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De Caro - Note sulla fenomenologia dell'estetico - Husserl Hartmann

REPRINT
EUGENIO DE CARO
NOTE SULLA
FENOMENOLOGIA
DELL’ESTETICO
EUGENIO DE CARO
NOTE SULLA
FENOMENOLOGIA
DELL’ESTETICO
Milano 1996
© 1996-2013 EDUCatt - Ente per il Diritto allo Studio Universitario dell’Università Cattolica
Largo Gemelli 1, 20123 Milano - tel. 02.7234.22.35 - fax 02.80.53.215
e-mail: [email protected] (produzione); [email protected] (distribuzione)
web: www.educatt.it/libri
ISBN: 978-88-6780-039-1
Associato all’AIE – Associazione Italiana Editori
Questo volume è stato stampato per la prima volta nel mese di settembre 1996 presso la Litografia Solari
(Peschiera Borromeo) e, nel mese di ottobre 2013, in ristampa anastatica rispettosa dell’originale.
Indice capitolare
pagina
Introduzione
1. Wertnehmung e oggettivazione estetica in
Edmund Husserl
5
11
Estetica come Wertlehre
14
Piacere e valore estetici: das Interesse an der
Erscheinung
17
Wertnehmung e predicabilità del bello
24
Conoscenza estetica come intenzionamento del
possibile
31
2. Un progetto di estetica fenomenologica:
Stefano Zecchi
37
Estetica e atteggiamento scientifico
38
Fenomenologia costitutiva
39
Esperienza ed evidenza: la descrizione fenomenologica
41
Prassi costitutiva e intenzionalità corporea
43
Fenomenologia dell’arte
47
Piacere estetico
50
Eideticità e costituzione: una base estetica
dell’analitica
52
3. Praxis e tradizione. Sui rapporti tra arte
e fenomenologia
61
4. Nota sulla fortuna italiana della prima
estetica fenomenologica
71
A. Bibliografia ragionata delle traduzioni dalla
prima estetica fenomenologica
Roman Ingarden
Nicolai Hartmann
Waldemar Conrad
Moritz Geiger
Max Dessoir
Fenomenologia e arte
Aloys Fischer
72
72
75
77
78
80
80
81
B. Le origini dell’estetica fenomenologica nella
loro fortuna italiana
82
L’oggetto che interroga il fruitore: Waldemar
Conrad
85
Essenza e significato dell’arte. Estetica
fenomenologica in Walter Meckauer e Oskar
Becker
90
Soggettività e oggettività dei momenti estetici
96
Ontologia dell’arte, valore, costituzione in
Roman Ingarden
Schema e costituzione dell’opera letteraria
Modificazione di neutralità ed emozione
originaria
Critica e assiologia
101
101
106
110
Moritz Geiger e la fenomenologia della fruizione
estetica
Anschauliche Fülle e fruizione estetica
114
119
Sul rapporto arte-possibilità in Nicolai
Hartmann
Fenomenologia e ontologia
Possibilità nella realtà dell’arte
Realtà, prassi, progetto
123
125
130
132
5. Fenomenologia e «aggancio metafisico»
nell’estetica di Elisa Oberti
135
Estetica e metafisica
136
Datità sensibile ed opera: la potentielle Offenbarung di Ingarden
143
Concetto sensibile e ulteriorità: l’universale
senza interpretazione
151
6. Arte, estetica e possibilità secondo
Virgilio Melchiorre
157
Duplicità dell’arte: possibilità e immaginazione
;158
Piacere e perfezione .i.ontologic;a;
163
Estetica e .i.metafisica: la possibilità come
simbolo dell’identico
165
Bibliografia
171
Introduzione1
Questo volume offre una rielaborazione e uno
sviluppo di un precedente lavoro2 in cui si faceva il
punto sull’interpretazione nel nostro paese delle poche
ma dense notazioni husserliane sull’estetica e sulla
diffusione in Italia del pensiero dei primi esponenti
dell’estetica fenomenologica tedesca. Rispetto alla
precedente edizione vengono lasciati in secondo piano
alcuni aspetti legati alla ricostruzione storica del
crescente interesse occorso in Italia, a partire dagli
anni Cinquanta, per il pensiero di Husserl e dei suoi
primi seguaci, mentre priorità viene ora data alla
evidenziazione e allanalisi dei luoghi teoretici maggiormente rilevanti in ordine alla possibile fondazione
di unestetica fenomenologica.3
Il primo capitolo è dedicato alla interpretazione
del manoscritto A VI 1 di Edmund Husserl dal titolo
Ästhetik und Phänomenologie, letto con riferimento
anche ad altri luoghi della produzione husserliana –
1
Le citazioni dalla letteratura primaria e secondaria verrano effettaute
mediante sigle costituire dal cognome dell’autore e dall’anno di edizione,
seguiti dal numero di pagina. Tutte le sigle sono facilmente scioglibili nella
bibliografia.
2
Eîdos. Una ricerca sulla fortuna italiana dell’estetica fenomenologica - De Caro 1990.
3
Alcuni capitoli sono stati ampliati, altri spostati o ridotti, tutti comunque ritoccati e aggiornati. Più specificamente, sono state omesse una
nota sull’attività di traduzione dell’opera di Husserl e l’appendice sui
rapporti fra Husserl e Lipps. La bibliografia, aggiornata con i lavori degli
ultimi cinque anni, viene invece ripresentata per intero.
5
5
in particolare alle Logische Untersuchungen, a Ideen I
e Ideen II, assieme ad altri inediti – e considerando il
dibattito che una prima parziale pubblicazione
italiana del manoscritto nel 1972 ebbe a suscitare. Se
ne potrà concludere, come avremo occasione di esplicitare, lindubbio rilievo di queste prime e uniche
riflessioni husserliane sullestetica, dovuto sia la loro
intrinseco interesse estetologico, sia al loro nesso con
altri temi portanti del pensiero dellautore quali la
costituzione oggettuale, la genesi attiva e passiva,
l’intenzionalità fungente e la fenomenologia del valore
– nella quale, secondo un piano prospettato nella
Einleitung in die Logik und Erkenntnistheorie.
Vorlesungen 1906/07, l’estetica avrebbe dovuto occupare un posto eminente, a fianco dell’etica.4
L’attenzione riservata in Italia alle brevi note
d’estetica stese da Husserl ha prodotto un cospicuo
numero di interventi volti sia a interpretare il testo,
frammentario, ma ricco di spunti, sia a cercare di
trarne sollecitazioni in vista di una fondazione
fenomenologica dell’estetica. Tra questi diversi
lavori,5 il capitolo secondo isola un gruppo di studi
sviluppati tra la fine degli anni Sessanta e i primi
anni Settanta da Stefano Zecchi, lautore che per
4
Il progetto di una fenomenologia del valore estetico adombra
evidentemente un fecondo e poco esplorato campo di ricerca relativo ai
rapporti tra estetica ed etica a cui sarà dedicato il capitolo sesto.
5
Queste Note – va precisato – non avanzano alcuna pretesa di esaustività rispetto a un possibile e auspicabile bilancio complessivo
sull'estetica fenomenologica italiana; l'intento dei contributi qui proposti è
invece principalmente, come s’è detto, quello di individuare, all'interno del
dibattito sull’estetica fenomenologica, alcuni essenziali punti teoretici sui
quali è possibile far leva in vista di una fondazione fenomenologica
dell'estetica.
6
6
primo ha messo in circolazione il contenuto del
manoscritto A VI 1 attraverso una sua parziale
edizione-traduzione.6
Nel capitolo terzo viene focalizzato un altro punto teoretico di rilievo per il pensiero estetico e in particolare per la fenomenologie delle poetiche e la
storiografia estetica proposte da Luciano Anceschi7,
vale a dire la dialettica tra ʺtradizioneʺ e ʺinnovazioneʺ nei suoi rapporti con lorizzonte della praxis. Anche in questo caso, come si vedrà, la riflessione si collega a problematiche più generali legate alla cosiddetta ʺcostituzione fenemenologicaʺ e quindi anche ai
rapporti tra arte e fenomenologia.
Piú mirato ad aspetti storici e storiografici è invece il capitolo quarto in cui, senza trascurare di evidenziare anche qui il portato teorico dei vari contributi, si fa il punto sulla diffusione in Italia delle fonti
della prima estetica fenomenologica tedesca, avvenuta
principalmente per merito di Gabriele Scaramuzza.8
Considerando che i primi esponenti dell’estetica
fenomenologica sono stati oggetto d’attenzione e di
studio anche in contesti filosofici affatto differenti,
6
Zecchi 1972a.
Per l’altra fondamentale corrente dell’estetica fenomenologica
italiana facente capo alla scuola bolognese che ha parimenti contribuito a
caratterizzare e arricchire il panorama degli studi estetologici negli ultimi
decenni si rinvia agli esaurienti lavori di Lino Rossi e Carlo Gentili: Rossi
L. 1976a; Rossi L. 1983; Gentili 1981.
8
Il recente volume sull’Estetica monacense (AAVV 1996) curato da
Gabriele Scaramuzza ha ulteriormente arricchito la disponibilità delle fonti
dell’estetica fenomenologica grazie alla edizione di nuovi saggi su Geiger,
Ingarden, Benjamin e ad un prezioso intervento sul pensiero estetico di
Aloys Fischer, autore che, come si vedrà, dovette giocare un ruolo non secondario anche per le riflessioni husserliane sull’estetica.
7
7
7
negli ultimi due capitoli le letture sino a quel momento presentate vengono messe a confronto con quelle
proposte da due esponenti che hanno contribuito allo
sviluppo degli studi estetologici nellarea cattolica
milanese quali Elisa Oberti e Virgilio Melchiorre.
Il quinto capitolo analizza pertanto il volume
Estetica. Teoria dell'oggetto artistico come presenza
evidenziata (1962) di Elisa Oberti, opera che, nel panorama dell’estetica fenomenologica italiana, occupa
un posto del tutto particolare. Dopo un confronto con
alcuni esponenti della prima estetica fenomenologica
tedesca (Waldemar Conrad, Moritz Geiger, Roman
Ingarden, Nicolai Hartmann), così come con JeanPaul Sartre, Oberti avanza infatti la proposta di un’estetica fenomenologico-metafisica che, prendendo congedo dalle estetiche metafisiche tradizionali, consenta
di avvicinare, a suo dire finalmente senza pre-concetti
o pre-giudizi, la dimensione sensibile propria dell’arte.
Si delinea in tal modo la prospettiva di un’estetica che
possa indicare la necessità di un «aggancio all’ulteriorità», senza per questo abdicare alla propria autonomia disciplinare. Questo documenta ulteriormente
lampio spettro di posizioni che linteressante confronto apertosi in Italia da qualche decennio con i primi
esponenti dellestetica fenomenologica è stato in grado
di produrre.
Nel capitolo sesto vengono infine analizzate alcune riflessioni sul rapporto tra arte e possibilità
sviluppate di Virgilio Melchiorre; in esse un ruolo
centrale è assegnato alla fenomenologia husserliana e
specificamente al manoscritto A VI 1 di Husserl.
Come già nel caso di Elisa Oberti, si profila anche qui
una linea di lettura del pensiero husserliano di
impostazione alquanto differente rispetto a quelle
8
8
considerate nei capitoli precedenti, linea che conduce
Melchiorre a identificare nel piacere estetico lindice
di una corrispondenza ontologica tra uomo e natura e
lopera darte come il luogo simbolico capace di
attivare lintenzionalità analogica dell'essere che
caratterizza a suo avviso luomo in quanto tale.
È proprio in ragione della documentazione della
differenza tra i risultati provenienti dalle varie letture
e attualizzazioni dellestetica husserliana e dei primi
teorici dellestetica fenomenologica che questo nostro
breve repertorio sulla fenomenologia dell'estetico ha
preso forma e ci sembra mantenga, pur nella sua asistematicità, una sua specifica pertinenza: esso intende infatti offrire una documentazione delle differenti
linee teoretiche che la ricezione del metodo fenomenologico di Edmund Husserl è in grado di attivare e del
portato che tale metodologia può liberare nel processo
di ri-fondazione dell'estetica attualmente in corso all'interno del pensiero estetologico italiano contemporaneo. Un processo in cui la fenomenologia, come ora
si vedrà, sembra poter in definitiva contribuire a ridisegnare la funzione epistemologica rivestita dallarte
entro lo statuto (filosofico) dellestetica.
Fra tutti coloro che mi sono stati di aiuto nel corso della ricerca
desidero soprattutto ringraziare: il prof. Gabriele Scaramuzza
che, con cordiale disponibilità, mi ha consigliato e mi ha fornito
utili notizie sul movimento dell’estetica fenomenologica; il prof.
Elio Franzini che, molto gentilmente, mi ha indicato preziosi
riferimenti bibliografici; il prof. Francesco Piselli che, con paterna dedizione, mi ha seguito nel corso delle indagini e col quale
ho discusso alcuni passaggi teoretici; il prof. Amedeo Giovanni
Conte che mi ha aiutato su questioni filologiche ed etimologiche
reltivamente alla lingua tedesca. A tutti va la mia piú sentita
riconoscenza.
Palazzolo sull’Oglio (Bs), 30 agosto 1996
9
9
Wertnehmung e oggettivazione estetica
in Edmund Husserl
L’interesse di Husserl per l’estetica è sporadico
ma non privo di diversi spunti teoretici, in gran parte
concentrati su un gruppo di fogli manoscritti catalogati all’Archivio Husserl di Lovanio sotto la sigla A VI
1. Si tratta di appunti non molto sistematici e stesi in
diversi momenti, con ogni probabilità a partire dal
1906 e sino al 1918, quando vennero raccolti in un
unico plico portante il titolo Ästhetik und Phänomenologie; attraverso di essi, nonostante una certa difficoltà interepretativa, si possono ricostruire alcune direttive di fondo del pensiero husserliano sull’estetica, il
quale non ha peraltro ricevuto, nemmeno successivamente, alcun organico sviluppo.9
Anzi, per quanto possa sembrare un po’ para9
In verità, alcuni accenni a tematiche estetologiche si trovano già
nelle Logische Untersuchungen (1900-01) e si incontreranno anche in
diverse altre opere; si tratta però quasi sempre di esemplificazioni introdotte a sostegno di altre argomentazioni e dalle quali difficilmente si
potrebbe dedurre un quadro dottrinale unitario. Non è del resto un caso se
gli stessi esponenti dell’estetica fenomenologica, che pur guardavano con
molto entusiasmo alle Ricerche Logiche, non avevano preso le mosse dai
diversi riferimenti all’arte (letteratura, statue, dipinti, mimica, melodie),
alla bellezza naturale, all’artista, all’atteggiamento o al piacere estetici qua
e là introdotti da Husserl in quest’opera, e nemmeno dalle notazioni sulla
fantasia o sulla coscienza d’immagine, ma avevano cercato di far propria
l’impostazione metodologica generale della ricerca, al fine di trasporre
entro i domini dell’estetica l’antipsicologismo e l’antinaturalismo che avevano animato la fondazione husserliana della logica. Cfr. su ciò
Scaramuzza 1989, 31-42; per un quadro della situazione dell’estetica nei
primi anni del secolo cfr. Geiger 1996b e Geiger 1996a. Sui primi sviluppi
dell’estetica fenomenologica cfr. Scaramuzza 1976, 1989 e 1996c.
11
11
dossale, è probabilmente grazie ai contatti coi primi
studiosi dell’estetica fenomenologica che Husserl fu
spinto a prestare una certa attenzione alle possibili
estensioni all’estetica della fenomenologia o, perlomeno, ad esplicitare l’analogia che di fatto veniva a
sussistere fra l’epoché fenomenologica e l’atteggiamento estetico.10 Che Husserl sia stato in qualche
modo sollecitato ab extra a riservare qualche attenzione alle questioni dell’estetica sembra esser infatti
documentato dal fatto che alcuni importanti passaggi
teoretici del ms A VI 1 provengono dichiaratamente
da Aloys Fischer e Johannes Daubert, due studiosi
della cerchia di fenomenologi di Monaco che il 17
aprile 1906 gli fecero visita a Göttingen proprio per
discutere questioni sull’oggettività estetica.11 Alcuni
dei nuclei tematici annotati in quell’occasione da
Husserl si ritrovano infatti nella dissertazione per l’abilitazione di Fischer presentata nel 1907,12 ed analogie anche con altri studiosi monacensi sono state di
recente evidenziate da Gabriele Scaramuzza e Karl
Schuhmann.13 Allo stesso 1906, inoltre, risale anche
un altro importante foglio del ms A VI 1 che porta il
10
Sui rapporti fra arte e fenomenologia cfr. Scaramuzza 1976;
Felmann 1982; Scaramuzza 1989, 61-81; AAVV 1991; Franzini 1994;
Sepp 1996; Scaramuzza 1996c.
11
Per le vicende biografiche di Husserl si veda Schuhmann 1977. In
conclusione ai due fogli del manoscritto intitolati Ästhetische Objektivität
Husserl annota che le riflessioni che ha appena riassunto provengono nella
loro parte principale «von den beiden Freunden» Husserl ms A VI 1,
Scaramuzza-Schuhmann 1990, 173.
12
Un resoconto analitico della dissertazione dattiloscritta si trova in
Scaramuzza 1996c.
13
Scaramuzza-Schuhmann 1990; tr. it. 1992.
12
12
titolo Ästhetik14, mentre dell’inizio dell’anno successivo è la lettera a Hugo von Hofmannsthal, della
quale vi è pure un abbozzo sul manoscritto.15
Successivamente a questi eventi, come si è detto,
Husserl non ha dedicato alcun lavoro specifico
all’estetica come ambito autonomo del sapere, avendo
operato tuttavia saltuari riferimenti od esemplificazioni sui temi dell’oggettivazione, del piacere e del
valore estetici o dell’epoché spontaneamente praticata
dall’artista. Tali notazioni, sparse nelle sue opere
edite e inedite, possono certamente essere utilizzate
per dare maggiore organicità a quanto emerge dal
manoscritto A VI 1, che resta comunque la principale
testimonianza dell’interesse husserliano per l’estetica.
Considereremo qui quanto di esso è stato sinora pubunitamente
alla
citata
lettera
a
blicato,16
Hofmannsthal del 12.1.1907 e ad altri passi da Ideen
I, Ideen II, dalla raccolta su Phantasie, Bildbewusstsein, Erinnerung curata da Eduard Marbach,17 dalle
14
In: Husserl 1980, 145-146. Risulta difficile stabilire la sua
anteriorità o posterità rispetto al colloquio coi due studiosi monacensi; cfr.
al riguardo Scaramuzza-Schuhmann 1990, 166 e 174; 1992, 4; 1996, 17.
15
Hirsch 1968, ora anche in Husserl 1994, 133-135; tr. it.:
Scaramuzza 1985, Zecchi-Franzini 1995, 958-961, AAVV 1996, 9-14.
16
Un regesto del manoscritto si trova, volto in italiano, in Zecchi
1972a (rist. in Zecchi 1984, 111-127 e parzialmente in Zecchi-Franzini
1995, 961-963), mentre dell’originale sono stati pubblicati due fogli dal
titolo Ästhetische Objektivität in Scaramuzza-Schuhmann 1990, 171-173
(tr. it. Scaramuzza-Schuhmann 1992, 11-14), altri due fogli intitolati Zur
Ästhetik (Kunst), piú un quinto foglio dal titolo Ästhetik sul volume XXIII
di Husserliana curato da Eduard Marbach (Husserl 1980, 144-6 e 540-2).
Per ulteriori notizie sul manoscritto si rinvia alle introduzioni dei curatori
ai luoghi appena citati.
17
Il punto h) del Nr. 15 (Husserl 1980, 386-393) è tradotto in italiano
col titolo Coscienza e sentimento estetico in Franzini-Ruschi 1983, 225231.
13
13
Logische Untersuchungen e dalla Einleitung in die
Logik und Erkenntnistheorie. Vorlesungen 1906/07
edita da Ullrich Melle.
