
Focus sui conflitti e le modalità di risoluzione (spesso: nessun conflitto).
Approfondire le rappresentazioni delle famiglie di origine.
Elemento chiave: self disclosure.
Fase 3: riavvicinamento attraverso:
▪
▪
▪
Necessità di superare la posizione della colpa (fase 1).
Consolidare comprensione dei fattori (fase 2).
Potenziare la self-disclosure e il problem solving.
3.2 Regole di un buon litigio
▪
▪
▪
▪
▪
▪
▪
▪
▪
Chiarire l’argomento ed esplicitarlo.
Dedicare del tempo alla discussione senza interruzioni (prendere «appuntamento»)
Limitare la discussione all’argomento
Non interrompersi
Usare frasi «io»
Non ingaggiarsi in comportamenti difensivi
Quando entrambi hanno parlato, fare brainstorming sulle possibili soluzioni
Continuare a lavorare sino al raggiungimento di una soluzione soddisfacente
Accordarsi sul disaccordo può essere una soluzione soddisfacente
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PARTE 1
CAPITOLO 2
1. IL COUNSELING COGNITIVO RELAZIONALE
Secondo questo modello le persone gestiscono la propria vita attraverso la costruzione di rappresentazioni
cognitive, ovvero delle letture narrative della realtà che vengono continuamente confrontate con quelle
degli altri. Le rappresentazioni sono quindi strategie evolute che consentono la sopravvivenza, la
risoluzione dei problemi, la gestione del proprio mondo e permettono all’individuo di raggiungere obiettivi.
Quali processi si attivano nel raggiungimento di un obiettivo?
Di fronte ad un ostacolo l’individuo costruisce una
rappresentazione della propria situazione (la
riorganizza) per poi affrontarla utilizzando la descrizione
stessa.
TUTTAVIA:
La riorganizzazione può essere ostacolata nel momento
in cui l’individuo adotta strategie pratiche
inappropriate, creando rappresentazioni della realtà
non veritiere o alterate.
CONSEGUENZE:
La necessità di ritrovare un equilibrio aumenta il carico
emotivo e, in alcuni casi, fa scattare meccanismi di
difesa disfunzionali.
Qual è il compito del counselor in questa situazione?
Il ruolo del counselor cognitivo-relazionale è quello di attivare un processo di decostruzione e ricostruzione
delle rappresentazioni cognitive ed emotive. Questo processo serve, mediante l’uso di domande guida, a
stimolare strategie alternative per risolvere il problema e raggiungere l’obiettivo.
Si cerca in altre parole di portare il cliente a considerare il problema in una nuova prospettiva aiutandolo
nel recupero di risorse e strategie di sviluppo.
In questo processo si cerca quindi di:
▪
▪
▪
Stimolare una valutazione approfondita del cliente su vantaggi e svantaggi di ogni decisione.
Rendere il cliente consapevole delle conseguenze di ogni scelta.
Lasciare il massimo grado di libertà decisionale al cliente. Il giudizio personale non è possibile.
2. PASSAGGIO DA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE AL COGNITIVO-RELAZIONALE
La storia del modello cognitivista è contrassegnata da un cambiamento dal punto di vista teorico; si passa
da un modello cognitivo-comportamentale in cui l’essere umano è un reattivo passivo dell’ambiente (ogni
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sua azione deriva dall’ambiente) ad un modello cognitivo-relazionale in cui l’essere umano è co-costruttore
attivo del proprio ambiente di vita. Ciò che differenzia i due modelli è il riconoscimento della centralità
dell’uomo rispetto all’ambiente nel quale è inserito.
In questa nuova ottica la cognizione, le relazioni sociali e il contesto stesso interagiscono tra loro. Pur
essendo individuali le rappresentazioni vengono consolidate dalle relazioni con gli altri.
Da questo assunto è possibile distinguere 2 modelli teorici:
▪
▪
Il costruttivismo che studia le rappresentazioni individuali. E’ legato al cognitivismo.
Il costruzionismo sociale che analizza l’influenza delle relazioni e del sociale sullo sviluppo delle
rappresentazioni individuali. E’ legato alla psicologia sociale.
COSTRUTTIVISMO
Studia le rappresentazioni individuali.
Legato al cognitivismo.
COSTRUZIONISMO SOCIALE
Pone in primo piano l’idea di relazioni viste come
sistemi di linguaggio e di significato.
Legato alla psicologia sociale.
In entrambi i modelli vi è una propensione verso la narrativa, vi è un particolare interesse per le storie e
come esse si costruiscono e sono costruite. Le persone descrivono la loro realtà personale e sociale e
condividono queste descrizioni, co-costruendo la realtà stessa.
Da questo è possibile delineare la teoria della narrativa che sottolinea come le storie che raccontiamo e le
letture che diamo delle situazioni vissute, giochino una parte fondamentale nelle gestione delle difficoltà e
si frappongano spesso tra noi e i nostri obiettivi. In questa teoria la sofferenza è l’espressione di
un’inadeguatezza tra le storie che le persone raccontano di se stesse e la propria attuale esperienza.
CAPITOLO 3
1. STORIE E CAMBIAMENTO
Le storie servono all’individuo per raccontare e descrivere la propria vita. Essendo tuttavia la vita un
continuo cambiamento, quando si presenta una novità si assiste ad un processo dinamico di co-evoluzione
che richiede sistemi di sopravvivenza flessibili con il cambiamento. Il principale sistema di sopravvivenza
che possiamo rintracciare nell’uomo è la storia, un processo mediante il quale si cerca di porre ordine al
caos della vita. Quando si presenta un novità che genera disordine nella routine gli individui ricorrono ad
una descrizione di ciò che sta accadendo a loro stessi o agli altri e in seguito operano sulle descrizione
stessa in modo da trovare soluzioni.
Nel quadro teorico costruttivista le storie non sono delle repliche fedeli della realtà poiché l’osservatore è
parte integrante di ciò che osserva. E’ più corretto parlare di co-costruzione della realtà. Le storie risultano
efficaci quando propongono una visione diversa della situazione poiché incentivano il cambiamento.
Secondo Maturana e Varela le narrative non devono rispecchiare la realtà ma piuttosto devono adattarsi in
un accoppiamento strutturale con la realtà stessa, andando a costruire dei multi-versi, ovvero un’infinità di
realtà possibili e imprevedibili. Le narrative risultano essere rilevanti fino a quanto riescono ad adattarsi alla
realtà odierna. Questo permette di scegliere le storie in base alla loro efficacia anziché in base alla loro
veridicità.
2. NARRATIVE DETERMINISTICHE
In molte teorie le storie di sofferenza permettono di sottolineare la disabilità e i sintomi anziché il
potenziale delle risorse. Queste teorie cercando di spiegare cause ed effetti finendo però solo per
catalogare e classificare i disturbi.
La narrativa religiosa, la teoria psicoanalitica e la teoria psichiatrica mettono gli essere umani nelle mani di
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esperti, creando dipendenza, senso di inferiorità e inadeguatezza, definendo impossibile una soluzione
autonoma del problema.
Queste discipline sono definibili come narrative deterministiche poiché tendono a far emergere patologie,
crenando circoli viziosi e profezie che si auto-avverano.
3. TEORIA NARRATIVA NEL COUNSELING
La narrativa è uno strumento attraverso cui è possibile alleviare una sofferenza. Nel counseling la teoria
della narrativa si basa sull’assunzione che le storie possono offrire una via d’uscita dalla sofferenza
mediante la costruzione di storie alternative. Questo metodo viene definito come decostruzione e
ricostruzione: il cliente porta la sua storia, la sua descrizione, le motivazioni, le strategie usate per risolvere
il problema e il counselor lo aiuta a decostruire questi elementi della narrativa che sono non utili, distruttivi
e pessimistici.
Adottare questa teoria significa accettare la storia che la vita è cambiamento, è dinamicità ed è una
continua novità. Ciò che fa la differenza è il modo in cui descriviamo e viviamo il cambiamento, da che
storia decidiamo di farci guidare nel dare significato agli eventi.
In quest’ottica non è possibile valutare una persona in un quadro fisso poiché la storia che segue è in
continuo mutamento. E’ preferibile immaginare i comportamenti anomali portati in seduta come
comportamenti dettati dalla situazione, non dal volere del soggetto.
3.1 Come si costruisce una narrativa con un individuo
La scelta delle parole che andranno a comporre una narrativa è importante. Le parole hanno un peso in
termini di sentimenti e atteggiamenti.
▪
▪
▪
In primo luogo è fondamentale decostruire, da parte del counselor, qualsiasi forma di giudizio nei
confronti del cliente. Decostruendo il giudizio si è più in sintonia con il cliente e si riesce a co-creare
una realtà migliore.
In secondo luogo si deve descrivere il cliente come persona, non come paziente. Il counselor deve
lavorare con un essere umano che sta attraversando una crisi anziché una vittima passiva di una
malattia incurabile. Il concetto di crisi è dinamico ed ha una connotazione positiva e ottimistica.
Infine il cliente porta in seduta sia un comportamento anormale che le strategie utilizzate per
risolverlo. Il counselor, da parte sua, accoglie questo comportamento e non cerca di sopprimerlo
(somministrando farmaci) ma indaga sulle possibili cause e sostiene il potenziale di sopravvivenza
del cliente.
3.2 Narrative e costruttivismo
Il costruttivismo incoraggia narrative circolari, ottimistiche e co-creatrici di realtà sane. Esso adotta un
linguaggio più vicino ai bisogni del cliente, del counselor e della società. Ci si distacca dal concetto di
malattia mentale e ci si sposta verso i comportamenti inadeguati.
Nel costruttivismo il counselor deve credere negli esseri umani e nelle loro capacità di affrontare la vita
senza però lasciarsi trasportare dalle narrative.
Tendenzialmente una persona in cerca di aiuto descriverà e porterà in seduta una storie dal contenuto
tragico, amplificandola in ogni aspetto. Il rischio di rimanere coinvolti emotivamente nella narrazione è
elevato.
Per il counselor significherebbe:
▪
▪
▪
Perdere il setting e quindi la giusta distanza e consapevolezza dell’effetto narrativo.
Fornire risposte verbali e non verbali che amplificano l’effetto drammatico.
Maggiore sofferenza per entrambi gli attori.
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Cosa si può fare per evitare di “soccombere” alle storie?
Il counselor dovrebbe essere saldo nella propria narrativa e questa dovrebbe avere un effetto alternativo e
utile, controbilanciando la narrativa del cliente.
Per fare questo il counselor deve prima essere a conoscenza del fatto che le narrative:
▪
▪
▪
▪
▪
▪
Sono sempre soggettive e parziali e non riflettono la realtà.
Sono relative al contento in cui sono espresse.
Fanno emergere le emozioni che influiscono sulle narrative stesse.
Le narrative benefiche sono circolari poiché promuovono e accrescono la curiosità anziché il
giudizio.
Sono invenzioni umane e quindi devono rispondere ai nostri bisogni.
Le narrative non più adatte possono essere abbandonate.
Entrando in quest’ottica si diventa consapevoli della relatività e della parzialità delle narrative del cliente.
Quindi: La narrativa portata dal counselor avrà la funzione di rendere la storia del cliente meno distruttiva,
ponendo domande anziché offrendo risposte. Le domande serviranno a:
▪
▪
▪
Delineare e definire meglio il problema
Descrivere la situazione in forma più accettabile in modo da rendere visibili le soluzioni
Rassicurare e calmare le persone (se le domande sono poste nel modo corretto).
3.3 Come si costruisce una narrativa con un gruppo
Le narrative di gruppo permettono la creazione di una realtà molto consolidata e potente. Questo poiché vi
è un continuo confronto tra i partecipanti e quindi una continua validazione della storia.
Può capitare che non tutti i membri di un gruppo condividano e accettino la storia, sia per giustificare i loro
comportamenti sia per raggiungere un proprio obiettivo personale.
