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Gavinelli chirurgo

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Maurizio Gavinelli. Chirurgo generale e vascolare, della Scuola di Chirurgia d’Urgenza dell’Università di Milano. Già Primario di Chirurgia Generale e Vascolare e
professore a contratto nelle Università di Milano, Brescia, Pavia e Varese. Consulente Tecnico del tribunale e della procura di Milano. ([email protected])
Matteo Marchesi. Medico legale, dirigente medico dell’ASST Papa Giovanni XIII
di Bergamo e coordinatore del Secondo Raggruppamento per la Gestione dei
Sinistri della Regione Lombardia. Professore a contratto nell’Università di Milano-Bicocca per i corsi di laurea in Medicina e Chirurgia, Ostetricia e Fisioterapia.
([email protected])
ISBN 978-88-9385-243-2
www.editrice-esculapio.it
Gavinelli Copertina ok.indd 1
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M. Gavinelli - M. Marchesi - LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE DEL CHIRURGO
L’attività del Chirurgo deve svolgersi tra gli intricati binari dei doveri e dei
divieti stabiliti dalle varie norme penali, civili e quelle derivanti dai codici deontologici, oltre che dai codici di comportamento aziendali. Quando si incorre in
una violazione delle regole si è chiamati a risponderne. La responsabilità nasce
dal mancato adempimento dei doveri, salvo che sia provata l’impossibilità di tale
adempimento per fattori inevitabili: in generale, le aspettative (non di rado, le
pretese) dell’utenza sono accresciute nel tempo, molto di più di quanto la Sanità
sia spesso in grado di offrire e di garantire. Con il progredire delle conoscenze
e delle competenze sanitarie è aumentata l’insoddisfazione verso le prestazioni
ricevute: infatti più attività si è chiamati a svolgere, più aumenta la probabilità
di cadere in errore e, più alternative vi sono, più cresce il rischio di non scegliere
quella più appropriata e di venire poi chiamati a rispondere della scelta adottata.
I Chirurghi sono oggi chiamati sempre più a prendere coscienza di questa problematica e ad affrontarla con lucida fermezza. Questo libro offre una sezione
generale, dedicata all’analisi dei vari principi e delle plurime regole della responsabilità professionale sanitaria, con i richiami di legge e dell’alta giurisprudenza,
e una sezione speciale, con numerosi casi-tipo peritali chirurgici, formulati ad
hoc sull’esperienza maturata nel corso degli anni di concreta pratica professionale
nell’ambito del contenzioso sanitario. L’opera, in definitiva, si propone di venir in
aiuto ai Colleghi per affrontare i problemi della responsabilità professionale, con
qualche timore in meno e qualche conoscenza in più.
Maurizio Gavinelli Matteo Marchesi
LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE
DEL CHIRURGO
CON CASI PERITALI SIMULATI
E COMMENTATI
25,00 Euro
19/03/2021 14:18:52
Maurizio Gavinelli - Matteo Marchesi
LA RESPONSABILITÀ
PROFESSIONALE
DEL CHIRURGO
con casi peritali simulati e commentati
ISBN 978-88-9385-243-2
© Copyright 2021
Società Editrice Esculapio s.r.l.
Via Terracini, 30 - 40131 Bologna
www.editrice-esculapio.com - [email protected]
In copertina: Find a doctor
Impaginazione: Laura Tondelli
Layout Copertina: Laura Tondelli
Stampato da: LegoDigit - Lavis (TN)
Printed in Italy
Le fotocopie per uso personale (cioè privato e individuale, con esclusione quindi di stru-menti
di uso collettivo) possono essere effettuate, nei limiti del 15% di ciascun volume, dietro pagamento alla S.I.A.E del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n.
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A chi sempre mi è vicino, la mia famiglia
e alla memoria dei miei Maestri
Vittorio Staudacher, Giuseppe Bevilacqua, Giorgio Tiberio
M.G.
Alla famiglia e ai maestri
M.M.
LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE DEL CHIRURGO
con casi peritali simulati e commentati
Maurizio Gavinelli, Matteo Marchesi
Maurizio Gavinelli
Laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Milano e specializzato in Chirurgia d’Urgenza e di Pronto Soccorso e in Chirurgia Vascolare.
Assistente poi Aiuto dell’Istituto di Chirurgia d’Urgenza e di Clinica Chirurgica
dell’Università di Milano, della Clinica Chirurgica dell’Università di Pavia in
Varese, Primario di Chirurgia Generale, di Chirurgia Vascolare e Responsabile
di Dipartimento d’Emergenza nell’Ospedalità Privata. Libero professionista.
Come Professore a contratto ha insegnato Chirurgia, Semeiotica Chirurgica, Tecnica Chirurgica, Radiologia, Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Medicina Legale nelle Università di Milano, Brescia, Pavia e Varese.
Autore di 5 libri e di circa 270 lavori scientifici tra articoli, capitoli di libri, relazioni e comunicazioni congressuali.
Consulente Tecnico del Tribunale di Milano per la Chirurgia Generale, Chirurgia d’Urgenza, Chirurgia Vascolare e Pronto Soccorso.
Matteo Marchesi
Laureato in Medicina e Chirurgia nel 2006 presso l’Università degli Studi di
Milano-Bicocca e specializzato in Medicina Legale e delle Assicurazioni nel
2011 presso l’Università degli Studi di Milano. È stato assegnista di ricerca nello stesso ateneo e redattore della rivista “Archivio di Medicina Legale e delle
Assicurazioni”. Dal 2014 è dirigente medico-legale nell’Azienda Socio Sanitaria
Territoriale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ove dal 2016 coordina il Comitato Valutazione Sinistri. Dallo stesso anno è Coordinatore medico-legale del
Secondo Raggruppamento della Regione Lombardia per la Gestione dei Sinistri,
comprendente le ASST Bergamo Est, Bergamo Ovest, Crema, Cremona, Franciacorta, Garda, Mantova, Papa Giovanni XXIII e Spedali Civili. È Professore a
contratto nell’Università degli Studi di Milano-Bicocca per i corsi di laurea in
Medicina e Chirurgia, in Ostetricia e in Fisioterapia. È membro della Società
Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni (SIMLA) e dell’Associazione
Medico-Legale Ambrosiana (AMLA). Autore di capitoli di libri e di più di 100
articoli scientifici su riviste nazionali ed internazionali.
INDICE
INTRODUZIONE
5
1 Parte generale: L'inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
nell'epoca della legge Gelli-Bianco
11
1.1
La prima parte della legge 24/2017 “Gelli-Bianco”: la sicurezza delle cure
12
1.2
La responsabilità professionale penale nell’ambito sanitario
15
Novità introdotte dalla legge Gelli-Bianco19
La responsabilità penale correlata all’informazione e al consenso20
La responsabilità d’équipe22
La responsabilità degli apicali24
La responsabilità dei Medici in formazione specialistica26
Cenni di procedura penale e garanzie dei CCNL28
1.3
La responsabilità civile sanitaria, nozioni di gestione dei sinistri nell’ambito sanitario
e nozioni sui contenziosi civili
31
Elementi fondamentali della responsabilità civile nell’ambito sanitario
e novità introdotte dalla legge Gelli-Bianco31
Novità introdotte dalla legge Gelli-Bianco33
La responsabilità professionale civile correlata all’informazione e al consenso35
La gestione dei sinistri nelle strutture sanitarie e le comunicazioni ex art. 13
della legge Gelli-Bianco37
Mediazione civile, ATP, CTU e artt. 8 e 15 della legge Gelli-Bianco 42
Colpa grave e azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa
ex art. 9 legge Gelli-Bianco48
1.4
Sintesi e raccomandazioni sulle novità introdotte dalla legge Gelli-Bianco
50
2 Parte speciale: Casi peritali simulati e commentati
55
2.1
Errori da evitare
55
2.2
Chirurgia laparoscopica
56
Caso 1 - Colecistectomia laparoscopica: lacerazione aorta addominale, exitus
56
Caso 2 - Colecistectomia laparoscopica: decesso per emorragia e sepsi
60
Caso 3 - Colecistectomia laparoscopica: sezione completa della via biliare
63
Caso 4 - Colecistectomia laparoscopica: lesione della via biliare da elettrocoagulazione
66
Caso 5 - Colecistectomia laparoscopica: indicazione dubbia, emoperitoneo, occlusione intestinale 70
Caso 6 - Colecistectomia laparoscopica: sezione completa del peduncolo epatico, exitus 75
Caso 7 - Emicolectomia destra laparoscopica, perforazione ileale, exitus
82
Caso 8 - Asportazione laparoscopica di massa annessiale: perforazione ileale, exitus
89
Caso 9 - Emicolectomia destra laparoscopica: errore tecnico, negato risarcimento spese mediche 94
Caso 10 - Colecistectomia laparoscopica convertita in open, perforazione duodenale, exitus 97
Caso 11 - Resezione colica laparoscopica, perforazione del colon trasverso (penale, civile)103
Caso 12 - Colecistectomia laparoscopica: perforazione del colon trasverso
112
Caso 13 - Termoablazione laparoscopica di epatocarcinoma: insufficienza epatica ed exitus 116
2.3
Appendicite acuta
125
Caso 14 - Appendicite acuta, shock settico, damage control surgery
125
Caso 15 - Appendicite acuta nell’infanzia: enterorragia post-operatoria
130
2.4
Chirurgia delle ernie
134
Caso 16 - Ernia inguinale strozzata, mancato trattamento, exitus (penale) 134
Caso 17 - Ernioplastica inguinale, lesione dello SPE
135
2.5
Chirurgia gastroenterologica
137
Caso 18 - Colecistite acuta alitiasica in cardiopatico, terapia medica, exitus
137
Caso 19 - Duodenocefalopancreasectomia (DCP) per pancreatite cronica autoimmune 144
Caso 20 - Rottura del pancreas in incidente motociclistico
Caso 21 - Ulcera gastrica perforata non diagnosticata, exitus (penale)
Caso 22 - Deiscenza completa di anastomosi colo-rettale, shock settico, exitus
Caso 23 - Resezione subtotale ileo-colica per subocclusione ileale, NE quoad vitam
Caso 24 - Occlusione ileale, fistola enterica e trattamento aperto
Caso 25 - Deiscenza di anastomosi colo-rettale, emoperitoneo, morte sul tavolo
Caso 26 - Diverticolite perforata del sigma, dimissione dal P.S, exitus (Penale)
Caso 27 - Impotenza dopo resezione del retto (IPAA) per proctocolite ulcerosa
Caso 28 - Resezione anteriore del retto per cancro, incontinenza urinaria e anale
Caso 29 - Neoplasia del trasverso: resezione colica non comprendente la lesione,
deiscenza anastomotica
Caso 30 - Colectomia subtotale per stipsi cronica, deiscenza anastomotica,
ileostomia su ansa efferente, lesione tracheale
Caso 31 - STARR per defecazione ostruita complicata da emorragia, ascesso, colostomia temporanea
2.6
Chirurgia endoscopica digestiva
Caso 32 - Perforazione duodenale post ERCP, pancreatite acuta, exitus
Caso 33 - Perforazione colica in corso di polipectomia endoscopica
2.7
Cancro dalla mammella
Caso 34 - Carcinoma mammario: ritardo diagnostico e progressione di malattia
Caso 35 - Falso negativo in corso di screening mammografico: assenza di danno
2.8
Chirurgia vascolare
Caso 36 - Aneurisma dell’aorta addominale rotto in attesa di trasferimento, exitus
Caso 37 - Dissezione aorta ascendente in P.S., exitus
Caso 38 - Trombosi precoce dopo TEA carotidea, grave danno neurologico
Caso 39 - Flebite vs ischemia acuta dell’arto, amputazione
Caso 40 - Ischemia intestinale da embolia mesenterica, dimissione da P.S, exitus
Caso 41 - Lesione dello SPE in corso di safenectomia
2.9
Miscellanea
Caso 42 - Pneumonectomia per neoplasia ilare, shock emorragico ed ischemia cerebrale
Caso 43 - Emoftoe in Pronto Soccorso, exitus
Caso 44 - Melanoma perianale, ritardo diagnostico, exitus
Caso 45 - Fascite necrotizzante (gangrena di Fournier) da ascesso perianale, exitus
Caso 46 - Tiroidectomia totale per struma, lesione bilaterale dei nervi ricorrenti
Caso 47 - Perforazione esofagea iatrogena in corso di bendaggio gastrico per obesità
Caso 48 - Disfagia dopo chirurgia bariatrica reiterativa
Caso 49 - Diagnosi tardiva di torsione del funicolo spermatico, orchiectomia
Caso 50 - Perforazione del retto da clistere, infezioni nosocomiali, exitus
3.0
Come si scrive un intervento chirurgico, un esempio storico
148
154
158
161
167
172
180
183
187
193
197
203
209
209
213
218
218
223
226
226
233
238
242
247
254
257
257
261
265
270
276
280
284
288
292
298
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
5
INTRODUZIONE
Maurizio Gavinelli
La giustizia è il primo requisito delle istituzioni sociali così come la
verità lo è dei sistemi di pensiero. Ogni persona possiede un’inviolabilità
fondata sulla giustizia su cui neppure il benessere della società
nel suo complesso può prevalere.
John Rawsl
“Sanità, ogni anno 35'000 cause ai medici”, titolava il quotidiano “La Repubblica” il 9 giugno 2019. Ogni anno si intraprendono in Italia 35'600 nuove
azioni legali, mentre ne giacciono 300'000 nei tribunali contro medici e strutture
sanitarie pubbliche.
Sono cresciuti nel frattempo anche i costi della cosiddetta “medicina difensiva”, stimati in 18,87 miliardi nel 2018: 1 miliardo al mese, 1'543 euro a persona
l’anno. Tale fenomeno presenta un trend in crescita, che è soprattutto la diretta
conseguenza dell’aggressività del contenzioso medico legale in Italia.
Il Report Medmal di Marsh, Studio sull’andamento del rischio da medical malpractice nella sanità italiana pubblica e privata (XI Ediz.2020) fornisce i numeri precisi della situazione attuale, mediante l’analisi di sinistri da responsabilità civile
verso terzi/prestatori d’opera di aziende sanitarie pubbliche e private sparse
sull’intero episodio nazionale.
Per quanto riguarda la sanità pubblica, sono state prese in considerazione
66 strutture in 12 regioni nel periodo 2004-2018, per un totale di 24'900 sinistri,
corrispondenti ad una media di 904 sinistri/anno (per 27.876 medici). Nel periodo 2010-2018 la media di sinistri è stata di 35/anno per struttura. I procedimenti
sono stati stragiudiziali nel 73,3%, giudiziali (civile + penale) nel 22,1 dei casi; nel
4,6% si è applicata mediazione-conciliazione.
L’errore chirurgico rappresenta il 38,4% degli errori denunciati, e l’area di
rischio che comprende la maggior parte di sinistri è quella chirurgica (51% degli
eventi denunciati), dove l’Ortopedia e Traumatologia rappresenta il 20,3%, la
Chirurgia Generale il 13%, il Pronto Soccorso-DEA il 12,6%. Nell’ambito della
Chirurgia Generale gli errori più di frequente denunciati sono: errore chirurgico
69,4%; infezione 10,3%; errore diagnostico 7,1%; errore terapeutico 3,9%; procedure invasive 3,4%. Nel Pronto Soccorso, in cui l’apporto consulenziale chirurgico è fondamentale, l’errore diagnostico incide per il 63,7% degli errori, quello
terapeutico per il 20%, quello prettamente chirurgico per il 3,5%.
Il costo totale dei sinistri analizzati è di oltre 1,3 miliardi di euro per il periodo 2004-2018, con un costo medio per sinistro di 96'800 euro, quest’ultimo
6
La responsabilità del chirurgo
incrementato del 4% dal 2011 al 2018. Per quanto concerne le fasce di importo, i
sinistri con valore inferiore a 500'000 euro generano più della metà dell’importo
totale della sinistrosità (57,6%); le perdite maggiori sono nella fascia 250.000500.000 euro, seguita dalla successiva da 500'000 euro a 1 milione.
L’importo liquidato medio della Chirurgia Generale è di circa 90'000 euro,
e l’impatto dell’errore chirurgico sul liquidato totale è del 32,3%.
I top claims, cioè i sinistri che presentano un costo oltre i 500'000 euro, che
corrispondono al 4,3% dei sinistri analizzati, la prevalenza degli errori chirurgici
è del 25,5%.
Per quanto concerne la sanità privata lo studio ha compreso 23 case di cura
dislocate nell’intero territorio nazionale, per un totale di 5'302 posti letto.
La sinistrosità si è dimostrata minore rispetto al settore pubblico (media di 6
sinistri/anno vs 35 nel pubblico) e l’area cui la maggior parte dei sinistri afferisce si
è confermata essere quella chirurgica (64%). Il 16% degli eventi avversi denunciati
sono per decesso, percentuale maggiore rispetto al settore pubblico (13%).
I procedimenti stragiudiziali sono meno rappresentati (60,2 vs 73% del pubblico) ed emerge una prevalenza dei procedimenti civili (27% vs 16,8% del settore pubblico). I procedimenti penali sono l’8,3%. La chiusura dei sinistri richiede
un tempo maggiore che nel settore pubblico.
L’Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani (ACOI), che insieme alla Società Italiana di Chirurgia (SIC) raggruppa nelle sue file la maggior parte dei
chirurghi italiani, definisce la medicina difensiva come “il totale delle prestazioni
che hanno, prima ancora che curare, lo scopo di attenuare il rischio di subire una causa”.
Essa un costo molto alto, stimato in 165 euro, su un totale di spesa sanitaria pro
capite di 1'847 euro.
Gli operatori sanitari sono spinti alla medicina difensiva da una legislazione ritenuta non favorevole dal 31% dei medici, seguita dal rischio di essere citati
in giudizio (28%).
Tale casistica appare tuttavia, nelle percentuali riportate, limitativa, dal momento
che è innegabile ritenere che ormai in ogni momento, in ogni atto, l’opera del chirurgo
si adombra del timore dell’errore e delle sue conseguenze legali e risarcitorie.
L’ACOI confronta, inoltre, gli aspetti penali con quelli civili del problema.
Entro il primo anno si chiudono il 9,4% dei sinistri nel penale e il 25,9%
nel civile. L’inizio più rapido dell’iter penale, e l’esiguità o totale mancanza di
esborsi da parte del paziente per avviarlo, fa sì che il ricorso al processo penale
sia ancora il prescelto. In teoria, il paziente potrebbe limitarsi a presentare una
denuncia-querela ed attendere che le indagini siano svolte dalla Procura della
Repubblica, perché il Pubblico Ministero nominerà un consulente, sequestrerà
le cartelle cliniche, sentirà le persone informate dei fatti, etc. Inoltre, poiché la
responsabilità penale è personale, la pressione a carico del Chirurgo, che si vede
esposto in prima persona spesso favorisce l’attivazione dell’assicurazione e le
trattative stragiudiziali.
Il numero dei processi civili appare maggiore (17,7%), anche perché comprende le azioni contro le strutture.
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
7
Nell’ottica dei professionisti sanitari, preoccupante è la richiesta di risarcimento danni in via stragiudiziale (74,8%), che evidenzia la forte esigenza di
assistere i Chirurghi in questa fase, con una consulenza preventiva e precoci e
fondamentali step difensivi, che dissuadano il paziente dall’intraprendere la via
giudiziaria e l’azienda da erogare risarcimenti in via transattiva con successive
azioni di rivalsa verso il Chirurgo, esponendolo all’azione della Corte di Conti
per responsabilità amministrativa.
Bisogna precisare che, per quanto riguarda il concetto di “errore chirurgico”, esso vada inteso in termini estensivi, vale a dire non solo durante un intervento chirurgico, ma nel corso di tutto l’iter diagnostico e terapeutico, dall’indicazione alla chirurgia al follow up a distanza.
Nel contempo, è bene prendere coscienza della problematica, che in gran
parte è estranea alla forma mentis dei Chirurghi, così come degli altri Medici delle branche specialistiche cliniche, abituandoci alla massima attenzione in
ogni circostanza, anche in quelle in apparenza insignificanti, affrontandole con
lucidità e lungimiranza.
Questo libro è rivolto in primis ai Chirurghi, per aiutarli ad affrontare il
tema della responsabilità professionale non all’insegna della paura, ma di una
logica fermezza, continuando così a svolgere in serenità il lavoro, almeno per
noi, più bello del mondo.
PARTE GENERALE
L'inquadramento
della responsabilità
professionale sanitaria
nell'epoca della legge
Gelli-Bianco
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
1
11
L'inquadramento della responsabilità professionale
sanitaria nell'epoca della legge Gelli-Bianco
Matteo Marchesi
Ci si sbaglierà raramente, attribuendo le azioni estreme alla vanità,
quelle mediocri all’abitudine e quelle meschine alla paura.
Friedrich Nietzsche, Umano troppo umano
Va premesso che non v’è tra gli obiettivi del presente scritto quello di esporre
una trattazione sistematica del complesso ambito della responsabilità professionale sanitaria. Qui si intende offrire al lettore una breve esposizione, che nell’arco di
poche pagine consenta di ripercorrere i fondamenti di questo ampio settore, onde
avere così un inquadramento generale ed affrontare meglio le parti successive.
È curioso notare che nel diritto romano il termine “responsabilità” non era
in uso. Tuttavia, ne è individuata la derivazione etimologica dal verbo latino
“spondere”, nel suo significato di prendersi un impegno, dal quale deriva, non a
caso, anche il verso “sposarsi”.
L’attività sanitaria deve svolgersi lungo gli intricati binari dei doveri e dei divieti stabiliti dalle varie norme penali, civili e quelle derivanti dai codici deontologici
e dai codici di comportamento aziendali. Per i dipendenti della pubblica amministrazione v’è anche la responsabilità cosiddetta “amministrativa”. La responsabilità
riguarda le aziende e/o i singoli professionisti: in équipe o nella loro individualità.
Qualora si incorra in una violazione delle regole, si è chiamati a risponderne.
La responsabilità nasce dal mancato adempimento dei doveri, salvo che sia provata l’impossibilità di tale adempimento per fattori inevitabili.
Nel corso del XX secolo, a partire dai Paesi anglosassoni e poi anche negli
altri, la responsabilità professionale sanitaria ed il contenzioso che si fonda su di
essa ha avuto un notevole sviluppo, per la concorrenza di più fattori. In un passato
ormai remoto, quel poco di assistenza sanitaria che si poteva erogare era pressoché
sempre percepita dai pazienti in modo positivo. Col progredire delle conoscenze
e delle competenze sanitarie, quasi per paradosso, è accresciuta l’insoddisfazione
verso le prestazioni sanitarie. Ciò ha più di una spiegazione. Ad esempio:
1. più attività si debbono svolgere, più aumenta la probabilità di sbagliare nel farle;
2. più alternative vi sono, più aumenta il rischio di non scegliere quella più appropriata (si pensi, ad esempio, al passato nel quale non esistevano le tecniche
laparoscopiche, endoscopiche e le tecniche di diagnostica strumentale e di laboratorio erano molto più di limitate, etc), la facoltà di scelta porta con sé la
responsabilità delle scelte e nell’ambito professionale, ogni qual volta si ha la
facoltà di scegliere tra più opzioni, si è chiamati a rispondere della scelta presa;
3. in generale, le aspettative (talora le pretese) dell’utenza sono accresciute molto
di più di quanto la Sanità sia in grado di offrire e di garantire.
12
La responsabilità del chirurgo
1.1 La prima parte della legge 24/2017 “Gelli-Bianco”:
la sicurezza delle cure
Nel settore in trattazione è intervenuta la
legge 24/2017 “Gelli-Bianco”1, che reca disposizioni non solo in tema di responsabilità, ma
anche e ancor prima in tema di sicurezza delle
cure. Essa si compone di 18 articoli:
1. Sicurezza delle cure
2. Difensore civico e Centri regionali per riQuesto codice rimanda alla pagina
del sito internet istituzionale
schio sanitario
normattiva.it, nella quale è consul3. Osservatorio nazionale delle buone pratiche
tabile il testo integrale della legge
24/2017
ed i suoi aggiornamenti.
4. Trasparenza dei dati
5. Buone pratiche e linee guida
https://www.normattiva.it/uri-res/
N2Ls?urn:nir:stato:legge:2017;24
6. Responsabilità penale
7. Responsabilità civile
8. Tentativo obbligatorio di conciliazione
9. Azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa
10. Obbligo di assicurazione
11. Estensione della garanzia assicurativa
12. Azione diretta del soggetto danneggiato
13. Obbligo di comunicazione all’esercente
14. Fondo di garanzia
15. CTU / Periti
16. Segretezza del risk management
17. Applicabilità alle Regioni a statuto speciale
18. Invarianza finanziaria
I primi articoli della nuova legge sono proprio dedicati al tema della sicurezza
delle cure e all’art. 1 è affermato che essa è parte del diritto costituzionale alla salute
e che tutti i professionisti, a prescindere dalla tipologia di contratto di lavoro, debbono contribuirvi. La declamazione di principio, invero un po’ retorica, è purtroppo
disinnescata dal fatto che la norma non arreca alcun finanziamento per potenziare le
attività di gestione del rischio clinico ed anzi si chiude imponendo un vincolo di invarianza finanziaria, vale a dire che deve essere attuata in una condizione di iso-risorse.
1 Legge 08-03-2017 n. 24 Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita,
nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie. GU Serie
Generale n. 64 del 17-03-2017; in vigore dal 01-04-2017.
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
13
All’art. 2 la legge istituisce la funzione del
“Garante per il diritto alla salute” e la attribuisce ai Difensori civici regionali o provinciali.
Il Difensore Civico è un’autorità pubblica indipendente, alla quale ci si può rivolgere in modo
gratuito, che si occupa su richiesta dei cittadini o d’ufficio dei casi di “cattiva” gestione della
Per gli approfondimenti sul punto,
è possibile consultare le pagine
pubblica amministrazione: ad esempio, illegitinternet dei Difensore Regionale
timità o irregolarità amministrative, iniquità o
discriminazioni, mancanza di risposta o rifiuto
d’informazione o d’accesso agli atti amministrawww.difensoreregionale.
lombardia.it
tivi, ritardi ingiustificati, carenza qualitativa dei
servizi e simili. Per la nuova funzione di Garante del diritto alla salute, come per l’istituzione
dei cosiddetti Centri regionali o provinciali per la gestione del rischio sanitario,
purtroppo, non è previsto alcun finanziamento e tale mancanza non potrà che
limitare e rallentare l’effettività di tali disposizioni. D’altronde, per affrontare
in concreto l’ambito della responsabilità professionale sanitaria occorrono delle
professionalità medico-legali e cliniche che richiedono lungo tempo per formarsi e che sinora i Difensori civici in generale non hanno avuto. L’assenza di risorse
aggiuntive fa prospettare che tale nuova funzione di Garante non sarà in concreto operativa per lungo tempo.
All’art. 3 la norma ha stabilito la creazione
dell’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, che si è insediato
il 22 marzo 2018, presso la sede dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGÉNAS). L’Osservatorio ha compito di raccogliere
e conservare i dati relativi agli eventi avversi e
Agenzia Nazionale per i Servizi
ai rischi sanitari, nonché al contenzioso ad essi
Sanitari Regionali (AGÉNAS)
relativo, al fine di comprenderne le cause e prevenire la ripetizione; dovrà inoltre predisporre,
http://buonepratiche.agenas.it/
in collaborazione con le società scientifiche e le
associazioni tecnico-scientifiche delle professioni
sanitarie, apposite linee di indirizzo in tema di risk management, individuando idonee misure per la formazione e l’aggiornamento del personale sanitario.
Con l’art. 4 sono state introdotte altre novità:
•
l’obbligo per le aziende sanitarie e sociosanitarie di fornire ai pazienti e
agli altri aventi diritto i documenti sanitari (ad esempio, le cartelle cliniche)
entro 7 giorni dalla richiesta, con la possibilità di integrare le parti mancanti
entro il termine massimo di 30 giorni; si tratta di un’imposizione che mal si
concilia con la complessa gestione dei documenti sanitari e i suoi quotidiani
problemi e che richiede degli ulteriori sforzi organizzativi, per migliorare la
gestione documentale;
14
•
•
La responsabilità del chirurgo
v’è poi l’obbligo di pubblicare sui siti internet aziendali l’ammontare dei risarcimenti erogati negli ultimi 5 anni; si tratta di un obbligo utilità di assai dubbia,
per non dire nulla, poiché l’ammontare dei risarcimenti, se considerato a sé,
non fornisce delle informazioni utili non solo per i pazienti, ma neanche per gli
operatori stessi del settore risarcitorio, poiché per trarne delle informazioni occorre raffrontarlo a numerose variabili, studiare il suo andamento su un lungo
periodo di tempo e confronto con quello di varie altre aziende sociosanitarie di
consimile complessità;
è stata poi introdotta la possibilità,
prima non prevista dal Regolamento
di polizia mortuaria, per i parenti dei
pazienti che decedano di richiederne,
coll’accordo del Direttore Sanitario o
Sociosanitario, lo svolgimento del riscontro diagnostico e farvi partecipare
https://www.normattiva.it/uri-res/
un Medico di loro fiducia.
N2Ls?urn:nir:presidente.repubblica:decreto:1990;285
L’art. 5 reca il pilastro fondamentale
della legge, che funge anche da congiunzione tra la prevenzione dei rischi e le regole per la valutazione degli eventi lesivi, vale a dire dei rischi concretizzati, è rappresentato dalle linee guida e dalle
buone pratiche clinico-assistenziali. La scelta di rendere le linee guida e le buone pratiche dei parametri “forti” per i giudizi penali e civili di responsabilità
professionalità sanitaria ha ricevuto molte critiche, dato che le linee guida e le
buone pratiche sono di regola sottese non da logiche giuridiche, ma da logiche
cliniche di appropriatezza e da logiche economiche di buon uso delle limitate
risorse disponibili. Non è questa la sede per entrare nel merito delle critiche che
si possono esprimere sul tale scelta, essendo ormai la legge in vigore con tale
impostazione.
La legge ha dato un nuovo corso al Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG) dell’Istituto Superiore di Sanità. Il sistema è ad accesso
libero: gratuito e senza la necessità di credenziali. Si tratta di un sistema che esisteva già:
era stato istituito nel 2004 e sino al 2017, vale
a dire nell’arco di circa 13 anni, aveva annoSistema Nazionale Linee Guida (SNLG)
verato solo 16 linee guida. Dà da pensare che
dell’Istituto Superiore di Sanità.
all’incirca alla stessa epoca il sistema inglehttps://snlg.iss.it.
se del National Istitute for Health and Care
Excellence annoverava 279 documenti d’indirizzo e numerosi altri tipi di documenti.
Il sistema è stato oggetto di una radicale ristrutturazione, che ha comportato l’eliminazione di quasi tutti i documenti in esso contenuti. La legge e il
regolamento ministeriale che ne è derivato prevedono che ora possano essere
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
15
annoverati nel sistema solo le linee guida e i
documenti di buone pratiche prodotti da società e associazioni che soddisfino dei requisiti di accreditamento.2
Non solo le società devono soddisfare
dei criteri di accreditamento, ma anche le
linee guida che esse producono, devono rihttps://www.gazzettaufficiale.it/eli/
spondere a dei requisiti metodologici molto
id/2017/08/10/17A05598/sg
stringenti: così stringenti da aver comportato
l’eliminazione di tutte le linee guida prima
elencate, tra una dedicata alle emorragie del
post-partum. Tenuto conto che lo sviluppo delle linee guida richiede molte risorse
(umane, economiche e temporali), occorrerà
molto tempo per dotare la sezione delle linee
guida con un numero adeguato di documenti tecnico-scientifici. Nel contempo, un’altra
sezione del sistema, quella dedicata alle buohttps://snlg.iss.it/?p=176
ne pratiche, si sta arricchendo di un numero
elevato (forse sin troppo) di documenti di
varie tipologie. Posto che in forza della legge 24/2017 i documenti accreditati
nell’SNLG non sono solo degli indirizzi scientifici, ma divengono anche i riferimenti imprescindibili per i giudizi sulla responsabilità sanitaria, si raccomanda
a tutti i professionisti di consultare con periodicità il SNLG e di ricercare i documenti rilevanti per il proprio agire professionale e, per gli operatori delle aziende sociosanitarie, per la produzione e l’aggiornamento delle procedure aziendali
e di altri documenti di regolamentazione delle attività.
1.2 La responsabilità professionale penale nell’ambito sanitario
Per comprendere le novità introdotte dalla l. 24/2017 nell’ambito penale,
specifiche per il settore sanitario, occorre richiamare e chiarire i principi generali
della responsabilità in tale settore del diritto.
È da ricordare anzitutto che la Costituzione italiana (art. 27 c. 1) stabilisce
che la responsabilità penale sia solo personale: anche quando il reato coinvolge
più soggetti, ciascuno è chiamato a rispondere per la propria quota di responsabilità. Di ciò se ne discuterà meglio più avanti, nella parte dedicata alla responsabilità d’équipe. Ciò è differente da quanto vale per la responsabilità civile, per la
2 DM Salute 02-08-2017 Elenco delle società scientifiche e delle associazioni tecnico-scientifiche delle
professioni sanitarie. GU Serie Generale n. 186 del 10-08-2017.
La responsabilità del chirurgo
16
quale possono essere chiamati a rispondere soggetti diversi da coloro che hanno
commesso i fatti: ad esempio, un’azienda per un proprio dipendente o una compagnia assicurativa per un proprio assicurato.
Un altro aspetto fondamentale della legge penale è che essa è tassativa e
non può essere interpretata in senso estensivo.3
Altri due principi fondamenti sono il rapporto causale tra la condotta criminosa e l’evento dannoso, che deve essere accertato, ed il fatto che le omissioni
hanno lo stesso valore giuridico delle azioni4:
•
quando si tratta di giudicare delle azioni, il ragionamento si basa su dei
fatti reali, accaduti (già accertati o da accertare) e si valuta, con i criteri giuridici, fatti propri dalla Medicina Legale, se le azioni poste in essere siano
state o no la causa dell’evento in esame: ad esempio la morte di un paziente
o una sua lesione;
•
quando, invece, si devono valutare delle omissioni, vale a dire su delle
azioni che non sono state svolte e che avrebbero dovuto esserlo, si deve
fare un ragionamento cosiddetto “controfattuale”, vale a dire che contrariamente ai fatti verificatisi, si ricostruisce in via alternativa un altro sviluppo
della vicenda clinica in esame e con tale ricostruzione si tenta di valutare se
le azioni omesse, qualora fossero state svolte, avrebbero potuto modificare
le sorti del caso e, se sì, con quale grado di probabilità.
CAUSALITÀ ATTIVA
CAUSALITÀ OMISSIVA
Si analizzano fatti concreti,
che si sono effettivamente verificati.
Si valutano fatti ipotetici,
che NON si sono verificati.
↓
↓
Criteriologia medico-legale
Ricostruzione “contro-fattuale”
↓
↓
Nesso causale: sì / no / dubbio
Criterio probabilistico
↓
Probabilità (vs certezza)
del nesso di causa
Da ciò si può comprendere che i giudizi in tema di causalità omissiva non
di rado sono complessi, poiché in molti casi vi sono molte variabili che incidono
sul loro decorso e le conoscenze scientifiche spesso non sono sufficienti per dare
una risposta a tutti gli interrogativi giuridici.
3 Art. 1 cp Principio di legalità: Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente previsto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite.
4 Art. 40 cp Rapporto di causalità: Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso da cui dipende l’esistenza del reato non è conseguenza
della sua azione od omissione. Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di
equivale a cagionarlo.
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
17
Il grado di probabilità con il quale si
possono valutare i fatti e le loro alternative
contrattuali è di rilevanza primaria. Nell’ambito penale è sancito ormai da lungo tempo
che tale grado debba essere di certezza o
quasi prossimo alla certezza, poiché i giudizi
debbono essere espressi al di là di ogni raCass. pen. S.U. 30328/2002 sentenza
gionevole dubbio.5 Si tratta di un principio
“Franzese”
di protezione, volto a ridurre il più possibile
la possibilità che siano condannati dei soggetti innocenti. Come si discuterà più
avanti, nell’ambito civile il grado di probabilità richiesto per l’accertamento del
nesso di causa è diverso.
Le ipotesi di reati dolosi che possono
essere commessi dai professionisti sanitari
sono varie: la violazione del segreto professionale, la corruzione, la concussione, la
truffa alterando i codici DRG, etc. Esse sono
una minima parte del contenzioso sanitario,
che è in assoluta prevalenza di tipo colposo.
Cass. pen. 34983/2020
Merita di essere evidenziato che di recente la Corte di Cassazione, nel pronunciarsi
di nuovo sull’assai noto caso che coinvolse la Clinica Santa Rita di Milano,
ha confermato che se l’agire medico, specie quello chirurgico, si connota per
l’assenza di qualsivoglia ragionevole indicazione terapeutica, con azioni consapevolmente del tutto distorte rispetto alle finalità diagnostiche o di cura, si
delinea una condotta dolosa.6
Passando dai rari casi dolosi a quelli colposi, si evidenzia che questi sono riferiti
ad ipotesi per le quali il danno cagionato (inteso come lesione personale o prolungamento di malattia o perdita di chance di sopravvivenza oppure morte) fosse evitabile.
La responsabilità colposa si configura quando ricorre una violazione di un
qualche regola del proprio agire, che non trovi un’adeguata giustificazione, e
sia stata l’effettiva causa del danno. Le regole che si possono violare per colpa
possono essere rappresentate dai classici principi generali del buon agire, vale
a dire la perizia, la prudenza e la diligenza, oppure possono essere delle regole
specifiche: legali oppure tecnico-scientifiche. Ad esempio, omettere la somministrazione di una profilassi antibiotica allorquando essa sia prevista da una linea
guida o un altro documento tecnico preso a riferimento, rappresenta una colpa
specifica. Si ricorda, nel modo più sintetico possibile, che:
5 Cass. pen. SU 11-09-2002 n. 30328 (sentenza Franzese): “…è richiesta la prova che il comportamento alternativo dell’agente avrebbe impedito l’evento lesivo con un elevato grado di probabilità «prossimo alla certezza», e cioè in una percentuale di casi «quasi prossima a cento»”.
6 Cass. pen. sez. V, sent. 9-12-2020 n. 34983.
18
La responsabilità del chirurgo
•
l’imperizia è la mancanza della perizia, vale a dire il grado di conoscenza teorica e pratica e di abilità che ci attende da un professionista che abbia avuto
un determinato percorso formativo e che abbia avuto una determinata esperienza professionale; il termine di paragone per il giudizio è rappresentato
grossomodo dalla media dei colleghi di pari esperienza e specializzazione
(eiusdem condicionis et professionis); in termini comuni, l’imperizia è il non essere riusciti a fare quel che la maggior pare dei colleghi avrebbe fatto;
•
l’imprudenza attiene alla errata o mancata valutazione dei rischi (ad es. il
sottoporre un paziente ad un atto chirurgico o endoscopico o in altro modo
rischio, senza vi sia un’adeguata indicazione clinica a tale atto: ciò rende il
rischio non giustificato);
•
la negligenza si configura per atteggiamenti di superficialità nell’agire professionale (ad es. l’omettere una rivalutazione obiettiva del paziente quando
sarebbe, invece, doverosa; il fornire delle prescrizioni terapeutiche sulla scorta
di valutazioni sommarie; il non accorreCass. civ. 28991/2019
re in modo solerte quando è richiesto,
senza che vi sia un adeguato motivo che
giustifichi il ritardo, etc). In tema di nesso causale, merita di essere quantomeno
accennato il principio del cosiddetto un
duplice ciclo della causalità:7,8
• il primo attiene alla dimostrazione
del nesso di causalità materiale tra la
condotta sanitaria e l’evento di danno
Cass. civ. 13872/2020
e l’onere di dimostrazione grava sul
paziente (o sui suoi eredi in caso di
decesso); in altre parole il paziente / gli eredi debbono dimostrare che
nella vicenda clinica in esame sia ricorso un fatto idoneo (quantomeno in
astratto e con criterio probabilistico) a causare il danno lamentato;
• una volta soddisfatto il primo ciclo causale, spetta al debitore (la struttura sanitaria / il professionista) dimostrare che l’evento sia stato imprevedibile ed inevitabile.
Da ciò deriva la conseguenza che nei casi, invero assai pochi, nei quali non
sia dimostrabile alcun fatto astrattamente idoneo a spiegare l’evento (→ dunque,
evento inaspettato, di cui rimanga ignota la causa) il primo ciclo causale rimane non
soddisfatto e il debitore non è così tenuto a farsi carico del secondo ciclo causale.
7 Cass. civ. sez. III, sent. 11-11-2019 n. 28991.
8 Cass. civ. sez. III, ord. 06-07-2020 n. 13872.
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
19
Novità introdotte dalla legge Gelli-Bianco
Tornando alle novità introdotte dalla l. 24/2017, nell’ambito penale l’art. 6
di tale norma ha aggiunto un nuovo articolo al codice penale: l’art. 590 sexies
“Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario” 9. Tale
articolo introduce una limitazione della responsabilità dei professionisti sanitari
per le lesioni personali e per la morte delle persone assistite. L’articolo prevede,
infatti, che qualora l’evento lesivo sia dipeso da imperizia (n.b. e solo di quella;
dunque, non di imprudenza né di negligenza), il professionista sanitario non è
punibile, se si è attenuto alle linee guida accreditate nel sistema nazionale e, in
mancanza di esse, ai documenti di buone pratiche accreditate.
Ci si potrebbe chiedere come sia possibile avere una condotta imperita e nel
contempo essere rispettosi delle linee guida. Ebbene, ciò è possibile, dato che le
linee guida non disciplinano tutti gli aspetti dell’agire sanitario. Ad esempio, le
linee guida per la gestione del paziente affetto da carcinoma del colon-retto non
disciplinano i dettagli della resezione chirurgica, dell’emostasi, delle suture, etc.
Tali aspetti ricadono nel giudizio sulla perizia o l’imperizia avuta nel singolo caso.
Va da sé che, se vi sono dei motivi specifici che rendano opportuno derogare a quanto raccomandato dalle linee guida, lo si possa fare. In tali evenienze,
è bene che la motivazione per cui si sceglie di non seguire le linee guida sia ben
esplicitato nella documentazione sanitaria del singolo caso.
La nuova norma penale non è, invero,
di facile interpretazione e applicazione. Le
difficoltà interpretative sono state superate
dalle Sezioni unite della Cassazione penale
nel 2018, le quali hanno chiarito che la causa
di non punibilità prevista dal nuovo art. 590
sexies c.p. opera nei soli casi in cui l’operatore
Cass. pen. S.U. 8770/2018 sentenza
sanitario abbia correttamente individuato e
“Mariotti”
adottato le linee guida adeguate al caso concreto e versi in una colpa lieve da imperizia
nella mera fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse.10 La causa
di non punibilità, invece, è inapplicabile in altri casi, come di seguito sintetizzato. Il Sanitario è comunque punibile, se l’evento si è verificato per colpa:
a. anche “lieve” da negligenza o imprudenza;
b. anche “lieve” da imperizia, quando non esistano linee guida per il caso concreto;
9 Art. 590 sexies c.p. Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario. Se i
fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si
applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora l’evento
si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero,
in mancanza di questa, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.
10 Cass. pen. SU, 22-02-2018 (ud. 21-12-2017) n. 8770.
La responsabilità del chirurgo
20
c.
d.
anche “lieve” da imperizia nella individuazione e nella scelta delle linee-guida adeguate al caso concreto;
solo “grave” da imperizia nell’esecuzione delle linee-guida, ancorché adeguate al caso concreto.
È da evidenziare che, ad onta delle intenzioni del legislatore, questa norma è meno
favorevole rispetto a quanto prevedeva il cosiddetto “decreto Balduzzi”, che escludeva la
punibilità della colpa lieve anche nei casi di
negligenza o imprudenza.11
Nel 2019 la Corte di Cassazione ha senDL 158/2012
tenziato che sia il “decreto Balduzzi” sia la
legge Gelli-Bianco non hanno portata retroattiva, e non possono applicarsi ai fatti avvenuti in epoca precedente alla loro
entrata in vigore.12
Cass. 28994/2019
l. conv. 189/2012
La responsabilità penale correlata all’informazione e al consenso
Una trattazione dettagliata del tema della responsabilità professionale correlata all’informazione e al consenso agli atti sanitari sarebbe al di là degli scopi
di questa sezione.
Di seguito si riporta un rapido excursus dell’evoluzione delle pronunce
dell’alta giurisprudenza penale su questo tema:
Cass. pen. 05-04-1992
Cass. pen. 12-07-2001
Cass. pen. 11-07-2002
→
→
→
omicidio preterintenzionale
omicidio colposo
solo se dissenso esplicito
11 Legge 08-11-2012 n. 189 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 settembre
2012, n. 158, recante disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto
livello di tutela della salute. GU Serie Generale n. 263 del 10-11-2012 - Suppl. Ordinario n. 201.
12 Cass. civ. sez. III, sent. 11-11-2019 n. 28994.
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
Cass. pen. 18-12-2008
→
Casi. pen. 24-03-2015
Casi. pen. 19-01-2018
→
→
21
non rilevanza penale, se non vi era dissenso
esplicito e l’esito è stato fausto
non rilevanza penale
non rilevanza penale
Nell’ambito penale la rilevanza del consenso informato è andata riducendosi:
all’inizio degli anni ’90, la mancanza del consenso della paziente, sottoposta ad un intervento di resezione intestinale con confezionamento di una
colostomia, seguito dal decesso, aveva portato alla condanna del prof. Massimo, chirurgo di Firenze, per omicidio preterintenzionale;
•
circa 10 anni dopo, affrontando un altro caso chirurgico la Cassazione penale stabilì che la mancanza del consenso non potesse far configurare un
omicidio preterintenzionale: semmai colposo;
•
nel 2002 la Suprema Corte affermò che dovesse aver rilievo penale solo il
mancato rispetto di un esplicito ed inequivoco dissenso del paziente;
•
nel 2008 fu poi affermata la non rilevanza penale della condotta sanitaria, a
condizione che non vi fosse un dissenso esplicito del paziente e che l’esito
del trattamento fosse stato fausto.
•
nel 2015 la Corte ha stabilito che l’aspetto del consenso informato non ha
rilievo ai fini del giudizio penale sull’eventuale colpa sanitaria.
Nel 2015 la Suprema Corte ha sentenziato
che in sede penale non si può condannare un
Chirurgo per un intervento con esito infausto
solo perché non abbia assolto l'obbligo di richiedere al paziente il consenso informato.13
Nel 2018 la Corte ha confermato tale
principio: “La mancanza o l’invalidità del conCass. pen. 21537/2015
senso non ha alcuna rilevanza penale… il giudizio
sulla sussistenza della colpa non presenta differenze di sorta a seconda che vi sia stato o no il consenso informato del paziente…”, precisando che
v’è, però, un caso nel quale la violazione del
consenso informato può integrare una colpa
di rilevanza di rilevanza penale: ciò si verifica quando il mancato colloquio informativo
si traduce in un’incompleta possibilità per il
Medico “di conoscere le reali condizioni del paCass. pen. 2354/2018
ziente e di acquisire un’anamnesi completa”.14
•
13 Cass. pen. sez. IV, sent. 22-05-2015 n. 21537.
14 Cass. pen. sez. IV, sent. 19-01-2019 n. 2354.
22
La responsabilità del chirurgo
La responsabilità d’équipe
Come menzionato nelle pagine precedenti, la responsabilità penale è solo
personale. Può accadere che più soggetti contribuiscano ad una concatenazione
di azioni in un caso, nel quale venga a configurarsi un reato.
L’attività in équipe consiste in una divisione e con-divisione del lavoro:
•
orizzontale: posizione paritaria, con competenze simili o differenziate;
•
verticale: differenziazione gerarchica per qualifica professionale e/o funzionale, esperienza a, anzianità: capo équipe;
•
temporale: passaggio delle consegne.
Come stabilire se, quando e quanto il singolo professionista, partecipe dell’équipe, debba rispondere dei comportamenti colposi riferibili ad altri componenti? Il
senso delle équipe è proprio quello di una ripartizione ragionata delle attività da
svolgere. L’assoluta maggior parte delle attività sanitarie non si potrebbe svolgere se i singoli professionisti dovessero riverificare di continuo tutto quanto è
svolto dagli altri. Invece, è riconosciuto il principio dell’affidamento, vale a dire
il potersi affidare al lavoro svolto dagli altri, che si presume essere stato attutato
in modo corretto, nel rispetto da parte loro delle regole cautelari. La possibilità
di affidamento non è, però, illimitata:
a. non vale se l’errore altrui è evidente;15
b. è molto limitata per il capo équipe, per il
quale vige il diritto-dovere di dirigere,
coordinare e controllare l’altrui attività.
In tema di responsabilità d’équipe, vi sono
varie sentenze di Cassazione. Merita di esserne richiamata una esemplificativa del 200516,
Cass. pen. 33619/2006
che si è conclusa con la condanna di più professionisti. La vicenda clinica aveva riguardato un paziente, operato a fine giornata e che
nella notte era deceduto per una complicanza
postoperatoria, che si sarebbe potuta trattare,
se fosse stata intercettata in tempo. La Corte
ha riconosciuto più profili di responsabilità:
•
del Chirurgo operatore, per non aver dato
alcuna indicazione sul monitoraggio cliniCass. pen. 9739/2005
co da svolgere nel periodo postoperatorio;
•
degli Infermieri in turno, per non aver registrato le varie segnalazioni della
moglie del paziente, comprovate da testimonianze, circa il malessere ingravescente da egli lamentato e per non aver avvisato il Medico di Guardia;
•
del Medico di Guardia, per non aver verificato le condizioni dei pazienti a
lui affidati al momento della sua presa in carico.
15 Cass. pen. sez. IV, sent. 12-07-2006 n. 33619.
16 Cass. pen. sez. IV, sent. 11-03-2005 n. 9739.
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
23
L’intrecciarsi delle responsabilità di più soggetti può avvenire in modo diverso. Una possibile evenienza è quella del cosiddetto concorso nel reato colposo, vale a dire del concatenarsi di più azioni colpose, tra loro autonome, che
contribuiscono al verificarsi dell’evento lesivo; in tale evenienza, i soggetti partecipanti non sono coscienti degli errori colposi commessi dagli altri e rispondono
solo della propria quota di colpa ex art. 41 c.p.17 Tale articolo sancisce il principio dell'equivalenza delle cause, per il quale quando ricorrono più cause, tutte
idonee a portare all'evento, esse sono considerate di pari valenza. Ciò consegue
ad un altro principio, stabilito dall'art. 40 del c.p.18, che sancisce il principio del
nesso di causa tra condotte e fatti. In base a tale principio giuridico, per l’imputazione è sufficiente che il soggetto abbia realizzato una condotta necessaria per
il verificarsi dell’evento lesivo, ancorché di per sé non sufficiente. L'imputazione
del fatto non è, pertanto, esclusa qualora intervengano altri determinanti causali: antecedenti, concomitanti o successivi.
Diverso è il caso della cosiddetta cooperazione colposa, che si realizza quando
si ha coscienza di errori colposi commessi da altri e non ci si attiva per porvi rimedio.
In tal caso si unisce la propria colpa a quella altrui e si viene così a dover rispondere unitamente per l’evento dannoso concretizzatosi. Dunque, se gli errori degli altri
membri dell’équipe sono manifesti e apprezzabili con le proprie conoscenze professionali, v’è il dovere di porli in luce e di attivarsi per far sì che vi si ponga un rimedio.
Qualora si verifichi il fatto illecito, tutti soggiacciono alle pene previste per quel reato.
Al di là delle differenze che intercorrono tra
il concorso nel reato colposo e la cooperazione colposa, quel che è da tenere a mente è che in materia
di responsabilità professionale sanitaria nelle attività d’équipe: “risponde ogni componente dell’équipe,
che non osservi le regole di diligenza e perizia connesse
alle specifiche ed effettive mansioni svolte, e che venga
peraltro meno al dovere di conoscere e valutare le attività
Cass. pen. 28316/2020
degli altri medici in modo da porre rimedio ad eventuali
errori, che pur posti in essere da altri siano evidenti per
un professionista medio. … Si è infatti ripetutamente affermato che, qualora vi siano
più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di
tutela finché non si sia esaurito il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola
posizione di garanzia”: così è stato ribadito di recente dall’alta giurisprudenza19
17 Art. 41 c.p. Concorso di cause. Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto
di causalità fra l'azione od omissione e l'evento.
18 Art. 40 c.p. Rapporto di causalità. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla
legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato,
non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.
19 Cass. pen. sez. IV sent. 29-09-2020 n. 28316.
La responsabilità del chirurgo
24
La responsabilità degli apicali
Per le figure apicali, quali ad esempio il Direttore medico di un’Unità, il
Coordinatore infermieristico di un’area, il capo di un’équipe chirurgica, etc, è da
evidenziare le loro responsabilità vertono nell’organizzare, dirigere, coordinare e
controllare l’operato dei propri collaboratori. In particolare, le responsabilità consistono nell’assegnare i compiti ai propri collaboratori (onus eligendi) e nel vigilare
lo svolgimento delle attività (onus vigilandi), come riportato nella tabella seguente.
Onus eligendi
Onus vigilandi
Divisione del lavoro
Verifica del rispetto delle regole
Attribuzione delle attività
Prevenzione di fatti prevedibili ed evitabili
↓
↓
Cattiva scelta del preposto
Mancata azione
↓
preventiva / correttiva
Culpa in eligendo
↓
Culpa in vigilando
Circa il dovere di sorveglianza, l’onus vigilandi, va specificato che con esso
non si intende che il Direttore e/o il Coordinatore e/o il capo di un’équipe debbano avere in tutti i momenti il controllo completo di tutto ciò che accade nella
propria unità/area di competenza. La giurisprudenza ha ben presente che non
si possa essere in qualunque luogo in qualsiasi momento e che non si possa controllare tutto ciò che accade in ogni sala operatoria, in ogni stanza di degenza o
in ogni ambulatorio. A titolo esemplificativo, si richiama una sentenza risalente
agli anni '90 del secolo scorso20, sul caso di un decesso da somministrazione di
una sostanza tossica (un conservante) ad un paziente. Nei confronti del Primario
e della Caposala era stata mossa un’accusa di omessa sorveglianza. La Corte non
ha riconosciuto tale colpa, affermando che il Primario e la Caposala non potevano svolgere un controllo costante di tutto ciò che accadeva in reparto. La Caposala venne, però, ad essere condannata, non per un’omessa sorveglianza delle
proprie collaboratrici, ma per aver violato delle norme cautelari specifiche21,22,
20 Cass. pen. sez. IV, 26-03-1992 n. 5359
21 RD 1265/1934 Testo unico delle leggi sanitarie, art. 126 … I farmacisti, i droghieri, i fabbricanti
di prodotti chimici autorizzati a tenere sostanze velenose e coloro che per l’esercizio della loro
arte o professione ne fanno uso, se non tengono tali sostanze custodite in armadi chiusi a chiave
e in recipienti con l’indicazione del contenuto e con il contrassegno delle sostanze velenose,
sono puniti con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda non inferiore a lire 400.000.
22 DPR 27-03-1969 n. 128 Ordinamento interno dei servizi ospedalieri, art. 41 Personale di
assistenza diretta. Il capo-sala… controlla il prelevamento e la distribuzione dei medicinali,
del materiale di medicazione e di tutti gli altri materiali in dotazione…
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
25
che imponevano di conservare le sostanze velenose in modo separato rispetto ai
farmaci, in modo da non confondere le une con gli altri.
Quando l’errore altrui non può essere
considerato “evidente”, non si può attribuire al capo équipe una colpa per il mancato riconoscimento, come indicato dalla Suprema
Corte, giudicando il caso di un parto cesareo
nel quale vi era stata un’errata intubazione
della paziente con decesso della stessa, per
cui fu riconosciuta la responsabilità dell’ACass. pen. 33619/2006
nestesista e non anche quella del Chirurgo
(capo dell’équipe operatoria), essendo questi
impegnato nell’estrazione del feto.23
Sulla responsabilità sanitaria apicale la
Suprema Corte si è pronunciata anche di recente24, valutando il caso del decesso di un
bambino, per un’invaginazione colo-colica
evoluta in peritonite, sepsi e coagulazione
intravascolare disseminata, connotato sia da
Cass. pen. 18334/2018
ritardi diagnostici sia da errori chirurgici,
commessi da più Medici, che aveva visto la
condanna anche del Direttore dell’Unità ove il paziente era ricoverato, sulla tesi
che egli, per la sua posizione apicale e direttiva era responsabile per la mancata
verifica dell'appropriatezza della diagnosi e delle terapie. La Cassazione ha, invece, escluso una responsabilità del Direttore nel caso esaminato, evidenziando
che la responsabilità apicale ricorre con “la violazione di regole prudenziali che operano in un momento precedente all'inizio dell'attività pericolosa…
…il Medico in posizione apicale con l'assegnazione dei pazienti opera una vera e
propria «delega di funzioni impeditive dell'evento» in capo al Medico in posizione subalterna. Ovviamente anche attraverso detta delega il Medico apicale «delegante» non
si libera completamente della propria originaria posizione di garanzia, conservando una
posizione di vigilanza, indirizzo e controllo sull'operato dei delegati.
Obbligo di garanzia che si traduce, in definitiva, nella verifica del corretto espletamento delle funzioni delegate e nella facoltà di esercitare il residuale potere di avocazione
alla propria diretta responsabilità di uno specifico caso clinico…
Tuttavia, ipotizzare un obbligo di controllo tanto pervasivo da non consentire alcun
margine di affidamento sulla correttezza dell'operato altrui significa esporre a responsabilità penale il Medico in posizione apicale per ogni evento lesivo possa occorrere nel
reparto affidato alla sua direzione. Ciò, a prescindere da fattori quali le dimensioni della
struttura, il numero di pazienti ricoverati, l'assegnazione degli stessi a Medici di livello
23 Cass. pen. sez. IV, sent. 12-07-2006 n. 33619.
24 Cass. pen. sez. IV del 26-04-2018 n. 18334.
26
La responsabilità del chirurgo
funzionale inferiore, ma comunque dotati per legge di un'autonomia professionale, il cui
rispetto è imposto alla stessa figura apicale.
…Deve ritenersi che, allorché il medico apicale abbia correttamente svolto i propri
compiti di organizzazione, direzione, coordinamento e controllo e, ciononostante, si verifichi un evento infausto causato da un Medico della propria struttura, di detto evento debba
rispondere eventualmente unicamente il medico o i medici subordinati. Ravvisare infatti
una responsabilità penale del medico in posizione apicale anche in questi casi significa accettare una ipotesi di responsabilità per posizione, in quanto non può pretendersi che il vertice di un reparto possa controllare costantemente tutte le attività che ivi vengono svolte,
anche per la ragione, del tutto ovvia, che anch'egli svolge attività tecnico-professionale…”.
In sintesi, la responsabilità apicale non consiste nell’essere presenti “sempre e in ogni momento” né nel verificare ogni singolo atto che sia compiuto dai
propri collaboratori, ma nel:
•
distribuire le attività ai collaboratori in base alle loro capacità, competenze,
esperienze e affidabilità;
•
adottare regole prudenziali nella propria unità/area, ove opportuno in forma di procedure/protocolli, verificando in modo periodico che siano in linea coll’SNLG e con la letteratura scientifica corrente;
•
controllare in modo periodico e/o a campione che le regole di svolgimento
delle attività nell’unità/area siano rispettate;
•
mettere in atto di provvedimenti correttivi qualora emergano delle inadeguatezze e/o delle inosservanze.
La responsabilità dei Medici in formazione specialistica
Per i Medici in formazione specialistica, è da ricordare che la disciplina europea,
declinata nell’ambito italiano, ne prevede un
coinvolgimento non solo nelle attività, ma
anche nelle responsabilità professionali.25,26
Dove inizi e dove finisca la responsabilità del Medico in formazione specialistica è
assai difficile stabilirlo, poiché le norme che
la disciplinano spingono in due direzioni op-
Direttiva 93/16/CEE
25 Direttiva 93/16/CEE del Consiglio del 05-04-1993
intesa ad agevolare la libera circolazione dei medici e il
reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati ed
altri titoli. GU L 165 del 7.7.1993, pag. 1.
26 D.lgs. 368/1999 e succ.mod. art. 20 Condizione e
formazione dei medici specialisti lett. e: “partecipazione personale del Medico Chirurgo candidato
alla specializzazione, alle attività e responsabilità
proprie della disciplina”.
d.lgs. 368/1999 e succ.mod.
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
27
poste: da un lato verso l’autonomia e la completezza delle attività svolte; dall’altro verso il controllo del tutore e delle altre figure di riferimento.27
Di recente la Corte di Cassazione si è
pronunciata sulla responsabilità del Medico in formazione specialistica28, valutando il
caso di una donna che, dopo un’amniocentesi, aveva presentato delle perdite di liquido
amniotico, per le quali fu ricoverata presso
una Casa di Cura. Il Medico di riferimento
partì per un congresso, affidando la paziente
Cass. civ. 26311/2019
ad un Medico in formazione specialistica e
ella andò incontro a perdite ematiche, febbre, aborto settico, shock settico, perdita della capacità di procreare e insufficienza renale cronica. La causa si concluse con la condanna della Casa di Cura, del
Medico specialista e di quello in formazione specialistica:
•
la Casa di Cura, per il fatto che la paziente era stata accettata, pur non essendo la struttura idonea per gestirla;
•
il Medico specialista, per non aver affidato la paziente problematica ad un
collega di pari livello professionale;
•
il Medico in formazione specialistica, per non aver valutato la paziente con
diligente tempestività e per non aver prescritto una terapia antibiotica, pur
avendo le cognizioni per comprendere i sintomi riferiti.
La Suprema Corte ha “rammentato che secondo la giurisprudenza penale di questa
Corte il medico specializzando non è presente nella struttura per la sola formazione professionale, né lo specializzando può essere considerato un mero esecutore d'ordini del tutore anche
se non gode di piena autonomia; si tratta di un'autonomia che non può essere disconosciuta,
trattandosi di persone che hanno conseguito la laurea in medicina e chirurgia e, pur tuttavia, essendo in corso la formazione specialistica, l'attività non può che essere caratterizzata
da limitati margini di autonomia in un'attività svolta sotto le direttive del tutore… Tale
autonomia, seppur vincolata, non può che ricondurre allo specializzando le attività da lui
compiute; e se lo specializzando non è (o non si ritiene) in grado di compierle deve rifiutarne
lo svolgimento perché diversamente se ne assume le responsabilità (c.d. colpa per assunzione
ravvisabile in chi cagiona un evento dannoso essendosi assunto un compito che non è in
grado di svolgere secondo il livello di diligenza richiesto all'agente modello di riferimento)”.
27 D.lgs. 368/1999 e succ.mod. art. 38 c. 3 “La formazione del medico specialista implica la
partecipazione guidata alla totalità delle attività mediche dell’unità operativa presso la
quale è assegnato dal Consiglio della Scuola, nonché la graduale assunzione di compiti
assistenziali e l'esecuzione di interventi con autonomia vincolate alle direttive ricevute dal
tutore, di intesa con la direzione sanitaria e con dirigenti responsabili delle strutture delle
aziende sanitarie presso cui si svolge la formazione. In nessun caso l'attività del Medico in
formazione specialistica è sostitutiva del personale di ruolo”.
28 Cass. civ. sez. III sentenza del 17-10-2019 n. 26311.
28
La responsabilità del chirurgo
Dunque, i punti cardinali della responsabilità del Medico in formazione specialistica sono: “partecipazione guidata”, “graduale assunzione di compiti” e “autonomia vincolata”. La normativa non scende nel definire in dettaglio i limiti dell’autonomia crescente del Medico in formazione specialistica e dispone che a farlo siano
i regolamenti didattici delle varie Scuole di specializzazione, le Direzioni Sanitarie e
i Direttori/Responsabili delle Unità. L’attività del Medico in formazione specialistica
deve essere svolta secondo le indicazioni del tutore. Ciò non significa che vi debba
essere sempre la diretta presenza del tutore, ma che questi debba dare al Medico in
formazione specialistica le indicazioni su come svolgere le attività nella sua autonomia. Entro i margini di tale autonomia il Medico in formazione specialistica risponde
delle attività da lui compiute: se egli non si ritiene in grado di compierle dovrebbe
rifiutarle, dandone una specifica motivazione. Qualora, invece, egli svolga l’attività,
pur essendo consapevole di non essere ancora in grado di farlo in modo autonomo,
viene ad assumere anch’egli a rispondere per tale attività, assieme a colui che gliel’ha
assegnata, per “colpa per assunzione”.
Cenni di procedura penale e garanzie dei CCNL
Venendo a ricordare qualche elemento di procedura penale, è da evidenziare
quanto segue. Le indagini penali prendono il via quando la notizia di un’ipotesi di
reato giunge all’attenzione dell’Autorità Giudiziaria. La notizia può essere data da:
•
una querela/denuncia di un cittadino: il paziente, i suoi parenti, soggetti terzi;29
•
un referto prodotto da professionisti sanitari;30
•
una denuncia di reato da parte di un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio.31
29 Art. 333 cpp: Denuncia “Ogni persona che ha notizia di un reato perseguibile d’ufficio può
farne denuncia”. N.B. Procedibilità d’ufficio = conseguenza di alcuni reati, a seguito dei
quali l'azione penale deve essere avviata nel momento in cui giunge la notizia del crimine,
indipendentemente dalla eventuale richiesta della vittima / dei congiunti della vittima.
La legge determina i casi in cui la denuncia è obbligatoria: es. delitti contro la personalità
dello Stato, moneta contraffatta, furto di esplosivi, frodi sportive, … Art. 120 cp Querela
“Ogni persona offesa da un reato per cui non debba procedersi d’ufficio… ha diritto di
querela”. N.B. di regola deve essere sporta entro 3 mesi; per alcuni reati, ad es. violenze
sessuali entro 6 mesi. Per i soggetti < 14 anni o interdetti, può essere presentata dal genitore
/ tutore; per i 14-18enni e gli inabilitati sia da loro stessi sia dal genitore / curatore, anche se
il minore/inabilitato è di parere contrario.
30 Art. 365 c.p. Omissione di referto “Chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un
delitto per il quale si debba procedere d’ufficio…, omette o ritarda di riferirne all’Autorità
… è punito … Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona
assistita a procedimento penale”.
31 Art. 361 c.p. Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale; art. 362 … incaricato di
pubblico servizio “Il pubblico ufficiale, il quale omette o ritarda di denunciare… un reato di
cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni, è punito … Le disposizioni
precedenti non si applicano se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa”.
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
29
È da ricordare in proposito che i cittadini hanno una facoltà libera di sporgere
le querele/ denunce. I professionisti sanitari, i pubblici ufficiali e gli incaricati di
pubblico servizio da un lato hanno il dovere di segnalare le ipotesi di reato, dall’altro sono chiamati a ponderare con attenzione le proprie segnalazioni e ad inviarle
solo quando vi siano degli elementi ragionevoli che facciano porre l’ipotesi.
La segnalazione può essere sporta contro dei soggetti determinati oppure contro ignoti. I soggetti interessati possono essere identificati in un secondo tempo. I
soggetti denunciati possono essere iscritti nel cosiddetto registro degli indagati.
È da tenere presente che l’iscrizione nel registro degli indagati non è automaticamente resa nota ai soggetti iscritti. Sulle indagini preliminari vige in
genere il segreto istruttorio. Vi sono, però, i cosiddetti atti garantiti, tra cui vi
sono le ispezioni, le perquisizioni, gli interrogatori, i sequestri e i cosiddetti accertamenti tecnici irripetibili,32 tra i quali vi sono le autopsie giudiziarie. Accertamenti tecnici non ripetibili. Gli atti irripetibili non possono essere segreti e di
essi l’Autorità Giudiziaria ne deve dare un’informazione agli indagati, tramite
l’informazione di garanzia33, nota anche come avviso di garanzia. Essa è definita così, proprio perché la sua funzione è quella di garantire i diritti degli indagati, che possono così nominare dei propri difensori e dei propri consulenti tecnici.
Qualora si riceva un’informazione/avviso di garanzia è bene farsi assistere
sotto il profilo legale e tecnico. L’Autorità Giudiziaria individua un difensore
“d’ufficio”, al quale si può far subentrare un difensore di fiducia. Se la propria
copertura assicurativa prevede anche l’assistenza legale, il difensore è nominato
dalla compagnia d’assicurazione, senza oneri diretti a carico del professionista sanitario.
Tale copertura assicurativa è senz’altro da
raccomandare, in particolare per i libero-professionisti.
Per i professionisti dipendenti, si ricorda che l’art. 67 dell’attuale contratto colletCCNL Area Sanità 2016-2018
tivo nazionale del lavoro34 prevede che le
32 Art. 360 c.p.p. Accertamenti tecnici non ripetibili. c. 1. Quando gli accertamenti previsti
dall'articolo 359 riguardano persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione,
il pubblico ministero avvisa, senza ritardo, la persona sottoposta alle indagini, la persona
offesa dal reato e i difensori del giorno, dell'ora e del luogo fissati per il conferimento
dell'incarico e della facoltà di nominare consulenti tecnici.
33 Art. 369 c.p.p. Informazione di garanzia. c. 1. Solo quando deve compiere un atto al quale il
difensore ha diritto di assistere, il pubblico ministero invia per posta, in piego chiuso raccomandato con ricevuta di ritorno, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa una
informazione di garanzia con indicazione delle norme di legge che si assumono violate della
data e del luogo del fatto e con invito a esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia.
34 Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni. Contratto collettivo nazionale di lavoro dell’area sanità - Triennio 2016-2018. GU 28-01-2020 Serie Generale
n. 22 Suppl. Ord. n. 6.
30
La responsabilità del chirurgo
strutture sanitarie mettano a disposizione la difesa legale e tecnica, con oneri a
proprio carico, salvo che non si ravvisi un conflitto d’interesse tra l’azienda e il
professionista.
I professionisti hanno la facoltà di nominare un legale o un consulente tecnico di fiducia, in sostituzione di quello fornito dall’azienda o a supporto di essa.
In tal caso, gli oneri di difesa e/o consulenza sono a carico del professionista. In
seguito, qualora il procedimento giudiziale si concluda in modo favorevole al
professionista, egli può chiedere il rimborso delle spese sostenute.
In proposito, si deve porre attenzione a che:
•
il professionista deve comunicare all’azienda il nominativo del legale e/
consulente di propria scelta, poiché se ciò non è svolto gli oneri rimangono
a carico del professionista;
•
ad ogni modo, il rimborso degli oneri avviene entro i limiti dei costi che
l’azienda riconosce ai legali e consulenti di propria nomina: è un aspetto
da tenere in debito conto nella designazione dei difensori e consulenti di
fiducia, ai quali è bene chiedere un preventivo degli onorari.
Alla luce di ciò, qualora si riceva un avviso di garanzia, si raccomanda di
rivolgersi in modo celere all’Unità Affari Generali e legali della propria azienda,
così da poter fare la richiesta del patrocinio legale.
Una volta che il Magistrato inquirente
ha concluso le proprie indagini, può:
•
esercitare l’azione penale, se ritiene che
gli elementi raccolti confermino l’ipotesi di reato;
•
oppure richiedere l’archiviazione del
caso, qualora ritenga che l’ipotesi di rePer gli approfondimenti in tema di
ato non sia dimostrata o non sia dimoCCNL, si rimanda al sito internet ististrabile.
tuzionale della Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche
Il Pubblico Mistero (PM) deve porre la
Amministrazioni.
richiesta di esercizio dell’azione penale o di
https://www.aranagenzia.it
archiviazione al Giudice per le indagini preliminari, il quale può decidere in un senso o
nell’altro oppure può chiedere al PM di svolgere delle ulteriori indagini o disporle lui direttamente, ad esempio nominando dei Periti.
Quando è esercitata l’azione penale, si avvia il processo, nel corso del quale
l’accusa e la difesa presentano al giudicante i priori elementi.
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
31
1.3 La responsabilità civile sanitaria, nozioni di gestione dei
sinistri nell’ambito sanitario e nozioni sui contenziosi civili
Elementi fondamentali della responsabilità civile nell’ambito sanitario e novità introdotte dalla legge Gelli-Bianco
Prima di entrare nel merito delle novità introdotte dalla legge Gelli-Bianco
in tema di responsabilità civile, è bene ricordare che quest’ultima ha due grandi
capitoli: quello della responsabilità cosiddetta contrattuale e quello della responsabilità extra-contrattuale.
La differenza sta nel fatto che la prima si basa su un “contratto”35, da intendersi
in senso lato come accordo o come impegno, che regola il rapporto tra le parti.
Nella seconda, quella extra-contrattuale, invece, non v’è tra le parti alcun
contratto né accordo né impegno; come può accadere, ad esempio, in comune
incidente del traffico: tra i soggetti coinvolti non v’è di regola alcun accordo.
In tal caso le responsabilità sono statuite da un altro principio del codice
civile36, in base al quale per qualunque danno ingiusto, derivante da un fatto
doloso o colposo, si è obbligati al risarcimento.
In un passato ormai lontano, la responsabilità sanitaria era considerata di
tipo extra-contrattuale, poi vi è stata un’evoluzione giurisprudenziale, che l’ha
collocata nell’ambito contrattuale.
Una differenza fondamentale tra i due tipi di responsabilità sta nel cosiddetto
“onere della prova”, vale a dire il dover dimostrare i fatti e le proprie ragioni:
•
nella responsabilità contrattuale tale onere è a carico del debitore, vale a
dire del soggetto che compie la prestazione oggetto dell’accordo: ad esempio, una struttura sanitaria;
•
nella responsabilità extra-contrattuale, invece, l’onere grava su colui che
lamenta di aver subito il danno.
È un aspetto che ha un grande impatto sulle dinamiche processuali civili,
poiché nelle materie complesse, tra le quali rientra quella sanitaria, le difficoltà
stanno proprio nel ricostruire l’esatto accadimento dei fatti e nel ricostruire
come si sarebbero potuti svolgere, qualora fossero state compiute delle azioni
diverse. In proposito, va sottolineato che qualora si rimanga nel dubbio, la
ragione è di regola riconosciuta a chi ha subito il danno. Dunque, le eventuali
incertezze nella ricostruzione dei fatti, che possono derivare ad esempio da
carenze della documentazione sanitaria, non vanno a favore delle strutture
sanitarie e dei professionisti: all’opposto, vanno a loro sfavore.
35 Art. 1173 c.c. Fonti delle obbligazioni. Le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito,
o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico.
36 Art. 2043 c.c. Risarcimento per fatto illecito. Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona
ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.
32
La responsabilità del chirurgo
Ciò è statuito con chiarezza da codice civile37. Pertanto, nell’ambito sanitario le strutture e i professionisti sono chiamati a dimostrare che il danno lamentato dal paziente e/o da altri aventi diritto non è dipeso da una loro carenza nell’adempimento delle proprie prestazioni. L’onere della prova è a carico
del debitore e le “prove” sono in assoluta prevalenza di tipo documentale e,
segnatamente, costruite dalla documentazione sanitaria. Da qui la fondamentale importanza, anche ai fini giudiziari, di una corretta sua tenuta.
Anche nell’ambito civile vi sono le questioni dell’accertamento del nesso
di causalità, attiva od omissiva, per la valutazione delle ipotesi colpose professionali ed il loro rapporto con i danni lamentati. Cambia, però, il grado di
probabilità che si deve soddisfare: nell’ambito penale, come discusso con le
diapositive precedenti, il grado deve essere di certezza o probabilità prossima
alla certezza, secondo il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
Nell’ambito civile, invece, vige il principio de “il più probabile che non”,
vale a dire dell’almeno il 50% + 1 di probabilità.
In termini molto semplificativi, il Giudice penale, che deve valutare fatti di rilevanza
pubblica e comminare delle pene, deve essere certo o quasi certo di quello che dispone.
Il Giudice civile, invece, dovendo giudicare
fatti di rilevanza privata, dà ragione a colui
che ha più probabilità di averla.38
Cass. civ. 4400/2004
Si rimarca che quanto sopra è espresso è
un’esposizione semplificata, volta a facilitare
la comprensione di queste nozioni giuridiche,
che invero sono assai più intricate: un “cespuglio spinoso”, come espresso dalla Suprema
Corte in una sua recente ordinanza, nella quale è ripercorso e analizzato il complesso tema
dell’accertamento del nesso casuale nell’ambito
civile, con un confronto coll’ambito penale.39
Nell’ambito civile v’è il concetto della
Cass. civ. 13872/2020
cosiddetta “speciale” difficoltà40.
37 Art. 1218 c.c. Responsabilità del debitore. Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova il corretto adempimento delle
proprie prestazioni.
38 Cass. civ. sez. III, sent. -0403-2004 n. 4400.
39 Cass. civ. sez. III, ord. 06-07-2020 n. 13872.
40 Art. 2236 c.c. Responsabilità del prestatore d’opera. Se la prestazione implica la soluzione di
problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non
in caso di dolo o di colpa grave.
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
33
Con speciale la giurisprudenza civile intende una difficoltà così elevata da
porre a severo cimento la perizia del professionista che la deve affrontare. In
buona sostanza, essa ricorre solo in casi molto particolari:41
•
per i quali nella comunità scientifica vi siano accesi dibattiti e studi dagli
esiti tra loro opposti;
•
oppure di recente emersione e non ancora ben studiati;
•
o caratterizzati da straordinarietà e particolare eccezionalità del loro manifestarsi e non possono considerarsi ricompresi nel doveroso patrimonio
culturale, professionale e tecnico del professionista.
In tali casi, il codice civile prevede che i professionisti intellettuali, qualora
siano giudicati imperiti, debbano rispondere dei danni causati solo in caso di
colpa grave. Di questa si discuterà più avanti. Che tale limitazione sia applicabile anche alla responsabilità penale è una questione controversa: secondo taluni giuristi dovrebbe esserlo, secondo un principio di uniformità e unitarietà
del diritto penale e civile; secondo altri professionisti, invece, tale limitazione
non dovrebbe, argomentando che la lievità della colpa non esclude il reato:
semmai, sarebbe da tenere in considerazione per la commisurazione della pena.
Un’altra differenza tra la responsabilità civile e quella penale è rappresentata
dal fatto nell’ambito penale è indispensabile individuare i responsabili dei fatti,
poiché la responsabilità penale è solo personale. Nell’ambito civile, invece, la
responsabilità può essere riconosciuta anche senza individuare i singoli responsabili e talora senza individuare l’esatto momento nel quale si è verificato l’inadempimento che contribuito al verificarsi del danno. Si pensi, ad esempio, alle
cadute dovute ad insidie (tappeti agli ingressi delle strutture sanitarie, falsi gradini o irregolarità delle pavimentazioni, etc); spesso non si viene ad individuare
uno specifico soggetto responsabile e l’evento lesivo è addebitato alla cosiddetta
responsabilità oggettiva della struttura.
Novità introdotte dalla legge Gelli-Bianco
Un aspetto peculiare dell’ambito civile,
che è stato modificato dalla legge Gelli-Bianco, era il fatto che il regime contrattuale della responsabilità era applicato non solo alle
strutture sanitarie, ma anche ai loro professionisti sanitari. Ciò avveniva in base alla
dottrina giuridica del cosiddetto “contatto
sociale”42: un principio giuridico elaborato
in Germania e importato in Italia e individua
41 Cass. civ. sez. III, sent. del 18.01.1988 n. 338.
42 Cass. civ. sez. III, sentenza del 22-01-1998 n. 589.
Cass. civ. 589/1999
34
La responsabilità del chirurgo
un rapporto giuridico senza che ci sia stato un esplicito incontro dei consensi
(contratto o accordo). I giuristi tedeschi l’hanno elaborato per poter dirimere
alcune controversie legali riguardanti i rapporti di massa (ad es. relativi ai distributori di bibite, parchimetri, self-service per carburanti), nei quali i rapporti
s’instaurano senza che ci sia stata una proposta e un’accettazione espressa, ma
con la sola fornitura e utilizzazione del servizio. Il principio giuridico è stato poi
esteso ai casi nei quali vi sia un cosiddetto comportamento “concludente”: ad
es. un soggetto che si reca in ospedale per farsi valutare e curare e tali attività
sono ivi svolte dal personale sanitario. Tale comportamento è equiparato ad una
“accettazione” (accordo) delle prestazioni e da ciò derivate le obbligazioni contrattuali, pur senza che sia stato stipulato un vero e proprio contratto.
Si tratta di un’interpretazione squisitamente giuridica, che va a riconoscere
un contratto anche laddove non c’è e va così ad applicare le regole dell’ambito
contrattuale: molto scomode per chi assume il ruolo di debitore.
L’applicazione di tale principio nell’ambito sanitario ha determinato degli
effetti distorsivi: si pensi, a tal proposito, ad un Medico o un Infermiere di Pronto Soccorso che accolgano un malato urgente oppure ad un Medico Anestesista
che accolga in Terapia intensiva un malato o un’Ostetrica che soccorra una donna arrivata d’urgenza in Sala Parto e così via. Si tratta di situazioni nelle quali è
ben difficile delineare un contratto, anche solo tacito, e che sono ben diverse da
altre situazioni, come quella, ad esempio, nella quale un paziente concordi con
un Chirurgo un determinato intervento, magari di chirurgia estetica.
L’articolo 7 della legge Gelli-Bianco ha superato la dottrina del “contatto sociale”, stabilendo al suo comma 3 che la responsabilità dei professionisti sanitari è di
regola extra-contrattuale (ex art. 2043 c.c.), salvo che con il paziente non si assuma
un’effettiva obbligazione contrattuale, come avviene nelle prestazioni libero-professionali. La responsabilità delle strutture sanitarie rimane, invece, di tipo contrattuale.
L’art. 7 c. 1 stabilisce anche che le strutture sanitarie debbano rispondere sotto
il profilo civile degli atti svolti dai professionisti di cui si avvalgano, anche qualora
non vi sia un rapporto di dipendenza. È una statuizione volta ad inibire talune dinamiche processuali, per le quali non poche strutture sanitarie, in particolar modo
della spedalità privata, tendevano a riversare gli oneri risarcitori sui propri professionisti. In proposito, è da ricordare che già da tempo la giurisprudenza aveva riconosciuto che spesso molte strutture sanitarie private, benché stipulassero dei contratti “libero-professionali”, i rapporti di lavoro coi loro collaboratori di “libero-”
avevano poco-nulla, gestendoli di fatto come dei subordinati o para-subordinati.
Peraltro, sul punto si è espressa nel 2019
anche la Corte di Cassazione,43 ribandendo che le strutture debbano rispondere degli inadempimenti dei propri professionisti
anche qualora non siano loro dipendenti,
43 Cass. civ. sez. III, sent. 11-11-2019 n. 28987.
Cass. civ. 28987/2019
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
35
richiamando quanto stabilito dagli art. 1228 e 2049 cod. civ.44. In tema di ripartizione degli oneri risarcitori tra la struttura ed il professionista e di azioni di rivalsa/regresso della struttura nei confronti del professionista, la Corte ha anche
affermato che, anche per i fatti antecedenti alla legge Gelli-Bianco, “nell’ipotesi di
colpa esclusiva del medico la responsabilità dev’essere paritariamente ripartita tra struttura e sanitario, nei conseguenti rapporti tra gli stessi, eccetto che negli eccezionali casi
d’inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza
dal programma condiviso di tutela della salute cui la struttura risulti essersi obbligata”.
Al c. 2 è previsto che le strutture debbano rispondere anche per le prestazioni
in regime di libera professione intramuraria, per quelle correlate alle attività di
ricerca, per quelle svolte nell’ambito di convenzioni e per quelle di telemedicina.
Focalizzando l’attenzione sulla libera professione intramuraria, è da evidenziare che da un lato essa rende contrattuale la responsabilità anche per il Medico che la svolge, dall’altro lato essa rientra nella tutela che la struttura sanitaria
deve fornire. Ciò fa si che il professionista sanitario nei confronti del paziente ha
un rapporto di responsabilità contratturale e nel contempo beneficia della tutela
legale ed assicurativa dell’azienda per la quale opera, nei limiti che saranno poi
discussi. Va da sé che il professionista sia tenuto a svolgere le proprie attività in
conformità non solo con lo stato dell’arte, ma anche con le disposizioni aziendali e ponendo l’azienda nelle condizioni di potersi tutelare al meglio sotto il
profilo medico-legale, a cominciare da una diligente refertazione di tutte le attività, comprese anche quelle svolte in regime libero-professionale. Una copia dei
referti delle attività libero-professionali intramurarie dovrebbe rimanere nella
disponibilità della struttura sanitaria.
La responsabilità professionale civile correlata all’informazione e al consenso
Nell’ambito civile la responsabilità correlata all’informazione-e-consenso agli atti sanitari ha avuto un’evoluzione opposta a quella
che ha avuto nell’ambito penale ed ha assunto
sempre più rilevanza, tanto che le violazioni
del consenso informato hanno assunto un rilievo risarcitorio autonomo, che ormai prescinde
Cass. civ. 12205/2015
dal verificarsi o no di danni alla salute, come
affermato dalla Suprema Corta nel 2015, pronunciandosi sul un caso di un intervento chirurgico eseguito in modo corretto e che
aveva determinato la guarigione del paziente.45
44 Art. 1228 cod.civ. Responsabilità per fatto degli ausiliari. Salva diversa volontà delle parti, il
debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si vale dell'opera di terzi, risponde anche
dei fatti dolosi o colposi di costoro. Art. 2049 cod.civ. Responsabilità dei padroni e dei committenti. I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei
loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti.
45 Cass. civ. sez. III, sent. 12-06-2015 n. 12205.
36
La responsabilità del chirurgo
Di recente la Cassazione civile ha rimarcato che, sotto il profilo giuridico, la questione
del consenso informato è tutt’altro che formale
ed anzi è sostanziale, tant’è che, se risulta dimostrato che il paziente fosse già informato
in modo adeguato sull’accertamento o trattamento proposto, quand’anche manchi la prova
Cass. civ. 7516/2018
della (nuova) informazione, essa è irrilevante,
poiché ciò che conta è che egli sia di fatto informato per poter scegliere in modo consapevole: ad es. si è già sottoposto a quell’accertamento/trattamento o perché è già stato informato da terzi oppure perché, essendo
egli stesso un professionista sanitario, ha una personale conoscenza della materia.46
Sempre di recente la Suprema Corte ha
confermato il carattere autonomo del danno
da violazione del consenso informato, precisando che:47
•
esso è legato al concetto che, senza un’adeguata informazione, il paziente non
può prepararsi alle eventuali conseguenze dannose dell’atto sanitario;
Cass. civ. 10608/2018
•
il giudizio non è mai standard, ma varia
di caso in caso, in base anche alla gravità
clinica e alla cogenza dell’atto sanitario.
Anche nel 2019 la Corte di Cassazione si
è espressa sul tema del consenso informato,48
evidenziando che le sue violazioni possono
dar ruolo a una voce di danno autonoma, derivante dalla lesione “diritto all’autodeterminazione”, qualora si dimostri che il paziente,
se fosse stato informato, avrebbe rifiutato
Cass. civ. 28985/2019
l’intervento. È da porre particolare attenzione su tale punto, poiché la Suprema Corte ha
evidenziato che se il trattamento, che il paziente avrebbe rifiutato, ha comportato anche un danno alla salute, anche questo diviene risarcibile, a prescindere dal
fatto che sia derivato da una (altra) colpa professionale. Nel contempo, rimane
fermo il fatto che spetta al paziente l’onere di dimostrare che, se fosse stato informato, avrebbe rifiutato il trattamento sanitario. La prova di ciò può essere
fornita con ogni mezzo che possa essere utile al Giudice per formulare un convincimento su tale punto.
46 Cass. civ. sez. III, sent. 27-03-2018 n. 7516.
47 Cass. civ. sez. III, ord. 04-05-2018 n. 10608.
48 Cass. civ. sez. III, sent. 11-11-2019 n. 28985.
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
37
In tema di informazione-e-consenso agli atti sanitari è da evidenziare che
nella maggior parte delle polizze assicurative la garanzia esclude eventuali responsabilità derivanti da inadempimenti per tale specifico aspetto. In alcune polizze l’esclusione è prevista qualora la richiesta risarcitoria verta solo sul tema
del consenso informato. Altre polizze prevedono delle franchigie in caso di mancata acquisizione di un valido consenso informato. In altre polizze, invece, anche
qualora la richiesta risarcitoria faccia leva anche su altri aspetti di responsabilità
sanitaria, la copertura assicurativa del sinistro è comunque esclusa in toto qualora si riscontri la mancanza di un valido consenso informato scritto.
La gestione dei sinistri nelle strutture sanitarie e le comunicazioni ex art. 13 della
legge Gelli-Bianco
Venendo a discutere della gestione dei sinistri, è da evidenziare che nel 2011
il Ministero della Salute ha emanato le “Linee guida per gestire e comunicare gli
Eventi Avversi in sanità”, che recano una “Raccomandazione per la risoluzione stragiudiziale del contenzioso nelle aziende sanitarie”49. La raccomandazione incentiva
le strutture sanitarie a ricorrere alle modalità di definizione stragiudiziale dei contenziosi50, sia per mantenere un migliore rapporto con i cittadini sia per evitare il
ricorso alla giustizia ordinaria, con tempi più rapidi nella definizione delle vertenze
e risparmi di gestione, onde contribuire al contenimento della spesa pubblica.
La raccomandazione indica che le scelte transattive dovranno soddisfare
criteri di razionalità e congruità, emergendo, con la transazione, l’utilità e la convenienza economica per l’ente al perfezionamento di tali accordi.
A tal fine, la raccomandazione incentiva l’attività di appositi comitati aziendali o sovra-aziendali, che hanno varie denominazioni a seconda della regolamentazione regionale: ad es. Comitato Valutazioni Sinistri (CVS) in Lombardia51,
Comitato Valutazione Sinistri Azienda (CVSA) nel Lazio52, Comitato Aziendale
Valutazione dei Sinistri (CAVS) in Sicilia53, etc.
La gestione dei sinistri sanitari è un’attività complessa, che si articola in
plurime fasi e che richiede varie professionalità e varie funzioni aziendali: Affari
49 Ministero della Salute – Dipartimento della qualità – Direzione generale della programmazione sanitaria, dei livelli di assistenza e dei principi etici di sistema – Ufficio III. Linee
guida per gestire e comunicare gli Eventi Avversi in sanità. Roma, giugno 2011.
50 Art. 1965 c.c. Transazione. La transazione è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può
sorgere tra loro. Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere
anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione
delle parti. D.lgs. 28/2010. Attuazione dell'art. 60 l. 69/2009, n. 69, in materia di mediazione
finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali.
51 Regione Lombardia DG Sanità circolare 46/SAN 27.12.2004.
52 Regio Lazio Determinazione G09535 02.07.2014.
53 Regione Sicilia DA 28.12.2011 GURS 66 13.01.2012.
38
La responsabilità del chirurgo
Generali, Medicina Legale, Unità Cliniche, Direzione Medica, Direzione delle
Professioni Socio-Sanitarie ed Ufficio Legale. V’è il coinvolgimento anche di funzioni extra-aziendali, tra cui: studi legali specializzati nel contenzioso sanitario,
compagnie d’assicurazione e intermediari assicurativi (broker).
La raccomandazione ministeriale indica che l’attività del CVS ha per oggetto:
•
l’integrazione della procedura di rilevazione, raccolta e organizzazione dei dati e
delle informazioni necessarie ad un’efficace gestione dei sinistri;
•
una prima valutazione, in presenza di una richiesta di risarcimento danni, delle
eventuali responsabilità che, qualora non correttamente gestite, potrebbero sfociare
in un contenzioso giudiziario;
•
la valutazione diretta delle tipologie e delle entità dei danni (in termini di responsabilità e di impatto economico) arrecati ai pazienti/utenti dei servizi sanitari, con il
coinvolgimento di tutte le professionalità aziendali necessarie per l’analisi dei sinistri;
•
la verifica dei data-base esistenti ed eventuale proposta di integrazione, al fine di renderli efficaci per la gestione delle statistiche sui sinistri, necessarie al mercato assicurativo;
•
il contributo alla definizione della politica di copertura assicurativa aziendale, qualora la polizza preveda una franchigia e la gestione dei relativi sinistri non sia
demandata unicamente alla Compagnia, ma l’organo aziendale/regionale collabora
alla gestione dei rapporti con i danneggiati e/o i loro studi legali e medici legali, per
una composizione della vertenza.
Nella raccomandazione ministeriale la gestione dei sinistri sono articolate
le varie fasi di gestione dei sinistri:
Fase preliminare
È volta all’acquisizione di tutta la documentazione utile sanitaria e non e all’instaurazione di un proficuo rapporto con la parte istante, in particolare attraverso:
• la gestione e la presa in carico della richiesta di risarcimento;
• l’inoltro formale di tale richiesta alla [eventuale] Compagnia di assicurazione
secondo le modalità previste dai diversi contratti;
• l’informativa alla controparte rispetto alla presa in carico anche da parte della
[eventuale] Compagnia di assicurazione e la richiesta di eventuali valutazioni
medico-legali e/o dell’ulteriore documentazione sanitaria in possesso del
richiedente.
Fase istruttoria
Durante tale fase si procede alla raccolta della documentazione necessaria
all’istruttoria (copia della cartella clinica, dei referti e della documentazione
medica, compresa quella iconografica, nonché eventuali relazioni di accertamento dei fatti a firma del personale sanitario coinvolto). Può essere utile
convocare e ascoltare le parti in causa (operatori dell’Azienda, danneggiato ed
eventuali suoi consulenti).
Fase peritale
accertativa
Entro 30 giorni dal ricevimento della documentazione raccolta, il medico
legale, in qualità di componente dell’organo di negoziazione e/o conciliazione,
procede a redigere una propria relazione. Il parere medico-legale può essere
emesso anche a seguito di visita del richiedente, appositamente invitato presso i locali dell’Azienda. Al fine di limitare i passaggi operativi, soprattutto nei
confronti del richiedente non patrocinato, è auspicabile un preventivo accordo
tra il medico legale dell’Azienda e della Compagnia di assicurazione, previa
visita congiunta.
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
Fase valutativa
L’organo di negoziazione e/o conciliazione, dopo aver acquisito la relazione
medico-legale o, in caso di discordanza, delle relazioni del medico legale e del
medico della Compagnia di Assicurazione, procede alla discussione (anche
in presenza degli operatori sanitari coinvolti) e alla formulazione del giudizio
conclusivo di definizione del sinistro.
Fase conclusiva
Consiste nell’attivazione di strumenti e metodi per definire la trattativa con
la controparte, seguendo il modello della conciliazione paritetica e ponendo
particolare attenzione alla regolarità degli atti amministrativi conseguenti.
39
L'attività di gestione dei sinistri è divenuta nel corso degli anni molto più
delicata per le strutture sanitarie. Sino ad alcuni anni fa, la gestione dei sinistri
era del tutto demandata alle compagnie assicurative, le quali, in caso di esborso,
chiedevano alle aziende sanitarie di rifondere delle limitate somme di denaro,
che ricadevano in franchigie, spesso molto basse: ad esempio, franchigie di soli
10'000 € per ciascun sinistro.
Nel corso dei passati anni le compagnie assicurative avevano riscontrato
un’inconvenienza nell’offrire coperture alle strutture sanitarie e queste ultime
hanno incontrato delle difficoltà crescenti nel reperire le coperture. In parallelo,
i gestori dell’SSN hanno trovato un’inconvenienza dell’ammontare dei premi
assicurativi pagati rispetto alle somme esborsate dalle compagnie assicurative
per i risarcimenti da responsabilità sanitaria. Ciò ha portato a delle modifiche
dei contratti assicurativi delle strutture sanitarie. Semplificando il più possibile
la questione, si evidenzia che ora molti contratti assicurativi prevedono che il
limite delle somme a carico delle strutture sanitarie, in termini comuni "lo scoperto", è stato elevato di molto: ad esempio a 250'000 € o 500'000 €, talora persino
a di 1'000'000 €, per ciascun sinistro. Oltre a ciò, è da evidenziare che non si tratta
più solo di mere franchigie, vale a dire di mere soglie di denaro, ma di cosiddette
Self Insured Retention (SIR), vale a dire di una fascia economica di sinistri nella
quale sono a carico delle strutture sanitarie non solo le somme di denaro, ma anche l’intera gestione medico-legale, legale e amministrativa. Ciò ha comportato
un netto aggravamento delle attività a carico delle strutture sanitarie, con la necessità di reperire e di sviluppare delle professionalità in tale complesso campo.
In correlazione a quanto previsto dalla raccomandazione ministeriale, la
valutazione di un sinistro sanitario prevede in media:
1. una valutazione preliminare della richiesta risarcitoria, onde verificare:
a.
che la stessa sia posta nei termini corretti;
b.
che il potenziale valore economico del caso sia entro o oltre la SIR;
c.
quali siano le Unità sanitarie / i servizi interessati;
2. è poi richiesto alle Unità / Servizi interessati di relazionare sugli accadimenti, onde poterli conoscere e comprendere al meglio;
3. una volta ricostruiti gli accadimenti sul piano clinico, se ne valutano i risvolti
medico-legali;
40
La responsabilità del chirurgo
4. le considerazioni cliniche e medico-legali sono poi esposte ai membri del
CVS, i quali debbono decidere se accogliere la richiesta risarcitoria oppure
se respingerla;
5. le conclusioni del CVS sono poi trasmesse alla Direzione della struttura sanitaria, cui spettano le ulteriori valutazioni e disposizioni in merito;
6. in caso di reiezione, può seguire un contenzioso legale, di cui si dirà più avanti.
Per quanto attiene all’analisi clinica e medico-legale dei sinistri, è bene tenere a mente che sotto il profilo civile, salvo i casi colpa grave, di cui si discuterà
poi, l’identità dei singoli operatori coinvolti nella vicenda clinica in esame non è
rilevante, poiché la struttura sanitaria è chiamata a rispondere per loro e ad offrire l’assistenza legale. Quel che rileva è il cercare di comprendere al meglio delle
possibilità quali fatti si siano verificati e per quali motivi. L’analisi del sinistro è,
quindi, da svolgere non con un approccio personale, ma collegiale e aziendale.
Un altro principio da tenere a mente per l’analisi dei sinistri è che, in base
a quanto discusso circa le regole della responsabilità contrattuale delle strutture sanitarie (n.b. rimasta tale anche con la legge Gelli-Bianco), nella quale vige
l’inversione dell’onere della prova. È, dunque, la struttura sanitaria a dover dimostrare che il sinistro non si è verificato per delle sue carenze/inadempienze,
ma per motivi indipendenti, imprevedibili ed imprevedibili. È proprio in tale
prospettiva che si debbono analizzare i casi.
Inoltre, l’analisi deve essere ad ampio spettro e multidimensionale, con riferimento ai vari elementi (ad esempio tempistiche dei rilievi clinici, delle prestazioni, delle somministrazioni, completezza delle registrazioni documentali,
interazioni tra gli operatori, passaggio delle consegne, etc), che possono contribuire al verificarsi di eventi lesivi.
In buona sostanza, si deve aver chiaro che le relazioni che le strutture sanitarie chiedono ai propri professionisti sui sinistri non sono finalizzate ad avere
delle “giustificazioni”: non è quello il fine. Il loro scopo è quello di ricostruire nel
modo più preciso possibile i fatti e di comprenderli nei loro vari aspetti: sia quelli favorevoli all’azienda sia quelli sfavorevoli. Una particolare attenzione deve
essere data a questi ultimi, poiché sono quelli più delicati e sono quelli sui quali
si devono ponderare nel modo più attento possibile le decisioni, per un’accorta
gestione legale del contenzioso. In altre parole, occorre verificare se vi siano state
oppure se siano mancate la completezza, la tempestività e la coerenza dei vari
elementi dei processi clinico-assistenziali:
•
inquadramento diagnostico;
•
informazione dettagliata ai fini del consenso agli atti diagnostico-terapeutici proposti;
•
processo terapeutico e assistenziale;
•
dimissioni, rapporti con il curante e/o altre strutture sanitarie;
•
formazione e tenuta della documentazione;
•
riservatezza dei dati.
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
41
Non si dovrebbe aver timore nell'esprimere per iscritto delle eventuali considerazioni sfavorevoli, poiché queste essendo finalizzate a ponderare la strategia
difensiva aziendale, sono mantenute in forma riservata per la struttura sanitaria.
Riprendendo quanto prima già menzionato, una volta raccolte le informazioni e le valutazioni utili per le decisioni medico-legali, legali, nonché assicurative per i casi oltre la SIR, se ne svolge una discussione collegiale nell’ambito del
CVS. I sinistri più complessi richiedono non di rado più discussioni con varie
riunioni del CVS. Alla conclusione, il CVS decide:
a) di accogliere la richiesta risarcitoria, formulare una proposta liquidatoria e
avviare le trattative con i soggetti richiedenti;
b) oppure di rigettare la richiesta e dare una risposta negativa.
In tale secondo caso, taluni richiedenti desistono dalla loro richiesta risarcitoria, ma la maggior parte prosegue nel contenzioso legale.
L’art. 13 della legge Gelli-Bianco impone alle strutture l’obbligo di comunicazione ai professionisti sanitari interessati:
•
l'instaurazione del giudizio;
•
l'avvio di trattative stragiudiziali con il danneggiato, con invito a prendervi parte.
La comunicazione deve essere data entro 45 giorni54 dalla data nella
quale la struttura sanitaria riceve la notifica dell’atto introduttivo o da quella nella quale avvia le trattative stragiudiziali con il danneggiato. La comunicazione può avvenire con vari mezzi: ad esempio raccomandata, fax o
posta elettronica certificata (PEC).
Si rimarca in proposito che di recente è stato confermato l’obbligo per tutti
i professionisti iscritti a ordini o collegi professionali di dotarsi di un domicilio
digitale55, vale a dire di una casella PEC o di un analogo sistema informatico
internazionale. La recente norma impone agli ordini e ai collegi di diffidare gli
iscritti che non si siano ancora dotati di un domicilio digitale a provvedere a
dotarsene. I professionisti debbono ottemperare alla diffida entro 30 giorni dalla
sua ricezione e, se entro tale termine non comunicano all’ordine/collegio il proprio domicilio digitale, debbono essere sanzionati con la sospensione dall’albo/
elenco, finché non si doteranno del domicilio digitale.
Tornano all’art. 13 della legge Gelli-Bianco, si evidenzia che l’obiettivo della norma è quello di rendere noti ai professionisti i contenziosi legali promossi
contro la struttura sanitaria di afferenza e che potrebbero coinvolgere loro stessi
54 Il termine previsto in origine dalla l. 24/2017 era di 10 giorni ed è stato poi prolungato a 45
giorni dalla l. 3/2018 art. 11 c. 1 punto d.
55 Legge 11-09-2020 n. 120 Conversione in legge, con modificazioni, del DL 16-062020, n. 76, recante misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale. GU Serie Generale n. 228 del
14-09-2020 - Suppl. Ordinario n. 33, in vigore dal: 15-09-2020.
42
La responsabilità del chirurgo
in futuro: ad esempio per una chiamata in giudizio da parte del danneggiato
oppure per un’azione di rivalsa della struttura stessa o un’azione della Corte dei
Conti per la responsabilità amministrativa.
