REPRINT EUGENIO DE CARO NOTE SULLA FENOMENOLOGIA DELL’ESTETICO EUGENIO DE CARO NOTE SULLA FENOMENOLOGIA DELL’ESTETICO Milano 1996 © 1996-2013 EDUCatt - Ente per il Diritto allo Studio Universitario dell’Università Cattolica Largo Gemelli 1, 20123 Milano - tel. 02.7234.22.35 - fax 02.80.53.215 e-mail: [email protected] (produzione); [email protected] (distribuzione) web: www.educatt.it/libri ISBN: 978-88-6780-039-1 Associato all’AIE – Associazione Italiana Editori Questo volume è stato stampato per la prima volta nel mese di settembre 1996 presso la Litografia Solari (Peschiera Borromeo) e, nel mese di ottobre 2013, in ristampa anastatica rispettosa dell’originale. Indice capitolare pagina Introduzione 1. Wertnehmung e oggettivazione estetica in Edmund Husserl 5 11 Estetica come Wertlehre 14 Piacere e valore estetici: das Interesse an der Erscheinung 17 Wertnehmung e predicabilità del bello 24 Conoscenza estetica come intenzionamento del possibile 31 2. Un progetto di estetica fenomenologica: Stefano Zecchi 37 Estetica e atteggiamento scientifico 38 Fenomenologia costitutiva 39 Esperienza ed evidenza: la descrizione fenomenologica 41 Prassi costitutiva e intenzionalità corporea 43 Fenomenologia dell’arte 47 Piacere estetico 50 Eideticità e costituzione: una base estetica dell’analitica 52 3. Praxis e tradizione. Sui rapporti tra arte e fenomenologia 61 4. Nota sulla fortuna italiana della prima estetica fenomenologica 71 A. Bibliografia ragionata delle traduzioni dalla prima estetica fenomenologica Roman Ingarden Nicolai Hartmann Waldemar Conrad Moritz Geiger Max Dessoir Fenomenologia e arte Aloys Fischer 72 72 75 77 78 80 80 81 B. Le origini dell’estetica fenomenologica nella loro fortuna italiana 82 L’oggetto che interroga il fruitore: Waldemar Conrad 85 Essenza e significato dell’arte. Estetica fenomenologica in Walter Meckauer e Oskar Becker 90 Soggettività e oggettività dei momenti estetici 96 Ontologia dell’arte, valore, costituzione in Roman Ingarden Schema e costituzione dell’opera letteraria Modificazione di neutralità ed emozione originaria Critica e assiologia 101 101 106 110 Moritz Geiger e la fenomenologia della fruizione estetica Anschauliche Fülle e fruizione estetica 114 119 Sul rapporto arte-possibilità in Nicolai Hartmann Fenomenologia e ontologia Possibilità nella realtà dell’arte Realtà, prassi, progetto 123 125 130 132 5. Fenomenologia e «aggancio metafisico» nell’estetica di Elisa Oberti 135 Estetica e metafisica 136 Datità sensibile ed opera: la potentielle Offenbarung di Ingarden 143 Concetto sensibile e ulteriorità: l’universale senza interpretazione 151 6. Arte, estetica e possibilità secondo Virgilio Melchiorre 157 Duplicità dell’arte: possibilità e immaginazione ;158 Piacere e perfezione .i.ontologic;a; 163 Estetica e .i.metafisica: la possibilità come simbolo dell’identico 165 Bibliografia 171 Introduzione1 Questo volume offre una rielaborazione e uno sviluppo di un precedente lavoro2 in cui si faceva il punto sull’interpretazione nel nostro paese delle poche ma dense notazioni husserliane sull’estetica e sulla diffusione in Italia del pensiero dei primi esponenti dell’estetica fenomenologica tedesca. Rispetto alla precedente edizione vengono lasciati in secondo piano alcuni aspetti legati alla ricostruzione storica del crescente interesse occorso in Italia, a partire dagli anni Cinquanta, per il pensiero di Husserl e dei suoi primi seguaci, mentre priorità viene ora data alla evidenziazione e allanalisi dei luoghi teoretici maggiormente rilevanti in ordine alla possibile fondazione di unestetica fenomenologica.3 Il primo capitolo è dedicato alla interpretazione del manoscritto A VI 1 di Edmund Husserl dal titolo Ästhetik und Phänomenologie, letto con riferimento anche ad altri luoghi della produzione husserliana – 1 Le citazioni dalla letteratura primaria e secondaria verrano effettaute mediante sigle costituire dal cognome dell’autore e dall’anno di edizione, seguiti dal numero di pagina. Tutte le sigle sono facilmente scioglibili nella bibliografia. 2 Eîdos. Una ricerca sulla fortuna italiana dell’estetica fenomenologica - De Caro 1990. 3 Alcuni capitoli sono stati ampliati, altri spostati o ridotti, tutti comunque ritoccati e aggiornati. Più specificamente, sono state omesse una nota sull’attività di traduzione dell’opera di Husserl e l’appendice sui rapporti fra Husserl e Lipps. La bibliografia, aggiornata con i lavori degli ultimi cinque anni, viene invece ripresentata per intero. 5 5 in particolare alle Logische Untersuchungen, a Ideen I e Ideen II, assieme ad altri inediti – e considerando il dibattito che una prima parziale pubblicazione italiana del manoscritto nel 1972 ebbe a suscitare. Se ne potrà concludere, come avremo occasione di esplicitare, lindubbio rilievo di queste prime e uniche riflessioni husserliane sullestetica, dovuto sia la loro intrinseco interesse estetologico, sia al loro nesso con altri temi portanti del pensiero dellautore quali la costituzione oggettuale, la genesi attiva e passiva, l’intenzionalità fungente e la fenomenologia del valore – nella quale, secondo un piano prospettato nella Einleitung in die Logik und Erkenntnistheorie. Vorlesungen 1906/07, l’estetica avrebbe dovuto occupare un posto eminente, a fianco dell’etica.4 L’attenzione riservata in Italia alle brevi note d’estetica stese da Husserl ha prodotto un cospicuo numero di interventi volti sia a interpretare il testo, frammentario, ma ricco di spunti, sia a cercare di trarne sollecitazioni in vista di una fondazione fenomenologica dell’estetica. Tra questi diversi lavori,5 il capitolo secondo isola un gruppo di studi sviluppati tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta da Stefano Zecchi, lautore che per 4 Il progetto di una fenomenologia del valore estetico adombra evidentemente un fecondo e poco esplorato campo di ricerca relativo ai rapporti tra estetica ed etica a cui sarà dedicato il capitolo sesto. 5 Queste Note – va precisato – non avanzano alcuna pretesa di esaustività rispetto a un possibile e auspicabile bilancio complessivo sull'estetica fenomenologica italiana; l'intento dei contributi qui proposti è invece principalmente, come s’è detto, quello di individuare, all'interno del dibattito sull’estetica fenomenologica, alcuni essenziali punti teoretici sui quali è possibile far leva in vista di una fondazione fenomenologica dell'estetica. 6 6 primo ha messo in circolazione il contenuto del manoscritto A VI 1 attraverso una sua parziale edizione-traduzione.6 Nel capitolo terzo viene focalizzato un altro punto teoretico di rilievo per il pensiero estetico e in particolare per la fenomenologie delle poetiche e la storiografia estetica proposte da Luciano Anceschi7, vale a dire la dialettica tra ʺtradizioneʺ e ʺinnovazioneʺ nei suoi rapporti con lorizzonte della praxis. Anche in questo caso, come si vedrà, la riflessione si collega a problematiche più generali legate alla cosiddetta ʺcostituzione fenemenologicaʺ e quindi anche ai rapporti tra arte e fenomenologia. Piú mirato ad aspetti storici e storiografici è invece il capitolo quarto in cui, senza trascurare di evidenziare anche qui il portato teorico dei vari contributi, si fa il punto sulla diffusione in Italia delle fonti della prima estetica fenomenologica tedesca, avvenuta principalmente per merito di Gabriele Scaramuzza.8 Considerando che i primi esponenti dell’estetica fenomenologica sono stati oggetto d’attenzione e di studio anche in contesti filosofici affatto differenti, 6 Zecchi 1972a. Per l’altra fondamentale corrente dell’estetica fenomenologica italiana facente capo alla scuola bolognese che ha parimenti contribuito a caratterizzare e arricchire il panorama degli studi estetologici negli ultimi decenni si rinvia agli esaurienti lavori di Lino Rossi e Carlo Gentili: Rossi L. 1976a; Rossi L. 1983; Gentili 1981. 8 Il recente volume sull’Estetica monacense (AAVV 1996) curato da Gabriele Scaramuzza ha ulteriormente arricchito la disponibilità delle fonti dell’estetica fenomenologica grazie alla edizione di nuovi saggi su Geiger, Ingarden, Benjamin e ad un prezioso intervento sul pensiero estetico di Aloys Fischer, autore che, come si vedrà, dovette giocare un ruolo non secondario anche per le riflessioni husserliane sull’estetica. 7 7 7 negli ultimi due capitoli le letture sino a quel momento presentate vengono messe a confronto con quelle proposte da due esponenti che hanno contribuito allo sviluppo degli studi estetologici nellarea cattolica milanese quali Elisa Oberti e Virgilio Melchiorre. Il quinto capitolo analizza pertanto il volume Estetica. Teoria dell'oggetto artistico come presenza evidenziata (1962) di Elisa Oberti, opera che, nel panorama dell’estetica fenomenologica italiana, occupa un posto del tutto particolare. Dopo un confronto con alcuni esponenti della prima estetica fenomenologica tedesca (Waldemar Conrad, Moritz Geiger, Roman Ingarden, Nicolai Hartmann), così come con JeanPaul Sartre, Oberti avanza infatti la proposta di un’estetica fenomenologico-metafisica che, prendendo congedo dalle estetiche metafisiche tradizionali, consenta di avvicinare, a suo dire finalmente senza pre-concetti o pre-giudizi, la dimensione sensibile propria dell’arte. Si delinea in tal modo la prospettiva di un’estetica che possa indicare la necessità di un «aggancio all’ulteriorità», senza per questo abdicare alla propria autonomia disciplinare. Questo documenta ulteriormente lampio spettro di posizioni che linteressante confronto apertosi in Italia da qualche decennio con i primi esponenti dellestetica fenomenologica è stato in grado di produrre. Nel capitolo sesto vengono infine analizzate alcune riflessioni sul rapporto tra arte e possibilità sviluppate di Virgilio Melchiorre; in esse un ruolo centrale è assegnato alla fenomenologia husserliana e specificamente al manoscritto A VI 1 di Husserl. Come già nel caso di Elisa Oberti, si profila anche qui una linea di lettura del pensiero husserliano di impostazione alquanto differente rispetto a quelle 8 8 considerate nei capitoli precedenti, linea che conduce Melchiorre a identificare nel piacere estetico lindice di una corrispondenza ontologica tra uomo e natura e lopera darte come il luogo simbolico capace di attivare lintenzionalità analogica dell'essere che caratterizza a suo avviso luomo in quanto tale. È proprio in ragione della documentazione della differenza tra i risultati provenienti dalle varie letture e attualizzazioni dellestetica husserliana e dei primi teorici dellestetica fenomenologica che questo nostro breve repertorio sulla fenomenologia dell'estetico ha preso forma e ci sembra mantenga, pur nella sua asistematicità, una sua specifica pertinenza: esso intende infatti offrire una documentazione delle differenti linee teoretiche che la ricezione del metodo fenomenologico di Edmund Husserl è in grado di attivare e del portato che tale metodologia può liberare nel processo di ri-fondazione dell'estetica attualmente in corso all'interno del pensiero estetologico italiano contemporaneo. Un processo in cui la fenomenologia, come ora si vedrà, sembra poter in definitiva contribuire a ridisegnare la funzione epistemologica rivestita dallarte entro lo statuto (filosofico) dellestetica. Fra tutti coloro che mi sono stati di aiuto nel corso della ricerca desidero soprattutto ringraziare: il prof. Gabriele Scaramuzza che, con cordiale disponibilità, mi ha consigliato e mi ha fornito utili notizie sul movimento dell’estetica fenomenologica; il prof. Elio Franzini che, molto gentilmente, mi ha indicato preziosi riferimenti bibliografici; il prof. Francesco Piselli che, con paterna dedizione, mi ha seguito nel corso delle indagini e col quale ho discusso alcuni passaggi teoretici; il prof. Amedeo Giovanni Conte che mi ha aiutato su questioni filologiche ed etimologiche reltivamente alla lingua tedesca. A tutti va la mia piú sentita riconoscenza. Palazzolo sull’Oglio (Bs), 30 agosto 1996 9 9 Wertnehmung e oggettivazione estetica in Edmund Husserl L’interesse di Husserl per l’estetica è sporadico ma non privo di diversi spunti teoretici, in gran parte concentrati su un gruppo di fogli manoscritti catalogati all’Archivio Husserl di Lovanio sotto la sigla A VI 1. Si tratta di appunti non molto sistematici e stesi in diversi momenti, con ogni probabilità a partire dal 1906 e sino al 1918, quando vennero raccolti in un unico plico portante il titolo Ästhetik und Phänomenologie; attraverso di essi, nonostante una certa difficoltà interepretativa, si possono ricostruire alcune direttive di fondo del pensiero husserliano sull’estetica, il quale non ha peraltro ricevuto, nemmeno successivamente, alcun organico sviluppo.9 Anzi, per quanto possa sembrare un po’ para9 In verità, alcuni accenni a tematiche estetologiche si trovano già nelle Logische Untersuchungen (1900-01) e si incontreranno anche in diverse altre opere; si tratta però quasi sempre di esemplificazioni introdotte a sostegno di altre argomentazioni e dalle quali difficilmente si potrebbe dedurre un quadro dottrinale unitario. Non è del resto un caso se gli stessi esponenti dell’estetica fenomenologica, che pur guardavano con molto entusiasmo alle Ricerche Logiche, non avevano preso le mosse dai diversi riferimenti all’arte (letteratura, statue, dipinti, mimica, melodie), alla bellezza naturale, all’artista, all’atteggiamento o al piacere estetici qua e là introdotti da Husserl in quest’opera, e nemmeno dalle notazioni sulla fantasia o sulla coscienza d’immagine, ma avevano cercato di far propria l’impostazione metodologica generale della ricerca, al fine di trasporre entro i domini dell’estetica l’antipsicologismo e l’antinaturalismo che avevano animato la fondazione husserliana della logica. Cfr. su ciò Scaramuzza 1989, 31-42; per un quadro della situazione dell’estetica nei primi anni del secolo cfr. Geiger 1996b e Geiger 1996a. Sui primi sviluppi dell’estetica fenomenologica cfr. Scaramuzza 1976, 1989 e 1996c. 11 11 dossale, è probabilmente grazie ai contatti coi primi studiosi dell’estetica fenomenologica che Husserl fu spinto a prestare una certa attenzione alle possibili estensioni all’estetica della fenomenologia o, perlomeno, ad esplicitare l’analogia che di fatto veniva a sussistere fra l’epoché fenomenologica e l’atteggiamento estetico.10 Che Husserl sia stato in qualche modo sollecitato ab extra a riservare qualche attenzione alle questioni dell’estetica sembra esser infatti documentato dal fatto che alcuni importanti passaggi teoretici del ms A VI 1 provengono dichiaratamente da Aloys Fischer e Johannes Daubert, due studiosi della cerchia di fenomenologi di Monaco che il 17 aprile 1906 gli fecero visita a Göttingen proprio per discutere questioni sull’oggettività estetica.11 Alcuni dei nuclei tematici annotati in quell’occasione da Husserl si ritrovano infatti nella dissertazione per l’abilitazione di Fischer presentata nel 1907,12 ed analogie anche con altri studiosi monacensi sono state di recente evidenziate da Gabriele Scaramuzza e Karl Schuhmann.13 Allo stesso 1906, inoltre, risale anche un altro importante foglio del ms A VI 1 che porta il 10 Sui rapporti fra arte e fenomenologia cfr. Scaramuzza 1976; Felmann 1982; Scaramuzza 1989, 61-81; AAVV 1991; Franzini 1994; Sepp 1996; Scaramuzza 1996c. 11 Per le vicende biografiche di Husserl si veda Schuhmann 1977. In conclusione ai due fogli del manoscritto intitolati Ästhetische Objektivität Husserl annota che le riflessioni che ha appena riassunto provengono nella loro parte principale «von den beiden Freunden» Husserl ms A VI 1, Scaramuzza-Schuhmann 1990, 173. 12 Un resoconto analitico della dissertazione dattiloscritta si trova in Scaramuzza 1996c. 13 Scaramuzza-Schuhmann 1990; tr. it. 1992. 12 12 titolo Ästhetik14, mentre dell’inizio dell’anno successivo è la lettera a Hugo von Hofmannsthal, della quale vi è pure un abbozzo sul manoscritto.15 Successivamente a questi eventi, come si è detto, Husserl non ha dedicato alcun lavoro specifico all’estetica come ambito autonomo del sapere, avendo operato tuttavia saltuari riferimenti od esemplificazioni sui temi dell’oggettivazione, del piacere e del valore estetici o dell’epoché spontaneamente praticata dall’artista. Tali notazioni, sparse nelle sue opere edite e inedite, possono certamente essere utilizzate per dare maggiore organicità a quanto emerge dal manoscritto A VI 1, che resta comunque la principale testimonianza dell’interesse husserliano per l’estetica. Considereremo qui quanto di esso è stato sinora pubunitamente alla citata lettera a blicato,16 Hofmannsthal del 12.1.1907 e ad altri passi da Ideen I, Ideen II, dalla raccolta su Phantasie, Bildbewusstsein, Erinnerung curata da Eduard Marbach,17 dalle 14 In: Husserl 1980, 145-146. Risulta difficile stabilire la sua anteriorità o posterità rispetto al colloquio coi due studiosi monacensi; cfr. al riguardo Scaramuzza-Schuhmann 1990, 166 e 174; 1992, 4; 1996, 17. 15 Hirsch 1968, ora anche in Husserl 1994, 133-135; tr. it.: Scaramuzza 1985, Zecchi-Franzini 1995, 958-961, AAVV 1996, 9-14. 16 Un regesto del manoscritto si trova, volto in italiano, in Zecchi 1972a (rist. in Zecchi 1984, 111-127 e parzialmente in Zecchi-Franzini 1995, 961-963), mentre dell’originale sono stati pubblicati due fogli dal titolo Ästhetische Objektivität in Scaramuzza-Schuhmann 1990, 171-173 (tr. it. Scaramuzza-Schuhmann 1992, 11-14), altri due fogli intitolati Zur Ästhetik (Kunst), piú un quinto foglio dal titolo Ästhetik sul volume XXIII di Husserliana curato da Eduard Marbach (Husserl 1980, 144-6 e 540-2). Per ulteriori notizie sul manoscritto si rinvia alle introduzioni dei curatori ai luoghi appena citati. 17 Il punto h) del Nr. 15 (Husserl 1980, 386-393) è tradotto in italiano col titolo Coscienza e sentimento estetico in Franzini-Ruschi 1983, 225231. 13 13 Logische Untersuchungen e dalla Einleitung in die Logik und Erkenntnistheorie. Vorlesungen 1906/07 edita da Ullrich Melle. Estetica come Wertlehre Al centro dell’attenzione di Husserl sta l’oggettività estetica, considerata nella sua strutturale correlazione alla soggettività e nella sua differenza rispetto all’oggetto naturale; il tratto fondamentale dell’estetico resta però la presenza del valore, come Husserl afferma anche in un altro importante luogo in cui fa rientrare l’estetica nella «reine Wertlehre».18 Tuttavia, le riflessioni husserliane sull’estetica si inscrivono necessariamente anche nel contesto della complessa teoria della modificazione degli atti intenzionali percettivi, visto che, come espliciteremo tra breve, il valore estetico si gioca tutto sul piano dell’Erscheinung, cioè del concreto rapporto ad un soggetto intenzionale; quando Husserl tratta dell’oggettività estetica sembra 18 Cosí leggiamo nella Einleitung in die Logik und Erkenntnistheorie. Vorlesungen 1906/07: «Ersetzen wir die reine Logik durch reine Ethik, reine Ästhetik, reine Wertlehre überhaupt, Disziplinen, deren Begriffe nach Analogie der reinen Logik streng und von aller empirischen und materialen Moral usw. unterschieden definiert werden müßten, dann entspricht der Erkenntnistheorie oder Kritik der theoretischen Vernunft die Kritik der praktischen, der ästhetischen, der wertenden Vernunft überhaupt, mit analogen Problemen und Schwierigkeiten wie die Erkenntnistheorie. […] Und endlich entspricht der reinen Wertlehre und der Wertungskritik die Phänomenologie der ethischen, ästhetischen und sonstigen Wertungserlebnisse, die Voraussetzung und das Fundament der Auflösung der wertungskritischen Schwierigkeiten. Schließlich kann man den Begriff der Phänomenologie erweitern zu einer allumfassenden Wesensdeskription und -analyse, also zu einer Aufweisung und analytischen Zergliederung aller Spezies von Erlebnissen, Erlebnismomenten und Erlebnisformen […]» Husserl 1984a, 381; cfr. Schuhmann 1988, 242; ScaramuzzaSchuhmann 1990, 169. 14 14 infatti quasi farsi largo una peculiare tipologia di atti intuitivi della percezione,19 costituita da atti che non mirano specificamente alla presenza sensibile dell’oggetto, ma che, attraverso questa stessa presenza, offrono un’originaria (pre-teoretica) intenzione di valore (Wertintention, Wertnehmung), la quale funge da base materiale per la costituzione del vero e proprio oggetto estetico-assiologico.20 Se è vero infatti 19 Rudolf Bernet, Iso Kern ed Eduard Marbach, ordinando materiali sparsi e in continua modificazione negli sviluppi del pensiero husserliano, distinguono fondamentalmente tre tipi di atti intuitivi della percezione: 1atti intuitivi presentativi della realtà «in carne ed ossa»; 2- atti che conferiscono all’oggetto il significato d’immagine; 3- atti della mera coscienza di presentificazione (in cui la presenza dell’oggetto è però sempre mediata dalla coscienza riproduttiva), la quale può essere a sua volta tetica (ricordo, co-presentificazione, aspettazione), o non-tetica (pura fantasia); cfr. Bernet-Kern-Marbach 1992, capp. IV-V. Gli atti di cui stiamo parlando (cioè gli atti che, essendo fondati sul coglimento sentimentale del valore, costituiscono la vera e propria oggettività estetico-assiologica) potrebbero rientrare nella tipologia (2) della coscienza d’immagine (cioè della presentificazione non riproduttiva ma fondata percettivamente), nella quale la coscienza percettiva fondante continua ad agire, ma – spiega Husserl – in modo del tutto simile al caso della funzione segnica o simbolica: il simbolo, infatti «appare in sé, ma è portatore di un riferimento a qualche altra cosa che in esso viene designata. Cosí anche nella vera e propria funzione d’immagine l’“immagine” è costituita in una propria apprensione oggettuale ed è portatrice di un riferimento a ciò che è raffigurato» Husserl 1980, 82. Nel ms A VI 1, però, è questione di coglimento di valori, mentre le distinzioni di cui abbiamo detto sono state elaborate da Husserl in vista di una teoria della conoscenza; si tratterebbe allora di trasferire quei risultati nell’ambito dell’assiologia, e questo è ciò che Husserl sembra abbozzare nei passi che stiamo commentando. 20 A Husserl non interessano tanto le tonalità emotive delle intenzioni oggettuali quanto piuttosto la distinzione dei diversi strati di predicati oggettuali. Cosí, infatti, si esprime in Ideen II: «Im ästhetischen Gefallen ist uns etwas als ästhetisch gefällig, als schön bewußt. Die Ausgangstatsache sei, daß wir im ästhetischen Gefallen leben, uns also gefallend an das erscheinende Objekt hingeben. Wir können auf d as Ge fallen reflektier en, […]. Aber etwas ganz anderes ist den B lick auf d en – segue – 15 15 che ci si deve astenere dall’interpretare l’esteticità come una semplice proiezione di vissuti soggettivi e che la costituzione dell’oggetto estetico-assiologico si organizza come una sorta di risposta ad una capacità dell’oggetto, considerato nella sua «sinnliche Komplexion», di provocare una determinata percezione, la Wertnehmung non può che organizzarsi nello stesso darsi fenomenico dell’oggettualità; e questo in quanto è proprio quella complessione sensibile strutturata in opera dall’artista a suscitare un piacere estetico (Gefallen), il quale a sua volta, analogamente a quanto accade nell’epoché fenomenologica, provoca una modificazione di neutralità della percezione che – Gegenstand und seine Schönheit richten. Die Schönheit schaue ich am Gegenstand an, freilich nicht wie seine Farbe oder Gestalt in schlichter sinnlicher Wahrnehmung; aber am Gegens tand selb st find e ich d as Schö ne . […] Ich blicke auf das Objekt hin und finde an diesem in meiner geänderten, nun theoretischen Einstellung die Korrelate dieser Gemütsakte, eine objektive Schicht, übergelagert über die Schicht d er sinn lichen P räd ikate […]». Husserl 1952a, 14-15. Tr. it.: «Nel piacere estetico qualcosa è per noi piacevole esteticamente, è presente alla nostra coscienza come bello. Prendiamo come fatto iniziale questo: che noi viviamo nel piacere stesso, e che quindi, attraverso questo piacere, ci dedichiamo all’oggetto che ci appare. Noi possiamo riflettere su questo piacere […] Ma una cosa completamente diversa è rivolgere lo s g u a r d o v e r s o l ’ o g g e t t o e verso la sua bellezza. Io intuisco la bellezza sull’oggetto, anche se non come un colore o una forma, attraverso una semplice percezione sensoriale; n e l l ’ o g g e t t o s t e s s o i o t r o v o i l b e l l o . […] Io guardo l’oggetto e in esso, attraverso il mio atteggiamento modificato, diventato atteggiamento teoretico, trovo i correlati di quegli atti dell’emotività, uno strato obiettivo sovrapposto allo s t r a t o d e i p r e d i c a t i s e n s o r i a l i .» Husserl 1965a, 413-414. Si condivide dunque la posizione di Bernet, Kern e Marbach, quando affermano: «Husserl concepisce l’interesse soggettivo che regola il deflusso del processo di percezione primariamente come interesse scientifico conoscitivo, diretto ad una presa di conoscenza massima (o adeguata) della cosa, e non come un interesse rivolto al godimento estetico o all’utilizzazione tecnico-pratica» Bernet-Kern-Marbach 1992, 169. 16 16 e qui sta appunto la specificità dell’estetico – sposta l’intenzionalità soggettiva dall’orizzonte delle mere Sachen a quello dei Werte. E tuttavia, essendo qui in causa nient’altro che un valore «estetico», quest’ultimo non si riferisce ad altro che al modo di apparizione dell’oggetto. L’intenzione coscienziale atteggiata estetico-assiologicamente, in altri termini, riesce a prescindere dalla presenza «naturalistica» dell’oggetto, volgendosi specificamente alle sue modalità di presentazione fenomenica nella percezione, modalità che, proprio in quanto svelano una strutturale copresenza del soggetto alla significatività dell’oggetto, qualificano quest’ultimo come dotato di valore. Piacere e valore estetici: das Interesse an der Erscheinung La prima fondamentale costante che si coglie nelle riflessioni husserliane sull’estetica contenute nel ms A VI 1,21 è la relazione che viene stabilita fra piacere estetico e valore,22 cioè, potremmo dire, fra momento soggettivo e momento oggettivo dell’esperienza estetica. Il momento soggettivo, però, non interessa a Husserl per il suo portato psicologico ma in quanto coinvolto nella costituzione degli oggetti estetico-assiologici; la riflessione husserliana si concentra infatti sui modi specifici di intenzionalità grazie a cui 21 Si tratta, come s’è accennato, soprattutto di appunti frammentari che non sono stati né pensati per un ben definito destinatario, né preparati per una qualche edizione. Cerco tuttavia di restituire, dal fitto e rapsodico argomentare husserliano, un disegno teorico d’insieme. 22 «Il puro piacere estetico è la scoperta del valore originario» Husserl, ms A VI 1, p. 2; Zecchi 1972a, 83. Dei passi originali husserliani non ancora pubblicati riporto, come in questo caso, la sola traduzione di Zecchi; il numero di pagina si riferisce alla trascrizione dattiloscritta presente in Archivio e utilizzata per la traduzione. 17 17 l’oggetto, staccandosi dall’orizzonte della «bloße Sache», acquisisce predicati di valore estetico. Un secondo punto centrale è l’analogia individuata da Husserl fra l’atteggiamento dell’artista e quello del fenomenologo, fondata sul fatto che entrambi lasciano fuori gioco l’atteggiamento naturale e si volgono intuitivamente alle strutture essenziali della realtà: L’opera d’arte ha un effetto estetico: si muove nella visione pura, in cui ogni posizione d’esistenza viene esclusa. […] La visione fenomenologica non è una visione per il godimento estetico (Genuß), ma per esercitare la riflessione e cogliere in essa l’essenza immanente, il senso immanente di ogni valutazione sia conoscitiva che estetica che etica. L’artista che osserva e prende in esame il mondo, attinge da questo materiale per le forme artistiche, si comporta esattamente come il fenomenologo, dunque non come un naturalista o un osservatore pratico.23 Per qualificare appieno l’oggetto estetico non è però sufficiente affermarne la differenza rispetto agli oggetti naturali e rifarsi a un’intenzione eidetica dell’artista;24 essenziale alla costituzione estetica è infatti anche il vissuto di piacere (Gefallen), il quale 23 Husserl ms A VI 1, pp. 6-7; Zecchi 1972a, 85. «La riduzione a fenomeno dell’evento estetico […] non significa solo l’emergere dell’oggetto estetico nella sua pura autonoma struttura, eliminato ogni presupposto naturalistico (come interpreteranno Conrad, Geiger, Ingarden). Visto nella globalità delle sue valenze, implica piuttosto – e questo è di enorme importanza – l’emergere dell’oggetto estetico in quanto oggetto costituito […]. Proprio questa attività costitutrice del soggetto, che dissolve la dura estraneità delle cose nella loro presenza di senso agli uomini, viene rivelata dalla riduzione fenomenologica». Scaramuzza 1976, 75-6. 24 18 18 viene ad essere la base fondante su cui si costituisce il vero e proprio valore estetico. Quest’ultimo si può infatti far presente all’intenzione coscienziale solo sulla base di una modificazione di un atto pre-teoretico fruitivo, grazie al quale viene spontaneamente operata un’epoché: «es ist ein Gefallen, das die Existenz ausser Spiel lässt und wesentlich bestimmt ist durch die Erscheinungsweise».25 La costituzione del valore estetico è dunque è possibile solo sulla base di un’epoché che non viene operata, come nel caso dell’analisi fenomenologica, per motivi teoretici, ma che scatta sul fondamento di un vissuto fruitivo: la coscienza che vive nel piacere lascia perdere il mondo alla mano, già dotato di un senso, e si volge invece al modo dell’apparizione, si volge cioè alla genesi del valore come valore estetico. E ciò comporta evidentemente un essenziale coinvolgimento della soggettività nella costituzione oggettuale.26 25 Husserl 1980, 145, n. 1. «È un piacere, che lascia fuori gioco l’esistenza, ed è essenzialmente determinato dal modo di apparizione». 26 È di questi anni la cosiddetta svolta trascendentale husserliana, chiaramente teorizzata in queste annotazioni del settembre 1907, che riportiamo a titolo esemplificativo: «Per una fenomenologia che voglia essere gnoseologica, per una dottrina (a priori) dell’essenza della conoscenza, il rapporto empirico rimane […] neutralizzato (ausgeschaltet)». Primo e fondamentale corollario è l’abbandono di ogni indagine oggettuale in sé e per sé assunta: «La fenomenologia trascendentale è fenomenologia della co scienza co sti tuente, e quindi nessun particolare assioma oggettivo (in relazione ad oggetti che non siano coscienza) vi può essere introdotto». Essa è scienza di apparizioni: «L’interesse trascendentale, l’interesse della feno meno lo gia tr a scend entale, va piuttosto alla coscienza come coscienza, va solo ai feno meni, e ai fenomeni in senso duplice: 1) nel senso dell’apparenza in cui l’oggettività (Objektivität) appare, 2) dall’altro lato, nel senso dell’oggettività considerata solo in quanto appare, appunto, nelle apparenze, e quindi in modo “trascendentale”, con – segue – 19 19 L’oggettività – prosegue Husserl – può infatti venir costituita a due livelli: come oggetto teoretico o come oggetto estetico-assiologico; quest’ultimo dipende dall’aspetto dell’oggettività che viene specificamente intenzionato, cioè da come quell’oggettività, grazie appunto alle intenzioni soggettive, appare esteticamente: Bin ich in der ästhetischen Stellungnahme, habe ich das Objekt aufgefaßt, so wie ich es auffassen soll (nämlich von der Seite, mit dem Bedeutungsgehalt verdeckter Art, mit dem Hauch, der die ästhetischen Gefühle weckt, die der Künstler geweckt haben will), dann erscheint mir das ästhetische Objekt […]. 27 Pertanto: unter ästhetischer Objektivität […] es kann aber auch gemeint sein die Komplexion von Werten, die in der Werterscheinung erscheint […].28 Il confine fra valore e apparenza-del-valore è dunque esclusione di ogni posizione (Setzung) empirica» Husserl ms. B II 1, in: Vasa 1981, 11. 27 Husserl ms A VI 1, in Scaramuzza-Schuhmann 1990, 172; «Se sono in una presa di posizione estetica, se ho appreso l’oggetto come devo apprenderlo (vale a dire dal lato, col contenuto significativo nascosto, con quell’atmosfera, che risveglia i sentimenti estetici che l’artista voleva risvegliare), allora mi appare l’oggetto estetico» Scaramuzza-Schuhmann 1992, 13. Stefano Zecchi commenta: «L’esserci dell’oggettività estetica viene fatto risalire agli atti intenzionali che costituiscono immagini e pensieri o forme simboliche che, a loro volta, portano all’ “apparenza”, alle manifestazioni fenomeniche, particolari valori estetici. Viene cosí messo in questione un aspetto del modo di costituirsi dell’oggettività, quello che può fare emergere geneticamente il valore estetico» Zecchi 1972a, 86. 28 Husserl ms A VI 1, in Scaramuzza-Schuhmann 1990, 172; «come oggettività estetica può essere intesa anche la complessione dei valori che appare nell’apparenza del valore» Scaramuzza-Schuhmann 1992, 13. 20 20 molto sottile, tanto che il modo d’apparizione del valore sembra coincidere con lo stesso valore dell’oggetto estetico.29 Il mostrarsi del valore, in altri termini, si costituisce come valore, proprio in quanto quest’ultimo è qui ormai un valore di apparizione, non piú un valore in sé e per sé considerato. Corrispondentemente, l’intenzione coscienziale si sposta sul processo costitutivo dell’oggetto, pone cioè ad oggetto quello stesso processo che costituisce l’oggettività come oggettività estetica. L’attuazione, la realizzazione (Erfüllung) dell’oggetto estetico è comunque, secondo Husserl, progressivo: agli atti costituenti l’«oggettività (teoretica) fondante»30 se ne sostituiscono altri che via via realizzano 29 Husserl afferma che poche rappresentazioni dell’oggetto sono compatibili con l’apprezzamento, sono, cioè, estetiche. Il piacere estetico – riassume Zecchi – diviene dunque «l’indicazione di particolari atti intenzionali che in un processo genetico costituiscono ciò che nelle variazioni sensibili si unifica in rappresentazione con una propria legalità oggettuale estetica». Zecchi, 1972a, 90. Sulla stessa linea – in riferimento al medesimo luogo husserliano – Luigia Di Pinto: «L’opera d’arte è dunque riconducibile ad una apprensione sensibile, ma non è assolutamente riducibile ad essa soltanto poiché l’apprensione sensibile-materiale è solo la struttura piú semplice ed evidente dell’opera d’arte. L’opera d’arte in senso proprio è la modalità in cui una connessione di rappresentazioni aventi un oggetto unitario produce piacere estetico: meglio, il passaggio qualitativo dall’oggetto sensibile all’oggetto estetico è prodotto dal “piacere estetico”; questo passaggio qualitativo non è perciò un’operazione intenzionale riducibile ad un rapporto di mera dipendenza causale poiché è invece un rapporto funzionale di distinzione-correlazione conseguente ad un’operazione attiva del soggetto». Perciò: «La configurazione dell’oggetto estetico costituito è il risultato di un progressivo riempimento di significato in cui il valore si definisce come valore di ciò che per me diviene estetico» Di Pinto 1978, 48-50 (il corsivo, che occupava quasi tutto il passo, è stato omesso). 30 L’espressione «fundierende (theoretische) Objektivität» si trova nel ms A VI 1 (Scaramuzza-Schuhmann 1990, 171), ma era stata usata anche – segue – 21 21 i «sentimenti di valore (Wertgefühle)» suscitati dall’apparizione estetica appropriata: Das ästhetisch bedeutsame und bedeutsam werdende Objekt baut sich normaler weise schrittweise auf: Der Künstler versetz mich in eine Situation, und zwar gibt er mir sie intuitiv oder symbolisch gerade in der Weise, daß ein gewisses Werten erregt wird, das gibt mir dann im nächsten Schritt eine Direktion. Es werden die und die Assoziationen erregt und bei ihr gerade Seite wirksam, die gewisse Stimmungen, Gedanken etc. weckt, die nun wieder neue “Wertgefühle” erregen […].31 Si verifica dunque qualcosa come un’intenzionalità secondaria,32 in cui, una volta sospesa l’oggettivazione da Aloys Fischer nella sua tesi per l’abilitazione; cfr. su ciò Scaramuzza 1996c, 213-5. Di atti (e non però di oggetti) fondanti e fondati Husserl aveva già parlato nelle Logische Untersuchungen; al § 18 della Quinta ricerca come esempio di atto fondato viene proposta la gioia, e poco oltre, al §. 41 la distinzione si sviluppa in quella fra intenzioni primarie e secondarie e viene nominato, come atto secondario fondato, anche il sentimento estetico. Cfr. oltre nota 28; di Husserl cfr. anche Terza ricerca §. 14 e §. 16; Sesta Ricerca §. 48. 31 Husserl ms A VI 1, in Scaramuzza-Schuhmann 1990, 173. «L’oggetto esteticamente significativo e che si fa tale normalmente si costruisce per gradi: L’artista mi immette in una situazione, e me la dà intuitivamente o simbolicamente proprio in modo che viene suscitato un certo valutare, questo mi dà poi una direzione nel passo successivo. Vengono suscitate queste e quelle associazioni, e in questa associazione si fa attivo proprio quel lato che risveglia certi stati d’animo, pensieri, ecc., che a loro volta suscitano nuovi “sentimenti di valore» Scaramuzza-Schuhmann 1992, 14. L’oggetto estetico-assiologico, ne conclude Husserl, è quello che si costituisce sulla base di quei determinati valori che sono propri dell’oggetto, dell’opera d’arte. 32 Afferma Husserl nella Quinta ricerca logica: «Die Beziehung auf eine Gegenständlichkeit konstituiert sich überhaupt in der Materie. J e d e – segue – 22 22 teoretica posizionale, si verifica una seconda oggettivazione teoretica – fondata, però, come s’è visto, sugli stati d’animo in cui il valore oggettuale viene inizialmente colto intuitivamente nella fruizione – che completa con predicati estetico-assiologici l’oggetto (che, nel giudizio, potrà perciò esser qualificato come bello). Solo quando il valore, prima vissuto e poi posto di fronte teoreticamente, viene identificato nell’oggetto si può dunque parlare di oggetto estetico(-assiologico) costituito in senso pieno. Si comprende pertanto l’importante notazione husserliana secondo cui il modo in cui l’apprezzamento fa parte del “modo di rappresentazione” e crea oggettivamente il suo proM a t e r i e ist aber, so sagt unser Gesetz, M a t e r i e e i n e s o b j e k t i v i e r e n d e n A k t e s und kann nur mittels eines solchen zur Materie einer neuen, in ihm fundierten Aktqualität werden. Wir haben gewissermaßen p r i m ä r e und s e k u n d ä r e I n t e n t i o n e n zu unterscheiden, von welchen die letzteren ihre Intentionalität nur der Fundierung durch die ersteren verdanken. Ob im übrigen die primären, objektivierenden Akte den Charakter der setzenden (fürwahrhaltenden, glaubenden) oder nichtsetzenden (“bloß vorstellenden”, neutralen) haben, ist für diese Funktion gleichgültig. Manche sekundäre Akte verlangen durchaus Fürwahrhaltungen, wie z. B. Freude und Trauer; für andere genügen bloße Modifikationen, wie z. B. für den Wunsch, für das ästhetische Gefühl.» Husserl 1984c, I, 515. Tr. it.: «Il riferimento ad un’oggettualità si costituisce in generale nella materia. Ma ogni materia, cosí dice la nostra legge, è materia di un atto oggettivante e solo per mezzo di un simile atto può diventare materia di una nuova qualità d’atto in esso fondata. Noi dobbiamo distinguere, in certo modo, le intenzioni primarie da quelle secondarie: queste ultime sono debitrici della loro intenzionalità al fatto che sono fondate nelle prime. In rapporto a tale funzione è poi indifferente che gli atti primari, oggettivanti, abbiano il carattere di atti posizionali (atti di credenza, assunzioni di verità) o non posizionali (atti di “mera rappresentazione”, neutrali). Molti atti secondari richiedono indubbiamente delle assunzioni di verità, ad es., la gioia o la tristezza; per altri sono sufficienti semplici modificazioni, come nel caso del desiderio o del sentimento estetico.» Husserl 1968a, II, 280. 