Discorso analogo può essere fatto per una grande società in cui i conflitti scaturiscono spesso dal
consolidamento delle narrative dei singoli gruppi/etnie. Il bisogno di coerenza e di sicurezza dato da una
narrativa può scontrarsi e generare un conflitto con la narrativa di un altro gruppo.
In un processo di counseling di gruppo diventa quindi fondamentale ascoltare tutte le storie poiché saranno
spesso diverse ma sempre intrecciate tra di loro.
L’utilizzo della ricostruzione nei gruppi consiste nel guidarli verso la costruzione di una narrativa condivisa o
di narrative che non causino conflitti. Se questo si verifica i benefici ricadranno su tutte le persone coinvolte
e non solo sul cliente individuale.
CAPITOLO 4
1. IL COUNSELING SISTEMATICO IN ITALIA
In Italia la nascita e l’evoluzione di questo movimento è contrassegnata da 2 fasi distinte:
▪
▪
La prima fu la forte diffusione sul territorio che si ebbe a inizi anni ’90. Diffusione data principalmente
dal superamento dei pregiudizi sull’impossibilità di coinvolgere una famiglia intera in un processo di
terapia.
La seconda fu la presa di coscienza di non avere la forza per poter pretendere un’intera famiglia in
terapia. Nasceva così un lavoro improntato maggiormente sul singolo individuo.
1.1 Origini teoriche del counseling sistematico
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Si parte da 2 elementi: contesto e domanda. Secondo le scienze dell’educazione, per operare in modo
corretto all’interno di una comunità, è necessario adattare l’intervento al contesto e al tipo di clientela su
cui si opera. Ogni intervento è diverso poiché diverse sono le domande e le attese.
Il metodo del counseling sistematico si è costruito intorno questa idea di base e va quindi a intervenire sulla
specificità dei diversi contesti.
1.2 Le abilità del counselor
Spesso il counselor si trova in una situazione di incertezza sull’intervento. I dubbi principali riguardano:
▪
▪
Intervenire troppo dove basterebbe intervenire poco.
Intervenire poco dove sarebbe necessario intervenire molto.
In entrambi i casi l’errore è da ricercarsi nell’incapacità del counselor di capire cosa l’utenza sta chiedendo
in quel momento.
Invece:
Essendo l’individuo in continua relazione con svariati sistemi aperti (ambienti) è inevitabile che vada
incontro a instabilità e perdita del proprio equilibrio interno. Compito del counselor sistematico è quello di
disporre delle competenze che gli consentano di far fronte a queste circostanze senza tuttavia uscire dal
contesto e dal suo ruolo professionale. In un intervento quotidiano lo spazio delle abilità si apre a 3 livelli
differenti:
▪
▪
▪
Un primo livello, involontario e autonomo, è quello che il professionista acquisisce attraverso la
formazione e l’esperienza.
Un secondo livello, volontario e strategico, è quello che porta il professionista a utilizzare
un’attenzione e una cura particolare ogni volta che giudica particolarmente rilevante e impegnativo
l’obiettivo professionale che si propone verso il cliente.
Un terzo livello, di emergenza, si apre ogni volta che il professionista si trova coinvolto
improvvisamente in una comunicazione impegnativa o perturbata.
1.3 Il tipo di intervento
Dopo aver definito i livelli di abilità è opportuno passare alla modalità di intervento. Un counselor
sistematico utilizzare modalità definite per:
▪
▪
▪
▪
Accogliere la richiesta del cliente.
Definire e delimitare gli ambiti concreti dell’intervento.
Definire una gerarchia di obiettivi con il cliente.
Definire i tempi dell’intervento.
Come abbiamo già visto si tratta di un intervento molto attivo in cui sia cliente che counselor svolgono ruoli
importanti e inscindibili per la raggiunta dell’obiettivo. Il cliente viene visto come una persona alla ricerca
del modo migliore per attivare le risorse interne ed esterne che le consentiranno di affrontare un
problema. Il counselor non è altro che una di queste risorse.
L’ambito di intervento del counselor sistematico riguarda quindi l’orientamento e l’affiancamento ad una
persona che sta superando un periodo di difficoltà.
CAPITOLO 5
1. LA FILOSOFIA DEL COUNSELING
Per definire meglio la figura del counselor è necessario porla in relazione con altre figure psicologiche.
Si parla di counseling in 2 sensi:
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▪
▪
Da un punto di vista filosofico il counseling si differenzi da altre discipline per la sua “filosofia della
relazione”. L’idea centrale di questa filosofia è che tutti gli individui hanno risorse adeguate a gestire la
propria vita in modo soddisfacente. Compito del counselor è quello di rapportarsi alle persone
fornendo una relazione di aiuto.
Da un punto di vista più teorico si parla di counseling come tecnica e come professione, ovvero si
identifica il counselor come esperto nell’attivazione delle risorse umane, nelle relazioni, nella
normalizzazione e nel anteporre i giudizi altrui ai suoi.
PARTE 2
CAPITOLO 1
1. SUPERVISIONE
Con il temine supervisione si fa riferimento ad una relazione tra due professionisti in cui troviamo:
▪
▪
▪
▪
▪
Un individuo più esperto (supervisore).
Un individuo meno esperto (supervisionato).
La stessa professionalità.
Lo stesso modello teorico.
Una differenza di esperienza e competenza tra sistema supervisore (up) e sistema supervisionato
(down).
In breve il più esperto aiuto il meno esperto a riflettere intorno al proprio lavoro.
Esistono tuttavia due tipologie differenti di supervisione:
▪
▪
La prima è intesa come riflessione sulla pratica di qualcuno, in cui si analizza l’interazione
cliente/supervisionato.
La seconda fa riferimento all’insegnamento, incentrata sul processo di apprendimento.
Errore comune: affidare la pratica di supervisione ad un professionista con competenze non paragonabili a
quelle del supervisionato.
Diventa quindi importante una distinzione tra concetto di “Supervisione” e “Altravisione”
2. ALTRAVISIONE
Con il termine altravisione si fa riferimento alla collaborazione tra individui con professionalità e esperienze
diverse. Come dice la parola stessa è un “tecnica” utilizzata per portare un punto di vista diverso su un
lavoro svolto da un individuo. Questo perché il nuovo punto di vista è sviluppato da una teoria e da una
professionalità diverse dagli altri operatori.
Con l’altravisione viene favorito un continuo scambio di idee e un apprendimento reciproco. Questo perché
gli individui, che sono parte di un sistema condiviso in costante interazione, comunicano la loro storia e la
loro identità all’altro. L’incontro con le storie dell’altro operatore influenza il sistema e la storia stessa,
andando a generare la novità.
Diventa importante l’idea di cambiamento vista come capacità (attraverso strumenti, prospettive e azioni)
di costruire nuove esperienze e realtà.
Errore comune: spesso l’altravisione viene fraintesa con il voler imporre il proprio giudizio personale sulle
idee altrui. L’altravisione non cerca di cambiare la persona o il suo comportamento ma cerca di costruire,
tra tutti i soggetti impegnati, un cambiamento di idee che porti alla novità.
2.1 Applicare l’altravisione nel colloquio
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L’evoluzione dell’altravisione ha permesso di andare oltre la semplice “tecnica” e di definirla come una vera
e propria modalità del processo terapeutico.
L’altravisione aiuta a cercare differenti spiegazioni e descrizioni quando non ne sembrano possibili altre e
soprattutto, ci permette di mantenere una posizione curiosa. Si vanno quindi a cercare azioni (domande,
racconti, esempi ecc.) che permettano ad entrambi gli attori di assumere una posizione diversa.
2.2 L’altravisione nei gruppi di lavoro
In un gruppo di lavoro l’altravisione può essere introdotta portando agli altri la nostra descrizione e il
nostro modo di leggere il caso.
Poiché in un gruppo tutti portano idee nate da teorie differenti diventa opportuno accompagnare le
conclusioni con la descrizione del processo utilizzato per formularla, spiegando i collegamenti fatti e le
teorie prese in considerazione.
Da qui possiamo individuare una funzione importante dell’altravisione: quella di mediare tra le teoria forti
portate tra colleghi. Le posizioni diverse infatti tendono a influenzarsi vicendevolmente andando a creare
un pensiero condiviso nato da teorie molto diverse tra loro.
Nel processo pratico di un gruppo è opportuno:
▪
▪
▪
Scoraggiare, nelle fasi iniziali, la conversazione tra partecipanti orientata a far prevalere un’idea
sulle altre. E’ più opportuno cercare di far esporre tutti i punti di vista.
Nel lavoro di altravisione si utilizzano strumenti come lavagne per aiutare i colleghi, attraverso un
supporto grafico, a proporre il processo mediante il quale sono arrivati alla formulazione del loro
pensiero.
Proporre una suddivisione del gruppo in sottogruppi (coppie o triadi) più piccoli per analizzare
meglio il lavoro fatto alla lavagna.
Obiettivo ultimo è quello di aumentare le informazioni e la loro connessione, per arricchire di conseguenze
anche i significati
CAPITOLO 2
1. IL COUNSELOR PROFESSIONALE
Il counselor è un esperto di comunicazione che utilizza le proprie abilità per favorire e aiutare gli altri in
contesti personali e professionali.
Compito fondamentale è l’instaurazione di una relazione positiva con il cliente, basata sulla reciproca
fiducia e accoglienza. Le tecniche che il counselor dovrebbe utilizzare per far ciò sono:
▪
▪
▪
▪
▪
La circolarità sistematica, una caratteristica del counselor cognitivo relazionale che si esprime nella
capacità di fare domande circolari.
In una seduta si conduce il colloqui basandosi sui feedbacks con un continuo confronto di ipotesi,
idee, impressioni ed emozioni. Si cambia spesso posizione, trovando insieme senso condiviso. Lo
strumento per far ciò sono appunto le domande circolari.
Capacità di analisi del sistema, altro aspetto caratteristico del counselor cognitivo relazionale che fa
riferimento alla capacità di sapere esplorare il sistema in cui opera
Curiosità, al fine di non trascurare nessuna informazione portata dal cliente.
Empatia, cercando di ricostruire l’esperienza del cliente.
Competenze retoriche, in quanto è importante che il counselor si esprima con correttezza e
conosca i principali aspetti dell’arte della comunicazione. Il counselor deve essere in grado di
adeguarsi al linguaggio del cliente, saper riformulare nel modo corretto il discorso e infine saper
rispettare le regole di un discorso: chiarezza e correttezza.
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▪
▪
▪
▪
Senso del limite, sapere quindi fino a dove potersi spingere nell’intervento. Importante è sapere
stipulare un buon contratto in modo da definire bene regole e obiettivi da raggiungere.
Supervisione, il counselor partecipa abitualmente a sedute di supervisione. E’ importante poiché
permette al counselor di narrare a sua volta (ad una figura superiore) ciò che sta avvenendo nel
colloqui di counseling.
Scommettere sulle persone, abilità del counselor è anche quella di non smettere mai di puntare
sulle possibilità e potenzialità delle persone.
Riflettere sull’esperienza.
Infine è importante ricordare ce è attraverso il racconto che il senso della vita si genera e si sedimenta. Da
questo assunto il counseling prende spunto per utilizzare la co-narrazione, un processo comunicativo in cui
il narratore di una storia viene aiutato da una presenza attiva (counselor) attraverso le tecniche sopra
citate.
CAPITOLO 3
1. LE DOMANDE GUIDA
Molti allievi, nel counseling, riscontrano spesso difficoltà nel mantenere interesse, curiosità e un
atteggiamento non giudicante verso il loro cliente.
Le domande guida hanno la funzione di sostenere e tracciare un percorso per il counselor oltre che a
scoprire le risorse dell’individuo (cliente). Questa tipologia di domande è efficace se accompagnata da
atteggiamenti di:
▪
▪
▪
▪
▪
Auto-osservazione, ovvero avere consapevolezza (counselor) delle proprie rappresentazioni e di
come queste influiscano sul suo operato.
Accoglienza, una volta ricevute le prime informazioni il counselor deve tener conto delle
rappresentazioni che queste informazioni generano in lui.