Qualora si riceva una comunicazione ex art. 13, si raccomanda di verificare
con attenzione le clausole della propria polizza assicurativa, per verificare se e
cosa preveda circa tale tipo di comunicazione e circa i cosiddetti “fatti noti”,
onde non ricadere in una intempestiva comunicazione e/o non ricadere nell’infelice situazione di non poter da un lato attivare la polizza in essere, poiché la
comunicazione ex art. 13 non è ricompresa nelle previsioni della polizza stessa
per l’apertura del sinistro, e dall’altro di non poterlo fare nemmeno in quella che
andrà a stipulare futuro, poiché qualificato da quest’ultima come “fatto noto” ed
escluso dalla garanzia assicurativa.
Mediazione civile, ATP, CTU e artt. 8 e 15 della legge Gelli-Bianco
Per la prosecuzione del contenzioso legale, la legge Gelli-Bianco prevede
all’art. 8 due alternative:
•
la cosiddetta mediazione civile56, che è una procedura che si svolge senza il
coinvolgimento del Tribunale ed è gestita da appositi organismi, creati ad
esempio degli ordini degli avvocati, dagli ordini dei commercialisti o da
società private;
•
oppure il cosiddetto accertamento tecnico preventivo57, che è una procedura che si ottiene ricorrendo al Tribunale e che è svolta prima dell’avvio della
causa vera e propria.
O una o l’altra procedura sono indispensabili per poter avviare una causa
in tema di responsabilità sanitaria. L’art. 8 della legge Gelli-Bianco ha sancito
l’obbligo di partecipazione di tutte le parti, comprese le compagnie assicurative.
Ciò è stato voluto per porre rimedio al fatto che negli anni precedenti molte mediazioni non si erano potute nemmeno tentare per la mancata partecipazione di
una o più parti.
56 D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 Attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in
materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali.
57 Art. 696-bis c.p.c. Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite. L'espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori
delle condizioni di cui al primo comma dell'articolo 696, ai fini dell'accertamento e della
relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Il giudice procede a norma del terzo comma del medesimo articolo 696. Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta,
ove possibile, la conciliazione delle parti. Se le parti si sono conciliate, si forma processo
verbale della conciliazione. Il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo
al processo verbale… Se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la
relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito.
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
43
La mediazione civile, per completezza mediazione civile e commerciale, è
stata istituita nel 2011, con lo scopo di ridurre il ricorso ai Tribunali per gestire
le liti ed è stata resa obbligatoria per alcune materie, tra le quali la responsabilità
sanitaria. Essa, come già detto, consente di procedere poi alla causa, se necessaria, ed ha l’effetto di interrompere i termini di prescrizione del diritto risarcitorio.
Il tempo di prescrizione decorre da quanto il soggetto danneggiato ha coscienza di aver subito un danno ingiusto e ha una durata di 5 anni nella responsabilità extra-contrattuale e di 10 anni in quella contrattuale.
La mediazione prende il via su richiesta scritta dell’interessato. La richiesta
deve indicare le parti coinvolte, l’oggetto e le ragioni della pretesa. Il responsabile dell’Organismo di mediazione designa il mediatore, figura terza e imparziale,
che fissa il primo incontro tra le parti, non oltre 15 giorni dopo il deposito della
domanda, comunicando la domanda e la data del primo incontro alle parti chiamate, con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione. Se le parti aderiscono
all’incontro, il mediatore fa un discorso introduttivo e le parti espongono il proprio punto di vista, al fine di:
•
far emergere gli interessi;
•
generare opzioni alternative alle richieste iniziali;
•
metterle a confronto con le conseguenze della mancata conclusione
dell’accordo.
Il procedimento si svolge senza formalità e il mediatore si adopera affinché le
parti raggiungano un accordo amichevole, allorquando ve ne siano i presupposti.
È bene aver presente che le parti chiamate hanno la facoltà di non aderire alla mediazione, ma se lo fanno senza un giustificato motivo e ne segue
un iter giudiziale, il Giudice può desumerne un argomento a sfavore e può
erogare una sanzione.
Se le parti aderiscono e svolgono la mediazione, mediante uno o più incontri per la discussione del caso e con eventuali consulenze tecniche. Ogni soggetto
protagonista o partecipe del procedimento di mediazione è tenuto all’obbligo
di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese ed alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo. Rispetto alle dichiarazioni rese ed alle informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate e, salvo consenso della parte
dichiarante o dalla quale provengono le informazioni, il mediatore è tenuto alla
riservatezza nei confronti delle altre parti.
La mediazione può avere un esito positivo con un accordo tra le parti oppure negativo, qualora non vi sia l’accordo. Nel primo caso il mediatore stila un
verbale, con il testo dell’accordo di conciliazione, che ha natura contrattuale. Su
richiesta di parte, il verbale può essere «omologato» dal Tribunale, che ne verifica la correttezza legale e lo rende esecutivo.
Quando l’accordo non è raggiunto, il Mediatore può formulare una proposta di conciliazione, di sua iniziativa, se ne ravvisa gli estremi, oppure su richiesta delle parti. Altrimenti, redige il verbale negativo, attestato il mancato
raggiungimento della conciliazione. Nel caso di accettazione della proposta for-
44
La responsabilità del chirurgo
mulata dal mediatore, si procede alla redazione di verbale di accordo, che può
essere poi omologato. Qualora non sia accettata è prodotto un verbale negativo,
che riporta la proposta conciliativa.
Si evidenzia, in proposito, che se il successivo iter giudiziale si conclude
con un giudizio che corrisponde al contenuto della proposta conciliativa, il Giudice condanna la parte soccombente al rimborso delle spese sostenute dalla parte vincitrice dopo la mediazione, al rimborso delle spese di mediazione, nonché
ad un’ulteriore somma di denaro.
Ad oggi, la mediazione civile non hanno avuto l’effetto deflattivo degli iter
giudiziali nella misura auspicata dai loro sostenitori e ciò si correla in buona misura
al fatto che essa, nonostante sia uno strumento a scarso contenuto tecnico, si propone per gestire contenziosi che –all’opposto– vertono su questioni tecniche nella
maggior parte dei casi complesse e delicate, anche in quelli “semplici”, che solo in
apparenza lo sono. In alternativa alla mediazione civile, è possibile promuovere un
ricorso al Tribunale, ai sensi dell’art. 696 bis del codice di procedura civile.
Questo tipo di ricorso consente di disporre, prima dell’ulteriore prosecuzione dell’iter giudiziale, un cosiddetto Accertamento Tecnico Preventivo (ATP).
Con questo il Giudice nomina (o, quantomeno, dovrebbe nominare) un collegio di
consulenti tecnici: uno specialista in Medicina Legale affiancato da uno più specialisti clinici delle branche coinvolte nel caso oppure da altri profesti sanitari.
Invero, le prassi di nomina dei consulenti tecnici da parte dei Tribunali non
sono uniformi tra le varie sedi e non di rado gli incarichi non sono affidati a dei
collegi, ma a dei singoli professionisti, Medici legali oppure Clinici. È, tuttora,
poco frequente la nomina di consulenti delle altre professioni sanitarie, anche in
relazione al minor volume del contenzioso che li vede coinvolti. Si rimanda in proposito a quanto scritto nelle prossime pagine sull’art. 15 della legge Gelli-Bianco.
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
45
Le parti coinvolte nel ricorso possono a loro volta nominare dei propri consulenti, i quali si riuniscono con quelli nominati dal Giudice, per la discussione e la
valutazione del caso. I consulenti nominati dal Giudice hanno il mandato non solo
di svolgere la valutazione tecnica del caso, ma anche di tentare una conciliazione.
Se questa avviene, se ne produce il verbale, che poi il Giudice rende effettivo con un decreto.
Se la conciliazione non avviene i consulenti consegnano le proprie conclusioni al Giudice. Se le parti accettano tali conclusioni, l’iter giudiziale viene a poi
di solito concludersi.
Se le parti non accettano le conclusioni e il ricorrente persiste nelle sue richieste, l’iter giudiziale prosegue con l’avvio della causa. In taluni casi, la parte
ricorrente desiste dalla sua richiesta e abbandona il giudizio.
La causa vera e propria può essere avviata dopo una mediazione civile o
un ricorso ex articolo 696 bis. La causa inizia con un atto di citazione, con il quale
una persona fisica o giuridica (impresa, società, struttura pubblica) chiama in
causa, davanti al Giudice competente, un’altra persona fisica o giuridica. Colui
che cita è il cosiddetto attore; colui che è citato è detto convenuto.
Il convenuto è informato mediante notifica. Il Tribunale competente è in
genere quello del luogo in cui risiede il convenuto. Il convenuto è tenuto alla c.d.
comparsa di costituzione e risposta. Se questa non è redatta, il processo si svolge
in contumacia.
Si procede con una prima udienza di comparizione / trattazione: è necessaria la presenza delle parti per consentire al Giudice di chiedere chiarimenti e per
tentare la conciliazione.
46
La responsabilità del chirurgo
Seguono delle udienze, nelle quali sono assunte le prove fornite dalle parti:
documentali, tra cui le consulenze di parte; orali: interrogatori, testimonianze.
Nel suo corso il Giudice può disporre una Consulenza Tecnica d’Ufficio
(CTU), che è simile all’ATP, ma a differenza di essa non ha anche un mandato
conciliativo. In alcuni casi la CTU non è disposta ed il Giudice fa riferimento a
quanto già acclarato dall’ATP.
Una volta acquisite tutte le prove, si svolge la comparsa conclusionale, nella
quale viene riassunto l’iter processuale. Il processo si conclude con la sentenza,
che stabilisce:
a. se vi è stata o meno responsabilità del/i convenuto/i;
b. l’entità dell’eventuale risarcimento e la sua eventuale ripartizione tra più parti.
Avverso la sentenza le parti possono promuovere un ricorso in appello.
L’art. 15 della legge Gelli-Bianco ha sancito il ruolo cardine dei Consulenti
Tecnici d’Ufficio e dei Periti nell’affrontare i casi di responsabilità sanitaria per
conto dell’Autorità giudiziaria. L’articolo prevede la collegialità dell’incarico di
consulenza, invero già prevista dal Codice di Deontologia Medica. L’incarico di
ATP/CTU (o di perizia nell’ambito penale) è da affidare:
•
ad un Medico legale: la norma finalmente riconosce che tale ruolo deve
essere svolto dai Medici Chirurghi con il diploma di specializzazione in
Medicina legale; la specificità di tale branca specialistica è stata ribadita
anche dal Consiglio Superiore della Magistratura;58
58 CSM Delib. 25.10.2017 - odg 2932 Criteri per la selezione dei consulenti tecnici: “…l’affiancamento nelle perizie del medico legale allo specialista sostanzia la garanzia del collegamento tra
sapere giuridico e sapere scientifico…”
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
•
47
ad uno o più specialisti clinici o altri professionisti sanitari, che debbono
avere una “specifica e pratica conoscenza” dell’oggetto del contendere;
Quest’ultimo un aspetto assai importante nelle dinamiche consulenziali e non è
da dare nient’affatto per scontato. Purtroppo, accade ancora oggi, seppur con meno
di frequente che in passato, che gli ATP/CTU (o le perizia) siano affidati a dei consulenti che poi si rivelano poco esperti dei problemi specifici del caso da valutare.
Per tale motivo, quando il Giudice nomina i CTU è buona regola verificarne
i curricula, per sincerarsi che il consulente Medico legale abbia il titolo di specializzazione in quella branca della Medicina e che il/i consulente/i Clinico/i abbia/
no siano i professionisti adatti per valutare in modo adeguato le specificità del
caso. È da prestare attenzione anche ai diversi indirizzi di professionalizzazione
all’interno delle singole branche specialistiche.
Nell’esperienza degli scriventi è capitato di veder dei professionisti dedicati ormai da anni alla sola chirurgia addominale nominati CTU per valutare casi
di chirurgia toracica e viceversa, dei professionisti dedicati da lungo tempo alla
ginecologia nominati per valutare dei casi di ostetricia e viceversa, etc. Parimenti, può capitare che siano nominati dei CTU che agli occhi del Giudice paiono
appropriati per valutare il caso, ma che invero svolgono un’attività diversa da
quella che deve essere valutata: ad esempio, dei cardiochirurghi per dei casi di
cardiologia interventistica, dei neurochirurghi per dei casi di neuroradiologia
interventistica, etc.
Un’altra eventualità che si dovrebbe evitare è quella di nominare degli specialisti alla luce dell’evento patologico che è venuto poi a palesarsi nel corso della
vicenda clinica da esaminare. Ciò accade ad esempio, quando la valutazione in
ATP/CTU su di un caso di una tardiva o mancata diagnosi di una dissezione
aortica da parte di un Medico di Pronto Soccorso è affidata ad uno specialista in
Cardiochirurgia, anziché ad uno specialista in Medicina d'Urgenza; si può anche
esemplificare il caso di un’evoluzione in shock settico di un paziente ricoverato
in un’Unità di Chirurgia Generale, valutato da uno specialista in Malattie Infettive. Si perde così l’approccio ex ante al caso e l’ATP/CTU, già nella costituzione
del suo collegio dei consulenti è impostata ex post. Si potrebbero riportare molti
altri esempi, nei quali non ci si dilunga.
Qualora si ritenga che i CTU nominati non siano adatti al caso, è bene evidenziarlo al Giudice, spiegandone i motivi e proponendone la sostituzione con
un CTU clinico, eiusdem professionis et condicionis del/i professionista/i da valutare, più adatto e qualificato.
Nell’ottica di migliorare la qualità degli ATP/CTU (e delle perizie penali)
l’art. 15 della legge Gelli-Bianco ha dato il via anche ad un’opera di revisione
degli albi dei consulenti e dei periti presso i Tribunali, che debbono dichiarare le
proprie specializzazioni e le proprie concrete esperienze professionali. È, inoltre,
estesa la rappresentanza di “esperti delle discipline specialistiche riferite a tutte
le professioni sanitarie”.
Nel corso dei mesi successivi alla promulgazione della legge Gelli-Bianco,
sono stati prodotti dei protocolli d’intesa tra l’area giudiziaria e quella sanitaria,
48
La responsabilità del chirurgo
per concordare e stabilire i criteri di rinnovo
degli albi dei consulenti e dei periti.
In sintesi, per i Medici Chirurghi e gli
Odontoiatri, il protocollo siglato dalla Federazione nazionale degli Ordini59 prevede delle
anzianità di servizio, di entità diversa a seconda delle branche (in genere almeno 5 anni; per
i Medici di Assistenza Primaria e gli Odontoiatri, di almeno 10 anni), e un curriculum adeguato, non solo sotto il profilo professionale,
ma anche sotto quello formativo.
Sotto quest’ultimo profilo, è da ricordare che l’unico ordinamento didattico che prevede la formazione in tema di valutazione
del danno alla persona è quello della Scuola
di Specializzazione in Medicina Legale.60
Per gli Infermieri la Federazione nazionale ha sancito il requisito della laurea magistrale,
l’anzianità professionale di almeno 10 anni e la
regolarità dell’aggiornamento professionale.61
Sono stati prodotti degli analoghi accordi per i Medici Veterinari, i Biologi, i Farmacisti, le Ostetriche, gli Psicologi, i Tecnici
sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e
della prevenzione, i Chimici e i Fisici.
protocollo FNOMCeO-CNF-CSM
decreto intermin. 04-02-2015
protocollo FNOPI-CNF-CSM
Colpa grave e azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa ex art. 9 legge Gelli-Bianco
Venendo ad affrontare i rapporti tra le strutture sanitarie e i loro collaboratori, è da evidenziare che per essi, in tema di responsabilità professionale, hanno
rilievo il dolo e la colpa grave.
59
Protocollo d’intesa tra Consiglio Superiore della Magistratura, Consiglio Nazionale
Forense, Federazione Nazionale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri per l’armonizzazione dei criteri e delle procedure di formazione degli albi dei periti e dei consulenti
tecnici ex art. 15, l. 08-03-2017, n. 24, firmato il 24-05-2018.
60 Decreto Interministeriale 04-02-2015. Riordino delle scuole di specializzazione di area sanitaria.
GU Serie Generale n. 126 del 03-06-2015, Suppl. Ordinario n. 25.
61 Accordo tra Consiglio Superiore della Magistratura, Consiglio Nazionale Forense e Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche per l’armonizzazione dei
criteri e delle procedure di formazione degli albi dei periti e dei consulenti tecnici ex art.
15, 1. 8 marzo 2017, n. 24, in attuazione dell’art. 14 del Protocollo d’intesa tra CSM, CNF e
FNOMCeO, firmato il 20-09-2018.
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
49
Tralasciando i casi di dolo e prendendo in considerazione la cosiddetta
colpa grave, si evidenzia che di essa non v’è una definizione di legge. La si trae
dalla giurisprudenza, che la definisce in sintesi come una condotta professionale negativa, così distante da quella attesa, da non poter avere alcuna lecita
giustificazione.
In una pronuncia della Corte dei Conti
è stato evidenziato che rientrano del concetto
di colpa grave le seguenti fattispecie62:
•
comportamento del tutto anomalo e
inadeguato;
•
devianza macroscopica dai canoni di diligenza e perizia;
C. Conti sez. Lombardia 40/2015
•
errore non scusabile per la sua grossolanità;
•
assenza delle cognizioni professionali
fondamentali;
•
difetto di quel minimo di perizia che
non deve mai mancare;
•
imprudenza che dimostri superficialità e
disinteresse per i beni affidati alle cure.
Anche la Suprema Corte di Cassazione
ha affrontato il complesso tema del discernimento tra colpa lieve e colpa grave e si richiaCass. pen. 16237/2013
mando in particolare due sentenze: la “Cantore” del 201363 e la “Denegri” del 201664.
Da tali pronunce si trae l’indicazione
che la gravità della colpa attiene alla “misura
della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi sulla base della
norma cautelare cui ci si doveva attenere”.
Il giudizio di gravità deve basarsi su
una valutazione complessiva del caso, tenenCass. pen. 23283/2016
do conto di più aspetto:
•
“le specifiche condizioni del soggetto agente
ed il suo grado di specializzazione”;
•
“la situazione ambientale, di particolare difficoltà, in cui il professionista si è
trovato ad operare”;
•
“l’accuratezza nell’effettuazione del gesto clinico, le eventuali ragioni di urgenza,
l’oscurità del quadro patologico, la difficoltà di cogliere e legare le informazioni
cliniche, il grado di atipicità o novità della situazione data”.
62 Corte dei Conti sez. giurisdizionale Lombardia, sentenza 18-03-2015 n. 40.
63 Cass. pen. sez. IV sent. 29-01-2013 n. 16237.
64 Cass. pen. sez. IV sent. 11-05-2016 n. 23283.
50
La responsabilità del chirurgo
Nel contempo, la Suprema Corte ha messo in guardia dal ridurre in modo
semplicistico il novero della colpa grave ai soli casi plateali, evidenziando che
il giudizio di gravità può ricorre anche qualora si riscontri una “deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato definito dalle standardizzate regole d’azione”.
La Corte ha, altresì, precisato che il giudizio in tema di gravità della colpa debba essere “basato sulle conoscenze scientifiche ed al contempo marcatamente focalizzato sulle particolarità del caso concreto”, tenendo conto che le astratte e generiche previsioni
delle linee guida e delle buone pratiche devono essere “in concreto applicate senza
automatismi, ma rapportandole alle peculiari specificità di ciascun caso clinico”. Sul punto
della divergenza dalle raccomandazioni delle linee guida e delle buone pratiche,
nella sentenza “Cantore” è evidenziato che la colpa grave sia da riconoscersi solo
quando “i riconoscibili fattori che suggerivano l’abbandono delle prassi accreditate assumano rimarchevole, chiaro rilievo e non lascino residuare un dubbio plausibile sulla necessità
di un intervento difforme e personalizzato rispetto alla peculiare condizione del paziente”.
Nel novero dei sinistri sanitari, il dolo e la colpa grave ricorrono di rado.
Quando si verificano, essi danno alle strutture sanitarie il presupposto per rivalersi nei confronti dei propri collaboratori. Con l’azione di rivalsa le strutture
possono chiedere ai collaboratori responsabili del danno la refusione di quanto
pagato per il risarcimento. Tale azione può essere esercitata al massimo entro 1
anno dall’avvenuto pagamento. Per i dipendenti pubblici vige anche la cosiddetta responsabilità amministrativa, che è esercitata dalla Corte dei Conti.
La legge Gelli-Bianco, all’art. 9, statuisce che l’importo che può essere richiesto ai singoli collaboratori non possa superare il triplo dello stipendio annuale
lordo. Quindi, se un collaboratore guadagna ad es. 25'000 € all’anno, l’azione di
rivalsa sarà limitata a 75'000 €. Si tratta di una limitazione assai significativa, se si
pensa che molti risarcimenti ammontano a centinaia di migliaia di euro e talora
superano il milione.
Nel contempo, l’art. 9 statuisce che in caso di condanna per dolo o colpa
grave, per i 3 anni successivi alla sentenza passata in giudicato, nell’ambito delle
strutture pubbliche, il professionista coinvolto non può essere preposto ad incarichi professionali superiori rispetto a quelli ricoperti e la condanna deve essere
oggetto di specifica valutazione da parte dei commissari nei pubblici concorsi
per incarichi superiori.
1.4 Sintesi e raccomandazioni sulle novità introdotte dalla
legge Gelli-Bianco
Ricapitolando quanto esposto nelle pagine precedenti, in sintesi per la nuova
norma:
1. tutti i collaboratori, dipendenti e non, devono contribuire alla sicurezza
delle cure;
L’inquadramento della responsabilità professionale sanitaria
2.
3.
4.
5.
6.
a.
b.
c.
d.
e.
f.
g.
51
i giudizi di responsabilità professionale sono ancorati al rispetto delle linee
guida e delle buone pratiche accreditate nel Sistema Nazionale Linee Guida,
la cui conoscenza è ora imprescindibile;
v’è una parziale tutela penale per l’imperizia, sempre a condizione che siano
rispettate le linee guida e le buone pratiche;
la responsabilità per le strutture sanitarie rimane di tipo contrattuale e ciò
comporta l’inversione dell’onere della prova;
tutti i collaboratori, dipendenti e non, devono contribuire a soddisfare tale onere, così come prima ancora devono contribuire alla prevenzione dei rischi;
le azioni di rivalsa e di responsabilità amministrativa possono essere esercitate entro il limite del triplo dello stipendio annuale.
Si devono raccomandare:
lo studio e l’applicazione delle misure di gestione del rischio clinico (risk
management);
lo studio e l’applicazione delle linee guida e delle buone pratiche, comprese
le procedure aziendali, che sono le declinazioni locali delle prime;
le eventuali deroghe alle linee guida o alle buone pratiche devono avere motivazioni ben comprensibili anche a posteriori e devono essere documentate;
si deve aver particolare cura della documentazione relativa all’informazione-e-consenso agli atti sanitari, tenendo a mente che gli oneri risarcitori derivanti dalle eventuali carenze di tale aspetto sono spesso esclusi dalle polizze
assicurative: in misura parziale e talora anche in misura totale;
per soddisfare gli oneri probatori necessari per la difesa delle strutture e dei
professionisti sanitari occorre sempre una accurata produzione e tenuta della
documentazione, che è quella che fa fede negli iter legali; per una corretta
produzione delle registrazioni documentali, si devono evitare le formule di
stile (ad es. “attenta valutazione”, “accurata disinfezione”, “accurata emostasi” … E come dovrebbero essere le valutazioni, le disinfezioni e le emostasi,
se non attente e accurate?) e si deve essere il più possibile sostanziali e dettagliati (ad. specificando su quali elementi si basa una valutazione, con quale
tipo di disinfettante si prepara il campo operatorio, con quale metodica e
strumentario si pratica l’emostasi, etc);
le comunicazioni che si ricevono dalle proprie aziende ex art. 13 sono finalizzate a favorire la partecipazione dei Sanitari alla gestione dei sinistri;
qualora si riceva una richiesta risarcitoria o una comunicazione ex art. 13 o
un’azione di rivalsa o una comunicazione attinente alla Corte dei Conti, si
deve contattare il referente della propria polizza assicurativa, per verificare
le azioni da svolgere in base alle clausole del proprio contratto.
PARTE SPECIALE
Casi peritali simulati
e commentati
La responsabilità del chirurgo
55
2 Parte speciale: Casi peritali simulati e commentati
Maurizio Gavinelli
Molti sono i modi di praticare un intervento, ma uno solo è il migliore.
Pietro Valdoni, Secolo XX
2.1 Errori da evitare
Quali sono le situazioni, nella pratica chirurgica, che più di frequente costituiscono oggetto di controversia e di richieste di risarcimento?
Ci è sembrato opportuno qui esemplificarne un certo numero, sulla base
dell’esperienza professionale peritale personale, riassunte per una più rapida
comprensione, con le loro conclusioni: alcune scontate, ma solo in apparenza,
altre sorprendenti, altre ancora del tutto incomprensibili.
Alcune terminate con accordi extragiudiziali (poche), altre con giudizi.
Diverse a favore dei ricorrenti, altre a favore dei Chirurghi o della struttura,
chiamati a difendersi dagli addebiti. In alcuni l’errore medico appare evidente,
in altri non gioca un ruolo nel determinismo del danno, in altri è solo un sospetto
che viene emendato dal giudizio dei consulenti del Giudice.
Da ognuno v’è qualcosa da imparare: evitare, nella pratica quotidiana, le
insidie di quelli che possono diventare i punti forti di un addebito: tra tutti l’informazione del paziente, la disponibilità all’ascolto e, non ultimo, il savoir faire
nei confronti dello stesso e dei suoi parenti; evitare i ritardi, anche operando
fuori dalle liste d’attesa “ufficiali” per i casi che lo richiedono; scrivere sempre
ciò che si fa e con grafia leggibile; aver cura nella descrizione degli interventi
chirurgici, fin nei dettagli, che possono risultare cruciali; grande cura nella valutazione anamnestico-clinica in Pronto Soccorso; grande attenzione alle linee
guida e anche, e soprattutto, alle regole di buona pratica clinica.
E poi: est modus in rebus. Possiamo dire che una regola è stata rispettata, che
una procedura è stata eseguita, come di regola. Sì: ma come? A nessuno sfugge
che la stessa procedura, lo stesso intervento chirurgico non sia uguale e possa
risultare molto diverso in differenti circostanze e in mani diverse. Come è dato
un punto chirurgico, come è fatta una sutura, come è stretto un nodo… E l’attenzione al monitoraggio postoperatorio, agli aspetti nutrizionali del paziente
chirurgico, alla prevenzione e al trattamento delle infezioni nosocomiali.
Tutti argomenti di grande importanza, ai quali dedicare grande attenzione
nella nostra pratica quotidiana, per evitare problemi ulteriori ai pazienti, ma anche a noi. Sono qui rappresentanti dei casi-tipo, formulati ad hoc sull’esperienza
peritale complessiva maturata nel corso degli anni, esemplificativi delle situazioni
di più comune riscontro, soprattutto come eventi avversi di procedure chirurgiche
molto utilizzate, ma anche eventi più rari, talvolta espressione di fenomeni singo-
La responsabilità del chirurgo
56
lari, addirittura eccezionali, che servono a comprendere come la gamma di possibilità di errore (o presunto tale) sia infinita, e come, di conseguenza, l’attenzione
debba sempre rimanere vigile e lo sguardo rivolto in tutte le direzioni, facendo
tesoro di un’esperienza quotidiana sempre destinata a crescere.
2.2 Chirurgia laparoscopica
Grande chirurgo grande taglio
Anonimo , secolo XX
Gli eventi avversi in chirurgia laparoscopica rappresentano una percentuale significativa nel contenzioso medico-legale in ambito chirurgico.
Se è vero che la chirurgia mininvasiva ha portato i ben noti vantaggi, è anche vero che nel campo della responsabilità professionale del chirurgo ha fatto
emergere situazioni avverse, che tendono significativamente a ripetersi, accanto
ad altre esclusive e strettamente legate alla metodica e all’uso della sua strumentazione dedicata.
Tra queste, ricordiamo gli eventi avversi della colecistectomia laparoscopica, non frequenti ma spesso gravi, talora, come si vedrà, mortali; le perforazioni
iatrogene di visceri cavi, in particolare di ileo e colon; le deiscenze di anastomosi
totalmente meccaniche.
Nel successivo capitolo riguardante la chirurgia gastroenterologica nel suo
complesso saranno riportati casi-tipo comunque trattati per via laparoscopica
(cancro del colon e malattia diverticolare, patologia neoplastica e funzionale del
retto) insieme a casi-tipo, per la medesima patologia, sottoposti a chirurgia aperta.
Caso 1
Colecistectomia laparoscopica:
lacerazione aorta addominale, exitus
Consulenza tecnica d’ufficio:
un medico legale, un chirurgo.
Vicenda clinica:
Donna di 80 anni, ricoverata per ittero da calcolosi colecisto-coledocica. Colangiopancreatografia retrograda endoscopica (ERCP), con estrazione dei calcoli
coledocici e risoluzione dell’ittero.
Casi peritali simulati e commentati
57
Colecistectomia laparoscopica: durata dell’intervento: oltre 6 ore.
Induzione dello pneumoperitoneo (PNP) con ago di Verres e posizionamento
di due trocar da 12 mm e due da 5 mm. L’esplorazione della cavità addominale
evidenzia la presenza di numerosi coaguli in tutti i quadranti. Conversione in
laparotomia mediana, repertando un sanguinamento dell’aorta sottorenale. Si
contatta il chirurgo vascolare …omissis… che isola l’aorta addominale sottorenale e previo clampaggio sutura con Prolene 3-0 la lesione vascolare. Si procede
alla colecistectomia… Dalla scheda anestesiologica si rileva costante ipotensione
nel corso dell’intervento (PA max 70-80 mmHg), grave acidosi metabolica, che
persiste nella I giornata postoperatoria.
In II giornata postoperatoria:
albumina 2,7, AST ~2000, ALT >300, LDH > 2000, mioglobina >900, azotemia ~120,
creatinina >3,5, Hb ~8; Ht ~25%. Importante dolore addominale spontaneo e alla
palpazione. PA 80/40. TAC addome suggestivo per ischemia intestinale, falda aerea sottodiaframmatica destra e al di sotto della parete addominale anteriore e
plurime bolle aeree libere diffuse a tutto l’ambito intestinale, per verosimili plurimi foci perforativi. Milza scarsamente opacizzata.
In III giornata post-operatoria
Intervento di relaparotomia esplorativa: necrosi completa della matassa intestinale a partenza da una decina di cm dal Treitz sino al cieco compreso. Non si ritiene indicata la resezione completa del piccolo intestino. Si informano i parenti,
già precedentemente avvisati di tale eventualità, della decisione presa e che tale
decisione comporterà inevitabilmente l’exitus della paziente. Exitus dopo ~8 ore.
Considerazioni di parte ricorrente:
Eseguita l’incisione periombelicale, si inseriva ago di Veress per induzione del PNP
e di 4 trocar e si assisteva immediatamente al formarsi di un emoperitoneo massivo.
Solo a seguito di una conversione laparotomica mediana è stata riconosciuta una
lacerazione dell’aorta addominale responsabile della gravissima emorragia, senza
dubbio alcuno determinata all’inizio della procedura chirurgica dall’ago di Verres o
da punta di trocar: non conoscendo le caratteristiche della lacerazione aortica, non
descritta nel verbale operatorio, non è possibile avere certezza di quale tipo di strumento sia stato responsabile della lesione. Nella descrizione dell’intervento:
•
non è riportato quanto tempo sia trascorso tra il determinarsi della lesione
e la sua avvenuta riparazione;
•
non sono riportate le modalità di emostasi temporanea (manovra di compressione sull’aorta addominale, quali clampaggi?) e la loro durata;
•
non sono descritte le caratteristiche della lacerazione iatrogena dell’aorta
sottorenale (estensione, decorso);
L’intervento non è firmato dal chirurgo vascolare.
58
La responsabilità del chirurgo
Inoltre, dopo la riparazione vascolare, dopo aver comunque procurato una importante ischemia di tutto il distretto splancnico, che andava ad associarsi agli
aspetti sistemici della ipovolemia e dell’anemia acuta, configurando uno shock
emorragico, si riteneva di eseguire comunque la colecistectomia, con una durata
complessiva dell’intervento di 6 ore. Questo, avventatamente ed irresponsabilmente, in una paziente ottantenne cardiopatica ipertesa e portatrice di protesi
valvolare aortica, reduce da un recente importante episodio di sepsi biliare (comunque risolta nell’immediato con ERCP operativa).
In ogni caso, qualunque siano state le modalità per ottenere l’emostasi (compressione aortica, clampaggio troppo prolungato o posto al di sopra dell’origine dell’arteria
mesenterica superiore), esse hanno condizionato, insieme agli effetti sistemici della
gravissima emorragia arteriosa, una ischemia irreversibile del distretto splancnico
(con infarto splenico), che induce a ritenere che il clampaggio sia stato al di sopra
dell’origine del tripode celiaco in sede sottodiaframmatica) e comunque del territorio dell’arteria mesenterica superiore in particolare, che ha determinato la gangrena
massiva dell’intestino mesenteriale e l’inevitabile decesso, dopo 3 giorni, che ha reso
del tutto inutile il successivo intervento eseguito in limine vitae.
Dopo il primo intervento e fino all’approssimarsi del decesso la paziente ha
mantenuto, come riscontrabile in diario clinico, psiche lucida, con chiara certezza dell’inevitabile approssimarsi della fine. L’esistenza della piena coscienza,
nonché della conservazione dell’orientamento spazio-temporale trova conferma, per tutti i giorni seguenti al primo intervento, fino all’exitus, sia nel diario
clinico medico che infermieristico. Ella, in una condizione di lucida agonia ebbe
piena consapevolezza della imminenza della morte, configurandosi quindi la
presenza di danno catastrofale della durata di tre giorni.
Considerazioni di parte resistente:
Il primo operatore afferma che il posizionamento dell’ago di Veress è fallito a seguito di due tentativi del medico specializzando, il quale afferma invece di aver
eseguito un unico tentativo, e che poi la procedura è stata continuata dal primo
operatore. Come terzo operatore compare il nominativo di un medico che dichiara
di essere stato convocato ad intervento già iniziato e che nega anche di aver preso
parte all’intervento stesso. Tutti i medici coinvolti vengono interrogati.
Considerazioni dei CTU:
La lesione dell’aorta addominale è legata all’introduzione dell’ago di Veress, ma
è impossibile determinare chi l’abbia effettuata.
L’opera del chirurgo vascolare non può essere giudicata, se non dai tempi
operatori, in quanto non descritta; esprimono aperta critica sulle carenze del
verbale operatorio. Appare ben evidente che durante l’intervento di colecistectomia è stata provocata una lesione dell’aorta, e precisamente dall’introduzione
dell’ago di Veress in quanto al momento dell’inserzione dei trocar l’emorragia
Casi peritali simulati e commentati
59
è già presente, con coaguli sparsi in tutto il cavo peritoneale, a testimoniare che
dal momento del verificarsi della lesione sono trascorsi già alcuni minuti.
Il chirurgo vascolare chiamato a riparare la lesione non descrive in quale sede
è stato effettuato il clampaggio, la sua durata, se sia stata effettuata infusione di
eparina, in quali dosi e in quale momento, così come non descrive le condizioni
dell’intestino al termine dell’intervento.
Tali elementi sono fondamentali per comprendere il motivo del successivo instaurarsi dell’ischemia intestinale massiva poi verificatasi, le cui cause possono
essere: prolungato periodo ipotensivo legato al sanguinamento, clampaggio sulla mesenterica superiore, trombosi da prolungato clampaggio e mancata profilassi con eparina.1,2,3
Impossibilità dichiarata dei CTU di identificare il medico responsabile della manovra imperita dell’introduzione dell’ago di Veress, infatti il chirurgo operatore
affermava che vi furono due tentativi di introduzione dell’ago di Verres da parte
del medico specializzando (secondo operatore), seguito da un tentativo riuscito
da parte del primo operatore, che provvedeva poi ad inserire i trocar senza difficoltà; invece, secondo la testimonianza del medico specializzando egli avrebbe
effettuato un primo tentativo infruttuoso di induzione dello pneumoperitoneo, al
quale sarebbe seguito un secondo tentativo ancora fallito da parte del primo operatore, che avrebbe poi cambiato la sede dell’inserzione dell’ago, con successo.
Il medico anestesista affermò che il medico specializzando inserì l’ago di Verres,
ma di non ricordare se sia stato subito indotto il PNP e che vi sia stato un immediato intervento dell’operatore, affermando inoltre di non sapere quale ruolo
quest’ultimo abbia avuto nell’induzione del PNP.
Il chirurgo vascolare riportava che la lesione della parete aortica avesse dimensioni inferiori al centimetro. Le lesioni dei grossi vasi in corso di colecistectomia
laparoscopica hanno un’incidenza dello 0,04-0,18%. Le fasi più critiche per il
determinismo di lesioni vascolari sono legate alle manovre eseguite alla cieca,
soprattutto introduzione dell’ago di Veress e del primo trocar. Pur trattandosi di
evento connesso con la metodica e quindi non del tutto eliminabile, si riporta che
l’esperienza dell’operatore riduce gli eventi avversi in chirurgia laparoscopica4.
La paziente subì un periodo di bassa portata sistemica della durata di ~2 ore, al
quale seguì una ischemia intestinale massiva che la condusse a morte.
La causa della lesione vascolare si riconosce in un difetto di manualità dell’operatore, stessa problematica che ricorre nell’ipotesi di un non corretto clampaggio
aortico da parte del chirurgo vascolare.
1 Hurd WW: The relationship of the umbilicus to the aortic bifurcation: implications for
laparoscopic technique. Obstet Gynecol 80:48,1982.
2 Hasson HM: Open laparoscopy: a 29 years experience. Obstet Gynecol 96:763, 2000.
3 Corson SL: Major vessel injury during laparoscopy. Am J Obstet Gynecol 138:589, 1980.
4 Kaushik R: Bleeding complications in laparoscopic cholecystectomy: incidence, mechanisms, prevention and management. J Min Access Surg 6:59, 2010.
La responsabilità del chirurgo
60
In caso di corretta conduzione dell’intervento, la paziente sarebbe stata dimessa guarita dopo tre giorni di degenza, potendo riprendere le attività svolte prima del ricovero.
In conseguenza dell’operato dei sanitari si è verificato il decesso della de cuius.
Non è possibile determinare con certezza la presenza di danno catastrofale.
Conclusioni:
Il Giudice assegna ai ricorrenti una somma di circa 250.000 euro.
Sintesi:
Il caso si connota per una deleteria conflittualità tra i professionisti. I chirurghi
cercano reciprocamente di attribuirsi la responsabilità della esecuzione della
manovra letifera di lacerazione dell’aorta con ago di Verres. Il primo operatore non se ne assume la responsabilità, riversandola sul medico specializzando,
che avrebbe fatto il primo tentativo di introduzione dell’ago di Veress, il quale
nega tale ricostruzione dei fatti. L’anestesista non ricorda chiaramente l’accaduto. Tentativo ulteriore di coinvolgimento nelle responsabilità di un chirurgo, di
guardia in Reparto, non presente al tavolo operatorio. È sottolineata l’importanza del difetto di tenuta del verbale operatorio.
Caso 2
Colecistectomia laparoscopica: decesso per emorragia e sepsi
Controversia extragiudiziale
Vicenda clinica:
Maschio di ~70 anni, ricovero programmato con diagnosi di colelitiasi. Tipo di
intervento: colecistectomia laparoscopica, in presenza di tenaci aderenze colecisto-omentali, colecistectomia retrograda.
Dopo ~2 ore,
Hb ~9. PA max ~100 mmHg.
Ecografia addome: apprezzabile falda liquida periepatica e perisplenica. Nelle
ore successive progressiva anemizzazione, ipotensione, eseguite emotrasfusioni.
Dopo ~12 ore
Shock ipovolemico e laparotomia sottocostale destra d’urgenza, aspirazione di 1 litro di sangue e coaguli raccolti in prossimità del letto epatico e dell’omento della
flessura epatica distaccato durante l’adesiolisi, esplorazione del letto epatico, senza trovare fonti emorragiche; pare, eseguita emostasi per sanguinamento a nappo
sull’omento distaccato e posizionamento di Tachosid sul letto epatico.
Casi peritali simulati e commentati
61
In IV giornata postoperatoria
Disorientamento, abbondante secrezione corpuscolata dalla ferita chirurgica,
tampone positivo per enterococchi fecali.
Condizioni generali scadute per stato anasarcatico, addome diffusamente dolorabile e dolente alla palpazione superficiale. Presenza di soffusione emorragica
in sede parieto-addominale destra.
In VII giornata postoperatoria deiscenza di ferita, WBC~13.
In X giornata postoperatoria
Richiesta valutazione neurologica per il persistere di rallentamento ed episodi
confusionali. Paziente febbrile con TC ~38°C, soporoso, ma facilmente risvegliabile, comprende ed esegue solo ordini molto semplici; riconosce la moglie, ma non
sa riferire il nome dei figli né l’indirizzo di casa.
Conclusioni: rallentamento e confusione su base multifattoriale e ipostenia brachio-crurale dx non databile in paziente febbrile con infezione della ferita chirurgica e indici di flogosi elevati.
Consulenza infettivologica: infezione di ferita chirurgica da enterococchi fecali,
di cui uno multiresistente; t~39°C; Anche le emocolture + per enterococco fecale.
In XII giornata post-op: TC ~38, Hb ~8. Emotrasfusione.
In XIII giornata post-operatoria:
Decesso per arresto cardio-respiratorio.
Esame autoptico:
Causa iniziale: colecistite acuta riacutizzata;
Causa intermedia: ascesso inter-epato-diaframmatico destro;
Causa finale: verosimile sepsi, con sofferenza multiorgano.
Osservazioni: presenza di liquido citrino ematico (~800 cc) in corrispondenza
del cavo pleurico di destra. Anse intestinali svolgibili con presenza di tenaci aderenze in sede ileocolica destra fra il tratto iniziale del colon, la parete addominale
e il parenchima epatico nell’area circostante la ferita chirurgica.
Es. istologico: parete addominale con processo infiammatorio ad impronta
ascessuale in sede adiacente alla ferita chirurgica con estensione al connettivo
fibroadiposo periduodeno-pancreatico. All’esposizione del parenchima epatico
fuoriuscita di abbondante liquido torbido simil cremoso in sede interepato-diaframmatica destra, tra la parete posteriore e superiore del fegato e il sovrastante
diaframma, delimitata da parete fibrosa di consistenza aumentata. Si osservano
inoltre due punti di sutura sull’area duodenale. Tenaci aderenze sono inoltre
presenti fra piccola curva gastrica, il duodeno prossimale ed il parenchima epatico. Es.istologico: processo infiammatorio ascessuale periepatico con diffusa necrosi epatocellulare e focolai di dissociazione emorragica subcapsulari.
La responsabilità del chirurgo
62
Considerazioni di parte istante:
Nel corso di intervento di colecistectomia laparoscopica si procurava “strappamento” dell’omento dalla flessura epatica, verosimilmente verificatosi in corso di
lisi aderenziale. Esso comportava la formazione di un emoperitoneo e conseguente
shock emorragico che richiedeva, dopo ~12 ore, peraltro con considerevole ritardo
(pz con PA max di ~50 mmHg, Hb ~7), un intervento laparotomico di emostasi.
Il decorso era caratterizzato da persistente incremento degli indici infiammatori
(leucociti, PCR), sopore, ipoglicemia, suppurazione e deiscenza della ferita chirurgica, turbe della canalizzazione, nausea e vomito, tutti elementi riconducibili
ad una grave infezione sottostante, un ascesso subfrenico destro, mai riconosciuto né trattato. Esso evolveva in pochi giorni in shock settico irreversibile, verosimile conseguenza di una raccolta ematica infetta esito di una non corretta toilette
del cavo peritoneale nel corso dell’intervento laparotomico per emoperitoneo
iatrogeno, anche se non è possibile escluderne la causa in una perforazione duodenale iatrogena: infatti, al riscontro autoptico si descriveva la presenza di due
punti di sutura a livello duodenale che non trovano corrispondenza nella descrizione dei due interventi effettuati, configurando una grave omissione documentale, e di un processo infiammatorio ad impronta ascessuale esteso al connettivo
fibroadiposo periduodeno-pancreatico.
Tutti gli elementi laboratoristici e clinici riportati (alterazione del sensorio), e,
sopra tutti, l’infezione di ferita (punta dell’iceberg dell’infezione sottostante),
dovevano obbligatoriamente richiamare l’attenzione dei curanti nella ricerca di
un possibile focolaio infettivo intraddominale, da effettuarsi in primo luogo con
una ecografia (eseguibile anche al letto del malato) e con un esame TAC, fondamentali per il posizionamento di un drenaggio in anestesia locale (con esame
colturale e successivo antibiogramma) piuttosto che per dare indicazione ad un
trattamento chirurgico da ritenersi salvavita.
Una incomprensibile, ed ingiustificabile inerzia clinica sono da ritenersi responsabili del mancato trattamento dell’ascesso sottodiaframmatico destro evoluto in
shock settico mortale, dove l’emoperitoneo postoperatorio ed una perforazione
duodenale (non riportata né descritta, ma i cui esiti vengono rilevati al momento
del riscontro diagnostico) ne sono stati la causa.
Le responsabilità del determinismo dell’emoperitoneo iatrogeno e del mancato
corretto trattamento dello stesso, la perforazione duodenale, la mancata diagnosi e trattamento di ascesso subfrenico destro, evoluto in shock settico letifero è da
porre a carico dei sanitari che ebbero in cura il paziente presso l’UO di Chirurgia
dell’Ospedale di Alfa, così come elementi di imperizia, negligenza ed imprudenza sono in rapporto causale con il decesso.
Conclusioni:
Controversia risolta in mediazione, con risarcimento di oltre 350’000 euro.
Casi peritali simulati e commentati
63
Sintesi:
Emoperitoneo iatrogeno da verosimile strappamento dell’omento in corso di
adesiolisi. Mancato riconoscimento intraoperatorio dell’emorragia, laparotomia
tardiva per emostasi e mancato trattamento di ascesso subfrenico. Exitus per
shock emorragico e stato settico successivamente instauratosi. Caso risolto per
via extragiudiziale, cosa che avviene, nella nostra esperienza, poco di frequente.
È pur vero che la ragione di parte istante è qui assai evidente, ma questo non
rappresenta affatto garanzia di un rapido risultato, soprattutto quando l’entità
del prevedibile risarcimento è elevata e l’ente convenuto può avere l’interesse
a rimandare quanto possibile la corresponsione del medesimo in là nel tempo.
Caso 3
Colecistectomia laparoscopica: sezione completa della via biliare
Controversia extragiudiziale
Vicenda clinica:
Maschio di ~60 anni, ricoverato d’urgenza presso il reparto di Chirurgia dell’Ospedale Alfa, con diagnosi di colecistite acuta.
Dopo due giorni sottoposto ad intervento chirurgico di videolaparocolecistectomia, apparentemente privo di qualunque criticità.
Dopo due ore si constata la fuoriuscita dal drenaggio di ~200 cc di liquido di
lavaggio frammisto a bile e rialzo delle transaminasi.
Immediato trasferimento presso l’Ospedale Beta per eseguire una RNM dell’addome superiore, che dimostra la presenza di raccolta liquida di ~4 cm che si estende dall’ilo, a ridosso della confluenza dei dotti epatici, lungo il coledoco sino al III
medio; a tale livello la via biliare principale presenta una brusca interruzione, non
risultando visualizzabile per un tratto di ~2 cm.
A valle il coledoco riprende calibro regolare sino in sede distale, con piccolo difetto di riempimento endoluminale.
Sottoposto ad intervento chirurgico laparotomico a distanza di 10 ore dal precedente. Presenza di bile in regione sottoepatica. Al di sotto del lobo quadrato fuga
di bile da dotto biliare sezionato. Si richiede consulenza del Dott. X.
Si incannula il dotto beante con Fogarty biliare a 2 vie per un tratto di ~1,5 cm e
si esegue colangiografia. Firma illeggibile.
Giunto al tavolo operatorio il dottor X descrive la situazione che si trovava di fronte: la VBP risulta sezionata e chiusa con clips 1 cm sopra il duodeno. Si apre e si
asporta con Fogarty il calcolo prepapillare segnalato alla RNM. A monte si reperta
sezione del dotto epatico destro beante a livello del parenchima epatico mentre
verso sinistra la VBP risulta chiusa da clip appena a valle della biforcazione.
64
La responsabilità del chirurgo
Si sondano il dotto dx e la VBP e si confeziona anastomosi su ansa alla Roux
transmesocolica con il dotto a destra e con la VBP su tutori che vengono fatti
uscire all’esterno dalla parete addominale.
In II giornata postoperatoria
Posizionamento transparietoepatico di drenaggi biliari esterni: con guida fluoroscopica si incannulano le VBI dell’emisistema destro dopo iniezione di mdc iodato
dal tutore in corrispondenza dell’anastomosi più mediale. Si realizza opacizzazione
delle vie biliari di destra e di sinistra. In tale sede si posizionava drenaggio biliare
esterno. Lo studio colangiografico dall’altro tutore (il più laterale) documenta opacizzazione segmentaria delle vie biliari (verosimilmente VII e/o VIII segmento).
Dimissione dopo oltre 30 giorni di ricovero.
Nel corso del tempo comparsa di epatopatia steatosica e di stenosi della epatico-digiunostomia trattata a distanza di 4 anni con dilatazioni percutanee; dopo
1 anno il paziente è ricoverato per ittero (AST ~175, ALT ~240, bilirubina totale
~16, diretta ~9), con miglioramento a seguito dell’esecuzione di bilioplastica percutanea. Successiva comparsa di splenomegalia e dopo altri due anni si giunge
alla diagnosi di cirrosi epatica.
Considerazioni di parte ricorrente:
La lesione della via biliare principale, avvenuta in corso di VLC, non veniva
riconosciuta intraoperatoriamente.
L’incidenza di lesioni della via biliare principale in corso di colecistectomia, tali da
richiedere una epaticodigiunostomia, è riportata essere di 1:500 casi.5,6
Inoltre, nel caso de quo, si riscontrava un grave difetto di consenso: la scheda di
consenso informato negligentemente non riportava nessuna possibile complicanza della videolaparocolecistectomia e non era compilata in nessuna sua parte.
La soluzione di continuo responsabile dell’instaurarsi immediato della fistola
biliare riconosce una natura iatrogena da dissezione chirurgica incongrua e da
mancato corretto riconoscimento anatomico delle strutture, segnatamente il dotto cistico e la via biliare principale, da attribuirsi a malpractice chirurgica.
Tale lesione ha determinato l’instaurarsi di una peritonite biliare diffusa, che
richiedeva un intervento ricostruttivo in urgenza di epatico-digiunostomia su
ansa esclusa “ad Y” sec. Roux e di asportazione di un calcolo coledocico prima non diagnosticato ed anche il posizionamento di un drenaggio transepatico percutaneo della via biliare. Malgrado tale procedura è andata formandosi nel
5 Elsey JK: Laparoscopic Cholecistectomy . In:Cameron JL: Current Surgical Theraphy, 390,
Elsevier 2014.
6 Soper NJ: Diagnosis and management of biliary duct complications of laparoscopic cholecystectomy. Am J Surg 165:655, 1993.
Casi peritali simulati e commentati
65
corso del tempo una stenosi anastomotica, condizionante una stasi biliare cronica,
con persistente dilatazione delle vie biliari intraepatiche complicatasi con plurimi
importanti episodi colangitici. Tale condizione è stata trattata a più riprese con
procedure operative di dilatazione endoscopica (bilioplastiche e drenaggi) della
anastomosi bilio-digestiva che hanno richiesto tre ricoveri ospedalieri.
Alla stasi biliare cronica è conseguita una cirrosi colestatica splenomegalica confermata da esami ecografici, di laboratorio e da Fibroscan, che richiede attualmente trattamento farmacologico e dietetico, che oltre a configurare, per le sue
possibili evoluzioni, un rischio quoad vitam per il paziente, e impone norme di
comportamento e stile di vita che limitano la libertà del paziente (difficoltà a
muoversi, a viaggiare, necessità di evitare gli sforzi fisici).
Gli eventi in questione hanno cagionato al paziente un prolungato periodo di
invalidità temporanea (4 ricoveri ospedalieri), da quantificarsi, sotto il profilo
biologico, in ~125 giorni in misura assoluta, coincidenti con i periodi di ospedalizzazione, seguiti da successivi ~150 giorni equamente suddivisibili al 75%, e al
50% corrispondenti ai periodi di convalescenza post-chirurgica e post esecuzione delle procedure di dilatazione della anastomosi in regime di ricovero.
Circa i postumi permanenti, va tenuto conto che oltre agli esiti cicatriziali residuano delle modificazioni anatomiche post-chirurgiche, quali la presenza di
una anastomosi epatico-digiunale su ansa digiunale esclusa e di una anastomosi
digiuno-digiunale al piede della stessa.
Tale situazione può certamente essere considerata foriera di aderenze tra la faccia inferiore del fegato ed i visceri circostanti, costituendo pregiudizio anche
importante nel caso di dover effettuare, in futuro, interventi sul fegato, sul pancreas, sul colon e a livello gastro-duodenale.
Tale complicanza iatrogenica va inoltre considerata il primum movens eziopatogenetico, intervenendo comunque anche un difetto nella sua correzione (stenosi
anastomotica), della cirrosi colestatica splenomegalica residua, la cui evoluzione
appare del tutto incerta, ma certamente in grado di causare gravi complicanze.
Alla luce di questo, dell’obiettività attuale e con riferimento ai consueti barèmes
medico-legali, si valutano i postumi permanenti nel 35% con riferimento all’ integrità psico-fisica del soggetto.
Conclusione:
Accordo stragiudiziale con corresponsione da parte dell’Ospedale Alfa di circa
150’000 euro.
Sintesi:
Errore chirurgico in corso di VLC con sezione completa della via biliare principale.
Correzione con ricostruzione bilio-digiunale con esito in stenosi, quindi sviluppo
negli anni di cirrosi biliare colostatica. Accertato difetto di consenso informato. Risarcimento da ritenersi sostanzialmente congruo per il danno riportato.
La responsabilità del chirurgo
66
Caso 4
Colecistectomia laparoscopica: lesione della via biliare
da elettrocoagulazione
Consulenza tecnica d’ufficio:
un medico legale, un chirurgo
Vicenda clinica:
Donna di ~40 anni, ricovero con diagnosi di colelitiasi. In anamnesi addominoplastica (calo ponderale di ~30 Kg). All’ingresso: peso ~90 Kg, altezza 175 cm.
Intervento: colecistectomia videolaparoscopica. Quadro di colecistite acuta, presenza di aderenze peritoneali, non difficoltà tecniche riportate nel verbale operatorio.
Dimissione in II giornata postoperatoria.
In VIII giornata postoperatoria
Al controllo chirurgico ambulatoriale presenza di addominalgia e febbricola da
tre giorni, eseguiva ecografia dell’addome che evidenziava versamento libero
addominale, assenza di dilatazione delle vie biliari.
Nuovo ricovero in X giornata postoperatoria per dolore colico e comparsa di
ittero; addome dolente su tutto l’ambito con difesa in ipocondrio destro.
Blumberg +++. Bil. tot. ~5
Intervento (2°):
Laparotomia sottocostale destra, riscontro di coleperitoneo diffuso. Fuoriuscita di
bile dall’angolo di inserzione del moncone cistico sulla via biliare principale, che è
dilatata e contiene due piccoli calcoli. Coledocolitotomia con passaggio di Fogarty
in duodeno e drenaggio biliare esterno con tubo di Kehr. I punti di sutura sulla
coledocotomia sono difficoltosi per fragilità della parete coledocica.
In I giornata postoperatoria la colangiografia trans-Kehr dimostra spandimento
di mezzo di contrasto lungo il decorso del tubo di Kehr e attorno al dotto epatico
di sinistra.
Nei giorni successivi aumento dell’output biliare:
drenaggio destro ~1000, sinistro ~50, Kher ~300.
Trasferimento all’Ospedale Beta.
Il giorno successivo intervento (3°):
Relaparotomia sottocostale destra con estensione in sottocostale sinistra. Si reperta
coleperitoneo diffuso, lisi di tenaci aderenze tra fegato, omento, intestino e parete
addominale. Abbondante lavaggio della cavità peritoneale. Si reperta fistola bilia-
Casi peritali simulati e commentati
67
re in corrispondenza del dotto epatico comune con abbondante perdita di sostanza su base necrotica. Sezione della via biliare principale con sutura del moncone
distale, rimozione del tubo di Kehr. Confezionamento di anastomosi bilio-digestiva su ansa digiunale defunzionalizzata sec. Roux con Maxon 5/0. Difficile passaggio transmesocolico dell’ansa defunzionalizzata, per presenza di tessuto sclero-infiammatorio. Ricanalizzazione intestinale al piede dell’ansa. Lavaggi ripetuti della
cavità peritoneale, esteso quadro peritonitico sottomesocolico.
Diagnosi:
Fistola biliare condizionante quadro di peritonite biliare diffusa in esiti di pregresso intervento di colecistectomia. Aderenze peritoneali.
Decorso post-operatorio: regolare.
Operazioni peritali:
La ricorrente dichiara che dopo la dimissione è andata a vivere a casa della madre
per la necessità di essere assistita. È stata quattro mesi senza poter lavorare. Ha
sofferto di vomito e diarrea ancora per due settimane, riferisce perdita dei capelli.
Ora ha problemi digestivi, non riesce a bere latte, mangiare formaggi e melone.
Non tollera il pesce. Lamenta inoltre gonfiore addominale.
Obiettivamente, altezza 175 cm, peso ~90 Kg. Addome trattabile, non dolente.
Presenza di cicatrici chirurgiche in sede addominale: sottocostale destra estesa
a sinistra della lunghezza di ~25 cm; cicatrice in epigastrio a sinistra della linea
mediana di ~2 cm, da accesso laparoscopico; cicatrice periombelicale inferiore di
~5 cm, da accesso laparoscopico; cicatrice in fossa iliaca destra di ~5 cm.
Consulente di parte attrice:
L’intervento era da eseguire in laparotomia, in laparoscopia si è realizzato un
danno iatrogeno. La complicanza era prevenibile. La paziente non è stata sufficientemente indagata nel postoperatorio. Afferma di non sapere come la complicanza verificatasi avrebbe potuto essere altrimenti prevenuta.
Consulente di parte convenuta:
Non v’era motivo per iniziare l’intervento in laparotomia. Il precedente intervento di addominoplastica non controindicava l’intervento laparoscopico essendo extraperitoneale. Esistono 2-4% di conversioni laparotomiche per complicanze intraoperatorie. La lesione termica, come nel caso di specie, determina
una perdita di sostanza che rende le complicanze evidenti solo dopo 4-5 giorni.
Ammette che la lesione si è verificata ma non si sa se essa sia iatrogena.
Considerazioni dei CTU:
Le lesioni della via biliare sono riconosciute intraoperatoriamente circa nel 25% dei
casi. Nella maggior parte dei pazienti, invece, la perdita biliare si manifesta precocemente nel post-operatorio con la comparsa di dolore, ittero, febbre, comparsa di bile
nei drenaggi. Le lesioni minori laterali della via biliare, non da elettrocauterizzazio-
68
La responsabilità del chirurgo
ne, possono essere trattate con posizionamento di tubo “a T” di Kehr, mentre quelle
dovute a elettrocauterizzazione e che interessano più del 50% della circonferenza
del dotto biliare richiedono una più complessa ricostruzione con epatico-digiunostomia. L’incidenza di lesioni della via biliare principale in corso di colecistectomia,
tali da richiedere una epaticodigiunostomia, è riportata essere di 1:500 casi.
La procedura elettiva per l’asportazione della colecisti è la colecistectomia laparoscopica, che ormai da diversi anni rappresenta il gold standard nel trattamento chirurgico della colelitiasi sintomatica ed eventuali pregressi interventi
addominali non controindicano di base l’opzione laparoscopica, che può essere
abbandonata se, dopo aver introdotto in cavità peritoneale l’ottica, si ritiene che
l’intervento non sia eseguibile per particolari situazioni aderenziali o flogistiche.
Nel caso in oggetto l’intervento di addominoplastica eseguito nel passato, di cui
non esiste peraltro descrizione, non comporta l’apertura del peritoneo e dunque
non deve essere considerato una controindicazione all’esecuzione di una laparoscopia; inoltre è noto come la presenza di aderenze periviscerali, anche flogistiche, possa essere efficacemente trattata anche per via laparoscopica.
In questo caso l’induzione del peritoneo è stata effettuata con tecnica open e introduzione del trocar di Hasson, non alla cieca, riducendo la possibilità di determinare lesioni viscerali nel corso della parte iniziale della procedura laparoscopica.
Tuttavia, nonostante il prudente atteggiamento adottato dall’operatore, si è
venuta a creare una discontinuazione della via biliare principale in prossimità
dell’origine del moncone cistico, che è certamente da mettersi in relazione causale con l’intervento laparoscopico di colecistectomia ed è in prima ipotesi da
ritenersi conseguente a lesione da elettrocoagulazione.
Essa infatti, a causa di un prolungato, o reiterato, o troppo profondo contatto con
la parete della via biliare principale può aver determinato una necrosi circoscritta
della stessa, cui è conseguita una soluzione di continuo responsabile dell’instaurarsi della fistola biliare, e che pertanto riconosce una natura iatrogena da manipolazione incongrua e quindi colpevole, da attribuirsi a malpractice chirurgica.
Tale lesione ha determinato l’instaurarsi di una peritonite biliare diffusa, non
riconoscibile nell’immediato, forse per il suo lento ma continuo formarsi, e che,
malgrado i controlli ambulatoriali effettuati, è stata identificata solo dopo 10
giorni dal primo intervento.
Il tardivo riconoscimento di tale complicanza ha costretto gli operatori ad intervenire su un tessuto, la via biliare principale, reso ulteriormente fragile e malacico
da tale prolungato “bagno” di bile: infatti, la procedura chirurgica messa in atto
in quella circostanza, vale a dire il posizionamento di tubo “a T” di Kehr, era destinato a non correggere la fistola, cui comunque anche sottostava una calcolosi
coledocica non riconosciuta, a testimoniare comunque l’esistenza di uno studio
diagnostico sia pre- che intra-operatorio incompleto. Tali calcoli possono essere
ritenuti inoltre in parte responsabili di una ipertensione biliare atta a mantenere
la pervietà della fistola. La condotta operatoria nel corso del primo intervento laparotomico, viste le riferite piccole dimensioni della soluzione di continuo della
via biliare, è stata corretta con l’esecuzione di coledocotomia, sondaggio della via
Casi peritali simulati e commentati
69
biliare, inserimento di tubo di Kehr allo scopo di detendere la via biliare e ridurne
l’output, fino all’auspicata guarigione definitiva. La parete del coledoco è risultata
tuttavia fragile e malacica, in esiti di necrosi sia pur parcellare, condizionanando
una mancata guarigione e un mantenimento della fistola stessa.
Persistendo poi la perdita biliare di cui l’output dal drenaggio sottoepatico costituiva la spia principale, nei giorni successivi, la paziente è stata trasferita presso
un Centro di Alta Specializzazione per il trattamento delle malattie epato-pancreatiche, ove è stata immediatamente sottoposta ad intervento di epatico -digiunostomia su ansa esclusa “ad Y” sec. Roux. Il decorso è stato regolare e tale
intervento può essere considerato come risolutivo in termini clinici.
Gli eventi in questione hanno cagionato alla paziente un prolungato periodo di
invalidità temporanea, da quantificarsi, sotto il profilo biologico, in ~30 giorni
in misura assoluta, per il periodo di maggiore ospedalizzazione, seguiti da successivi ~60 giorni equamente suddivisibili al 75%, 50% e 25%, corrispondenti al
periodo di convalescenza post-chirurgica.
Circa i postumi permanenti va tenuto conto che oltre agli esiti cicatriziali sopra
riportati e condizionanti un indubbio danno estetico, residuano delle modificazioni anatomiche postchirurgiche, quali la presenza di una anastomosi epatico-digiunale su ansa digiunale esclusa e la presenza di una anastomosi digiuno-digiunale al piede della stessa. Tale situazione è da considerare foriera di
aderenze tra la superficie inferiore del fegato ed i visceri circostanti, costituendo
pregiudizio anche importante nel caso di dover effettuare, in futuro, interventi
sul fegato, sul pancreas, sul colon e a livello gastro-duodenale; inoltre la possibilità del verificarsi di infezioni colangitiche (da reflusso enterico nell’albero
biliare) non può essere esclusa.
Alla luce di ciò, dell’obiettività attuale e con riferimento ai consueti barème medico-legali, si valutano i postumi permanenti attorno al 20%.
Sintesi:
Due sono gli elementi importanti evidenziati dai CTU: il primo è che il danno da
elettrocuzione si possa manifestare anche con una fistola “tardiva”, vale a dire che
si può instaurare anche a distanza di giorni dall’intervento, dopo caduta dell’escara; il secondo è il riconoscimento della natura di lesione colposa da manovra
imperita. I pazienti con lesioni delle vie biliari che hanno richiesto una correzione
chirurgica hanno una mortalità, nella lunga distanza, del 20,8%, e lo 0,8% richiede
un trapianto epatico7. La sopravvivenza complessiva di tale pazienti si riduce rispetto ai gruppi di controllo (mortalità a 1 anno del 7,2 vs 1,3%).8,9
7 Halbert C: Long-term outcomes of patients with common duct injury following laparoscopic cholecystectomy. Surg Endosc 30:4294, 2016.
8 Fong ZV: Diminished survival in patients with bile leak and ductal injury: management
strategy and outcomes. J Am Coll Surg 226:568, 2018.
9 Lillemoe KD: Repair of common bile duct injuries. Up to Date 2020.
La responsabilità del chirurgo
70
Caso 5
Colecistectomia laparoscopica: indicazione dubbia,
emoperitoneo, occlusione intestinale
Consulenza tecnica d’ufficio:
un medico legale, un chirurgo (ausiliario).
Vicenda clinica:
Donna di ~40 anni. Ricovero presso Chirurgia dell’Ospedale Alfa per adenomiomatosi della colecisti.
Diagnosi: polipo della colecisti.
Intervento: colecistectomia laparoscopica. Colecisti distesa con adenomatosi del fondo, ispessita, di consistenza aumentata.
In II giornata postoperatoria
Dolore addominale in regione periombelicale: addome trattabile, dolente alla
palpazione superficiale e profonda in regione periombelicale ~8,5.
TAC addome urgente: raccolta con valori densitometrici pari a quelli ematici,
delle dimensioni di ~10 x 5 cm sul piano assiale e ~10 cm sul piano cranio-caudale, versamento nel Douglas, versamento pleurico bilaterale con alcune bande
polmonari con broncogramma aereo di tipo disventilatorio.
Intervento (2): pneumoperitoneo in mini-open paraombelicale dx, emoperitoneo
con grossolani coaguli sottoepatici ed in loggia parietocolica destra, ematoma a
carico del legamento rotondo: lavaggio e aspirazione dei coaguli. Non si visualizza una fonte certa di sanguinamento e si decide per conversione laparotomica
sottocostale destra. Ulteriore lavaggio di tutto il cavo peritoneale e dello scavo
pelvico, resezione ed exeresi del legamento rotondo lipomatoso ed infarcito di
sangue e sede di ematoma. Emotrasfusioni.
Esame istologico: colecistite cronica iperplastica, con fibrosi e colesterolosi parietali
e seni di Rokitanski.
Dimissione in VII giornata dal secondo intervento.
Dopo quattro giorni, torna in Pronto Soccorso per dolore addominale. Addome
diffusamente difeso con Blumberg +.
TAC addome: modicamente distese e convolute le anse ileali centro addominali
ed in ipocondrio destro nella sede della ferita chirurgica, distensione gastrica con
ingesti, lieve falda perisplenica. Ricovero per osservazione in chirurgia d’urgenza
per sindrome dolorosa addominale.
Il giorno seguente
Rx addome: Modica distensione di alcune anse del tenue, in centro addome ed
ipocondrio sinistro, contenenti livelli idrogassosi.
Casi peritali simulati e commentati
71
Studio seriato intestino tenue: distensione delle anse del piccolo intestino che
si opacizzano fino all’ileo medio-distale; a 6h dalla somministrazione del mdc
maggior opacizzazione delle anse in emiaddome inferiore ma senza evidente
progressione dello stesso. Non opacizzato il colon destro a 6 ore dalla somministrazione del mdc. Leucociti ~15.
Intervento (3°): laparotomia mediana sovraombelico-pubica, aperto il peritoneo
si reperta liquido sieroso, anse molto distese con aspetto congesto a monte di un
cercine strozzante determinato da aderenza in corrispondenza del foro parietale
di destra di 5 mm della pregressa laparoscopia. L’occlusione meccanica è a carico della penultima ansa ileale, le anse a valle sono di colorito roseo e disabitate.
Sbrigliamento dell’ansa con ripresa immediata di colorito e transito. Ulteriore
adesiolisi della flessura destra del colon con il letto epatico della pregressa colecistectomia, sutura di piccola speritoneizzazione.
Decorso privo di complicanze e dimissione. Periodo di ricovero complessivo
della durata di 1 mese. In seguito, formazione di piccoli laparoceli multipli lungo la cicatrice chirurgica e piccola ernia parietale paraombelicale sinistra.
Esame obiettivo in corso di lavori peritali: cicatrice xifo-pubica che decorre a
sinistra dell’ombelico della lunghezza di ~30 cm; cicatrice sottocostale destra
della lunghezza di ~10 cm; cicatrice periombelicale destra della lunghezza di
~5 cm; cicatrice a decorso trasverso in fianco sinistro della lunghezza di ~5 cm;
due cicatrici in ipocondrio sinistro della lunghezza di ~2 cm; due cicatrici in sede
sovrapubica, rispettivamente a destra e a sinistra della cicatrice verticale, della
lunghezza di ~2 cm; cicatrice in fossa iliaca destra della lunghezza di ~2 cm.
Considerazioni di parte attrice:
L’adenomiomatosi della colecisti è una condizione benigna non di tipo infiammatorio considerata raramente responsabile di sintomi, rappresenta il
25% dei casi di poliposi, si localizza di solito a livello del fondo ed appare
come un polipo solitario.
Nel caso in oggetto non vi era nessun sospetto di possibile evoluzione neoplastica, peraltro assai rara, le cui condizioni predisponenti mancavano del tutto: presenza di diabete, presenza di calcoli colecistici, polipi del diam. superiore a ~15
mm, unici, in rapida crescita al monitoraggio ecografico, età superiore ai 50 anni.
Lo dimostra anche il fatto che non è stata ripetuta una TAC addome, e la precedente era di 3 anni prima, non si eseguivano i markers tumorali, gli esami di
laboratorio erano nella norma, la paziente era asintomatica, non si rilevava un
incremento volumetrico della lesione.
Nonostante questo, si avviava la paziente ad una colecistectomia laparoscopica
con finalità, a quanto è dato capire, di tipo profilattico. In ogni caso la diagnosi
preoperatoria era errata: all’esame istologico la diagnosi era di colecistite cronica
iperplastica. L’intervento era complicato da un emoperitoneo ad eziologia ignota che richiedeva un reintervento d’urgenza in II giornata.
72
La responsabilità del chirurgo
Iniziato in laparoscopia, aspirato sangue e coaguli, lavato il cavo peritoneale e
constatata l’assenza attuale di fonti di sanguinamento, invece di attendere per
verificare il non rifornirsi dello stesso, si eseguiva inutilmente una laparotomia
sottocostale destra, che nulla aggiungeva alla visione laparoscopica, a cessato
sanguinamento, e si provvedeva altrettanto del tutto inutilmente ad asportare
il legamento rotondo del fegato sede di ematoma, in assenza di sanguinamento
attivo, quando una emostasi diretta con elettrocoagulazione o con punto di transfissione sarebbe comunque stata sufficiente.
Cosa giustifica dunque la laparotomia sottocostale destra? L’avere più luce quando il sanguinamento più non si rifornisce o per asportare il legamento rotondo?
L’ematoma compreso tra i foglietti del legamento rotondo è senza dubbio alcuno determinato dal passaggio del trocar posizionato in epigastrio-ipocondrio
sinistro che attraversa la linea mediana da sinistra a destra (dove di trova il legamento rotondo) per raggiungere il campo operatorio della colecistectomia: nella
videolaparoscopia eseguita secondo la tecnica francese esso è manovrato con la
mano destra dell’operatore posto tra le gambe del paziente10.
La presa in esame della costituzione anatomica del legamento rotondo dimostra
come la sua lesione (l’interruzione, peraltro qui non è avvenuta), non possa condizionare emorragie importanti, in particolare quando i due foglietti peritoneali
che lo costituiscono non sono discontinuati. Quanto alla sua struttura, il legamento è formato da due foglietti peritoneali, tra i quali si interpone uno strato
di tessuto connettivo in seno al quale decorrono dei linfatici, qualche venula e
qualche arteriola11. Scesa l’emoglobina a 8,5%, è stata però necessaria la trasfusione di due unità di GRC.
Dimessa la paziente in sesta giornata postoperatoria, dopo tre giorni ella si ripresentava in Pronto Soccorso per una occlusione ileale meccanica da aderenza
precoce a livello di un accesso di trocar.
Risulta incomprensibile il perché non si sia utilizzato in questa circostanza un
nuovo approccio laparoscopico, che avrebbe agevolmente consentito la lisi della
briglia: invece si sottoponeva la paziente ad una laparotomia mediana della lunghezza di~30 cm, per un intervento che richiedeva solo un colpo di forbice per
risolvere una briglia recente, non vascolarizzata.
In definitiva, una paziente asintomatica, con indicazione errata alla colecistectomia (l’esame istopatologico è risultato essere di colecistite cronica iperplastica,
senza calcoli), in cui la diagnosi di ammissione in ospedale era errata (adenomiomatosi/litiasi colecisti) ha subìto tre interventi chirurgici:
•
videolaparocolecistectomia;
•
laparotomia sottocostale e resezione del legamento rotondo del fegato, entrambi inutili come sopra spiegato;
10 Gavinelli M. Videolaparocolecistectomia. In: L.Gallone, Chirurgia, Vol II, 1846, Casa
Editrice Ambrosiana, 2005.
11 Testut L, Jacob O. Trattato di Anatomia Topografica, Vol II, 563, UTET 1977.
Casi peritali simulati e commentati
•
73
laparotomia mediana xifo-pubica inutile e comunque eccessiva per la lisi di
una briglia ileale (viscero-parietale).
Oltre alle conseguenze estetiche rappresentate dalle estese cicatrici chirurgiche
residua un reliquato funzionale costituito dai plurimi laparoceli a livello della
linea mediana considerati controindicazione ad una nuova gravidanza che la
paziente ora quarantunenne fortemente desidera.
Si configura un danno biologico permanente di ~20%, DBT ~30 giorni a totale,
~30 giorni al 75%, ~30 giorni al 50%, ~30 giorni al 30%.
Considerazioni di parete parte convenuta:
Nessuna responsabilità: nell’eventualità il danno biologico permanente è valutato di ~6%. Ad ogni buon conto ribadiscono che non essendovi errore non vi può
essere danno.
Considerazioni del CTU:
L’indicazione alla colecistectomia era corretta in quanto la paziente era sintomatica e per la prevenzione del carcinoma della colecisti. Un sanguinamento in
corso di colecistectomia è evento imprevenibile anche nelle mani di un operatore
esperto. Non vi era un’ampia lesione riferibile ad una manovra chirurgica errata, e l’emorragia è stata riconosciuta tempestivamente. Per quanto riguarda la
scelta, al secondo intervento, dell’incisione chirurgica sottocostale piuttosto che
mediana, non esistono linee guida né raccomandazioni che facciano propendere
per l’una o per l’altra, la cui scelta dipende dall’operatore. L’ematoma del legamento rotondo del fegato giustifica la sua asportazione.
In conclusione, non si identificano comportamenti che debbano essere censurati
perché configuranti una colpa professionale medica.
Per completezza di indagine l’ipotetico danno (ipotetico in quanto non si è evidenziato un fatto illecito) deve essere stimato in ~15%.
Contestazioni di parte attrice:
Afferma il CTU nelle sue conclusioni che la paziente era affetta da polipo della colecisti, Ma trattasi di diagnosi del tutto errata, che ha dato indicazione all’inutile
intervento di colecistectomia, che ha prodotto le note gravi complicanze successivamente verificatisi. La diagnosi istologica è stata infatti di colecistite cronica iperplastica, o colecistite ghiandolare proliferante, il cui tipico quadro ecografico, (focali
ispessimenti della parete del viscere, presenza di formazioni ecogene aggettanti nel
lume, non mobili al variare della postura, prive di cono d’ombra acustica posteriore)
era stato già descritto all’inizio degli anni ottanta12 e negli anni novanta13.
12 Gavinelli M: La colecistite ghiandolare proliferante: aspetto ecografico. Quaderno di Casistica ecografica, 10°Convegno di Diagnostica con Ultrasuoni, 93, Modena 1983.
13 Gavinelli M: Ultrasuoni in Oncologia Chirurgica, 140, Masson 1993.
74
La responsabilità del chirurgo
Tale quadro è caratterizzato da fibrosi e aumento dei seni di Rokitanski-Ashoff
penetranti nella tonaca muscolare che risulta ipertrofica14.
Tale condizione, del tutto benigna, è da inquadrarsi nel gruppo delle adenomiomatosi, è solitamente asintomatica e da ritenersi un incidentaloma in corso di esame
ecografico se, come nel caso in oggetto, non si accompagna alla presenza di calcoli.
Inoltre, non vi era qui nessun sospetto di possibile evoluzione neoplastica, le cui
anche condizioni predisponenti mancavano del tutto15.
Superficialità e negligenza sono dimostrate dal fatto che non è stata ripetuta una
TAC addome, quando la precedente era di ~3 anni prima, né è stata eseguita
una RNM dell’addome superiore, né una ecografia con mezzo di contrasto, né
una ecografia endoscopica, tutti esami idonei ad approfondire e perfezionare lo
studio delle lesioni della parete colecistica,16,17,18,19,20,21 non si eseguivano i markers tumorali, gli esami di laboratorio erano nella norma, la paziente rimaneva
asintomatica, non si rilevava un incremento volumetrico della lesione.
Malgrado questo si avviava la paziente ad una colecistectomia laparoscopica,
con finalità evidentemente di tipo profilattico, del tutto inutile, anche perché la
patologia in essere non poteva essere in ogni caso ritenuta responsabile di un
unico episodio doloroso sofferto dalla paziente quattro anni prima e che, diversamente da quanto sostenuto da parte convenuta, non lamentava da diversi anni
forti dolori in ipocondrio destro.
Ammettono i CTU la presenza di un quadro menomativo, che certamente non
era presente prima degli interventi chirurgici a cui la paziente è stata sottoposta.
Il quadro clinico attuale, così come riportato nella bozza dei CTU, è ben diverso
da quello quo ante (paziente asintomatica), configurando un danno biologico che
essi valutano del 15%.
Quindi: esiste un danno biologico ma non una colpa professionale medica, considerando la vicenda clinica, da cui è stato generato un danno, del tutto lege artis
14 Le Quesne LP: Cholecistitis glandularis proliferans. Br.J.Surg 44:447,1957.
15 Cha BH: Pre-operative factors that can predict neoplastic polypoid lesions of the gallbladder. World J Gastroenterol 17:2216, 2011.
16 Inui K: Diagnosis of gallbladder tumors. Intern Med 50:1133, 2011.
17 Gallahan WC: Diagnosis and management of gallbladder polyps. Gastroenterol Clin
North Am 39:359, 2010.
18 Sun XJ: Diagnosis and treatment of polypoid lesions of the gallbladder: Report of 194
cases. Hepatobiliary Pancr Dis 3:591, 2004.
19 Jang JY: Differential diagnostic and staging accuracies of high resolution ultrasonography, endoscopic ultrasonography, and multidetector computed tomography for gallbladder polypoid lesions and gallbladder cancer. Ann Surg 250:943, 2009.
20 Choi WB: A new strategy to predict the neoplastic polyps of the gallbladder based on a
scoring system using EUS. Gastrointest Endosc 53:372, 2000.
21 Sadamoto J: A useful approach to the differential diagnosis of small polypoid lesions of the
gallbladder, utilizing and endoscopic ultrasound scoring system. Endoscopy 34:959, 2002.
Casi peritali simulati e commentati
75
per quanto riguarda il comportamento dei sanitari che ebbero in cura la paziente, non rammentando che in presenza delle plurime gravi complicanze occorse
è necessario verificare che esse fossero prevedibili e prevenibili con la normale
prudenza e rispetto delle regole.
Sintesi:
Il CTU medico legale ritiene che l’indicazione alla colecistectomia per adeniomiomatosi fosse corretta: giudica imprevenibile il verificarsi dell’emoperitoneo
postoperatorio anche nelle mani di un chirurgo esperto, così come adeguato
l’approccio laparotomico sottocostale in urgenza in assenza di diagnosi in una
paziente anemizzata, ma senza evidenza di un sanguinamento attuale; giustifica
l’asportazione, a scopo emostatico, del legamento rotondo del fegato.
La successiva richiesta inoltrata dalla parte attrice di rinnovazione della CTU
non è stata concessa dal Giudice.
Caso 6
Colecistectomia laparoscopica: sezione completa
del peduncolo epatico, exitus
Caso penale, consulenti del PM:
1 Anatomopatologo e un chirurgo.
Vicenda clinica:
Maschio, all’epoca dei fatti di ~65 anni, ricoverato presso il Reparto di Chirurgia
dell’Ospedale Alfa con diagnosi di colecisti scleroatrofica per intervento di colecistectomia videolaparoscopica.
Circa tre mesi prima, diagnosi di calcolosi coledocica, sottoposto a due ERCP operative (papillotomia + estrazione di calcoli) ottenendo bonifica della via biliare.
Rifiuta emotrasfusioni e derivati in quanto Testimone di Geova.
Diagnosi: colecistite scleroatrofica su litiasi con intensa pericolecistite.
Intervento: colecistectomia videolaparoscopica. Riscontro di intenso blocco pericolecistico che ingloba, oltre al viscere, anche la flessura colica e l’omento. Difficoltosa liberazione di tale blocco flogistico con progressiva esposizione della
colecisti, la quale è a pareti ispessite, con lume totalmente occupato da un grosso
calcolo unico. Notevole ispessimento flogistico ingloba anche gli elementi dell’ilo colecistico, i quali vengono progressivamente isolati e sezionati tra clips.
Asportazione della colecisti tramite endobag …
I giornata post-operatoria:
Drenaggio quasi 1’000 cc biliari.
76
La responsabilità del chirurgo
II giornata postoperatoria:
bil. tot. ~2,5; AST ~1000; ALT ~2000.
TAC Addome: ridotta la vascolarizzazione ed impregnazione contrastografica
del lobo sinistro del fegato con amputazione del ramo sin intraepatico della vena
porta a ~1,5 cm dalla biforcazione ilare portale, con piccole bolle gassose adiacenti e con ridotta rappresentazione delle diramazioni arteriose più periferiche,
mentre appare conservata impregnazione venosa sovraepatica; ampia raccolta liquido-gassosa in epigastrio lungo il margine anteriore del lobo sinistro epatico,
ed ulteriore raccolta prevalentemente liquida con minor componente gassosa tra
margine laterale del lobo sinistro del fegato e stomaco decorrente lungo il margine
postero inferiore del lobo sinistro epatico fino all’ilo: disomogeneo ispessimento
ipodenso delle pareti della flessura colica destra con bolle gassose in parte a distribuzione endoluminale ed in parte intramurale; ulteriori raccolte liquido gassose
in sede subfrenica, tra milza e cupola diaframmatica e stomaco, e falde di versamento endoperitoneale in doccia parietocolica destra in sede sottoepatica destra,
più consistente in fossa iliaca destra e multiple piccole bolle gassose endoluminali;
clips all’ilo epatico in esiti di colecistectomia. Non evidente alterazione dell’albero
biliare; si riscontra aerobilia peraltro non specifica in papillotomizzato.
Trasferimento presso l’Unità di Chirurgia Epatobiliare/Trapianti dell’ospedale Beta.
Referto istologico: frammenti di colecisti; Diagnosi istopatologica: colecistite cronica.
Dopo 2 giorni di ricovero:
Angio-TC addome confermava: ischemia dell’emifegato sinistro in fase di demarcazione al IV segmento, normale vascolarizzazione dell’emifegato destro
con ramo arterioso e portale indenni; raccolta nel letto colecistico con presenza
di drenaggio chirurgico. In relazione al quadro clinico caratterizzato da parametri emodinamici stabili, assenza di dolore addominale e peritonismo, miglioramento dei parametri emocoagulativi e calo degli enzimi di necrosi epatica, si
soprassedeva all’intervento in regime di urgenza immediata.
In giorno seguente
Dal drenaggio addominale ~700 cc di materiale biliare, comparsa di febbre: si poneva indicazione a laparotomia d’urgenza per la evoluzione del quadro di necrosi
colliquativa epatica e la presenza fistola biliare ad alta portata.
Il paziente reso edotto sulle indicazioni chirurgiche, sul rischio operatorio e sulle possibilità di emotrasfusione, rifiutava l’intervento chirurgico e organizzava
trasferimento all’Ospedale Gamma, a ~600 Km di distanza, dove gli era stato
assicurato via telefono che non sarebbe stato trasfuso.
All’ingresso
ERCP: All’inizio della procedura comparsa di abbondante gonfiore addominale,
edema scrotale, aria a livello del drenaggio addominale destro ed importante
enfisema sottocutaneo. Dispnoico, intubazione orotracheale.
Paziente in shock settico. Si trasferisce in S.O. in regime d’urgenza: laparotomia
Casi peritali simulati e commentati
77
sottocostale, presenza di liquido sottoepatico ematico e di perforazione anteriore
del bulbo duodenale adiacente a un punto di sutura. Si segnala anche piccolo
leak biliare a livello del letto della colecisti ed emifegato sinistro devascolarizzato. Presenza di raccolta ematica organizzata perisplenica.
Raffia della perforazione duodenale, laparostomia.
Diagnosi: shock settico in peritonite biliare da perforazione bulbo duodenale e
leak biliare del letto colecistico in esiti di colecistectomia VLS.
Terapia: laparotomia bisottocostale, toilette, raffia duodenale, addome aperto.
Rx torace: massivo enfisema del contesto dei tessuti molli della parete toraco-addominale bilaterale risalente nei tessuti molli della base del collo, falda di pnx in
sede apicale destra. Falda di pneumomediastino a sinistra.
II giornata postoperatoria:
Febbrile, emodinamicamente sostenuto da noradrenalina, diuresi in contrazione;
dalla laparostomia liquido biliare. In S.O: in loggia subfrenica sinistra voluminoso
ematoma dell’omento che viene drenato. Abbondante materiale biliare in loggia
sottoepatica che fuoriesce da due piccole soluzioni di continuo delle vie biliari.
Colangiografia intraoperatoria: spandimento di mdc in regione ilare, non opacizzata la via biliare principale.
Radiologia interventistica: si punge ramo biliare periferico di destra, si posiziona
drenaggio biliare int/est da 8,5 F pigtail con estremo distale in cavità peritoneale.
Il giorno seguente
Intervento: Toilette peritoneale, rimozione a scopo esplorativo delle clips (ilo
epatico) posizionate durante intervento VLS eseguito altrove. Si incannula il
presunto moncone del cistico e si esegue colangiografia che evidenzia direttamente la via biliare principale nel suo tratto medio e distale. Risulta pertanto
evidente l’asportazione del coledoco prossimale ed epatico comune durante l’intervento precedente VLS. Si decide pertanto di incannulare con tubo di Kehr
sia il dotto epatico comune prossimale che il moncone distale (la soluzione di
continuo della via biliare è di circa 6 cm). La colangiografia trans Kehr dimostra
regolare passaggio del mdc nel duodeno ed illegg di tutto l’albero biliare. Riconfezionamento di laparostomia.
Due giorni dopo:
Medicazione sporca intrisa di materiale biliare che sporca anche il letto. Febbrile.
Sala operatoria: Spandimento di bile attorno dl drenaggio biliare si sostituisce tubo.
Dopo altri due giorni:
Spandimento biliare ancora in atto, arteriografia epatica: l’a. epatica destra appare occlusa a circa ~10 mm dall’origine. Discreto compenso della vascolarizzazione arteriosa parenchimale da parte dell’arteria epatica sinistra.
Colangiografia trans Kehr: vie biliari non dilatate, assenza di evidenti leak biliari
e opacizzazione di ansa duodenale.
78
La responsabilità del chirurgo
Dopo tre giorni:
Hb 6,1. Informati i parenti si decide di procedere ad emotrasfusioni (4 U GRC).
Due giorni dopo, intervento:
Secrezione biliare in ipocondrio destro. Lavaggi ripetuti. Posizionamento di due
ulteriori drenaggi: sovraepatico, sottoepatico. Rinnovo laparostomia. Bil tot ~3,5.
Ore 22: T >38°.
Il giorno successivo:
Presenza di materiale biliare dal drenaggio destro; ancora febbrile fino a >38°.
Ore 23: ancora temperatura elevata >38°.
Due giorni dopo:
Medicazione addominale intrisa da materiale biliare. Drenaggi attivi per materiale biliare. Ancora T >38°.
Dopo due giorni:
Medicazione intrisa di materiale biliare. Bil ~4,5; crea ~1,5; T >38°.
Il giorno successivo:
Medicazione intrisa da materiale siero-biliare. Si applica VAC-therapy.
Dopo quattro giorni: drenaggio destro ~400 biliare.
Il giorno successivo:
Si rimuove la laparostomia, parenchima epatico del lobo sinistro sostituito da tessuto
spugnoso avascolare. VAC-therapy.
Ore ~18:00:
drenaggi di destra attivi per materiale biliare.
Ore ~22:00:
Drenaggi di destra attivi per bile. VAC attiva par materiale bilio-ematico. T >38°.
Dopo quattro giorni:
Colangiografia percutanea transepatica: si opacizzano le vie biliari attraverso il tubo di
Kehr che risulta normoposizionato, con evidente leak biliare in sede peri-ilare. Con guida fluoroscopica vengono incannulate le vie biliari intraepatiche dell’emisistema destro
e si posiziona drenaggio biliare esterno. WBC 12,1; Bil ~5,5.
Il giorno successivo:
Addome trattabile. VAC attiva. Kehr attivo per bile di aspetto corpuscolato. Febbrile con
brivido scuotente.
Dopo tre giorni:
Drenaggi addominali di destra e Kehr attivi per materiale biliare.
Si posiziona drenaggio toracico dx con fuoriuscita di materiale sieroso (~1 litro).
Casi peritali simulati e commentati
79
Intervento: rimozione di due drenaggi di sinistra (sierosi); si lascia in sede il
drenaggio destro (bilio-corpuscolato) si rinnova VAC-therapy.
Dopo quattro giorni: trasfusione di 4U GRC (Hb ~6).
Drenaggio addominale destro attivo per materiale biliare. Bil ~9.
Dopo due giorni: Bil ~11.
Rimozione drenaggio toracico. Drenaggi in ordine e attivi. Ittero in aumento.
Il giorno successivo,
TAC torace-addome: abbondante versamento pleurico bilaterale, lobo epatico
sin ridotto di dimensioni e colliquato con ectasia delle vie biliari e di aspetto
flogistico, plurimi ascessi nel lobo destro. Funzione epatica in peggioramento,
ammoniemia >200, paziente soporoso, ~9,5 bil tot, dir ~5. Scambi respiratori in
peggioramento, si collega al respiratore. WBC ~4000; Bil ~10.
Due giorni dopo:
Soporoso, risvegliabile.
PLT ~60’000; Bil tot ~10, Bil dir ~6, PTT ~2 ammonio~150, SGOT ~200, SGTP ~150.
Trasferimento dalla Rianimazione in Chirurgia.
Esami colturali positivi: liquido peritoneale e tampone ferita per enterococchi
fecali; tracheoaspirato per Pseudomonas; liquido di drenaggio per Klebsiella e
per Pseudomonas.
Dopo 1 settimana: creatinina ~1,4: Bil tot ~20, Bil dir ~15, prot tot ~5.
Condizioni generali peggiorate. PA ~90/60. Desatura, oligoanurico.
Dopo cinque giorni:
Soporoso non contattabile. Si sospendono le terapie di supporto emodinamico.
Continua infusione di liquidi ev fisiologica e analgesici.
Il giorno successivo:
Ittero ingravescente con insufficienza epato-renale.
Drenaggio destro: bilioenterico. Decesso.
Diagnosi: Arresto cardiocircolatorio in paziente con insufficienza multiorgano in esiti
di lesione via biliare principale in corso di colecistectomia VLS eseguita altrove.
Riscontro diagnostico, descrizione del campo operatorio:
Presenza di estese aderenze tra flessura destra del colon, colon trasverso, grande
omento e superficie inferiore del fegato. Lisate le stesse e abbattuto inferiormente il
colon si evidenzia tubo di Kehr immerso in materiale biliare denso e circondato da
numerose concrezioni di tipo litiasico.
Aspirate le stesse, si rileva la completa scomparsa, per asportazione pressochè
completa, del legamento epato-duodenale: il tubo di Kehr sostituisce infatti per
80
La responsabilità del chirurgo
intero la via biliare principale, dai dotti epatici sino allo sbocco in duodeno, dove
è stato fissato con borsa di tabacco.
La branca superiore del tubo di Kehr è inserita nella pregressa sede del dotto
epatico di destra, nel suo forame, mentre il forame di origine del dotto epatico di
sinistra aggetta direttamente nella cavità peritoneale.
La branca inferiore del tubo di Kehr aggetta quindi in duodeno attraverso la
papilla di Vater.
Gli elementi vascolari ilari, arteria epatica e vena porta, appaiono integri, scheletrizzati chirurgicamente.
Risposte ai quesiti del Magistrato:
Sottoposto presso l’Ospedale Alfa ad intervento di colecistectomia videolaparoscopica per colecistite scleroatrofica su litiasi, nel corso dell’intervento si produceva lesione complessa della via biliare principale che è asportata.
Rifiutato l’intervento chirurgico d’urgenza proposto presso l’Ospedale Beta, dove
è stato trasferito nel post-operatorio a seguito della fistola biliare precocemente
verificatasi, veniva quindi operato presso la Chirurgia dell’Ospedale Gamma, con
diagnosi di shock settico in peritonite biliare da perforazione del bulbo duodenale
e leak biliare del letto colecistico in esiti di colecistectomia videolaparoscopica.
Nel corso di tale intervento, così come nel corso dei numerosi successivi, mai
è stata corretta la causa della fistola biliare inesauribile, dovuta alla completa
asportazione della via biliare principale: dall’origine del dotto epatico di sinistra
è continuato il rifornimento di bile in cavità peritoneale; né si è provveduto ad
istituire chirurgicamente una derivazione bilio-digestiva, procedura di scelta,
da attuarsi in prima istanza, che consentisse la correzione della fistola biliare
iatrogena che è stata la causa prima del decesso.
Le conseguenze sono state la sepsi indomabile generalizzata, l’ischemia e l’insufficienza epatica (in parte sostenuta anche da un danno vascolare, al ramo
portale di sinistra in sede intraepatica), l’infezione peritoneale e polmonare, il
versamento pleurico, l’insufficienza respiratoria, l’insufficienza renale, con un
quadro conclamato di insufficienza multipla d’organo.
Si può quindi concludere che la grave lesione iatrogena consistente nell’asportazione della via biliare principale occorsa (del tutto o in parte) durante l’intervento di videolaparoscopia effettuato presso l’Ospedale Alfa non sia stata corretta
chirurgicamente con un intervento ricostruttivo di derivazione bilio-digestiva
presso la Chirurgia dell’Ospedale Gamma con conseguente exitus del paziente.
Al ricevimento di tale relazione peritale il PM formulava ai propri CT un’integrazione del quesito: i motivi per i quali non è stata riconosciuta, se effettivamente evidenziabile, la complessa lesività subita dal paziente presso l’Ospedale
Gamma, con particolare riferimento al foro nel duodeno, ma non solo. Risposta
dei CT: al momento del ricovero presso l’Ospedale Gamma il paziente veniva
sottoposto a TAC addome che dimostrava tre reperti fondamentali: non riconoscibile l’epatocoledoco: (infatti come noto, la via biliare era stata completamente
Casi peritali simulati e commentati
81
asportata nel corso del primo intervento di chirurgia laparoscopica all’Ospedale
Alfa); pneumoperitoneo, segno di perforazione duodenale; versamento endoaddominale (segno di perforazione duodenale, e del raccogliersi nel cavo della
bile escreta dal fegato in assenza della via biliare, condizionante coleperitoneo).
Si ritiene che questi dati radiologici, assolutamente patognomonici per le situazioni patologiche soprariportate, siano state sottovalutate: invece di procedere
immediatamente all’intervento di esplorazione laparotomica si attendeva per
effettuare una ERCP, foriera di un ulteriore grave danno iatrogeno: incremento
dello pneumoperitoneo, formazione di retropneumoperitoneo con enfisema sottocutaneo ed edema scrotale.
Non è comprensibile, dunque, il motivo per il quale tale complessiva lesività
non è stata evidenziata e non ha innescato un immediato trattamento chirurgico.
Successivamente, nel corso del secondo intervento, la colangiografia intraoperatoria, in assenza della via biliare, dimostrava spandimento del mezzo di contrasto in regione ilare e mancata opacizzazione della via biliare (a confermare la sua
assenza); e nel corso del terzo intervento si constatava l’evidente l’asportazione
del coledoco prossimale e dell’epatico comune durante l’intervento precedente
di videolaparocolecistectomia, ma nessun procedimento chirurgico idoneo veniva posto in atto.
Conclusioni:
Il procedimento penale di cui sopra è stato instaurato nella città sede dell’ospedale Gamma dove il paziente è deceduto, quando una prima denuncia, effettuata dai parenti alla Procura della Repubblica della città dove aveva subìto il primo
intervento (Ospedale Alfa), era stata seguita da una rapida richiesta di archiviazione. Il procedimento sopra riportato si è concluso con “patteggiamento”.
Sintesi:
Il desiderio di non essere trasfuso per motivi religiosi, peraltro comprensibile,
ha gravemente nuociuto al paziente, inizialmente vittima di un incidente chirurgico iatrogeno di straordinaria gravità, inducendolo a lasciare un centro di
chirurgia epatica e dei trapianti, dove era stato inizialmente trasferito, a fronte
del palesato rischio a sottoporlo ad emotrasfusioni, per farsi ricoverare in un
reparto di chirurgia molto distante, dove gli era stato promesso di non essere
trasfuso. Qui non solo non hanno potuto mantenere tale fallace promessa a fronte della gravissima anemizzazione verificatasi, ma gli è stato anche precluso, per
mancanza di adeguate competenze, il trattamento, comunque assai complesso,
necessario a salvargli la vita.
La responsabilità del chirurgo
82
Caso 7
Emicolectomia destra laparoscopica, perforazione ileale,
exitus
Consulenza Tecnica d’Ufficio:
un medico legale, un chirurgo.
Vicenda clinica:
Maschio di~65 anni. A seguito di positività della ricerca di sangue occulto nelle
feci si sottopone a ileo-colonscopia, con riscontro di polipo sessile diam. ~15 mm
alla valvola ileo-ciecale, che sembra un poco introflettersi nell’ileo. All’esame
istologico microfocolai di displasia di alto grado in adenoma tubulare.
Colonscopia operativa per asportazione del polipo: alla valvola ileo-cecale presenza di polipo sessile del diametro di ~15 mm non asportabile per via endoscopica.
Intervento di emicolectomia destra videolaparoscopica. Diagnosi di piccola neoformazione polipoide sessile della valvola ileocecale.
Esame sul pezzo operatorio: neoformazione polipoide piatta del diam. di ~12 mm.
Istologia: moderata displasia di alto grado in adenoma tubulare piatto.
In I giornata postoperatoria:
Dal drenaggio ~400 cc di materiale enterico; per sospetto addome acuto intervento di
laparotomia esplorativa d’urgenza e raffia di perforazione ileale a ~30 cm dal Treitz.
Dopo ~8 ore:
Sindrome da Risposta Infiammatoria Sistemica (SIRS/sepsi) con alterazione funzione renale e alterazione PT, iperteso, tachicardico, dolore mal controllato.
TAC addome: abbondante falda di versamento libero in addome e retroperitoneale, bolle di aria libera in sede periepatica, in sede sottodiaframmatica sinistra,
a ridosso della parete addominale anteriore, in corrispondenza dell’anastomosi
ileo-colica ed anche tra i fasci muscolari della parete addominale.
In IV giornata postoperatoria:
Sempre febbrile, anemizzato. Fibrobroncoscopia e lavaggi bronchiali con rimozione di numerose secrezioni biancastre: colture positive per Pseudomonas e Klebsiella.
Il paziente è portato in sala operatoria, dove presenta un rigurgito di materiale
gastrico-biliare, con parziale inalazione dello stesso.
III intervento in urgenza di laparotomia mediana, detersione della cavità addominale (presenza di liquido torbido) e confezionamento di ileostomia per ileo paretico.
In VII giornata
Per peggioramento della funzione renale è posizionato un catetere da dialisi in
vena femorale e poi iniziata dialisi.
Casi peritali simulati e commentati
83
In X giornata
Esame colturale su liquido di drenaggio addominale destro, positivo per lieviti
(Candida più specie) e cocchi gram + (più enterococchi).
IV intervento di laparotomia mediana, lavaggio cavità addominale, posizionamento di medicazione complessa a pressione negativa con lavaggio intraperitoneale per peritonite saccata.
Esame colturale tampone di ferita: positivo per Acinebacter e Pseudomonas.
A seguire più di 15 interventi di revisione di laparostomia, sostituzione di
VAC-teraphy. Al 14° intervento riscontro di fistola ileale prossimale alla ileostomia, posizionamento di Foley nella perforazione. Exitus.
Eseguito riscontro diagnostico.
Causa di morte: “insufficienza multiorgano insorta in una prolungata situazione settica determinata da peritonite da perforazione ileale.
Considerazioni di parte attrice:
Secondo la Società Americana di Endoscopia Digestiva (ASGE) del 2011, il polipo di 15 mm riscontrato alla colonscopia poteva essere trattato per via endoscopica, eventualmente anche in più riprese; tale procedura è eseguibile su polipi
sino a 25 mm di base di impianto:
•
in nessuna linea guida la localizzazione del polipo alla valvola ileocecale è
considerata una controindicazione all’asportazione endoscopica;
•
nel caso di specie la prima opzione era la resezione endoscopica della mucosa, eventualmente con tecnica EMR; se la rimozione non fosse stata attuabile nella struttura convenuta, il paziente doveva essere inviato in un centro
specializzato di endoscopia;
•
poiché l’esame istologico non definitivo aveva evidenziato una displasia
lieve, non sussisteva alcuna indicazione chirurgica, ma si sarebbe dovuto
procedere con un esame endoscopico;
•
se dopo l’asportazione endoscopica, l’esame istologico avesse rilevato la
non radicalità dell’asportazione allora sarebbe stato giustificato procedere
con l’emicolectomia; peraltro essendo una neoplasia in situ, non avrebbe
avuto tale indicazione, per cui anche a posteriori vi è stato un over-treatment;
•
nella vicenda in valutazione non è indicata la motivazione per cui non è stata seguita la linea guida, né perché si è deviato dalla buona pratica clinica;
•
la percentuale di perforazioni intestinali in corso di endoscopia è influenzata dalle dimensioni del polipo;
•
nel merito della perforazione intestinale, trattasi di lesione certamente iatrogena; la mancata descrizione delle sue caratteristiche non consente di
identificarne la causa e quindi di ritenerla indipendente da un operato colposo del chirurgo;
84
•
•
La responsabilità del chirurgo
nella gestione della lesione iatrogena si osservano diversi elementi di criticità: ritardo di trattamento, e l’ileostomia non pare giustificata sulla base
del solo riscontro di ileo-paretico;
la vicenda clinica in valutazione si è caratterizzata per una elevata sofferenza, con una importante fase agonica.