Estetica come Wertlehre
Al centro dell’attenzione di Husserl sta l’oggettività estetica, considerata nella sua strutturale correlazione alla soggettività e nella sua differenza rispetto
all’oggetto naturale; il tratto fondamentale dell’estetico resta però la presenza del valore, come Husserl
afferma anche in un altro importante luogo in cui fa
rientrare l’estetica nella «reine Wertlehre».18 Tuttavia,
le riflessioni husserliane sull’estetica si inscrivono
necessariamente anche nel contesto della complessa
teoria della modificazione degli atti intenzionali percettivi, visto che, come espliciteremo tra breve, il valore estetico si gioca tutto sul piano dell’Erscheinung,
cioè del concreto rapporto ad un soggetto intenzionale;
quando Husserl tratta dell’oggettività estetica sembra
18
Cosí leggiamo nella Einleitung in die Logik und Erkenntnistheorie.
Vorlesungen 1906/07: «Ersetzen wir die reine Logik durch reine Ethik,
reine Ästhetik, reine Wertlehre überhaupt, Disziplinen, deren Begriffe nach
Analogie der reinen Logik streng und von aller empirischen und materialen
Moral usw. unterschieden definiert werden müßten, dann entspricht der
Erkenntnistheorie oder Kritik der theoretischen Vernunft die Kritik der
praktischen, der ästhetischen, der wertenden Vernunft überhaupt, mit
analogen Problemen und Schwierigkeiten wie die Erkenntnistheorie. […]
Und endlich entspricht der reinen Wertlehre und der Wertungskritik die
Phänomenologie
der
ethischen,
ästhetischen
und
sonstigen
Wertungserlebnisse, die Voraussetzung und das Fundament der Auflösung
der wertungskritischen Schwierigkeiten. Schließlich kann man den Begriff
der Phänomenologie erweitern zu einer allumfassenden Wesensdeskription
und -analyse, also zu einer Aufweisung und analytischen Zergliederung
aller Spezies von Erlebnissen, Erlebnismomenten und Erlebnisformen
[…]» Husserl 1984a, 381; cfr. Schuhmann 1988, 242; ScaramuzzaSchuhmann 1990, 169.
14
14
infatti quasi farsi largo una peculiare tipologia di atti
intuitivi della percezione,19 costituita da atti che non
mirano specificamente alla presenza sensibile dell’oggetto, ma che, attraverso questa stessa presenza,
offrono un’originaria (pre-teoretica) intenzione di
valore (Wertintention, Wertnehmung), la quale funge
da base materiale per la costituzione del vero e
proprio oggetto estetico-assiologico.20 Se è vero infatti
19
Rudolf Bernet, Iso Kern ed Eduard Marbach, ordinando materiali
sparsi e in continua modificazione negli sviluppi del pensiero husserliano,
distinguono fondamentalmente tre tipi di atti intuitivi della percezione: 1atti intuitivi presentativi della realtà «in carne ed ossa»; 2- atti che
conferiscono all’oggetto il significato d’immagine; 3- atti della mera coscienza di presentificazione (in cui la presenza dell’oggetto è però sempre
mediata dalla coscienza riproduttiva), la quale può essere a sua volta tetica
(ricordo, co-presentificazione, aspettazione), o non-tetica (pura fantasia);
cfr. Bernet-Kern-Marbach 1992, capp. IV-V. Gli atti di cui stiamo parlando
(cioè gli atti che, essendo fondati sul coglimento sentimentale del valore,
costituiscono la vera e propria oggettività estetico-assiologica) potrebbero
rientrare nella tipologia (2) della coscienza d’immagine (cioè della
presentificazione non riproduttiva ma fondata percettivamente), nella quale
la coscienza percettiva fondante continua ad agire, ma – spiega Husserl – in
modo del tutto simile al caso della funzione segnica o simbolica: il
simbolo, infatti «appare in sé, ma è portatore di un riferimento a qualche
altra cosa che in esso viene designata. Cosí anche nella vera e propria
funzione d’immagine l’“immagine” è costituita in una propria apprensione
oggettuale ed è portatrice di un riferimento a ciò che è raffigurato» Husserl
1980, 82. Nel ms A VI 1, però, è questione di coglimento di valori, mentre
le distinzioni di cui abbiamo detto sono state elaborate da Husserl in vista
di una teoria della conoscenza; si tratterebbe allora di trasferire quei
risultati nell’ambito dell’assiologia, e questo è ciò che Husserl sembra
abbozzare nei passi che stiamo commentando.
20
A Husserl non interessano tanto le tonalità emotive delle intenzioni
oggettuali quanto piuttosto la distinzione dei diversi strati di predicati
oggettuali. Cosí, infatti, si esprime in Ideen II: «Im ästhetischen Gefallen ist
uns etwas als ästhetisch gefällig, als schön bewußt. Die Ausgangstatsache
sei, daß wir im ästhetischen Gefallen leben, uns also gefallend an das
erscheinende Objekt hingeben. Wir können auf d as Ge fallen
reflektier en, […]. Aber etwas ganz anderes ist den B lick auf d en
– segue –
15
15
che ci si deve astenere dall’interpretare l’esteticità
come una semplice proiezione di vissuti soggettivi e
che la costituzione dell’oggetto estetico-assiologico si
organizza come una sorta di risposta ad una capacità
dell’oggetto, considerato nella sua «sinnliche Komplexion», di provocare una determinata percezione, la
Wertnehmung non può che organizzarsi nello stesso
darsi fenomenico dell’oggettualità; e questo in quanto
è proprio quella complessione sensibile strutturata in
opera dall’artista a suscitare un piacere estetico
(Gefallen), il quale a sua volta, analogamente a
quanto accade nell’epoché fenomenologica, provoca
una modificazione di neutralità della percezione che –
Gegenstand und seine Schönheit richten. Die Schönheit schaue ich am
Gegenstand an, freilich nicht wie seine Farbe oder Gestalt in schlichter
sinnlicher Wahrnehmung; aber am Gegens tand selb st find e ich d as
Schö ne . […] Ich blicke auf das Objekt hin und finde an diesem in meiner
geänderten, nun theoretischen Einstellung die Korrelate dieser Gemütsakte,
eine objektive Schicht, übergelagert über die Schicht d er sinn lichen
P räd ikate […]». Husserl 1952a, 14-15. Tr. it.: «Nel piacere estetico
qualcosa è per noi piacevole esteticamente, è presente alla nostra coscienza
come bello. Prendiamo come fatto iniziale questo: che noi viviamo nel
piacere stesso, e che quindi, attraverso questo piacere, ci dedichiamo
all’oggetto che ci appare. Noi possiamo riflettere su questo piacere […] Ma
una cosa completamente diversa è rivolgere lo s g u a r d o v e r s o
l ’ o g g e t t o e verso la sua bellezza. Io intuisco la bellezza sull’oggetto,
anche se non come un colore o una forma, attraverso una semplice percezione sensoriale; n e l l ’ o g g e t t o s t e s s o i o t r o v o i l b e l l o .
[…] Io guardo l’oggetto e in esso, attraverso il mio atteggiamento
modificato, diventato atteggiamento teoretico, trovo i correlati di quegli atti
dell’emotività, uno strato obiettivo sovrapposto allo s t r a t o d e i
p r e d i c a t i s e n s o r i a l i .» Husserl 1965a, 413-414. Si condivide
dunque la posizione di Bernet, Kern e Marbach, quando affermano:
«Husserl concepisce l’interesse soggettivo che regola il deflusso del
processo di percezione primariamente come interesse scientifico conoscitivo, diretto ad una presa di conoscenza massima (o adeguata) della
cosa, e non come un interesse rivolto al godimento estetico o
all’utilizzazione tecnico-pratica» Bernet-Kern-Marbach 1992, 169.
16
16
e qui sta appunto la specificità dell’estetico – sposta
l’intenzionalità soggettiva dall’orizzonte delle mere
Sachen a quello dei Werte. E tuttavia, essendo qui in
causa nient’altro che un valore «estetico», quest’ultimo
non si riferisce ad altro che al modo di apparizione
dell’oggetto. L’intenzione coscienziale atteggiata
estetico-assiologicamente, in altri termini, riesce a
prescindere dalla presenza «naturalistica» dell’oggetto, volgendosi specificamente alle sue modalità di
presentazione fenomenica nella percezione, modalità
che, proprio in quanto svelano una strutturale copresenza del soggetto alla significatività dell’oggetto,
qualificano quest’ultimo come dotato di valore.
Piacere e valore estetici: das Interesse an der Erscheinung
La prima fondamentale costante che si coglie
nelle riflessioni husserliane sull’estetica contenute nel
ms A VI 1,21 è la relazione che viene stabilita fra
piacere estetico e valore,22 cioè, potremmo dire, fra
momento soggettivo e momento oggettivo dell’esperienza estetica. Il momento soggettivo, però, non interessa a Husserl per il suo portato psicologico ma in
quanto coinvolto nella costituzione degli oggetti estetico-assiologici; la riflessione husserliana si concentra
infatti sui modi specifici di intenzionalità grazie a cui
21
Si tratta, come s’è accennato, soprattutto di appunti frammentari che
non sono stati né pensati per un ben definito destinatario, né preparati per
una qualche edizione. Cerco tuttavia di restituire, dal fitto e rapsodico
argomentare husserliano, un disegno teorico d’insieme.
22
«Il puro piacere estetico è la scoperta del valore originario» Husserl,
ms A VI 1, p. 2; Zecchi 1972a, 83. Dei passi originali husserliani non ancora pubblicati riporto, come in questo caso, la sola traduzione di Zecchi; il
numero di pagina si riferisce alla trascrizione dattiloscritta presente in
Archivio e utilizzata per la traduzione.
17
17
l’oggetto, staccandosi dall’orizzonte della «bloße
Sache», acquisisce predicati di valore estetico.
Un secondo punto centrale è l’analogia individuata da Husserl fra l’atteggiamento dell’artista e
quello del fenomenologo, fondata sul fatto che entrambi lasciano fuori gioco l’atteggiamento naturale e
si volgono intuitivamente alle strutture essenziali
della realtà:
L’opera d’arte ha un effetto estetico: si muove nella
visione pura, in cui ogni posizione d’esistenza viene
esclusa. […] La visione fenomenologica non è una visione per il godimento estetico (Genuß), ma per esercitare la riflessione e cogliere in essa l’essenza immanente, il senso immanente di ogni valutazione sia conoscitiva che estetica che etica. L’artista che osserva
e prende in esame il mondo, attinge da questo
materiale per le forme artistiche, si comporta esattamente come il fenomenologo, dunque non come un
naturalista o un osservatore pratico.23
Per qualificare appieno l’oggetto estetico non è
però sufficiente affermarne la differenza rispetto agli
oggetti naturali e rifarsi a un’intenzione eidetica dell’artista;24 essenziale alla costituzione estetica è infatti anche il vissuto di piacere (Gefallen), il quale
23
Husserl ms A VI 1, pp. 6-7; Zecchi 1972a, 85.
«La riduzione a fenomeno dell’evento estetico […] non significa
solo l’emergere dell’oggetto estetico nella sua pura autonoma struttura,
eliminato ogni presupposto naturalistico (come interpreteranno Conrad,
Geiger, Ingarden). Visto nella globalità delle sue valenze, implica piuttosto
– e questo è di enorme importanza – l’emergere dell’oggetto estetico in
quanto oggetto costituito […]. Proprio questa attività costitutrice del
soggetto, che dissolve la dura estraneità delle cose nella loro presenza di
senso agli uomini, viene rivelata dalla riduzione fenomenologica».
Scaramuzza 1976, 75-6.
24
18
18
viene ad essere la base fondante su cui si costituisce il
vero e proprio valore estetico. Quest’ultimo si può infatti far presente all’intenzione coscienziale solo sulla
base di una modificazione di un atto pre-teoretico fruitivo, grazie al quale viene spontaneamente operata
un’epoché: «es ist ein Gefallen, das die Existenz
ausser Spiel lässt und wesentlich bestimmt ist durch
die Erscheinungsweise».25
La costituzione del valore estetico è dunque è
possibile solo sulla base di un’epoché che non viene
operata, come nel caso dell’analisi fenomenologica, per
motivi teoretici, ma che scatta sul fondamento di un
vissuto fruitivo: la coscienza che vive nel piacere lascia
perdere il mondo alla mano, già dotato di un senso, e
si volge invece al modo dell’apparizione, si volge cioè
alla genesi del valore come valore estetico. E ciò
comporta evidentemente un essenziale coinvolgimento
della soggettività nella costituzione oggettuale.26
25
Husserl 1980, 145, n. 1. «È un piacere, che lascia fuori gioco l’esistenza, ed è essenzialmente determinato dal modo di apparizione».
26
È di questi anni la cosiddetta svolta trascendentale husserliana,
chiaramente teorizzata in queste annotazioni del settembre 1907, che
riportiamo a titolo esemplificativo: «Per una fenomenologia che voglia
essere gnoseologica, per una dottrina (a priori) dell’essenza della conoscenza, il rapporto empirico rimane […] neutralizzato (ausgeschaltet)».
Primo e fondamentale corollario è l’abbandono di ogni indagine oggettuale
in sé e per sé assunta: «La fenomenologia trascendentale è fenomenologia
della co scienza co sti tuente, e quindi nessun particolare assioma oggettivo (in relazione ad oggetti che non siano coscienza) vi può essere introdotto». Essa è scienza di apparizioni: «L’interesse trascendentale,
l’interesse della feno meno lo gia tr a scend entale, va piuttosto alla coscienza come coscienza, va solo ai feno meni, e ai fenomeni in senso duplice: 1) nel senso dell’apparenza in cui l’oggettività (Objektivität) appare,
2) dall’altro lato, nel senso dell’oggettività considerata solo in quanto
appare, appunto, nelle apparenze, e quindi in modo “trascendentale”, con
– segue –
19
19
L’oggettività – prosegue Husserl – può infatti venir costituita a due livelli: come oggetto teoretico o
come oggetto estetico-assiologico; quest’ultimo dipende dall’aspetto dell’oggettività che viene specificamente intenzionato, cioè da come quell’oggettività,
grazie appunto alle intenzioni soggettive, appare esteticamente:
Bin ich in der ästhetischen Stellungnahme, habe ich
das Objekt aufgefaßt, so wie ich es auffassen soll
(nämlich von der Seite, mit dem Bedeutungsgehalt
verdeckter Art, mit dem Hauch, der die ästhetischen
Gefühle weckt, die der Künstler geweckt haben will),
dann erscheint mir das ästhetische Objekt […]. 27
Pertanto:
unter ästhetischer Objektivität […] es kann aber
auch gemeint sein die Komplexion von Werten, die
in der Werterscheinung erscheint […].28
Il confine fra valore e apparenza-del-valore è dunque
esclusione di ogni posizione (Setzung) empirica» Husserl ms. B II 1, in:
Vasa 1981, 11.
27
Husserl ms A VI 1, in Scaramuzza-Schuhmann 1990, 172; «Se sono
in una presa di posizione estetica, se ho appreso l’oggetto come devo
apprenderlo (vale a dire dal lato, col contenuto significativo nascosto, con
quell’atmosfera, che risveglia i sentimenti estetici che l’artista voleva
risvegliare), allora mi appare l’oggetto estetico» Scaramuzza-Schuhmann
1992, 13. Stefano Zecchi commenta: «L’esserci dell’oggettività estetica
viene fatto risalire agli atti intenzionali che costituiscono immagini e pensieri o forme simboliche che, a loro volta, portano all’ “apparenza”, alle
manifestazioni fenomeniche, particolari valori estetici. Viene cosí messo in
questione un aspetto del modo di costituirsi dell’oggettività, quello che può
fare emergere geneticamente il valore estetico» Zecchi 1972a, 86.
28
Husserl ms A VI 1, in Scaramuzza-Schuhmann 1990, 172; «come
oggettività estetica può essere intesa anche la complessione dei valori che
appare nell’apparenza del valore» Scaramuzza-Schuhmann 1992, 13.
20
20
molto sottile, tanto che il modo d’apparizione del valore sembra coincidere con lo stesso valore dell’oggetto
estetico.29 Il mostrarsi del valore, in altri termini, si
costituisce come valore, proprio in quanto quest’ultimo
è qui ormai un valore di apparizione, non piú un
valore in sé e per sé considerato. Corrispondentemente, l’intenzione coscienziale si sposta sul processo
costitutivo dell’oggetto, pone cioè ad oggetto quello
stesso processo che costituisce l’oggettività come
oggettività estetica.
L’attuazione, la realizzazione (Erfüllung) dell’oggetto estetico è comunque, secondo Husserl, progressivo: agli atti costituenti l’«oggettività (teoretica) fondante»30 se ne sostituiscono altri che via via realizzano
29
Husserl afferma che poche rappresentazioni dell’oggetto sono
compatibili con l’apprezzamento, sono, cioè, estetiche. Il piacere estetico –
riassume Zecchi – diviene dunque «l’indicazione di particolari atti intenzionali che in un processo genetico costituiscono ciò che nelle variazioni sensibili si unifica in rappresentazione con una propria legalità oggettuale estetica». Zecchi, 1972a, 90. Sulla stessa linea – in riferimento al
medesimo luogo husserliano – Luigia Di Pinto: «L’opera d’arte è dunque
riconducibile ad una apprensione sensibile, ma non è assolutamente
riducibile ad essa soltanto poiché l’apprensione sensibile-materiale è solo
la struttura piú semplice ed evidente dell’opera d’arte. L’opera d’arte in
senso proprio è la modalità in cui una connessione di rappresentazioni
aventi un oggetto unitario produce piacere estetico: meglio, il passaggio
qualitativo dall’oggetto sensibile all’oggetto estetico è prodotto dal
“piacere estetico”; questo passaggio qualitativo non è perciò un’operazione intenzionale riducibile ad un rapporto di mera dipendenza causale
poiché è invece un rapporto funzionale di distinzione-correlazione conseguente ad un’operazione attiva del soggetto». Perciò: «La configurazione
dell’oggetto estetico costituito è il risultato di un progressivo riempimento
di significato in cui il valore si definisce come valore di ciò che per me
diviene estetico» Di Pinto 1978, 48-50 (il corsivo, che occupava quasi tutto
il passo, è stato omesso).
30
L’espressione «fundierende (theoretische) Objektivität» si trova nel
ms A VI 1 (Scaramuzza-Schuhmann 1990, 171), ma era stata usata anche
– segue –
21
21
i «sentimenti di valore (Wertgefühle)» suscitati dall’apparizione estetica appropriata:
Das ästhetisch bedeutsame und bedeutsam
werdende Objekt baut sich normaler weise
schrittweise auf: Der Künstler versetz mich in eine
Situation, und zwar gibt er mir sie intuitiv oder
symbolisch gerade in der Weise, daß ein gewisses
Werten erregt wird, das gibt mir dann im nächsten
Schritt eine Direktion. Es werden die und die
Assoziationen erregt und bei ihr gerade Seite
wirksam, die gewisse Stimmungen, Gedanken etc.
weckt, die nun wieder neue “Wertgefühle” erregen
[…].31
Si verifica dunque qualcosa come un’intenzionalità secondaria,32 in cui, una volta sospesa l’oggettivazione
da Aloys Fischer nella sua tesi per l’abilitazione; cfr. su ciò Scaramuzza
1996c, 213-5. Di atti (e non però di oggetti) fondanti e fondati Husserl
aveva già parlato nelle Logische Untersuchungen; al § 18 della Quinta
ricerca come esempio di atto fondato viene proposta la gioia, e poco oltre,
al §. 41 la distinzione si sviluppa in quella fra intenzioni primarie e
secondarie e viene nominato, come atto secondario fondato, anche il
sentimento estetico. Cfr. oltre nota 28; di Husserl cfr. anche Terza ricerca
§. 14 e §. 16; Sesta Ricerca §. 48.
31
Husserl ms A VI 1, in Scaramuzza-Schuhmann 1990, 173.
«L’oggetto esteticamente significativo e che si fa tale normalmente si costruisce per gradi: L’artista mi immette in una situazione, e me la dà intuitivamente o simbolicamente proprio in modo che viene suscitato un certo valutare, questo mi dà poi una direzione nel passo successivo. Vengono suscitate queste e quelle associazioni, e in questa associazione si fa attivo
proprio quel lato che risveglia certi stati d’animo, pensieri, ecc., che a loro
volta suscitano nuovi “sentimenti di valore» Scaramuzza-Schuhmann 1992,
14. L’oggetto estetico-assiologico, ne conclude Husserl, è quello che si
costituisce sulla base di quei determinati valori che sono propri
dell’oggetto, dell’opera d’arte.