Verifica e feedback, controllare sempre che la relazione sia positiva e attiva
La riformulazione, una continua riformulazione delle parole del cliente in modo da rendere le
letture del cliente più chiare e utilizzabili in seduta.
Attenzione agli aspetti relazionali, collegata al continuo feedback della relazione.
2. AREE DI ESPLORAZIONE NEL COLLOQUIO
Esistono diverse aree esplorabili durante un colloquio:
▪
▪
▪
▪
▪
▪
L’accoglienza, in cui deve trasparire un atteggiamento di massima disponibilità del counselor. Per
arrivare a questo tipo di accoglienza il counselor deve lavorare sulle proprie rappresentazioni, sulle
manifestazioni delle sofferenze, sulle richieste d’aiuto e sui propri limiti.
Assunto fondamentale: ogni persona ha il potenziale di superare difficoltà nella vita.
Gli obiettivi che vengono formulati insieme al cliente. Dopo le prime seduta si fissano obiettivi
realistici e definiti in termini positivi, mettendo come priorità il loro raggiungimento.
Le aspettative, utili al fine di ridimensionare le eventuali illusioni riguardo il counseling.
La cornice, ovvero gli incontro in cui si delineano gli obiettivi, il metodo e le possibilità offerte dal
counseling
La condivisione degli obiettivi e dell’approccio andando a spiegare al cliente la natura
dell’intervento e gli obiettivi da poter perseguire.
Stabilire le priorità, poiché il cliente si presenta in seduta con le idee confuse. Diventa utile fissare
delle priorità e fare scelte ragionate sugli obiettivi da affrontare.
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▪
Esplorare il primo obiettivo cioè quel tipo di traguardo che il cliente stava cercando di raggiungere
nella sua vita.
CAPITOLO 4
1. LA MATERIA DI CUI SONO FATTI I COLLOQUI DI COUNSELING
Parte fondamentale del colloquio è il cliente. Oltre ad essere vitale è anche minacciosa poiché può
chiedere, dire o fare qualcosa per mettere in difficoltà il counselor.
1.1 Il cliente e la sua storia
La prima conquista per il counselor è l’abitudine a pensare al proprio cliente non come un problema ma
come una risorsa. Ne dettaglio si va ad analizzare cosa lo ha momentaneamente fermato impedendogli di
usare quelle risorse.
Il cliente arriva alla prima seduta portando con se una serie di idee createsi prima dell’incontro. Sono dei
passaggi obbligati che possono essere sintetizzati in:
▪
▪
▪
▪
La modificazione della percezione di se. Il passaggio da una condizione di abitudine a una meno
nota, contrassegnata da pensieri e progetti che hanno a che fare con il cambiamento
La narrazione. Ogni cliente si è “raccontato” analizzando personalmente il proprio cambiamento.
La ricerca. Ogni storia va verso un finale, possibilmente lieto.
La richiesta di intervento. E’ nella fase di ricerca che una persona arriva all’idea di chiedere l’aiuto di
un professionista.
Questi passaggi costituiscono una sorta di copione che il cliente porterà in seduta, una sorta di storia
dominante, solitamente ben strutturata e connessa. Compito del counselor sistematico è muoversi in
questa storia utilizzando domande, commenti e connessioni per smuovere il cliente a ricercare una storia
alternativa che consenta di intravedere soluzioni.
1.2 Il counselor e l’uso della storia nel counseling
Ogni intervento basato sulla parola inizia con la narrazione di una storia, in questo caso quella portata dal
cliente. Ciò che differenzia il counseling dagli altri interventi (psicologici e psicoterapeutici) è il modo con
cui si ascolta e si tratta questa storia.
In questi termini l’intervento di counseling mira spesso a normalizzare le storia del cliente, individuando
con lui le possibili soluzioni ad un problema. In altri casi l’intervento è ancora più “limitato” poiché cerca di
rendere più tollerabili situazioni di difficoltà attraverso un atteggiamento di esternalizzazione del problema.
In entrambi i casi, attraverso l’ascolto attivo, il counselor seleziona gli aspetti più significativi e utili ai fini
della risoluzione del problema. In altri termini il counselor favorisce l’empowerment nel cliente.
1.3 Fase dell’accoglienza
Il counselor deve tener in considerazione il contesto in cui opera, evitando qualsiasi tipo di
condizionamento nei confronti del cliente. Dalla sua il cliente dovrà sentirsi libero di poter decidere quali
argomenti portare in seduta e come trattarli. L’abilità del counselor sarà quella di far emergere:
▪
▪
▪
▪
La situazione familiare e relazionale del cliente
Le parole chiave con cui descrive la situazione
Gli obiettivi che il cliente indica nella sua prima descrizione
Gli ostacoli che compaiono nella vicenda da lui portata.
Altro compito del counselor è quello di separare i dati e fatti dalle ipotesi e dalle attribuzioni.
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Nella fase dell’accoglienza (e in quelle successive) diventa importante definire il colloquio come un
processo in cui sono attive 2 persone. Tra i due deve nascere un equilibrio, più nello specifico ci deve essere
equilibrio tra apporti narrativi portati dal cliente e gli interventi del counselor. Devono essere rispettati gli
atti comunicativi da entrambe le parti.
Nelle prime fasi di accoglienza il cliente si troverà nella situazione inusuale di poter parlare liberamente
della propria storia senza mai essere interrotto. E’ quindi opportuno lasciare modo e tempo di ambientarsi
al ritmo della seduta.
Tuttavia: lasciare troppo spazio alla narrativa del cliente può avere effetti negativi in quanto:
▪
▪
Il cliente può costruirsi un’idea sbagliata del counseling, definendolo come un ambiente di sfogo.
C’è il rischio di avere troppi elementi e troppi cassetti aperti.
L’interruzione della narrativa è lecita nel momento in cui il counselor porta delle motivazioni accettabili al
cliente. Interruzioni, domande e commenti vanno brevemente introdotti per facilitare al cliente la
condivisione del percorso.
Una buona gestione del colloquio comporta una scelta di domande che aprano nuove ipotesi e rendano
possibili nuove descrizioni invece di indagare situazioni già descritte (atteggiamento di investigazione da
evitare).
In quest’ottica possiamo definire come evitabili tutte le domande che non hanno un chiaro obiettivo o che
sviano dal fulcro del discorso. Sono invece fortemente consigliabili:
▪
▪
▪
▪
Domande lineari, che tendono ad assecondare la modalità di descrizione che fede i fatti collegati
tra di loro per un rapporto causa-effetto (es: Quando i comportamenti di Lucia sono cambiati, le è
capitato di dirsi “forse dipende da…”). Sono domande utili per rendere espliciti ipotesi e
connessioni che il cliente non ha ancora espresso.
Domande di approfondimento. Il cliente introduce spesso vari argomenti di vita senza però
attribuirne il giusto peso. Questo tipo di domande servono sia per approfondire che per far
rileggere un determinato punto al cliente. Possono offrire spunti di riflessione.
Domande circolari, domande che offrono una visione opposta a quella lineare, e puntano a rendere
evidente la relazione e i rapporti tra eventi o tra persone in modo non causale.
Domande riflessive, attivano la riflessione su punti di vista e aspetti di una situazione che fino a
quel momento non erano stati presi in considerazione.
1.4 La struttura del percorso di counseling
In un colloquio di counseling le ipotesi, sia quelle più
piatte e banali, sia quelle più raffinate, non vengono
mai espresse. Il counselor le utilizza per costruire un
percorso basato sulle domande e sull’uso attento delle
risposte. Nel colloquio vi è una continua condivisione
del percorso che si sta seguendo; il counselor segnala
abitualmente in che direzione si sta muovendo, quali
argomenti potrà trattare e quali non riterrà opportuni
e utili nella seduta. La definizione degli spazi e degli
argomenti, la capacità di interrompere il cliente
quando gli argomenti si fanno troppo complessi e altri
accorgimenti fanno parte dell’ascolto attivo del
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counselor. Ascolto attivo che si accentua nel momento di presa di decisione: la chiusura di una pista infatti
è altrettanto se non più importante della sua apertura. Obbligo del counselor è anche in questo caso
segnalare che intende chiudere per il momento il tema di cui si è parlato, andando a riassumerlo.
Ogni pista ha un suo riassunto e l’insieme dei riassunti fatti nel mezzo della seduta costituisce il riepilogo
conclusivo del colloquio. La parte finale è la più delicata poiché il counselor ha il compito di riconsegnare al
cliente ciò che è stato più significativo nel colloquio.
Questo percorso viene ripetuto in ogni seduta e raggiunge il suo apice nel momento in cui il cliente
dimostra di essersi appropriato di alcuni strumenti che il counselor ha costruito insieme a lui: capacità di
vedere gli effetti dei propri comportamenti, individuare obiettivi raggiungibili, di creare soluzioni e tollerare
gli insuccessi. In questo momento si può effettivamente parlare di conclusione del percorso di counseling.
CAPITOLO 5
1. LA RELAZIONE DI AIUTO E IL COLLOQUIO DI COUNSELING
La mappa del counseling riassume i vari
passaggi e gli elementi che permettono di
sviluppare un buon colloquio.
La 3° colonna fa riferimento alle domande
guida che costituiscono la scaletta del
colloquio. Queste domande sono utili nei
momenti difficili poiché permettono un
riposizionamento del counselor e del
colloquio. Facilitano la comprensione delle
narrative del cliente.
Tuttavia le domande guida rappresentano
semplicemente “cosa si chiede”. Il modo
con cui porre la domanda è l’aspetto
emotivo relazionale, espresso attraverso le
modalità di relazione del counselor,
individuabili nella 2° colonna della tabella.
Infine il come, cioè le modalità con cui
verrà posta la domanda, dipende e sarà
influenzata dalle mappa e dalle teorie
orientative elencate nella 1° colonna.
le modalità con cui vengono poste le
domande dipenderà anche dai pregiudizi, i
sistemi di credenze personali e
rappresentazioni del counselor.
Quando la relazione si sposta verso un sistema motivazionale non cooperativo si parla di amplificazione
relazionale. Quando il counselor reagisce con aggressività, fuga e negazione non fa altro che confermare i
pregiudizi e le proiezioni iniziali del cliente. Si genera un circolo vizioso di reazioni che portano al verificarsi
della profezia che ti autoavvera.
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PARTE 3
CAPITOLO 1 – COUNSELING E MEDICINA
1. IL MEDICO, IL MALATO E IL COUNSELING
Uno degli aspetti più significativi della relazione che si instaura tra medico e paziente riguarda l’attribuzione
di significato della malattia:
▪
▪
Il paziente da un proprio significato sia ai disturbi provati sia alle sensazioni ed emozioni che questi
generano in lui. Il malato è diverso da un soggetto sano poiché i suoi giudizi sul mondo sono influenzati
dal suo malessere.
Il significato che il medico da dei medesimi sintomi comprende principalmente i collegamenti che essi
hanno con una patologia. La componente emotiva non coincide con quella provata dal paziente e
spesso non è nemmeno presente.
Il problema del significato assume un ruolo molto rilevante nel colloquio.
La parola “malattia” è la stessa per medico e paziente ma diverso è il significato per l’uno e per l’altro.
La disparità di punti di vista non passa inosservata al paziente che, in modo più o meno diretto, esige dal
medico sia la competenza strettamente clinica che quella relazionale e comunicativa. Quando quest’ultima
scarseggia il giudizio nei confronti del professionista è solitamente negativo.
L’approccio puramente scientifico è necessario ma non sufficiente.
1.1 Il medico
Il medico non stabilisce una relazione con la patologia ma bensì con la persona e con il suo universo di
significati. Il suo obiettivo è quindi far sì che la persona si senta meglio o che possibilmente non peggiori.
In questa ottica possono nascere due tipi di rapporti:
▪
▪
Il rapporto incompleto si verifica quando il medico valuta come oggetto il corpo malato e non la
persona, in un rapporto del tipo “Io-Esso”. E’ un rapporto asimmetrico e unidirezionale.