Considerazioni di parte convenuta:
•
•
•
•
•
•
•
•
La sede del polipo (sulla valvola ileocecale ed aggettante nel lume dell’ultima ansa intestinale) costituiva una controindicazione relativa alla sua
asportazione per via endoscopica;
la caratteristica sessile e non peduncolata poneva problemi di asportazione
radicale in endoscopia, che era invece richiesta dalle caratteristiche istologiche del polipo: infatti, poiché la displasia era di alto grado, si trattava di
un adenocarcinoma in situ;
l’asportazione endoscopica non era la sola opzione di trattamento, era una
scelta percorribile, così come l’approccio chirurgico, e la decisione su quale
via scegliere spettava all’endoscopista;
anche in endoscopia la polipectomia presenta un rischio di perforazione
intestinale, con un’incidenza di ~1%;
la lesione intestinale è probabilmente da riferire ad accesso laparoscopico,
oppure può essere stata prodotta durante la dissezione: è da considerare
tra le complicanze, per quanto prevedibili e possibili, non sempre evitabili,
tenuto conto che l’ingresso in cavità addominale avviene alla cieca e che il
campo operatorio è stretto; quindi è sì una lesione iatrogena ma accidentale;
la perforazione intestinale è stata riconosciuta tempestivamente e trattata
correttamente: la situazione addominale era controllata tramite i drenaggi;
è prospettabile che l’ileostomia sia stata eseguita per detendere le anse intestinali, anche in sede di anastomosi;
il quadro clinico è da attribuire ad un’evoluzione negativa della peritonite,
considerata la buona tenuta della riparazione della perforazione intestinale;
la sedazione a cui è stato sottoposto il paziente in terapia intensiva ha ridotto se non annullato il suo stato di coscienza.
Considerazioni dei CTU:
L’esame istologico condotto sulle biopsie effettuate durante la prima colonscopia evidenzia microfocolai di displasia di alto grado, mentre analogo esame sui
prelievi eseguiti nel corso della seconda colonscopia aveva rilevato una displasia
moderata, di basso grado. La displasia di alto grado (o carcinoma intraepiteliale)
è considerato uno step intermedio di progressione dalla displasia di basso grado
al carcinoma; si differenzia dal carcinoma in situ in quanto non vi è ancora l’inva-
Casi peritali simulati e commentati
85
sione della lamina propria e, quindi, non si associa a metastatizzazione a distanza.
Per quanto riguarda la tecnica da applicare per l’asportazione, endoscopica o
chirurgica laparoscopica, l’opzione di prima scelta è costituita dall’endoscopia,
con tecnica base (polipectomia) efficace per i polipi peduncolati e sessili sino a
10 mm di dimensioni oppure utilizzando tecniche più avanzate: resezione endoscopica mucosa (EMR)22 oppure dissezione endoscopica sottomucosa (ESD). Le
complicanze correlate all’endoscopia sono rare, e generalmente hanno frequenza
minore rispetto alla chirurgia tradizionale. Il rischio di morte è pari a ~1:14’000.
Le due complicanze gravi più comuni sono costituite dall’emorragia post-procedurale e dalla perforazione intestinale in sede di intervento. La prima si verifica
in ~4,8:1000 casi e nella maggior parte dei pazienti si autocontrolla; quando questo non avviene è necessaria l’emostasi, in genere in endoscopia, solo raramente
con procedure di radiologia interventistica o con la chirurgia. La perforazione
colica post-polipectomia si verifica in ~0,1% dei pazienti, e nella maggior parte dei casi può beneficiare di un trattamento conservativo, ovvero della sutura diretta della lesione in endoscopia. La percentuale di perforazioni risulta più
elevata quando sono attuate le tecniche endoscopiche di rimozione avanzate: in
particolare, in caso di EMR varia dallo 0 al ~5%, e anche in questo caso per lo più
viene realizzata una riparazione endoscopica della discontinuazione parietale, essendo generalmente riconosciuta durante la stessa seduta di resezione del polipo.
Importanti elementi da considerare nell’effettuare la scelta chirurgica sono le dimensioni e la sede del polipo. Con riguardo alle dimensioni, la procedura endoscopica risulta più difficoltosa, con conseguente maggior rischio di complicanze
e/o rimozione incompleta, quando un polipo sessile o una lesione LST/LSL23 ha
dimensioni ≥ 20 mm. Nel merito della sede, si ritiene che comporti maggiori
difficoltà tecniche rimuovere un polipo situato in corrispondenza della valvola
ileocecale, dell’orifizio dell’appendice o dietro una piega haustrale.
In presenza di queste condizioni viene consigliato - come all’epoca di accadimento dei fatti - di indirizzare il paziente verso un centro endoscopico di riferimento per essere valutato/trattato da un endoscopista esperto. Anche in questi
casi infatti la rimozione endoscopica mediante EMR consente di ottenere risultati soddisfacenti con una percentuale di successo di ~90-95%.
In caso di polipi sessili del colon di dimensioni fino a 20 mm, già le linee guida
europee del 2010 ritenevano che fosse possibile ottenere una completa escissione utilizzando la EMR. In tali linee guida era peraltro segnalato che la scelta
tra endoscopia/chirurgia dipendeva dall’abilità dell’esecutore della colonscopia
e dalla disponibilità di tecniche endoscopiche avanzate nel centro di riferimento;
22 Si ritiene utile precisare che la EMR si differenzia dalla polipectomia standard sostanzialmente perché viene effettuata una resezione completa dello strato mucoso previa iniezione
di una soluzione nella sottomucosa così da sollevarne il piano e facilitare la procedura.
23 Si definiscono Laterally Spreading Tumors (LST) o Laterally Spreading Lesions (LSL) le
lesioni neoplastiche sessili o piatte con diametro superiore a 10 mm, che presentano una
crescita prevalentemente laterale sulla superficie della mucosa intestinale.
86
La responsabilità del chirurgo
di contro, la sede della lesione non era considerata un parametro decisionale per
la strategia terapeutica da adottare.
Anche le linee guida dell’Associazione di Coloproctologia di Gran Bretagna
ed Irlanda pubblicate nel 2013, ritenendo la tecnica endoscopica il cardine
della gestione dei polipi, consideravano come routinaria la rimozione dei
polipi sessili mediante EMR, risultata efficace anche per lesioni di dimensioni superiori ai 20 mm. Le medesime linee guida segnalavano che la dimensione e la posizione del polipo possono renderne più difficoltà l’asportazione endoscopica, senza tuttavia individuarne particolari caratteristiche come
controindicazioni alla procedura endoscopica.
Sottolineavano poi che la decisione di rimuovere in endoscopia una lesione dovrebbe derivare da un processo decisionale che comprenda anche la valutazione delle
capacità e dell’esperienza dell’endoscopista; poiché deve essere garantita l’applicazione del trattamento ottimale, nel dovere di diligenza venivano considerati anche
il differimento del trattamento per una discussione collegiale del caso, così come
l’invio del paziente ad un endoscopista ritenuto più adatto ad occuparsi del caso.
Con riguardo alla localizzazione sulla valvola ileocecale, trattasi di una sede poco
frequente, in grado di rendere la EMR più complessa. Non esiste un’unica strategia
terapeutica: in passato il trattamento standard era l’approccio chirurgico, mentre
da alcuni anni si è visto che la EMR garantisce una elevata percentuale di successo
anche in questi casi, così che il ruolo della chirurgia non è più preminente.
Nel caso in oggetto, tutte insieme considerate le caratteristiche della lesione colica, deve concludersi che vi era indicazione alla sua asportazione per via endoscopica, in ragione degli ottimi risultati conseguibili anche in questi casi con
EMR eseguita in centri di riferimento da endoscopisti esperti e tenuto conto che
un eventuale trattamento chirurgico sarebbe stato inutilmente demolitivo.
Si ritiene poi di doversi soffermare sul giudizio formulato dell’endoscopista chirurgo di polipo non asportabile endoscopicamente. Tale affermazione non viene in
alcun modo motivata: vi è da chiedersi quindi se sia stata formulata sulla base
della sola sede anatomica di impianto della lesione (valvola ileocecale), o per
indisponibilità delle tecniche endoscopiche avanzate, o ancora per ridotta esperienza nell’eseguire EMR, o per altre eventuali ragioni. Anche se gli elementi
tecnici a disposizione non consentono di fornire una riposta a tale interrogativo,
certo è che la decisione di procedere con una emicolectomia destra laparoscopica d’emblée per una lesione di soli 15 mm che poteva giovarsi di un trattamento
meno invasivo, altamente efficace e sicuro, senza neppure valutazione collegiale
né l’invio del paziente ad un altro centro per ottenere un secondo parere, non è
condivisibile né in relazione alle linee guida né alla buona pratica clinica.
Il trattamento di scelta nella fattispecie in esame, lo si ribadisce, era l’asportazione endoscopica del polipo mediante EMR, eventualmente con ripetizione della
procedura qualora la resezione non si fosse rivelata radicale, considerando l’opzione chirurgica solo come ultima ratio.
Nella condotta del personale medico della struttura convenuta, oltre a ciò, si
ravvisano ulteriori elementi meritevoli di censura.
Casi peritali simulati e commentati
87
Il primo elemento di criticità è costituito dalla perforazione intestinale riscontrata dopo l’intervento di emicolectomia: premesso che tale perforazione, essendo
localizzata a ~30 cm dal Treitz, era ovviamente a carico del digiuno e non dell’ileo, di essa non sono riportate le caratteristiche (sede nel contesto del viscere,
estensione, caratteristiche dei margini), certamente utili alla comprensione del
suo determinismo. Non essendovi alcuna descrizione della perforazione, per il
suo immediato manifestarsi, la lesione può essere stata la conseguenza dell’elettrocoagulazione, a causa di un prolungato, o reiterato, contatto con la parete
intestinale, che può aver determinato una perforazione diretta di parete; oppure
può essere stata procurata dell’ago di Veress, o dall’introduzione di trocar; ancora, potrebbe trattarsi di una lesione da trazione, da manipolazione traumatica.
Quale che sia stato il meccanismo, comunque la perforazione è da inquadrare
quale lesione di natura iatrogena, da ricondurre causalmente all’operato dei sanitari che effettuarono l’intervento laparoscopico di emicolectomia.
In termini generali, il ricorrere in occasione di procedure condotte per via laparoscopica di lesioni intestinali è evento noto, ampiamente descritto in letteratura ed avente incidenza estremamente bassa, di ~0,13%. I fattori di rischio
riconosciuti sono correlati all’esperienza del chirurgo, alla presenza di aderenze
in esito a pregressi accessi chirurgici addominali ed alla condizione di obesità.
Tenuto conto del quadro anatomico descritto in occasione del primo atto chirurgico, nonché dei dati clinici ed anamnestici disponibili, non emerge il ricorrere, nel
caso di specie, di condizioni preesistenti atte ad aver assunto ruolo causale nel determinismo della lesione digiunale. La perforazione intestinale, pertanto, non può
essere annoverata tra le complicanze inevitabili e deve essere, secondo un giudizio
probabilistico, attribuita a manovre chirurgiche incongrue, e come tali censurabili.
Visto il palesarsi assai precoce della perforazione nel periodo post-operatorio, vi è
da ritenere che la lesione si sia realizzata già nel corso dell’intervento di resezione
colica, ma che non sia stata riconosciuta (e riparata) dai chirurghi prima della fine
dell’intervento. Una attenta valutazione del campo operatorio avrebbe consentito di
rilevare la lesione e di suturarla, evitando lo sviluppo della coleperitonite diffusa.
L’intervento di revisione chirurgica è avvenuto dopo ~15 ore, al conclamarsi del
quadro di addome acuto e della sepsi, mentre è noto che eventuali perforazioni
intestinali, se associate a conseguente sepsi, sono gravate da una elevata mortalità; del pari, è comprovato che solo per tramite di un trattamento chirurgico
precoce si può ridurre il ricorso ad interventi derivativi, così come a reiterati
interventi di revisione, riducendo la mortalità.
Già il giorno successivo era presente un versamento endoperitoneale diffuso e
pneumoperitoneo, espressione del rifornirsi della peritonite: ma a fronte di tale
riscontro, che avrebbe in primis richiesto l’esecuzione di una paracentesi (ecoguidata) allo scopo di stabilirne la natura, e di conseguenza, un reintervento
laparotomico d’urgenza, si decise per un ingiustificato atteggiamento conservativo. Tale inerzia terapeutica fece sì che il successivo decorso clinico si caratterizzasse per il permanere di uno stato settico, con iperpiressia e fasi di delirio. Con
un ritardo di sei giorni, si procedeva ad una nuova esplorazione chirurgica nel
88
La responsabilità del chirurgo
corso della quale veniva eseguita, poco comprensibilmente, una ileostomia di
detensione per ileo paralitico.
Durante la fase di induzione dell’anestesia per procedere a questo intervento si
verificava anche un possibile episodio di ab ingestis. Nei giorni seguenti, persisteva la febbre e vi era un impegno respiratorio ingravescente da sepsi polmonare con pleuro-polmonite bilaterale e necessità di supporto ventilatorio; si
instaurava anche un’insufficienza renale, trattata mediante dialisi.
Al XVIII intervento si riscontrava una piccola perforazione in tutta prossimità dell’ileostomia in fossa iliaca destra, ma veniva deciso di riposizionare solo
la medicazione soprassedendo alla sua riparazione ritenendola dominabile dal
sistema aspirativo e fondamentalmente non responsabile del quadro generale
manifestato dal paziente. Questa decisione di non trattare la perforazione ileale,
del tutto errata, fece sì che in seguito si osservasse che la medicazione fosse intrisa di materiale enterico a causa della nota fistola intestinale di 5 mm, ma ancora
una volta si soprassedeva alla sua riparazione nonostante il sistema aspirativo si
dimostrasse inefficace.
Il perdurante stato settico veniva, infine, a complicarsi per la sovrapposizione di
una grave sepsi pleuropolmonare, mai dominata.
In definitiva, nelle condotte del personale medico della struttura sanitaria convenuta si rilevano i seguenti errori:
•
errata scelta della tecnica di asportazione del polipo colico: emicolectomia
destra videolaparoscopica, mentre il trattamento da effettuarsi era la polipectomia endoscopica mediante EMR;
•
errata esecuzione tecnica dell’intervento di emicolectomia destra videolaparoscopica, con produzione di una perforazione intestinale digiunale;
•
non attenta valutazione del campo operatorio, che avrebbe consentito di individuare e trattare tempestivamente la perforazione intestinale, evitando
lo sviluppo della peritonite settica;
•
errato timing degli interventi successivi per il trattamento della peritonite
settica in quanto tardivi;
•
mancata effettuazione della sutura di perforazione ileale.
A causa dell’emicolectomia destra videolaparoscopica si è verificato inizialmente un processo infettivo a carico dell’addome, per la contaminazione della cavità
addominale da materiale infetto fuoriuscito dal lume intestinale attraverso la
perforazione iatrogena. Tale processo, per gli ingiustificati ritardi ed errori di
trattamento, è divenuto sistemico, provocando uno stato settico, che ha coinvolto principalmente i polmoni, causando anche una insufficienza di altri organi
(rene e cuore). Tale condizione settica protratta, da ricondurre causalmente alla
condotta medica censurabile, ha provocato la morte del paziente, dopo sessantotto giorni di degenza, durante i quali sono stati eseguiti complessivamente
venti interventi chirurgici. Se l’asportazione fosse stata eseguita mediante tecnica endoscopica la perforazione ileale non si sarebbe verificata, in quanto correlata all’intervento di emicolectomia in videolaparoscopia; il soggetto avrebbe
avuto una percentuale di guarigione pari a ~90-95% e la sua aspettativa di vita
Casi peritali simulati e commentati
89
non sarebbe stata significativamente ridotta. L’incongruo operato medico ha
portato allo sviluppo di uno stato settico, causa del decesso ed ha determinato
sofferenze fisiche e psichiche, che non si sarebbero verificate, in assenza della
perforazione intestinale e dei suoi incongrui trattamenti.
Sintesi:
È contestato il tipo di intervento praticato. La perforazione digiunale iatrogena
in corso di intervento laparoscopico è in genere identificata come di natura colposa per le modalità del suo determinismo, così come colposi sono considerati
il suo ritardato riconoscimento ed il trattamento, responsabili della incontrollata
evoluzione della peritonite e del decesso del paziente.
Caso 8
Asportazione laparoscopica di massa annessiale:
perforazione ileale, exitus
Consulenza Tecnica d’Ufficio:
un medico legale, un chirurgo, un cardiologo.
Vicenda clinica:
Donna di~55 anni con algie pelviche, febbrile, ricoverata presso l’Ospedale Alfa
dopo RM per sospetta PID che dimostrava tumescenza parauterina destra di
~7x6 cm a margini irregolari, spiculati, solida con componenti liquide disomogenee, non dissociabile dai vasi iliaci omolaterali estesa fino in sede otturatoria.
Dilatata la tuba dx così come l’uretere lombare distale, che risulta inglobato; mal
dissociabili alcune anse del piccolo intestino.
Ecografia addominale: Formazione annessiale destra disomogenea di ~40x55 mm,
adesa all’ovaio. Tuba del diam. di ~50 mm, di aspetto convoluto ed edematoso, a
contenuto corpuscolato, come da sactosalpinge con aderenze al sigma.
Open laparoscopy: Ascesso organizzato pluriconcamerato di ~6 cm inglobante
ovaio e tuba destra contraente tenaci aderenze con la parete pelvica, l’appendice e con un’ansa dell’intestino tenue. Durante la procedura si provoca rottura
della formazione con fuoriuscita di materiale denso purulento misto a materiale
ematico-necrotico, come da reazione flogistica di vecchia data. Annessiectomia
con invio di pezzo per esame istologico estemporaneo: ascesso necrotizzato tubo-ovarico. Si contatta quindi il chirurgo generale che procede, tramite lisi delle
aderenze parieto-coliche, a mobilizzazione dell’ansa ileale e dell’appendice con
appendicectomia.
Diagnosi chirurgica post-operatoria: ascesso pelvico appendo-tubo-ovarico.
90
La responsabilità del chirurgo
In I giornata
Dolori addominali e difficoltà nell’eliminare aria, somministrata terapia antidolorifica con scarso beneficio.
II giornata postoperatoria:
Paziente sofferente, addome disteso, meteorico, poco trattabile, dolente alla palpazione.
TAC addome: pneumoperitoneo associato a versamento intraperitoneale, con
bolle gassose e distensione delle anse del tenue con livelli idroaerei.
Intervento laparotomico d’urgenza: abbondante liquido bilio-enterico in cavità, da
perforazione dell’ultima ansa ileale. Resezione con entero-enteroanastomosi T-T.
I-IV giornata postoperatoria: Edema arti inferiori.
V giornata: Edema in miglioramento.
Dimissione in VII giornata.
PA 90/60. Prescritte calze elastiche.
Il giorno successivo si verificava il ricovero urgente presso il Pronto Soccorso
dell’Ospedale Alfa in codice rosso tramite 118, per shock e fibrillazione ventricolare, cui seguiva exitus.
Considerazioni chirurgiche dei CTU:
A fronte di una diagnosi di tumefazione complessa annessiale destra del diametro
di ~6 cm, effettuata con ecografia e RNM, si procede ad un intervento laparoscopico,
che evidenzia la presenza di ascesso tubo-ovarico destro conglobante l’appendice.
Il Ginecologo esegue l’annessiectomia destra: nel corso di tali manovre si assiste alla rottura dell’ascesso, probabilmente inevitabile, ascesso che dovrebbe
comunque essere drenato.
Del tutto improbabile è l’ipotesi che una massa ascessuale di tali caratteristiche
possa essere asportata senza incorrere alla sua rottura: proprio per le caratteristiche anatomopatologiche degli ascessi essi devono essere drenati e, solo raramente, asportati, quando presentano una parete completa, solida e clivabile dalle strutture circostanti, cosa che solitamente non si verifica nel caso degli ascessi
appendicolari.
In questa fase, dunque, non si identificano i motivi per i quali si rendesse necessaria una conversione laparotomica. Ora, si proponeva il problema di eseguire l’appendicectomia nel contesto di un ascesso drenato, ed in presenza di una
complessa situazione aderenziale.
Convocato il chirurgo Generale, questi procedeva dapprima ad una lisi aderenziale, per prepararsi il campo, ed eseguiva l’appendicectomia.
In evidente assenza di difficoltà chirurgiche difficilmente superabili, si può
affermare che la scelta di eseguire l’intervento per via laparoscopica fosse da
Casi peritali simulati e commentati
91
considerarsi corretta.24,25,26,27,28. Il secondo intervento, laparotomico, ha seguito
il primo a ~35 ore di distanza. Il riscontro di abbondante liquido bilioenterico in
sede intraperitoneale è esito di lesione iatrogena perforativa ileale. Il mancato
posizionamento di un drenaggio al termine dell’intervento laparoscopico è da
considerarsi come una negligenza.
La sua presenza avrebbe infatti, con alta probabilità, consentito una più precoce
diagnosi della peritonite bilio-enterica verificatasi. Certamente si configura un
ritardo nell’effettuare il reintervento, peraltro del tutto corretto nelle sue modalità di esecuzione, stimabile in ~24 ore.
Per quanto concerne la perforazione ileale riscontrata, di essa non sono riportate
le caratteristiche (estensione, caratteristiche dei margini), certamente utili alla comprensione del suo determinismo, peraltro da ricondurre causalmente all’operato dei
sanitari che effettuarono l’intervento chirurgico laparoscopico due giorni prima.
Tale lesione è da ritenersi, per il suo immediato manifestarsi, conseguente a lesione
da elettrocoagulazione, a causa di un prolungato, o reiterato, o “troppo profondo”
contatto con la parete intestinale, che può aver determinato una perforazione diretta
di parete o dall’introduzione di trocar, piuttosto che una lesione da trazione per
manipolazione non sufficientemente delicata e che pertanto si ritiene riconosca comunque una natura iatrogenica.
In termini generali, il ricorrere, in occasione di procedure condotte per via laparoscopica, di lesioni intestinali perforative è evento noto, ampiamente descritto
in letteratura ed avente incidenza molto bassa (0,13%).29,30
I fattori di rischio riconosciuti sono correlati all’esperienza del chirurgo, alla presenza di aderenze (come nel caso in oggetto), alla flogosi locale ed alla condizione di obesità. Se il verificarsi di una lesione parietale intestinale, sia superficiale
che a tutto spessore, condizionante una perforazione con fuoriuscita del contenuto intestinale nel cavo peritoneale, è evento noto, e in determinate condizioni
addirittura inevitabile per la dissociazione delle strutture allo scopo di portare a
termine l’intervento che ci si era preposti di effettuare, è pur vero che il chirurgo,
soprattutto in presenza di una situazione tecnicamente non agevole come nel
24 Gad MS: Differences in perioperative outcomes after laparoscopic management of benign
and malignant adnexal masses. J Gynecol Oncol 22.18, 2011.
25 Liu JH: Management of adnexal masses. Obstet Gynecol 117:1413,2011.
26 Ingraham AM: Comparison of outcomes after laparoscopic versus open appendectomy
for acute appendicitis at 222 ACS NSQIP hospitals. Surgery: 148:625,2010.
27
Korndorrfer Jr: SAGES guideline for laparoscopic appendectomy. Surg Endosc
24(4):757,2010.
28 Smith BR: Laparoscopic appendectomy. In: Cameron JL: Current Surgical Theraphy,
1322, Elsevier 2014.
29 Van der Voort M:. Bowel injury as a complication of laparoscopy. Br J Surg. 91,2004.
30 Trondsen E: Complications during the introduction ol laparoscopic cholecystectomy in
Norway. A prospective multicenter study in seven hospitals. Eur J Surg 160:145,1994.
92
La responsabilità del chirurgo
caso in oggetto, debba obbligatoriamente controllare la residua integrità delle
strutture anatomiche manipolate allo scopo di contestualmente poter riparare
eventuali lesioni realizzatisi prima che l’intervento abbia termine.
In tali circostanze è opportuno anche il posizionamento di drenaggi, anche con
funzione di “spia”.
Tenuto conto del quadro anatomico descritto in occasione del primo atto chirurgico, nonché dei dati clinici ed anamnestici disponibili, emerge il ricorrere, nel
caso di specie, di condizioni preesistenti atte ad aver assunto un ruolo concausale nel determinismo della lesione ileale che, pertanto, non può essere annoverata
tra le complicanze inevitabili, mentre il suo mancato contestuale riconoscimento
può essere ritenuto come censurabile.
Considerazioni cardiologiche dei CTU:
Gli accertamenti autoptici hanno evidenziato che la causa del decesso si debba
identificare in una severa miocardite linfocitica diffusa. Non sussistono dubbi
sul fatto che nel corso della degenza ospedaliera si sia verificata una trascuratezza nell’adempimento della obbligazione di assistenza medica, infatti, non furono
presi i provvedimenti idonei ad indagare causa e patogenesi di quella che si
presentò come una ingravescente sindrome edemigena degli arti inferiori.
Nel giorno della dimissione non si fa menzione del problema degli edemi declivi
e si riportano: PA ~90/60 mmHg, FC ~170/min.
La paziente ha sviluppato una chiara sindrome edemigena. Non si eseguì accertamento alcuno per stabilire se gli edemi fossero da attribuire ad una problematica del ritorno venoso a livello addominale (trombosi della cava inferiore?)
o per una incapacità di pompa cardiaca (insufficienza congestizia). Non si diede
alcuna importanza alla tachicardia del giorno della dimissione (FC ~170/min!)
che unitamente ad una pressione arteriosa in declino (~90/60) doveva fare pensare ad una sofferenza miocardica. Non si richiesero esami semplici: né un ECG
né una visita internistica né il dosaggio ematico di BNP (indicatore di insufficienza cardiaca). Non si descrisse neppure la obbiettività toracica (in autopsia è
rilevante il dato del riscontro di idrotorace), reperto semiologico fondamentale
della insufficienza cardiaca congestizia.
La inerzia del personale medico di fronte ad una sintomatologia di alto sospetto di
patologia grave, tuttavia emendabile, ha comportato un blocco dei processi diagnostici differenziali imposti dalla usuale metodologia e dalla logica clinica.
Sottovalutando la semeiologia si abbandonò la malata al decorso naturale della
patologia verso l’exitus.
Diversamente, in senso controfattuale, il trattenimento della paziente in una sede
ospedaliera attrezzata, avrebbe per lo meno comportato una terapia adeguata e
congrua per la patologia in esame nonché l’applicazione di una telemetria con
conseguente attivazione immediata del trattamento dell’arresto cardiaco su base
fibrillante. La probabilità di salvare la paziente sarebbe stata, con criterio clinico,
maggiore del 50%.
Casi peritali simulati e commentati
93
Conclusioni:
Sotto il profilo della condotta tecnica chirurgica e sotto il profilo cardiologico
emergono elementi di condotta censurabili sotto il profilo della negligenza e
dell’imprudenza.
Dal punto di vista chirurgico si rileva il mancato posizionamento di un drenaggio al termine dell’intervento laparoscopico il che ha indubbiamente impedito
un più tempestivo rilievo e un precoce trattamento della perforazione ileale.
Dal punto di vista cardiologico è venuta meno la corretta interpretazione del quadro sintomatologico ed obiettivo, così che sono mancate una tempestiva diagnosi
ed un corretto trattamento della insufficienza cardiaca congestizia con conseguente grave riduzione delle chances di sopravvivenza della paziente. Una più attenta
e diligente valutazione del corredo sintomatologico e obbiettivo avrebbe certamente permesso un possibile trattamento con ben maggiori chances quoad vitam.
La miocardite rilevata in sede autoptica è inquadrabile quale miocardite linfocitica diffusa severa ad impronta necrotizzante, la cui etiologia non è accertabile anche sotto il criterio del più-probabile-che-non e comunque appare
ininfluente sul piano valutativo.
Il mancato diligente ed opportuno inquadramento diagnostico e terapeutico del
quadro clinico di insufficienza cardiaca congestizia, ancorché non possa porsi
in nesso causale di assoluta certezza col decesso della paziente, ha senz’altro di
molto compromesso le sue probabilità di sopravvivenza. Alla luce di questo i
CTU ritengono utile, anche ai fini di una composizione bonaria della controversia, poter quantizzare la grave compromissione delle probabilità di sopravvivenza nella misura percentuale non inferiore all’80%.
Sintesi:
L’errore ed il ritardo chirurgico riconosciuti non sono qui ritenuti esercitare un
ruolo nella perdita di probabilità di sopravvivenza laddove la morte è stata la
conseguenza di una aritmia maligna in corso di miocardite linfocitaria diffusa
severa misconosciuta. Desta perplessità la valutazione, per quanto riguarda la
perdita di probabilità di sopravvivenza, del valore dell’80%, quando per i “casi
chiusi” il segmento della scala discendente coperto dalla perdita di chances si
estende da >0% a <50%31.
31 SIMLA: Linee guida per la valutazione medico-legale del danno alla persona in ambito
civilistico, pag 67, Giuffrè Editore 2016.
La responsabilità del chirurgo
94
Caso 9
Emicolectomia destra laparoscopica: errore tecnico,
negato risarcimento spese mediche
Consulenza Tecnica d’Ufficio:
un medico legale, un chirurgo.
Vicenda clinica:
Donna di 70 anni. Positività allo screening regionale per sangue occulto nelle feci,
esegue colonscopia con riscontro di neoplasia del cieco con struttura mammellonata delle dimensioni di cm 5, biopsia: displasia di alto grado. Ricoverata presso
l’Ospedale Alfa e sottoposta ad emicolectomia destra con tecnica robotica.
In II giornata postoperatoria proctorragia che richiese colonscopia che non dimostrò sanguinamenti attivi.
Per dolori addominali e febbre eseguita in VII giornata TAC addome, che dimostra una raccolta liquida di ~3 cm in loggia parietocolica destra e liquido libero in
cavità peritoneale. Dimissioni in XII giornata.
Nuovo ricovero dopo una decina di giorni per dolori addominali ed iperpiressia.
Diagnosi di occlusione intestinale ed intervento laparoscopico di lisi di briglia
aderenziale. Decorso regolare.
Per circa 2 mesi persistenza di dolori addominali, febbricola, astenia. TAC addome: le anse ileali in prossimità delle clips mostrano circonferenziale ispessimento di parete con mal definizione come per soffusione di fluido corpuscolato
espressione di risentimento flogistico periviscerale.
Ripete TAC addome dopo altri circa 4 mesi: raccolta corpuscolata interposta tra
le anse dell’ileo terminale, di morfologia oblunga per una estensione longitudinale di ~5 cm, indissociabile dalle anse ileali attigue, riferibile a raccolta ascessuale a contenuto misto, parzialmente aereo.
Dopo ~25 giorni intervento in regime privatistico presso Ospedale Beta:
Laparotomia esplorativa con drenaggio di ascesso all’interno del quale confluiva il moncone ileale dell’anastomosi L-L che era stato lasciato della lunghezza di
~15 cm ed estesa resezione ileale.
Considerazioni chirurgiche della parte ricorrente:
Nel confezionare l’anastomosi ileo-ascendente è stato fatto un grave errore: l’anastomosi deve essere realizzata in vicinanza delle chiusure dei monconi per
evitare la formazione di un’ansa cieca, ovvero di un tratto intestinale escluso
dove ristagni il materiale fecale. Nel caso in oggetto, come dimostrato a seguito
Casi peritali simulati e commentati
95
dell’intervento (il terzo) era stata lasciata un’ansa cieca costituita dal moncone
ileale della lunghezza di ~15 cm, alla cui estremità si era verificata una deiscenza
(da ischemia, sepsi da stasi fecale, iperpressione da colonscopia precoce nel postoperatorio) responsabile della ascessualizzazione intraperitoneale.
L’intervento è stato, inoltre, complicato da un laparocele mediano sotto-ombelicale, in seguito corretto nel corso dell’intervento eseguito presso l’Ospedale Beta.
In II giornata postoperatoria, in seguito a comparsa di proctorragia, la paziente
venne sottoposta ad esame colonscopico, che descriveva la presenza di materiale
ematico scuro misto a feci che verniciava tutto il colon fino all’anastomosi ileocolica. Inoltre, sul versante ileale della anastomosi, si identificava un coagulo di ~5
mm, in assenza di sanguinamento attivo.
Esame da ritenersi qui inutile e pericoloso: infatti non vi era più sanguinamento in
atto, originato assai verosimilmente in corrispondenza di una anastomosi ileo- colica meccanica non in grado di realizzare una corretta emostasi, ma nel frattempo
esso era spontaneamente cessato e la sua modesta entità avrebbe consigliato uno
stretto monitoraggio clinico prima di ricorrere ad una colonscopia in II giornata
post operatoria, con presunte finalità emostatiche: l’insufflazione di gas a pressione nel corso dell’esame in presenza di una anastomosi così recente costituisce
un rischio per deiscenza anastomotica e l’esame è giustificato solo in presenza di
emorragia di entità tale da riconoscere, come alternativa, un nuovo intervento
chirurgico per il controllo della emorragia.
Tale evento è da ritenersi almeno corresponsabile nel determinismo della deiscenza dell’ansa cieca ileale.
Nel secondo intervento eseguito presso l’Ospedale Alfa condotto per via laparoscopica per occlusione ileale da briglia aderenziale non si descrivono anomalie
a livello della anastomosi ileocolica, che evidentemente, e colpevolmente, non
viene isolata e preparata per essere esplorata, né la presenza della lunga ansa
cieca ileale successivamente identificata nel corso dell’intervento laparotomico
eseguito presso l’Ospedale Beta la cui deiscenza a livello del moncone dava origine ad un ascesso inglobante anse del piccolo intestino che avrebbe reso necessaria la resezione di 3 anse di digiuno e di ileo per un totale di ~40 cm32.
Considerazioni medico-legali della parte ricorrente:
Danno biologico permanente di ~10%, temporaneo di ~10 giorni complessivi.
Considerazioni legali della parte ricorrente:
La questione delle spese mediche assume particolare importanza stante l’ingente
esborso sostenuto per la prestazione “privata”. Appare inevitabile che la paziente, da molti mesi sofferente per le sequele di interventi scorrettamente eseguiti
32 Paletto AE: Trattato di Tecnica Chirurgica, , Vol 6, 208, UTET 1982.
96
La responsabilità del chirurgo
presso l’Ospedale Alfa, e per le manifeste imperizia e negligenza manifestate
nell’affrontarle, si sia rivolta altrove, avendo, del tutto comprensibilmente, perso ogni fiducia nei confronti dei sanitari che l’avevano fino al quel momento
avuta in cura. Seguendo dunque il consiglio di medici qualificati ai quali ella si
era rivolta, decise di affidarsi al Prof. X, professionista accreditato di credibilità
scientifica acclarata, ben diversa rispetto a quella dei professionisti che ebbero
in precedenza in cura la paziente, che operavano con referenze certamente differenti e comunque assai difficili da conoscere. Si trattava dunque non solo di
porre fine, ad ogni costo, ad una situazione di sofferenze che durava, irrisolta,
da molti mesi, in uno stato psicologico di incertezza mai risolta, ma anche, in
definitiva, e soprattutto, di aver salva la vita.
La paziente quindi, è stata indotta dalla gravità della situazione clinica, cui si
aggiungeva lo stato psicologico di ambascia circa il proprio destino, ad affrontare
una ingente spesa per curarsi al più presto, resa possibile grazie anche al sacrificio economico di suo fratello. Quali alternative in quel momento ella aveva?
Presentarsi al Pronto Soccorso di un qualunque ospedale nella speranza che
qualcuno avrebbe preso a cuore la sua situazione evitando, anche comprensibilmente, di affrontare una situazione clinica fattasi assai complicata e probabilmente foriera di fastidiosi coinvolgimenti legali, senza rispedirla al mittente,
ovvero all’Ospedale Alfa?
Oppure andare dal medico di base per richiedere una richiesta di visita chirurgica da farsi non si sa dove e quando per essere visitata in ambulatorio magari
da un giovane assistente che si sarebbe riservato di chiedere il quid agendum ai
propri superiori, piuttosto che allontanare il problema, o prender tempo, con la
richiesta di nuovi esami?
Ecco perché la paziente si è rivolta al Professor X, non per snobismo sanitario,
ma per salvarsi la vita, al prezzo di un impegno economico per lei davvero arduo da sostenere.
All’Ospedale Alfa la paziente è stata dimessa (o non ricoverata) ripetutamente
nonostante i dolori ed un quadro diagnostico che già avrebbe dovuto indurre ad
altre scelte terapeutiche immediate.
Conseguenza di ciò sarebbe stato il rischio assai elevato, visti i precedenti, di una
nuova sottovalutazione con effetti potenzialmente letali.
Considerazioni dei CTU:
Si identificano elementi di censura in capo ai sanitari dell’Ospedale Alfa, che
ebbero in cura la paziente nella prima fase della vicenda, ovvero in relazione ai
due primi interventi. Oltre alla scelta chirurgica di lasciare un moncone ileale in
eccesso, la paziente non venne adeguatamente trattata e monitorata nel post-operatorio ove le condizioni cliniche non erano rassicuranti, data la presenza di
un versamento addominale le cui cause non erano state identificate. Condizione
nonostante la quale venne imprudentemente e negligentemente dimessa.
Al secondo intervento non vi fu una adeguata valutazione addominale, che
Casi peritali simulati e commentati
97
avrebbe potuto identificare la sussistenza di un processo flogistico del moncone ileale, limitando quest’ultimo a risolvere la complicanza occlusiva. Conseguì
un significativo ritardo nella identificazione della microperforazione del moncone ileale in eccesso. Qualora vi fosse stato un corretto inquadramento avrebbe
in ogni modo richiesto un secondo intervento chirurgico correttivo, ma questo
avrebbe senza dubbio escluso la necessità di un terzo intervento. Si conferma
che il secondo intervento, qualora correttamente eseguito, avrebbe dovuto essere il momento identificativo e risolutivo del quadro patologico, ma così non
fu. Venendo alla valutazione dei postumi di carattere permanente, si sottolinea
come il terzo intervento produsse un’ennesima cruentazione dei tessuti con ulteriore danno anatomico predisponente un quadro aderenziale postchirurgico,
con aggravio della condizione preesistente condizionante un danno biologico di
~5%. Per quanto attiene l’indicazione delle spese del ricovero (complessivamente quantificate in più di 20’000 euro) presso l’Ospedale Beta, si segnala che il
trattamento chirurgico era senza dubbio indicato e da eseguirsi nel minor tempo
possibile ma che proprio per i caratteri descritti e la necessità di provvedere immediatamente sarebbe potuto essere effettuato anche in regime SSN, con tempi
analoghi e che la scelta di effettuarlo privatamente sia stata dettata per lo più
dalla sfiducia della paziente per le pregresse cure.
Sintesi:
Accolte pressoché integralmente le tesi di parte attrice circa i motivi di responsabilità, poco comprensibilmente si riconosce un danno biologico permanente
di solo ~5%, quando le complicanze colpose del primo intervento ne hanno richiesti altri due, laparotomici, e comportato una resezione ileale di ~40 cm, che
sarebbe stata evitata in assenza dell’errore tecnico verificatosi al momento del
primo intervento, così come la sindrome aderenziale residua e la cicatrice in
sede mediana della lunghezza di ~15 cm. Nessuna risposta alle critiche in tal
senso espresse da parte ricorrente alla bozza di CTU, ma si osserva che questo
suole verificarsi con grande frequenza, in presenza di una tendenza del Giudice
ad avallare comunque il giudizio dei CTU, piuttosto che disporre un’udienza
per richiesta di chiarimenti. È stato, inoltre, negato il rimborso delle spese mediche sostenute per il terzo intervento in regime privatistico.
Caso 10
Colecistectomia laparoscopica convertita in open,
perforazione duodenale, exitus.
Consulenza Tecnica d’Ufficio:
1 (n.b. solo) ortopedico.
La responsabilità del chirurgo
98
Vicenda clinica:
Maschio di ~60 anni, ricoverato per calcolosi della colecisti presso l’Ospedale
Alfa. Intervento di colecistectomia iniziato con tecnica laparoscopica, presto convertito in laparotomia sottocostale destra, in ragione di un difficile approccio alla
colecisti per la durezza dei tessuti, la flogosi e le intime aderenze fra legamento
epato-duodenale e duodeno. Nel corso dell’intervento si produce una perforazione della I-II porzione duodenale, che determina una peritonite bilio-enterica
diffusa, per la quale si provvede a relaparotomia dopo ~30 ore, per la quale si
procede a sutura a punti staccati con omento-plastica. Nel postoperatorio insorgenza di sepsi polmonare e quindi di MOF, con conseguente exitus.
Considerazioni di parte ricorrente:
La descrizione della lesione iatrogena intestinale non fu certamente esaustiva.
Non lo fu neppure quella del prof. X che, d’ordine dell’Autorità Giudiziaria,
sottopose il cadavere ad un esame autoptico: infatti, si limita a descrivere il riscontro al terzo medio- superiore del duodeno di una piccola lesione iatrogena
suturata con punti staccati. Inoltre, la lesione iatrogena in discorso non è neppure oggetto di controllo istologico. Tutto ciò stupisce alquanto, atteso che il CT
del PM è incaricato proprio di approfondire la problematica circa quella lesione
iatrogena in ipotesi di responsabilità per colpa del chirurgo nella causazione del
decesso. Il prof. X non chiarisce quanti sono i punti di sutura sulla lesione, né
quanto è lunga la lesione in millimetri o centimetri; né precisa se interessa la parete anteriore o posteriore di quel tratto duodenale, tutti elementi di fondamentale importanza. Conclude il suo elaborato affermando che il decesso è cagionato da una polmonite bilaterale (l’esame istologico è limitato ai soli polmoni).
Comunque fosse la situazione per quanto concerne la lesione iatrogena duodenale, vi è poi da domandarsi perché, nonostante la riparazione chirurgica praticata
oltre trenta ore dopo il primo intervento, il paziente abbia presentato persistenza
di infezione con sepsi ingravescente che ebbe a coinvolgere prevalentemente
l’apparato respiratorio fino all’exitus, come detto, per polmonite (come sovente
negli stati settici, peraltro, anche nella fattispecie erano comparsi segni di disfunzione multiorgano e coinvolgimento negativo anche a carico delle funzioni di
fegato e reni, oltre a gravi alterazioni della coagulazione). Il paziente, perforato
duodenale, fu sottoposto a reintervento riparativo solo oltre trenta ore dopo.
Fermo restando che la perforazione duodenale intraoperatoria, iatrogena, non
può che essere considerata espressione di errore colpevole dell’operatore, certamente colpevole è il suo mancato riconoscimento nel corso dell’intervento, che
ne avrebbe consentito la riparazione immediata, evitando la complicanza peritonitica ad evoluzione fatale.
Essendo l’intervento a questo punto condotto per via laparotomica, la perforazione è stata certamente determinata da un tagliente a lama fredda (forbici),
diversamente da quanto sarebbe avvenuto in corso di intervento laparoscopico
Casi peritali simulati e commentati
99
(perforazione per elettrocuzione, che si manifesta dopo caduta dell’escara, ovvero solo dopo alcuni giorni).
Nel caso in oggetto la perforazione duodenale iatrogena ha sicuramente comportato l’immediata fuoriuscita del contenuto duodenale (bile, succo acido gastrico, succo pancreatico ricco di enzimi proteolitici) in cavità peritoneale, con le
note conseguenze, legate al suo negligente ed imperito mancato riconoscimento.
Tali eventi sono inequivocabilmente a dimostrare l’imperizia complessiva nella
esecuzione tecnica dell’intervento. È, peraltro, da ritenersi che colpevoli errori
ricorsero anche nel post-operatorio.
Osserviamo, anzitutto, che prudenza e diligenza avrebbero voluto che il paziente fosse sottoposto a controlli del personale medico nelle ore successive, mentre, dal diario clinico risulta che nessun medico ebbe a rivalutarlo fino alle ore
al mattino successivo. Circa mezz’ora prima, il personale infermieristico aveva
segnalato una franca anomalia di decorso, caratterizzata da dispnea e sudorazione profusa. Circa mezz’ora dopo il medico confermò il riscontro di dispnea
con ipotensione. Egli, tuttavia, non si curò di esaminare l’addome della persona
e certamente ve ne era la necessità: pertanto, anche per questa fase del decorso,
non si potrà che affermare la sussistenza di colpevole errore quantomeno per
negligenza. A prescindere, si rileva che, pur sussistendo le premesse per pensare a subentrate problematiche addominali, il personale medico (e qui si deve
constatare imperizia) prospettò complicanze cardiologiche a spiegazione degli
intervenuti anomali sintomi: e ciò nonostante il paziente non avesse alcun precedente anamnestico di cardiopatia. Ne deriva che si perse inutilmente del tempo
prezioso; furono eseguiti un elettrocardiogramma e una radiografia del torace
senza alcun esito; si continuò a non rivalutare clinicamente l’addome; si dispose
trasferimento nella unità di Terapia Intensiva Cardiologica, dove fu sottoposto
ad ecocardiografia (che, come prevedibile, non evidenziò alcuna apprezzabile
alterazione patologica) e dopo altre due ore, constatato il peggioramento, un
medico di quel reparto, esaminato finalmente l’addome (poco trattabile e dolente alla palpazione), richiese una valutazione chirurgica.
Dalla cartella infermieristica risultano richiesti analisi dei gas del sangue, esami
ematici urgenti e consulenza chirurgica dopo la pausa pranzo (il paziente continuava ad essere dispnoico, ipoteso, con sudorazione profusa, frequenza cardiaca intorno ai ~150 battiti/min; al momento della richiesta dell’intervento di un
chirurgo era anche presente importante acidosi metabolica.
Terminato il primo intervento nessun chirurgo rivalutò il paziente se non a metà
del giorno seguente; e nessun medico esaminò l’addome prima di metà del giorno ancora successivo: un ritardo inescusabile ed espressione sicura di colpevole
errore comportamentale del personale di assistenza dell’ospedale Alfa.
A seguire, finalmente, si arrivò alla esecuzione di quella TAC addominale che
avrebbe dovuto essere effettuata già nella notte precedente. Tale esame, cui manca
l’ora di esecuzione nel referto, fu tuttavia eseguito solo dopo la consulenza chirurgica richiesta dopo la pausa pranzo, certamente nella prima metà del pomeriggio.
È del tutto evidente, infatti, che la perforazione duodenale in atto non poteva non
100
La responsabilità del chirurgo
aver dato segni di sé assai precocemente. Attraverso la perforazione, infatti, vengono versati in cavità peritoneale succo gastrico acido, bile, gli enzimi proteolitici
del succo pancreatico che vengono in contatto con i visceri della cavità stessa. Ciò
determina inizialmente una peritonite chimica, sterile, che evolve poi, se non tempestivamente trattata, in peritonite batterica in circa sei-dodici ore.
Queste sono le golden hours del trattamento chirurgico, prima dell’instaurarsi di gravissime e potenzialmente fatali complicanze: ipovolemia, sepsi, shock, exitus.33,34,35,36,37
La semplice esecuzione di una radiografia dell’addome dimostra la presenza di
pneumoperitoneo (nel caso in oggetto è stata visualizzata falce d’aria sottodiaframmatica, il reperto più tipico e di più agevole riconoscimento) che si riscontra. Nei casi dubbi il ricorso ad un pasto opaco con mezzo di contrasto idrosolubile (Gastrografin) e ad una TAC addome senza mdc consente la diagnosi in
quasi la totalità dei casi restanti.38,39,40
La peritonite da perforazione duodenale, trattata tardivamente per colpa del
personale di assistenza, ebbe a comportare proprio l’instaurarsi di un precoce
coinvolgimento settico dei polmoni con insufficienza respiratoria, e successivo
sviluppo di insufficienza multiorgano.
La terapia antibiotica iniziata il giorno dell’intervento era appropriata: il paziente fu trattato inizialmente con una prima antibioticoterapia, sostituita nel reparto
di Terapia Intensiva con una combinazione di altri antibiotici, dopo il reintervento, per ampliare lo spettro d’azione anche verso i germi anaerobi.
Durante il ricovero in Chirurgia dove, pur persistendo uno stato di sepsi severa (ipertermia, tachicardia, difficoltà respiratorie con compromissione dell’ossigenazione), non furono mai eseguite indagini microbiologiche. Inoltre, non
risulta, dalla cartella clinica del reparto di Chirurgia Generale, che per 4 giorni
il paziente abbia ricevuto terapia antibiotica. Questo vuoto fondamentale di terapia rappresenta sicuramente una assai rilevante omissione, per un’altra volta
espressione di inescusabile colpevole errore.
33 Mahvi DM: Stomach, 1196, In : Sabiston Textbook of Surgery, Elsevier 2012.
34 Watkins RM: What has happened to perforated peptic ulcer? Br. J.Surg. 71: 774,1984.
35 Goherty GM: Stomach and duodenum, 498, in: Doherty GM, Surgery, Current Diagnosis
and Treatment, Lange 2010.
36 Goris RJA: Multiple Organ Failure, generalized autodestruction inflammation? Arch.
Surg. 120:1109,1985.
37 Andreoni B: La sindrome peritonitica. In: Di Carlo V, Andreoni B, Staudacher C, Manuale
di Chirurgia d’Urgenza e Terapia Intensiva Chirurgica, 677, Masson, 1993.
38 Svanes C: Trends in perforated peptic ulcer: incidence, etiology, treatment, and prognosis.
World J.Surg 24:277, 2000.
39 Heuman R: Perforated duodenal ulcer-long term results following simple suture. Acta
Chir. Scan. 149:77, 1983.
40 Gavinelli M: La resezione gastrica in urgenza con suturatrici meccaniche. Presentazione
di una tecnica originale. Urg.Chir.Comment. 4:1, 89, 1981.
Casi peritali simulati e commentati
101
In seguito, il broncoaspirato risultò positivo per la presenza di Acinetobacter multiresistente ed E. coli. La presenza dell’Acinetobacter potrebbe essere attribuita
ad inquinamento del broncoaspirato o rappresentare la selezione di un germe
resistente, favorita dal trattamento antibiotico (sia pure discontinuo) e da un
sopraggiunto, inevitabile stato di immunodepressione del paziente.
In conclusione, per tutte le ragioni sopra esposte, è da ritenersi che la morte del
paziente sia causalmente da ascrivere ai seguenti colpevoli errori comportamentali del personale medico di assistenza dell’ospedale Alfa: perforazione iatrogena del duodeno nel corso dell’intervento di colecistectomia; rilevante ritardo
nella diagnosi e trattamento chirurgico della perforazione stessa; insufficienza
ed inadeguatezza dell’assistenza post-operatoria, in reparto di Chirurgia, nel
post-operatorio del primo e secondo intervento chirurgico.
Considerazioni del CTU:
Nel pomeriggio del giorno del primo intervento e fino al mattino successivo non
vi è traccia di controllo clinico da parte del chirurgo in cartella.
La piccola lesione del duodeno, causata nel corso del primo intervento chirurgico è
stata generata da lama fredda (bisturi, forbici) e denota imperizia ed imprudenza da
parte dei Chirurghi sia per aver generato la lesione sia per non essersene resi conto.
La cartella clinica è priva del diario clinico e delle prescrizioni mediche: è presente il solo diario infermieristico che annota la somministrazione della terapia.
Analizzando il decorso clinico si evidenzia che le condizioni addominali si presentavano abbastanza buone in presenza di canalizzazione alle feci ed ai gas i
drenaggi addominali erano funzionanti. La temperatura corporea restava però
elevata e le condizioni respiratorie tendevano al peggioramento in presenza di
una infezione bronco-polmonare e di versamento pleurico.
La descrizione del decorso post-operatorio rende bene l’idea di quella che è stata
l’evoluzione della infezione polmonare diffusa che è da ritenersi causa della morte.
Del resto, anche l’esame della autopsia ha evidenziato la presenza in cavità pleurica di
~700 cc di liquido sieroso torbido per lato, con polmoni crepitanti agli apici e teso-elastici alle basi con superfici di taglio che mostravano aree grigiastre compatte alle basi
(carnificazione) e grigio-rosee verso gli apici. L’esame dell’addome, invece, evidenziava il letto operatorio della colecisti esente da raccolte flogistiche nonché, sul duodeno
al III medio-superiore, la piccola lesione iatrogena suturata con punti staccati.
In conclusione, quindi, certamente il comportamento dei Chirurghi, nel corso
del primo intervento, è stato improntato da imprudenza ed imperizia, ma con
il secondo intervento è stato riparato l’errore commesso tanto che la peristalsi
addominale riprendeva in maniera fisiologica, dopo qualche giorno l’alvo si presentava aperto a feci e gas, l’addome era trattabile e la stessa autopsia evidenziava l’assenza di raccolte patologiche a livello del letto operatorio della colecisti.
Nel decorso post-operatorio del secondo intervento il paziente era degente in Rianimazione per tre giorni e veniva sottoposto a terapia antibiotica. In seguito, ritrasferito in Chirurgia, non risulta in cartella la somministrazione di terapia antibio-
La responsabilità del chirurgo
102
tica, ma solo le annotazioni generiche tipo “terapia effettuata”, che si evincono dal
diario infermieristico. Essendo il paziente stato sottoposto ad una prima terapia
antibiotica alla data del primo intervento chirurgico, avendo continuato la terapia
antibiotica in qualità di ricoverato in Rianimazione dopo il secondo intervento
chirurgico, è lecito supporre che abbia continuato tale terapia anche dopo il trasferimento dalla Rianimazione in Chirurgia, tanto più che la TC era elevata.
La causa della morte è comunque da porre in nesso causale con l’infezione bronco-polmonare causata dall’Acinetobacter isolato dal broncoaspirato. Questo batterio è ritenuto in tutto il mondo responsabile delle infezioni ospedaliere più
difficili da trattare nell’uomo.
L’Acinetobacter, in particolare la specie baumannii, è responsabile di oltre l’80%
delle infezioni nosocomiali ed è molto spesso resistente alla terapia antibiotica:
è un battere aerobico, Gram-negativo, in grado di sopravvivere per lunghi periodi nell’ambiente, sui capi di abbigliamento, sulle lenzuola (colonizzazione del
personale sanitario). La localizzazione è spesso bronco-polmonare, urinaria o su
ferite; sono colpiti maggiormente i pazienti sottoposti a ventilazione meccanica
o portatori di cateteri intravascolari. Il tasso di mortalità per tali infezioni è compreso tra il 20 ed il 50%.
La morte del de cuius è da ricondurre certamente ad una infezione nosocomiale
sostenuta da Acinetobacter responsabile di broncopolmonite con pleurite ed atelettasia che ha portato ad insufficienza respiratoria acuta.
È possibile supporre che al momento del ricovero, stesso giorno dell’intervento chirurgico di colecistectomia, fosse presente già un quadro di infezione polmonare, evidenziato in seguito dall’esame TAC e restato misconosciuto, questo
perché l’esame radiografico del torace, effettuato in regime di prericovero non è
da ritenere attendibile per il notevole tempo trascorso di ben oltre 60 giorni, tra
l’esecuzione dell’esame e l’atto chirurgico. Certamente l’iniziale terapia antibiotica avrebbe agito anche contro l’iniziale infezione polmonare. Con la successiva
sovrapposizione dell’Acinetobacter il quadro clinico si è drammaticamente aggravato fino all’exitus.
Appare pertanto chiaro il nesso causale tra l’infezione nosocomiale da Acinetobacter isolato dal broncoaspirato e la morte del paziente per insufficienza respiratoria sostenuta da broncopolmonite sia sotto l’aspetto cronologico, sia topografico, sia dell’idoneità quali-quantitativa e sia per continuità fenomenica.
In conclusione, la morte del paziente è da ricondurre ad una infezione nosocomiale, così come dimostrato dal verificarsi e dal convergere di tutti i criteri
necessari per l’esistenza del nesso causale.
Conclusioni del CTU:
La tecnica operatoria utilizzata è stata corretta, ma per imprudenza è stato perforato il duodeno; il successivo trattamento diagnostico-terapeutico è da ritenersi
effettuato nel pieno rispetto delle regole tecniche tanto che nei giorni successivi
le condizioni cliniche addominali miglioravano con la ripresa dell’attività peri-
Casi peritali simulati e commentati
103
staltica e con l’alvo aperto a feci e gas. Lo stesso esame autoptico evidenziava il
letto della colecisti esente da raccolte flogistiche.
L’evento morte non è da ricondurre etiologicamente alla perforazione della parete intestinale ma riconducibile ad infezione nosocomiale contratta all’interno della struttura ospedaliera, sia pure in presenza del solo sospetto che già al
momento del ricovero potesse essere in atto una infezione respiratoria passata
misconosciuta in quanto l’esame radiografico del torace era stato effettuato, in
regime di pre-ricovero, due mesi prima e, a causa del notevole tempo trascorso,
non più attendibile. Tale possibilità non modifica il peso delle responsabilità che
restano in capo alla struttura ospedaliera.
Sintesi:
Il CTU assolveva da ogni responsabilità i medici dopo aver constatato ritardo
nel trattamento chirurgico della peritonite da perforazione iatrogena del duodeno, mancata compilazione della cartella clinica, impossibilità di stabilire se la
terapia antibiotica sia stata somministrata o meno, addossando infine la responsabilità della morte del paziente unicamente alla struttura ospedaliera per una
sopraggiunta infezione nosocomiale. Addirittura, ipotizza in maniera del tutto
apodittica che vi potesse essere una infezione polmonare sottostante già al momento del ricovero e prima dell’intervento, non evidenziata per il fatto che l’Rx
torace, eseguito in prericovero, era stato effettuato due mesi prima, ma è evidente che, se così fosse, la responsabilità non sarebbe della struttura ma dei medici
che non hanno opportunamente ripetuto tale esame al momento dell’ingresso
in ospedale. Tale caso esemplifica appieno la grave carenza cui va incontro una
CTU nel momento in cui è affidata a consulenti lungi dall’essere adeguati alle
necessità del caso: uno specialista in Ortopedia e Traumatologia, unico consulente del giudice per un complesso caso mortale di Chirurgia Generale, in epoca
di legge Gelli-Bianco in vigore (cfr. art. 15 di tale legge…).
Caso 11
Resezione colica laparoscopica, perforazione del colon
trasverso (penale, civile)
Consulenti del PM:
un medico legale, un chirurgo.
Consulenza tecnica d’ufficio:
un medico legale, un chirurgo.
104
La responsabilità del chirurgo
Vicenda clinica e parte ricorrente:
Donna di ~70 anni sottoposta ad una colonscopia col riscontro di poliposi multipla del colon. Asportazione/bonifica dei polipi eseguita fatta eccezione per voluminoso polipo della flessura epatica non asportabile endoscopicamente, ricovero presso Ospedale Alfa.
Intervento (1):
Emicolectomia destra VLS-SILS per voluminoso polipo del colon ascendente.
Esame istopatologico: neoformazione polipoide sessile del colon ascendente di
~5 cm di asse maggiore, adenoma tubulo-villoso con displasia a basso grado e
focalmente ad alto grado.
I giornata post operatoria:
Dispnea, ipotensione marcata, stato di sopore, trasferimento in Terapia Intensiva, intubata per acidosi respiratoria con severa ipossiemia e sottoposta a trattamento aminico con noradrenalina. Leucociti 2400; amilasi >400, PCR ~50.
II giornata postoperatoria, intervento (2):
Diagnosi: soluzione di continuo colica.
Intervento: Riconfezionamento ileo-trasverso anastomosi con ileostomia di protezione. Presenza di anse agglomerate in sede di recente ileo-trasverso anastomosi, dove si evidenzia, sul colon trasverso, soluzione di continuo di dimensioni
puntiformi a pochi centimetri dalla anastomosi; evidenza inoltre di area necrotica-flogistica in prossimità del bordo anteriore pancreatico, che viene drenata.
Resezione della pregressa anastomosi e confezionamento di nuova ileo-trasverso anastomosi mediante GIA 75; ripetuti lavaggi di tutta la cavità peritoneale.
Preparazione di ansa ileale a ~40 cm dalla anastomosi che viene esteriorizzata
per ileostomia di protezione.
Isolata una Serratia nel broncoaspirato.
Dopo ~5 giorni intervento (3),
Diagnosi: versamento peritoneale.
Intervento: laparotomia esplorativa e toilette chirurgica.
Presenza di liquido siero ematico torbido, con presenza di fibrina, gelatina e
verosimili residui di recente pancreatite. Si verifica la anastomosi ileocolica, che
appare integra.
Esame istopatologico: biopsia peritoneo: flogosi acuta purulenta. Non evidenza
di steatonecrosi nel materiale in esame. Amilasi >100.
Tracheostomia percutanea: concomita anche tetraparesi flaccida areflessica riferibile a quadro di polineuropatia critica.
Dopo ~1 settimana
Isolato Enterococco nelle urine e Candida nel broncoaspirato.
Casi peritali simulati e commentati
105
Dopo ~10 giorni dal terzo intervento, intervento (4):
Diagnosi: ileostomia temporanea e raccolta purulenta peritoneo.
Intervento: chiusura ileostomia e drenaggio raccolta.
Descrizione: Incisione peristomale-pararettale destra. Si esteriorizzano le due
estremità dell’ansa ileale, anastomosi L-L ileo-ileale. Fuoriuscita di materiale
purulento dal peritoneo con evidenza in doccia parietocolica di raccolta corpuscolata che viene drenata.
Dopo ~4 giorni, intervento (5):
Diagnosi: fistola colica a media portata in operata di chiusura di ileostomia.
Intervento: Laparotomia esplorativa, lisi aderenziale, resezione ileale e confezionamento di nuova ileostomia. Soluzione di continuo di discreta entità a livello della precedente anastomosi ileocolica che drena esternamente in vicinanza
della cicatrice ombelicale con un tragitto di ~15 cm tra la fascia posteriore ed
anteriore dei retti addominali. Si procede con cautela alla liberazione delle anse
ileali adese e si reperta una ansa ileale di ~10 cm speritoneizzata, che è resecata ed eseguita anastomosi L-L. Procedendo nella liberazione delle anse ileali si
raggiunge la sutura eseguita di recente a chiusura della vecchia ileostomia di
scarico e a carico di quest’ultima si evidenzia piccola soluzione di continuo che
viene risuturata. Chiusura del moncone colico e ileostomia. Laparostomia.
Es. istopatologico: tratto di intestino tenue di ~5 cm di lunghezza sede di plurime soluzioni di continuo.
Diagnosi: fistola intestinale con peritonite subacuta.
Al rientro dalla sala operatoria comparsa di enfisema sottocutaneo sovraclaveare bilaterale con pneumomediastino in assenza di PNX.
Esami colturali sul liquido addominale: presenza di enterobatteri.
Il giorno seguente, intervento (6):
Diagnosi: medicazione aperta in laparostomia.
Intervento: confezionamento di laparostomia. Ileostomia abboccata alla parete su Petzer. Ricomparsa di febbre associata a compromissione emodinamica e a evidenza di materiale corpuscolato biancastro da drenaggio addominale.
Intervento (7):
Diagnosi: peritonite biliare da fistola ileale. Fuoriuscita di materiale biliare da
piccola breccia su raffia ileale esito di precedenti interventi. Lisi di tenaci aderenze determinando alcune speritoneizzazioni di anse digiuno-ileali che si presentano estremamente edematose e fragili.
Si accede a raccolta di materiale corpuscolato posta al Treitz verosimile esito di
pancreatite della coda. Progressiva lisi delle aderenze viscero-viscerali residue,
resezione ileale.
Dopo ~3 giorni, intervento (8):
Diagnosi: peritonite biliare in recente resezione ileale.
106
La responsabilità del chirurgo
Intervento: confezionamento di ileostomia.
Medicazione con nuovo packing addominale.
Dopo ~3 giorni, intervento (9):
Diagnosi: laparostomia e VAC mediana in esito di peritonite e pregressa pancreatite.
Intervento: Revisione laparostomia e cavità addominale + allestimento medicazione a pressione negativa.
Dopo ~3 giorni, intervento (10):
Diagnosi: laparostomia.
Intervento: rinnovo medicazione a pressione negativa.
Il giorno successivo, intervento (11):
Diagnosi: laparostomia.
Intervento: medicazione aperta a pressione negativa.
Circa 2 giorni dopo, intervento (12):
Diagnosi: laparostomia in paziente con peritonite in esiti di deiscenza di anastomosi ileo-colica e pancreatite.
Intervento: Toilette chirurgica e rinnovo medicazione vacuum.
Dopo ~4 giorni, intervento (13):
Diagnosi: laparostomia mediana e laterale con ileostomia.
Intervento: Revisione ileostomia+revisione laparostomia medicata a pressione
negativa.
Il giorno successivo, intervento (14):
Rinnovo di medicazione in laparostomia. Presenza di abbondante materiale biliocorpuscolato in tutto l’addome si evidenzia la presenza di piccolo foro a livello di un’ansa digiunale che viene suturato a punti staccati.
Dopo ~4 giorni, intervento (15):
Toilette peritoneale e rinnovo di medicazione laparostomica.
Dopo ~2 giorni, intervento (16):
Revisione laparostomia.
Dopo ~2 giorni, intervento (17):
Laparostomia in esiti di peritonite in pancreatite. Revisione laparostomia, raffia ileale.
Dopo ~2 giorni, intervento (19):
Laparostomia in esiti di peritonite e perforazione ileale. Rinnovo di medicazione laparotomica e posizionamento di drenaggio (Foley) enterico. Riscontro di
materiale biliare in doccia parietocolica destra da minima perforazione ileale
Casi peritali simulati e commentati
107
in prossimità della pregressa raffia che appare a tenuta. In considerazione del
quadro flogistico si opta per non procedere a nuova raffia ma per posizionare
nel foro enterico drenaggio tipo Foley.
Dopo ~2 giorni:
Dal Reparto di Terapia intensiva in cui è degente la paziente viene trasferita su richiesta dei parenti presso Reparto di Rianimazione dell’Ospedale Beta:
Diagnosi di dimissione: carcinoma in situ del colon. Perforazione dell’intestino.
Fistole. Sepsi severe. Insufficienza respiratoria. Polineuropatia in paziente critico.
Trattamento: emicolectomia destra. Ventilazione meccanica. Altre anastomosi intestinali. Ileostomia temporanea. Tracheostomia temporanea. Trattamento sepsi.
Ricovero presso Unità di Terapia Intensiva con diagnosi di shock settico, multiple deiscenze intestinali, versamento pleurico.
Dopo ~7 giorni:
Comparsa di nuovo episodio di shock settico, si esegue toilette della stomia,
VAC-therapy e posizionamento di port-a-cath per nutrizione parenterale totale, in
seguito sostituito per comparsa di sepsi da cocchi Gram+.
Dopo ~2 mesi
Comparsa di fistola ileale a monte della precedente. Vista l’impossibilità di applicazione della VAC-therapy, si propende per trattamento della fistola mediante
posizionamento di drenaggi aspirativi.
Dopo 5 mesi:
Intervento chirurgico di copertura con rotazione di lembo e fissazione di mucosa
ileale alla cute.
Dopo 1 mese e mezzo:
Rimozione del port-a-cath in seguito ad iperpiressia ed emocolture seriate positive per Stafilococco aureo.
Dopo due mesi:
Sepsi da escherichia coli ed insufficienza renale acuta prerenale, posizionamento
di nuovo port-a-cath.
Trasferimento presso Istituto di Riabilitazione, comparsa di dermatite peristomale. Durante la degenza plurime emocolture positive anche per candida albicans.
Dopo 15 giorni:
Iperpiressia, leucopenia, ipotensione, oligoanuria: trasferimento all’Unità di
Medicina Interna dell’Ospedale Beta. Fistola entero-cutanea paramediana ad
alta portata ed ileostomia; importante eritema peristomale ed intertrigine delle
pieghe inguinali e sottomammarie. Terapia antibiotica ed antifgungina, contaminazione cutanea da parte di materiale enterico.
108
La responsabilità del chirurgo
Alla fistola sono state apposte placche apposite, anche se con molte difficoltà
riguardo alla loro adesione alla cute a causa di grave dermatite irritativa.
Emocolture positive per Candida spp, cui segue rimozione del port-a-cath e posizionamento di CVC in giugulare per consentire la prosecuzione della NPT.
Dopo ~1 mese:
Posizionamento di catetere PICC in vena brachiale per prosecuzione domiciliare
della NPT. Aggravamento dell’ipotiroidismo, marcata ipovitaminosi D e deficit di
acido folico. Aumento degli enzimi epatici verosimilmente legato alla NPT ed alla
terapia farmacologica. Plurime emotrasfusioni per persistente grave anemia. Iniziata fisioterapia motoria, con graduale recupero della deambulazione. Al domicilio è indicata deambulazione con deambulatore. Indicazione assoluta a ridurre
al minimo l’assunzione di cibo per os in quanto, a causa dell’intestino corto, l’alimentazione determina un aumento del volume di efflusso dallo stoma che è di 2-3
litri al giorno. Infatti, in tali condizioni, l’alimentazione per bocca riveste esclusivo
significato psicologico e può limitarsi solo a pochi bocconi.
Tornata a domicilio dopo ~1 mese, la gestione della paziente si rivela subito impossibile a causa della indomabilità della fistola enterica ad alta portata e della necessità
di NPT permanente: le persone inviate dalle istituzioni a supporto della famiglia si
dichiarano incapaci di provvedere alle necessità della paziente e si ritirano dall’impegno loro assegnato.
Nuovo ricovero presso l’Ospedale Beta, Reparto di Geriatria.
Diagnosi: sepsi da Candida spp e infezione di fistola entero-cutanea ad alta portata in paziente portatrice di port-a-cath e affetta da malassorbimento per sindrome dell’intestino corto. Colestasi in corso di NPT.
Dopo ~1 mese trasferimento presso Reparto di Riabilitazione dell’Ospedale Gamma.
Dopo ~1 settimana
Ricovero presso Reparto di Ematologia Ospedale Beta per squilibrio idroelettrolitico e peggioramento della funzionalità renale.
Diagnosi: polmonite, sepsi da Escherichia e Candida
Dimessa, dopo ~1 mese nuovo ricovero presso Reparto di Ematologia Ospedale
Beta per iperpiressia e importante calo ponderale.
Diagnosi di polmonite sinistra.
Coltura dell’espettorato: Acinetobacter; emocoltura positiva per enterobatteri.
In dimissione la paziente è defedata, in condizioni generali scadute, necessita di
aiuto costante nella gestione dei bisogni primari, mobilizzata in carrozzina con
aiuto.
Dopo ~1 settimana
Ricovero presso Medicina Generale dell’Ospedale Beta per posizionamento di
port-a cath per NPT domiciliare.
Casi peritali simulati e commentati
109
Dopo ~3 mesi:
Ricovero presso Ospedale Alfa, Reparto di Terapia Intensiva, per dispnea acuta
e iperpiressia. Successivo exitus.
Diagnosi: polmonite basale destra in paziente cachettica-fortemente anemica-insufficienza respiratoria.
Trattamento: Antibioticoterapia, ventilazione meccanica, tracheostomia, emotrasfusioni, sostegno del circolo. Disposto riscontro diagnostico.
Considerazioni di parte ricorrente:
Quasi 20 interventi chirurgici conseguenti al primo nel corso di un ricovero della
durata di ~80 giorni presso l’Ospedale Alfa non hanno avuto ragione delle plurime, reiterate, mai controllate complicanze perforative e fistolose originate dalla
emicolectomia destra videolaparoscopica per patologia benigna (polipo villoso
della flessura destra del colon). Nel corso di tale intervento si è prodotta una
perforazione iatrogena del trasverso, che ha richiesto una nuova resezione, che
ha condizionato a sua volta una deiscenza anastomotica. Malgrado l’esecuzione
di una ileostomia di protezione, tutte le anastomosi successivamente eseguite
sono state deiscenti (compresa la ileo-ileale di ricanalizzazione dell’ileostomia
fatta nel momento sbagliato, troppo precocemente in presenza di un ascesso
addominale della loggia paracolica destra).
Nel corso di plurimi interventi la manipolazione delle anse ileali ha comportato il determinarsi di speritoneizzazioni e perforazioni iatrogene corrette con
nuove resezioni ileali (con sacrificio di estesi segmenti intestinali) sempre esitate in nuove deiscenze.
In una occasione (intervento 7) è stata eseguita una resezione ileale del tutto abusiva, di fronte ad un intestino già corto, il cui esame istologico è stato: iperemia e
periviscerite. La presunta sospetta pancreatite causa di peritonite più volte citata
nel corso della descrizione degli interventi è di fatto negata dal comportamento
di amilasi e lipasi, sempre nella o prossime alla norma.
Le plurime deiscenze e perforazioni intestinali sono state determinate da una
scorretta e maldestra tecnica chirurgica, da un errato timing nelle procedure (ricanalizzazione della ileostomia in presenza di ascessualizzazione addominale),
il tutto originato da una lesione iatrogena (perforazione del trasverso) verificatasi nel corso del primo intervento.
Con il ricovero all’Ospedale Beta, della durata di ~15 mesi, al prezzo di ~1 anno
di ricovero in Rianimazione, Chirurgia d’Urgenza, Medicina Interna, Geriatria,
è stata fatta salva la vita dalle lesioni gravissime legate al trattamento ricevuto,
per un polipo del colon, presso l’Ospedale Alfa.
Mesi di trattamento aperto dell’addome, plurimi interventi chirurgici (dopo i quasi
20 subiti in ~3 mesi presso l’Ospedale Alfa), mesi di terapia intensiva, hanno condotto ad una situazione non più suscettibile di miglioramento alcuno. I plurimi interventi sull’intestino, eseguiti allo scopo di controllare le fistole enteriche iatrogeniche
verificatesi a seguito del primo intervento di emicolectomia destra hanno portato ad
110
La responsabilità del chirurgo
una sindrome da intestino corto e ad una ileostomia definitiva ad alta portata.
Nel caso in oggetto lo squilibrio idroelettrolitico ha condizionato la comparsa di
episodi di shock ipovolemico e di insufficienza renale acuta, trattati in ospedale;
la condizione di malnutrizione, malgrado la TPN, ha determinato una sindrome
carenziale che ha condotto a crolli vertebrali, a fastidiosissime manifestazioni dermatologiche, ad una importante depressione del sistema immunitario oltre che ad
una astenia cronica; la sepsi prolungata ha condizionato l’insorgenza di una grave
neuropatia assonale; l’impossibilità quoad vitam di assumere cibo per bocca, associata al prolungarsi della grave malattia ha determinato un grave stato depressivo,
di difficile trattamento anche per le alterazioni dell’assorbimento intestinale dei
farmaci ed il pregiudizio irrimediabile alla vita di relazione; la incorreggibilità
della fistola enterica ad alta portata e la necessità di una TPN a vita hanno reso la
gestione domiciliare della paziente praticamente impossibile, esponendola a gravi
pericoli ogni volta che veniva rimandata dagli ambienti di ricovero a domicilio.
Dopo un allettamento definitivo obbligato della durata di circa tre anni, senza
più poter assumere alimenti per bocca né attendere a nessuna attività che riguardasse la cura del proprio corpo né tantomeno nell’ambito domestico, né di
relazione; dopo plurimi prolungati ricoveri ospedalieri per sepsi, denutrizione,
squilibri idroelettrolitici, insufficienza renale e respiratoria, immunodepressione, la paziente è deceduta, in condizioni di cachessia (non neoplastica), a seguito
dell’ennesimo fenomeno di sepsi (polmonare).
Queste rappresentano sequele di un intervento di emicolectomia destra per polipo benigno della flessura destra, intervento che richiede abitualmente un ricovero ospedaliero di ~5 giorni e consente una completa restitutio ad integrum,
con ritorno alle attività di relazione e lavorativa entro ~2-3 settimane, quando
piuttosto, in mani sperimentate, possa essere trattato endoscopicamente con tecnica Endoscopic Submucosal Dissection (ESD) con ricovero ospedaliero ancora più
breve, così come i tempi di convalescenza.
Consulenza tecnica per il PM:
Circa l’esecuzione del primo intervento chirurgico si pone in prima ipotesi un
errore tecnico nel suo svolgimento, cui correlare il successivo riscontro di lesione parietale dell’intestino peri-anastomotico, di assai precoce presentazione.
Tale interpretazione si pone in termini di elevata probabilità e non di probabilità
prossima alla certezza né tantomeno di certezza.
Per quanto attiene alle successive fasi di ricovero, la scelta di procedere a chiusura precoce dell’ileostomia non può che apparire non improntata a maggior cautela in un simile contesto clinico e, a posteriori, non è dato comprendere perché
siano state svolte varie resezioni intestinali di tale estensione.
Tali fatti seguenti si inserirono in un contesto di un quadro addominale in grave
e complessa compromissione, pertanto in logica controfattuale non è possibile affermare che delle condotte terapeutiche alternative avrebbero potuto, in via di certezza o di probabilità prossima alla certezza, evitare l’infausta evoluzione del caso.
Casi peritali simulati e commentati
111
Appare altamente probabile che vi sia stata un’imperizia chirurgica: non si tratta, però, di una probabilità prossima alla certezza, che possa dimostrata con il
grado di certezza richiesto in sede penale.
V’è qualche perplessità anche con riguardo alle modalità con cui la complicanza
di cui sopra è stata affrontata. Censurabili appaiono anche alcune scelte chirurgiche successive, tuttavia tali condotte, anche qualora se ne volesse riconoscere
l’imperizia, avrebbero comunque una rilevanza causale scarsa o nulla rispetto
all’evoluzione successiva degli eventi, considerando che intervengono in una
situazione già di grave e complessa compromissione del quadro addominale.
Il PM chiede che il Giudice per le indagini preliminari voglia disporre l’archiviazione del procedimento.
Causa civile, conclusioni dei CTU:
Le prestazioni sanitarie ritenute censurabili sono cronologicamente da circoscrivere ai primi circa 40 giorni di ricovero: nell’intervallo cronologico così delineato,
ella fu sottoposta a cinque interventi chirurgici eseguiti, in qualità di primo operatore, dal dr. X; nel corso della permanenza nel reparto di Terapia Intensiva, la
paziente fu sottoposta ripetutamente a visita dallo stesso medico, un’ultima volta
a oltre 1 mese di distanza dal primo intervento.
All’operato del dr. X è, dunque, da attribuire in termini di elevata probabilità la
perforazione colica occorsa durante il primo intervento chirurgico: benché, infatti,
non possa escludersi con certezza che la lesione sia stata determinata o favorita dal
secondo operatore, il dr. Y, tale ipotesi appare residuale tenuto conto della ripartizione dei ruoli tra primo e secondo operatore in corso di laparoscopia operativa.
Al dr. X, in qualità di medico curante, responsabile dell’iter chirurgico della paziente in qualità di primo operatore, sono, infine, da attribuire le carenze diagnostiche e terapeutiche successive.
Non sono emersi elementi suggestivi per il ricorrere di carenze strutturali addebitabili all’Ospedale Alfa, che abbiano assunto ruolo, anche solo concausale,
nel condizionamento delle predette scelte diagnostico-terapeutiche censurabili.
La causa del decesso della de cuius è da identificare in uno stato di shock settico
sostenuto da quadro di polmonite a focolai multipli, insorto in soggetto affetto
da inveterata condizione di ileostomia ad alta portata e sindrome dell’intestino
corto, in nutrizione parenterale totale e sindrome da allettamento.
Tenuto conto delle evidenze documentali, comprovanti una continuità fenomenologica tra gli eventi occorsi tra il momento del primo intervento ed il decesso,
è indubbio che i profili di condotta medica censurabile più sopra identificati
abbiano assunto ruolo causale nel determinismo della morte della paziente.
Alla luce delle condizioni cliniche descritte è da ritenere che, nel caso di specie,
la compromissione dello stato di salute fosse tale da poter configurare postumo
permanente stimabile in misura di ~90%, con riferimento a danno biologico e a parametri valutativi condivisi. La compagnia assicuratrice del chirurgo, che operava
in una struttura privata convenzionata, risarciva agli eredi quasi 1 milione di euro.
La responsabilità del chirurgo
112
Sintesi:
A fronte di acclarate importanti criticità nel trattamento chirurgico nel procedimento penale si giunge all’archiviazione per l’impossibilità di affermare che
condotte terapeutiche alternative avrebbero potuto, in via di certezza o di probabilità prossima alla certezza, evitare l’infausta evoluzione del caso.
Nella causa civile i CTU identificavano le medesime criticità circoscrivendo la responsabilità al chirurgo operatore che aveva operato la paziente più volte nel primo
mese di degenza, con riconoscimento di danno biologico di ~90% e nesso di causa
con il decesso. In questo caso sono ben esemplificate le differenze di giudizio adottate nel contesto penale piuttosto che in quello civile: alto grado di probabilità razionale (“quasi certezza”, “al di là di ogni ragionevole dubbio”) nel primo, più-probabile-che-non (“preponderanza dell’evidenza”) nel secondo.
Caso 12
Colecistectomia laparoscopica: perforazione del colon trasverso
Consulenza Tecnica d’Ufficio:
un medico legale, un chirurgo.
Vicenda clinica:
Donna di ~50 anni, ricoverata presso l’Ospedale Alfa per litiasi multipla della colecisti.
Colecistectomia laparoscopica descritta senza criticità in cui la colecisti appare
di aspetto normale con pareti sottili.
II giornata postoperatoria:
Nelle prime ore del mattino chiamato il medico di guardia a causa di insorgenza
di dolore addominale. Segno di Blumberg positivo in FIS in paziente molto agitata, urla per dolore per componente emotiva, si pratica morfina cloridrato 5 mg s.c.
Rx addome: falda aerea libera da confermare, confermata poi da TAC adddome.
A metà mattina intervento (2):
All’esplorazione laparoscopica soluzione di continuo a livello del colon trasverso in pregressa area aderenziale colecisto-colica e liquido corpuscolato libero in
peritoneo. Sutura mediante punti staccati e omento-plastica. Comparsa di versamento pleurico bilaterale ed enfisema sottocutaneo della parete addominale.
In VI giornata dal II intervento
Leucocitosi (WBC >20), addome teso e dolorabile.
TAC addome: aumento dell’aria libera intraperitoneale e del versamento pleu-
Casi peritali simulati e commentati
113
rico a sede periepatica e maggiore distensione gassosa delle anse leali. Aumento
del versamento pleurico bilateralmente con estensione dei processi di disventilazione parenchimale.
In VIII giornata
Posizionati due drenaggi, subfrenico e pleurico, su guida ecografica con fuoriuscita
di materiale corpuscolato.
Ad un nuovo controllo TAC del torace e dell’addome: versamento pleurico di notevole entità a destra, esteso dalla base alla regione apicale, con alterazioni disventilatorie da compressione nel territorio lobare inferiore; pneumoperitoneo con falda
liquida periepatica e pelvica. La raccolta periepatica in sede subfrenica appare tinta
da Gastrographin fuoriuscito dal colon destro.
In IX giornata
Abbondante materiale corpuscolato dal drenaggio sub-frenico.
Rx torace: falda pneumotoracica e idro-pneumoperitoneo.
In XII giornata
I parenti della paziente predisposero, con il suo consenso, il trasferimento della
stessa all’Ospedale Beta. Nella lettera di dimissioni contro parere medico la diagnosi riportata era di: peritonite grave, shock settico, insufficienza respiratoria,
versamento pleurico, pneumotorace.
In sede drenaggio addominale ad ingresso ipocondrio destro dal quale fuoriesce
materiale enterico. Esami ematochimici: GB ~20, PLT ~800, PCR ~60.
All’Ospedale Beta:
TAC addome con mdc: falda di PNX a destra. Falce d’aria libera anteriormente al
fegato, diffuso ispessimento delle limitanti peritoneali in scavo pelvico, con componenti liquide saccate; è presente anche opacizzazione contrastografica della loggia
colecistica, da pregresso spandimento extraluminale di mdc.
Intervento laparotomico d’urgenza (3) per peritonite stercoracea da perforazione colica iatrogena post-colecistectomia, pneumotorace iatrogeno.
Abbondante falda di materiale enterico prevalentemente in sede sotto-epatica;
in scavo pelvico si reperta altra componente liquida corpuscolata.
Ampia soluzione di continuo della parete colica in corrispondenza della flessura
epatica in esiti di pregressa rafia. Si drena ascesso in sede subfrenica destra. Lavaggio del cavo addominale, emicolectomia destra.
Diagnosi: peritonite in paziente sottoposta a colecistectomia laparoscopica e successivamente a rafia di lesione colica in laparoscopia. Dimissione in XI giornata.
Considerazioni dei CTU:
Nel corso dell’intervento di videolaparocolecistectomia si verificò una lesione
iatrogena del colon trasverso. Tale lesione fu descritta in modo estremamente
114
La responsabilità del chirurgo
sintetico all’atto del secondo intervento chirurgico né fu svolta una valutazione
anatomo-patologica della sede della lesione, poiché questa non fu asportata, ma
trattata mediante una sutura diretta. Non è così possibile conoscere l’esatta sede
della perforazione del colon trasverso e le sue caratteristiche morfopatologiche
(forma, estensione, caratteristiche dei margini). Inoltre, la lesione fu localizzata
in corrispondenza di una pregressa area aderenziale colecisto-colica, però non
descritta in occasione del primo intervento chirurgico.
Non essendovi alcuna descrizione della perforazione, per il suo immediato manifestarsi la lesione è da ricondursi, se non in termini di certezza, quantomeno di
probabilità, all’elettrocoagulazione, per un prolungato, o reiterato, o troppo profondo contatto con la parete intestinale. In alternativa essa potrebbe essere stata
procurata dell’ago di Verres o dall’introduzione di trocar oppure potrebbe essersi
trattato di una lesione da trazione, da manipolazione non sufficientemente accorta.
Per la carente descrizione operatoria non è possibile stabilire quale sia stato il
preciso meccanismo lesivo, ma quel che comunque si rileva è che la perforazione
non rappresenta un evento lesivo inevitabile e non può che essere inquadrata
come una lesione iatrogena, da ricondurre all’operato chirurgico.
Tenuto conto del quadro anatomico descritto in occasione del reintervento,
nonché dei dati anamnestico-clinici disponibili, non emerge il ricorrere di condizioni preesistenti atte a spiegare il verificarsi della perforazione anche in assenza di un difetto tecnico dello svolgimento operato chirurgico, vale a dire
in modo indipendente da quest’ultimo. La perforazione colica, pertanto, non
può essere annoverata tra le complicanze inevitabili e deve essere, secondo un
giudizio probabilistico, attribuita ad un difetto tecnico di manovre chirurgiche
non corrette, sulle quali si deve eccepire.
Visto il palesarsi precoce della perforazione nel periodo postoperatorio, è da ritenersi che la lesione si sia realizzata nel corso dell’intervento di colecistectomia
e che non sia stata riconosciuta e riparata prima della fine dell’intervento. La
lesione avrebbe, invece, potuto e dovuto essere rilevata e suturata, evitando lo
sviluppo della condizione settica in seguito instauratasi.
Si ritiene inoltre che il reintervento sia stato eseguito con ritardo: infatti, già nelle
prime ore del mattino della II giornata postoperatoria il medico di guardia annotò che la paziente era molto agitata e sofferente e che urlava per il dolore. Lo
stesso medico, anziché sospettare che potesse trattarsi di un incipiente quadro
addominale acuto postoperatorio, sottovalutò i sintomi lamentati dalla malata e
le somministrò della morfina.
Nelle ore successive la paziente fu sottoposta agli opportuni accertamenti, che
condussero all’intervento chirurgico iniziato a metà mattina, quindi in ritardo
di alcune ore rispetto al dovuto, ed è da ritenersi che tale ritardo non fu privo
di rilevanza nel determinismo della successiva deiscenza della sutura del colon
trasverso, effettuata in un ambiente contaminato da diverse ore.
Per tale motivo non è possibile affermare che vi sia stata un’interruzione del
nesso causale tra il primo ed il secondo intervento chirurgico, poiché è da ritenersi in termini probabilistici che l’inquinamento settico locale conseguente alla
Casi peritali simulati e commentati
115
perforazione verificatasi nel corso del primo intervento contribuì al fallimento
del tentativo di riparazione chirurgica svolto nel corso del secondo intervento.
Dalla descrizione del secondo intervento si desume che la lesione fu riparata
con una sutura seguita da omentoplastica. Tale riparazione andò incontro ad
una deiscenza, come si evince dall’iter clinico successivo e come si conferma dai
rilievi operatori presso l’Ospedale Beta.
Non risultano documentati dei fattori che portino a ritenere che fosse inevitabile
il verificarsi di tale complicanza; non vi sono elementi che consentano di ritenere che la lesione in questione non dipese da un difetto nell’adempimento della
condotta tecnica e a questo essa deve essere ricondotta.
Sempre in termini non di certezza ma di probabilità, è da ritenersi che, in alternativa, un approccio riparativo laparotomico avrebbe consentito una più agevole riparazione della lesione, con l’eventuale escissione di margini malacici, riducendo il rischio di deiscenza. Riguardo alla tempistica, anche per quanto attiene
alla fase successiva al secondo intervento chirurgico, si deve evidenziare che già
nei primi giorni del secondo periodo postoperatorio si manifestavano dei segni
clinici, radiologici e di laboratorio che deponevano per la necessità di un reintervento. Invece, nonostante il ricorrere di tutti gli elementi per la diagnosi di una
nuova soluzione di continuo intestinale, nonostante fosse impossibile ritenere
che si potesse verificare una riparazione spontanea della stessa e nonostante
il rischio di una possibile evoluzione in shock settico ad esito potenzialmente
mortale, per ragioni non comprensibili fu adottato un atteggiamento clinico di
ingiustificata e pericolosa inerzia.
Fu così che il terzo intervento fu poi svolto presso l’Ospedale Beta, ai quali la
paziente si affidò per la risoluzione del grave processo patologico in corso. Per
queste ragioni, tale atteggiamento astensionistico non pare adeguato alle necessità del caso ed anzi foriero delle complicanze locali e sistemiche della deiscenza
della sutura colica: ascesso subfrenico destro, pneumoperitoneo, peritonite stercoracea, insufficienza respiratoria con versamento pleurico bilaterale, atelettasia
dei lobi inferiori, pneumotorace e shock settico.
Per porre rimedio alla perforazione intestinale e alle sue conseguenze fu necessario prolungare le cure ospedaliere e svolgere altri due interventi chirurgici (uno laparoscopico e uno laparotomico), col sacrificio di un segmento di
colon (emicolectomia destra) della lunghezza di ~30 cm e di alcuni cm di ileo
terminale. Inoltre, nei giorni successivi al secondo intervento, s’instaurò una peritonite stercoracea, col conseguente formarsi di aderenze peritoneali più estese
di quelle che vi sarebbero comunque state e che espongono al rischio di futuri
eventi occlusivi. È inoltre da aggiungere che nel corso del prolungamento della
vicenda clinica presso l’Ospedale Alfa la paziente patì anche uno pneumotorace
destro di eziologia iatrogena.
Il prolungamento dell’ospedalizzazione e della successiva convalescenza correlate alla perforazione determinarono, sotto il profilo biologico, un’invalidità
temporanea in misura assoluta per ~25 giorni e in misura parziale al 75% per 30
giorni, al 50% per giorni e al 25% per altri 20 giorni.
La responsabilità del chirurgo
116
Circa i postumi di carattere permanente, si conferma che questi consistono nella perdita del colon destro, negli esiti dell’anastomosi ileo-colica di ricanalizzazione e negli esiti cicatriziali della peritonite stercoracea e quelli della breccia
laparotomica. Circa questi ultimi, si deve evidenziare che nel corso della visita
consulenziale si è riscontrato un laparocele mediano. Si ritiene che esso debba
essere stimato, con riferimento ai parametri valutativi medico-legali in tema di
stima del danno a persona (in primis, le linee guida SIMLA), intorno al 25%.
Nel contempo si conferma che, per le caratteristiche intrinseche della menomazione e per la sua entità, si deve concludere per un mero danno biologico, privo
di obiettivabili ripercussioni sulla capacità lavorativa, anche genericamente intesa della persona interessata, sull’esplicazione delle attività sociali, coerentemente con l’età e le condizioni generali di salute della paziente.
Quanto ai ruoli dei singoli chirurghi, si evidenzia che su un piano prettamente
teorico si dovrebbe eccepire che nel corso di un atto operatorio anche gli operatori ulteriori al primo dovrebbero avvedersi di eventuali lesioni iatrogene e/o di
eventuali altri difetti tecnici.
Si ritiene, però, di dover rimarcare che si tratta di un’assunzione teorica, perché
nella concretezza clinico-chirurgica, se il verificarsi di una lesione sfugge al primo operatore, che è quello che ha le maggiori possibilità di apprezzamento, è
ben facile che sfugga anche agli altri operatori.
Per tali motivi, si ritiene che i secondi operatori abbiano avuto un ruolo marginale per la causazione di quanto si verificò nel corso di tali interventi e dei danni
che ne conseguirono.
Sintesi:
Riconoscimento della piena responsabilità solo per il primo operatore in entrambi
gli interventi laparoscopici. Nessuna responsabilità dei Chirurghi che svolsero il
ruolo di aiuto ed assistente negli interventi, qui giustificati nel non avvedersi del
determinarsi o della presenza della perforazione colica sfuggite all’attenzione del
primo operatore. Nessuna responsabilità a carico dell’Ospedale privato Alfa.
Qui ben identifica il ruolo del chirurgo libero professionista che presta la sua opera come consulente della Casa di Cura, e vene messo ben in evidenza come le
responsabilità dei due soggetti giuridici siano qui nettamente disgiunte.
Caso 13
Termoablazione laparoscopica di epatocarcinoma:
insufficienza epatica ed exitus
Consulenza Tecnica d’Ufficio:
un medico legale, un oncologo.
Casi peritali simulati e commentati
117
Vicenda clinica:
Maschio di ~65 anni, affetto da cirrosi criptogenetica (sospetta evoluzione di
NASH), pregressa HBV.
TAC addome: Lesione di ~2 cm in S8 da epatocarcinoma (HCC) e cospicuo versamento ascitico, con vena porta pervia. L’anno precedente ricovero per scompenso ascitico.
Ecografia addome con mdc: Lesione in S8 di ~2 cm in rapporto con diramazione
portale principale e per tale motivo risulta non praticabile approccio percutaneo.
TAC addome con mdc: Lesione focale compatibile con HCC in S8 in lieve incremento dimensionale e in stretta contiguità con i rami portali intraepatici ma
la cui pervietà è conservata. Comorbilità: sindrome frontale con parkinsonismo
bradicinetico, diabete mellito, ipertensione arteriosa, insufficienza renale cronica III stadio, ipotiroidismo autoimmune, anemia macrocitica.
Eseguite EGDS (1 varice esofagea F1) e colonscopia (diverticolosi del sigma).
Esami ematochimici: Hb ~7,5; PLT ~90’000; PT ~1,5; PTT ~1; albumina ~2,5; bil
tot ~3 (in aumento, dir. ~0,5), creatinina 1,6 ~1,5; urea ~20; AST ~60; ALT ~45.
Paziente sveglio, rallentamento psicomotorio, non flapping tremor. Obiettività
addominale silente, non evidenza di grossolana ascite. Emotrasfusione di 2 unità di EC per Hb <8.
Consenso informato:
Convocati i parenti e in presenza del paziente si espongono in modo dettagliato
rischi e benefici dell’intervento proposto di RFA laparoscopica.
In particolare, il rischio più importante è determinato da un peggioramento della
funzione epatica con grave scompenso epatico con rischio di morte aumentato sia
per la ridotta funzione epatica preoperatoria che per la sede della lesione (trombosi portale e stenosi VB). Purtroppo, non esistono alternative terapeutiche valide. Il
paziente e i parenti accettano le proposte terapeutiche presentate. Bilirubina totale~4,5. Intervento di radiofrequenza laparoscopica VIII segmento epatico.
In I giornata postoperatoria: Bilirubina totale ~7, in II ~10; in III >12, in IV >13.
In III giornata postoperatoria:
Creatinina ~3; bilirubina totale ~15. Stato anasarcatico con edema sacrale e a livello della radice della coscia, versamento pleurico bilaterale, versamento ascitico moderato-severo; comparsa di ematoma in sede di ferita chirurgica destra
dopo che ieri in sede sinistra era comparso ematoma di circa 8 cm.
Agli esami ematici odierni: Hb ~10; PLT ~2; PCR ~40; bil.tot. ~15.
In VII giornata postoperatoria:
Dopo l’intervento insorgenza di sindrome epato-renale, con scarsa risposta alla
Glipressina aumentata fino 8 mg/24 ore. Ricomparsa di proteinuria fino a ~5 g
in corso di albumina. Stato anasarcatico con scarsa ascite ma imponenti edemi
diffusi e recente comparsa di sovraccarico polmonare, pur in corso di alte dosi
118
La responsabilità del chirurgo
di Lasix (250 mg/24 ore). Da ieri anurico e comparsa di importante ipertensione
arteriosa con insufficienza respiratoria. All’Rx torace oggi confermato il quadro
di congestione polmonare. Peggioramento della funzione epatica e renale. Visto
il quadro di insufficienza multiorgano che non consente manovre invasive e che
determina la prognosi infausta del paziente, d’accordo con i parenti si imposta
terapia con morfina. Exitus in X giornata postoperatoria.
Considerazioni della parte ricorrente:
Il trattamento più efficace dell’epatocarcinoma (HCC) è considerato quello chirurgico, ovvero la resezione parziale del fegato, o il trapianto. La maggior parte dei
pazienti con HCC ha però associata una malattia parenchimale quale la cirrosi,
spesso conseguente ad epatite virale B o C. Questa ed altre condizioni di comorbilità aumentano i rischi del trattamento chirurgico. In generale, solo il 10-20% dei
pazienti con HCC sono considerati candidati idonei alla resezione epatica. Il tasso
di mortalità dopo resezione è riportato variare dall’1 al 20%, attestandosi attorno
al 5% nei pazienti con cirrosi in buon compenso funzionale. La causa prevalente
della mortalità post-operatoria è l’insufficienza epatica. In ampie serie la morbilità
è compresa tra il 30 e il 50%, la mortalità tra l’1,6 e il 5,3%.41,42,43
Numerosi sono i fattori prognostici di sopravvivenza alla resezione che sono
stati individuati. I fattori prognostici negativi sono la dimensione del tumore,
la presenza di cirrosi, la tendenza a crescita di tipo infiltrativo, la invasione vascolare, le metastasi intraepatiche, la multifocalità dei tumori, le metastasi linfonodali, il margine di resezione < 1 cm, la mancanza di capsula perilesionale,
alfa-fetoproteina > 400. In particolare, la prognosi è fortemente influenzata dalla
presenza e dalla gravità della patologia epatica sottostante.
Lo score di Child-Pugh è quello più diffusamente utilizzato per valutare il grado
della cirrosi. Esso considera 5 parametri: bilirubina, albumina, tempo di protrombina, presenza di ascite, encefalopatia, cui attribuisce, ciascuna, un punteggio da 1
a 3. Si ritiene che la chirurgia resettiva sia indicata per i pazienti di classe A (fino a
5-6 punti), e controindicata negli stadi successivi (B e C), così come in presenza di
ipertensione portale. Pazienti in classe B di Child hanno una mortalità perioperatoria del 10-15% e tollerano una resezione di un volume non superiore al 25% del
parenchima epatico. Pazienti in classe C di Child hanno mortalità perioperatoria
superiore al 25%, per cui la resezione è ritenuta controindicata.
La valutazione della funzione epatica è anche effettuata con il test di ritenzione
di un colorante, il verde di indocianina (ICG), utile nel prevedere l’insufficienza
41 Melstrom LG: The management of malignant liver tumors. In: Cameron JL: Current Surgical Therapy, 328, Elsevier 2014.
42 Cauchy F: HCC: Current surgical treatment concepts. Langenbecks Arch Surg 397:681,
Elsevier 2012.
43 Sicklick JK: The liver. In Sabiston Textbook of Surgery, 1456, Elsevier 2012.
Casi peritali simulati e commentati
119
epatica post-operatoria. L’ICG viene iniettato endovena, e i suoi livelli nel sangue
vengono misurati dopo 15’: in pazienti con funzione epatica normale, la ritenzione
del colorante deve essere <10%. Pazienti con valori compresi tra 15 e 20% possono
tollerare la resezione di due segmenti; per valori tra 21 e 30% è eseguibile la resezione di un singolo segmento o una wedge resection. Per una ritenzione di ICG
maggiore del 40% la chirurgia è controindicata, per l’altissimo rischio dell’insorgenza di una insufficienza epatica post-operatoria ad evoluzione fatale44.
Anche la TAC, con la misurazione della volumetria epatica, è un mezzo utile
di valutazione preoperatoria. Essa può essere utilizzata per valutare il fegato
residuo (future liver remnant - FLR) e predire la probabilità di andare incontro
ad insufficienza epatica postoperatoria. Un FLR inferiore al 40% è considerato
predittivo di una insufficienza epatica post-operatoria45.
Complessivamente, i tassi di sopravvivenza nelle diverse casistiche dopo resezione epatica per HCC sono del 58-100% a 1 anno, del 28-88% a 3 anni, dell’1175% a 5 anni e del 19-26% a 10 anni. Tale varietà di risultati dipende ovviamente
dallo stadio del tumore e della cirrosi, ma rende anche conto dei risultati potenzialmente ottenibili dalla chirurgia46. La trombosi portale (PVT) è una complicanza frequente dell’HCC e si associa solitamente ad una cattiva prognosi.
Il 10-40% dei pazienti con HCC hanno una trombosi portale al momento della
diagnosi.47,48 laddove la trombosi di un ramo portale principale peggiora la prognosi rispetto alle trombosi dei rami periferici.49
Nel caso in oggetto la presenza di trombosi portale è riportata solo nel consenso
informato, senza che né la sede né l’estensione siano segnalate.
Secondo il Liver Cancer Study Group of Japan, su un campione di 17.455 pazienti con HCC, il 3,9% aveva una trombosi di un una branca portale di primo ordine
44 Hemming AW: Indocyanine green clearance as a predictor of successful hepatic resection in
cirrhotic patients. Am J Surg 163:515, 1992; Noguchi T: Preoperative estimation of surgical risk
of hepatectomy in cirrhotic patients. Hepato-Gastroenterology 37:165, 1990; Gavinelli M: Correlazione tra lo score di Child-Pugh e il test del verde indocianina (TVIC) in pazienti candidati
a resezione epatica per neoplasia. Atti XXVIII Congr.Naz SIRC, 225, 1994; Fan ST: Hepatectomy
for hepatocellular carcinoma: toward zero hospital deaths. Ann Surg 229:322, 1999.
45 Melstrom LG, Op Cit, 329; Sicklick JK, Op cit, 1456; Okamoto E: Prediction of the safe
limits of hepatectomy by combined volumetric measurements in patients with impaired
hepatic function. Surgery 95:586, 1994; Gavinelli M: Validità di un protocollo di valutazione preoperatoria del paziente cirrotico candidato a resezione epatica per epatocarcinoma.