32
Afferma Husserl nella Quinta ricerca logica: «Die Beziehung auf
eine Gegenständlichkeit konstituiert sich überhaupt in der Materie. J e d e
– segue –
22
22
teoretica posizionale, si verifica una seconda oggettivazione teoretica – fondata, però, come s’è visto,
sugli stati d’animo in cui il valore oggettuale viene
inizialmente colto intuitivamente nella fruizione – che
completa con predicati estetico-assiologici l’oggetto
(che, nel giudizio, potrà perciò esser qualificato come
bello). Solo quando il valore, prima vissuto e poi posto
di fronte teoreticamente, viene identificato nell’oggetto
si può dunque parlare di oggetto estetico(-assiologico)
costituito in senso pieno. Si comprende pertanto
l’importante notazione husserliana secondo cui
il modo in cui l’apprezzamento fa parte del “modo di
rappresentazione” e crea oggettivamente il suo proM a t e r i e ist aber, so sagt unser Gesetz, M a t e r i e e i n e s o b j e k t i v i e r e n d e n A k t e s und kann nur mittels eines solchen zur Materie
einer neuen, in ihm fundierten Aktqualität werden. Wir haben
gewissermaßen p r i m ä r e und s e k u n d ä r e I n t e n t i o n e n zu
unterscheiden, von welchen die letzteren ihre Intentionalität nur der
Fundierung durch die ersteren verdanken. Ob im übrigen die primären,
objektivierenden Akte den Charakter der setzenden (fürwahrhaltenden,
glaubenden) oder nichtsetzenden (“bloß vorstellenden”, neutralen) haben,
ist für diese Funktion gleichgültig. Manche sekundäre Akte verlangen
durchaus Fürwahrhaltungen, wie z. B. Freude und Trauer; für andere
genügen bloße Modifikationen, wie z. B. für den Wunsch, für das
ästhetische Gefühl.» Husserl 1984c, I, 515. Tr. it.: «Il riferimento ad
un’oggettualità si costituisce in generale nella materia. Ma ogni materia,
cosí dice la nostra legge, è materia di un atto oggettivante e solo per mezzo
di un simile atto può diventare materia di una nuova qualità d’atto in esso
fondata. Noi dobbiamo distinguere, in certo modo, le intenzioni primarie
da quelle secondarie: queste ultime sono debitrici della loro intenzionalità
al fatto che sono fondate nelle prime. In rapporto a tale funzione è poi
indifferente che gli atti primari, oggettivanti, abbiano il carattere di atti
posizionali (atti di credenza, assunzioni di verità) o non posizionali (atti di
“mera rappresentazione”, neutrali). Molti atti secondari richiedono
indubbiamente delle assunzioni di verità, ad es., la gioia o la tristezza; per
altri sono sufficienti semplici modificazioni, come nel caso del desiderio o
del sentimento estetico.» Husserl 1968a, II, 280.
23
23
dotto di valore, fa parte dell’oggetto “poesia”, “sinfonia”, ecc.33
Wertnehmung e predicabilità del bello
Lasciamo ora momentaneamente il manoscritto
A VI 1 per confrontare quanto sinora visto con alcuni
passi di Ideen II in cui Husserl propone altri importanti riferimenti all’oggetto estetico. Leggiamo infatti
nel primo capitolo:
Die ursprünglichste Wertkonstitution vollzieht sich
im Gemüt als jene vortheoretische (in einem weiten
Wortsinne) genießende Hingabe des fühlenden
Ichsubjectes, für die ich den Ausdruck Wertnehmung
schon vor Jahrzehnten in Vorlesungen verwendet
habe.34
L’oggettivazione estetica – sostiene dunque Husserl –
muove da un’originaria Wertnehmung, espressione
che designa qualcosa di analogo, nella sfera dei sentimenti, alla percezione, la quale, nella sfera dossica, significa la presenza originaria (autoafferrante) dell’io
all’oggetto.35
Husserl gioca evidentemente sull’assonanza fra
il termine Wahrnehmung (percezione), e il Komposi33
Husserl ms A VI 1, p. 13; Zecchi 1972a, 89.
Husserl 1952a, 9. Tr. it.: «La costituzione piú originaria del valore
si realizza nell’ambito emotivo, è quella dedizione pre-teoretica e fruitiva
del soggetto-io che sente, una dedizione per la quale , già decenni fa, in
certe mie lezioni, avevo proposto l’espressione ricezione del valore»
Husserl 1965a, 408.
35
«Der Ausdruck [Wertnehmung] bezeichnet also ein der
Gefühlssphäre zugehöriges Analogon der Wahrnehmung, die in der
doxischen Sphäre das ursprüngliche (selbsterfassende) Dabeisein des Ich
bei dem Gegenstande selbst bedeutet.» Husserl 1952a, 9.
34
24
24
tum Wertnehmung, che potremmo tradurre con «prensione del valore», assonanza rinforzata dal fatto che
quest’ultimo termine, essendo composto ad hoc da
Husserl,36 sembra essere usato proprio per mettere in
risalto – attraverso il derivato dal verbo nehmen
(prendere) – l’analogia Wahr / Wert (custodia, considerazione, attenzione / valore)37. Quello che Husserl
vuole far notare è dunque l’analogia (di rapporti) fra il
passaggio dalla percezione all’obiettivazione teoretica
(di un oggetto naturale) e il coglimento fruitivoemotivo del valore considerato come base fondante per
la costituzione dell’oggettività estetico-assiologica;38 e
quest’ultima è – egli precisa – sempre un’oggettività
36
La composizione (Zusammensetzung) è comunque operazione assai
frequente e pienamente legittima in tedesco; Husserl, come si è visto, dice
di aver già usato in precedenza questo termine.
37
Com'è noto, il sostantivo Wahrnehmen non va scomposto in wahrnehmen, bensí in Wahr-nehmen, ove l’antico sostantivo Wahr, che significa
custodia, considerazione, attenzione, non ha alcun rapporto (né semantico
né etimologico) con quello del pur omonimo aggettivo wahr (vero); a Wahr
sono etimologicamente affini termini come wahren (tutelare, difendere,
custodire) oppure warnen (mettere in guardia), warten (sorvegliare),
gewahrwerden (accorgersi di, vedere) o anche Erwartung (aspettativa), che
proprio in questo passo viene usato da Husserl, ma non Wahrheit (verità).
L'elegante parallelismo husserliano fra Wahrnemen / Wertnehmen è
frainteso dal traduttore italiano Enrico Filippini che traduce questi due
termini con l'espressione «prendere per vero / prendere per valido»
(Husserl 1965a, 409). Chiarendo in quale senso la Wertnehmung è analoga
alla percezione Husserl afferma infatti: «Beiderseits haben wir parallel
strebende Intentionen, vorstellendes (erkennendes, auf Erkenntnis hin
tendierendes) Streben und wertendens, auf Erwartung, auf Genießen hin
tendierendes. Der Ähnlichkeit sollte die Ausdrucksparallele Wahrnehmen –
Wertnehmen Ausdruck geben» Husserl 1952a, 10. Pare interessante,
dunque, che Erwartung, che come s'è visto è etimologicamente affine a
Wahr, sia qui affinacato a Genießen come appunto Wahrnehmen a
Wertnehmen.
38
Tale analogia trova conferme anche in diversi passi di Ideen I; cfr.
al riguardo §§. 117 e 121.
25
25
teoretica, sebbene «von höherer Stufe», di grado piú
alto, in quanto arricchita dei predicati di valore
estetico.
Non è certo semplice stabilire, dalle poche
indicazioni di Husserl a questo riguardo, le precise
modalità di quest’analogia fra i due rapporti fondanti,
ché si tratterebbe di stabilire meglio la modalità di
questo coinvolgimento della percezione dell’oggetto
nell’intenzionalità emotiva del valore; tuttavia il
passo che abbiamo sopra commentato lascerebbe
proprio intendere – qualora integrato col ms A VI 1 –
che l’estetico non deve essere rinvenuto nella
direzione della presentificazione (Vergegenwärtigung),
che Husserl andava in quegli anni sempre piú
staccando dalla radice percettiva,39 bensí in quello di
una nuova modalità di percezione modificata
dell’oggetto animata essenzialmente da un’intenzione
assiologica. Il valore qui in causa è infatti estetico,
vale a dire emergente geneticamente nel darsi dell’oggetto, proprio in quanto la stessa apparizione svela
una strutturale partecipazione dell’intenzionalità soggettiva alla costituzione oggettuale.
In sostanza – tornando ad Ideen II – si potrebbe
dire che la percezione continua ad essere attiva, pur
senza venir attualizzata come tale, e che la prensione
(Nehmung) che la caratterizza si dirige in questo caso
ad un’altra valenza dell’oggettualità, quella che fa
emergere l’oggetto come oggetto significativo per
l’uomo. Cosí pensiamo si possa intendere il significato
di quel valore che è prima intuito e poi obiettivato
teoreticamente:
39
Cfr. Bernet-Kern-Marbach 1992, 185-200.
26
26
[…] in der Beurteilung als Wert, so wie sie aus der
Einstellung der rein genießenden Hingabe hervorgegangen ist, ist das Kunstwerk in ganz anderer Weise
gegenständlich: es ist Angeschautes, aber nicht nur
sinnlich Angeschautes (wir leben nicht im Vollzug
des Wahrnehmens) sondern a x i o l o g i s c h A n g e s c h a u t e s .40
E si capisce come mai anche il correlato obiettivo dell’atteggiamento teoretico derivato da quello degustativo sia di nuovo tipo:
[…] im ästhetischen Beurteilen, Abschätzen ist es
nicht mehr in bloß genießender Hingabe Objekt, sondern Objekt im besonderen doxothetischen Sinne:
das Angeschaute ist im eigenschaftlichen (So-sein
konstituierenden) Charakter der ästhetischen Erfreulichkeit gegeben. Das ist eine neue “theoretische” Objektivität, und zwar eine eigentümliche
von höherer Stufe.41
La base materiale dell’obiettivazione assiologica dell’oggetto estetico non è dunque propriamente fornita
dall’intuizione sensibile, ma da un’intuizione emotiva
del valore che si libera in essa; quando poi si passa al40
Husserl 1952a, 8-9; tr. it.: «[…] nella valutazione del valore quale è
risultata dall’atteggiamento della dedizione puramente degustativa, l’opera
d’arte è oggettiva in un modo completamente diverso: è un che di intuíto
ma non di intuíto sensibilmente (infatti non viviamo nell’attuazione della
percezione), è bensí qualcosa di intuíto as sio lo gicamente. » Husserl
1965a, 408.
41
Husserl 1952a, 9; tr. it.: « […] nel giudizio estetico, nella valutazione estetica, l’oggetto non è piú oggetto di una dedizione meramente
degustativa, bensí oggetto in un particolare senso dossotetico: l’intuíto si dà
col carattere qualitativo (costitutivo del suo esser-cosí) della gradevolezza
estetica. Si tratta di una nuova obiettività “teoretica”, di una particolare
obiettività di grado piú alto.» Husserl 1965a, 408.
27
27
l’atteggiamento teoretico, il correlato della primitiva
intenzione assiologica viene obiettivato come valorebello, cioè come predicato di un oggetto inteso ora
come oggetto-di-valore, come oggetto estetico-assiologico. E la bellezza si definisce pertanto come un predicato obiettivo, appartenente ad un’oggettività
costituita grazie ad atti teoretici che obiettivano non
piú il sostrato materiale-sensibile (poiché avremmo
un semplice oggetto della regione natura) ma una preoggettività assiologica che è stata vissuta nel piacere:
Ich blicke auf das Objekt hin und finde an diesem in
meiner geänderten, nun theoretischen Einstellung
die Korrelate dieser Gemütsakte, eine objektive
Schicht, übergelagert über die Schicht der sinn lichen Prädikate […].42
La bellezza intesa come valore estetico e non come
semplice gradevolezza – ne conclude dunque Husserl
–, grazie agli atti teoretici obiettivanti derivanti dalla
modificazione di quelli fruitivi, viene colta come appartenente proprio all’oggetto;43 un oggetto, però, certamente irriducibile a quello delle scienze naturali:
Die Natur enthält als bloße Natur keine Werte, kein
Kunstwerke etc. die doch Gegenstände möglicher
42
Husserl 1952a, 14-15; tr. it.: «Io guardo l’oggetto e in esso,
attraverso il mio atteggiamento modificato, diventato atteggiamento
teoretico, io trovo i correlati di quegli atti dell’emotività, uno strato
obiettivo sovrapposto allo strato dei predicati sensoriali» Husserl 1965a,
413-4.
43
Nell’atteggiamento teoretico della riflessione non si trovano invece
predicati obiettivi, ma solo predicati relativi alla coscienza; cfr. Husserl
1952a, 14-15; Husserl 1965a, 413-414.
28
28
Erkenntnis und Wissenschaft sind.44
Possiamo ora tornare al ms A VI 1, in cui, come
s’è visto, l’estetico viene legato all’emergere fenomenologico del valore a partire dal vissuto di piacere
(Gefallen): valore estetico – afferma Husserl – è quello
fondato sul privilegio conferito da parte di atti intenzionali a determinati strati oggettuali che, nel loro
apparire,45 producono piacere.
Verschiedene
Erscheinungen
desselben
Gegenstandes nicht gleichwertig […] Schon das ist
also ästhetisch. Da ist günstigste Erscheinung
ausgewählt. a) In sich das Maximum sinnlicher
Momente und Komplexion enthalten, die in dieser
Komplexion Wohlgefallen erwecken. b) Klare
Weckung des Gegenstandsbewusstseins, obwohl das
Interesse nicht den Gegenstand als Glied der wirklichen Welt betrifft, nach seinen gegenständlichen
Eigenschaften, Relationen, etc., sondern eben nur
44
Husserl 1952a, 3; tr. it.: «La natura in quanto mera natura non
contiene valori, opere d’arte, ecc., che pure sono oggetti di una possibile
conoscenza e di una possibile scienza» Husserl 1965a, 402.
45
«[…] die Dingerscheinungen drücken immer etwas aus, bedeuten
etwas, stellen etwas dar, nämlich für die Betrachtung der Kunst.
Ästhetische Erscheinungen sind ausschliesslich Erscheinungen, die eben
etwas ausdrücken, darstellen, und dies nicht in der Weise eines leeren
Zeichens. Sie drücken immer von innen her aus, durch ihre Momente,
durch Momente der Analogie, und dann erst kommt der ästhetische
Unterschied des “schöner” und “minder schön”, des “schön” und “hässlich”
in Betracht» Husserl ms A VI 1, in Husserl 1980, 146n; tr. it.: «Le
apparenze delle cose esprimono sempre qualcosa, rappresentano qualcosa
cioè per la trattazione dell’arte. Apparenza estetica è esclusivamente
l’apparenza che esprime, rappresenta qualcosa e non un segno vuoto. Le
apparenze estetiche esprimono sempre qualcosa dall’interno all’esterno,
attraverso i loro momenti, attraverso i momenti dell’analogia, e solo
successivamente subentra la distinzione estetica del bello e del meno bello,
del bello e del brutto» Zecchi 1972a, 92.
29
29
die Erscheinung.46
Il valore estetico si riferisce, pertanto, alla configurazione fenomenica dell’oggetto ed è quindi strutturalmente legato al processo di costituzione. Ed il piacere
estetico non è rinconducibile ad un mero sentimento
soggettivo, ad una reazione psichica all’oggetto, ma
entra a far parte dello stesso processo costitutivo che
trasforma (ma la prassi è qui solamente intenzionale)
un’oggettualità naturale in oggettività estetica.
Conseguentemente, il bello si sottrae alla mutevolezza del gusto, per fissarsi invece negli strati oggettuali
correlati alle intenzioni fruitive di valore. L’oggetto
estetico infatti, come abbiamo sopra sottolineato,
dev’esser percepito da quel lato che risveglia proprio i
sentimenti estetici che l’artista intendeva suscitare.
Husserl ha cosí affermato una strutturale implicazione della soggettività nella produzione del valore
estetico, senza però concedere nulla allo psicologismo
o al sentimentalismo; l’estetico non è un orizzonte di
predicati riducibili ad una proiezione nell’oggetto di
certi vissuti psichici. La coscienza come cosa naturale,
del resto, è stata anch’essa sottoposta ad epoché. Nei
due fogli del ms A VI 1 dedicati all’Ästhetische
Objektivität, addirittura, le cose stesse sono portatrici
di proprie richieste di senso nei confronti degli atti che
46
Husserl ms A VI 1, in Husserl, 1980, 145; tr. it.: «Diverse apparizioni dello stesso oggetto non sono equivalenti […] già questo è estetico.
Viene allora scelta l’apparenza piú opportuna: a) deve contenere il
massimo dei momenti e dei complessi sensibili che, in questo complesso,
suscitano piacere; b) deve risvegliare chiaramente la coscienza dell’oggetto
come membro del mondo reale, sebbene l’interesse non tocchi l’oggetto
come membro del mondo reale, secondo le sue proprietà oggettuali, le sue
relazioni, ma soltanto l’apparenza» Zecchi 1972a, 91.
30
30
devono costituire il valore estetico:
[…] nicht etwa Objektitäten zur Weckung kommen,
Anschauungen mit Gefühlen, Wertungen etc., die die
ästhetische Absicht des Künstlers hemmen, sie nicht
zur Entfaltung kommen lassen. Nicht jederlei
ästhetische Gefühle, sondern gerade diese sollen
geweckt werden, nicht alle ästhetisch bedeutsamen
Assoziationen sollen geweckt werden, sondern gerade diese, welche dem einheitlichen ästhetischen
Objekt und Wert, die das Kunstwerk zu wecken hat,
zugehören.47
Conoscenza estetica
come intenzionamento del possibile
Come si è visto, l’interesse di Husserl per le questioni dell’estetica si inscrive nell’ambito del ripensamento in corso nel primo decennio del secolo di molti
temi fondamentali della sua fenomenologia; in particolare, l’indagine sul processo dell’oggettivazione
estetica ha mostrato essenziali analogie con quello
della riduzione-costituzione, che, com’è noto, aveva
spinto Husserl a piegare il proprio pensiero in dire47
Husserl ms A VI 1, in Scaramuzza-Schuhmann 1990, 173; tr. it.:
«[…] non vengono risvegliate ad esempio oggettività, intuizioni con sentimenti, valutazioni ecc., che ostacolano l’intenzione estetica dell’artista, non
le consentono di svilupparsi. Non devono essere risvegliati sentimenti
estetici di ogni sorta, ma proprio questi, non tutte le associazioni
esteticamente significative debbono essere risvegliate, bensí proprio queste
che appartengono all’unitario oggetto estetico e valore, che l’opera d’arte
deve risvegliare.» Scaramuzza-Schuhmann 1992, 14. Non si deve pensare
ad un qualche indulgere di Husserl a posizioni formalistiche; si fa infatti
sentire qui – come ampiamente documentano Scaramuzza e Schuhmann –
l’influsso di Aloys Fischer e semmai anche di Theodor Conrad, i quali
stavano sviluppando la propria ricerca estetica sul piano di una
«fenomenologia dell’oggetto».
31
31
zione trascendentale, allontanandosi sempre piú dal
realismo che segnava l’interpretazione della fenomenologia da parti di alcuni suoi allievi. 48 Le conferme
trovate a questo riguardo nei territori dell’estetica
non devono pertanto essere trascurate e possono
essere significative anche per comprendere il complesso itinerario di pensiero del fondatore della
fenomenologia.