Il rapporto “Io-Tu” invece gli scambi comunicativi avvengono in un contesto in cui paziente e
medico hanno pari importanza e pari dignità pur differenziando i ruoli. Vi è una comunicazione
bidirezionale.
Per muoversi dentro il rapporto “Io-Tu” occorre costruire una relazione di ascolto, tipica del processo di
counseling. L’ascolto a cui si fa riferimento è quello attivo che porta il medico a ridurre le modalità
comunicative in uscita a vantaggio di quelle che consentono di raccogliere informazioni utili sull’esperienza
del paziente e sulle sue difficoltà.
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L’ascolto attivo prevede che il medico:
▪
▪
▪
▪
Mantenga una posizione di conduzione attiva del colloquio.
Segnalare in quale direzione vuole muoversi.
Conservi le sue capacità e il suo diritto di accettare o rifiutare le richieste del paziente
Mantenga la giusta distanza tra coinvolgimento e distacco
Da questi punti è possibile notare come ci siano differenze tra ascolto nel counselor e nel medico. Mentre
nel counseling non è possibile fare diagnosi, ne dare consigli o prescrizioni, il medico ha il mandato
professionale e il dovere di fare tutte queste cose. Le abilità di counseling sono per il medico uno
strumento in più, utile a svolgere meglio il suo lavoro. Utilizzare elementi di counseling in medicina significa
quindi usare una retorica persuasiva in modo da poter lavorare meglio con i pazienti.
1.2 Il paziente
Se fino ad ora è stata analizzata la relazione dal punto di vista del medico è opportuno parlare anche del
paziente e di un argomento strettamente collegato ad esso: il problema della motivazione.
Alla motivazione a cambiare si oppongono forti motivazioni a non cambiare.
Per parlare del problema motivazionale è introdurre prima il concetto di reattanza psicologica, teoria che
sostiene che ogni individuo disponga di un certo numero di comportamenti liberi che sa di poter controllare
ed esercitare in ogni momento. L’eliminazione o la minaccia verso una libertà genera nel soggetto una
spinta motivazionale detta appunto reattanza psicologica. Questa motivazione tende a ripristinare o
difendere la propria libertà. Di fatto la reattanza è un processo spontaneo e non mediato, di conseguenza
agisce anche nel caso in cui il cambiamento risulterebbe più vantaggioso.
Tuttavia: quando la situazione è compromessa e il soggetto non è più in grado di recuperare la libertà persa
mette in atto una nuova strategia, detta “Helplessness”, letteralmente difficoltà di difendersi in cui si
assumono atteggiamenti negativi e depressivi (si verifica un’intensità di reattanza).
Cosa provoca la reattanza?
Ciò che suscita la reattanza è la percezione da parte del soggetto di perdere il controllo nei confronti di cose
che considera acquisite e garantite. La reattanza è provocata sia dall’eliminazione di una libertà sia
dall’imposizione di una specifica scelta.
Proprio da questa imposizione ci si ricollega al concetto di problema motivazionale. Tanto maggiore è la
pressione esercitata sulla persona affinché compia determinate azioni, tanto maggiore sarà la reattanza e
quindi in termini di insuccesso e scarsa motivazione (effetto boomberang).
Come si può evitare?
La reattanza ha origine all’interno della relazione, nell’atteggiamento e nei comportamenti del medico.
Mantenere la relazione su un buon piano comunicativo limita al minimo l’insorgere di questo problema.
Secondo Rollnick alla base della motivazione troviamo:
▪
▪
L’importanza, una persona è molto più disposta al cambiamento se attribuisce un valore al
cambiamento stesso, cioè lo ritiene importante.
Fiducia, una persona è molto più disposta al cambiamento se ritiene di potercela fare.
In sostanza: la motivazione a cambiare comportamenti e stili di vita è data dal bilancio che il paziente fa tra
vantaggi e svantaggi percepiti e possibilità concrete di mettere in atto il cambiamento.
1.3 Abilità di counseling in un contesto medico
Le abilità di counseling in questa disciplina si verificano in 3 momenti successivi:
▪
Accoglienza della comunicazione del paziente e parziale esplorazione del mondo.
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▪
▪
Recupero della posizione professionale del medico.
Ridefinizione delle richieste del paziente.
Così come nel counseling anche in medicina assume notevole importanza la narrazione.
Perché studiare la narrazione?
Studiarla è importante poiché è l’unico strumento disponibile per esplorare il mondo dell’altro ed evitare in
tal modo equivoci e malintesi.
▪
▪
▪
Durante la narrazione del paziente il medico dovrebbe assumere un atteggiamento empatico al fine di
ricostruire l’esperienza del paziente, non limitandosi alla semplice raccolta di dati.
In un secondo momento il medico recupera in pieno la propria professionalità e attua due aspetti
fondamentali:
- Quello informativo con cui aiuta il paziente a mettere ordine nel groviglio informativo che è di
per se fattore di ansia e disagio
- Quello diagnostico in cui prescrivere il trattamento al malato.
In un terzo momento si costruisce insieme uno spazio condiviso che tenga conto degli aspetti visti
sopra. Questo è il momento della cooperazione, della collaborazione e della partnership. In questa fase
si verifica la propensione del paziente ad accettare le proposte mediche e il suo grado di motivazione.
Il terzo momento è anche definito di negoziazione poiché tiene conto non solo delle esigenze del
medico ma anche e soprattutto a quelle del paziente.
Tuttavia, se il medico non tiene conto delle esigenze del cliente e utilizza interventi comunicativi immediati
al posto di quelli motivazionali è possibile veder insorgere una modalità barriera, accentuata spesso da
minacce, prediche, appelli alla ragionevolezza, giudizi, interpretazioni e tutti gli altri atteggiamenti impropri
per una buona relazione. Questi atteggiamenti scorretti generano spesso contro risposte negative.
CAPITOLO 2 – IL COUNSELING UNIVERSITARIO
1. AMBITO DI INTERVENTO
Prima di analizzare l’ambito di intervento è opportuno andare ad analizzare il significato dell’ingresso nel
mondo universitario. E’ un periodo transitorio tra l’essere studente e l’essere lavoratore in cui viene messa
in gioco in modo potente l’immagine di sé.
Dal punto di vista degli studenti questo è un periodo di micro transizioni e compiti evolutivi che si sceglie
spontaneamente di affrontare.
Oltre al cambiamento dell’immagine di sé vi è anche un distacco dal nucleo famigliare con la conseguente
nascita del senso di essere un individuo inserito in un mondo sociale e lavorativo.
Le criticità riscontrabili in questo periodo possono essere inserite su due assi, uno qualitativo e uno
temporale. Sull’asse qualitativa troviamo:
▪
▪
▪
Fattori legati all’ambiente universitario.
Caratteristiche dell’attività di studio.
L’incremento delle aspettative su di sé.
Sull’asse temporale troviamo gli elementi di maggior criticità quali:
▪
▪
▪
L’ingresso nel mondo accademico in cui entra in gioco la motivazione alla scelta universitaria.
L’impatto con lo studio.
Difficoltà nel momento in cui ci si avvia alla conclusione degli studi.
Studi recenti sembrerebbero confermare come gli studenti meglio integrati nella vita universitaria
sembrerebbero essere le persone che hanno maggior supporto sociale e un minor livello di ansia.
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2. I PUNTI CRITICI DELL’ASSE TEMPORALE
2.1 Le motivazioni alla scelta
In linea di massima sembrerebbe che alla base della scelta accademica ci siano ragioni collegate al
probabile successo o insuccesso accademico.
Partendo da questo sono state formulate svariate teorie:
Il processo attraverso cui ci orientiamo per raggiungere i nostri obiettivi è il risultato dell’interazione
dinamica di due dimensioni; la prima è legata alla dicotomia competenza-prestazione che contrappone
l’agire guidato dal senso di competenza personale all’agire guidato dal voler dimostrare agli altri di essere
stati in grado di raggiungere la meta. La seconda è legata alla valenza soggettiva avvertita, ovvero la
possibilità di farcela o non farcela. Questa seconda dimensione spinge all’azione o all’esitamento.
-
L’errore in cui cade spesso lo studente è quello di non riuscire a valutare adeguatamente un
obiettivo in rapporto alle proprie competenze e capacità.
Altro errore comune è rappresentarsi l’obiettivo in modo diverso da come è realmente, sia in
termine di sotto che si sopravalutazione
Ricollegandoci agli errori comuni è importante sottolineare che l’elemento chiave della motivazione sono le
emozioni, sia quelle che si presentano una volta raggiunto l’obiettivo, sia quelle che mediano durante il
processo. Quest’ultime sono le più importanti poiché possono esercitare influenza sulle prestazioni
dell’individuo.
Riprendendo il tipo di stile motivazionale è possibile notare come:
▪
▪
In quello orientato alla competenza ciò che conta di più è la sensazione di avere controllo e di
poter padroneggiare una propria abilità. Questo è uno stile orientato all’interno, ciò che conta
lo si avverte dentro di sé.
In quello orientato alla prestazione ciò che soggettivamente conta di più è la sensazione di
riuscire a dimostrare agli altri di essere capaci di fare qualche cosa. Questo è uno stile
orientato all’esterno, ciò che conta è il rimando che si ottiene da fuori.
Gli studenti orientati verso la prestazioni sono tendenzialmente critici verso i loro risultati,
faticano a riconoscere i loro successi e tendono sempre a paragonarsi agli altri. Sono quindi gli
studenti che potrebbero aver bisogno di un maggior supporto.
2.2 Le difficoltà legate allo studio
Con l’ingresso nel mondo universitario si ha un passaggio da uno studio eterogeneo (con una figura di
riferimento come l’insegnante) ad uno studio autoregolato in cui lo studente diventa responsabile diretto
del proprio apprendimento. L’apprendimento autoregolato comporta un ruolo attivo dello studente nel
progettare, attuare, gestire e valutare le proprie azioni.
Questo passaggio si consolida con le esperienze, passate e presenti, di successo e insuccesso, sul tipo di
motivazioni che un individuo esercita per raggiungere un obiettivo e sull’autoconsapevolezza delle proprie
capacità intellettive.
2.3 Il problema di procrastinare
Il fallimento accademico può destabilizzare sia la crescita individuale che l’intero andamento del percorso.
Si sviluppa nello studente un senso di incapacità e inadeguatezza che può rallentare e condizionare scelte di
vita future.
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Studi recenti analizzano le personalità che possono essere collegate ad un migliore o peggiore andamento
universitario.
Perché gli studenti non sempre riescono a seguire il piano di studi?
▪
▪
▪
▪
Si è prima ipotizzata una difficoltà sia dal punto di vista di organizzazione dello studio che di
complessità di una materia. Questa prima ragione è cognitiva ma non sempre attribuibile al
fallimento di un percorso d’esami.
Un secondo aspetto preso in esame è la tendenza di molti studenti ad essere procrastinatori
cronici, ovvero tendono a rimandare intenzionalmente qualche cosa pur sapendo che questo gesto
avrà delle conseguenze negative. In ambito accademico viene tradotto con l’incapacità di saper
gestire i tempi e rimandare sempre all’ultimo impegni importanti come esami.
Spesso la procrastinazione è associata, in uno studente, ad uno scarso senso di autoefficacia o ad
un elevato livello di ansia da prestazione.
Altri studi ipotizzano un’associazione tra l’essere procrastinatori e l’essere impulsivi.
Di solito gli studenti procrastinatori tendono a consegnare i compiti all’ultimo, evitare gli esami e
avere un alto livello di ansia sociale.