23 23 dotto di valore, fa parte dell’oggetto “poesia”, “sinfonia”, ecc.33 Wertnehmung e predicabilità del bello Lasciamo ora momentaneamente il manoscritto A VI 1 per confrontare quanto sinora visto con alcuni passi di Ideen II in cui Husserl propone altri importanti riferimenti all’oggetto estetico. Leggiamo infatti nel primo capitolo: Die ursprünglichste Wertkonstitution vollzieht sich im Gemüt als jene vortheoretische (in einem weiten Wortsinne) genießende Hingabe des fühlenden Ichsubjectes, für die ich den Ausdruck Wertnehmung schon vor Jahrzehnten in Vorlesungen verwendet habe.34 L’oggettivazione estetica – sostiene dunque Husserl – muove da un’originaria Wertnehmung, espressione che designa qualcosa di analogo, nella sfera dei sentimenti, alla percezione, la quale, nella sfera dossica, significa la presenza originaria (autoafferrante) dell’io all’oggetto.35 Husserl gioca evidentemente sull’assonanza fra il termine Wahrnehmung (percezione), e il Komposi33 Husserl ms A VI 1, p. 13; Zecchi 1972a, 89. Husserl 1952a, 9. Tr. it.: «La costituzione piú originaria del valore si realizza nell’ambito emotivo, è quella dedizione pre-teoretica e fruitiva del soggetto-io che sente, una dedizione per la quale , già decenni fa, in certe mie lezioni, avevo proposto l’espressione ricezione del valore» Husserl 1965a, 408. 35 «Der Ausdruck [Wertnehmung] bezeichnet also ein der Gefühlssphäre zugehöriges Analogon der Wahrnehmung, die in der doxischen Sphäre das ursprüngliche (selbsterfassende) Dabeisein des Ich bei dem Gegenstande selbst bedeutet.» Husserl 1952a, 9. 34 24 24 tum Wertnehmung, che potremmo tradurre con «prensione del valore», assonanza rinforzata dal fatto che quest’ultimo termine, essendo composto ad hoc da Husserl,36 sembra essere usato proprio per mettere in risalto – attraverso il derivato dal verbo nehmen (prendere) – l’analogia Wahr / Wert (custodia, considerazione, attenzione / valore)37. Quello che Husserl vuole far notare è dunque l’analogia (di rapporti) fra il passaggio dalla percezione all’obiettivazione teoretica (di un oggetto naturale) e il coglimento fruitivoemotivo del valore considerato come base fondante per la costituzione dell’oggettività estetico-assiologica;38 e quest’ultima è – egli precisa – sempre un’oggettività 36 La composizione (Zusammensetzung) è comunque operazione assai frequente e pienamente legittima in tedesco; Husserl, come si è visto, dice di aver già usato in precedenza questo termine. 37 Com'è noto, il sostantivo Wahrnehmen non va scomposto in wahrnehmen, bensí in Wahr-nehmen, ove l’antico sostantivo Wahr, che significa custodia, considerazione, attenzione, non ha alcun rapporto (né semantico né etimologico) con quello del pur omonimo aggettivo wahr (vero); a Wahr sono etimologicamente affini termini come wahren (tutelare, difendere, custodire) oppure warnen (mettere in guardia), warten (sorvegliare), gewahrwerden (accorgersi di, vedere) o anche Erwartung (aspettativa), che proprio in questo passo viene usato da Husserl, ma non Wahrheit (verità). L'elegante parallelismo husserliano fra Wahrnemen / Wertnehmen è frainteso dal traduttore italiano Enrico Filippini che traduce questi due termini con l'espressione «prendere per vero / prendere per valido» (Husserl 1965a, 409). Chiarendo in quale senso la Wertnehmung è analoga alla percezione Husserl afferma infatti: «Beiderseits haben wir parallel strebende Intentionen, vorstellendes (erkennendes, auf Erkenntnis hin tendierendes) Streben und wertendens, auf Erwartung, auf Genießen hin tendierendes. Der Ähnlichkeit sollte die Ausdrucksparallele Wahrnehmen – Wertnehmen Ausdruck geben» Husserl 1952a, 10. Pare interessante, dunque, che Erwartung, che come s'è visto è etimologicamente affine a Wahr, sia qui affinacato a Genießen come appunto Wahrnehmen a Wertnehmen. 38 Tale analogia trova conferme anche in diversi passi di Ideen I; cfr. al riguardo §§. 117 e 121. 25 25 teoretica, sebbene «von höherer Stufe», di grado piú alto, in quanto arricchita dei predicati di valore estetico. Non è certo semplice stabilire, dalle poche indicazioni di Husserl a questo riguardo, le precise modalità di quest’analogia fra i due rapporti fondanti, ché si tratterebbe di stabilire meglio la modalità di questo coinvolgimento della percezione dell’oggetto nell’intenzionalità emotiva del valore; tuttavia il passo che abbiamo sopra commentato lascerebbe proprio intendere – qualora integrato col ms A VI 1 – che l’estetico non deve essere rinvenuto nella direzione della presentificazione (Vergegenwärtigung), che Husserl andava in quegli anni sempre piú staccando dalla radice percettiva,39 bensí in quello di una nuova modalità di percezione modificata dell’oggetto animata essenzialmente da un’intenzione assiologica. Il valore qui in causa è infatti estetico, vale a dire emergente geneticamente nel darsi dell’oggetto, proprio in quanto la stessa apparizione svela una strutturale partecipazione dell’intenzionalità soggettiva alla costituzione oggettuale. In sostanza – tornando ad Ideen II – si potrebbe dire che la percezione continua ad essere attiva, pur senza venir attualizzata come tale, e che la prensione (Nehmung) che la caratterizza si dirige in questo caso ad un’altra valenza dell’oggettualità, quella che fa emergere l’oggetto come oggetto significativo per l’uomo. Cosí pensiamo si possa intendere il significato di quel valore che è prima intuito e poi obiettivato teoreticamente: 39 Cfr. Bernet-Kern-Marbach 1992, 185-200. 26 26 […] in der Beurteilung als Wert, so wie sie aus der Einstellung der rein genießenden Hingabe hervorgegangen ist, ist das Kunstwerk in ganz anderer Weise gegenständlich: es ist Angeschautes, aber nicht nur sinnlich Angeschautes (wir leben nicht im Vollzug des Wahrnehmens) sondern a x i o l o g i s c h A n g e s c h a u t e s .40 E si capisce come mai anche il correlato obiettivo dell’atteggiamento teoretico derivato da quello degustativo sia di nuovo tipo: […] im ästhetischen Beurteilen, Abschätzen ist es nicht mehr in bloß genießender Hingabe Objekt, sondern Objekt im besonderen doxothetischen Sinne: das Angeschaute ist im eigenschaftlichen (So-sein konstituierenden) Charakter der ästhetischen Erfreulichkeit gegeben. Das ist eine neue “theoretische” Objektivität, und zwar eine eigentümliche von höherer Stufe.41 La base materiale dell’obiettivazione assiologica dell’oggetto estetico non è dunque propriamente fornita dall’intuizione sensibile, ma da un’intuizione emotiva del valore che si libera in essa; quando poi si passa al40 Husserl 1952a, 8-9; tr. it.: «[…] nella valutazione del valore quale è risultata dall’atteggiamento della dedizione puramente degustativa, l’opera d’arte è oggettiva in un modo completamente diverso: è un che di intuíto ma non di intuíto sensibilmente (infatti non viviamo nell’attuazione della percezione), è bensí qualcosa di intuíto as sio lo gicamente. » Husserl 1965a, 408. 41 Husserl 1952a, 9; tr. it.: « […] nel giudizio estetico, nella valutazione estetica, l’oggetto non è piú oggetto di una dedizione meramente degustativa, bensí oggetto in un particolare senso dossotetico: l’intuíto si dà col carattere qualitativo (costitutivo del suo esser-cosí) della gradevolezza estetica. Si tratta di una nuova obiettività “teoretica”, di una particolare obiettività di grado piú alto.» Husserl 1965a, 408. 27 27 l’atteggiamento teoretico, il correlato della primitiva intenzione assiologica viene obiettivato come valorebello, cioè come predicato di un oggetto inteso ora come oggetto-di-valore, come oggetto estetico-assiologico. E la bellezza si definisce pertanto come un predicato obiettivo, appartenente ad un’oggettività costituita grazie ad atti teoretici che obiettivano non piú il sostrato materiale-sensibile (poiché avremmo un semplice oggetto della regione natura) ma una preoggettività assiologica che è stata vissuta nel piacere: Ich blicke auf das Objekt hin und finde an diesem in meiner geänderten, nun theoretischen Einstellung die Korrelate dieser Gemütsakte, eine objektive Schicht, übergelagert über die Schicht der sinn lichen Prädikate […].42 La bellezza intesa come valore estetico e non come semplice gradevolezza – ne conclude dunque Husserl –, grazie agli atti teoretici obiettivanti derivanti dalla modificazione di quelli fruitivi, viene colta come appartenente proprio all’oggetto;43 un oggetto, però, certamente irriducibile a quello delle scienze naturali: Die Natur enthält als bloße Natur keine Werte, kein Kunstwerke etc. die doch Gegenstände möglicher 42 Husserl 1952a, 14-15; tr. it.: «Io guardo l’oggetto e in esso, attraverso il mio atteggiamento modificato, diventato atteggiamento teoretico, io trovo i correlati di quegli atti dell’emotività, uno strato obiettivo sovrapposto allo strato dei predicati sensoriali» Husserl 1965a, 413-4. 43 Nell’atteggiamento teoretico della riflessione non si trovano invece predicati obiettivi, ma solo predicati relativi alla coscienza; cfr. Husserl 1952a, 14-15; Husserl 1965a, 413-414. 28 28 Erkenntnis und Wissenschaft sind.44 Possiamo ora tornare al ms A VI 1, in cui, come s’è visto, l’estetico viene legato all’emergere fenomenologico del valore a partire dal vissuto di piacere (Gefallen): valore estetico – afferma Husserl – è quello fondato sul privilegio conferito da parte di atti intenzionali a determinati strati oggettuali che, nel loro apparire,45 producono piacere. Verschiedene Erscheinungen desselben Gegenstandes nicht gleichwertig […] Schon das ist also ästhetisch. Da ist günstigste Erscheinung ausgewählt. a) In sich das Maximum sinnlicher Momente und Komplexion enthalten, die in dieser Komplexion Wohlgefallen erwecken. b) Klare Weckung des Gegenstandsbewusstseins, obwohl das Interesse nicht den Gegenstand als Glied der wirklichen Welt betrifft, nach seinen gegenständlichen Eigenschaften, Relationen, etc., sondern eben nur 44 Husserl 1952a, 3; tr. it.: «La natura in quanto mera natura non contiene valori, opere d’arte, ecc., che pure sono oggetti di una possibile conoscenza e di una possibile scienza» Husserl 1965a, 402. 45 «[…] die Dingerscheinungen drücken immer etwas aus, bedeuten etwas, stellen etwas dar, nämlich für die Betrachtung der Kunst. Ästhetische Erscheinungen sind ausschliesslich Erscheinungen, die eben etwas ausdrücken, darstellen, und dies nicht in der Weise eines leeren Zeichens. Sie drücken immer von innen her aus, durch ihre Momente, durch Momente der Analogie, und dann erst kommt der ästhetische Unterschied des “schöner” und “minder schön”, des “schön” und “hässlich” in Betracht» Husserl ms A VI 1, in Husserl 1980, 146n; tr. it.: «Le apparenze delle cose esprimono sempre qualcosa, rappresentano qualcosa cioè per la trattazione dell’arte. Apparenza estetica è esclusivamente l’apparenza che esprime, rappresenta qualcosa e non un segno vuoto. Le apparenze estetiche esprimono sempre qualcosa dall’interno all’esterno, attraverso i loro momenti, attraverso i momenti dell’analogia, e solo successivamente subentra la distinzione estetica del bello e del meno bello, del bello e del brutto» Zecchi 1972a, 92. 29 29 die Erscheinung.46 Il valore estetico si riferisce, pertanto, alla configurazione fenomenica dell’oggetto ed è quindi strutturalmente legato al processo di costituzione. Ed il piacere estetico non è rinconducibile ad un mero sentimento soggettivo, ad una reazione psichica all’oggetto, ma entra a far parte dello stesso processo costitutivo che trasforma (ma la prassi è qui solamente intenzionale) un’oggettualità naturale in oggettività estetica. Conseguentemente, il bello si sottrae alla mutevolezza del gusto, per fissarsi invece negli strati oggettuali correlati alle intenzioni fruitive di valore. L’oggetto estetico infatti, come abbiamo sopra sottolineato, dev’esser percepito da quel lato che risveglia proprio i sentimenti estetici che l’artista intendeva suscitare. Husserl ha cosí affermato una strutturale implicazione della soggettività nella produzione del valore estetico, senza però concedere nulla allo psicologismo o al sentimentalismo; l’estetico non è un orizzonte di predicati riducibili ad una proiezione nell’oggetto di certi vissuti psichici. La coscienza come cosa naturale, del resto, è stata anch’essa sottoposta ad epoché. Nei due fogli del ms A VI 1 dedicati all’Ästhetische Objektivität, addirittura, le cose stesse sono portatrici di proprie richieste di senso nei confronti degli atti che 46 Husserl ms A VI 1, in Husserl, 1980, 145; tr. it.: «Diverse apparizioni dello stesso oggetto non sono equivalenti […] già questo è estetico. Viene allora scelta l’apparenza piú opportuna: a) deve contenere il massimo dei momenti e dei complessi sensibili che, in questo complesso, suscitano piacere; b) deve risvegliare chiaramente la coscienza dell’oggetto come membro del mondo reale, sebbene l’interesse non tocchi l’oggetto come membro del mondo reale, secondo le sue proprietà oggettuali, le sue relazioni, ma soltanto l’apparenza» Zecchi 1972a, 91. 30 30 devono costituire il valore estetico: […] nicht etwa Objektitäten zur Weckung kommen, Anschauungen mit Gefühlen, Wertungen etc., die die ästhetische Absicht des Künstlers hemmen, sie nicht zur Entfaltung kommen lassen. Nicht jederlei ästhetische Gefühle, sondern gerade diese sollen geweckt werden, nicht alle ästhetisch bedeutsamen Assoziationen sollen geweckt werden, sondern gerade diese, welche dem einheitlichen ästhetischen Objekt und Wert, die das Kunstwerk zu wecken hat, zugehören.47 Conoscenza estetica come intenzionamento del possibile Come si è visto, l’interesse di Husserl per le questioni dell’estetica si inscrive nell’ambito del ripensamento in corso nel primo decennio del secolo di molti temi fondamentali della sua fenomenologia; in particolare, l’indagine sul processo dell’oggettivazione estetica ha mostrato essenziali analogie con quello della riduzione-costituzione, che, com’è noto, aveva spinto Husserl a piegare il proprio pensiero in dire47 Husserl ms A VI 1, in Scaramuzza-Schuhmann 1990, 173; tr. it.: «[…] non vengono risvegliate ad esempio oggettività, intuizioni con sentimenti, valutazioni ecc., che ostacolano l’intenzione estetica dell’artista, non le consentono di svilupparsi. Non devono essere risvegliati sentimenti estetici di ogni sorta, ma proprio questi, non tutte le associazioni esteticamente significative debbono essere risvegliate, bensí proprio queste che appartengono all’unitario oggetto estetico e valore, che l’opera d’arte deve risvegliare.» Scaramuzza-Schuhmann 1992, 14. Non si deve pensare ad un qualche indulgere di Husserl a posizioni formalistiche; si fa infatti sentire qui – come ampiamente documentano Scaramuzza e Schuhmann – l’influsso di Aloys Fischer e semmai anche di Theodor Conrad, i quali stavano sviluppando la propria ricerca estetica sul piano di una «fenomenologia dell’oggetto». 31 31 zione trascendentale, allontanandosi sempre piú dal realismo che segnava l’interpretazione della fenomenologia da parti di alcuni suoi allievi. 48 Le conferme trovate a questo riguardo nei territori dell’estetica non devono pertanto essere trascurate e possono essere significative anche per comprendere il complesso itinerario di pensiero del fondatore della fenomenologia. Ma pensiamo ci si possa spingere anche piú in là, notando come queste pur sparse analisi sull’oggettivazione estetica sembrino quasi fornire un modello di quella ricerca di una significazione originaria che avrebbe successivamente portato Husserl dalla cosiddetta fenomenologia statica a quella genetica: l’autentica costituzione dell’oggetto estetico-assiologico comporta infatti una vera e propria risignificazione del reale che, neutralizzati i significati quotidianamente attribuiti agli oggetti, faccia emergere geneticamente il valore d’apparizione, a partire da una dimensione estetico-sensibile; comporta cioè la necessaria presenza di un polo corporeo-soggettivo intenzionale nella genesi (attiva e passiva) del senso. Non sono dunque coinvolti solo i livelli superiori delle intuizioni categoriali ma anche quelli delle percezioni oscure dell’intenzionalità fungente, che dicono di un lavorío cinestetico del corpo e di un’originaria sintesi temporale quale schema di ogni significazione originaria. L’attivazione di simili intenzionalità genetiche costituisce, del resto, uno degli obiettivi di fondo di molte opere (talvolta ridotte, proprio per questo, ad un 48 Mario Sancipriano considera invece realistica la posizione di Husserl anche all’epoca delle Ideen; cfr. Sancipriano 1988. 32 32 semplice gesto)49 delle cosiddette avanguardie artistiche, in cui il senso che le consuetudini percettive impongono alla realtà viene destrutturato e rifiutato, per lasciar spazio ad un’estetica Urstiftung che apra autenticamente la regione del possibile. È infatti solo nell’autentico atteggiamento estetico (che quelle opere vorrebbero dunque suscitare) che la coscienza porta in primo piano il fenomeno, cioè il senso nel suo originario processo costitutivo. L’intenzionamento estetico degli oggetti, in altri termini, non si volge ad un essere reale ed effettuale il cui senso sia già abitualizzato, ma riattiva i legami con la fondazione originaria, con l’orizzonte dell’essere possibile, che costituisce pertanto il vero e proprio oggetto della conoscenza estetica di essenze.50 È quindi propriamente grazie all’atteggiamento estetico che le cose possono apparire – come Husserl ha in altro contesto affermato –51 quali 49 Per la letteratura sui rapporti tra la fenomenologia e l’arte contemporanea cfr. sopra n. 3. 50 Husserl attribuisce all’intuizione estetica un’essenziale portata conoscitiva; cfr. a questo riguardo la parte centrale della lettera a Hofmannsthal del 12.1.1907 (Husserl 1994, 134; tr. it. Scaramuzza 1985, 204). 51 Vista l’importanza che riveste per l’interpretazione qui proposta, riportiamo il passo per intero: «Ist nun ein Ding, das doch unter allen Umständen e i n Ding, ein Identisches von Eigenschaften ist, wirklich in sich ein Festes, Starres hinsichtlich seiner realen Eigenschaften, nämlich ein Identisches, das identisches Subjekt identischer Eigenschaften ist, während das Wechselnde in ihm nur die Zustände und Umstände sind? Ist die Meinung also die: je nach den Umständen, in die es gebracht wird, oder in die es ideell hineingedacht werden kann, hat es andere aktuelle Zustände. Aber im voraus – a priori – ist durch sein eigenes Wesen vorgezeichnet, wie es sich benehmen kann und dann auch benehmen wird. Aber hat jedes Ding (oder, was hier dasselbe sagt: hat irgendeins) ü b e r h a u p t e i n s o l c h e s E i g e n w e s e n ? O d e r ist das Ding sozusagen immer auf dem Marsch, ist es gar nicht in dieser reinen Objektivität zu fassen, vielmehr vermöge seiner Beziehung zur Subjektivität prinzipiell nur ein relativ Identisches, etwas, das nicht im voraus sein Wesen hat, das immer – segue – 33 33 essenze aperte, quali nuclei di senso «immer auf dem Marsch» o, ancor piú, come regole delle apparizioni possibili,52 cioè, in altri termini, quali oggetti dotati di valore. Cosa distingue, a questo punto, l’assunzione in concreto dell’atteggiamento estetico dall’esercizio di riflessione del fenomenologo, se non, semplicemente, la finalità estrinseca – rispettivamente fruitiva e analitico-scientifica – in vista della quale è operante, come sotto una lente d’ingrandimento, un identico processo di neutralizzazione e ricostituzione del senso? È quanto Husserl afferma in un importante passo in cui dichiara, senza mezzi termini, l’affinità della visione estetica con quella filosofica: wieder je nach den konstitutiven Umständen der Gegebenheit neue Eigenschaften annehmen kann? Aber ist das Problem, den S i n n d i e s e r O f f e n h e i t , und zwar für die “Objektivität” der Naturwissenschaft genauer zu präzisieren» Husserl 1952a 298-9. Tr. it.: «Ora, una cosa, che in tutte le circostanze è u n a , un’identità di proprietà, è veramente qualcosa di ben saldo, di rigido nelle sue proprietà reali, un identico come soggetto identico delle sue identiche proprietà, mentre mutevoli in essa sono soltanto gli stati e le circostanze? Si ritiene che, a seconda delle circostanze in cui viene messa o in cui viene idealmente pensata, essa abbia altri stati attuali. Ma preliminarmente – a-priori – la sua essenza determina come può comportarsi e come si comporterà. Ma ogni cosa (o, ed è lo stesso: qualsiasi cosa) h a u n a s i m i l e e s s e n z a p r o p r i a ? Oppure, per cosí dire, la cosa è sempre in cammino, non può essere colta in questa pura obiettività ed è piuttosto, in virtú della sua relazione con la soggettività, un che di relativamente identico, qualcosa che non ha preliminarmente una sua essenza, una essenza afferrabile una volta per tutte, bensí soltanto un’essenza aperta la quale a seconda delle circostanze costitutive della datità, può assumere nuove proprietà. Il problema è allora di precisare, in vista della “obiettività” delle scienze naturali, il s e n s o d i q u e s t a a p e r t u r a » Husserl 1965a, 686. 52 «Das Ding ist eine Regel möglicher Erscheinungen» Husserl 1952a, 86. 34 34 Das phänomenologische Schauen ist also nahe verwandt dem ästhetischen Schauen in “reiner” Kunst; nur freilich ist es nicht ein Schauen um ästhetisch zu genießen, vielmehr darauf hin wieder zu forschen, zu erkennen, wissenschaftliche Feststellungen einer neuen (der philosophischen) Sphäre zu constituiren.53 53 Husserl 1994, 135; (lettera a Hofmannsthal del 12.1.1907); tr. it.: «La visione fenomenologica è dunque strettamente affine alla visione estetica dell’arte “pura”; solo, essa, certo, non è un vedere per godere esteticamente, ma piuttosto per proseguire poi nella ricerca, per conoscere, per dar luogo a constatazioni scientifiche di una nuova sfera, la sfera filosofica» Scaramuzza 1985, 205. 35 35 Un progetto di estetica fenomenologica: Stefano Zecchi I momenti estetologici presenti, anche se rari e non sistematici, nella vasta produzione husserliana, sollevano questioni di primaria importanza per la riflessione dell’estetica; in stretto riferimento ad essi – in particolare, ma non solo, al ms A VI 1 –54 alcuni anni or sono Stefano Zecchi ha riproposto l’idea di una fondazione fenomenologica dell’estetica che ne garantisse l’autonomia di campo e al tempo stesso l’originario orientamento filosofico.55 Si tratta di un gruppo di scritti pubblicati a partire dal 1967, nei quali viene messo in luce come una riconsiderazione fenomenologica del rapporto che lega oggettività e soggettività nei vissuti estetici possa offrire una solida fondazione teorica al sapere immanente all’odierno concetto di arte (in quanto arte contemporanea), operando mediante criteri effettivamente alternativi a quelli del formalismo strutturalistico allora dominante. 54 Quando ci si ispira alla fenomenologia husserliana è bene secondo Zecchi individuare alcuni nuclei teorici di base che legittimino tale riferimento; infatti: «Non c’è ortodossia perché non c’è dogma: ma penso sia sbagliato ritenere che ciò comporti necessariamente l’esistenza di tante fenomenologie quanti sono i fenomenologi che si richiamano a Husserl» Zecchi 1979, 66. 55 Seguiremo in questo capitolo: Zecchi 1967, 1968, 1969, 1972a; 1972b; 1977; 1978; 1979; 1981; 1983; 1984; Zecchi-Franzini 1995, 955958. 37 37 Estetica e atteggiamento scientifico Volendo dare fondazione ad un campo del sapere è bene secondo Zecchi porsi innanzi tutto la questione del metodo da seguire. Ora, egli argomenta, in qualsiasi campo si stia operando, risulta necessario ammettere che l’oggettività è sempre e comunque frutto di un processo costitutivo nel quale la soggettività è essenzialmente coinvolta, e per questo l’analisi fenomenologico-trascendentale risulta senza dubbio quella che offre maggiori garanzie di scientificità. Tutto ciò, però, con le giuste cautele e seguendo sempre il dovuto rigore: se non si ritiene che i fondamenti della oggettività scientifica sono le categorie definite per via formale si dovrà dimostrare che nei processi soggettivi si determinano queste categorie, il che significa spostare sul piano della soggettività il problema dei “fondamenti” e ricercare all’interno della soggettività stessa il principio della validità scientifica.56 Questo è del resto il primo carattere che deve possedere un’indagine che desideri correttamente definirsi «fenomenologica»: La fondazione trascendentale delle scienze nel suo obiettivo di riportare il soggetto nella scienza dell’oggetto, diventa lo sfondo teorico ampio e articolato, in cui le diverse espressioni degli sviluppi della fenomenologia di Husserl ritrovano una matrice comune.57 Segue che anche le scienze esatte della natura devono esplicitare la propria costituzione trascenden56 57 Zecchi 1972b, 11. Zecchi 1979, 66. 38 38 tale, visto che la nozione di qualsiasi oggettività scientifica rinvia necessariamente ad operazioni costitutive che si danno nel decorso di vissuti di coscienza (Erlebnisse):58 L’oggettività non è un privilegio dell’una piuttosto che dell’altra disciplina, ma delle operazioni che fondano l’oggettività, ovvero le operazioni soggettive.59 L’estetica, dal canto suo, pur essendo certamente irriducibile alle scienze naturali, deve anch’essa avanzare le proprie legittime pretese di scientificità affinché possa pronunciarsi oggettivamente sulla realtà che le pertiene; anche questo passo è legittimo, in quanto la struttura dei processi costitutivi delle oggettività è fondamentalmente omogenea: gli elementi specifici costituenti l’oggettività, in quanto oggettività estetica, rientrano nell’ambito degli atti che costituiscono in generale qualunque complesso scientifico-culturale. Dall’iniziale excursus epistemologico emerge dunque la necessità, anche per l’estetica, di assicurare un radicamento del proprio specifico campo ontico nella Lebenswelt, nel mondo-della-vita, cioè nel mondo circostante costituito in relazione alle esigenze della persona. Fenomenologia costitutiva Zecchi sottolinea a questo punto come la propria proposta differisca dai primi sviluppi dell’estetica fenomenologica, nei quali, a suo avviso, venne fon58 59 Zecchi 1967, 64, con riferimento a Husserl 1961, §§ 33-35. Zecchi 1967, 64; 1977, 7. 39 39 damentalmente sviluppata un’ontologia dell’oggetto estetico, giudicato struttura trascendente (e in ultima analisi indeterminata) proprio in quanto indipendente dal proprio rapportarsi ad un soggetto esperiente: Un primo aspetto da sottolineare è il tipo di approccio (piú che di metodo) con cui i primi fenomenologi legati ad Husserl si servirono del suo pensiero per affrontare i problemi dell’arte. Rispetto a costoro, gli sviluppi successivi della ricerca (a partire dal secondo dopoguerra) che si è potuta valere di un materiale ovviamente piú completo dell’opera husserliana, ha messo in crisi l’idea che l’estetica possa essere un settore ontologico di cui Husserl avrebbe tracciato, con la propria fenomenologia, le linee di metodo. Questa […] sarà una fondamentale discriminante tra i primi studi di estetica [fenomenologica] e le ricerche attuali.60 L’attenzione del fenomenologo deve dunque secondo Zecchi restare sul momento soggettivo, geneticocostitutivo, e l’indagine sull’oggettività estetica dovrà far emergere le originarie operazioni di strutturazione del senso, poi irrigiditesi nell’apprendimento e nell’abitudine e non piú rivissute come tali; se non si ripercorre tutto il processo genetico che ha reso possibile l’intenzionamento del senso di una determinata complessione oggettuale, quelle operazioni costitutive, ormai abitualizzate e passivamente impostesi, cominciano a fungere da pregiudizi che inficiano l’autenticità di ogni possibile esperienza. Tutto questo assume evidentemente un portato decisivo nel caso delle esperienze estetiche, ed è per questo che un’estetica feno60 Zecchi 1978, II, 81. 40 40 menologica deve porsi come obiettivo la descrizione e spiegazione dei processi sottesi all’intenzionamento estetico; infatti, grazie anche alle nuove conquiste delle avanguardie artistiche, risulta sempre piú evidente come l’oggetto estetico offra uno stimolo alla coscienza a ripercorrere il processo genetico del senso, come indichi, metadiscorsivamente, il proprio percorso genetico-costitutivo e cerchi con questo di reinsegnare a vedere (contro le mistificanti sedimentazioni semantiche di cui s’è detto). Pertanto, se «di fronte alle questioni di estetica è spesso tangibile l’affannosa ricerca di un criterio definitorio a garanzia della solidità del giudizio», l’estetica fenomenologica porrà invece fra i propri obiettivi l’abbandono di questo tipo di ricerca e la rinuncia al ricorso al piano ontologico o ad un precostituito sistema di significati che interviene a livello normativo per fondare la validità del giudizio estetico.61 E su questo filo conduttore si sviluppa la proposta di Zecchi, che ora seguiremo nei suoi momenti essenziali. Esperienza ed evidenza: la descrizione fenomenologica Zecchi aveva esposto gli esiti delle proprie letture husserliane in Fenomenologia dell'esperienza. Saggio su Husserl, (1972), focalizzando l’attenzione sul rapporto fra esperienza e formazioni ideali di senso;62 un ruolo centrale, a questo riguardo, svolgono 61 Zecchi 1977, 7. Si prenderà in esame, annuncia nell’Introduzione, «il significato della particolare prospettiva, l’atteggiamento eidetico, con cui la 62 – segue – 41 41 la riduzione fenomenologica e la dottrina della costituzione oggettuale ad essa strettamente collegata. E siccome proprio tale binomio riduzionecostituzione sta alla base anche della proposta d’estetica fenomenologica, sarà utile tenere sullo sfondo questo saggio su Husserl, al quale comunque rinviamo per un’ulteriore contestualizzazione dei luoghi husserliani di cui faremo principale uso. Ora, la fenomenologia costitutiva non può certo prescindere da un primo momento esperienziale in cui l’apertura della coscienza al mondo si fa fenomeno; e, per Husserl, l’esperienza costituisce una forma originaria d’evidenza: Il campo esperienziale è evidenza, lo stato delle cose cosí come mi si danno è evidenza perché l’analisi fenomenologica, disoccultate quelle forme inerenti all’esperienza, compie quella critica dell’esperienza pura che consente all’esperienza stessa di poter essere colta come presenza originaria, e di poter cogliere in una evidenza originaria ciò che presenta.63 Vi è dunque un piano di datità originaria della cosa, per render adeguatamente conto del quale è necessa- fenomenologia chiarisce le operazioni che portano alla costituzione dei complessi obiettivi, ritenendo la dimensione dialettica tra possibilità e realtà il terreno piú solido per comprendere l’uso che la filosofia trascendentale deve fare della ricerca eidetica» Zecchi 1972b, 2-3. 63 Zecchi 1967, 66; afferma Husserl in Logica formale e trascendentale: «Kategorie der Gegenständlichkeit und Kategorie der Evidenz sind Korrelate. Zu jeder Grundart von Gegenständlichkeiten […] gehört eine Grundart der “Erfahrung”, der Evidenz und ebenso des intentional indizierten Evidenzstiles in der evtl. Steigerung der Vollkommenheit der Selbsthabe» Husserl 1974, 169. 42 42 rio adottare la descrizione fenomenologica.64 Quest’ultima procede in duplice direzione: Sia a livello di riconoscimento dell’originario, della struttura elementare, di un “complesso significativo” […] sia a livello degli atti che costituiscono tale “complesso”.65 La descrizione non si risolve, pertanto, in una semplice «esposizione esplicativa del fenomeno», poiché si estende anche al soggetto, che risulta essenzialmente coinvolto «con le sue esperienze, con i suoi bisogni, con la sua storia». Prassi costitutiva e intenzionalità corporea Il coinvolgimento genetico del soggetto sposta la questione dell’intenzionalità sul piano della prassi costitutiva:66 dalla mera «comprensione significativa» si passa alla «trasformazione significativa», in quanto il processo d’apprendimento si presenta fondamentalmente anche come una «ristrutturazione» di senso. Entrambi i momenti sono da tener presenti per descrivere adeguatamente l’intenzione oggettuale. La genesi fenomenologica dell’oggettività mette 64 «[…] nel parlare di descrizione fenomenologica non si vuol indicare una esposizione esplicativa del fenomeno quale esso ci appare ricercandovi un’obiettività […] per poi affidare il compito interpretativo ad una specifica disciplina (psicologia, religione, estetica); […] si vuole invece intendere la ricostruzione di un processo genetico-costitutivo in cui il soggetto si trova nella possibilità di una comprensione significativa e nel medesimo tempo di una trasformazione significativa» Zecchi 1967, 67. 65 Zecchi 1977, 9. 66 Zecchi 1967, 67-8. Merleau-Ponty, ricorda Zecchi, aveva recisamente affermato che «aver coscienza significa costituire» MerleauPonty 1967, 128. 43 43 dunque in luce una carica decontestualizzante propria degli atti coscienziali costitutivi, la quale consente all’estetica di rendersi indipendente «dall’ideologia dominante» di particolari valori o da eventuali «legalità scientifiche» ad essa predeterminate; verrebbe altrimenti meno, spiega Zecchi, «la funzione stessa della “descrizione”, incanalata nelle direzioni imposte dal privilegiamento della legalità scientifica che si porrebbe a condizione per la “descrizione” e non un eventuale punto di arrivo».67 Vediamo, allora, come si articoli, sul terreno dell’estetica, una tale descrizione fenomenologica. Nel mondo circostante non si incontrano «mere cose», ma anche oggetti d’uso, «cose» religiose, artistiche, economiche, che si presentano all’esperienza come determinate (storicamente e socialmente) da complessi di attributi. Il fenomenologo dovrà allora evitare di procedere con la progressiva esplicitazione della “cosalità” per mezzo di attributi, e compiere il cammino inverso: l’esclusione degli attributi per rintracciare quel limite oltre il quale non è possibile andare senza compromettere la presenza della cosa medesima.68 Anche l’opera d’arte verrà allora ridotta ad una struttura materiale, estetico-sensibile, non appartenente ancora ad una determinata regione ontica (e ancora non riconoscibile, pertanto, come opera d’arte): La riduzione dell’opera d’arte alla materialità sospende ogni determinazione e attribuzione signifi67 68 Zecchi 1967, 68-9. Zecchi 1977, 10. 44 44 cante, e ne mette in evidenza innanzitutto la sua intelaiatura elementare, uno schema spaziotemporale che non si presenta necessariamente come unità morfologica, ma che può essere anche un insieme di funzioni e di relazioni funzionali. Si tratta dunque di un passaggio obbligato per poter accedere al processo attraverso cui, partendo appunto da un complesso spazio-temporale, un oggetto può esser percepito come oggetto estetico. Qualsiasi esteticità (valore estetico) già presente nelle cose viene in tal modo sospesa, e vengono invece fatti emergere i passaggi attraverso i quali un’eventuale esteticità verrà volta a volta istituita, a partire da quella materialità estetico-sensibile.69 L’analisi – ecco un referente polemico che ci sembra sotteso a tutta l’argomentazione di Zecchi – sarebbe altrimenti ridotta a mera analisi semiotica: Come descrivere gli atti intenzionali che fondano l’oggettività estetica? In questa prospettiva la fenomenologia mette in luce un’alternativa non esauribile nel discorso di metodo: o ci si muove all’interno del mondo dell’arte, come oggetto estetico in sé, per sistematizzare il suo codice semiologico (analisi che […] non può metter capo che ad una dottrina categoriale ontologico-estetica e perciò normativa e definitoria), oppure si opera una fenomenologia della costituzione dell’oggetto estetico in cui il livello di artisticità è già nelle cose ma può essere riconosciuto solo attraverso un processo che relaziona il mondo dell’esperienza soggettivamente vissuta con gli altri 69 Zecchi 1977, 11. 45 45 campi dell’esperienza oggettiva.70 La riduzione del mondo dell’arte alla sua materialità, dunque, lungi dal renderlo estraneo all’intenzionalità soggettiva, è la via atta a porre in rilievo quel bisogno profondo di espressione e comunicazione che sta secondo Zecchi alla radice dell’oggettivazione estetica, come di ogni atto specificamente umano. Gli atti intenzionali costitutivi non devono infatti essere assunti in senso intellettualistico, essendo invece fondamentalmente «atti del corpo» che rappresentano «il bisogno reale di espressione e comunicazione con altri corpi, con il mondo degli uomini e delle cose».71 È dunque un bisogno ciò che sta alla radice dei fenomeni estetico-artistici: l’artista comincia ad operare, a manipolare le situazioni in cui si viene a trovare, proprio in risposta ad una «richiesta oggettiva di modi infinitamente possibili d’espressione».72 Nessuna fissa ontologia (metafisica) dell’arte è dunque secondo Zecchi a questo punto affermabile, anche perché l’oggetto estetico può esser ridotto ad un dispositivo 70 Zecchi 1978, II, 103. L’atteggiamento delle scienze linguistiche, proprio in quanto portato a privilegiare l’analisi sincronica, sarebbe dunque parziale: «se l’astrazione, l’isolamento di un certo complesso consente l’analisi e la descrizione scientificamente corretta di quel complesso, il soggetto intenzionante, quello che con la sua attività isola il complesso rendendolo autonomo, non deve essere trascurato dall’analisi e dalla descrizione». Secondo Husserl, infatti, «l’esser segno non è un predicato reale, anch’esso richiede una coscienza d’atto fondata, il regresso a certi caratteri d’atto di nuovo genere» Husserl 1968a, II, 208. Anche in estetica – ne conclude Zecchi – è indispensabile un’integrazione diacronica che non misconosca la valenza significante del «processo genetico di costituzione della struttura» Zecchi 1967, 72. 