Atti XXVIII Congr Naz SIRC, 251, 1994.
46 Sicklick K, Op cit, 1458.
47 Minagawa M: Treatment of hepatocellular carcinoma accompanied by portal vein tumor
thrombus. World J Gastroenterol 12:7561, 2006.
48 Llovet JM: Natural history of untreated nonsurgical hepatocellular carcinoma: rationale
for the design and evaluation of therapeutic trials. Hepatology 29:62, 1999.
49 Lau WJ: Treatment for hepatocellular carcinoma with portal vein tumor thrombosis: the
emerging role for radioembolization using yttrium-90. Oncology 84:311, 2013.
120
La responsabilità del chirurgo
(Vp3); in una casistica di 25.066 pazienti, nei malati con Vp3 la sopravvivenza è
riportata essere del 23,3% a 5 anni50. Il sistema di classificazione maggiormente
utilizzato in Europa e negli Stati Uniti è il Barcelona Clinic Liver Cancer (BCLC),
in cui si raccomanda di evitare la chirurgia in caso di PVT51.
La resezione chirurgica in caso di HCC+PVT è invece maggiormente praticata
nei paesi asiatici (Giappone, Cina, Corea del Sud), dove l’epatite B, causa predisponente, è più diffusa ed i pazienti presentano di solito una funzione epatica
maggiormente permittente52.
Attualmente l’unica terapia raccomandata per l’HCC con PTV non resecabile
dalla American Association for the Study of Liver Diseases (AASLD) e dalla European Association for Study of the Liver (EASL) è farmacologica con il sorafenib, una multi-tirosin chinasi orale che inibisce l’angiogenesi e la proliferazione
delle cellule tumorali.53,54
Il suo utilizzo in associazione alle terapie locoregionali (chemioembolizzazione
transarteriosa, ablazione chimica, ablazione con radiofrequenza, ablazione con
micro onde, radioterapia esterna, radioterapia interna o radioembolizzazione
trans-arteriosa con yttrio-90) è ancora in fase di valutazione.55,56,57,58,59,60
In conclusione, il de cuius era portatore epatocarcinoma con trombosi portale in
cirrosi epatica criptogenetica condizionante insufficienza epatica, episodi di scompenso ascitico, ipertensione portale in paziente con sindrome frontale con parkinsonismo bradicinetico, diabete mellito, ipertensione arteriosa, insufficienza renale
cronica al III stadio, anemia macrocitica. Pur essendo nel complesso, per lo stadio
50 Ikai I: Report of 18th follow-up survey of primary liver cancer in Japan. Hepatol Res 28:21, 2004.
51 Forner A: Current strategy for staging and treatment the BCLC update and future prospects. Semin Liver Dis 30:61, 2010.
52 Omata M: Asian Pacific Association for the Study of the liver consensus recommendations
on hepatocellular carcinoma. Hepatol Int 4:439, 2010.
53 Fong Y, Op cit; A new prognostic system for hepatocellular carcinoma: a retrospective
study of 435 patients: the Cancer of the Liver Italian Program investigators. Hepatology
28:751, 1998.
54 Bruix J: Management of hepatocellular carcinoma: un update. Hepatology 53:1020, 2011.
55 Quirk M: Management of hepatocellular carcinoma with portal vein thrombosis. World J
Gastroenterol 21: 3462, 2015.
56 Ando E: Hepatic arterial infusion chemotherapy for advanced hepatocellular carcinoma
with portal vein tumor thrombosis. Cancer 95:588, 2002.
57 Hoffe SE: Nonsurgical options for hepatocellular carcinoma: evolving role of external
beam radiotherapy. Cancer Control 17:100, 2010.
58 Hilgard P: Radioembolization with yttrium- 90 glass microspheres in hepatocellular carcinoma: European experience on safety and long-term survival. Hepatology 52:1741, 2010.
59 Chen MS: A prospective randomized trial comparing percutaneous local ablative therapy
and partial hepatectomy for small hepatocellular carcinoma. Ann Surg 342:321, 2006.
60 Liang HH: Percutaneous radiofrequency ablation versus repeat hepatectomy for recurrent hepatocellular carcinoma: a retrospective study. Ann Surg Oncol 15:3484, 2008.
Casi peritali simulati e commentati
121
della malattia epatica di base, la presenza di trombosi portale e delle plurime gravi
comorbilità in nessun modo trattabile l’HCC senza incorrere in altissimo rischio
di morte (come peraltro segnalato nel consenso informato all’intervento), si faceva
ricorso ad una procedura di tipo interstiziale, peraltro con modalità invasiva laparoscopica invece che percutanea in anestesia locale che veniva immediatamente
seguita da uno scompenso epatico irreversibile, sindrome epato-renale e multiorgano con decesso del paziente. È opportuno ricordare anche come il diabete possa
favorire l’instaurarsi della insufficienza epatica acuta e della sindrome epato-renale61. L’ablazione mediante radiofrequenza (RFA) utilizza corrente alternata ad alta
frequenza per creare calore attorno ad una sonda inserita nella lesione neoplastica
solitamente su guida ecografica, per via percutanea, generando temperatore superiori a 60° che determinano la necrosi cellulare.
La sua azione è limitata dalla presenza dei vasi sanguigni ed il processo di necrosi tissutale non è quindi ideale in loro prossimità, a maggior ragione in presenza di trombosi portale, che inoltre rende la prognosi peggiore vanificando il
trattamento locale dell’HCC. Nel caso in oggetto la necrosi tumorale, gli effetti
dei farmaci anestetici, il trauma chirurgico della laparoscopia hanno innescato
una alterazione acuta gravissima ed irreversibile del precario meccanismo omeostatico del paziente che l’ha rapidamente condotto a morte.
Se è pur vero che l’insieme di condizioni patologiche che affiggevano il paziente
configuravano una prognosi non favorevole nel tempo, è certamente qui dimostrato l’inescusabile nesso causale tra radiofrequenza laparoscopica ed il decesso del paziente. Già poche ore dalla fine dell’intervento chirurgico la sindrome
epato-renale diventava conclamata; essa è tipica delle fasi avanzate della malattia cirrotica, e si manifesta, insieme a un progressivo deterioramento della funzione epatica, con una insufficienza renale caratterizzata da oliguria, aumento
dell’azotemia e della creatininemia.
Inoltre, sono presenti ascite ed encefalopatia con mancata risposta della funzione renale alla correzione della volemia. L’encefalopatia epatica complica
infine lo scompenso epatico, con confusione mentale, eloquio incoordinato,
tremori delle estremità. Vi è complessivamente da ritenere, anche se trattasi di
una previsione di assai difficile formulazione, a maggior ragione per i numerosi
fattori clinici implicati (cardiologici, metabolici e neurologici) che la sopravvivenza del paziente qualora si fosse soprasseduto al trattamento chirurgico, vista
la sostanziale stabilità della lesione neoplastica nel tempo, avrebbe potuto essere
discretamente lunga, potendo raggiungere, e probabilmente superare, l’anno.
Negligenza nel porre errata indicazione alla procedura di radiofrequenza laparoscopica, imperizia nelle sue modalità attuative foriere di complicanze gravissime sono da ritenersi responsabili della morte del de cuius.
61 Friedman LS, in McPhee SJ, Current Medical Diagnosis and Treatment, 607, Lange 2010.
La responsabilità del chirurgo
122
Considerazioni di parte resistente:
L’accesso percutaneo per la termoablazione fu ritenuto inadatto perché la lesione
era difficilmente raggiungibile, il paziente presentava elevato rischio emorragico
ed ipertensione portale. L’approccio laparoscopico era assolutamente corretto, e la
procedura è stata eseguita con tutte le cautele utili a ridurre il rischio di complicanze, in particolare: esplorazione ecografica intraoperatoria, messa in atto della
tecnica di protezione cooling technique, alcolizzazione della porzione più caudale
della lesione, tutte le manovre sono state eseguite sotto visione. Nega la presenza
di trombosi portale. La gestione del postoperatorio fu del tutto corretta, il quadro
di insufficienza epatica fu affrontato con tempismo ed appropriatezza.
Considerazioni dei CTU:
Al fine di rendere la precarietà delle condizioni cliniche del paziente per come
sussistenti in epoca preoperatoria, si rileva come per soggetti in classe ChildPugh C11/12, quando sottoposti ad interventi di chirurgica addominale, il rischio di mortalità perioperatoria è stimato nell’ordine dell’82%.
Da quanto sopra emerge come il giudizio diagnostico espresso in termini di Child
B8 non sia condivisibile giacché non supportato dai dati all’epoca disponibili e
sottostimante la reale compromissione della condizione epatica del soggetto.
Detto questo, rileva quanto previsto dalle linee guida redatte nel 2015 da un
collegio multidisciplinare di oncologi, epatologi, chirurghi e radiologi interventisti per conto dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), da cui
emerge che il trattamento di radiofrequenza laparoscopica fu erogato in deroga
alle raccomandazioni consolidate dell’epoca, alla luce delle quali la scelta clinica
astensionista era, per l’alta probabilità di indurre un ulteriore deterioramento
della funzione epatica, l’unica percorribile.
Tuttavia parte resistente segnala un ampio studio giapponese62 pubblicato nel
maggio 2016 a fronte del quale emergerebbe un vantaggio significativo di sopravvivenza dopo ablazione locale di epatocarcinoma anche nei soggetti affetti
da cirrosi in classe Child-Pugh C.
62 Kitai S et al. 2016.
Casi peritali simulati e commentati
123
Ciò nonostante, rileva osservare come nell’aggiornamento 2017 delle linee guida
AIOM, a pagina 24, le raccomandazioni già espresse nella versione edita nell’anno 2015 siano state integralmente confermate.
Dunque il trattamento di radiofrequenza laparoscopica cui il paziente fu sottoposto potrebbe essere qualificato, anche alla luce della delicata sede anatomica della lesione, come prestazione resa, travalicando le linee guida consolidate,
secondo la miglior scienza medica ovvero la miglior pratica medico-chirurgica
comprendendo in essa l’impiego di procedure ancora in fase di sperimentazione
o comunque di indicazione non univoca.
D’altra parte, gli elementi documentali disponibili portano a ritenere che il paziente fu candidato al predetto intervento giacché erroneamente ricondotto ad
una classe di rischio (Child-Pugh B8) per la quale le linee guida contemplavano
tale opzione e non secondo una logica travalicante le raccomandazioni consolidate, fattispecie che avrebbe richiesto, in prima istanza, il corretto inquadramento delle condizioni epatiche del paziente.
Si precisa come nessun profilo di censurabilità sia ravvisabile nella esecuzione tecnica della procedura di radiofrequenza laparoscopica e nella gestione delle esigenze
diagnostico-terapeutiche emerse nel corso del ricovero che ne seguì, sino al decesso,
la cui causa è da identificare negli effetti tossici connaturati al predetto trattamento.
Procedendo oltre, ammessa come realizzata la condotta raccomandata dalle linee guida citate, ovvero optato per una scelta clinica astensionista, la condizione
patologica naturale di cui il soggetto era affetto sarebbe evoluta condizionando una sopravvivenza stimabile secondo le metodiche di seguito illustrate. Alla
luce dei valori di laboratorio disponibili, si configurava, secondo i nomogrammi
della Mayo Clinic63 di 5.11.
Come evidenziato nella figura, le probabilità di sopravvivenza di un soggetto affetto da tale condizione si riducono progressivamente nell’arco di tre anni
giungendo alla soglia del 50% circa (51%) in dodici mesi. Tali fasce di probabilità di sopravvivenza sono coerenti con quanto pubblicato da altri autori (Lancet
Oncology 2017) in riferimento alla classe Child-Pugh C con score tra 10 e 15.
63 https://www.mayoclinic.org/medical-professionals/model-end-stage-liver-disease/
meld-model), un MELD score di 23 e un MESIAH score (Modello per la stima della sopravvivenza dei pazienti con HCC, Mayo Clinic https://www.mayoclinic.org/medical-professionals/model-end-stage-liver-disease/model-estimate-survival-ambulatory-hepatocellular-carcinoma-patients-mesiah.
La responsabilità del chirurgo
124
Pur avuta considerazione dei limiti connessi alla trasposizione di dati casistici
alla valutazione di una singola vicenda, emerge come il trattamento di radiofrequenza laparoscopica, incidendo su di un organo già gravemente compromesso,
abbia determinato, accelerando l’esaurimento della funzione epatica, una anticipazione della morte, evento che si sarebbe verificato secondo le stime di sopravvivenza sopra dettagliate.
Occorre tuttavia precisare che, alla luce della sede anatomica della lesione neoplastica, per prossimità potenzialmente idonea a cagionare eventi ostruttivi sulle vie biliari e sulle strutture vascolari, le fasce di probabilità più sopra riportate
sono da ridimensionare in misura attendibilmente non trascurabile, ancorché
quantitativamente non precisabile sul piano percentuale.
Nell’ambito di un giudizio complesso ed inevitabilmente interlocutorio, è da
ritenere che alle sequele del trattamento di radiofrequenza laparoscopica sia da
addebitare un’anticipazione dell’evento morte in misura, in via di probabilità,
inferiore all’anno senza poter esprimere in merito valutazione più circostanziata.
Conclusioni:
Accordo stragiudiziale per la corresponsione di un risarcimento di euro 50.000.
Sintesi:
L’indicazione all’intervento di termoablazione laparoscopica dell’HCC è considerata errata a causa di una sottostima della gravità della funzione epatica (erroneo
calcolo dello score di Child-Pugh), che avrebbe consigliato solo la miglior terapia
di supporto, senza trattamenti invasivi. Tale errore di calcolo risulta francamente
difficilmente comprensibile e su questo parte convenuta non si è pronunciata.
La procedura è stata condotta in modo corretto, ma ha innescato una insufficienza epatica acuta che, anche se adeguatamente trattata, ha condotto il paziente
anzitempo alla morte. L’utilizzo del MESIAH score, per la stima della sopravvivenza, dimostrava nel caso in oggetto la possibilità di sopravvivenza, con la
terapia di supporto, a 1 anno, era comunque di poco superiore al 50%.
Casi peritali simulati e commentati
125
2.3 Appendicite acuta
Caso 14
Appendicite acuta, shock settico, damage control surgery
Consulenza Tecnica d’Ufficio:
un medico legale, un chirurgo.
Vicenda clinica:
Maschio di ~15 anni. A metà mattina accesso al Pronto Soccorso dell’Ospedale
Alfa, codice bianco. Nell’anamnesi dolore addominale in sede paraombelicale
da ~2 giorni, e da questa notte nausea e dolore epigastrico.
Plurimi episodi di vomito autoindotto per cercare di ridurre la sintomatologia.
Addome piano, trattabile, non reazioni di difesa, non dolente alla palpazione
superficiale e profonda, Blumberg negativo.
Dimissione dopo circa 1 ora, con prescrizione di controllo dal curante e riposo
domiciliare per ~3 giorni. Dieta leggera con apporto idrico adeguato.
Prereid liquido per due giorni. Fermenti lattici per 10 giorni.
Diagnosi conclusiva: probabile iniziale gastroenterite.
Dopo 6 giorni:
Al mattino accesso in Pronto Soccorso dell’Ospedale Beta, in codice bianco, per
algia ipocondrio-fossa iliaca destra, alvo diarroico, vomito da una settimana.
Addome trattabile, non dolente alla palpazione superficiale e profonda. Apiretico. Leucociti >30, N ~80%. Dimissioni dopo circa 3 ore, con diagnosi di gastroenterite acuta. Prognosi di 2 giorni, prescritti: Dicodral, Dicoflor, dieta leggera,
controllo dal curante tra 48h.
Dopo un’altra settimana circa:
La sera accesso al Pronto Soccorso dell’Ospedale Beta con codice verde.
All’ingresso: viene in PS per persistenza di diarrea da ~15 giorni e per ricomparsa di febbre a ~39° C. Lamenta dolore in ipocondrio destro. Già visto presso
questo Pronto Soccorso. MV ridotto in base destra. Addome piano, trattabile,
non dolente alla palpazione, organi ipocondriaci nei limiti, peristalsi valida.
PCR >30; leucociti >15 neutrofili ~80%.
Rx torace: sopraelevazione emidiaframma destro con scarsa riconoscibilità del
profilo diaframmatico per componente pleuro-parenchimale associata, compatibile con alterazione flogistica.
Diagnosi: pleurite, polmonite con prognosi di 5 giorni e predisposto il ricovero
presso Reparto di Pediatria.
126
La responsabilità del chirurgo
Dopo ~ 6 ore:
Ancora in attesa del ricovero mentre stazionava in Pronto Soccorso, comparsa
improvvisa di dispnea, saturazione inizialmente ~90%, dopo mezz’ora FR ~40,
FC ~140/min, PA ~105/70, SpO2 ~70% in O2 12 L/min. Si procede con sedoanalgesia e IOT, si aspira vomica di pus.
TAC torace e addome in urgenza: sopraelevazione dell’emidiaframma destro e
presenza di estese aree di consolidamento parenchimale polmonare bilaterale
interessanti pressoché totalmente entrambi i lobi inferiori; concomitano disomogenee aree di addensamento del parenchima polmonare con aspetti pseudo
nodulari confluenti al segmento dorsale di entrambi i lobi.
In sede sovradiaframmatica destra componente idro-aerea a morfologia anfrattuosa che risulta apparentemente in comunicazione con ampia raccolta a densità
idrica e con livello idro-aereo localizzata alla cupola epatica e il profilo laterale
del lobo epatico destro (estensione longitudinale di almeno 20 cm e diametri
massimi di ~15 x 7,5 cm), delimitata da sottili pareti. Nello spazio epato-renale
ulteriore raccolta idroaerea con dominanza della componente aerea (diametri
massimi di 2x6cm).
In scavo pelvico, in sede mediana sovravescicale altra ampia raccolta idro-aerea
con la costituzione di livello, con diametri massimi di ~ 10 x 15 cm ed estensione longitudinale di almeno 13 cm. In condizioni di base, in fossa iliaca dx nella
sede presunta del verme appendicolare, si apprezza formazione rotondeggiante
a densità calcifica di ~8 mm che determina difetto di riempimento endoluminale
dopo opacizzazione con mdc a livello di struttura tubuliforme in comunicazione con il cieco e con altra struttura di morfologia pseudoserpiginosa tubulare,
opacizzata dal mdc refluo e sita caudalmente al margine inferiore della raccolta
in fianco destro, senza rapporto di continuità con quest’ultima, reperto di non
univoca interpretazione (ansa del piccolo intestino? Raccolta extraluminale?).
Si segnala disomogeneità del tessuto adiposo periviscerale della fossa iliaca destra
e componente fluida libera adesa al margine anteriore del terzo distale del m.psoas e tra le anse intestinali limitrofe.
Diagnosi in PS: shock settico, empiema.
Dopo ~2 ore:
Intervento laparotomico per ascessi addominali multipli, peritonite diffusa, appendicite perforata e ileite infiammatoria periascessuale.
Quadro di peritonite diffusa con ascessi tra le anse. In sede pelvica ascesso di ~10
cm di diametro drenaggio di 1 litro di pus. Ascesso subfrenico destro contenente
almeno 1 litro di pus. Durante le manovre di dissezione si procurano estese speritoneizzazioni per cui si decide la resezione di ~10 cm di ileo.
La sezione distale cade a ~8 cm dalla valvola ileocecale. L’appendice è perforata
al terzo medio. Appendicectomia, lavaggio del cavo addominale e della loggia
sottofrenica destra.
Si decide di eseguire una anastomosi in 2 tempi e quindi un trattamento aperto
dell’addome con sistema Abthera. Si posizionano 2 compresse laparotomiche:
Casi peritali simulati e commentati
127
una in sede sottofrenica dx-periepatica, una in sede pelvica. Esame istologico
del pezzo operatorio: appendicite acuta ascessualizzata perforata associata a
marcata periviscerite consensuale e a peritonite fibrinosa, Digiuno e ileo: parete digiunale con sierosa sede di marcata congestione vascolare e di tessuto di
granulazione; parete digiunale caratterizzata da focolai multipli di flogosi acuta
ascessualizzata.
Ricoverato nel Reparto di Terapia Intensiva, con diagnosi di shock settico e ARDS in
ascessi multipli addominali in appendicite perforata.
Dopo 3 ore:
Acidosi metabolica, anurico. Si aspirano abbondanti secrezioni purulente del tubo
OT (tipo vomica), simili al materiale purulento dell’addome.
A fine mattina dopo riempimento con cristalloidi - PFC 4 U, albumina: circolo migliorato, ripresa della diuresi. Meglio anche da un punto di vista metabolico, con
progressiva riduzione dell’acidosi metabolica.
In II giornata postoperatoria intervento (second look laparotomico) (2):
All’esplorazione della cavità addominale anse ben vascolarizzate e vitali, non raccolte purulente. Si esegue anastomosi ileo-ileale L-L manuale, omentoplastica
e posizionamento di drenaggio tipo JP nello scavo di Douglas. Riscontro di 3
lacerazioni dell’emidiaframma di dx di ~5 mm di lunghezza, con fuoriuscita di
aria di provenienza toracica.
Posizionamento di drenaggio toracico in V° spazio intercostale. Sutura delle lacerazioni diaframmatiche.
Decorso favorevole, dimissione dopo ~1 mese.
Diagnosi di dimissione: peritonite diffusa da appendicite acuta gangrenata, con
ascesso polmonare basale destro e sepsi.
Esame obiettivo peritale:
Obiettività toracica nella norma. Addome: cicatrice xifo-pubica della lunghezza di
~30 cm; cicatrice di ~1 cm in fossa iliaca destra, di ~2 cm in fianco destra, di ~2 cm
in emitorace, bilateralmente. Modesta diastasi dei muscoli retti in sede epigastrica.
Considerazioni di parte ricorrente:
Evidente la responsabilità dei sanitari, con particolare riferimento alla condotta
dei sanitari dell’Ospedale Beta. Infatti, mentre all’Ospedale Alfa il quadro poteva risultare sfumato (unico appunto è la mancata esecuzione di emocromo),
al primo passaggio in pronto Soccorso all’Ospedale Beta il quadro clinico era
evidente con leucocitosi e neutrofilia e richiedeva immediato riconoscimento e
ricovero, non avendo i sanitari neppure preso in considerazione l’ipotesi di un
processo infiammatorio-settico a livello addominale. Una volta riconosciute la
patologia e le complicanze, le stesse sono state correttamente affrontate.
128
La responsabilità del chirurgo
Considerazioni di parte resistente:
I CT per Ospedale Alfa ritengono che la colposa condotta dei sanitari dell’Ospedale Beta assorba ed amplifichi l’eventuale mancanza clinico-diagnostica loro
contestata. La condotta clinica è stata ispirata alla dovuta prudenza, avendo i
sanitari proposto controlli dal curante.
Al momento non vi era alcuna indicazione ad effettuare indagini di II livello
(ecografia e TAC). Qualora gli esami ematochimici avessero evidenziato la presenza di leucocitosi questa non sarebbe stata indicativa di patologia addominale
da processo appendicolare, ed il quadro clinico presente inizialmente non era
indicativo di patologia addominale acuta. In ipotesi di danno, postumi da inquadrare nella fascia del 10-15%.
I CT per Ospedale Beta: alla prima presentazione in PS vi era una evoluzione
migliorativa della nota vicenda clinica e l’esame obiettivo non evidenziò reperti
indicativi di un quadro appendicolare acuto. Alla dimissione venne consigliato
controllo dopo ~48 ore, dimostrando così la dovuta prudenza riguardo alla alterazione (leucocitosi) rilevata dai dati di laboratorio. In caso di eventuale riconoscimento di colpa, danno permanente è da contenere entro il ~10%.
Considerazioni dei CTU:
Il decorso clinico depone per un processo patologico a carico della appendice che,
esordita in modo atipico e non sospetto per una patologia infiammatoria acuta, si
è poi sviluppata in una franca forma settica con coinvolgimento sia della cavità
addominale (peritonite) che di quella toracica (pleuropolmonite, empiema polmonare). In occasione del passaggio in Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa il paziente lamentava sintomi non tipici per una appendicite acuta. Il quadro clinico,
con assenza di dolore addominale e segni di difesa, non risultava allarmante, né
tantomeno suggestivo per una infiammazione appendicolare, non giustificandosi
quindi approfondimenti di immagine quali Rx addome, ecografia e TAC.
È tuttavia noto che i sintomi della appendicite acuta possano essere pleomorfi
e talvolta del tutto aspecifici nelle sue fasi iniziali, motivo per il quale sarebbe
stato opportuno verificare la temperatura corporea (ascellare e rettale) ed i globuli bianchi: entrambi questi elementi, se positivi, avrebbero potuto indurre nel
medico il sospetto di una appendicite acuta in fase precoce. È da precisare che
a bilanciare tale condotta i sanitari ospedalieri, ispirati da prudenza e diligenza,
consigliarono un controllo presso il curante dopo due giorni.
In occasione poi del primo passaggio in Pronto Soccorso dell’Ospedale Beta, a
fronte di un persistente dolore in fossa iliaca destra, febbre e, soprattutto, importantissima leucocitosi con neutrofilia, il paziente veniva dimesso.
Tale comportamento appare imprudente e negligente: la leucocitosi e l’aumento
della PCR indicavano la presenza di un processo flogistico che fino a quel momento era occulto, ed andava imperativamente subito riconosciuto, al di là del
fatto che non fossero presenti segni suggestivi di interessamento peritoneale.
Casi peritali simulati e commentati
129
A questo punto il paziente avrebbe dovuto essere sottoposto a: Rx addome, ecografia addominale, e eventualmente, a seguire, una TAC toraco-addominale oltre che
ad una consulenza chirurgica, non effettuata prima di una inspiegabile dimissione.
Relativamente al successivo passaggio in Pronto Soccorso all’Ospedale di Beta si è
assistito ad un repentino, gravissimo peggioramento clinico che ha richiesto procedimenti d’urgenza che, correttamente e tempestivamente effettuati, hanno evitato
l’evoluzione verso più gravi ed anche potenzialmente irreversibili conseguenze.
In occasione del primo passaggio in Pronto Soccorso dell’Ospedale Beta, per
contro, la condotta dei sanitari rapportata sia alle linee guida sia alle pratiche accreditate e condivise dalla comunità scientifica si è dimostrata imperita e negligente, avendo essi sottostimato sia i rilievi anamnestici che quelli di laboratorio,
che indicavano inequivocabilmente la presenza di un fatto infiammatorio/settico
in corso, non potendo peraltro giustificare l’omissione diagnostica riferendosi
alla sola negatività dell’esame clinico.
Una ecografia ed eventualmente una TAC avrebbero consentito di riconoscere
il processo acuto a carico dell’appendice, permettendo così un adeguato trattamento in grado di evitare le sequele settiche poi verificatesi.
Attualmente, trascorsi oltre due anni dai fatti per cui è causa, assenti apprezzabili complicanze soggettive ed obiettive a carico dell’apparato respiratorio e considerando comunque l’ipotesi, tutt’altro che remota, di futuri esiti aderenziali a
livello toracico-pleurico, residuano ben evidenti alterazioni cicatriziali in sede
toraco-addominale, oltre che modesto indebolimento della parete muscolare addominale e, anche qui, la futura probabilità di sindrome aderenziale, completando il quadro menomativo l’attendibile disagio per gli esiti cicatriziali, seppure in
sede non abitualmente esposta alla visione di terzi, in soggetto di giovane età.
Tali alterazioni portano a configurarsi una riduzione della integrità psico-fisica
del soggetto in misura del ~15%.
Considerando che il tempestivo riconoscimento di una appendicite acuta avrebbe richiesto intervento di asportazione chirurgica di minima eventualmente anche con accessi laparoscopici, con ricovero ospedaliero di ~3 giorni e successiva
convalescenza per 15-20 giorni circa, si deve ammettere che a causa della colposa
condotta dei sanitari si rese necessario un più prolungato periodo di riposo e
cure con invalidità temporanea biologica di 30 giorni di assoluta, 20 giorni di
parziale al 50% e 30 giorni di parziale al 25%.
Sintesi:
Appendicite acuta con sintomatologia e presentazione clinica subdola per molti
giorni, non riconosciuta in Pronto Soccorso in due diversi ospedali. Peggioramento clinico repentino con complicanze settiche e respiratorie tali da mettere in pericolo la vita in adolescente sano e sportivo. A questo punto tempestivo intervento
rianimatorio e chirurgico con utilizzo dei metodi della damage control surgery,
con risoluzione di un quadro clinico, sino a quel momento riconosciuto, di eccezionale gravità per le complicanze verificatesi. Danno biologico permanente
La responsabilità del chirurgo
130
comunque in apparenza limitato in rapporto alla gravità della situazione ed ai
rischi corsi quoad vitam, situazione questa tutt’altro che infrequente da osservare,
e difficile da far comprendere ai ricorrenti.
Caso 15
Appendicite acuta nell’infanzia: enterorragia post-operatoria
Consulenza Tecnica d’Ufficio:
1 (solo) medico legale.
Vicenda clinica:
Bambino di ~4 anni e mezzo giunge in Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa una
sera ed è sottoposto a visita pediatrica. Dalla cartella clinica di Pronto Soccorso:
Priorità: 3, poco critico – verde.
Sospetto: dolore addominale: valutazione sofferenza: 3.
Anamnesi: addominalgia da questa notte.
Esame obiettivo: sospetta appendicopatia. Si ricovera.
Diagnosi: addominalgia.
Laboratorio, dopo ~30 min:
G. bianchi ~15’000, VES ~25. TA ~39. Addome trattabile ma diffusamente dolente.
Blumberg negativo. Idratazione, esami, rivalutazione clinica.
Il giorno successivo, la mattina:
Febbrile, sofferente. Addome ligneo, poco trattabile, in particolare in fossa iliaca
dx, Blumberg +. Visita chirurgica pediatrica: addome piano, mobile con gli atti
del respiro, trattabile, elettivamente dolente e dolorabile alla palpazione superficiale e profonda in fossa iliaca destra, dove è presente dolorabilità di rimbalzo.
Non segni di peritonismo; reperti significativi per appendicite acuta in atto. Si
consiglia intervento chirurgico urgente. Globuli bianchi ~15’000, PCR >7.
A metà giornata intervento:
Incisione sec. Mc Burney, appendicite gangrenosa.
Appendicectomia per via retrograda ed infossamento del moncone appendicolare su borsa di tabacco.
Diagnosi istopatologica: appendicite acuta purulenta necrotizzante con periappendicite.
I giornata post operatoria:
Piretico, addome moderatamente disteso, poco trattabile.
La sera: perdita ematica di lieve entità (sangue rosso vivo) a livello perianale.
II giornata post operatoria:
Casi peritali simulati e commentati
131
Nelle prime ore del mattino: presenta enterorragia (sangue color vinaccia+coaguli,
~30 cc). Parametri vitali nella norma. Addome piano, dolente diffusamente alla
palpazione con modica reazione di difesa, peristalsi presente a sinistra. Hb ~10.
Dopo ~45 min: colorito pallido. Emodinamica stabile, tachicardico. Alvo: abbondante quantità di sangue colore rosso vinoso. Oliguria. E.R: notevole quantità
di sangue, anche coagulato, rosso bruno. Anemizzazione. Si pone indicazione a
intervento chirurgico urgente.
Dopo circa altre 2 ore: intervento (2):
Si riapre la laparotomia sec Mc Burney e la si prolunga in direzione craniale e
caudale. All’apertura del peritoneo presenza di discreta quantità di sangue di
colore rosso-vinoso. Si esteriorizza con difficoltà il cieco con l’ultima ansa ileale.
Il cieco appare è sede di importante ed esteso ematoma, con diffuso infarcimento
emorragico delle pareti, che sono imbibite di sangue. La borsa di tabacco confezionata sul cieco è a tenuta e continente. Si rimuove il filo di sutura della borsa
di tabacco stessa, si apre il moncone appendicolare e si accede al lume del cieco.
Si identifica gemizio di sangue dalla parete di quest’ultimo, in sede immediatamente distale al moncone appendicolare. Si incide longitudinalmente per una
lunghezza di ~3 cm la parete anteriore del cieco esponendo la sede del sanguinamento. Si perfeziona l’emostasi sino a suo completo controllo. Si conferma
l’infarcimento ematico delle pareti del cieco e si constata l’assenza di altre aree
emorragipare. Si esplorano poi la doccia parieto-colica destra ed il retroperitoneo contiguo e si rileva come essi siano modestamente imbibiti di sangue, così
come l’intera parete della regione fossa iliaca destra. Si chiude la breccia della
parete anteriore del cieco con punti staccati.
Entra in reparto di Rianimazione, sedato e intubato, connesso a ventilatore.
Hb ~9,5. Febbrile per tutto il giorno (TA 39°).
V/III giornata postoperatoria:
Puntata febbrile a ~40°. Raffreddamento fisico e paracetamolo e.v. Hb ~9,5.
La sera: si estuba.
Dopo ~1 ora: stridore laringeo e tendenza a tirage intercostale, non risolti da cortisonico e.v. Agitato, sofferente. Previa sedazione e curarizzazione si reintuba per
via nasale. Alla laringoscopia si evidenzia modesto edema cordale. Riprende midazolam, si imposta trattamento cortisonico.
VII/V giornata postoperatoria, estubazione.
Nel pomeriggio: tranquillo con blanda sedazione in corso.
Eupnoico in respiro spontaneo. Addome trattabile, non disteso.
XI/IX giornata postoperatoria: dimissione:
Diagnosi all’ingresso: colica addominale.
Diagnosi di dimissione: Enterorragia; emoperitoneo; esiti di intervento di appendicectomia per appendicite acuta gangrenosa.
132
La responsabilità del chirurgo
In seguito, comparsa precoce di voluminoso laparocele, indicazione a correzione chirurgica.
Dopo ~4 mesi:
Ricovero presso reparto di Chirurgia Pediatrica Ospedale Beta. Intervento di plastica della parete addominale per laparocele con liberazione dell’omento dai bordi
del laparocele e della parete addominale con parziale resezione e liberazione di
aderenze del cieco alla parete addominale. Decorso regolare.
Considerazioni di parte ricorrente:
Solo dopo più di 12 ore dall’ingresso, la mattina del giorno seguente, il bambino fu visitato dal chirurgo pediatra. A questo punto fu rivelata positività del
segno del rimbalzo, espressione di irritazione peritoneale e quindi di peritonite,
a dispetto della successiva immediata negazione: “non segni di peritonismo”,
che rende evidente, attraverso la contraddizione in termini, come il medico che
lo visitò fosse assai incerto nel descriverne l’obiettività clinica, per quanto assai
preoccupante. Fu indicato un intervento chirurgico urgente. Solo allora iniziava
terapia antibiotica ed eseguiva esami urgenti: globuli bianchi ~15’000, PCR >7.
L’intervento chirurgico di appendicectomia aveva ebbe parecchie ore dopo il
ricovero, per una appendicite acuta purulenta necrotizzante con periappendicite, processo che datava da molte ore, se non addirittura giorni, dunque con
grave ritardo. L’intervento chirurgico di appendicectomia risultò indaginoso:
l’isolamento dell’appendice fu fatto, come incontestabilmente dimostrato dalle
sue conseguenze, con manovre incongrue e maldestre che traumatizzavano il
cieco determinando la formazione di un importante ed esteso ematoma della
sua parete, con diffuso infarcimento emorragico e di un emoperitoneo.
Ma la manovra errata che condizionò l’enterorragia e, dunque, la necessità di un
reintervento salvavita ~40 ore dopo è stata la inavvertita trasfissione a tutto spessore del cieco in corso di confezionamento di borsa di tabacco, per affondamento
del moncone appendicolare (quando la corretta tecnica chirurgica prevede la
trasfissione con ago della sola tonaca siero-muscolare) determinante la ressi di
un vaso sul versante endoluminale del viscere, che condizionò una enterorragia
exanguinante, evento di rarità eccezionale a seguito di appendicectomia, e da
escludersi del tutto in presenza di una condotta chirurgica corretta.
Gli errori chirurgici occorsi nel primo intervento determinarono l’imprescindibile
necessità di un reintervento laparotomico, anche questo tardivo, a seguito di importante anemizzazione e di reiterate insistenze dei parenti nelle ore notturne per
una efficace azione da parte di un medico, che aveva superficialmente e vanamente
cercato di tranquillizzarli, che comportò anche di necessità una colotomia per effettuare l’emostasi a livello ciecale, il riconfezionamento di una nuova borsa di tabacco,
e l’allargamento della incisione laparotomica per una estensione più di 5 cm, dunque fino al fianco destro, vista la piccola taglia del paziente. A seguito del secondo
intervento fu necessario il trasferimento in Rianimazione, l’incannulamento di vene
centrali (2), un lungo periodo di respirazione assistita dopo intubazione tracheale (2
Casi peritali simulati e commentati
133
volte), ripresa dopo un primo infruttuoso tentativo di estubazione.
Nel post-operatorio la temperatura corporea raggiunse i ~40°, come complicanza della grave peritonite; il circolo, ipoteso, è stato sostenuto da amine.
L’evoluzione favorevole quoad vitam non evitò la formazione precoce di un importante laparocele post-operatorio, del tutto invalidante per la partecipazione
alle attività ludiche, sociali e sportive del bambino, che richiese la correzione
chirurgica con un nuovo intervento in anestesia generale (il terzo in 4 mesi) presso l’Ospedale Beta e reso indaginoso dalle aderenze precocemente createsi tra
cieco, omento e parete addominale quali conseguenze inevitabili della peritonite
tardivamente trattata, dell’emoperitoneo e del trauma iatrogeno ciecale conseguenza del primo intervento all’Ospedale Alfa e del reintervento ivi subito a
causa delle gravi complicanze determinate dal primo.
Considerazioni del CTU:
La condotta medica censurabile e causalmente rilevante è da riferire al primo
intervento chirurgico, quando, sezionata l’appendice e affondato il moncone residuo nel cieco, il chirurgo procedette al confezionamento della borsa di tabacco.
L’atto codificato in letteratura prevede la trasfissione del viscere con punti siero-muscolari, quindi con assoluto risparmio della parete mucosa, per evitare la
formazione di comunicazioni tra cavo peritoneale e lume viscerale.
Ciò non si verificò: per un errore l’operatore oltrepassò il piano muscolare, trapassando anche la superficie mucosa, per cui il filo di sutura si trovò parcellarmente ad aggettare direttamente nel cavo viscerale, creando un tramite, da cui
iniziò a riversarsi per gemizio il sangue proveniente da un’arteriola di parete,
lacerata nel corso dell’applicazione dei punti di sutura.
Ciò diede origine all’enterorragia con anemizzazione del minore, che rese conto
della necessità del secondo intervento chirurgico, scevro di censura, complicatosi per un iniziale quadro di shock settico, poi risolto con le opportune terapie.
Dall’imperizia tecnica stigmatizzata derivò un prolungamento della malattia
temporanea biologica, rispetto a quanto di media osservazione per il trattamento dei casi di appendicite acuta, nonché un maggior danno permanente rispetto
al trattamento chirurgico standard, in termini di mortificazione dei tessuti viscerali e di parete: invalidità temporanea biologica: ~20 giorni in misura assoluta,
~20 giorni al 75%, ~20 giorni al ~50% e ~20 giorni al 25%; danno non patrimoniale
di natura biologica permanente del ~6%.
Sintesi:
Il CTU medico legale, senza un co-CTU chirurgo, fa del tutto sua l’ipotesi circa il determinismo del danno in termini di errore chirurgico, sia pure con una ricostruzione
poco verosimile; nega l’importanza del ritardo nell’eseguire l’intervento per appendicite gangrenosa, dimostrando una non adeguata padronanza dell’argomento.
Per un bambino di 4 anni trattato anche in rianimazione e sottoposto a 3 interventi chirurgici è riconosciuto un danno permanente in pratica corrispondente
quasi solo agli esiti cicatriziali.
La responsabilità del chirurgo
134
2.4 Chirurgia delle ernie
Caso 16
Ernia inguinale strozzata, mancato trattamento,
exitus (penale)
Consulenti del PM:
un chirurgo, un anatomopatologo.
Vicenda clinica:
Maschio quasi 50 anni; Nel pomeriggio del giorno dell’esordio dei sintomi la
moglie si recò presso lo studio del dott. X, medico di Assistenza Primaria, riferendo, con parole sue, la situazione clinica del marito. Egli, senza visitare il
paziente, prescrisse un antiemetico (metoclopramide) e rilasciò un certificato di
malattia con diagnosi di astenia e la prescrizione di una settimana di riposo.
Da questo momento trascorse più di un giorno senza ulteriori provvedimenti.
La sera del giorno successivo il medico della Guardia Medica, dott. Y, somministrò ancora metoclopramide e.v. senza fare diagnosi: questo verosimilmente
perché nel corso della visita non esplorava la regione inguino-scrotale (ovvero
non abbassava i pantaloni del paziente quel tanto da poterla esporre), e comunque poco dopo il paziente fu trasferito in ambulanza in Pronto Soccorso. Qui
giungeva agonico, in arresto respiratorio e bradisistolia, né valevano le manovre rianimatorie ad evitarne il decesso, per le conseguenze di un’ernia inguinale
strozzata non riconosciuta con necrosi e gangrena di un’ansa ileale, cui seguiva
uno shock irreversibile.
Considerazioni dei CT del PM:
Un deceduto per un’ernia inguinale incarcerata è un evento da considerarsi oggigiorno eccezionale, dal momento che la diagnosi di ernia strozzata è assai facile, purché il paziente sia visitato da un medico, e tale condizione patologica,
quando ancora non complicata, può essere trattata agevolmente e con successo,
in regime di urgenza, in qualunque ospedale.
Inoltre, la sintomatologia da essa condizionata è così importante, in termini di sintomatologia dolorosa, comparsa di massa dolente in regione inguinale e scrotale,
disidratazione, vomito da occlusione intestinale, fino alla morte, da rendere incomprensibile che nel lasso di tempo intercorso tra esordio dei sintomi ed exitus (circa 2
giorni), il paziente non si sia recato da un medico o, meglio, in Ospedale, cosa che,
vi è da ritenere, gli avrebbe salvato la vita. Infatti, un tempestivo intervento avrebbe
consentito una completa guarigione con restitutio ad integrum nel giro di pochi giorni.
Le responsabilità dell’accaduto sono:
Casi peritali simulati e commentati
•
•
•
135
del paziente stesso, che a fronte di tale importante manifestazione clinica
avrebbe dovuto tempestivamente farsi visitare da un medico;
dei suoi familiari, che non hanno efficacemente provveduto affinché questo
avvenisse;
del dott. X, che ha emesso un certificato con diagnosi errata senza visitare
il paziente.
Il dott. Y, pur non facendo diagnosi e praticando erronea terapia, non può essere
considerato responsabile di un danno, in quanto il paziente era già nella fase
terminale di una condizione patologica ormai divenuta irreversibile.
Per quanto riguarda le modalità di trasporto del paziente in Ospedale (con sedia
e non con barella) e senza l’utilizzo di sirene, vi è comunque da ritenere che queste non abbiano influito sull’avvenuto decesso del paziente, ormai inevitabile.
Considerazioni di parte indagata e poi imputata:
Nega che il Dr. X non abbia visitato il paziente, senza fornire ulteriori dettagli
sul risultato della visita.
Conclusioni del procedimento penale:
Condanna del Dott. X (recidivo) per omicidio colposo.
Sintesi:
È quindi possibile che in anni molto recenti si verifichi, in una città italiana capoluogo di provincia, un decesso per le complicanze di un’ernia inguinale non
trattata. Qui concause sono l’irresponsabilità del paziente (che la sera prima del
decesso aveva insistito nel voler vedere in TV evento sportivo, con un’ansa ileale
in necrosi nello scroto) senza andare dal medico; la moglie, che aveva preteso
dal medico una certificazione di malattia “al buio” di malattia; il medico stesso
che l’aveva rilasciata senza visitare il paziente per una patologia che, il giorno
seguente, ne avrebbe causato la morte.
Caso 17
Ernioplastica inguinale, lesione dello SPE
Consulenza Tecnica d’Ufficio:
un medico legale, un chirurgo.
La responsabilità del chirurgo
136
Vicenda clinica:
Donna di circa 30 anni. Intervento in anestesia spinale di alloplastica sec. Kugel per
ernia inguinale indiretta. Rientra in Reparto dalla Sala operatoria la sera dello stesso
giorno. Nella notte, dal diario Infermieristico (senza menzione dell’ora) si annota che
la paziente dopo anestesia spinale non riesce ad appoggiare il piede omolaterale.
I giornata post operatoria, mattino:
Anestesista: la paziente riferisce di non sentire la gamba. Anestesia spinale effettuata ieri sera. Deficit sensitivo motorio territorio dello sciatico popliteo esterno (SPE).
Dopo ~3 ore:
Permane deficit della dorsiflessione piede Visita neurologica: da ieri lamenta difficoltà alla flesso-estensione del piede Riferita in passato lombosciatalgia in tale
lato. EO: Mingazzini ben tenuto arti superiori ed inferiori. Deficit alla flesso-estensione e alla rotazione esterna del piede Deficit di sensibilità sul dorso del piede.
Possibile deficit nel territorio radicolare di L5 con sofferenza del peroneo comune.
Visita fisiatrica: Riferisce difficoltà alla deambulazione e nella flesso-estensione
del piede EO: difficoltà di deambulazione per deficit dorsi-flessione del piede
Impossibile la deambulazione in talo, inoltre deficit della lateralizzazione piede
Inizia trattamento riabilitativo. Si consiglia anche molla di Codevilla e programmare EMG arti inferiori e RNM L5.
Dopo ~2 mesi,
RNM colonna lombosacrale: a livello di L4-L5 minima protrusione discale paramediana intraforaminale destra che entra in contatto con la radice di L5.
EMG: Segni di denervazione in fase attiva in tutti i muscoli esaminati specie nel
tibiale ant., tibiale post., gemello lat., peroneo lungo L’esame è indicativo di una
sofferenza radicolare L5 e meno marcata S1 post-gangliare.
Visita chirurgica: Dolore alla pressione del tubercolo pubico in relazione alla
difficoltà di deambulazione.
Visita fisiatrica, conclusioni: si consiglia ciclo di rieducazione motoria e di rieducazione del cammino + ciclo di terapia stimolante TA-EPA-CCD.
Dopo ~3 mesi, visita neurochirurgica:
Deficit EPA e TA da paresi dello SPE. Si consiglia: TAC L3-S1; ecografia cavo
popliteo, prosegue FKT.
Visita fisiatrica: diagnosi: deficit SPE di ndd.
Progetto riabilitativo: rieducazione neuromotoria+ES.
EMG: m. tibiale ant, peroneo lungo dx: attività spontanea assente. Attività volontaria non evocabile. M. tibiale post, bicipite femorale, gemello mediale: att.
spontanea assente. Potenziali di U.M di durata e ampiezza nella norma, reclutati
in quadro di transizione proporzionale allo sforzo. L’esame può essere indicativo di una sofferenza del n. SPE.
Casi peritali simulati e commentati
137
A ~5 mesi dall’intervento: ecografia parti molli nella norma al poplite.
Dopo ~1 anno, Visita chirurgica: dolore in sede inguinale da 1 mese. Obiettività negativa.
Dopo ~2 anni:
Per parestesie arto inf EMG sofferenza neurogena di vecchia data tibiale ant e la paziente è guarita da tale patologia. Nell’immediato postoperatorio si è evidenziato un
grave deficit del nervo sciatico popliteo esterno (SPE). La paziente non solleva il piede, con deficit completo della flessione dorsale. Trattasi di lesione di tipo neuroprassico, tipica dei malposizionamenti (d.d. con lesione legata alla anestesia spinale).
Ipotesi: compressione del nervo a livello del capitello peroneale o lesione da
stiramento del nervo per eccessiva e prolungata flessione plantare del piede. La
patogenesi può essere correlata ad incongrue manovre perioperatorie che hanno
determinato postumi permanenti. Sono dovute a stiramento o/a compressione
di nervi periferici vulnerabili, si verificano spesso in Trendelemburg spinto.
L’anestesista Dr. X consegna al suo avvocato una nota in cui descrive nel dettaglio le
modalità di esecuzione di anestesia spinale da lui praticate alla paziente in oggetto.
Conclusioni dei CTU:
Attualmente impossibilità di flettere dorsalmente il piede e di estendere le dita
(quadro di piede cadente), con andatura a steppage e anestesia della parte antero-esterna della gamba e del dorso del piede. Danno biologico del 20%.
Sintesi: malgrado l’incertezza sul determinismo intraoperatorio della lesione
dello SPE, laddove l’ipotesi del malposizionamento risulta la preponderante, si
riconosce il nesso causale, valutandone il danno biologico permanente.
2.5 Chirurgia gastroenterologica
Caso 18
Colecistite acuta alitiasica in cardiopatico, terapia medica, exitus
Consulenza Tecnica d’Ufficio:
un medico legale, un chirurgo
Vicenda clinica:
Maschio di ~75 anni, con ambulanza giunge al Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa.
PA 95/70. Da 6 giorni comparsa di dolore epigastrico e alvo chiuso alle feci. Saltuari
dolori addominali. Assume Dilatren, Cordarone, Monoket, Enapren, Lasix, Ticlopidina, Statina, Nexium, Sintrom, Spiriva. Insulina. Diabetico, iperteso, BPCO, AAA,
138
La responsabilità del chirurgo
defibrillatore, ernioplasica inguinale destra. Addome globoso, meteorico con laparocele, trattabile né dolente né dolorabile alla palpazione profonda, Blumberg, Murphy e Giordano negativi. Glicemia >250; azotemia>240; creatinina >7; GGT >110;
CPK>230; PCR >170; WBC ~13, neutrofili >~90%. Si evidenzia IRA su IRC.
Visita Internistica: in anamnesi ipertensione arteriosa; dislipidemia; DM tipo
2; impianto di due stents medicati, impianto di PM bicamerale, dimesso con
FE del 35%; successivo ricovero per NSTEMI, restenosi intrastent trattata con
PTCA+BMS, nella stessa seduta operatoria PTA+ stent su arteria iliaca esterna e
su arteria renale cerebrovasculopatia ATS diffusa con ateromasia carotidea non
critica; dal 2009 FA in TAO; aneurismectomia addominale; bronchite cronica
ostruttiva con riacutizzazioni; IRC; impianto di ICD biventricolare. Terapia con
metformina, Sintrom per FA cronica.
Diagnosi: Disidratazione con marcata IRA/IRC; sospetta IVU. Indicato ricovero
in UO di Medicina. Si consiglia l’esecuzione di eco addome completo per escludere uropatia ostruttiva. Il paziente rimane in Pronto Soccorso. La sera, visita rianimatore: diuresi contratta. Elevati valori di creatininemia ed azotemia. PA 80/50.
Non attuali indicazioni a trattamento rianimatorio-intensivistico. Utile posizionamento di catetere per monitorare la diuresi. Idratazione e controllo pressorio.
Dopo circa 2 ore: PA 65/35.
Dopo circa 30 min:
Visita cardiologica: IRA con quadro di disidratazione e verosimile sepsi. Collateralmente consiglio di eseguire il prima possibile gli accertamenti per la
problematica addominale.
Il giorno successivo
Il paziente è ancora in Pronto Soccorso, nel corso della notte persiste lo stato ipotensivo. Azotemia>250; creatinina ~7; PCR ~180; WBC >10; N 90%.
TAC addome: colecisti sovradistesa, materiale iperdenso declive a livello del corpo
e della porzione infundibolare, con pareti ispessite in presenza di falda fluida: il
quadro risulta compatibile con colecistite acuta. Nel diario clinico manca l’obiettività clinica. Dieta leggera completa. Fisiologica 500 ml e.v + elettrolitica 500 ml e.v.
Il giorno dopo
Peggioramento acuto della funzione renale in IRC secondaria a nefroangiosclerosi diabetica. Il peggioramento risulta verosimilmente legato a quadro infettivo
e disidratazione (pz con addominalgia e inappetenza, non veniva riportata l’obiettività addominale). Creatinina >7; GGT ~100.
Il giorno successivo
Nel diario clinico non veniva riportata l’obiettività addominale. PCR ~280; WBC
18,0; N 90%.
A ~4 giorni dal ricovero:
Ecografia dell’apparato urinario: i reni presentano ridotto spessore della cornice
Casi peritali simulati e commentati
139
parenchimale e dimensioni ai limiti inferiori di norma. Collateralmente: colecisti sovradistesa con pareti ispessite e irregolari contenente abbondante fango in
sede infundibulare; piccola raccolta fluida pericolecistica e periepatica: reperti
compatibili con flogosi acuta.
Circa 5 giorni dopo il ricovero:
WBC ~27000; PCR ~250. Murphy +.
Visita chirurgica: addome trattabile dolente alla palpazione in ipocondrio destro.
Murphy +, laparocele mediano. Non urgenze chirurgiche in atto. Si consiglia eseguire colangio RMN.
Dopo 3 giorni:
Murphy +. Creatinina > 5; albumina > 2; GGT >160; PCR >190; WBC > 20; Neutrofili ~90%.
Dopo 2 giorni: Persiste addominalgia.
Rx torace: vasto focolaio congestizio in regione mediobasilare destra. Nel diario clinico non veniva riportata l’obiettività addominale.
Il giorno successivo, ecografia addome:
Sovradistensione della colecisti con diametri di ~80 x 50 mm, a pareti ispessite,
contenente detriti a fango biliare.
Il giorno dopo e quello dopo ancora nel diario clinico non fu riportata l’obiettività addominale. Dieta leggera. Glucosata 5% 500 ml + fisiologica 500 ml +
Freamine 500 ml e.v.
Anche il giorno successivo: Nel diario clinico non fu riportata l’obiettività addominale.
Dopo 3 giorni, visita chirurgica:
Paziente asintomatico, addome trattabile non dolente, Murphy – alvo canalizzato a
feci e gas. Non indicazioni ad intervento chirurgico.
Il giorno successivo: nel diario clinico non veniva riportata l’obiettività addominale.
Il giorno successivo
ACC ed exitus dopo più di 20 giorni di ricovero per arresto cardio circolatorio.
Dalla relazione clinica di dimissione: diagnosi di colecistite acuta litiasica; disidratazione con grave IRA, scompenso cardiaco cronico, dissociazione elettromeccanica.
Considerazioni di parte ricorrente:
Il paziente è deceduto, dopo più di 20 giorni di ricovero, per le conseguenze di una
sepsi incontrollata dovuta al mancato trattamento di una colecistite acuta alitiasica.
Le complicanze della sepsi sono state, nell’ordine: peritonite circoscritta, disidrata-
140
La responsabilità del chirurgo
zione con insufficienza renale acuta, compromissione cardio-respiratoria irreversibile (esteso focolaio broncopneumonico medio-basale destro, versamento pleurico,
sovraccarico del circolo polmonare) con aggravamento dell’insufficienza cardiaca.
La diagnosi di dimissione (morte) è di colecistite acuta litiasica, palesemente
errata: infatti mai, né nella TAC addome né nelle due ecografie eseguite viene riportata la presenza di calcoli, ma solo di materiale denso ecogenico, quindi riferibile a detriti esito della flogosi acuta della colecisti (verosimilmente un empiema di colecisti acalcolosa seguito da necrosi parietale del viscere). All’ingresso in
Ospedale il paziente era gravemente ipoteso, ed è stato tenuto in Pronto Soccorso per circa 1 giorno senza monitoraggio intensivistico, addirittura denegato da
una visita anestesiologica (con PA ~70/30, oligoanurico ed acidosi metabolica).
In tale situazione, in noto cardiopatico, non si posizionava un catetere venoso centrale, indispensabile per la misurazione della PVC (monitoraggio fondamentale della
volemia, e necessario anche per la nutrizione parenterale totale, colpevolmente mai
somministrata, in un paziente che non poteva e non doveva alimentarsi per os, dopo
una settimana di digiuno a domicilio, con un importante processo settico in corso).
Infatti, il paziente non è mai stato adeguatamente nutrito, anche per opporsi ai
fenomeni catabolici in atto: per tutto il periodo di ricovero è stato lasciato a dieta
idrica e leggera alipidica ipoproteica con saline da vena periferica e 500 ml di
Freamine per alcuni giorni, quindi senza un adeguato apporto calorico.
Di fatto il paziente è stato 1 mese senza essere alimentato, quasi inevitabilmente
destinato alla morte per inedia se non per l’avvenuta intercorrenza di altri motivi.
La colecistite acuta alitiasica è stata inutilmente trattata con la sola terapia antibiotica, a fronte di una storia clinica datante all’ingresso già da alcuni giorni, in assai
probabile presenza di lesioni (ischemiche) irreversibili, dunque richiedenti imperativamente un trattamento chirurgico d’urgenza, colecistectomia o colecistostomia
percutanea (eco o TAC-guidata), procedure da ritenersi salvavita nel caso in oggetto.
La colecistite acuta alitiasica (senza calcoli) consegue a situazioni che promuovono,
con modalità varie, una ridotta perfusione del viscere con conseguenti precoci fenomeni di ischemia ed evoluzione verso la necrosi parietale e alla perforazione. Tra di
esse vi sono l’età avanzata, l’aterosclerosi, il diabete, tutti fattori predisponenti di cui
era portatore il paziente. Nel 72% dei casi coesistono gravi patologie cardiovascolari.
La stasi biliare endocolecistica promossa fondamentalmente dal digiuno, condizione
che si verifica spesso nelle condizioni sopracitate, si associa a mancata contrazione
della colecisti e riassorbimento della componente idrica della bile, che diventa particolarmente densa fino a formare concrezioni. In tal modo si verifica una condizione
di ostacolo allo svuotamento, che innesca una catena di eventi simili a quelli che si
verificano nella flogosi litiasica. Il processo patologico è, però, di solito più rapido di
quello della colecistite calcolosa, progredendo verso la gangrena e la perforazione.
Dal punto di vista sintomatologico, nella flogosi alitiasica, tanto il dolore spontaneo quanto la dolorabilità e la reattività in epigastrio ed ipocondrio destro, che
sono di riscontro costante nella forma litiasica, oltre che assenti nel 20-25% dei
casi, raggiungono un livello di espressività minore.
Infatti, nei pazienti critici, la comparsa di una febbre non altrimenti spiegata
Casi peritali simulati e commentati
141
può costituire l’unico segno di una colecistite alitiasica64. La conoscenza di questo dato deve allertare maggiormente il medico, che non deve farsi ingannare
da quelli che sembrano transitori miglioramenti sintomatologici ma che celano
invece una situazione anatomopatologica anche gravissima (gangrena e perforazione) che deve essere obbligatoriamente riconosciuta.
Alla ecografia sono attribuite sensibilità del 92% e specificità 89-100% nella diagnosi di colecistite acuta acalcolosa.65,66 La accuratezza della TAC per tale diagnosi è sovrapponibile a quella della ecografia67.
Il pronto trattamento chirurgico della colecistite acuta alitiasica è imperativo in
quanto l’evoluzione è verso la gangrena e la perforazione 68. Quando il trattamento è ritardato la mortalità può raggiungere il 75% 69. Sulla necessità della
colecistectomia d’urgenza non esistono controversie nella trattatistica e nella letteratura internazionale.70,71,72 La terapia antibiotica da sola è da considerarsi un
trattamento insufficiente, essendo necessaria la rimozione del pus e della parete
in gangrena. A seguito del trattamento, la mortalità complessiva della colecistite
acuta alitiasica è di circa il 30%. Laddove si ritenga che le condizioni generali del
paziente non siano permittenti alla esecuzione di una anestesia generale, per eseguire la colecistectomia, è possibile realizzare un drenaggio colecistico, atto a rimuoverne il contenuto infetto, posizionando un catetere nel lume della colecisti,
in anestesia locale, su guida ecografica o TAC. La colecistostomia d’emergenza
è una procedura mininvasiva salvavita nella colecistite acuta, eseguibile anche
“bedside”, al letto del malato, anche in Terapia Intensiva o in Rianimazione.73,74,75
64 Kalliafas S: Acute acalcolous cholecystitis: incidence, risk factors, diagnosis and outcome.
Am Surg 64:671, 1998.
65 Barie PS: Acute acalcolous cholecystitis, Gastroenterol Clin North Am 39:343, 2010.
66 Huffman JL: Acute acalcolous cholecystitis: a review. Clin Gastroenterol Hepatol 8:15,2010.
67 Mirvis SE: The diagnosis of acute acalcolous cholecystitis: a comparison of sonography,
scintigraphy, and CT. AJR 147:1171, 1986.
68 Kalliafas S, Op cit; Barie PS, Op cit.
69 Cornwell EE: Acute acalcolous cholecystitis in critically injuried patients. Preoperative
diagnostic imaging. Ann Surg 210:52, 1989.
70 Jackson PG: Acute acalcolous colecystitis.In Sabiston Textbook of Surgery, 1501.
71 Elsey JK: Acute cholecystitis. In: Cameron JL: Current Surgical Therapy, 386, Elsevier 2014.
72 Staudacher C: Colecistite acuta. In: Di Carlo V, Andreoni B, Staudacher C: Manuale di
Chirurgia d’Urgenza e Terapia Intensiva Chirurgica, 715, Masson 1993.
73 Jurkovich GJ: Cholecystostomy. Expected outcome in primary e secondary biliary disorders. Am Surg 54:40, 1988.
74 Chung YH: Can percutaneous cholecystostomy be a definitive management for acute
acalcolous cholecystitis? J Clin Gastroenterol 46:216, 2012.
75 Simorov A: Emergency cholecystostomy is superior to open cholecystectomy in extremely
ill patients with acalcolous cholecystitis: a large multicenter outcome study. Am J Surg
206:935, 2013.
La responsabilità del chirurgo
142
La puntura della colecisti in questi pazienti, associata al drenaggio percutaneo,
costituisce anche una importante manovra diagnostica, atta a valutare il contenuto della colecisti (pus, sangue etc) fondamentale per tempestivamente, ed
adeguatamente, indirizzare la terapia.76,77,78,79
Circa il 90% dei pazienti trattati con colecistostomia percutanea va incontro ad
un miglioramento clinico; inoltre essa può essere considerata, in casi selezionati,
una procedura “ponte” in attesa di poter eseguire la colecistectomia.80
Nel caso del de cuius un trattamento chirurgico, seppur minimamente invasivo
(colecistostomia percutanea), non è stato mai preso in considerazione, quando
già all’ingresso avrebbe dovuto essere realizzato. Il paziente è stato sottoposto
a TAC addome dopo circa 1 giorno dall’ingresso in Pronto Soccorso, e, fatta la
diagnosi, non veniva visitato da un chirurgo, che invece lo visiterà solo dopo
una settimana, e che poi dopo circa 20 giorni negherà indicazioni alla chirurgia,
malgrado l’espressività dei reperti di immagine ed i dati di laboratorio (PCR,
leucociti,) significativamente alterati.
L’esame più idoneo a studiare la colecistite acuta, ovvero l’ecografia addominale, verrà inspiegabilmente eseguita solo 5 giorni dopo l’ingresso in Ospedale, tra
l’altro richiesta per una valutazione dell’apparato urinario, e non condizionerà
nessuna modifica della strategia terapeutica. Il problema della colecistite acuta
sottostante, vero motivo di innesco della gravissima sindrome appalesatasi, e
che ha condotto a morte il paziente, veniva da tutti completamente dimenticato.
Tale affermazione è confermata dal fatto che, nel corso dei suoi circa 20 giorni
di degenza prima del decesso, l’obiettività addominale non veniva riportata in
cartella clinica per 15 giorni. In conclusione, il mancato trattamento chirurgico
della colecistite acuta alitiasica (colecistectomia vs colecistectomia percutanea
di emergenza), il mancato trattamento intensivistico con monitoraggio (anche
invasivo) dei parametri vitali, la mancanza di una corretta nutrizione per via parenterale (TPN) hanno precluso al paziente ogni possibilità di aver salva la vita.
Considerazioni dei CTU:
La colecistectomia sarebbe stata gravata da un rischio assai elevato, ma la gestione clinica, lacunosa, lo ha verosimilmente privato della possibile alternativa
76 Browning PD: Percutaneous cholecystostomy for suspected acute cholecystitis in the hospitalized patients. J Vasc Interven Radiol 4:531, 1993.
77 Boland GW: Percutaneous cholecystostomy in critically ill patients: early response and
final outcome in 82 patients. AJR 163:339, 1994.
78 McGahan JP: Percutaneous cholecystostomy: an alternative to surgical cholecystectomy
for acute cholecystitis? Radiology 173:481, 1989.
79 McGahan JP: Invasive ultrasound principles (biopsy, aspiration and drainage). In: Diagnostic Ultrasound, 100, Informa, 2008.
80 Jakson PG, Op cit.
Casi peritali simulati e commentati
143
terapeutica costituita dalla colecistostomia percutanea, gravata da complicazioni gravi nel 4% dei casi. Alla procedura può conseguire un successo clinico in
una buona percentuale dei casi, fino all’86% di remissione clinica entro 3 giorni,
e può anche rappresentare un trattamento ponte fino alla colecistectomia, con
mortalità a 30 giorni del 6-25%, con una media del 11-14%, variabile a seconda
delle comorbilità del paziente.
La colecistostomia percutanea avrebbe potuto costituire un’opportunità terapeutica che, insieme ad un monitoraggio più serrato in Terapia Intensiva, particolarmente all’affacciarsi della compromissione respiratoria, avrebbe potuto
dare maggiori chances di sopravvivenza.
Qui la colecistite acuta alitiasica, patologia di per sé grave e presente generalmente in
pazienti con seria comorbilità, è stata sottovalutata nella sua reale gravità, particolarmente nella sua preminente responsabilità patogenetica della condizione del paziente.
Anche una osservazione chirurgica più serrata, se non giornaliera, avrebbe dovuto cogliere ad horas variazione dell’obiettività dove, invece, per giorni addirittura,
non viene riportato in diaria alcun rilievo dell’obiettività addominale. Il paziente
avrebbe poi tratto giovamento dal trasferimento in un reparto di terapia intensiva.
È certo infatti che l’iniziale condizione settica determinata dalla colecistite è rimasta strisciante nel prosieguo del decorso clinico fino all’insorgere del repentino aggravarsi del quadro respiratorio e della sua evoluzione letifera.
La non sinergica osservazione medico/chirurgica e il non completo trattamento
hanno tolto al paziente quella seppure modesta chance, quantificabile orientativamente nel 30% di guarire dalla colecistite, di per sé gravata, per le comorbilità presenti, di una prognosi poco fausta (10-20% nei pazienti anziani con comorbilità).
Inoltre, la spettanza di vita del paziente, settantaseienne, in ragione del quadro clinico generale, non sarebbe stata pari a quella di un soggetto di pari età sostanzialmente sano (pari a 80,6 anni secondo i dati ISTAT), ma assai presumibilmente inferiore.
Osservazioni di parte ricorrente:
I CTU citano autorevole letteratura che afferma: la colecistite, di per sé gravata,
per le comorbilità presenti, di una prognosi poco fausta (10-20% di mortalità dei
pazienti anziani con comorbilità): ma una malattia con l’80-90% di possibilità di
guarigione deve esser considerata avere una prognosi poco fausta?
La semplice procedura di colecistectomia percutanea avrebbe potuto assicurargli una remissione clinica in 3 giorni (86% dei casi), con una mortalità stimabile,
tenuto conto anche delle comorbilità, del 14%.
Quindi il paziente, se correttamente trattato, avrebbe potuto guarire dalla colecistite alitiasica (e non litiasica), e sopravvivere, secondo il criterio “del più
probabile che non” con una percentuale notevolmente superiore al 50%.
Conclusioni:
Accordo stragiudiziale con risarcimento ai ricorrenti di più di 120’000 euro.
La responsabilità del chirurgo
144
Sintesi:
A seguito delle osservazioni di parte ricorrente il Giudice ha chiamato i consulenti
a chiarimenti. In tale circostanza gli sono state spiegate le contraddizioni della consulenza, e soprattutto l’incongruenza delle percentuali di guarigione/sopravvivenza
dalla colecistite acuta alitiasica, e l’apoditticità della valutazione percentuale della
perdita di chances, senza peraltro ottenere risposte. Nelle more dell’attesa di illimitati rinvii le parti hanno raggiunto l’accordo economico di cui sopra, probabilmente
discostantesi nella sua entità rispetto a quanto scientificamente prevedibile.
Caso 19
Duodenocefalopancreasectomia (DCP)
per pancreatite cronica autoimmune
Vicenda clinica:
Maschio di quasi 80 anni, seguito di comparsa di ittero eseguiva ecografia addominale che dimostrava dilatazione delle vie biliari intraepatiche, il lume del
coledoco contiene sabbia biliare ed appare compresso nella porzione terminale
da formazione non ben delimitabile (processo uncinato del pancreas?). Wirsung
non dilatato. Da un mese nausea ed inappetenza, calo ponderale di ~4 Kg.
Bilirubina tot. >4,5, diretta 4; AST >290; ALT >430; GGT >1800; fosfatasi alcalina ~420.
Ricovero in reparto di Gastroenterologia dell’Ospedale Alfa
TAC addome: Aspetto disomogeneamente ipodenso della testa pancreatica e
dell’uncinato, conservati i piani adiposi di clivaggio tra ghiandola pancreatica
e vasi mesenterici. Non evidente dilatazione del Wirsung. Dilatazione delle vie
biliari intraepatiche, con coledoco di calibro di 14 mm in sede ilare, che presenta
brusca riduzione di calibro a livello del tratto intrapancreatico. Colecisti sovradistesa, a pareti sottili, esente da calcoli calcifici. Sospetta neoplasia della testa del
pancreas, meritevole di valutazione con ecoendoscopia.
Ricovero presso Ospedale Beta
Ecoendoscopia: Papilla di Vater di aspetto regolare che drena bile scura.
Al passaggio testa-istmo pancreatico, a ~22 mm dalla papilla di Vater, si osserva area
ipocogena, disomogenea, a margini sfumati, non ben definiti, di aspetto infiltrante
verso il parenchima circostante e l’adipe peripancreatico, di ~ 20 x 18 mm, scarsamente vascolarizzata e rigida all’applicazione dell’elastosonografia.
La disomogeneità tissutale giunge in prossimità della vena porta per un tratto
di ~7 mm, senza chiari segni di infiltrazione della stessa. La confluenza mesenterico-portale mantiene un calibro regolare. Ricca vascolarizzazione in sede periferica alla lesione. Il coledoco si occlude in corrispondenza di tale lesione pre-
Casi peritali simulati e commentati
145
sentando dilatazione a monte sino a 13 mm. Al suo interno materiale ecogeno
mobile, compatibile con sludge. Il Wirsung non appare stenosato dalla lesione,
con un calibro di 1.1 mm al corpo. Multiple linfoadenopatie all’ilo epatico oltre
a falda di versamento in sede peripancreatica. Vie biliari intraepatiche di sinistra
dilatate, alcune di esse contenenti materiale iperecogeno mobile. Colecisti distesa contenente sludge biliare. Si esegue agoaspirato con ago da 25 G (1 passaggio)
su linfonodo peripancreatico di circa 8 mm.
Esame citologico: scarsa cellularità di tipo linfonodale ed alcuni aggregati di
cellule epiteliali ghiandolari prive di atipie.
Esame istologico di linfonodo peripancreatico, agobiopsia: scarso materiale
fibrino-ematico inglobante sparsi linfociti di piccola taglia e minuti frammenti
di materiale necro-infiammatorio. Ca 19-9 ~55.
Intervento chirurgico di Duodenocefalopancreasectomia per neoplasia della
testa del pancreas. Voluminosa neoformazione dura a livello della testa del pancreas, che si estende verso la radice del mesentere; anche il restante parenchima pancreatico appare di consistenza aumentata, irregolare, come da processo
flogistico. Esame istologico estemporaneo della trancia di sezione negativo per
neoplasia. Ricostruzione con patico-digiunoanastomosi su ansa esclusa “ad Y”
sec Roux, entero-enteroanastomosi a piè d’ansa.
Diagnosi istopatologica: parenchima pancreatico della testa sede di infiltrato
infiammatorio cronico di tipo linfo-plasmacellulare, a distribuzione disomogenea, associato a fibrosi talora con aspetti storiformi e atrofia acinare secondaria.
La flogosi ha prevalente localizzazione periduttale e in minor misura perilobulare, perineurale, talora perivascolare con immagini del tipo flebite obliterante e
si estende diffusamente al tessuto adiposo peripancreatico.
L’esame in toto del parenchima pancreatico non ha evidenziato la presenza di
neoplasia epiteliale infiltrante. Focale immagine di neoplasia pancreatica intraepiteliale di grado 2 (Pan IN-2). Quadro morfofenotipico nel complesso suggestivo
per pancreatite autoimmune di tipo 1/pancreatite linfoplasmacellulare sclerosante
(AIP tipo 1, LPSP). Linfonodi ilo epatico con iperplasia follicolare reattiva.
Dimissione con diagnosi: pancreatite cronica.
Comparsa diabete tipo 3 (secondario a patologia pancreatica), inizia terapia insulinica.
A distanza di 1 anno il paziente lamenta calo ponderale di 4 kg, diabete insulinodipendente (insorto nell’immediato post-operatorio); urgenza defecatoria con
episodi di diarrea (3-4 volte al giorno).
Considerazioni per parte ricorrente:
Il paziente era portatore di una pancreatite autoimmune (AIP) di tipo 1, variante di
pancreatite cronica. La AIP viene riportata con una varietà di nomi quali: pancreatite
sclerosante, pancreatite tumefattiva e pancreatite destruente non alcolica, in parte dipendenti da reperti specifici ed anche da manifestazioni cliniche extrapancreatiche.
Tuttavia, si ritiene che la eterogeneità di manifestazioni patologiche rappresenti
146
La responsabilità del chirurgo
differenti stadi o manifestazioni della medesima patologia 81. Nei soggetti portatori di AIP si riscontra un valore delle IgG4 sieriche più che raddoppiato rispetto
ai controlli, e si ritiene che le lesioni dell’albero biliare evolute in stenosi siano
dovute a colangite IgG4 associata82.
La AIP può presentarsi con una massa pancreatica, presente nell’85% ei casi 83.
La diagnosi differenziale deve dunque essere posta con il carcinoma del pancreas esocrino e con il linfoma. La manifestazione più comune della AIP è l’ittero
ostruttivo, così come verificatosi nel caso del de cuius.
Il termine di colangite IgG4 correlata è stato proposto per le stenosi biliari in corso
di AIP. I pazienti con AIP sono solitamente maschi anziani che presentano ittero
ostruttivo nel 77% dei casi ed aumentati livelli di IgG4 nel siero nel 74% dei casi84.
La sua corretta diagnosi è volta a trattare le conseguenze della malattia e ad evitare il ricorso ad una chirurgia resettiva inutile. Per fare questo tale malattia deve
essere distinta dal carcinoma del pancreas.85,86
L’esecuzione di una biopsia pancreatica con ago sottile è dunque fondamentale
per la programmazione del trattamento. L’agoaspirato ecoguidato (FNA) sotto
guida ecoendoscopica (EUS) è tecnicamente fattibile nel 90-95% dei casi, con alta
sensibilità e specificità per la diagnosi di carcinoma del pancreas87.
Una meta-analisi condotta su 1860 pazienti ha dimostrato una sensibilità del 92%
ed una specificità del 96% per la diagnosi di carcinoma del pancreas, comunque
fondamentale per la diagnosi differenziale con le altre patologie pancreatiche.88,89
Il suo ruolo è fondamentale sia per la tipizzazione istologica della neoplasia pancreatica (adenocarcinoma, linfoma, tumori neuroendocrini, tumori metastatici)
che per la diagnosi differenziale con patologie pancreatiche benigne (pancreatite
autoimmune, pancreatite cronica).
La ecografia endoscopica (EUS) si è dimostrata negli ultimi anni la tecnica più
81 DiMagno EP: Autoimmune chronic pancreatitis: a plea for simplification and consistency.
Clin Gastroenterol Hepatol 1:421, 2003.
82 Kamisawa T:A new clinicopathological entity of IgG4-related autoimmune disease. J Gastroenterol 38:982, 2003.
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87 Saftoiu A: Role of endoscopic ultrasound in the diagnosis and staging of pancreatic cancer. J Clin Ultrasound 37:1, 2009.
88 Chen J: Diagnostic accuracy of endoscopic ultrasound-guided fine-needle aspiration in
for solid pancreatic lesion: a systematic review. J Cancer Res Clin Oncol 138:1433, 2012.
89 Gavinelli M: Ultrasuoni in Oncologia Chirurgica,159, Masson, 1993.
Casi peritali simulati e commentati
147
accurata per la diagnosi di pancreatite cronica, fino a definire i “Rosemont Criteria” per il suo riconoscimento90.
Nel caso in oggetto, incomprensibilmente, la biopsia in corso di EUS è stata effettuata, invece che a livello della tumefazione della testa del pancreas, su un innocente linfonodo pancreatico descritto ecograficamente come patologico (diam mm 8).
Tale comportamento comportava un misconoscimento della diagnosi di pancreatite autoimmune, procedendo ingiustificatamente, con una sola diagnosi di
presunzione, ad un intervento di duodenocefalopancreasectomia per patologia
infiammatoria, benigna, la cui terapia è solo medica farmacologica.
In ogni caso, anche un intervento, endoscopico o chirurgico derivativo non era
comunque indicato: l’ittero si andava spontaneamente risolvendo, evento che
non si verifica quando l’ostruzione è da causa neoplastica.
Infatti, da valori di bilirubinemia totale di ~4,5 un mese prima dell’intervento il
paziente era sceso a 2,7 (diretta 1,6) il giorno prima dell’intervento chirurgico.
Questo doveva obbligatoriamente far pensare ad una diversa diagnosi, e la chirurgia doveva essere rimandata ed eventualmente attuata solo in presenza di
riscontri cito-istologici certi91.
La TAC con mdc è la metodica diagnostica di prima scelta per la diagnosi di neoplasia pancreatica e di pancreatite cronica, compresa la AIP92. I reperti TAC tipici, o
suggestivi per AIP sono un diffuso aumento di volume del pancreas con margini
indistinti, enhancement ritardato con o senza profilo capsulare93. Invece i reperti
tipici per carcinoma del pancreas sono presenza di massa a ridotta densità, dilatazione o amputazione del Wirsung e atrofia del pancreas distale. Nel caso in oggetto,
nella TAC eseguita preoperatoriamente, si descriveva un aspetto addensato e disomogeneamente ipodenso della testa pancreatica in assenza di aspetti infiltrativi
e con piani di clivaggio conservati. Con questo studio preoperatorio il paziente fu
avviato, con diagnosi di neoplasia della testa del pancreas, ad intervento chirurgico
di duodenocefalopancreasectomia, un intervento demolitivo tra i più complessi e
maggiormente gravato di complicanze di tutta la chirurgia addominale.
Nel frattempo, aveva sottoscritto consenso informato per intervento di DCP con
diagnosi di neoplasia della testa del pancreas, del tutto errata. Il cardine della
terapia è rappresentato dalla terapia cortisonica, con una percentuale di successo dell’87%94, mentre le recidive vengono trattate con Azatioprina, con una per-
90 Catalano MF: EUS-based criteria for the diagnosis of chronic pancreatitis: The Rosemont
Classification. Gastrointest Endosc 69:1251, 2009.
91 Linee guida carcinoma del pancreas esocrino. In: Linee guida Associazione Italiana Oncologia Medica-AIOM 2016.
92 Yang DH: Autoimmune pancreatitis: radiologic findings in 220 patients. Abdom Imaging
31:94,2006; Irie H: Autoimmune pancreatitis: CT and NR characteristics. AJR 170:1323,1998);
Jensen EH:Exocrine pancreas. In: Sabiston Textbook of Surgery, 1529, Elsevier 2012.
93 Chari ST, Op cit.
94 Ghazale A, Op cit; Raina A, Op Cit).
La responsabilità del chirurgo
148
centuale di successo del 46%.95 La DCP ha comportato l’asportazione della testa
del pancreas, del duodeno, della colecisti e di parte della via biliare principale,
determinando un grave ed inutile sacrificio anatomico e funzionale. Inoltre, esso
ha cagionato l’insorgenza di diabete insulino-dipendente di tipo 3 manifestatosi
nell’immediato postoperatorio. Gli esiti cicatriziali dell’intervento, laparotomia
sottocostale bilaterale, hanno una estensione di ~30 cm. Le conseguenze permanenti e stabilizzate si configurano nel danno anatomico, nel diabete, nei disturbi
digestivi (dispepsia e diarrea), negli estesi esiti cicatriziali. Si ritiene che la valutazione del danno biologico permanente sia da valutarsi in misura superiore al 20%.
Conclusioni:
Accordo stragiudiziale con la corresponsione di euro ~50’000.
Sintesi:
Importante intervento demolitivo eseguito per una infrequente patologia infiammatoria cronica del pancreas, diversa dalla classica pancreatite cronica alcolica, manifestatasi soltanto con la comparsa dell’ittero.
TAC ed EUS hanno fornito risultati dubbi, gli agoaspirati preoperatori non sono
stati dirimenti per la diagnosi di carcinoma, e avrebbero dovuto essere ripetuti,
eventualmente anche in sede intraoperatoria con una biopsia estemporanea.
Caso di over treatment da errata diagnosi, concluso con accordo stragiudiziale.
Caso 20
Rottura del pancreas in incidente motociclistico
Consulenza Tecnica d’Ufficio:
CTU un medico legale, un chirurgo.
Vicenda clinica:
Maschio di quasi 20 anni, in seguito ad incidente stradale (moto contro palo)
veniva trasportato con autolettiga presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa.
Si è alzato da solo dopo la caduta. Riferisce addominalgia.
Eseguita ecografia addome negativa per la presenza di lesioni agli organi parenchimali addominali, non liquido libero in addome. Addome poco trattabile
su tutti i quadranti con peritonite. Esami di laboratorio all’ingresso nella norma.
95 Sandanayake NS: Presentation and management of post-treatment relapse in autoimmune
pancreatitis/immunoglobulin G4-associated cholangitis. Clin Gastroenterol 7:1089, 2009.
Casi peritali simulati e commentati
149
Dopo 10 ore
WBC >12 addome dolente diffusamente con aspetto a tavola.
TAC addome: non evidenti lesioni parenchimali focali degli organi addominali,
non sicure falde di versamento libero in addome. Ricovero in Chirurgia il giorno
seguente, WBC ~19.
Ripete TAC addome: presenza di edema peri pancreatico con versamento esteso in pelvi. Testa e processo uncinato ingrandita con diametro complessivo di
circa 45 mm e con struttura disomogenea da riferire ad aspetto contusivo. L’alterazione pancreatica determina compressione sulla C duodenale e sostiene una
gastrectasia. Non liquido libero apprezzabile.
All’EO: addome respirante, segni di difesa alla palpazione superficiale e profonda nei quadranti inferiori. Peristalsi rallentata. Blumberg positivo.
Il giorno seguente:
Addome poco trattabile, diffusamente dolente, dolorabile alla palpazione profonda a livello di quadranti addominali superiori dove si apprezza massa ipomobile, di consistenza duro-elastica. Segni di peritonite.
Amilasi pancreatica >2500; WBC >15.
Due giorni dopo l’incidente
Si decide per laparoscopia esplorativa, quindi laparotomia bisottocostale e toilette
addominale. All’esplorazione si reperta discreta quantità di liquido ematico scuro
libero in cavità ed ematoma a livello del legamento gastro-colico. Conversione
laparotomica per valutare correttamente la regione pancreatico duodenale, con
incisione bisottocostale.
Aperta la retrocavità degli epiploon l’ematoma principale risulta a carico del mesocolon trasverso, con colon di aspetto normale. Il pancreas è integro e edematoso
in corrispondenza del passaggio corpo- testa. Si esegue la manovra di Kocher, si
verifica l’integrità del duodeno iniettando dal SNG soluzione fisiologica con blu
di metilene senza documentare spandimento del colorante, si posiziona sondino
naso digiunale per nutrizione enterale e lo si fa avanzare fino al Treitz. Abbondanti lavaggi della cavità addominale. Posizionamento di 4 drenaggi tipo J-P. Amilasi
pancreatica dal liquido di drenaggio ~40’000.
I giornata postoperatoria: amilasi pancreatica ~1100; WBC 1,7.
II giornata postoperatoria: amilasi pancreatica~400.
III giornata postoperatoria: amilasi pancreatica ~300. Soggettivamente meglio,
addome trattabile, non dolente, amilasi dal drenaggio ~300’000.
VII giornata postoperatoria:
Amilasi dal drenaggio:~340.
TAC addome: marcata diffusa inibizione del tessuto adiposo nel contesto del mesocolon trasverso con presenza di raccolte liquido-corpuscolate nel cui contesto si
150
La responsabilità del chirurgo
riconoscono alcune bolle di densità gassosa extra viscerale. All’istmo-testa del pancreas sono riconoscibili alcune immagini lineari ipodense possibile espressione di
lacerazione del parenchima pancreatico. Versamento pleurico a carico di entrambi
gli sfondati costo-frenici.
VIII giornata postoperatoria:
Va bene, addome trattabile non dolente, dieta idrica.
Colangio RMN: nella sede della nota lacerazione del parenchima pancreatico
si riconosce alterazione iperintensa che si estende cranio-caudalmente per circa
3,5 cm compatibile con raccolta liquida; il dotto di Wirsung appare riconoscibile
solo nel suo tratto prepapapillare e in corrispondenza del corpo-coda.
X giornata post-operatoria ecografia che esclude raccolte peripancreatiche. Disomogeneità della testa pancreatica di 11 mm di diametro ovalare.
Esame culturale di tampone cute positivo per Pseudomonas e Enterococcus.
XIV giornata postoperatoria:
Temperatura ~40°, fuoriuscita di materiale purulento dal tramite di drenaggio
in fianco sinistro.
TAC addome: volumetricamente invariata la disomogeneità del mesocolon riferibile
ad ematoma. In ipocondrio destro raccolta di densità liquido- corpuscolata con diametri massimi di ~ 5 × 2 cm nel cui contesto si riconoscono microbolle aeree da riferire in
prima ipotesi a raccolta ascessualizzata. Addome piano, trattabile non dolente né dolorabile. Peristalsi presente. Si medica: permangono secrezioni purulente. Dieta libera.
XXIII giornata postoperatoria:
Addome piano, trattabile, non dolente né dolorabile, peristalsi presente, alvo
canalizzato i gas e alle feci. Dieta per os ben tollerata, Si medica ferita in fianco
sinistro. Medicazione mediana asciutta e in ordine. Continua terapia antibiotica.
Dimissione in XXV giornata postoperatoria.
Dopo ~10 giorni accesso al Pronto Soccorso Ospedale Beta:
Dopo la dimissione dall’Ospedale Alfa persistenza di iperpiressia e tumefazione
sottocutanea in ipocondrio destro, diagnosi di raccolta addominale in sospetta
fistola entero-cutanea.
Leucocitosi e incremento PCR, la TAC dell’addome evidenziava la presenza di
una raccolta nei piani sottocutanei paramediani a destra in comunicazione con
una serie di raccolte in regione ipomesogastrica. Sotto guida TAC veniva posizionato drenaggio nella raccolta descritta, dando esito alla fuoriuscita di materiale purulento; la somministrazione di mdc dal drenaggio dimostrava opacizzazione dell’antro gastrico e della prima porzione duodenale.
Il giorno successivo
Una fistolografia dal drenaggio percutaneo documentava l’opacizzazione di una
Casi peritali simulati e commentati
151
raccolta anfrattuosa a limiti irregolari che comunicava attraverso un sottile tragitto
fistoloso con la parete postero- inferiore del bulbo duodenale.
EGDS rilevava a livello del bulbo duodenale, sulla parete posteriore, immediatamente oltre il piloro, la presenza di un’area di mucosa iperemica, edematosa,
con piccolo orifizio ricoperto da fibrina. Si introduceva un catetere attraverso
l’orifizio nella nota raccolta.
Dopo una settimana
Eseguita una nuova EGDS che identificava l’orifizio fistoloso con fuoriuscita di
materiale purulento in aspirazione dopo rimozione del sondino naso-biliare. Si
procedeva quindi a posizionamento di clip OTSC sui bordi dell’orifizio.
Il controllo con gastrografin sia dal lume intestinale che dal drenaggio posto
nella raccolta non documentava spandimento di mezzo di contrasto attraverso
la parete duodenale.
Come ulteriore controllo veniva eseguito un Rx transito con mdc iodato per os
che escludeva il suo spandimento extraluminale a livello duodenale e una nuova
fistolografia attraverso il drenaggio addominale che confermava quanto evidenziato in endoscopia.
Dimissione, diagnosi: fistola entero-cutanea in esiti di trauma addominale
chiuso con rottura del pancreas ed ematoma del mesocolon trasverso.
Considerazioni di parte attrice:
Il paziente non doveva essere operato, il trattamento doveva essere di tipo conservativo. Anche ammessa l’indicazione chirurgica anziché il solo trattamento conservativo, appare evidente che nel corso dell’intervento chirurgico si sia prodotto
un aggravamento del quadro con lesione pancreatica definita frattura e lacerazione del parenchima, come da referto TAC, in precedenza non evidenziata, oltre che
una lesione duodenale solo successivamente riscontrata.
Si contesta la dimissione, prematura in funzione delle lesioni e del quadro clinico (paziente in iperpiressia, con fistola e ferita chirurgica non guarita), tant’è
che si rese necessario successivo ricovero all’Ospedale Beta, ove il paziente ricevette adeguato trattamento. Le lesioni/menomazioni hanno prodotto un danno
biologico di ~25% (pregiudizio anatomico e psichico, quest’ultimo per disturbo
post-traumatico da stress).
Considerazioni per parte convenuta:
Per il chirurgo dell’Ospedale Alfa: è palese che i trattamenti a cui fu sottoposto
il paziente durante la degenza presso l’Ospedale Alfa non procurarono alcuna
lesione al parenchima pancreatico che invece, come è del tutto chiaro, venne
danneggiato dal traumatismo conseguente al sinistro stradale.
I trattamenti a cui il de cuius fu sottoposto sono da ritenersi del tutto corretti ed
anzi consentirono di ottenere un ottimo risultato clinico in una patologia come
quella relativa ai traumi pancreatici che ha una elevatissima mortalità.
152
La responsabilità del chirurgo
Parte attrice non è, peraltro, in grado di dimostrare alcun aggravamento delle
condizioni del paziente relativamente ad un’azione ascrivibile ad interventi medici, di conseguenza non risulta comprovata la sussistenza di alcuna forma di
danno a persona che, peraltro, non ha alcun fondamento tecnico scientifico.
La storia clinica dimostra chiaramente che il paziente ebbe un danno pancreatico minore che fu trattato in modo corretto, con terapia conservativa all’inizio,
monitoraggio clinico-strumentale con un intervento chirurgico giustificato dal
sospetto del tutto lecito di lesione dei visceri cavi.
L’intervento chirurgico fu condotto in modo corretto ed evidenziò una lesione traumatica anteriore alla superficie del pancreas. Furono eseguite le corrette manovre
per identificare una eventuale lesione duodenale, che diedero esito negativo.
Le discrepanze descritte dai vari referti TAC sono espressione della normale
evoluzione anatomo-patologica di una lesione traumatica pancreatica che normalmente precisa l’entità del trauma con il tempo. Non esiste nessun esame che
possa dimostrare direttamente l’integrità della capsula pancreatica.
È tipico degli ematomi conseguenti a lesione traumatica del pancreas la formazione di raccolte retroperitoneali dovute allo spandimento di liquido pancreatico all’interno del duodeno, liquido pancreatico che è in grado di erodere i
tessuti circostanti, tra cui anche la capsula pancreatica, ed è tipico delle raccolte
pancreatiche di essere spesso plurisaccate ed andare incontro ad infezioni; è altresì frequente la fistolizzazione in organi vicini. In conclusione, l’intero quadro
lesivo/menomativo è da ricondurre all’iniziale insulto traumatico.
Considerazioni dei CTU:
I traumi chiusi del pancreas sono infrequenti ma gravati da un’alta mortalità
(23,4%). Ad essi si associano spesso lesioni duodenali.
L’alta mortalità di tali lesioni può essere talvolta attribuita al ritardo nella diagnosi e nel trattamento a causa della causticità degli enzimi pancreatici, ed un
ritardo nel trattamento delle lesioni pancreatiche può innescare una massiva flogosi sistemica con conseguente cattiva prognosi.
La diagnosi delle lesioni traumatiche del pancreas può essere estremamente
difficile, e non esiste una singola modalità di immagine che possa essere veramente efficace da sola sia per lo studio del duodeno che del pancreas, che la
posizione retroperitoneale rende difficili da esplorare clinicamente. La TAC con
mdc è utilizzata abitualmente nello studio delle lesioni pancreatiche ma la sua
accuratezza risulta limitata (60%) per quanto riguarda le lesioni del parenchima
pancreatico e del dotto pancreatico di Wirsung.
Inoltre, la lesione pancreatica può richiedere del tempo per manifestarsi e farlo attraverso un evidente infiammazione del parenchima, ed essere identificata solo nel
corso di esami TAC ripetuti per monitorare l’evoluzione della situazione clinica.
Il cardine della terapia delle lesioni traumatiche del pancreas è la chirurgia: il
primo trattamento delle lesioni pancreatiche comprende il controllo dell’emorragia, il drenaggio esterno, ed eventualmente la chiusura temporanea dell’addo-
Casi peritali simulati e commentati
153
me per consentire un programma di riesplorazione nel tempo.
Un adeguato drenaggio esterno è un principio importante nel trattamento della maggior parte delle lesioni del pancreas: qualsiasi tipo di intervento deve essere seguito
dal posizionamento di drenaggi che devono essere lasciati in sede per un periodo
di almeno due settimane, perché le fistole si manifestano spesso dopo 7-10 giorni.
Le lesioni pancreatiche che non coinvolgono il dotto pancreatico maggiore, compresi ematomi, contusioni parenchimali e lacerazioni della capsula o del parenchima in sede superficiale possono essere trattate anche solo con il drenaggio
esterno. Il drenaggio esterno deve essere tenuto in aspirazione perché questo
consente la riduzione della percentuale di sviluppo di ascessi.
Una precisa classificazione dei traumi pancreatici e duodenali è stata proposta
dalla American Associaton for the Surgery of Trauma: nel caso in oggetto era presente una lesione di tipo I-II del pancreas, intendendo come tale una contusione
maggiore e lacerazione superficiale senza lesione duttale. Ad essa coesisteva una
piccola lacerazione del versante posteriore del bulbo duodenale, in sede retroperitoneale, che spiega la mancanza del manifestarsi di una peritonite da perforazione
libera in peritoneo del duodeno e quindi il suo tardivo riconoscimento.
Le complicanze del trauma pancreatico e della pancreatite post traumatica che si
sono manifestate sono state le seguenti: fistola pancreatica a basso flusso drenata
dal tramite del drenaggio di sinistra ed esauritasi spontaneamente dopo circa
1 mese dalla data dell’intervento eseguito all’Ospedale Beta; fistola duodenale
(della parete posteriore del bulbo) trattata presso l’Ospedale Beta con posizionamento clip OTSC per via endoscopica condizionante raccolta intra-addominale,
drenata per via percutanea TAC guidata il fino alla risoluzione di entrambe.
In quel momento, il paziente non necessitava più di terapie da eseguirsi in regime di ricovero, e si può concordare sul fatto che le dimissioni, in quella data,
potessero essere indicate.
Conclusioni:
I sanitari dell’Ospedale Alfa hanno osservato le linee guida e le buone pratiche
accreditate dalla comunità scientifica risultando le loro condotte conformi alla
necessaria prudenza, perizia e diligenza.
Attualmente, oltre a riferita insonnia e attendibili, seppur estremamente generici disturbi addominali-alimentari (dolore addominale e necessità di dieta controllata), è presente pregiudizio anatomico-estetico legato in parte alle lesioni
traumatiche ed in parte ai descritti esiti cicatriziali, ovviamente necessari per affrontare ed effettuare in maniera tecnicamente adeguata l’intervento chirurgico.
Tali alterazioni, dominando il quadro menomativo la pur modesta componente
estetica (esiti cicatriziali chirurgici in sede abitualmente non esposta alla visione
di terzi), portano a considerare una riduzione della integrità psico-fisica del soggetto in misura pari al 5%.
In assenza di censurabili condotte professionali nell’operato dei sanitari, il quadro menomativo presente sull’attore è, come già detto, legato alle lesioni trau-
La responsabilità del chirurgo
154
matiche ed ai descritti esiti cicatriziali, questi ultimi necessari per affrontare ed
effettuare in maniera tecnicamente adeguata l’intervento chirurgico laparotomico effettuato presso l’Ospedale di Alfa.
Sintesi:
Caso di patologia infrequente, il cui trattamento non fa parte dell’esperienza di
molti chirurghi, tra i quali possono essere annoverati coloro che hanno intrapreso
un’azione risarcitoria con argomentazioni pretestuose, prive di una base scientifica
convincente. È evidente che, a seguito di in trauma chiuso, il pancreas possa modificare la propria struttura e la propria morfologia con trascorrere delle ore e dei
giorni, con conseguente variare sia del quadro clinico che dei riscontri radiologici.
Asserire, come in questo caso, che il necessario intervento chirurgico esplorativo sia
stato responsabile, con l’esecuzione di incongrue manovre, di una rottura (sottocapsulare) della ghiandola, rimasta peraltro integra, non trova un fondamento razionale.
Al trauma del pancreas sono seguite delle complicanze, del tutto prevedibili,
trattate con successo, prima all’Ospedale Alfa, poi in un altro Ospedale, al quale
il paziente aveva deciso di rivolgersi. Dunque, del tutto correttamente, nessuna
responsabilità.
Caso 21
Ulcera gastrica perforata non diagnosticata, exitus (penale)
Consulente del PM:
un medico legale.
Vicenda clinica:
Donna di anni 54, giungeva al Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa al mattino
presto per dolore addominale e alle fosse iliache bilateralmente.
FC >120/min; TC 36; PA 80/50. Addome trattabile, modestamente diffusamente
dolente alla palpazione.
Rx addome: falda di aria in sede sottodiaframmatica destra (aria libera? interpositio coli?); necessaria valutazione TC senza mdc.
Esami di laboratorio: nessuno.
Consulenze seacialistiche: nessuna.
Prestazioni terapeutiche: nessuna.
Terapia praticata: nessuna.
Terapia consigliata alla dimissione, che avviene a metà mattina: alimentazione
con fibre vegetali ed idratazione adeguata, X-Prep sciroppo due cucchiai eventualmente ripetibile il giorno successivo. Invio al medico di medicina generale
per proseguimento cure.
Casi peritali simulati e commentati
155
Dalla Relazione del Consulente Tecnico alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di ...risulta dal verbale della Polizia di Stato intervenuta in loco, che
la sig.ra ... venne rinvenuta cadavere da una amica la sera successiva alla dimissione
dall’Ospedale distesa sul pavimento della camera da letto della propria abitazione.
Era stata sentita al telefono, per l’ultima volta, la mattina del giorno precedente.
Sul posto intervenne personale delle Forze dell’Ordine e del 118, il cui medico ne
constatò il decesso. Risulta dagli atti che la sig.ra… si fosse recata presso il Pronto
Soccorso dell’Ospedale Alfa per stipsi e dolore addominale, e che fosse stata dimessa con diagnosi di stipsi ostinata ed invio al proprio medico curante. I familiari, sentiti immediatamente dopo il rinvenimento, riferirono che la sig.ra…. soffrisse da qualche tempo di depressione, per la quale assumeva terapia farmacologica.
Esame necroscopico: cavo peritoneale contenente oltre 3000 cc di fluido giallo-brunastro. In corrispondenza della parete anteriore dello stomaco, in sede
prepilorica, soluzione di continuo a tutto spessore della parete gastrica, di aspetto crateriforme di 1 cm. L’indagine autoptica non ha evidenziato l’intervento di
alcuna lesività esogena di tipo cinetico-meccanico nel determinismo del decesso:
lesività contusiva, da arma bianca, da arma da fuoco. La causa del decesso di è
da identificarsi in una peritonite da ulcera gastrica perforata.
Per quanto concerne l’epoca di morte essa è valutata, in via di elevata probabilità, a circa mezza giornata prima del rinvenimento; tale epoca di morte non
contrasta con i dati circostanziali.
Considerazioni del CTU di parte ricorrente:
La perforazione gastrica è la più grave complicanza dell’ulcera peptica gastrica,
e responsabile, quando trattata, della più alta mortalità di tutte le complicanze
della patologia ulcerosa: 12-15%96. La quasi totalità dei pazienti non trattati non sopravvive, dove la diagnosi può restare inizialmente misconosciuta nel 5% dei casi97.
Essa determina inizialmente una peritonite chimica, sterile, determinata alla fuoriuscita del contenuto gastrico, costituito da acido cloridrico, bile, ingesti, all’interno
della cavità peritoneale, per evolvere definitivamente, se non trattata, in peritonite
batterica nell’arco di 6-12 ore. Queste sono le “golden hours” del trattamento chirurgico, prima dell’instaurarsi di gravissime e potenzialmente fatali complicanze:
ipovolemia, sepsi, shock, exitus.98,99
96 Mahvi DM: Stomach, 1196, In Sabiston Textbook of Surgery, Elsevier 2012; Watkins RM:
What has happened to perforated peptic ulcer? Br. J.Surg. 71: 774, 1984.
97 Goherty GM: Stomach and duodenum, 498, in: Doherty GM, Surgery, Current Diagnosis
and Treatment, Lange 2010.
98 Goris RJA: Multiple Organ Failure, generalized autodestruction inflammation? Arch.
Surg. 120:1109, 1985.
99 Andreoni B: La sindrome peritonitica. In: Di Carlo V, Andreoni B, Staudacher C, Manuale
di Chirurgia d’Urgenza e Terapia Intensiva Chirurgica, 677, Masson, 1993.
156
La responsabilità del chirurgo
La semplice esecuzione di una radiografia dell’addome dimostra la presenza di
pneumoperitoneo nell’85% dei casi. Nei casi dubbi il ricorso a pasto opaco con
mezzo di contrasto idrosolubile (gastrografin) e a TAC addome smc consentono
la diagnosi in quasi la totalità dei casi restanti100.
La severità della malattia e l’incidenza della mortalità sono direttamente correlate con il tempo intercorso tra la perforazione e il trattamento chirurgico, costituito da semplice sutura con escissione dell’ulcera o resezione gastroduodenale
associate a lavaggio e detersione del cavo peritoneale, eseguibili anche per via
laparoscopica.101,102,103. La terapia chirurgica avrebbe garantito una elevata probabilità di sopravvivenza, che è stimata ridursi del 2,4% ogni ora intercorrente
tra l’accesso in Pronto Soccorso e l’intervento chirurgico.104,105
La paziente si è rivolta al Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa con in atto una grave peritonite da perforazione di ulcera gastrica. Era già presente una ipovolemia con
scompenso di circolo e la radiografia dell’addome rilevava la presenza di pneumoperitoneo. A fronte di questo, la paziente veniva subito dimessa con indicazione ad assumere dieta ricca di fibre vegetali per correggere la stipsi e ad assumere un catartico.
Nessun esame di laboratorio né strumentale veniva effettuato, né elettrocardiogramma; nessuna consulenza specialistica veniva richiesta; nessun procedimento terapeutico per riequilibrare il circolo (energica idratazione per via endovenosa, infusione di colloidi e cristalloidi, antibioticoterapia).