Procrastinare non è quindi solo legato ad un problema di autoregolazione (1) ma ha a che fare anche con la
percezione di sé e delle proprie capacità.(2)
In queste situazioni l’intervento di counseling diventa efficace se attuato verso due direzioni:
▪
▪
Verso l’incremento della consapevolezza dei propri modi e meccanismi di funzionamento andando
a esplorare le motivazioni che sono alla base del rimandare alcune cose a scapito di altre. (2)
Verso l’incremento del proprio senso di autoefficacia (cioè la fiducia che ogni persona ha sulle
proprie capacità di ottenere gli effetti voluti con la propria azione) nell’applicazione delle tecniche
di autoregolazione. (1)
2.4 Ansia d’esame
Il problema di ansia e aspettative personali e famigliare sul risultato di un esame possono interferire con i
meccanismi di buon adattamento alla vita universitaria.
L’ansia d’esame è molto più che una semplice paura degli esami o nervosismo al momento di svolgere una
prova, è un problema complesso che porta spesso a comportamenti di evitamento di situazioni angosciose
e di conseguenze ad un declino delle prestazioni.
Il fulcro del problema è che l’individuo, in presenza di ansia da esami, mette in atto comportamento più o
meno intenzionali di evitamento che gli impediscono di affrontare il problema e quindi di mettersi in gioco.
L’ansia da prestazione è un problema che si registra fin dalle scuola superiori e che si accentua con
l’aumento delle responsabilità portate dall’università.
L’ansia collegata agli esami innesca anche un meccanismo di ansia sociale, molto più legata alle difficoltà di
relazionarsi con gli altri
Quali sono le soluzioni all’ansia?
Le strategie di soluzione sono molteplici ma sostanzialmente riconducibili a due tipi:
▪
▪
Utilizzo di colloquio individuale.
Utilizzo di colloqui di gruppo.
2.5 L’abbandono
Aspetto critico per chi si occupa di formazione universitaria. Da tenere in considerazioni ci sono i tassi di
abbandono e di regolarità dello studio, in modo da comprendere il grado di efficacia delle università.
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3. UN SERVIZIO DI COUNSELLING UNIVERSITARIO
Proprio per le difficoltà sopra elencate che è stata ritenuta fondamentale la presenza di una figura come
quelle del counselor all’interno delle università. Di seguito saranno analizzati vari aspetti del counseling
all’interno del contesto universitario.
3.1 Il modello di riferimento: counseling cognitivo relazionale
L’obiettivo primario è aiutare l’individuo, temporaneamente in difficoltà, a guardare la situazione
problematica in un modo più ampio e profondo, favorendo un processo di ridefinizione e ridescrizone delle
realtà. Si fa anche qui riferimento alla teoria della narrativa e del costruzionismo sociale che sottolineano
come l’uso della parole nella descrizione di una situazione problematica possa cambiare radicalmente il
modo di vedere il problema stesso. Ridisegnare la storia significa cambiare la situazione della percezione,
causando attivazioni emotive funzionali o disfunzionali alla soluzione del problema.
Compito del counselor è sostenere la persona, cercando di individuare il cambiamento e aiutandolo a
prenderne coscienza. Si mira sempre al consolidamento e al rinforzo delle potenzialità delle persone.
Nel servizio universitario il counseling deve essere in grado di fornire una risposta qualificata alle più
diverse esigenze che uno studente può incontrare durante il suo percorso. In linea di massima l’intervento
può essere mirato sia ad affrontare tematiche che stanno causando difficoltà allo studente sia ad
approfondire esigenze di maggior conoscenza personale.
3.2 Principali difficoltà riscontrate nei contesto universitario Milano-Bicocca
Da questionari somministrati sono mersi alcuni problemi ricorrenti:
▪
▪
▪
Difficoltà legate allo stile di studio.
Difficoltà emotive legate alla situazione esami.
Difficoltà relazionali.
Per quanto riguarda le opinioni sui servizi, la metà degli studenti li riteneva abbastanza e molto utili.
Dopo questa prima fase di studio e analisi del contesto è stato inaugurato il servizio SACSUM-Medicina,
progetto di counseling che ha visto attivarsi 3 aree di:
- Counseling psicologico
- Counseling di gruppo
- Tutorato didattico
Il counseling individuale viene attivato
nei casi in cui sia necessario prolungare
un intervento nel tempo.
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CAPITOLO 3 – IL COUNSELING A SCUOLA
1. I MALESSERI DEGLI INSEGNANTI
E’ opportuno analizzare anche l’altra grande categoria all’interno del sistema scolastico: gli insegnanti.
All’origine dei sempre maggiori malesseri che colpiscono questa professione troviamo:
▪
▪
▪
Un cambiamento delle richieste che le società fa alla scuola e agli insegnanti stessi. Le famiglie in
generale si aspettano dai docenti non solo le competenze nelle loro materie ma anche un’altra grande
serie di abilità per le quali, spesso, l’insegnante non è preparato. Questo generalmente provoca
frustrazione legata alle difficoltà di capire il proprio ruolo lavorativo.
Il cambiamento della figura del docente poiché dal punto di vista sociale il mestiere non viene molto
considerato e non di rado capita che la sua autorità venga messa in discussione da genitori.
La sempre maggior richiesta di lavoro di squadra e in rete, sia con altri docenti che con altre professioni.
2. I PROBLEMI DEGLI ALUNNI
I principali problemi individuati negli studenti riguardano:
▪
▪
▪
Cambio di classe o trasferimento in una nuova scuola.
Periodo di transito tra elementari e medie.
Nuove modalità didattiche e diverso rapporto con i professori (non più maestri).
Problemi più compressi riguardano invece le relazioni con i compagni o con i docenti. Episodi come il
bullismo possono compromettere l’intero andamento scolastico.
Aspetto collegato ai problemi degli alunni sono le incomprensioni tra nucleo genitoriale e scuola.
3. LO SPAZIO DEL COUNSELING A SCUOLA
Lo scopo principale è quello di capire ciò che l’individuo (insegnante, alunno e membro della famiglia) sta
vivendo in questo contesto.
▪
▪
▪
Per gli insegnanti il counseling rappresenta un modo per fronteggiare difficoltà connesse al lavoro e alle
problematiche elencate in precedenza.
Per gli alunni rappresenta l’unico spazio di confronto con un adulto senza rischiare conflitti o
incomprensioni.
Per i genitori si tratta di un possibile confronto sui temi educativi e uno spazio per riflettere sul loro
rapporto con la scuola.
4. IL COUNSELING INDIRETTO
E’ una tipologia di counseling rivolto a gruppi di individui che si trovano a fronteggiare problematiche
complesse che rischiano di compromettere il gruppo stesso. L’obiettivo del counseling indiretto è facilitare
al gruppo l’individuazione di modi per portare a termine un obiettivo senza troppe difficoltà.
5. COME SI COSTRUISCE UN INTERVENTO DI COUNSELING A SCUOLA?
E’ necessario in primo luogo un progetto informativo preliminare al fine di comprendere la reale utilità di
un counselor a scuola.
Una volta fatto questo primo accertamento il counselor dovrà porre la massima attenzione e spiegare agli
alunni il suo ruolo e la sua professione. Deve mergere che il suo tipo di intervento non è terapeutico ma di
sostegno a momenti di difficoltà.
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A livello organizzativo è necessario informare su:
▪
▪
▪
Chi può usufruire del servizio
In quale modo
Che tipo di priorità ha il servizio
CAPITOLO 4 – IL COUNSELING NELLO SPORT
1. L’ATLETA
E’ un tipo di intervento che si applica su un individuo come “persona” e il suo “essere con lo sport”. Le
richieste sono solitamente molto chiare e riguardano principalmente un miglioramento delle proprie
capacità, uno sviluppo delle potenzialità e un incremento delle performance.
Come da prassi del counseling cognitivo relazionale è importante:
▪
▪
▪
Fare attenzione alla narrativa dell’atleta.
Trattandosi di un intervento “sportivo” il counselor dovrà concentrarsi su tutte le risorse dell’atleta
andando a individuare quelle poco sfruttate e facendo leva su queste.
La cooperazione tra atleta e counselor diventa fondamentale al fine di perseguire un successo per
entrambi.
Il compito essenziale di questo tipo di intervento è quello di permettere all’atleta o alla squadra di sfruttare
tutto il potenziale mentale a disposizione per performare ai massimi livelli. A valorizzare questo tipo di
intervento sono i clienti stessi che considerano essenziale, per una buona performance, l’aspetto mentale.
Quali sono gli strumenti utilizzati dal counselor?
Gli strumenti utilizzati sono la relazione e le tecniche.
2. LA RELAZIONE
▪
Si parte dal concetto di organizzazione cognitiva personale che fa riferimento ad un’organizzazione dei
processi cognitivi personali grazie alla quale, pur vivendo in una realtà oggettiva, ogni individuo
costruisce attivamente il suo punto di vista “all’interno”, in modo del tutto soggettivo.
Da questo assunto si capisce come lo sviluppo individuale sia dato da due fattori di esperienza: uno
legato alla percezione di sé (esperienza interna) e uno legato all’ambiente fisico e relazionale
(esperienza esterna). Intorno a quest’asse sono individuabili 4 stili individuali detti: controllanti,
distaccati, contestualizzati e normativi. Questi stili sono importanti poiché vengono portati all’interno
della seduta dall’atleta e costituiscono una base per la formazione delle relazione.
Analizzando più nel dettaglio gli stili che caratterizzano una relazione è possibile individuarne di 4
tipologie:
o Altruista, in cui l’individuo si affida alle proprie tonalità emotive e razionali per entrare in
relazione. E’ un individuo responsabile che trova gratificazione nella propria umiltà.
o Creativo, costruisce il mondo con cui si confronta e da cui cerca continue gratificazioni e
conferme. Si relaziona in maniera sempre nuova per soddisfare le esigenze altrui. Questo lo
porta ad essere instancabile e determinato.
o L’esploratore, è operativo, pratico e affidabile negli eventi di vita. Vive della continua
esplorazione, curiosità e ricerca di riferimenti sicuri e tranquillizzanti.
o Negoziatore, perfezionista che utilizza strategia e pianificazione. Si basa molto sulla razionalità
e la utilizza nella vita quotidiana.
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Questi stili possono essere visti su un continuum poiché si intervallano all’interno di un individuo che entra
in relazione.
▪
Proprio dalla relazione è possibile introdurre il concetto di sistemi motivazionali interpersonali,
all’interno dei quali è possibile leggere il comportamento sociale, l’esperienza emozionale e le
rappresentazione di sé con gli altri.
Questi sistemi sono 5:
o Attaccamento, esprime la percezione di vulnerabilità e incapacità ed è caratterizzata da
emozioni di sicurezza, fiducia e conforto se si raggiunge l’obiettivo e rabbia in caso contrario.
o Accudimento, esprime richiesta di protezione con emozioni di gioia se l’obiettivo è raggiunto e
colpa in caso contrario.
o Agonistico-rituale, competizione per risorse ridotte con una continua percezione di segnali di
sfida con emozioni trionfo e potenza se l’obiettivo è raggiunto e collera o vergogna in caso
contrario.
o Cooperativo, appartenenza al gruppo per il vantaggio comune in cui le emozioni sono di
empatia e realtà in caso di successo e senso di colpa, isolamento nel caso di fallimento.
o Sessuale, stimoli biologici, con emozioni di piacere se l’obiettivo è raggiunto e pudore in caso
contrario.
All’interno di questi scenari emotivi si deve muovere la relazione counselor-atleta, in un sistema di continua
cooperazione in cui il counselor deve avere consapevolezza anche dei propri stati emotivi.
▪
Un ulteriore concetto utile per leggere la relazione è l’alleanza terapeutica, vista come un continuo
processo di cambio counselor-atleta al fine di sviluppare e potenziare l’atleta stesso.
3.
LE TECNICHE
Sono utili e hanno valenza solo se utilizzate strategicamente in seduta. Compito iniziale del counselor è
introdurre le tecniche conosciute dall’atleta e insieme decidere quali, come e quando utilizzarle. Altre
tecniche invece prevedono l’insegnamento da parte del counselor e verranno utilizzate solo dopo il loro
apprendimento da parte dell’atleta.
Tra le tecniche più utili troviamo:
▪
▪
▪
Goal setting, l’area di scelta degli obiettivi diventa fondamentale nello sport, dove per migliorare le
abilità e la fiducia degli atleti, diventa fondamentale puntare sulla motivazione.