71 Zecchi 1977, 14. 72 Zecchi 1977, 16. 46 46 che mette in evidenza quell’espressività elementare che si cela in ogni complessione sensibile: la stessa cosa materiale, ancor prima d’esser costituita esteticamente (in senso tradizionale), si qualifica come «base sensibile dell’espressione del bisogno di», come «punto originario in cui idealmente si può riconoscere la fusione dell’uomo come corpo che esprime bisogni e desideri e del mondo naturale con la sua necessità e determinatezza fisica».73 Fenomenologia dell’arte Zecchi fa notare che diverse tendenze dell’arte contemporanea confermano tali acquisizioni dell’estetica fenomenologica: la reazione contro la «tirannia» della forma da parte delle avanguardie artistiche (da Cézanne fino a Duchamp, a Kosuth)74 significa la rivendicazione del ruolo fondante della soggettività, cioè degli atti che costituiscono la «cosa» come arte; non per nulla si è arrivati addirittura a ridurre l’opera ad un semplice gesto dell’artista, un gesto capace di riempire di significato artistico anche un oggetto qualunque: 73 Zecchi 1977, 14. «La ricerca dei processi di trasformazione dell’avvenimento quotidiano, della visione naturale in visione artistica è quasi ossessiva nell’opera di Cézanne. Le analisi che egli svolge delle sensazioni semplici dell’intenzionalità del soggetto sono alla base della creazione artistica e dell’annullamento di significati già esistenti che bloccano legando al passato l’immaginazione del nuovo […]. La scelta oggettiva nel processo creativo emerge con provocatoria violenza nel ready made di Duchamp, denunciando l’inesistenza di un in sé dell’artisticità. È il gesto che crea il significato […] Nella conceptual art questo processo di ridefinizione del divenire dell’arte a partire dagli atti soggettivi raggiunge le conseguenze piú radicali. Kosuth ne è il teorico piú freddo» Zecchi 1977, 12-3. 74 47 47 nella traccia lasciata dall’atto soggettivo troviamo l’espressività elementare delle funzioni che fondano il significato dell’opera d’arte.75 Si tratterà poi, per il fruitore, di riattivare una tale intenzionalità, di «rendere evidente nella sua gradualità il significato del dato che appare». Ora, è proprio l’applicazione dell’analisi fenomenologica ai territori dell’estetica che consente di descrivere i fenomeni sulla base delle operazioni coscienziali che conferiscono all’oggetto – che appare inizialmente in modo percettivo – il «significato di immagine».76 E quand’anche tale significato si dovesse rarefare a tal punto da ridursi allo stanco gesto che lo pone (la semplice ostensione di un oggetto comune), esso rimarrebbe pur sempre referente intenzionale sia della produzione che della contemplazione estetica; si tratta del resto d’un significato che, come si è visto, rinvia ad un irriducibile margine di espressività che anima la prassi intenzionale quotidiana dell’uomo, come Husserl afferma anche nel ms A VI 1.77 Le profonde trasformazioni che ormai da anni hanno segnato il mondo dell’arte ricevono in tal modo un’adeguata fondazione filosofica, ed un primo obiet75 Zecchi 1977, 16. Husserl 1968a, II, 207; cfr. Zecchi 1972b, 15; Zecchi 1967, 86. Il significato d’immagine – precisa Zecchi – è comune ad ogni tipo di messaggio poetico, mentre i diversi materiali dei complessi pittorici, sonori, segnici propri dell’opera d’arte ridotta assicurano le differenze fra i generi artistici. 77 Come ha mostrato di recente anche Elio Franzini, la nuova consapevolezza del fenomeno arte maturata dall’estetica fenomenologica riesce a recuperare l’intenzionalità latente del Leib che funge in ogni atto esperienziale, prima in modo anonimo e impersonale e poi in modo responsabile, personale, espressivo. Cfr. Franzini 1991 e 1994. 76 48 48 tivo di Zecchi potrebbe cosí considerarsi realizzato: l’arte rinvia alle modalità dell’intenzionalità soggettiva, e la sua definizione, pertanto, non può che rivelarsi tautologica: arte è tutto ciò che gli uomini intenzionano come arte.78 E si realizza altresí una delle principali peculiarità del metodo fenomenologico, la capacità di «cogliere il fondamento senza teorizzarne la definizione».79 Tutto questo, pare utile precisare, non comporta affatto alcun approdo idealistico, anche se l’analogia con un altro celebre esordio, quello del Breviario di estetica crociano, balza subito all’occhio;80 la tautologia di Zecchi, infatti, suppone la riduzione eidetica husserliana: è la stessa esigenza di scientificità propria della fenomenologia a far perdere di vista (metodicamente) le individualità fattuali – giudicate fondamentalmente irrilevanti –81 a vantaggio di una 78 «La gestione definitoria dell’arte diventa tautologia: dire se il readymade di Duchamp […] è arte o non-arte o negazione dell’arte ecc. è un problema definitorio che l’estetica fenomenologica rinvia ad un piano tautologico: arte è tutto ciò che viene intenzionato come arte» (Zecchi 1977, 15); non siamo lontani da un’altra celebre tautologia definitoria proposta da Dino Formaggio: «Arte è tutto ciò che gli uomini chiamano arte» Formaggio 1973, 9. 79 Zecchi 1977, 7, n. 1. 80 «Alla domanda: – Che cosa è l’arte? – si potrebbe rispondere celiando (ma non sarebbe una celia sciocca): che l’arte è ciò che tutti sanno cosa sia. E, veramente, se in qualche modo non si sapesse che cosa essa è, non si potrebbe neppure muovere quella domanda, perché ogni domanda importa una certa notizia della cosa di cui si domanda, designata nella domanda, e perciò qualificata e conosciuta» Croce 1943, 9. 81 «Überall galt das singuläre Erfahrungsdatum, z.B. irgendwelcher “Auffassung”, “Wahrnehmung” u.dgl. nur als Exempel, wir gingen immer sogleich über in die Wesenseinstellung und erforschten eidetisch das zum Wesen Gehörige, die in Wesen gewisser Auffassungen beschlossenen Möglichkeiten, in Anschauungsreihen, Erfahrungsrehen überzugehen, sich – segue – 49 49 struttura invariante del fenomeno che ne metta in luce l’elemento tipico, essenziale e, con esso, la «pura possibilità» dello stesso dato d’esperienza.82 Ma, come s’è ampiamente visto, questo non comporta per nulla l’abbandono della dimensione materiale-percettiva, l’ancoraggio a quella intenzionalità corporea fungente che sta alla radice della fenomenologia dell’esperienza. Piacere estetico Altro momento essenziale alla costituzione estetica è il vissuto di piacere che, ponendosi sulla linea delle affermazioni husserliane, Zecchi considera un vissuto indispensabile affinché possa essere operata la costituzione estetico-assiologica di un’oggettività; il Gefallen appartiene cioè al processo costitutivo dell’indabei einstimmig zu erfüllen, ihren Sinn, d.i. den Sinn des darin Vermeinten, des Erfahrenen als solchen, und damit den Sinn der betreffenden Gegenständlichkeiten auseinanderzulegen» Husserl 1952b, 21; cfr; anche Husserl 1962, 71. 82 «[…] Selbst das durch Variation gewonnene Allgemeine muß noch nicht im eigentlichen Sinne rein, frei von aller Wirklichkeitssetzung sein. Wenngleich durch die Variation schon die Beziehung auf das zufällige, wirklich existierende Ausgangsexempel ausgeschaltet ist, so kann dem Allgemeinen doch noch eine Beziehung auf Wirklichkeit anhaften, und zwar in folgender Weise: Für ein reines Eidos ist die faktische Wirklichkeit der in Variation versetzen Einzelfälle völlig irrelevant. Und das muß wortwörtlich genommen werden. Die Wirklichkeiten müssen behandelt werden als Möglichkeiten unter anderen Möglichkeiten, und zwar als beliebigen Phantasiemöglichkeiten». Solo quando – prosegue Husserl – noi diveniamo consci del legame che comunque sussiste col mondo di fatti da cui le nostre variazioni hanno preso le mosse, solo allora noi possiamo porlo consapevolmente fuori azione («bewußt außer Spiel setzen») procurandoci in tal modo una vollkommene Reinheit: «Wir stehen dann sozusagen in einer puren Phantasiewelt, einer Welt absolut r e i n e r M ö g l i c h k e i t » Husserl 1948, 423-4. 50 50 tenzionalità estetico-artistica e, di fatto, la sua presenza rivela quel «bisogno reale di espressività del corpo», per nulla riducibile a mera affettività soggettiva, che s’era già sopra segnalato. Il vissuto di piacere diviene in tal modo una sorta di marca emotiva che qualifica assiologicamente l’intenzione oggettuale e che, nel passaggio all’atteggiamento teoretico, rende attingibile un nuovo strato dell’obiettività, sede del suo valore estetico; esso si presenta pertanto come un «punto di convergenza di soggettività e oggettività» nel mondo dell’arte,83 grazie al quale il corpo vivente (Leib), che funge da punto zero dell’orientamento intenzionale, entra in relazione con la materia del mondo, manifestando già a questo livello un’intenzionalità conoscitiva: è «il godimento piú semplice del corpo che intenziona nella materia il suo infinito processo di espressività», un «godimento elementare» per la materia organizzata, un piacere dell’organizzare la materia, che nasconde a sua volta una «conoscenza del “fare”, delle sue tecniche, dei suoi media».84 Ed entrando a far parte delle modalità costitutive dell’artisticità il Gefallen può divenire esso stesso – torna qui il motivo polemico piú sopra segnalato – il «fondamento della lettura semiotica dei codici dell’opera», consentendo un’euristica integrazione tra esigenze fenomenologico-costitutive e strutturalistiche.85 83 « […] il bisogno reale del piacere […] chiude sincronicamente gli spazi che a diversi livelli dividono il soggetto e l’oggetto nell’arte» Zecchi 1977, 17. 84 Zecchi 1977, 17-8. 85 Zecchi 1977, 17. 51 51 Eideticità e costituzione: una base estetica dell’analitica Se la riduzione dell’opera a «cosalità materiale» consente già di retrocedere ad un’evidenza piú originaria rispetto alla percezione quotidiana, questa struttura materiale non esaurisce tuttavia la complessa fenomenologia della percezione, che è fatta anche di anticipazioni, proiezioni, variazioni, progressivi riempimenti di senso. Per render conto di tutte queste altre operazioni costitutive diventa secondo Zecchi necessario introdurre il riferimento agli atti categoriali volti ad individuare nei fenomeni delle strutture invarianti, delle essenze ideali; il movimento costitutivo deve, in altri termini appoggiarsi a delle formazioni ideali di senso, a delle strutture eidetiche:86 L’essenza entra nel processo costitutivo intenzionale che interpreta l’idealità fenomenica come il processo storico-genetico di costituzione della identità di una datità a partire dalla fluidità del campo esperienziale originario fissandola in un enunciato linguistico la cui obiettività ideale si trasmette nel tempo alla comunità soggettiva. Ed ancora: L’eidos, o per cosí dire i tipi costanti, non sono che una qualificazione la cui costanza indica il semplice ripetersi nel tempo delle loro componenti qualificative permanendo invariate le condizioni «d’ordine universale» in cui in precedenza queste determinazioni erano entrate a far parte di un’opera d’arte. 86 La singolarità esperienziale, come s’è visto, funge in realtà per Husserl da luogo d’esercizio per l’individuazione di strutture eidetiche. 52 52 Questo tipo di considerazione a confronto con quello che genericamente si è chiamato attributo presenta ciò che è costante, che permane nei complessi artistici in relazione al succedersi temporale. 87 Oltre che al soggetto, con i suoi bisogni, le sue relazioni, la sua storia, l’intenzionalità estetica rinvia dunque anche a certe costanti, a certe condizioni d’ordine universale che costituiscono orizzonti di pre-datità e di possibilità intenzionali delle quali è necessario tener conto e, soprattutto, che risultano anch’esse strutturate e quindi anche ristrutturabili in un processo genetico-costitutivo. La «cosa», in altri termini, dipende dalle condizioni percettive a partire da cui viene costituita come tale; ed esiste del resto una normalità della percezione, corrispondente alle condizioni quotidiane d’esperienza in cui ogni percetto è mediato solamente dal riferimento al proprio Leib che percepisce alla luce normale del sole.88 Ora, argo87 Zecchi 1967, 83. «Uno stesso oggetto, provvisto di una forma identica, appare a seconda della sua posizione rispetto ad un corpo luminoso, con diversi colori e ha colori diversi a seconda della sua posizione rispetto a corpi luminosi diversi. […] Cosí certe condizioni risultano essere le condizioni “normali”: la visione nelle condizioni costituite dalla luce del sole e da un cielo chiaro, senza l’intervento di altri corpi capaci di influire sul colore delle apparizioni. L’optimum che cosí viene ottenuto vale come il colore stesso, a differenza per esempio del rosso di sera che soffoca tutti i colori propri del corpo» Husserl 1965a, 455-56. Il colore normale può dunque essere considerato come un predicato obiettivo. Conviene però leggere anche quest’altro passo: «In una costanza di illuminazione ho una colorazione costante che si costituisce come stato oggettuale (Gegeständliche Beschaffenheit); nella modificazione, il precedente stato oggettuale diventa mero modo fenomenico di una nuova unità. La reciprocità tra colore e illuminazione si rivela anche nel fatto che la nuova unità costituita può essere considerata sia come colore uguale ad una illuminazione piú forte, sia come modificazione del colore in una uguale illuminazione. In realtà il 88 – segue – 53 53 menta Zecchi, ripercorrere i processi costitutivi significa annullare il significato «imposto nella passività della percezione», e portare in primo piano la «donazione di senso» attraverso cui l’oggetto si qualifica come avente valore (estetico, nel nostro caso) o come oggetto pratico (d’uso) o naturale (teoretico). Ma come si esplicita il passaggio dall’intuizione sensibile a quella eidetica? come si attesta l’a-priori, l’essenza del fenomeno, che è a sua volta garanzia dell’originaria offerenza dell’atto percettivo? Una prima risposta potrebbe essere trovata nella distinzione che Husserl pone nella Sesta ricerca logica fra la rappresentazione dell’intero colto percettivamente in modo immediato e quella di una sua parte colta come tale (cioè in relazione con l’intero) solo grazie ad un atto categoriale fondato.89 Ma lo stesso Husserl dichiarandosi successivamente insoddisfatto di quelle analisi – rimaste a suo avviso ancora al livello di una psicologia razionale – tornò piú volte colore viene posto oggettivamente e la variazione di colore viene interpretata nel primo senso; la cosa ha un colore oggettivo, che appare diversamente ad una illuminazione diversa. In che modo si forma allora questa oggettività del colore? Si potrebbe rispondere con il determinare una “normalità” di illuminazione» Husserl ms D 13 XXIV, in Piana 1966a, 27-28. 89 Cfr. Husserl 1968a, II, 454 ss. 90 Husserl 1952a, 298-9; tr/ it.: «Preliminarmente – a-priori – la sua essenza [della cosa] determina come può comportarsi e come si comporterà. Ma ogni cosa […] h a u n a s i m i l e e s s e n z a p r o p r i a ? Oppure, per cosí dire, la cosa è sempre in cammino, non può essere colta in questa pura obiettività ed è piuttosto, in virtú della sua relazione con la soggettività, un che di relativamente identico, qualcosa che non ha preliminarmente una sua essenza, una essenza afferrabile una volta per tutte, bensí soltanto un’essenza aperta la quale a seconda delle circostanze costitutive della datità, può assumere nuove proprietà. Il problema è allora di precisare […] il s e n s o d i q u e s t a a p e r t u r a » Husserl 1965a, 686; cfr. Zecchi 1972b, 50 ss. 54 54 sulla questione delle essenze. Zecchi fa qui leva su un importante passo del II libro delle Ideen: Aber im voraus – a priori – ist durch sein eigenes Wesen vorgezeichnet, wie es sich benehmen kann und dann benehmen wird. Aber hat jedes Ding (oder, was hier dasselbe sagt: hat irgendeins) überhaupt ein solches Eigenwesen? Oder ist das Ding sozusagen immer auf dem Marsch, ist es gar nicht in dieser reinen Objektivität zu fassen, vielmehr vermöge seiner Beziehung zur Subjektivität prinzipiell nur ein relativ Identisches, etwas, das nicht im voraus sein Wesen hat, bzw. hat als ein für allemal erfaßbares, sondern ein offenes Wesen hat, das immer wieder je nach den konstitutiven Umständen der Gegebenheit neue Eigenschaffen annehmen kann? Aber da ist das Problem, den S i n n d i e s e r O f f e n h e i t , und zwar für die “Objektivität” der Naturwissenschaft genauer zu präzisieren»90 Vi sono dunque delle prescrizioni essenziali che determinano idealmente a priori il significato dell’esperienza possibile (del mondo naturale); si tratta di generalità il cui senso si gioca comunque tutto all’interno dell’intenzionalità fenomenologica, vale a dire in 90 Husserl 1952a, 298-9; tr/ it.: «Preliminarmente – a-priori – la sua essenza [della cosa] determina come può comportarsi e come si comporterà. Ma ogni cosa […] h a u n a s i m i l e e s s e n z a p r o p r i a ? Oppure, per cosí dire, la cosa è sempre in cammino, non può essere colta in questa pura obiettività ed è piuttosto, in virtú della sua relazione con la soggettività, un che di relativamente identico, qualcosa che non ha preliminarmente una sua essenza, una essenza afferrabile una volta per tutte, bensí soltanto un’essenza aperta la quale a seconda delle circostanze costitutive della datità, può assumere nuove proprietà. Il problema è allora di precisare […] il s e n s o d i q u e s t a a p e r t u r a » Husserl 1965a, 686; cfr. Zecchi 1972b, 50 ss. 55 55 rapporto ad una coscienza costituente o, ancor prima, ad un corporeità vivente in relazione materiale col mondo. Talché, a seconda delle circostanze in cui viene intuita, la stessa cosa si può presentare secondo diversi stati di attualità; l’essenza identica della cosa è, come ha detto molto icasticamente Husserl, «immer auf dem Marsch». Ed ecco perché Zecchi può affermare che «il problema categoriale, dell’intuizione eidetica, si chiarisce sempre meglio come il problema di definire il momento empirico nella sua idealità rispetto alla soggettività costitutiva».91 Se dunque l’atteggiamento naturalistico non può che descrivere oggetti assunti come già dati (il leone è giallo), quello fenomenologico (eidetico) si distingue proprio per la sua capacità di cogliere «il senso eternamente uguale della percezione possibile in generale»;92 la riduzione eidetica, dunque, abbandona il riferimento alla «fittizia individualità dei vissuti», per riproporre «il senso originario delle operazioni che costituiscono uno stato nella totalità degli eventi»93. L’essenza, in altri termini, determina come un percetto si potrà conformare, senza però che questo escluda la sua stessa genesi nell’esperienza, in quell’esperienza pura che è per Husserl, nella sua originarietà, percezione.94 L’essenza a-priori delle cosa è dunque aperta a future e possibili costituzioni di senso, che 91 Zecchi 1972b 62. Husserl 1965a, 821. Una volta abbandonate le fattualità empiriche delle percezioni, afferma Husserl, «wir beschäftigen uns dann mit dem Eidos, dem Wesen Wahrnehmung, und mit dem, was zu einer “Wahrnehmung als solcher” gehört, gewissermaßen zum ewig gleichen Sinn von möglicher Wahrnehmung überhaupt» Husserl 1952b, 40. 93 Zecchi 1972b, 114. 94 Cfr. Husserl 1960c, 47. 92 56 56 nasceranno da diverse intenzionalità percettive; essa anticipa – è vero – e unifica il senso che viene proiettato sull’oggetto nella percezione, ma si tratta di un’anticipazione che non ha nulla di fisso e di eternamente stabilito. Guadagnare il terreno trascendentale per Husserl – ne conclude Zecchi – vuol dire escludere dalla sfera esperienziale il riferimento al significato già determinato da sedimentazioni fondate sulla tradizione, costituendolo attraverso la percezione pura.95 Anche l’orizzonte eidetico, il piano dell’ideale, viene dunque costituito e – conseguenza assolutamente fondamentale – possiede una propria storia;96 l’oggetto, nella sua trascendentale idealità, si configura allora come un nucleo relativamente invariante (identico) di senso, come una pre-datità che si offre alla comunità intersoggettiva per esser costituito secondo determinate condizioni percettive. Apparenza e realtà, e cioè anche percezione e conoscenza, si unificano dunque nella «normalità percettiva»,97 che comporta al tempo stesso anche una «normalità giudicativa»,98 venendo a 95 Zecchi 1972b, 66. Nella Krisis Husserl lamenta proprio come la teoria della conoscenza non sia mai stata considerata come un compito peculiarmente storico. Cfr. Husserl 1961, 367. 97 «La dialettica tra realtà e apparenza che si stabilisce sulle condizioni di mutevolezza delle situazioni ambientali e percettive, al limite si riunifica nella “normalità” ambientale e percettiva» Zecchi 1967, 75. 98 «Se già a livello di attività percettiva, che costituisce l’oggetto in quanto tale, è possibile riscontrare delle “norme” di percezione, anche nell’ultimo livello di significazione, che come si è visto è il giudizio, sarà presente una “normalità” giudicativa che consentirà di uscire dallo scetticismo soggettivo di tipo humiano per ritrovare nella comunicazione 96 – segue – 57 57 costituire quella che Husserl chiama esperienza intersoggettiva, per cui gli uomini raggiungono quella socialità della conoscenza che costituisce i canoni della normalità esperienziale.99 Sulla linea di quanto lo stesso Zecchi aveva proposto per una fondazione fenomenologica dell’estetica, anche i risultati a cui egli è pervenuto circa rapporti fra eideticità e costituzione potrebbero venir estesi all’orizzonte dell’arte. Non si tratta di riflessioni effettivamente sviluppate, ma che ci paiono fondamentalmente in linea col loro spirito. Si potrebbe infatti affermare che, se vale questa apertura storico-sociale dell’eidos, il permanere attraverso le epoche storiche dei valori di un’opera d’arte o, al limite, della stessa forma opera d’arte, non dev’essere lasciato alla passività delle sedimentazioni tradizionali, che presto divengono delle ovvietà assunte in modo acritico. Affinché si dia una vera e propria vita – e non una mera sopravvivenza – dell’arte è necessario riattivare quell’intenzionalità, che si dà secondo una propria temporalità e sempre in un determinato contesto intersoggettivo, capace di cogliere, al di là della mera strumentalità delle cose, i predicati di valore estetico; un valore, che consiste nella sua mera fenomenicità, cioè che appare nel corso di un’esperienza pura, grazie alla donazione di senso da parte di sempre nuovi soggetti storici. E solo a queste condizioni l’oggetto potrà venir riconosciuto100 ed inintersoggettiva un canone di riflessione sull’ “oggetto culturale”» Zecchi 1967, 74. 99 Zecchi 1967, 75. 100 Al riconoscimento dell’opera d’arte ha dedicato particolare attenzione Roman Ingarden; cfr. Ingarden 1937. 58 58 tenzionato come arte. Ritroviamo cosí la tautologia secondo cui arte è tutto ciò che gli uomini intenzionano come tale, definizione che consente – e qui sta la sua portata euristica – di far rientrare nell’estensione di un concetto un individuo che di quel concetto si presenti come la negazione.101 Ed è appunto nella direzione di un’estetica che espliciti la pretesa delle arti di ridefinire geneticamente il senso della percezione che la fenomenologia consente di muoversi. Infatti, la forma conoscitiva dell’arte non è veicolo di significazione e non segue un senso precostituito dalla teoria; è fondata su una prassi in cui il corpo è bisogno di espressione che non solo attualizza, attiva elementi significativi, ma è anche il loro campo, è orizzonte di possibilità (non sistema combinatorio di scelte semantiche/sintattiche) di variazioni immaginative delle forme percepite. […] L’opera d’arte «mostra» la forma di una conoscenza in cui principi normativi e regole combinatorie sono solo derivabili da un fondo in cui agisce la prassi del corpo, nel suo bisogno di esprimere la tensione della padronanza di sé tra realtà e aspirazione, in cui si condensa il piacere del senso vitale, come pienezza acquisita o irraggiungibile. L’artista del XX secolo si sarebbe allora fatto portavoce di un’esigenza di rinnovamento eidetico, forse utopistica, ma comunque profondamente radicata nella nostra epoca: 101 Pensiamo, ovviamente, alla tanto ostentata trasgressione alle norme poetiche tradizionali presente in tante opere dell’arte contemporanea e finalizzata a ridefinire in toto il senso del fare arte, allargandone di fatto l’orizzonte. 59 59 La prassi piú elementare del gesto ha una forza che proviene da un processo primario: il piacere di trasgredire, di infrangere l’ordine degli oggetti, del linguaggio, come risposta ad un bisogno reale di produrre modi infinitamente possibili d’espressione che attualizzano un “diverso”, “autentico” essere nel mondo.102 Sarà allora l’oggetto estetico quella essenziale Ding che Husserl pretendeva come regola delle apparizioni possibili?103 102 Zecchi 1981, 99-100 «Das Ding ist eine Regel möglicher Erscheinungen. Das sagt: das Ding ist eine Realität als Einheit einer Mannigfaltigkeit geregelt zusammengehöriger Erscheinungen. Und diese Einheit ist eine intersubjektive» Husserl 1952a, 86. 103 «Das Ding ist eine Regel möglicher Erscheinungen. Das sagt: das Ding ist eine Realität als Einheit einer Mannigfaltigkeit geregelt zusammengehöriger Erscheinungen. Und diese Einheit ist eine intersubjektive» Husserl 1952a, 86. 103 60 60 Praxis e tradizione. Sui rapporti tra arte e fenomenologia Nel contesto degli studi husserliani in Italia, che vantano ormai una significativa tradizione, verso la fine degli anni Cinquanta104 si è cominciato a parlare di progetti di estetica fenomenologica. Si trattava di correnti di pensiero molto vive nell’estetica italiana, che avevano preso il via soprattutto grazie al lavoro e al magistero di Antonio Banfi, ma che poi si erano sviluppate secondo itinerari non più riconducibili ad un filone unitario e il cui portato storico e teoretico non può essere colto senza precisi riferimenti a tutto il panorama dell’estetica e della cultura filosofica italiana in quei decenni. Se non è certo possibile in questa sede affrontare un simile argomento,105 in conformità alle esigenze enunciate nell'introduzione del presente volume, abbiamo provato a lanciare in profondità una sonda per identificare specifici riferimenti all'opera di Edmund Husserl nei lavori di un altro grande referente per gli sviluppi dell'estetica fenomenologica in Italia, vale a dire la figura di Luciano Anceschi, fondatore di un’importante linea di studi presso lUniversità di Bologna. Anche in 104 Nel 1959 compaiono il saggio di Dino Formaggio intitolato Proposte per un'estetica fenomenologica (Formaggio 1959) e la seconda edizione di Autonomia ed eteronomia dell'arte. Saggio di fenomenologia delle poetiche di Luciano Anceschi (Anceschi 1959). 105 Si veda al riguardo l’esauriente Lino Rossi, Situazione dell’estetica in Italia (Rossi 1976) che fa il punto sull’estetica italiana sino a metà degli anni Settanta. 61 61 Anceschi infatti, pur avendo egli sviluppato l'iniziale riferimento metodologico husserliano – prendendo peraltro anche esplicitamente le distanze da un certo Husserl giudicato eccessivamente metafisico e dogmatico – nella direzione di una fenomenologia delle poetiche che mettesse in luce la loro effettiva presa sulla vita e sulla situazione culturale, resta sempre riconoscibile un significativo debito nei contronti del pensiero dell’ultimo Husserl. Ciò contribuisce ulteriormente a definire il quadro della fortuna dellopera del fondatore della fenomenologia entro i territori dell’estetica italiana. In un capitolo di Progetto di una sistematica dell’arte, 1962,106 Anceschi dedica specifica attenzione a un inedito husserliano che, a suo avviso, «tocca da vicino l’estetica». La riflessione sul senso originario della geometria sviluppata da Husserl in relazione ad alcuni passaggi della Crisi delle scienze europee apre infatti a interessanti considerazioni analogiche sulla dottrina della lingua, sulla letteratura e sulla traduzione; ma ciò che rende estremamente importanti per l’estetica queste note è, ad avviso di Anceschi, la dialettica che Husserl descrive fra tradizione ed oblio o, in una parola, la riflessione ivi messa in campo sulla storia. Si troverebbero infatti in tale scritto per la prima volta enunciati «i procedimenti di una storiografia fenomenologicamente intenzionata», che potrebbe evidentemente liberare la sua efficacia euristica anche nella riflessione storica dell’estetica.107 Lo spunto teorico husserliano riguarda, come si è 106 Anceschi 1962b, 115-137 Sui rapporti tra fenomenologia critica e storiografia estetica si vedano Rossi L. 1983 e 1990. 107 62 62 detto, il concetto di ʺtradizioneʺ. Anceschi preferisce comunque muovere da alcune intuizioni di Thomas S. Eliot, che, sul piano teoretico potrebbero essere considerate equivalenti, sebbene piú specificamente orientate «dall’angolo del poeta; e di un poeta, poi, che si è dato il compito di costituire un sistema di istituzioni efficaci per sé e per i poeti seguenti». Notazione, quest’ultima, che già anticipa un motivo di fondo della nuova fenomenologia critica, che, come s’è detto, da Husserl prende dichiaratamente le distanze. Ma stiamo qui al nostro tema, cioè ai riferimenti specificamente husserliani che in questo contesto vengono fatti valere per l’estetica: Eliot osserva – riassume Anceschi – che la tradizione non consiste nel ricalcare con cieca e timida fedeltà le vie della generazione che ci ha preceduti; esempi cosí semplici presto si perdono, e, in ogni modo, la “novità è meglio della ripetizione”. In realtà per tradizione va inteso qualche cosa di molto piú ampio: essa deve venire acquistata in eredità, ma deve essere faticosamente conquistata: in primo luogo, essa esige quel senso storico che implica non solo l’intuizione dell’esser passato del passato, ma anche quella della sua presenza. Ora, quest’esigenza messa in campo da Eliot di una riconquista della tradizione è secondo Anceschi tacitamente all’opera quando ci si cimenta nella produzione artistica del nuovo: ciò che avviene quando è creata una nuova opera d’arte è qualche cosa che avviene in tutte le opere d’arte che la precedono […]. I monumenti esistenti costituiscono tra loro un ordine che è modificato dall’introdursi nel loro cerchio di una nuova (veramente nuova) opera d’arte. L’ordine esistente è completo, 63 63 prima che arrivi la nuova opera; perché l’ordine resista dopo il sopravvenire della novità, l’intero ordine esistente deve essere, sia pure di poco, mutato. E questo è l’accordo tra il vecchio e il nuovo, e questa è nelle sue vive articolazioni la nozione di tradizione. L’esperienza della tradizione si chiarisce dunque nel rilievo delle relazioni che il presente istituisce col passato, con le soluzioni che la storia tramanda e che costituiscono l’orizzonte a partire da cui si genera il senso della realtà attuale. Eppure, il riferimento all’arte ci avverte che non è per nulla estranea al recupero delle intenzionalità originarie la dimensione della praxis, qui intesa come corporeità operativa animata da un’intenzionalità progettuale; ed è proprio in riferimento ad una tale nozione di corporeità che si può far valere ad avviso di Anceschi il messaggio dell’ultimo Husserl: Per praxis, generalmente parlando, Husserl intende quella vitalità del presente, in cui l’intenzionalità si fa bisogno e propone orizzonti presunti. Tale vitalità è soggetta a usura, e per cosí dire si consuma: nel presente che in quanto passante viene formandosi come passato, essa si vien spegnendo, e come irrigidendosi. La tradizione è una conseguenza di questo processo, ed è quasi l’invecchiamento della storia vivente. La tradizione è dunque passato: ma è un passato che può essere richiamato, che può rifarsi e si rifà presente in relazione ad un orizzonte futuro presente come prospettiva dell’intenzionalità. Se invece per tradizione, come comunemente accade, si intende solo un plesso di scienze compiute, di oggetti finiti o di gesti definitivi, inevitabilmente si perde tutto il processo che è stato necessario per compiere e per definire quegli orizzonti culturali che 64 64 vengono tramandati. Il riferimento alla fenomenologia costitutiva husserliana si situa dunque entro il contesto della produzione delle Kulturwelten; Husserl – prosegue Anceschi – «sembra aiutarci a coordinare in modo organico intuizioni metodologiche e critiche finora prive di sistemazione», tant’è che sulla sua scia ha preso effettivamente il via una decisa rivendicazione della scientificità – scientificità non strutturalistica e non dogmatica –108 dei saperi sull’uomo e, fra questi, in particolare, dell’estetica. L’excursus sull’origine della geometria, infatti, è pienamente utilizzabile a questi scopi, in quanto […] nello stesso tempo egli [Husserl] mette anche in luce talune operazioni interne alla vita della lettera108 L’utilizzo della fenomenologia nella fondazione delle scienze umane rientrava anche in un progetto volto ad arginare la diffusione dello strutturalismo. L’argomento è stato studiato da Renato Barilli, il quale nota però come la nozione di struttura non sia di per sé, almeno nella sua formulazione in Ferdinand de Saussure, opposta ad un modello di pensiero del ceppo sintetico quale appunto la fenomenologia: «Parlare di struttura […] vuol dire sconfiggere sul nascere le pretese sommatorie-combinatorie di ogni metodologia di derivazione positivista, e anzi, in antitesi ad essa, fornire le migliori garanzie per una fondazione autonoma delle scienze umane, rispettandone appieno le esigenze specifiche». Tuttavia, in Italia, come anche in altri paesi, la dimensione diacronica della parole sarebbe stata ben presto abbandonata, essendosi invece massicciamente infiltrata la linguistica hjelmsleviana «con la cui mediazione lo strutturalismo si è ricalcato e rimodellato per intero secondo lo stampo del positivismo logico di Carnap». In breve, la struttura sarebbe stata sostituita dal segno. Gli anni ’60 sarebbero stati caratterizzati da una ventata «analitica», a tal punto che «le varie esigenze […] sintetiche, dinamiche di cui la fenomenologia era già portatrice negli anni ’50 contro il positivismo logico tornano buone oggi, per tentare di trovare un compenso alle sempre piú palesi deficienze delle imprese di specie semiotica» Barilli 1982, 153-154. Sulla fenomenologia come fronte d’opposizione allo strutturalismo cfr. anche Battaglini 1963; Curi 1965. 65 65 tura per solito ignorate, o non considerate, o non comprese dall’angolo di chi prestabilisce che la realtà estetica non interessa oltre il risultato. Io penso qui prima di tutto a quel sentimento per cui ogni decisione sulla forma appare sempre una decisione sul passato e sul futuro della forma stessa in generale; o anche alla illusione (necessaria) che ogni opera, ogni movimento porta con sé di “rompere ” con il passato – cui corrisponde una successiva, inevitabile scoperta dei legami con il passato, della continuità; o, infine, ai frequenti riattivamenti del passato e ipotesi di futuro in cui si muove l’attività artistica. Si tratta evidentemente di suggerimenti preziosi in un campo dove è facile concedere all’abitudine dei procedimenti, alla reificazione dei sistemi metodologici, all’inerzia nell’uso di strumenti ormai in ritardo rispetto alla conoscenza. La dialettica individuata da Husserl fra Urstiftung e sedimentazione passiva può dunque essere ripresa nel contesto di un’estetica programmaticamente orientata verso il divenire dell’arte e delle sue poetiche. Sorge però a questo punto un problema esegetico relativo allo stesso pensiero husserliano: Mentre inizialmente per Husserl l’intenzione di coscienza era soprattutto eidetica, visione, intuizione essenziale, ora – e in particolare con la Krisis – essa si fa pratica. Eidos e praxis. Il tema della praxis sembra per noi uno dei piú fertili della ricerca husserliana per gli sviluppi che suggerisce. Ma in che modo la praxis si accorda con l’eidos? La purezza e l’apoditticità dell’eidos non sarà turbata? Per rispondere diamo la parola a Guido Pedroli (a cui rinvia, in chiusura, lo stesso Anceschi), autore di un contributo su Realtà e prassi in Husserl com- 66 66 parso su quel vero e proprio manifesto della seconda stagione di studi husserliani in Italia che è il volume miscellaneo Omaggio a Husserl.109 Pedroli analizza alcuni inediti stesi tra gli anni 1930-35 in cui Husserl, riflettendo sulla crisi delle scienze, considera la corporeità operante quale fondamento di ogni esperienza – esperienza possibile e del possibile: Ogni percepire ed esperire, ogni intendere sia intuitivo che non-intuitivo è un operare, secondo modalità diverse, secondo diverse implicazioni a livello diverso, ma sempre un operare corporeo (ein leibliches Tun). […] Ciò significa rompere con la concezione kantiana dell’atto conoscitivo come atto unificante secondo forme categoriali la molteplicità dei dati di coscienza di per sé non-significativi. Alla totale matematizzazione dell’“universo mondano” ad opera della scienza “copernicana” Husserl contrappone una visione fenomenologica del mondo incentrata sulla coscienza esperiente, della quale negli ultimi scritti sottolinea il carattere corporeo-concreto. Mentre nelle Ideen I l’intenzione di coscienza era soprattutto visione, in totale trasparenza dell’oggetto allo sguardo intuente, negli ultimi scritti essa è considerata principalmente come un movimento concreto verso il reale, un “agire” corporeo del soggetto esperiente. Ove resta aperta la questione in che misura si può ancora parlare di trasparenza dell’oggetto alla coscienza e di apoditticità della visione eidetica. Facendo leva su alcuni inediti preparatori alle conferenze di Vienna e di Praga del 1935, Pedroli mostra dunque come l’ultimo Husserl rimetta in discus109 AAVV 1960. 