La radiografia dell’addome, refertata da specialista radiologo non presente al
momento in struttura, veniva refertata dopo la dimissione della paziente. Essa
dimostrava la presenza di pneumoperitoneo, espressione inequivocabile di perforazione viscerale, non veniva tenuta in considerazione alcuna dal medico di
guardia e la paziente veniva colpevolmente dimessa 1 ora dopo il suo ingresso
in Pronto Soccorso.
Il giorno dopo la paziente decedeva, senza soccorso né cure, sola, per le inevitabili conseguenze di una peritonite da perforazione di ulcera gastrica.
Il corretto riconoscimento di una perforazione gastrica, tempestivamente seguita dall’intervento chirurgico, comporta la guarigione con restitutio ad integrum
100 Svanes C: Trends in perforated peptic ulcer: incidence, etiology, treatment, and prognosis. World J.Surg 24:277, 2000.
101 Heuman R: Perforated duodenal ulcer-long term results following simple suture. Acta
Chir. Scan. 149:77, 1983.
102 Gavinelli M: La resezione gastrica in urgenza con suturatrici meccaniche. Presentazione
di una tecnica originale. Urg.Chir.Comment. 4:1, 89, 1981.
103 Haubric WS: Complications of peptic ulcer disease. In: Bockus HL, Gastroenterology,
734, Saunders Company, 1974.
104 Soreide K: Strategies to improve the outcome of emergency surgery for perforated peptic
ulcer. Br.J Surg 101:51, 2014.
105 Buck DL: Surgical delay is a critical determinant of survival in perforated peptic ulcer.
Br J Surg 100:1045, 2013.
Casi peritali simulati e commentati
157
nella quasi totalità dei casi in 7-10 giorni, quando la dimissione dall’ospedale, in
caso di semplice sutura dell’ulcera, può avvenire dopo 4-5 giorni.
Nel caso in oggetto si è verificato un evento assai difficilmente comprensibile
ed, ancor meno giustificabile: a fronte di tachicardia ed ipotensione, dolore addominale, e diagnosi radiologica già fatta, certa ed inconfutabile, refertata, di
perforazione viscerale la paziente veniva i dimessa e rimandata al proprio domicilio dove sola, ed ormai impossibilitata nella gravissima e repentina evoluzione
della malattia in atto, a chiedere aiuto e soccorso, decedeva per lo shock settico determinato dalla peritonite. Risulta evidente la inescusabile superficialità,
ignoranza, negligenza ed imperizia del medico di guardia in Pronto Soccorso,
che nulla ha fatto per soccorrere la malata e, rimandandola a domicilio, è da
ritenersi appieno responsabile del suo decesso.
In tale contesto non è possibile non considerare una responsabilità, in ordine
gerarchico, dei medici che dovrebbero controllare, e supportare, l’operato del
medico turnista in pronto soccorso (Primario, colleghi eventualmente più alti in
grado, Direzione Sanitaria) quando questi, malgrado una così grave e manifesta
impreparazione, sia comunque lasciato ad operare da solo, avendo come primigenio ed esclusivo interesse la salute dei cittadini.
Per le medesime ragioni, dunque, anche Ospedale Alfa deve essere ritenuto correo
in quanto non preventivamente resosi conto della impreparazione dei professionisti
che esso retribuisce per svolgere un lavoro, quale quello del medico di Pronto Soccorso, di così grande responsabilità nei confronti della collettività e quindi richiedente una adeguata preparazione dottrinale e clinica, nonché esperienza e prudenza.
Conclusioni:
Condanna del medico di guardia del Pronto Soccorso per omicidio colposo in
Cassazione a 6 mesi di reclusione e concesse le attenuanti generiche. Assegnata
provvisionale agli eredi eredi ricorrenti + spese in solido con il responsabile civile della struttura ospedaliera.
Sintesi:
Nessuno, il caso si commenta da solo, qui per il medico non è possibile trovare
giustificazioni.
La responsabilità del chirurgo
158
Caso 22
Deiscenza completa di anastomosi colo-rettale,
shock settico, exitus.
Consulenza Tecnica d’Ufficio:
un medico legale, un chirurgo.
Vicenda clinica:
Maschio di ~ 60 anni, diagnosi endoscopica di neoplasia del giunto retto- sigma.
Istologia: frammenti di tessuto come da ulcera e da strutture ghiandolari con
marcate atipie sospette per la presenza di adenocarcinoma.
Sottoposto presso l’Ospedale Alfa ad intervento di emicolectomia sinistra laparotomica: neoplasia substenosante, palpabile, del retto prossimale. Isolamento
del colon, con mobilizzazione della flessura splenica, isolamento del retto per
oltre 10 cm dalla lesione, sezione ed anastomosi colo-rettale sec. Knight-Griffen,
anelli di stapler integri.
In III giornata postoperatoria, nelle prime ore della notte:
Episodio di disorientamento spazio-temporale. Nelle prime ore della mattina
fuoriuscita di materiale corpuscolato brunastro dal drenaggio; addominalgia
pelvica con peritonismo.
Eco estemporanea pelvica: presenza di liquido libero nella pelvi, corpuscolato.
Nel pomeriggio condizioni generali in peggioramento, intervento urgente di
revisione chirurgica: riapertura di recente laparotomia, quadro di peritonite
stercoracea con ischemia del tratto colico anastomizzato al retto e conseguente
deiscenza completa dell’anastomosi. Abbondanti lavaggi. Liberazione del colon
fino al III distale del trasverso, sezione con GIA della parte ischemica ed allestimento di colostomia terminale in fianco sinistro.
Al termine: FC > 150/min; pO2 ~90%; acidosi metabolica.
Ricovero in Rianimazione: grave instabilità emodinamica per cui è necessario
mantenere il circolo con noradrenalina ed espansione volemica. Grave acidosi
metabolica con lattacidemia elevata. Anurico.
La notte successiva:
WBC < 1. Eseguita fibrobroncoscopia, recupero di materiale fecale da entrambi
gli emisistemi in quantità abbondante.
Leucopenia in ulteriore peggioramento, si somministra stimolatore della serie
granulocitaria. Ipotensione ingravescente: prosegue riempimento con colloidi e
inizia infusione di adrenalina. Nonostante dosaggio di noradrenalina e adrenalina massimali e riempimento volemico massivo si assiste a progressivo peggioramento dell’ipotensione, che diviene refrattaria. All’EGA, acidosi lattica ingravescente ed ipoglicemia marcata.
Casi peritali simulati e commentati
159
Nelle prime ore del mattino si constata il decesso.
Esame istologico del pezzo operatorio (primo intervento): adenocarcinoma colico G1, ulcerato, infiltrante il tessuto adiposo periviscerale metastatico in alcuni
linfonodi. Non angioinvasione ematica peritumorale né infiltrazione perineurale. Margine di resezione circonferenziale indenne.
Anelli di resezione colica indenni da neoplasia.
Esame istologico relativo al secondo intervento: materiale inviato: colon discendente.
Diagnosi: necrosi ischemica della parete colica. Periviscerite acuta associata.
Considerazioni per parte convenuta:
Si sono evidenziati alcuni fattori di rischio di deiscenza anastomotica: tra questi
la condizione di stenosi ostacolante la canalizzazione, direttamente osservata
in corso di intervento. Si aggiunga che proprio le fasi di mobilizzazione colica
presentarono difficoltà operative che furono descritte proprio per la loro rilevanza come indaginose per la presenza di aderenze tra omento e parete laterale,
soprattutto in prossimità della loggia splenica. Questo aspetto delinea un intervento che presentò elementi di delicatezza e di impegno peculiari a fronte di una
patologia grave che ne richiedeva perentoriamente l’esecuzione. Tali osservazioni hanno dignità per essere richiamate essendo utili per fornire tutti gli elementi
decisionali all’Autorità giudicante.
Considerazioni dei CTU:
Dopo un decorso post-operatorio di tre giorni apparentemente regolare, si sono
manifestati disorientamento, leucocitosi, comparsa di materiale fecale dal drenaggio, dolore addominale con peritonismo, presenza di versamento pelvico
corpuscolato, espressioni di grave stato settico legato alla deiscenza della anastomosi colo-rettale.
La profilassi antibiotica proseguita anche nel periodo post-operatorio, può essere considerata idonea al caso in specie.
Nel corso del secondo intervento veniva riscontrato un quadro di peritonite stercoracea da deiscenza completa dell’anastomosi per ischemia (istologicamente:
necrosi ischemica) della parete colica.
Inoltre, al momento della intubazione, si rilevava la presenza di materiale fecaloide a livello glottico e, come poi riscontrato con una fibrobroncoscopia, anche
a livello dell’albero bronchiale, ovvero la presenza di un ab ingestis da feci.
A seguire rapido progressivo manifestarsi delle alterazioni multiorgano di uno
shock settico irreversibile.
È opportuno ricordare quali siano quali siano le cause di deiscenza di una anastomosi colica106. I fattori di rischio definitivi per una deiscenza anastomotica sono:
106 Kulayat MN: Surgical Complications. In Sabiston Textbook of Surgey, 315, Elsevier 2012.
160
La responsabilità del chirurgo
insufficiente apporto vascolare; tensione dell’anastomosi; stenosi con ostacolo al
passaggio di aria e di fluidi; presenza di sepsi e di raccolte locali. I fattori di rischio collaterali per una deiscenza anastomotica sono: insufficiente preparazione
meccanica del colon; drenaggi; shock e coagulopatie; chirurgia d’urgenza; emotrasfusioni; malnutrizione, obesità, tabagismo, terapia steroidea; fattori derivanti
dall’utilizzo dello Stapler: estrazione forzata, soluzioni di continuità del viscere
determinata da sua introduzione, fallimento del meccanismo di chiusura.
Dall’esame di questa rassegna, coniugata all’analisi della storia clinica, la causa
cui attribuire con quasi certezza la deiscenza anastomotica nel caso in oggetto
è da identificare nel difetto di vascolarizzazione (ischemia) dell’ansa colica utilizzata dalla anastomosi colo-rettale, inequivocabilmente dimostrata dall’esame
istologico sul pezzo operatorio.
Infatti, vi è da ritenere che la sezione effettuata a livello del discendente (resezione colorettale di~ cm 20, dunque sigmoidectomia e resezione del retto superiore,
con margine di sezione del viscere in prossimità del margine tumorale), evidentemente dopo non sufficiente valutazione della anatomia vascolare del colon, a
seguito di legatura dei vasi mesenterici inferiori (non riportata nella descrizione
dell’intervento ma senza la quale tale deiscenza completa troverebbe spiegazione solo in un grave difetto tecnico di esecuzione della stessa), abbia comportato
un deficit di vascolarizzazione del moncone prossimale, a questo punto assicurata (a livello del colon sinistro residuo) dall’arteria colica media attraverso
l’arcata marginale di Drummond e di Riolano, assai verosimilmente insufficienti
dopo il venir meno dell’apporto della colica sinistra.
Nel caso in narrativa sarebbe stato quindi di regola necessario estendere al trasverso, nel territorio della colica media, la resezione prossimale, per assicurarsi
un moncone colico ben vascolarizzato, o, in alternativa, effettuare una scheletrizzazione della arteria mesenterica inferiore (senza sua legatura), per preservare
l’apporto delle emorroidarie superiori come proposto da Valdoni107.
Dalla vicenda clinica così come sopra riportata, si delineano profili di un comportamento negligente ed imperito da parte del chirurgo che ha eseguito il primo intervento, per aver eseguito una anastomosi colo-rettale su terreno ischemico e quindi inevitabilmente destinato alla deiscenza.
Tale deiscenza è la conseguenza di una inadeguata valutazione della anatomia
vascolare del colon nel caso in oggetto, da una legatura dei vasi mesenterici inferiori seguita da una resezione colica eccessivamente limitata, o, in alternativa, in
subordine, di un grave errore tecnico nella esecuzione della anastomosi.
La gravità dello shock settico nel suo pieno manifestarsi induce a ritenere che la
deiscenza colica si fosse verificata almeno da alcune ore, così come si sono attese
ancora quasi 10 ore prima di ricondurre il paziente in sala operatoria.
In tale circostanza il medico anestesista si avvedeva, al momento dell’intubazione,
della presenza di materiale fecale nel cavo orale e al livello dell’aditus laringeo del
107 Tagliacozzo S: Chirurgia del Retto, 93, Masson 1985.
Casi peritali simulati e commentati
161
paziente, evidentemente senza sondino naso- gastrico, materiale che verrà reperito subito dopo l’intervento anche all’interno della trachea e dei due emisistemi
bronchiali, di per sé certamente potenzialmente responsabile, nel caso di sopravvivenza del paziente, dello sviluppo di una grave sepsi polmonare.
Tenuto conto del breve lasso di tempo trascorso tra il trattamento chirurgico ed il
decesso (6 giorni), non può essersi concretizzato un danno biologico percentualmente quantificabile, se non con la morte stessa del paziente, essendo il decesso
causalmente correlabile all’errato trattamento chirurgico da parte del chirurgo
operatore e della gestione della complicanza tardivamente riconosciuta.
Sintesi:
Chiaro riconoscimento di errore tecnico determinante la complicanza mortale,
così come del ritardo nella sua diagnosi e trattamento.
Caso 23
Resezione subtotale ileo-colica per subocclusione ileale,
NE quoad vitam
Consulenza Tecnica d’Ufficio:
un medico legale, un chirurgo.
Vicenda clinica:
Maschio di ~40 anni. Nell’infanzia appendicectomia per appendicite acuta perforata complicata da peritonite, cui seguivano tre interventi per complicanze che
richiedevano una resezione ileale di cm 30.
A 20 anni peritonite diffusa da perforazione intestinale che richiese una nuova
resezione intestinale, riferita di 10 cm.
A 30 anni intervento per occlusione intestinale con lisi di aderenze, plastica con
rete di laparocele.
Di prima mattina accesso al Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa per addominalgia. Addome con molteplici cicatrici chirurgiche. Diffusamente dolente per lo
più nei quadranti di destra.
Rx addome: alcuni livelli idroaerei del digiuno e ileo prossimale. Non segni di aria
libera in peritoneo. Meteorismo in ampolla rettale. Esami ematochimici nella norma.
Ricovero presso il Reparto di Chirurgia con diagnosi di subocclusione intestinale.
Lo stesso giorno sottoposto a Rx tubo digerente con gastrografin, che dimostrava rallentamento del transito del mdc che dopo circa 6 ore dall’assunzione ristagnava in
parte a livello dello stomaco e delle prime anse digiunali, sovradistese e con limitati
livelli idroaerei; conservata peraltro la canalizzazione seguita sino al colon prossimale.
Inizio intervento chirurgico (1) in tarda serata, della durata di circa 8 ore.
162
La responsabilità del chirurgo
Si decide per laparotomia d’urgenza: laparotomia xifo-pubica. Difficoltosa
apertura della parete per la presenza di protesi in polipropilene. Le anse intestinali sono tenacemente adese con tentativo di fistolizzazione sulla parete stessa.
Laboriosa ed estesa viscerolisi poiché le anse dell’ileo medio appaiono conglomerate fra loro. Si esegue resezione dal digiuno fino al colon ascendente, anastomosi L-L in duplice strato manuale.
Diagnosi: occlusione intestinale in plurioperato.
Esame istopatologico, macroscopico: segmento intestinale della lunghezza di
circa 60 cm. Al taglio la mucosa si presenta con aree necrotiche che interessano
gran parte del segmento intestinale. Prelievi su area necrotica/emorragica, esame microscopico: note flogistiche aspecifiche della parete intestinale.
Dopo una settimana
Comparsa di fistola entero-cutanea da deiscenza della anastomosi ileo-colica.
Dopo altri 15 giorni
Intervento (2) di enterostomia perianastomotica mediana per fistola entero-cutanea.
Dopo un mese e mezzo di ricovero
Trasferito all’Ospedale Beta con diagnosi di subocclusione intestinale da briglia,
deiscenza anastomosi, malnutrizione grave.
Consulenza chirurgica: paziente in TPN a digiuno con fistola entero-cutanea
digiunale, biliare ad alta portata. Si consiglia di iniziare trattamento con Vac-therapy poiché è passato più di un mese dall’ultimo intervento. Da rivalutare fra
3 mesi, dopo cronicizzazione della fistola, per intervento di asportazione della
fistola stessa e ricanalizzazione.
Nuovo ricovero della durata di 1 mese e mezzo giorni presso l’Ospedale di Beta.
Problematiche aperte durante il ricovero: sepsi da stafilococco CVC correlata; il
flemmone si è progressivamente chiuso, il paziente sente lo stimolo ad evacuare ma
non ha evacuazione; nutrizionale, in NPT; sociale: il paziente, fino ad ora residente in
… e senza un domicilio in regione…, non ha potuto beneficiare degli ausili domiciliari che sarebbero necessari per la dimissione (pompa di infusione e sacche di NPT)
ed è quindi rimasto degente in reparto. Dopo valutazione del caso da parte degli assistenti sociali il paziente ha deciso di affittare un appartamento a … ed ha iniziato i
procedimenti necessari alla richiesta del domicilio sanitario una volta attuato il quale
sarà possibile attivare la nutrizione a domicilio se necessario anche in tale città.
Clisma TC tenue: diverse anse del digiuno residuo sono parietalizzate, con impregnazione contrastografica parietale come da flogosi e propaggini che raggiungono la parete addominale, ispessita, in rapporto ai noti tramiti fistolosi.
La lunghezza del digiuno residuo è < 50 centimetri.
Ricovero della durata di 9 giorni in Reparto di Medicina Interna: infezione del CVC
da Stafilococco, concomitante infezione delle vie urinarie e faringite da Candida
in paziente con sindrome aderenziale e sindrome dell’intestino corto funzionale.
Casi peritali simulati e commentati
163
A circa 6 mesi dal primo intervento
Ricovero presso Ospedale Beta e sottoposto ad intervento (3) di ricanalizzazione
intestinale e chiusura ileostomia.
La fistola enterocutanea era costituita da tre anse di tenue ed una di sigma, e la
sua asportazione, insieme alle anse che la componevano, comportava un residuo
digiunale di <50 cm, che veniva anastomizzato al colon trasverso residuo L-L.
Anastomosi colo-colica tra colon discendente e sigma residuo T-L.
Il decorso è stato complicato nell’immediato post-operatorio dalla comparsa di
shock settico con necessità di supporto noradrenergico, per cui venivano eseguite emocolture, esami colturali dai drenaggi addominali, e veniva impostata
terapia antibiotica empirica. Il quadro settico andava poi risolvendosi.
Intrapresa NPT personalizzata, ha iniziato ad assumere per os dieta idrica e frutta frullata, mantenendo comunque NPT.
Dopo la dimissione alimentazione per bocca quasi del tutto preclusa: assume dieta
cremosa, ha fino a 10 scariche diarroiche al dì. Non può bere se non a piccoli sorsi.
In terapia parenterale totale domiciliare 2500 ml/die da catetere succlavio per
sindrome da intestino corto post-chirurgica. L’infusione ha durata di mezza
giornata (dal tardo pomeriggio alle prime ore del mattino).
Riferisce di non aver più rapporti sociali. Deve stare vicino a casa per la necessità
di evacuazioni improvvise. Non può muoversi da … perché le sacche di TPN
devono essere conservate in frigorifero apposito, con rifornimento quindicinale.
Considerazioni di parte ricorrente:
All’ingresso in Pronto Soccorso, diagnosi di subocclusione ileale. L’addome era
dolente ma senza segni di peritonismo, la peristalsi non veniva ricercata, il riscontro di livelli idroaerei all’Rx addome era seguita dalla somministrazione di
mezzo di contrasto idrosolubile che dimostrava il passaggio del mezzo di contrasto nel colon. Trattavasi di un quadro subocclusivo e non occlusivo, in quanto
la progressione del contenuto ileale nel colon era conservata. Gli esami di laboratorio erano nella norma. Dunque, nessuna urgenza chirurgica sussisteva, ed
era questo un caso da avviare, almeno inizialmente, alla terapia conservativa,
fondata sulla detensione dell’intestino con suzione naso-gastro-digiunale e l’infusione di liquidi ed elettroliti allo scopo di reintegrare le perdite. L’occlusione
parziale del piccolo intestino rappresenta una indicazione precisa al trattamento conservativo in quanto si associa molto più raramente allo strangolamento rispetto all’occlusione completa: sono stati infatti osservati successi nel 60-90% dei casi di occlusione ileale parziale da aderenze trattati con
sondino naso-gastrico. Il paziente deve essere sottoposto ad un monitoraggio
clinico associato alla valutazione del liquido aspirato e del volume dello stesso,
ed anche ad un monitoraggio radiologico mediante esecuzione di radiografie
dell’addome a distanza di ore dall’introduzione del sondino.
Se le caratteristiche radiologiche dell’occlusione sono migliorate anche modestamente e non vi è alcun segno clinico di sofferenza vascolare è possibile continua-
164
La responsabilità del chirurgo
re la terapia medica, diversamente, in assenza di miglioramento o in presenza di
peggioramento clinico, vi sarà indicazione alla chirurgia.108,109,110,111
Il trattamento conservativo appare, a maggior ragione, il trattamento di prima
scelta, e talvolta anche ad oltranza, nei pazienti già sottoposti a chirurgia resettiva del piccolo intestino, proprio allo scopo di evitare nuove resezioni eventualmente responsabili di un intestino corto, condizione patologica caratterizzata
dalla riduzione della massa intestinale funzionante sotto il minimo necessario
per consentire una digestione e un assorbimento di nutrienti adeguato al mantenimento del normale stato di nutrizione112.
Del tutto incomprensibilmente, invece, il paziente veniva avviato a trattamento
chirurgico esplorativo dopo poche ore, in assenza di qualunque indicazione chirurgica d’urgenza. Nella descrizione dell’intervento si riportava una situazione
aderenziale diffusa, in assenza di momenti ostruttivi precisi.
Senza descrivere in modo alcuno la presenza di una sofferenza ischemica ileale,
si eseguiva una del tutto ingiustificata resezione dell’estensione di 60 cm fino al
colon ascendente.
È noto che in presenza di una sospetta sofferenza vascolare dell’intestino, una
volta risolto il problema che la sostiene, occlusivo piuttosto che vascolare, le
anse debbono essere riposte in addome, e coperte da teli umidi e caldi.
Dopo alcuni minuti, si controlla vitalità dell’intestino rivascolarizzato, con il
controllo del colore, della peristalsi, della pulsazione dei vasi mesenterici e retti.
Nei casi dubbi, allo scopo di evitare inutili estese resezioni, è utile la valutazione
del flusso mediante Doppler o Eco Color Doppler intraoperatorio.113,114,115
E ancora, in ulteriore persistenza di dubbio, è opportuno rinviare la decisione
circa la resezione ad un secondo intervento, da effettuarsi a distanza di 12-24-48
ore lasciando l’addome aperto116.
108 Staudacher C: Occlusione intestinale. In: Di Carlo V, Andreoni B, Staudacher C: Manuale
di Chirurgia d’Urgenza e Terapia Intensiva Chirurgica, Masson, 805, 1993.
109 Kodadek LM: Small bowel obstruction. In: CameronJL: Current Surgical Therapy, 111,
Elsevier 111, 2014.
110 Foster NM: Small bowel obstruction: a population-based appraisal. J Am Coll Surg
203:170, 2006.
111 Branco BC: Systematic review and meta-analysis of the diagnostic and therapeutic role
of water-soluble contrast agent in adhesive small bowel obstruction. Br J Surg 97:470,2010.
112 Fleming CR: Intestinal failure. In: Hill GI: Nutrition and the surgical patient, clinical
surgery international. Edimburgh: Churchill-Livingstone, Vol 2, 219, 1981.
113 Sigel B: Operative Ultrasonography, Raven Press 1988.
114 Machi J; Intraoperative use of B- mode and color Doppler imaging, in Yao IST, Technologies in Vascular Surgery, WB Saunders 1992, pp 201-217.
115 Shah SD: Prediction of small bowel viability using Doppler ultrasound. Ann Surg 194:97,
1981.
116 Kodadek LM, Op cit 112.
Casi peritali simulati e commentati
165
La diagnosi istologica del pezzo operatorio è stata di note flogistiche aspecifiche
della parete intestinale: l’intestino non doveva essere resecato, e si è dunque
trattato di una resezione abusiva, gravemente invalidante in un paziente già precedentemente sottoposto a resezioni intestinali.
L’intervento chirurgico di cui sopra era poi complicato dalla deiscenza della
anastomosi ileo-colica che condizionava una fistola entero-cutanea e richiedeva,
dopo 25 giorni, un nuovo intervento laparotomico ed il confezionamento di una
anastomosi enterocutanea (ano praeter), con l’asportazione di circa 10 cm di ileo.
In seguito il paziente era sottoposto ad intervento di resezione della fistola entero-cutanea presso l’Ospedale Beta. Ad esso residuava un intestino corto (lunghezza complessiva del digiuno residuo <50 cm).
Le conseguenze psichiche di tale mutilazione, come certificato dalla consulenza
psichiatrica, ha condizionato l’insorgenza di un serio disturbo depressivo atipico, caratterizzato da disturbi d’ansia, insonnia e uno stato di tensione che si sta
aggravando nel tempo. A causa della complessa patologia di cui soffre si è trasferito a …, dove non ha relazioni sociali e vive un profondo stato di sradicamento
ambientale. Egli presenta inoltre vissuti persecutori che accrescono il disagio
della condizione di malattia cronica e dell’isolamento. L’assistenza dell’anziana madre nella gestione della quotidianità è fondamentale per il suo compenso
psicopatologico. Il disturbo è inoltre aggravato da condotte autolesive e reazioni
abnormi di rabbia nei momenti di maggiore tensione interpersonale.
È da ritenersi che ricorsero colpevoli errori nel comportamento tecnico dei chirurghi che operarono il paziente presso l’Ospedale di Alfa, e in nesso causale
con gli stessi sono da porre le seguenti conseguenze lesive:
•
un danno biologico temporaneo di giorni centocinquanta a totale.
•
un danno biologico permanente, incrementativo, del settanta% (dal dieci%
che avrebbe presentato anche in assenza di colpa chirurgica, all’ottanta%
ora riscontrabile).
•
una condizione di grave sofferenza morale.
Considerazioni dei CTU:
Una volta accertato il quadro di occlusione intestinale mediante la mancata progressione del mezzo di contrasto (gastrografin), le possibilità di trattamento erano due:
•
conservativa: mantenere il sondino nasogastrico al paziente tutta la notte e
monitorare i parametri vitali;
•
interventistica: operare il paziente sapendo che si sarebbero trovate tenaci
e abbondanti aderenze da lisare completamente per sbrogliare la matassa
intestinale.
Ambedue le possibilità avrebbero portato il paziente a correre dei rischi:
•
nel primo caso, il rischio di perforazione o lacerazione intestinale sarebbe stato molto alto, vista la dilatazione che alcune anse già dimostravano
all’Rx dell’addome e l’anamnesi del paziente che già nel ricovero precedente aveva subìto una peritonite da rottura di ansa intestinale su briglia
aderenziale; questo avrebbe creato un nuovo quadro peritonitico con feci
La responsabilità del chirurgo
166
•
libere in addome con elevatissimi rischi di setticemia e difficoltà di ricanalizzazione dopo resezione intestinale;
nel secondo caso il rischio sarebbe stato affrontare le aderenze viscero-viscerali e parietali che creavano il quadro occlusivo, potendo procurare lesioni di parete intestinale riparabili mediante suture multiple o resezione
di anse intestinali.
Si ritiene che entrambi i trattamenti, nel caso in oggetto, potevano essere parimenti percorribili in quanto gravati dagli stessi elevati rischi.
Si vuole sottolineare che le 8 e più ore di intervento a cui il paziente è stato
sottoposto sono segno della complessa situazione che i colleghi hanno dovuto
affrontare e che difficilmente si sarebbe potuta risolvere spontaneamente.
Chiaramente il quadro di sindrome da malassorbimento per intestino corto, preesistente al ricovero, ha causato un peggioramento del quadro nutrizionale del
paziente del quale era stato informato al momento di sottoscrivere il consenso
all’intervento stesso. In risposta ai quesiti è da precisare che:
•
fu a effettuata una scelta terapeutica conforme ai protocolli o, comunque,
corretta e conseguente alla situazione clinica;
•
i trattamenti medici e chirurgici furono praticati secondo la buona scienza
medica e le buone pratiche cliniche, in relazione al loro grado di difficoltà;
•
vi fu rispondenza alle regole dell’arte medica della condotta dei sanitari.
Avendo escluso sul piano specialistico, elementi riconducibili a colpa professionale medica nella condotta dei sanitari non si deducono lesioni dell’integrità
psicofisica dello stesso passivi di valutazione medico legale, sia in termini di
Inabilità temporanea sia di danno permanente.
Sintesi:
Questo è il tipico caso in cui i CTU non rispondono ai quesiti del Giudice e propongono una conclusione contraria alle regole dottrinali, segnatamente circa il
trattamento della occlusione ileale.
Considerano indicata la resezione di un esteso tratto intestinale che all’esame
istologico presentava alterazioni del tutto irrilevanti, in un paziente in cui la
prudenza doveva obbligatoriamente indirizzare, in un a prima fase e non solo,
verso un trattamento conservativo, proprio per evitare lesioni iatrogene ed ulteriori inutili resezioni.
Si parla di mancato passaggio del mdc (Gastrografin) nel colon nell’Rx, quando
gli stessi CTU riportano il referto in cui si segnala che questo, al contrario, avviene. Si afferma che il paziente era già portatore di una sindrome da intestino corto
prima dell’intervento per occlusione, quando il sacrificio complessivo di ileo nel
passato era stato < 40 cm, ed il paziente si nutriva normalmente.Tali osservazioni
non sono valse a nulla. Fatte presente al Giudice, ha confermato la validità di
quanto scritto dai CTU senza concedere la rinnovazione della stessa.
Casi peritali simulati e commentati
167
Caso 24
Occlusione ileale, fistola enterica e trattamento aperto
Consulenza Tecnica d’Ufficio:
un medico legale, un chirurgo.
Vicenda clinica:
Maschio di circa 60 anni, primo ingresso al Pronto Soccorso della ASL Alfa per
dolore addominale. Pregressa resezione del sigma per malattia diverticolare.
All’ingresso addome dolente sui quadranti di dx, non peritonismo. Dopo terapia infusionale regressione completa della sintomatologia.
Rx addome: ipermeteorismo e marcato ingombro fecale del grosso intestino, con
presenza di alcuni livelli idro-aerei in regione centro-addominale. Non si rileva
aria libera in addome. Leucocitosi con neutrofilia. Dimesso con diagnosi di sindrome dolorosa addominale iliaca destra in malattia diverticolare.
Il giorno seguente
Secondo ingresso al Pronto Soccorso della ASL Alfa per dolore addominale.
Torna per recrudescenza della sintomatologia algica e comparsa di vomito alimentare. Alvo chiuso a feci e gas da alcuni giorni. Addome trattabile, dolente
nei quadranti di destra, peristalsi torbida. Ampolla vuota. Si posiziona SNG.
Addome dolente e difeso soprattutto in fianco destro.
Rx addome: ancora presenti abbondanti livelli idro-aerei fondamentalmente colici, centro addominali. Non falde di aria libera. Leucocitosi con neutrofilia, inspissatio sanguinis. Ricovero in Chirurgia con diagnosi di occlusione intestinale.
Dopo circa 3 giorni
Veniva sottoposto ad intervento chirurgico di adesiolisi.
Diagnosi operatoria: occlusione intestinale su briglia aderenziale e plurime aderenze viscero - viscerali ed omento parietali.
Descrizione: adesiolisi. Sezione della briglia aderenziale. Detensione retrograda.
Laparotomia mediana. Sezione di protesi a rete parietale. Ansa di colore bluastro
ileale torta su briglia aderenziale parieto-omentale. Plurime aderenze viscero – viscerali e omento – parietali. Adesiolisi ed omentolisi. Sezione della briglia aderenziale. Detensione retrograda attraverso sondino naso duodenale. Drenaggi.
Nell’immediato postoperatorio comparsa di singhiozzo, che prosegue, intrattabile, per molti giorni.
Dopo circa dieci giorni sospetta fistola enterica:
Si posiziona ureteroplast per monitorare il quantitativo. Digiuno. Si ripristina
terapia infusionale. Leucocitosi, aumento PCR. Lo stesso giorno il paziente si
dimetteva volontariamente chiedendo il trasferimento ad altro Ospedale.
168
La responsabilità del chirurgo
Primo Ricovero presso l’Ospedale Beta, dove veniva sottoposto il giorno seguente a intervento chirurgico che veniva così descritto: perforazione ileale al di sotto
della rete protesica, posizionamento di drenaggi e di sistema di lavaggio.
Diagnosi: fistola enterocutanea dopo precedente laparotomia. Nutrizione parenterale totale per circa 4 mesi quindi nuovo intervento: diagnosi di fistola dell’intestino
tenue, conseguente a trattamento ad addome aperto, ascesso parete addominale.
Terapia: adesiolisi, resezione segmentaria di intestino tenue, plastica addominale, rimozione estesa della rete infetta e drenaggio di ascesso parete addominale.
Dimissione dopo circa 6 mesi complessivi di ricovero.
Considerazioni per parte ricorrente:
Nel corso del primo ricovero presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa, dove
il paziente si era recato per una occlusione intestinale, il medico di guardia non
ha tenuto conto della presenza di tale grave patologia, con leucocitosi associata,
e lo ha dimesso con terapia antibiotica ed antinfiammatoria.
Tale decisione è da ritenersi espressione di colpevoli errori, e non aderente alle
linee guida. Infatti, il paziente il giorno successivo tornava in Pronto Soccorso, e
veniva operato solo dopo oltre due giorni, con ulteriore ritardo nel trattamento.
Nel frattempo, il ristagno intestinale dal sondino naso-gastrico era aumentato,
l’occlusione intestinale da volvolo su briglia aderenziale era evoluta verso una
ischemia segmentaria: infatti all’intervento chirurgico si riportava “ansa bluastra”, segno evidente di una sofferenza vascolare probabilmente non più recuperabile. Qui non solo i Chirurghi non hanno atteso, dopo la lisi del cingolo
strozzante e la detorsione, di verificare una sicura ripresa della vitalità dell’ansa,
né hanno provveduto, in mancanza di questa, alla sua resezione.
Nel punto occlusivo infatti frequentemente si osserva un’ischemia di parete, soprattutto in presenza di strangolamento di un’ansa. L’ansa ischemica liberata
deve essere coperta e rivitalizzata con garze imbevute di soluzione fisiologica a
38°. La ripresa di una buona perfusione ematica è comprovata dalla ricomparsa
di un normale colorito roseo, che deve comparire entro 10-15 minuti, con ritorno delle pulsazioni arteriolari e delle contrazioni peristaltiche. Nelle situazioni
dubbie è consigliabile procedere alla resezione.
È dunque in prima ipotesi da ritenersi che l’ischemia intestinale sia evoluta in perforazione, responsabile della fistola osservata nel postoperatorio e poi della gravissima peritonite fecale diffusa riscontrata all’arrivo all’ Ospedale Beta, dove si descriveva “l’intestino è aperto”, quando nemmeno era possibile eseguire una resezione e
si propendeva per un trattamento aperto che sarebbe poi durato quattro mesi.
Non è tuttavia da escludersi, in subordine, che la perforazione osservata sia stata
di natura meccanica iatrogenica, ovvero per una lesione cagionata dal chirurgo
nel corso della lisi aderenziale della quale egli non si sia poi tempestivamente
avveduto, nel corso dell’intervento, per poterla riparare. In ogni caso esiste uno
stretto nesso di causa fra i colpevoli errori in cui incorsero i sanitari dell’ospedale
Alfa e la perforazione verificatasi.
Casi peritali simulati e commentati
169
In sintesi gli elementi di colpa per imperizia, imprudenza e negligenza sono:
dimissione del paziente dal Pronto Soccorso pur in presenza di segni inequivoci di occlusione intestinale e leucocitosi (sindrome da sofferenza d’ansa); ulteriore ritardo di due giorni nel sottoporre il paziente ad intervento chirurgico,
dimostrato dal riscontro di “ansa bluastra”; erronea esecuzione dell’intervento,
in occasione del quale l’ansa “bluastra” avrebbe richiesto una verifica certa di
vitalità dopo sezione del cingolo strozzante e detorsione o, in assenza di questa,
avrebbe richiesto resezione ileale contestuale; in subordine, diretta discontinuazione iatrogena, in corso d’opera, della parete intestinale, non riconosciuta e, per
conseguenza, mancata pronta riparazione della stessa; tardivo riconoscimento
della fistola enterico-iatrogena, con precoce ripresa dell’alimentazione per os e
peritonite fecale che richiese poi ulteriore, prolungato ricovero, in altro nosocomio, per arduo trattamento della stessa.
A questo proposito, nessuna importanza è stata attribuita, nel post-operatorio,
alla comparsa di un persistente singhiozzo, sintomo di irritazione frenica e dunque di inquinamento peritoneale (raccolte subfreniche); ed alla precoce infezione di ferita, con fuoriuscita di abbondante materiale purulento.
Come pure va sottolineato, a meglio comprendere il danno biologico permanente
in nesso causale, che gli esiti di un trattamento laparotomico aperto, per peritonite
diffusa a perforazione enterica, sono molto spesso caratterizzati da un quadro di
cosiddetto “addome congelato” (fused visceral block), con tenaci ed inestricabili aderenze che rendono assai difficile, se non addirittura impossibile, ogni eventuale ulteriore accesso chirurgico agli organi intra-peritoneali: è in tal modo probabilmente ostacolato o addirittura precluso il trattamento di eventuali importanti patologie
future, configurando una forma di danno per perdita di “riserva anatomica”.
Per tutte le ragioni sovra esposte, è da ritenersi che ricorsero colpevoli errori nel
comportamento del personale di assistenza dell’Ospedale Alfa ed in nesso causale con gli stessi sono da porre le seguenti conseguenze lesive:
•
un danno biologico temporaneo di sei mesi in forma assoluta, due mesi al
75%, un mese al 50% ed ulteriori trenta giorni mediamente al 25%.
•
un danno biologico permanente del 20%.
•
un ulteriore danno biologico per impedimento in attività-dinamico relazionali personali, come sopra indicato, in applicazione all’art. 138.3 D. Lgs.
209/2005.
•
una condizione di sofferenza morale, particolarmente rilevante nel periodo
di inabilità temporanea;
•
un danno patrimoniale, per temporanea incapacità al lavoro, di sei mesi in
forma assoluta ed ulteriori tre mesi mediamente al cinquanta%.
Considerazioni dei CTU:
In occasione del primo accesso al Servizio di Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa
fu formulata diagnosi di sindrome dolorosa addominale e iliaca destra in ma-
170
La responsabilità del chirurgo
lattia diverticolare, del tutto inadeguata dal punto di vista clinico-chirurgico, in
quanto contrastante con i dati clinici (sede del dolore (fossa iliaca destra) non
tipica della malattia diverticolare), radiologici (livelli idro-aerei in regione centro-addominale) e di laboratorio (leucocitosi).
L’imperita ed imprudente interpretazione clinica dei suddetti elementi, condizionò certamente il mancato approfondimento diagnostico (sarebbe stata certamente appropriata la prescrizione di una TAC addome, che avrebbe precocemente evidenziato il quadro di occlusione/subocclusione intestinale, consentendo una
più tempestiva correzione chirurgica delle relative cause) e la prematura dimissione del paziente con sola prescrizione di terapia antibiotica ed antinfiammatoria.
In occasione del secondo accesso al Servizio di Pronto Soccorso del medesimo
nosocomio il quadro di occlusione intestinale era indubbiamente eclatante, supportato da dati anamnestici (recrudescenza di dolore addominale, vomito alimentare, alvo chiuso a feci e gas), dati clinici (addome dolente sui quadranti di destra,
peristalsi torbida, ampolla vuota), dati radiologici (abbondanti livelli idro-aerei
colici in sede centro-addominale) e dati di laboratorio (leucocitosi). Purtroppo,
anche di fronte a tale evidenza, ci si limitò al ricovero del paziente in astanteria con
posizionamento di sondino naso-gastrico e di terapia infusionale antidolorifica
omettendo ancora una volta un adeguato approfondimento diagnostico.
Solo il giorno successivo il paziente fu trasferito presso la SOC Chirurgia Generale, ove si richiese finalmente una TAC addome che però, a fronte di una verosimile ipotesi di urgenza chirurgica, fu eseguita con ritardo.
Solamente a distanza di ulteriore tempo il malato fu sottoposto ad intervento di
laparotomia esplorativa in urgenza, nel corso del quale si descrisse un’ansa di
colore bluastro ileale torta su briglia aderenziale parieto-omentale, segno macroscopico di inequivocabile sofferenza ischemica, condizionata certamente nella
sua evoluzione dall’ampio ritardo diagnostico-terapeutico sopra puntualizzato
(almeno tre giorni ore dall’esordio della sintomatologia).
La sofferenza ischemica di un’ansa del piccolo intestino è di frequente riscontro intra-operatorio nei pazienti affetti da occlusione intestinale su base aderenziale e non
costituisce evenienza di particolare difficoltà terapeutica. In linea generale è possibile che, eliminato il cingolo strozzante, si assista a rivascolarizzazione dell’ansa
sofferente evitando così la resezione del tratto intestinale interessato. La contestuale applicazione locale intra-operatoria di garze imbevute con soluzione fisiologica
calda può in alcuni casi favorire la rivascolarizzazione locale. Nel caso in oggetto,
il chirurgo operatore si limitò unicamente alla sezione delle briglie aderenziali con
detorsione retrograda dell’ansa intestinale, senza provvedere alla rivitalizzazione
della stessa con applicazioni calde e, soprattutto, all’ essenziale verifica di ripresa di
vitalità della stessa prima di procedere alla chiusura della parete addominale. In tali
situazioni, infatti, l’evoluzione in senso perforativo del tratto intestinale sofferente
è pressoché inevitabile, ma soprattutto espone il paziente alla necessità di ulteriore
intervento chirurgico per controllo della conseguente peritonite.
L’origine della lesione ileale esitata nella formazione di una fistola entero-cutanea, già descritta durante il ricovero presso l’Ospedale Alfa, è pertanto da ri-
Casi peritali simulati e commentati
171
condursi molto verosimilmente alla progressione del danno ischemico parietale,
non adeguatamente trattato e monitorato nel corso della procedura chirurgica,
piuttosto che ad una lesione diretta dell’ansa prodotta dalle manovre chirurgiche, posto che in questo secondo caso la fuoriuscita di materiale fecale si sarebbe
verificata immediatamente, permettendo all’operatore di mettere subito in atto
manovre riparative (sutura diretta della breccia intestinale ovvero resezione del
tratto intestinale interessato). I principi generali di buona pratica chirurgica impongono in entrambe le eventualità il contenimento del danno, mediante sutura
ed eventuale resezione nell’ipotesi di danno parietale diretto, e mediante resezione con contestuale anastomosi nell’ipotesi di danno parietale ischemico.
Bisogna inoltre considerare che la mancata resezione di un tratto intestinale ischemico favorisce lo sviluppo di ulteriori danni d’organo secondo il principio fisiopatologico del danno da riperfusione. In tale ottica, quindi, è senza dubbio possibile
affermare che lo sviluppo della fistola entero-cutanea, documentata all’atto della
dimissione volontaria dall’Ospedale Alfa, ma anche le ulteriori complicanze successivamente descritte (peritonite localizzata, ascesso di parete, estesa sindrome
aderenziale) siano conseguenza diretta della mancata resezione ileale.
Da sottolineare, inoltre che in situazioni caratterizzate da presenza di plurime
aderenze, la precoce rialimentazione per os potrebbe favorire la rottura d’ansa;
troppo precocemente venne ripristinata l’alimentazione enterale, anche in presenza di singhiozzo. Tale scelta risulta ingiustificabile e certamente censurabile.
Un ulteriore elemento di riflessione è poi costituito dallo sviluppo di infezione
di ferita durante il ricovero presso l’Ospedale Alfa: la fuoriuscita di materiale
purulento/fecale e l’isolamento mediante tampone di ferita di batteri tipici del
tratto intestinale avrebbe dovuto indurre i sanitari a meglio considerare un peggioramento della condizione intraddominale post-operatoria, specialmente in
un paziente già precedentemente sottoposto ad interventi di chirurgia maggiore
intraddominale. La sfumata sintomatologia descritta in cartella clinica durante
la degenza (alvo canalizzato in modo alterno, presenza di febbricola, singhiozzo, precoce infezione di ferita, comparsa di fistola), costituisce inequivocabile
segnale premonitore di peggioramento clinico nel paziente in antibioticoterapia
endovenosa, ma portatore di ansa sofferente non sottoposta a resezione, nel quale il processo peritonitico viene parzialmente arginato e contenuto dalla sindrome aderenziale intra-addominale.
Infine, il reperto operatorio descritto dai chirurghi dell’Ospedale Beta conferma
l’estesa sindrome aderenziale, condizione frequentemente esacerbata dal processo peritonitico sostenuto dalla apertura dell’ansa ileale, già ampiamente sofferente durante l’atto chirurgico.
Infine, non si ravvedono apprezzabili difetti di indicazione chirurgica relativamente agli interventi eseguiti presso l’Ospedale Beta, nel quale sono stati messi
in pratica i principi fondamentali della “damage control surgery”.
Le prestazioni oggetto del presente accertamento presentavano carattere routinario o di facile esecuzione e non implicavano la risoluzione di questioni tecniche di speciale difficoltà.
La responsabilità del chirurgo
172
Conclusioni:
A causa dei suddetti profilati aspetti di responsabilità professionale sostenuta
da imperizia, imprudenza e negligenza, totalmente ascrivibili ai sanitari dell’Ospedale Alfa ebbe a concretizzarsi un periodo di invalidità temporanea (maggior
danno biologico temporaneo) rispetto al periodo di convalescenza che sarebbe
comunque conseguito al corretto trattamento della lesione iniziale, quantificabile in cinque mesi di danno biologico temporaneo assoluto (100%), sostenuti dai
documentati ricoveri ospedalieri successivi alla dimissione dall’Ospedale Alfa,
in ulteriori giorni 20 di invalidità biologica parziale mediamente al 75%, in ulteriori giorni 20 di invalidità biologica parziale mediamente al 50% ed in ulteriori
giorni 15 di invalidità biologica parziale mediamente al 25%, sostenuti da attendibile convalescenza post-dimissione ospedaliera.
I postumi permanenti invalidanti imputabili all’accertata malpractice, con riferimento all’integrità psico-fisica del soggetto (danno biologico permanente), sono
globalmente quantificabili nella misura del 12%.
Trattasi di postumi permanenti ampiamente cristallizzati a distanza di oltre cinque anni, non suscettibili di ulteriore miglioramento mediante protesi, terapie
o interventi particolari. Alle suddette lesioni iatrogene ebbe a conseguire una
inabilità lavorativa temporanea assoluta di complessivi mesi 8 (otto), del tutto
congrui e concordanti con il riferimento anamnestico.
Si rimanda al Giudice Istruttore il giudizio in ordine alla possibilità di ristoro
dell’onorario per perizia medico-legale, trattandosi di prestazioni ad uso assicurativo, priva di finalità diagnostica e terapeutica.
Sintesi:
I CTU riconoscono appieno le criticità richiamate da parte ricorrente ed una percentuale di danno permanente congrua con quanto riportato nelle tabelle di riferimento.
Caso 25
Deiscenza di anastomosi colo-rettale, emoperitoneo,
morte sul tavolo
Consulenza Tecnica d’Ufficio:
un medico legale, un ausiliario chirurgo.
Vicenda clinica:
Maschio di circa 70 anni.
Colonscopia: a 9 cm dal margine anale formazione polipoide facilmente san-
Casi peritali simulati e commentati
173
guinante che avvolge quasi tutta la circonferenza del viscere, la sua estensione
verosimilmente si porta a circa 15 cm.
Esame istologico: adenocarcinoma moderatamente differenziato.
TAC addome: ispessimento concentrico della parete del cieco-ascendente per
una estensione di circa 10 cm con obliterazione del lume per sospetta lesione
infiltrativa. Altra lesione infiltrativa a manicotto occupa la parete del retto con
andamento circonferenziale per un’estensione cranio-caudale di circa 6 cm.
Ricovero presso Ospedale Alfa.
Intervento laparoscopico: open laparoscopy, resezione ileo-colica meccanica con
ileo-ascendente L-L. Resezione del retto e del sigma, anastomosi colo-anale, ileostomia escludente su bacchetta.
I giornata: disidratato, Ileostomia funzionante.
II giornata: nessuna annotazione di carattere clinico.
Creatinina >2,2; ipoproteinemia ed aumento della PCR.
III giornata: febbre, dispnea, contrazione della diuresi.
Progressiva anemizzazione, in VI giornata drenaggio pelvico contenente feci.
Timpanismo enterocolico aumentato.
TAC addome: raccolta saccata in corrispondenza dell’ileostomia. Nessun provvedimento viene intrapreso. Comparsa di stato settico, persistente anemizzazione,
A 10 giorni dall’intervento comparsa di rettorragia. Drenaggio circa 1000 cc
ematici. Prurime emotrasfusioni.
Esame istologico (eseguito presso Casa di Cura Beta, sita a circa 500 km dall’Ospedale Alfa: A-Tratto di piccolo intestino di cm 15 sede di neoformazione polipoide di cm 7 che dista cm 2 dal margine distale; B-Tratto di sigma retto di circa
30 cm sede di neoformazione del retto di cm 5 ulcerata che infiltra il margine
mesorettale e giunge a ridosso del margine distale suturato con clip metalliche.
Diagnosi: A-Adenoma tubulo-villoso con displasia di grado moderato (G2 sec WHO).
Linfoadenite reattiva nei 3 linfonodi pericolici isolati. B-Adenocarcinoma del
grosso intestino, necrotico, moderatamente differenziato (G2) che infiltra la parete fino al tessuto adiposo periviscerale. Sono presenti quadri di embolia neoplastica vascolare e di infiltrazione perineurale. I margini di resezione chirurgica
appaiono esenti da infiltrazione neoplastica nelle sezioni esaminate. Metastasi
di adenocarcinoma in 1/11 linfonodi pericolici isolati. pT3, pN1, Mx sec AJCC
2010-Stadio C/2 di Dukes mod. Proseguono nei giorni successivi gli episodi di
enterorragia richiedenti trattamento emotrasfusionale.
Dopo 20 giorni, drenaggi persistentemente ematici, IRA, stato anasarcatico.
Dopo 25 giorni
Diagnosi ecografica di raccolta diam. cm 20 circa in pelvi ad ecostruttura mista in
174
La responsabilità del chirurgo
continuità con altra raccolta in regione fianco destro ed ipogastrica. Versamento liquido in addome, in sede perisplenica ed in regione fianco sinistro.
Trattamento emodialitico. Alla TAC addome aumento dimensionale della raccolta
addominale, fuoriuscita di bolle d’aria nello scavo pelvico a livello della anastomosi colo-anale con interposizione di gas fra intestino e parete vescicale posteriore e
nell’ambito della raccolta iperdensa emorragica descritta nello scavo del Douglas.
Dopo ulteriori 5 giorni
Il paziente chiede di essere dimesso e trasferito presso l’Ospedale di Beta come
da accordi con il Prof…
Dalla relazione clinica di dimissione: Eravamo in attesa della stabilizzazione
clinica per la toilette dei focolai peri-anastomotici.
Ricovero presso U.O Chirurgia dell’Ospedale di Beta con diagnosi di proctorragia.
TAC torace-addome-pelvi con mdc: alcune raccolte saccate, disomogeneamente
ipodense tendenzialmente fluide, con qualche bolla aerea contestuale, le maggiori delle quali in sede pelvica, del diam di circa 10cm, ed a livello sovra-iliaca
destra con estensione nella doccia parietocolica di destra e con diam di circa 12
cm sino in prossimità della colostomia.
Nel frattempo
Episodio di enterorragia massiva: >500 cc di sangue nella borsa dell’ileostomia e
abbondante quantità di sangue rosso vivo dall’ano. PA 80/30.
Angio TC e angiografia addome: non spandimenti di mdc da sanguinamento attivo.
Per tutta la notte ipotensione e persistente anemizzazione, prosegue la rettorragia.
Al mattino si pone indicazione a intervento chirurgico d’urgenza.
Ore 9,30:
laparotomia mediana xifo-pubica.
Presenza di grossolane, tenaci ed estese aderenze del tenue tra le anse e con la
parete addominale. Alcune anse sono inglobate e attratte in una ganga pelvica
di consistenza dura. Durante le manovre di dissezione si apre cavità pelvica con
fuoriuscita di materiale purulento.
Si accede a grossolana cavità ascessuale che occupa la pelvi. Continuando nella
dissezione si riscontra la continuità di questa cavità con una deiscenza anastomotica colo-rettale occupata da ansa del tenue. Si procede alla dissezione viscerale e si decide di affondare il colon a livello del passaggio sul promontorio.
L’ulteriore asportazione del colon non si ritiene possa essere eseguita con facilità
a causa di aderenze infiammatorie con la fascia di Waldeyer e con il territorio
dell’ipogastrica sinistra. Pertanto, si seziona con EndoGIA e si esegue colostomia terminale sul discendente. Sezione di circa 1 metro di ileo, comprendente
l’anastomosi ileo-colica e numerosi tratti lesionati dall’ascesso, con EndoGIA- 60.
Confezionamento di ileostomia terminale a circa 3 m dal Treitz, toilette.
Tempo urologico: riscontro di ampia lesione ureterale sinistra distale, non riparabile con tecnica conservativa. Si decide di procedere a reimpianto ureterale dopo resezione del tratto lesionato. Si procede a mobilizzazione dell’uretere
Casi peritali simulati e commentati
175
prossimale fino al giunto pielo-ureterale sinistro, mobilizzazione della vescica
dalla ganga di tessuto cicatriziale circostante, previa cateterizzazione dell’uretere destro al fine di minimizzare la possibilità di lesioni iatrogene. Apertura
longitudinale mediana della vescica, creazione di neomeato sulla cupola, fissazione dell’uretere alla parete esterna della vescica. Successivo spatulamento del
segmento di uretere endovescicale, e posizionamento di stent ureterale 6Fr e a
sintesi con la mucosa vescicale. Fissazione della vescica al muscolo psoas di sinistra, chiusura della breccia vescicale con sutura continua con in doppio strato.
Diagnosi: shock settico con componente emorragica da grossolani ascessi addominali
(pelvico e sottoepatico) da deiscenza anastomotica in operato di neoplasia del retto.
Durata dell’intervento circa 10 ore, ricovero in Rianimazione. Emodinamica sostenuta da noradrenalina, tendenzialmente instabile.
La mattina successiva
Torna e in sala operatoria per shock emorragico, PA 50/30, FC >130/min.
Intervento: relaparotomia mediana, presenza di circa 2 litri di sangue in addome.
Riscontro di fonte emorragica in sede sottoepatica ed in fossa iliaca sinistra, emostasi. Discreto sanguinamento proviene inoltre dallo scavo pelvico.
Allo scopo di controllare l’origine dell’emorragia nella piccola pelvi si decide di interrompere l’anastomosi uretero-vescicale (da reimpianto) chiedendo consulenza
urologica. Dopo divaricazione della vescica si procede a tentativo di emostasi
nel territorio della arteria ipogastrica sinistra. Ulteriore sanguinamento della
vena ipogastrica sinistra. Si procede ad isolamento di arteria e vena iliaca sinistra per tentativo di legatura; a seguito dell’intercorso exitus si interrompono
le procedure di emostasi.
Dal certificato di morte: shock emorragico in paziente in shock settico in sala
operatoria.
Risultato esami colturali in corso: Emocoltura positiva per Candida, liquido
peritoneale positivo per enterococchi fecali e Candida.
Considerazioni della parte ricorrente:
Il de cuius è deceduto a seguito di intervento laparoscopico per neoplasia del
retto eseguito presso l’Ospedale Alfa.
Dalla descrizione dell’intervento si evince che vennero eseguite una resezione ileo-colica meccanica per adenoma tubulo-villoso del piccolo intestino ed una resezione del retto-sigma per adenocarcinoma del retto con anastomosi colo-anale.
Per quanto riguarda il diario clinico si ritengono opportune le seguenti osservazioni, scaturite da una valutazione analitica, che dimostrano inequivocabilmente le carenze, i ritardi, le negligenze, i reiterati errori nella conduzione clinica.
In I giornata post-operatoria manca del tutto l’obiettività addominale.
II giornata post-operatoria: manca il diario clinico. Improvviso netto rialzo di
azotemia e creatinina, espressione di instaurarsi di insufficienza renale.
III giornata post-operatoria: paziente dispnoico, oligurico, peggioramento dei pa-
176
La responsabilità del chirurgo
rametri di funzionalità renale, netta riduzione della sintesi proteica (grave ipoalbuminemia che non viene corretta). Manca del tutto l’obiettività addominale.
IV giornata post-operatoria: manca il diario clinico.
V giornata post-operatoria: manca del tutto l’obiettività addominale.
VI giornata post-operatoria: dal drenaggio pelvico compaiono feci, l’addome è
timpanico, la TAC addome documenta la presenza di raccolta saccata in corrispondenza dell’ileostomia, versamento pleurico bilaterale. Nessun provvedimento è preso per il trattamento della raccolta.
VII giornata post-operatoria: vomito, leucocitosi con neutrofilia, ipoalbuminemia. Lo stato settico è conclamato: manca l’obiettività addominale, non si intraprende alcun provvedimento.
VIII giornata post-operatoria: aumento della leucocitosi, manca del tutto l’obiettività clinica.
IX giornata post-operatoria manca l’obiettività clinica; peggioramento della funzione renale.
X giornata post-operatoria: manca il diario clinico; compare anemizzazione.
XI giornata post-operatoria: anemizzato, manca del tutto obiettività clinica.
XII giornata post-operatoria paziente anemizzato, compare proctorragia, nel
drenaggio pelvico 1000 ml di sangue. Emotrasfusione, di fronte ad importante
emorragia sia dal retto che intraperitoneale (dal drenaggio in sede pelvica) non
si intraprende nessun provvedimento né diagnostico (TAC addome, endoscopia, esplorazione rettale), né terapeutico.
XIII giornata post-operatoria: persiste rettorragia, ancora emotrasfusioni, nessun provvedimento attivo né diagnostico né terapeutico.
XIV–XX giornata post-operatoria: manca obiettività addominale; continua l’anemizzazione, comparsa di edemi agli arti. Nel paziente con proctorragia, raccolta pelvica
e raccolta peri-anastomotica non si prende nessun provvedimento terapeutico.
XXI giornata post-operatoria: ancora proctorragia, oligoanurico, stato anasarcatico, edemi diffusi, insufficienza renale, emotrasfuso.
XXII giornata post-operatoria: l’ecografia addominale dimostra plurime raccolte
di grandi dimensioni (fino a cm 20), ascessuali, endoaddominali e ancora nessun
provvedimento chirurgico. Versamento addominale e pleurico.
XXIII giornata post-operatoria: quadro di insufficienza renale acuta, innescato
dal prolungato stato settico e dalla ipovolemia conseguente all’importante anemizzazione mai corretta dalle emotrasfusioni.
XXVI giornata post-operatoria: manca il diario clinico.
XXVIII giornata post-operatoria: manca il diario clinico.
XXIX giornata post-operatoria: una nuova TAC addome conferma, invariato, il
quadro di ascessualizzazione multipla endoaddominale. Ma si poteva pensare
ad un miglioramento senza aver attuato alcun provvedimento terapeutico di
tipo chirurgico o di drenaggio percutaneo?
XXX giornata post-operatoria: ancora proctorragia, politrasfusioni, una ulteriore
TAC segnala aria intraperitoneale, nel contesto di ascesso pelvico, da deiscenza
anastomotica rettale inveterata, e ancora nessun provvedimento chirurgico.
Nella relazione di dimissione dell’Ospedale di Alfa si giustifica l’atteggiamento
Casi peritali simulati e commentati
177
conservativo con l’attesa della stabilizzazione clinica per la toilette dei focolai
perianastomotici. Un paziente settico, sanguinante in modo conclamato e insufficiente renale, per una deiscenza dell’anastomosi colo-rettale e assai probabilmente della ileo-colica, con peritonite ad ascessi multipli, con la presenza di gas
e di feci nella pelvi, in quale stabilizzazione clinica poteva sperare?
Nessun provvedimento chirurgico era stato mai intrapreso, quando i segni delle deiscenze anastomotiche erano stati assai precoci, già nei primi giorni del
post-operatorio, e quello era il momento di agire chirurgicamente, escludendo la
fistola rettale con una colostomia a monte, meglio resecandola, anche allo scopo
di ottenere una emostasi sicura; verificare la tenuta dell’anastomosi ileo-colica;
effettuare un’efficace toilette intraperitoneale, eventualmente, se necessario anche con l’ausilio di una laparostomia.
Nulla di tutto questo è stato fatto, ed il paziente è progressivamente ed irrimediabilmente decaduto, fino alla definitiva resa e al trasferimento, in limine vitae,
all’Ospedale Beta. Qui, coraggiosamente, il paziente è stato sottoposto ad un
intervento esplorativo in emergenza con intento salvavita in un contesto di peritonite plurisaccata e fecale inveterata, ormai inevitabilmente foriera di ulteriori
cataclismatiche complicanze chirurgiche e che ha richiesto, dopo poche ore, un
reintervento per emorragia massiva incontrollabile in presenza di una sindrome
emorragica da trasfusione massiva (DIC) con morte sul tavolo operatorio.
Risulta pacifica la sussistenza di nesso causale fra le conseguenze dell’intervento
eseguito all’Ospedale Alfa ed il decesso sopraggiunto: infatti l’atto chirurgico innescò una serie di complicanze incontrollate che portarono poi a morte il malato
nonostante gli atti chirurgici estremi realizzati in limine vitae dai sanitari dell’ospedale Beta. Ed il personale medico del primo Ospedale non appare in grado
di provare documentatamente che il comportamento dallo stesso tenuto nell’assistenza post-operatoria sia stato improntato, come dovuto, a perizia, prudenza
e diligenza, anche e soprattutto per assai carente, lacunosa, negligente redazione
della cartella clinica. Infatti, in più giornate di ricovero non appare riportato il diario clinico e/o non risultano descritti i rilievi obiettivi addominali, assai importanti
nella fattispecie, dato il susseguirsi proprio di complicanze post-operatorie addominali, come se il paziente non venisse controllato/visitato: e ciò, secondo regola
di giudizio della S.C., autorizza a ritenere come scontata la negligenza dei sanitari
curanti che, “i più vicini alla prova”, risultano invece inadempienti nel merito.
A prescindere dagli oneri probatori, dall’esame della cartella clinica si evince comunque che sussistevano le condizioni per un reintervento chirurgico (con alta
probabilità risolutivo della complicanza insorta–deiscenza anastomotica con peritonite stercoracea-) fin dalla III e più ancora dalla VI e VII giornata post-operatoria caratterizzate da comparsa di feci dal drenaggio pelvico, addome timpanico,
raccolta saccata in corrispondenza dell’ileostomia e versamento pleurico bilaterale alla TAC, insieme a vomito e leucocitosi con neutrofilia. Ma il paziente ancora
poteva essere salvato con reintervento chirurgico eseguito anche in giorni successivi. In particolare tale revisione operatoria si imponeva come assolutamente
obbligatoria nei giorni in cui si manifestarono pure fenomeni emorragici (sangue
178
La responsabilità del chirurgo
dal retto e dal drenaggio pelvico) cui si cercò di far fronte con emotrasfusioni da
ritenere non più che palliative, in corso di progressione dello stato settico.
Da ultimo, sembra lecito avanzare dubbi anche in ordine alla correttezza delle
anastomosi eseguite nel corso del primo intervento chirurgico, atteso che per
quanto risulta entrambe andarono incontro a quella deiscenza che innescò poi
tutti gli eventi avversi che portarono al decesso.
Considerazioni della parte convenuta:
L’obiettività addominale non veniva riportata perché nulla di rilevante veniva
constatato. Non è necessario descrivere tutto ciò che appare nella norma di un
decorso postoperatorio. Il diario clinico è di tipo integrato. La mancanza di attività clinica non è certamente indice di mancata visita del paziente. E evidente
dalla cronologia riportata il livello di attenzione continua sul paziente. Il paziente veniva controllato e visitato quotidianamente come si evince dal diario clinico integrato medico-infermieristico riportato in cartella clinica, dalla costanza
di aggiornamento della terapia medica, dagli esami ematochimici di controllo
seriati, dal monitoraggio continuo dei parametri vitali, dalla collaborazione interdisciplinare delle varie branche specialistiche coinvolte nella gestione di un
paziente così delicato. Il provvedimento terapeutico attuato e scelto è stato di
tipo conservativo, conforme alle linee guida evidenti. Il leakage anastomotico è
una complicanza nota nella letteratura scientifica internazionale.
All’Ospedale Beta non appare corretta la metodica attuata nel corso del primo
intervento: non appare convincente la descrizione della difficile dissezione e viene creata la lesione iatrogena dell’uretere sinistro (probabilmente durante l’affondamento alla cieca del colon; durante queste manovre viene creata anche una
lesione iatrogena dell’arteria e della vena ipogastrica sinistra.
Durante il secondo intervento il chirurgo però non riesce a fare l’emostasi dei vasi
verosimilmente precedentemente lesi in modo iatrogeno durante le manovre di
dissezione vescicale. Il paziente, quindi, muore per shock emorragico sul letto
operatorio a causa delle lesioni iatrogene della vena e arteria ipogastrica sinistra.
Le complicanze occorse durante il decorso non derivarono da colpe, non furono
prevenibili e comunque furono risolte mediante appropriate terapie conservative.
Considerazioni dei CTU:
La morte è da porsi in nesso di causalità materiale con il trattamento chirurgico,
che è stato la causa unica dell’evento. I medici hanno violato una o più regole
doverose di condotta quali risultano da una condivisa prassi. Infatti, appare evidente come il ripetersi, anche ravvicinato, delle emorragie importanti che, nonostante le trasfusioni, non si arrestavano, avrebbe comportato un atteggiamento
meno attendistico e più interventistico. Dinanzi ad una complicanza emorragica
prima, e di una successiva deiscenza anastomotica, nulla si è fatto se non trasfondere, per arginare una situazione clinica che andava via via peggiorando.
Casi peritali simulati e commentati
179
La morte del paziente è stata in esclusivo nesso causale con queste violazioni. Il
comportamento dei sanitari che hanno avuto in cura il paziente ha pregiudicato
e/o sottratto chances di sopravvivenza e/o guarigione, posto che un carcinoma
del retto, pur se di natura maligna, ha discrete probabilità di guarigione.
Osservazioni per parte ricorrente alla relazione di CTU:
Merita un chiarimento una frase del tipo: il comportamento dei sanitari e del personale
della convenuta che ha avuto in cura il paziente in occasione dei fatti di cui al presente
procedimento ha pregiudicato e/o sottratto chances di sopravvivenza e/o guarigione al
paziente, posto che un adenocarcinoma del retto, pur se di natura maligna, ha discrete
probabilità di guarigione se adeguatamente e tempestivamente trattato.
Al riguardo, si osserva che il danno da cosiddetta perdita di chances, per giurisprudenza
ormai costante, costituisce voce autonoma di danno meritevole di ristoro economico
con criterio equitativo del Giudice; e la si riconosce (a fronte di accertata “colpa medico
chirurgica”) laddove siano state sottratte al paziente probabilità di guarigione e/o sopravvivenza inferiori al 50%. Ma è necessario qui precisare e rimarcare che nel caso di
specie le probabilità sottratte al paziente sono da ritenere ampiamente superiori al 50%:
tanto che, nella sostanza, il CTU scrive una frase del tipo: la morte del paziente è stata in
esclusivo nesso causale con dette violazioni.
Per altro verso, va anche sottolineato che trattamenti adeguati e tempestivi del carcinoma
dell’intestino retto, nello stadio di malattia riscontrato al momento diagnosi, avrebbero
dato al de cuius probabilità di guarigione assai elevate, con sopravvivenza a 5 e 6 anni
attorno al 75%, secondo autorevole ed accreditata letteratura scientifica.117,118,119,120,121
Risposta del CTU:
Per quel che concerne la perdita di chances, il sottoscritto ha già affrontato la
questione. Riteniamo pertanto definito tale aspetto della vicenda.
117 Schmidt CE: Ten year historic cohort of quality of life and sexuality in patients with rectal
cancer. Dis Colon Rectum 48:483,2005; Libutti SK: Cancer of the colon. In: De Vita V: Cancer, 787, Wolters Kluwers 2015.
118 Andre T: Improved overall survival with oxaliplatin, fluorouracil, and leucovorin in adjuvant treatment in stage II or III colon cancer in the MOSAIC trial. J Clin Oncol 27:3109,2009.
119 Efficacy of adjuvant fluorouracil and folinic acid in colon cancer. International multicenter Pooled Analysis of Colon Cancer Trials (IMPACT) investigators. Lancet 345:939,1995.
120 Roses RE: The management of rectal cancer. In: Cameron JL: Current Surgical Therapy,
218, Elsevier 2014.
121 Mahmoud NN: Colon and Rectum. In: Sabiston Textbook of Surgery, 1379, Elsevier 2017.
La responsabilità del chirurgo
180
Sintesi:
La difesa di parte convenuta contraddice apertamente elementi che inequivocabilmente appaiono nella documentazione clinica. Addossa la responsabilità
del decesso ad errori di tecnica chirurgica commessi nell’ospedale nel quale la
famiglia del paziente ha chiesto il trasferimento.
Il CTU riconosce la responsabilità del decesso ai sanitari del primo ospedale in termini di “pregiudizio con perdita di chances di sopravvivenza e/o guarigione, ma
anche, che la morte è in nesso di causalità con il trattamento chirurgico. Non risponde ai chiarimenti, fondamentali, richiesti in proposito dai CTP di parte ricorrente.
Caso 26
Diverticolite perforata del sigma, dimissione dal P.S,
exitus (Penale)
Consulenti del PM:
un chirurgo, un ausiliario anatomopatologo.
Vicenda clinica:
Donna di circa 65 anni, accesso serale al Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa con
Ambulanza 118. Priorità 3, poco critico-verde.
Annotazioni: addominalgie e vomito (cena con trippa). Presa in carico nel corso
della notte. Giunge per vomito alimentare, addome trattabile diffusamente dolente. ECG 150 bpm (tachicardia sinusale), infarto inferiore, epoca indeterminata. ECG anormale (manca firma del medico).
Rx addome: in tangenziale si apprezzano alcune microfalde gassose lungo il
margine addominale anteriore, ernie addominali (ombelicale)? Aria libera?
Ht 50%, WBC 6,9.
Terapia: Ringer 1 fl 500 ml; Plasil 5 F; Plasil 5 F; Contramal 5F.
Nelle prime ore del mattino dimissione.
Condizioni: invariate.
Diagnosi: colica addominale.
Deceduta al proprio domicilio nelle prime ore del pomeriggio dello stesso giorno.
Riscontro Diagnostico: all’apertura della cavità addominale presenza di aria libera e feci e versamento addominale di 1 litro. Perforazione a livello del grosso
intestino del diametro di 1 cm.
Intestino: diffusa melanosis coli e quadri di necrosi della mucosa colica.
Diagnosi anatomopatologica: colon da catartici, perforazione in corrispondenza di diverticolo intestinale e peritonite stercoracea diffusa.
Casi peritali simulati e commentati
181
Considerazioni del CTU:
Dopo cena avvertiva dolore addominale importante, e veniva trasportata con
ambulanza 118 al Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa. Al triage le veniva attribuito Codice di Priorità 3, poco critico-Verde. Attendeva nei locali del Pronto
Soccorso circa 4 ore e mezza per essere visitata dal medico. L’esame obiettivo
segnalava “addome trattabile diffusamente dolente”.
Nella visita manca l’ispezione dell’addome, manca l’auscultazione, mancano rilievi fondamentali quali l’esame del “segno del rimbalzo o di Blumberg,”, fondamentali per la diagnosi di addome acuto.
La paziente era molto tachicardica (150 battiti al minuto) per ipovolemia (disidratazione) e/o sepsi. Tra gli esami ematochimici emoglobina ed ematocrito
elevati testimoniavano la inspissatio sanguinis confermando lo stato di disidratazione in atto. Anche l’ipopotassiemia non veniva corretta.
L’Rx addome diretto evidenziava la presenza di microfalde gassose lungo il
margine addominale anteriore, possibile espressione di pneumoperitoneo,
espressione di perforazione di un viscere cavo addominale.
A dispetto di questi elementi clinici, di laboratorio e radiologici la paziente in
condizioni “invariate” veniva dimessa con diagnosi di “colica addominale”, ovvero senza diagnosi, senza nessuna indicazione né prescrizione terapeutica, per
ritornare al proprio domicilio, dove sarebbe deceduta dopo circa 10 ore.
Il riscontro autoptico ha dimostrato che la causa della morte è stata una peritonite fecale generalizzata da perforazione di diverticolo del colon (a sede non
specificata) che ha determinato l’importante dolore addominale, l’ipovolemia
(disidratazione), la sepsi e lo shock irreversibile.
Si possono fare in proposito le seguenti considerazioni, fermo restando che si è
trattato di riscontro diagnostico a carattere essenzialmente clinico, senza la finalità primaria di una documentazione medico-legale:
•
non è presente documentazione fotografica;
•
non sono descritte le caratteristiche macroscopiche della parete colica immediatamente circostante la perforazione diverticolare (es.: se vi era fibrina, pus, escara, etc.);
•
è descritta la presenza di “aria e feci” all’apertura della parete addominale,
ma non sono descritti i caratteri dei 1000 cc di versamento peritoneale (es.:
sieroso tinto, francamente stercoraceo, puruloide, etc), reperto che avrebbe
potuto aiutare nella datazione della perforazione diverticolare.
Plurime gravi criticità si ravvisano nei comportamenti dei Sanitari che ebbero in
cura la paziente presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa. Innanzitutto, l’Infermiere del Triage non ha identificato (né sospettato) la gravità della patologia
in essere attribuendo alla paziente un Codice di Priorità verde che l’ha costretta
ad attendere, priva di cure, 4 ore prima di essere ammessa a visita medica.
Trattasi qui di un tempo cruciale, perché in quel lasso di tempo la paziente
avrebbe potuto essere rapidamente avviata a terapia di rimpiazzo volemico ed
182
La responsabilità del chirurgo
idrosalino oltre che antibiotico, avrebbe dovuto eseguire una TAC addominale
per confermare la perforazione già sospettata dall’Rx addome o un clisma opaco
con mezzo di contrasto idrosolubile, per essere immediatamente avviata all’intervento d’urgenza.122,123
Infatti, pur se fortemente tachicardica, la pressione arteriosa si manteneva ancora valida, e il posizionamento di un catetere vescicale avrebbe consentito l’indispensabile monitoraggio della diuresi e le manovre rianimatorie necessarie
avrebbero dovuto essere tempestivamente intraprese. Anche l’esecuzione di una
emogasanalisi avrebbe consentito di avviare una terapia idonea alla correzione
delle alterazioni dell’equilibrio acido-base e della ossigenazione.
La visita riguardante l’obiettività addominale è stata superficiale, ed elementi
di cruciale importanza non sono stati né valutati né riportati in cartella clinica.
Gli esami ematochimici non sono stati per nulla valutati, i riscontri dell’Rx addome diretto non sono stati compresi, perché se così fosse stato si sarebbe obbligatoriamente innescata una sequenza di atti diagnostici e quindi terapeutici in
urgenza che invece non sono stati mai avviati, con le note infauste conseguenze.
La terapia infusionale praticata in Pronto Soccorso (soluzione di Ringer 500 ml)
nulla ha potuto per il rimpiazzo volemico, e non è stata intrapresa una adeguata
terapia antibiotica. La paziente è stata irresponsabilmente rinviata a domicilio
senza diagnosi e senza terapia.
In conclusione: la diverticolite perforata del colon, complicanza di una patologia
assai frequente, la malattia diverticolare del colon, è malattia potenzialmente
mortale che tuttavia, correttamente diagnosticata e trattata, assicura alte percentuali di sopravvivenza.
Un suo trattamento chirurgico adeguato limita la mortalità al 5-15%,124,125,126,127
quando invece un mancato trattamento è certamente responsabile di una mortalità elevatissima, che diventa inevitabile in caso di peritonite fecale diffusa.
Le condotte omissive, imprudenti e negligenti del personale sanitario che ebbe
in cura la paziente presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa sono da ritenersi
in nesso causale con il decesso della paziente.
122 Baker ME: Imaging and interventional techniques in acute left-sided diverticulitis. J Gastrointest Surg 12:1314, 2008.
123 Chang GJ: Large intestine. In: Doherty GM: Surgery Current Diagnosis and Treatment
676, Lange 2010.
124 Constantinides VA: Operative strategies for diverticular peritonitis: a decision analysis between
primary resection and anastomosis versus Hartmann’s procedures. Ann Surg 245(1):94, 2007.
125 Ferrada P: The management of diverticular disease of the colon. In: Cameron JL: Current
Surgical Therapy, 150, Elsevier 2014.
126 Bauer VP: Emergency management of diverticulitis. Clin Colon Rectal Surg 22(3):161, 2009.
127 Breitstein S: Emergency left colon resection for acute perforation: primary anastomosis
or Hartmann procedure? A case-matched control study. World J Surg 31:2117, 2007.
Casi peritali simulati e commentati
183
Conclusioni:
Condanna per omicidio colposo del medico di guardia del Pronto Soccorso.
Sintesi:
Caso esemplare di colpa medica per comportamento omissivo, riassume tutto
quello che in casi consimili non deve essere fatto, ed il medico qui appare del
tutto indifendibile.
Caso 27
Impotenza dopo resezione del retto (IPAA)
per proctocolite ulcerosa
Consulenza Tecnica d’Ufficio:
un medico legale, un chirurgo.
Vicenda clinica:
Maschio di anni 35, portatore di rettocolite ulcerosa (RCU) farmacoresistente e
steroidodipendente.
Intervento (1) presso l’Ospedale Alfa: colectomia subtotale, ancoraggio del moncone rettale alla fascia sovrapubica e confezionamento di ileostomia terminale in
fossa iliaca destra.
Successivamente
Intervento (2): distacco della pregressa ileostomia in fossa iliaca destra, proctectomia residua “nerve sparing” fino al piano degli elevatori, confezionamento di
J-pouch ileale con tecnica double-stapled ed anastomosi pouch anale meccanica.
Successivo confezionamento di loop ileostomy di protezione nella sede della precedente ileostomia.
In seguito a tale intervento comparsa di deficit erettivo, eiaculazione retrograda,
disturbi minzionali.
Dopo circa 1 anno
Intervento (3): Chiusura di ileostomia mediante confezionamento di anastomosi
ileo-ileale meccanica L-L anisoperistaltica.
Ricanalizzazione intestinale in paziente già sottoposto ad IPAA per RCU.
Da allora persistente deficit erettivo e mancanza della eiaculazione (eiaculazione
retrograda). Assume Cialis 5 mg alla sera, con risposta solo parziale ed insoddisfacente, integrato con iniezioni intracavernose di Caverjet 10 ml.
184
La responsabilità del chirurgo
Eco Color Doppler penieno basale e dinamico: risposta normale, erezione valida
con 5 di alprostadil.
Attualmente in terapia con tadalafil 5 mg “daily” e tadalafil 20 mg cpr “on demand”, con risposta parziale e insoddisfacente. Terapia con vacuum device. Esercizi di stretching (attivazione/disattivazione) per 10 min per 2 volte al giorno.
Considerazioni per parte ricorrente:
Nel corso del secondo intervento di proctectomia con intento “nerve sparing”,
allo scopo di preservare le funzioni sessuali, questo in realtà non è avvenuto e
si è determinata, per errore tecnico, una lesione iatrogena del plesso pelvico,
ipogastrico e dei nervi erigendi.
I principi di tecnica chirurgica per l’esecuzione della RPC-IPAA sono gli stessi della
“total mesorectal excision (TME) eseguita per il cancro del retto, laddove il rispetto
della innervazione autonoma rappresenta uno degli obiettivi fondamentali128.
Nel caso in oggetto tale obiettivo non è stato, colpevolmente, raggiunto, cagionando un danno permanente gravissimo.
Si analizzano qui i criteri fondamentali di tecnica chirurgica previsti per verificarne l’avvenuto rispetto. Dettagli di tecnica chirurgica, descrizioni classiche:
Isolamento del retto, con attenzione alle strutture nervose: Tenendo il retto teso
verso l’avanti e lateralmente a destra o a sinistra è facile identificare e penetrare
in uno spazio cellulare avascolare che lo tiene accollato alla concavità sacrale.
L’accesso in questo spazio viene aperto sotto il promontorio e una volta che esso
sia individuato, è altrettanto semplice approfondirsi facendosi strada per via
smussa con la forbice chiusa. Al davanti si distacca il retto con il suo meso, comprendente i vasi emorroidari superiori, posteriormente rimane una lamina che
ricopre il plesso ipogastrico superiore o nervo presacrale che si apre a ventaglio,
ben evidente nei suoi singoli componenti nervosi.
La mancata visualizzazione dello spazio è resa manifesta dalla difficoltà della
mobilizzazione e dal sanguinamento, specialmente venoso, che di regola non
deve verificarsi129.
“…si comincia posteriormente la mobilizzazione del retto. Sezionato il mesoretto si pratica la dissezione del viscere dal piano posteriore sino al coccige, rimanendo davanti la fascia presacrale di Waldayer…”130.
“La fascia di rivestimento posteriore del retto prosegue verso i lati sporgendo
leggermente e formando un piano di clivaggio avascolare con il tessuto connettivale lasso retroperitoneale ancora eventualmente aderente al retto laterale.
128 Roses RE: The management of rectal cancer. (In: JL Cameron, Current Surgical Therapy,
222, Elsevier 2014.
129 Tagliacozzo S: Chirurgia del retto, 72, Masson, 1985.
130 Donati GS :Chirurgia del colon sinistro e del retto, in: Paletto AE: Trattato di Tecnica
Chirurgica, Vol VI, 319, UTET 1982.
Casi peritali simulati e commentati
185
Si possono ora dislocare o distaccare in senso latero-dorsale le fibre dell’ipogastrico qui ricorrenti” 131.
Total Mesorectal Excision (TME): “Il retto è spostato anteriormente, e il piano
tra la fascia propria del mesoretto e la fascia pelvica viene creato con l’uso di
tagliente. I nervi ipogastrici sono identificati dove scendono al di sopra del promontorio sacrale e preservati.
La dissezione è condotta in basso fino al piano pelvico. Il corretto piano posteriore guida il chirurgo al piano laterale. I nervi erigendi sono identificati a livello
della parete della pelvi e preservati”132.
“La TME comprende una precisa dissezione con tagliente tra gli strati viscerale
e parietale della fascia endopelvica per ottenere l’asportazione in blocco del cellulare periareolare, compresi i margini laterali e circonferenziali del mesoretto,
dei linfatici, preservando l’innervazione autonoma”133.
“La TME prevede una meticolosa dissezione con tagliente, piuttosto che per via
smussa, nel piano avascolare tra la fascia parietale e la fascia pelvica viscerale”.134,135
“Tutti I nervi pelvici decorrono nello spazio compreso tra il peritoneo e la fascia
endopelvica, e possono essere lesi o sezionati nel corso della dissezione del retto”136.
Costituisce la descrizione dell’intervento in narrativa garanzia del rispetto della
tattica e della tecnica chirurgica lege artis per un reale “nerve sparing”?
Evidentemente no: il rispetto del plesso nervoso ipogastrico non è avvenuto.
La preparazione del retto è stata eseguita seguendo un piano anatomico errato,
certamente non seguendo, posteriormente, quel piano avascolare, “the holy plane” di Heald, che separa l’aponeurosi sacrale di Waldayer dalla fascia propria
che riveste e contiene il mesoretto.137,138,139
Tali manovre incongrue, imperite ed imprudenti, sia pure in contesto aderenziale, hanno cagionato le gravissime lesioni nervose (da interruzione, trazione,
strappamento od elettrocoagulazione) responsabili della mancata preservazione
della funzione neurovegetativa regolatrice della funzione sessuale causando con
la mancanza di erezione ed eiaculazione una condizione di sterilità.
131 Kremer K: Intestino II Vol, Grande Atlante di Tecnica Chirurgica, USES, 1996.
132 Roses RE, op cit, 223.
133 Bleday R: Rectal cancer:surgical principles. UpToDate, Wolters Kluwer, 2017.
134 Nagtegaal ID: Low rectal cancer: a call for a change of approach in abdominoperineal
resection. J Clin Oncol 23:9257, 2005.
135 Maurer CA: The impact of the introduction of total mesorectal excision on local recurrence rate and survival in rectal cancer: long term results. Ann Surg Oncol 18:1899, 2011.
136 Wexner SD: Anatomy and embryology of the anus, rectum and colon. In: Colon & Rectal
Surgery, 5th, Corman ML (Ed) Lippincott Williams& Wilkins, Philadelphia 2005.
137 Heald RJ: Resuls of radical surgery for rectal cancer. World J Surg 16:848, 1982.
138 Heald RJ: The mesorectun in rectal cancer surgery-the clue to pelvic recurrence? Br J
Surg 69:613, 1982.
139 Di Matteo G: The role of linphectomy in rectal cancer. J EXp Clin Cancer Res 8(3):26,1989.
186
La responsabilità del chirurgo
Nel modulo di consenso informato che il paziente ha sottoscritto per l’esecuzione di “proctocolectomia residua + IPAA + confezionamento di ileostomia”
è riportato: “Eventuali rischi e/o complicanze”, senza menzione degli stessi, in
particolare delle possibili conseguenze sulla sfera sessuale.
Ci si trova di fronte, senza dubbio, ad una situazione di difetto di consenso:
infatti non vi è modo alcuno di comprovare l’avvenuta informazione sulla possibilità del verificarsi di tali infrequenti ed invalidanti complicanze, privando di
conseguenza il soggetto della possibilità di esercitare il diritto di autodeterminazione, eventualmente anche rifiutando il nuovo intervento e preferendo, per
età e situazione familiare (coniugato e desideroso di prole) evitare di correre
tale rischio mantenendo l’ileostomia, oppure rimandando nel tempo il completamento dell’intervento demolitivo del colon e la successiva ricanalizzazione.
In nesso causale con i colpevoli errori è da porre un danno biologico permanente, incrementativo del 35% (dal 25% al 60%);
Considerazioni di parte resistente:
La proctectomia è stata praticata secondo la tecnica nerve sparing con dissezione
del retto sul piano anatomico avascolare e previa identificazione dei nervi pelvici,
senza complicanze. L’insorgenza di disfunzioni sessuali dopo chirurgia pelvica è
una specifica complicanza prevista in letteratura e dopo la proctectomia la percentuale di disfunzione erettile è dello 0-29%, di eiaculazione retrograda dello 0-19%.
Gli studi sono concordi nel riconoscere come causa non soltanto le procedure
chirurgiche pelviche ma anche l’insorgenza di fibrosi postoperatoria, le alterazioni anatomiche successive alla procedura chirurgica ed anche disturbi psicologici correlati alla presenza di una pouch ileale. L’infertilità maschile può essere
superata mediante il prelievo testicolare.
Considerazioni dei CTU:
Esiste correlazione eziologica tra la procedura di proctectomia e le complicanze manifestatesi, in assenza di accertata condotta (commissiva od omissiva), posto che il
rischio di complicanze chirurgiche si attesta sul 27%. La complicanza sopravvenuta
di disfunzione erettile è da ritenersi possibile, prevedibile e non sempre prevenibile.
Pe quanto riguarda i postumi di natura permanente di impotenza coeundi (che
variano a seconda dell’età e delle ripercussioni psichiche dal 15-35%), essendo
nel caso in oggetto l’erezione possibile, anche se con l’ausilio di iniezioni intrapeniene di caverject, si prospetta una valutazione del 25%.
In merito al consenso informato, sono da muovere delle chiare eccezioni circa l’assoluta carenza descrittiva degli eventuali rischi/complicanze, così da potersi quantomeno ipotizzare un mancato recepimento di un valido consenso alla procedura stessa.
Recenti pronunce giurisprudenziali attribuiscono alla carenza documentale degli
atti sanitari un ruolo autonomo ai fini dell’obbligo risarcitorio in caso di eventi
avversi, al di là della presenza di altri elementi di censurabilità medico-chirurgica,
secondo l’assunto che “quando non sia possibile stabilire con assoluta certezza
se il danno patito sia stato causato dall’imperizia del medico e l’incertezza derivi
Casi peritali simulati e commentati
187
dalla incompletezza della cartella clinica redatta dal medico, questi è responsabile
del danno, allorchè la sua condotta sia astrattamente idonea a causarlo”.
Inoltre, il Consenso Informato è redatto in forma ciclostilata, da cui deriva una
palese inadeguatezza del processo d’informazione sugli eventuali possibili rischi e complicanze associate alla procedura operatoria, con relative ripercussioni sulla piena validità del consenso rilasciato dal paziente.
È ultroneo riproporre come la facoltà di curare non possa prescindere dal consenso valido del paziente, a tal punto che non si può ritenere valido un consenso
che non abbia per presupposto la conoscenza della natura dell’atto medico e dei
rischi che questo implica, da cui discende una pregiudiziale per il medico nella
responsabilità (civile e penale) del dovere di informazione.
Ne deriva come, l’inadempienza contrattuale manifestata dai chirurghi che proposero e praticarono l’intervento di “proctocolectomia residua+IPAA+confezionamento
di ileostomia”, in ordine alla violazione del diritto di informazione, costringerebbe
sotto il profilo giurisprudenziale l’autore della omissione al ristoro delle conseguenze dell’errore professionale, non solo per come sancito dal Codice Civile ma anche
per come inquadrato dal codice deontologico, proprio in funzione di una variazione
in peius dello status quo ante del paziente, in indubbia correlazione causale materiale
intercorrente tra l’evento chirurgico e le manifestazioni patologiche che successivamente hanno comportato la sostanziale abolizione della funzione sessuale.
Sintesi:
Per i CTU la verosimile lesione nervosa verificatasi malgrado la procedura nerve
sparing è evento prevedibile e non del tutto prevenibile.
Tuttavia, il difetto di consenso informato, non redigibile comunque, di regola, su
modulo prestampato, ha fatto sì che il medico diventasse in ogni caso responsabile del danno determinatosi, dal momento che la sua condotta era astrattamente idonea a causarlo.
Il danno esiste: non è possibile verificare se la procedura nerve sparing sia stata
correttamente eseguita, ma il deficit di consenso addossa comunque al chirurgo
la responsabilità dello stesso. Estremamente utile è prendere atto e ricordare
questo assunto, che evidenzia la grande importanza di ottenere sempre un consenso informato adeguato, nella forma e nella sostanza.
Caso 28
Resezione anteriore del retto per cancro,
incontinenza urinaria e anale
Consulenza Tecnica d’Ufficio:
un medico legale, un chirurgo.
La responsabilità del chirurgo
188
Vicenda clinica:
Donna di circa 40 anni. A seguito di proctorragie esegue rettoscopia con riscontro di polipo a 5-10 cm dal margine anale positivo per adenoma tubulo villoso
con displasia di alto grado.
RMN addome inferiore: gran parte dell’ampolla rettale appare occupata da
voluminosa formazione espansiva ad aspetto cerebroide, vegetante nel lume,
caratterizzata da disomogenea impregnazione dopo somministrazione di mdc.
La lesione, del massimo diametro trasversale di circa 6 cm mm, presenta larga
base di impianto. Non alterazioni di intensità del segnale del tessuto adiposo
perirettale, integra la fascia mesorettale.
Pancolonscopia: l’esplorazione digitale è negativa. Nel retto da 8 a 13 cm dal margine anale presenza di neoformazione plurilobata già tipizzata istologicamente.
TC addome completo con mdc: in corrispondenza del terzo medio-distale del
retto voluminosa formazione espansiva solida disomogenea, prevalentemente
vegetante, estesa per circa 7 cm, compatibile con neoplasia.
Ecografia transanale: neoformazione che raggiunge la tonaca muscolare propria
superandola in più punti. Non evidenti adenopatie mesorettali.
Ricovero presso Ospedale Alfa:
In anestesia generale si tenta di eseguire intervento chirurgico di resezione del retto ULS. L’esplorazione rettale consente di raggiungere a fatica il margine craniale
della voluminosa neoformazione che risulta mobile rispetto ai piani profondi, tuttavia data la distanza dal margine anale e le considerevoli dimensioni non si riesce
ad ottenere una estroflessione transanale nel tentativo di escissione completa.
Successivo ricovero (II) presso Ospedale Alfa per resezione videolaparoscopica
di neoformazione del retto. Intervento per via laparoscopica.
Diagnosi: voluminoso polipo del retto distale.
Descrizione: preparazione del retto sottoperitoneale previa identificazione degli
ureteri che risulta indaginosa per l’esiguità delle dimensioni del bacino e la presenza di importante quantità di tessuto adiposo. La transezione del retto risulta
di non facile esecuzione in sicurezza causa le dimensioni della neoformazione
che occupa praticamente l’intero lume del retto distale. Si esegue quindi incisione ombelico-pubica attraverso la quale si riesce a posizionare la suturatrice
Contour appena sotto la massa e ad eseguire la transezione del retto a livello del
piano degli elevatori. Anastomosi colo-rettale ultra-bassa T-T per via trans-anale
sec. Knight-Griffen. Ileostomia su baguette.
Esame istologico del pezzo operatorio: sulla parete anteriore neoformazione vegetante polipoide di aspetto friabile delle dimensioni di cm 7 x 6 che occupa il
lume per 2/3 della circonferenza e giunge a < 1 cm dal margine di resezione distale.
Diagnosi: adenoma cancerizzato a larga base di impianto del grosso intestino
(G1). Linfonodi con istiocitosi dei seni. Plurimi tentativi di rimozione del catetere vescicale con alti residui (1000 cc), mantiene catetere a dimora.
Casi peritali simulati e commentati
189
In seguito, ricovero (III) per intervento di ricanalizzazione intestinale con chiusura dell’ileostomia.
Dopo 1 mese
Giunge in Pronto Soccorso per addominalgia e rimozione accidentale del catetere vescicale. Incapacità alla minzione e comparsa di algie pelviche.
Cateterismo vescicale: ristagno 700 ml di urine.
Esame urodinamico: deafferentazione vescicale completa. Si intraprende cateterismo intermittente plurimo quotidiano.
Dopo 2 mesi, valutazione videourodinamica:
Acontrattilità detrusoriale. Non rilassamento muscolare del piano perineale.
Svuotamento vescicale assente.
Radiologicamente vescica iperespansa, a profili ondulati, mancata apertura del
collo vescicale durante i tentativi minzionali.
Dopo 1 mese: deve proseguire autocateterismo intermittente.
Dopo 2 mesi:
Studio neurofisiologico del piano pelvico: dissinergia muscolare addominosfinterica.
Dopo 6 mesi, visita urologica:
Infezioni urinarie ricorrenti, urine maleodoranti e scure da due mesi, dolori addominali e lombari.
Uro-TC: sensibile dilatazione della pelvi renale e dell’uretere di sinistra fino allo
sbocco in vescica.
A distanza di 1 anno dal primo intervento
Intervento di plastica protesica di voluminoso laparocele in sede di pregressa ileostomia.
Decorso post operatorio regolare.
Dopo 2 mesi:
Iniezioni intradetrusoriali di 200 UI di Botox previo controllo cistoscopico che
ha evidenzato su tutto l’ambito vescicale una mucosa edematosa, intensamente
iperemica, diffusamente trabecolata a celle e colonne con plurimi orifizi pseudodiverticolari e ricoperta da fibrina.
Dopo 1 mese, visita urologica:
Persiste il quadro di ritenzione urinaria cronica gestito con autocateterismo intermittente (7-8 per volumi vuotati 200-400 ml). Pressoché invariata incontinenza urinaria: uso di 2-3 pannoloni/notte e di 2-3 pannolini di giorno, inzuppati al
cambio, talvolta cambia il lenzuolo di notte. Ciclo di instillazioni con IALURIL,
riprende terapia anticolinergica con ossibutinina.
190
La responsabilità del chirurgo
Considerazioni di parte ricorrente:
Nel corso del I intervento chirurgico iniziato in laparoscopia, durante le manovre di isolamento e di transezione del retto, riportate come di non facile esecuzione, che richiedevano anche l’associazione di una laparotomia ombelico-pubica per posizionare la suturatrice Contour appena sotto la massa, manovra senza
dubbio eseguita alla cieca, non sotto il controllo della vista, si andavano a cagionare le gravissime lesioni nervose che avrebbero determinato, nell’immediato,
la disfunzione vescico-uretrale e la dissinergia addomino sfinterica.
La lesione iatrogena “traumatica” verificatasi in pelvi nel corso delle sopraddette
incongrue manovre chirurgiche ha interessato i plessi nervosi vescicale, ipogastrico,
sacrale, i nervi sacrali e pudendi, deputati all’innervazione della vescica e del retto.
Infatti, nel postoperatorio, la rimozione del catetere vescicale era seguita dalla ritenzione acuta di urina, espressione di quella che si sarebbe rivelata una
disfunzione vescico-uretrale neurogena irreversibile, da deafferentazione vescicale completa, richiedente autocateterismo (con infezioni urinarie recidivanti a
seguire) 7-8 volte al dì e condizionante anche incontinenza urinaria richiedente
l’utilizzo quotidiano di 6 pannoloni.
Alla ritenzione urinaria cronica si associano infatti una grave incontinenza urinaria da iperattività detrusoriale neurogena, cistite cronica, idronefrosi bilaterale, trattate senza successo con tossina botulinica per iniezioni intravescicali e
Ialuril per instillazioni intravescicali.
L’intervento di resezione anteriore del retto oltre che foriero delle gravissime
complicanze sopraelencate non è da considerarsi corretto e sufficiente dal punto
di vista oncologico.
Esso è stato eseguito inoltre dopo un primo inutile, velleitario tentativo di asportazione del tumore per via transanale, effettuato in anestesia generale e che ha
procurato inutilmente un sanguinamento poi controllato con zaffo jodoformico.
Il tumore infatti aveva larga base di impianto, diametro di cm 7 ed occupava il
lume rettale per 2/3 della sua circonferenza.
È noto infatti dall’esame istologico sul pezzo operatorio che la sezione del retto è
stata fatta distalmente a < 1 cm dal margine inferiore di una neoplasia del diametro di 7 centimetri, ovvero ad una distanza del tutto insufficiente ad assicurare
una radicalità oncologica.
Di regola la sezione dell’intestino debba avvenire ad almeno 2 cm (meglio se tra
2 e 5 cm) dal margine della neoplasia140.
La distanza della sezione intestinale dal margine del tumore deve essere tanto
maggiore tanto estese sono le dimensioni del tumore stesso, e la dimensione
della lesione costituisce un importante fattore prognostico: per ogni cm di aumento dimensionale la diffusione linfatica aumenta e già diametri di 3,5 cm sono
statisticamente correlati agli stadi (Dukes e TNM) più avanzati e a maggiore
140 Cameron JL: Current Surgical Therapy, 214, Elsevier 2014.
Casi peritali simulati e commentati
191
incidenza di ripresa di malattia.141,142 Nel caso in oggetto quindi, in una donna
giovane con neoplasia del retto del diametro di 7 cm, era necessario ottenere un
margine di resezione più ampio di quello ottenuto, di pochi millimetri, cioè a
raso del tumore. Questo comporta una grave perdita di chances ed espone la
paziente ad un alto rischio di ripresa della malattia neoplastica.
Alla ileostomia su baguette, procedura associata al sopraddetto intervento, è
conseguito poi un voluminoso laparocele, che ha reso necessario un intervento
(il quarto) di plastica protesica.
Il danno biologico permanente è da valutarsi nel 40%.
Considerazioni di parte convenuta:
Al margine di tessuto sano di 0,5 cm posto tra il polipo degenerato e l’estremità
distale dell’intestino bisogna aggiungere 1,7 cm di rondella posta nella suturatrice, quindi la distanza tra il polipo e il margine libero intestinale resecato è di
circa 2 cm: la resezione è quindi da considerarsi radicale. È stato ottenuto un
pezzo operatorio adeguato e oncologicamente corretto (escissione del mesoretto
completa, margine libero dal tumore).
Il danno neurologico vescicale è legato ad una lesione parziale del plesso nervoso ipogastrico giustificabile dalle condizioni locali (da ricordare che la paziente
aveva un BMI di circa 36, obesità di II classe) e sempre non evitabile come descritto in letteratura. Se si fosse verificato un danno a tutto il plesso nervoso alterazioni importanti si sarebbero manifestate a livello vescicale, rettale, sessuale
poiché l’innervazione parasimpatica della vescica, uretra, utero, vagina, rettosigma e canale anale è data dai nervi splancnici del plesso pelvico.
La lesione del plesso ipogastrico è, senza dubbio, insorta durante la fase di mobilizzazione del retto e l’asportazione del mesoretto. Il chirurgo per essere oncologicamente corretto deve asportare tutto il mesoretto, ma nello stesso tempo
deve essere attento a non sconfinare per ledere le tenui fibre nervose che decorrono in tutta prossimità. È ovvio che in un paziente ideale dove le strutture sono
ben definite e ben identificabili il tutto è facilitato, mentre in una paziente obesa
(BMI > 35) e con un bacino stretto la possibilità di incorrere in lesioni non volute
è maggiore. Tale lesione quindi è sempre prevedibile in questo tipo di chirurgia
(complicanze sempre presenti anche se non frequenti) e viste le condizioni anatomiche e nonostante l’accortezza prestata non era prevenibile.
141 Nelson H: Guidelines 2000 for colon and rectal cancer surgery. J National Cancer Institute 93(8):583, 2001.
142 Chou JF: Clinical and pathologic factors that predict lymph node yeld from surgical
specimens in colorectal cancer: a population-based study. Cancer 116:2560, 2010; Kornprat:
Value of tumor size as a prognostic variable in colorectal cancer: a critical reappraisal. Am
J Clin Oncol 34:43, 2011.
192
La responsabilità del chirurgo
Considerazioni dei CTU:
L’intervento ha rispettato i canoni onco-chirurgici condivisi cui doveva conformarsi la tecnica secondo le linee guida della European Association for Endoscopic Surgery143. Comunque furono soddisfatti: margine sezione indenne e a 2 cm
dal polo tumorale, come da computo rappresentato da parte convenuta.
Si determinarono lesioni neurologiche palesemente iatrogeniche. La prevenzione di tali lesioni intraoperatorie alla innervazione vescicale in corso di questo
tipo di resezione rettale si basa sul rispetto di una tecnica dissettiva e strumentale attenta e minuziosa e rispettosa dei fondamenti anatomici secondo principi
ben codificati nelle linee guida in fonti di riferimento.144,145,146
Con tale condotta l’incidenza di disfunzione cronica grave vescicale post-resezione rettale laparoscopica può risultare dello 0%.147,148
Dal verbale operatorio non risulta che i chirurghi abbiano messo in atto dette manovre di riconoscimento e risparmio delle strutture nervose (non si può provare
che abbiano messo in opera ogni riconosciuto accorgimento per evitare il danno),
né si precisa espressamente che il tessuto adiposo ne abbia impedito l’esecuzione.
Il danno nervoso è da ascriversi primariamente a improprie manovre (imprecisa
dissezione, trazione eccessiva, incauto impiego di strumenti coagulativi).