Ma pensiamo ci si possa spingere anche piú in là,
notando come queste pur sparse analisi sull’oggettivazione estetica sembrino quasi fornire un modello di
quella ricerca di una significazione originaria che
avrebbe successivamente portato Husserl dalla cosiddetta fenomenologia statica a quella genetica: l’autentica costituzione dell’oggetto estetico-assiologico comporta infatti una vera e propria risignificazione del
reale che, neutralizzati i significati quotidianamente
attribuiti agli oggetti, faccia emergere geneticamente
il valore d’apparizione, a partire da una dimensione
estetico-sensibile; comporta cioè la necessaria presenza di un polo corporeo-soggettivo intenzionale
nella genesi (attiva e passiva) del senso. Non sono
dunque coinvolti solo i livelli superiori delle intuizioni
categoriali ma anche quelli delle percezioni oscure
dell’intenzionalità fungente, che dicono di un lavorío
cinestetico del corpo e di un’originaria sintesi temporale quale schema di ogni significazione originaria.
L’attivazione di simili intenzionalità genetiche
costituisce, del resto, uno degli obiettivi di fondo di
molte opere (talvolta ridotte, proprio per questo, ad un
48
Mario Sancipriano considera invece realistica la posizione di
Husserl anche all’epoca delle Ideen; cfr. Sancipriano 1988.
32
32
semplice gesto)49 delle cosiddette avanguardie artistiche, in cui il senso che le consuetudini percettive
impongono alla realtà viene destrutturato e rifiutato,
per lasciar spazio ad un’estetica Urstiftung che apra
autenticamente la regione del possibile. È infatti solo
nell’autentico atteggiamento estetico (che quelle opere
vorrebbero dunque suscitare) che la coscienza porta in
primo piano il fenomeno, cioè il senso nel suo originario processo costitutivo. L’intenzionamento estetico
degli oggetti, in altri termini, non si volge ad un essere reale ed effettuale il cui senso sia già abitualizzato, ma riattiva i legami con la fondazione originaria, con l’orizzonte dell’essere possibile, che costituisce
pertanto il vero e proprio oggetto della conoscenza
estetica di essenze.50 È quindi propriamente grazie all’atteggiamento estetico che le cose possono apparire –
come Husserl ha in altro contesto affermato –51 quali
49
Per la letteratura sui rapporti tra la fenomenologia e l’arte
contemporanea cfr. sopra n. 3.
50
Husserl attribuisce all’intuizione estetica un’essenziale portata conoscitiva; cfr. a questo riguardo la parte centrale della lettera a Hofmannsthal
del 12.1.1907 (Husserl 1994, 134; tr. it. Scaramuzza 1985, 204).
51
Vista l’importanza che riveste per l’interpretazione qui proposta,
riportiamo il passo per intero: «Ist nun ein Ding, das doch unter allen
Umständen e i n Ding, ein Identisches von Eigenschaften ist, wirklich in
sich ein Festes, Starres hinsichtlich seiner realen Eigenschaften, nämlich
ein Identisches, das identisches Subjekt identischer Eigenschaften ist,
während das Wechselnde in ihm nur die Zustände und Umstände sind? Ist
die Meinung also die: je nach den Umständen, in die es gebracht wird, oder
in die es ideell hineingedacht werden kann, hat es andere aktuelle Zustände.
Aber im voraus – a priori – ist durch sein eigenes Wesen vorgezeichnet,
wie es sich benehmen kann und dann auch benehmen wird. Aber hat jedes
Ding (oder, was hier dasselbe sagt: hat irgendeins) ü b e r h a u p t e i n
s o l c h e s E i g e n w e s e n ? O d e r ist das Ding sozusagen immer auf
dem Marsch, ist es gar nicht in dieser reinen Objektivität zu fassen,
vielmehr vermöge seiner Beziehung zur Subjektivität prinzipiell nur ein
relativ Identisches, etwas, das nicht im voraus sein Wesen hat, das immer
– segue –
33
33
essenze aperte, quali nuclei di senso «immer auf dem
Marsch» o, ancor piú, come regole delle apparizioni
possibili,52 cioè, in altri termini, quali oggetti dotati di
valore.
Cosa distingue, a questo punto, l’assunzione in
concreto dell’atteggiamento estetico dall’esercizio di
riflessione del fenomenologo, se non, semplicemente,
la finalità estrinseca – rispettivamente fruitiva e analitico-scientifica – in vista della quale è operante,
come sotto una lente d’ingrandimento, un identico
processo di neutralizzazione e ricostituzione del
senso? È quanto Husserl afferma in un importante
passo in cui dichiara, senza mezzi termini, l’affinità
della visione estetica con quella filosofica:
wieder je nach den konstitutiven Umständen der Gegebenheit neue
Eigenschaften annehmen kann? Aber ist das Problem, den S i n n d i e s e r
O f f e n h e i t , und zwar für die “Objektivität” der Naturwissenschaft
genauer zu präzisieren» Husserl 1952a 298-9. Tr. it.: «Ora, una cosa, che in
tutte le circostanze è u n a , un’identità di proprietà, è veramente qualcosa
di ben saldo, di rigido nelle sue proprietà reali, un identico come soggetto
identico delle sue identiche proprietà, mentre mutevoli in essa sono
soltanto gli stati e le circostanze? Si ritiene che, a seconda delle circostanze
in cui viene messa o in cui viene idealmente pensata, essa abbia altri stati
attuali. Ma preliminarmente – a-priori – la sua essenza determina come può
comportarsi e come si comporterà. Ma ogni cosa (o, ed è lo stesso: qualsiasi cosa) h a u n a s i m i l e e s s e n z a p r o p r i a ? Oppure, per cosí
dire, la cosa è sempre in cammino, non può essere colta in questa pura
obiettività ed è piuttosto, in virtú della sua relazione con la soggettività, un
che di relativamente identico, qualcosa che non ha preliminarmente una sua
essenza, una essenza afferrabile una volta per tutte, bensí soltanto
un’essenza aperta la quale a seconda delle circostanze costitutive della
datità, può assumere nuove proprietà. Il problema è allora di precisare, in
vista della “obiettività” delle scienze naturali, il s e n s o d i q u e s t a
a p e r t u r a » Husserl 1965a, 686.
52
«Das Ding ist eine Regel möglicher Erscheinungen» Husserl 1952a,
86.
34
34
Das phänomenologische Schauen ist also nahe
verwandt dem ästhetischen Schauen in “reiner”
Kunst; nur freilich ist es nicht ein Schauen um
ästhetisch zu genießen, vielmehr darauf hin wieder
zu forschen, zu erkennen, wissenschaftliche
Feststellungen einer neuen (der philosophischen)
Sphäre zu constituiren.53
53
Husserl 1994, 135; (lettera a Hofmannsthal del 12.1.1907); tr. it.:
«La visione fenomenologica è dunque strettamente affine alla visione
estetica dell’arte “pura”; solo, essa, certo, non è un vedere per godere
esteticamente, ma piuttosto per proseguire poi nella ricerca, per conoscere,
per dar luogo a constatazioni scientifiche di una nuova sfera, la sfera
filosofica» Scaramuzza 1985, 205.
35
35
Un progetto di estetica fenomenologica:
Stefano Zecchi
I momenti estetologici presenti, anche se rari e
non sistematici, nella vasta produzione husserliana,
sollevano questioni di primaria importanza per la
riflessione dell’estetica; in stretto riferimento ad essi –
in particolare, ma non solo, al ms A VI 1 –54 alcuni
anni or sono Stefano Zecchi ha riproposto l’idea di una
fondazione fenomenologica dell’estetica che ne garantisse l’autonomia di campo e al tempo stesso l’originario orientamento filosofico.55 Si tratta di un gruppo
di scritti pubblicati a partire dal 1967, nei quali viene
messo in luce come una riconsiderazione fenomenologica del rapporto che lega oggettività e soggettività
nei vissuti estetici possa offrire una solida fondazione
teorica al sapere immanente all’odierno concetto di
arte (in quanto arte contemporanea), operando
mediante criteri effettivamente alternativi a quelli del
formalismo strutturalistico allora dominante.
54
Quando ci si ispira alla fenomenologia husserliana è bene secondo
Zecchi individuare alcuni nuclei teorici di base che legittimino tale riferimento; infatti: «Non c’è ortodossia perché non c’è dogma: ma penso sia
sbagliato ritenere che ciò comporti necessariamente l’esistenza di tante fenomenologie quanti sono i fenomenologi che si richiamano a Husserl»
Zecchi 1979, 66.
55
Seguiremo in questo capitolo: Zecchi 1967, 1968, 1969, 1972a;
1972b; 1977; 1978; 1979; 1981; 1983; 1984; Zecchi-Franzini 1995, 955958.
37
37
Estetica e atteggiamento scientifico
Volendo dare fondazione ad un campo del sapere
è bene secondo Zecchi porsi innanzi tutto la questione
del metodo da seguire. Ora, egli argomenta, in qualsiasi campo si stia operando, risulta necessario ammettere che l’oggettività è sempre e comunque frutto
di un processo costitutivo nel quale la soggettività è
essenzialmente coinvolta, e per questo l’analisi
fenomenologico-trascendentale risulta senza dubbio
quella che offre maggiori garanzie di scientificità.
Tutto ciò, però, con le giuste cautele e seguendo
sempre il dovuto rigore:
se non si ritiene che i fondamenti della oggettività
scientifica sono le categorie definite per via formale
si dovrà dimostrare che nei processi soggettivi si
determinano queste categorie, il che significa
spostare sul piano della soggettività il problema dei
“fondamenti” e ricercare all’interno della soggettività
stessa il principio della validità scientifica.56
Questo è del resto il primo carattere che deve possedere un’indagine che desideri correttamente definirsi
«fenomenologica»:
La fondazione trascendentale delle scienze nel suo
obiettivo di riportare il soggetto nella scienza dell’oggetto, diventa lo sfondo teorico ampio e articolato, in
cui le diverse espressioni degli sviluppi della fenomenologia di Husserl ritrovano una matrice comune.57
Segue che anche le scienze esatte della natura
devono esplicitare la propria costituzione trascenden56
57
Zecchi 1972b, 11.
Zecchi 1979, 66.
38
38
tale, visto che la nozione di qualsiasi oggettività scientifica rinvia necessariamente ad operazioni costitutive
che si danno nel decorso di vissuti di coscienza (Erlebnisse):58
L’oggettività non è un privilegio dell’una piuttosto
che dell’altra disciplina, ma delle operazioni che fondano l’oggettività, ovvero le operazioni soggettive.59
L’estetica, dal canto suo, pur essendo certamente
irriducibile alle scienze naturali, deve anch’essa avanzare le proprie legittime pretese di scientificità
affinché possa pronunciarsi oggettivamente sulla
realtà che le pertiene; anche questo passo è legittimo,
in quanto la struttura dei processi costitutivi delle oggettività è fondamentalmente omogenea:
gli elementi specifici costituenti l’oggettività, in
quanto oggettività estetica, rientrano nell’ambito
degli atti che costituiscono in generale qualunque
complesso scientifico-culturale.
Dall’iniziale excursus epistemologico emerge
dunque la necessità, anche per l’estetica, di assicurare
un radicamento del proprio specifico campo ontico
nella Lebenswelt, nel mondo-della-vita, cioè nel mondo
circostante costituito in relazione alle esigenze della
persona.
Fenomenologia costitutiva
Zecchi sottolinea a questo punto come la propria
proposta differisca dai primi sviluppi dell’estetica
fenomenologica, nei quali, a suo avviso, venne fon58
59
Zecchi 1967, 64, con riferimento a Husserl 1961, §§ 33-35.
Zecchi 1967, 64; 1977, 7.
39
39
damentalmente sviluppata un’ontologia dell’oggetto
estetico, giudicato struttura trascendente (e in ultima
analisi indeterminata) proprio in quanto indipendente
dal proprio rapportarsi ad un soggetto esperiente:
Un primo aspetto da sottolineare è il tipo di
approccio (piú che di metodo) con cui i primi
fenomenologi legati ad Husserl si servirono del suo
pensiero per affrontare i problemi dell’arte. Rispetto
a costoro, gli sviluppi successivi della ricerca (a
partire dal secondo dopoguerra) che si è potuta
valere di un materiale ovviamente piú completo
dell’opera husserliana, ha messo in crisi l’idea che
l’estetica possa essere un settore ontologico di cui
Husserl avrebbe tracciato, con la propria
fenomenologia, le linee di metodo. Questa […] sarà
una fondamentale discriminante tra i primi studi di
estetica [fenomenologica] e le ricerche attuali.60
L’attenzione del fenomenologo deve dunque secondo Zecchi restare sul momento soggettivo, geneticocostitutivo, e l’indagine sull’oggettività estetica dovrà
far emergere le originarie operazioni di strutturazione
del senso, poi irrigiditesi nell’apprendimento e
nell’abitudine e non piú rivissute come tali; se non si
ripercorre tutto il processo genetico che ha reso possibile l’intenzionamento del senso di una determinata
complessione oggettuale, quelle operazioni costitutive,
ormai abitualizzate e passivamente impostesi, cominciano a fungere da pregiudizi che inficiano l’autenticità di ogni possibile esperienza. Tutto questo assume
evidentemente un portato decisivo nel caso delle esperienze estetiche, ed è per questo che un’estetica feno60
Zecchi 1978, II, 81.
40
40
menologica deve porsi come obiettivo la descrizione e
spiegazione dei processi sottesi all’intenzionamento
estetico; infatti, grazie anche alle nuove conquiste
delle avanguardie artistiche, risulta sempre piú evidente come l’oggetto estetico offra uno stimolo alla coscienza a ripercorrere il processo genetico del senso,
come indichi, metadiscorsivamente, il proprio percorso
genetico-costitutivo e cerchi con questo di reinsegnare
a vedere (contro le mistificanti sedimentazioni
semantiche di cui s’è detto). Pertanto, se «di fronte
alle questioni di estetica è spesso tangibile l’affannosa
ricerca di un criterio definitorio a garanzia della
solidità del giudizio», l’estetica fenomenologica porrà
invece fra i propri obiettivi
l’abbandono di questo tipo di ricerca e la rinuncia al
ricorso al piano ontologico o ad un precostituito sistema di significati che interviene a livello normativo
per fondare la validità del giudizio estetico.61
E su questo filo conduttore si sviluppa la proposta di
Zecchi, che ora seguiremo nei suoi momenti essenziali.
Esperienza ed evidenza:
la descrizione fenomenologica
Zecchi aveva esposto gli esiti delle proprie
letture husserliane in Fenomenologia dell'esperienza.
Saggio su Husserl, (1972), focalizzando l’attenzione
sul rapporto fra esperienza e formazioni ideali di
senso;62 un ruolo centrale, a questo riguardo, svolgono
61
Zecchi 1977, 7.
Si prenderà in esame, annuncia nell’Introduzione, «il significato
della particolare prospettiva, l’atteggiamento eidetico, con cui la
62
– segue –
41
41
la riduzione fenomenologica e la dottrina della
costituzione oggettuale ad essa strettamente
collegata. E siccome proprio tale binomio riduzionecostituzione sta alla base anche della proposta
d’estetica fenomenologica, sarà utile tenere sullo
sfondo questo saggio su Husserl, al quale comunque
rinviamo per un’ulteriore contestualizzazione dei
luoghi husserliani di cui faremo principale uso.
Ora, la fenomenologia costitutiva non può certo
prescindere da un primo momento esperienziale in cui
l’apertura della coscienza al mondo si fa fenomeno; e,
per Husserl, l’esperienza costituisce una forma
originaria d’evidenza:
Il campo esperienziale è evidenza, lo stato delle cose
cosí come mi si danno è evidenza perché l’analisi fenomenologica, disoccultate quelle forme inerenti all’esperienza, compie quella critica dell’esperienza
pura che consente all’esperienza stessa di poter essere colta come presenza originaria, e di poter cogliere in una evidenza originaria ciò che presenta.63
Vi è dunque un piano di datità originaria della cosa,
per render adeguatamente conto del quale è necessa-
fenomenologia chiarisce le operazioni che portano alla costituzione dei
complessi obiettivi, ritenendo la dimensione dialettica tra possibilità e
realtà il terreno piú solido per comprendere l’uso che la filosofia
trascendentale deve fare della ricerca eidetica» Zecchi 1972b, 2-3.
63
Zecchi 1967, 66; afferma Husserl in Logica formale e
trascendentale: «Kategorie der Gegenständlichkeit und Kategorie der
Evidenz sind Korrelate. Zu jeder Grundart von Gegenständlichkeiten […]
gehört eine Grundart der “Erfahrung”, der Evidenz und ebenso des
intentional indizierten Evidenzstiles in der evtl. Steigerung der
Vollkommenheit der Selbsthabe» Husserl 1974, 169.
42
42
rio adottare la descrizione fenomenologica.64 Quest’ultima procede in duplice direzione:
Sia a livello di riconoscimento dell’originario, della
struttura elementare, di un “complesso significativo”
[…] sia a livello degli atti che costituiscono tale “complesso”.65
La descrizione non si risolve, pertanto, in una semplice «esposizione esplicativa del fenomeno», poiché si
estende anche al soggetto, che risulta essenzialmente
coinvolto «con le sue esperienze, con i suoi bisogni, con
la sua storia».
Prassi costitutiva e intenzionalità corporea
Il coinvolgimento genetico del soggetto sposta la
questione dell’intenzionalità sul piano della prassi costitutiva:66 dalla mera «comprensione significativa» si
passa alla «trasformazione significativa», in quanto il
processo d’apprendimento si presenta fondamentalmente anche come una «ristrutturazione» di senso.
Entrambi i momenti sono da tener presenti per
descrivere adeguatamente l’intenzione oggettuale.
La genesi fenomenologica dell’oggettività mette
64
«[…] nel parlare di descrizione fenomenologica non si vuol indicare
una esposizione esplicativa del fenomeno quale esso ci appare ricercandovi
un’obiettività […] per poi affidare il compito interpretativo ad una
specifica disciplina (psicologia, religione, estetica); […] si vuole invece
intendere la ricostruzione di un processo genetico-costitutivo in cui il
soggetto si trova nella possibilità di una comprensione significativa e nel
medesimo tempo di una trasformazione significativa» Zecchi 1967, 67.
65
Zecchi 1977, 9.
66
Zecchi 1967, 67-8. Merleau-Ponty, ricorda Zecchi, aveva
recisamente affermato che «aver coscienza significa costituire» MerleauPonty 1967, 128.
43
43
dunque in luce una carica decontestualizzante propria
degli atti coscienziali costitutivi, la quale consente all’estetica di rendersi indipendente «dall’ideologia dominante» di particolari valori o da eventuali «legalità
scientifiche» ad essa predeterminate; verrebbe altrimenti meno, spiega Zecchi, «la funzione stessa della
“descrizione”, incanalata nelle direzioni imposte dal
privilegiamento della legalità scientifica che si porrebbe a condizione per la “descrizione” e non un eventuale punto di arrivo».67 Vediamo, allora, come si
articoli, sul terreno dell’estetica, una tale descrizione
fenomenologica.
Nel mondo circostante non si incontrano «mere
cose», ma anche oggetti d’uso, «cose» religiose, artistiche, economiche, che si presentano all’esperienza
come determinate (storicamente e socialmente) da
complessi di attributi. Il fenomenologo dovrà allora
evitare di procedere con la progressiva esplicitazione
della “cosalità” per mezzo di attributi, e compiere il
cammino inverso: l’esclusione degli attributi per rintracciare quel limite oltre il quale non è possibile andare senza compromettere la presenza della cosa medesima.68
Anche l’opera d’arte verrà allora ridotta ad una struttura materiale, estetico-sensibile, non appartenente
ancora ad una determinata regione ontica (e ancora
non riconoscibile, pertanto, come opera d’arte):
La riduzione dell’opera d’arte alla materialità sospende ogni determinazione e attribuzione signifi67
68
Zecchi 1967, 68-9.
Zecchi 1977, 10.
44
44
cante, e ne mette in evidenza innanzitutto la sua
intelaiatura elementare, uno schema spaziotemporale che non si presenta necessariamente come
unità morfologica, ma che può essere anche un insieme di funzioni e di relazioni funzionali.