67 67 sione l’evidenza oggettiva, intesa nella sua staticità eidetica. Entra ora in considerazione l’orizzonte intersoggettivo e, al suo interno, la prassi genetica del senso: il dato reale che «precede e stimola l’atto di coscienza» è già «frutto di un’esperienza collettiva», di un’esperienza «intesa non nel senso ristretto di atto conoscitivo ma di una vera e propria prassi di soggetti che insieme vivono, operano, amano e soffrono». La realtà che nel primo Husserl subisce la riduzione da parte di una coscienza pura, e sembra perciò negata, riemerge ora «in forma di attività pratica». Si può notare in queste affermazioni qualcosa di analogo all’interpretazione della fenomenologia non piú come filosofia trascendentale ma come filosofia della prassi che perseguiva in questi stessi anni Enzo Paci;110 anche per Pedroli, infatti, il dato reale non si 110 «La questione della “crisi” mette alla prova il trascendentalismo della fenomenologia, nella sua pretesa di fondazione apodittica del sapere, e non è casuale che proprio La crisi delle scienze europee sia il testo che piú viene messo alla prova da filosofi vicini al pensiero husserliano, come Merleau-Ponty, Banfi o Paci, per sottolineare necessarie rettifiche e integrazioni alla fenomenologia trascendentale» Zecchi 1986, 35. E teniamo presente che il considerare la storia come tema essenziale «che inerisce alla fenomenologia necessariamente e senza il quale le fenomenologia non avrebbe potuto essere quella che è» (Paci 1969, 16), è frutto dell’interpretazione husserliana di Enzo Paci: «Se per Husserl […] il mondo umano è per essenza sempre lo stesso, se per Husserl la ragione è il luogo in cui le idee si trovano eternamente e assolutamente, e se – ancora – la storia è una realtà solo in quanto dedotta dal movimento generale della razionalità, Paci sconvolge l’ordine fenomenologico husserliano inserendo l’essenzialità del divenire nell’essere e determinando, attraverso il divenire, le condizioni fenomenologiche per la manifestazione del senso che si costituisce sulla base di una filosofia della storia». Si tratta secondo Zecchi di un «oltrepassamento di Husserl nel nome di Husserl» Zecchi 1986, 39. Di Paci si vedano a questo riguardo soprattutto Paci 1961f; 1963a; 1968; 1973. 68 68 rivela piú solo frutto dell’attività del soggetto, poiché la fenomenologia genetica mette in chiaro come, di fatto, la presunta coscienza «pura» lavori in realtà su una «Vorgegebenheit» che ne condiziona radicalmente l’intenzionalità. E si deve pertanto riconoscere che, come afferma molto icasticamente Husserl, «Welt wenn sie überhaupt konstituiert fertig war, war schon Welt aus Praxis»111. Pedroli ne può cosí concludere: A differenza dell’animale, cui l’orizzonte condizionante si presenta secondo determinazioni univoche (dell’essere cosí e non altrimenti), l’uomo vive in un orizzonte di realtà che include anche il non-essere, e cioè possibilità, probabilità, aspettative ecc. L’atteggiamento fondamentale per cui l’uomo, attraverso il possibile, realizza un altro e diverso reale è un atteggiamento pratico.112 Pedroli ha cosí toccato temi cruciali che saranno al centro dell’attenzione nei successivi studi di (ma anche sulla) estetica fenomenologica in Italia che si svilupperanno negli anni immediatamente successivi: il pre-categoriale materiale, la prassi intenzionale sensitivo-corporea, la possibilità o variabilità del dato d’esperienza. Ed è proprio l’esperienza estetica (fruitiva e produttiva) cosí come verrà teorizzata in questi contesti che, destrutturando e ristrutturando i modi di apparizione dell’oggetto, ponendo cioè le apparenze esplicitamente a tema, mette allo scoperto una genesi e costituzione dell’oggettività molto vicina a quella teorizzata dalla fenomenologia di Edmund Husserl. 111 «il mondo quando mai fu compiutamente costituito era già mondo a partire dalla prassi» Ms. A V 20, in Pedroli 1960, 206. 112 Pedroli 1960, 207. 69 69 Si capisce dunque come il modello teorico, che si andava sempre piú diffondendo nelle interpretazioni italiane di Husserl, facente capo soprattutto al nuovo «piccolo inizio» della Krisis, si prestasse molto bene ad essere messo a frutto entro lo sfuggente orizzonte dell’estetico, il quale, del resto, proprio allora abbisognava di una riconsiderazione filosofica che ne evidenziasse la specificità e la pertinenza di fronte al proliferare delle scienze umane esatte che tendevano a revocare alle proprie epistemologie tutto il complesso dell’indagine antropologico-filosofica. La lezione husserliana spingeva in altri termini nella direzione di una rifondazione dell’estetica che ne attestasse l’autonomia di campo e allo stesso tempo la capacità di comprendere l’intenzionalità originaria che ermerge dalle vive indicazioni delle poetiche. E queste indicazioni sono ciò che l’attenta ricerca di Luciano Anceschi non tende lascarsi sfuggire. 70 70 Nota sulla fortuna italiana della prima estetica fenomenologica Nel capitolo primo abbiamo esaminato alcune riflessioni – le uniche, per quanto si sappia – dedicate da Husserl specificamente all’estetica, alle quali abbiamo successivamente accostato ulteriori riflessioni dascendenza strettamente husserliana che possono essere fatte valere per la teorizzazione di un’estetica fenomenologica. Ora, al di là degli sviluppi interni al pensiero di Husserl, sin dai primi anni del secolo avevano autonomamente cominciato ad operare diversi autori che cominciano a teorizzare un’estetica fenomenologica, evidentemente ispirantesi a Husserl, sebbene non sempre del tutto in linea col suo stesso pensiero. Si tratta di studiosi che fanno parte del cosiddetto ʺcircolo fenomenologico di Monacoʺ oppure di allievi del periodo di Gottinga, i quali, prendendo a modello le riflessioni husserliane sulla logica, avevano cominciato a delineare una fondazione dell’estetica come disciplina scientifica e autonoma.113 Da quanto va emergendo grazie agli importanti studi di Gabriele Scaramuzza, sembra che queste 113 Come s’è visto nel capitolo 1, sono state di recente evidenziate diverse analogie esistenti fra le riflessioni sul valore estetico elaborate per la libera docenza da Aloys Fischer – ora disponibili anche in traduzione italiana: Fischer 1996 – e alcuni fogli di appunti raccolti nel ms A VI 1 di Husserl. Al di là di queste analogie, si può in ogni caso affermare che l’estetica fenomenologica ha proceduto autonomamente rispetto agli sviluppi del pensiero husserliano, seguendo fondamentalmente due direttive, una basata su un isolamento metodico dell’oggetto al fine di indagarne formalisticamente l’artisticità, l’altra concentrata sull’inerenza all’oggettività di un valore ed attenta ai suoi effetti soggettivi. 71 71 riflessioni non siano per nulla di second’ordine e che costituiscano invece un importante termine di riferimento per la comprensione di diversi aspetti della cultura filosofica nella prima metà del XX secolo.114 Proveremo qui di seguito a tracciare le linee di sviluppo dellinteresse nato allinizio degli anni Settanta in Italia per la prima estetica fenomenologica, interesse che conduce anche alla traduzione e pubblicazione – spesso accompagnata anche da utili cornici interpretative – di diversi scritti di non facile reperibilità di Waldemar Conrad, Roman Ingarden, Moritz Geiger, Nicolai Hartmann,115 e recentemente anche di Aloys Fischer. Cominceremo col loffrire un breve repertorio bibliografico dell'attività traduzione e pubblicazione dei testi, per passare poi ad una sintesi dei principali contenuti teorici emersi nel confronto critico sviluppato dagli estetologi italiani con i primi esponenti dell’estetica fenomenologica tedesca. A. Bibliografia ragionata delle traduzioni dalla prima estetica fenomenologica. Roman Ingarden è noto al panorama filosofico italiano perlomeno dal 1956.116 In quell’anno il filosofo 114 Autori come Waldemar Conrad o Roman Ingarden hanno avuto fortuna anche nei paesi dell’Europa orientale, essendo rintracciabili loro influssi nei confronti del formalismo russo e poi dello strutturalismo linguistico praghese, oppure anche negli USA o in Sudamerica, dove è ben noto anche Moritz Geiger. Questi, sottolinea Scaramuzza, fu maestro di Walter Benjamin, che ne subí un certo influsso. 115 A prescindere da ogni discussione sulla ortodossia fenomenologica di Hartmann, il suo nome di fatto compare qui in Italia unitamente a quello di altri esponenti dell’estetica fenomenologica. 116 In Italia il valore delle sue indagini è stato ampiamente messo in rilievo da: Oberti 1964; Migliorini 1968; Scaramuzza 1976; 1984; 1989; – segue – 72 72 polacco pronuncia a Venezia una relazione su Le valour esthétique et le probleme de son fondement objectif,117 mentre l’anno seguente l’«Archivio di filosofia», pubblica (anche in versione italiana) il saggio Über die Gegenwärtigen Aufgaben der Phänomenologie118; di nuovo, nel 1958, l’allievo husserliano è relatore a Venezia con Bemerkungen zum Problem des ästhetischen Werturteils119. Nel 1961 Gianni Vattimo traduce per «Rivista di estetica» O tak zwanym malarstwie abstrakcjnym (La pittura astratta), saggio pubblicato l’anno precedente su rivista polacca,120 ed ora ristampato su una ricca miscellanea curata da Gabriele Scaramuzza sui rapporti tra arte e fenomenologia.121 Sembra dunque che la lezione ontologico-formale di questo fenomenologo – notoriamente avverso al presunto idealismo husserliano – sia stata inizialmente resa nota in Italia nella sua versione estetologica.122 Sempre sulla «Rivista di estetica» trova spazio, nel 1963, un’estesa recensione di Ladislao Strozewski degli scritti ingardeniani raccolti nei due volumi di Studia z estetyki,123 mentre «Il Verri» propone nel 1967 la traduzione del capitolo Das «Leben» des literarischen Werkes, tratto da Das literarische Kunstwerk. Eine Untersuchung aus dem Grenzgebiet der Ontolo1996; Baccarini 1981 e 1982. Dufrenne 1969, 291-302 ritiene invece che Ingarden non abbia compreso sino in fondo la fenomenologia husserliana, ed altrettanto sbrigativo è il giudizio sul filosofo polacco anche in Morpurgo-Tagliabue 1960, pp. 442-3. 117 Ingarden 1957a. 118 Ingarden 195 b, tradotto: Ingarden 1957c. 119 Ingarden 1958a, tradotto: Ingarden 1958b. 120 Ingarden 1960b; 1961a. 121 AAVV 1991. 122 Cfr. Ingarden 1925; 1929; Husserl 1968d. 123 Strozewski 1963, Ingarden 1966; la prima edizione è del 1957-58. 73 73 gie, Logik und Literaturwissenschaft,124 lo scritto forse piú noto di Ingarden, in cui la struttura dell’opera letteraria viene indagata per strati (Schichten). Il testo viene tradotto integralmente l’anno successivo,125 mentre altri passi si trovano su un’antologia curata da Stefano Zecchi.126 Il fatto che anche la prima integrale traduzione dal discepolo di Gottinga sia condotta su un’opera di tematica propriamente estetologica (sebbene egli abbia dichiarato d’analizzare l’opera letteraria spinto da interessi ontologico-formali) sembra ulteriormente sottolineare l’importanza della sua originaria applicazione del metodo fenomenologico all’universo delle arti.127 Nel 1969 si segnala inoltre la traduzione di un 124 Ingarden 1931. Ingarden 1968a. La traduzione è condotta sulla seconda edizione tedesca (Ingarden 1960a). L’edizione comprende l’appendice sul teatro dal titolo Von den Funktionen der Sprache in Teaterschauspiel, saggio originariamente edito su rivista polacca (Ingarden 1959). La versione italiana, però, non è sempre felice ed è ormai difficilmente reperibile in commercio. 126 Zecchi 1983, 255-267. 127 Das literarische Kunstwerk, composto nell’inverno 1927/28, oltre che nel 1931 è apparso in Germania anche nel 1960, 1965 e 1972. Era stato però anche riscritto da Ingarden in polacco e quindi tradotto in inglese e in francese. Nella prefazione alla seconda edizione tedesca Ingarden riferisce di aver aggiunto alcune note allo scopo di dissolvere le numerose obiezioni alzate negli anni contro lo scritto, lasciando peraltro invariata la struttura generale del testo. Egli dichiara di essere piú fiducioso nella comprensibilità della sua opera, ritenendo gli anni ’60 tempi piú maturi per la comprensione del realismo ontologico in essa teorizzato: «Allora, nell’anno 1930, era un’impresa arrischiata, occuparsi dell’ontologia dell’opera d’arte letteraria, discutere problemi puramente strutturali ed esistenzialiontologici, trattando l’opera letteraria sulla base del problema IdealismoRealismo. Ma proprio in tal riguardo la situazione di fatto, in questi trenta anni, si è sostanzialmente trasformata. … Esso [questo libro] quindi non rimarrà cosí isolato nel mondo scientifico come all’inizio della sua esistenza» (Ingarden 1968 a, p. 12). Un’opinione che si è rivelata fondamentalmente corretta. 125 74 74 breve passo da O Poznawaniu Dziela Literackiego (Ingarden 1937), uno studio di poco successivo a Das Literarische Kunstwerk. Nel brano qui tradotto (Ingarden 1969), Ingarden si limita però a riassumere i capisaldi dello studio precedente. Nel 1982 Antonio Setola e Massimo Seretti traducono Über die Verantwortung. Ihre ontischen Fundamente, relazione tenuta da Ingarden a Vienna nel settembre del 1968, e poi pubblicata a Stoccarda.128 Tra il 1988 e il 1989 vengono infine tradotte alcune pagine sull’architettura e il saggio su L’opera musicale e la sua identità129 tratte dagli scritti contenuti nella raccolta intitolata Untersuchungen zur Ontologie der Kunst.130 Nicolai Hartmann Nel 1969 la collana Orientamenti di Estetica dell’editrice Liviana in Padova, diretta da Dino Formaggio, pubblica un volumetto portante sul frontespizio, sotto il nome di Nicolai Hartmann, il titolo L’Estetica.131 Dopo un saggio introduttivo di Dino Formaggio132 il lettore vi trova passi scelti da Möglichkeit und Wirklichkeit e dall’Ästhetik tradotti da Massimo Cacciari e, in appendice, una breve nota terminologica133. L’Ästhetik, pubblicata postuma nel 1953 a Berlino,134 era già apparsa in 128 Ingarden 1982, traduce Ingarden 1970 b. Sull’importanza dell’estetica musicale di Ingarden ha di recente richiamato l’attenzione Gabriele Scaramuzza (Scaramuzza 1991b). 130 Ingarden 1988 e 1989. 131 Hartmann 1969. 132 Formaggio 1969. 133 Cacciari 1969. 134 Hartmann 1953. La prima stesura fu realizzata tra la primavera e l’estate del 1945, ma Hartmann, sia pur lavorando assiduamente, non riuscí 129 – segue – 75 75 seconda edizione tedesca nel 1966135. In Italia, invece, l’opera era rimasta sino a quel momento quasi sconosciuta.136 L’antologia fornisce un quadro delle linee fondanti del pensiero estetico di Nicolai Hartmann: da Möglichkeit und Wirklichkeit sono tradotti i primi sei punti dell’introduzione, passi dal terzo e quattordicesimo capitolo ed il succinto e compendioso (quanto a tematiche estetologiche) capitolo trentacinquesimo;137 dall’Ästhetik la corposa introduzione e taluni paraa completare l’opera. Solo la prima parte, equivalente ad un terzo del suo progetto (sino a p. 182 dell’edizione tedesca), era pronta per l’edizione nel 1950. L’opera è stata comunque pubblicata da Frida Hartmann e Heinz Heimsoeth sulla base dei manoscritti originali. 135 Hartmann 1966 b. Dello stesso anno ed editore è la terza edizione di Möglichkeit und Wirklichkeit (Hartmann 1966 a). Su queste edizioni sono state condotte le traduzioni di Cacciari. 136 Cosí Dino Formaggio: «Pur nella ripresa di ricerche sul pensiero di Hartmann sorte a partire dall’ultimo dopoguerra, l’estetica raramente appare sfiorata, tanto che si può dire che ancora oggi giaccia quasi sepolta nel silenzio» (Formaggio 1969, p. 2). L’opera è stata studiata da Francesco Barone (Barone 1953-54; 1957, pp. 178-208; 1963 a, pp. 34-5), ai cui preziosi saggi fecero eco solamente altre due recensioni: l’una, alquanto severa, di Friedrich Low (Low 1954) e l’altra piú distaccata di Alberto Caracciolo (Caracciolo 1956). Nel 1960 interviene anche Rosario Assunto (Assunto 1960 a), senza peraltro addentrarsi nell’impianto teoretico dell’opera. Successivamente Remo Cantoni compendia l’estetica hartmanniana nella sua bella monografia sul filosofo tedesco (Cantoni 1972, pp. 136-161), ma solo di recente Hartmann entra di diritto nella storia dell’estetica (Givone 1988, pp. 137-139). Altre pagine hartmanniane di interesse estetologico si trovano nella Grande Antologia Filosofica (Assunto-Stella 1978). 137 Secondo Formaggio in questo pagine – ove Hartmann propone lo scongelamento della dura effettività reale e l’apertura alla «pura» possibilità – è già risolto il momento cruciale dell’estetica hartmanniana: «Il rapporto di apparizione, secondo il quale Hartmann ritiene di fissare l’emergere dell’oggetto estetico od artistico nel suo venire a presenza sensibile ... rimane ancora del tutto misterioso se non viene immerso nella vera problematica di fondo che lo sostiene, vale a dire nel rapporto di possibilità-realtà». (Formaggio 1969, p. 15). Formaggio spiega, cosí, la scelta dei passi nell’antologia. 76 76 grafi che ne approfondiscono le principali intuizioni. I brani antologici sono intercalati da brevi riassunti in cui il traduttore svolge il restante contenuto delle due opere. Waldemar Conrad Qualche anno piú tardi la stessa collana138 pubblica due saggi, di Waldemar Conrad e Moritz Geiger, tra i primi in ordine cronologico a parlare di estetica fenomenologica.139 Del 1972 è la traduzione condotta da Gabriele Scaramuzza di una metà dello studio di Conrad sull’oggetto estetico. L’originale, dal titolo Der ästhetische Gegenstand (eine phänomenologische Studie), apparve in due blocchi, nel 1908 e nel 1909140, sulla rivista d’estetica diretta da Max Dessoir, la «Zeitschrift für Ästhetik und allgemeine Kunstwissenschaft». Il testo è diviso in tre sezioni, precedute da un’introduzione metodologica, tradotta da Scaramuzza assieme alla parte sulla poesia (arte temporale) e alla conclusione sulle arti spaziali.141 L’edizione italiana, dal titolo L’oggetto estetico. Estetica fenomenologica I, propone una presentazione di Dino Formaggio142 e un’estesa introduzione di Gabriele Scaramuzza143 in cui la figura di W. Conrad viene collocata nell’ambito degli sviluppi della prima 138 Sembra utile segnalare, anche solo per l’influsso che esercitò sulle estetiche successive, la raccolta di saggi di Georg Simmel edita, sempre per Orientamenti d’estetica, nel 1970 (Simmel 1970). Le traduzioni, di Massimo Cacciari (per gli originali v. Cacciari 1970 b), sono precedute da un’estesa introduzione dello stesso (Cacciari 1970 a). 139 Sugli sviluppi dell’estetica fenomenologica ancora prima del saggio di Conrad v. Scaramuzza 1989, in particolare p. 6. 140 Conrad 1908; 1909. 141 Le pagine tradotte sono: Conrad 1908, pp. 71-80 e pp. 469-511; Conrad 1909, pp. 451-55. 142 Formaggio 1972. 143 Scaramuzza 1972 a. 77 77 estetica fenomenologica e dove si riferisce abbondantemente sulla sezione del saggio di Conrad non tradotta. Troviamo infine una nota alla traduzione in cui Scaramuzza segnala la difficoltà del linguaggio di Conrad, constatandone la parentela con il lessico delle Logische Untersuchungen di Husserl. Moritz Geiger Del 1973 è invece l’integrale traduzione, curata sempre da Scaramuzza, dei Beiträge zur Phänomenologie des ästhetischen Genusses144 di Moritz Geiger, apparsi originariamente nel 1913 sul primo numero dello «Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung» diretto da Edmund Husserl.145 Il volume che, collegandosi al precedente, porta il titolo La fruizione estetica. Estetica fenomenologica II, contiene però anche un corposo studio di Scaramuzza – una monografia che unitamente alla sezione su Geiger ne Le origini dell’estetica fenomenologica, resta ancora oggi, a quanto ci risulta, l’unica in Italia sul pensiero di Moritz Geiger –146 ed una preziosa nota terminologica resa necessaria dalla differente terminologia relativa all’area semantica 144 Geiger 1913. La traduzione è stata condotta sulla seconda edizione del 1922, uscita però senza modifiche rispetto alla prima. 146 Scaramuzza 1973. Sempre di Scaramuzza, su Geiger, v. anche Scaramuzza 1988a, 1988b, 1989, 1996b. Il pensiero di Geiger, almeno in Italia, non sembra esser stato studiato in tempo reale. Sicuramente il giudizio sbrigativo con cui lo studioso tedesco fu liquidato da Antonio Banfi contribuí all’assenza di interesse nei suoi confronti. Banfi, infatti, giudicò le ricerche di Geiger «una serie di determinazioni sconnesse e perciò astratte» (Banfi 1961, p. 68). Anche in Germania l’interesse per le opere di Geiger ha avuto nuovi impulsi nell’ultimo ventennio (si veda Geiger 1976). Continua è la fortuna dello studioso tedesco negli Stati Uniti, dove si trasferí gli ultimi anni della sua vita. Alcune opere sono state tradotte in America Latina. Su vita, opere e letteratura critica v. Scaramuzza 1988 b. 145 78 78 dell’esperienza estetica nelle due lingue; per caratterizzare l’accezione geigeriana di Genuß, spiega infatti Scaramuzza, viene adottato il termine fruizione in quanto capace di connotare quel distacco che, secondo Geiger, è richiesto dal vissuto estetico147. Bisogna attendere il 1988 per trovare, sempre ad opera di Scaramuzza, un’altra traduzione di uno scritto di Moritz Geiger; Lo spettatore dilettante è il titolo di una fascicolo di «Aesthetica pre-print» in cui viene pubblicata la versione italiana di Vom Dilettantismus im künstlerischen Erleben, un breve saggio dello studioso monacense, pubblicato originariamente nel 1928.148 Il fascicolo è però preceduto da un’utile presentazione, in cui Scaramuzza dopo aver sottolineato l’importanza di questo contributo geigeriano, propone un confronto con Walter Benjamin, che ne fu, egli ricorda, allievo a Monaco; chiude una fornita appendice biobibliografica.149 L’interesse di Scaramuzza per Geiger è oggi tutt’altro che spento; è di pochi giorni fa l’edizione di un altro utile volume miscellaneo contenente ben quattro scritti dell’estetologo monacense, unitamente ad altri materiali di un altro allievo di Lipps, Aloys Fischer, e a scritti di Husserl, nonché di Scaramuzza stesso. Di Geiger si possono qui leggere in italiano l’articolo Estetica del 1921, la relazione Estetica fenomenologica del 1924, la prefazione a Zugänge zur Ästhetik, datata 1927 e lo scritto sul metodo filosofico 147 Scopo non secondario del saggio è infatti, secondo Scaramuzza, distinguere Genuß da Genuß estetico e quindi fruizione ben si presta a connotare un godimento non edonistico. Spiegelberg, diversamente, preferisce tradurre con enjoyement, (Spiegelberg 1960, 213) e, analogamente, Zecchi propone godimento.. 148 Geiger 1988. 149 Scaramuzza 1988 a; 1988 b. 79 79 di Alexander Pfänder.150 Sempre relativamente a Geiger è da segnalare infine, in questo volume, anche un nuovo contributo di Scaramuzza sull’interesse solo apparentemente marginale dello studioso tedesco per l’estetica musicale.151 Max Dessoir Per la sua vicinanza ai temi della prima estetica fenomenologica, l’interesse per l’opera di Max Dessoir Ästhetik und allgemeine Kunstwissenschaft152 può rientrare nell’ambito di questo intervento; se ne segnala pertanto la traduzione, pubblicata nel 1986 a cura di Lucio Perucchi e Gabriele Scaramuzza, nella collana Estetica contemporanea diretta da Dino Formaggio per le Edizioni Unicopli di Milano. La traduzione, condotta sulla seconda edizione del 1923, è di Franco Farina. Il volume contiene, oltre ad una presentazione di Formaggio, un’avvertenza e una corposa prefazione di Perucchi e Scaramuzza in cui sono appunto evidenziati anche i rapporti con l’estetica fenomenologica.153 Fenomenologia e arte L’attualità dell’interesse esistente in Italia per le origini dell’estetica fenomenologica è testimoniato infine dalla recente aggiunta al catalogo delle traduzioni italiane di numerosi altri nomi. Nel 1991 Gabriele Scaramuzza ha curato un importante volume su La fenomenologia e le arti,154 in cui compaiono diversi saggi volti ad ispezionare i rapporti o le analogie fra la fenomenologia e il mondo delle arti europeo del XX secolo. Si leggono i saggi di 150 151 152 153 154 Geiger 1996a; 1996b; 1996c; 1996d. Scaramuzza 1996b, 131-144. Dessoir 1986. Perucchi-Scaramuzza 1986. AAVV 1991. 80 80 Walter Biemel su Picasso e sulla temporalità nel romanzo, di Guy Habasque su cubismo e fenomenologica, di Manfred Smuda su un’interpretazione fenomenologica di Joyce, di Ferdinand Fellmann sulla riduzione fenomenologica come forma espressionistica di pensiero, di Hans Reiner Sepp su Kandinsky e Husserl,155 di Max Scheler su metafisica e arte, di Jan Patocka sui rapporti fra arte e tempo, di Ingarden sulla pittura astratta (già comparso sulla «Rivista di estetica» nel 1961), a cui si aggiunge un’altra lettera di Husserl sul proprio itinerario intellettuale. Aloys Fischer Sul volume recentemente curato da Scaramuzza sull’estetica monacense compaiono per la prima volta in lingua italiana anche degli scritti d’estetica di Aloys Fischer, autore che dovette giocare un ruolo molto importante per i primi sviluppi dell’estetica fenomenologica.156 Viene tradotto lo scritto su Estetica e scienza dell’arte157 e, soprattutto, viene proposta in appendice un’esposizione analitica dell’importante lavoro per l’abilitazione Zur Bestimmung des ästhetischen Gegenstandes, del quale vengono considerate il capitolo edito nel 1907 ma anche la stesura dattiloscritta e i rifacimenti dell’autore, non senza ulteriori confronti con altri suoi scritti sugli stessi argomenti.158 Si tratta di un documento molto importante che può anche aiutare a mettere luce su 155 Di Hans Reiner Sepp compare anche un articolo su Il cubismo come problema fenomenologico sul n. 3, 1996 del semestrale milanese «Arte estetica»: Sepp 1996. 156 Fischer era attivo nell’ambiente di Monaco, dove collaborò lungo tempo con Lipps, occupandosi per diversi anni d’estetica (tenendo anche alcuni corsi universitari su di essa; divenne però successivamente piú noto come pedagogista). 157 Fischer 1996. 158 Scaramuzza 1996c. 81 81 alcuni passaggi dell’unico manoscritto husserliano sull’estetica, parte del quale, come si è visto, era stato steso proprio dopo un colloquio con Aloys Fischer (e Johannes Daubert). Ed è probabile che, a questo punto, le ricerche sulle origini dell’estetica fenomenologica possano procedere anche oltre i risultati peraltro già interessanti a cui sono sino ad ora pervenute e a cui i diversi studi italiani (di cui ora diremo) che hanno accompagnato questo importante lavoro di traduzione hanno pure essenzialmente contribuito. B. Le origini dell’estetica fenomenologica nella loro fortuna italiana Chi voglia fare il punto sulle origini dell’estetica fenomenologica può trovare oggi in Italia diversi studi utili al riguardo, pubblicati nell’ultimo ventennio. Il punto di partenza potrà essere costituito da Le origini dell’estetica fenomenologica, 1976 di Gabriele Scaramuzza, a cui potrà fare seguito la lettura dei successivi contributi dell’autore, fra cui i successivi volumi Oggetto e conoscenza, 1989 ed Estetica monacense (a cura di), 1996. Diversi altri scritti sono comunque rinvenibili nella ricca letteratura italiana sul tema (che alleghiamo in bibliografia), ma in gran parte dipendenti dai citati lavori di Scaramuzza, che attinge direttamente alle fonti. Senza alcuna pretesa di sostituire la lettura diretta degli studi citati, a cui comunque rinviamo, ne presenteremo ora un breve sunto, finalizzato a mostrare quali siano stati gli autori, le opere e i loro principali contenuti su cui è stata portata l’attenzione in questo proficuo lavoro di riscoperta delle origini dell’estetica fenomenologica; considereremo tuttavia anche altri interventi autonomi rispetto agli studi di Scaramuzza, fra cui la critica di 82 82 Ermanno Migliorini a Ingarden e il commento introduttivo di Dino Formaggio ai passi tradotti dall’Ästhetik e da Möglichkeit und Wirklichkeit di Nicolai Hartmann. La nascita dell’estetica fenomenologica viene fatta risalire da Scaramuzza agli anni immediatamente successivi alla pubblicazione delle Logische Untersuchungen159 opera della quale venne ripreso soprattutto il metodo antipsicologistico – consistente nella descrizione dei fenomeni allo stato puro, non ridotti cioè ad eventi psichici o naturali –160 che si tentava di trasporre negli studi d’estetica, nei quali si faceva a quei tempi valere altrettanto fortemente l’egemonia della psicologia naturalistica. Non è dunque sul terreno dei rari accenni all’arte o ad altre tematiche estetologiche presenti nell’opera che si possono individuare i motivi dell’importanza delle Logische Untersuchungen per l’estetica, ma su quello del metodo utilizzato per la fondazione dell’estetica; e questo nonostante la pura idealità degli enti logici avrebbe comunque posto dei problemi a chi avesse voluto inda- 159 Husserl 1900-01. «Preoccupazione di fondo di Husserl è certo qui [Ricerche Logiche] individuare e descrivere l’ambito specifico degli studi logici. Tuttavia, non solo non mancano occasionali accenni a tematiche estetiche ed esemplificazioni tratte dal mondo delle arti; ma soprattutto vi sono discussi problemi che riveleranno di fatto possedere una grande rilevanza anche per l’estetica – come in concreto mostreranno i seguaci di Husserl che si proveranno ad applicare il metodo fenomenologico agli studi estetici» Scaramuzza 1989, 31. 160 «Il significato estetico non può andar confuso con la fisicità di un complesso meramente fonetico, né con qualsivoglia evento psichico; tanto meno con riferimenti a realtà esterne o interiori a esso precostituite nell’esperienza dell’autore o del fruitore. Non ha nulla a che vedere con emozioni personali o sentimenti suscitati, né con ricordi o immagini evocate, fantasie collaterali, tonalità estrinseche quali l’esser-noto di qualcosa, intuizioni esemplificative» Scaramuzza 1989, 36. 83 83 gare con le stesse premesse questi nuovi domini.161 Se è vero che, almeno agli inizi, non si fece riferimento alle riflessioni husserliane sull’immaginazione e sulla fantasia, che ben si sarebbero potute utilizzare in estetica, ben presto anche altri momenti delle Ricerche logiche furono però esplicitamente utilizzati per l’interpretazione dei fenomeni estetico-artistici. Waldemar Conrad, ad esempio, applicò all’universo delle arti verbali, spaziali e della musica la distinzione fra espressione e significato proposta nella Prima Ricerca: l’artisticità inerisce alla struttura segnica dell’opera d’arte allo stesso modo in cui il significato inerisce alle parole; l’opera acquisisce cosí un’autonomia che esclude ogni interferenza psicologico-soggettiva.162 Secondo una tendenza presente ad esempio anche nel movimento della allgemeine Kunstwissenschaft (e in altri esponenti dell’estetica fenomenologica), veniva cosí privilegiato il momento dell’oggettività estetico-artistica rispetto alle analisi delle componenti soggettive,163 e sfruttando anche il modello della Terza e Quarta ricerche logiche husserliane, si affermava una linea di ricerca che portava ad elaborare un’analisi formale dell’articolazione oggettiva dei significati, concentrata cioè sui livelli di 161 Scaramuzza 1989, 34. Con W. Conrad, nota Scaramuzza, viene affermata «una modalità dell’inerire dell’esteticità al segno, che in certo modo riproduce la modalità dell’annettersi, nell’espressione verbale, del significato alla parola. Il nucleo estetico dell’oggetto non può considerarglisi annesso sulla base di operazioni solo soggettive: appartiene all’oggettività dell’oggetto, gli è immanente in modo non accidentale né esposto a oscillazioni arbitrarie – non meno di quanto il significato inerisca alla sostanza oggettiva del mondo segnico-verbale» Scaramuzza 1989, 36. 163 In anni successivi, del resto, Donald Brinkmann interpreterà ancora il celebre «ritorno alle cose stesse» proprio come un ritorno all’oggetto estetico; cfr. Brinkmann 1937 e 1938. 162 84 84 significatività individuabili in corrispondenza delle stratificazioni dell’opera (letteraria, pittorica, teatrale, cinematografica, musicale, architettonica, ecc.). Tale metodologia d’indagine, che portava W. Conrad a parlare di una «posizione insolita» assunta in poesia dai segni linguisitici, sarà poi ampiamente sviluppata da Roman Ingarden, ma si ritroverà anche prima nel formalismo russo,164 che parlerà a questo riguardo di un «effetto di straniamento», e poi nello strutturalismo praghese.165 L’oggetto che interroga il fruitore: Waldemar Conrad Il primo scritto che viene tradotto in italiano sulla prima estetica fenomenologica è proprio il saggio del giovane drammaturgo Waldemar Conrad pubblicato fra il 1908-09 sullo «Zeitschrift für Aesthetik und allgemeine Kunstwissenschaft».166 Il riferimento alla fenomenologia è fatto valere da W. Conrad soprattutto a livello metodico, particolarmente in funzione antipsicologistica; viene conseguentemente pri164 Victor Erlich afferma che l’antipsicologismo, la difesa dell’autonomia della struttura verbale e l’atteggiamento descrittivo accomunano le ricerche di Ingarden a quelle dei formalisti russi, ai quali fu proprio il campo del linguaggio poetico a consentire l’applicazione di quell’«eresia» funzionalista; Erlich 1966, 65-66. Su ciò cfr. anche Zecchi 1978, II, 77-80 e 82-83. 165 «L’estetica fenomenologica, in questo suo aspetto, si può porre a buon diritto nel solco della tradizione del moderno formalismo di ascendenza herbartiana (e delle direzioni dell’arte contemporanea che […] paiono ad esso consone). Dove la difesa dell’irriducibile oggettività dell’estetico si fa rilievo concreto delle strutture dell’artisticità.» Scaramuzza 1989, 35. 166 Questo saggio avrebbe immediatamente influenzato Ingarden e poi il formalismo, passando però sotto silenzio per molti anni. Nel secondo dopoguerra faranno riferimento ad esso Mikel Dufrenne, poi Elisa Oberti e infine Gabriele Scaramuzza 85 85 vilegiata l’indagine oggettuale,167 nonostante lo stesso Conrad auspichi – senza però poi sviluppare – un completamento «a parte subjecti» di quel tipo di analisi.168 Infatti, come fa notare Scaramuzza, quando Conrad presenta l’opera d’arte come un sorta di compito da eseguire da parte del fruitore,169 egli riconosce certamente l’indispensabile apporto della soggettività alla decodifica dei valori estetici, depositati (per strati) nell’opera; e se si tratta, certo, di un’intuizione che non è stata poi esplicitata dall’autore, l’emergere di qualcosa come oggetto estetico sembrerebbe in tal modo rinviare comunque all’incontro tra un’intersoggettività storica e la realtà che le si impone. L’evento estetico, in altri termini, rinvierebbe all’incontro tra una proposta oggettuale ben definita e un soggetto capace di assumere un determinato atteggiamento, costituitosi entro un contesto storico-sociale.170 Un secondo aspetto che rende interessante questo saggio di fenomenologia dell’arte è secondo Scaramuzza la decisa rivalutazione della dimensione sensibile dell’opera, cioè di quello «strato» che distin167 «Conrad […] nel suo ignorare la polarità soggettiva del discorso, crede di poter istituire l’oggetto nella sua esteticità rilevandone lo specifico carattere intenzionale, l’eidos che lo differenzia dall’oggetto naturale e dall’oggetto percepito, e senza scorgere quindi la specificità dell’oggetto estetico […] negli atti “personalistici” – diremmo quasi “dialogici” – in cui si verifica il “riempimento” estetico della cosa» Franzini 1985, 88. 168 Scaramuzza 1976, 35. Conrad, che morí nel 1915, si interessò di nuovo alla differenza fra atteggiamento estetico e scientifico (Conrad 1915 e 1916), ma abbandonò il piano fenomenologico descrittivo, recuperando un atteggiamento valutativo piú tradizionale, di limitata portata euristica; cfr. Scaramuzza 1972a, XLV. 169 Conrad sottolinea la cogenza dell’oggettività dell’opera nei confronti dell’atteggiamento estetico, per far fronte ai soggettivismi idealistici e romantici che legavano l’estetico ad una libera decisione del soggetto. 170 Scaramuzza 1976, 45 e 53-55. 86 86 gue essenzialmente l’oggetto estetico dagli altri oggetti ideali. Secondo Conrad, infatti, la dimensione sensibile dell’opera d’arte richiama su di sé una speciale attenzione soggettiva che fa scattare una risignificazione di tutto l’evento percepito.171 Il suono, ad esempio, pur essendo un fatto fisico, quando viene strutturato all’interno di un’opera musicale, si risignifica, liberando valenze diverse e facendosi latore dei peculiari valori che appartengono alla sinfonia intesa come oggetto estetico. Lo strato sensibile non è pertanto da considerare un mezzo indifferente, una passiva materialità. Ora, nota Scaramuzza, l’atto con cui il percepito viene di volta in volta risignificato chiama necessariamente in causa l’intenzionalità soggettiva. Infatti, se per un verso le richieste oggettuali sembrano estremamente rigide (vi è un limite oltre il quale il soggetto non fruisce piú lo stesso oggetto), per altro verso le stesse proposte (aventi come loro veicolo essenziale proprio la dimensione sensibile), necessitano dei soggetti che le decodifichino. È la stessa struttura dell’opera, in altri termini, a prevedere (sia pur implicitamente) l’intenzionalità dei soggetti, alle cui capacità percettive si deve la validità (epocale) dei valori oggettuali (che, comunque, non hanno nulla a che fare con le fantasie psichiche). E proprio perché tale implicazione non è stata sufficientemente esplicitata da Conrad, questi sarebbe stato come «tormentato» dall’impossibilità di separare nettamente la sfera di ciò che è gemeint da quella di ciò che è mitgemeint. Invece, tale difficoltà, lungi dall’essere un limite, nasconde secondo Scaramuzza uno dei principali guada171 L’idealità dell’oggetto costituisce per Conrad un «compito» anche per la percezione: Dufrenne 1969, 305. 