In ogni caso la laparotomia cui pur si ricorse avrebbe potuto per l’appunto essere anticipata onde facilitare l’esecuzione delle manovre richieste se il grasso
avesse rappresentato un così elevata minaccia per l’integrità dei plessi, senza
dimenticare che proprio la presenza dello stesso doveva indurre ad ancor più
scrupoloso rispetto dei canoni tecnici.
Alla luce di quanto sopra si conclude che le lesioni neurologiche sono ascrivibili
a comportamento censurabilmente omissivo da parte dell’operatore.
Il danno biologico permanente da disfunzione vescico-uretrale neurogena con
quadro clinico di ritenzione urinaria cronica in regime di autocateterismo inter143 Siegel R et Al: Laparoscopic extraperitoneal rectal cancer surgery: the clinical practice
guidelines of the European Association for Endoscopic Surgery (EAES). Surg Endosc. 2011
Aug;25(8):2423-40: “The main goal is a tumour-free margin”.
144 Quah HM: Bladder and sexual dysfunction following laparoscopically assisted and conventional open mesorectal resection for cancer. Br J Surg. 2002 Dec;89(12):1551-6.
145 Havenga K: Anatomical basis of autonomic nerve-preserving total mesorectal excision
for rectal cancer. Br J Surg. 1996 Mar;83(3):384-8.
146 Lim RS: Review Postoperative bladder and sexual function in patients undergoing surgery for rectal cancer: a systematic review and meta-analysis of laparoscopic versus open
resection of rectal cancer. Tech Coloproctol. 2014 Nov;18(11):993-1002.
147 Asoglu O: Impact of laparoscopic surgery on bladder and sexual function after total mesorectal excision for rectal cancer. Surg Endosc. 2009 Feb;23(2):296-303.
148 Havenga K: Male and female sexual and urinary function after total mesorectal excision with autonomic nerve preservation for carcinoma of the rectum. J Am Coll Surg.
1996,182(6):495-502.
Casi peritali simulati e commentati
193
mittente vescicale e frequenti infezioni urinarie è valutabile col 22-23% di riduzione dell’integrità psico-fisica. Le menomazioni su indicate riducono in misura
modesta le attività non lavorative (relazionali, sociali, sessuali).
Conclusioni:
Le parti concordano un risarcimento di circa euro 100.000.
Sintesi:
Comprovato l’errore chirurgico i CTU propendono per una evidente, e poco
comprensibile, sottovalutazione, rispetto alle tabelle, del danno biologico permanente. Inoltre, la struttura convenuta persisteva nel suo atteggiamento di opposizione alle determinazioni dei CTU in ATP, proponendo, eventualmente, un
importo ulteriormente sottostimante la valutazione dei CTU, che la ricorrente,
per ragioni di necessità contingente, (come spesso avviene), decide di accettare.
Caso 29
Neoplasia del trasverso: resezione colica non comprendente
la lesione, deiscenza anastomotica
Vicenda clinica:
Maschio di anni 50. Test del sangue occulto nelle feci cui segue colonscopia presso Ospedale Alfa: singolo polipo sessile di circa 3 cm di diametro della flessura
epatica. Singolo polipo peduncolato di circa 3 cm di diametro del sigma. Singolo
polipo sessile di circa 1 cm di diametro del sigma. Prescrizioni: Ripetizione esame in narcosi e con preparazione rinforzata per mucosectomia.
Ripetizione colonscopia: a circa 60 cm dal margine anale plica polipoide di aspetto
irregolare. Biopsie e tatuaggio. Polipo sessile di circa 1 cm a livello del sigma, polipectomia. Grosso polipo semipeduncolato a livello del sigma di circa 4 cm di diametro.
Mucosectomia e tatuaggio. Procedure effettuate: si eseguono biopsie con pinza
del colon trasverso. Polipectomia con ansa con rimozione completa di polipo del
sigma. Mucosectomia en-bloc mediante tecnica “Saline Injection Polypectomy”
(SIP) del sigma.
Esame istologico: (1) Polipo sessile di 1 cm del sigma. (2) Polipo semipenduncolato del sigma di 4 cm. Diagnosi: 1) Adenoma tubulo-villoso, con displasia di
basso grado; (2) Frammenti di adenoma tubulare con displasia di basso grado.
Dopo 1 mese:
Colonscopia: massa di sospetta natura neoplastica del diametro di circa 2 cm del
trasverso medio già sede di tatuaggio.
194
La responsabilità del chirurgo
Si eseguono biopsie: colite cronica attiva erosiva.
TAC addome: lesione neoplastica a carico del colon trasverso ad una distanza di
6 cm dalla flessura splenica del diam di 2 cm.
Intervento (1) di resezione del colon trasverso. Accesso laparoscopico: riscontro di tatuaggio diffuso all’omento, al tenue ed al colon sigmoideo; scollamento
della flessura splenica senza presenza di tatuaggio in tale sede: si posiziona gelport periombelicale per palpare il viscere senza riscontro di lesione occupante
spazio; al sigma è presente tumefazione saliente con tatuaggio intenso, per cui si
decide per laparotomia sovraombelico pubica. Palpazione ed ispezione di tutto
il colon senza riscontro di altre lesioni solide. Si procede a resezione del sigma
con anastomosi meccanica L-T; evidente leak anteriore: si decide per anastomosi
manuale.
Esame istologico: 1) Sigma. 2) Polipo del sigma.
Referto macroscopico: 1) Tratto di colon di cm 10.
Diagnosi: tratto di mucosa lievemente iperplastica con estroflessione diverticolare, per lo più disepitelizzata. La rilevatezza sessile corrisponde a lembo polipoide con mucosa iperplastica comprendente focolaio adenomatoso tubulare
con displasia di basso grado. Isolato un linfonodo indenne da lesioni tumorali
maligne. 2) Polipo iperplastico con flogosi cronica attiva.
Decorso regolare.
Diagnosi di dimissione: neoformazione sigma.
Dopo circa 1 anno
Colonscopia di controllo in resezione del colon: polipo sessile di circa tre cm
del colon discendente, diagnosi isto-patologica: adenoma tubulare con displasia
di basso grado, focalmente di alto grado.
Dopo 3 mesi:
Colonscopia con biopsia presso Ospedale Alfa: nel colon trasverso lesione vegetante ulcerata e sanguinante come da recidiva di pregressa polipectomia.
Biopsia: displasia di alto grado in frammenti superficiali di adenoma tubulare.
Dopo 1 anno e mezzo dal I intervento
Colonscopia presso Ospedale Beta: lesione ulcerativa, di morfologia irregolare, del
diam di circa 2 cm, con cratere escavato, con bordi rilevati della flessura splenica.
Intervento chirurgico (2) laparotomico di resezione colon trasverso.
Lesione colica al trasverso distale, resezione segmentaria segmentaria del trasverso distale e flessura splenica con anastomosi colo-colica L-L. Legatura all’origine dell’arteria colica media.
Decorso in apparenza regolare, dimissione.
Il giorno successivo
Ritorno in Pronto Soccorso per addome acuto.
TAC addome completo: raccolta a verosimile contenuto enterico disposta po-
Casi peritali simulati e commentati
195
stero-inferiormente alle catenelle chirurgiche, oltre ad alcune raccolte di minori
dimensioni interposte tra le anse intestinali, in doccia parietocolica destra e nella
pelvi. Falda di aria libera sottodiaframmatica, soffusione edematosa del tessuto
adiposo peritoneale e piccole bolle aeree in esiti di recente intervento.
Intervento chirurgico (3): relaparotomia: peritonite purulenta diffusa ed in
parte fecale. Piccola deiscenza della linea di sezione/sutura meccanica del colon trasverso, si decide di asportare il tratto di colon comprendente la sutura
colo-colica e il cul di sacco del colon trasverso con la linea di sezione/sutura con
la piccola deiscenza. Affondamento del colon discendente, mobilizzazione del
colon trasverso per confezionare colostomia terminale in fianco destro.
Esame istopatologico intervento (2): 1). Tratto di grosso intestino di cm 14. Diagnosi isto-patologica: 1. Adenocarcinoma mucinoso (alto grado) in adenoma
tubulare 2. Assenza di metastasi in 10/10 linfonodi isolati.
Esame istopatologico intervento (3): tratto di colon con erosioni e zone necrotico-ischemiche della parete sia in corrispondenza della perforazione con peritonite fibrino-granulocitaria consensuale sia in corrispondenza di anastomosi.
Decorso regolare.
Considerazioni per parte ricorrente:
Il paziente era sottoposto a colonscopia di screening presso l’Ospedale Alfa che
dimostrava: polipo sessile della flessura epatica diam cm 3; polipo diam 3 cm del
sigma; polipo di 1 cm del sigma.
Prescrizione di nuova colonscopia con preparazione rinforzata in narcosi per
mucosectomia.
Non si comprende che cosa si intenda per “mucosectomia”: di quale lesione? I
polipi sono 3, e nessuno dei 3 polipi descritti veniva asportato.
La colonscopia veniva ripetuta solo tre mesi dopo. Descrizione: a 60 cm dal margine anale plica polipoide di aspetto irregolare (biopsia); polipo del sigma di 1
cm (polipectomia); polipo del sigma diam cm 4 (mucosectomia).
I due esami colonscopici, eseguiti dallo stesso operatore, appaiono discordanti:
infatti nel secondo esame non è descritto il polipo diam 3 cm della flessura epatica.
Dopo altri 4 mesi, nuova colonscopia (la terza) con i seguenti riscontri: massa
diam 2 cm di sospetta natura neoplastica a carico del trasverso medio, già sede
di tatuaggio (biopsie): diagnosi istologica di colite cronica attiva, che non conferma l’ipotesi endoscopica.
Dunque: il polipo della flessura destra segnalato alla prima colonscopia non c’è
più, invece si rileva una massa di sospetta natura neoplastica al trasverso medio,
non presente quattro mesi prima ma l’esame istologico risulta poi negativo in
tal senso (colite cronica). L’endoscopista è sempre il medesimo che, di esame in
esame, continua a smentire sé stesso.
Una TAC addome dimostrava poi la presenza di una lesione neoplastica di 2 cm
a livello del trasverso distale, a 6 cm dalla flessura splenica.
Al I intervento iniziato per via laparoscopica e poi convertito a cielo aperto, della
196
La responsabilità del chirurgo
durata di circa 6 ore, in cui la lesione neoplastica rilevata alla TAC non veniva
reperita, e malgrado questo si eseguiva inspiegabilmente una resezione “alla
cieca” del sigma, senza il tassativo ausilio di una colonscopia intraoperatoria,
ovvero di un segmento intestinale diverso da quello segnalato alla TAC, colon
trasverso, come interessato dalla lesione.
Le procedure chirurgiche riportate in cartella clinica inoltre non corrispondono
con ciò che viene riportato nella descrizione dell’intervento, che è consistito da
una resezione del sigma. Sul frontespizio si riporta: resezione del trasverso, però
non eseguita, quando il tumore era proprio in quella sede.
Il segmento intestinale asportato non comprendeva la lesione neoplastica, rimasta in sede a livello del trasverso, ed il paziente veniva dimesso, dopo un intervento inutile e senza che la sua patologia tumorale venisse curata, con diagnosi
di neoformazione del sigma, che non c’era.
Dopo oltre un anno di totale abbandono da parte dei curanti dell’Ospedale Alfa,
che non avvertivano il paziente della persistenza in sede del tumore del colon
non trattato, egli decideva di recarsi all’Ospedale Beta per una colonscopia di
controllo nel corso della quale si identificava finalmente, con 2 anni di ritardo, a
livello del colon trasverso, una lesione neoplastica vegetante e sanguinante del
diam di circa 3 cm, erroneamente attribuita a recidiva di pregressa polipectomia,
dal momento che in quella sede anatomica mai erano stati descritti polipi né
tantomeno effettuate polipectomie.
Trattavasi dunque di una lesione neoplastica che aveva raggiunto i 3 cm di diametro, certamente presente da lungo tempo, mai identificata nel corso delle 3
colonscopie effettuate presso l’Ospedale Alfa.
Solo dopo altri 8 mesi il paziente veniva sottoposto, presso l’Ospedale Alfa, ad
intervento chirurgico laparotomico di resezione del colon trasverso.
Qui il chirurgo incorreva in un grave errore tecnico: per l’esecuzione di una resezione segmentaria del trasverso distale-flessura splenica (intervento peraltro
oncologicamente insufficiente ed inadeguato), effettuava la legatura all’origine
dell’arteria colica media.
Infatti vi è da ritenere che la sezione effettuata a livello del trasverso distale dopo
interruzione della colica media, evidentemente dopo non sufficiente valutazione
della anatomia vascolare del colon, e a seguito della pregressa legatura dei vasi
colici di sinistra (nel corso dell’inutile intervento di resezione del sigma) abbia
comportato un deficit di vascolarizzazione con ischemia e necrosi a livello della
anastomosi colica assicurata solo dall’ arcata marginale di Drummond e di Riolano, evidentemente insufficienti dopo il venir meno dell’apporto della colica sinistra, che ha condotto alla deiscenza anastomotica, come poi dimostrato anche
dall’esame istologico successivamente eseguito. L’intervento corretto, anche dal
punto di vista oncologico, sarebbe qui stata una colectomia sinistra allargata al
trasverso, naturalmente con risparmio dell’arteria colica media.
Tale errore ha inevitabilmente condizionato la deiscenza della anastomosi: il
giorno dopo le dimissioni il paziente è tornato in Ospedale con una gravissima
peritonite fecale e purulenta diffusa per essere sottoposto ad un nuovo inter-
Casi peritali simulati e commentati
197
vento laparotomico d’urgenza che ha richiesto l’esecuzione obbligatoria di una
colostomia, in fianco destro, di cui egli è oggi portatore in permanenza.
Attualmente il paziente soffre di una importante sindrome aderenziale (post peritonitica e da chirurgia reiterativa) che sconsiglia, ed assai probabilmente del
tutto preclude, l’esecuzione di ulteriori interventi a livello della cavità addominale, forieri di possibili gravissime complicanze; presenta esiti cicatriziali di plurime laparotomie xifo-pubiche e di accessi laparoscopici e di posizionamento
di drenaggi; è portatore di colostomia gravemente invalidante in fianco destro.
L’imperizia, l’imprudenza e la negligenza di Sanitari che ebbero in Cura il paziente presso l’Ospedale Alfa hanno cagionato: invalidità temporanea: 40 giorni
al 100%; 30 giorni al 75%; 30 giorni al 50%; menomazione psicofisica (nell’ambito
del danno biologico) da considerarsi pari al 40% della totale; perdita di chances
di guarigione dalla malattia neoplastica (adenocarcinoma del colon trasverso)
legata al ritardo diagnostico e terapeutico (oltre 2 anni e mezzo) ed alle complicanze chirurgiche iatrogene intercorse149.
Conclusioni:
Accordo stragiudiziale con corresponsione al danneggiato di circa euro 100.000.
Sintesi:
Trattasi di una vicenda clinica caratterizzata dall’insistente ripetersi di imprecisioni ed errori, anche gravissimi, sia nell’attività endoscopica che in quella
chirurgica. Dopo il primo intervento il paziente è stato dimesso con diagnosi
di neoplasia del colon che non è stata rinvenuta nel pezzo operatorio, e senza
prospettare la necessità di un approfondimento diagnostico per una terapia adeguata. La diagnostica endoscopica è stata reiteratamente depistante. Dimissioni
intempestive hanno fatto seguito ad interventi seguiti da gravi complicanze e
condotti con criteri chirurgici errati. Il ricorrente, tuttavia, disoccupato, si è accontentato della offerta fatta dalla struttura convenuta in via stragiudiziale, che
certamente sottostima il danno riportato, preferendo evitare la causa risarcitoria,
anche per l’impossibilità di sostenerne i costi.
Caso 30
Colectomia subtotale per stipsi cronica, deiscenza
anastomotica, ileostomia su ansa efferente, lesione tracheale
Consulenza Tecnica d’Ufficio:
un medico legale, un chirurgo.
149 Kulayat MN: Surgical Complications. In Sabiston Textbook of Surgery, 315, Elsevier 2012.
La responsabilità del chirurgo
198
Vicenda clinica:
Donna di circa 40 anni. Visita chirurgica per stipsi colica severa: anche 1 mese di
alvo chiuso alle feci. Si richiede ansogramma colico prima di dare indicazione ad
intervento di colectomia totale.
Ansogramma colico: tempo di transito colico totale= 75 ore (v.n. 35 ± 17). Tempo
di transito retto-sigma= 0 ore (v.n. 12.4 ± 1.1). Riconoscibile catenella di punti
metallici in scavo pelvico, in esiti di STARR. Si ricovera per colectomia subtotale
laparoscopica presso Reparto di Chirurgia dell’Ospedale Alfa.
Intervento (1): colectomia subtotale con cieco-retto anastomosi T-T.
Diagnosi: stipsi da transito intestinale rallentato.
Esame istologico: colite focalmente attiva di grado lieve-moderato, congestione vascolare e focali stravasi ematici. Tonaca muscolare normorappresentata,
numero di plessi gangliari nella norma con riduzione delle cellule gangliari del
plesso mioenterico di Auerbach (30-35 per cm), cellule di Cajal conservate sia nel
contesto della tonaca muscolare che attorno alle strutture gangliari, mastociti
nella norma. Il quadro istologico orienta per neuropatia come da pseudo-ostruzione cronica intestinale idiopatica.
In II giornata postoperatoria
La paziente veniva sottoposta ad intervento chirurgico laparoscopico (2) di ileostomia temporanea per peritonite fecale da deiscenza anastomotica: reperimento di ansa ileale distale che si seziona mediante Endo-GIA ed esteriorizzazione
del moncone prossimale in fossa iliaca destra, detersione del cavo peritoneale e
apertura di ileostomia alla cute. Dopo l’intervento comparsa di edema del collo.
TAC collo e torace: interruzione della parete postero-laterale della trachea a
livello della I costa, ampio pneumomediastino che giunge sino al diaframma
mentre cranialmente di osserva esteso enfisema di parete toracica anteriore, di
tutto il collo che si estende posteriormente in sede occipitale mentre anteriormente sino alla muscolatura masseterina sinistra ed alla parete laterale dell’orbita. Dimissione volontaria, si recava al Pronto Soccorso dell’Ospedale Beta, quindi ricoverata in Chirurgia.
Broncoscopia: lacerazione della pars membranacea della trachea. Ileostomia chiusa
a gas e feci, con minima fuoriuscita di materiale muco-ematico. Progressiva distensione addominale, per cui nel sospetto di un quadro occlusivo si eseguiva TAC addome: in fianco destro ansa dell’ileo distale che sembra terminare in corrispondenza
delle clip chirurgiche, con retrodilatazione del piccolo intestino, con immagini di
livello idroaereo. Infruttuoso il tentativo di incannulare con catetere di Foley l’ansa
abboccata alla cute, con localizzato spandimento peritoneale di mdc; tale ansa appare comunque detesa e diretta caudalmente verso lo scavo pelvico.
Intervento chirurgico (3) di laparotomia esplorativa e riconfezionamento di ileostomia. Il digiuno e l’ileo appaiono enormemente dilatati per occlusione intestinale. Svuotamento retrogrado attraverso il sondino naso-gastrico di circa 1000 ml di
liquido enterico e abbondante quantità di aria. Si rileva che è stata abboccata alla
Casi peritali simulati e commentati
199
cute l’ansa efferente, mentre quella afferente è chiusa con suturatrice meccanica. Si
reseca il moncone dell’ansa efferente, che viene poi affondato. Ileostomia sull’ansa
afferente, che viene portata all’esterno attraverso la precedente incisione.
TAC collo e torace di controllo: riduzione dell’enfisema sottocutaneo e dello
pneumomediastino. Dimissione.
Dopo 4 mesi
Nuovo ricovero presso Ospedale Beta per intervento (4) di chiusura della ileostomia.
Broncoscopia: Minimo esito cicatriziale della pregressa lacerazione.
A seguito dei plurimi interventi effettuati la paziente ha sviluppato una sorta
di dumping syndrome, per cui subito dopo i pasti ha un impellente bisogno
di evacuare con feci tendenzialmente diarroiche (circa 7 scariche die di media).
Peso stabile a circa 50 Kg.
Operazioni peritali:
La paziente non riferisce turbe soggettive riferibili alla nota lesione tracheale iatrogena. Lamenta, invece, frequenti scariche diarroiche nel corso della giornata
(da sette e dieci), impellenti ed in alcune occasioni incontrollate.
La perizianda, inoltre, tiene a precisare quanto segue: nella fase di programmazione all’intervento, il dott. X le disse che avrebbe potuto presentare frequenti
scariche diarroiche nei primi mesi che sarebbero poi scomparse (si dà atto che
nel modulo di consenso alla chirurgia, composto di tre pagine, in cartella clinica,
sono riportate le possibili complicanze dell’intervento proposto alla paziente,
ma fra le stesse non figura quella di cui trattasi); nell’attualità, le scariche persistono malgrado il ricorso a diete specifiche.
Secondo i CT della parte ricorrente: 1) non è possibile provare che siano ricorsi colpevoli errori nella causazione della fistola; 2) vi fu un palese, colpevole errore nell’allestimento della prima ileostomia con ansa efferente anziché afferente; 3) anche la
lesione tracheale, certo sicuramente iatrogena, esprime condotta tecnica colposa.
Il CT della parte resistente riconosce la condotta tecnica colposa nell’esecuzione
della prima ileostomia, ma nega che l’attuale danno permanente lamentato dalla
paziente, la diarrea cronica, sia in nesso causale con lo stesso, costituendo piuttosto specifica complicanza dell’intervento, prevedibile ma non evitabile.
La lesione tracheale si è riparata spontaneamente ed attualmente non comporta
alcun pregiudizio funzionale, tanto da non configurare un correlato danno biologico permanente.
Considerazioni dei CTU:
La patologia era riferibile ad una entità nosologica definibile come stipsi da transito
rallentato/inerzia colica. Trattasi di una forma di stipsi di tipo funzionale in cui esistono alterazioni della motilità intestinale di possibile origine neuropatica del sistema nervoso intestinale, talvolta non evidente negli esami istologici convenzionali.
200
La responsabilità del chirurgo
Un danno estrinseco del plesso mioenterico, talvolta presente, può essere anche attribuito all’abuso di lassativi.
Il transito intestinale è rallentato, i movimenti peristaltici sono rari, con atti defecatori che variano da 1-2 volte/settimana a uno ogni 2-3 settimane. Spesso il paziente
fa abuso di lassativi ed è affetto da turbe psichiche, soprattutto depressione150.
Esistono criteri diagnostici diffusamente accettati per la classificazione delle
stipsi funzionali (criteri di Roma III).
Devono essere presenti due o più dei seguenti sintomi:
•
ponzamenti prolungati in almeno il 25% delle defecazioni;
•
feci dure o bernoccolute in almeno il 25% delle defecazioni;
•
sensazione di evacuazione incompleta in almeno il 25% delle defecazioni;
•
manovre manuali in almeno il 25% delle evacuazioni (evacuazione digitale,
con ausilio del pavimento pelvico);
•
meno di tre defecazioni/settimana.
Inoltre:
•
rara presenza di feci liquide in assenza di uso di lassativi;
•
criteri insufficienti per diagnosi di sindrome dell’intestino irritabile (IBD);
•
disturbi defecatori devono essere esclusi con tests appropriati.151,152,153,154,155
Lo studio strumentale dell’atonia colica si basa su metodiche radiologiche (clisma
opaco) utili per studiare la morfologia del colon e ad escludere la presenza di
lesioni produttive e su metodiche endoscopiche (pancolonscopia) ed infine dei
tempi di transito colico. Lo studio dei tempi di transito colico, indispensabile alla
definizione della diagnosi, si basa sulla somministrazione per via orale di marcatori radiopachi con successiva esecuzione di radiogrammi diretti dell’addome
per la conta dei marcatori residui. In caso di persistenza dei marcatori nel lume
intestinale, l’accumulo nei diversi quadranti dell’addome consente di distinguere
fra transito rallentato di tipo distrettuale, globale e di ostruzione distale.156,157,158
150 Higgis PD: Epidemiology of constipation in North America: a Systematic review. Am J
Gastroenterol 99:750, 2004.
151 Bharucha AE: Functional anorectal disorders. Gastroenterology 130:1510, 2006.
152 Rao SS: Obstructive defecation: a failure of rectoanal coordination. Am J Gastroenterol
93:1043, 1998.
153 Longstreth GF: Functional bowel disorders. Gastroenterology 130:1480, 2006.
154 Drossman DA: The functional gastrointestinal disorders: diagnosis, patophysiology, and
treatment. A multinational consensus. Mc Lean, Degnon associates, 1994.
155 Thompson WG: Functional bowel disorders and functional abdominal pain. Gut 45 ,43,1999.
156 Rao S: Clinical utility of diagnostic tests for constipation in adults: a systematic review.
Am J Gastroenterol 100:1605, 2005.
157 Nam YS: Reproducibility of colonic transit study in patients with chronic constipation.
Dis Colon Rectum 44:86, 2005.
158 Bassotti G: Impaired colonic motor response to cholinergic stimulation in patients with
severe chronic idiopatic (slow transit type) constipation. Dig Dis Sci 38:1040, 1993.
Casi peritali simulati e commentati
201
Prima di qualsiasi trattamento chirurgico della costipazione è sempre indicato
un trattamento medico, dietetico e riabilitativo, ovvero: esercizio fisico; ritualizzazione del tempo della defecazione; incremento dell’ingestione dei liquidi;
fibre alimentari e agenti formanti massa; probiotici; lassativi.
In presenza di costipazione severa, a seguito dei presidii sopra citati, si può fare
ricorso al seguente approccio terapeutico: supposte; rottura e frammentazione
delle feci; clisteri; sorbitolo, lattulosio; farmaci quali linaclotide, plecanatide, lubiprostone; misoprostol, colchicina, prucalopride.159,160,161,162
La chirurgia per il trattamento dell’inerzia idiopatica del colon è soggetta a controversie, e la procedura maggiormente utilizzata è la colectomia subtotale con
ileo-retto anastomosi, ma anche colectomie segmentarie, colectomie totali, colectomie subtotali con cieco-sigmoido o cieco-retto anastomosi possono essere indicate.
Gli interventi che risparmiano tratti di colon allo scopo di evitare/ridurre la
diarrea post- colectomia sono spesso destinati al fallimento nel trattare la stipsi
cronica, e possono richiedere il successivo completamento della colectomia con
ileo-rettostomia163.
La chirurgia è maggiormente indicata nelle gravi stipsi in presenza di megacolon e megaretto164.
Il trattamento chirurgico può essere proposto a pazienti affetti da stipsi da rallentato transito in presenza dei seguenti requisiti:
•
numero di defecazioni/settimana inferiore o uguale a 2;
•
presenza ed impatto dei sintomi correlati alla stipsi (gonfiore addominale,
nausea a vomito, dolori addominali e pelvici) sulla qualità della vita;
•
inefficacia dei trattamenti dietetico-comportamentali, farmacologici e/o riabilitativi instaurati per un periodo di tempo sufficientemente prolungato;
•
dimostrato transito colico rallentato con Rx tempi di transito colico con
markers radiopachi;
•
esclusione di patologie organiche o funzionali del pavimento pelvico (defecazione ostruita, m. di Hirshprung) mediante defecografia e manometria anorettale;
159 Wald A: Slow transit constipation. Curr Treat Options Gastroenterol 5:279, 2002.
160 Lembo AJ: Two randomized trials of linaclotide for chronic constipation. N Engl J Med
365:527, 2011.
161 Johanson JF: Lubiprostone, a locally acting chloride channel activator, in adult patients
with chronic constipation: a double blind, placebo-controlled, dose-ranging study to evaluate efficacy and safety. Aliment Pharmacol Ther 25:1351, 2007.
162 Thagavi SA: Colchicine is effective for short-term treatment of slow transit constipation:
a double-blind placebo-controlled clinical trial. Int J Colorectal Dis 25:389, 2010.
163 Patel SS: Surgical management of constipation. In: Cameron JL: Current Surgical Therapy, 196, Elsevier 2014.
164 Mahmoud NN: Colon and rectum: In: Sabiston Textbook of Surgery, 1390, Elsevier 2017.
202
•
La responsabilità del chirurgo
valutazione psicologica (i pazienti con disturbi psicologici tendono maggiormente ad aver persistenza dei sintomi dopo tale chirurgia).165
La letteratura riporta risultati assai dissimili nel trattamento chirurgico dei pazienti con atonia colica con colectomia subtotale ed ileo-rettoanastomosi: 33-94%
di successo, ovvero defecazione regolare senza uso di lassativi, ma spesso persistono disturbi quali nausea, gonfiore, dolore addominale, incontinenza ed anche
una inabilitante diarrea166.
È fuor di dubbio che le prestazioni chirurgiche eseguite sulla de cuius presso l’ospedale resistente non comportavano la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà nel senso stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione. La lesione della pars
membranacea della trachea, verificatasi in corso di intubazione per anestesia generale, è da ascrivere a manovra non correttamente prudente, perita e/o diligente.
La condotta tecnica colposa, per imperizia e negligenza, nell’allestimento dell’ileostomia nel corso dell’intervento laparoscopico, dopo sezione dell’ileo, a livello del moncone distale (con scambio dell’ansa afferente con quella efferente),
risulta pacificamente ammessa anche dal consulente della parte resistente.
Si concorda con i CT di parte resistente circa l’assenza di nesso causale fra l’attuale sindrome diarroica, severa, cronica, invalidante e l’errore nel confezionamento dell’ileostomia.
L’attuale danno biologico permanente è interamente da porre in nesso causale con la demolizione sub-totale dell’intestino colon, programmata dal dott. X
dell’ospedale resistente. Viene da domandarsi a questo punto se, nel proporre
tale grave demolizione anatomo-chirurgica alla paziente, il medico abbia rispettato le buone pratiche cliniche.
Queste prevedono che prima di qualsiasi trattamento chirurgico della costipazione sia indicato un trattamento medico, dietetico e riabilitativo, come più sopra esposto in dettaglio, posto che l’asportazione del grosso intestino non deve
rappresentare che l’ultima possibilità.
Nella documentazione clinica prodotta non risulta che prima di arrivare alla chirurgia la paziente sia doverosamente passata attraverso i menzionati trattamenti
conservativi, come confermato dalla ricorrente.
Per tutto quanto sopra, dunque, è da ritenersi che la proposta del dott. X, per demolizione sub-totale dell’intestino colon, sia da ritenere espressione di colpevole errore
per imprudenza. Posto, pertanto, che per quanto emerso nel corso delle presenti in165 Nylund G: Long-term outcome after colectomy in severe idiopathic constipation. Colorectal Dis 3:253,2001; Knowles CH: Outcome of colectomy for slow transit constipation.
Ann Surg 230: 627,1999; El Tawil AM: Persistence of abdominal symptoms after successful surgery for idiopatic slow transit constipation. South Med J 95:1042,2002; Ternent CA:
Practice parameters for the evaluation and management of constipation. Dis Colon Rectum
50(12):2013,2007; Gladman MA: Surgical treatment of patients with constipation and fecal
incontinence. Gastroenterol Clin North Am 37(3):605, 2008.
166 Mahmoud NN, Op cit, 1390.
Casi peritali simulati e commentati
203
dagini peritali l’intervento chirurgico demolitivo in discorso non doveva essere eseguito, si dirà ora del danno biologico, temporaneo e permanente, in nesso causale.
La paziente ebbe due ricoveri, ininterrottamente protrattisi, della durata totale di
giorni 25 che vanno a configurare danno biologico temporaneo in forma assoluta.
La relazione extra giudiziale, ante causam, del CT di parte ricorrente indica anche
un ulteriore danno biologico temporaneo in forma parziale di giorni trenta al 75%
e ulteriori giorni trenta al 50%: e ciò è da condividere, avuto riguardo al tempo necessario alla persona per riabilitarsi progressivamente in corso di convalescenza.
Diversamente, non è condivisibile la stima di danno biologico permanente (al
12-13%) indicato dallo stesso CT di parte ricorrente: la stessa, infatti, non tiene
conto dell’indicazione valutativa secondo la quale deve tenersi conto anche delle
preesistenti condizioni della paziente.
Secondo le indicazioni desumibili da SIMLA, Linee Guida per la valutazione medico-legale del danno alla persona in ambito civilistico, Giuffrè editore 2016 (pag. 484)
l’attuale situazione invalidante della de cuius deve essere stimato in misura non
inferiore al 25% (è collocabile al limite fra stadio II e stadio III).
Ma nello stato anteriore la persona era afflitta da stipsi cronica, severa, pure
invalidante sia pure in una misura inferiore e dell’ordine del 10%: nella fattispecie si delinea un danno biologico differenziale del 15%, incrementativo dal 10%
proprio dello stato anteriore all’attuale 25%.
Sintesi:
Da questo caso si rilevano due elementi fondamentali. Il primo è rappresentato
da come un errore tecnico anche grossolano, quale quello di confezionare una
ileostomia su un’ansa efferente, non venga penalizzato in termini risarcitori in
quanto emendato da un intervento correttivo successivo. Il secondo è che (sia
pur assai di rado) la valutazione percentuale del danno fatta da parte ricorrente
venga incrementata dai CTU, in questo caso sia elevando il punteggio che trasformando il danno biologico permanente in danno incrementativo, con sensibile aumento dell’entità del risarcimento per il ricorrente.
Caso 31
STARR per defecazione ostruita complicata da emorragia,
ascesso, colostomia temporanea
Consulenza tecnica d’Ufficio:
CTU un medico legale, un chirurgo.
Vicenda clinica:
Donna di circa 45 anni. Per stitichezza e sospetto prolasso rettale, si rivolse al
Dott. X che prescrisse ecografia transanale: emorroidi congeste.
204
La responsabilità del chirurgo
Cisto-colpo-defecografia: rettocele anteriore di circa 3 cm e diffusi segni radiologici di prolasso mucoso rettale con intussuscezione retto-ampollare tendente alla
procidenza in canale anale, parziale enterocele statico. Dopo consulto uro-ginecologico, si decideva per intervento transanale di STARR e/o Transtar. Prima
dell’intervento rieducazione del pavimento pelvico mediante biofeedback.
La paziente eseguiva dunque sedute rieducative e riabilitative perineali presso l’Ospedale Alfa con diagnosi di sindrome da defecazione ostruita da prolasso rettale
interno (intussuscezione retto-anale) e rettocele per essere sottoposta ad intervento
di resezione transanale di retto distale con Stapler semicircolare Contour (Transtar).
Intervento (1): esteriorizzazione del prolasso rettale con punti radiati a materassaio
in prolene. Alle ore 2 si introduce suturatrice lineare Endogia 45 e si esegue sezione
d’invito longitudinale del prolasso rettale interno. Si procede a resezione regolata
del retto distale con stapler semicircolare Transtar Contour con sezioni-anastomosi
meccaniche. Verifica emostasi con alcuni punti di Vicryl sull’anastomosi meccanica
retto-rettale. Decorso regolare, dimissione in III giornata postoperatoria.
Dopo una settimana
La paziente veniva visitata dal Dott. X riferendo importanti dolori e distensione
addominale: egli non ritenne di dover procedere ad alcun approfondimento,
rinviando la paziente al domicilio e fissando nuovo controllo a 30-40 gg. Ella
tuttavia, persistendo i dolori addominali, si ripresentava in Pronto Soccorso del
medesimo Ospedale 10 giorni dopo la dimissione e veniva ricoverata d’urgenza.
TAC addome: in rapporto con l’ampolla rettale, appena al di sopra delle catenelle chirurgiche, con sviluppo nello spazio presacrale, raccolta di 7 cm di
diametro che determina effetto compressivo sulla stessa. La raccolta ha contenuto tenuemente iperdenso per probabile passaggio del mdc (Gastrografin)
introdotto nel colon e presenta pareti con bolle aeree all’interno (passaggio di
aria dal retto? Ascessualizzazione?).
Intervento (2): drenaggio di raccolta presacrale ematica per via perineale posteriore e sutura manuale a punti staccati di piccola deiscenza posteriore di anastomosi retto-rettale.
Dopo 2 giorni
TAC addome di controllo: la nota raccolta presacrale ha diametro max attuale di circa 6 cm, modicamente ridotta rispetto al precedente controllo; aspetto
tenuemente iperdenso del contenuto della raccolta. Incremento dell’aria libera,
riconoscibile lungo le docce parieto-coliche bilateralmente, ed in sede pelvica,
nello spazio retro ed extraperitoneale.
Intervento (3): colostomia laterale di protezione in FIS, incisione glutea perianale di drenaggio della raccolta presacrale. Decorso regolare.
Dopo 1 anno
Intervento (4) di rimozione della rima anastomotica in esiti di STARR con asportazione di agraffes e riconfezionamento di sutura retto-rettale manuale.
Casi peritali simulati e commentati
205
Dopo altri 6 mesi
Intervento (5) di ricanalizzazione intestinale con abolizione della colostomia.
Considerazioni dei CTU:
La patologia del pavimento pelvico condizionante stipsi cronica o sindrome da
defecazione ostruita è frequente nella donna dopo i 45-50 anni, e spesso vi si
associano disturbi urinari (incontinenza) e della sfera sessuale, a configurare la
sindrome del perineo discendente.
La percentuale di successo della chirurgia nel suo trattamento varia tra l’80 e il 95%, ma
è gravata da una elevata percentuale sia di complicanze che di recidive.167,168,169,170,171
L’intussuscezione retto-anale, osservata nei pazienti con defecazione ostruita, anche con rettocele associato, è considerata un elemento fondamentale nella difficoltà
di evacuazione,172,173 dove la sola correzione del rettocele risulta spesso inefficace.
Il riscontro di un miglioramento dell’evacuazione dopo rettopessia con Stapler.
Ha suggerito un suo possibile ruolo nel trattamento del prolasso rettale interno
e dell’intussuscezione rettale, associata o meno a rettocele.
Da queste osservazioni è stata realizzata la STARR che comporta l’asportazione
della porzione del retto in eccesso con ritorno alla sua normale anatomia.
Trattasi di una resezione della parete rettale a tutto spessore, realizzando una
vera e propria anastomosi retto-rettale meccanica per via transanale. Essa viene
realizzata con uno strumento dedicato, lo Stapler Transtar Contour (Ethicon EndoSurgery Inc, Cincinnati, OH, USA) che ha avuto ampia diffusione.
Nel caso in oggetto l’indicazione all’intervento chirurgico è stata data tuttavia
senza prima mettere a punto una terapia lassativa, con clisteri e dietetica, eventualmente anche farmacologica e psicologica (visto il possibile ruolo nel determinismo della stipsi di una componente affettivo-cognitiva) che di regola deve
essere prolungata per almeno 6 mesi.
I riscontri defecografici di rettocele, di enterocele e di prolasso rettale non necessariamente giustificano la sintomatologia qui lamentata, infatti queste alterazioni si
167 Titu LV: Stapled transanal rectal resection for obstructed defecation: a cautionary tale.
Dis Colon rectum 52:1916, 2009.
168 Khaikin M: Treatment strategies in obstructed defecation and fecal incontinence. World
J Gastroenterol 12:3168, 2000.
169 Steele SR: Constipation and obstructed defecation. Clin Colon rectal Surg 20:110, 2007.
170 Rosen A: Obstructed defecation syndrome: diagnosis and therapeutic options, with special focus on STARR procedure. Isr Med Assoc 12:104, 2010.
171 Sabiston Textbook of Surgery, Pelvic floor disorders and constipation, 1365, Elsevier 2012.
172 Jayne DG: Stapled transanal rectal resection for obstructed defecation and evidence-based
practice. Br J Surg 92:793, 2005.
173 Puigdollers A: Persistent symptoms of functional outlet obstruction after rectocele repair. Colorectal Dis 9:262, 2007.
206
La responsabilità del chirurgo
osservano anche in soggetti sani asintomatici ma, fatte queste premesse, l’intervento
di STARR appare indicato nel trattamento della sindrome da defecazione ostruita.
Le complicanze post-operatorie di tale procedura sono in prevalenza l’emorragia e la deiscenza delle suture che si segnalano nel 7-17% dei casi.174,175,176
L’intervento di STARR rappresenta l’evoluzione dell’intervento di Longo, ideato
per il trattamento del prolasso emorroidario e consistente dell’asportazione mediante suturatrice meccanica di una banda circolare di mucosa del canale anale
con realizzazione di una sutura muco-mucosa.
L’intervento di Longo è assai più frequentemente praticato, e da più lungo tempo, rispetto alla STARR, e rispetto ad essa risulta meno invasivo (resezione mucosa e non resezione di parete rettale a tutto spessore).
Sulle complicanze di tale intervento, si possono riportare i dati di un’inchiesta
effettuata su vari centri italiani e relativa a 1107 pazienti operati con tale tecnica,
che sono del tutto sovrapponibili a quelli delle più importanti casistiche mondiali.
Non si sono verificate complicanze immediate nell’86,2% (954 pazienti); invece
il sanguinamento si è osservato nel 4,2%, la trombosi emorroidaria nel 2,3%, la
ritenzione urinaria nell’1,5%, la deiscenza anastomotica dell’anello nello 0,5%, la
ragade nello 0,2% e l’ematoma perineale nello 0,1%177.
Per quanto riguarda le complicanze tardive, la recidiva è risultata del 2,3%,
il dolore persistente dell’1,3%, la stenosi anastomotica dello 0,8%, la ragade
anale dello 0,6%.
Complicanze rare, ma gravissime, sono la perforazione del retto anche intraperitoneale, la fistola rettovaginale, la sepsi retroperitoneale178.
L’analisi dei possibili momenti patogenetici della complicanza emorragica nel
caso in narrativa riconosce in un sanguinamento a nappo lungo la linea di sutura, presumibilmente dovuto ad un incompleto controllo dell’emostasi della
suturatrice meccanica, quindi operatore indipendente, la causa più probabile;
più raramente l’emorragia può essere dovuta a piccoli rami arteriosi sezionati
ma non compresi nei punti metallici.
Nel caso in discussione di tratta di discriminare se si trattò di errore tecnico o mera
complicanza (e quindi di fatto ipotizzabile ma non prevenibile in alcun modo).
Nel primo caso, ovvero errore tecnico, esso non può che essere consistito in un
174 Lenisa L: STARR with Contour Transtar: prospective multicentre European study. Colorectal Dis 11:821, 2009.
175 Goede A: Medium term results of stapler transanal rectal resection (STARR) for obstructed defecation and symptomatic rectal-anal intususception. Colorectal Dis Aug 31, 2010.
176 Jaine DG: Stapled transanal rectal resection for obstructed defecation syndrome: one
year result of the European STARR Registry. Dis Colon Rectum 52:1205, 2009.
177 Pescatori M: Postoperative complications after procedure for prolapsed hemorroids (PPH)
and stapled transanal rectal resection (STARR) procedures. Tech Coloproctol 12:7, 2008.
178 Maw A: Retroperitoneal sepsis complicating stapled hemorroidectomy. Report of a case
and review of the literature. Dis Colon Rectum 45:826, 2002.
Casi peritali simulati e commentati
207
trauma diretto, quindi perforativo della parete del retto, da parte della punta
della suturatrice. Ovviamente in questo caso ci si dovrebbe aspettare la contemporanea perforazione del viscere e il rilievo precoce dell’emorragia per lesione
dei vasi della parete del retto, evento qui non verificatosi.
Nel secondo caso (complicanza) si sarebbe trattato invece dell’evoluzione sfavorevole di una deiscenza anastomotica di piccole dimensioni (o di incompleta
sutura anastomotica realizzata dalla suturatrice meccanica) con sanguinamento
associato extraluminale e formazione di ematoma perirettale. Si tratterebbe in
questo caso sicuramente di una complicanza estremamente rara.
La frequenza di tale complicanza perforativa in 25 trials concernenti 1918 interventi con stapler risulta essere inferiore allo 0,1%.
Il principale il fattore predisponente la perforazione del retto è costituito dalla discesa della parete anteriore, che viene lesa dal cono appuntito dell’incudine dello
stapler inserito nell’ano nei pazienti con prolasso o invaginazione del retto.179,180
Si ritiene che nel caso in oggetto si verificò un’emorragia a livello della catenella
chirurgica o per incompleta sutura da parte dello Stapler (da ritenersi una complicanza della procedura essendo questa effettuata meccanicamente dallo strumentario chirurgico e non operatore dipendente) che determinò la formazione di un
importante ematoma perirettale, che richiese poi l’esecuzione di ripetuti interventi
di drenaggio, colostomia di protezione e quindi di ricanalizzazione intestinale.
Nel corso della visita di controllo a 9 giorni dalla data del primo intervento, pur
lamentando la paziente importanti dolori e distensione addominale, il Dr.X non
ritenne di dover procedere ad alcun approfondimento, rinviando la paziente a
domicilio e fissando un nuovo controllo a 30-40 giorni. Mancano dati sull’esecuzione o meno di una esplorazione rettale, che la paziente nega sia stata eseguita.
Quattro giorni dopo la suddetta visita e due settimane dopo l’intervento di
STARR, persistendo i dolori addominali, la paziente veniva nuovamente ricoverata, e la TAC addome eseguita dimostrava la presenza di raccolta pararettale a
parziale contenuto aereo.
Il giorno successivo veniva sottoposta ad intervento di drenaggio di raccolta
presacrale ematica e di revisione dell’anastomosi posteriore retto-rettale con sutura di piccola deiscenza superficiale sanguinante.
In seguito, la TAC addome di controllo dimostrava la persistenza della raccolta
presacrale e di infiltrazione aerea retroperitoneale, indicando la necessità di un
nuovo intervento di drenaggio e di colostomia di protezione.
In conclusione, si può ritenere che la formazione dell’ematoma pararettale e la
deiscenza anastomotica siano da considerarsi una complicanza rara (incolpevole) dell’intervento di STARR.
179 Gao HX: Rectal perforation after procedure for prolapse and hemorroids: possible causes. Dis Colon Rectum 53:1439, 2010.
180 Pescatori M: Prevenzione e trattamento delle complicanze in chirurgia proctologica.
Springer, 2011.
208
La responsabilità del chirurgo
A fronte di un decorso post-operatorio complicato da dolore ed episodi di vomito la paziente è stata comunque dimessa in III giornata senza che venissero
riconosciute le complicanze chirurgiche certamente già in atto.
Al persistere, e all’aggravarsi della sintomatologia dolorosa addominale, con distensione addominale, nel corso della visita di controllo ambulatoriale eseguita
in nona giornata post operatoria ancora nulla veniva rilevato, e la paziente veniva rimandata ad un controllo a distanza.
Solo 4 giorni più tardi, in tredicesima giornata post-operatoria, veniva eseguita
TAC addome che dimostrava la complicanza verificatasi. Da qui si innescava la
necessità di una serie di interventi (4, nell’arco di 2 anni), da considerarsi tutti
correttamente eseguiti, atti a fronteggiare le complicanze, sia precoci che tardive,
di cui sopra, nonché a provvedere alla definitiva ricanalizzazione intestinale.
Censurabile invece appare il ritardo (2 settimane) riguardante il riconoscimento della complicanza emorragica, così come della deiscenza anastomotica: vi è
infatti da ritenere che una più precoce diagnosi della stessa (con emostasi della
parete rettale in sede di rima anastomotica , eventualmente immediato drenaggio) avrebbe evitato la formazione del voluminoso ematoma perirettale, e la sua
superinfezione, che ha condizionato la necessità di eseguire una colostomia derivativa ed un intervento di ricanalizzazione a distanza.
Da un punto di vista valutativo, per quanto riguarda la stima dell’inabilità temporanea, a causa dei fatti discussi si resero necessari, come detto, altri tre interventi chirurgici con confezionamento di colostomia: deve essere quindi indicato
un periodo di inabilità temporanea assoluta della durata di 24 giorni (corrispondenti ai quattro periodi di degenza successivi al I intervento, seguito da un periodo di inabilità temporanea parziale di circa 770 giorni (considerando tutti gli
aggravamenti successivi), di cui 30 giorni mediamente al 75% (corrispondenti ai
periodi di convalescenza dei successivi interventi chirurgici), 710 giorni mediamente al 50% (di cui 680 corrispondenti al periodo di mantenimento della stomia e 30 giorni per i successivi periodi di convalescenza) e 30 giorni mediamente
al 25% per consentire il progressivo recupero funzionale.
Per quanto attiene ai postumi di natura permanente, va puntualizzato che permangono certamente gli esiti cicatriziali degli interventi di confezionamento
della stomia nonché un quadro di sindrome aderenziale coerente con le complicanze subentrate (stipsi, dolore alla defecazione, ecc…). Non risultano documentate, invece, lesioni sfinteriali, né da un punto di vista diagnostico né da un
punto di vista obiettivo attuale.
Il danno permanente, di natura cicatriziale e aderenziale, è pertanto da valutarsi
complessivamente nella misura del 10% circa con riferimento all’integrità psico-fisica della persona (danno biologico).
Risposte alle osservazioni di parte ricorrente:
In risposta alla affermazione che possa essere stato commesso un errore tecnico
nel corso della resezione-anastomosi, si può ammettere certamente l’esistenza
Casi peritali simulati e commentati
209
di tale possibilità, che è però indimostrabile, né appare possibile valutarla in
termini probabilistici. Si ritiene però inequivocabile, e qui del tutto si concorda,
il ritardo con cui la complicanza in essere venne gestita.
Sintesi:
Le importanti complicanze verificatesi a seguito dell’intervento di STARR vengono considerate come prevedibili e non prevenibili, l’errore tecnico non è qui
dimostrabile. Tuttavia, le carenze cliniche del post operatorio ed il ritardo diagnostico delle stesse sono ritenute responsabili di un lungo periodo di invalidità
temporanea e di un danno biologico permanente da ritenersi, a distanza, complessivamente contenuto.
2.6 Chirurgia endoscopica digestiva
Caso 32
Perforazione duodenale post ERCP, pancreatite acuta, exitus
Vicenda clinica:
Maschio di circa anni 80 si recava al Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa per
comparsa di dolore epigastrico addominale diffuso con irradiazione posteriore.
Obiettività addominale nella norma. GOT 190, GPT 150, Creatinina 2.15, Bilirubina totale 1.40, Lipasi 160. Restava in osservazione.
Il giorno seguente:
GOT 375, GPT 234, Bilirubina diretta 2.41, Bilirubina totale 2.99, LDH 310.
Nel pomeriggio: GOT 433, Bilirubina totale 4.36, Bilirubina diretta 3.73, Hb 9.1.
Ecografia addome: colecisti distesa a pareti ispessite e slaminate, sede di formazioni litiasiche con diametro massimo di circa 10 mm, non dilatate le vie biliari.
Ricovero in Chirurgia con diagnosi di ittero ostruttivo.
Il giorno seguente
Sottoposto ad ERCP con quesito diagnostico di calcolosi colecisto-coledocica:
papilla di aspetto normale, incannulazione della via biliare non dilatata su filo
guida. Sfumate irregolarità di riempimento a livello del coledoco distale. Sfinterotomia e bonifica della via biliare con Fogarty, con fuoriuscita di frammenti
litiasici. Alla fine della procedura la via biliare appare libera.
Conclusioni: bonifica della via biliare in microcalcolosi del coledoco.
Lo stesso giorno, a seguito dell’insorgenza di importante dolore addominale, il
paziente veniva sottoposto a TAC addome con mdc che dimostrava che il duodeno al passaggio II-III terza porzione, in sede peripapillare, presentava ispessi-
210
La responsabilità del chirurgo
mento delle pareti per possibile componente essudativa transparietale in assenza di evidenti attuali segni di perforazione, con associata quota fluida in sede
pararenale anteriore con infiltrato essudativo della fascia stessa, presente anche
in corrispondenza della radice del mesocolon trasverso e flogosi edematosa per
edema interstiziale a carico della testa del pancreas.
Il giorno successivo
Controllo TAC addome: nettamente peggiorata l’imbibizione del grasso periviscerale a livello dei quadranti centro addominali. Edema peri-duodenale con piccola
raccolta fluida a livello del grasso periviscerale. Nell’acquisizione eseguita post gastrografin non evidenti spandimenti del mezzo di contrasto in sede peri viscerale.
Si associa un minimo versamento peri-splenico e periepatico con ispessimento della fascia pararenale anteriore più evidente a sinistra di significato reattivo.
Intervento chirurgico per addome acuto da microperforazione duodenale, colelitiasi, pancreatite acuta.
Procedura: laparotomia esplorativa bisottocostale. Raffia duodenale. Colecistectomia. Posizionamento di tubo di Kehr. All’apertura del peritoneo abbondante liquido similbiliare, imbibizione e macchie di cera a livello del mesocolon trasverso.
Colecistectomia, isolamento della via biliare che appare molto sottile e fragile. Mobilizzazione del blocco duodeno-pancreatico, reperto di microperforazione a livello della seconda porzione duodenale. Sutura in duplice strato. Voluminosa colata
tra la parete posteriore dello stomaco ed il mesocolon trasverso. In considerazione
della sutura duodenale si esegue coledocotomia e si posiziona tubo di Kehr.
In V giornata postoperatoria
La TAC addome documentava la presenza di raccolte organizzate, in parte confluenti, estese in corrispondenza della radice del mesentere, in adiacenza alla
fascia renale anteriore di destra, in loggia pancreatica, delle dimensioni massime
di circa 10 cm e di imbibizione essudatizia del tessuto adiposo mesenteriale.
Dopo 20 giorni
Nuova ERCP per sospetto leak biliare: in secondo duodeno presenza di una
soluzione di continuo di parete dove si rileva la presenza di un punto di sutura.
Si incannulano selettivamente le vie biliari che mostrano al proprio interno tubo
di Kehr. Alla iniezione del mdc si osserva spandimento in addome verosimilmente per fuoriuscita intorno al Kehr. Si posiziona una protesi plastica.
Il giorno successivo: exitus.
Diagnosi principale: calcolosi della colecisti e del dotto biliare.
Secondaria 1: pancreatite acuta.
Secondaria 2: puntura o lacerazione accidentale durante un intervento.
Secondaria 3: setticemia da E. Coli.
Secondaria 4: insufficienza polmonare successiva a trauma o a intervento.
Secondaria 5: polmonite da batteri gram-negativi.
Casi peritali simulati e commentati
211
Riscontro diagnostico: all’apertura della ferita chirurgica sierosa peritoneale viscerale e parietale ricoperta da induito necrotico-purulento. Il territorio pancreatico è sede di necrosi massiva estesa dalla regione pancreatica al retroperitoneo
fino in prossimità della biforcazione delle arterie iliache. Nulla di rilievo ad esofago, stomaco e intestino. …
Polmoni: al taglio e alla spremitura fuoriesce induito schiumoso e puruloide.
Aspetti di polmonite a focolai bibasilare.
Considerazioni di parte ricorrente:
Il paziente veniva ricoverato all’Ospedale Alfa per colica coledocica in portatore
di calcolosi colecisto-coledocica.
Mentre la diagnosi di calcolosi della colecisti veniva tempestivamente posta con
l’esecuzione di una ecografia addominale, la diagnosi di calcolosi coledocica doveva attendere tre giorni e, contravvenendo alle linee guida, veniva fatta con
una metodica invasiva, la endoscopia retrograda colangiopancreatica (ERCP),
che nel caso in oggetto sarebbe stata il primum movens di una serie di eventi che
hanno portato il paziente alla morte.
All’ingresso in Ospedale il malato era portatore di una calcolosi colecisto-coledocica non complicata: era apiretico, con emocromo ed enzimi pancreatici nella norma. Le vie biliari erano sottili, a testimoniare l’assenza di un momento
ostruttivo significativo, diversamente da quanto riportato nella errata diagnosi
di accettazione che era di ittero ostruttivo.
La diagnostica della calcolosi coledocica, dopo l’ecografia transaddominale, prevede, nell’ordine, l’esecuzione di colangio RNM ed, eventualmente, di ecografia
endoscopica (EUS)181.
Nei pazienti con sospetto di coledocolitiasi non complicata, di età superiore a 55
anni, non è indicata l’esecuzione come primo esame della ERCP, che può essere
eseguita eventualmente insieme alla EUS se questa ha evidenziato la presenza
di calcoli responsabili di una ostruzione.182,183 L’alternativa è costituita dalla colecistectomia laparoscopica con colangiografia od ecografia intraoperatoria, con
risultati equivalenti e riduzione dei tempi di degenza184.
L’ERCP è una procedura volta alla diagnosi ed alla terapia radicale o palliativa
di alcune patologie dei dotti biliari e del pancreas.
181 Tse F: The elective evaluation of patients with suspected coledocholithiasis undergoing
laparoscopic cholecystectomy. Gastrointest Endosc 60:437, 2004.
182 ASGE Standards of Practice Committee. Maple JT: The role of endoscopy in evaluation
of suspected choledocholithiasis. Gastrointest Endosc 71:1, 2010.
183 Arain MA: Choledocholithiasis: clinical manifestations, diagnosis and management. UpToDate 2107, Wolters Kluwer.
184 Iranmanesh P: Initial cholecystectomy vs sequential common duct endoscopic assessment and subsequent cholecystectomy for suspected gallstone migration: a randomized
clinical trial. JAMA 312:137, 2014.
212
La responsabilità del chirurgo
Come tutte le manovre invasive comporta una serie di possibili complicanze
note, la cui prevenzione è sostanzialmente affidata ad un’accurata selezione di casi con indicazioni appropriate, alla esecuzione di manovre tecniche
adeguate ed alla capacità ed esperienza dell’equipe sanitaria, in particolare
dell’endoscopista operatore.
È necessario ricordare che con l’avvento delle metodiche diagnostiche non invasive sopra citate, soprattutto della colangiopancreatografia-RM185, la ERCP è
da considerarsi esame di II livello, con prevalenti finalità di tipo terapeutico186.
Le indicazioni alla ERCP riguardano in definitiva: la calcolosi accertata della via
biliare principale; le occlusioni patologiche maligne della via biliare; le stenosi benigne delle vie biliari; stenosi flogistiche o post-chirurgiche che inducono colestasi.
Essendo una procedura invasiva, essa è gravata da diverse complicanze: tra queste,
con un’incidenza variabile dallo 0.1% allo 0.6%, le perforazioni iatrogene.187,188,189
I fattori determinanti che stanno alla base sono diversi: spessore della parete
duodenale, alterazioni anatomiche, processi infiammatori in atto (pancreatite,
coledocite); difficoltà obiettive delle manovre endoscopiche specie quelle relative alla esplorazione delle vie biliari ed alla estrazione di calcoli coledocici voluminosi; età del paziente, esperienza e capacità tecnica dell’operatore.
Le cause più comuni di perforazione durante ERCP sono: sfinterotomia (56%),
manovre con guide endobiliari (23%), migrazione di stent biliari.
La mortalità delle perforazioni iatrogene in endoscopia è stimata essere il 10%18%.190,191 Nel caso in oggetto, dunque, si insiste, non vi era indicazione ad eseguire una ERCP diagnostica. Infatti, essa, pur di agevole e rapida esecuzione
(stando alla sua descrizione), ha cagionato, per ragioni tecniche del tutto incomprensibili, al di là di una malpractice dell’operatore, una perforazione duodenale riconosciuta e trattata chirurgicamente solo dopo tre giorni.
Nel verbale dell’intervento veniva descritta una microperforazione riparata con
sutura in duplice strato comunque destinata alla deiscenza, che verrà riconosciuta, e non direttamente trattata, solo nel corso di una nuova ERCP eseguita
185 Taylor ACF: Prospective assessment of magnetic resonance cholangiopancreatography
for noninvasive imaging of the biliary tree. Gastrointest Endosc 55:12, 2002.
186 Maydeo A: Techniques of selective cannulation and sphincterotomy. Endoscopy 35:19,2003.
187 Masci: “Complications of diagnostic and therapeutic ERCP: a prospective multi center
study. Am J Gastroenterol. 2001.
188 Loperfido S.: “Mayor early complication from diagnostic and therapeutic ERCP: a prospective multi center study.” Gastr. Intes. Endoscop. 1998.
189 Angiò LG: Trattamento degli eventi perforativi post-colangiopancreatografia retrograda
con sfinterotomia endoscopica. Esperienza personale. G.Chir Vol.30, 520, 2008.
190 Cotton e Coll.: “Endoscopic sphincterotomy complications and their management: an
attempt at consensus”. Gastroin Endosc. 1991.
191 Andriulli A: “Incidence rates of post ERCP complications: a systematic survey of prospective study”. Am J. Gastroent. 1781, 2002.
Casi peritali simulati e commentati
213
20 giorni dopo l’intervento chirurgico. In quella circostanza veniva posizionata
una endoprotesi biliare, del tutto inadeguata, anche in presenza di tubo di Kehr,
vista l’evoluzione clinica, a favorire la riparazione sia la perforazione duodenale
che quella della via biliare principale.
Intanto, a far tempo dalla prima ERCP, il paziente aveva sviluppato una pancreatite acuta la cui causa iatrogenica (traumatica) è da ritenersi inequivocabile,
così come la perforazione duodenale, che, mai efficacemente trattata, ha causato
uno shock settico con setticemia, polmonite con insufficienza respiratoria e MOF
che hanno condotto alla morte il paziente.
Da ultimo, è opportuno sottolineare la voluta, palesemente difensiva approssimatezza del riscontro diagnostico, che non descrive la perforazione duodenale,
primum movens della letifera vicenda clinica, piuttosto, del tutto erroneamente
riportando nessun rilievo ad esofago stomaco e intestino.
Imperizia, negligenza ed imprudenza devono essere poste in capo ai sanitari endoscopisti e chirurghi che ebbero in cura il de cuius, in nesso causale con il di lui decesso.
Errata fu l’indicazione, nel sospetto di litiasi coledocica non complicata, ad eseguire
in prima battuta ERCP senza prima eseguire un esame non invasivo (RNM, EUS).
Nel corso di tale esame, descritto come di facile esecuzione, si determinò una
perforazione duodenale jatrogena che non fu mai trattata con successo né chirurgicamente né endoscopicamente, ed entrambi i tentativi di riparazione furono effettuati con inescusabile ritardo. Anche la lesione della via biliare principale
non venne altresì efficacemente riparata. La grave pancreatite acuta associata,
importante concausa nel determinismo del decesso del paziente, venne indubitabilmente innescata dal trauma iatrogenico in corso di ERCP.
Conclusioni:
Risarcimento per via stragiudiziale di euro 120’000.
Sintesi:
Complicanze mortali di ERCP non indicata in anziano, diagnosi e trattamento
inefficace e tardivo, accordo stragiudiziale con corresponsione di un risarcimento agli eredi naturalmente inferiore a quello da tabella di danno non patrimoniale per la morte del congiunto.
Caso 33
Perforazione colica in corso di polipectomia endoscopica
Consulenza Tecnica d’Ufficio:
ATP, CTU un chirurgo.
La responsabilità del chirurgo
214
Vicenda clinica:
Maschio di circa 60 anni, test per la ricerca di sangue occulto nelle feci positivo.
IRC in dialisi.
Colonscopia: a circa 20 cm dall’ano polipo peduncolato delle dimensioni di 4 cm
con aspetto villoso.
Esame istopatologico: adenoma tubulo-villoso del grosso intestino con displasia moderata dell’epitelio ghiandolare.
Ricovero presso Chirurgia Generale dell’Ospedale Alfa.
Intervento endoscopico: voluminoso polipo sessile del sigma a circa 20 cm: resezione su ansa diatermica recuperando i frammenti prodotti. Dimissioni.
Esame istopatologico: frammenti di adenoma villoso con displasia moderata,
base di impianto non valutabile.
La mattina del giorno successivo tornava in Pronto Soccorso per dolori addominali. Addome difeso;
Rx addome: aria sottodiaframmatica in sede ipocondriaca destra e marcata falda
aerea perisplenica sinistra: perforazione intestinale.
TAC addome: malattia policistica renale ed epatica avanzata. Aria libera al passaggio sigma-discendente con iperdensità della parete intestinale espressione di
emorragia locale in recente perforazione. Pneumoperitoneo diffuso.
Intervento laparotomico: perforazione del sigma distale con peritonite siero-corpuscolata diffusa. Resezione sec Hartmann del segmento interessato con
colostomia terminale iliaca sinistra.
Diagnosi: peritonite diffusa secondaria a perforazione del sigma in esiti di polipectomia endoscopica.
Esame istopatologico: tratto di 16 cm di colon che a 3 cm da un margine ha soluzione di continuo della sierosa di 2 cm con punti chirurgici cui corrisponde sulla
mucosa una lesione brunastra e irregolare di 3 cm esofitica, friabile.
Diagnosi: necrosi e perforazione transmurale ed associata flogosi fibrino-leucocitaria con estensione alla sierosa; presenti inoltre aree residue di adenoma
villoso con displasia moderata.
Decorso regolare e dimissione.
Dopo 1 mese:
Ricovero in Chirurgia dell’Ospedale Alfa per chiusura della colostomia sinistra
e ricanalizzazione intestinale.
Intervento: viscerolisi, resezione segmentaria del colon in sede di colostomia e
ricanalizzazione colon-rettale con anastomosi T-L.
Decorso regolare e dimissioni.
Dopo 2 anni,
Ricovero presso Ospedale Beta per laparocele mediano.
Intervento: riparazione con protesi.
Casi peritali simulati e commentati
215
Considerazioni del CTU:
Quando è possibile, i polipi intestinali devono essere rimossi per via endoscopica. Il polipo dovrebbe essere asportato per intero per consentire una classificazione istologica adeguata, ovvero la valutazione dei margini e del suo approfondimento nelle tonache. La resezione endoscopica mucosa (endoscopic mucosal
resection, EMR) con iniezione di soluzione salina a sollevare la sottomucosa, rappresenta il metodo di scelta in caso di polipi sessili, piatti e di grosse dimensioni
per ottenere una polipectomia completa, comprendente la sottomucosa ed atta
a consentire la valutazione della profondità della lesione come dei suoi margini.
In generale la colonscopia è ritenuta una procedura sicura, di routine, ma comunque, come noto, non scevra di possibili complicanze.
Tra queste, la più grave è la perforazione, che richiede un trattamento chirurgico
nel 50-100% dei casi, associata a morbilità maggiore e a mortalità postoperatorie
che raggiungono il 39% e il 25%.192,193
La complicanza perforativa della colonscopia risulta accresciuta nella endoscopia operativa, e segnatamente in caso di polipectomia, rispetto alla colonscopia
diagnostica, ed è maggiore quando la lesioni da asportare è di grosse dimensioni, prevalendo per le lesioni localizzate a livello del colon destro.
Si riscontra inoltre che, malgrado l’accresciuta esperienza nel tempo nell’utilizzo
della procedura endoscopica, la percentuale della complicanza perforativa, anche
se bassa, non appare in diminuzione194. In generale, i principali fattori di comorbilità
sono il diabete, pregressi interventi di chirurgia addominale, la presenza di occlusione intestinale, di diverticoli, diarrea, anemia.195,196. La tecnica Endoscopic Submucosal Dissection (ESD) di resezione delle lesioni piatte o di grosse dimensioni dell’apparato digerente (esofago, stomaco e colon) è stata messa a punto nel corso degli anni
novanta da autori giapponesi, ed ha avuto prevalente sviluppo negli Stati Uniti,
essendo metodica meno costosa (circa il 30% della chirurgia tradizionale).
In mani sperimentate, e su casistiche numerose, la percentuale della complicanza perforativa per quanto riguarda il colon è del 4%197.
192 Iqbal CW: Colonoscopic perforations: a retrospective review. J Gastrointest Surg 9:1229,
2005; Farley DR: Management of colonscopic perforations. Mayo Clinic Proc 72:729, 1997.
193 Lo AJ: Selective management of colonoscopic perforations. J Am Coll Surg 70:333, 1994.
194 Arora G: Risk of perforation from a colonoscopy in adults: a large population-based
study. Gastrointest Endosc 69, 3: 654, 2009.
195 Gatto NM: Risk of perforation after colonoscopy and sigmoidoscopy: a population-based
study. J Nat Cancer Inst 95:230, 2003.
196 Lohsiriwat V: What are the risk factors of colonoscopic perforation? BMC Gastroenterol
9:71, 2009 Arora A, op cit.
197 Yamamoto H: Endoscopic endoscopic resection of a 40 mm flat-elevated tumor in the
rectum: endoscopic mucosal resection using sodium hyaluronate. Gastrointest Endosc
50:701, 199; Submucosal Dissection for Colorectal Tumors. In: Monkemuller K: Interventional ad Therapeutic Gastrointestinal Endoscopy, Karger, Vol 27, 287, 2010.
216
La responsabilità del chirurgo
Quando l’esperienza di endoscopia operativa non è di sufficiente livello, si considera opportuno il trasferimento del paziente in centri specializzati di riferimento.
Nel caso in oggetto la diagnosi di perforazione del colon del colon è stata messa a
punto in tempi brevi: a seguito della comparsa di dolore addominale acuto, ripresentatosi in Pronto Soccorso, il paziente ha eseguito Rx e TAC addome che hanno
dimostrato la presenza di pneumoperitoneo, espressione di perforazione viscerale
ad eziologia iatrogenica, essendo la sintomatologia di tipo perforativo in rapporto
temporale nonché causale con l’esecuzione della polipectomia endoscopica.
A questo punto il paziente è stato immediatamente sottoposto all’intervento chirurgico d’urgenza, confermando la diagnosi di perforazione a livello del sigma
con conseguente peritonite diffusa. I chirurghi, considerando i fattori di rischio
presenti e, non da ultimo, l’eziologia della perforazione, hanno correttamente
e prudenzialmente scelto di eseguire una resezione segmentaria del sigma con
colostomia di protezione (intervento di Hartmann) da ritenersi qui come temporanea, ripromettendosi, a guarigione avvenuta dalla patologia acuta, di effettuare la ricanalizzazione con anastomosi colo-rettale e abolizione della colostomia.
Dopo 1 mese il paziente è stato nuovamente sottoposto ad intervento chirurgico
di abolizione della colostomia e ricanalizzazione intestinale.
Essendosi poi formato, in conseguenza dell’intervento laparotomico eseguito in
urgenza e alla relaparotomia per ricanalizzazione intestinale un laparocele mediano, il paziente veniva sottoposto a distanza di un anno e mezzo ad intervento
di plastica del laparocele con rete presso l’Ospedale Beta.
Il primo intervento, per l’asportazione del polipo del sigma, è stato eseguito endoscopicamente. Trattavasi di un polipo sessile del diam di 4 cm, quindi di dimensioni considerevoli.
La sua asportazione per tale via richiedeva: esperienza tale da asportare il polipo e possibile in toto e completamente; padronanza delle tecniche da parte
dell’operatore e possesso della strumentazione endoscopica atte a rimuovere
con le modalità sopra dette una estesa lesione sessile piatta, praticando una ESD
(Dissezione Endoscopica sottomucosa) lege artis, evitando la possibilità di una
complicanza perforativa, maggiormente temibile in un emodializzato.
Nel consenso informato fatto firmare al paziente prima dell’intervento si scriveva che non esistevano possibili alternative cliniche al trattamento della patologia
in essere: ma questo non corrisponde a verità. Sarebbe qui stato probabilmente
del tutto lecito, e più sicuro, viste le circostanze, ricorrere ad una resezione colica, meglio se eseguita per via mininvasiva laparoscopica.
Il polipo è stato asportato “a pezzi”, in frammenti, ma soprattutto in modo incompleto. Questo ha impedito una adeguata asportazione del polipo, un corretto
staging anatomopatologico, e sul pezzo di colon resecato nel corso del successivo
intervento laparotomico sono state rinvenute aree residue di adenoma villoso (con
displasia moderata) a testimonianza che, in assenza della complicanza perforativa, il polipo si sarebbe probabilmente riformato in situ richiedendo in seguito
nuovi interventi di asportazione. Risulta dunque palese che l’intervento di asportazione endoscopica del polipo del sigma fu condotto in maniera errata per:
Casi peritali simulati e commentati
•
•
•
•
217
discutibile indicazione endoscopica in assenza di adeguata esperienza e
della necessaria strumentazione;
incongrue modalità di asportazione del polipo, “a pezzi”, senza SSD;
incompleta asportazione della lesione;
aver determinato una perforazione iatrogena da elettrocauterizzazione.
Si conferma un nesso di causalità certo tra asportazione endoscopica del polipo
e perforazione iatrogena del sigma. Tale complicanza era prevedibile ed evitabile ricorrendo ad una asportazione endoscopica non imperita, eseguita con le
corrette modalità tecniche, o ad una resezione chirurgica segmentaria del sigma.
Per quanto riguarda il danno, il paziente ha dovuto subire tre interventi chirurgici in anestesia generale nel corso di altrettanti ricoveri ospedalieri, per la durata complessiva di 43 giorni. Residuano gli esiti cicatriziali a livello addominale,
una ampia rete protesica (potenzialmente foriera nel tempo di noti fastidi e complicanze), una assai verosimile sindrome aderenziale, almeno riferendosi all’id
quod plerumque accidit, esito della peritonite diffusa da perforazione del sigma, il
sacrificio di un tratto di circa 20 centimetri di sigma (tratto resecato nel corso di
intervento di Hartmann + alcuni cm dell’ansa fissata in parete, resosi necessario
per la ricanalizzazione intestinale).
Dal punto di vista medico legale valutativo il danno alla persona del de cuius derivato dalla negligenza e dalla imperizia dei sanitari dell’Ospedale Alfa è circoscrivibile in una invalidità parziale, a carattere permanente, del 14% della totale
in ambito biologico e in una inabilità temporanea della durata complessiva di 145
giorni (ITT biologica di 45 gg; ITP (75%) 40 gg; ITP 50% 30 gg; ITP 25% 30 gg).
Considerazioni di parte convenuta:
L’operatore effettua endoscopia da oltre 25 anni, con una mole di attività di 600
endoscopie/anno di cui 250 operative, e pertanto si può a buon diritto considerare che abbia l’esperienza di sufficiente livello per compiere tali procedure.
Circa la tecnica di piecemeal qui utilizzata, si applica per lesioni di diam>2,5 cm.
Essa si associa ad un certo tasso di recidive, ma è la tecnica maggiormente utilizzata
perché agevole e determina scarse complicanze. La necessità di follow up ravvicinato, che avrebbe permesso di riconoscere ed asportare residui o recidive del polipo,
sarebbe stata comunicata al paziente all’atto della consegna dell’esame istologico.
La resezione endoscopica è stata anticipata dalla tecnica di infusione di soluzione
fisiologica ed adrenalina al di sotto del polipo (come è ben riportato nella relazione dell’operatore, prodotta successivamente), procedura che è talmente radicata e
connaturata alla natura della tecnica di rimozione che non è certamente necessario
descriverla in atto operatorio, come se ad esempio si richiedesse che un chirurgo
dichiarasse quanti punti di sutura ha dato per la chiusura di un tramite.
Inoltre, la procedura di infiltrazione rende talmente più semplice la procedura
che è ovvio che l’endoscopista se ne serva in modo assolutamente routinario.
In definitiva, trattasi di complicanza prevedibile ma non sempre prevenibile,
218
La responsabilità del chirurgo
senza evidente errore, di tecnica condivisa dal consesso scientifico internazionale, effettuata da un operatore di ampia e solida esperienza, in centro assolutamente adeguato, e non si vede come il CTU possa documentare il contrario.
Non condivisibile, inoltre, la valutazione degli esiti permanenti (massimo 7-8%).
Risposta del CTU alle contestazioni di parte convenuta:
Ogni intervento chirurgico deve essere dettagliatamente descritto, anche quando l’operatore ritiene di averlo eseguito “more solito”, pena il determinarsi di
incomprensioni, anche di carattere evidentemente strumentale, e comunque
rappresentando un palese difetto di tenuta della cartella clinica.
Nel caso in oggetto non viene descritta nessuna tecnica ESD, ma si riporta solo
l’avvenuto recupero dei frammenti prodotti dalla procedura.
In realtà la resezione del polipo è stata parziale, per non dire minimale: infatti
sul pezzo operatorio della resezione del sigma rimaneva un polipo del diam di 3
cm, quando alla colonscopia preoperatoria era descritto del diam di 4 cm.
Nessuna tecnica quindi di “piecemeal” è stata realizzata, ma solo una asportazione di frammenti del polipo. Ben lungi quindi tale intervento dal potersi considerare idoneo per l’asportazione del polipo, dal momento che la sua gran parte
veniva poi reperita nel pezzo chirurgico. È evidente in definitiva come la procedura endoscopica sia stata inefficace per il trattamento del polipo del sigma
nonché foriera della grave complicanza perforativa. È necessario aggiungere che
nessuna relazione dell’operatore è presente in atti, e dunque non è consultabile.
Si rammenta ancora che nel modulo di consenso informato si riportava che non
vi erano alternative all’asportazione endoscopica, cosa chiaramente non vera.
Sintesi:
È opportuno ricordare che quando non risulta possibile stabilire con certezza
se il danno riportato sia stato causato da imperizia e l’incertezza derivi dall’incompletezza della cartella clinica, intesa anche come mancata descrizione di una
procedura chirurgica, il medico è da ritenersi responsabile del danno quando la
sua condotta sia astrattamente idonea a causarlo.
2.7 Cancro dalla mammella
Caso 34
Carcinoma mammario: ritardo diagnostico e progressione
di malattia
Consulenza tecnica d’Ufficio (ATP):
un chirurgo, un ausiliario anatomopatologo, un ausiliario radiologo
Casi peritali simulati e commentati
219
Vicenda clinica:
Donna di 45 anni, si sottoponeva periodicamente ad accertamenti senologici di
prevenzione (visita, mammografie ed ecografie) presso l’Ospedale Alfa.
Ecografia mammaria bilaterale con agoaspirato: a sinistra tra Q1-Q3 in corrispondenza del rilievo clinico presenza di area nodulare diam 1 cm ipoecogena
con irregolarità dei margini da riferirsi in prima ipotesi a fibrocisti.
Referto citologico: cellularità scarsa.
Diagnosi: C3 (atipia probabilmente benigna)
Dopo 7 mesi
Eseguiva mammografia ed ecografia, che confermava la presenza di nodulo solido ipoecogeno diam mm 11. Consigliata exeresi.
Dopo quasi due anni:
Mammografia ed ecografia bilaterale con agoaspirato: a sinistra presenza di
due lesioni nodulari localizzate: tra Q1 e Q3 (diam complessivo circa 2 cm) con
aspetto bilobato, già evidenziata nel precedente controllo di 2 anni orsono, eseguito approfondimento con FNAC (esito C3) ed oggi con incremento dimensionale; in Q1 altra lesione ipoecogena prevalentemente solida, di diametro lievemente inferiore alla precedente. Consigliata exeresi chirurgica di entrambe le
lesioni, indagate entrambe con FNAC:
Referto anatomopatologico:
A: agoaspirato in Q3: C3;
B: agoaspirato in Q1: C3 (atipia probabilmente benigna).
Agobiopsia ecoguidata presso l’Ospedale Beta, per entrambi i noduli: carcinoma duttale infiltrante. Ricovero presso Chirurgia Generale dell’Ospedale Beta.
Intervento: mastectomia skin sparing con ricostruzione immediata con protesi e
svuotamento cavo ascellare. Decorso post-operatorio regolare.
Giudizio diagnostico: Carcinoma infiltrante di tipo duttale a focolai multipli;
metastasi massiva carcinomatosa (estensione mm 8) in linfonodo del I livello
(1/33 totali). TNM 2002: pT2 N1 G2. Terapia ormonale+ FOLFOX 12 cicli.
Dopo circa 5 anni
Recidiva ascellare trattata con RT. Alla TAC nodulo polmonare diam. mm 5 sospetto per metastasi. Terapia con Decapeptyl.
Parere ausiliario radiologo:
La valutazione delle immagini prodotte non documenta errori interpretativi da
parte del radiologo refertatore delle immagini acquisite ai diversi controlli. Va
segnalato un comportamento inadeguato nella mancata esecuzione di un esame
ecografico contestuale alla mammografia e successivamente nella scelta della
semplice agobiopsia rispetto a quella di un prelievo istologico.
La responsabilità del chirurgo
220
Parere ausiliario Anatomopatologo:
Agoaspirato 1: le diagnosi più “proponibili” erano:
C1: inadeguato per eccessiva scarsità del materiale citologico e ripetizione del
prelievo (cito o istologico) per approfondimento diagnostico. È ragionevolmente la diagnosi più corretta. C3 in materiale scarso: ma con consiglio alla ripetizione del prelievo (cito o istologico) per approfondimento diagnostico.
Agoaspirato 2: Diagnosi: C5 maligno. In questo caso non si possono avanzare
dubbi riguardo alla grave atipia citologica, praticamente certa per malignità.
Agobiopsie: si concorda con la diagnosi formulata di carcinoma duttale infiltrante e con la valutazione dei fattori prognostici/predittivi.
Esame istologico sul pezzo operatorio (mastectomia): si concorda la diagnosi
formulata. Biopsia a cuneo ascella sinistra: infiltrazione di tessuto fibro-adiposo
da parte di carcinoma infiltrante di tipo duttale. Si concorda con la diagnosi.
Considerazioni del CTU:
La diagnosi radiologica di neoplasia mammaria, a parte i casi con aspetto del
tutto caratteristico, origina dal dubbio e dal sospetto che scaturisce da segni anche minimi, per i quali solo una definizione istologica certa è dirimente.
Le tecniche di indagine raggiungono, in mani esperte, valori di sensibilità prossimi all’85%.198 Per le neoplasie mammarie senza metastasi il tasso di guarigione
ottenibile è compreso tra il 75% ed oltre il 90%. Le pazienti con diagnosi precoce
di neoplasia di piccole dimensioni e senza metastasi ascellari presentano una
sopravvivenza a 5 anni superiore al 95%. In presenza di metastasi linfonodali il
tasso di sopravvivenza scende al 50-70% a 5 anni e al 25-40% a 10 anni.199,200,201
Nel caso in oggetto, al momento dell’intervento chirurgico, lo stadio TNM era
IIB (T2 N1 M0), ovvero tumore di dimensioni comprese tra 2 e 5 cm, presenza
di metastasi ai linfonodi ascellari omolaterali. A tale stadio, la sopravvivenza a 5
anni è del 50%, a 10 anni del 40%202.
Invece allo stadio 1 (T1 N0 M0), ovvero tumore di dimensioni inferiori a 2 cm,
senza metastasi ascellari né a distanza, la sopravvivenza a 5 anni è dell’85%, a
10 anni del 70%203.
198 Linea Guida Nazionale della F.O.N.C.A.M, Forza Operativa Nazionale sul carcinoma
Mammario, 2005.
199 Giugliano AE: Breast disorders. In: Doherty GM: Surgery. Current Diagnosis and Treatment, 301, 2010 .
200 Stuart K: Life after breast cancer. Aust Fam Physician 35:219, 2006.
201 Hayes DF: Prognostic and predictive factors for breast cancer: translating technology to
oncology. J Clin Oncol 23:1596, 2005.
202 Giugliano AE, Op cit.
203 Giugliano AE, Op cit.
Casi peritali simulati e commentati
221
Al momento attuale nel caso in oggetto non sono presenti segni di ripresa di
malattia o di metastasi a distanza del carcinoma mammario. Naturalmente tali
evenienze possono occorrere nel futuro: dall’intervento chirurgico sono trascorsi quasi 6 anni, e come detto, la sopravvivenza a distanza complessiva a 10 anni
stimabile in tale stadio è del 25-40%.
Facendo riferimento in particolare alla relazione dell’ausiliario radiologo, si può
affermare che nel primo controllo eco e mammografico una intensa radiopacità
mammografica non consentiva di evidenziare immagini mammografiche francamente sospette, mentre l’ecografia evidenziava un nodulo non osservato in
precedenza ponendo corretta indicazione all’esame citologico.
Tuttavia, come affermato dall’ausiliario patologo, la diagnosi più corretta poteva essere quella di materiale troppo scarso e quindi inadeguato “C1”, pur senza
considerare pregiudizialmente scorretta anche una diagnosi “C3”, purché, sia
nell’uno che nell’altro caso, anche e soprattutto in relazione al reperto microscopico di “atipie” non rassicuranti, si procedesse obbligatoriamente ad ulteriori
approfondimenti diagnostici, o con la ripetizione dell’agoaspirato o, ancor meglio, con agobiopsia (es. istologico) o biopsia escissionale, metodiche dotate di
maggiore sensibilità e specificità, anche in considerazione della possibilità di
essere di fronte ad un nodulo “nuovo” in una paziente di 44 anni con precedenti
esami negativi e quindi con alta probabilità una lesione non benigna.
Pur avendo quindi fin qui il radiologo operato scelte corrette, a questo punto la
paziente doveva essere riferita al chirurgo affinché questi procedesse ad attuare
le sopraddette procedure allo scopo di ottenere una diagnosi certa e definitiva,
o comunque, di concerto con il patologo che aveva osservato l’inadeguatezza o
l’incertezza diagnostica dell’esiguo campione esito dell’agoaspirato, si sarebbe dovuta comunque ripetere la procedura già effettuata (agoaspirato per citologia).
Stupisce che la gestione di tali pazienti sia gestita dal solo medico radiologo,
quando questa dovrebbe essere multidisciplinare, coinvolgendo anche chirurgo,
patologo ed oncologo.
Nella storia della de cuius queste figure professionali sono a quella data ed in
quella circostanza assenti, e non è comprensibile come il solo radiologo che esegue mammografia di screening ed ecografia mammaria possa gestire autonomamente tutti gli aspetti multidisciplinari necessari, compresi quelli organizzativi, a meno di aver preventivamente posto in essere un collaudato processo di
rapporti consequenziali ed automatici a cui avviare la paziente per l’esecuzione
delle varie fasi della diagnostica e del trattamento.
Sempre il radiologo, nel refertare un esame mammografico peraltro immodificato rispetto al controllo di 7 mesi prima, concludeva con un consiglio ad “eventuale” valutazione istologica mediante exeresi della lesione sospetta, destinato
a cadere nel nulla: né la paziente (peraltro non indirizzata) né soprattutto alcun
medico prendevano fattivamente decisioni da ritenersi utili al caso.
È poi necessario ricordare che la paziente, interrogata in corso di CTU, ha affermato
che dopo i primi eventi è trascorso lungo tempo (un anno e mezzo) per effettuare
nuovi controlli per la difficoltà di ottenere appuntamenti presso l’Ospedale di Alfa.
222
La responsabilità del chirurgo
In quella circostanza l’approfondimento istologico, chirurgico o mediante agobiopsia, con riscontri istopatologici certi per natura ed eventuale infiltrazione
della lesione, era da ritenersi mandatorio nell’immediato.
In definitiva profili certi di inadeguatezza dell’azione del radiologo, relativamente a quelle che sono le sue strette competenze (esecuzione e lettura di
mammografie ed ecografie), non sembrano affiorare, mentre è completamente
assente in quella circostanza l’azione sinergica di competenze mediche atte,
istituzionalmente, ad occuparsi di tale tipo di patologia e che egli, come primo medico che incontrava la paziente, avrebbe dovuto razionalmente e prudenzialmente avviare. Nel caso di specie, a causa della mancata collaborazione
tra radiologo, clinico e patologo nella gestione di un caso con caratteri dubbi, è
venuta meno la correttezza del procedimento, con conseguente ritardo diagnostico, progressione della malattia e danno inequivocabile alla salute e alle aspettative di guarigione e di vita della paziente.
Riguardo al danno da ritardato intervento, è da premettere che una quantificazione che si basa su una “presumibile” stadiazione neoplastica deve necessariamente tenere conto non solo dei dati oggettivi ma anche di quelli statistici.
Ciò premesso, si può ragionevolmente sostenere che, al momento della prima
diagnosi “oggetto di contestazione”, la neoformazione mammaria avesse già caratteri di malignità e che, in considerazione della negatività del cavo ascellare
all’esame mammografico e, vi è da ritenere, alla valutazione clinica, non vi fossero ancora metastasi linfonodali, o che, al massimo, potesse esservi una diffusione micro metastatica, il che non avrebbe modificato sostanzialmente la prognosi
e la necessità di doversi procedere a svuotamento del cavo ascellare stesso.
In sostanza, la tipologia di intervento chirurgico preventivabile avrebbe avuto
maggiori possibilità di essere a carattere conservativo, cioè una quadrantectomia + linfonodo sentinella; o, in alternativa e sulla base dell’esito degli esami
istologici e della valutazione dei margini di resezione, una mastectomia “nipple
sparing” + linfonodo sentinella ed eventuale radioterapia in sede mammaria.
Riguardo alla terapia post-operatoria, atteso che lo stato dei marcatori biologici
sarebbe stato non troppo dissimile rispetto a quello rilevato successivamente
(es.: HER2/neu negativo), una eventuale chemioterapia non avrebbe differito da
quella poi effettivamente attuata, mentre la radioterapia (salvo limitate applicazioni locali in caso di quadrantectomia) non sarebbe stata probabilmente necessaria. A riprova di ciò si riporta il fatto che i cicli di radioterapia a cui la paziente
si è sottoposta a distanza dall’intervento di mastectomia hanno riguardato solo
la regione ascellare e quella sovraclaveare omolaterale.
Sulla base delle statistiche mediate dalla letteratura, unitamente alla certificata
sussistenza di un danno psichico acquisito inquadrabile come “disturbo dell’adattamento” da ritardo diagnostico comportante terapie necessariamente più
demolitive e complesse, si concorda con la valutazione di parte attrice secondo
la quale esiste un ben preciso nesso di causalità tra i fatti sopra riportati ed il
danno biologico derivatone è quantificato nella misura del 16-18%.
Con ciò si ricomprendono i danni fisici, quelli della vita di relazione e psichici.
Casi peritali simulati e commentati
223
Sintesi:
Trattasi di un caso, assai frequente, di ritardo diagnostico del carcinoma mammario, qui legato non tanto a dei difetti nell’esecuzione degli esami diagnostici
quanto nella organizzazione della sequenza diagnostica integrata tra specialisti
nell’ambito della stessa struttura ospedaliera. Il CTU qui riconosce un danno
biologico permanente piuttosto che, come spesso avviene per i “casi aperti”, una
perdita di chances.
Caso 35
Falso negativo in corso di screening mammografico:
assenza di danno
Consulenza tecnica d’Ufficio (ATP):
CTU un chirurgo, un anatomopatologo.
Vicenda clinica:
Donna di anni 61.
Mammografia bilaterale presso Ospedale Alfa: mammelle a struttura adiposa.
Non si evidenziano lesioni a carattere infiltrativo o microcalcificazioni patologiche.
Dopo 1 anno:
Screening mammografico presso Ospedale Beta: negativo.
Dopo 1 anno:
Mammografia bilaterale presso Ospedale Beta: minimo aumento dimensionale
del nodulo al QSE sinistro (mm.6), consigliato agoaspirato per citologia.
Esegue agobiopsia: carcinoma infiltrante con desmodisplasia e calcificazioni.
Ricovero presso Ospedale Gamma,
Intervento di quadrantectomia SE radioguidata e sampling linfonodale I livello
ascellare.
Diagnosi istologica: carcinoma duttale infiltrante diam mm 15 NAS, con microcalcificazioni. Stadiazione istopatologica: pT1cN0. A seguire terapia con Tamoxifene per due anni seguita da inibitore dell’aromatasi per tre anni. Radioterapia complementare sulla mammella sinistra.
Immediatamente dopo:
Regione Omissis-Accertamento dell’Handicap, Distretto Socio-Sanitario di Omissis:
Diagnosi: esiti di quadrantectomia per ca infiltrante mammella sinistra. Tono
dell’umore deflesso. Il richiedente è riconosciuto: invalidità totale e permanente
100%. Da rivedere tra 2 anni.
224
La responsabilità del chirurgo
Dopo 1 anno:
Visita psichiatrica presso Ospedale Beta: in passato quadro depressivo e trattamento con sertralina; dopo la diagnosi di carcinoma mammario, da lei ritenuta
colpevolmente tardiva, ricomparsa di sintomi quali insonnia tardiva, astenia e
disturbi digestivi, per cui ha dovuto aumentare il dosaggio della sertralina.
Considerazioni preliminari di parte attrice:
È evidente che l’ultimo reperto relativo alla presenza di un nodulo era visibile già nel precedente esame, che non era definibile quindi come negativo (cioè
assolutamente normale). Per contro venne data una risposta tranquillizzante:
si trattava di un esame comunque di non univoca interpretazione che avrebbe
dovuto indurre i sanitari ad approfondire il quadro. E questo, qualora eseguito,
avrebbe condotto ad una anticipazione diagnostica di circa 1 anno.
Considerazioni preliminari di parte convenuta:
Lo screening mammografico ha consentito di evidenziare un quadro che non
poteva che essere riportato come negativo attese le sue caratteristiche iconografiche. Lo stadio e le caratteristiche biologiche del tumore che fu successivamente
asportato consentono di affermare che anche qualora l’intervento eseguito fosse stato anticipato di un anno, nulla sarebbe cambiato in termini di invasività/
estensione dell’atto chirurgico e delle chance di sopravvivenza.
Considerazioni dei CTU:
Relativamente alla I mammografia di screening: a sinistra due opacità diam mm 5
e mm 4, a contorni in parte netti e in parte sfumati. La seconda non appare visibile
nella proiezione obliqua: potrebbe infatti trattarsi di immagini di composizione da
sovrapposizione di strutture non patologiche.
Relativamente alla mammografia eseguita prima dell’intervento si riconosce una
opacità rotondeggiante di circa 5 mm di diametro. La seconda opacità riscontrabile
nella proiezione cranio-caudale della mammografia del gennaio successivo non viene documentata in nessuna delle due proiezioni.
Relativamente alla conduzione dello screening mammografico si osserva quanto segue: i due radiologi lettori della mammografia di screening hanno unanimemente
deciso di non procedere al richiamo della paziente, a loro giudizio non sussistendo
elementi sufficienti a porre il dubbio di neoplasia.
Lo screening deve necessariamente contenere il numero dei richiami (limite massimo del 5%) che devono essere riservati ai casi francamente sospetti per patologia
neoplastica. Il radiologo, nel corso dello screening mammografico, è chiamato a fornire l’orientamento diagnostico con le sole 4 proiezioni mammografiche, senza altri
ausili clinici o strumentali.
Questo aspetto può incidere sulla individuazione ed anche sulla caratterizzazione
dei reperti, conferendo, come noto, alla mammografia di screening, una sensibilità
inferiore a quella condotta con criteri di tipo clinico.
Casi peritali simulati e commentati
225
In ogni caso non si ritiene vi fossero criteri radiologici di reale sospetto di malignità,
e non emergevano elementi sufficienti, anche per i motivi sopra riportati, per decidere per il richiamo della paziente.
La progressione dimensionale del reperto è stata molto modesta e non ha modificato l’orientamento radiologico che, sulla base delle dimensioni, è rimasto quello di
un micro-cancro.
Al momento del trattamento chirurgico, la diagnosi era di carcinoma duttale infiltrante, stadiazione pT1cN0. Il trattamento chirurgico è stato correttamente eseguito, così come adeguate sono state le terapie successivamente praticate (radioterapia
complementare ed ormonoterapia).
Lo stadio di malattia, al momento della diagnosi e del tempestivo trattamento, è da
considerarsi precoce, tale da far prevedere, con alta probabilità, la guarigione della
paziente. Non è quindi da ipotizzare un salto di stadio della malattia od un suo
peggioramento legato ad un possibile ritardo diagnostico poiché al momento della
diagnosi la malattia si trovava comunque in uno stadio iniziale.204,205,206,207,208
Sintesi:
Gli elementi fondamentali che si ricavano dallo studio di questo caso sono sostanzialmente due. Il primo riguarda le caratteristiche della mammografia di
screening, eseguita comunque con criteri di relativo “risparmio” economico, che
condiziona un tasso significativo, e accettato, di falsi negativi. Il secondo è che
anche ammettendo un possibile errore di lettura della mammografia (e qui non
lo si ammette), il ritardo nel trattamento per un tumore che resta allo stadio
iniziale non condiziona né salto di stadio, né perdita di chances e quindi, in conclusione, l’esistenza di un danno permanente viene negata.
204 (Sharma M: Breast Cancer. In: Abraham J: The Bethesda Handbook of Clinical Oncology.
155, Wolters Kluwer, 2010.
205 Morrow M: Malignant tumors of the breast. In: De Vita: Cancer, 1117, Wolters Kluwer
2015.
206 Berry DA: Effect of screening and adjuvant therapy on mortality from breast cancer. N
Engl J Med 353:1784, 2005.
207 Boyd NF: Mammographic density and the risk and detection of breast cancer. N Engl J
Med 356:227, 2007.
208 Arvold ND: Age, breast cancer subtype approximation, and local recurrence after
breast-conserving therapy. J Clin Oncol 29:3885, 2011.
La responsabilità del chirurgo
226
2.8 Chirurgia vascolare
Caso 36
Aneurisma dell’aorta addominale rotto in attesa di
trasferimento, exitus
Consulenza Tecnica d’Ufficio (ATP):
un medico legale, un chirurgo vascolare
Vicenda clinica:
Maschio di anni 70, giungeva con ambulanza 118 al Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa. Priorità Triage: verde: Urgenza differibile (forma morbosa lieve). Parametri emodinamici nella norma. Sat O2 93%. Riferito dolore addominale da
ieri sera, trattato da guardia medica con Buscopan. Riferisce alvo chiuso anche
ai gas. Addome dolente alla palpazione. Pregresso IMA.
Ore 9:
Anamnesi: dolore addominale da ieri sera ai quadranti inferiori, inviato dal
curante per coliche addominali con alvo chiuso a feci e gas. In terapia con cardio-ASA, e antipertensivo e anticolesterolo, IMA 15 anni orsono.
Esame obiettivo: sveglio eupnoico buon eloquio, no segni di lato, no segni meningei, polsi ai 4 arti, addome trattabile e dolente in regione periombelicale,
Blumberg neg.
Esami ematochimici nella norma, tranne Ht 50%.
Praticati Zantac 1fl e.v+ Plasil 1 fl e.v.+Ketorolac 1fl e.v.
Ad orario imprecisato:
Consulenza gastroenterologica:… peso corporeo stabile. Alvo regolare fino a
ieri quando è comparsa addominalgia ai quadranti inferiori e vomito schiumoso. Esami ematici nella norma.
Rx addome: non LIA né aria libera, coprostasi. Attualmente ancora addominalgie con alvo chiuso a feci e gas, non più vomito.
EO: addome globoso trattabile dolenzia diffusa senza difesa né peritonismo, peristalsi valida.
ER: scarsa quantità di feci normocromiche in ampolla. Attualmente ancora addominalgie con alvo chiuso a feci e gas. A completamento utile esecuzione TAC addome
con mdc. Se negativa dimissibile in terapia antispastica e lassativa.
Ore ~15:
Casi peritali simulati e commentati
227
TAC addome completo con e senza contrasto:
Quesito diagnostico: occlusione intestinale. Dilatazione aneurismatica sacciforme dell’aorta addominale nel tratto sottorenale con diametro massimo di 8 cm
ed estensione in senso c-c per almeno ~15cm, con presenza di grossolana apposizione trombotica parietale eccentrica sul versante sinistro.
La dilatazione aneurismatica mostra un colletto di circa 4 cm nel confronto
dell’arteria renale destra e coinvolge il carrefour con ectasia di entrambe le arterie
iliache comuni (diametro massimo ~30 mm a destra e ~20 mm a sinistra).
Regolari il calibro e la pervietà dei principali vasi splancnici arteriosi, delle arterie ipogastriche, delle arterie iliache esterne e delle arterie femorali comuni. A
livello dell’emergenza del tripode celiaco, dell’arteria mesenterica superiore di
entrambe le arterie renali sono presenti placche ateromasiche calcifiche.
L’arteria mesenterica inferiore, regolarmente pervia, origina dalla sacca aneurismatica. A livello del passaggio discendente-sigma sono presenti alcune
estroflessioni diverticolari, senza segni di periviscerite.
Non si apprezzano patologici livelli idroaerei in quadro di coprostasi colica.
Non sovradistensione delle anse intestinali. Non immagini da riferire ad aria
libera endoaddominale. Cavità peritoneale libera da versamento.
Ore ~16:30
Contattato chirurgo vascolare Ospedale Beta, programmato ricovero domattina.
Ore ~22:30
Durante l’attesa in P.S. malore con perdita di coscienza, non rilevabile il polso
periferico. Si pratica MCE con ripresa del ritmo e della coscienza, pur con confusione mentale e stato di agitazione persistente.
Ore ~22:30: incosciente.
Ore ~23
Consulenza cardiologica: in corso MCE, già intubato, assenza di polso. All’ecocardiogramma assenza di attività meccanica spontanea, non versamento pericardico.
Ore ~23
Ripresa di polso, all’ecocardiogramma ripresa di attività meccanica. Il paziente
viene accompagnato in TAC per controllo TC encefalo, aorta toraco-addominale.
Ore ~23:30
TAC del capo, torace e addome con e senza mdc: studio aorta addominale: massivo spandimento fluido-ematico di pertinenza del margine anteriore della nota
sacca aneurismatica, che si estende caudalmente alla sede ipogastrica.
Al rientro in P.S.
Nuovo ACC alle ore 23,30:
228
La responsabilità del chirurgo
ACLS sec protocollo. Cristalloidi 1500 ml.
Manovre rianimatorie inefficaci: si interrompono le manovre alle ore 23,45.
Ore ~23:45 decesso.
Esito: deceduto in P.S.
Diagnosi: arresto CR in aneurisma aorta sottorenale.
Considerazioni di parte ricorrente:
Il paziente è deceduto in Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa per shock emorragico da rottura di grosso aneurisma dell’aorta sottorenale, sintomatico all’ingresso e quindi rottosi in Pronto Soccorso, mentre attendeva il trasferimento presso
il Reparto di Chirurgia Vascolare dell’Ospedale Beta, programmato per il giorno
seguente (a 24 ore dalla diagnosi), a seguito di completa inosservanza delle linee
guida,209,210 nonché delle norme consolidate di buona pratica medica per il trattamento degli aneurismi dell’aorta addominale.
All’ingresso in Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa la sintomatologia dolorosa
addominale, che datava da oltre 12 ore, non responsiva alla somministrazione di antispastici e FANS, veniva frettolosamente e sommariamente attribuita
ad occlusione intestinale, con Rx addome ed esami ematochimici normali, ed
eseguiva una consulenza gastroenterologica che prescriveva l’esecuzione di una
TAC addome. I parametri emodinamici non venivano mai rilevati, eccetto che al
momento dell’ingresso (PA 120/80), in paziente iperteso e con pregresso IMA.
Non veniva posizionato un grosso ago per infusioni né catetere PVC per il monitoraggio della pressione venosa centrale dopo l’esecuzione della TAC che evidenziava la presenza di aneurisma del diametro di quasi 8 cm, in paziente sintomatico e quindi in fase di possibile rottura dell’aneurisma; la diuresi non veniva
controllata né monitorata; non si posizionava catetere vescicale; non si eseguiva
un ECG (pregresso IMA); non si eseguiva un’emogasanalisi; non si richiedevano
unità di sangue e plasma a disposizione; imprudentemente e negligentemente si
programmava il trasferimento in altro ospedale a 24 ore di distanza.
Nel frattempo, parametri vitali e temperatura non venivano rilevati. Nessuna
notizia circa la diuresi. Il paziente è entrato in Pronto Soccorso portatore di un
aneurisma dell’aorta addominale sintomatico, con sintomi riferibili alla sua presenza, e non attribuibili, se non erroneamente, ad altre patologie.