Si tratta dunque di un passaggio obbligato per
poter accedere al processo attraverso cui, partendo appunto da un complesso spazio-temporale, un oggetto
può esser percepito come oggetto estetico. Qualsiasi
esteticità (valore estetico) già presente nelle cose
viene in tal modo sospesa, e vengono invece fatti
emergere i passaggi attraverso i quali un’eventuale
esteticità verrà volta a volta istituita, a partire da
quella materialità estetico-sensibile.69 L’analisi – ecco
un referente polemico che ci sembra sotteso a tutta
l’argomentazione di Zecchi – sarebbe altrimenti ridotta a mera analisi semiotica:
Come descrivere gli atti intenzionali che fondano
l’oggettività estetica? In questa prospettiva la fenomenologia mette in luce un’alternativa non esauribile nel discorso di metodo: o ci si muove all’interno
del mondo dell’arte, come oggetto estetico in sé, per
sistematizzare il suo codice semiologico (analisi che
[…] non può metter capo che ad una dottrina categoriale ontologico-estetica e perciò normativa e
definitoria), oppure si opera una fenomenologia della
costituzione dell’oggetto estetico in cui il livello di
artisticità è già nelle cose ma può essere riconosciuto
solo attraverso un processo che relaziona il mondo
dell’esperienza soggettivamente vissuta con gli altri
69
Zecchi 1977, 11.
45
45
campi dell’esperienza oggettiva.70
La riduzione del mondo dell’arte alla sua materialità,
dunque, lungi dal renderlo estraneo all’intenzionalità
soggettiva, è la via atta a porre in rilievo quel bisogno
profondo di espressione e comunicazione che sta secondo Zecchi alla radice dell’oggettivazione estetica,
come di ogni atto specificamente umano. Gli atti intenzionali costitutivi non devono infatti essere assunti
in senso intellettualistico, essendo invece fondamentalmente «atti del corpo» che rappresentano «il bisogno reale di espressione e comunicazione con altri
corpi, con il mondo degli uomini e delle cose».71
È dunque un bisogno ciò che sta alla radice dei
fenomeni estetico-artistici: l’artista comincia ad operare, a manipolare le situazioni in cui si viene a trovare, proprio in risposta ad una «richiesta oggettiva di
modi infinitamente possibili d’espressione».72 Nessuna
fissa ontologia (metafisica) dell’arte è dunque secondo
Zecchi a questo punto affermabile, anche perché
l’oggetto estetico può esser ridotto ad un dispositivo
70
Zecchi 1978, II, 103. L’atteggiamento delle scienze linguistiche,
proprio in quanto portato a privilegiare l’analisi sincronica, sarebbe dunque
parziale: «se l’astrazione, l’isolamento di un certo complesso consente
l’analisi e la descrizione scientificamente corretta di quel complesso, il soggetto intenzionante, quello che con la sua attività isola il complesso
rendendolo autonomo, non deve essere trascurato dall’analisi e dalla
descrizione». Secondo Husserl, infatti, «l’esser segno non è un predicato
reale, anch’esso richiede una coscienza d’atto fondata, il regresso a certi
caratteri d’atto di nuovo genere» Husserl 1968a, II, 208. Anche in estetica
– ne conclude Zecchi – è indispensabile un’integrazione diacronica che non
misconosca la valenza significante del «processo genetico di costituzione
della struttura» Zecchi 1967, 72.
71
Zecchi 1977, 14.
72
Zecchi 1977, 16.
46
46
che mette in evidenza quell’espressività elementare
che si cela in ogni complessione sensibile: la stessa
cosa materiale, ancor prima d’esser costituita esteticamente (in senso tradizionale), si qualifica come «base
sensibile dell’espressione del bisogno di», come «punto
originario in cui idealmente si può riconoscere la
fusione dell’uomo come corpo che esprime bisogni e
desideri e del mondo naturale con la sua necessità e
determinatezza fisica».73
Fenomenologia dell’arte
Zecchi fa notare che diverse tendenze dell’arte
contemporanea confermano tali acquisizioni dell’estetica fenomenologica: la reazione contro la «tirannia»
della forma da parte delle avanguardie artistiche (da
Cézanne fino a Duchamp, a Kosuth)74 significa la rivendicazione del ruolo fondante della soggettività,
cioè degli atti che costituiscono la «cosa» come arte;
non per nulla si è arrivati addirittura a ridurre l’opera
ad un semplice gesto dell’artista, un gesto capace di
riempire di significato artistico anche un oggetto qualunque:
73
Zecchi 1977, 14.
«La ricerca dei processi di trasformazione dell’avvenimento
quotidiano, della visione naturale in visione artistica è quasi ossessiva
nell’opera di Cézanne. Le analisi che egli svolge delle sensazioni semplici
dell’intenzionalità del soggetto sono alla base della creazione artistica e
dell’annullamento di significati già esistenti che bloccano legando al
passato l’immaginazione del nuovo […]. La scelta oggettiva nel processo
creativo emerge con provocatoria violenza nel ready made di Duchamp,
denunciando l’inesistenza di un in sé dell’artisticità. È il gesto che crea il
significato […] Nella conceptual art questo processo di ridefinizione del
divenire dell’arte a partire dagli atti soggettivi raggiunge le conseguenze
piú radicali. Kosuth ne è il teorico piú freddo» Zecchi 1977, 12-3.
74
47
47
nella traccia lasciata dall’atto soggettivo troviamo
l’espressività elementare delle funzioni che fondano
il significato dell’opera d’arte.75
Si tratterà poi, per il fruitore, di riattivare una tale
intenzionalità, di «rendere evidente nella sua gradualità il significato del dato che appare».
Ora, è proprio l’applicazione dell’analisi fenomenologica ai territori dell’estetica che consente di descrivere i fenomeni sulla base delle operazioni coscienziali che conferiscono all’oggetto – che appare inizialmente in modo percettivo – il «significato di immagine».76 E quand’anche tale significato si dovesse rarefare a tal punto da ridursi allo stanco gesto che lo pone
(la semplice ostensione di un oggetto comune), esso rimarrebbe pur sempre referente intenzionale sia della
produzione che della contemplazione estetica; si tratta
del resto d’un significato che, come si è visto, rinvia ad
un irriducibile margine di espressività che anima la
prassi intenzionale quotidiana dell’uomo, come Husserl afferma anche nel ms A VI 1.77
Le profonde trasformazioni che ormai da anni
hanno segnato il mondo dell’arte ricevono in tal modo
un’adeguata fondazione filosofica, ed un primo obiet75
Zecchi 1977, 16.
Husserl 1968a, II, 207; cfr. Zecchi 1972b, 15; Zecchi 1967, 86. Il
significato d’immagine – precisa Zecchi – è comune ad ogni tipo di messaggio poetico, mentre i diversi materiali dei complessi pittorici, sonori,
segnici propri dell’opera d’arte ridotta assicurano le differenze fra i generi
artistici.
77
Come ha mostrato di recente anche Elio Franzini, la nuova
consapevolezza del fenomeno arte maturata dall’estetica fenomenologica
riesce a recuperare l’intenzionalità latente del Leib che funge in ogni atto
esperienziale, prima in modo anonimo e impersonale e poi in modo
responsabile, personale, espressivo. Cfr. Franzini 1991 e 1994.
76
48
48
tivo di Zecchi potrebbe cosí considerarsi realizzato:
l’arte rinvia alle modalità dell’intenzionalità soggettiva, e la sua definizione, pertanto, non può che rivelarsi tautologica: arte è tutto ciò che gli uomini intenzionano come arte.78 E si realizza altresí una delle
principali peculiarità del metodo fenomenologico, la
capacità di «cogliere il fondamento senza teorizzarne
la definizione».79
Tutto questo, pare utile precisare, non comporta
affatto alcun approdo idealistico, anche se l’analogia
con un altro celebre esordio, quello del Breviario di
estetica crociano, balza subito all’occhio;80 la tautologia
di Zecchi, infatti, suppone la riduzione eidetica
husserliana: è la stessa esigenza di scientificità propria della fenomenologia a far perdere di vista
(metodicamente) le individualità fattuali – giudicate
fondamentalmente irrilevanti –81 a vantaggio di una
78
«La gestione definitoria dell’arte diventa tautologia: dire se il readymade di Duchamp […] è arte o non-arte o negazione dell’arte ecc. è un
problema definitorio che l’estetica fenomenologica rinvia ad un piano
tautologico: arte è tutto ciò che viene intenzionato come arte» (Zecchi
1977, 15); non siamo lontani da un’altra celebre tautologia definitoria
proposta da Dino Formaggio: «Arte è tutto ciò che gli uomini chiamano
arte» Formaggio 1973, 9.
79
Zecchi 1977, 7, n. 1.
80
«Alla domanda: – Che cosa è l’arte? – si potrebbe rispondere
celiando (ma non sarebbe una celia sciocca): che l’arte è ciò che tutti sanno
cosa sia. E, veramente, se in qualche modo non si sapesse che cosa essa è,
non si potrebbe neppure muovere quella domanda, perché ogni domanda
importa una certa notizia della cosa di cui si domanda, designata nella
domanda, e perciò qualificata e conosciuta» Croce 1943, 9.
81
«Überall galt das singuläre Erfahrungsdatum, z.B. irgendwelcher
“Auffassung”, “Wahrnehmung” u.dgl. nur als Exempel, wir gingen immer
sogleich über in die Wesenseinstellung und erforschten eidetisch das zum
Wesen Gehörige, die in Wesen gewisser Auffassungen beschlossenen
Möglichkeiten, in Anschauungsreihen, Erfahrungsrehen überzugehen, sich
– segue –
49
49
struttura invariante del fenomeno che ne metta in
luce l’elemento tipico, essenziale e, con esso, la «pura
possibilità» dello stesso dato d’esperienza.82 Ma, come
s’è ampiamente visto, questo non comporta per nulla
l’abbandono della dimensione materiale-percettiva,
l’ancoraggio a quella intenzionalità corporea fungente
che sta alla radice della fenomenologia dell’esperienza.
Piacere estetico
Altro momento essenziale alla costituzione estetica è il vissuto di piacere che, ponendosi sulla linea
delle affermazioni husserliane, Zecchi considera un
vissuto indispensabile affinché possa essere operata la
costituzione estetico-assiologica di un’oggettività; il
Gefallen appartiene cioè al processo costitutivo dell’indabei einstimmig zu erfüllen, ihren Sinn, d.i. den Sinn des darin
Vermeinten, des Erfahrenen als solchen, und damit den Sinn der
betreffenden Gegenständlichkeiten auseinanderzulegen» Husserl 1952b,
21; cfr; anche Husserl 1962, 71.
82
«[…] Selbst das durch Variation gewonnene Allgemeine muß noch
nicht im eigentlichen Sinne rein, frei von aller Wirklichkeitssetzung sein.
Wenngleich durch die Variation schon die Beziehung auf das zufällige,
wirklich existierende Ausgangsexempel ausgeschaltet ist, so kann dem
Allgemeinen doch noch eine Beziehung auf Wirklichkeit anhaften, und
zwar in folgender Weise: Für ein reines Eidos ist die faktische Wirklichkeit
der in Variation versetzen Einzelfälle völlig irrelevant. Und das muß
wortwörtlich genommen werden. Die Wirklichkeiten müssen behandelt
werden als Möglichkeiten unter anderen Möglichkeiten, und zwar als
beliebigen Phantasiemöglichkeiten». Solo quando – prosegue Husserl – noi
diveniamo consci del legame che comunque sussiste col mondo di fatti da
cui le nostre variazioni hanno preso le mosse, solo allora noi possiamo
porlo consapevolmente fuori azione («bewußt außer Spiel setzen»)
procurandoci in tal modo una vollkommene Reinheit: «Wir stehen dann
sozusagen in einer puren Phantasiewelt, einer Welt absolut r e i n e r
M ö g l i c h k e i t » Husserl 1948, 423-4.
50
50
tenzionalità estetico-artistica e, di fatto, la sua presenza rivela quel «bisogno reale di espressività del
corpo», per nulla riducibile a mera affettività soggettiva, che s’era già sopra segnalato. Il vissuto di piacere diviene in tal modo una sorta di marca emotiva
che qualifica assiologicamente l’intenzione oggettuale
e che, nel passaggio all’atteggiamento teoretico, rende
attingibile un nuovo strato dell’obiettività, sede del
suo valore estetico; esso si presenta pertanto come un
«punto di convergenza di soggettività e oggettività»
nel mondo dell’arte,83 grazie al quale il corpo vivente
(Leib), che funge da punto zero dell’orientamento intenzionale, entra in relazione con la materia del
mondo, manifestando già a questo livello un’intenzionalità conoscitiva: è «il godimento piú semplice del
corpo che intenziona nella materia il suo infinito processo di espressività», un «godimento elementare» per
la materia organizzata, un piacere dell’organizzare la
materia, che nasconde a sua volta una «conoscenza
del “fare”, delle sue tecniche, dei suoi media».84 Ed
entrando a far parte delle modalità costitutive dell’artisticità il Gefallen può divenire esso stesso – torna
qui il motivo polemico piú sopra segnalato – il
«fondamento della lettura semiotica dei codici
dell’opera», consentendo un’euristica integrazione tra
esigenze fenomenologico-costitutive e strutturalistiche.85
83
« […] il bisogno reale del piacere […] chiude sincronicamente gli
spazi che a diversi livelli dividono il soggetto e l’oggetto nell’arte» Zecchi
1977, 17.
84
Zecchi 1977, 17-8.
85
Zecchi 1977, 17.
51
51
Eideticità e costituzione:
una base estetica dell’analitica
Se la riduzione dell’opera a «cosalità materiale»
consente già di retrocedere ad un’evidenza piú originaria rispetto alla percezione quotidiana, questa
struttura materiale non esaurisce tuttavia la
complessa fenomenologia della percezione, che è fatta
anche di anticipazioni, proiezioni, variazioni,
progressivi riempimenti di senso. Per render conto di
tutte queste altre operazioni costitutive diventa
secondo Zecchi necessario introdurre il riferimento
agli atti categoriali volti ad individuare nei fenomeni
delle strutture invarianti, delle essenze ideali; il
movimento costitutivo deve, in altri termini
appoggiarsi a delle formazioni ideali di senso, a delle
strutture eidetiche:86
L’essenza entra nel processo costitutivo intenzionale
che interpreta l’idealità fenomenica come il processo
storico-genetico di costituzione della identità di una
datità a partire dalla fluidità del campo esperienziale originario fissandola in un enunciato linguistico
la cui obiettività ideale si trasmette nel tempo alla
comunità soggettiva.
Ed ancora:
L’eidos, o per cosí dire i tipi costanti, non sono che
una qualificazione la cui costanza indica il semplice
ripetersi nel tempo delle loro componenti qualificative permanendo invariate le condizioni «d’ordine
universale» in cui in precedenza queste determinazioni erano entrate a far parte di un’opera d’arte.
86
La singolarità esperienziale, come s’è visto, funge in realtà per
Husserl da luogo d’esercizio per l’individuazione di strutture eidetiche.
52
52
Questo tipo di considerazione a confronto con quello
che genericamente si è chiamato attributo presenta
ciò che è costante, che permane nei complessi artistici in relazione al succedersi temporale. 87
Oltre che al soggetto, con i suoi bisogni, le sue relazioni, la sua storia, l’intenzionalità estetica rinvia
dunque anche a certe costanti, a certe condizioni d’ordine universale che costituiscono orizzonti di pre-datità e di possibilità intenzionali delle quali è necessario tener conto e, soprattutto, che risultano anch’esse strutturate e quindi anche ristrutturabili in
un processo genetico-costitutivo. La «cosa», in altri
termini, dipende dalle condizioni percettive a partire
da cui viene costituita come tale; ed esiste del resto
una normalità della percezione, corrispondente alle
condizioni quotidiane d’esperienza in cui ogni percetto
è mediato solamente dal riferimento al proprio Leib
che percepisce alla luce normale del sole.88 Ora, argo87
Zecchi 1967, 83.
«Uno stesso oggetto, provvisto di una forma identica, appare a seconda della sua posizione rispetto ad un corpo luminoso, con diversi colori
e ha colori diversi a seconda della sua posizione rispetto a corpi luminosi
diversi. […] Cosí certe condizioni risultano essere le condizioni “normali”:
la visione nelle condizioni costituite dalla luce del sole e da un cielo chiaro,
senza l’intervento di altri corpi capaci di influire sul colore delle apparizioni. L’optimum che cosí viene ottenuto vale come il colore stesso, a
differenza per esempio del rosso di sera che soffoca tutti i colori propri del
corpo» Husserl 1965a, 455-56. Il colore normale può dunque essere
considerato come un predicato obiettivo. Conviene però leggere anche
quest’altro passo: «In una costanza di illuminazione ho una colorazione
costante che si costituisce come stato oggettuale (Gegeständliche
Beschaffenheit); nella modificazione, il precedente stato oggettuale diventa
mero modo fenomenico di una nuova unità. La reciprocità tra colore e
illuminazione si rivela anche nel fatto che la nuova unità costituita può
essere considerata sia come colore uguale ad una illuminazione piú forte,
sia come modificazione del colore in una uguale illuminazione. In realtà il
88
– segue –
53
53
menta Zecchi, ripercorrere i processi costitutivi significa annullare il significato «imposto nella passività
della percezione», e portare in primo piano la
«donazione di senso» attraverso cui l’oggetto si qualifica come avente valore (estetico, nel nostro caso) o
come oggetto pratico (d’uso) o naturale (teoretico). Ma
come si esplicita il passaggio dall’intuizione sensibile
a quella eidetica? come si attesta l’a-priori, l’essenza
del fenomeno, che è a sua volta garanzia dell’originaria offerenza dell’atto percettivo?
Una prima risposta potrebbe essere trovata nella
distinzione che Husserl pone nella Sesta ricerca logica
fra la rappresentazione dell’intero colto percettivamente in modo immediato e quella di una sua parte
colta come tale (cioè in relazione con l’intero) solo grazie ad un atto categoriale fondato.89 Ma lo stesso
Husserl dichiarandosi successivamente insoddisfatto
di quelle analisi – rimaste a suo avviso ancora al livello di una psicologia razionale – tornò piú volte
colore viene posto oggettivamente e la variazione di colore viene interpretata nel primo senso; la cosa ha un colore oggettivo, che appare
diversamente ad una illuminazione diversa. In che modo si forma allora
questa oggettività del colore? Si potrebbe rispondere con il determinare
una “normalità” di illuminazione» Husserl ms D 13 XXIV, in Piana 1966a,
27-28.
89
Cfr. Husserl 1968a, II, 454 ss. 90 Husserl 1952a, 298-9; tr/ it.:
«Preliminarmente – a-priori – la sua essenza [della cosa] determina come
può comportarsi e come si comporterà. Ma ogni cosa […] h a u n a
s i m i l e e s s e n z a p r o p r i a ? Oppure, per cosí dire, la cosa è sempre
in cammino, non può essere colta in questa pura obiettività ed è piuttosto,
in virtú della sua relazione con la soggettività, un che di relativamente
identico, qualcosa che non ha preliminarmente una sua essenza, una essenza afferrabile una volta per tutte, bensí soltanto un’essenza aperta la
quale a seconda delle circostanze costitutive della datità, può assumere
nuove proprietà. Il problema è allora di precisare […] il s e n s o d i
q u e s t a a p e r t u r a » Husserl 1965a, 686; cfr. Zecchi 1972b, 50 ss.
54
54
sulla questione delle essenze. Zecchi fa qui leva su un
importante passo del II libro delle Ideen:
Aber im voraus – a priori – ist durch sein eigenes
Wesen vorgezeichnet, wie es sich benehmen kann
und dann benehmen wird. Aber hat jedes Ding (oder,
was
hier
dasselbe
sagt:
hat
irgendeins)
überhaupt ein solches Eigenwesen?