87 87 gni dell’estetica fenomenologica: non vi è […] una struttura invariabile definita una volta per tutte, non v’è alcuna essenza metafisica dell’arte. Limiti e strutture piuttosto variano […] al variare dei condizionamenti storico-sociali. Un’indagine fenomenologica deve dunque farsi carico anche di tutti gli attributi a vario titolo predicabili al nucleo essenziale dell’opera, incluse le eventuali fantasie (da non scambiare, comunque, per valori estetici anch’esse) che insorgono nella psiche del fruitore; si tratta infatti di elementi pur sempre richiesti dall’opera, frutto del suo impatto con una determinata cultura:172 i fattori psichici, come i dati ambientali e sociali in qualche modo presenti nell’opera, non sono accadimenti empirici o sentimenti attualmente vissuti nell’animo dell’artista o del fruitore; vengono piuttosto rilevati in quanto invarianti intersoggettive: l’attesa della tonica in un brano di musica tonale, come lo smacco di uno schema ritmico bruscamente interrotto […] sono costanti in nessun modo da confondersi con reazioni del tutto mutevoli che si possono provare di fronte ad un’opera d’arte, e che solo raramente assumono rilevanza intersoggettiva. Certo tutto questo riguarda in gran parte la psicologia (o la sociologia), ma vi sono dei “correlati oggettivi” a esso nell’opera. Il mondo cointenzionato dal fruitore non sarebbe dunque estraneo all’opera stessa; e se un tale orizzonte di possibilizzazione fantastica potesse essere riconosciuto come strato oggettuale, meglio si colloche172 Scaramuzza 1976, 41-2. 88 88 rebbe l’oggetto estetico nel suo organico oscillare tra richieste segniche e risposte fruitive. Tutto questo, secondo Scaramuzza, avrebbe forse evitato a Conrad di rimettersi a quella vaga asserzione di idealità che rende tutto sommato aporetico il suo discorso.173 Tuttavia, a differenza di Ingarden o di Geiger, Conrad sarebbe riuscito ad evitare la «chiusura» della ricerca sul piano ontologico,174 tenendo invece vivo il legame tra lo strato ideale dell’oggetto, sede del valore estetico, e la sua concreta, sensibile presenza (presenza per un soggetto): L’oggetto estetico (ben lungi dall’esaurirsi in una propria univoca essenza) si configura quindi come una struttura ben definita di possibili relazioni, di riferimenti intenzionali definiti ed irreversibili. Un sistema latente nell’oggetto, di emergenze e di subordinazioni, di molteplici rimandi, e che postula di essere afferrato secondo il suo senso immanente. Una proposta dunque, ma ben definita […] qualcosa […] che non emerge se non in presenza di un soggetto che interroga e di un certo atteggiamento, e che quindi non può fare a meno di un proprio completamento da parte (diremmo) di un’intersoggettività storica.175 L’oggetto non va dunque mai considerato come struttura a sé stante; se anche si impone come una proposta ben codificata, esso non si presenta comunque come un sistema segnico dato e definito una volta 173 «Proprio l’ineludibile presenza all’opera di una soggettività introduce in tutti i suoi strati controllabili mutamenti, che impediscono che essa si configuri come l’oggetto ideale di cui aveva parlato W. Conrad» Scaramuzza 1984a, 46; Scaramuzza 1981, 347. 174 Scaramuzza 1976, 36. 175 Scaramuzza 1976, 55. 89 89 per tutte. D’altro canto nemmeno la soggettività dev’essere ridotta ad un mondo asettico e chiuso che possa assumere indiscriminatamente qualsiasi oggetto come estetico: In ogni epoca non è arbitrario, non dipende da una “libera” decisione del soggetto l’emergere di qualcosa come oggetto estetico, ma da un incontro tra un’intersoggettività e la realtà che le si impone. Pertanto, in linea di principio l’idealità dell’oggetto estetico non è in contraddizione con la sua temporalità; a meno di non presumere che all’ideale spetti una purezza metempirica che lo sottrae a qualsiasi costituzione nel tempo, o di non ritenere, d’altro lato, che il fatto di sorgere e modificarsi nella storia impedisca ad un oggetto che se ne rilevino le strutture ideali.176 Essenza e significato dell’arte. Estetica fenomenologica in Walter Meckauer e Oskar Becker Nel secondo decennio del secolo, soprattutto dopo la pubblicazione di Ideen I, ulteriori ricerche, sempre intitolate all’estetica fenomenologica, recuperano altri fondamentali luoghi della produzione husserliana, quali ad esempio l’epoché fenomenologica o la costituzione trascendentale, trascurati dagli autori della corrente oggettivistica. Geiger, ad esempio, dà ampio spazio all’eco soggettiva dei fenomeni estetici, alla loro portata esistenziale, e l’estetica fenomenologica 176 Scaramuzza 1976, 43-5. Sempre secondo Scaramuzza, altro limite di Conrad sarebbe l’aver trascurato la storia e l’aver pertanto riferito le proprie descrizioni non ad individui inseriti nel tempo ma a uomini generici e a valori universali ignari della propria storicità; Scaramuzza 1972a, XXI. 90 90 cessa in tal modo di identificarsi con una teoria dell’oggetto artistico, recuperando anche diverse e piú ampie categorie antropologiche.177 Lo stesso accade con Walter Meckauer, Oskar Becker e Fritz Kaufmann,178 altri autori che iscrivono le proprie ricerche nell’alveo dell’estetica fenomenologica (o della fenomenologia dell’arte), volgendosi però anche a temi di ampio respiro, toccando cioè questioni relative al senso generale del fare arte, indagandone le radici soggettive ed anche la portata metafisica. Si tenta in questi studi una risignificazione globale dei fenomeni artistici e dell’esteticità, ricercandone le connessioni di senso con l’esistenza umana.179 Il mondo della soggettività estetica risulta cosí piú direttamente coinvolto, e l’orizzonte teorico risulta anche piú vicino al trascendentalismo di Ideen I. Fra i nomi a questo riguardo ricordati da Scaramuzza e da Zecchi è certamente da segnalare Walter Meckauer, autore di Ästhetische Idee und Kunsttheorie. Anregung zur Begründung einer phänomenologischen Ästhetik, 1918, in cui viene ribadita l’analogia husserliana tra arte e fenomenologia,180 basata, 177 Zecchi 1978, II, 85. Su Fritz Kaufmann cfr. Zecchi 1978 II, 86-7. 179 Scaramuzza 1976, 74-82. 180 «L’arte fa uso di un metodo rappresentativo, non discorsivo-conoscitivo; l’arte non analizza, non seziona, non descrive, ma “presenta” gli oggetti nella loro vissuta relazione con l’io; rende intuitivamente vivo l’oggetto, laddove la scienza ne limita la complessità, elaborando sistematicamente le leggi dei fenomeni. Inoltre, diverso è il ruolo svolto dalla coscienza: l’arte epochizza la coscienza teorizzante e ogni determinazione concettuale, “mantiene quanto di vissuto (erlebnishaft) v’è nell’atto di conoscere” e, della coscienza, il suo muovere intenzionale verso qualcosa. Non coglie, infine, le cose nelle loro correlazioni universali, entro il sistema di leggi in cui le pone la coscienza teorizzante: piuttosto le vive e le rappresenta nel loro “irrazionale” isolamento, in un’estrema 178 – segue – 91 91 come s’è visto, sul fatto che entrambe neutralizzano il mondo naturale volgendosi direttamente a strutture eidetiche. Meckauer comincia anche ad applicare le nuove idee estetiche all’arte contemporanea: l’espressionismo pittorico (e, non meno, quello letterario), tutto intenzionato ad abbandonare l’«esteriorità dell’esistente empirico» affinché l’intenzione coscienziale si volga all’«interiorità dell’essenziale», opererebbe anch’esso una sorta di «fenomenologica rivoluzione copernicana»;181 arte e fenomenologia sarebbero pertanto accomunate da «una concentrazione del sensibile-materiale sull’essenziale» che fa dell’orizzonte eidetico una possibilità sempre latente nel mondo sensibile. L’opera d’arte, in altri termini, fornisce vesti sensibili alle essenze, le quali a loro volta, grazie appunto all’arte, trovano una via per manifestarsi nella realtà.182 L’attualizzazione di questi possibili viene però da Meckauer demandata ad una dimensione del reale diversa ed alternativa a quella data, e il motivo di ciò sta nella peculiarità della rappresentazione artistica a suo avviso incapace di esaurire il piano dell’essenza (che l’arte dunque rivela, ma allo stesso tempo tradisce): le possibilità essenziali che trovano spazio nell’arte non sono ancora visibili all’uomo.183 Ora, argomenta a questo punto Scaramuzza, se proprio attraverso l’arte è data, sia pur in modo incompleto, la possibilità di intuire quelle possibilità essenziali, queintensificazione della loro unicità significativa vissuta» Scaramuzza 1976, 90. 181 Meckauer 1918, 278-301; Meckauer 1920, 60; cfr. Scaramuzza 1976, 84-7. 182 Meckauer 1918, 278. 183 Scaramuzza 1976, 93. 92 92 sto significa che l’arte si pone come un impegno di riconciliazione, realizzabile solo in un mondo diverso: l’essenza svelata si fa allora desiderio della propria realizzazione,184 proiettando l’arte in una dimensione utopica. E la concentrazione fantastica sull’essenziale che ha luogo nell’arte dev’essere integrata dalla prassi umana trasformatrice.185 Se dunque Meckauer, col suo stesso porre una tragica frattura tra essenza ed esistenza fattuale, fa dell’opera d’arte la proposta di un compito utopico di riconciliazione, l’arte, pur essendo per essenza votata allo scacco (per la sua insufficienza a colmare la distanza tra la realtà e la visione eidetica), si qualifica come un prezioso strumento di risignificazione del reale, come una possibilità di apertura rispetto all’angusta coscienza di un’epoca: L’essenza svelata è desiderio della propria realizzazione e, in questo, proiezione in una futura presenza, rimando a un impegno. Perciò l’originalità dell’opera 184 «Se dunque l’arte implica un attivo rendersi conto, una certa modalità del prender coscienza, tutto questo ha a che vedere con un mondo di possibilità occultate: con qualcosa che può rivelarsi ad un adeguato atteggiamento, e la cui rivelazione costituisce pertanto un compito; come un compito è la sua realizzazione in un mondo “diverso”». Scaramuzza 1976, 86. 185 La conoscenza estetica, dunque implicherebbe necessariamente un’attiva presenza della soggettività umana, un impegno, un progetto che non possono essere che «etico, pratico, politico». Tutto ciò – ammette Scaramuzza – va però oltre la lettera e lo spirito delle pagine meckaueriane, e tende semmai ad evidenziare connessioni tra la tematica estetico-fenomenologica e i problemi agitati, fra altri, dal giovane Lukács: «Nel rifiuto di assolutizzare l’autonomia strutturale dell’estetico (indice negativo di una assoluta, disperante alterità del dato rispetto al significato) e nel recupero (sia pur in luce utopica) di una funzione dell’arte, nella risignificazione di essa in seno all’esistere operata dal giovane Lukács, è da vedere un aggancio alla problematica estetica ravvivata dalla lettura delle Ideen» (Scaramuzza 1976, 88-89). Sul rapporto fra il giovane Lukács e l’estetica fenomenologia cfr. Benassi 1977. 93 93 d’arte non è novità a tutti i costi e l’immaginazione non è gioco gratuito, ma scoperta di un possibile obliato, la cui realizzazione è progettabile. E il progetto ha le sue radici nell’autentica realtà, nella pienezza delle sue dimensioni, che vanno oltre quelle attualmente date.186 È chiaro a questo punto, conclude Scaramuzza, lo spostarsi del discorso dal piano estetico-oggettuale a quello dei rapporti tra prodotto artistico finito e soggettività, col correlativo riproporsi all’attenzione del problema del senso del fare arte e di una sua risignificazione in seno all’esistere.187 Anche il fenomenologo Oskar Becker si interessò occasionalmente di estetica in un saggio dal titolo Von der Hinfälligkeit des Schönen und der Abenteuerlichkeit des Künstlers, pubblicato nel 1929 sulla Festschrift in onore del settantesimo compleanno di Husserl. Becker prende partito per una fondazione dell’estetica «a parte subjecti»188 in esplicita contrapposizione rispetto al privilegiamento dal lato oggettivo teorizzato da Geiger (nonostante le sue analisi psicologiche) e Ingarden e contro una riduzione della considerazione dei momenti costitutivi ad elemento inessenziale per l’estetica. Rinviando all’idealismo trascendentale di Husserl, Becker afferma che gli oggetti estetici non devono essere considerati come realtà a sé stanti, essendo piuttosto potenzialità che diventano attuali solo nel vissuto. Sua preoccupazione 186 Scaramuzza 1976, 86-7. Scaramuzza 1976, 87. 188 La caducità del bello annunciata nel titolo è «il segno del carattere misterioso dell’arte, legato a una soggettività che, sia dal lato costruttivo sia da quello ricettivo, rivela emozioni e passioni soggettive» ZecchiFranzini 1995, 956. 187 94 94 è pertanto quella di descrivere il tipo di atteggiamento umano operante nel mondo estetico-artistico. Si ritrovano pertanto in queste analisi di Becker alcuni fra i principali guadagni della precedente riflessione estetico-fenomenologica: riduzione dell’oggetto alla sua apparenza ed immanenza ad essa di senso ed artisticità. Sulla linea del ms A VI 1 di Husserl, l’estetica viene inoltre posta come campo privilegiato di applicazione del metodo fenomenologico: tanto l’epoché quanto la riduzione eidetica sono spontaneamente compiute di fronte all’oggetto estetico.189 Tuttavia, al di là dell’esplicito richiamo husserliano, l’apparato teorico messo in campo da Becker attinge molto anche da Sein und Zeit di Heidegger e dall’estetica romantica (Solger, in particolare)190. In un contesto in cui si innalza una denuncia di una tragica separatezza tra esistenza ed essenza (analoga a quella riscontrata da Meckauer), Becker, senza alcuna pretesa di riconciliazione della frattura, ribadisce infatti la pura fenomenicità dell’estetico (che sarebbe velo di un’altra realtà piú reale) e la fondamentale «dualità e discordia delle “radici” dell’essere».191 La fragilità del bello diviene cosí la denuncia del divario ontologico tra la perfetta e conchiusa fenomenalità dell’estetico e la vera e profonda realtà metafisica svelata.192 L’atto produttivo dell’artista, tuttavia, non può comunque 189 Becker 1929, 36, n. 1; Scaramuzza 1976, 97. L’idea di una «Hinfälligkeit des Schönen» è mutuata da Solger. 191 Becker 1929, 52. 192 «Nessuna romantica sopravvalutazione dell’arte, nessuna aura viene qui rispolverata; connotazioni romantiche vengono piuttosto riprese e al tempo stesso incenerite dallo sguardo acuto e doloroso dell’artista, che sembra in questo vivere piú la propria morte e la propria negazione che non una propria felice genialità: non resta che il gesto di una negazione in cui s’incarna un insanabile conflitto» Scaramuzza 1976, 109. 190 95 95 essere secondo Becker spiegato dalle sole categorie antropologico-esistenziali, ma rinvia ad una dimensione metastorica dell’essere che rende conto della sua bizzarria e allo stesso tempo della sua riuscita artistica: la pesantezza del Dasein cessa dove ha inizio il destino non storico, l’esistere «avventuroso» del genio.193 Forse piú negli esiti che nelle dichiarate intenzioni teoriche, questo lavoro di Becker mostra dunque un netto distacco dal pensiero husserliano, accentuato dall’utilizzazione di Essere e tempo in connessione a tematiche presenti nell’estetica romantica.194 Esso si situa, dunque piú nel solco dello heideggerismo che della fenomenologia; al limite, secondo Scaramuzza, si potrebbe parlare di «una fenomenologia che tenta il recupero dei propri temi (il trascendentalismo ad esempio) attraverso la mediazione di Heidegger».195 Comunque, l’approdo di Becker ad una concezione metafisica e sovrastorica196 della posizione dell’uomo nella realtà costituirebbe un limite che impedisce, per quanto concerne la soggettività estetica, di compiere qualche passo avanti circa la tematica della costituzione dell’oggetto estetico cosí come abbozzata da Husserl.197 Soggettività e oggettività dei momenti estetici Non è certo possibile procedere a questo punto disegnando una mappa della circolazione di idee tra la fenomenologia e l’esistenzialismo, cosa che evidente193 194 195 196 197 Becker 1929, 45; Scaramuzza, 1976, 105. Zecchi 1978, II, 85. Scaramuzza 1976, 243. Scaramuzza 1976,102-6. Scaramuzza 1976, 108. 96 96 mente richiederebbe uno studio a parte. Con questi sconfinamenti si può d’altronde considerare cessata la prima ondata di studi d’estetica fenomenologica, che ricomparirà successivamente (soprattutto in Francia e in Italia) in contesti culturali assai mutati rispetto all’inizio del secolo. In ordine alle esigenze di questa nostra ricognizione storiografica sembra pertanto opportuno porre ora in risalto alcune delle ragioni che hanno motivato la rimessa in circolazione delle fonti dell’estetica fenomenologica. Spesso, come si è visto, Scaramuzza si sofferma sui rapporti tra fenomenologia ed estetica, esplicitando la duplice direzione di ricerca aperta da questi tipi di studi, vale a dire, quella morfologicostrutturale accanto a quella genetico-costitutiva (relativa non solo alla soggettività ma anche all’intersoggettività storica che si cela dietro ogni creazione o fruizione artistica): Separare l’aspetto genetico da quello morfologico, fissare nella ricerca oggetti, modalità di apprensione nella loro struttura separata (per quanto utile e indispensabile possa essere nel corso della concreta ricerca) può voler dire (e sicuramente vuol dire se valori, significati, strutture vengono ontologizzati) perder di vista la carica significatrice (e riattivante dei significati) delle operazioni soggettive, la viva relazionalità dell’opera col tessuto intersoggettivo in cui si situa.198 Il riferimento ad una tale soggettività «allargata»199 consentirebbe infatti di liberare il campo dalle teorie incapaci di render adeguatamente conto di quella in198 199 Scaramuzza, 1989, 47. Mutuo il termine da Formaggio 1959, 1. 97 97 tenzionalità conoscitiva che già emerge in ogni concreto operare dell’uomo e che a maggior ragione informa ogni operazione artistica: L’attività costitutrice […] opera a vari livelli, si distende su molteplici piani, includendo ad esempio le disposizioni soggettive o intersoggettive che rendono possibile un intenzionamento estetico, i processi immaginativi, i processi sensibili-emotivi o i momenti del piacere, gli abiti culturali come le operazioni tecniche. […] Si tratta di un insieme di atti che – a partire da un materiale sensibile dato, da un certo mondo culturale e vissuto comune, da una situazione linguistica e generalmente segnica, comunque storicamente determinata sempre; e operando una sorta di preliminare sospensione di esso – istituiscono (nella creazione come nella contemplazione) l’evento estetico-artistico. La comprensione dell’oggettività estetica non può dunque prescindere dall’analisi degli atti che la istituiscono; se infatti una considerazione meramente psicologica dei vissuti estetici (che tanto ha segnato la storia della disciplina) può essere superata solo indagando la possibilità del costituirsi in tratti oggettuali del valore estetico, meno che mai comunque si può parlare di un privilegiamento di principio del momento oggettuale – quasi l’esteticità potesse propriamente risiedere solo nell’oggetto e non nella sua viva correlazione con gli atti che ne costituiscono l’esteticità, quasi che un evento potesse dirsi estetico di per sé, a prescindere dal suo rapporto con la coscienza che lo intenziona.200 Da questi capisaldi deve muovere secondo Scaramuz200 Scaramuzza 1989, 38. 98 98 za un’estetica che non si voglia precludere la comprensione delle rivoluzioni accadute nel corso del XX secolo nel mondo dell’arte: Ripercorrere un simile cammino, che va dalla attribuzione costruttiva di un senso da parte dell’artista alla riattivazione di senso inseguita dal fruitore, vuol dire operare uno scavo alla riscoperta di un senso originario del fare arte. E questo può rivelarsi di estrema importanza in un momento storico in cui i pesanti interrogativi sollevati […] intorno al senso e al destino della dimensione estetico-artistica nella nostra civiltà […] impongono che se ne reinterroghi il significato, mediante un radicale esame delle operazioni che lo fondano.201 La ricognizione di Scaramuzza intorno alle origini dell’estetica fenomenologica si inscrive dunque nell’ambito di una ricerca di una metodologia filosofica che consenta di render conto dei profondi livelli di significatività immanenti al fenomeno arte.202 E 201 Scaramuzza 1976, 80-81. Diversi sono dunque i luoghi in cui Scaramuzza evidenzia l’utilità della fenomenologia per interpretare l’arte contemporanea (ma, non meno, anche dell’arte per comprendere alcuni passaggi della fenomenologia), poiché è solo da una verifica «delle radici soggettive (o meglio intersoggettive) del fare arte, dei mondi di sensibilità e di immaginazione, delle tonalità esistenziali e sociali in esso implicate», da una «riattivazione del senso (o degli abissi di non senso) vissuto in esso latente» che sarà possibile prendere l’avvio «per una risposta agli urgenti interrogativi che l’arte d’oggi pone, e pone in relazione alla sua stessa sopravvivenza». Pertanto, conclude Scaramuzza, «se nell’ambito estetico-oggettuale […] la fenomenologia sopravvive oggi forse non molto piú che per alcune importanti indicazioni di metodo, piú attuali contributi e incentivi essa offre […] a una teoria, appunto della costituzione dell’oggetto estetico-artistico. Depurare questi contributi da certe tonalità neoromantiche e metafisiche […] e riconnettendoli con alcune originali indicazioni husserliane (e anche per altro verso geigeriane) […] può essere oggi quanto ci si può aspettare 202 – segue – 99 99 questo in un momento in cui quei significati sono sempre piú paradossalmente ostesi dagli artisti senza che, tuttavia, questo li renda piú facilmente comunicabili o decodificabili (si pensi, ad esempio, alla necessità, per numerose poetiche di rottura, di riversarsi in manifesti teorici che affiancano ed esplicitano l’enigmatica proposta oggettuale). Non è allora un caso se l’estetica fenomenologica prese il via in una città come Monaco, allora attivissimo centro artistico, quasi come se si fosse voluta fornire una prima sistemazione teorica al concitato mondo delle avanguardie artistiche.203 Di recente, del resto, Ferdinand Fellmann ha sostenuto una stretta affinità fra l’espressionismo e la fenomenologia husserliana a partire dalla svolta, fondamentalmente stilistica, delle Ideen, mentre Hans Rainer Sepp ha evidenziato una fondamentale analogia fra il cubismo e le operazioni relative alla riduzione fenomenologica.204 da ulteriori sviluppi dell’estetica fenomenologica» Scaramuzza 1976, 243244. 203 Scaramuzza individua diverse affinità teoriche fra la prima estetica fenomenologica e l’arte fra Otto-Novecento: a) alterità dell’opera rispetto alla natura (Cézanne, poi Picasso); b) rifiuto dell’imitazione (dal postimpressionismo all’astrattismo); c) carica significatrice autonoma di linee, forme e colori (Gaugin e Kandinsky); d) antipsicologismo in musica (Strawinsky), con accentuazione della soggettività (Schönberg); e) autonomizzarsi del segno verbale (Kafka). La carica significatrice attribuita al gesto (Duchamp) e, piú in generale, lo spostamento dell’attenzione sull’atto conferitore di senso, sarebbero poi l’analogo della riconsiderazione degli atti costitutivi operata dai fenomenologi; Scaramuzza 1976, 16-18. Per una piú ampia trattazione di tali analogie si vedano Scaramuzza 1989, 61-81, Sepp 1988 e 1996 e i saggi contenuti in AAVV 1991a. 204 Sepp 1996. Fellmann 1982, VIII e 1991; cfr. anche Fellmann 1989. 100 100 Ontologia dell’arte, valore, costituzione in Roman Ingarden Molte delle intuizioni di W. Conrad, notevolmente ampliate e ripensate secondo preoccupazioni anche di carattere puramente filosofico, si ritrovano nella decennale ricerca di Roman Ingarden. È questi forse il principale esponente dell’estetica fenomenologica, almeno per quanto riguarda la letteratura critica che è certamente la piú fornita, anche se spesso vengono evidenziati limiti o curvature non condivise della sua fenomenologia. Indubbi sono comunque gli influssi della riflessione ingardeniana riscontrabili oggi in alcune correnti dell’estetica o della scienza della letteratura: piú volte sono stati sottolineati i debiti nei confronti di Ingarden da parte della Rezeptionsästhetik della Scuola di Costanza, di Dufrenne, di Wellek e di numerosi altri autori. In Polonia, dove aveva cominciato gli studi universitari e dove torna a insegnare dopo aver studiato e lavorato a Göttingen con Husserl, Ingarden costituisce un punto di riferimento imprescindibile tanto per gli sviluppi dell’estetica quanto per la diffusione della fenomenologia. Ma non è questo il luogo per intervenire sul disegno complessivo dell’estetica di Ingarden, cosa che sarebbe comunque opportuna e per la quale sto raccogliendo i materiali; mi limiterò pertanto qui, in linea con lo stile di queste note informative, a riferire circa la valutazione critica dell’estetica fenomenologica di Ingarden fornita in Italia da Gabriele Scaramuzza e da Ermanno Migliorini; le riflessioni dedicate al filosofo polacco da Elisa Oberti saranno invece riportate nel capitolo quinto. Schema e costituzione dell’opera letteraria Cominciamo dall’intervento di Scaramuzza contenuto in Le origini dell’estetica fenomenologica, ove l’estetica di 101 101 Ingarden viene giudicata la «piú organica e complessa tra quante, anche dopo di lui, si ispirarono alla fenomenologia»;205 essa ha infatti sistematicamente guadagnato un atteggiamento antipsicologistico simile a quello husserliano, raggiungendo «la difesa di uno studio “impersonale” delle strutture del mondo artistico, inteso come qualcosa di irriducibile agli stati soggettivi sia dell’artista sia del fruitore».206 Un tale oggettivismo non è comunque unilaterale, in quanto non è estranea alle ricerche di Ingarden anche la tematica costitutiva, peraltro subordinata all’analisi del modo d’essere dell’opera d’arte. A quest’ultima viene del resto attribuita un’eteronomia d’essere e la fenomenologia viene cosí riassorbita in un’ontologia realistica.207 La prima importante opera d’estetica di Ingarden, Das literarische Kunstwerk, prevede in realtà quel completamento «a parte subjecti»208 rimasto latente nel saggio di Conrad: l’opera d’arte letteraria (ed il discorso verrà poi esteso all’opera musicale, plastica, architettonica, filmica) si costituisce in oggetto estetico solo in presenza di un soggetto che la concre205 Scaramuzza 1976, 58. Scaramuzza 1989, 90. 207 Scaramuzza 1976, 71; cfr. anche Zecchi 1978, II, 87-9. Husserl rivolse al suo ex-allievo ed amico ripetuti inviti affinché adottasse la fenomenologia costitutiva; Ingarden, dal canto suo, non rifiutava aprioristicamente i consigli del «venerato maestro», sebbene riteneva non fosse possibile «condurre in porto l’esame della costituzione “senza una preliminare chiarificazione del senso proprio della natura del costituito”. Per questo “la considerazione ontologica dell’oggetto, la cui costituzione dev’essere indagata, deve precedere la vera e propria considerazione costitutiva, orientata in senso noetico”» Scaramuzza 1989, 87. 208 «L’opera letteraria si presenta […] come un sistema di potenzialità […] che rimandano per la propria realizzazione all’intervento di un soggetto in grado di coglierle» Scaramuzza 1976, 66. 206 102 102 tizza; l’opera consiste infatti di una struttura semantica potenziale che, per divenire attuale (oggetto estetico), rinvia agli atti soggettivi che intenzionano i significati. Ora, nota Scaramuzza, Ingarden non considera quegli atti noetici come appartenenti alla realtà ontica dell’oggetto, tanto che l’opera conserva una sua realtà anche se nessuno la legge (fruisce), essendo in sé stessa costituita da un numero indeterminato e di per sé infinito di aspetti schematizzati (come già Conrad aveva intravisto), indagabili in modo formale ed autonomo. Questo genera un’opposizione fra realtà e intenzionalità soggettiva, opposizione che, del resto, corrisponde a due ben distinti piani di ricerca, uno logico e l’altro estetico, riscontrabili in questo lavoro di Ingarden. La letterarietà è dunque immanente alla struttura testuale potenziale, sebbene poi l’oggetto estetico si costituisca solo grazie all’intervento degli atti soggettivi concretizzanti i significati. Ingarden ha già a questo punto generato un dualismo, destinato anche ad accentuarsi quando, per spiegare l’attualizzazione dell’oggetto grazie agli atti soggettivi, introduce un’altra serie di riferimenti eteronomi: i concetti ideali, nei quali risiede la possibilità di significare delle proposizioni209 (a cui corrispondono le qualità ideali estetiche alle quali risale invece la possibilità del costituirsi del valore estetico dell’opera, nel corso appunto della con209 «Solo riferendosi ai contenuti di senso dei concetti ideali il lettore di un’opera letteraria può riattualizzare in modo identico il contenuto di senso di una proposizione datagli dall’autore. Se non ci fossero concetti ideali e nemmeno qualità (essenze) ideali e idee, non solo sarebbero allora impossibili le proposizioni, cioè le oggettività reali ed intenzionali, ma sarebbe altrettanto impossibile raggiungere un’autentica intesa nella conversazione tra due soggetti coscienti, che dai loro rispettivi colgono il contenuto identico di senso della proposizione». Ingarden 1968a, 182. 103 103 cretizzazione). Ora, è proprio l’introduzione da parte di Ingarden di queste astratte e astoriche oggettività ideali – che, del resto, motivano la stessa Seinsheteronomie dell’opera – ciò che secondo Scaramuzza impedisce all’estetologo polacco di sfruttare appieno il riferimento all’intenzionalità soggettiva. Ingarden infatti, al fine di determinare la modalità d’essere dell’opera d’arte, aveva messo in campo la nozione di puro-intenzionalità che pur implicava la dipendenza ontica dell’opera dagli atti soggettivi e avrebbe semmai consentito di recuperare il sistema di legami che rapporta gli oggetti al mondo dei soggetti;210 l’introduzione delle qualità ideali, invece, fa smarrire secondo Scaramuzza l’orizzonte di autonomia dell’artisticità che in qualche modo si cercava in precedenza di guadagnare.211 Limite della posizione di Ingarden sarebbe pertanto la chiusura dell’opera – ridotta a struttura semantica potenziale – al mondo delle concrete, storiche, operazioni dei fruitori: Abbiamo qui a che fare con una generica intersoggettività metatemporale, vista nei suoi tratti essenziali astorici, mai mediata nella realtà sociale vissuta; per cui la comunità di lettori che l’opera coinvolge risulta una comunità astratta.212 210 Scaramuzza 1976, 62. ««La trascendenza dell’oggetto rispetto agli atti in cui si costituisce non basta a garantirne l’autonomia nel caso dell’estetica» Scaramuzza, 1976, 67. 212 Scaramuzza 1976, 68. In Das literarische Kunstwerk, infatti, Ingarden ha accennato al rapporto fra oggettività ideale e comunità intersoggettiva preposta alla sua decodifica; addirittura, ad un certo punto dell’opera, dichiara conclusa l’analisi dell’oggetto astratto da ogni «vivo rapporto con gli individui psichici, e perciò anche con l’atmosfera culturale e le diverse correnti di vita spirituale che si sviluppano nel corso della storia» Ingarden 1968a, 571). Il prosieguo della ricerca non fornisce però 211 – segue – 104 104 Le analisi di Ingarden, in altri termini, si concentrerebbero unilateralmente su una fenomenologia (peraltro sui generis) dei significati, senza sviluppare le originarie valenze sensibili e intuitive della corporeità esperiente, autentica radice di ogni fenomeno genetico-costitutivo. Eppure tutto questo non toglie che nelle fitte analisi ingardeniane si aprano «una quantità di problemi avvincenti, e da cui non è possibile prescindere in una seria indagine sui fenomeni estetici»,213 come sarebbe del resto confermato dalla indagini sviluppate da Ingarden successivamente al lavoro sull’opera letteraria. Il nucleo invariante dell’opera (la sua identità) non sarà piú analizzata a prescindere dalle determinazioni storicosociali che presiedono alla sua concreta esecuzione e fruizione, come lo stesso Scaramuzza mette ben in evidenza in relazione al saggio di Ingarden sull’opera musicale.214 Lo stesso Ingarden avrebbe cioè successivamente ovviato a queste sue unilateralità riscontrabili nel lavoro, peraltro comunque apprezzato da Scaramuzza, sull’opera d’arte letteraria. secondo Scaramuzza quell’integrazione da Ingarden stesso auspicata. Nello studio sul riconoscimento dell’opera d’arte letteraria (Ingarden 1937) Ingarden tratta ampiamente il rapporto col soggetto, anche se l’indagine è sempre piú portata ad individuare le determinazioni nei confronti del lettore presenti a livello di struttura oggettuale. Viene costruito una sorta di modello ideale di lettura che si confaccia ad un tipo ideale di lettore; cfr. su ciò Scaramuzza 1984 a. 213 Scaramuzza 1976, 68. Nel già citato studio sul riconoscimento dell’opera d’arte letteraria, Ingarden tratterà però del vissuto estetico (che scatta a motivo di un’emozione originaria che estrania dal vivere quotidiano) dando maggiore importanza al momento sensibile-intuitivo come istitutivo dell’esteticità; «cosí Ingarden sottolinea la necessità che un autentico sapere implichi l’attraversamento di una piena concretizzazione estetica dell’opera sul piano del vissuto» Scaramuzza 1984, 50. 214 Scaramuzza 1991b. 105 105 Modificazione di neutralità ed emozione originaria Un altro estetologo italiano si è occupato in alcuni suoi lavori specificamente di Roman Ingarden: si tratta di Ermanno Migliorini. Nel suo studio su Critica, oggetto, logica, Migliorini interviene sullo scritto di Ingarden O Poznawaniu Dziela Literackiego, forse piú noto nella versione tedesca portante il titolo Vom Erkennen des literarischen Kunstwerks.215 Migliorini discute la nozione di epoché che Ingarden avrebbe posto alla base del riconoscimento dell’opera d’arte letteraria come oggetto estetico216 e, pur giudicando lo scritto molto interessante per una teoria fenomenologica dell’oggetto estetico, sostiene che le indagini qui avanzate dal filosofo polacco non riescono a superare l’ostacolo della percezione naturalistica dell’oggetto, in quanto non viene operata la vera e propria modificazione di neutralità della percezione husserlianamente intesa, secondo cui le noesi pongono come loro correlato un’oggettività qualitativamente diversa rispetto a quella naturale.217 Ingarden comincia col porre una distinzione fra la cosa reale fisica (reales Ding) e l’oggetto estetico, e questo in funzione dell’atteggiamento intenzionale del soggetto; su questa base afferma che l’atteggiamento estetico (quello cioè che presiede alla costituzione dell’oggetto estetico) è un atteggiamento derivato, il quale scatta solo dopo che le proprietà reali dell’oggetto percepito vengono sottoposte ad epoché. Le qualità del215 Ingarden 1937; 1968. Migliorini 1968, 9-26, 73 ss. 217 Le indagini di Ingarden sono state condotte ad avviso di Migliorini secondo prospettive parziali e strettamente legate al genere artistico prescelto, di modo che risulterebbe «laborioso e forse nemmeno del tutto utile e legittimo estrapolare da esse la trama di una dottrina generale della costituzione» Migliorini 1968, 9. 216 106 106 l’oggetto inizialmente assunte come sue proprietà fisiche vengono come sostituite o completate mentalmente, di modo che sopra o al di là dell’oggetto primario – il pezzo di marmo, ad esempio – se ne costituisce proprio un altro, di nuovo tipo: una Venere, una donna, una dea che ha movimento ed espressione, ma che non è piú una donna reale. L’apparizione della «Venere di Milo» come oggetto di esperienza estetica è dunque resa possibile da una neutralizzazione dell’atteggiamento tetico fatta scattare da un’«emozione preliminare (Ursprungsemotion)» a sua volta suscitata dalla percezione di determinate qualità dell’oggetto.218 Ora, secondo Migliorini, nonostante il rinvio esplicito ad Ideen I, l’epoché che Ingarden mette in campo differisce da quella proposta da Husserl. In primo luogo, essa non è gestita liberamente dal soggetto, ma accade necessariamente a seguito dell’emozione originaria. In secondo luogo, l’atteggiamento naturalistico mantiene un certo carattere di originarietà, essendo quello grazie a cui il soggetto percepisce le qualità oggettuali che stimoleranno la risposta emotiva e il conseguente passaggio all’atteggiamento estetico. Piú in dettaglio, è proprio l’emozione vissuta di fronte a determinate qualità oggettive (desiderio di possesso della cosa, volontà di aumentare il piacere adombrato dal suo possesso intuitivo) a provocare secondo Ingarden quel brusco arresto del decorso percettivo che recide di colpo i legami col mondo reale. Attraverso una tale modificazione della percezione, la qualità (che ha suscitato l’emozione) prima colta come predicato di un oggetto reale, viene ora intenzionata 218 Secondo Zecchi il rinvio di Ingarden ad una «imprecisata» emozione originaria, introdotto per spiegare la costituzione dell’oggetto estetico, comporta un velato ricorso all’Einfühlung; Zecchi 1978, II, 89. 107 107 come qualità «pura», centro di cristallizzazione di un nuovo oggetto, l’oggetto estetico. Sembra allora – commenta Migliorini – che Ingarden radicalizzi un po’ troppo la distinzione metodica fra oggetto reale ed oggetto estetico:219 la cosa come l’abbiamo percepita prima dell’emozione preliminare non interessa piú, e l’apparire diviene pienamente sufficiente per una prensione intuitiva delle qualità estetiche. È questa un’accezione psicologico-introspettiva della riduzione fenomenologica, lontana da quella «analitica» propria della riflessione husserliana. Non è qui in gioco la struttura trascendentale della coscienza, ma solo un soggetto empirico (io o noi che sia): la «tempesta emotiva» che fa scattare l’intenzionamento estetico non riduce (nel senso fenomenologico del termine) il piano naturale. L’epoché di Ingarden corrisponderebbe, in altri termini, alla sola modificazione di fantasia senza esser preceduta dalla modificazione di neutralità della percezione.220 In tal modo, commenta Migliorini la funzione metodologica, gnoseologicamente rivelatrice, della neutralizzazione si perde, sí che l’oggetto “estetico” (come sarà manifesto in seguito) manterrà comunque, anche simbolicamente certi attributi cosali, facendo sí che tutto il discorso si svolga all’interno dell’atteggiamento naturale, essendo ancora – almeno da certi punti di vista – una cosa alla mano, 219 Migliorini 1968, 13-4. Secondo Husserl, infatti, l’oggetto estetico è il risultato di almeno due modificazioni: la prima che si può identificare con la neutralizzazione dell’atteggiamento naturale, la seconda relativa al carattere posizionale nella sfera della credenza. 