Il goal setting dovrebbe funzionare attraverso la formulazione di obiettivi specifici (mai generali),
formulati sul breve termine. La formulazione degli obiettivi è efficace solo se c’è un continuo feedback
che evidenzi i progressi raggiunti.
Self talk, gli atleti attuano spesso un intenso dialogo con se stessi e generalmente viene considerato che
le parole, frasi o immagini positive possano svolgere una funzione positiva sulla percezione di efficacia
che l’atleta ha di se stesso. Il self talk fatto dal counselor si attua suggerendo parole-stimolo che
aiutano l’atleta a focalizzarsi sull’obiettivo.
Visualizzazione, si parte dall’assunto che creare un’immagine possa determinare un cambiamento
corporeo e comportamentale. In ambito sportivo viene definita come la rappresentazione
immaginativa del programma e delle singole sequenze motorie da eseguire nei diversi momenti della
performance (es. gli atleti del salto in alto ripetono mentalmente e gestualmente tutti i movimenti
prima del salto). Nella pratica si parte dal rilassamento per poi guidare gli atleti nella rappresentazione
mentale di immagini sempre più complesse. Più le scene immaginative sono accurate maggiori
potranno essere i vantaggi. Tecniche simili sono il sogno guidato e la visualizzazione creativa.
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▪
▪
▪
Gestione dell’ansia e dello stress, nello sport l’ansia è un insieme di reazioni dettate da sentimenti di
tensione, pensieri spiacevoli e reazioni fisiologiche. Ciò che conta maggiormente è la valutazione
dell’ansia fatta dall’atleta. La valutazione genera 3 tipi di evoluzioni:
o Di minaccia
o Di danno e perdita
o Di sfida. Solo quest’ultima permetterà all’individuo di mettere in atto le proprie risorse e
capacità più efficacemente.
Peak performance, esperienza di uno stato psicofisico particolare in cui si ha la sensazione di avere il
controllo su tutte le parti del proprio corpo e della mente. L’atleta è completamente assorbito dalla
prestazione e l’emozione prevalente è la gioia e l’estasi: l’emozione perfetta. E’ possibile programmare
un training per ottenerla. In questo training si punta su:
o Motivazione intesa come desiderio di raggiungere prestazioni eccellenti.
o Capacità di costruire una propria strategia individuando gli obiettivi come immagini mentali
o Capacità di utilizzare il rilassamento per regolare lo sforzo
o Capacità di immaginare prestazioni eccellenti.
o Capacità di mantenere equilibrio atletico, inteso come capacità di mantenere per lunghi periodi
uno stato di prontezza fisica e mentale.
Approcci complessi, tecniche più strutturate e organizzate come:
o Body mind mastrery, esercizi mentali, fisici di consapevolezza per lo sviluppo del talento
o Co-coaching, sistema per il cambiamento di stile di vita a partire dalle proprie risorse
o Gimnasia cerebral, esercizi fisici e mentali per migliorare l’apprendimento attraverso le
emozioni
CAPITOLO 5 – IL COUNSELING COGNITIVO IN ETA’ EVOLUTIVA
1. COGNITIVISMO CLINICO, ATTACCAMENTO E COSTELLAZIONI SINTOMATOLICHE-INFATILI
Parlando di modelli cognitivo-comportamentali nell’età evolutiva (bambino) è necessario fare riferimento a
due aspetti teorici e clinici di questo grande filone:
▪
▪
In una prima ottica si analizzano gli aspetti organizzativi del sistema conoscitivo umano. L’essere umano
è un sistema conoscitivo complesso che continua a costruire e ordinare la realtà. Su questo si basa sia
l’assessment che l’intervento.
In un’ottica evolutiva l’enfasi è posta sugli aspetti evolutivi della conoscenza umana. Il comportamento
umano è comprensibile solo attraverso la costruzione della continuità e coerenza dei processi di
sviluppo del soggetto.
Un counselor cognitivista valuta il bambino come attivo e incessante organizzatore ed elaboratore di
significati personali su di sé e sul mondo.
Da dove nascono i sintomi?
Partendo dalle origini degli studi sul bambino le scienze cognitive hanno analizzato i M.O.I (modelli
operativi interni) definendoli come sistemi di memoria in forma di schemi senso-motori e immagini
sensoriali. Ogni itinerario nello sviluppo e ogni relazione tendono a modificare tali schemi.
Ne consegue che la salute e le eventuali patologie del bambino siano da ricercarsi nei suoi legami affettivi.
▪
In una prima definizione i sintomi sono mezzi specifici volti al manteniamo dello stato di relazione con il
caragiver.
▪
Una definizione più recente di sintomi pone l’accento sulla strategia di regolazione delle emozioni:
laddove nel bambino c’è un sintomo, c’è una particolare area emotiva scarsamente riconosciuta e
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articolata in un legame con la figura di attaccamento che non ha la capacità di comprendere
empaticamente questi stati. In parole povere i sintomi si sviluppano nelle aree di esperienza non
adeguatamente elaborate.
Da questa teoria è possibile individuare i processi fondamentali che determinano o influenzano la
possibile di regolare uno stato emotivo:
o Capacità di riconoscerlo
Per il counselor sarà importante
o Capacità di ricollegarlo
comprendere in quali di questi processi
o Capacità di attribuirgli un nome
il bambino presenta maggior difficoltà
o Capacità di differenziarlo da altri stati emotivi
o Capacità di esprimerlo adeguatamente
I bambini che non hanno mai avuto modo di rapportarsi con i genitori in merito a stati di paura sviluppano
spesso ansia come stato disorganizzato.
L’ansia generata da paura tuttavia non è la sola. Esistono infatti disturbi d’ansia di separazione nell’infanzia
e sindromi d’ansia sociale dell’infanzia.
2. IL CONSELING IN ETA’ EVOLUTIVA
Nei servi pubblici è molto attiva un’attività di primo livello, ovvero quella di diagnosi e di consulenza.
Risultano invece carenti percorsi di terapia e di consulenza.
La consulenza in quest’ambito risulta molto complessa poiché, oltre ad essere limitata nel tempo, si muove
in un campo di relazioni ed emozioni (nel nucleo famigliare) ancora in completa costruzione. E’ indicato
quindi non parlare di malattie e sofferenza ma piuttosto di evoluzione del nucleo famigliare.
lavorando con bambini è opportuna inoltre una restituzione alla famiglia sia in termini di progressi che di
processi comunicativi; il counselor, dopo aver instaurato un rapporto con il bambino può educare i genitori
ad un buon rapporto.
3. L’ALLENZA DI LAVORO: IL COUNSELOR “BASE SICURA”
Il bambino rappresenta un paziente atipico e imprevedibile, con cui le regole del setting formulate per
l’adulto sono poco utili e non sempre efficaci. Il lavoro del counselor risulta ancora più complesso poiché si
snoda anche verso le figure genitoriale con le quali sarà necessario costruire fin da subito un clima positivo,
evitando svalutazioni o atteggiamenti giudicanti. Il percorso di counseling sarà strutturato in modo da
offrire ai loro il massimo grado di libertà e di valutazione in modo da facilitarli nello sperimentare
alternative comportamentali e cognitive. In caso contrario ci sarà resistenza.
Come si lavora con il bambino?
Se si analizzano le competenze che un counselor dovrebbe possedere per lavorare con bambini queste
sarebbero sicuramente:
▪
▪
▪
Mantenere un orientamento percettivo di fondo, ovvero cercare di cogliere sempre le richieste e i
segnali impliciti del bambino. Dovrebbe quindi essere in grado di interpretare i segnali sia del
bambino che dei genitori.
Atteggiamento empatico in modo da comprendere meglio la posizione del cliente. La
sintonizzazione affettiva aiuta il bambino a riconoscere i propri stati interiori, i propri sentimenti e
le proprie sensazioni come condivisibili con gli altri.
L’empatia del counselor è il nucleo centrale della seduta poiché riprende il tipo di atteggiamento
della madre con il figlio.
Nella fase di assessment iniziale è possibile che il counselor debba avere in seduta entrambi i
genitori in modo da comunicare, fin dall’inizio, le richieste di coinvolgimento diretto alla famiglia.
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Generalmente viene fatto anche per far sì che il figlio avverta che entrambi i genitori sentono la
difficoltà, vi partecipano e offrono il loro contributo.
4. DEFINIZIONE DEL PROBLEMA E ANALISI FUNZIONALE DEL SINTOMO
Quando i genitori arrivano alla consultazione di un counselor lo fanno principalmente perché non riescono
a dare un senso a comportamenti, reazioni emotive e somatiche del figlio. I genitori attribuiscono a questi
problemi un status di malattia, attribuendo all’esterno la causa scatenante.
Proprio per cercare di dare maggior consapevolezza alla famiglia viene utilizzato lo strumento dell’analisi
funzionale del sintomo, che aiuta a comprendere esso in funzione degli stimoli che lo generano e dai
rinforzi ambientali che lo seguono. L’importanza di questo processo è ricostruire le sintomatologie secondo
3 aspetti fondamentali:
▪
▪
▪
Antecedenti situazionali, aiuta i genitori a descrivere il contesto ambientale in cui il sintomo ha
luogo.
Comportamenti problematici, il genitore osserverà che cosa fa e cosa dice il figlio in tali situazioni.
Conseguenze ambientali, analizzando, con il terapeuta, le conseguenze del sintomo, i genitori
possono ampliare i margini di consapevolezza riguardo al ruolo che essi giocano nel suo
mantenimento.
Utilizzare questo tipo di analisi permette di orientare il lavoro verso l’esplorazione di segnali di fragilità, di
tristezza e insicurezza nel bambino connessi al rapporto con il caragiver.
5. ANALISI STORICA DEL SINTOMO
Anche l’analisi storica del sintomo assume la sua rilevanza in seduta. Compito del terapeuta sarà quello di
assistere la coppia genitoriale nelle ricostruzione dei momenti che si collocano intorno all’esordio del
sintomo, prima, durante e anche dopo la specifica fase di insorgenza. In questo modo si facilita la
ricostruzione delle loro specifiche attribuzioni di significato agli eventi.
Tuttavia: il terapeuta deve tenere in considerazione gli sbilanciamenti affettivi che possono influenzare la
visione del problema del figlio.
6. LE TEORIE NAIVES DELLA SOFFERENZA
Così come il counselor anche i clienti formulano e sviluppano teorie e modi per affrontare i loro problemi.
Tali teorie dette naives (ingenue) guidano il loro atteggiamento nei confronti del cambiamento in generale
e della terapia in particolare. Queste teorie, sebbene ingenue, sono da considerarsi fondamentali per lo
sviluppo del percorso di counseling. Il loro riconoscimento e l’analisi congiunta con i genitori delle teorie sul
problema del figlio sono uno strumento utile al counselor per capire la situazione di base.
Queste teorie molto spesso differiscono tra i membri della famiglia poiché diversi sono i punti di vista sul
problema. Interessante in questo caso è far interagire i membri della famiglia al fine di osservare sia le
dinamiche famigliari sia il tipo di spiegazione del problema che tende ad essere dominante.
Spesso osservare il modo in cui un individuo si rappresenta il cambiamento e gli eventuali impedimenti a
esso connessi, ci offre uno spiraglio per le esplorazioni delle aree del sé percepite come minacciate.
7. IL COUNSELOR COME PERTURBAZIONE AFFETTIVAMENTA ORIENTATO
Quali sono gli aspetti fondamentali in un setting di lavoro con un bambino?
▪
L’età del bambino, le sue competenze cognitive, emotive e sociali. L’approccio cognitivista tende a
considerare i disturbi infantili come disturbi della relazione, quindi più il bambino è piccolo più i
sintomi saranno evidenti. Infatti i M.O.I e l’attaccamento che il bambino sviluppa verso le figure di
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▪
▪
riferimento è fortemente influenzato dalle variazioni nel modo in cui i genitori trattano il figlio
stesso.