La presenza di sintomi è espressione di aumentato rischio di rottura, e, quando
le condizioni generali sono permittenti, il paziente deve essere tempestivamente
209 Pratesi C et Alii: Linee Guida SIGVE Società Italiana Chirurgia Vascolare ed Endovascolare, Italian J Vasc Endovasc Surg, , 2, 2016.
210 Chaikof EL: The care of patients with abdominal aortic aneurysm: the Society of Vascular
Surgery practice Guidelines. J Vasc Surg 50: S2, 2009.
Casi peritali simulati e commentati
229
avviato al trattamento (endovascolare o chirurgico aperto) 211.
Tra il 5 e il 22% degli aneurismi sono sintomatici: in assenza di evidente rottura il
dolore indica una rapida espansione dell’aneurisma a causare compressione delle
strutture adiacenti, ed in questi casi le linee guida delle principali Società Scientifiche Internazionali concordano sulla necessità di un trattamento urgente.212,213,214
Il rischio di rottura di un aneurisma è strettamente correlato alle sue dimensioni.215,216
La storia naturale della malattia prevede che tutti gli aneurismi non trattati vadano nel tempo incontro a rottura, e se questo non avviene è solo perché nel
frattempo il soggetto decede per altri motivi (e l’ecografia addominale è il metodo diagnostico più semplice e rapido per la sua diagnosi, anche in urgenza,
laddove la TAC con mdc meglio definisce i rapporti anatomici dell’aneurisma ed
i dettagli inerenti all’eventuale rottura.217,218,219,220,221,222)
È opportuno ricordare che la rottura dell’aneurisma dell’aorta addominale sottorenale è quasi sempre preceduta dalla fissurazione, ovvero dalla progressiva
dissecazione del trombo endoaneurismatico.
Il sangue, procedendo nel contesto del trombo stesso, raggiunge dopo un tempo
variabile (ore o giorni) la parete del vaso, determinando la comparsa dei primi
sintomi. Alla vera e propria rottura il sangue si raccoglie nel retroperitoneo, con
211 Jeffrey J: Management of symptomatic (non ruptured) aortic aneurysm. UpToDate Feb 2019.
212 Chaikof EL, Op Cit; Sullivan CA: Clinical management of the symptomatic but unruptured abdominal aortic aneurysm. J Vasc Surg 11:799, 1990.
213 Nevala T: Outcome of symptomatic, unruptured abdominal aortic aneurysms after endovascular repair with the Zenith stent-graft system. Scand Cardiovasc J 42:178, 2008.
214 Antonello M: Glasgow aneurysm score predicts the outcome after emergency open repair of symptomatic, unruptured abdominal aortic aneurysms. Eur J Vasc Endovasc Surg
33:272, 2007.
215 Brewster DC: Guidelines for the treatment of abdominal aortic aneurysms. Report of a
Subcommittee of the Joint Council of the American Association for Vascular Surgery and
Society for Vascular Surgery. J Vasc Surg 37:1106, 2003.
216 Law MR: Screening for abdominal aortic aneurysms. J Med Screening 1:110, 1994.
217 Vega de Ceniga M: Ultrasonography in evaluation of abdominal aortic Aneurysms. In:
Stanley JC: Theraphy in Vascular and Endovascular Surgery., 221, Elsevier 2014.
218 Gavinelli M: Ultrasonic assessment of the diameter of abdominal aorta in elderly patients. Int. J. Surg. Sciences, Vol. 3, Suppl. 1, 80, 1996.
219 Gavinelli M: Studio morfometrico ecografico degli aneurismi dell'aorta addominale.
Giornale Italiano di Ultrasonologia, 3, 172, 1990.
220 Gavinelli M: Ultrasound diagnosis of ruptures and dissecations of abdominal aortic aneurysms. J. Emergency Surgery and Intensive Care, 14: 227, 1991.
221 Greenberg RK: Computed tomography and computed tomographic arteriography in the
evaluation of abdominal aortic aneurysms. In: Stanley JC, Op cit, 228, 2014.
222 Fillinger MF: Anatomic characteristics of ruptured abdominal aortic aneurysms on conventional CT scans: implications for rupture risks. J Vasc Surg 39:1243,2004.
230
La responsabilità del chirurgo
la formazione di un ematoma che solo successivamente, se non si interviene, si
rompe in cavità peritoneale.
Nella fase dell’ematoma contenuto, il paziente mantiene in genere un equilibrio
emodinamico accettabile in presenza di una sintomatologia dolorosa anche sfumata. Ma se la situazione non viene riconosciuta nella fase dell’ematoma contenuto segue inevitabilmente quella dell’emoperitoneo massivo da rottura del foglietto
peritoneale posteriore, che comporta quasi sempre il decesso del paziente223.
Se, da un lato, la morte è da ritenersi come certa in assenza di trattamento di
rottura di aneurisma dell’aorta addominale, un corretto approccio diagnostico e
terapeutico possono garantire un’elevata percentuale di sopravvivenza224.
Al tradizionale trattamento chirurgico aperto, laparotomico, di sostituzione aortica si è aggiunto, negli ultimi 15 anni, il trattamento endovascolare (EVAR) che è
attualmente applicato fino al 70% dei casi.
Entrambe le modalità di trattamento sono realizzabili sia in fase di elezione che di
urgenza (aneurismi in rottura o rotti).
La mortalità a 30 giorni dei pazienti con aneurisma dell’aorta addominale operato in elezione è del 3-4%; meno dell’1% nei pazienti trattati con EVAR.225,226,227,228
La mortalità dei pazienti operati per via aperta per aneurisma in rottura o rotto
è storicamente maggiore, ma in nettissima riduzione nel corso del tempo, variando dal 70% dei primi anni settanta al 32% degli anni ottanta al 16% in alcune
casistiche dei primi anni novanta.229,230
Attualmente sono disponibili i dati di mortalità in vaste casistiche dei pazienti con
aneurisma dell’aorta addominale rotto, che si attestano attorno al 20% nei trattati
con metodica endovascolare e variano dal 30 al 45% nei sottoposti ad intervento
223 Gavinelli M: Chirurgia d’Urgenza: Patologia vascolare acuta. In: Medicina d’Urgenza,
594, UTET 2000.
224 De Bruin JL: Long-term outcome of open or endovascular repair of abdominal aortic
aneurysm. N Engl J Med 362:1881, 2010.
225 Lederle FA: Outcomes following endovascular vs open repair of abdominal aortic aneurysm: a randomized trial. Jama 302:1535, 2009.
226 Millon A: Results of open surgery for infrarenal abdominal aortic aneurysms. In Brancherau A, Jacobs A Eds: Open Surgery versus endovascular procedures. 149, Oxford 2007.
227 Greenhalgh RM: Endovascular versus open repair of abdominal aortic aneurysm (EVAR
Trial 1): randomized controlled trial. N Engl J Med 362:1863, 2010.
228 Giles KA: Decrease in total aneurysm-related deaths in the era of endovascular aneurysm repair. J Vasc Surg 49:543, 2009.
229 Ruberti U: Nineteen year experience on the treatment of aneurysms of the abdominal
aorta: a survey of 832 consecutive cases.J Cardiovasc Surg 26, 1985.
230 Ruberti U: La rottura degli aneurismi dell’aorta addominale. In: Di Carlo V, Andreoni
B, Staudacher C: Manuale di Chirurgia d’Urgenza e Terapia Intensiva Chirurgica, 1007,
Masson 1993.
Casi peritali simulati e commentati
231
aperto.231,232,233,234,235,236,237,238. Nel caso in oggetto è possibile affermare che al momento del ricovero in Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa fosse già in corso una
dissecazione aortica (presenza di dolore) ma l’aneurisma non fosse ancora rotto
(stabilità emodinamica) e che dunque egli avrebbe avuto grandi probabilità di
sopravvivenza a seguito di un trattamento tempestivo, conforme alle linee guida.
In questo momento una riparazione endovascolare effettuata in urgenza avrebbe avuto una percentuale di sopravvivenza di almeno l’80% (e comunque di
molto superiore al 50% secondo il criterio del “più probabile che non”).
Invece il paziente, in conseguenza di gravissima, negligente sottovalutazione,
restava nei locali del Pronto Soccorso per 13 ore non monitorato né osservato
né curato, fino all’arresto cardiocircolatorio da rottura dell’aneurisma, piuttosto
che essere immediatamente ricoverato in Chirurgia Vascolare (se necessario mediante trasferimento ad altro Ospedale).
Né è credibile che l’emorragia mortale conseguente alla rottura aneurismatica
si sia, per i motivi sopra riportati relativi al suo determinismo, verificata subitaneamente condizionando l’arresto cardiaco: ma i gravi sintomi prodromici
certamente presenti prima del suo cataclismatico manifestarsi (distensione dello
spazio retroperitoneale da parte dell’ematoma; distensione, irritazione e rottura
del peritoneo posteriore), della durata di alcune ore, non sono stati né osservati
né riconosciuti né registrati dal personale medico ed infermieristico di turno in
Pronto Soccorso nel corso di tutta la giornata.
Il mancato immediato trasferimento del paziente, portatore di voluminoso
aneurisma sintomatico dell’aorta addominale non appena eseguita, seppure in
ritardo, la prima TAC addominale, in nosocomio dotato di Chirurgia Vascolare
(meglio se con esperienza di chirurgia endovascolare) configura imperizia ed
imprudenza; il mancato monitoraggio e la mancata preparazione all’intervento
231 (Sreinivasan A: Premorbid function, comorbidity and frailty predict outcomes after ruptured abdominal aortic aneurysm repair. J Vasc Surg 63:603, 2016.
232 Giles KA: Risk prediction for perioperative mortality of endovascular vs open repair of
abdominal aortic aneurysms using the Medicare population. J Vasc Surg 50:256, 2009.
233 Veith FJ: Endovascular treatment of ruptured infrarenal aortic aneurisms.In Stanley JC,
op Cit, 249.
234 Coppi G: A single-centre experience in open and endovascular treatment of hemodinamically unstable and stable patients with ruptured abdominal aortic aneurysms. J Vasc Surg
44:1140, 2006.
235 Giles KA: Population-based outcomes following endovascular and open repair of ruptured abdominal aortic aneurysms. J Endovasc Ther 16:554, 2009.
236 Moore R: Improved survival after introduction of an emergency endovascular therapy
protocol for ruptured abdominal aortic aneurysms. J Vasc Surg 45:443, 2007.
237 Belkin Ruptured abdominal aortic aneurysm. In: Baker RJ Ed: Mastery of Surgery,2072,
Lippincott 2001.
238 McPhee JT: Open surgical treatment of ruptured infrarenal aortic aneurysms. In: Stanley
JC, Op cit, 285.
232
La responsabilità del chirurgo
chirurgico d’urgenza configurano negligenza ed imperizia; il mancato trattamento chirurgico della stessa, con intento salvavita configura imperizia e negligenza, cagionando il decesso del de cuius in una chiara situazione di abbandono
per molte ore (imprudenza, negligenza ed imperizia) per una patologia benigna
(aneurisma aortico sintomatico, non rotto, all’ingresso) quando un corretto e
tempestivo approccio diagnostico, nonché terapeutico, avrebbe potuto salvare
la vita del paziente assicurandogli la guarigione con alta probabilità, e questo
certamente secondo il criterio del “più probabile che non”. Ai sanitari che lo
ebbero in cura va ascritta la responsabilità del decesso del paziente, oltre che di
un inescusabile, per ulteriore negligenza, difetto di tenuta della cartella clinica.
Considerazioni di parte convenuta:
In ragione della sintomatologia e della diagnosi di accesso alla struttura i medici
del P.S hanno effettuato, con tempistica regolare, i relativi esami di approfondimento, che ha condotto alla diagnosi. E’stato quindi disposto il trasferimento al
l’Ospedale Beta, dotato di chirurgia vascolare.
Il quadro clinico si è però repentinamente aggravato, con successivo decesso. Si fa
osservare come non sia ravvisabile nessuna responsabilità in relazione ai trattamenti sanitari fruiti dal defunto, e come la pretesa dei ricorrenti sia del tutto infondata.
Considerazione dei CTU:
All’arrivo in Pronto Soccorso la sintomatologia veniva erroneamente inquadrata. La valutazione clinica, gli esami di laboratorio e radiologici escludevano la
presenza di una occlusione intestinale.
Alle ore 15,00 veniva posta diagnosi di AAA si poneva indicazione a trasferimento all’Ospedale Beta per la mattina successiva.
Nelle ore successive i sanitari non visitano più il paziente, non indagano la persistenza o meno del dolore addominale, non registrano i parametri vitali, non
controllano la diuresi, non eseguono un ECG con atteggiamento omissivo in
violazione della buona pratica clinica.
La presenza di AAA di grosse dimensioni, con sintomatologia dolorosa addominale persistente, in assenza di altre patologie concomitanti in grado di determinare la sintomatologia, rappresenta una urgenza chirurgica che richiede una
pronta preparazione ed ottimizzazione del paziente.
Se dopo la TAC eseguita alle ore 23,20 e dopo due ACC sarebbe stato impossibile
eseguire un intervento salvavita in emergenza, è altrettanto vero che l’indicazione
chirurgica urgente era indiscutibile in base ai riscontri della TAC delle ore 15,00.
Con relativa certezza infatti tale intervento avrebbe potuto evitare l’evento morte. È possibile affermare che non è stata posta dai sanitari sufficiente attenzione
all’anamnesi, ai fattori di rischio, alla sintomatologia lamentata e al momento di
insorgenza della stessa, agli esami di laboratorio e radiologici, ed alla clinica, con
conseguente errato inquadramento diagnostico-terapeutico.
Casi peritali simulati e commentati
233
Conclusione:
Corresponsione agli eredi di circa di euro 480.000.
Sintesi:
Superficiale ed imprudente gestione di AAA da parte dei medici del Pronto Soccorso, lezione su come non sia opportuno tenere un paziente con una bomba inesplosa in luogo inidoneo, dove a priori si decide che non si possa fare nulla (ma
quanti chirurghi generali sono perfettamente in grado di eseguire, se necessario,
un intervento di aneurismectomia!).
Inoltre, anche il chirurgo vascolare dell’Ospedale Beta, al telefono, avrebbe dovuto consigliare, dopo la prima TAC, un trasferimento immediato.
Caso 37
Dissezione aorta ascendente in PS, exitus
Consulenza Tecnica d’Ufficio (ATP):
un medico legale, un cardiologo.
Vicenda clinica:
Maschio di circa 50 anni. Ore 7 giunge con ambulanza 118 in Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa. In trattamento con Nebivololo per tachicardia. Questa mattina dopo
alzato dolore toracico. Paziente cosciente vigile. Obiettività negativa. PA 70/40. FC
70. Ipotensione acuta su verosimile base iatrogena. Priorità: codice verde.
Ore 7,30:
ECG: Ritmo sinusale. Segni di ipertrofia ventricolare sinistra.
Anamnesi: questa mattina in bagno ha accusato dolore epigastrico riferito come
senso di peso associato a scotomi e sensazione di svenimento, si sdraiava a terra
con gli arti inferiori sollevati con conseguente remissione della sintomatologia
dolorosa. Paziente iperteso, ex fumatore, in trattamento con nebivololo 5 mg per
os, assunto anche questa mattina.
Esame obiettivo: attività cardiaca ritmica, soffio sistolico, rinforzo del II tono.
Non edemi declivi, polsi radiali isosfigmici. MVF su tutto l’ambito polmonare. Assenza di dolore addominale alla palpazione superficiale e profonda. PA
100/55. Prognosi 10 gg s.c. Esami ematochimici nella norma.
Ore 9:
Richiesta visita cardiologica. Priorità: media. Quesito clinico: dolore toracico.
Ore 11,30:
Visita cardiologica, E.O: persiste lieve fastidio epigastrico. Attività cardiaca rit-
234
La responsabilità del chirurgo
mica. Crepiti e riduzione del MV alle basi con ipofonesi associata. PA 105/60.
ECG: RS, segni di ipertrofia ventricolare sinistra. Esami ematochimici nei limiti.
Ecoscopia: aneurisma dissecato dell’aorta ascendente, aorta asc 70 mm, insufficienza aortica severa. Ventricolo sinistro dilatato con ipertrofia ventricolare sx
eccentrica, flap visibile in aorta scendente fino all’arco. Si ricovera in UTIC.
Diagnosi: dissezione dell’aorta toracica.
Ore 11,30:
EGA arterioso: PO2 72,9.
Ricoverato in cardiologia: PA 75/40 a dx, 115/75 a sx.
Ripete ecoscopia: marcata dilatazione della radice aortica (74 mm) con immagine mobile suggestiva per flap intimale, apprezzabile fino all’arco. Insufficienza
aortica eccentrica di grado severo. Non versamento pericardico.
Ore 11,30:
Dal diario infermieristico: richieste 3 sacche di GRC, compilata scala di Braden…somministro morfina 1 fl s.c.
Alle 12,10 viene portato in S.O. in emergenza.
Ore 12,30:
Intervento: giunge in sala operatoria cosciente e stabile sul piano emodinamico.
Durante il posizionamento sul letto operatorio, si osserva una improvvisa ipotensione con slargamento dei complessi QRS all’ECG. Cianosi a mantellina. Gasping. Midriasi bilaterale. Intubazione in emergenza. Si esegue una sternotomia
d’emergenza compassionevole, vista la giovane età del paziente. All’apertura del
pericardio si osserva una emorragia incontrollabile con cuore completamente
vuoto. Fibrillazione ventricolare. Si cerca di effettuare un massaggio cardiaco
interno, nel tentativo di identificare la breccia aortica. Impossibile controllare
l’emorragia. Non resta che constatare il decesso in tabula del paziente. Il seguito
all’exanguinazione, si osserva la breccia aortica in corrispondenza della porzione ascendente distale sulla convessità. Si sutura per limitare l’emorragia in seguito alla chiusura del torace. Sintesi dello sterno, sutura della cute.
Diagnosi: dissezione aortica rotta in sala operatoria.
Tipo di intervento: pericardiocentesi.
Ore 13,10: si constata il decesso.
Considerazioni di parte ricorrente:
Un dolore toracico ad insorgenza acuta associato a grave ipotensione in un
soggetto iperteso (PA 70/40 a domicilio, PA 100/75 in Pronto Soccorso) doveva obbligatoriamente far pensare, insieme alla diagnosi differenziale di infarto
miocardico, ad una sindrome aortica acuta, con rischio di imminente rottura
Casi peritali simulati e commentati
235
aortica, in primis la dissezione aortica. La dissezione aortica di tipo A, ovvero il
tipo verificatosi nel caso in oggetto, si manifesta di solito acutamente con dolore
toracico o al dorso, accompagnato da importante ipotensione, precedendo un
tamponamento cardiaco e la rottura della valvola aortica239.
La riparazione prevede l’utilizzo di by pass cardiopolmonare e dell’arresto cardiocircolatorio in ipotermia e, se necessario, la ricostruzione della valvola aortica associata alla sostituzione dell’aorta ascendente240.
Lo step 1, Triage, ha erroneamente assegnato al paziente il codice di priorità verde. Dopo l’esecuzione dell’elettrocardiogramma (grado I, livello di evidenza B),
che non rilevava alterazioni di rilievo, dunque si escludeva con ogni probabilità
una sindrome coronarica acuta (troponina ed enzimi erano negativi), invece di
immediatamente procedere all’esecuzione di Rx del torace (grado I, livello di
evidenza C), ecocardiogramma e angio-TC urgente (grado I, livello di evidenza
B) ed inviare il paziente all’intervento chirurgico salvavita per dissezione acuta
dell’aorta ascendente, il paziente veniva abbandonato in Pronto Soccorso senza
eseguire la diagnostica urgente e senza terapia alcuna per oltre 4 ore, finchè alle
ore 11,30 con una visita cardiologica ed ecoscopia si poneva diagnosi e si trasferiva il paziente in Cardiologia.
Ma in questo lasso di tempo la dissecazione aortica, come noto spesso innescata
da una crisi ipertensiva (il paziente aveva una pressione di 70/40 cinque ore prima, e nessuno ci aveva fatto caso) evolveva verso la rottura dell’aorta in pericardio con emorragia mortale ed il paziente entrava, oltre 5 ore dopo il ricovero in
Pronto Soccorso in Sala Operatoria dove andava in arresto cardiaco irreversibile
nel momento in cui veniva posto sul tavolo operatorio.
I sanitari del Pronto Soccorso sono da ritenersi responsabili della morte del paziente per non aver tempestivamente seguito le linee guida per la diagnostica
del dolore toracico, in particolare per non aver eseguito Rx torace, ecocardiogramma ed Angio-TC, la cui rapida esecuzione avrebbe consentito di porre corretta diagnosi almeno 3 ore prima di quanto avvenuto e di avviare il paziente
all’intervento chirurgico urgente in una fase in cui l’aorta non era ancora rotta
(alle ore 11,30 l’ecoscopia non dimostrava ancora la presenza di versamento pericardico).241,242,243,244,245
Inoltre, il paziente, nell’inerzia generale, ha atteso la visita cardiologica per oltre 3
ore dal momento del ricovero in Pronto Soccorso e per 2 ore e mezza dal momento
239 Tracci MC: The Aorta. In: Sabiston Textbook of Surgery,1746, Elsevier 2017.
240 Hiratzka LF: Guidelines for the diagnosis and management of patients with Thoracic Aortic
Disease: A report of American College of Cardiology Foundation…Circulation 121: e266,2010.
241 Lee TH: Evaluation of the patient with acute chest pain. N.Engl.J.Med 342:1187,2000.
242 Ottani F: Percorso di valutazione del dolore toracico. Il Pensiero Scientifico editore, 120, 2009.
243 Mac Phee SJ: Chest pain. In: Current Medical Diagnosis and Treatment, 28, Lange 2010.
244 Meszaros I: Epidemiology and clinicopathology of aortic dissection. Chest 117:1271, 2000.
245 Setacci C: Sindrome aortica acuta, 285, In: Chirurgia Vascolare,Edizioni Minerva Medica, 2012.
236
La responsabilità del chirurgo
della richiesta di visita parere cardiologica da parte del medico di Pronto Soccorso.
L’intervento in urgenza per la dissezione dell’aorta ascendente di tipo A di Stanford, di tipo II di De Bakey, riduce una mortalità altissima quando non eseguito
(25% nelle prime 24 ore, 50-68% nelle prime 48 ore, l’80% nelle prime due settimane, il 90% a tre mesi 246 al 10% nelle prime 24 ore, 13% a 1 settimana, 20% ad 1 mese.
L’imperizia e la negligenza dei sanitari del Pronto Soccorso, attraverso la sottovalutazione della condizione clinica mostrata all’ingresso dal paziente, l’anamnesi suggestiva di cardiopatia ipertensiva, l’inerzia diagnostico-terapeutica, la
mancata applicazione delle linee guida per il dolore toracico, il ritardo nell’esecuzione della visita cardiologica hanno ritardato l’intervento chirurgico salvavita di sostituzione dell’aorta ascendente in tempo utile, cagionando la morte
di un paziente che aveva, all’ingresso in ospedale, grandi possibilità di essere
salvato per una patologia priva di alternative al trattamento chirurgico.
Considerazioni dei CTU:
Si ritiene che i trattamenti posti in essere in Pronto Soccorso fino alla consulenza
cardiologica siano stati condotti con tempestività prudenza, perizia e diligenza.
Ben diverso è quanto effettuato alla consulenza cardiologica. Difatti viste le linee guida sul percorso e la gestione dei pazienti con dolore toracico, una volta
individuata la dissecazione dell’aneurisma a carico dell’aorta ascendente, con
dimensioni di 70 mm e con una grave insufficienza aortica e sua conseguente
compromissione dell’apporto ematico a tutte le arterie che si diramano dall’aorta
(comprese le arterie coronarie), non è stato posto in essere con immediatezza ed
adeguata perizia l’unico trattamento possibile, anche se non è detto che sarebbe
stato risolutivo, ovvero l’intervento chirurgico. Si è atteso l’ulteriore e ben prevedibile aggravamento delle condizioni cliniche, con la rottura dell’aneurisma e
l’emorragia intrapericardica per portare il paziente in sala operatoria. Il ritardato
accesso alla sala operatoria del paziente per l’effettuazione in urgenza dell’intervento chirurgico, vista la certezza della diagnosi di dissecazione di aneurisma
dell’aorta ascendente, è da considerare come imperizia nel comportamento del
medico che effettuò la consulenza cardiologica.
Considerazioni per parte ricorrente:
Scrivono i CTU che la mortalità a 1 mese in caso di intervento chirurgico in
emergenza è di circa lo 40-50%. Innanzitutto, la percentuale di decessi per tale
patologia tra coloro che non arrivano in ospedale è ovviamente indeterminabile,
246 Trocciola SM: Open surgical treatment of aortic dissection. In: Stanley JC: Current Theraphy in Vascular and endovascular Surgery, 369, Elsevier 2014; Hagan PG: The International Registry of Acute Aortic Dissection (ARAD): new insights into an old disease.
JAMA 283-897,2000; Pitt MP: The natural history of thoracic aortic aneurysms disease: an
overview. J Card Surg 12 (2 Suppl):270, 1997.
Casi peritali simulati e commentati
237
molte di queste morti restano senza diagnosi, ma soprattutto sappiamo che, in
assenza di intervento chirurgico, la morte è certa: in ogni caso qui ci si deve occupare solo dei numeri riguardanti i pazienti che vengono ospedalizzati.
Tale affermazione tuttavia, volta ad affermare la gravità della patologia in essere,
riporta dati del tutto personalistici ed apodittici, peraltro senza il sostegno di alcuna voce bibliografica. Dunque, secondo i dati citati nella perizia attorea, se il paziente fosse stato operato prima della rottura in pericardio dell’aorta ascendente,
causa mortis, ovvero nelle 5 ore e mezza in cui ha stazionato, senza terapia alcuna,
nei locali del Pronto Soccorso prima e della Cardiologia poi dell’Ospedale Alfa,
avrebbe avuto l’80% di probabilità di essere vivo a 1 mese, ovvero di sopravvivere
e guarire.Affermano inoltre i CTU che i trattamenti posti in essere in Pronto Soccorso fino alla consulenza cardiologica sono stati condotti con tempestività e prudenza, perizia e diligenza. Invece tali comportamenti non hanno assolutamente
seguito le linee guida coeve AMCO e SIMEU per il dolore toracico, che prevedono
controlli seriati della PA, esecuzione di emogasanalisi, ecografia bedside, esecuzione di esami radiologici (Rx torace, TC (angio) del torace).247,248,249,250,251
Si sono perse inutilmente delle ore cruciali: come si può affermare che 100 minuti, oltre 1 ora e mezza, in un grande ospedale, per eseguire un ECG e gli esami
ematici non sono tanti, tenendo conto dei tempi di trasporto e di esecuzione
degli esami, quando un ECG si fa in qualche minuto, gli esami ematici in pochi
minuti e, nell’epoca dell’informatica, possono essere visualizzati in tempo reale
a video, senza spostamento di uomini e di mezzi?
Possiamo credere che questi siano i tempi per un pedone che porta in un laboratorio lontano i prelievi di sangue e riporta indietro in Pronto Soccorso i risultati
scritti su carta, magari per decine o centinaia di pazienti al giorno, un numero
infinito di volte? Sono state così perse le golden hours per una diagnosi tempestiva della dissecazione aortica, prima della rottura dell’aorta, quando le possibilità
di salvarsi, erano altissime, almeno l’80%.
Replica dei CTU alle osservazioni alla bozza:
In merito alle osservazioni di parte ricorrente non si comprende bene la loro
motivazione, per cui non si riesce a dare una risposta adeguata.
Sintesi:
Si lasciano le considerazioni al lettore.
247 Zuin G: Documento di consenso ANMCO/SIMEU: gestione intraospedaliera dei pazienti
che si presentano con dolore toracico. G Ital Cardiol 17:416,2016; www.siec.it/la- formazione; SIMEU Journal 5:16, 2004.
248 Lee TH: Evaluation of the patient with acute chest pain. N.Engl.J.Med 342:1187, 2000.
249 Ottani F: Percorso di valutazione del dolore toracico. Il Pensiero Scientifico editore, 120, 2009.
250 Mac Phee SJ: Chest pain. In: Current Medical Diagnosis and Treatment, 28, Lange 2010.
251 Setacci C: Sindrome aortica acuta, 285, In: Chirurgia Vascolare,Edizioni Minerva Medica, 2012.
La responsabilità del chirurgo
238
Caso 38
Trombosi precoce dopo TEA carotidea,
grave danno neurologico
Consulenza tecnica d’Ufficio:
ATP, CTU un medico legale, un chirurgo vascolare.
Vicenda clinica:
Maschio di circa 65 anni iperteso, dislipidemico, eseguiva Eco Color Doppler dei tronchi sovraortici con risultato di stenosi critica carotide della interna di destra del 75%
e a sinistra del 40%. Ricovero presso ospedale Alfa per TEA carotidea per eversione.
Dalle ore 8,40 alle ore 10,50:
Intervento: isolamento preventivo dell’ICA destra con cauta manovra di dissezione, eparinizzazione sistemica. Clampaggio di prova per 2’: non deficit neurologici. Isolamento della biforcazione carotidea, clampaggio. Distacco della carotide interna mediante ampia incisione ovalare alla sua base. TEA per eversione
dell’ICA, controllo della tenuta dell’endpoint e asportazione di frammenti di
medio-intima sotto lavaggio continuo del lume. TEA con dissettore dell’ECA
e della comune. Reimpianto dell’ICA in sede anatomica con sutura continua
6/0 monofilamento. Flush dell’ICA prima del completamento dell’anastomosi.
Clampaggio dell’ICA alla base e declampaggio di esterna e comune. Declampaggio dell’ICA. Non deficit neurologici. Neutralizzazione eparina.
Il paziente rientra in reparto verso le 11.30:
Medicazione in ordine, monitoraggio ECG continuo, PA 215/100.
Decorso postoperatorio senza complicanze sino alle ore 2,10 del giorno seguente
quando PA 190/85, somministrata terapia come da prescrizione medica.
Alle ore 4,20
Comparsa di emiplegia sinistra e deficit dell’eloquio; PA 165/70.
Si esegue Eco Color Doppler al letto: occlusione della carotide interna destra a
partire dall’origine. Soporoso, risvegliabile, dall’eloquio poco chiaro, impastato
ma logico. Presenta deficit di lato (incapacità di muovere braccio e gamba sinistra) e probabile rilascio degli sfinteri (letto bagnato di urina). PA 170/80.
Intorno alle ore 5:00
Dopo aver contattato il neurologo richiesta TC encefalo, fattibile solo in DEA. Non
disponibile anestesista che possa accompagnare il paziente, lo accompagna il chirurgo vascolare. Segue peggioramento del quadro clinico: paziente più soporoso,
attende di eseguire TAC urgente e intervento chirurgico previsto per le ore 7:30.
Esegue TAC encefalo alle ore 6: iperdensità dell’arteria cerebrale media omo-
Casi peritali simulati e commentati
239
laterale associata ad area di sfumata ipodensità cortico-sottocorticale emisferica
destra con ridotta differenziazione tra sostanza bianca e grigia, compatibile con
lesione ischemica recente.
Poco dopo le ore 7
Vista la TAC e la visita neurologica, discusso il caso collegialmente, non si ritiene opportuno procedere a rivascolarizzazione della carotide interna per evitare
ulteriore danno da riperfusione. Il paziente permane plegico completo a destra
e viene trasferito nel pomeriggio in Neurologia.
Intorno alle 17:30
Paziente soporoso, risvegliabile allo stimolo verbale, orientato S/T, anosognosico, disartria moderata (eloquio solo a tratti difficilmente comprensibile), deviazione di capo e occhi verso dx, emianopsia sinistra alla minaccia, pupille isocoriche fotoreagenti, emiplegia sinistra, grave ipoestesia emisoma sinistro, Babinski
a sinistra. ROT achillei non evocabili bilateralmente. PA 170/75. Si imposta terapia antiaggregante con ASA.
Il giorno successivo, II giornata postoperatoria
Esegue TAC encefalo di controllo: maggiormente evidente estesa lesione ischemica recente nel territorio dell’arteria cerebrale media destra, che condiziona
effetto compressivo sul ventricolo laterale e ridotta riconoscibilità dei solchi corticali emisferici, in assenza di infarcimento emorragico.
Successivo trasferimento in Riabilitazione Neurologica.
Condizioni alla dimissione: vigile, collaborante, non asognosia, disartria, eminattenzione sin, emianopsia laterale omonima sin, grave emiparesi sin ipotonica
con plegia AS e possibilità di movimenti in assenza di gravità AI, SCP scorretta
a sin, grave ipoestesia emisoma sin. Disfagia per i liquidi. Training passaggi posturali. CV a dimora (tentativo di rimozione fallito per globo).
Reliquati neurologici a distanza: paralisi arto superiore sinistro con problemi
di articolazione del linguaggio ed alla vista.
Considerazioni per parte ricorrente:
Soggetto asintomatico portatore di stenosi del 70% della carotide interna destra,
diagnosticata con Eco Color Doppler. Sottoposto ad intervento di TEA, l’intervento terminava intorno alle 11.
Intorno alle 11:30, in reparto, si registrava PA 215/95 malgrado la terapia medica
in atto. Avvisato il medico, non presi provvedimenti.
L’immediato periodo postoperatorio è dunque contrassegnato da elevati valori
pressori, non accettabili in questa fase e non adeguatamente controllati.
Intorno alle ore 4:30 dello stesso giorno si rendeva manifesto l’ictus post-operatorio (circa 17 ore dopo la fine dell’intervento chirurgico) con emiplegia sinistra,
deficit dell’eloquio e rilascio degli sfinteri: l’Eco Color Doppler eseguito al letto del
240
La responsabilità del chirurgo
paziente dimostrava occlusione della carotide interna destra a partire dall’origine.
Un accidente neurologico acuto (ictus) che si manifesta dopo la fine dell’intervento di TEA, a ripresa avvenuta della coscienza, è principalmente indicativo di
un evento tromboembolico conseguenza della precoce formazione di un trombo
a livello della sede della endoarteriectomia.
Questo riconosce il suo determinarsi in diverse cause: restringimento del vaso
conseguente alla sutura; restringimento del lume della carotide interna all’apice
della chiusura di un patch; danno intimale della carotide interna durante inserzione di shunt; flaps intimali; placche residue; errori tecnici.252,253
Nel caso in oggetto l’Eco Color Doppler eseguito al letto del paziente ha immediatamente documentato la trombosi precoce della carotide interna, evento che
rappresenta una indicazione alla riesplorazione chirurgica immediata. Solo nei
casi di trombosi con flusso conservato approfondimenti ulteriori di immagine
quali TAC, RNM o angiografia devono precedere la riesplorazione del vaso.254,255
È questa una chirurgia d’emergenza: il ripristino del flusso carotideo entro 1 ora
dal manifestarsi dell’occlusione assicura di solito il ripristino della condizione
neurologica presistente.256
Inoltre, si ritiene essenziale che il paziente con ictus post TEA debba stare in reparto di Terapia Intensiva ove si pratichi un controllo aggressivo della pressione
arteriosa,257 ma il soggetto in narrativa ha sofferto di puntate ipertensive gravissime nell’immediato postoperatorio (PA sistolica fin oltre 215 mmHg), inefficacemente controllate, fino al manifestarsi dell’ictus.
Fatta poi diagnosi ECD di trombosi acuta della carotide destra a livello del sito
chirurgico, invece di procedere immediatamente ad intervento di emergenza di
disostruzione carotidea, si lasciavano trascorrere 40 minuti (la golden hour andava già esaurendosi) per contattare il neurologo che improvvidamente richiedeva TAC encefalo, fattibile solo in altro reparto (DEA).
Nel frattempo, il quadro clinico peggiorava, il paziente era soporoso, si programmava intervento per le ore 7,30, oltre 3 ore dopo l’ictus.
Tutto ciò appare privo di ogni logica: si prescrive, in ritardo, un esame per uno
252 Silva MB: Peripheral arterial occlusive disease. In: Sabiston Textbook of Surgery, 1769,
Elsevier 2012.
253 Laman DM: High embolic rete after carotid endarterectomy is associated with early cerebrovascular complications. J Vasc Surg 36:278, 2002.
254 Sharafuddin MJ: Early postoperative recognition and management of acute stroke after
carotid endarterectomy. In: Stanley JC: Current Therapy in Vascular and Endovascular
Surgery, 83, Elsevier 2014.
255 Sheehan MK: Timing of postcarotid complications: a guide to safe discharge planning. J
Vasc Surg 34:13, 2001.
256 Naylor AS: Extracranial cerebrovascular disease. In: Beard JD: Vascular and Endovascular Surgery, 185, Saunders 2009.
257 Naylor AR: Seizures after carotid endarterectomy: hypoperfusion, dysautoregulation or
hypertensive encephalopathy? Eur J Vasc Endovasc Surg 26:39, 2003.
Casi peritali simulati e commentati
241
studio dei possibili danni encefalici dell’ictus, senza avviare il paziente alla chirurgia immediata, con diagnosi già disponibile.
La gestione della situazione clinica in emergenza è stata gravemente negligente, comportando errori di indicazione e ritardi: l’inutile TAC encefalo veniva
eseguita 2 ore dopo il manifestarsi dell’ictus, e controindicava, come ovvio, l’intervento chirurgico programmato a tre ore e mezzo di distanza dal manifestarsi
dell’ictus. Al paziente residuava invalidante emiplegia sinistra.
Considerazioni dei CTU:
L’indicazione alla TEA era corretta e concorde con le linee guida. La TEA per
eversione in anestesia locale non si presta a critiche. Non si è effettuato controllo
post TEA intraoperatorio con angiografia o con ECD, e la mancanza di tale dato
non permette di valutare un eventuale errore tecnico che ha cagionato la trombosi
precoce della carotide.
Il controllo di qualità a fine intervento consente di identificare difetti tecnici maggiori nel 2-3% dei casi, tali da richiedere l’immediata revisione chirurgica.
Le complicanze neurologiche sono più frequenti dopo clampaggio prolungato
della carotide (50 minuti nel caso in narrativa). Il reintervento immediato è necessario per gli eventi neurologici postoperatori precoci, per i quali si identificano
difetti tecnici intraoperatori nel 90% dei casi. Nel corso dell’intervento la pressione
sistolica si è mantenuta attorno ai 200 mmHg.
La gestione della complicanza: non si comprende perché si sia deciso di intervenire chirurgicamente dopo oltre 3 ore; si sia richiesta consulenza neurologica
e TAC encefalo, oltre tutto senza mezzo di contrasto; si siano perse molte ore,
anche se verosimilmente un intervento immediato, a causa dell’alto grado di
compromissione cerebrale avrebbe forse solo in parte migliorato il quadro neurologico ma non completamente risolto l’insulto ischemico.
Ne discende un periodo di malattia quantificabile in giorni 30 in forma assoluta
e giorni 60 mediamente all’80%. Per quanto attiene ai postumi permanenti, essi
sono valutati al 66%, motivati dalle gravi sequele neurologiche.
Sintesi:
Paziente asintomatico con stenosi carotidea, che subiva gravissime complicanze.
Necessaria l’attenzione circa il controllo pressorio periprocedurale, ai dettagli
tecnici, al controllo postoperatorio di qualità e, non da ultimo, alla completezza
del consenso informato.
La responsabilità del chirurgo
242
Caso 39
Flebite vs ischemia acuta dell’arto, amputazione
Consulenza Tecnica d’Ufficio:
un medico legale, un ortopedico.
Vicenda clinica:
Donna di anni 70, giunge al Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa alle ore 12
Anamnesi: algia all’arto inferiore destro. In anamnesi TVP arto inferiore destro 5
anni prima, ipertensione arteriosa in trattamento, artroprotesi d’anca bilaterale.
Diagnosi: sospetta TVP arto inferiore destro.
Ricovero alle ore 13,30 in Reparto Chirurgia. Livello di urgenza: giallo (condizione morbosa grave).
Anamnesi Patologica prossima: nella serata di ieri comparsa di dolenzia a carico dell’arto inferiore destro, associata a parestesie e sensazione di freddo.
Precedenti interventi chirurgici: reintervento per protesi d’anca destra 6 anni
orsono con successiva TVP.
EO: arto inferiore destro con discromie cutanee a carico del terzo inferiore di
gamba come da sindrome postflebitica, lievemente edematoso, il piede risulta
ipotermico rispetto al resto dell’arto, polsi iposfigmici (malleolare e dorsale del
piede). Arteriopatie: no.
Terapia: Seleparina 0,4 x 2. Dicloreum 1 fl al bisogno.
Il giorno successivo
Si richiede Eco Doppler. Hb 9,3, Ht 27%, CK 704.
Eco Color Doppler arto inferiore destro: arterie femoropoplitee con flusso valido e bifasico. Vene femoropoplitee pervie e fasiche. Segni di tromboflebite gamba destra. Si dimette.
Diagnosi di dimissione: flebite.
Dopo 2 giorni, ore 19,30
Si reca al Pronto Soccorso dell’Ospedale Beta: giunge per edema e di vasto ematoma della gamba destra.
Ore 20,30:
Richiesta consulenza chirurgo vascolare per ischemia acuta arto inferiore destra.
Eco Color Doppler: arteria femorale comune di destra con flusso bifasico, arteria femorale superficiale destra con flusso monofasico; poplitea destra con flusso
demodulato a componente diastolica di medio grado a bassa ampiezza, non registrabili i vasi di gamba a destra; clinicamente bolle cutanee a livello del terzo
inferiore di gamba destra a livello del piede destro.
Casi peritali simulati e commentati
243
Si consiglia ricovero urgente in Chirurgia Vascolare che la paziente rifiuta.
ECD arto inferiore destro (ripetuto da altro Operatore): non segni di ostacolo
al deflusso venoso. Circolo venoso profondo e circolo venoso superficiale pervi
e comprimibili. Asse arterioso femoro-popliteo con flusso presente sebbene demodulato, di tipo monofasico. Flusso assente sui tratti sottopoplitei.
Autodimessa, intraprende viaggio in autoambulanza verso Ospedale Gamma, a
oltre 1.000 km di distanza, dove giunge il giorno successivo alle ore 14,00.
Diagnosi di ricovero: ischemia acuta arto inferiore destro.
Hb 10,2, GOT 417, GTP 128, CK 9222, LDH 1448.
Ore 15,00:
Angio TAC addome e arti inferiori: a destra presenza di difetto endoluminale a livello dell’arteria iliaca superficiale, con irregolarità del lume anche lungo
il decorso della femorale profonda, che non è più visualizzabile a livello della poplitea. La femorale superficiale presenta flusso più rallentato rispetto alla
controlaterale. A livello della gamba si osserva interruzione del flusso del terzo
distale della tibiale anteriore, il flusso è irregolare e filiforme a livello della tibiale posteriore e della peronea. Alterazione tomodensitometrica dei muscoli
profondi della gamba, che appaiono edematosi.
Anamnesi: da circa 3 gg presenza di marezzature all’arto inferiore destro con
graduale ipotermia.
E.O: presenza di marezzature dal ginocchio al piede con assenza dei polsi periferici e ipotermia dell’arto.
Anamnesi Patologica Recente: 5 giorni fa comparsa di dolore al polpaccio destro
con parestesie e bruciore. Riferisce progressivo aumento della cianosi.
Attualmente presenta cianosi alla gamba e mobilità del piede molto ridotta.
Flittene cutanee. Arto francamente ipotermico, assenza di tutti i polsi dell’arto inferiore destro.
Ore 18,00: Intervento (1):
Diagnosi: ischemia acuta arto inferiore destro.
Intervento: embolectomia femorale: arteriotomia della femorale superficiale, con
catetere di Fogarty si procede ad embolectomia con asportazione di materiale non
recente… esame angiografico alla luce del quale si decide di isolare anche la poplitea…per proseguire la trombectomia anche distalmente, arteriotomia della poplitea, si asporta ancora materiale non recente. Buono il reflusso al termine sutura.
Fasciotomia nella parte mediale della gamba, sutura della sola cute.
Il giorno successivo, ore 1,00:
Lamenta dolore al piede e alla gamba.
Ore 10:
Piede destro freddo marezzato, assenza di motilità delle dita.
Hb 8,3; CPK 7565; d-dimero 1046, albumina 2,79, PCR 14.
244
La responsabilità del chirurgo
Ore 11:
Piede marezzato, polso popliteo presente.
Intervento (2):
Diagnosi: ischemia acuta arto inferiore destro: misurazione cruenta della pressione arteriosa a valle della sospetta stenosi. Esplorativa poplitea bassa. Fogarty
vasi di gamba. Riparazione con patch in safena.
CPK 4009, GOT 244, LDH 793, leucociti 10,4.
Il giorno seguente
Assenza di motilità delle dita. Anestesia plantare. CPK 4005.
In II giornata:
Assenza motilità delle dita. Piede ipotermico. Scalino termico fra terzo prossimale e medio di gamba. Ferita inguinale con macerazione. Quadro di ischemia
irreversibile gamba destra.
In IV giornata, intervento (3):
Diagnosi: arteriopatia obliterante arti inferiori IV stadio.
Intervento: amputazione III medio di coscia destra.
Successivo trasferimento in riabilitazione.
Considerazioni di parte ricorrente:
La paziente ha sofferto di una ischemia acuta dell’arto inferiore destro legata ad
un fenomeno embolico.
Il paziente con arto bianco che non ha precedente storia di claudicatio, ovvero
di ischemia cronica dell’arto, con polsi normali all’arto controlaterale e probabile causa embolica, deve essere indirizzato all’intervento chirurgico urgente (di
norma embolectomia con catetere di Fogarty), senza neppure eseguire una angiografia che comporta una perdita di tempo258.
Dall’instaurarsi dell’ischemia acuta, nelle prime 6 ore l’arto è marcatamente pallido, dolente, con deficit neurosensoriale e l’ischemia è reversibile; tra le 6 e le 12
ore compare marezzatura cutanea e l’ischemia è parzialmente reversibile; oltre
le 12 ore la marezzatura è irreversibile, il compartimento anteriore di gamba
appare rosso e teso e l’ischemia è irreversibile.
Le parestesie sono espressione di ischemia nervosa e muscolare. Il dolore e la
tensione dei muscoli del polpaccio segnalano il danno ischemico e la possibile
irreversibilità di una ischemia critica, correggibile eventualmente solo con una
procedura di rivascolarizzazione immediata.
258 Earnshaw JJ: Management of acute limb ischemia. In: Beard JD: Vascular and endovascular surgery, Saunders, 2009.
Casi peritali simulati e commentati
245
Tale situazione non può e non deve essere confusa con una patologia venosa
quale la tromboflebite, come avvenuto presso l’Ospedale Alfa.
Innanzitutto, nel caso in oggetto, non si comprende cosa significhi il termine
“flebite”, quando la patologia in oggetto è eventualmente una trombosi venosa.
Dobbiamo poi desumere che si facesse riferimento a una trombosi venosa profonda (TVP), essendo le trombosi superficiali di scarsa importanza clinica.
Nessun rilievo semeiologico espressivo per una TVP dell’arto inferiore è riportato in cartella: segno di Bauer, segno di Homans, segno di Pratt.
L’Eco Color Doppler (eseguito su un solo arto, escludendo inoltre aorta addominale e vasi iliaci), nulla dice sulla circolazione a livello di gamba (quella che
interessava) e parla solo di “segni di tromboflebite”.
Il paziente è stato ricoverato per 2 giorni, ha atteso 24 ore per eseguire l’Eco Doppler (questo Eco Doppler!), le golden hours per una efficace rivascolarizzazione
sono andate irrimediabilmente perdute, la paziente è stata dimessa e quanto è
in seguito avvenuto non ha potuto, come assolutamente prevedibile, in alcun
modo influire sulla evoluzione verso l’inevitabile amputazione dell’arto.
Dopo la dimissione dall’Ospedale Alfa, frutto di una gravissima e colpevole
incompetenza, la paziente, a seguito della persistenza della sintomatologia, si
ripresentava al Pronto Soccorso dell’Ospedale Beta dove, in un’ora, veniva sottoposta da parte di due medici diversi ad esame Eco Color Doppler, il primo
inconclusivo, il secondo semplicemente dimostrante assenza di flusso a livello
di gamba.
La presenza però di flittene cutanee indirizzava questa volta correttamente la
diagnosi verso l’ischemia acuta, ormai diventata irreversibile.
Infatti, a nulla hanno potuto i tentativi di disostruzione e di rivascolarizzazione
(2) effettuati in seguito all’Ospedale Gamma, nel tentativo di evitare l’amputazione dell’arto.
All’ingresso in Pronto Soccorso all’Ospedale Alfa la sintomatologia dolorosa
datava da poche ore, dunque quello era il momento per intervenire chirurgicamente d’urgenza.
Invece la vera natura della patologia non è stata riconosciuta, e la paziente è stata tenuta ricoverata per due giorni senza fare nulla, se non un esame Eco Color
Doppler del tutto inconclusivo ed inattendibile, per poi essere dimessa.
A questo punto il danno ischemico all’arto inferiore si faceva irreversibile.
Quando, dopo l’odissea dei giorni seguenti, i chirurghi dell’Ospedale Gamma
hanno effettuato, dopo 5 giorni dall’esordio sintomatologico, la prima disostruzione arteriosa, hanno asportato materiale trombotico non recente.
Sono pertanto individuabili comportamenti colposi in capo ai sanitari dell’Ospedale Alfa, causalmente correlati al danno subito (amputazione di coscia).
E’ ravvisabile negligenza nel non aver individuato l’ischemia acuta in atto dell’arto,
la presenza di segni e sintomi clinici corroborati da dati laboratoristici (aumento di
LDH e CPK) ad essa riconducibili; imperizia nell’aver condotto un esame Eco Color
Doppler assolutamente lacunoso giungendo a diagnosi errata e del tutto avulsa dal
contesto clinico in essere; imprudenza per aver dimesso la paziente dopo 2 giorni di
La responsabilità del chirurgo
246
ricovero inutile con una quadro di ischemia che ha condotto alla perdita dell’arto.
Ne è derivato un periodo di invalidità temporanea assoluta di mesi 2, seguito
da ulteriore periodo di invalidità temporanea al 75% di mesi 2. In tale periodo il
grado di sofferenza morale va stimato nella misura del 21/25.
Residuano postumi di carattere permanente configurano un danno biologico del
70%, con una sofferenza morale ad essi connessa che pare congruo posizionare
ad un livello elevato.
Considerazioni dei CTU:
A carico dei sanitari dell’Ospedale Alfa possono essere individuati elementi di
negligenza e imperizia che possono configurare profilo di responsabilità nella
serie di eventi che hanno determinato le lesioni a carico della ricorrente.
La lesione occlusiva era infatti già in essere quando la paziente si presentò al
Pronto Soccorso dell’Ospedale di Alfa, dove, anche nel corso del ricovero in Chirurgia, è possibile individuare un profilo di negligenza e superficialità nell’approccio diagnostico-terapeutico.
Alla errata diagnosi si deve la progressione dell’evento ischemico che venne
tardivamente diagnosticato in altra sede in tempi non più utili per evitare la
progressione della necrosi e i successivi interventi di amputazione e di disarticolazione d’anca. Il danno biologico può essere valutato pari al 60%.
Sintesi:
Gravissimo e poco comprensibile errore diagnostico in ambiente specialistico
ospedaliero, conseguente ad inquadramento clinico e strumentale di straordinaria grossolanità ed imperizia.
Manca, nel collegio dei CTU, la nomina di un chirurgo vascolare (nominato un
ortopedico) ma le conclusioni sono da ritenersi comunque sostanzialmente corrette. Si segnala netta opposizione dell’Ospedale Alfa alla corresponsione del
risarcimento alla ricorrente.
Casi peritali simulati e commentati
247
Caso 40
Ischemia intestinale da embolia mesenterica,
dimissione da P.S, exitus
Consulenza tecnica d’Ufficio (ATP):
un medico legale, un chirurgo.
Vicenda clinica:
Donna di circa 80 anni, alle ore 9,30: giunge con Autoambulanza 118 al Pronto
Soccorso dell’Ospedale Alfa per vomito e diarrea. In anamnesi trombectomia
femoro-popliteo-tibiale destra per ischemia subacuta.
Vigile, collaborante, molto sofferente, pallida, cute e mucose visibili secche. Addome trattabile, meteorico, dolore evocato alla palpazione superficiale e profonda diffusamente. Non contrattura di difesa parietale. Blumberg neg.
Rx Addome: ndp. Leucociti 9,5; Neutr 82,5%.
ECG: non refertato.
Terapia: Fisiologica 500 ml; Pantorc + Plasil 1 fl; Tachipirina 1000; Apidra 8 U.I. s.c.
Ore 13,30:
Prima della dimissione si spiega alla figlia il quadro clinico, consigliando di eseguire
la terapia lassativa e analgesica. Si propone la dimissione accompagnata in ambulanza. Ella assume atteggiamento aggressivo nei confronti del medico di guardia, minacciandolo di denuncia per aver proposto la dimissione. Di fronte al rifiuto della figlia
di riportare la paziente a casa si riprende in carico la paziente e la si riporta a letto.
Ore 13,30: Dimissione.
Diagnosi: nausea con vomito; disidratazione; costipazione. Consigli: Riposo
adeguato. Dieta leggera (no scorie, cioccolata, dolci, fritture, spezie, condimenti,
grassi, alcoolici) ed idrica abbondante non gassata a temperatura ambiente (2
litri al dì). Si rinvia al medico curante, netto miglioramento della sintomatologia.
Prescrizioni: Movicol, clistere evacuativo.
Ore 22:
Giunge con Ambulanza 118 al Pronto Soccorso dell’Ospedale Beta.
Al triage codice di priorità: verde.
Il giorno successivo, ore 1,20:
Entra in sala visita. Da stamane dolore addominale, vomito ed alvo diarroico.
Da questa sera iperpiressia preceduta da brividi.
Sofferente, pirettica. Addome globoso, meteorico, un poco teso, trattabile, dolente e dolorabile diffusamente, Blumberg neg. Peristalsi torpida. Mucose asciutte,
disidratate. Leucociti 19,8; PCR 33,7; crea 1,69.
ECG: ritmo atriale ectopico.
248
La responsabilità del chirurgo
Rx addome: distensione di plurime anse del piccolo intestino con plurimi livelli. Immagine iperdiafana in sede sottodiaframmatica destra dubbia per ansa o aria libera.
TAC addome con mdc: versamento libero, occlusione trombotica del tratto distale dell’arteria mesenterica superiore con parziale ricanalizzazione delle sue
diramazioni periferiche. Diffusa distensione liquida delle anse del piccolo intestino con mancata opacizzazione della parete di gran parete delle anse digiuno-ileali fino al cieco. I reperti descritti orientano per infarto intestinale.
Ore 6,10:
Intervento (1): laparotomia, presenza di liquido sierocorpuscolato e sofferenza
ischemica di tutta la matassa ileale dopo la prima ansa digiunale e del cieco. Isolamento dell’arteria mesenterica superiore priva di pulsazione, arteriotomia e Fogarty anterogrado e retrogrado con fuoriuscita di voluminoso trombo ostruente.
Modica ripresa del flusso dopo eparinizzazione.
Ulteriore arteriotomia distale con Fogarty dei rami periferici accessibili. Non sostanziali modificazioni del quadro clinico. Al termine dell’intervento si constata
ischemia irreversibile ileo-ciecale.
Diagnosi: insufficienza vascolare dell’intestino.
Ore13,20:
Intervento (2): relaparotomia mediana, aspirazione di liquido sierocorposcolato.
Anse ileali con importanti note di sofferenza vascolare dal Treitz alla valvola ileo-ciecale. Cieco necrotico. L’estensione del danno vascolare è solo parzialmente ridotto
rispetto al primo intervento e valutate le condizioni cliniche si decide per sola emicolectomia destra e ileostomia terminale in FID e fistola colica in ipocondrio destro.
Il giorno successivo, ore 6,10: exitus.
Diagnosi: ischemia intestinale, shock settico, insufficienza multiorgano.
Considerazioni per parte ricorrente:
La paziente è deceduta per un infarto intestinale da ostruzione embolica dell’arteria mesenterica superiore tardivamente diagnosticato e trattato.
L’elevata mortalità ascritta a tale situazione, quando trattata in ritardo, può essere
prevenuta solo con un approccio diagnostico aggressivo e tempestivo, con l’intento
di riconoscere la malattia nella sua fase precoce, quando cioè la rivascolarizzazione
del territorio ischemico consenta il risparmio della totalità o di una sufficiente parte
dell’intestino. Perché questo avvenga il medico deve possedere un indice di sospetto
che lo spinga ad esaminare con attenzione tutti i dati clinici (quadro emodinamico,
comportamento della parete addominale) e laboratoristici (globuli bianchi, PCR)
che sono i primi ad essere registrati in Pronto Soccorso e che, valutati nel loro complesso, assumono importanza decisiva per la sopravvivenza del paziente.
L’occlusione embolica o trombotica dell’arteria mesenterica superiore rappresenta la causa più frequente di ischemia intestinale (oltre il 50% dei casi). L’em-
Casi peritali simulati e commentati
249
bolo è generalmente di origine cardiaca, e la sua formazione nel cuore sinistro
è favorita da alterazioni del ritmo (soprattutto la comune fibrillazione atriale,
di cui la paziente peraltro cronicamente soffriva, non potendo però assumere
farmaci anticoagulanti, i più adatti a prevenire la formazione di trombi, avendo
avuto in passato una emorragia cerebrale, ma solo antiaggreganti piastrinici).
Dal punto di vista fisiopatologico, si riconoscono tre fasi ben distinte nel processo evolutivo che porta allo stato di ischemia iniziale reversibile all’infarto
conclamato: tali fasi sono caratterizzate da un corredo sintomatologico che muta
con il trascorrere del tempo in rapporto con il variare della situazione funzionale
e anatomopatologica dell’intestino (e che il medico del Pronto Soccorso dovrebbe conoscere). La durata di ogni fase è variabile, essendo in rapporto soprattutto,
nelle embolie, con il grado di occlusione del vaso.
La prima fase, detta spastica in quanto l’intestino è animato da una intensa attività peristaltica, inizia con un dolore addominale, localizzato o più facilmente
diffuso, che nelle forme emboliche insorge bruscamente: al dolore si associano
diarrea, nausea e vomito. In questo momento le condizioni generali del paziente
sono ancora buone e l’obiettività addominale può apparire pressoché negativa:
infatti l’unico dato clinico suggestivo può essere la presenza di “addome acuto
senza addome acuto”, che sottolinea la discordanza tra l’acuzie della sintomatologia e la negatività della obiettività addominale.
Tale stadio è breve, e di rado osservato dal medico, che comunque, nel sospetto, deve
tenere in osservazione il paziente e monitorare attentamente l’evoluzione clinica.
La seconda fase, detta paralitica, è quella in cui l’iperperistaltismo proprio della prima fase viene sostituito da una paralisi intestinale. Il malato appare sofferente, ma
ancora in buone condizioni emodinamiche; l’alvo tende a chiudersi alle feci e ai gas,
anche se non è infrequente l’emissione di feci diarroiche talora francamente ematiche, espressione di uno sfaldamento mucoso da ischemia. L’addome appare disteso,
anche se ancora trattabile e solo modestamente dolente alla palpazione. La durata
della fase paralitica è di solito superiore a quella della fase spastica: in questo stadio si
verificano invariabilmente lesioni intestinali anche importanti, ma ancora reversibili.
È spesso presente uno stato di shock, che assume le caratteristiche dello shock
ipovolemico (sequestro di liquidi nel lume intestinale), quindi dello shock settico. Dal punto di vista obiettivo l’addome si presenta chiaramente peritonitico.
Per quanto riguarda la diagnosi, non esistono parametri di laboratorio caratteristici
dell’ischemia intestinale acuta, sebbene la leucocitosi neutrofila e l’emoconcentrazione siano i reperti più costantemente presenti nelle prime due fasi della malattia.
L’acidosi metabolica è caratteristica della fase preinfartuale e infartuale. L’esame
radiologico diretto dell’addome non fornisce di solito elementi semeiologici caratteristici che consentano di porre diagnosi di ischemia e di infarto intestinale,
mentre la TAC con mezzo di contrasto è l’esame che meglio definisce la diagnosi,
consentendo spesso la diretta visualizzazione del trombo, dei circoli collaterali,
dello stato di perfusione delle pareti intestinali e del versamento endoperitoneale.
La terza fase, peritonitica, è generalmente l’espressione di un infarto più o meno
esteso, con necrosi parziale o totale dell’intestino tenue e talora del colon.
250
La responsabilità del chirurgo
Per quanto riguarda la prognosi, la mortalità si attesta nelle forme emboliche attorno
al 50%, ma è strettamente legata alla perspicacia del medico il quale, nel valutare un
paziente che presenta le caratteristiche clinico-anamnestiche ricordate, deve sempre
tener presente l’esistenza della sindrome intestinale ischemica, per nulla rara: solo
così egli sarà portato ad eseguire quegli accertamenti di laboratorio e strumentali
(angio-TC) in grado di formulare una diagnosi corretta in un tempo utile ad eseguire un intervento chirurgico risolutore, pena la morte, inevitabile, del paziente.
Nel caso in oggetto, al momento del passaggio della paziente in Pronto Soccorso
dell’Ospedale Alfa, ella si trovava ancora nella prima fase della sindrome ischemica acuta, reversibile in presenza di tempestiva diagnosi e terapia (embolectomia con Fogarty dell’arteria mesenterica superiore) atta a prevenire la necrosi
dell’intestino, o comunque a limitare l’estensione delle lesioni, eventualmente
suscettibili di resezioni limitate.
Tuttavia il medico del Pronto Soccorso, oltre a misconoscere del tutto la situazione
in atto (malgrado l’anamnesi di fibrillazione atriale cronica e mancata scoagulazione
con dicumarolici o bloccanti del fattore Xa), addirittura imponeva dopo poco più tre
ore la dimissione della paziente, anche minacciando l’ausilio delle forze dell’ordine
per allontanarla, assieme alla figlia, che invano insisteva a chiedere soccorso a fronte
della grave situazione clinica della madre e delle di lei ingravescenti sofferenze.
La paziente veniva dimessa con incomprensibili restrizioni dietetiche (cioccolato, fritti, spezie etc) quando era in atto una ischemia intestinale acuta, raccomandazione a riposo adeguato e rimandata al medico curante.
Tornata al domicilio, la figlia, sulla scorta di quanto imperativamente indicatole
dal medico di guardia del Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa, attendeva per alcune ore un miglioramento clinico destinato a non verificarsi, e quando in serata
decideva di rivolgersi al Pronto Soccorso dell’Ospedale Beta a nulla valevano
una diagnosi tempestiva e due interventi laparotomici in urgenza per salvare la
vita della paziente.259,260,261,262,263,264,265,266,267
259 Gavinelli M: Patologia vascolare acuta. In: Medicina d’Urgenza, 598, UTET 2000.
260 Tiberio G: L’ischemia intestinale acuta e l’infarto intestinale. In: Di Carlo V, Andreoni B, Staudacher C: Manuale di Chirurgia d’Urgenza e Terapia Intensiva Chirurgica, 769, Masson 1993.
261 Williams LF: Mesenteric Ischemia. Surg Clin North Am 68:331, 1988.
262 Bellandi G: Insufficienza celiaco-mesenterica. In Setacci C: Chirurgia Vascolare, Ed.Minerva Medica, 441, 2012.
263 Chang JB: Mesenteric Ischemia: acute and chronic. Ann Vasc Surg 17:323, 2003.
264 Schermenhorn ML: Mesenteric Revascularization: management and out-comes in the
United States, 1988-2006 J Vasc Surg 50(2):341, 2009.
265 Stoney RJ: Acute mesenteric ischemia. Surgery 114(3):489, 1993.
266 Kazmers A: Operative management of acute mesenteric ischemia. Ann Vasc Surg 12(2) 1998.
267 Cleveland T: Renal and intestinal Vascular disease. In: Beard JD: Vascular and endovascular surgery 273, Saunders 2009.
Casi peritali simulati e commentati
251
Osservazioni per parte convenuta:
Il medico di Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa dopo aver eseguito anamnesi,
visita, esami di laboratorio, Rx addome, ECG ed emogasanalisi, nonché avere
mantenuto la paziente in osservazione per 4 ore, si trovava di fronte ad un quadro clinico caratterizzato da dolore addominale compatibile con la presenza di
vomito e con le modificazioni dell’alvo, non sproporzionato rispetto al quadro
generale e coerente con l’anamnesi della paziente, in assenza di elementi clinici
di ischemia mesenterica in atto o di altra urgenza.
Ad indiretta conferma dell’assenza di un quadro clinico di urgenza vi è il tempo di
circa 8 ore trascorso nel nosocomio Beta dove la paziente venne accompagnata la
sera seguente prima di essere sottoposta ad intervento chirurgico. La malata è stata
comunque sottoposta ad intervento chirurgico entro le 24 ore dall’insorgenza dei
sintomi, un intervallo temporale che è considerato come cut-off per valutare l’outcome chirurgico268.
L’anamnesi patologica della paziente, l’esito della TAC ed il riscontro intraoperatorio sono tutti elementi che orientano verso una componente trombotica nell’eziopatogenesi dell’ischemia mesenterica, che è associata ad una riduzione delle chances
di sopravvivenza fino al 50%; inoltre la sopravvivenza per pazienti di età superiore
ad 80 anni è pari al 7%.
Tali elementi portano a ritenere che anche in caso di intervento anticipato di alcune ore non vi erano possibilità significative di esito clinico differente.
Considerazioni dei CTU:
Inappropriato fu il comportamento del sanitario di P.S. dell’Ospedale Alfa per
aver omesso di effettuare, non tanto una indagine angio-TC, essendo la stessa
un esame di II livello, bensì nel non aver disposto quantomeno una consulenza
chirurgica, che la prudenza suggeriva alla luce della presentazione clinica di P.S.
Si deve tuttavia evidenziare che non si ha la certezza che ad una osservazione
clinica prolungata e ad una valutazione chirurgica avrebbe fatto seguito un corretto inquadramento diagnostico. Infatti anche dopo 9 ore, alle ore 22, presso
l’Ospedale Beta, il triage attribuì alla paziente un codice verde e solo dopo altre
5 ore fu posta diagnosi corretta: dunque vi è da ritenere che i sanitari dell’Ospedale Alfa non avevano elementi sufficienti per un corretto giudizio, e che le loro
probabilità di giungere alla diagnosi non erano statisticamente apprezzabili.
Non è pertanto possibile affermare, in una logica controfattuale, che la paziente
abbia subito una qualificata perdita di probabilità di successo terapeutico, in
relazione alla tempistica di riconoscimento della lesione ischemica, trattandosi
di questione aleatoria.
268 Aliosmanoglu I: Risk factors effecting mortality in acute mesenteric ischemic and mortality rates: a single center experience. Int Surg 98:76, 2013.
252
La responsabilità del chirurgo
Per i motivi anzi esposti e ad una valutazione ex ante, nonché dall’alto tasso di
mortalità di cui risulta essere gravata l’ischemia della mesenterica superiore,
non è possibile definire, con il criterio del “più probabile che non” un nesso causale e/o concausale tra le condotte dei Sanitari e la morte della paziente.
Osservazioni per parte ricorrente alla CTU:
Le valutazioni sulla condizione patologica che ha condotto a morte la paziente,
l’ischemia intestinale, manifestatasi, a quanto si evince, con modalità sintomatologiche che ne ritenevano impossibile il riconoscimento (in paziente in fibrillazione atriale cronica, non scoagulata), sia da parte del medico di PS dell’Ospedale
Alfa nella mattina dell’esordio dei sintomi, sia da parte dei medici dell’Ospedale
Beta nella serata del giorno stesso, dopo 3 ore di attesa per essere visitata (ma
dopo poche ore si riscontrava una condizione di infarto massivo intestinale irreversibile non più suscettibile di cura chirurgica) sono mutuate sostanzialmente
dalla trattatistica in lingua italiana degli anni ottanta e novanta per gli studenti
del corso di laurea in Medicina (Gallone, Paletto, Staudacher, Fegiz, Tiberio, Di
Carlo, Di Matteo, Dionigi, Patel,) e antecedenti.
Si deve concordare sul fatto che la paziente si trovasse, nel corso delle ore trascorse in Pronto Soccorso all’Ospedale Alfa, nella prima fase, cosiddetta “spastica” dell’ischemia intestinale, ovvero nella fase nella quale, se posta diagnosi
tempestiva e posto in essere il corretto trattamento, le chances di sopravvivenza
sono maggiori, e certamente superiori al 50%.
Perché questo avvenga è necessario naturalmente che il medico abbia l’esperienza per farlo, nonché quella “sensibilità culturale”, che dovrebbe esser propria
almeno del chirurgo, che in questa occasione però, forti delle proprie errate certezze, non si è ritenuto opportuno di interpellare.
Si afferma che non vi era motivo di richiedere d’emblée un esame di secondo
livello quale l’angio TC, ed è vero: infatti prima degli esami di secondo livello ci
sono gli esami di primo livello.
È dato consolidato (ma naturalmente è necessario avere innanzitutto esperienza
in prima persona sul campo di battaglia della chirurgia d’urgenza e della emergenza, e conoscenza della buona pratica clinica ad essa relativa) che di fronte ad
un addome acuto insieme all’Rx addome è l’ecografia, in questo caso, come sempre corredata dall’Eco Color Doppler, l’esame di primo livello a cui far ricorso.
Certo, bisogna che in Pronto Soccorso sia disponibile un ecografo, ma anche chi
lo sappia utilizzare, anche bedside e soprattutto fast.
Che lo faccia il medico dell’emergenza, il radiologo, il chirurgo, il rianimatore
non ha importanza, e tutti queste figure dovrebbero obbligatoriamente aver seguito un tirocinio dedicato, proprio perché nella medicina moderna tale diagnostica strumentale è imprescindibile.
Cosa avrebbe potuto, nel caso in narrativa, dimostrare tale esame? Iperperistaltismo nella prima fase dell’ischemia, quindi riduzione e assenza della peristalsi
nelle fasi ulteriori. Ispessimento della parete dell’intestino mesenteriale.
Casi peritali simulati e commentati
253
Presenza di versamento endoperitoneale (agocentesi diagnostica ecoguidata). Ostruzione o trombosi di arteria o vena mesenterica superiore.269,270,271,272,273,274,275,276,277,278,279,280,281,282,283
Troppo facile affermare che la presunta condizione di meteorismo impedisce a
priori la visualizzazione della parete intestinale, o dei vasi mesenterici, o degli
organi retroperitoneali. Dunque, informazioni fondamentali si sarebbero potute
ottenere, in pochi minuti, con l’esecuzione di un Eco Color Doppler eseguito da
mani sperimentate, ma così non è stato, né si è provato a farlo.
Trovano i CTU giustificazione all’errore diagnostico del medico del Pronto
Soccorso dell’Ospedale Alfa rilevando che a 12 ore di distanza anche i sanitari dell’Ospedale Beta non facevano diagnosi immediata di ischemia intestinale,
malgrado la conoscenza della storia naturale della malattia segnalasse che l’ischemia intestinale si dovesse allora già trovare nella seconda fase (paralitica)
piuttosto che evoluta nella terza fase (peritonitica). Ma l’errore di taluni non può
giustificare l’errore di altri e la citata “sensibilità diagnostica” è mancata del tut269 Perko MJ: Duplex ultrasound for assessment of superior mesenteric artery blood flow.
Eur J Vasc Endovasc Surg 21:106,2001.
270 Pozniak MA: Clinical Doppler Ultrasound,129, Churchill Livingstone, 2014.
271 Danse EM: Acute intestinal ischemia due to occlusion of the superior mesenteric artery:
detection with Doppler sonography. J Ultrasound Med 15:323, 1996.
272 Lichtensetein DA: General Utrasound in the critically ill. 37, Springer, 2000.
273 Lichenstein DA: L’abolition du peristaltisme digestive, un signe ecographique d’infarctus mesenterique. Reanimation 10:1,203, 2001.
274 Machi J: Ultrasound for Surgeons, 68, Igaku Shoin, 1997.
275 Philliphs G: Sonographic diagnosis of thrombosis of the superior mesenteric vein and
small bowel infarction. J Ultras Med 4:565, 1985.
276 Myers SL: Acute and embolic mesenteric ischemia. In: Stanley JC: Current Theraphy in
Vascular and endovascular Surgery, 719, Elsevier 2014.
277 Hansen KY: Mesenteric artery disease in the elderly. J Vasc Surg 40:45, 2004; Gavinelli M:
Ultrasuoni in Chirurgia d’Urgenza, Ghedini Editore, 1988.
278 Gavinelli M: "Ecografia intraoperatoria, laparoscopica, endoscopica e interventistica". In:
R. Dionigi: Chirurgia, Masson, 39, 1997.
279 Gavinelli M: "Ischemia mesenterica acuta". Annali di Medicina e Chirurgia 21, 1991.
280 Gavinelli M: "L'ecografia diagnostica e operativa". In: Di Carlo V., Andreoni B., Staudacher C.: Manuale di Chirurgia d'Urgenza e Terapia Intensiva Chirurgica, 311, II Ed. Masson Italia Ed., 1991.
281 Gavinelli M: "Diagnostica ecografica nell'addome acuto: revisione di un'esperienza decennale in un reparto di chirurgia d'urgenza". Giornale Italiano di Ultrasonologia, 3, 154, 1990.
282 Gavinelli M: “La diagnostica strumentale in chirurgia d'urgenza. Il Doppler. In: V.Staudacher, G. Bevilacqua, B. Andreoni : Manuale di Chirurgia d'Urgenza e Terapia Intensiva
Chirurgica, Masson Ed., 1987.
283 Gavinelli M: "Ecografia". In: A. Randazzo, G. Tiberio Eds. : Medicina d'Urgenza, 24,
UTET, 2000.
La responsabilità del chirurgo
254
to sia ai medici del Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa che a quelli del Pronto
Soccorso dell’Ospedale Beta.
Si sostiene che dopo due rivalutazioni cliniche, effettuate nell’arco di oltre 15 ore,
i sanitari non avevano elementi sufficienti per un corretto giudizio, e che le probabilità di giungere ad una corretta diagnosi da parte dei sanitari dell’Ospedale
Alfa non fossero statisticamente apprezzabili. Ma che significa qui “statisticamente”? Ricordiamo che la statistica “ha per oggetto lo studio dei fenomeni collettivi suscettibili di misura e descrizione quantitativa basandosi sulla raccolta di
un grande numero di dati inerenti ai fenomeni in esame, mediante l’applicazione di metodi matematici fondati sul calcolo delle probabilità”284, e qui dov’ è la
statistica? Come se si potesse numericamente determinare in quale percentuale
di casi è possibile fare, o non fare, la diagnosi di una patologia.
Sintesi:
È del tutto evidente che la formulazione ascientifica dei giudizi scaturisce da
una aprioristica intenzione assolutoria di imperdonabili errori determinati da
imperizia, negligenza ed imprudenza, per una patologia che secondo i CTU era
di impossibile diagnosi e di inutile trattamento.
La sorte della paziente era dunque, a loro giudizio, da ritenersi segnata dal momento dell’esordio sintomatologico dell’ischemia intestinale, ovvero dalle prime
ore del mattino in cui originarono i sintomi, a dispetto dell’impegno dei medici che l’avrebbero avuta in cura (la medicina era impotente): ma questo è palesemente in contraddizione con l’analisi statistica dei risultati del trattamento
chirurgico dell’ischemia intestinale, che riporta, come noto, una percentuale di
sopravvivenza complessivamente superiore al 50%.
Caso 41
Lesione dello SPE in corso di safenectomia
Consulenza Tecnica d’Ufficio (ATP):
un medico legale, un chirurgo vascolare.
Vicenda clinica:
Donna di circa 80 anni veniva ricoverata presso Ospedale Alfa per varici dell’arto inferiore destro. Intervento chirurgico di legatura e stripping di vene varicose
dell’arto inferiore destro in anestesia generale.
284
Vocabolario Treccani della Lingua Italiana, Vol IV, 1994.
Casi peritali simulati e commentati
255
Descrizione: isolamento, sezione e legatura della crosse safeno-femorale destra;
incannulazione e stripping della vena grande safena; flebectomie multiple di
coscia e di gamba. A sinistra, flebectomie di gamba. Emostasi e sutura a strati.
Bendaggio elastocompressivo.
Il giorno successivo si osservava lieve deficit di flessione del piede destro.
Dimissione.
Dopo 1 mese
La paziente eseguiva all’Ospedale Beta elettromiografia: lesione peroneo. Tracciato
privo di attività a carico del m. tibiale anteriore ed estensione delle dita di destra,
con presenza di attività di fibrillazione. Assenza del PUM del n. peroneo a destra.
Dopo 7 mesi
Ripeteva EMG: quadro invariato rispetto al precedente esame, con peggioramento della sofferenza del m. gastrocnemio mediale.
Dopo 2 anni
La paziente si sottoponeva a visita neurologica: deficit dello SPE di destra. Impossibile la dorsiflessione delle dita del piede. Difficoltà nella deambulazione
che avviene con appoggio, lamenta frequenti cadute. Obiettivamente presenza
di varici residue bilaterali di gamba associate a teleangectasie. Fa uso di tutore
a destra. A destra anestesia del dorso del piede e delle tre dita centrali, assenza
completa del movimento di dorsiflessione del piede.
Considerazioni dei CTU:
È pacifico che il soggetto in esito al gesto chirurgico subito abbia riportato un danno nervoso, in tal senso indirizzando chiaramente ed inequivocabilmente la criteriologia medico legale. La comparsa di deficit neurologico postoperatorio dovuta
a lesione nervosa è una complicanza ben nota ma assai rara nei casi consimili.
La lesione può essere dovuta a danno diretto sulla struttura nervosa o indiretto per
una sua compressione o stiramento, a loro volta possibilmente in rapporto a mal posizionamento sul tavolo operatorio. Nel caso in oggetto, nel determinismo del danno, ovvero la lesione del nervo sciatico popliteo esterno (SPE) di sinistra, due sono i
momenti eziopatogenetici che possono essere intercorsi: una compressione iatrogena esercitata nel corso dell’intervento sul nervo stesso in corrispondenza della testa
del perone, dove esso ha decorso assai superficiale, appoggiato ad una superficie
dura (osso). La sua lesione provoca la impossibilità di flettere dorsalmente il piede e
di estendere le dita del piede (quadro di piede cadente), con andatura a steppage e
ipo-anestesia della parte antero-esterna della gamba e del dorso del piede.
Nel caso in oggetto si è manifestato nell’immediato postoperatorio un grave deficit
dello SPE. Trattasi di una lesione di tipo neuroprassico, tipica dei malposizionamenti in sala operatoria.
256
La responsabilità del chirurgo
È legata ad una compressione del nervo a livello del capitello peroneale o a suo stiramento per eccessiva o prolungata flessione plantare del piede.
Nel corso dell’intervento di safenectomia l’arto inferiore è semiflesso, ma viene
ulteriormente flesso, intra ed extraruotato dall’operatore e dai suoi assistenti per
esporre le sue diverse parti allo scopo di eseguire le varicetomie complementari,
ed è proprio durante tali manovre, bruscamente eseguite o con eccessiva angolazione in torsione (intra ed extrarorazione dell’arto), insieme alla compressione
delle dita a livello del capitello peroneale (indice della mano sinistra dell’operatore) così come per una troppo energica flessione del piede per il sollevamento
dell’arto che può determinarsi la lesione nervosa.
Anche una lesione diretta del nervo in prossimità del collo della fibula o a livello
del cavo popliteo può verificarsi in corso di chirurgia delle varici.
La lesione dello SPE è un evento infrequente ma ben noto: la lesione nervosa
è responsabile del 15% di azioni legali a scopo risarcitorio dopo chirurgia per
varici in Gran Bretagna (34 pazienti/anno su circa 100.000 interventi eseguiti)285.
Nel caso in oggetto esiste uno stretto nesso di causalità tra esecuzione dell’intervento chirurgico di safenectomia e lesione nervosa.
Nel suo determinismo devono essere ipotizzati concretamente sia il trauma avvenuto in corrispondenza del capitello radiale da incongrua mobilizzazione dell’arto
in corso dell’intervento chirurgico piuttosto che, in subordine, una lesione chirurgica diretta sul nervo peroneale (con meccanismo di trauma aperto o chiuso, trazione, lacerazione, avulsione o rottura). E tutto ciò rende ragione di un danno risarcibile. Trasferendo tali considerazioni sul piano medico-legale, si segnala come
la situazione menomativa attuale del soggetto sia particolarmente compromessa.
La limitazione riguarda tutte le attività che richiedono la deambulazione (ovvero tutte quelle non strettamente sedentarie) e quelle che richiedono una prolungata stazione eretta (in piedi): infatti il deficit nervoso riportato comporta sia
un difetto nella deambulazione (zoppia) che nell’appoggio del peso del corpo,
durante la stazione eretta, sull’arto interessato.
Detto questo, si ritiene che la lesione nervosa pacificamente prodottasi durante il
gesto chirurgico identifichi una riduzione della validità psicofisica del soggetto
di circa il 20% con riferimento al danno biologico. Parimenti per quanto attiene
alla inabilità temporanea è da riconoscersi un periodo così strutturato: giorni 30
mediamente al 75%, giorni 30 mediamente al 50% e giorni 30 mediamente al 25%.
Considerazioni di parte convenuta:
La lesione nervosa è conseguenza del gesto chirurgico ma tale evenienza non
può essere interpretata come responsabilità ma piuttosto come complicanza,
quindi non prevenibile, né prevedibile, in assenza di errore professionale.
285 Giannas J: Common peroneal nerve injury during varicose vein operation. Eur J Vasc
Endovasc Surg 31:443, 2006.
Casi peritali simulati e commentati
257
Risposta dei CTU:
Nel caso in oggetto esiste uno stretto nesso di causa tra esecuzione dell’intervento chirurgico di safenectomia e lesione nervosa. La lesione dello SPE non è
dunque da considerarsi una mera complicanza, bensì un evento prevedibile e
comunque prevenibile.
Sintesi:
Le lesioni dello SPE in corso di chirurgia delle varici degli arti inferiori sono
meno infrequenti di quanto si possa pensare, e quando si verificano promuovono sempre azioni risarcitorie. Particolare attenzione va posta da parte del chirurgo nella manipolazione dell’arto soprattutto nel corso dell’esecuzione delle
varicectomie che possono richiedere una sua ampia mobilizzazione o torsione.
2.9 Miscellanea
Caso 42
Pneumonectomia per neoplasia ilare, shock emorragico ed
ischemia cerebrale
Consulenza tecnica d’Ufficio (ATP):
CTU un medico legale, un chirurgo.
Vicenda clinica:
Maschio di circa 60 anni. fumatore, BPCO. Diagnosi di neoplasia del polmone
sinistro (ca. squamocellulare ben differenziato) a seguito di ricovero per febbre.
Eseguita chemioterapia neoadiuvante, indicazione a pneumonectomia sinistra.
All’intervento toracotomico voluminosa massa che interessa il lobo superiore e
in sede parailare anche il lobo inferiore. Dopo sezione di aderenze pleuriche e
diaframmatiche difficoltoso isolamento degli elementi ilari, pneumonectomia e
linfoadenectomia ilo-mediastinica.
5 ore dopo la fine dell’intervento
Perdita improvvisa di sangue dal drenaggio toracico (1 litro in 1 min) al quale segue ACC per shock emorragico. Rianimazione cardiopolmonare e riapertura della
toracotomia al letto. Reperto di lacerazione del pericardio di circa 6 cm, che in chiusura era stato lasciato intatto. Gemizio dalla vena polmonare superiore, posizionato
clamp sull’atrio e sutura della lacerazione al di sotto della sutura meccanica.
258
La responsabilità del chirurgo
Nel frattempo, il cuore veniva massaggiato manualmente, con ripresa spontanea
del battito dopo 5 minuti.
Comparsa di mioclono post-anossico, la TAC encefalo eseguita dimostrava atrofia cortico- sottocorticale diffusa in assenza di lesioni focali.
Diagnosi istopatologica di carcinoma squamocellulare a medio grado di differenzazione ( G2), infiltrante. Metastasi di carcinoma in 6/10 linfonodi del lobo
superiore e in 1 linfonodo peribronchiale.
Trasferito in Riabilitazione non orientato spazio-temporalmente, tracheostomizzato, attività motorie ed autonomia assenti, ipotonia e ipotrofia generalizzata,
movimenti involontari del capo e ai 4 arti accentuati durante il movimento, assenza di controllo del tronco e disfagia: diagnosi di encefalopatia post anossica.
Eseguita PEG dopo polmonite ab ingestis. Sviluppo di metastasi epatiche e cachessia neoplastica, decesso circa 1 anno dopo l’intervento chirurgico.
Considerazioni dei CTU:
Al momento del ricovero è risultato affetto da sindrome disventilatoria ostruttiva di
discreta entità che configurava un grado di invalidità permanente, inteso come danno biologico o danno alla salute, da valutarsi equamente nella misura del 18- 20%.
Quanto allo stadio della malattia neoplastica di cui era portatore trattavasi di
uno stadio avanzato G2 T2 N1 M0, Stadio II B (TNM),286,287 ed era stato preliminarmente sottoposto a chemioterapia neoadiuvante288 allo scopo di migliorare
i risultati della successiva terapia chirurgica o, meglio, renderla possibile, che
rappresenta l’unica terapia accreditata di risultati curativi nel carcinoma broncogeno289. La sopravvivenza dei pazienti portatori di carcinoma broncogeno in
tale stadio è stimata essere del 25% a 5 anni290.
L’intervento di pneumonectomia sinistra non è da considerarsi intervento di
speciale difficoltà, secondo i parametri stabiliti dalla Suprema Corte, ma è comunque un intervento di chirurgia maggiore che, soprattutto nei casi di voluminose neoplasie interessanti l’ilo polmonare, può proporre la soluzione di problemi tecnici davvero importanti, in taluni casi di ardua realizzazione, con il rischio
di gravi complicanze operatorie.
286 Godstraw : The IASLC Lung Cancer Staging Project : proposal for the revision of the
TNM stage groupings in the forthcoming 7th edition of the TNM edition of the malignant
tumors. J.Thorac.Oncol.2:707, 2007.
287 Edge S.B. : AJCC Cancer Staging Manual , ed. 7, Springer, 2000.
288 Shiller J.H. : Comparison of four chemotherapy regimens for advanced non-small-cell
lung cancer. N.Engl.J.Med. 346: 92, 2012.
289 Scott J.W: Treatment of no small cell lung cancer stage I and stage II : ACCP evidence
based clinical practice guidelines. Chest 132:234S, 2007.
290 Putnam J.B : Lung, chest wall, pleura and mediastinum. In Sabiston Textbook of Surgery,
Elsevier, 1581, 2012.
Casi peritali simulati e commentati
259
Ma bisogna tener presente che in questi casi l’alternativa è la sola toracotomia
esplorativa, ovvero la rinuncia all’unico intervento chirurgico ad intento curativo,
per cui il portare a termine l’intervento resettivo diviene di importanza cruciale.
Nel caso in oggetto il chirurgo descrive una situazione localmente difficile: difficoltoso isolamento degli elementi ilari del polmone per l’entità della massa stessa e per la retrazione dei tessuti provocata dalla neoplasia.
Malgrado questo le strutture dell’ilo polmonare sono state accuratamente isolate: in
particolare è necessario osservare che la estensione centripeta della neoplasia non
ha richiesto l’apertura del sacco pericardico per la legatura intrapericardica dei vasi.
I vasi polmonari sono stati suturati con suturatrici meccaniche, due vasi bronchiali sono stati sezionati tra legature.
È da ritenersi che al termine dell’intervento non vi fosse un sanguinamento apprezzabile in atto, tenendo presente che le emorragie dai vasi polmonari, sia
arteriosi che venosi, sono rapide e massive. I vasi polmonari sono stati suturati
con suturatrici meccaniche, due vasi bronchiali sono stati sezionati tra legature.
La complicanza emorragica si è verificata a distanza di 5 ore dalla fine dell’intervento con una improvvisa, abbondantissima perdita ematica dal drenaggio toracico.
In tempi brevissimi si procedette ad una toracotomia d’emergenza salvavita al
letto del malato, che evidenziava una lacerazione del pericardio, un gemizio dalla
vena polmonare superiore e una lacerazione dell’atrio sinistro poco sotto la sutura
meccanica, che venivano suturati dopo posizionamento di clamp sull’atrio.
Le riscontrate lesioni emorragiche sono certamente da mettere in relazione causale con l’intervento di pneumonectomia eseguito poco prima.
La pneumonectomia in paziente portatore di broncopneumopatia cronica ostruttiva
è un intervento comunque invalidante, che compromette ulteriormente la funzione
respiratoria e la qualità della vita. È da ritenersi che nel corso delle manovre di isolamento del tumore, così come degli elementi ilari, si sia procurata una discontinuazione del pericardio e dell’atrio, tangenziali, verosimilmente di difficile riconoscimento in sede intraoperatoria, perché al momento non sede di evidente emorragia.
Essa si è resa manifesta all’improvviso dopo 4 ore, e la toracotomia d’emergenza al
letto tempestivamente eseguita ha consentito il controllo dell’emorragia, al prezzo
però di reliquati neurologici gravissimi ed irreversibili (encefalopatia post-anossica).
Non si rendono evidenti elementi di imperizia, ed è assai difficile stabilire, anche
ex post, se tale complicanza potesse essere nel caso in oggetto prevedibile e prevenibile. Ma certamente essa non si sarebbe verificata se il chirurgo, preso atto
della difficoltà tecnica dell’intervento, avesse rinunciato ad una resezione curativa (effettuando solo una toracotomia esplorativa), compromettendo però del
tutto le possibilità di realizzare una terapia efficace della malattia neoplastica.
Qualora l’intervento di pneumonectomia non fosse stato gravato dalla nota
complicanza il paziente sarebbe guarito con una situazione comunque invalidante a causa della perdita di un polmone, per giunta in soggetto con broncopneumopatia cronica ostruttiva e ridotta diffusione alveolo-capillare dei gas (il
volume espiratorio massimo residuo era infatti previsto pari al 40% del teorico)
configurando un danno biologico non inferiore al 50-60%.
La responsabilità del chirurgo
260
La citata complicanza ha comportato un prolungamento significativo della
ospedalizzazione per complessivi 5 mesi che andrebbero quindi intesi tutti come
periodo di inabilità temporanea assoluta.
In caso di esito favorevole dell’intervento è probabile che la ospedalizzazione
per trattamento riabilitativo non si sarebbe prolungata oltre i due mesi.
È da ritenere che le condizioni del paziente siano andate inesorabilmente peggiorando a causa della progressione della patologia in essere fino determinarne la morte a causa di cachessia neoplastica: il suo decesso è da ascriversi alla evoluzione del
carcinoma polmonare con metastatizzazione diffusa e non alla condotta professionale dei sanitari di parte convenuta nel corso dell’intervento di pneumonectomia.
Considerazioni di parte ricorrente:
Vi fu errore tecnico intraoperatorio imprudente. La lacerazione atriale non dipendeva da cause accidentali, non prevedibili né prevedibili, ma da un errato
comportamento. In assenza della complicanza verificatasi il paziente avrebbe
potuto vivere ancora 5 anni.
Risposta dei CTU:
Il chirurgo si è assunto dei rischi, ben ponderati, anche sulla base della propria
comprovata esperienza, convinto che il paziente non avrebbe potuto disporre
di alternative terapeutiche efficaci alla asportazione chirurgica. La complicanza
verificatasi è conseguenza di una scelta terapeutica coraggiosa e non avventata:
dalla descrizione dell’intervento infatti non emergono criticità per quanto concerne la conduzione dello stesso.
Relativamente alle prospettive di sopravvivenza, si conferma che il paziente,
malgrado l’asportazione chirurgica del tumore primitivo, ha avuto una rapida
metastatizzazione con conseguente cachessia neoplastica che l’ha portato a morte a distanza di 1 anno dall’intervento.
Si ritiene dunque che le gravi complicanze dello stesso non siano responsabili di
una apprezzabile anticipazione dell’evento morte.
Sintesi:
Si dimostra qui come una scelta tecnica difficile e coraggiosa possa essere complicata da gravi reliquati. È l’eterno dilemma del chirurgo, chiamato ad effettuare quotidianamente tale scelta. La descrizione dell’intervento era ineccepibile.
In questo caso la complicanza emorragica è stata controllata al letto con una
toracotomia resuscitativa di emergenza, che però non ha potuto evitare i danni
neurologici da anossia cerebrale. Tuttavia, la malattia neoplastica è evoluta molto rapidamente conducendo a morte il paziente in breve tempo, a dispetto della
apparente radicalità dell’intervento di exeresi polmonare. Nessuna responsabilità quindi dei chirurghi per l’evento morte.
Casi peritali simulati e commentati
261
Caso 43
Emoftoe in Pronto Soccorso, exitus
Consulenza tecnica d’Ufficio:
ATP, CTU un medico legale, un chirurgo
Vicenda clinica:
Maschio di circa 75 anni, giungeva tramite autoambulanza 118 al Pronto Soccorso
dell’Ospedale Alfa per febbre e tosse, seguiti da malore. Codice di priorità: verde.
EE: importante leucopenia WBC 1,61. Attende visita medica. SPO2 90%.
Dopo 2 ore e mezza Sat O2 75%, FA (terapia con Apixaban).
Dopo circa 3 ore dall’ingresso episodio di emoftoe.
Dopo altre 3 ore
Il paziente viene ammesso in sala visita per essere visitato dal medico. Sat O2
83%, inizia O2 terapia con occhialini. Praticato paracetamolo, episodio di emottisi franca. WBC 2,38, Hb 16%.
Dopo 1 ora
Visita anestesista: FC 190/min. Emottisi dopo tosse.
Terapia consigliata: O2 terapia con maschera, Cordarone (oppure Lanoxin?),
sostegno pressorio con liquidi. Paracetamolo. Antibioticoterapia? Consigliato
Rx/TAC torace, visita cardiologica ed ecocardiografia.
Dopo mezz’ora
ACC dopo episodio di emoftoe, intubazione.
Visita cardiologica: mancata ripresa di attività meccanica e di circolo.
Dopo 30 minuti, si constata il decesso.
Considerazioni di parte ricorrente:
Dopo 3 ore di attesa della visita medica importante episodio di emoftoe, riferito
dalla figlia sia all’infermiera del triage sia al medico presente in sala emergenza,
che così rispondevano alla sua richiesta di aiuto: infermiera: “prenda un lenzuolo e pulisca il sangue per terra”; medico: “non ho tempo”. L’attesa del paziente
continuava senza ricevere nessun tipo di assistenza.
Dopo oltre 5 ore di attesa, completamente privo di cure, il paziente veniva ammesso in sala visita. Subito si riscontrava una grave insufficienza respiratoria,
con ipossiemia (pO2 83%), FA, iniziava ossigenoterapia con occhialini.
262
La responsabilità del chirurgo
Richiesta visita cardiologica, che veniva effettuata un’ora e un quarto più tardi,
con paziente già in arresto cardiocircolatorio.
Nel frattempo, la frequenza cardiaca in FA era di 190/min, non trattata; 1 fl di
verapamil veniva somministrata solo 40 minuti più tardi.
Non si procedeva, come d’obbligo in casi consimili, ad un approccio clinico intensivo: incannulamento di grossa vena per infusione (meglio con CVC), esecuzione
immediata di Rx torace (anche al letto in Pronto Soccorso), posizione di sicurezza
(decubito laterale per evitare ab ingestis), eventuale pronta intubazione oro o nasotracheale, esecuzione d’urgenza di bronco-fibroscopia con endoscopio rigido con
paziente intubato, allo scopo di identificare la fonte di sanguinamento per agire di
conseguenza, se possibile con emostasi diretta del focolaio emorragico.
Qui nulla di questo è stato fatto, ed anche ammettendo che nell’Ospedale Alfa
non esistessero le “strutture” o le competenze per affrontare adeguatamente
una emorragia ad origine dall’apparato respiratorio, il paziente doveva tempestivamente essere trasferito, in ambulanza medicalizzata, presso altro Ospedale
adeguatamente attrezzato, anche se questo doveva avvenire alcune ore prima, a
seguito di una corretta valutazione in fase di Triage, e non più in limine vitae, con
il paziente deceduto in seguito ad ab ingestis.
E nemmeno 4 ore prima, era stato disposto il trasferimento a nosocomio “più
attrezzato” quando la figlia aveva invano avvertito, per avere soccorso, l’infermiera del triage e la dottoressa di guardia dell’avvenuta emoftoe, ed entrambe
lo avevano negato, come già detto, l’infermiera addirittura intimando alla figlia
di pulire il pavimento dal sangue del padre.
Giova qui rammentare che in corso di emottisi, ovvero di emorragia dalle vie aeree,
che le prime vie aeree possono venire ostruite in presenza di una quantità di sangue e
coaguli di soli 150 ml, ed anche quantità minori possono mettere in pericolo la vita291.
La mortalità corrente per emottisi massiva è del 13% ed è solitamente correlata
a soffocamento piuttosto che agli effetti sistemici dell’emorragia, come anche verificatosi nel caso in narrativa: qui infatti la morte è avvenuta per soffocamento
da ab ingestis di una quantità modesta di sangue, per l’assenza di un adeguato
soccorso, e non certo per le conseguenze di una emorragia massiva.
È opportuno rammentare che la diagnosi ed il trattamento dell’emottisi si ottengono
con l’Rx torace e la broncoscopia con endoscopio rigido eseguita in emergenza292.
Le cause più frequenti di emottisi sono rappresentate da tubercolosi, bronchiectasie e cancro del polmone. L’endoscopia con endoscopio rigido è comunque raccomandata (anche se l’endoscopia con endoscopio flessibile è comunque
utile per la diagnosi, per identificare la fonte di sanguinamento)293.
291 Worrell SG: Thoracic emergencies. Surg Clin North Am 94:183, 2014.
292 Shigemura N: Multidisciplinary management of life threatening massive hemoptysis: a
10-year experience. Ann Thor Surg 87:849, 2009.
293 (Shigemura N, Op cit; Sakr L: Massive hemoptysis: an update on the role of broncoscopy
in diagnosis and management. Respiration 80:38, 2010.
Casi peritali simulati e commentati
263
Il trattamento conservativo prevede in primo luogo il mantenere pervie le vie
respiratorie, la pronta asportazione del sangue nel loro lume, l’esecuzione di
broncoscopia, la sedazione farmacologica della tosse e lo stretto monitoraggio
fino a stabilizzazione294.
Anche la cateterizzazione angiografica con embolizzazione di microparticelle di
materiale sintetico può essere utilizzata nelle forme massive.295,296
In conclusione, il paziente è deceduto in Pronto Soccorso per un episodio di
emottisi di scarsa entità che ha determinato una ostruzione acuta dell’albero respiratorio e che ne ha causato il soffocamento con un conseguente arresto cardio-circolatorio irreversibile.
Tale ostruzione da ab ingestis ovvero inalamento di sangue nell’albero bronchiale
non è stata, come detto, né adeguatamente prevenuta (posizione di sicurezza,
intubazione oro o naso-tracheale), né in nessun modo trattata.
La sottostante fibrillazione atriale ad alta frequenza è stata trattata in modo inadeguato, in grande ritardo, a cuore scompensato, senza successo.
Il paziente condotto in Ospedale con ambulanza 118 ha dovuto attendere 5 ore
e mezza per essere ammesso a sala visita malgrado il riscontro di grave ipossiemia, espressione di una insufficienza respiratoria che non veniva in alcun modo
trattata; non è stato correttamente trattato con terapia resuscitativa, infusionale,
di supporto respiratorio, antiaritmica; nessuna procedura diagnostica per la diagnosi veniva eseguita; le consulenze specialistiche (cardiologica e rianimatoria)
sono state effettuate con inescusabile ritardo, rispettivamente di 1 ora e ¼ e di
3 ore dal primo episodio di emottisi; la terapia antiaritmica per la fibrillazione
atriale è stata praticata 45 minuti dopo che l’anestesista aveva registrato una FA
con frequenza di 190/min; non si è provveduto a trasferire il paziente in un ospedale adeguatamente attrezzato.
Le sopraelencate gravissime criticità, configuranti negligenza, imperizia, e i ritardi pongono inequivocabilmente in capo ai sanitari che ebbero in cura il paziente
presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa la responsabilità della sua morte.
Considerazioni dei CTU:
Considerando le competenze specialistiche disponibili all’Ospedale di Alfa, il
decorso della malattia e la evidente impossibilità di organizzare un trasferimento del paziente in condizioni di sicurezza, appare che la gestione clinica del caso
implicava la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.
294 Putnam JB: Lung, Chest Wall, Pleura and Mediastinum, In: Sabiston Textbook of Surgery, 1573, Elsevier 2017.
295 Chen J: Immediate and long-term results of bronchial artery embolization for hemoptysis due di benign versus malignant pulmonary diseases. Am J Med Sci 348:204, 2014.
296 Chun JY: Radiological management of hemoptysis: a comprehensive review of diagnostic imaging of bronchial artery embolization. Cardiovasc Intervent Radiol 33:240, 2010.
La responsabilità del chirurgo
264
Malgrado si identifichino alcuni ritardi nel percorso diagnostico-terapeutico, sia
pure a fronte di un monitoraggio dei parametri vitali da parte del personale infermieristico in assenza di franchi elementi di criticità clinica fino alla comparsa
di emottisi franca, durante la visita medica, non si evidenziano profili di responsabilità nella condotta dei sanitari intervenuti in un caso clinico molto complesso
e di ardua interpretazione diagnostica ex ante, tali da incidere in maniera significativa sulle possibilità di sopravvivenza del paziente.
Osservazioni di parte ricorrente alla relazione di CTU:
I CTU non conoscono il preciso significato, dal punto di vista giuridico, “di problemi
tecnici di speciale difficoltà”, che297 si ritiene si configurino nei casi: -per i quali nella
comunità scientifica vi siano accesi dibattiti e studi dagli esiti tra loro opposti; di patologie di recente emersione e non ancora ben studiate; caratterizzati da straordinaria e
particolare eccezionalità del loro manifestarsi e che non possono considerarsi ricompresi nel doveroso patrimonio culturale, professionale e tecnico del professionista.
Ma qui, qual era l’eccezionalità, al di là del fatto che il paziente non è stato degnato di uno sguardo per molte ore dal personale sanitario, e l’ab ingestis, (in
presenza di un piccolo focolaio broncopneumonico, patologia del tutto benigna)
non è stata nemmeno evitata ponendo il paziente in posizione di sicurezza?
Il paziente è deceduto soffocato dal suo sangue nei locali del Pronto Soccorso
dopo aver atteso 5 ore e mezza per essere visitato da un medico, e non esiste
nessuna evidenza documentale che questo fosse avvenuto prima.
L’assistenza infermieristica? L’infermiera ha detto, dopo oltre 3 ore di inutile
attesa, alla figlia del paziente di asciugare per terra perché il malato aveva sporcato il pavimento con il sangue che di lì a poco l’avrebbe soffocato.
E ancora: quale era la speciale tecnologia, e la particolare professionalità richiesta
che mancava all’Ospedale Alfa (al di là di quella che, per molte ore, è stata una
vera e propria omissione di soccorso): la possibilità di eseguire una broncoscopia?