Oder ist das Ding sozusagen immer auf dem Marsch,
ist es gar nicht in dieser reinen Objektivität zu
fassen, vielmehr vermöge seiner Beziehung zur
Subjektivität prinzipiell nur ein relativ Identisches,
etwas, das nicht im voraus sein Wesen hat, bzw. hat
als ein für allemal erfaßbares, sondern ein offenes
Wesen hat, das immer wieder je nach den
konstitutiven Umständen der Gegebenheit neue
Eigenschaffen annehmen kann? Aber da ist das
Problem, den S i n n d i e s e r O f f e n h e i t , und
zwar für die “Objektivität” der Naturwissenschaft
genauer zu präzisieren»90
Vi sono dunque delle prescrizioni essenziali che
determinano idealmente a priori il significato dell’esperienza possibile (del mondo naturale); si tratta di
generalità il cui senso si gioca comunque tutto all’interno dell’intenzionalità fenomenologica, vale a dire in
90
Husserl 1952a, 298-9; tr/ it.: «Preliminarmente – a-priori – la sua
essenza [della cosa] determina come può comportarsi e come si
comporterà. Ma ogni cosa […] h a u n a s i m i l e e s s e n z a
p r o p r i a ? Oppure, per cosí dire, la cosa è sempre in cammino, non può
essere colta in questa pura obiettività ed è piuttosto, in virtú della sua
relazione con la soggettività, un che di relativamente identico, qualcosa che
non ha preliminarmente una sua essenza, una essenza afferrabile una volta
per tutte, bensí soltanto un’essenza aperta la quale a seconda delle
circostanze costitutive della datità, può assumere nuove proprietà. Il
problema è allora di precisare […] il s e n s o d i q u e s t a
a p e r t u r a » Husserl 1965a, 686; cfr. Zecchi 1972b, 50 ss.
55
55
rapporto ad una coscienza costituente o, ancor prima,
ad un corporeità vivente in relazione materiale col
mondo. Talché, a seconda delle circostanze in cui
viene intuita, la stessa cosa si può presentare secondo
diversi stati di attualità; l’essenza identica della cosa
è, come ha detto molto icasticamente Husserl, «immer
auf dem Marsch». Ed ecco perché Zecchi può affermare che «il problema categoriale, dell’intuizione
eidetica, si chiarisce sempre meglio come il problema
di definire il momento empirico nella sua idealità
rispetto alla soggettività costitutiva».91
Se dunque l’atteggiamento naturalistico non può
che descrivere oggetti assunti come già dati (il leone è
giallo), quello fenomenologico (eidetico) si distingue
proprio per la sua capacità di cogliere «il senso eternamente uguale della percezione possibile in generale»;92 la riduzione eidetica, dunque, abbandona il
riferimento alla «fittizia individualità dei vissuti», per
riproporre «il senso originario delle operazioni che costituiscono uno stato nella totalità degli eventi»93.
L’essenza, in altri termini, determina come un percetto si potrà conformare, senza però che questo escluda la sua stessa genesi nell’esperienza, in quell’esperienza pura che è per Husserl, nella sua originarietà,
percezione.94 L’essenza a-priori delle cosa è dunque aperta a future e possibili costituzioni di senso, che
91
Zecchi 1972b 62.
Husserl 1965a, 821. Una volta abbandonate le fattualità empiriche
delle percezioni, afferma Husserl, «wir beschäftigen uns dann mit dem
Eidos, dem Wesen Wahrnehmung, und mit dem, was zu einer
“Wahrnehmung als solcher” gehört, gewissermaßen zum ewig gleichen
Sinn von möglicher Wahrnehmung überhaupt» Husserl 1952b, 40.
93
Zecchi 1972b, 114.
94
Cfr. Husserl 1960c, 47.
92
56
56
nasceranno da diverse intenzionalità percettive; essa
anticipa – è vero – e unifica il senso che viene proiettato sull’oggetto nella percezione, ma si tratta di
un’anticipazione che non ha nulla di fisso e di eternamente stabilito.
Guadagnare il terreno trascendentale per Husserl –
ne conclude Zecchi – vuol dire escludere dalla sfera
esperienziale il riferimento al significato già determinato da sedimentazioni fondate sulla tradizione,
costituendolo attraverso la percezione pura.95
Anche l’orizzonte eidetico, il piano dell’ideale, viene
dunque costituito e – conseguenza assolutamente fondamentale – possiede una propria storia;96 l’oggetto,
nella sua trascendentale idealità, si configura allora
come un nucleo relativamente invariante (identico) di
senso, come una pre-datità che si offre alla comunità
intersoggettiva per esser costituito secondo determinate condizioni percettive. Apparenza e realtà, e cioè
anche percezione e conoscenza, si unificano dunque
nella «normalità percettiva»,97 che comporta al tempo
stesso anche una «normalità giudicativa»,98 venendo a
95
Zecchi 1972b, 66.
Nella Krisis Husserl lamenta proprio come la teoria della conoscenza non sia mai stata considerata come un compito peculiarmente storico. Cfr. Husserl 1961, 367.
97
«La dialettica tra realtà e apparenza che si stabilisce sulle condizioni
di mutevolezza delle situazioni ambientali e percettive, al limite si riunifica
nella “normalità” ambientale e percettiva» Zecchi 1967, 75.
98
«Se già a livello di attività percettiva, che costituisce l’oggetto in
quanto tale, è possibile riscontrare delle “norme” di percezione, anche nell’ultimo livello di significazione, che come si è visto è il giudizio, sarà
presente una “normalità” giudicativa che consentirà di uscire dallo scetticismo soggettivo di tipo humiano per ritrovare nella comunicazione
96
– segue –
57
57
costituire quella che Husserl chiama
esperienza
intersoggettiva, per cui gli uomini raggiungono quella
socialità della conoscenza che costituisce i canoni
della normalità esperienziale.99
Sulla linea di quanto lo stesso Zecchi aveva
proposto per una fondazione fenomenologica
dell’estetica, anche i risultati a cui egli è pervenuto
circa rapporti fra eideticità e costituzione potrebbero
venir estesi all’orizzonte dell’arte. Non si tratta di
riflessioni effettivamente sviluppate, ma che ci paiono
fondamentalmente in linea col loro spirito. Si potrebbe infatti affermare che, se vale questa apertura
storico-sociale dell’eidos, il permanere attraverso le
epoche storiche dei valori di un’opera d’arte o, al
limite, della stessa forma opera d’arte, non dev’essere
lasciato alla passività delle sedimentazioni tradizionali, che presto divengono delle ovvietà assunte in
modo acritico. Affinché si dia una vera e propria vita –
e non una mera sopravvivenza – dell’arte è
necessario riattivare quell’intenzionalità, che si dà
secondo una propria temporalità e sempre in un determinato contesto intersoggettivo, capace di cogliere,
al di là della mera strumentalità delle cose, i predicati
di valore estetico; un valore, che consiste nella sua
mera fenomenicità, cioè che appare nel corso di un’esperienza pura, grazie alla donazione di senso da
parte di sempre nuovi soggetti storici. E solo a queste
condizioni l’oggetto potrà venir riconosciuto100 ed inintersoggettiva un canone di riflessione sull’ “oggetto culturale”» Zecchi
1967, 74.
99
Zecchi 1967, 75.
100
Al riconoscimento dell’opera d’arte ha dedicato particolare
attenzione Roman Ingarden; cfr. Ingarden 1937.
58
58
tenzionato come arte. Ritroviamo cosí la tautologia secondo cui arte è tutto ciò che gli uomini intenzionano
come tale, definizione che consente – e qui sta la sua
portata euristica – di far rientrare nell’estensione di
un concetto un individuo che di quel concetto si
presenti come la negazione.101 Ed è appunto nella
direzione di un’estetica che espliciti la pretesa delle
arti di ridefinire geneticamente il senso della
percezione che la fenomenologia consente di muoversi.
Infatti,
la forma conoscitiva dell’arte non è veicolo di significazione e non segue un senso precostituito dalla teoria; è fondata su una prassi in cui il corpo è bisogno
di espressione che non solo attualizza, attiva elementi significativi, ma è anche il loro campo, è
orizzonte di possibilità (non sistema combinatorio di
scelte semantiche/sintattiche) di variazioni immaginative delle forme percepite. […] L’opera d’arte
«mostra» la forma di una conoscenza in cui principi
normativi e regole combinatorie sono solo derivabili
da un fondo in cui agisce la prassi del corpo, nel suo
bisogno di esprimere la tensione della padronanza di
sé tra realtà e aspirazione, in cui si condensa il
piacere del senso vitale, come pienezza acquisita o
irraggiungibile.
L’artista del XX secolo si sarebbe allora fatto
portavoce di un’esigenza di rinnovamento eidetico,
forse utopistica, ma comunque profondamente radicata nella nostra epoca:
101
Pensiamo, ovviamente, alla tanto ostentata trasgressione alle norme
poetiche tradizionali presente in tante opere dell’arte contemporanea e
finalizzata a ridefinire in toto il senso del fare arte, allargandone di fatto
l’orizzonte.
59
59
La prassi piú elementare del gesto ha una forza che
proviene da un processo primario: il piacere di trasgredire, di infrangere l’ordine degli oggetti, del linguaggio, come risposta ad un bisogno reale di produrre modi infinitamente possibili d’espressione che
attualizzano un “diverso”, “autentico” essere nel
mondo.102
Sarà allora l’oggetto estetico quella essenziale
Ding che Husserl pretendeva come regola delle apparizioni possibili?103
102
Zecchi 1981, 99-100
«Das Ding ist eine Regel möglicher Erscheinungen. Das sagt: das
Ding ist eine Realität als Einheit einer Mannigfaltigkeit geregelt
zusammengehöriger Erscheinungen. Und diese Einheit ist eine
intersubjektive» Husserl 1952a, 86.
103
«Das Ding ist eine Regel möglicher Erscheinungen. Das sagt: das
Ding ist eine Realität als Einheit einer Mannigfaltigkeit geregelt
zusammengehöriger Erscheinungen. Und diese Einheit ist eine
intersubjektive» Husserl 1952a, 86.
103
60
60
Praxis e tradizione.
Sui rapporti tra arte e fenomenologia
Nel contesto degli studi husserliani in Italia, che
vantano ormai una significativa tradizione, verso la
fine degli anni Cinquanta104 si è cominciato a parlare
di progetti di estetica fenomenologica. Si trattava di
correnti di pensiero molto vive nell’estetica italiana,
che avevano preso il via soprattutto grazie al lavoro e
al magistero di Antonio Banfi, ma che poi si erano
sviluppate secondo itinerari non più riconducibili ad
un filone unitario e il cui portato storico e teoretico
non può essere colto senza precisi riferimenti a tutto il
panorama dell’estetica e della cultura filosofica
italiana in quei decenni. Se non è certo possibile in
questa sede affrontare un simile argomento,105 in
conformità alle esigenze enunciate nell'introduzione
del presente volume, abbiamo provato a lanciare in
profondità una sonda per identificare specifici riferimenti all'opera di Edmund Husserl nei lavori di un
altro grande referente per gli sviluppi dell'estetica
fenomenologica in Italia, vale a dire la figura di
Luciano Anceschi, fondatore di un’importante linea di
studi presso lUniversità di Bologna. Anche in
104
Nel 1959 compaiono il saggio di Dino Formaggio intitolato
Proposte per un'estetica fenomenologica (Formaggio 1959) e la seconda
edizione di Autonomia ed eteronomia dell'arte. Saggio di fenomenologia
delle poetiche di Luciano Anceschi (Anceschi 1959).
105
Si veda al riguardo l’esauriente Lino Rossi, Situazione dell’estetica
in Italia (Rossi 1976) che fa il punto sull’estetica italiana sino a metà degli
anni Settanta.
61
61
Anceschi infatti, pur avendo egli sviluppato l'iniziale
riferimento metodologico husserliano – prendendo
peraltro anche esplicitamente le distanze da un certo
Husserl giudicato eccessivamente metafisico e
dogmatico – nella direzione di una fenomenologia
delle poetiche che mettesse in luce la loro effettiva
presa sulla vita e sulla situazione culturale, resta
sempre riconoscibile un significativo debito nei
contronti del pensiero dell’ultimo Husserl. Ciò
contribuisce ulteriormente a definire il quadro della
fortuna dellopera del fondatore della fenomenologia
entro i territori dell’estetica italiana.
In un capitolo di Progetto di una sistematica dell’arte, 1962,106 Anceschi dedica specifica attenzione a
un inedito husserliano che, a suo avviso, «tocca da
vicino l’estetica». La riflessione sul senso originario
della geometria sviluppata da Husserl in relazione ad
alcuni passaggi della Crisi delle scienze europee apre
infatti a interessanti considerazioni analogiche sulla
dottrina della lingua, sulla letteratura e sulla traduzione; ma ciò che rende estremamente importanti per
l’estetica queste note è, ad avviso di Anceschi, la dialettica che Husserl descrive fra tradizione ed oblio o,
in una parola, la riflessione ivi messa in campo sulla
storia. Si troverebbero infatti in tale scritto per la
prima volta enunciati «i procedimenti di una
storiografia fenomenologicamente intenzionata», che
potrebbe evidentemente liberare la sua efficacia
euristica anche nella riflessione storica dell’estetica.107
Lo spunto teorico husserliano riguarda, come si è
106
Anceschi 1962b, 115-137
Sui rapporti tra fenomenologia critica e storiografia estetica si
vedano Rossi L. 1983 e 1990.
107
62
62
detto, il concetto di ʺtradizioneʺ. Anceschi preferisce
comunque muovere da alcune intuizioni di Thomas S.
Eliot, che, sul piano teoretico potrebbero essere
considerate equivalenti, sebbene piú specificamente
orientate «dall’angolo del poeta; e di un poeta, poi, che
si è dato il compito di costituire un sistema di istituzioni efficaci per sé e per i poeti seguenti». Notazione,
quest’ultima, che già anticipa un motivo di fondo della
nuova fenomenologia critica, che, come s’è detto, da
Husserl prende dichiaratamente le distanze. Ma
stiamo qui al nostro tema, cioè ai riferimenti
specificamente husserliani che in questo contesto
vengono fatti valere per l’estetica:
Eliot osserva – riassume Anceschi – che la tradizione
non consiste nel ricalcare con cieca e timida fedeltà le
vie della generazione che ci ha preceduti; esempi cosí
semplici presto si perdono, e, in ogni modo, la “novità è
meglio della ripetizione”. In realtà per tradizione va
inteso qualche cosa di molto piú ampio: essa deve venire acquistata in eredità, ma deve essere faticosamente conquistata: in primo luogo, essa esige quel
senso storico che implica non solo l’intuizione dell’esser
passato del passato, ma anche quella della sua presenza.
Ora, quest’esigenza messa in campo da Eliot di
una riconquista della tradizione è secondo Anceschi
tacitamente all’opera quando ci si cimenta nella produzione artistica del nuovo:
ciò che avviene quando è creata una nuova opera
d’arte è qualche cosa che avviene in tutte le opere
d’arte che la precedono […]. I monumenti esistenti
costituiscono tra loro un ordine che è modificato dall’introdursi nel loro cerchio di una nuova (veramente
nuova) opera d’arte. L’ordine esistente è completo,
63
63
prima che arrivi la nuova opera; perché l’ordine resista dopo il sopravvenire della novità, l’intero ordine
esistente deve essere, sia pure di poco, mutato. E
questo è l’accordo tra il vecchio e il nuovo, e questa è
nelle sue vive articolazioni la nozione di tradizione.
L’esperienza della tradizione si chiarisce dunque
nel rilievo delle relazioni che il presente istituisce col
passato, con le soluzioni che la storia tramanda e che
costituiscono l’orizzonte a partire da cui si genera il
senso della realtà attuale. Eppure, il riferimento all’arte ci avverte che non è per nulla estranea al recupero delle intenzionalità originarie la dimensione
della praxis, qui intesa come corporeità operativa
animata da un’intenzionalità progettuale; ed è proprio
in riferimento ad una tale nozione di corporeità che si
può far valere ad avviso di Anceschi il messaggio
dell’ultimo Husserl:
Per praxis, generalmente parlando, Husserl intende
quella vitalità del presente, in cui l’intenzionalità si
fa bisogno e propone orizzonti presunti. Tale vitalità
è soggetta a usura, e per cosí dire si consuma: nel
presente che in quanto passante viene formandosi
come passato, essa si vien spegnendo, e come
irrigidendosi. La tradizione è una conseguenza di
questo processo, ed è quasi l’invecchiamento della
storia vivente. La tradizione è dunque passato: ma è
un passato che può essere richiamato, che può rifarsi
e si rifà presente in relazione ad un orizzonte futuro
presente come prospettiva dell’intenzionalità.
Se invece per tradizione, come comunemente accade,
si intende solo un plesso di scienze compiute, di oggetti finiti o di gesti definitivi, inevitabilmente si
perde tutto il processo che è stato necessario per
compiere e per definire quegli orizzonti culturali che
64
64
vengono tramandati.
Il riferimento alla fenomenologia costitutiva
husserliana si situa dunque entro il contesto della
produzione delle Kulturwelten; Husserl – prosegue
Anceschi – «sembra aiutarci a coordinare in modo
organico intuizioni metodologiche e critiche finora
prive di sistemazione», tant’è che sulla sua scia ha
preso effettivamente il via una decisa rivendicazione
della scientificità – scientificità non strutturalistica e
non dogmatica –108 dei saperi sull’uomo e, fra questi,
in particolare, dell’estetica. L’excursus sull’origine
della geometria, infatti, è pienamente utilizzabile a
questi scopi, in quanto
[…] nello stesso tempo egli [Husserl] mette anche in
luce talune operazioni interne alla vita della lettera108
L’utilizzo della fenomenologia nella fondazione delle scienze
umane rientrava anche in un progetto volto ad arginare la diffusione dello
strutturalismo. L’argomento è stato studiato da Renato Barilli, il quale nota
però come la nozione di struttura non sia di per sé, almeno nella sua
formulazione in Ferdinand de Saussure, opposta ad un modello di pensiero
del ceppo sintetico quale appunto la fenomenologia: «Parlare di struttura
[…] vuol dire sconfiggere sul nascere le pretese sommatorie-combinatorie
di ogni metodologia di derivazione positivista, e anzi, in antitesi ad essa,
fornire le migliori garanzie per una fondazione autonoma delle scienze
umane, rispettandone appieno le esigenze specifiche». Tuttavia, in Italia,
come anche in altri paesi, la dimensione diacronica della parole sarebbe
stata ben presto abbandonata, essendosi invece massicciamente infiltrata la
linguistica hjelmsleviana «con la cui mediazione lo strutturalismo si è
ricalcato e rimodellato per intero secondo lo stampo del positivismo logico
di Carnap». In breve, la struttura sarebbe stata sostituita dal segno. Gli anni
’60 sarebbero stati caratterizzati da una ventata «analitica», a tal punto che
«le varie esigenze […] sintetiche, dinamiche di cui la fenomenologia era
già portatrice negli anni ’50 contro il positivismo logico tornano buone
oggi, per tentare di trovare un compenso alle sempre piú palesi deficienze
delle imprese di specie semiotica» Barilli 1982, 153-154. Sulla
fenomenologia come fronte d’opposizione allo strutturalismo cfr. anche
Battaglini 1963; Curi 1965.
65
65
tura per solito ignorate, o non considerate, o non
comprese dall’angolo di chi prestabilisce che la realtà
estetica non interessa oltre il risultato. Io penso qui
prima di tutto a quel sentimento per cui ogni decisione sulla forma appare sempre una decisione sul
passato e sul futuro della forma stessa in generale; o
anche alla illusione (necessaria) che ogni opera, ogni
movimento porta con sé di “rompere ” con il passato
– cui corrisponde una successiva, inevitabile scoperta
dei legami con il passato, della continuità; o, infine,
ai frequenti riattivamenti del passato e ipotesi di futuro in cui si muove l’attività artistica. Si tratta evidentemente di suggerimenti preziosi in un campo
dove è facile concedere all’abitudine dei procedimenti, alla reificazione dei sistemi metodologici, all’inerzia nell’uso di strumenti ormai in ritardo rispetto alla conoscenza.
La dialettica individuata da Husserl fra Urstiftung e sedimentazione passiva può dunque essere
ripresa nel contesto di un’estetica programmaticamente orientata verso il divenire dell’arte e delle
sue poetiche.
Sorge però a questo punto un problema esegetico
relativo allo stesso pensiero husserliano:
Mentre inizialmente per Husserl l’intenzione di coscienza era soprattutto eidetica, visione, intuizione
essenziale, ora – e in particolare con la Krisis – essa
si fa pratica. Eidos e praxis. Il tema della praxis
sembra per noi uno dei piú fertili della ricerca husserliana per gli sviluppi che suggerisce. Ma in che
modo la praxis si accorda con l’eidos? La purezza e
l’apoditticità dell’eidos non sarà turbata?