La capacità di lettura interna dei genitori nei confronti dei problemi del figlio
Un altro criterio utile a orientare il setting riguarda i fronti relazionali, ritenuti importanti poiché
strettamente collegati ai sintomi del bambino.
In che modo si dovrebbe attuare la riformulazione?
In primo luogo la riformulazione dovrebbe presentarsi come ridefinizione interna del problema presentato.
Per fare ciò il counselor deve cercare di rendere esplicite le dimensioni di significato personale entro le
quali bambino e genitori ordinano la loro realtà. In altre parole si cerca di far trovare ai diretti interessati la
connessione tra sintomi ed eventi di vita.
La riformulazione dovrebbe rappresentare una ridefinizione di tipo affettivo del problema, in modo da far
leva sulle risorse del bambino e dei genitori nonché su una visione della situazione in chiave affettiva. La
riformulazione è anche un’opportunità di crescita.
In altri termini una buona riformulazione dovrebbe portare ad un cambiamento, visto come un processo
graduale di ricostruzione, insieme ai genitori e al bambino, del senso affettivo che il sintomo cerca di
veicolare.
CAPITOLO 6 – IL COUNSELING SESSUALOGICO: UNA PROSPETTIVA NARRATIVA
1. LA SESSUALITA’ UMANA
Le scienze sessuologiche non sono ancora riuscite a chiarire e definire quali siano i reali confini dell’oggetto
di studio e quale sia la miglior metodologia da utilizzare.
Tuttavia alcuni punti di questa attività risultano ben definiti; per aiutare un cliente a orientarsi in un campo
complesso della sua esperienza è necessario che il counselor possieda una ragionevole teoria di base, abbia
la capacità di riconoscere in se stesso le dimensioni della sessualità e sappia infine costruire un discorso
condiviso sul tema .
Esistono numerosi approfondimenti sull’argomento:
▪
▪
Nell’approccio evoluzionista il comportamento sessuale si iscrive negli studi nella relazione tra
mammiferi, più nello specifico nei primati.
La sessualità viene vista come sistema motivazionale interpersonale, una sorta di mandanti biologici
che ci guidano nella gestione delle relazioni sociali con gli altri individui. In questo senso la sensualità
viene vista come necessaria per costruire e mantenere i legami di coppia.
Se si parla invece di dimensioni della sessualità facciamo riferimento a tutte le dimensioni che
condividiamo con i nostri simili, tra cui:
o La dimensione riproduttiva: le persone hanno la capacità di vivere l’esperienza sessuale
escludendo la dimensione riproduttiva dalla loro finalità ultima. La sessualità chiaramente non si
riduce al solo “generare” ma il vissuto di un maschio e di una femmina della nostra specie
mentre si accoppiano non può ignorare la prospettiva della paternità e maternità.
o Dimensione ludica (fare sesso): è possibile, ricollegandoci al punto precedente, avere una
sessualità rivolta soltanto al gioco e ad un benessere.
o Dimensione sociale, il corteggiamento e l’accoppiamento possono assumere il ruolo di segnali
sociali per manifestare la loro disponibilità a costruire un legame durevole nel tempo.
o Dimensione semantica (fare l’amore), l’esperienza sessuale è un’occasione di conoscenza
incorporata di sé e dell’altro.
o Dimensione narrativa (avere una storia insieme), in quanto gli esseri umani sono spinti dal
desiderio di raccontare sempre chi sono.
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o
Dimensione procreativa, la sessualità può trasformare una storia d’amore in un atto creativo.
Questa dimensione rappresenta un cambiamento di vita poiché si arricchisce di nuovi significati
scaturiti dalla nascita di un figlio.
2. I DISTURBI SESSUALI
E’ possibile prima di tutto fare una distinzione tra disturbi sessuali sostenuti da un deficit e disturbi sessuali
causati da una disfunzione. Questa differenziazione permette di individuare la consulenza più adatta.
I due concetti sopra indicati possono essere spiegati nel seguente modo:
▪
▪
Il concetto di disfunzione prevede l’esistenza della competenza o dell’abilità necessaria per il
conseguimento dell’obiettivo, ostacolata però da un’inferenza emotiva, cognitiva o interpersonale, sia
cosciente che inconsapevole. L’abilità c’è ma manca il contesto o l’emozione adatta e quindi c’è un
disturbo. In questo caso è opportuno insegnare al soggetto qualcosa che non conosce o metterlo nelle
condizioni di poter apprendere. Spesso problemi disfunzionali sono collegati con esperienze passate
(rapporto con la madre).
Il concetto di deficit prevede l’assenza parziale o totale della competenza fisica o mentale per
perseguire un obiettivo. In questo caso è necessario modificare il suo stato interno attraverso
un’occasione di cambiamento detta “esperienza correttiva”
3. OBIETTIVI E METODI DEL COUNSELING SESSUOLOGICO
Gli obiettivi del counseling sessuologico mirano ad aiutare persone in difficoltà ad assimilare le loro
conoscenze e trasformarle in stili di vita soddisfacenti e comportamenti responsabili. L’esperto di
counseling sessuologico cercherà di avviare un processo conoscitivo capace di affrontare le sofferenze in
corso o, nel casi più complessi, orientare il paziente verso un altro professionista.
Per quanto riguarda i metodi troviamo l’ascolto e la riformulazione in cui diventa fondamentale accentuare
l’atteggiamento empatico, visto l’argomento delicato di cui si sta trattando.
3.1 Il primo colloquio
La prima seduta assume un significato particolare perché permette a cliente e counselor di mostrare i
propri stili di relazione, di riconoscersi nei propri ruoli e di porre le prime regole alla relazione. Il primo
colloquio permette anche al cliente di sentirsi libero di parlare ad una persona completamente dedita ad
ascoltarlo. E’ qui che il cliente decide se fidarsi o meno del counselor.
All’interno del primo colloquio devono essere effettuate alcune operazioni di:
▪
▪
▪
▪
▪
▪
Attenzione cognitiva ed emozionali verso le richieste del cliente.
Attenzione alle sofferenze che il cliente esprime.
Attenzione alla motivazione al cambiamento da parte del cliente.
Attenzione alla sintomatologia rapportata al qui e ora.
Formulazione delle ipotesi relative alla diagnosi.
Verifica ed eventuale riformulazione degli obiettivi fissati dal cliente.
3.2 La restituzione
Già dalla fine del primo incontro il cliente o la coppia si aspetta/no qualche informazione o un
orientamento rispetto alla richiesta di aiuto che ha/no avanzato. Essendo impossibile proporre una diagnosi
verrà utilizzata una rielaborazione sintetica della descrizione delle sofferenze che sono state portate in
seduta. Solitamente alla riproposizione sintetica del racconto vengono aggiunti brevi rimandi teorici.
E’ importante che il cliente conosca già dall’inizio quali interventi potrebbero essere proposti dopo aver
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valutato il problema. Solitamente nella prima restituzione vengono proposte 4 possibili alternative: la
consulenza, la terapia sessuale mansionale, la psicoterapia breve orientata al trattamento del disturbo
sessuale o un’analisi cognitiva orientata allo studio del problema.
4. INTERVENTI DI COUNSELING SESSUOLOGICO
Offrire una consulenza sessuologica richiede la capacità di lavorare sulle connessioni tra le diverse discipline
e di assumere decisioni complesse in tempi molto brevi.
Come in ogni attività di counseling è opportuno tentare una ridefinizione positiva del disturbo, per esempio
sottolineando come il sintomo possa essere un invito al cambiamento e dunque possa rivalersi utile anche
se produce sofferenza.
In un colloquio di questo genere i casi possono essere i più svariati: dai disturbi sessuali all’abuso di minori
alle difficoltà nella scelta di metodi contraccettivi alle problematiche di coppia fino ai disturbi della
gravidanza.
In questi ambiti il counselor può condurre personalmente o in equipe:
▪
▪
▪
Un intervento orientato a informare
Un intervento orientato a sviluppare conoscenze
Un intervento orientato a costruire reti sociali di sostegno
4.1 L’invio ad altri specialisti
Come già indicato la seduta di counseling sessuologico può essere integrata con altre discipline;
▪
▪
▪
▪
La terapia sessuale integrata propone un’esperienza significativa al cliente che, alla luce di nuovi
argomenti trattati con il terapeuta, invalida le proprie teorie disfunzionali,
La psicoterapia focalizzata sul disturbo sessuale prevede che il paziente sviluppi una diversa lettura
del suo disturbo.
La psicoterapia cognitiva in cui il fenomeno viene trattato come uno scompenso in ambito
cognitivo.
La visita medica specialistica, presso ginecologo/andrologo/urologo per trattare gli aspetti più
collegati all’ambito medico.
4.2 L’intervento educativo
Spesso il cliente non ha le conoscenze adeguate a gestire la propria vita sessuale. Compito del counselor è
metterlo in condizione di apprendere ciò che ancora non sa. Tuttavia questa forma di apprendimento può
avere delle complicazioni in merito a:
▪
▪
▪
L’interazione con il cliente.
Il modo con cui i contenuti vengono esposti.
Le complesse sequenze narrative che il cliente deve adottare in un ambito così delicato.
La relazione educativa dovrebbe essere:
▪
▪
▪
▪
Biunivoca poiché cliente e counselor devono percorrere insieme un cammino in cui possano
educarsi l’un l’altro.
Relazione asimmetrica poiché l’intervento educativo deve essere sbilanciato verso il cliente.
Relazione significativa poiché deve essere orientata a generare possibilità nuove per il futuro
attraverso la condivisione di un racconto.
Relazione emozionante poiché si propone di generare conoscenza attraverso le emozioni.
Per creare questo tipo di relazione è necessario essere emozionati.
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Quest’ultimo punto è il più delicato per varie ragioni:
▪
▪
L’emozione da esprimere è complessa poiché legata ad un tema come il sesso. Di conseguenza il
sentimento più adatto dovrebbe proprio essere il piacere sessuale, da utilizzare nel modo adatto a
seconda del contesto.
Un secondo problema è il modo con cui si può generare l’emozione che sostiene il piacere sessuale.
E’ tuttavia semplice poiché basta costruire con la mente la scena che si vuole raccontare e metterla in
azione, evitando tuttavia di coinvolgere nella scena il cliente. Non si possono provare emozioni sessuali
nei suoi confronti. Una seconda regola suggerisce di non utilizzare un “film” che vede il counselor
stesso come protagonista.
Con che criterio si scelgono i contenuti di una seduta?
Per ogni conoscenza che il counselor vuole trasmettere è necessario prevedere almeno 4 ordini di
significato:
▪
▪
▪
▪
Fase del desiderio: l’atto di desiderare di fare sesso è funzione di vari segnali interni ed esterni, attivi, a
livelli diversi durante tutto il ciclo di vita. La maturazione attiva l’appetito sessuale che spinge
l’individuo alla ricerca di un partner. E’ tuttavia un segnala intermittente poiché non c’è sempre la
volontà, da parte di entrambi i partner, di fare sesso nello stesso momento.
Tuttavia: il desiderio è anche frutto di pensieri ed emozioni che la mente produce in modo spontaneo,
rielaborando nel tempo eventi, immagini, sensazioni e aspettative e significati. Quindi il cervello è in
grado di produrre e modulare il desiderio sessuale anche in assenza di un input ambientale.
Fase dell’eccitazione: da un punto di vista fisiologico il passaggio a uno stato di eccitazione è
determinato da una risposta fisiologica in entrambi i partner. A tali eventi si accompagna una
sensazione soggettiva di piacere in tutto il corpo. Per un cliente con disturbi in questa fase è necessario
fornire informazioni riguardo:
o L’eccitazione, diversa in maschio e femmina
o Non essere eccitati prima o durante l’amore non significa non essere più attratti dal partner né
essere troppo vecchi per avere una vita sessuale.
o L’eccitazione è il frutto sia degli stimoli ricevuti dagli organi genitali (eccitazione riflessa) che
dalle emozioni provate durante l’atto (eccitazione psicogena).
o In giovane età l’eccitazione psicogena precede spesso quella riflessa. Con il passare del tempo
la situazione si capovolge.