(in un ospedale dotato di Rianimazione, Pronto Soccorso Generale, Servizio di Endoscopia, Otorinolaringoiatria). La perizia non tiene in nessuna considerazione le
Linee Guida e la bibliografia citata da parte attrice sulla diagnosi ed il trattamento
delle emorragie respiratorie. Essendo linee guida internazionali, così come la bibliografia, vi è da ritenere che i CCTTUU non le abbiano nemmeno lette, e non
propongono, di converso, a conforto delle loro opposte conclusioni, nessuna voce
bibliografica, nessuna linea guida, rendendole del tutto immotivate ed apodittiche.
Sintesi:
La perizia definitiva non ha subìto nessuna modifica a fronte delle contestazioni
di parte ricorrente. Qui si utilizza una formula assolutoria per “problemi tecnici
di speciale difficoltà” che ha un significato molto preciso, e che è invero utilizzata in casi eccezionali, come sopra sottolineato.
297 cfr. ex multis Cass. Civ. Sez III n. 3389/88.
Casi peritali simulati e commentati
265
Né è stato proposto un riferimento a linee guida di diagnosi e di trattamento,
e questo anche perché il quesito del Giudice era un quesito standard, del tutto
generico, che non costringeva i CTU a rispondere in modo inequivocabile a delle
domande precise. Il Giudice, infine, non ha concesso l’udienza per chiarimenti
richiesta da parte ricorrente.
Caso 44
Melanoma perianale, ritardo diagnostico, exitus
Consulenza tecnica d’ufficio (ATP):
un medico legale, un oncologo.
Vicenda clinica:
Donna di circa 40 anni. Visita dermatologica presso ambulatorio Lambda per lesione cutanea perianale, diagnosi di sospetta cheratosi seborroica e richiesta di
visita chirurgica.
Dopo 1 mese
Visita chirurgica presso Ospedale Alfa per nevo in sede perianale. Diagnosi di
cheratosi seborroica, consigliata asportazione.
Dopo circa 9 mesi
Asportazione di neoformazione pigmentata perianale diam. mm 25 presso
Ospedale Alfa.
Diagnosi istologica: Melanoma perianale, ulcerato, fase di crescita verticale,
Clark III/IV, mm 3,7 di spessore sec. Breslow.
Dopo due mesi
Ecografia e PET dimostrano linfoadenopatia inguinale destra.
Ricovero presso Ospedale Beta, intervento di ampliamento della precedente resezione e linfoadenectomia inguino-crurale destra.
Istologia: metastasi massive in 3/6 linfonodi.
Dopo 3 mesi
PET/TC di ristadiazione: ipercaptazione in sede linfonodale iliaca esterna destra.
In seguito
Visita oncologica presso Ospedale Gamma: presenza di almeno 2 lesioni di
circa 1 cm pericicatriziali perianali sottocutanee sospette per recidiva locale o
in transit di malattia.
266
La responsabilità del chirurgo
Ecografia cute e addome inferiore: in regione perianale due formazioni ravvicinate ovalari con riflessione disomogenea intensamente ipoecogena di dimensioni di mm 13 e mm 16 riferibili a recidive. All’ECD esse presentano intensa
vascolarizzazione. Regione inguinale destra e sinistra: bilateralmente numerose
adenopatie, con intensa vascolarizzazione riferibili a secondarismi. All’ecografia
pelvica adenopatie sospette in sede iliaca profonda bilateralmente. Agoaspirato
per citologia a sinistra, localizzazione di melanoma.
Dopo pochi giorni
TAC total body: metastasi inguinali ed iliache, epatiche e spleniche.
Dopo 1 settimana
Visita oncologica presso Ospedale Beta: proposto trattamento con inibitori di
BRAF + inibitori di MEK. Si attiva la richiesta nominale all’azienda farmaceutica
per la fornitura del farmaco Cobimrtinib (non ancora disponibile in commercio),
nel frattempo si inizia terapia con Vemurafenib 2 cp x 2.
Dopo 1 mese
Prosegue Vemurafenib 4 cp due volte al dì. Cobimetinib 3 cp die per 21 giorni
poi pausa di una settimana.
Dopo 4 mesi
Riscontro TC di aumentato numero e dimensioni delle metastasi epatiche.
Dopo 1 altro mese
Autorizzazione per trattamento combinato con cobimetinib.
Prosegue Vemurafenib 4 cp due volte al dì. Cobimetinib 3 cp die per 21 giorni
poi pausa di una settimana.
Dopo 2 mesi, comparsa di metastasi cerebrali.
Dopo 1 mese
Infusione di Nivolumab 2 volte al mese per 4 mesi.
Poi comparsa di ipertensione endocranica da localizzazioni cerebrali secondarie,
quindi decesso per insufficienza multiorgano.
Considerazioni di parte ricorrente:
La sopravvivenza complessiva a 5 anni di pazienti con melanoma a tutti gli stadi è del
91%298, ma raggiunge il 100% nei casi iniziali, dove è stata fatta una diagnosi precoce.
298 Balch CM: Final version of 2009 AJCC melanoma staging and classification. J Clin Oncol
27:6199, 2009.
Casi peritali simulati e commentati
267
La paziente era certamente affetta da melanoma perianale al momento della visita
dermatologica effettuata presso l’Ambulatorio Lambda, ed era poi sottoposta a visita
chirurgica che veniva effettuata presso l’Ospedale Beta. (firma illeggibile del medico, non identificabile). La natura della lesione non è stata riconosciuta dal chirurgo,
che ha del tutto erroneamente posto diagnosi di cheratosi seborroica comportando
un pregiudizio gravissimo successivo, addirittura quoad vitam, in una donna di 40
anni. Né il chirurgo si è posto il minimo dubbio nell’ambito di una possibile diagnosi differenziale, indirizzando la paziente almeno prudenzialmente ad una nuova
visita specialistica dermatologica che avrebbe obbligatoriamente dovuto, anche con
una biopsia escissionale da eseguirsi nell’immediato, stabilire la corretta diagnosi.
La diagnosi di melanoma maligno è solitamente semplice ed immediata: con l’utilizzo del dermoscopio, che ingrandisce la visione delle lesioni pigmentate, in
ogni caso discriminando le lesioni sospette da inviare all’accertamento bioptico,
si ottiene una specificità dell’85% ed una sensibilità del 95%299.
La diagnosi precoce e tempestiva di melanoma è fondamentale: la sopravvivenza a 10 anni per lesioni iniziali (spessore inferiore al mm) è del 91-100%, mentre
la sopravvivenza a 5 anni per lesioni di spessore superiore a 4 mm si riduce al
30%, ed è inferiore al 10% in presenza di metastasi300.
Il chirurgo consigliava l’asportazione chirurgica della lesione ponendo la paziente in lista di attesa: la paziente attendeva la chiamata per l’intervento per 11
mesi, per essere sottoposta quindi a biopsia chirurgica escissionale della lesione
che dimostrava la presenza di un melanoma in fase avanzata.
A questo punto, invece di celermente procedere per la stadiazione e l’intervento
di radicalizzazione, la paziente doveva ancora attendere quasi due mesi per essere sottoposta ad intervento chirurgico con intento curativo del melanoma, con
oltre 1 anno di ritardo dalla sua mancata evidenziazione clinica nel corso della
visita chirurgica, e con margini inadeguati.
Infatti, i margini raccomandati per Wide Local Excision (WLE) per lesione di 2 cm
di diametro è di 2 cm, quando nel caso in oggetto è stata al massimo di mm 10.
Tre mesi più tardi si rilevavano con la PET metastasi ai linfonodi iliaci ed inguinali, poi noduli metastatici “in transit” in sede perianale.
A questo punto la paziente avrebbe dovuto essere sottoposta ad intervento di
linfoadenectomia delle catene inguinali profonde e pelviche (iliache interne,
esterne ed otturatorie), così come all’asportazione delle metastasi sottocutanee
in sede perineale301. È questo un caso in cui il riconoscimento tempestivo della
natura lesione, ed il suo pronto e corretto trattamento, oltre 1 anno prima del suo
drammatico manifestarsi, al momento della tardiva diagnosi, come malattia me-
299 Berger TG: Dermatologic Disorders, 101: in Mc Phee SJ: Current Medical Diagnosis and
Treatment, Lange, 2010.
300 Berger, op. cit; Balch CM: Final version of 2009 AJCC melanoma staging and classification. J Clin Oncol 27:6199, 2009.
301 Kimbrough CV, Op cit, 740.
268
La responsabilità del chirurgo
tastatica, avrebbe assicurato al paziente una probabilità di guarigione definitiva
superiore al 95% contro una prognosi di sopravvivenza di pochi mesi.
L’indicazione terapeutica errata che è stata proposta ha, di fatto, modificato
drammaticamente la prognosi, anche in rapporto al ritardato trattamento del
melanoma (oltre 1 anno).
Tale responsabilità deve essere posta in capo sia al dermatologo dell’ Ambulatorio Lambda che ai sanitari dell’Ospedale Beta.
In capo ai sanitari dell’Ospedale Gamma deve essere posta invece la responsabilità del mancato tempestivo trattamento delle linfoadenopatie metastatiche
inguinali ed iliache e delle metastasi perineali.
Considerazioni dei CTU:
Si rilevano tre elementi di responsabilità: errata diagnosi dermatologica; errata
condotta del chirurgo dell’Ospedale Alfa per mancato approfondimento diagnostico e mancata considerazione del rischio di porre la paziente in una lista
d’attesa sine die; incompleto intervento all’Ospedale Beta per mancata asportazione dei linfonodi iliaco-otturatori.
Inizialmente non vi erano segni di metastasi linfonodali, e la paziente è stata
operata con inemendabile ritardo dopo la comparsa delle stesse. Pertanto si deve
ritenere, in chiave altamente probabilistica, che vi fossero significative chances
di eradicazione completa della malattia.
In realtà però, inizialmente nessuna stadiazione della neoplasia veniva eseguita,
per cui nessun giudizio prognostico può essere espresso con esattezza scientifica.
Dovendo considerare la mancata certezza della guarigione di una patologia tumorale, anche se diagnosticata e trattata tempestivamente, ci si orienta su una
responsabilità del chirurgo dell’Ospedale Alfa, che viene a configurare una perdita di chances di sopravvivenza del 60%, con criterio altamente probabilistico.
Osservazioni di parte ricorrente alla relazione dei CTU:
In ambito civile, la causalità segue la logica del “più probabile che non”: si deve
pertanto ritenere “più probabile che non” l’esistenza del nesso di causa tra il
comportamento omissivo e/o attivo dei sanitari e le lesioni subite dal paziente o
il suo decesso. Si tratta di un criterio meno rigoroso, proposto in via maggioritaria da dottrina e giurisprudenza, secondo cui è sufficiente che il nesso causale
tra la condotta omissiva e/o attiva dei sanitari e l’evento lesivo, nel caso di specie
la morte della paziente, si sia verificato con una probabilità pari al 50% più 1. I
CTU invece credono che si rappresenti una perdita di chance determinata nella
misura del “60%, con criterio altamente probabilistico”.
È importante sottolineare che si configura una perdita di chance quando l’evento
dannoso si sarebbe comunque verificato a causa della patologia di cui era affetta
la paziente e che l’attività lesiva posta in essere dai sanitari ha ridotto le chances
di cura e di qualità di vita della stessa.
Casi peritali simulati e commentati
269
In questo caso, invece, non si configura una perdita di chances, ma una perdita
del risultato sperato in quanto l’evento morte si sarebbe potuto evitare con elevata probabilità. Secondo il criterio del “più probabile che non” l’adozione, da
parte dei sanitari, di una diversa condotta avrebbe evitato la morte della paziente con elevata probabilità.
Nel caso di specie ci troviamo di fronte a un cosiddetto “caso chiuso” dal momento che il danno si è già verificato in quanto la paziente è deceduta. Pertanto,
si potrebbe prendere in considerazione la perdita di chance solo se si accertasse
che il nesso di causa si fosse verificato con una probabilità compresa tra lo 0%
e il 50%, ma questo non è il nostro caso dal momento che la probabilità supera
ampiamente il 50% (sarebbe stato diverso se il caso fosse stato “aperto” perché
qui sì che la perdita di chance può superare il 50%)302.
Risposta dei CTU:
A parte il fatto che il 60% di perdita di chances di per sé realizza una maggior
probabilità di sopravvivenza, rispetto all’evento morte il melanoma sfugge a
qualunque valutazione prognostica, anche in presenza di stadiazione. Quindi,
nel caso in specie, a maggior ragione in assenza di stadiazione, non è possibile
in modo scientificamente sostenibile affermare che la paziente, se operata nei
tempi dovuti, si sarebbe salvata.
Sintesi:
Curiosa e personalistica interpretazione del significato di perdita di chances
piuttosto che pieno riconoscimento del nesso di causa. Vero è che si tratta di un
argomento molto complesso: a rigore la perdita di chance non attiene al nesso
di causa, ma al danno. Tale assunto teorico è difficile da calare nei singoli casi,
poiché lo scivolamento dal piano del nesso causale a quello danno è molto insidioso e non è nient’affatto semplice dirimere dove finisca l’uno e dove inizi l’altro e stabilire così come utilizzare le percentuali che si traggono dalla letteratura
scientifica: quali utilizzare per il nesso causale e quali per il danno? L’argomento
è a tutt’oggi in via di rielaborazione.
Il Giudice può trovarsi in difficoltà a prendere una decisione sulla base dell’ATP,
a maggior ragione in un caso come quello esemplificato, nel quale le strutture
soccombenti a corrispondere il risarcimento di un danno che diventa, in questi termini, più difficile quantificare. È una situazione che prevede il fallimento
della ATP come strumento per raggiungere un accordo tra le parti, favorendo il
prosieguo del contenzioso in un contesto giuridico ulteriore.
302 Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni SIMLA, Linee guida per la valutazione medico-legale del danno alla persona in ambito civilistico, Giuffrè Editore, Milano,
2016: Cap VI “La perdita di chance”, p.: 61-69.
270
La responsabilità del chirurgo
Caso 45
Fascite necrotizzante (gangrena di Fournier) da ascesso
perianale, exitus
Consulenza tecnica d’Ufficio (ATP):
un medico legale, un chirurgo plastico.
Vicenda clinica:
Maschio di circa 55 anni, diabetico, si recava al Pronto Soccorso dell’Ospedale
Alfa per dolore addominale e stipsi da 6 giorni. Leucocitosi, Rx addome n.d.p.
Visita chirurgica: ascesso perianale e gluteo non ancora in fase di colliquazione.
Consigliati impacchi caldo-umidi e ceftriaxone 1 gr/die.
Dimesso, dopo poche ore ritorna in Pronto Soccorso per ritenzione acuta di urina, posizionato catetere vescicale.
Dopo altre 4 ore
Ingresso al Pronto Soccorso dell’Ospedale Beta per visita urologica: al momento
non patologia urologica d’urgenza.
Dopo mezza giornata
Nuovo accesso al Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa: febbrile, disidratato, presenza
di vasto ascesso gluteo sinistro che si estende fino ai genitali. Ricovero in Chirurgia.
Terapia antibiotica: Deflamon 1 g x 3; Merrem 1 g x 2; Targosid 400 x 2; Clindamicina 600 x 4; Gentamicina 1 fl x 2.
TAC addome: presenza di numerose microbolle aeree con raccolte a contenuto
fluido-sovrafluido a carico del Retzius, in sede perivescicale, in fossa ischio-rettale
sinistra estese allo scroto e alla radice del pene ed al perineo, a maggior estrinsecazione a sinistra. Ascesso perianale postero-laterale a sinistra. Presenza di multiple
formazioni linfonodali in sede iliaca esterna e interna. Addensate appaiono le fasce lateroconali bilateralmente, il mesoretto, il mesosigma e le riflessioni peritoneali dello scavo pelvico. Quadro compatibile con fascite necrotizzante.
Intervento (1):
Diagnosi: fascite necrotizzante del perineo e dello scroto (sindrome di Fournier). Incisione perianale destra e sinistra, a sinistra prolungamento della incisione cutanea verso l’inguine con apertura dello scroto. Necrosectomia. Lavaggi
con H2O2 e Betadine, emostasi e zaffaggio con garze iodoformiche.
Dopo l’intervento
Consulenza iperbarica: non attuale emergenza iperbarica. Per disorientamento
e confusione mentale esegue TAC encefalo: negativa.
La sintomatologia neurologica permane nei giorni successivi.
Casi peritali simulati e commentati
271
In IV giornata post operatoria
TAC addome: maggiore estensione della nota raccolta pelvica lungo la fascia lateroconale destra fino in sede periepatica con associate bolle aeree contestuali. Voluminosa raccolta fluida in fossa iliaca destra, del diametro di 13 cm, delimitata
dai foglietti peritoneali ispessiti ed iperemici, anche essa contenente bolle aeree.
Intervento (2)
Diagnosi: ascesso peritoneale. Relaparotomia xifo-pubica. Toilette del cavo peritoneale e della cavità ascessuale perivescicale. Politrasfuso. Trasferito presso
il Reparto di Rianimazione per grave insufficienza respiratoria acuta in stato
settico da sindrome di Fournier sottoposto ad intervento chirurgico di relaparotomia per ascesso peritoneale, retroperitoneale perforato e raccolta ascessuale
periviscerale in diabetico.
Consulenza medicina iperbarica: peggiorato il quadro polmonare, controindicazione a OTI. Nei giorni seguenti persistenza di grave stato settico, instaurarsi
di MOF, decesso in 19° giornata di ricovero.
Considerazioni per parte ricorrente:
Il paziente presentava all’ingresso in Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa i segni
di una sepsi da ascesso gluteo e perianale che sarebbe, nell’arco di poche ore,
evoluta in fascite necrotizzante del perineo (s. di Fournier) che, non tempestivamente ed adeguatamente trattata, lo ha condotto a morte.
Le infezioni necrotizzanti dei tessuti molli (NSTI) sono una complicanza delle
infezioni della cute e dei tessuti molli.303,304,305
La rapidità della estensione delle lesioni e la compromissione sistemica costituiscono una condizione di rischio per la sopravvivenza in assenza di un idoneo ed aggressivo trattamento. Gli agenti patogeni coinvolti producono tossine e molecole infiammatorie che determinano il danno tissutale, con ischemia e necrosi colliquativa.
Questo innesca una risposta infiammatoria dell’organismo (SIRS) che può evolvere in sepsi, insufficienza multiorgano (MOF) e morte.
Un ritardo nella diagnosi e nel trattamento è responsabile di un significativo aumento
della mortalità, che è riportata variare dal 6% al 76%, con una media del 23%.306,307. Le
NSTI possono coinvolgere gli strati superficiali (cellulite necrotizzante), il piano fasciale (fascite necrotizzante - NF) ed anche le logge muscolari (miosite necrotizzante).
303 Napolitano LM: Severe soft tissue infections. Infect Dis Clin North Am 23:571, 2009.
304 Sartelli M: World Society of Emergency Surgery (WSES) guidelines for management of
skin and soft tissue infections. World J Emergency Surgery 9:57, 2014.
305 Stevens DL: Practice Guidelines for the diagnosis and management of skin and soft tissue infections. Clin Infect Dis 41:1373, 2005.
306 Hua C: Prognostic factors in necrotizing soft-tissue infections (NSTI): a cohort study. J
Am Acad Dermatol.
307 el Benjelloun B: Fournier’s gangrene: our experience with 50 patients and analysis of
factors affecting mortality. World J Emerg Surg 8:13, 2013.
272
La responsabilità del chirurgo
In particolare, la NF evolve rapidamente verso la necrosi delle strutture fasciali
e perifasciali, solitamente sostenuta da infezioni polimicrobiche, con prevalente
interessamento degli arti inferiori, dell’addome e del perineo. Nella maggior parte
dei casi la NF è favorita dalla discontinuazione dei tegumenti a seguito di traumi
penetranti, ustioni, ulcere, ascessi. Il coinvolgimento della regione perineale e dei
genitali costituisce una particolare forma di NF, nota come gangrena di Fournier e
consegue a patologia anorettale o genito-urinaria.
Si distinguono 4 classi di gravità, e al momento della prima presentazione in
Pronto Soccorso all’Ospedale Alfa il paziente si trovava in classe III (presenza di
SIRS: febbre, tachicardia, tachipnea e/o ipotensione).
La diagnosi di NSTI è inizialmente clinica, ed i suoi segni e sintomi evolvono
caratteristicamente nel giro di poche ore dalla loro insorgenza, e sono: dolore intenso e costante; presenza di vescicole cutanee; necrosi cutanea; enfisema
sottocutaneo; edema circostante a zone eritematose; anestesia cutanea; segni di
tossicità sistemica (febbre, danno d’organo); progressione delle manifestazioni
malgrado la terapia antibiotica.
Per facilitare la diagnosi di NSTI è stato elaborato il punteggio Laboratory Risk Indicator for Necrotizing Fascitis (LRINEC), che utilizza parametri di laboratorio quali PCR, leucociti, emoglobina, sodio, creatinina, glucosio.Un punteggio > 6 ha un
valore predittivo positivo del 92% ed un valore predittivo negativo del 96%308. Nel
caso in oggetto il punteggio LRINEC, qualora fosse stato calcolato, era di 10, quindi
chiaramente espressivo per la diagnosi di infezione necrotizzante dei tessuti molli.
Importante per la diagnosi è la diagnostica strumentale: ecografia, TAC, risonanza magnetica. L’ecografia ha per le NSTI una accuratezza del 91%, dimostrando
l’ispessimento diffuso del sottocute e la presenza di film fluido>4 mm di spessore lungo il piano fasciale309. La TAC ha sensibilità pari al 100%per la diagnosi di
NSTI. I segni patognomonici sono: disomogeneità del tessuto adiposo, presenza
di raccolte e gas nei tessuti molli lungo i piani fasciali, ispessimento delle fasce
e mancata impregnazione di contrasto delle stesse310. La RNM ha sensibilità del
100% con il 94% di accuratezza per la diagnosi di NSTI. Segni caratteristici sono:
ispessimento>3 mm del piano fasciale, coinvolgimento delle strutture fasciali,
presenza di alterazioni di tre o più comparti di una estremità.311,312
308 Wong C: The LRINEC laboratory risk indicator for necrotizing fascitis score: a tool for
distinguiscing necrotizing fascitis from other soft tissue infections. Crit Care Med 3:1535,
2004.
309 Yen ZS: Ultrasonographic screening of clinically suspected necrotizing fasciitis. Acad
Emerg Med 9:1448, 2002.
310 Zacharias N: Diagnosis of necrotizing soft tissue infections by computed tomography.
Arch Surg 145:452, 2010.
311 Schmid MR: Differentiation of necrotizing fasciitis and cellulitis using MR imaging. Am
J Roentgenol 170:615,1998.
312 Kim KT: Can necrotizing infectious fascitiis be differentiated from non necrotizing infectious fasciitis with MR imaging? Radiology 259:816, 2011.
Casi peritali simulati e commentati
273
Una diagnosi rapida può essere fatta anche mediante biopsia del tessuto fasciale
analizzato al congelatore313. Allo stesso scopo si utilizza il Finger Test: incisione
di 2 cm di cute e sottocute in anestesia locale: se l’introduzione del dito al di sotto
del sottocute determina un facile scollamento dello stesso dalla fascia, oltre che
la fuoriuscita di liquame maleodorante con assenza di sanguinamento, il test è
positivo per una diagnosi certa di NSTI314.
Per quanto riguarda il trattamento, le NSTI rappresentano un’emergenza chirurgica, ed il suo caposaldo, in accordo con le linee guida WSES315 è rappresentato
da una asportazione ampia dei tessuti necrotici, da associarsi ad una terapia
antibiotica adeguata e al supporto intensivo delle funzioni vitali.
Nel corso degli interventi chirurgici devono essere prelevati frammenti di tessuto e campioni di liquido da inviare per esame colturale.
Sono necessarie revisioni programmate in sala operatoria ogni 24-48 ore, fino
ad ottenere la completa bonifica dei tessuti devitalizzati. In caso di NSTI del
perineo può essere necessaria una diversione del transito fecale, mediante colostomia o con il posizionamento di sonde rettali che proteggano i tessuti molli
da ulteriori contaminazioni316. Una volta ottenuta la completa asportazione dei
tessuti necrotici possono applicarsi sistemi di medicazione a pressione negativa
per facilitare la rimozione delle secrezioni e la granulazione tissutale.
Il trattamento antibiotico ad ampio spettro deve essere iniziato precocemente, prima ancora del risultato degli esami colturali. Esso deve coprire germi
Gram-positivi, Gram-negativi, aerobi, anaerobi e stafilococco meticillino-resistente (MRSA). Gli esami colturali debbono comunque essere rapidamente effettuati, allo scopo di instaurare al più presto una terapia mirata.
L’utilizzo della ossigenoterapia iperbarica (HBO) nei paziento con NSTI è controversa317. In conformità alle linee guida internazionali WSES, la HBO può esser
presa in considerazione solo per il trattamento dei pazienti stabili, e solo se le
sedute di ossigenoterapia non interferiscono con quelle chirurgiche per il completamento del debridement. Non esiste alcun dubbio circa il fatto che l’ascesso perianale e gluteo avrebbe dovuto, al momento dell’ingresso del paziente in
Pronto Soccorso, essere drenato chirurgicamente, come sempre deve esser fatto
per tale tipo di ascessi, ben sapendo che la terapia antibiotica da sola non è suf-
313 Majeski J: Necrotizing fasciitis: improved survival with early recognition by tissue biopsy and aggressive surgical treatment. South Med J 90:1065, 1997.
314 Anaya DA: Necrotizing soft tissue infections: diagnosis and management. Clin Infect Dis
44:705, 2007.
315 Sartelli M, Op cit.
316 Estrada O: Rectal diversion without colostomy in Fournier’s gangrene. Tech Coloproctol
13:157, 2009.
317 Massey PR: Hyperbaric oxigen therapy in necrotizing soft tissue infections. J Surg Res
177:146, 2012; Shaw JJ: Not just full of hot air: hyperbaric oxygen therapy increases survival
in cases of necrotizing soft tissue infections. Surg Infect 15:328, 2014.
274
La responsabilità del chirurgo
ficiente a controllare il processo infettivo ed evitarne le complicanze, così come
inevitabilmente verificatosi nel caso in oggetto.318,319,320,321,322,323,324,325,326
Inoltre, l’intero iter di trattamento è stato scorretto, del tutto irrispettoso delle
linee guida e delle buone pratiche clinico-assistenziali a fronte di diagnosi di
ascesso anale e rettale:
•
ritardo di oltre 20 ore nel trattamento chirurgico dell’ascesso perianale e
gluteo, estesosi nel frattempo ulteriormente alla regione glutea, alla fossa
ischiorettale e quindi ai genitali; suo inadeguato trattamento (mancato drenaggio pelvico e dello spazio del Retzius);
•
mancata revisione chirurgica ogni 24-48 ore in sala operatoria per debridement, necrosectomie, lavaggi, trattamenti aperti e medicazioni;
•
terapia antibiotica empirica del tutto inadeguata, comunque non mirata al
risultato di ripetuti esami colturali;
•
ritardo nella diagnosi di raccolta pelvica e retroperitoneale (almeno 5 giorni)
conseguenza di sepsi a partenza perianale e glutea insufficientemente trattata;
•
ritardo ed inadeguatezza del trattamento chirurgico della ascessualizzazione pelvica e retroperitoneale, che avrebbe dovuto realizzare un più esteso e
completo drenaggio del retroperitoneo e dello spazio pelvico, con successivo trattamento aperto e medicazioni a pressione negativa;
•
mancata diversione del transito fecale;
•
insufficiente apporto nutrizionale in paziente settico per correzione del catabolismo conseguente alla sepsi.
In conclusione è da ritenersi che la morte del paziente sia causalmente da ascrivere ai colpevoli errori comportamentali del personale medico di assistenza
dell’Ospedale Alfa.
318 Merchea A: Anus. In: Sabiston Textbook of Surgery, 1406, Elsevier 2017.
319 Blumetti J: Anorectal abscess and fistula. In: Cameron JL :Current Surgical Theraphy,
265,Elsevier 2014.
320 Abcarian H: Anorectal infection: abscess – fistula. Clin Colon Rectal Surg 24:14, 2011.
321 Vasilevski C: Anorectal abscess and fistula. In Beck DE Ed: The ACRS textbook of colon
and rectal surgery, 219, Springer 2011.
322 Stremitzer S: Treatment of perianal sepsis and long-term outcome of recurrence and
continence. Colorectal Dis 13:703, 2011.
323 Gallone L: Ascessi anali, perianali e perirettali. In Gallone L: Chirurgia, 1686, Casa
Editrice Ambrosiana, 2005.
324 Dionigi R: Chirurgia, 1469, Masson Editore, 1997.
325 Whiteford MH: Practice parameters for the treatment of perianal abscess and fistula-in-ano. Dis Colon Rectum 48:1337, 2005.
326 Holzehimer RG:Treatment procedures for anal fistulous cryptoglandular abscess-how to
get the best results. Eur J Med Res 11:501, 2006.
Casi peritali simulati e commentati
275
Considerazioni dei CTU:
Le linee guida del Royal College of Surgeons raccomandano che gli ascessi siano
idealmente drenati entro 24 ore. Nel caso in esame il paziente fece ricorso alle
cure per addominalgia con stipsi e che in questa direzione furono orientate le
indagini: il riscontro dell’ascesso è da considerarsi occasionale, nel corso della
visita chirurgica. Inoltre, non trattavasi di un ascesso “franco”, non era ancora in
fase di colliquazione e dunque non poteva essere drenato. Quindi l’indicazione
ad impacchi caldo-umidi e controllo a 36-48 ore è da ritenersi corretta. L’esame
radiologico dell’addome aveva escluso una condizione acuta in atto, gli esami di
laboratorio furono dimostrativi di un’infezione in corso, ma questo poteva ben
essere in rapporto con l’infezione respiratoria coesistente.
Non possono quindi esprimersi censure in ordine all’operato dei medici del
Pronto Soccorso dell’Ospedale Beta.
Poco dopo la dimissione, necessitando il trattamento di una ritenzione acuta
di urina, certamente connessa con la presenza dell’ascesso perianale, i medici
del medesimo Pronto Soccorso omisero di eseguire un controllo chirurgico, e a
maggior ragione più tardi presso l’Ospedale Beta, dove di fece un controllo urologico ma la problematica chirurgica venne del tutto scotomizzata.
Dopo il quarto accesso in Pronto Soccorso, all’Ospedale Alfa il paziente venne finalmente ricoverato in Chirurgia, ma si attese fino al giorno seguente per eseguire la
TAC addome che dimostrava compiutamente la gravità della situazione in essere,
dando indicazione all’esecuzione del primo intervento chirurgico. Si ravvede quindi
un ritardo diagnostico-terapeutico legato alla sottovalutazione della situazione clinica. La descrizione dell’intervento non è particolareggiata come si dovrebbe.
Certamente la gangrena di Fournier era già in atto. Lo sbrigliamento chirurgico
tempestivo ed aggressivo è il cardine per il successo del trattamento: l’intervento dovrebbe comportare un’ampia escissione del tessuto necrotico ed essere
ripetuto a distanza di non oltre 48 ore. La colostomia è riservata solo ai casi con
coinvolgimento della zona anorettale.
In conclusione, la causa della morte è qui rappresentata in uno stato settico quale
evoluzione dell’ascesso perianale, da porsi in nesso di causalità materiale con
il trattamento medico. Ricorrono carenze assistenziali nelle prestazioni fornite
presso gli Ospedali Alfa e Beta. Se le prestazioni fossero state eseguite correttamente, il decesso del paziente non si sarebbe realizzato nei tempi e nei modi nei
quali si è realizzato. La morte del paziente è in rapporto con elevato grado di
probabilità con le incongruenze assistenziali descritte.
Sintesi:
Complessivo riconoscimento di nesso di causa tra criticità assistenziali e morte
del paziente. Il chirurgo del Pronto Soccorso viene sollevato da responsabilità
in quanto l’ascesso perianale e gluteo non era ancora colliquato, e quindi non
poteva ancora essere trattato chirurgicamente.
La responsabilità del chirurgo
276
Ma poche ore dopo, affermano i CTU, era già troppo tardi per farlo con successo.
A questo punto giova rivedere il concetto di “ascesso”: “raccolta di pus in cavità
neoformata per colliquazione dei tessuti”. La necrosi colliquativa, condizione
comune alla genesi di qualsiasi ascesso…; nella parete dell’ascesso si distinguono: uno strato esterno detto membrana piogenica, uno strato intermedio costituito da tessuto di granulazione, uno stato esterno di fibrille collagene, destinate a
costituire la zona di sclerosi connettivale, al limite con i tessuti circostanti”.
È dunque evidente che l’ascesso non ancora in fase di colliquazione non esiste, in
quanto la colliquazione, dal punto di vista anatomo-patologico, è condizione sine
qua non per l’esistenza dell’ascesso. La diagnosi corretta era invece di flemmone:
“infiammazione diffusa del tessuto cellulare con tendenza necrotica e suppurativa”, che si propaga, senza note di demarcazione, negli spazi occupati da tessuto
cellulare e di connettivo lasso. Con il rapido estendersi del flemmone la grave
compromissione dello stato generale denuncia l’alta virulenza dei germi patogeni,
alla cui propagazione le difese cellulare e umorali non sanno opporre una efficace
barriera327, condizione questa da trattarsi chirurgicamente nell’immediato.
Caso 46
Tiroidectomia totale per struma, lesione bilaterale
dei nervi ricorrenti
Consulenza tecnica d’Ufficio (ATP):
un medico legale.
Vicenda clinica:
Donna di circa 40 anni, sottoposta presso l’Ospedale Alfa ad intervento di tiroidectomia totale per gozzo multinodulare, in cui la visualizzazione dei nervi
ricorrenti viene descritta.
Dopo l’intervento
Comparsa di dispnea: alla laringoscopia diretta le corde vocali appaiono fisse in
posizione intermedia, con riduzione dello spazio respiratorio.
Alla valutazione logopedica si rilevava una respirazione sterno-costale superiore, durata espiratoria di cinque secondi e durata fonatoria di due secondi. La
voce era soffiata. Consigliato ciclo di terapia logopedica.
327 Infezioni da piogeni. In Gallone G, Galliera M: Chirurgia, Vol I, 64, Casa Editrice Ambrosiana, 2005.
Casi peritali simulati e commentati
277
Dopo 1 anno
Rivalutazione ORL presso l’Ospedale Beta, in cui si confermava paresi delle
corde vocali in posizione paramediana, con motilità di circa il 15% circa sia in
abduzione che in adduzione, spazio respiratorio del diametro di circa 3 mm,
deficit di chiusura fonatoria lungo tutta la rima glottica.
Parametri spirometrici compatibili con sindrome mista di grado severo.
Quattro anni dopo
Esecuzione di intervento di cordotomia, senza beneficio.
Lo stato soggettivo è caratterizzato dal persistere di dispnea per sforzi anche
lievi (ridere, piangere, stress emozionali, eloquio prolungato, rapporti sessuali)
e da tirage respiratorio notturno. Dorme con due cuscini, riferisce disfagia. In
terapia antidepressiva con sertralina e benzodiazepine.
Considerazioni di parte ricorrente:
La paziente era affetta da nodulo del lobo sinistro della tiroide, del diametro
massimo di circa 3 cm. Agoaspirato per citologia: materiale ematico, numerosi
istiociti schiumosi o pigmentati, abbondante colloide e numerose cellule epiteliali compatibili con una origine da gozzo.
Riferiva senso di peso alla regione anteriore del collo, lieve difficoltà alla deglutizione. Le indicazioni al trattamento chirurgico dello struma nodulare benigno
sono: presenza di disturbi da compressione; dubbi di natura (neoplasia); ipertiroidismo; disturbo estetico da gozzo; estensione mediastinica.328,329
Nel caso in oggetto non ricorreva con certezza nessuna di queste condizioni.
La compressione tracheale deve in ogni caso essere valutata e dimostrata, cosa
che nel caso in oggetto non è stata fatta. Infatti, di regola, ogni paziente candidato a chirurgia tiroidea deve eseguire un Rx collo per parti molli per valutare
l’eventuale compressione/dislocazione tracheale e, nel sospetto di compressione, questa deve essere confermata da una tracheolaringoscopia per verificare la
motilità delle corde vocali ed il grado di stenosi (indicazione alla chirurgia per
stenosi superiore al 70%).
In presenza di stenosi/compressione tracheale il paziente deve essere sottoposto
a TAC o RNM del collo per completare l’approfondimento diagnostico preoperatorio. Nulla di tutto questo è stato fatto nel caso in narrativa, a fronte di sintomi sfumati e del tutto aspecifici.
Asportata la tiroide, alla successiva scintigrafia era dimostrata la persistenza di
area di fissazione del radiotecnezio nella regione anteriore del collo, a destra
della linea mediana, da riferire certamente a tessuto tiroideo residuo, e ciò prova
328 Clark O: Thyroid and parathyroid. In: Doherty GM: Surgery, Current Diagnosis and
Treatment, 265, 2010.
329 Gallone L: Chirurgia, 805, Casa Editrice Ambrosiana, 2005.
278
La responsabilità del chirurgo
che la tiroidectomia non fu totale. Inoltre, all’esame del laboratorio istopatologico del pezzo asportato dal chirurgo, la tiroide aveva un peso di gr 30 (valori
normali intorno a gr. 20), quindi era di dimensioni aumentate per la presenza di
un unico nodulo a carico del lobo sinistro, di tipo colloidocistico.
Pertanto, il corretto trattamento chirurgico di tale patologia doveva prevedere una
tiroidectomia parziale, ovvero una emitiroidectomia, essendo la tiroidectomia totale di principio un intervento eccessivo e non giustificato. Infatti, la percentuale di
noduli recidivati dopo chirurgia parziale che raggiunge volume ed estensione tali
da porre indicazione al reintervento, è inferiore al 5%, dopo anni330.
Tra le complicanze attribuite alla tiroidectomia totale la lesione del nervo laringeo ricorrente ha una incidenza dell’1-3%, considerando che si tratta nella quasi
totalità dei casi di paralisi ricorrenziali transitorie e non permanenti331 e comunque sempre conseguenti ad interventi per carcinoma.
Da tempo è entrato nella pratica clinica l’utilizzo del neuromonitoring intraoperatorio (IONM) dei nervi laringei ricorrenti in corso di interventi di tiroidectomia.
In una casistica di 430 interventi di tiroidectomia pari a 966 nervi ricorrenti a
rischio, si è utilizzato durante la dissezione chirurgica il monitoraggio intraoperatorio con monitor Xomed NIM II e il tubo endotracheale Xomed.
I nervi ricorrenti laringei e i nervi vaghi sono stati monitorati prima e dopo la
resezione tiroidea. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a fibrolaringoscopia pre e
postoperatoria. L’incidenza di lesione temporanea ricorrenziale è stata del 2,6%.
Non si sono verificate lesioni permanenti o bilaterali. L’accuratezza dello IONM
nell’identificare lesioni è stata del 97%, mentre la rilevazione intraoperatoria del
nervo attraverso la sola identificazione visiva è stata del 76%.332,333
In conclusione, è da ritenersi non sussistesse corretta indicazione all’intervento
chirurgico di tiroidectomia totale, da considerarsi un over treatment contrassegnato da colpevoli errori tecnici che portarono alla lesione bilaterale dei nervi
ricorrenti e da qui all’attuale danno per grave compromissione dell’apparato di
fonazione e respirazione.
Le conseguenze lesive in capo alla de cuius, in nesso causale con i colpevoli errori
tecnici richiamati, sono da risarcire facendo riferimento a: danno biologico permanente di circa il 40%; danno biologico temporaneo di circa due mesi al 75%
e circa due al 50%; un ulteriore danno biologico per grave impedimento nelle
attività dinamico-relazionali; una rilevante condizione di sofferenza morale, soprattutto per la percezione di notevole degrado della persona stessa.
330 Mattioli A: Ann Ital Chir, LXVII, 341, 1996.
331 De Jong S: Necessity and safety of completion thyroidectomy for differentiated thyroid
carcinoma. Surgery, 112:734, 1992.
332 Dionigi G: Monitoraggio intraoperatorio dei nervi laringei ricorrenti nella chirurgia
tiroidea: l’esperienza dell’Università dell’Insubria. Atti 112° Congresso Soc Ital Chir, 2010.
333 Wax M: Completion thyroidectomy in the management of well-differentiated thyroid
carcinoma. Otolaryngol Head Neck Surg 107:62, 1992.
Casi peritali simulati e commentati
279
Considerazioni del CTU:
Non furono svolte indagini strumentali atte a dimostrare la compressione tracheale, la funzione tiroidea era normale, a testimoniare che l’eventuale lobo residuo
ad una resezione parziale sarebbe stato in grado di sopperire al funzionamento
della ghiandola in toto. I dati disponibili non giustificavano l’esecuzione di un
intervento altamente demolitivo come la tiroidectomia totale: la condotta è stata
erronea e censurabile. Di conseguenza, la paziente è stata esposta ad un rischio
ingiustificato di lesione ricorrenziale omolateralmente. La mancata applicazione
delle metodiche di neuromonitoring intraoperatorio ha esposto la paziente ad un
rischio di complicanze maggiore rispetto a quello atteso, rappresentando ulteriore motivo di censura.
Riguardo alla quantificazione del danno la disfonia di entità moderata può essere valutata nella misura intorno al 20%; la sintomatologia respiratoria, legata
a deficit ostruttivo dinamico, rappresenta un danno stimabile intorno al 5%; la
perdita della funzione tiroidea, sopperita dal ricorso a terapia sostitutiva, rappresenta un pregiudizio quantificabile in circa il 10%. Applicando le opportune
formule riduzionistiche, il danno biologico permanente complessivo è quantificato nel 35% del totale. Confermata la valutazione di parte ricorrente dell’invalidità temporanea.
Osservazioni di parte resistente alla relazione del CTU:
Si sono seguite le linee guida della American Thyroid Association secondo le quali
la tiroidectomia totale o quasi totale può trovare indicazione nei pazienti con noduli di natura indeterminata e con malattia nodulare bilaterale o in quelli che la
preferiscono per evitare la necessità futura di un intervento a carico del lobo controlaterale. Il lobo destro residuo era di piccole dimensioni, e non avrebbe potuto
comunque sopperire efficacemente al funzionamento della ghiandola in toto. Il
neuromonitoring laringeo è inutile: infatti una importante meta-analisi di 64817
nervi ricorrenti a rischio non ha rilevato differenze statisticamente significative
nell’incidenza di paralisi ricorrenziali tra il suo utilizzo intraoperatorio e i casi nei
quali il nervo ricorrente veniva isolato con tecnica tradizionale334. La visualizzazione del nervo rimane il gold standard per l’identificazione del ricorrente, il neuromonitoraggio è indicato solo nei reinterventi e nelle procedure ad alto rischio.
La complicanza occorsa è da considerarsi prevedibile ma non prevenibile.
Conclusioni:
Il CTU confermava quanto già espresso nella bozza di consulenza tecnica.
334 Higgins TS: Recurrent laryngeal nerve monitoring versus identification alone on
post-thyroidectomy true vocal fold palsy: a meta-Analysis. Laringoscope 121:1009, 2011.
La responsabilità del chirurgo
280
Sintesi:
La prima osservazione è che il CTU nominato sia stato un medico legale da
solo, senza un collegio con un co-CTU chirurgo, e questo già in epoca avanzata
dall’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco. La valutazione complessiva del
danno permanente risulta comunque, matematicamente, da una sommatoria
dei singoli danni che lo compongono. La parte convenuta, al di là di una indicazione chirurgica che nelle sue modalità di esecuzione può essere oggetto di
discussione all’infinito, considera una lesione bilaterale dei ricorrenti un evento
prevedibile e non prevenibile, anche in assenza di qualunque tipo di difficoltà
tecnica, tesi invero difficilmente condivisibile.
Caso 47
Perforazione esofagea iatrogena in corso di bendaggio
gastrico per obesità
Consulenza tecnica d’Ufficio (ATO):
un medico legale, un chirurgo.
Vicenda clinica:
Donna di circa 50 anni, affetta da obesità grave: peso 160 kg x 165 cm di altezza,
BMI 57.
Intervento laparoscopico di bendaggio gastrico presso l’Ospedale Alfa. Febbre nel
postoperatorio, ripresa della alimentazione in IV giornata; in VI alla TAC raccolta
liquida perisplenica e falce d’aria subfrenica sinistra con livello idroaereo.
EGDS: decubito da bendaggio gastrico e breccia alla giunzione esofago-gastrica.
Intervento laparotomico per peritonite da perforazione cardiale posteriore (circa 3 cm) da decubito di bendaggio gastrico. Sutura e drenaggio.
Ricoverata in Terapia intensiva per shock settico, insufficienza respiratoria acuta, addensamento pneumonitico bibasilare; ventilazione meccanica con intubazione oro-tracheale. Infezioni polimicrobiche su liquido peritoneale, urine,
broncoaspirato. Eseguita tracheostomia. Diastasi della ferita con riscontro di
Stafilococco aureo, Escherichia coli; emocoltura positiva a E.coli; nel broncoaspirato Acinetobacter e Candida. Nutrizione enterale, comparsa di piaga sacrale
con presenza di Acinetobacter + Candida.
TAC torace: focolai flogistici plurimi. Broncoaspirato + per Proteus; dalla punta
di catetere in succlavia: Acinetobacter; dalla ferita addominale: Pseudomonas e
Proteus; da decubito sacrale: Acinetobacter e Pseudomonas.
Dopo due mesi e mezzo
Trasferita in Riabilitazione, inizio di nutrizione per os.
Casi peritali simulati e commentati
281
Dimessa dopo 1 mese, medicazioni a giorni alterne per tre mesi del decubito sacrale.
Dopo circa 6 mesi
Intervento chirurgico d’urgenza presso l’Ospedale Beta per laparocele permagno condizionante occlusione ileale.
In I giornata post operatoria
Deiscenza della plastica del laparocele e reintervento con rifissazione della rete.
A seguire depressione reattiva al fallimento dell’intervento bariatrico.
Reliquati: cicatrice xifo-sotto-ombelicale mediana della lunghezza di 35 cm, plurime cicatrici nummulari all’addome, cicatrice trasversale in ipocondrio destro
di 4 cm, tre cicatrici di circa 2 cm ciascuna in ipocondrio sinistro; cicatrice in
fianco sinistro verticale di 6 cm; cicatrice verticale in sede cervicale anteriore
mediana di circa 8 cm, slargata, ipertrofica con cheloide.
Deambulazione rallentata da obesità.
A termine della visita peritale e della discussione tra le parti i CTU ritengono di
aprire una fase mediativa ai sensi dell’art. 696-bis cpc, proponendo una valutazione di menomazione pari al 21-22%, ma parte convenuta ritiene di non poter
aderire essendo tale valutazione troppo diversa dalle proprie posizioni che indica come non superiori al 12-15%.
Considerazioni dei CTU:
Al momento del ricovero la paziente aveva un BMI di 57, ovvero era in una Classe III (estrema) di obesità.
L’aspettativa di vita dell’obeso grave (BMI > 40) di età compresa tra i 20 e i 40
anni è sensibilmente minore rispetto ai soggetti di controllo.335,336,337,338,339,340
Nel caso in narrativa si è deciso per un intervento di bendaggio gastrico che si
basa sul principio di ottenere una riduzione dell’assunzione di cibo determinando un precoce senso di sazietà riducendo nel contempo l’appetito mediante
la distensione della parte prossimale dello stomaco ed il feedback con i centri
cerebrali dell’appetito attraverso i nervi vaghi341.
335 Peiser J: Sleep apnea syndrome in the morbidly obese as an indication for weight reduction surgery, Ann Surg 100:112, 1984.
336 Baron RB: Nutritional Disorders. In: McPhee SJ: Current Medical Diagnosis and Treatment, 1136, Lange 2010.
337 Ogden CL:The epidemiology of obesity. Gastroenterology 132:2087, 2007.
338 Puhl MR: The stigma of obesity: a review and update. Obesity 17:941, Silver Spring 2009.
339 Christakis NA: The spread of obesity in a large social network over 32 years, N Engl J
Med 357:370, 2007.
340 Flegal KM: Cause specific excess deaths associated with underweight, overweight, and
obesity. JAMA 298:2018, 2007.
341 Ashrafian H: Metabolic surgery and gut hormones-a review of bariatric entero-humoral
modulation. Physiol Behav 97:620, 2009.
282
La responsabilità del chirurgo
I suoi vantaggi sono la regolabilità nel tempo ed una morbilità e mortalità assai
basse, inferiori, nei primi tempi, a quelle ascritte alle altre procedure chirurgiche
impiegate nel trattamento dell’obesità patologica.
L’intervento viene condotto per via laparoscopica, e l’approccio di scelta per il
posizionamento del bendaggio è attraverso la pars flaccida del piccolo omento.
Esso ha inizio con l’apertura del legamento epato-gastrico in tale sede, appena
sopra al lobo caudato del fegato. La branca anteriore del vago è identificata e
risparmiata, così come eventuali arterie epatiche accessorie di sinistra. Si identificano il pilastro di destra del diaframma e la vena cava inferiore. Si segue la sua
parte posteriore ed inferiore per preparare l’angolo di His. Per via smussa si crea
un tunnel avascolare lungo questo piano, circondando posteriormente l’esofago.
Quando la punta del dissettore articolato utilizzato per la tunnellizzazione viene visualizzata a sinistra dell’esofago, in prossimità della milza, esso viene definitivamente spinto a superare gli strati peritoneali residui per completare il
tunnel che circonda la parete posteriore dello stesso. Il bendaggio viene quindi
inserito in tale tunnel e chiuso anteriormente, in modo tale da circondare l’esofago secondo un calibro regolato dall’operatore. Si realizza allora una plicatura
anteriore dello stomaco al di sopra del bendaggio con tre o quattro punti staccati
con materiale non riassorbibile. La sutura è portata il più posteriormente possibile per evitare erniazioni del fondo gastrico attraverso il bendaggio che viene
posizionato circa 1 cm al di sotto della giunzione esofago-gastrica. L’intervento
si conclude connettendo un catetere di Silastic al bendaggio, utilizzato per introdurvi soluzione fisiologica da un port posto in una tasca sottocutanea e fissato
alla fascia muscolare della parete addominale. Abitualmente la dimissione avviene in prima giornata postoperatoria342.
La mortalità correlata alla procedura è 0,02-0,1%, inferiore alle altre procedure
di chirurgia bariatrica. La più frequente complicanza del bendaggio gastrico è
la sua dislocazione, che determina intolleranza all’assunzione dei cibi, reflusso
gastroesofageo, ostruzione con conseguente dilatazione dell’esofago (incidenza
del 4-15%). Complicanza meno frequente è l’erosione della parete gastrica da
parte del bendaggio (1-3%), che richiede un reintervento di sutura dello stomaco e riposizionamento di un nuovo bendaggio. Complicanze non infrequenti si
verificano nella gestione del port.343,344,345
In definitiva, il bendaggio gastrico ha il più basso tasso di complicanze maggiori
a 30 giorni rispetto al by pass gastrico, alla sleeve gastrectomy e alla diversione
342 Richards WO: Morbid obesity. In Sasbiston Textbook of Surgery, 364, Elsevier 2012.
343 O’Brien PE: Weight loss and early and late complications-the international experience.
Am J Surg 184:425, 2002.
344 Dixon JB: Adjustable gastric banding and conventional therapy for type 2 diabetes: a
randomized controlled trial. JAMA 299:316, 2008.
345 Ponce J: Laparoscopic adjustable gastric banding:1,014 consecutive cases. J Am Coll Surg
201:529, 2005.
Casi peritali simulati e commentati
283
bilio-pancreatica, ma le sue complicanze a distanza tendono a crescere, raggiungendo il 20% dei casi346.
Nel caso in oggetto si è verificata una grave ed infrequente complicanza, la perforazione dell’esofago. Per quanto concerne il determinismo della lesione, con assai
alta probabilità verificatasi nel corso dell’intervento, vie è da ritenere che essa si sia
prodotta durante il passaggio dello strumento inserito via pars flaccida a circondare
posteriormente l’esofago, ovvero a creare il tunnel atto al passaggio del bendaggio
per poterlo circondare. Tale manovra, per quanto eseguita per via smussa, può in
alcuni momenti, e per brevi tratti, essere eseguita “alla cieca”, e il progredire dello
strumento posteriormente all’esofago può non essere seguibile sotto il controllo della vista per via laparoscopica durante tutto il suo progredire da destra verso sinistra.
È dunque da ritenersi che proprio in questo momento possa essersi prodotta una
accidentale lacerazione della parete esofagea a livello della parete posteriore.
La paziente è stata seguita con attenzione nel decorso post-operatorio, e una
volta riconosciuta con certezza con la perforazione, si è tempestivamente provveduto alla sua riparazione.
Malgrado questo, le complicanze già da giorni verificatesi avevano innescato le
gravi alterazioni che hanno condotto alla insufficienza respiratoria, alla insufficienza renale ed alle plurime infezioni nosocomiali. La perforazione esofagea, è
da ritenersi, con elevata probabilità, di natura iatrogena.
Il ricovero, in assenza di complicanze, avrebbe avuto la durata di circa 5 giorni al
massimo. La malattia temporanea assoluta differenziale fu di più di 100 giorni,
cui seguì una malattia considerabile al 75% (medicazioni dopo la messa a piatto)
per circa 60 giorni e al 50% mediamente per altri circa 60. Sono altresì riconoscibili circa due anni di danno psichico al 25% Residuano plurime cicatrici estese
e deturpanti che interessano l’addome. Un’estesa e irregolare cicatrice si rileva
inoltre in sede cervicale anteriore.
In materia, il CTP per parte convenuta ha obiettato che il danno sarebbe da non
enfatizzare, stante l’obesità della periziata. L’osservazione non appare accettabile, poiché l’integrità psicofisica della periziata prescinde dalla sua struttura fisica.
Una componente allegata allo stato depressivo residuo sarebbe anche la difficoltà
ad eseguire un eventuale nuovo intervento per dimagrire. Il pregiudizio estetico
può essere classificato in classe III (e non va trascurata l’evidenza ictu oculi della
cicatrice al collo da tracheostomia). Nella sua globalità quindi la menomazione
psicofisica nell’ambito del danno biologico può essere considerata pari al 22-23%.
Va considerato poi, che nell’insieme della complessità clinica, ci si trova di fronte alla
sostanziale impossibilità di nuova chirurgia bariatrica, sia per opposizione della periziata stessa, sia per la prevedibile complessità dell’atto chirurgico nel suo complesso.
Ricordando, infine, che l’obesità patologica è di per sé fonte di ulteriori patologie nonché di premorienza, si deve introdurre nella specie anche un concetto di
346 Zuberi KA: Laparoscopic surgery for morbid obesity. In Cameron JL: Current Surgical
Therapy, 1422, Elsevier 2014.
La responsabilità del chirurgo
284
perdita di chances, che è da considerare effettivo, legato con stretto nesso causale
all’infezione e ai comportamenti ritenuti censurabili, e che è da considerare pari
a una premorienza considerabile di circa 10 anni e all’insorgenza di patologie
dismetaboliche e cardiocircolatorie.
Sintesi:
Si riconoscono come risarcibili le conseguenze di una manovra chirurgica errata.
Inoltre, in considerazione del fatto che a seguito di queste la correzione dello stato di obesità è diventato assai difficilmente realizzabile, anche per il prevedibile
e giustificato rifiuto della paziente, si identifica anche una perdita di chances per
il possibile verificarsi di una possibile premorienza legata alle prevedibili complicanze dell’obesità stessa.
Caso 48
Disfagia dopo chirurgia bariatrica reiterativa
Consulenza tecnica d’Ufficio:
ATP: un medico legale, un chirurgo.
Vicenda clinica:
Donna di di circa 45 anni, affetta da obesità patologica. Peso kg 90, altezza cm
165. Ricovero presso Chirurgia Generale dell’Ospedale Alfa. 6 anni prima bendaggio gastrico, nell’ultimo anno aumento ponderale di 20 kg. Al controllo bendaggio gastrico decalibrato.
Intervento: rimozione laparoscopica di dispositivo di restrizione gastrica.
Diagnosi: vomito in portatrice di bendaggio.
Dimissione in IV giornata.
Dopo 8 mesi
Nuovo ricovero presso Chirurgia Generale dell’Ospedale Alfa per intervento
di sleeve gastrectomy laparoscopica, per obesità patologica. Nel postoperatorio
vomito ripetuto.
In II giornata
Rx tubo digerente prime vie: si opacizza unicamente porzione gastrica rotondeggiante con doppio livello idroaereo senza evidente progressione del mdc a
livello antrale e duodenale.
TAC addome: nell’ipocondrio di sinistra in sede sottodiaframmatica voluminosa
sacca in cui ristagna gran parte del mezzo di contrasto idrosolubile somministrato
per via orale molte ore prima dell’esame, riferibile a fondo gastrico dilatato.
Casi peritali simulati e commentati
285
In IV giornata
EGDS: stomaco con esiti di sleeve con ampia tasca posteriore a monte della sutura con substenosi del lume gastrico.
In V giornata:
Rx tubo digerente: mancata opacizzazione del viscere gastrico persistendo doppio livello idroaereo in formazione globosa comunicante con lo stomaco, priva
di disegno mucoso-muscolare. Dimissione.
Dopo 1 settimana circa
Nuovo ricovero d’urgenza presso Reparto di Chirurgia dell’Ospedale Alfa per
vomito ripetuto.
Rx tubo digerente: aspetto globoso del fondo gastrico. Il Gastrografin defluisce
sino a questo livello e non transita nel corpo gastrico.
EGDS: stomaco con tasca a monte della sutura con substenosi del lume con spiccato edema. Dilatazione della regione stenotica del corpo con palloncino fino a 2
cm di diametro quindi agevole il passaggio in regione antrale.
Dimissione con diagnosi di stenosi in esiti di recente sleeve gastrectomy.
Dopo 1 settimana
Nuovo ricovero per vomito presso il Reparto di Chirurgia dell’Ospedale Alfa.
EGDS + dilatazione: dilatazione pneumatica con palloncino da 20 mm nella sede
di pregressa sleeve gastrectomy.
Rx tubo digerente: rilievi invariati rispetto al precedente.
Intervento laparoscopico per tasca gastrica a livello del fondo. Sleeve gastrectomy
parziale a livello del fondo. Persistenza di vomito nel postoperatorio.
TAC addome: persiste evidente il restringimento del lume del corpo gastrico.
EGDS: stenosi del terzo superiore a livello della precedente raffia chirurgica.
Dimissione:
Diagnosi: tasca gastrica in esiti di recente sleeve gastrectomy.
Da allora calo ponderale di 35 Kg, in presenza di disfagia. Scialorrea e vomito
nel corso della notte. La paziente mangia distesa, in clinostatismo, posizione che
sembra facilitare il transito del bolo alimentare.
Dopo 1 anno
Rx tubo digerente prime vie: rallentato transito esofago-gastrico e aspetto dismorfico del viscere gastrico a ridotta capacità.
EGDS + dilatazione: cavità gastrica con recesso posteriore e lume al III medio lievemente ristretto. Si esegue dilatazione pneumatica della substenosi con palloncino.
Dopo 1 anno
Nuova dilatazione endoscopica, in presenza di substenosi medio-gastrica, torsione del viscere e diverticolo del fondo. Peso stabile a 55 kg.
286
La responsabilità del chirurgo
Considerazioni di parte ricorrente:
La sleeve gastrectomy o gastectomia verticale parziale è un intervento chirurgico di tipo restrittivo. Nel corso del primo intervento sono stati commessi degli
errori tecnici fondamentali: la sezione gastrica lungo la grande curva è stata effettuata scorrettamente, mediante il posizionamento improprio della suturatrice
meccanica (una serie di sezioni, le più craniali troppo distanti dalla giunzione
esofago-gastrica, in assenza della indispensabile esposizione del pilastro sinistro
del diaframma) che non ha prodotto come risultato un tubulo gastrico ma ha
lasciato un’ampia tasca gastrica a livello del fondo, dove gli alimenti ristagnavano condizionando nausea e vomito; la sezione dello stomaco è stata fatta con
viscere non in asse determinando una torsione dello stesso, responsabile della
stenosi gastrica mai risolta.347,348
Tale difetto tecnico si è reso subito palese nell’immediato postoperatorio dopo il
I intervento, ma nulla si provvedeva a fare e la paziente veniva imprudentemente dimessa in VI giornata, con dieta liquida.
Dopo 1 settimana, persistendo la disfagia ed il vomito, si recava in Pronto Soccorso per essere nuovamente ricoverata. L’endoscopia confermava la stenosi gastrica e la persistenza di tasca fundica e si procedeva ad infruttuoso tentativo di
dilatazione pneumatica.
Nuovamente dimessa, dopo una settimana la paziente tornava in Pronto Soccorso per un ulteriore ricovero. Dopo ancora un tentativo endoscopico di dilatazione pneumatica, risultato nuovamente inefficace, si propendeva per intervento di
re-sleeve gastrectomy allo scopo di correggere la stenosi e di asportare la tasca
gastrica, ma anche questa volta senza successo nella risoluzione dei sintomi.
Da allora la paziente è progressivamente calata di peso attestandosi sui 53 Kg
quando il peso iniziale era di circa 90. La stenosi gastrica iatrogena non correttamente trattata le condiziona la necessità di una postura clinostatica durante il
pasto, una digestione assai laboriosa e difficile che ha compromesso gravemente, oltre che la vita sociale ed il tono dell’umore, anche l’attività lavorativa dal
momento che dopo il pasto di mezzogiorno deve rimanere a lungo coricata e
può quindi lavorare solo mezza giornata.
Emergono chiari elementi di responsabilità professionale sotto il profilo della
imperizia. Alla paziente è derivato un periodo di malattia che si può convenzionalmente stimare in un mese come danno biologico temporaneo totale, due mesi
al 75% e 3 mesi al 50%. Si può ritenere stabilizzata la situazione con importanti
postumi menomanti a carattere permanente, di natura ampiamente soggettiva
e disfunzionale, valutabili nell’ordine del 50% da riferire a danno biologico, va-
347 Richards WO: Morbid Obesity. In Sabiston Textbook of Surgery, 374, Elsevier 2012.
348 Schauer P. Minimally Invasive Bariatric Surgery, New York, 2008, Springer; Zuberi KA:
Laparoscopic Surgery for morbid obesity. In Cameron JL: Current Surgical Therapy, 1426,
Elsevier 2014.
Casi peritali simulati e commentati
287
lutazione che tiene conto del danno anatomico, dell’importante calo ponderale,
della sintomatologia e della disfunzionalità quotidianamente presenti.
Inoltre, persistono diverse situazioni che creano disagio nella vita sociale, aspetti
questi di tipo dinamico-relazionale di cui tenere debito conto nel contesto risarcitorio, così come vi è un danno patrimoniale legato alla compromissione dell’attività professionale della paziente: si ritiene infatti che la sua capacità lavorativa
sia ridotta di almeno il 30%.
Considerazioni dei CTU:
L’insufficiente resezione del fondo gastrico nel corso dell’intervento di sleeve
gastrectomy deve essere causalmente riferita ad errore tecnico, attribuibile ad
imperizia. Imperita è anche la intempestiva dimissione, poiché buona pratica
indicava di eseguire prima una dilatazione pneumatica, che comunque è stata
poi eseguita dopo una settimana.
In conseguenza di tale errore tecnico la paziente soffrì un periodo di persistenza
di una importante patologia disfunzionale durante il quale fu costretta a sottoporsi a plurime procedure di dilatazione endoscopica della stenosi gastrica
e soprattutto ad un ulteriore intervento di re-sleeve gastrectomy. La situazione
attuale è caratterizzata da un quadro clinico riferibile ad un buon esito delle terapie effettuate, però in presenza di una importante sintomatologia soggettiva,
non in sintonia con lo stesso. A seguito dei rilevati profili di imperizia derivano
postumi delineati da un danno biologico permanente del 4-5%.
La valutazione dei postumi derivati dall’intervento di sleeve gastrectomy che,
attraverso la menomazione di un organo è finalizzato al miglioramento delle
condizioni generali, è argomento che rischia di fuorviare nell’eventuale risarcimento in quanto si tratta in gran parte di menomazioni realizzate a fini di cura
(perdita di peso). L’asportazione dei 4/5 dello stomaco (sleeve gastrectomy) e le
sue conseguenze, cercate per la cura dell’obesità, sono valutabili nella misura
del 30-35%, ma bisogna considerare che le stesse sono finalizzate alla riduzione
dell’invalidità legata all’obesità e alle problematiche ad essa connesse.
Per questo motivo, nel caso in oggetto, la valutazione del danno con il metodo
del danno differenziale non è adeguata, mentre lo è la valutazione secondo la
metodologia classica (valutazione del danno partendo dallo 0%).
Sintesi:
Si evidenzia una evidente disparità nella valutazione dei postumi di una chirurgia bariatrica gastrica reiterativa, che appare giustificare, di base, un danno
biologico del 30-35%, comunque ricercato a scopo terapeutico. Al tempo stesso
si ritiene che le sue complicanze colpose debbano essere valutate partendo dallo
0%, e attribuendo un peso assai modesto a disturbi ritenuti del tutto soggettivi
che, nel contesto di una situazione soddisfacente riguardo al peso della paziente,
condizionano comunque negativamente la sua vita in maniera significativa.
La responsabilità del chirurgo
288
Caso 49
Diagnosi tardiva di torsione del funicolo spermatico,
orchiectomia
Consulenza tecnica di ufficio (ATP):
un medico legale, un urologo.
Vicenda clinica:
Paziente di anni 16, per comparsa di dolenzia al testicolo destro alle ore 10 circa
veniva visitato dal medico curante che prescriveva esecuzione di ecografia scrotale, eseguita in mattinata, che diagnosticava orchiepididimite acuta con idrocele
reattivo. Visionata l’ecografia, prescritta terapia antibiotica ed antinfiammatoria
dal medico curante stesso.
Nel pomeriggio
Il dolore testicolare diventava più intenso, e il paziente nel tardo pomeriggio si
recava al Pronto Soccorso Pediatrico dell’Ospedale Alfa, dove era sottoposto a
visita pediatrica ed urologica. Diagnosi di orchiepididimite acuta destra, confermata terapia, + sospensione scrotale ed impacchi caldo-umidi.
Dopo la dimissione dal Pronto Soccorso
Graduale peggioramento della sintomatologia dolorosa e comparsa di iperpiressia (fino a 40°); nel frattempo la madre contattava telefonicamente l’urologo
che lo aveva visitato in Pronto Soccorso per segnalare il peggioramento della
sintomatologia clinica, ottenendo rassicurazioni e la conferma delle prescrizioni
effettuate.
Dopo oltre 6 giorni
Per mancata risoluzione della sintomatologia, il paziente ritornava al Pronto
Soccorso dell’Ospedale Alfa: emiscroto destro teso e tumefatto, dolente.
Diagnosi di scroto acuto.
Ecografia scrotale: non segni di vascolarizzazione a livello del didimo di destra
che presenta irregolarità strutturale diffusa. Abbondante idrocele.
Intervento d’urgenza di orchiectomia destra. Il didimo appare nerastro e girato
su sè stesso a 360°.
Diagnosi: torsione testicolo destro.
Esame istologico: necrosi emorragica completa del testicolo e dell’epididimo
compatibile con la patogenesi meccanico-ischemica (torsione).
Dopo 6 mesi
Intervento di orchipessi sinistra per testicolo mobile presso Ospedale Beta.
Casi peritali simulati e commentati
289
Dopo 1 anno
Eseguiva spermiogramma che dimostrava la presenza del 6% di forme normali
e del 94% di forme anormali. Valutazione psichiatrica che certificava disturbo
dell’adattamento con umore depresso, insorto a seguito dell’intervento di orchiectomia. L’urologo dell’Ospedale Gamma attestava capacità fertile ai limiti
inferiori della norma, profilo ormonale normale.
Considerazioni di parte ricorrente:
La torsione del funicolo spermatico è un processo ischemico del testicolo per il
quale la tempestività della diagnosi e del trattamento sono cruciali per ottenere
il salvataggio dello stesso.
Quando essa si verifica, solitamente a seguito di assenza congenita dei dispositivi di fissazione del didimo alla borsa scrotale (gubernaculum testis), si realizza un
progressivo edema con occlusione prima venosa, poi arteriosa, che conduce, in
assenza di intervento di detorsione, all’infarto ed alla necrosi testicolare.
La torsione testicolare, pur presente ad ogni età, è maggiormente frequente in
età pediatrica, nell’adolescente e nel giovane adulto.
La diagnosi differenziale comprende i traumi, l’epididimite, l’ernia incarcerata,
la torsione dell’idatide del Morgagni.
Da un punto di vista clinico, la torsione del testicolo può presentare l’aspetto
di una orchiepididimite acuta primitiva, e la diagnosi differenziale con questa
malattia è il primo problema da risolvere349.
L’indagine anamnestica è di notevole importanza per dirimere il quesito se si
tratti di una orchiepididimite acuta o di una torsione. Soprattutto vanno indagate le modalità di insorgenza della sintomatologia: presenza o meno di stranguria
o disuria; stato febbrile; insorgenza a riposo o dopo trauma, coito, sforzi.
Il sintomo guida della torsione è il dolore: esso è acuto, continuo, di notevole intensità, senza causa apparente, esacerbato dalle manovre di palpazione. Ha sede
nettamente scrotale con irradiazioni addominali, lombari, pelviche, perineali.
Alla palpazione il funicolo appare corto, ingrossato, tumefatto e dolente, gli elementi non sono riconoscibili.
Il testicolo è attratto verso l’anello inguinale esterno in conseguenza dell’accorciamento funicolare (segno di Prehn).
La palpazione dell’emiscroto controlaterale può mostrare l’abnorme mobilità
dell’altro testicolo, reperto suggestivo per la presenza di una condizione anatomica predisponente alla torsione anche controlaterale.
La diagnosi di torsione si farebbe più spesso se si pensasse alla possibilità dell’evento prima di formulare la diagnosi di orchite (basterebbe ricordare che nell’età
infantile e nell’adolescenza l’orchite è eccezionalmente rara, tranne che nella forma di orchite parotitica, quindi preceduta da parotite epidemica acuta).
349 Pisani E: Semeiotica Urologica, Masson 1991.
290
La responsabilità del chirurgo
I risultati migliori si ottengono quando la detorsione viene effettuata entro 4 ore
dall’insorgenza del dolore, e già dopo 8-12 ore il processo patologico può risultare irreversibile350. Anche il grado della torsione, oltre che la sua durata, è un
parametro di importanza fondamentale351.
La diagnosi è confermata strumentalmente dall’Eco Color Doppler, che dimostra
la riduzione o l’assenza del flusso a livello del testicolo, mentre i segni ecografici
sono la ipoecogenicità del didimo, la sua struttura disomogenea, la presenza
nello scroto del funicolo torto, la presenza di versamento.352,353,354,355,356,357,358,359
In presenza di un quadro clinico sospetto per torsione e se l’ecografia non è disponibile entro 1 ora, è opportuno procedere immediatamente con l’esplorazione chirurgica360.
Anche nei pazienti in cui la torsione viene sospettata con ritardo l’esplorazione chirurgica urgente è comunque indicata, in quanto la torsione può essere
incompleta e la detorsione può comunque consentire di conservare il testicolo,
preservandone almeno la funzione ormonale.
Nel caso in oggetto sono ravvisabili colpevoli errori nel comportamento tecnico
dei sanitari che vi si avvicendarono.
Il medico curante, a fronte di una dolenzia testicolare presente da 2-4 giorni circa,
correttamente disponeva un esame ecografico l’esito del quale, peraltro, veniva
dallo stesso eccepito passivamente, in modo acritico, senza tener conto della colpevole incompletezza dell’esame e, per conseguenza, prescriveva erroneamente
terapia antibiotica ed anti-infiammatoria, senza prendere in considerazione la corretta diagnosi differenziale orchiepididimite versus torsione del funicolo.
350 Coburn M: Testicular torsion. In: Sabiston Textbook of Surgery, 2068, Elsevier 2012.
351 Mantovani F: La torsione del funicolo. In: Di Carlo V: Manuale di Chirurgia d’Urgenza e
Terapia Intensiva Chirurgica, 1089, Masson 1993.
352 Gerscovich EO: Scrotum and testes. In: Mc Gahan JP: Diagnostic Ultrasound, 926, Informa Healthcare 2008.
353 Dewire DM: Color Doppler Ultrasonography in the evaluation of acute scrotum. J Urol
147:89, 1992.
354 Burks D: Suspected testicular torsion and ischemia: evaluation with Color Doppler Sonography. Radiology 175:815, 1990.
355 Lewis AG: Evaluation of acute scrotum in the emergency department. J Pediatr Surg
30:277, 1995.
356 Horstman WG: Scrotal inflammatory disease: Color Doppler ultrasound findings. Radiology 179:55,1991.
357 Gavinelli M: Ultrasuoni in Chirurgia d’Urgenza, 134, Ghedini Editore, 1988.
358 Gavinelli M: The value of graphic analysis of Doppler waves in the diagnostic of the
acute scrotum. In: Care of the acutely ill and injured, Wiley and Sons 439, 1982.
359 Gavinelli M: Il “segno dei testicoli gemelli” nella diagnosi ecografica di torsione del funicolo spermatico. US MED 10:113, 1989.
360 Coburn M, Op cit.
Casi peritali simulati e commentati
291
L’ecografia del testicolo non fu completata dallo studio della vascolarizzazione
del funicolo e del didimo con Eco Color Doppler, come necessario, dal momento
che si era in presenza di elementi semiologici suggestivi per torsione. E va sottolineato che laddove l’ecografista non fosse stato nelle condizioni di eseguire lo
studio vascolare, certamente avrebbe dovuto attivarsi consigliando al paziente
di praticarlo in via di urgenza.
Nel pomeriggio dello stesso giorno, al Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa, ancora la corretta diagnosi veniva omessa. Non veniva presa in considerazione la
più probabile diagnosi differenziale (in un giovane di diciassette anni è molto più
frequente la torsione del funicolo che la orchiepididimite soprattutto in assenza di
concomitante parotite epidemica); si recepiva passivamente l’esito dell’ecografia
(incompleta) del mattino; non veniva eseguito eco-color-Doppler del testicolo e,
per conseguenza, si dimetteva il paziente con prescrizioni terapeutiche erronee.
Si ritiene, pertanto, che colpevoli errori siano ravvisabili nel comportamento tecnico del medico curante, del medico ecografista e dei medici del Pronto Soccorso
dell’Ospedale Alfa.
È necessario stabilire se sussista nesso di causalità fra tali colpevoli errori e la
perdita anatomica del testicolo e correlate conseguenze tali da configurare un
danno biologico. È da ritenersi altamente improbabile che dal modo in cui si
sono svolti i fatti la torsione del funicolo possa essere stata prossima ai 360°. Il
quadro clinico sarebbe stato peggiore di quanto rilevato e, comunque, la necrosi
del testicolo fu riscontrata solo dopo 1 settimana, quando divenne inevitabile
l’asportazione chirurgica del testicolo.
Quindi un intervento chirurgico di derotazione, tempestivamente eseguito in quella
prima giornata, avrebbe consentito con alta probabilitò il salvataggio del testicolo.
I colpevoli errori di cui si è detto sono da porre in nesso causale con le seguenti
conseguenze lesive: un danno biologico temporaneo di circa quaranta giorni;
un danno biologico permanente del tredici-quattordici% con riguardo anche al
pregiudizio psichico; una condizione di rilevante sofferenza morale.
Considerazioni dei CTU:
Al Pronto Soccorso dell’Ospedale Alfa il paziente non venne sottoposto ad alcun
esame quando avrebbe potuto rapidamente eseguire emocromo, PCR ed Eco
Color Doppler scrotale. Leucociti e PCR normali avrebbero escluso l’orchiepididimite; l’Eco Color Doppler avrebbe verosimilmente evidenziato una alterata
vascolarizzazione del didimo (riduzione/assenza del flusso arterioso, stasi venosa). Nei casi dubbi, nel giovane, si raccomanda di procedere ad intervento di
esplorativa scrotale361.
La revisione sistematica della letteratura dimostra che le percentuali di sopravvivenza del testicolo sono significative anche dopo 24 ore di torsione: tale assun-
361 n1 .EAU Guide Lines 2008.
La responsabilità del chirurgo
292
to deve promuovere una gestione aggressiva dei pazienti con dolore riferibile a
torsione che si presentano all’osservazione anche dopo molte ore.
Non esistono elementi a conferma dell’ipotesi di parte convenuta secondo cui
la torsione completa del funicolo fosse in atto al momento della comparsa della
sintomatologia e quindi il testicolo già irrecuperabile, per cui la condotta, chiaramente errata dei sanitari, non avrebbe portato danno alcuno.
Invece, lo scorretto comportamento dei sanitari ha determinato la perdita del
testicolo asportato dopo 6 giorni. Si realizza un periodo di inabilità temporanea
parziale di 25 giorni; non si rilevano alterazioni della funzione riproduttiva, per
cui si valutano i postumi permanenti nell’8% con riferimento al danno biologico.
Sintesi:
La torsione del funicolo spermatico è patologia di non infrequente osservazione
da parte del chirurgo, soprattutto in Pronto Soccorso. La diagnostica immediata
e, nel dubbio, un comportamento aggressivo di esplorazione chirurgica per una
procedura di assai semplice esecuzione appaiono sempre indicati ed indispensabili per il salvataggio del testicolo. La perdita monolaterale del testicolo non
compromette di solito la fertilità, ed il danno biologico che ne consegue è, di
conseguenza, considerato limitato.
Caso 50
Perforazione del retto da clistere, infezioni nosocomiali,
exitus
Consulenza tecnica d’Ufficio (ATP):
un medico legale, un chirurgo.
Vicenda clinica:
Donna di circa 70 anni, giungeva in ambulanza al Pronto Soccorso dell’Ospedale
Alfa per dispnea in BPCO. Dispnoica, tachipnoica. MV aspro diffuso. Addome
globoso scarsamente trattabile per coinvolgimento dei muscoli accessori della
respirazione. Inizia NIV.
Rx torace: diffusi segni di enfisema, con accentuazione del disegno polmonare.
Ricovero in Medicina, cui segue miglioramento clinico. Dopo alcuni giorni, eseguito clistere e svuotamento manuale, in presenza di feci molto dure e scarse.
La notte successiva
Ricomparsa di dispnea, ansia. Al mattino trasferimento presso la Riabilitazione
Respiratoria dell’Ospedale Beta.
Casi peritali simulati e commentati
293
Il giorno successivo
Dolore addominale ai quadranti inferiori, Blumberg +.
TAC addome: aumento di densità e disomogeneità, con falda fluida associata,
del cellulare adiposo presacrale e perirettale nel cui contesto sono presenti multiple immagini a densità aerea: sospetta perforazione intestinale. Comparsa di
peritonismo diffuso.
Trasferimento presso Ospedale Gamma
Intervento laparotomico d’urgenza: assenza di versamento in addome, si esplora con difficoltà il Douglas, Il sigma presenta alcuni diverticoli. Colostomia sul
sigma a canna di fucile in FIS, drenaggio nel Douglas.
Trasferita in Rianimazione.
Nel postoperatorio ipotensione, febbre, mancata canalizzazione intestinale, peggioramento della meccanica respiratoria.
In VII giornata:
PA 80/50, iperpiressia.
Tampone rettale + per Klebsiella, emocoltura + per Klebsiella Pneumoniae.
TAC addome con mdc: persiste in sede presacrale una componente fluida, immodificata, con componente gassosa nel contesto. Quadro di ileo paretico. Diffusa imbibizione del tessuto sottocutaneo della parete addominale.
Stomia non funzionante. Rimosso drenaggio addominale. Peristalsi assente.
Tampone nasale + per stafilococco aureo. Tampone rettale + per Klebsiella.
Soporosa, risvegliabile, disorientata, esegue ordini semplici. Hb 7,7.
Progressivo decadimento delle condizioni generali, shock settico, MOF.
Decesso in XVII giornata.
Diagnosi: perforazione del retto, insufficienza respiratoria acuta.
Considerazioni di parte ricorrente:
Riguardo alla perforazione iatrogena del retto una accurata diagnosi di sede e
di caratteristiche della lesione è necessaria in quanto l’approccio terapeutico vi è
strettamente connesso.
L’endoscopia, il clisma opaco e la TAC con mezzo di contrasto idrosolubile sono
infatti ritenuti indispensabili per tali valutazioni, e nel caso in oggetto nessuno
di questi è stato eseguito.
È pur vero che in taluni casi la diagnosi può non essere agevole per la particolare sede dove è avvenuta la lesione: è il caso del retto sottoperitoneale ovvero
il tratto compreso tra lo sfondato del Douglas e il piano degli elevatori, dove
esiste una cosiddetta “terra di nessuno” di difficile esplorazione, in particolare
per via laparotomica.
Particolare attenzione va inoltre posta all’esplorazione dell’apparato sfinteriale,
294
La responsabilità del chirurgo
sia interno che esterno.362,363,364,365,366. Nei lavori scientifici rinvenibili in materia, è
parere condiviso che la perforazione rettale si realizzi sempre per effetto di una
manovra condotta senza la dovuta attenzione.
Si ricorda anche che la procedura con cui viene eseguito il clistere è ben descritta
nei manuali di tecnica infermieristica e prevede d’obbligo alcuni passaggi: devono essere utilizzate sonde morbide; il paziente deve essere posto in decubito
laterale; la sonda deve essere opportunamente lubrificata ed introdotta con cautela, previa l’esecuzione di una esplorazione rettale; la procedura deve essere
immediatamente interrotta qualora il paziente manifesti dolore.
Nel caso in narrativa, le TAC addome eseguite (la prima presso l’Ospedale Beta,
la seconda presso l’Ospedale Gamma) hanno evidenziato come l’aria libera fuoriuscita dal retto fosse confinata nello spazio presacrale e perirettale, risultando
assente nella cavità peritoneale.
Dal punto di vista anatomico, è noto che il retto mantenga una collocazione completamente extra peritoneale per un tratto compreso entro i 5-8 cm dal margine
anale: superiormente a questa linea l’organo diventa intra peritoneale a partire
dalla sua parete anteriore, ma solo dopo la riflessione retto-sigma (circa a 13-15
cm dal margine anale) esso diventa totalmente intraperitoneale, assumendo il
nome di sigma.367,368
Ne deriva che una perforazione del retto prodotta nei primi 5-8 cm dal margine
anale non comporti la discontinuazione del peritoneo determinando invece la formazione di una raccolta aerea e fecale confinata negli spazi perirettali e presacrali.
Per quanto riguarda il trattamento, alla colostomia derivativa si sarebbe dovuto
obbligatoriamente associare un ampio drenaggio evacuativo del cellulare perirettale e dello spazio presacrale: infatti la TAC postoperatoria di controllo ha
dimostrato un quadro locale di raccolta presacrale e degli spazi perirettali con
contenuto aereo associato pressochè immodificato rispetto a quello peroperatorio, espressione certa della persistenza di una sepsi pelvica irrisolta.369,370
362 Paran H: Enema induced perforation of the rectum in chronically constipated patients.
Dis Colon Rectum 42:1609, 2009.
363 Balanzoni: Lesioni traumatiche del retto. Min Chir 40:657, 1985.
364 Turkcuer I: Perforation of the colon by high-pressure water inserted via the anal canal. S
Afr Med J 99:437, 2009.
365 Saltzstein RJ: Anorectal injuries incident to enema administration. A recurring avoidable
problem. Am J Phys Med Rehabil 67:186, 1988.
366 Galia N: Perforation and mortality after cleansing enema for acute constipation are not
rare but are preventable. Int J Gen Med 6:323, 2013.
367 Tagliacozzo S. Anatomia chirurgica. In Chirurgia del retto,1, Masson 1985.
368 Testut L, Jacob O. Trattato di Anatomia Topografica, vol III, 62, UTET 1977.
369 Di Carlo V, Andreoni B, Staudacher C. Manuale di Chirurgia d’Urgenza e Terapia Intensiva Chirurgica, 621, Masson 1993.
370 Bouras EP. Chronic constipation in the elderly. Gastroenterol Clin North Am 38:463, 2009.
Casi peritali simulati e commentati
295
Il decesso fu quindi cagionato da shock settico da porre in nesso causale con una
perforazione del retto determinata da manovre colpevolmente erronee eseguite
da personale infermieristico dell’Ospedale Alfa nell’eseguire un clistere e svuotamento manuale delle feci. Nella causazione del decesso concorsero colpevoli
errori del personale medico dell’Ospedale Gamma.
Considerazioni di parte convenuta:
Ospedale Alfa: nella descrizione dell’intervento chirurgico manca qualunque riferimento al riscontro di una perforazione intestinale, anzi si evidenzia assenza
di versamento in addome, che esclude una perforazione intestinale, in presenza
di diverticoli. Nella cartella clinica dell’Ospedale Gamma non vi è traccia alcuna
della perforazione intestinale, salvo che nel frontespizio della cartella clinica del
Reparto di Rianimazione che è però stata compilata dopo il decesso. La paziente
infatti è stata ricoverata presso l’ospedale Gamma con diagnosi di addome acuto
e sottoposta ad intervento di colostomia a causa di una occlusione intestinale e
non per una asserita perforazione lamentata da controparte.
Ospedale Gamma: nel caso in esame, veniva estrinsecata la perforazione e il
confezionamento di una stomia a canna di fucile, così come previsto dalla letteratura scientifica. La condotta dei sanitari è stata pienamente conforme alle
regole, nulla di diverso poteva esser loro richiesto. Quando la paziente accedeva
all’Ospedale Gamma, era già presente una leucocitosi che testimoniava la presenza di uno stato infettivo, ma tale leucocitosi era anche già presente al momento del ricovero presso l’Ospedale Alfa: è dunque da escludersi che la sepsi
sia stata contratta all’Ospedale Gamma. L’aspetto inerente le precauzioni scrupolosamente adottate dall’Ospedale Gamma nella prevenzione delle infezioni
non va esaminato in quanto non pertinente. Invece la presenza di un focolaio
infettivo in atto già al momento dell’accesso presso l’Ospedale Gamma a causa
della perforazione intestinale determinata da manovre incongrue del personale
infermieristico dell’Ospedale Alfa smentisce le accuse sulla condotta dei medici
dell’Ospedale Gamma.
Considerazioni dei CTU:
In merito all’origine della lesione, essa deve essere individuata nella attività di
esecuzione di clistere evacuativo e svuotamento manuale di feci dure e scarse,
non compiute con la dovuta diligenza presso l’Ospedale Alfa.
Per quanto riguarda le attività prestate presso l’Ospedale Gamma, la scelta chirurgica non appare adeguata alle esigenze presentate dal caso in oggetto. Infatti,
i reperti TAC risultavano chiaramente indicativi di una perforazione del retto
extraperitoneale, e veniva effettuato un intervento chirurgico d’urgenza con colostomia sul sigma a ‘canna di fucile’e posizionamento di drenaggio nel Douglas.
Tale scelta terapeutica non appare adeguata: il confezionamento della colostomia e il posizionamento di un drenaggio a livello dello scavo del Douglas non
La responsabilità del chirurgo
296
potevano ritenersi trattamenti sufficienti, laddove si rendeva assolutamente necessario anche un drenaggio della regione presacrale.
L’inadeguatezza terapeutica è confermata dal successivo decorso, nel quale la
sepsi presacrale e perirettale non veniva minimamente a modificarsi, con peggioramento della condizione locale e generale. Infatti, la TAC eseguita dopo
l’intervento confermava in sede presacrale la persistenza di una componente
fluida, immodificata rispetto alla precedente TAC alla quale si era associato un
ileo paralitico. Ma nonostante questo, ancora non si decideva per una soluzione
chirurgica sulla sede prossima alla perforazione.
Tale comportamento, non adeguato alle problematiche in essere, deve considerarsi elemento causale adeguato per il successivo aggravamento delle condizioni generali e dell’instaurazione di uno stato di shock settico e, infine, del decesso.
L’exitus va ricondotto non solo alle scelte terapeutiche attuate, ma anche allo
stato infettivo sistemico successivamente insorto.
Nell’impossibilità di conoscere attraverso la cartella clinica e gli atti di causa l’applicazione dei protocolli citati e la regolare concretizzazione di tutti i comportamenti utili per evitare eventi avversi di natura infettiva, corre l’obbligo di individuare una responsabilità della struttura. Infatti, all’interno dei fascicoli in atti non
compaiono informazioni inerenti alla costituzione nel nosocomio di un Organismo multidisciplinare responsabile dei programmi e delle strategie di lotta e di
contrasto alle infezioni ospedaliere. Del pari, non si rintracciano prove di attuazione di protocolli diretti all’applicazione, al monitoraggio, all’aggiornamento e alla
verifica di corrette pratiche di prevenzione delle infezioni ospedaliere.
In questo senso, è genericamente ritenuta necessaria ma non sufficiente ai fini
della soddisfazione degli obblighi di sanificazione la prova della emanazione da
parte del nosocomio di istruzioni e circolari che elenchino e precisino, nei confronti dei vari dipartimenti e reparti, le cautele da osservarsi.
Al contrario, è necessaria la dimostrazione che tali attività siano state davvero
concretizzate e non siano rimaste confinate nella mera burocrazia, il che può
essere evinto solo attraverso specifiche attività di monitoraggio, riscontro, elaborazione e azioni positive conseguenti.
In conclusione, il trattamento attuato deve essere ritenuto non idoneo in quanto
non risolutivo per la patologia esistente in sede presacrale. È probabile che un
corretto trattamento avrebbe consentito la correzione del quadro, con guarigione della paziente. Il decesso deve considerarsi in nesso causale con la perforazione intestinale verificatasi all’Ospedale Alfa in corso di clistere con svuotamento
manuale delle feci, ma anche con l’inidoneità dei trattamenti attuati all’Ospedale
Gamma: le attività svolte nei due nosocomi in tempi successivi devono essere
ritenute responsabili nella percentuale del 50% ciascuna.
Sintesi:
La parte convenuta, nelle sue considerazioni, nega (come spesso avviene in questo ambito, e bisogna farsene una ragione) l’evidenza, ovvero la presenza della
Casi peritali simulati e commentati
297
perforazione iatrogena del retto, e addirittura afferma che essa è stata correttamente estrinsecata con l’esecuzione della colostomia, negando inoltre il verificarsi di infezioni nosocomiali. Il chirurgo deve fare tesoro della conoscenza di
queste situazioni, aumentando la prudenza, riflettendo su come gli eventi in
causa possano essere presentati, anche stravolgendo la verità evidente dei fatti.
E questo è molto pericoloso nei casi nei quali si incontrino CTU non sufficientemente avveduti, cosa nel caso in oggetto non verificatasi.
298
La responsabilità del chirurgo
3.0 Come si scrive un intervento chirurgico, un esempio storico
Uno dei punti deboli che più di frequente ricorrono nella valutazione della
documentazione clinica è senz’altro rappresentato dalla descrizione degli interventi chirurgici.
A parte il fatto che in molti casi essi sono ancora scritti a mano, quasi a voler
giustificare una difficile lettura o addirittura voler renderla tale anche in nome
di una sintesi descrittiva, invero spesso eccessiva tanto da tramutarsi in carenza,
si deve certo osservare che nella gran parte dei casi trattasi di un aspetto negletto, non eseguito con l’attenzione dovuta, laddove invece la descrizione accurata
costituisce un aspetto fondamentale per la comprensione del trattamento chirurgico e di tutto quello che ne deriverà in seguito.
Merita di essere menzionata la descrizione di un intervento di appendicectomia
“more solito”, fatta da un chirurgo alle prime armi che era la prima volta che l’eseguiva.
All’opposto, se non si può pretendere di scrivere come Dante o come Manzoni, altrettanto è difficile rivaleggiare con l’accuratezza della descrizione (e
certamente anche con la maestria chirurgica) che fece Pietro Valdoni, assistente
trentacinquenne della Clinica Chirurgica di Roma, assistito dal Dott. Paride Stefanini, nel 1935, del primo intervento di embolectomia polmonare (sec. Trendelemburg) eseguito in Italia e coronato da successo, il nono nel mondo.
Questa descrizione è destinata a restare, nel tempo, un fulgido ed inarrivabile esempio.
Rendiconto operatorio:371
Opera il Dott. Valdoni; assiste il Dott. Stefanini. Senza disinfezione delle mani si
indossano i guanti sterili, poi i camici; disinfettata la pelle con tintura di iodio, si prepara
il campo sterile.
L’intervento si inizia al 7° minuto dall’avvenuta embolia. Dagli esperimenti eseguiti
su cadaveri, avevo notato come fosse come fosse più facile di aggredire il pericardio e di
scollare la pleura sostituendo alla incisione del Meyer (a T rovesciato con resezione della
II e III costola) una incisione parallela al margine sinistro dello sterno con resezione della
II, III e IV cartilagine costale. In questa maniera la breccia è più ampia, non vi è bisogno
di resecare il margine sternale e nell’angolo inferiore si domina bene il seno pleurico nel
tratto in cui devia verso sinistra dalla linea mediana, lasciando scoperta l’aia pericardica.
Si pratica rapidamente l’incisione verticale parasternale. Il malato che in questa
fase ha ancora dei movimenti respiratori spontanei non reagisce affatto alle manovre
praticate senza alcuna anestesia.
371 Santoro E, Ragno C. Cento Anni di Chirurgia, 58, Ed. Scientifiche Romane, 2000.
Come si scrive un intervento chirurgico
299
Si incide il pettorale e si scoprono la 2ª, 3ª e 4ª cartilagine costale dalla inserzione
alla prima porzione della costola ossea. Rapidamente si speriostano le tre cartilagini che
vengono resecate. Legatura del fascio vascolo-nervoso intercostale 3° e 4°. La pleura è quasi completamente trasparente ed è ben visibile il disegno polmonare. Scoperto il pericardio
in basso, questi appare quasi del tutto coperto dal seno pleurico anche in basso. Nella
manovra di scollamento del seno pleurico questo si lacera e l’aria entra con un rumore
caratteristico. Il polmone però si collassa poco per lo stato di enfisema polmonare in cui
si trova. Aperto il pericardio verso la punta del cuore, da esso fuoriesce scarsa quantità di
liquido citrino chiaro. Con un colpo di forbice si completa l’apertura del pericardio fino
alla base del cuore mettendo in evidenza l’arteria polmonare. Il ventricolo destro è disteso,
le vene coronarie bene appariscenti, il muscolo cardiaco flaccido. Le contrazioni cardiache
sono irregolari, poco valide o fibrillari. Per mezzo della sonda di Trendelenburg passata
sulla guida del dito si mette in sito il laccio di gomma attorno all’aorta e si incide l’arteria
polmonare poco sopra le valvole per 2 cm verso l’alto. Esce dal cuore un grosso fiotto di
sangue nero che si arresta con la trazione sul laccio; assieme al sangue uscito un frammento di trombo di 10 cm, molto grosso. L’introduzione della pinza da embolo nel ramo
destro non riesce; senza insistere dopo il primo tentativo si introduce la pinza nel ramo
sinistro e si estrae un embolo lungo 27 cm che si rompe in 3 frammenti di cui l’ultimo
viene estratto con una nuova presa. Si allenta il laccio e si chiude con il dito l’incisione.
Poiché il malato non respira, si praticano manovre di respirazione artificiale e il
cuore che era diventato immobile riprende a pulsare dopo alcuni colpi, impressi con il
dito sul muscolo. Ristabilitasi in circa un minuto la contrazione cardiaca valida, si tira
nuovamente sul laccio e si estrae dal ramo destro un embolo di 27 cm non frantumato.
Nuovo allentamento del laccio e chiusura digitale dell’incisione. Riprende ora il respiro,
la pulsazione cardiaca si fa valida. Tirando di nuovo il laccio si applica lateralmente la
pinza da sutura. Sono passati 13’ 30’’ dall’inizio dell’embolia. Ora il malato ha ripreso
bene il respiro e la pulsazione che si trasmette anche alla periferia. Si aspira del sangue
versato nella pleura e si deterge il campo operatorio. Il polmone che nonostante l’apertura
della pleura si espande bene, viene divaricato dall’assistente all’esterno. Il malato incomincia ad agitarsi, a dire parole sconnesse e deve venire tenuto fermo sul campo operatorio. La sutura della polmonare viene praticata come sutura continua a tutto spessore
con seta vasellinata e presenta difficoltà notevole per la profondità del campo operatorio
e specialmente per la continua espansione del polmone. Occorre dare per due volte dei
punti supplementari per assicurare una emostasi completa togliendo e rimettendo per
due volte ancora la pinza da sutura, la cui messa a posto richiede sempre la trazione
sull’aorta con il laccio. La sutura riesce finalmente emostatica.
Si asciuga con tamponi una parte del sangue versato e si mette un punto di accostamento del lembo sinistro del pericardio ai resti del muscolo pettorale sul margine destro
dell’incisione. La sutura dei due foglietti pericardici è impossibile per il notevole divaricamento dei margini prodotto dalla distensione del cuore. Segue la sutura del pettorale,
del sottocutaneo e della pelle con grappette.
Alla fine dell’intervento si pratica una piccola incisione sulla ascellare media nell’8° spazio intercostale e si introduce nel cavo pleurico una sonda di Pezzer a tenuta d’aria a cui si
applica subito il tubo che porta alla bottiglia di aspirazione. Dal cavo pleurico esce aria e sangue.
300
La responsabilità del chirurgo
La sutura cutanea è stata fatta senza anestesia ma ha provocato manifestazioni
molto notevoli di dolore da parte del malato. Il malato viene messo a letto inconscio e
delirante. Si pratica un’iniezione di Digalén, di canfora e di morfina. Il polso è ben percepibile, leggermente aritmico, la pressione arteriosa massima di 95, minima di 65. Nel
pomeriggio il malato è ancora delirante, il polso è sempre valido, vi è modica dispnea. Il
tubo di aspirazione non drena più. Al malato si somministra ogni 4 ore una iniezione
ipodermica di morfina e di eupaverina. Il giorno seguente vi è un leggero miglioramento
nelle condizioni del malato, l’agitazione è diminuita e si alimenta bene. In terza giornata
sono scomparse le aritmie e si continua ogni 6 ore l’iniezione di eupaverina. Con inalazioni di benzoato sodico ogni 2 ore la dispnea diminuisce notevolmente. Una radiografia
eseguita al letto del malato mostra che non vi è traccia di pneumotorace, mentre vi è
un versamento alla base di sinistra. Ha piccole elevazioni termiche. In quarta giornata
scompare il delirio; il polso è regolare, ritmico e il malato si nutre abbondantemente. Si
toglie il drenaggio pleurico dopo essersi accertati che il cavo del drenaggio è separato dal
cavo pleurico contenente liquido.
Da allora le condizioni vanno rapidamente migliorando nonostante la persistenza
del liquido raccolto nel cavo pleurico di sinistra. Le piccole elevazioni termiche sono
scomparse e il malato è in condizioni così buone che in 14° giornata si alza e da solo può
fare alcuni passi. La ferita operatoria è guarita per prima men che in corrispondenza
dell’angolo inferiore dove vi è una necrosi superficiale e molto limitata nel sottocutaneo.
Il malato per 3 giorni si alza si nutre regolarmente; dopo il quarto giorno insorgono però
edemi degli arti inferiori del sacro. Per suggerimento del prof. Frugoni si praticano delle
iniezioni di tachidrolo e vari cardiocinetici e si procede frazionalmente all’estrazione del
liquido pleurico nella quantità complessiva di 1300 cmc. Questo è di colore chiaro ed ha
caratteri d’un essudato. Dopo l’estrazione il liquido non si riforma più però persistono
più accentuati alla sera gli edemi sacrali e degli arti inferiori. Un elettrocardiogramma
mette in evidenza delle alterazioni che possono ricondursi a fatti non molto gravi di alterato circolo coronario, mentre l’esame radiologico e radiografico fa escludere la presenza
di liquido nel cavo pericardico. Gli edemi sono con tutta probabilità in rapporto con lo
stato di indebolimento del miocardio. In seguito alle cure assidue il malato va migliorando. (Ringrazio qui caldamente il prof. Frugoni e l’amico prof. Pozzi, suo aiuto, per
l’interessamento preso al caso e per l’esito così favorevole delle cure condotte). A un mese
di distanza dell’intervento il malato è decisamente avviato verso la guarigione. Gli edemi
sono quasi del tutto scomparsi e limitati alle regioni malleolari e scompaiono durante il
riposo notturno. La crasi sanguigna è andata pur essa migliorando e il numero di globuli
rossi è aumentato da poco più di 2.000.000 a 3.600.000 circa. Il malato è in ottime condizioni psichiche, si nutre abbondantemente. La diuresi è perfetta. Il liquido pleurico non si
è più riformato. L’esame radiografico mostra lo spostamento dell’aia cardiaca verso destra
non ingrandita, con una modica dilatazione aortica con una chiazza di calcificazione.
Il miglioramento va sempre più accentuandosi e il malato abbandona la Clinica il 18
gennaio completamente guarito persistendo ancora soltanto un modico grado di anemia.
Maurizio Gavinelli. Chirurgo generale e vascolare, della Scuola di Chirurgia d’Urgenza dell’Università di Milano. Già Primario di Chirurgia Generale e Vascolare e
professore a contratto nelle Università di Milano, Brescia, Pavia e Varese. Consulente Tecnico del tribunale e della procura di Milano. ([email protected])
Matteo Marchesi. Medico legale, dirigente medico dell’ASST Papa Giovanni XIII
di Bergamo e coordinatore del Secondo Raggruppamento per la Gestione dei
Sinistri della Regione Lombardia. Professore a contratto nell’Università di Milano-Bicocca per i corsi di laurea in Medicina e Chirurgia, Ostetricia e Fisioterapia.
([email protected])
ISBN 978-88-9385-243-2
www.editrice-esculapio.it
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M. Gavinelli - M. Marchesi - LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE DEL CHIRURGO
L’attività del Chirurgo deve svolgersi tra gli intricati binari dei doveri e dei
divieti stabiliti dalle varie norme penali, civili e quelle derivanti dai codici deontologici, oltre che dai codici di comportamento aziendali. Quando si incorre in
una violazione delle regole si è chiamati a risponderne. La responsabilità nasce
dal mancato adempimento dei doveri, salvo che sia provata l’impossibilità di tale
adempimento per fattori inevitabili: in generale, le aspettative (non di rado, le
pretese) dell’utenza sono accresciute nel tempo, molto di più di quanto la Sanità
sia spesso in grado di offrire e di garantire. Con il progredire delle conoscenze
e delle competenze sanitarie è aumentata l’insoddisfazione verso le prestazioni
ricevute: infatti più attività si è chiamati a svolgere, più aumenta la probabilità
di cadere in errore e, più alternative vi sono, più cresce il rischio di non scegliere
quella più appropriata e di venire poi chiamati a rispondere della scelta adottata.
I Chirurghi sono oggi chiamati sempre più a prendere coscienza di questa problematica e ad affrontarla con lucida fermezza. Questo libro offre una sezione
generale, dedicata all’analisi dei vari principi e delle plurime regole della responsabilità professionale sanitaria, con i richiami di legge e dell’alta giurisprudenza,
e una sezione speciale, con numerosi casi-tipo peritali chirurgici, formulati ad
hoc sull’esperienza maturata nel corso degli anni di concreta pratica professionale
nell’ambito del contenzioso sanitario. L’opera, in definitiva, si propone di venir in
aiuto ai Colleghi per affrontare i problemi della responsabilità professionale, con
qualche timore in meno e qualche conoscenza in più.
Maurizio Gavinelli Matteo Marchesi
LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE
DEL CHIRURGO
CON CASI PERITALI SIMULATI
E COMMENTATI
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19/03/2021 14:18:52
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