220 108 108 in una posizione in fondo ambigua o polivalente.221 Dopo aver operato tale neutralizzazione sui generis, il discorso di Ingarden riprende però, sempre secondo Migliorini, un andamento accettabile e tornando a procedere «fenomenologicamente»: una volta che l’oggetto estetico è stato (in qualche modo) costituito, la «qualità primaria» appare sullo sfondo di un’oggettività che è finalmente percepita (quale che ne sia l’origine) in atteggiamento modificato. A questo punto, infatti, la qualità estetica primaria che si staglia ormai dall’oggetto non riempie piú le aspettative del soggetto, appare indeterminata, insufficiente e manchevole, sí da stimolare un decorso percettivo che ne fornisca un completamento qualitativo. È qui che le riflessioni di Ingarden diventano secondo Migliorini pregevoli, e piú autenticamente fenomenologiche: il soggetto entra infatti in attività, non aspetta che l’opera imponga da sé le sue qualità, poiché integra – sempre mediante Erlebnisse ora modificati, cioè intenzionati alle qualità – la percezione dell’oggetto da tutti i punti di vista possibili. Ed è a questo livello che si situano le migliori indagini di Ingarden, che ha poi occasione di esercitare le sua analisi sul completamento qualitativo dell’oggetto anche su altri tipi di opere (musicali, letterarie, ecc.) che ancor piú richiedono una percezione prolungata nel tempo.222 221 Migliorini 1968, 14-18. Ecco i passi cui fa riferimento Migliorini: Husserl 1965a, 243-5; Husserl 1968a, II, 431-5. La modificazione della percezione, in un celebre esempio husserliano, è detta «coscienza neutrale dell’immagine-oggetto» e corrisponde alla «coscienza delle piccole figure grigie [«il Cavaliere, la Morte ed il Diavolo»] in cui grazie alla noesi si rappresenta figuratamente un’altra cosa» (Husserl 1965a, 244-5). 222 E l’oggetto estetico diverrebbe pertanto «una struttura armonica di qualità, private da ogni riferimento oggettivo dalla neutralizzazione, che tendono a fondersi, a trascendere persino il reticolo delle loro connessioni – segue – 109 109 Critica e assiologia Il discorso sviluppato da Ingarden sulla fruizione estetica non si limita alla dottrina della Wertantwort fatta scattare dal piacere (ammirazione, rapimento) suscitato dalla percezione dell’oggetto, poiché si prefigge di spiegare anche il tipo di oggettività attorno a cui ruota il discorso della critica. Sopra e al di là del vissuto emotivo, prosegue infatti Ingarden, si costituisce una seconda esperienza, quella della critica, che porterà finalmente a conoscere cosa sia l’oggetto estetico, quali siano le sue qualità, il suo valore: «la funzione della critica – spiega Migliorini – appare dunque quella di ripercorrere la via già seguita nel primo rapporto emotivamente tumultuoso e oscillante con l’oggetto allo scopo di razionalizzarlo».223 Ma, allora, la descrizione fenomenologica del processo fruitivo viene a coincidere con l’indicazione della via da seguire per assumere un corretto comportamento critico, con l’indicazione delle norme che l’osservatore deve rispettare affinché possa cogliere il senso armonico di un’opera d’arte: L’analisi fenomenologica si trasforma dunque in metodologia critica: si suggerisce di cercare quello che si deve trovare, anticipando cosí il risultato critico (o almeno il suo senso) e lo stesso risultato teoretico (se si cerca l’armonia di qualità evidentemente l’oggetto artistico sarà un oggetto qualitativamente armonico).224 Lo spunto pare a Migliorini certamente interesper dar vita, esse stesse, ad una qualità superiore, ad una qualità armonia» Migliorini, 1968, 23. 223 Migliorini 1968, 24. 224 Migliorini 1968, 21. 110 110 sante, nonostante Ingarden non sia riuscito a vincere le difficoltà destate (nello studio sul riconoscimento dell’opera d’arte letteraria) da quell’anomalo riferimento all’epoché, di cui s’è detto sopra. Una volta operato quel tipo di neutralizzazione, infatti, si incontrano ancora degli oggetti naturali che ora, dopo la conversione della coscienza suscitata dall’emozione originaria, si oppongono alle opere d’arte costituite come latrici di valore. Queste vengono perciò percepite parallelamente alle precedenti (grazie ad atti percettivi modificati, in cui la coscienza non pone piú l’esistenza reale ma solo quella in immagine) di modo che l’oggetto estetico viene a presentarsi come un «irreale», con un «errore» analogo a quello compiuto da Sartre; invece, il fatto che a un certo punto l’oggetto venga intenzionato in modo diverso (cioè nell’atteggiamento estetico), non dovrebbe portare a porre due distinte oggettività, l’una sovrapposta all’altra. Intendendo dunque l’epoché in questo modo, l’oggetto naturalistico continua ad essere intenzionato come base dell’oggetto estetico: pur essendo in un atteggiamento non tetico e non piú controllato dalla ragione tuttavia è dato, originariamente, attraverso successive neutralizzazioni, in un Erlebnis di percezione tetica, e quindi in un Erlebnis di memoria in cui permane un nocciolo noetico-noematico identico, nocciolo che, esso, non è modificato.225 Volendo invece individuare il vero e autonomo fondamento del discorso della critica bisognerà allora compiere un’autentica neutralizzazione dell’oggetto naturale: 225 Migliorini, 1968, 96. 111 111 se vogliamo indagare, con qualche probabilità, sullo strato dell’esperienza critica dovremo liberarci dall’atteggiamento naturale in generale, che nasconde alla coscienza, nella sua accettazione di un mondo esistente, nel suo costante e puntiglioso riferirsi ad esso, la sua donazione di senso, la sua operazione costitutiva dell’universo della critica, e dell’oggettività estetica in esso; dovremo dunque farne epoché. Ciò non significa ovviamente che i nostri musei avranno le pareti nude o che gli scaffali delle nostre biblioteche saranno vuoti: ma semplicemente che sospendiamo la certezza banale dell’esistenza di quadri e di libri nel tempo e nello spazio, il loro essere alla mano nello strato della critica, e solo questo.226 Se non si scandiscono tutti i necessari passaggi fenomenologici, dunque, il critico d’arte avrà sempre davanti a sé un compito infinito; oppure, come piú spesso accade, sospinto da un’astorica pretesa d’adequatio, tenterà una «mistica» e impossibile penetrazione dell’oggetto naturalistico. La prassi descrittiva fenomenologica conduce invece all’evidenziazione di un’autonoma oggettività di valore, che non si pone sopra o al di là di eventuali sostegni naturali, ma che si dà nell’intenzionamento estetico con tutti i predicati di valore in essa coglibili e solo con quelli. Solo se si compie una neutralizzazione della percezione e poi una modificazione di fantasia si può realizzare il peculiare carattere tetico dell’intenzione estetica, che è fondamentalmente un’intenzione di valore; solo cosí si genera, in definitiva, l’autentica oggettività estetica, quella oggettività che, come si è visto, Husserl considera «di grado piú alto»227: 226 Migliorini 1968, 81-2. Faccio qui riferimento al primo capitolo di Ideen, II (§§. 1-11); fondamentalmente in linea con questa interpretazione mi sembra anche 227 – segue – 112 112 Perché è infatti solo in un Erlebnis valutativo che la coscienza ridiventa coscienza posizionale, e il “valevole” è “dossicamente ponibile come dossicamente esistente”, e il “valutato come tale è un nocciolo di senso, circondato da nuovi caratteri tetici”.228 L’oggetto estetico può giungere dunque all’esistenza dossica solo attraverso la valutazione; esso si colloca cosí entro una nuova regione dell’essere: la coscienza valutante costituisce l’oggettività “assiologica”, che è di una nuova specie rispetto al semplice mondo di cose, un “esistente” di una regione nuova.229 La costituzione dell’oggetto estetico è dunque secondo Migliorini una costituzione assiologica, un’investitura, che ha il potere di rendere posizionali (di ricondurre cioè all’esistenza estetica) i complessi noematici riferiti all’oggetto valutato: è quindi il valutare che è arbitro della scelta: sullo strato assiologico si decide lo status delle formazioni che compaiono sullo strato dell’immaginazione; quante di esse passeranno all’esistenza riceveranno di nuovo, in quanto poste come valori, una posizionalità, e sia pure in una regione nuova. È insomma dalla parte del valore che si dovranno ricercare le leggi e le ragioni della costituzione dell’oggetto estetico: e principalmente nella “regione” degli oggetti Francesco Piselli: «Da queste pagine husserliane risulta insomma che gli oggetti di valore, e inclusivamente quelli di cui si occupa l’estetica, sono a un ramo marcatamente divergente rispetto alle cose di cui si occupa la scienza naturale; […] che agli oggetti “di grado piú alto” si confanno piuttosto atti teoretici la cui scaturigine è uno strato valutante affettivo interteoretico abile ad afferrare preliminarmente ed emotivamente negli oggetti il valore “bello”» Piselli 1994, 42-3. 228 Migliorini 1968, 103, con riferimenti a Husserl 1965a 257-9. 229 Husserl 1965a, 263. 113 113 estetici e nella correlativa ontologia regionale.230 Moritz Geiger e la fenomenologia della fruizione estetica Geiger è un altro degli esponenti della prima estetica fenomenologica riscoperto a partire dagli anni Settanta. Formatosi in psicologia a München con Lipps e a Leipzig con Wundt, egli si era poi avvicinato alla fenomenologia, mantenendo però un orientamento fondamentalmente realista, tanto che Husserl ebbe a definirlo «fenomenologo solo per un quarto». Si occupò per diversi anni di estetica, pubblicando numerosi studi che rivestono una certa importanza nel panorama dell’estetica del primo Novecento.231 Cercheremo qui di seguito di riassumere alcuni momenti salienti del pensiero estetologico geigeriano, cosí come emergono nella presentazione che ne ha fatto in diversi luoghi Gabriele Scaramuzza. Un primo obiettivo della riflessione di Geiger sull’estetica è quello di difenderne l’autonomia contro gli allora frequenti sconfinamenti della psicologia; a questo scopo egli comincia col distinguere tre tipi di scienze, fra loro eterogenee, che si è soliti definire tutte indistintamente come estetica: «1) Estetica come particolare scienza autonoma, 2) estetica come disciplina filosofica e 3) estetica come campo di applicazione di altre scienze».232 Se nel contesto dello psicologismo allora dominante prende evidentemente il sopravvento il significato 3), per Geiger si tratta invece di tornare all’estetica come scienza autonoma, avente a 230 Migliorini 1968, 104. Per una bibliografia sull’estetica geigeriana cfr. l’allegato all’edizione de Lo spettatore dilettante(Geiger 1988). 232 Geiger 1925, 30; tr. it. in Geiger 1996b, 78. 231 114 114 suo avviso per oggetto il valore estetico-artistico, cioè quel valore che si riferisce esclusivamente alla configurazione fenomenica dell’oggetto: «solo mediante il ritorno ai momenti che costituiscono l’opera d’arte come fenomeno sono risolvibili le questioni dell’estetica come scienza particolare».233 Ora, anche se Geiger dichiara che l’estetica come scienza autonoma deve prescindere dalle questioni relative agli effetti psichici dell’arte, egli considerava anche questo tipo di analisi della massima importanza, sempre per ovviare, anche in questo ambito, alle unilateralità dello psicologismo; soprattutto agli inizi della sua attività, egli del resto si dedicò proprio a studi di taglio psicologico, fra cui spicca l’importante contributo sul Genuß estetico apparso sul primo numero dello «Jahrbuch» husserliano. L’indagine sugli atti soggettivi, dunque, sebbene fosse considerata mero preludio ad ogni ricerca ontologica o assiologica, non comportava un’accettazione acritica delle dottrine allora piú in voga; anzi, si esprimeva senza mezzi termini contro l’estetica psicologica, «contro quel principio del “nient’altro che”, in nome del quale viene cancellata ogni differenza tra i diversi ambiti di realtà».234 È in questo contesto antipsicologistico che Geiger fece proprie diverse assunzioni metodiche tipiche dell’indagine fenomenologica husserliana: unilaterali prese di posizione, presupposti acriticamente assunti lasciano il posto ad un atteggiamento descrittivo impegnato a individuare differenze sin dove è possibile e legittimo. La fenomenologia si presenta infatti in Geiger «come una pura descrizione che esclude da sé 233 234 Geiger 1996b, 80; cfr. Scaramuzza 1976, 158. Scaramuzza 1989, 90. 115 115 ogni tesi circa la realtà del descritto: si interessa solo del che cosa (Was) del fenomeno in quanto tale, nelle modalità del suo puro manifestarsi, come Husserl ha ben chiarito»,235 oltre che risultare indispensabile anche per mettere a fuoco tre capisaldi indispensabili per teorizzare l’estetica come scienza autonoma: 1- la riduzione ai fenomeni; 2- il volgersi ad essenza; 3- il coglimento delle essenze non deduttivo, né induttivo, ma propriamente intuitivo. Eppure, nonostante questa funzione metodica fondamentale, alla fenomenologia viene attribuito da Geiger un ruolo solamente introduttivo: tutte le scienze, estetica inclusa, non possono infatti prescindere da una fondazione filosofico-metafisica che esponga quella concezione unitaria della realtà entro cui diviene possibile sviluppare il proprio specifico discorso (che, nel nostro caso, concerne i valori). La pura descrizione di vissuti e delle essenza intuite nei dati particolari fornisce dunque solo i dati di partenza, non essendo poi d’aiuto nell’indagine sulla provenienza e sul significato dei valori, nel principio della cui validità si cela secondo Geiger il segreto di ogni fenomeno estetico, incluso quell’«effetto profondo» che dei valori oggettuali costituisce il correlato soggettivo-esistenziale. L’estetica fenomenologica, espletato il suo compito, deve perciò lasciare il posto all’estetica come scienza filosofica (il secondo significato dei tre sopra ricordati), che «riflette sul valore estetico», considerato come «una rappresentazione dell’infinito nel finito» e posto a confronto con le altre categorie di valore: l’estetica come disciplina filosofica si comporta con l’estetica come scienza particolare piú o meno come 235 Scaramuzza 1976, 119-20. 116 116 la filosofia della natura si comporta con le scienze naturali. Le scienze naturali presuppongono l’esistenza della natura esterna e ne studiano le leggi. Cosí l’estetica come scienza particolare presuppone il fatto del valore estetico e cerca di studiarne i principi.236 La Weltanschauung di Geiger è, come si è appena visto, fondamentalmente realistica e quindi l’intentum trascende sempre l’intentio; si capisce pertanto come mai egli non faccia riferimento alla husserliana coscienza intenzionale, preferendo invece parlare di una unmittelbare Einstellung, che si risolve in una disposizione intuitiva verso la realtà (esterna o interna) della quale si constata semplicemente il darsi, astenendosi da ogni giudizio.237 Anche l’estetico, allora, non potrà emergere che grazie all’assunzione di un atteggiamento idoneo, l’atteggiamento immediato, di fronte a cui le cose rivelano la loro pura oggettività: «la riduzione apre alle cose cosí come sono, cioè nelle loro differenze reciproche e nella loro alterità rispetto al soggetto».238 Infatti secondo Geiger: Per intuire l’essenza universale bisogna disporre l’oggetto nella giusta luce, e prima si deve anche far assumere al soggetto che indaga la posizione esatta, 236 Geiger 1996b, 87. La realtà del mondo esterno non richiede secondo Geiger alcuna dimostrazione: «Lo stato d’animo malinconico sulla riva dell’oceano non è chiuso in sé; è stato d’animo di fronte all’oceano» Geiger 1921a, 72. Si tratta dunque, per la coscienza, di rispettare la complessità del reale disponendosi ad accoglierlo senza sopraffarlo idealisticamente. L’esistenza o la non esistenza di un determinato ambito di fatti viene in tal modo a dipendere «da una presa di posizione a livello ontologico» Scaramuzza 1976, 136-7. 238 Scaramuzza 1976, 235-6. 237 117 117 che gli renda possibile un’intuizione adeguata.239 Fra le nozioni husserliane riprese da Geiger vi è dunque anche l’intuizione eidetica: per intuire nel caso singolo l’«essenza universale»240 non si tratta infatti di astrarre e generalizzare, quanto piuttosto di intuire, nel particolare, quegli aspetti universali che riappariranno in tutti gli individui dello stesso genere;241 ma se il metodo di Geiger presenta diverse analogie con le Logische Untersuchungen, non sembra che egli abbia mutuato ulteriori indicazioni dai successivi sviluppi della ricerca husserliana. L’epoché a cui fa riferimento Geiger, ad esempio, non fa per nulla emergere la costituzione soggettiva, limitandosi, tutto all’opposto, a metterla tra parentesi affinché sia possibile l’immediata intuizione oggettuale. La soggettività è dunque presente, nota Scaramuzza, ma solo negativamente, in funzione della sua capacità di autoannullarsi per lasciar parlare le cose; e ciò trova conferma, del resto, nel fatto che Geiger non usa il verbo husserliano «aufbauen», intendendo invece l’intenzione oggettuale dell’atteggiamento immediato come un «herausfinden».242 239 Geiger 1925, 35; Scaramuzza 1976, 161; si veda ora la tr. it. 1996b, 82-3. 240 Geiger 1973, 7. Scaramuzza 1976, 116-8. 242 Cfr. Scaramuzza 1976, 236. La coscienza, in definitiva, si limita in Geiger a scoprire, scorgere, ritrovare una realtà già data, e quindi il piano della ricerca rimane ad avviso di Scaramuzza troppo statico, finendo per relegare la soggettività estetica in un ambito ancora troppo soggettivistico, «quasi si trattasse di un mero correlato esterno, di una sorta di rispondenza soggettiva dell’oggettualità estetica, e non di un’essenziale componente dell’artisticità» Scaramuzza 1976, 79-80. Le essenze, private del loro nucleo storico, sembrerebbero perciò ipostatizzarsi in idee di tipo platonico, la cui concretizzazione rimane un fatto del tutto contingente. L’arte, ribatte invece Scaramuzza, «non può venir intesa come una categoria dello 241 – segue – 118 118 Anschauliche Fülle e fruizione estetica Fra le riflessioni piú profonde e interessanti di Geiger sono invece secondo Scaramuzza da annoverare quelle riguardanti la risonanza soggettiva della fruizione estetica e la portata conoscitiva dell’arte. Geiger si sofferma infatti molto finemente nel descrivere il tipo di intuizione entro cui si danno i fenomeni estetici, venendo a parlare del vissuto suscitato dalla grande arte come di un rapportarsi emotivo e fruitivo ai valori propri dell’opera. Fra i due estremi dell’intellettualismo scevro da sentimenti e del sentimentalismo antiintellettualista si insinua a suo avviso una terza possibilità: «il cogliere sensibilmente (das fühlende Erfassen) i valori estetici».243 Si tratta, in altri termini, di un coglimento sentimentale del valore in cui ci si immerge sensibilmente, ci si abbandona all’incanto e alla vivezza dell’individuale, dominandolo però allo stesso tempo mediante la sua essenza, mantenendo cioè un occhio universale. E quest’essenza intuita nella fruizione estetica non costituisce propriamente un sapere, bensí un concreto vivere, capace altresí di spirito, né l’esteticità come una oggettiva od eterna proprietà delle cose. Cosí la comprensione di un’opera d’arte, come di un fatto estetico in nessun caso può limitarsi a un puro afferramento di strutture oggettuali, ma deve includere la coscienza delle intenzionalità che hanno presieduto alla sua formazione e che regolano la riattivazione del suo senso, a livello storico-intersoggettivo. Nell’esperienza vissuta dell’arte non sono per nulla separabili i momenti soggettivi ed oggettivi (e sociali)» Scaramuzza 1976, 238. 243 Geiger 1988, 53. Secondo Geiger il pericolo del sentimentalismo è assimilabile a quello dello psicologismo. Perciò una vera e propria «immersione nell’opera» deve a suo avviso sostituire la concentrazione su proprie emozioni psichiche, credute estetiche poiché manifestatesi durante la fruizione dell’oggetto. 119 119 generare un senso vissuto per il soggetto.244 Geiger parla a questo riguardo anche di una presenza intuitiva, eidetico-sensibile, dell’oggetto, in quanto all’origine di un tale rapporto fruitivo (che non sia cioè mero godimento) sta infatti l’apparizione dell’oggetto secondo una «pienezza intuitiva (anschauliche Fülle)».245 Ora, la differenza fra oggetto e 244 Geiger 1928, 98-9; Scaramuzza 1976, 222. Geiger propone a questo riguardo l’esempio della Ronda di notte di Rembrandt: «Non è strano? sono uomini scarsamente interessanti – uomini quali si possono incontrare ogni giorno in Olanda; davanti alle loro anonime fisionomie passiamo disattenti. Rembrandt li ritrae in tutta la loro semplicità, e ora ci fermiamo commossi davanti alla tela della Ronda di notte, proprio davanti a quegli uomini la cui banalità nella vita ci fa inorridire. […] e sempre lo stesso gioco: colori e suoni, linee e pietre acquistano un potere inaudito su di noi. Come accade questo? Come si configura il processo spirituale che compie un simile miracolo, che produce effetti qualitativamente diversi da quelli che viviamo altrimenti, e cui sono paragonabili solo le emozioni del sentire religioso e del conoscere scientifico?» Geiger 1928, 67; cfr. Scaramuzza 1976, 216, Spiegelberg 1960, 206. 245 Geiger pone la differenza tra «oggetto (Gegenstand)» e «pienezza dell’oggetto (Gegenstandsfülle)» (differenza irriducibile a quella, teoretica, fra oggetto e apparenza d’oggetto): un oggetto può essere presente alla coscienza (rappresentato o percepito) senza che alcuna sensazione corporea sia specificamente intenzionata. Si può invece parlare di piena presenza (Gegenstandsfülle) solo quando la percezione (o rappresentazione) è «piena di momenti “tangibili” (greifbar)». Geiger considera la possibilità che anche una rappresentazione (cioè anche quando l’oggetto non è attualmente percepito) possa essere data in «pienezza»: basta che anche in questo caso i momenti «tangibili» dell’oggetto rappresentato siano intenzionati; (la fruizione, peraltro, raggiunge in tal caso un livello inferiore) allora l’oggetto raggiunge l’«evidenza intuitiva»: «Ciò che generalmente in estetica si designa come Anschaulichkeit dell’oggetto non vuol riferirsi a una qualunque origine dai sensi, né prender posizione intorno alla questione del riempimento di intenzioni; riguarda piuttosto la modalità del darsi degli oggetti. Oggetti dati intuitivamente (anschaulich) hanno in sé una determinata p ienezza (Fülle), un esser-pieni di momenti «tangibili (greifbar)» Geiger 1973, 42. La coscienza, dunque, allo stesso tempo vive le sensazioni e intenziona l’oggetto che origina quelle modificazioni degli organi di senso. 120 120 pienezza dell’oggetto (Gegenstandsfülle) non è riducibile a quella fra l’oggetto e la sua apparenza; si dà infatti Gegenstandsfülle solo se l’intenzione oggettuale è «piena di momenti “tangibili” (greifbar)», quando cioè le sensazioni corporee che avvertono l’oggetto vengono anch’esse specificamente intenzionate.246 Solo in tal caso l’oggetto raggiunge una vera e propria «evidenza intuitiva»: Ciò che generalmente in estetica si designa come Anschaulichkeit dell’oggetto non vuol riferirsi a una qualunque origine dai sensi, né prender posizione intorno alla questione del riempimento di intenzioni; riguarda piuttosto la modalità del darsi degli oggetti. Oggetti dati intuitivamente (anschaulich) hanno in sé una determinata pienezza (Fülle), un esserpieni di momenti «tangibili (greifbar).247 Si tratta dunque di una peculiare forma d’intuizione in cui il soggetto, immergendosi nel dato sensoriale immanente, non perde per questo il rimando all’oggetto trascendente. Le qualità dell’oggetto appaiono cosí in tutta la loro concretezza: Mentre prima attraverso i dati intuitivi guardavamo immediatamente all’oggetto, ora la coscienza si arresta ai dati sensibili e si interessa alla loro pienezza. Prima vedevo l’uomo attraverso i suoi colori e le sue forme, ora vedo i colori e le forme, ma sempre come colori e forme di un uomo.248 246 Geiger ammette infatti la possibilità di raggiungere una «pienezza dell’oggetto» anche quando esso non è attualmente percepito: basta che i momenti «tangibili» dell’oggetto siano comunque intenzionati. La fruizione, peraltro, raggiunge in tal caso un grado inferiore. 247 Geiger 1973, 42. 248 Geiger 1973, 93. «Non è affatto indifferente per la fruizione estetica che i colori e le forme vengano appresi come colori e forme di un uomo – segue – 121 121 Ciò significa, in definitiva, che nell’atto di fruizione estetica, convivono una contemplazione, una considerazione (Betrachtung) che tiene lontani da sé gli oggetti e un’intuizione che ostende e addirittura vive nella loro pienezza sensibile.249 Essenziale diviene dunque il modo in cui l’oggetto appare: attraverso la pienezza noi guardiamo all’oggetto che ci dà la pienezza.250 Come Geiger mostra anche in Die psychische Bedeutung der Kunst,251 una tale pienezza sensibile – che, abbiamo visto, risulta indispensabile affinché si dia autentica fruizione estetica – non impedisce comunque all’arte di rappresentare situazioni universali. L’essenza viene dunque intuita entro un’individualità che viene a sua volta colta in pienezza intuitiva. E si profila in tal modo la specificità del momento conoscitivo dell’arte: Geiger oppone infatti al conoscere teoretico, che si impadronisce concettualmente dell’oggetto, mantenendolo però a distanza neutrale, un sapere esistenziale che investe di sé tutta la vita, presentandosi già come senso vissuto dell’e[anziché meri dati dei sensi]. Colui cui il significato di ciò è estraneo, cui non riesce di eseguire di “dar forma umana” (Menschformung) a colori e forme, fruirà un dipinto magari come fosse uno sgorbio colorato, o una poesia come si ascoltano incomprensibili parole straniere» Geiger 1973, 92. 249 Secondo Geiger, essenziali al vissuto fruitivo (Genuß) sono: 1) l’atteggiamento contemplativo, consistente nel tener lontani da sé gli oggetti; 2) il rapporto diretto e vissuto con l’oggetto, fondato sulle peculiari proprietà dell’opera d’arte: «Il contemplare richiede qualcosa di piú che una semplice posizione di lontananza dell’oggetto; implica anche che in questa posizione in certo modo io accolga l’oggetto, che io afferri intensamente l’oggetto malgrado la sua distanza» Geiger 1973, 77-92. 250 «L’essenza della contemplazione estetica sta nel fatto che essa accoglie l’oggetto nella sua pienezza, ma oggetto di fruizione non è tuttavia la pienezza, bensí l’oggetto stesso» Geiger 1973, 93. 251 Geiger 1976, 202-270. 122 122 sperienza.252 Se nel conoscere intellettivo la singolarità perde valore, nella vita estetica ci si abbandona invece all’incanto e alla vivezza dell’individuale, insieme dominandolo però nella sua essenza. Accade cioè qualcosa di simile al conoscere storico, anche se alla storia basta il puro conoscere (il generale non è reso intuitivamente presente, ma intellettualmente consaputo), mentre nell’arte l’essenza è intuitivamente presente in un’individualità data anch’essa in pienezza intuitiva. L’arte, questa forma aconcettuale di conoscenza, assume dunque in Geiger un profondo significato esistenziale: L’artista ha il compito di portare a significanza esistenziale quanto “si sa” neutralmente. Spesso “i nostri occhi sono ciechi per l’essenza” e l’artista ci aiuta a vedere; ogni artista cose diverse, aspetti diversi delle essenze, con l’uso di diversi stili. Ognuno dei quali – è il caso di aggiungere – non è soggettiva interpretazione, mera espressione di emozioni private e di originale genialità […]; ma ricerca e scoperta della realtà. L’essenza qui non è solo da contemplare già fatta, o da discutere, fondare, verificare, ma da vivere; e solo cosí è “vera”. La verità dell’arte è “evidenza vissuta” (erlebnismässige Evidenz).253 Sul rapporto arte-possibilità in Nicolai Hartmann Rientra nel contesto di questa ricognizione sulla fortuna italiana della prima estetica fenomenologica 252 «Esiste un’essenza intuitiva che svolge una funzione analoga a quella concettuale: sottrae il tutto alla sua pura casualità e fattualità, gli dà senso. E risolve il contrasto tra individuale ed essenziale» Scaramuzza 1976, 222. 253 Scaramuzza, 1976, 222-223. 123 123 anche l’articolato intervento di Dino Formaggio che accompagna l’edizione italiana dell’Ästhetik254 di Nicolai Hartmann. Quest’opera, sia pur «segnata da pericolose oscillazioni interne», tocca infatti secondo Formaggio diverse tematiche vicine ad altre canoniche proposte di estetica fenomenologica, anche se, a ben vedere, la vera problematica di fondo attorno a cui ruota la riflessione estetologica hartmanniana è a suo avviso il rapporto fra arte e possibilità (e questo spiega, nell’edizione italiana, l’accostamento alla Ästhetik di Möglichkeit und Wirklichkeit 255). È alla luce della «mera possibilità»,256 infatti, che Formaggio chiarisce il significato dell’Erscheinungsverhältnis 254 Hartmann 1953. L’opera, talvolta considerata epilogo aporetico di una filosofia «aporetica», è stata per lo piú studiata non tanto per il suo portato estetologico, quanto per il suo rimettere in discussione alcuni paradigmi dell’ontologia hartmanniana. Ed in verità l’autore piú che operare una ricognizione sullo stato a lui contemporaneo dell’estetica preferisce sollevare questioni di carattere teoretico. Hartmann, comunque, sembra voler iscrivere queste sue ricerche nell’abito di un’estetica fenomenologica sebbene ricordi il solo Moritz Geiger, rimproverandogli, fra l’altro, l’unilaterale analisi degli atti soggettivi (Hartmann 1969, 119). Per una valutazione teoretica dell’Ästhetik si vedano anche Barone 1953-54, Barone 1957, VIII, Cantoni 1972. 255 Hartmann 1938. 256 In Möglichkeit und Wirklichkeit Hartmann distingue possibilità «meramente tale» (disgiuntiva) da possibilità «indifferente». La prima è la semplice possibilità di A, che è al contempo possibilità di non-A. Essa dice di uno «stato dell’essere» in cui A e non-A sussistono assieme; proprio per questo è incompatibile con l’effettività: l’effettività di A esclude l’effettività di non-A; è invece «necessario» che la possibilità di A includa la possibilità di non-A. L’esistenza di un ente in questo stato è secondo Hartmann «misteriosamente affascinante». Al contrario, la possibilità indifferente non dice nulla sulla possibilità o impossibilità del proprio contrario; questa è secondo Hartmann la sola possibilità reale, poiché compatibile con lo stato dell’essere effettivo: l’esser effettivo di A dice ad un tempo del suo essere possibile, ma non si pronuncia sull’essere possibile o impossibile di non-A. Al mondo del bello si addice il primo tipo di possibilità, la possibilità disgiuntiva; Hartmann 1969, 57-62. 124 124 individuato da Hartmann tra primo piano e sfondo dell’opera d’arte, rapporto che, per altri versi sembrerebbe invece implicare un’aporetica scissione fra due strati oggettuali. Fenomenologia ed ontologia Il mondo dell’estetica, esordisce Formaggio, costituisce per Hartmann – come altre volte è accaduto nella storia della filosofia – il banco di prova della validità sistematica di tutto un pensiero. L’oggetto estetico si mostra infatti atto a saggiare l’effettiva consistenza di quella metafisica ontologica, di quella «suprema oggettualità»257 cui approdavano le precedenti ricerche di Hartmann. Quest’ultimo – com’è noto – giudicava la fenomenologia semplice strumento gnoseologico e la riteneva comunque insufficiente a render conto della «durezza» del reale; ne proponeva pertanto un’integrazione all’insegna di una piú ampia aporetizzazione dell’esperienza, inscritta entro un piú comprensivo disegno 257 Formaggio 1969, 4. Il realismo di Hartmann non è secondo Formaggio esente però da alcune aperture: «si vedevano emergere, rompendo il privilegio di primarietà metodologica e di assolutezza teoretica della scienza e della conoscenza, altre sfere del reale di pari dignità e fondazione oggettivistica (pur variando la misura della loro attingibilità), quali quelle dell’Etica e dell’Estetica. Non solo, ma poiché la relazionalità (con privilegio soggettivistico) del rapporto soggetto-oggetto veniva a sua volta annegata nel gran mare dell’essere, essa si dissolveva in una suprema oggettualità (per altro sempre da ricostituire fenomenologicamente), e la problematizzazione aporetica rompeva anche qui il privilegio soggettivistico, avviando il pensiero verso una metafisica ontologica finale ben lontana dalle metafisiche deduttivistiche e tutta piena di moderni spiriti empiristici e descrittivistici; qualcosa come l’eredità di passi già wolfiani e illuministici, e, insieme, l’avanzare di un nuovo realismo che giunge fino a riflettere in sé le luci inquiete di un certo irrazionalismo esistenzialistico» Formaggio 1969, 4. 125 125 ontologico.258 Ebbene, sarà secondo Formaggio proprio questa «prova limite» costituita dall’analisi dell’oggetto estetico a far recuperare ad Hartmann riflessioni di piú stretta marca fenomenologica. Secondo Hartmann l’unità dell’opera d’arte – cosí come di ogni altro oggetto cui si possa a buon diritto predicare la bellezza – è garantita da un «rapporto di apparizione (Erscheinungsverhältnis)», grazie a cui uno sfondo, ovvero un contenuto spirituale, si cala entro un primo piano percettivo. Ex parte subiecti ciò corrisponderebbe ad un progressivo «trascendersi all’indietro» della percezione, orientato verso un sentire affettivo originario, di modo che il valore estetico viene ad esser costituito (reso visibile) proprio grazie a quel complesso di atti che presiedono dapprima all’ostensione fenomenica dell’oggetto e poi all’apprensione del contenuto spirituale. L’analisi sviluppata da Hartmann è dunque duplice: strutturale dell’oggetto (suddiviso in strati) e fenomenologica della percezione; ma quest’ultima, secondo l’Erscheinungsverhältnis, sarebbe il fondamento della prima. Il problema è allora secondo Formaggio quello di stabilire come tale fondazione possa essere intesa; solo cosí si potrà valutare il ruolo svolto dalla fenomenologia in questa analisi. Formaggio comincia con l’apprezzare un punto metodologico, ovvero la continua ristrutturazione dell’oggetto «attraverso molteplici esperienze fenomenologiche, in una persistente e sempre possibile unità».259 Ed è proprio su questo piano che è possibile re258 Come è noto, Hartmann rimprovera ad Husserl un eccesso di soggettivismo e di logicismo. Ma Hartmann – precisa Formaggio – aveva davanti a sé solo il primo Husserl. 259 Formaggio 1969, 5-6. 126 126 perire un filo conduttore che avvia a conciliazione la problematica distinzione proposta da Hartmann di due differenti livelli presenti nell’oggetto estetico (piano reale o materiale vs contenuto ideale spirituale). L’intenzionamento estetico dell’oggetto, infatti, opera una spontanea epoché fenomenologica260 capace di far «arretrare sia la percezione conoscitiva sia la dimensione pratica del percepire stesso».261 Oltre a ciò, Formaggio apprezza l’impostazione generale della ricerca, diretta in senso filosofico e caratterizzata da un corretto antidogmatismo, da una posizione non già critico-valutativa o esplicativa dell’opera d’arte e tanto meno normativa per qualche fare artistico, ma correttamente teorica a partire dal piano fenomenologico-descrittivo. Un’impostazione – dunque – grazie alla quale si può respingere la riduzione dell’estetica a «gnoseologia inferior», sbloccandola altresí «dalla sua lunga storia di soggettivismi romantici e idealistici e di intuizionismi mistici o spiritualisti». Un’adeguata analisi dell’obiettivazione estetica, capace di sviluppare alcune indica260 Quella di Hartmann, tuttavia, non coincide con la neutralizzazione husserliana, poiché lo strato sensibile è irrimediabilmente trasceso a favore del contenuto spirituale di una visione piú alta; Formaggio 1969, 15. 261 «Nella percezione […] noi ritroviamo un rovesciarsi della presenza sensibile verso gli sfondi del piú lontano vissuto, ed i due strati, del sensibile e del vissuto, si compenetrano indissolubilmente […] La percezione risulta storicamente stratificata e sprofondata fin nella piú lontana ed inestirpabile sensibilità originaria. È proprio per questo ineliminabile sfondo originario che la percezione può essere ripercorsa anche, in un trascendimento all’indietro, fino al ritrovamento dei suoi sensi originari. È proprio e caratteristico della percezione estetica di operare questo autotrascendimento all’indietro della percezione comune» Formaggio 1969, 14-15. 127 127 zioni contenute nella riflessione hartmanniana sull’estetica, toglierebbe finalmente il primato all’atto contemplativo o a quello creativo, troppo spesso, secondo Formaggio, identificati con l’essenza dei fenomeni estetici. Hartmann, in altri termini, significherebbe per l’estetica – analogamente a quanto Scheler ha significato per l’etica – un potente stimolo a superare «l’antitesi parzializzante (e paralizzante) di oggettivismo e soggettivismo», a compiere cioè quella fenomenologica «dissoggetivizzazione» del campo che, del resto, risulta indispensabile qualora si voglia recuperare la scientificità dell’estetica. Ma Formaggio sta con ciò andando consapevolmente oltre alla lettera di Hartmann, il cui privilegiamento della dimensione oggettuale finirebbe invece per «polverizzare» gli stessi guadagni piú cari al movimento fenomenologico: la correlazione noetico-noematica d’intenzionalità, cioè il piano della datità fenomenologica.262 Ci si imbatte pertanto «nel vero mostro di tutta la questione: la costituzione dell’oggetto artistico». L’orizzonte del valore, il bello, viene collocato tutto sul piano dell’irreale, al quale pur accade di presentarsi attraverso una datità sensibile. Operando una sorta di «fuga dall’effettivo mediante l’opera d’arte»,263 Hartmann prescinderebbe dunque dall’atto istituzionale dell’indagine fenomenologica, la modificazione di neutralità della percezione, che per Husserl consiste nel metter fuori gioco l’atteggiamento quotidiano, senza però abbandonare il fondamentale riferimento 262 263 Formaggio 1969, 22. Formaggio 1969, 26. 