Per rispondere diamo la parola a Guido Pedroli
(a cui rinvia, in chiusura, lo stesso Anceschi), autore
di un contributo su Realtà e prassi in Husserl com-
66
66
parso su quel vero e proprio manifesto della seconda
stagione di studi husserliani in Italia che è il volume
miscellaneo Omaggio a Husserl.109 Pedroli analizza alcuni inediti stesi tra gli anni 1930-35 in cui Husserl,
riflettendo sulla crisi delle scienze, considera la corporeità operante quale fondamento di ogni esperienza –
esperienza possibile e del possibile:
Ogni percepire ed esperire, ogni intendere sia intuitivo che non-intuitivo è un operare, secondo modalità
diverse, secondo diverse implicazioni a livello diverso, ma sempre un operare corporeo (ein leibliches
Tun). […] Ciò significa rompere con la concezione
kantiana dell’atto conoscitivo come atto unificante
secondo forme categoriali la molteplicità dei dati di
coscienza di per sé non-significativi. Alla totale matematizzazione dell’“universo mondano” ad opera
della scienza “copernicana” Husserl contrappone una
visione fenomenologica del mondo incentrata sulla
coscienza esperiente, della quale negli ultimi scritti
sottolinea il carattere corporeo-concreto. Mentre
nelle Ideen I l’intenzione di coscienza era soprattutto
visione, in totale trasparenza dell’oggetto allo
sguardo intuente, negli ultimi scritti essa è considerata principalmente come un movimento concreto
verso il reale, un “agire” corporeo del soggetto
esperiente. Ove resta aperta la questione in che
misura si può ancora parlare di trasparenza
dell’oggetto alla coscienza e di apoditticità della
visione eidetica.
Facendo leva su alcuni inediti preparatori alle
conferenze di Vienna e di Praga del 1935, Pedroli mostra dunque come l’ultimo Husserl rimetta in discus109
AAVV 1960.
67
67
sione l’evidenza oggettiva, intesa nella sua staticità
eidetica. Entra ora in considerazione l’orizzonte intersoggettivo e, al suo interno, la prassi genetica del
senso: il dato reale che «precede e stimola l’atto di coscienza» è già «frutto di un’esperienza collettiva», di
un’esperienza «intesa non nel senso ristretto di atto
conoscitivo ma di una vera e propria prassi di soggetti
che insieme vivono, operano, amano e soffrono». La
realtà che nel primo Husserl subisce la riduzione da
parte di una coscienza pura, e sembra perciò negata,
riemerge ora «in forma di attività pratica».
Si può notare in queste affermazioni qualcosa di
analogo all’interpretazione della fenomenologia non
piú come filosofia trascendentale ma come filosofia
della prassi che perseguiva in questi stessi anni Enzo
Paci;110 anche per Pedroli, infatti, il dato reale non si
110
«La questione della “crisi” mette alla prova il trascendentalismo
della fenomenologia, nella sua pretesa di fondazione apodittica del sapere,
e non è casuale che proprio La crisi delle scienze europee sia il testo che
piú viene messo alla prova da filosofi vicini al pensiero husserliano, come
Merleau-Ponty, Banfi o Paci, per sottolineare necessarie rettifiche e
integrazioni alla fenomenologia trascendentale» Zecchi 1986, 35. E
teniamo presente che il considerare la storia come tema essenziale «che
inerisce alla fenomenologia necessariamente e senza il quale le fenomenologia non avrebbe potuto essere quella che è» (Paci 1969, 16), è frutto
dell’interpretazione husserliana di Enzo Paci: «Se per Husserl […] il
mondo umano è per essenza sempre lo stesso, se per Husserl la ragione è il
luogo in cui le idee si trovano eternamente e assolutamente, e se – ancora –
la storia è una realtà solo in quanto dedotta dal movimento generale della
razionalità, Paci sconvolge l’ordine fenomenologico husserliano inserendo
l’essenzialità del divenire nell’essere e determinando, attraverso il divenire,
le condizioni fenomenologiche per la manifestazione del senso che si
costituisce sulla base di una filosofia della storia». Si tratta secondo Zecchi
di un «oltrepassamento di Husserl nel nome di Husserl» Zecchi 1986, 39.
Di Paci si vedano a questo riguardo soprattutto Paci 1961f; 1963a; 1968;
1973.
68
68
rivela piú solo frutto dell’attività del soggetto, poiché
la fenomenologia genetica mette in chiaro come, di
fatto, la presunta coscienza «pura» lavori in realtà su
una «Vorgegebenheit» che ne condiziona radicalmente
l’intenzionalità. E si deve pertanto riconoscere che,
come afferma molto icasticamente Husserl, «Welt
wenn sie überhaupt konstituiert fertig war, war schon
Welt aus Praxis»111. Pedroli ne può cosí concludere:
A differenza dell’animale, cui l’orizzonte condizionante si presenta secondo determinazioni univoche
(dell’essere cosí e non altrimenti), l’uomo vive in un
orizzonte di realtà che include anche il non-essere, e
cioè possibilità, probabilità, aspettative ecc.
L’atteggiamento fondamentale per cui l’uomo, attraverso il possibile, realizza un altro e diverso reale è
un atteggiamento pratico.112
Pedroli ha cosí toccato temi cruciali che saranno
al centro dell’attenzione nei successivi studi di (ma
anche sulla) estetica fenomenologica in Italia che si
svilupperanno negli anni immediatamente successivi:
il pre-categoriale materiale, la prassi intenzionale
sensitivo-corporea, la possibilità o variabilità del dato
d’esperienza. Ed è proprio l’esperienza estetica (fruitiva e produttiva) cosí come verrà teorizzata in questi
contesti che, destrutturando e ristrutturando i modi di
apparizione dell’oggetto, ponendo cioè le apparenze esplicitamente a tema, mette allo scoperto una genesi e
costituzione dell’oggettività molto vicina a quella
teorizzata dalla fenomenologia di Edmund Husserl.
111
«il mondo quando mai fu compiutamente costituito era già mondo a
partire dalla prassi» Ms. A V 20, in Pedroli 1960, 206.
112
Pedroli 1960, 207.
69
69
Si capisce dunque come il modello teorico, che si
andava sempre piú diffondendo nelle interpretazioni
italiane di Husserl, facente capo soprattutto al nuovo
«piccolo inizio» della Krisis, si prestasse molto bene ad
essere messo a frutto entro lo sfuggente orizzonte
dell’estetico, il quale, del resto, proprio allora abbisognava di una riconsiderazione filosofica che ne
evidenziasse la specificità e la pertinenza di fronte al
proliferare delle scienze umane esatte che tendevano
a revocare alle proprie epistemologie tutto il complesso dell’indagine antropologico-filosofica.
La lezione husserliana spingeva in altri termini
nella direzione di una rifondazione dell’estetica che ne
attestasse l’autonomia di campo e allo stesso tempo la
capacità di comprendere l’intenzionalità originaria
che ermerge dalle vive indicazioni delle poetiche. E
queste indicazioni sono ciò che l’attenta ricerca di
Luciano Anceschi non tende lascarsi sfuggire.
70
70
Nota sulla fortuna italiana
della prima estetica fenomenologica
Nel capitolo primo abbiamo esaminato alcune riflessioni – le uniche, per quanto si sappia – dedicate
da Husserl specificamente all’estetica, alle quali
abbiamo successivamente accostato ulteriori riflessioni dascendenza strettamente husserliana che
possono essere fatte valere per la teorizzazione di
un’estetica fenomenologica. Ora, al di là degli sviluppi
interni al pensiero di Husserl, sin dai primi anni del
secolo avevano autonomamente cominciato ad operare
diversi autori che cominciano a teorizzare un’estetica
fenomenologica, evidentemente ispirantesi a Husserl,
sebbene non sempre del tutto in linea col suo stesso
pensiero. Si tratta di studiosi che fanno parte del
cosiddetto ʺcircolo fenomenologico di Monacoʺ oppure
di allievi del periodo di Gottinga, i quali, prendendo a
modello le riflessioni husserliane sulla logica, avevano
cominciato a delineare una fondazione dell’estetica
come disciplina scientifica e autonoma.113
Da quanto va emergendo grazie agli importanti
studi di Gabriele Scaramuzza, sembra che queste
113
Come s’è visto nel capitolo 1, sono state di recente evidenziate
diverse analogie esistenti fra le riflessioni sul valore estetico elaborate per
la libera docenza da Aloys Fischer – ora disponibili anche in traduzione
italiana: Fischer 1996 – e alcuni fogli di appunti raccolti nel ms A VI 1 di
Husserl. Al di là di queste analogie, si può in ogni caso affermare che
l’estetica fenomenologica ha proceduto autonomamente rispetto agli
sviluppi del pensiero husserliano, seguendo fondamentalmente due direttive, una basata su un isolamento metodico dell’oggetto al fine di indagarne formalisticamente l’artisticità, l’altra concentrata sull’inerenza all’oggettività di un valore ed attenta ai suoi effetti soggettivi.
71
71
riflessioni non siano per nulla di second’ordine e che
costituiscano invece un importante termine di
riferimento per la comprensione di diversi aspetti
della cultura filosofica nella prima metà del XX secolo.114
Proveremo qui di seguito a tracciare le linee di
sviluppo dellinteresse nato allinizio degli anni
Settanta in Italia per la prima estetica fenomenologica, interesse che conduce anche alla traduzione e
pubblicazione – spesso accompagnata anche da utili
cornici interpretative – di diversi scritti di non facile
reperibilità di Waldemar Conrad, Roman Ingarden,
Moritz Geiger, Nicolai Hartmann,115 e recentemente
anche di Aloys Fischer. Cominceremo col loffrire un
breve repertorio bibliografico dell'attività traduzione e
pubblicazione dei testi, per passare poi ad una sintesi
dei principali contenuti teorici emersi nel confronto
critico sviluppato dagli estetologi italiani con i primi
esponenti dell’estetica fenomenologica tedesca.
A. Bibliografia ragionata delle traduzioni dalla prima
estetica fenomenologica.
Roman Ingarden è noto al panorama filosofico
italiano perlomeno dal 1956.116 In quell’anno il filosofo
114
Autori come Waldemar Conrad o Roman Ingarden hanno avuto
fortuna anche nei paesi dell’Europa orientale, essendo rintracciabili loro
influssi nei confronti del formalismo russo e poi dello strutturalismo
linguistico praghese, oppure anche negli USA o in Sudamerica, dove è ben
noto anche Moritz Geiger. Questi, sottolinea Scaramuzza, fu maestro di
Walter Benjamin, che ne subí un certo influsso.
115
A prescindere da ogni discussione sulla ortodossia fenomenologica
di Hartmann, il suo nome di fatto compare qui in Italia unitamente a quello
di altri esponenti dell’estetica fenomenologica.
116
In Italia il valore delle sue indagini è stato ampiamente messo in rilievo da: Oberti 1964; Migliorini 1968; Scaramuzza 1976; 1984; 1989;
– segue –
72
72
polacco pronuncia a Venezia una relazione su Le
valour esthétique et le probleme de son fondement
objectif,117 mentre l’anno seguente l’«Archivio di filosofia», pubblica (anche in versione italiana) il saggio
Über die Gegenwärtigen Aufgaben der Phänomenologie118; di nuovo, nel 1958, l’allievo husserliano è
relatore a Venezia con Bemerkungen zum Problem des
ästhetischen Werturteils119. Nel 1961 Gianni Vattimo
traduce per «Rivista di estetica» O tak zwanym malarstwie abstrakcjnym (La pittura astratta), saggio
pubblicato l’anno precedente su rivista polacca,120 ed
ora ristampato su una ricca miscellanea curata da Gabriele Scaramuzza sui rapporti tra arte e fenomenologia.121 Sembra dunque che la lezione ontologico-formale di questo fenomenologo – notoriamente avverso al
presunto idealismo husserliano – sia stata inizialmente resa nota in Italia nella sua versione estetologica.122
Sempre sulla «Rivista di estetica» trova spazio,
nel 1963, un’estesa recensione di Ladislao Strozewski
degli scritti ingardeniani raccolti nei due volumi di
Studia z estetyki,123 mentre «Il Verri» propone nel
1967 la traduzione del capitolo Das «Leben» des literarischen Werkes, tratto da Das literarische Kunstwerk.
Eine Untersuchung aus dem Grenzgebiet der Ontolo1996; Baccarini 1981 e 1982. Dufrenne 1969, 291-302 ritiene invece che
Ingarden non abbia compreso sino in fondo la fenomenologia husserliana,
ed altrettanto sbrigativo è il giudizio sul filosofo polacco anche in
Morpurgo-Tagliabue 1960, pp. 442-3.
117
Ingarden 1957a.
118
Ingarden 195 b, tradotto: Ingarden 1957c.
119
Ingarden 1958a, tradotto: Ingarden 1958b.
120
Ingarden 1960b; 1961a.
121
AAVV 1991.
122
Cfr. Ingarden 1925; 1929; Husserl 1968d.
123
Strozewski 1963, Ingarden 1966; la prima edizione è del 1957-58.
73
73
gie, Logik und Literaturwissenschaft,124 lo scritto forse
piú noto di Ingarden, in cui la struttura dell’opera
letteraria viene indagata per strati (Schichten). Il
testo viene tradotto integralmente l’anno successivo,125 mentre altri passi si trovano su un’antologia
curata da Stefano Zecchi.126 Il fatto che anche la prima
integrale traduzione dal discepolo di Gottinga sia
condotta su un’opera di tematica propriamente estetologica (sebbene egli abbia dichiarato d’analizzare
l’opera letteraria spinto da interessi ontologico-formali) sembra ulteriormente sottolineare l’importanza
della sua originaria applicazione del metodo fenomenologico all’universo delle arti.127
Nel 1969 si segnala inoltre la traduzione di un
124
Ingarden 1931.
Ingarden 1968a. La traduzione è condotta sulla seconda edizione
tedesca (Ingarden 1960a). L’edizione comprende l’appendice sul teatro dal
titolo Von den Funktionen der Sprache in Teaterschauspiel, saggio
originariamente edito su rivista polacca (Ingarden 1959). La versione
italiana, però, non è sempre felice ed è ormai difficilmente reperibile in
commercio.
126
Zecchi 1983, 255-267.
127
Das literarische Kunstwerk, composto nell’inverno 1927/28, oltre
che nel 1931 è apparso in Germania anche nel 1960, 1965 e 1972. Era stato
però anche riscritto da Ingarden in polacco e quindi tradotto in inglese e in
francese. Nella prefazione alla seconda edizione tedesca Ingarden riferisce
di aver aggiunto alcune note allo scopo di dissolvere le numerose obiezioni
alzate negli anni contro lo scritto, lasciando peraltro invariata la struttura
generale del testo. Egli dichiara di essere piú fiducioso nella comprensibilità della sua opera, ritenendo gli anni ’60 tempi piú maturi per la
comprensione del realismo ontologico in essa teorizzato: «Allora, nell’anno
1930, era un’impresa arrischiata, occuparsi dell’ontologia dell’opera d’arte
letteraria, discutere problemi puramente strutturali ed esistenzialiontologici, trattando l’opera letteraria sulla base del problema IdealismoRealismo. Ma proprio in tal riguardo la situazione di fatto, in questi trenta
anni, si è sostanzialmente trasformata. … Esso [questo libro] quindi non
rimarrà cosí isolato nel mondo scientifico come all’inizio della sua
esistenza» (Ingarden 1968 a, p. 12). Un’opinione che si è rivelata fondamentalmente corretta.
125
74
74
breve passo da O Poznawaniu Dziela Literackiego
(Ingarden 1937), uno studio di poco successivo a Das
Literarische Kunstwerk. Nel brano qui tradotto
(Ingarden 1969), Ingarden si limita però a riassumere
i capisaldi dello studio precedente.
Nel 1982 Antonio Setola e Massimo Seretti
traducono Über die Verantwortung. Ihre ontischen
Fundamente, relazione tenuta da Ingarden a Vienna
nel settembre del 1968, e poi pubblicata a Stoccarda.128
Tra il 1988 e il 1989 vengono infine tradotte
alcune pagine sull’architettura e il saggio su L’opera
musicale e la sua identità129 tratte dagli scritti contenuti nella raccolta intitolata Untersuchungen zur Ontologie der Kunst.130
Nicolai Hartmann Nel 1969 la collana Orientamenti di Estetica dell’editrice Liviana in Padova, diretta da Dino Formaggio, pubblica un volumetto portante sul frontespizio, sotto il nome di Nicolai
Hartmann, il titolo L’Estetica.131 Dopo un saggio introduttivo di Dino Formaggio132 il lettore vi trova passi
scelti da Möglichkeit und Wirklichkeit e dall’Ästhetik
tradotti da Massimo Cacciari e, in appendice, una
breve nota terminologica133. L’Ästhetik, pubblicata postuma nel 1953 a Berlino,134 era già apparsa in
128
Ingarden 1982, traduce Ingarden 1970 b.
Sull’importanza dell’estetica musicale di Ingarden ha di recente
richiamato l’attenzione Gabriele Scaramuzza (Scaramuzza 1991b).
130
Ingarden 1988 e 1989.
131
Hartmann 1969.
132
Formaggio 1969.
133
Cacciari 1969.
134
Hartmann 1953. La prima stesura fu realizzata tra la primavera e
l’estate del 1945, ma Hartmann, sia pur lavorando assiduamente, non riuscí
129
– segue –
75
75
seconda edizione tedesca nel 1966135. In Italia, invece,
l’opera era rimasta sino a quel momento quasi sconosciuta.136 L’antologia fornisce un quadro delle linee
fondanti del pensiero estetico di Nicolai Hartmann: da
Möglichkeit und Wirklichkeit sono tradotti i primi sei
punti dell’introduzione, passi dal terzo e quattordicesimo capitolo ed il succinto e compendioso (quanto a
tematiche estetologiche) capitolo trentacinquesimo;137
dall’Ästhetik la corposa introduzione e taluni paraa completare l’opera. Solo la prima parte, equivalente ad un terzo del suo
progetto (sino a p. 182 dell’edizione tedesca), era pronta per l’edizione nel
1950. L’opera è stata comunque pubblicata da Frida Hartmann e Heinz
Heimsoeth sulla base dei manoscritti originali.
135
Hartmann 1966 b. Dello stesso anno ed editore è la terza edizione di
Möglichkeit und Wirklichkeit (Hartmann 1966 a). Su queste edizioni sono
state condotte le traduzioni di Cacciari.
136
Cosí Dino Formaggio: «Pur nella ripresa di ricerche sul pensiero di
Hartmann sorte a partire dall’ultimo dopoguerra, l’estetica raramente
appare sfiorata, tanto che si può dire che ancora oggi giaccia quasi sepolta
nel silenzio» (Formaggio 1969, p. 2).
L’opera è stata studiata da Francesco Barone (Barone 1953-54; 1957, pp.
178-208; 1963 a, pp. 34-5), ai cui preziosi saggi fecero eco solamente altre
due recensioni: l’una, alquanto severa, di Friedrich Low (Low 1954) e l’altra piú distaccata di Alberto Caracciolo (Caracciolo 1956). Nel 1960 interviene anche Rosario Assunto (Assunto 1960 a), senza peraltro addentrarsi
nell’impianto teoretico dell’opera. Successivamente Remo Cantoni
compendia l’estetica hartmanniana nella sua bella monografia sul filosofo
tedesco (Cantoni 1972, pp. 136-161), ma solo di recente Hartmann entra di
diritto nella storia dell’estetica (Givone 1988, pp. 137-139). Altre pagine
hartmanniane di interesse estetologico si trovano nella Grande Antologia
Filosofica (Assunto-Stella 1978).