Fase dell’orgasmo: l’eccitazione tende man mano ad aumentare producendo tensione fisica ed emotiva
che si profila come altamente desiderabile. L’esperienza dura per entrambi pochi secondi. E’ utile che i
clienti siano informati in modo semplice sulla natura di questa esperienza, sfatando falsi miti sociali.
Alcune informazioni di base potrebbero essere:
o L’orgasmo è un’attività muscolare involontaria
o La stimolazione della vagina e quella del clitoride producono lo stesso tipo di risposta
muscolare. Il focus dell’orgasmo femminile ha sede nei tessuti vaginali.
Fase di risoluzione: è la fase che segue l’orgasmo e comporta, nel maschio, l’impossibilità temporanea
di compiere una nuova fase di eccitazione sessuale. Il principale problema legato a questa fase è
determinato dal fatto che con l’età il periodo tra un’eiaculazione e la successiva erezione tende ad
aumentare. Questo può essere vissuto negativamente da una coppia abituata ad avere una vita
sessuale attiva.
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CAPITOLO 7 – IL COUNSELING AZIENDALE
1. AMBITI DI INTERVENTO
I continui rinnovamenti e cambiamenti nelle aziende, al fine di essere sempre competitive, possono essere
vissuti dalle persone con inquietudine e angoscia. Questo ha spesso ripercussioni a livello prestazionale.
In quest’ambito il processo di counseling riguarda principalmente la crescita e il cambiamento. Nel processo
il cliente deve acquisire maggiore consapevolezza di sé, chiarire i propri punti di forza e debolezza e
responsabilizzarsi riguardo il proprio contributo al gruppo di lavoro.
Le aree di intervento possono essere riassunte in:
▪
▪
▪
▪
Supporto e accompagnamento nell’ingresso in azienda.
Empowering personale
Supporto nei momenti di cambiamento aziendale
Supporto e accompagnamento in fase di uscita (pensionamento)
2. COUNSELING E COMPETENZE
In un contesto aziendale l’intervento di counseling non può essere scisso dal concetto di competenza. Il
counseling è infatti lo strumento adatto ad agevolare da un lato i processi di crescita professionale
individuali dentro l’organizzazione, dall’altro a creare una cultura organizzativa che favorisca il
cambiamento.
E’ importante verificare che in azienda non si facciano usi scorretti del counseling, ovvero:
▪
▪
▪
▪
Raccogliere informazioni personali e confidenziali non richieste sui dipendenti.
Costruire politiche motivazionali
Coprire azioni disciplinari
Creare un’immagine fasulla dell’azienda
Che strumenti si utilizzano?
Uno strumento molto potente è il bilancio delle competenze, un’occasione di lavoro sula globalità della
persona che viene sostenuta e guidata dal consulente verso un bilancio delle proprie scelte professionali in
vista di un processo di sviluppo. Questo rappresenta un momento importante poiché il cliente potrà
riflettere su di sé e sui motivi e le circostanze che lo hanno spinto a prendere determinate decisioni.
I bilanci sono di varie tipologie poiché si avvalgono di strumenti diversi e anche fini diversi.
3. APPRENDIMENTO E COUNSELING
Le organizzazioni che intendono prosperare nel tempo non posso mirare al cambiamento senza il
contributo di tutti i membri del sistema. Il contributo permette alle persone di autorealizzarsi in ambito
aziendale. L’autorealizzazione viene oggi vista come un nuovo concetto di competenza, focalizzato sullo
sviluppo e il potenziamento delle abilità aziendali.
Ne risulta che un individuo competente modifica attivamente il proprio contesto, portando vantaggi
all’intera azienda.
Importante è quindi la formazione aziendale di un individuo. Formazione che non deve essere solo
orientata ad offrire informazioni e linee guida sulla crescita personale, ma deve sostenere gli individui
nell’accrescimento del loro capitale intellettuale e comportamentale attraverso la consapevolezza.
In un’azienda ognuno ha qualcosa da imparare e da insegnare e gli insieme di tutti gli individuo costituisce
la Learning organization in cui il counselor è super partes essendo una figura di riferimento per tutti.
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4. L’ANALISI TRANSAZIONALE
Si tratta di una teoria delle personalità utilizzata come strumento per comprendere meglio fenomeni
comunicativi, del strutturazione delle personalità, del cambiamento e della crescita degli individui.
In ambito aziendale viene utilizzato per leggere e interpretare la cultura e il copio dell’impresa. Nelle
organizzazioni infatti è possibile osservare degli stati simili a quelli dell’io:
▪
▪
Si creano regole e norme che corrispondono allo stato genitoriale
Si generano schemi di comportamento ed emozioni che corrispondo allo stato bambino
Questa lettura dell’azienda mette in evidenza aspetti inconsapevoli, non costruttivi per l’azienda e che, nei
casi più estremi può rivelare se e in che modo l’azienda si sta autodistruggendo.
CAPITOLO 8 – IL COUNSELING ONLINE
1. SVILUPPO STORICO DI NUOVE TECNOLOGIE
Il ruolo delle nuove tecnologie ha modificato radicalmente molti aspetti della vita sociale riducendo le
distanze spaziali e temporali e diventando a tutti gli effetti parte della vita quotidiana.
I concetti di comunicazione e interazione si sono evoluti e ampliati in modo considerevole permettendo
attività impensabili nel secolo scorso.
Le nuove tecnologie portano la psicoterapia e la psicologia nella condizione e nelle necessità di un
cambiamento. Cambiamento spinto dalle nuove condizioni ambientali e dalla nuove richieste e problemi da
affrontare.
L’operatore e l’utente interagiscono oggi attraverso molteplici modalità di comunicazione, sempre più
spesso online. Le aree dei nuovi interventi (online) saranno quindi sempre più disponibili e guadagneranno
sempre più attenzione.
2. IL MULTIVERSO DELLA RETE
All’interno dei servizi di salute in rete esistono molte differenze che di distribuiscono a seconda del livello di
interattività del servizio.
Esistono 3 livelli:
▪
▪
▪
Livello A, il livello inferiore in cui si trovano le applicazioni con un’interazione minima o del tutto
assente. Sono siti psicoeducazionali in cui il paziente è il solo attivo che cerca autonomamente
informazioni. Può essere efficace nel cambiamento di alcuni comportamenti legati al fumo o
all’attività fisica. Questo livello è adatto a utenti esperti che sanno districarsi all’interno dei servizi
online.
Livello B, in cui vi è un contatto asincronico mediato dal computer. Ne sono un esempio i gruppi di
supporto online e alcune forme di terapia online. I primi richiedono un moderatore per eliminare
eventuali messaggi indesiderati.
Livello C, riguarda i servizi veri e propri di counseling in cui il professionista interagisce con il cliente
in una interazione attraverso uno scambio sincronico e asincronico. Sono un esempio gli interventi
web-based come la e-therapy o il web counseling. Gli strumenti usati in questo livello possono
essere le mail, di tipo asincronico, le chat e le videoconferenze.
3. UNA DEFINIZIONE DELL’AMBITO
In primo luogo è importante capire cosa si intende per “counseling online” e a riguardo è utile distinguere
tra Face to face comunication che richiede la presenza fisica di almeno 2 persone, e Computer mediated
comunication in cui le persone coinvolte possono essere in luoghi differenti e comunicare in modo
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sincronico e asincronico.
la defezione più corretta di counseling online riguarda ogni servizio elettronico fornito attraverso internet
che spazia da prodotti informativi fino a servizi professionali. Ogni servizio offerto spazia dalla salute fisica a
quella mentale e viene effettuato da un professionista qualificato ad un cliente in un setting non face to
face, in cui si usano strumenti digitali sincronici e asincronici.
3.1 Criticità e risorse
Molte sono tuttavia le criticità mosse a questo tipo di attività:
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In primo luogo vi è assenza di interazione reale, considerata una limitazione sia dal punto di vista di
setting che di relazione
Vi è l’assenza dell’area non verbale del cliente da cui il counselor solitamente estrapola numerose
informazioni.
In caso di emergenza l’anonimato può risultare un serio problema per la seduta.
Essendo internet un mezzo senza barriere i servizi possono essere aperti a differenti nazionalità.
La possibilità di cadere in truffe o in mancanza di professionalità è elevata,
A riguardo la mancanza di informazioni verbali viene rivista in termini vantaggiosi poiché il terapeuta non
deve concentrarsi sul dare un’impressione positiva del sé e della propria competenza. Inoltre esistono altre
forme per veicolare sensazioni, emozioni e stati d’animo, come ad esempio il cambio di carattere
(maiuscolo) o l’utilizzo di emoticon che possano far trasparire le emozioni provate.
E’ possibile tuttavia trovare anche delle potenzialità da questo tipo di attività:
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Una maggior possibilità di accesso ai servizi, sia in termini di orari che di tipologie di utenti che
difficilmente giungerebbero ad un’attenzione clinica
Possibilità anche da parte sia del counselor che del paziente di rileggere le seduta.
3.2 L’efficacia
Un primo livello per valutare l’efficacia di questo servizio è verificare la soddisfazione degli utenti e degli
operatori che ne hanno usufruito. Da ciò è emerso che gli utenti hanno percepito un’ottima utilità dei
servizi offerti e anche un buon livello di soddisfazione dei benefici ricevuti. Diverso è invece il giudizio degli
operatori che hanno ritenuto nettamente inferiore il servizio online da quello d’ufficio.
Per quanto riguarda gli utenti la fascia maggiormente interessata sembra essere quella dei giovani adulti.
4. LA RELAZIONE TERAPEUTICA
Uno degli aspetti più importanti da valutare in questo tipo di counseling è quello della relazione
terapeutica, nelle sue fasi di costruzione, mantenimento e rottura. E’ necessario verificare se l’assenza di
informazioni non verbali possa avere un impatto negativo sulla relazione. Non esistendo strumenti efficaci
questo tipo di verifica non può ancora oggi essere confermata o meno.
Tuttavia oggi si conoscono meglio i pazienti che si rivolgono a questo servizio. Un grande fenomeno è la
tendenza da parte di questi utenti a dire e fare cose che generalmente non farebbero in un contesto reale.
Questo fenomeno è definito disinhibition effect e rappresenta un fattore importante in termini di apertura
personale nell’interazione online. Questo effetto può favorire, se ben gestito, la relazione e il passaggio di
informazioni. L’effetto potrebbe essere determinato da:
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Dall’anonimato dissociativo, ovvero la possibilità di nascondere una parte della propria identità.
In secondo luogo il mondo online permette alle persone di essere invisibili e quindi mettere in
secondo piano aspetti riguardanti le differenze di età, genere, etnia, stato sociale e quant’altro.
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Dall’asincronicità che permette di rispondere a un messaggio dopo aver valutato la propria
risposta, senza nessun tipo di pressione.
5. LA RICERCA IN INTERNET
La ricerca scientifica sta sempre più analizzando le potenzialità e i limiti della rete.
Internet e i nuovi mezzi di comunicazione ad esso legati hanno richiesto la ridefinizione di alcuni aspetti
metodologici sia nella pratica che nelle ricerca stessa.
Ciò che emerge da studi recenti è che la popolazione anziana tende ad utilizzare le nuove tecnologie per la
salute tanto quanto i giovani. Vanno quindi ridefiniti i concetti di popolazione e campione di riferimento. In
questo senso il vantaggio di internet è la possibilità di raccogliere un elevatissimo numero di dati con il
minimo sforzo; i soggetti infatti compiano direttamente gli strumenti e i dati vengono direttamente inseriti
in un database. Una criticità può essere la validità del questionario poiché non è possibile determinare se il
soggetto stia rispondendo con pertinenza o meno.
Altro aspetto interessante è la possibilità di somministrare, attraverso internet, nuovi strumenti ad un
pubblico volontario sempre maggiore, aumentando a dismisura il campione di soggetti.
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