128 128 alla stessa percezione.264 Il ritorno husserliano alle cose si tradurrebbe pertanto in Hartmann in una riconsiderazione ontologica dell’oggettività: ciò che egli fa passare per costituzione dell’oggettività estetica si qualifica piuttosto come ricostituzione dell’oggetto in un’altra dimensione del reale, in una dimensione sottratta alla temporalità dell’esperienza. Pertanto, conclude Formaggio, se è vero che ponendo la questione nei termini di un rapporto di apparizione fra primo piano e sfondo Hartmann avrebbe cercato di radicare la nozione di spirito in una fenomenologia della percezione «stratificata e sprofondata fin nella piú lontana e inestirpabile sensibilità originaria»265, di fatto l’unità in tal modo intravista si polverizza non appena egli comincia a trattare ontologicamente di due strati oggettuali: l’irrealtà di cui parla Hartmann significa, in definitiva, un oggetto «tale da non imporsi alla coscienza e al corpo», mentre – e qui sta la radice dell’aporia – questo ibrido oggetto di fantasia non rimane esente da un certo commercio con la realtà, la quale, anzi, costituirebbe la condizione per l’apparizione dell’oggetto fantastico: È pure sua condizione [dell’oggetto], quando e dove compare, di comparire sensibilmente e materialmente, cioè di scattar dentro a una entità reale, ad 264 Secondo Husserl – pare utile ricordarlo – l’idealità rinvia al piano dell’esperienza: «L’esperienza è la fondazione primitiva dell’essere-per-noi di oggetti che hanno lo stesso senso oggettuale che le è proprio. Ciò evidentemente vale altresí per gli oggetti irreali sia che essi abbiano il carattere della idealità propria dello specifico o quello della idealità di un giudizio, o quello di una sinfonia ecc. […] Nelle sintesi continue e discrete di molteplici esperienze si costruisce in modo essenziale e “visibilmente”, l’oggetto d’esperienza come tale, nel mutevole presentarsi di aspetti sempre nuovi che gli sono essenzialmente propri» Husserl 1966b, 204. 265 Formaggio 1969, 14. 129 129 uno strato di materie reali, tolte le quali cessa a sua volta di sussistere.266 Possibilità nella realtà dell’arte Hartmann, nota Formaggio, aveva portato l’attenzione sull’oggettività estetica anche prima di scrivere la sua estetica. Trattando delle modalità dell’essere in Möglichkeit und Wirklichkeit267 si era infatti soffermato anche sul libero e aereo mondo ideale del bello, per essenza sottratto all’incombente necessitazione reale; e per Formaggio la vera problematica di fondo che anima la teoria hartmanniana dell’oggetto estetico è costituita, come si è detto, proprio dalla dialettica fra possibilità e realtà, alla luce della quale lo stesso Hartmann avrebbe potuto risolvere l’interna «aporetica» del «rapporto di apparizione».268 La possibilità «meramente tale», di ascendenza aristotelica, da cui Hartmann sembra inizialmente prender congedo, viene di fatto riesumata per spiegare il mondo estetico; il puro possibile costituisce infatti un nuovo stato dell’essere269 che si pone accanto all’essere effettivo della cosa, pur rimanendo escluso dalle condizioni della sua costituzione ontologica.270 Decisivo è dunque il fatto che la base interna di irrealtà dell’oggetto estetico non aspira affatto a mascherarsi di realtà per garantire la propria consistenza, ma si rovescia sui piani modali della possibilità, istituendo 266 Formaggio 1969, 7. Hartmann 1938, passim; di particolare interesse per la nostra tematica è il cap. 35 Die Welt des Schönen und ihre Modalstruktur Hartmann 1969, 31-77. 268 Formaggio 1969, 15. 269 Hartmann 1969, 58. 270 Formaggio 1969, p.18. 267 130 130 il «mondo della dis-effettuazione»271. In questo modo il mondo dell’estetico si sottrae all’impossibilità della «possibilità reale», che è tale solo quando le sue condizioni «sono fino all’ultima soddisfatte», senza per questo pretendere alcuna mistificazione del reale, dal quale prende semplicemente congedo, si libera. Hartmann, secondo Formaggio, pur avendo intuito tale apertura, tale libertà relativa al mondo autonomo dell’arte, sarebbe comunque rimasto affascinato dall’inquietante costrizione dell’essere reale, con le sue possibilità, effettività, necessità che si richiamano e implicano l’un l’altra; nonostante l’importante intuizione del nesso arte-possibilità, egli avrebbe infatti deciso di raddoppiare la catena della necessità reale nel regno ideale del bello, al fine di garantire l’integrità ontica all’opera d’arte, una volta recisa e abbandonata la sua base reale. Hartmann parla infatti, sia di una «necessità artistica» (o «essenziale», cosí come «essenziale» è detta la corrispondente possibilità) sia di un’effettività sui generis, vigenti nel mondo autonomo, separato, dis-effettualizzato del bello. Il limite di questa posizione, conclude Formaggio, consiste nel fatto che il reale viene degradato a puro mezzo, l’ancoraggio percettivo risulta ridotto ad un’estrinseca fenomenizzazione. Hartmann, in altri 271 «La fuga dall’effettivo mediante l’opera d’arte non punta nella direzione del cosiddetto ideale, ma significa solamente una rottura di quel gravoso equilibrio di possibilità e necessità che il reale possiede e sempre pretende, rottura che avviene non già a favore della necessità (come avviene nel cupo splendore del dovere morale), bensí a favore della possibilità». Infatti: «Il possibile reale soffre di una “angustia” insopprimibile per la trama completa delle condizioni reali in cui si muove. Il possibile artistico nasce come slancio oltre il sistema ferreo di tali condizioni e inaugura il volo di liberazione di un “meramente possibile”, librato fuori e sopra il reale effettivo, fuori e sopra la dura necessità e lo stesso rapporto di identità» Formaggio 1969, 26 e 20-21. 131 131 termini, non coglie alcuna possibilità nella realtà, non riesce a cogliere la possibilità nella realtà dell’arte.272 Realtà, prassi, progetto La stratificazione della percezione di cui Hartmann parla nell’Ästhetik per attestare l’integrità dell’oggetto estetico introduce quella «imprescindibile relazionalità soggettiva» che costituisce secondo Formaggio uno dei principali acquisti dell’estetica fenomenologica. Sviluppando i momenti genetici e costitutivi, Hartmann avrebbe potuto superare il necessitarismo della sua ontologia e recuperare il senso dell’esperienza e della prassi, anche nella loro relazione al futuro, collocate cioè nell’insieme delle estasi temporali; cogliendo il fondamentale legame dell’estetico con la categoria di possibilità, quest’ultima avrebbe potuto essere utilizzata a questi scopi.273 Ma Hartmann non si avvede di ciò, 272 «Ciò le cui condizioni sono fino all’ultima soddisfatte, è, al limite e solo al limite, il possibile reale. Il che può significare sia che il possibile tende a dissolversi nel reale effettuale, sia che il possibile tende ad agire e ad operare infinitamente nel reale ed è una dimensione del reale. L’arte ha a che fare con una possibilità irrealizzante o diseffettuata, solo per una concezione inadeguata dell’arte stessa che tende a identificarla con un’esteticità che è, infine, un’estaticità, o con un immaginario concepito come altro ontologico dal mondo» Formaggio 1973, 77. Come avrebbe messo in luce Bergson – prosegue Formaggio –, è il reale che si fa possibile, non quest’ultimo che si attua in quello: «[…] Ciò significa che cade la tesi platonica di un essere dato una volta per sempre e si rovescia la tesi che faceva nascere la libertà dalla indeterminazione competitiva dei possibili, mentre si convalida che è la libertà […] a creare il possibile. Questo significa l’incessante novità del reale, la sua artistica novità che si fa mentre si possibilizza, sotto i nostri occhi» Formaggio 1973, 75-76. Solo una riconsiderazione fenomenologica della realtà – dunque – permette di cogliere l’intenzionalità del nuovo che anima il fare artistico; il reale, nell’esperienza artistica, diventa possibilità progettuale: include in sé passato, presente, futuro o, in una parola, la storia. 273 «Una estetica come scienza filosofica, nel momento in cui afferma il proprio fondamento unitario in una specifica logica del possibile e quivi riconosce la base, l’unica base comune possibile, sia per una teoria gene– segue – 132 132 continuando a considerare la materia rimane un puro mezzo, da cui l’essenza estetica si stacca senza possibilità di ritorno. Emerge chiaramente, dunque, la posizione di Formaggio, secondo il quale, a differenza di Hartmann, il possibile non è per nulla estraneo alla dimensione della realtà; anzi, esso è in tutto e per tutto una dimensione del reale, di una realtà, anzi, che si fa possibile proprio grazie all’intenzionamento estetico. E quindi, in forza di questi suoi essenziali legami con l’estetico si deve porre proprio un nuovo tipo di possibilità, la possibilità artistica del reale, che anziché rompere con la struttura di base della effettività, anziché diseffettuarsi e srealizzarsi, operi dentro il reale, sia pure su altre basi dalla durezza della sua necessità, per trasformarlo in arte.274 Una volta trasformata in arte, la determinatezza della realtà storica e sociale, viene proiettata verso una possibilizzazione, verso una nuova riconciliazione. Ed è questa una condizione che Formaggio definisce «piú reale del reale», una condizione supponibile solo in un reale in perenne divenire. La netta cesura hartmanniana, invece, comporta a suo avviso la perdita della vastità e pienezza del reale storico, della presenza «della società e della storia in una effettiva – e non solo sognata – liberazione artistica». rale della sensibilità (o Estetica generale) che, ed insieme, per una teoria generale dell’arte (o Estetica speciale), non può far a meno di verificare e denunciare i limiti del rapporto arte-possibilità nel pensiero di Nicolai Hartmann» Formaggio 1969, 27. Sulla distinzione Estetica speciale ed Estetica generale v. Formaggio 1962a, 303-327. 274 Formaggio 1973, 75. 133 133 L’arte come «possibilità progettuale» agisce dunque in mezzo alla realtà senza però ossificarsi in essa; al contrario, il fare artistico risulta capace di aprire e fluidificare il reale, di avviare nella e con la realtà uno schema di «perfezionamento di cosa e senso».275 E la «logica prassistica» dell’arte significa, in definitiva, la liberazione dell’uomo, la liberazione della sua infinita capacità comunicativa e fattiva:276 Interpretare e reinterpretare sempre e ogni volta daccapo i segni che popolano il cielo e la terra è compito dell’arte come possibilizzazione progettuale del mondo ed è un modo di vincere, in progetto, s’intende, non di fatto, la morte.277 275 Formaggio 1969, 29; Formaggio 1973, 77-84. «Se la progettazione cade sotto controllo tecnologico, con la fine della sua libertà liberatrice si ha anche la fine della progettazione artistica del nuovo segno, della nuova parola, della funzionalità significativa e comunicativa (non solo informativa) del mondo». Formaggio 1973, 82. 277 Formaggio 1973, 79. 276 134 134 Fenomenologia e «aggancio metafisico» nell’estetica di Elisa Oberti Obiettivo primario delle riflessioni di Elisa Oberti278 è quello di evidenziare all’interno dei fenomeni artistici (dei quali l’estetica fornirebbe un’interpretazione essenziale) un’indicazione verso l’«ulteriorità metafisica», indicazione tutta radicata, però, nella concretezza sensibile. L’opera d’arte, infatti, si dà a suo avviso esclusivamente nella presenza sensibile, ed è perciò estremamente scorretto interpretarla muovendo da orizzonti di significatività esterni allopera stessa (eteronomi). Ma è solo dopo un lungo confronto con gli esponenti dell’estetica fenomenologica (oltre che, ovviamente, con quelli di una classica estetica metafisica «a parte ante») che l’Oberti arriva a formulare tale dottrina di un «aggancio metafisico a posteriori». Fra gli autori presi in considerazione, una maggiore affinità viene riscontrata con la linea Conrad-IngardenDufrenne volta reperire il fondamento dell’artisticità ex parte objecti, anche se non mancano riferimenti a Geiger, Sartre, Hartmann; fondamentalmente, i fenomenologi che si sono occupati di estetica interessano all’Oberti in quanto avrebbero anch’essi posto l’esigenza di un rilancio verso l’ulteriorità metafisica a partire dalla concretezza dell’arte, sebbene sarebbero 278 Fu docente di estetica all’Università Cattolica di Milano fra gli anni Sessanta e Settanta; un ricordo nel ventennale della sua morte è in preparazione a cura di Francesco Solitario per il Bollettino dell’Associazione Italiana di Studi d’Estetica, autunno 1996. Seguirò in questo capitolo Oberti 1962, 1964 e1968. 135 135 poi ricaduti in aporetici dualismi fra la dimensione sensibile dell’opera e l’ulteriorità spirituale. Estetica e metafisica L’estetica intrattiene e deve intrattenere secondo Elisa Oberti stretti rapporti con la filosofia, in quanto una delle sue primarie funzioni è quella di esplicitare il principio del carattere conoscitivo dell’arte; questo, del resto, non intacca minimamente la specificità disciplinare dellestetica, poiché la conoscenza veicolata dalla «presenza evidenziata» di una datità sensibile (cioè dall’arte), non presenta alcuna inferiorità rispetto all’orizzonte concettuale. Il riferimento ai referti sensoriali – icasticamente detti i «documenti»279 di ogni ricerca estetologica – svolge infatti una funzione fondamentale proprio in funzione di quell’«evidenziazione della presenza» che sta alla base dell’estetica di Elisa Oberti, il cui principale intento è appunto quello di mantenere aperto un rilancio metafisico ma che muova dal concreto dell’opera d’arte, negando qualsiasi «persistenza metafisica a parte ante»: Una metafisica dell’arte è possibile ma dopo e non prima dell’accertamento delle sue strutture in ambito fenomenologico, nel senso che l’arte e la definizione dell’arte prendono posto tra le altre determinazioni metafisiche e sono con esse compatibili, ma non da esse aprioristicamente deducibili, in un sistema armonico di rapporti. Una metafisica dell’arte incontra però due ordini di difficoltà: in primo luogo, la metafisica, scienza 279 «Documento» è per la Oberti l’oggetto da cui deve aver origine ogni indagine fenomenologica. 136 136 orientata verso gli aspetti piú universali della realtà, non è per sua natura votata a comprendere quella peculiarissimma manifestazione che è l’opera d’arte; inoltre, volendo sottoscrivere l’assioma della fenomenologia che vieta la deduzione di princípi da teorie precostituite (anche se raffinate e valide per altre regioni dell’essere), l’estetica metafisica deve abbandonare la concezione del pulchrum quale predicato trascendentale dell’essere, concezione che porta ad una metafisica del bello solo nel senso (deteriore) di «definizione aprioristica» e che non può che condurre, pertanto, ad un’accezione depotenziata di bellezza. Si tratterebbe infatti di un bello predicabile indistintamente a tutti gli enti e perciò inadatto ad attestare l’autonomia di campo dell’estetica. Quest’ultima deve invece partire dall’opera d’arte nella sua immediata e concreta presenza che, non dimentichiamolo è pur sempre presenza per un soggetto, e dunque presenza con significato. Se l’estetica mantiene pertanto dei rapporti con la metafisica, questi non possono darsi che a posteriori:280 L’aggancio […] deve di necessità proporsi come a parte post: a partire dalla datità stessa sensibile che sembrerebbe indurre in dimensioni immanentistiche e che d’altra parte è offerta dalla inconfutabile atte280 Oberti 1962, 12-13. «Nel sostenere che la teoria dell’arte non può essere dedotta da un sistema filosofico e dalla metafisica in esso dichiaratamente enunciata o implicitamente contenuta, si intende solo asserire che tale riduzione non può essere operata totalmente a priori, cioè prima e fuori di ogni concreto rapporto con l’oggetto artistico» Oberti 1962, 13; ma: «[…] Non si esclude che le acquisizioni raggiunte in seguito all’atto di indagare e analizzare in sede fenomenologica tale oggetto non possano venir sussunte e collocate in un sistema metafisico riconosciuto come valido» Oberti 1962, 14. 137 137 stazione fenomenologica.281 Notiamo subito come, al di là di un canonico richiamo metodologico ad un’indagine scevra da presupposti mistificanti, il referente del termine fenomenologia sia qui peculiare. In primo luogo esso indica un momento preliminare dell’indagine, il momento dell’ostensione dei «documenti» che saranno in secondo momento ricompresi in un «sistema metafisico riconosciuto come valido», nel quale i fenomeni raggiungano una definizione concettuale. In secondo luogo, l’Oberti – come meglio vedremo tra breve – identifica l’estetica con una fenomenologia dell’oggetto d’arte,282 l’originaria evidenza del quale deve fungere da punto di partenza per qualsiasi teorizzazione su di esso; decisamente unilaterale è pertanto l’esame dei fenomeni artistici messo in campo dalle estetiche che considerano solo i momenti soggettivi o percettivi: Invertire l’ordine della trattazione tra oggetto artistico e attività percettiva […] significa fidare nell’obiettività dell’oggetto, e ritenere che nei suoi confronti la percezione e l’immaginazione non siano 281 Oberti 1962, 293. L’Oberti invita piú volte a rispettare il dato fenomenologico; se non si può – come avrebbero fatto, fra altri, Kant e Heidegger – assumere l’oggetto estetico quale mero pretesto per affermare un’ulteriorità, nemmeno, all’opposto, si può semplicemente estetizzare una metafisica già formulata. Estetica e metafisica possiedono entrambe una loro autonomia o autosufficienza, e se l’arte comporta la necessità della metafisica, questo non significa che quest’ultima debba sovrapporsi alla prima; Oberti 1962, 344-8. 282 Oberti 1962, 21-48. «Ritengo che il problema estetico si determini e si precisi in funzione di un’originaria e fondamentale domanda sull’arte. Il problema estetico, cioè, come problema specifico, nasce e si precisa attraverso una serie di interrogativi volti a indagare quel dato di fatto reale, se pure inquietante, che è l’opera d’arte concreta» Oberti 1962, 224. 138 138 determinanti […] sia nel senso di un ingenua invenzione iniziale dell’oggetto stesso, sia nel senso di una sua invenzione attraverso l’annullamento, l’irrealizzazione del suo essere sensibile, come è in Sartre o in Hartmann e per lo piú in tutti i fenomenologi di derivazione husserliana.283 Ed ancora: Bisogna vedere come, nel suo porsi originariamente 283 Oberti 1962, 31. Tre sono i punti grazie a cui la fenomenologia dell’oggetto d’arte può superare le metafisiche spiritualistiche: 1) «Far consistere l’oggetto estetico nella sua oggettività stessa»; 2) «Salvarne la fisicità, cioè la datità immediata una volta raggiunto il significato» (Oberti 1962, 52); 3) far piazza pulita di ogni forma di intuizionismo. Per dar conto di una componente soggettiva dell’estetico, si potrebbe tutt’al piú analizzare il correlato psicologico della conoscenza estetica, ma in questo caso bisognerebbe essere consapevoli di operare unicamente con metodo sperimentale. Una «fenomenologia dell’attività artistica» è dunque secondo l’Oberti auspicabile oltre che possibile, anche se ai tempi in cui scriveva sembrava ancora improbabile; comunque essa «non potrebbe venire che dall’artista stesso che si trovasse per particolari disposizioni disposto, sia pure in via di preliminare accertamento fenomenologico, alla dimensione della filosofia» (Oberti 1962, 323-4). Sulla base di simili presupposti si comprendono i giudizi formulati su quegli esponenti dell’estetica fenomenologica che si sarebbero troppo soffermati sulla soggettività: Geiger ha insistito troppo sui vissuti fruitivi, mentre Hartmann ha sostituito due modalità del «Schauen» ai corrispondenti strati oggettuali, trascendendo cosí l’«ambito di documentazione sensibile dell’opera»: «[…] procedere per la via dello Hintergrund lasciando alle spalle il Vordergrund, che è poi l’ambito di documentazione sensibile dell’opera, significa abbandonare la zona di sicurezza della documentazione fenomenologica in cui l’opera si realizza e dà prova di sé come complesso di elementi sensibili. Spingere al di là in questa documentazione sensibile la ricerca del senso dell’opera significa cercare l’opera dove essa non è: fuori dei dati sensibili come infatti potremmo cercare di reperire l’opera?» Oberti 1964, 407; anche W. Conrad viene tacciato di soggettivismo (sebbene la Oberti apprezzi le sue indagini oggettuali), mentre il solo Mikel Dufrenne avrebbe correttamente sottolineato la coazione dell’opera d’arte nei confronti della percezione. 139 139 per un soggetto, sussistano i caratteri per cui l’opera viene ad essere anche in sé, talché se l’opera è per il soggetto si possa inversamente stabilire che anche il soggetto è in un certo senso per l’opera.284 L’Oberti critica dunque la metafisica spiritualistica dell’arte e rifiuta quelle posizioni che privilegiano i momenti soggettivi dei fenomeni artistici; per render conto dell’oggettività dell’arte bisogna invece affidarsi esclusivamente alla concreta presenza delle opere cosí come si danno coi loro colori, forme, suoni o parole. A questo scopo ben si adatta l’analisi fenomenologica, anche se coloro che sino a quel momento si erano impegnati nell’applicazione della fenomenologia all’estetica avevano secondo l’Oberti indebitamente trasceso il piano oggettivo di datità dell’opera d’arte, arrivando a progettare l’autentico dell’opera fuori dall’opera stessa, al di là della sua concreta e sensibile presenza. Conrad, Ingarden, Geiger, Hartmann, Sartre (a cui si deve aggiungere Dufrenne, con cui però l’Oberti per molti aspetti consente) avrebbero infatti abbandonato il fertile suolo per un aggancio metafisico a posteriori, peraltro da essi piú o meno esplicitamente intravisto.285 284 Oberti 1962, 29-30. Elisa Oberti ritiene che i citati esponenti dell’estetica fenomenologica fossero comunque animati da un’esigenza di ulteriorità metafisica, intesa quale impulso all’autotrascendimento della datità sensibile: «L’estetica fenomenologica che parrebbe volersi serrare in una situazione di pura analisi del dato e anche in una assolutizzazione immanentistica di esso, si apre piú decisamente di ogni altra forma di estetica contemporanea non legata alla tradizionale teoria della metafisicità dell’arte come fatto precostituito all’arte stessa, verso prospettive di ulteriorità metafisica». Se per Hartmann, ad esempio, sono reali solo i dati percettivi, in essi, tuttavia, «l’autentico si spegne per documentarsi come un 285 – segue – 140 140 Venendo ad esporre le modalità dell’integrazione metafisica richiesta dall’arte, l’Oberti comincia col precisare che non si tratta dell’aspirazione ad una non ben definita «assolutezza dell’opera», estranea alla sua datità (come se esistesse un’opera inautentica di contro ad una autentica), ma di un’indicazione verso la «realtà e assoluto in quanto tali», quali garanti del senso di una determinata datità sensibile: La datità sensibile non è solo involucro di un’essenza, ma è il concretarsi dell’essenza stessa dell’opera. Il rilancio deve essere dunque a partire dall’opera, senza che l’opera si proietti al di sopra di sé e fuori di sé nell’ulteriorità metafisica. Il che vuol dire che l’opera indica la necessità di una metafisica, senza cimentarsi in proprio nei compiti che a una metafisica competono.286 Solo intesa come rimando all’assoluto, ad un assoluto qui solamente indicato e tutto ancora da scoprire ed assaporare, l’apertura estetica all’universale può dunque rimaner tale, senza negare l’autonomia dell’arte.287 È la stessa realtà dell’opera, infatti, ad istituire al di là». Secondo Sartre – altro autore preso qui in considerazione – l’attività artistica è invece «annullamento […] dell’immaginario nei dati percettivi in cui l’immagine si spegne ma non si esaurisce, facendo sí che appunto lo spegnimento della datità sensibile e percettibile spinga verso oggetti ulteriori, e irreali»; l’ulteriorità si presenta però qui come un «indeterminabile nulla ulteriore» Oberti 1962, 294-8. 286 Oberti 1962, 341. 287 Esiste un rinvio tra arte e «metafisica in quanto tale», ma non fra arte e «metafisica dell’arte»; precisazione che «serve a stabilire l’autonomia e l’autosufficienza delle rispettive zone di attuazione. L’arte indica la necessità dell’ambito metafisico ma proprio come ambito ad essa ulteriore, e dunque non assume in esso funzioni e responsabilità di primo piano, atte a snaturare e sminuire la metafisica attraverso l’estetizzazione di essa, e a de– segue – 141 141 un essenziale rimando a qualcosa di altro rispetto al piano della sua datità sensibile: il dato sensibile non vale infatti per sé stesso ma assume un determinato significato in quanto strutturato nella totalità di un’opera d’arte; e questo significa che già a livello di sensibilità si dà qualcosa di piú (la totalità dell’opera) della sensibilità stessa, un elemento significante che non attende però la propria esplicitazione in una dimensione concettuale, ma che richiede piuttosto quella circolarità (sintesi) fra universale e particolare che si dà pienamente solo nell’assoluto (e non certo nell’astrazione concettuale scindente). E questo perché i referti sensibili – o anche l’opera stessa – sono realtà particolari che non valgono solo come realtà particolari: sono particolari-universali, cioè «universali concreti»; solo che l’indicazione conoscitiva di cui sono latori non deve trapassare in nitore concettuale, pur restando conoscitiva; ed è per questo, lo ripetiamo, che una tale complessione sensibile indica secondo l’Oberti in direzione dell’assoluto.288 Solo un’adeguata ricognizione fenomenologica è dunque la via da seguire per giungere ad una definizione dell’arte che non ne dissolva la consistenza nell’astrazione di uno spiritualismo dualistico o che, d’altro canto, non ne dissolva il fondamento (comunque trascendente) nella necessaria antidogmaticità del metodo: l’opera d’arte è veicolo di conoscenza e, potenziare l’arte ridotta a strumento e quasi a pretesto di una metafisica depotenziata» Oberti 1962, 345. 288 Pertanto: «Nel rilancio l’opera deve restar se stessa, come del resto è indicato dal fatto di essere l’opera un circolo solido tra la sua esteriorità e la sua interiorità, tra la sua datità sensibile e il suo significato, tra l’apparentemente fenomenico, e l’autentico» Oberti 1962, 344. 142 142 come tale, costituisce un’alternativa alla conoscenza logico-concettuale, istituendo l’esigenza di ulteriorità possibile. Datità sensibile ed opera: la potentielle Offenbarung di Ingarden Fra gli autori della prima estetica fenomenologia, Ingarden è quello maggiormente apprezzato dall’Oberti in quanto avrebbe intravisto quella possibilità estetica di un orizzonte ulteriore, richiesta, come si è visto, dal fenomeno arte.289 Il filosofo polacco non avrebbe però adeguatamente riconosciuto secondo l’Oberti l’immanente significatività dello strato sensibile dell’oggetto estetico e sarebbe per questo giunto ad affermare un’inaccettabile eteronomia dell’opera d’arte quale oggetto puro-intenzionale; parlare di purezza intenzionale significa invece perdere di vista la vera realtà dell’oggetto estetico, 289 Tale «apertura» – termine con cui l’Oberti talvolta rende la Offenbarung di Ingarden – rinvia alla tipica modalità d’essere dell’oggetto estetico, la «pura intenzionalità», che si esplicita nella caratteristica indeterminazione delle «schematizzazioni»: «Indeterminazione non implica in questo caso negatività, dissoluzione dell’oggetto nell’insignificanza, anzi sta ad indicare nell’oggetto stesso aperture non impedite e frustrate né da empiriche precludenti determinazioni, né da congelamenti e assolutizzazioni d’ordine ideale». Apertura significa pertanto potenzialità della struttura schematica dell’oggetto a rivelare i suoi piú autentici valori: «L’apertura deve essere intesa come potenzialità. L’intenzionalità dell’oggetto puramente intenzionale viene dunque a chiarirsi nel senso di una apertura o disvelamento potenziale che spezza lo schema dell’oggetto ideale e l’empiricità dell’oggetto reale e segna pertanto la vera e propria nota distintiva nei loro confronti. L’oggetto intenzionale è dunque disvelamento (Offenbarung) ma puramente potenziale». Oberti 1964, 4045; corsivi nostri. 143 143 significa recidere quel vitale legame che àncora l’intenzione soggettiva (che attribuisce il valore all’oggetto estetico) alla concretezza della percezione. Non per questo l’estetica fenomenologica di Ingarden è secondo l’Oberti priva di preziosi spunti; sebbene il piano di datità sensibile venga indebitamente trasceso, Ingarden individua nell’opera un rimando all’ulteriorità inteso come apertura o disvelamento (estetico-metafisico) solamente potenziale che risulta paragonabile alla dottrina dell’aggancio metafisico a posteriori proposta dall’Oberti nella sua Estetica: il valore dell’opera non si può realizzare completamente in essa, ma trova nella propria determinata configurazione fenomenica (presenza evidenziata) una delle sue possibili concretizzazioni. Afferma infatti Ingarden: «Die metaphysischen Qualitäten können hier […] nicht realisiert werden […] sie werden aber konkretisiert»;290 il valore dell’opera si dà inte290 Ingarden 1960a, 314. «Naturalmente le qualità metafisiche non possono essere qui realizzate […] esse vengono però concretizzate» Ingarden 1968a, 509. Commenta l’Oberti: «È appunto la nozione di potenzialità quella che permette al suo pensiero di reggere piú a lungo la tensione verso l’ulteriore senza spezzare i collegamenti con l’impianto fenomenologico che si presenta come punto d’appoggio indispensabile per il rilancio […] Infatti l’essere il disvelamento potenziale implica che esso non è in atto, non si esaurisce cioè nel sensibile, è in potenza ad essere disvelamento, e dunque il suo essere consiste tutto nella pura apertura, apertura tuttavia da attuarsi in un al di là non ancora raggiunto e nel quale solo l’apertura stessa può diventare attuale». Dunque il valore estetico (metafisico) si fonda nel sensibile, ma è intenzionale: «L’opera letteraria tendenzialmente, come aprirsi intenzionale di qualità metafisiche, sfugge alla base delle parole, ma appunto perché la fuga è intenzionale vi permane e le valorizza. […] L’attuazione delle possibilità metafisiche annullerebbe infatti la dimensione della intenzionalità e […] l’attuazione tarperebbe lo slancio verso la metafisica, per la empiricità che all’attuazione reale sarebbe intimamente connessa» Oberti 1964, 409-10 e 424-5. 144 144 ramente nel concreto, anche se delle sue qualità si può parlare analogicamente per concetti. Per quanto riguarda la pars destruens, l’Oberti fa innanzi tutto notare come la concretezza che bilancia l’irrealtà intenzionale (la «purezza intenzionale» né ideale né reale, cioè quello che Ingarden considera l’orizzonte di realtà dell’opera d’arte) sia fondata su un’interpretazione troppo fisicalistica del dato sensibile, che lo riduce a puro mezzo atto a render presente una qualità che lo trascende. Questo spinge Ingarden ad opporre in modo un po’ troppo forzato datità sensibile ad autenticità dell’opera, concretezza a realtà dell’oggetto,291 arrivando altresí a ontologizzare un’astrazione e ad attribuire all’opera un’eteronomia d’essere. In verità – ammette l’Oberti – il vizio di questa posizione emerge esplicitamente negli scritti delle Untersuchungen zur Ontologie der Kunst292, mentre rimaneva ancora latente in Das literarische Kunstwerk.293 Questo per due ordini di motivi, il primo dei quali è abbastanza scontato: l’opera letteraria è, tra le opere d’arte, quella meno compromessa con la datità sensibile, talché l’abbandono del primo strato esteriore (dove esteriore è detto in analogia con il Vordergrund hartmanniano, parimenti criticato) per raggiungere l’autentico dell’opera risulta di fatto meno perentorio. Il secondo motivo è meno banale ed appare denso di implicazioni per l’estetica; conviene dunque esporlo meno fugacemente; con esso veniamo tra l’altro anche alla pars construens di questa critica all’estetica di Ingarden. 291 292 293 Oberti 1964, 414-22 e Oberti 1962, 38. Ingarden 1962. Ingarden 1931. 145 145 Come si è già anticipato, lo strato sensibile dell’opera d’arte è caratterizzato secondo Ingarden da una potentielle Offenbarung delle qualità metafisiche: al fine di garantire l’intenzionalità del valore ed evitare di ridurlo ad evento empirico o a vuota idealità, Ingarden rinvia l’attualizzazione delle qualità estetico-metafisiche ad un ambito esterno all’oggetto, estraneo cioè alla sua fruizione, o, come egli dice, alla sua «concretizzazione». Ora, secondo l’Oberti questa proiezione non dovrebbe comportare di principio un abbandono del concreto,294 poiché che il disvelamento sia solamente potenziale non implica il rinvio ad una nuova oggettività di valore separata dal suo fondamento concreto; disvelamento potenziale significa semplicemente che lo stesso materiale percettivo, in quanto orchestrato in un certo modo (il bello), riesce ad offrire anche un nuovo significato dell’oggettività già presente: Ciò che interessa nell’opera artistica è il fatto di celare un contenuto che trascende o trasforma in nuovi significati la stessa datità sensibile nella quale l’opera si manifesta: l’essere nel sensibile e il trascendere in un certo modo il sensibile stesso. Ma è un vero trascendere o piuttosto un trasformare, un trasformare dall’interno, s’intende?295 È dunque la bellezza sensibile, senza altri riferimenti estranei alla datità dell’opera, ad orientare gli oggetti 294 «Se il sensibile ha implicito il suo valore (sia pure in forma non assoluta perché, sempre in quanto potenziale nell’opera, uno slancio interiore sollecita il disvelamento ad attuarsi non in altro ma per sé) il sensibile stesso ne risulta potenziato ed illuminato» Oberti 1964, 411. 295 Oberti 1964, 410; sottolineature mie. 296 Oberti 1964, 410; sottolineature mie. 146 146 estetici verso il vero, a portare alla luce, nell’immagine sensibile, un’anticipazione dell’Assoluto, cioè di quella sintesi fra universale e particolare non viziata dalla strutturale perdita di realtà dovuta all’astrazione. Ed è proprio questa luce immanente (bellezza) che evidenzia il significato all’interno della realtà sensibile che Ingarden non riesce a cogliere a motivo della sua interpretazione naturalistica del dato sensibile. Non resta allora all’Oberti che sottolineare quella preziosa intuizione presente in Das literarische Kunstwerk secondo cui l’«essere» della dimensione ulteriore dell’opera d’arte letteraria consiste «tutto nella pura apertura» («se pure in forma implicita»)297, talché «l’opera in sé sussiste anche se il suo piú profondo valore viene proiettato al di là di essa»; il rimando metafisico non dovrebbe però destituire la realtà sensibile dell’opera, visto che è istituito proprio da un nuovo tipo di concetto, un concetto sensitivo (potenziale): La presenza è un quid di piú originario e di piú ampio della datità sensibile, e anche della organizzazione percettiva. La presenza è l’oggetto nella sua concreta datità che non esclude dimensioni di universalità concettuale, anche se tali dimensioni restano latenti nell’oggetto e solo lo rischiarano dall’interno.298 Presenza evidenziata significa dunque, come si è visto, che «il tutto dell’opera è implicito nella datità sen- 297 Oberti 1964, 410. «Il valore dell’opera è tutto, se pure in forma implicita, intrinseco alla concretezza dell’opera stessa» Oberti 1964, 424. 298 Oberti 1968, 3. 147 147 sibile nella quale in concreto essa consiste».299 Chi voglia sviluppare un’estetica dovrà pertanto attenersi scrupolosamente ai dati, senza trascenderli (quand’anche lo facesse solo per dar fondamento a tutto il discorso): lo strato sensibile dell’oggetto estetico «in funzione della sua dimensione in opera, e cioè del gioco di prospettive, di rapporti, di implicanze per cui nell’opera si concreta» produce una sorta di illuminazione interna che costituisce un piano autonomo di significati sensitivi che l’Oberti denomina presenza sensibile evidenziata:300 Evidenziare la presenza […] significa far parlare, rendere espressiva la presenza stessa e quindi, senza alterarne le linee di contorno e di sostegno, immergere la presenza in una atmosfera che dall’interno la illumina trasformandola. […] ecco perché, in arte, si deve attribuire tanta importanza al fatto sensibile: proprio perché in esso si concreta l’istanza conoscitiva che abbiamo detto essere il fattore principale nel compito di definire la peculiarità dell’arte stessa. Non si deve perciò intendere che l’elemento sensibile vada definito come il mezzo in cui si concreta l’idea. Anzi esso con l’idea, l’idea artistica, beninteso, fa una cosa sola.301 L’apertura metafisica dell’opera d’arte è dunque istituita dalla possibilità conoscitiva aperta dall’evidenziazione della presenza sensibile dell’oggetto; ed è un’apertura alla metafisica stessa e non ad un’intermedia metafisica dell’arte. 299 300 301 Oberti 1968, 46. Oberti 1964, 423. Oberti 1962, 80-82. 148 148 Si può a questo punto esplicitare ancora piú chiaramente il ruolo che secondo l’Oberti bisogna riservare negli studi d’estetica alla fenomenologia, la quale offre un metodo di indagine che preserva da prese di posizioni dogmatiche o aprioriche e consente invece di evidenziare adeguatamente l’indicazione intelligibile rilevabile sullo strato materico dell’opera d’arte: Non solo la fenomenologia ci ha fornito i lineamenti generali eppure precisi nella loro sommarietà, dell’oggetto estetico, ma anche ne ha messo in luce uno abbastanza particolarmente significativo dal quale parimenti non possiamo prescindere: la significanza dell’essere sensibile dell’opera. Vale a dire che abbiamo stabilito che l’opera è nella sua datità sensibile, ma anche che l’elemento sensibile è in se stesso significante.302 Solo l’atteggiamento fenomenologico consente dunque di attestare la specifica conoscitività dell’opera d’arte, il suo tendere all’universale a partire dalla concretezza del particolare, o meglio da quella evidenziazione della presenza303 per effetto della quale assistiamo a una diversa disposizione e a una diversa risplendenza delle stesse strutture denuncianti l’elemento della presenza dell’opera, e fissate nella sensibilizzazione, e quindi a un riproporsi 302 Oberti 1962, 320. Presenza è l’«oggetto nella sua concreta datità che non esclude dimensioni di universalità concettuale, anche se tali dimensioni restano latenti nell’oggetto e solo lo rischiarano dall’interno». Presenza per una coscienza – prosegue l’Oberti – è già presenza «con significato»; infatti «la sintesi non è privilegio dell’universale, e nemmeno della percezione: presenza sensibile è già presenza in unità» Oberti 1968, 1 e 11. 303 149 149 dell’opera stessa dall’interno di sé con un in piú capace di non intaccarne le strutture ma di conferire ad esse nuove dimensioni di significato. […] Il dato evidenziato non è il dato nella sua immediatezza, che può essere talvolta vera e propria opacità, ma il dato che pur senza uscire da sé si trasforma dall’interno e si trasforma per cosí dire su se stesso senza tradirsi o trasformarsi in altro, anzi rivelandosi nella stessa sua piú autentica struttura di dato, di dato nell’opera, s’intende.304 I segni estetici – prosegue l’Oberti –, a differenza dei concetti, «ex-pongono» una totalità nell’immagine sensibile e veicolano pertanto una conoscitività addirittura superiore a quella essenzialistica, in quanto raggiunge quella totalità che l’universale, almeno per come esso si realizza nell’umanità attraverso i concetti, non può esaurire, dovendo poggiare sull’astrazione scindente o separante che essa sia.305 304 Oberti 1962, 313-4. Oberti 1962, 328. Può essere utile ricordare i nodi problematici che l’Oberti sta cercando di sciogliere in queste pagine. Una prima difficoltà si incontra nell’assicurare l’esigenza di ulteriorità emersa dalla ricognizione fenomenologica: «Pur senza togliere la legittimità dell’esigenza verso l’universalità del concetto, sola possibilità per raggiungere le essenze, l’opera d’arte si può salvare dalla necessità di rinunciare al suo peculiare modo di porsi per tradursi e annullarsi nell’altro della conoscenza logicoconcettuale» Oberti 1962, 326. V’è una conoscenza estetica che non astrae gli universali dai particolari, bensí coglie nella presenza sensibile un’immagine dell’universalità del concetto. Quello che, secondo una prospettiva intellettualistica, potrebbe sembrare un limite della conoscenza estetica si profila invece come un suo autentico valore: l’arte consiste nell’«ex-posizione» del «precario» (che è mera indicazione di ulteriorità) in quanto precario. E cosí, se l’arida conoscenza astrattiva, in realtà, non può esaurire la totalità, la conoscenza estetica può persino esser considerata 305 – segue – 150 150 L’autonomia dell’estetico è cosí affermata in modo radicale, anche se questo non porta l’Oberti a preferire una metafisica estetica alla metafisica in quanto tale (ed anzi una metafisica estetizzante quale quella heideggeriana viene esplicitamente deprecata), in quanto il rinvio all’assoluto (dovuto alla tendenza all’universale della conoscitività estetica) presente nell’opera d’arte non è per nulla costitutivo dell’assoluto stesso. Quanto alla trascendenza, l’estetica resta infatti solo uno dei possibili luoghi in cui se ne intravede la necessità. Concetto sensibile e ulteriorità: l’universale senza interpretazione Un ultimo punto resta però da esplicitare, per meglio chiarire il rapporto di svelamento solo potenziale che l’Oberti stabilisce fra la datità sensibile – che costituisce come s’è visto il riferimento base della superiore, in quanto, sia pur nell’immagine sensibile, attinge ad una totalità. Tale soluzione non è però cosí lineare e la ricognizione dell’Oberti segue in tutti i loro rivoli le possibili obiezioni che si potrebbero presentare a questo riguardo; l’universale, infatti, non viene propriamente raggiunto dalla conoscenza estetica, rimanendo, in sostanza, una mera esigenza: «il rilancio, determinato sotto la spinta di un’esigenza conoscitiva, e per vero allo scopo di una piú ampia e sicura esplicitazione dell’universale stesso, cade anziché in una zona conoscitiva nella zona stessa della realtà». Qui, senza luce intellettuale, i significati rimangono del tutto oscuri: «L’universale implicito nella translucida documentazione per immagini sensibili evidenziate nell’opera, urge ad una esplicitazione che tenga soprattutto conto della concretezza e non potendo, a tale scopo, bastare il rilancio verso l’universale riflesso, si impone quello verso la realtà dove l’universale è nella concretezza del particolare. Ma la realtà non interpreta se stessa, non è forma di conoscenza e dunque in questo rilancio se si salva l’esigenza di concretezza non si salva l’esigenza di esplicitazione» Oberti 1962, 333-4. Quest’ultima viene pertanto piú propriamente indentificata in un’esigenza verso l’ulteriorità metafisica. 151 151 sua ricognizione fenomenologica – e l’orizzonte della conoscenza concettuale entro il quale, del resto, si dispiega una piú adeguata comprensione dell’assoluto (verso cui l’arte si limita ad indicare). Ricapitoliamo a questo scopo quanto è emerso dal confronto con Ingarden e dall’esposizione dei lineamenti dell’estetica obertiana. Constatando che secondo il filosofo polacco l’attualizzazione delle qualità estetico-metafisiche tenute pronte nell’opera d’arte letteraria richiede inevitabilmente un’intenzione soggettiva e che una tale dipendenza del valore estetico dall’atto coscienziale rende l’oggetto estetico eteronomo, Elisa Oberti ha voluto proporre una nozione di oggettività estetica il cui essenziale rilancio metafisico non rinvii ad entità estranee alla sua presenza sensibile e non si appoggi esclusivamente sull’intenzionalità coscienziale. Il sensibile esaurisce infatti la presenzialità dell’opera ed il rinvio metafisico è attestato, semplicemente, da un’«apertura» tutta immanente a quella datità empirica: una certa evidenziazione della presenza, una particolare orchestrazione di materia, operano una «trasformazione dall’interno» che istituisce «nuovi significati» e che indica perciò in direzione dell’universale.306 Quest’ultimo però resta in questo caso un «universale concreto», cioè profondamente radicato nella realtà individuale, della quale mantiene tutta la pienezza, senza impoverirla con l’astrazione: è la mera presenza dell’oggetto estetico ad esser latrice di conoscenza, ovvero di un’esigenza d’ulteriorità metafisica (la quale 306 «L’esigenza verso l’ulteriore è in ragione dell’essere ogni forma di conoscenza calamitata verso quella suprema dimensione che è la conoscenza per universali» Oberti 1962, 328. 152 152 dall’arte può però essere solo evocata, non compresa); l’arte, dunque, dice di un’esigenza d’assoluto, ne prepara il disvelamento allo stato potenziale307: «l’arte è nella sua totalità un assoluto implicito, che rimanda alla esplicitazione»308. E questo poiché nell’arte quella tensione all’universale conoscitivo che essa stessa istituisce non può trovar appagamento su quel piano, appunto, conoscitivo. Ma proprio qui sta la sua essenza, in quanto l’arte rappresenta proprio questa condizione di precarietà della condizione umana, ovvero l’impossibilità di una conoscenza universale totale: L’opera di fatto riscatta l’insoddisfazione della sua impossibilità a tradursi sul piano concettuale logico, per fare di questa insoddisfazione un tema della sua espressività, della sua funzione evidenziante. L’insoddisfazione, che implicherebbe una sortita da sé per fluire verso l’altro termine nei cui confronti, in quanto irraggiunto, l’insoddisfazione ha appunto motivo di affermarsi, è riscattata nel piano dell’arte in quanto diventa tema espressivo di una fondamentale struttura dell’opera: la precarietà. Se l’arte esprime, ma attraverso il circolo che istituisce all’interno della sensibilità, la precarietà stessa della condizione umana, l’estetica, che dell’arte offre la spiegazione teoretica, non è piú formulabile per semplice deduzione a partire da un sistema filosofico precostituito, e si attesta invece come esplicitazione di un sapere legato esclusivamente alle ra307 Oberti 1962, in realtà, non parla di potenzialità del disvelamento; tale categoria è introdotta in Oberti 1964, ove l’autore commenta Ingarden, utilizzando la sua strumentazione teorica. 308 Oberti 1962, 329. 153 153 gioni della sensibilità, non piú ridotta però a mero supporto esteriore. Una sensibilità che piú si addice, pare di capire, alla modalità secondo cui l’uomo si rappresenta la totalità. E inoltre, se l’arte possiede questa sua sfera autonoma di significati, questi non si appoggiano per nulla all’ulteriorità concettualmente concepibile, che risulta completamente estranea alla dimensione dell’opera: L’opera esiste con una esigenza interna di ulteriorità, ma in ogni caso tale ulteriorità non è indispensabile all’esistenza dell’opera. Ora, il fatto che l’opera esista autonomamente rispetto all’ulteriorità verso cui indica e potenzialmente rivela, non significa però, come si è anticipato, che anch’essa non rinvii ad un proprio fondamento ontologico: L’opera esiste ed ha in sé una sua autonomia ed una autosufficienza […] Autosufficienza ed autonomia dell’opera in quanto opera, che si radicano tuttavia in una piú complessa realtà umana nei cui confronti soltanto l’interna esigenza all’ulteriorità diventa fondamentale.309 L’opera d’arte possiede dunque un proprio statuto ontico (potenza, assoluto implicito; sensibile, ma sensibile evidenziato) che è indipendente da ogni costituzione di senso soggettiva e che non va disconosciuto; eppure, la sua autonomia ontica rinvia comunque ad un fondamento che trascende la sua sfera di sensibilità «evidenziata». L’opera, in altri termini, accende un’esigenza d’ulteriorità che non può però trovare 309 Oberti 1962, 338. 154 154 appagamento nella totalità sensibile di cui essa stessa consiste, e la sua indicazione, pertanto, non può essere che quella di una radicale precarietà tipica della condizione umana (una precarietà, però, che richiede un fondamento): L’opera supera l’isolazionismo estetico, estetizzante se si vuole, che le permetterebbe di chiudersi e di bearsi nella sua autosufficienza, per la dimensione conoscitiva. La dimensione conoscitiva fa essere l’opera d’arte e la dimensione artistica in generale, documento di umanità. E appunto sul piano dell’umanità in generale diventa efficiente la esigenza all’ulteriorità, mediata attraverso l’esigenza verso la piena esplicazione dell’universale.310 L’universale cosí come evocato dall’arte è pertanto piú una vocazione che una realtà e dice piuttosto dell’impossibilità della conoscenza umana di raggiungere quella condizione a cui la conoscitività estetica evidentemente tende: l’identità di particolare e universale, di realtà e mediazione conoscitiva. L’estetico, infatti, è un significato che si dà solo nei rapporti interni alla materia che lo veicola, ed accende perciò una tensione verso un universale che pretende di esser tale, ma «senza interpretazione», lasciando cioè che la propria disvelatezza resti muta, mera potenzialità nella realtà.311 Una realtà però – 310 Oberti 1962, 339. «L’universale implicito nella traslucida documentazione per immagini sensibili evidenziate nell’opera, urge ad una esplicitazione che tenga soprattutto conto della concretezza e non potendo, a tale scopo, bastare il rilancio verso l’universale riflesso, si impone quello verso la realtà dove l’universale è nella concretezza del particolare. Ma la realtà non interpreta sé stessa, non è forma di conoscenza e dunque in questo 311 – segue – 155 155 potremmo dire con espressione husserliana – che si presenta in «carne ed ossa». rilancio se si salva l’esigenza di concretezza non si salva l’esigenza di esplicitazione, o almeno non si salva sul piano conoscitivo. L’universale si esplica nella realtà, senza l’interpretazione di tale esplicazione tuttavia» Oberti 1962, 333-4. 156 156 Arte, estetica e possibilità secondo Virgilio Melchiorre Nel contesto delle indagini legate al metodo fenomenologico che abbiamo sin qui seguito è stato piú volte evidenziato il rilievo che può rivestire per il pensiero estetico la nozione filosofica di possibilità; ricerche sistematiche, come si è visto, sono state svolte al riguardo da Nicolai Hartmann, sulla cui scia Dino Formaggio si è voluto inserire, proponendone tuttavia unintegrazione nella direzione della fenomenologia costitutiva. Anche Ingarden ha parlato di una rivelazione potenziale delle qualità metafisiche inerente all’opera d’arte e a queste rifessioni si è collegata Elisa Oberti per sviluppare la sua teoria dell'aggancio metafisico a posteriori, capace di mettere in relazione con lAssoluto. Il tema del rapporto tra arte e possibilità sembra dunque essere un punto teoretico di grande interesse per la fondazione fenomenologica dellestetica. Non sarà dunque inutile a questo punto soffermarsi su alcuni saggi di Virgilio Melchiorre in cui, sulla base di una ricognizione fenomenologica e con esplicito riferimento al manoscritto A VI 1, la nozione di possibilità viene ad essere il luogo teoretico a partire da cui viene messo in luce lintrinseco portato esteticoassiologico del concetto di arte. La ʺfortuna italianaʺ dellestetica fenomenologica riceve così ulteriori conferme e importanti germi di sviluppo. 157 157 Duplicità dell’arte: possibilità e immaginazione Nel volume Eticità dell’arte e senso dell’essere312 la tematica estetologica del possibile viene esaminata da Virgilio Melchiorre con diversi riferimenti husserliani che interessano da vicino anche la nostra ricognizione sulla ricezione dell’estetica fenomenologica. Si tratta di un’indagine di carattere storico e teoretico in cui si mette in luce l’apertura veritativa dell’estetico, dalla quale viene dedotta una intrinseca eticità dell’arte. Se per i suoi esiti ultimativi (fondanti) anche la posizione di Melchiorre si stacca da quella dei fenomenologi piú sopra incontrati, l’apertura a nuovi significati, a progetti di autenticità, che muove dalla sporgenza della possibilizzazione estetica, sembra poggiare su un comune referente fenomenologico: il rinvio alla struttura intenzionale e storica della coscienza incarnata.313 Melchiorre comincia con l’interrogarsi sulle condizioni che fondano il referto fenomenologico dell’universalità dell’arte. La riflessione sulle arti, egli esordisce, è stata sempre minacciata da un’essenziale duplicità, già presente ad esempio nel divieto platonico che bandiva il mondo delle arti dall’universo ideale e veritativo ma che nascondeva anche la sof- 312 Melchiorre 1986b. In Essere e parola Melchiorre afferma che «l’uomo è strutturato in una identità essenziale che non è una mera identità d’essere, ma un’identità aperta nell’essere e per l’essere. […] L’equazione fra identità essenziale ed apertura o richiesta d’essere […] va cercata nell’area della coscienza […] nella coscienza e nel divenire della coscienza: la coscienza appunto come apertura e come richiesta» Melchiorre 1984, 85; aperta è sottolineatura nostra). Identità storica equivale dunque ad essenza, purché non la si intenda aristotelicamente quale essere di ciò che era; Melchiorre 1984, 83. 313 158 158 ferta consapevolezza di un incantamento;314 sin dai tempi piú antichi, dunque, il poeta è stato collocato su una terra di mezzo, in una «vicinanza e insieme pericolosa distanza dagli dei». Ora, tale ambiguità dell’arte, tale potenza di corruzione, è certamente da collegare al fatto che l’arte non sta sul piano dell’essere, bensí su quello del «poter essere»: essa viene infatti condannata «perché tiene a distanza dalla verità e la distanza nasce dal fatto che l’arte non vive sul piano del reale, ma sul piano dell’immaginario. 315 Ma, secondo Melchiorre, se il poeta può correttamente essere collocato lontano dall’essere effettivo, discutibile è invece la conseguente lontananza dalla verità, soprattutto se fondata sul rovesciamento nella dimensione del possibile; si può infatti reperire un possibile la cui «seduzione»316 non significhi tanto degradazione e corruzione, quanto piuttosto analogia d’essere o partecipazione ontologica. Già il pronunciamento aristotelico sull’essenza dell’arte liberava infatti l’imitazione dalla mistificazione a cui l’aveva collegata Platone e la istituiva come «manifestazione del possibile» – possibile essenziale –317, proiettando l’arte verso «un piano della 314 Melchiorre 1986a, 48; 1986b, 7-13. Melchiorre 1986a, 49. «È il carattere immaginario dell’arte che viene contestato. Ma si può parlare di una negatività dell’immaginario come tale? È l’immaginario come possibilità che viene rifiutato» Melchiorre 1986b, 14. La riflessione platonica – prosegue Melchiorre – cela dunque l’identificazione di «immagine» e «possibilità», equazione che emergerà piú chiaramente in Aristotele. 316 «La forza della seduzione sta, in fondo, proprio nella dissimulazione che riesce a splendere, che enfatizza un frammento di verità mentre sa rimuovere l’ampiezza della contraddizione» Melchiorre 1986a, 61. 317 Melchiorre 1986a, 49. «Il verosimile esprime, infatti, una conformità verso l’essenza: costituisce in definitiva, una determinazione piú o 315 – segue – 159 159 possibilità che ricomprende l’accadibile, che vi si fonda, ma ad un tempo lo trascende»; un possibile, in altri termini, che istituisce una relazione di verità.318 Tuttavia, l’identificazione di mimesis, cioè immaginazione, e possibilizzazione non sarebbe stata interrogata da Aristotele nel suo nesso costitutivo, non essendo ancora stata esplicitata la vera e propria condizione di possibilità dello spostamento dal reale all’accadibile. La tensione all’universale dell’immaginazione poetica comporta infatti l’apertura anche alle nuove possibilità di una stessa forma, e ciò conduce decisamente oltre la definizione aristotelica di essenza come mero essere di ciò che era. Al fine di precisare la modalità e il fondamento di quest’atto cognitivo intenzionato (esteticamente) al novum dell’essenza,319 nel saggio Il possibile nell’arte320 Melchiorre opera una serie di excursus fenomenologici (in cui compare anche un esplicito riferimento al manoscritto A VI 1 di Edmund Husserl), meno esemplare […] dell’universalità che essenzialmente lo costituisce» Melchiorre 1986a, 55. «La verisimiglianza può essere considerata come l’immagine, come la simiglianza della necessità, cioè di quanto non è suscettibile di contraddizione, del vero. Ma tale è ultimamente solo l’universale» Melchiorre 1986b, 15. Del resto, anche il «credibile» sottende la relazione con l’universale: «[…] il possibile di cui si parla è quello che è svelato nella luce dell’universale, non nel senso della mera accadibilità. Questo possibile costituisce appunto l’intellegibilità, la credibilità dell’evento poetico» Melchiorre 1986b, 17. 318 Melchiorre 1986b, 15. «Il poeta dunque non è interessato all’universale come tale, ma alla relazione con l’universale» Melchiorre 1986b, 16. 319 Limite della posizione aristotelica è secondo Melchiorre l’aver posto la questione «a partire dai vertici dell’opera poetica e per differenza dalla filosofia e dalla storia», anziché «dalle modalità piú elementari e radicali dell’espressione estetica» Melchiorre 1986b, 14. 320 Melchiorre 1986b, 7-56. 160 160 visto che solo una riconsiderazione fenomenologica del rapporto arte-possibilità consente infatti secondo Melchiorre di «enucleare il fenomeno estetico nella sua elementarità piú generale».321 Sappiamo, egli argomenta, che secondo Husserl l’immaginazione libera la percezione dall’asservimento al percepito presente (o passato), alla realtà «in persona (als selbst gegeben)»322, aprendo lo spazio per l’assente, spazio che, tuttavia, rimane tutto interno all’attività presentificante della coscienza. L’immaginazione, infatti, non è originariamente offerente, ed il suo intentum non è di per sé comunicabile se non viene tradotto in parole, suoni, figure, cioè in oggettività materiali, il cui valore risiede solo in ciò a cui rinviano: «l’espressione estetica è solo un medio comunicativo – andando a fondo si dovrebbe dire un analogon – di qualcosa che è in realtà solo immaginata: che è assente, che soltanto può essere».323 Ora, – si chiede Melchiorre – se solo nella «percepibilità dell’evento estetico si fa […] presente il senso intenzionale di ciò che chiamiamo estetico», che rapporto si stabilisce fra percezione e immagine o, piú precisamente, fra sintesi percettiva e coscienza di immagine? E, ancora, che statuto possiede questo «assente»?324 321 Melchiorre 1986b, 20. Cfr. Husserl 1981a, 78. 323 Melchiorre 1986b, 21. 324 «All’assente […] può corrispondere ciò che non è altrove e che nemmeno è stato: una pura possibilità che non corrisponde a qualcosa di adeguatamente percepito o di percepibile, anche se il disegno di questa possibilità può pur sempre costituirsi solo partendo da depositi di esperienze o di percezioni passate» Melchiorre 1986a, 14-15. Questo novum, in altri termini, «viene, sí, costituito sulla base di esperienze e di dati 322 – segue – 161 161 L’immagine non è mero residuo ritentivo di un percepito oggettivo e neppure può secondo Melchiorre essere intesa come un nulla d’essere nel senso sartriano. Il concreto referente percettivo su cui si basa la possibilizzazione fantastica svolge infatti una funzione propriamente simbolica325: direziona sí la coscienza verso un nuovo orizzonte derealizzato (modificato) e non direttamente verificabile, ma questo orizzonte intenzionale è comunque latore di autentiche possibilità umane, cioè di un «possibile con-essere dell’uomo e del mondo».326 Le fantasie veicolate dall’oggetto artistico,327 in altri termini, non sono delle libere associazioni cointenzionate parallelamente all’oggetto percepito, ma fanno capo ad intenzioni coscienziali che svelano un vero e proprio «novum», un orizzonte di possibilità essenziali in cui l’uomo potrà realizzare un diverso rapporto o una diversa adesione all’essere. L’«analogon» immaginifico – se ne può dunque concludere – senza abbandonare la propria radice corporea percettiva (e prospettica), investe (scopre, rivela) nuove dimensioni dell’essere e, soprattutto, dice di un’analogia fra l’uomo e la natura. trascorsi o collaterali», ma, nella sua totalità «ancora non è dato all’esistenza» Melchiorre 1986b, 24. 325 Sul tema dell’immaginazione simbolica si veda Melchiorre 1972. 326 Melchiorre 1986b, 25. 327 Melchiorre 1986a, 50. Melchiorre distingue, comunque, l’estetico dall’artistico: «L’espressione estetica può indicare il futuro della percezione che ripeterà il già stato o che esplorerà il molteplice del presente o, ancora, che costituirà nuove varianti nell’ordine dell’esistente. L’espressione propriamente artistica si rivolge invece a quel possibile novum che la sorgente dell’essenza può ancora dischiudere» Melchiorre 1986b, 25. 162 162 Piacere e perfezione ontologica Lo stretto rapporto vigente fra arte e possibilità introduce, come si è visto, ad una nuova modalità di manifestazione delle essenze, aperta anche ad una novità esistenziale, peraltro garantita nell’intimo coerire dell’essere e quindi da un’originaria compartecipazione fra uomo e natura. Quest’ultima costituisce secondo Melchiorre la condizione ultima dell’immaginazione estetica, il fondamento della capacità espressiva dell’analogon percettivo. Il tema viene introdotto attraverso un altro solido referente storico, la celebre definizione tomistica del bello: […] Pulchra dicuntur quae visa placent. Unde pulchrum in debita proportione consistit: quia sensus ratio qaedam est, et omnis virtus cognoscitiva. Et quia cognitio fit per assimilationem, similitudo autem respicit formam […].328 Due sono le glosse qui proposte da Melchiorre. In primo luogo egli nota come, rispetto alla coeva riflessione estetologica, Tommaso abbia spostato il discorso su un piano antropologico: il proprium della contemplazione estetica viene identificato nella dimensione del piacere, non piú inteso, semplicemente, «come segno di riconoscibilità per un dato o per un valore squisitamente oggettivo», bensí elevato a «movimento intenzionale», ad una precisa «direzione conoscitiva»329. Anche i sensi hanno infatti una «ratio», ed il piacere 328 Thomas Aquinas 1980, 191. Non meno efficace è la seguente variante: «Pulchrum in debita proportione consistit: quia sensus delectatur in rebus debite proportionatis» ivi. 329 Melchiorre 1986b, 26. 163 163 può a buon diritto divenire fondamento della relazione estetica: […] Lo sguardo che si volge alla bellezza coglie un ordine che è nelle cose, ma quest’ordine gli appare solo quando comporta un piacere della visione, quando cioè coinvolge una partecipazione del soggetto […]. In secondo luogo – e si passa cosí al piano fondativo – il rapporto rimanda ad una comunanza, ad una «convenienza» tra uomo e natura «ove non v’è piú senso nel separare il destino delle cose da quello dell’uomo»: L’uomo si riconosce, cosí, in sibi similibus e avverte che l’ordine e lo splendore della cosa dicono ad un tempo di un suo possibile ordine, della sua possibilità di esistere in una corrispondenza ontologica.330 Grazie a questo riferimento tomistico, Melchiorre ha cosí guadagnato quel riferimento fondante che giudicava necessario per render conto della mimesi artistica. Ma anche secondo Husserl, possiamo notare a margine, il piacere funge da scintilla che fa scattare 330 Melchiorre 1986a, 51. «L’essere proporzionato della cosa è, ad un tempo, rivelativo dell’umana proporzione» Melchiorre 1986b, 27. Melchiorre sottolinea l’interna consequenzialità dell’«unde» nell’asserto tomistico citato; il simile conosce il simile, e l’estetica proportio non è solo ex parte objecti: «La definizione della bellezza come proporzione discende dal piacere della visione. Dunque non si tratta di una proportio che sta solo nella cosa, ma di una reciprocità proporzionale fra uomo e cosa: nel piacere l’uomo esperisce la propria convenienza, il proprio coerire col mondo […]». Tale reciprocità è, in sostanza, una «Condizione analogica, un’identità che pur riposa nella differenza tra l’uomo e l’altro dall’uomo», identità nella relazione che secondo Melchiorre costituisce la «condizione ontologica del conoscere» Melchiorre 1986b, 26. 164 164 l’intenzionamento estetico, che pone tra parentesi il mondo correlato dell’atteggiamento naturale, aprendo l’orizzonte eidetico delle possibilità; parimenti in Tommaso – secondo l’interpretazione di Melchiorre che stiamo seguendo – il piacere estetico rinvia ad un’imprescindibile relazionalità soggettiva, qualificandosi come un vissuto che apre alla consapevolezza della propria consonanza con l’universo. Estetica e metafisica: la possibilità come simbolo dell’identico Il possibile estetico si manifesta dunque come un possibile specificamente «umano»: nell’opera d’arte l’uomo esperisce la propria convenienza al mondo, al di là di ogni aporetico dualismo.331 È in questo contesto che si colloca il rimando di Melchiorre al ms A VI 1 di Husserl, che viene utilizzato per documentare ulteriormente quel nesso fra percezione ed immagine tale per cui la percezione neutralizzata comunica l’immaginato non in forza di un rapporto estrinseco, bensí in forza di una «parentela ontologica».332 Melchiorre fa leva soprattutto sul secondo blocco di fogli del manoscritto333 in cui Husserl prende in 331 «Nei termini che ci sono propri, potremmo dunque dire, che l’immagine estetica della cosa, disvela la possibilità della cosa come, ad un tempo, possibilità dell’uomo» Melchiorre 1986b 30. 332 Melchiorre 1986b, 24. 333 Husserl ms A VI 1, in Zecchi 1972a, 92-5, Per quanto riguarda la prima sezione del manoscritto, Melchiorre sottolinea come la possibilizzazione relativa all’espressione estetica (fondata sulla neutralizzazione della percezione) non possa essere ridotta a mera non contraddittorietà: essa dice nel senso piú profondo una «relazione di verità», di una visione d’essenza. La vicinanza aristotelica della filosofia alla poesia equivale dunque all’intima affinità «tra la visione estetica e quella filosofica», visioni acco– segue – 165 165 considerazione la dottrina dell’Einfühlung estetica, ricondotta fondamentalmente ad un «sentirsi uno», ad un convenire e partecipare con l’oggetto; ora, argomenta Melchiorre, parlare in questi termini dell’«immedesimazione estetica» significa fare un passo nella ricognizione sull’analogia al di là all’empasse aristotelica, fondando, come in Tommaso, la comunicazione estetica sulla consustanzialità dell’uomo con l’essere del mondo.334 Si ripresenta qui, cioè, quella relazione estetica riscontrata nell’Aquinate, secondo cui la proportio dell’oggetto suscita un piacere che rinvia a sua volta ad un’analogia d’essere col fondamento, inteso come totalità di relazioni.335 Il risultato che si può dedurre dagli excursus di Melchiorre (che chiamano successivamente in causa anche Kant, Kierkegaard, Croce) è dunque che l’espressione estetica risulta capace di evocare quell’intenzionalità analogica dell’essere che segna, piú in generale, ogni atto coscienziale umano: il carattere processuale della coscienza non potrebbe spiegarsi senza il presupposto di un originario riferimento alla pura positività dell’essere. La coscienza è sempre coscienza in prospettiva, ma riflessivamente anche sempre coscienza di prospettiva: coscienza d’essere nel limite e quindi della negatività. Ma la munate dalla ricerca – sono parole di Husserl – dell’«essenza immanente»: il fare dell’artista istituisce una possibilità dell’essenza, altra o forse alternativa a quella attualmente data. Dunque: «Il possibile di cui l’arte si fa espressione costituisce […] un nesso fra l’esistente e l’essenza, fra determinatezza storica ed universalità di condizioni, di valori, di riferimenti» Melchiorre 1986b, 16. 334 Melchiorre 1986b, 24; 335 «Ogni singola proporzione […] costituisce in definitiva una metafora di un totum di relazioni» Melchiorre 1986a, 58. 166 166 coscienza della negatività è in sé stessa relazione […] Il processo conoscitivo è, dunque, alimentato da questa originaria intuizione dell’essere, non necessariamente tematica, ma necessariamente sempre fungente e sempre sottesa al processo che via via la va determinando.336 Un’intenzionalità, dunque, che può esser evidenziata solo via negationis e che comunque può esser paradigmaticamente sorpresa in quella modificazione di neutralità della percezione che, secondo Husserl, attuano tanto l’artista quanto il fenomenologo. Il piacere estetico si qualifica pertanto come un vero e proprio «rapporto intenzionale», come un atto conoscitivo nel quale, lungi dal proiettare nell’oggetto determinate qualità soggettive, si esperisce una consustanzialità dell’uomo col mondo; e ciò fa dell’esperienza estetica un’apertura progettuale verso una positiva realizzazione di sé e dei propri simili. Si profila cosí secondo Melchiorre una duplice storicità dell’opera d’arte: Per un verso essa nasce nel cuore del proprio tempo, per altro verso, e in forza della sua tensione universale, essa sviluppa una «storia ideale eterna»: la sua è una risposta ai bisogni e alle contraddizioni del presente, ma questa risposta individua possibilità che non si esauriscono nella prossimità del presente e che dal presente potranno essere adeguate solo in parte. Rispetto alla propria età l’artista costituisce cosí una coscienza profetica e i suoi possibili si iscrivono nell’ordine del paradigmatico delle figure utopiche o in quello uguale e contrario dei giudizi ultimi. 336 Melchiorre 1986b, 37. 167 167 Ma proprio questa sporgenza fa dell’artista un’autentica coscienza critica: egli sta nel cuore dell’attualità con lo sguardo rivolto agli ultimi sensi e perciò può anche levarsi sulle contraddizioni dell’esistente, può disegnarne le impossibili possibilità e dischiuderne quindi la redenzione.337 Il possibile che, essendo diretto al futuro e non all’esistente, è piú ricco dell’attuale338 va dunque lasciato sussistere «nella sua verità» cosí come, talvolta, anche nella sua «impossibilità»;339 altrimenti si rischia che la riflessione di un’epoca si abitualizzi e si appiattisca sul presente perdendo tutta la carica 337 Melchiorre 1986b, 49. «L’essenza costituisce l’orizzonte del futuro: la condizione universale cui riferire la molteplicità esistita, esistente e ancora non esistente di una specie […] la non adeguazione fra esistenza ed essenza fa dell’essenza la sporgenza sempre aperta sul non ancora esistente di un ente: l’essenza […] come l’essere di ciò che era, ma anche e soprattutto come l’essere di ciò che ancora non è» Melchiorre 1986b, 24. 339 «I personaggi di Sofocle o quelli di Shakespeare vengono raggiunti nella loro piú segreta impossibilità, ma ad un tempo vengono pur ricompresi in un ordine di giustizia, che è ancora ordine di speranza. Che dire, invece, della tragedia contemporanea e ancor piú dell’esperienza raggiunta dalla musica atonale o dalla pittura astratta? Per questa via siamo portati, piú d’una volta, alla scomposizione delle stesse strutture trascendentali dell’esistenza: lo spazio e il tempo sono infine strappati ad ogni unità e ridotti a frammenti di un indecifrabile caos; le forme cedono alla giustapposizione o all’unilateralità di geometrie contorte ed irrelate […]; l’unità e la protensione della memoria viene infine precipitata nella fissità anarchica degli istanti divisi o nel divergere diabolico dei ritmi. Si direbbe che, sullo sfondo di uno stesso riferimento radicale, l’unità sempre cercata dall’intelligenza simbolica (sun - bavllein) giunge ormai a disfarsi della sua controfigura diabolica (dia -bavllein). E tuttavia non per questo parleremo di arte diabolica, giacché proprio con questo rovesciamento siamo giunti alla consapevolezza storica della impossibile impossibilità cercata dall’uomo contemporaneo» Melchiorre 1986a, 62. È la tragedia, ad esempio, dei sei personaggi pirandelliani che, rifiutati come possibilità, si rifugiano nell’impossibile possibilità di essere scacciati dalla commedia e pur rappresentati. 338 168 168 progettuale che aveva animato quella fissazione delle forme che la caratterizza. Dal punto di vista artisticoestetico bisogna dunque vigilare affinché l’esistenza non si sovrapponga alla «vita del possibile», sebbene, passando ad una prospettiva etica (immanente, secondo Melchiorre, a quella artistica)340, «il possibile non va sostituito all’esistenza» (per non ricadere nelle contraddizioni del kierkegaardiano estetismo)341. Si tratta pertanto di porre il possibile come tale, senza perdersi in esso, cogliendolo, cioè, come simbolo dell’identico, come luogo in cui traspare l’analogia dell’essere: 340 La «ricchezza del possibile», afferma Melchiorre, «vale solo se è in grado di sollevare a se stessa la scelta etica»; e quindi «parlare di eticità dell’arte è dire non dall’esterno, ma dall’intimo stesso dell’arte. Se infatti l’arte dispone il mondo del possibile, dobbiamo anche dire che essa dispone gli spazi della libertà: il suo stesso costituirsi è dunque una funzione del movimento etico dell’uomo e, in tal senso, l’asserto di una assoluta autonomia dell’arte risulta contraddittorio» (Melchiorre 1986b, 45-50).. L’estetico – precisa quindi Melchiorre – «costituisce l’apertura e l’esercizio del possibile», mentre l’artistico la sua «manifestazione assoluta», il momento in cui si giudica della sua «verità» o «menzogna»; l’artistico implica infatti il riferimento alla totalità delle relazioni, alla condizione di possibilità dell’apertura svelata nell’estetico Melchiorre 1986a, 54. 341 Secondo Kierkegaard, ricorda Melchiorre, la poesia è «sempre un di piú» rispetto alla realtà in quanto «apre al possibile e in questo chiama a ciò che non si è». Ma ciò non toglie che «dal punto di vista etico, «la realtà è piú alta delle possibilità», perché la decisione etica implica l’interesse per l’esistenza e «fa essere quel che non si era, quel che appunto era soltanto una possibilità». Ma, all’opposto, la ricchezza del possibile diviene un mero «abbaglio» solo al cospetto di una debolezza della decisione: «Occorre dunque una distanza o un distacco cui la visione estetica deve sottomettersi […] Solo nel distacco della visione creatrice il possibile può vivere in se stesso e giungere al compimento della sua figura, alla definitiva manifestazione della sua positività o della sua negatività» Melchiorre 1986a, 65-6. 169 169 L’immaginazione resta comunque legata ad un che di determinato e, se si sporge verso la relazione, lo fa pur sempre a partire dal determinato: può farlo connotando il suo oggetto immediato nel tessuto delle relazioni che diversamente lo costituiscono, può farlo ancora portando piú a fondo l’universo della connotazione, lasciando cioè trasparire la totalità costituente, l’ “omnia in omnibus” appunto. Ma anche l’«omnia» resta in ultima analisi indeterminato, in quanto non può che apparire sempre e solo il suo simbolo: la totalità resta, in definitiva, «un significato che può emergere solo simbolicamente, all’interno di un significato primario, piú o meno determinato; e che, nella sua prevalente indeterminazione, può darsi con maggiore o minore evidenza ma mai assolutamente».342 Ed è proprio in questa intenzionalità simbolica dell’essere, che la fenomenologia tanto contribuisce ad evidenziare, che si ritaglia secondo Melchiorre l’orizzonte dell’estetica. 342 Melchiorre 1986b, 39. 170 170 Bibliografia Questa bibliografia scioglie le sigle utilizzate nel testo per i rinvii bibliografici ed elenca anche altri materiali utilizzati sulla presenza in Italia dell’estetica fenomenologica. Le voci sono ordinate alfabeticamente e, in subordine, cronologicamente; quando nello stesso anno vi sono piú scritti di uno stesso autore, la data è seguita da lettere minuscole progressive. I volumi miscellanei compaiono come AAVV ed il curatore, se indicato, compare fra parentesi tonde dopo il titolo. La dizione «contiene» posta alla fine di alcune voci non ha lo scopo di informare su tutto il contenuto del volume ma indica le singole voci bibliografiche in esso contenute presenti in questa bibliografia. La dizione «traduce» indica la sigla dell’originale su cui è stata svolta una traduzione. T sta per traduttore, R per recensione di. AAVV 1927: Proceedings of the sixth International Congress of Philosophy, Harvard 13-17 sept. 1926, New York, 1927. Contiene: Geiger 1927a; 1927b. 1929: Festschrift Edmund Husserl zum 70. Geburstag gewidmet, Halle, 1929. Contiene: Becker 1929, Ingarden 1929. 1937: II Congrés international d’Esthétique et de Science de l’art, Paris, 1937. Contiene Brinkmann 1937. 1957: Atti del congresso internazionale di estetica, Venezia 3-5 settembre 1956, Cuneo, 1957. Contiene: Anceschi 1957; Bagliolo 1957; Ingarden 1957a. 1958: Il giudizio estetico. 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