137
Secondo Formaggio in questo pagine – ove Hartmann propone lo
scongelamento della dura effettività reale e l’apertura alla «pura»
possibilità – è già risolto il momento cruciale dell’estetica hartmanniana:
«Il rapporto di apparizione, secondo il quale Hartmann ritiene di fissare
l’emergere dell’oggetto estetico od artistico nel suo venire a presenza
sensibile ... rimane ancora del tutto misterioso se non viene immerso nella
vera problematica di fondo che lo sostiene, vale a dire nel rapporto di possibilità-realtà». (Formaggio 1969, p. 15). Formaggio spiega, cosí, la scelta
dei passi nell’antologia.
76
76
grafi che ne approfondiscono le principali intuizioni. I
brani antologici sono intercalati da brevi riassunti in
cui il traduttore svolge il restante contenuto delle due
opere.
Waldemar Conrad Qualche anno piú tardi la
stessa collana138 pubblica due saggi, di Waldemar
Conrad e Moritz Geiger, tra i primi in ordine cronologico a parlare di estetica fenomenologica.139 Del 1972 è
la traduzione condotta da Gabriele Scaramuzza di
una metà dello studio di Conrad sull’oggetto estetico.
L’originale, dal titolo Der ästhetische Gegenstand (eine
phänomenologische Studie), apparve in due blocchi,
nel 1908 e nel 1909140, sulla rivista d’estetica diretta
da Max Dessoir, la «Zeitschrift für Ästhetik und allgemeine Kunstwissenschaft». Il testo è diviso in tre sezioni, precedute da un’introduzione metodologica,
tradotta da Scaramuzza assieme alla parte sulla poesia (arte temporale) e alla conclusione sulle arti spaziali.141 L’edizione italiana, dal titolo L’oggetto estetico. Estetica fenomenologica I, propone una presentazione di Dino Formaggio142 e un’estesa introduzione di
Gabriele Scaramuzza143 in cui la figura di W. Conrad
viene collocata nell’ambito degli sviluppi della prima
138
Sembra utile segnalare, anche solo per l’influsso che esercitò sulle
estetiche successive, la raccolta di saggi di Georg Simmel edita, sempre per
Orientamenti d’estetica, nel 1970 (Simmel 1970). Le traduzioni, di
Massimo Cacciari (per gli originali v. Cacciari 1970 b), sono precedute da
un’estesa introduzione dello stesso (Cacciari 1970 a).
139
Sugli sviluppi dell’estetica fenomenologica ancora prima del saggio
di Conrad v. Scaramuzza 1989, in particolare p. 6.
140
Conrad 1908; 1909.
141
Le pagine tradotte sono: Conrad 1908, pp. 71-80 e pp. 469-511;
Conrad 1909, pp. 451-55.
142
Formaggio 1972.
143
Scaramuzza 1972 a.
77
77
estetica fenomenologica e dove si riferisce abbondantemente sulla sezione del saggio di Conrad non
tradotta. Troviamo infine una nota alla traduzione in
cui Scaramuzza segnala la difficoltà del linguaggio di
Conrad, constatandone la parentela con il lessico delle
Logische Untersuchungen di Husserl.
Moritz Geiger Del 1973 è invece l’integrale traduzione, curata sempre da Scaramuzza, dei Beiträge zur
Phänomenologie des ästhetischen Genusses144 di
Moritz Geiger, apparsi originariamente nel 1913 sul
primo numero dello «Jahrbuch für Philosophie und
phänomenologische Forschung» diretto da Edmund
Husserl.145 Il volume che, collegandosi al precedente,
porta il titolo La fruizione estetica. Estetica fenomenologica II, contiene però anche un corposo studio di
Scaramuzza – una monografia che unitamente alla
sezione su Geiger ne Le origini dell’estetica fenomenologica, resta ancora oggi, a quanto ci risulta, l’unica
in Italia sul pensiero di Moritz Geiger –146 ed una
preziosa nota terminologica resa necessaria dalla
differente terminologia relativa all’area semantica
144
Geiger 1913.
La traduzione è stata condotta sulla seconda edizione del 1922,
uscita però senza modifiche rispetto alla prima.
146
Scaramuzza 1973. Sempre di Scaramuzza, su Geiger, v. anche
Scaramuzza 1988a, 1988b, 1989, 1996b. Il pensiero di Geiger, almeno in
Italia, non sembra esser stato studiato in tempo reale. Sicuramente il
giudizio sbrigativo con cui lo studioso tedesco fu liquidato da Antonio
Banfi contribuí all’assenza di interesse nei suoi confronti. Banfi, infatti,
giudicò le ricerche di Geiger «una serie di determinazioni sconnesse e
perciò astratte» (Banfi 1961, p. 68). Anche in Germania l’interesse per le
opere di Geiger ha avuto nuovi impulsi nell’ultimo ventennio (si veda
Geiger 1976). Continua è la fortuna dello studioso tedesco negli Stati Uniti,
dove si trasferí gli ultimi anni della sua vita. Alcune opere sono state
tradotte in America Latina. Su vita, opere e letteratura critica v.
Scaramuzza 1988 b.
145
78
78
dell’esperienza estetica nelle due lingue; per caratterizzare l’accezione geigeriana di Genuß, spiega infatti
Scaramuzza, viene adottato il termine fruizione in
quanto capace di connotare quel distacco che, secondo
Geiger, è richiesto dal vissuto estetico147.
Bisogna attendere il 1988 per trovare, sempre ad
opera di Scaramuzza, un’altra traduzione di uno
scritto di Moritz Geiger; Lo spettatore dilettante è il titolo di una fascicolo di «Aesthetica pre-print» in cui
viene pubblicata la versione italiana di Vom Dilettantismus im künstlerischen Erleben, un breve saggio
dello studioso monacense, pubblicato originariamente
nel 1928.148 Il fascicolo è però preceduto da un’utile
presentazione, in cui Scaramuzza dopo aver sottolineato l’importanza di questo contributo geigeriano,
propone un confronto con Walter Benjamin, che ne fu,
egli ricorda, allievo a Monaco; chiude una fornita
appendice biobibliografica.149
L’interesse di Scaramuzza per Geiger è oggi
tutt’altro che spento; è di pochi giorni fa l’edizione di
un altro utile volume miscellaneo contenente ben
quattro scritti dell’estetologo monacense, unitamente
ad altri materiali di un altro allievo di Lipps, Aloys
Fischer, e a scritti di Husserl, nonché di Scaramuzza
stesso. Di Geiger si possono qui leggere in italiano
l’articolo Estetica del 1921, la relazione Estetica fenomenologica del 1924, la prefazione a Zugänge zur
Ästhetik, datata 1927 e lo scritto sul metodo filosofico
147
Scopo non secondario del saggio è infatti, secondo Scaramuzza,
distinguere Genuß da Genuß estetico e quindi fruizione ben si presta a
connotare un godimento non edonistico. Spiegelberg, diversamente,
preferisce tradurre con enjoyement, (Spiegelberg 1960, 213) e,
analogamente, Zecchi propone godimento..
148
Geiger 1988.
149
Scaramuzza 1988 a; 1988 b.
79
79
di Alexander Pfänder.150 Sempre relativamente a
Geiger è da segnalare infine, in questo volume, anche
un nuovo contributo di Scaramuzza sull’interesse solo
apparentemente marginale dello studioso tedesco per
l’estetica musicale.151
Max Dessoir Per la sua vicinanza ai temi della
prima estetica fenomenologica, l’interesse per l’opera
di Max Dessoir Ästhetik und allgemeine Kunstwissenschaft152 può rientrare nell’ambito di questo
intervento; se ne segnala pertanto la traduzione, pubblicata nel 1986 a cura di Lucio Perucchi e Gabriele
Scaramuzza, nella collana Estetica contemporanea
diretta da Dino Formaggio per le Edizioni Unicopli di
Milano. La traduzione, condotta sulla seconda edizione del 1923, è di Franco Farina. Il volume contiene,
oltre ad una presentazione di Formaggio, un’avvertenza e una corposa prefazione di Perucchi e
Scaramuzza in cui sono appunto evidenziati anche i
rapporti con l’estetica fenomenologica.153
Fenomenologia e arte L’attualità dell’interesse esistente in Italia per le origini dell’estetica fenomenologica è testimoniato infine dalla recente aggiunta al
catalogo delle traduzioni italiane di numerosi altri
nomi. Nel 1991 Gabriele Scaramuzza ha curato un
importante volume su La fenomenologia e le arti,154 in
cui compaiono diversi saggi volti ad ispezionare i
rapporti o le analogie fra la fenomenologia e il mondo
delle arti europeo del XX secolo. Si leggono i saggi di
150
151
152
153
154
Geiger 1996a; 1996b; 1996c; 1996d.
Scaramuzza 1996b, 131-144.
Dessoir 1986.
Perucchi-Scaramuzza 1986.
AAVV 1991.
80
80
Walter Biemel su Picasso e sulla temporalità nel
romanzo, di Guy Habasque su cubismo e fenomenologica, di Manfred Smuda su un’interpretazione
fenomenologica di Joyce, di Ferdinand Fellmann sulla
riduzione fenomenologica come forma espressionistica
di pensiero, di Hans Reiner Sepp su Kandinsky e
Husserl,155 di Max Scheler su metafisica e arte, di Jan
Patocka sui rapporti fra arte e tempo, di Ingarden
sulla pittura astratta (già comparso sulla «Rivista di
estetica» nel 1961), a cui si aggiunge un’altra lettera
di Husserl sul proprio itinerario intellettuale.
Aloys Fischer Sul volume recentemente curato da
Scaramuzza sull’estetica monacense compaiono per la
prima volta in lingua italiana anche degli scritti
d’estetica di Aloys Fischer, autore che dovette giocare
un ruolo molto importante per i primi sviluppi dell’estetica fenomenologica.156 Viene tradotto lo scritto
su Estetica e scienza dell’arte157 e, soprattutto, viene
proposta in appendice un’esposizione analitica dell’importante lavoro per l’abilitazione Zur Bestimmung
des ästhetischen Gegenstandes, del quale vengono
considerate il capitolo edito nel 1907 ma anche la
stesura dattiloscritta e i rifacimenti dell’autore, non
senza ulteriori confronti con altri suoi scritti sugli
stessi argomenti.158 Si tratta di un documento molto
importante che può anche aiutare a mettere luce su
155
Di Hans Reiner Sepp compare anche un articolo su Il cubismo come
problema fenomenologico sul n. 3, 1996 del semestrale milanese «Arte
estetica»: Sepp 1996.
156
Fischer era attivo nell’ambiente di Monaco, dove collaborò lungo
tempo con Lipps, occupandosi per diversi anni d’estetica (tenendo anche
alcuni corsi universitari su di essa; divenne però successivamente piú noto
come pedagogista).
157
Fischer 1996.
158
Scaramuzza 1996c.
81
81
alcuni passaggi dell’unico manoscritto husserliano
sull’estetica, parte del quale, come si è visto, era stato
steso proprio dopo un colloquio con Aloys Fischer (e
Johannes Daubert). Ed è probabile che, a questo
punto, le ricerche sulle origini dell’estetica fenomenologica possano procedere anche oltre i risultati
peraltro già interessanti a cui sono sino ad ora
pervenute e a cui i diversi studi italiani (di cui ora diremo) che hanno accompagnato questo importante lavoro di traduzione hanno pure essenzialmente contribuito.
B. Le origini dell’estetica fenomenologica nella loro
fortuna italiana
Chi voglia fare il punto sulle origini dell’estetica
fenomenologica può trovare oggi in Italia diversi studi
utili al riguardo, pubblicati nell’ultimo ventennio. Il
punto di partenza potrà essere costituito da Le origini
dell’estetica fenomenologica, 1976 di Gabriele Scaramuzza, a cui potrà fare seguito la lettura dei successivi contributi dell’autore, fra cui i successivi volumi
Oggetto e conoscenza, 1989 ed Estetica monacense (a
cura di), 1996. Diversi altri scritti sono comunque rinvenibili nella ricca letteratura italiana sul tema (che
alleghiamo in bibliografia), ma in gran parte dipendenti dai citati lavori di Scaramuzza, che attinge
direttamente alle fonti. Senza alcuna pretesa di
sostituire la lettura diretta degli studi citati, a cui
comunque rinviamo, ne presenteremo ora un breve
sunto, finalizzato a mostrare quali siano stati gli autori, le opere e i loro principali contenuti su cui è stata
portata l’attenzione in questo proficuo lavoro di riscoperta delle origini dell’estetica fenomenologica; considereremo tuttavia anche altri interventi autonomi rispetto agli studi di Scaramuzza, fra cui la critica di
82
82
Ermanno Migliorini a Ingarden e il commento introduttivo di Dino Formaggio ai passi tradotti dall’Ästhetik e da Möglichkeit und Wirklichkeit di Nicolai
Hartmann.
La nascita dell’estetica fenomenologica viene
fatta risalire da Scaramuzza agli anni immediatamente successivi alla pubblicazione delle Logische
Untersuchungen159 opera della quale venne ripreso
soprattutto il metodo antipsicologistico – consistente
nella descrizione dei fenomeni allo stato puro, non ridotti cioè ad eventi psichici o naturali –160 che si tentava di trasporre negli studi d’estetica, nei quali si faceva a quei tempi valere altrettanto fortemente l’egemonia della psicologia naturalistica. Non è dunque
sul terreno dei rari accenni all’arte o ad altre tematiche estetologiche presenti nell’opera che si possono
individuare i motivi dell’importanza delle Logische
Untersuchungen per l’estetica, ma su quello del metodo utilizzato per la fondazione dell’estetica; e questo
nonostante la pura idealità degli enti logici avrebbe
comunque posto dei problemi a chi avesse voluto inda-
159
Husserl 1900-01. «Preoccupazione di fondo di Husserl è certo qui
[Ricerche Logiche] individuare e descrivere l’ambito specifico degli studi
logici. Tuttavia, non solo non mancano occasionali accenni a tematiche
estetiche ed esemplificazioni tratte dal mondo delle arti; ma soprattutto vi
sono discussi problemi che riveleranno di fatto possedere una grande
rilevanza anche per l’estetica – come in concreto mostreranno i seguaci di
Husserl che si proveranno ad applicare il metodo fenomenologico agli studi
estetici» Scaramuzza 1989, 31.
160
«Il significato estetico non può andar confuso con la fisicità di un
complesso meramente fonetico, né con qualsivoglia evento psichico; tanto
meno con riferimenti a realtà esterne o interiori a esso precostituite
nell’esperienza dell’autore o del fruitore. Non ha nulla a che vedere con
emozioni personali o sentimenti suscitati, né con ricordi o immagini
evocate, fantasie collaterali, tonalità estrinseche quali l’esser-noto di
qualcosa, intuizioni esemplificative» Scaramuzza 1989, 36.
83
83
gare con le stesse premesse questi nuovi domini.161
Se è vero che, almeno agli inizi, non si fece riferimento alle riflessioni husserliane sull’immaginazione
e sulla fantasia, che ben si sarebbero potute utilizzare
in estetica, ben presto anche altri momenti delle
Ricerche logiche furono però esplicitamente utilizzati
per l’interpretazione dei fenomeni estetico-artistici.
Waldemar Conrad, ad esempio, applicò all’universo
delle arti verbali, spaziali e della musica la distinzione fra espressione e significato proposta nella
Prima Ricerca: l’artisticità inerisce alla struttura segnica dell’opera d’arte allo stesso modo in cui il significato inerisce alle parole; l’opera acquisisce cosí
un’autonomia che esclude ogni interferenza psicologico-soggettiva.162 Secondo una tendenza presente ad
esempio anche nel movimento della allgemeine Kunstwissenschaft (e in altri esponenti dell’estetica fenomenologica), veniva cosí privilegiato il momento dell’oggettività estetico-artistica rispetto alle analisi delle
componenti soggettive,163 e sfruttando anche il modello della Terza e Quarta ricerche logiche husserliane, si affermava una linea di ricerca che portava ad
elaborare un’analisi formale dell’articolazione oggettiva dei significati, concentrata cioè sui livelli di
161
Scaramuzza 1989, 34.
Con W. Conrad, nota Scaramuzza, viene affermata «una modalità
dell’inerire dell’esteticità al segno, che in certo modo riproduce la modalità
dell’annettersi, nell’espressione verbale, del significato alla parola. Il
nucleo estetico dell’oggetto non può considerarglisi annesso sulla base di
operazioni solo soggettive: appartiene all’oggettività dell’oggetto, gli è
immanente in modo non accidentale né esposto a oscillazioni arbitrarie –
non meno di quanto il significato inerisca alla sostanza oggettiva del
mondo segnico-verbale» Scaramuzza 1989, 36.
163
In anni successivi, del resto, Donald Brinkmann interpreterà ancora
il celebre «ritorno alle cose stesse» proprio come un ritorno all’oggetto
estetico; cfr. Brinkmann 1937 e 1938.
162
84
84
significatività individuabili in corrispondenza delle
stratificazioni dell’opera (letteraria, pittorica, teatrale, cinematografica, musicale, architettonica, ecc.).
Tale metodologia d’indagine, che portava W. Conrad a
parlare di una «posizione insolita» assunta in poesia
dai segni linguisitici, sarà poi ampiamente sviluppata
da Roman Ingarden, ma si ritroverà anche prima nel
formalismo russo,164 che parlerà a questo riguardo di
un «effetto di straniamento», e poi nello strutturalismo praghese.165
L’oggetto che interroga il fruitore: Waldemar Conrad
Il primo scritto che viene tradotto in italiano
sulla prima estetica fenomenologica è proprio il saggio
del giovane drammaturgo Waldemar Conrad pubblicato fra il 1908-09 sullo «Zeitschrift für Aesthetik
und allgemeine Kunstwissenschaft».166 Il riferimento
alla fenomenologia è fatto valere da W. Conrad
soprattutto a livello metodico, particolarmente in funzione antipsicologistica; viene conseguentemente pri164
Victor Erlich afferma che l’antipsicologismo, la difesa
dell’autonomia della struttura verbale e l’atteggiamento descrittivo accomunano le ricerche di Ingarden a quelle dei formalisti russi, ai quali fu
proprio il campo del linguaggio poetico a consentire l’applicazione di quell’«eresia» funzionalista; Erlich 1966, 65-66. Su ciò cfr. anche Zecchi 1978,
II, 77-80 e 82-83.
165
«L’estetica fenomenologica, in questo suo aspetto, si può porre a
buon diritto nel solco della tradizione del moderno formalismo di
ascendenza herbartiana (e delle direzioni dell’arte contemporanea che […]
paiono ad esso consone). Dove la difesa dell’irriducibile oggettività
dell’estetico si fa rilievo concreto delle strutture dell’artisticità.»
Scaramuzza 1989, 35.
166
Questo saggio avrebbe immediatamente influenzato Ingarden e poi
il formalismo, passando però sotto silenzio per molti anni. Nel secondo
dopoguerra faranno riferimento ad esso Mikel Dufrenne, poi Elisa Oberti e
infine Gabriele Scaramuzza
85
85
vilegiata l’indagine oggettuale,167 nonostante lo stesso
Conrad auspichi – senza però poi sviluppare – un
completamento «a parte subjecti» di quel tipo di analisi.168 Infatti, come fa notare Scaramuzza, quando
Conrad presenta l’opera d’arte come un sorta di compito da eseguire da parte del fruitore,169 egli riconosce
certamente l’indispensabile apporto della soggettività
alla decodifica dei valori estetici, depositati (per
strati) nell’opera; e se si tratta, certo, di un’intuizione
che non è stata poi esplicitata dall’autore, l’emergere
di qualcosa come oggetto estetico sembrerebbe in tal
modo rinviare comunque all’incontro tra un’intersoggettività storica e la realtà che le si impone. L’evento
estetico, in altri termini, rinvierebbe all’incontro tra
una proposta oggettuale ben definita e un soggetto capace di assumere un determinato atteggiamento, costituitosi entro un contesto storico-sociale.170
Un secondo aspetto che rende interessante
questo saggio di fenomenologia dell’arte è secondo
Scaramuzza la decisa rivalutazione della dimensione
sensibile dell’opera, cioè di quello «strato» che distin167
«Conrad […] nel suo ignorare la polarità soggettiva del discorso,
crede di poter istituire l’oggetto nella sua esteticità rilevandone lo specifico
carattere intenzionale, l’eidos che lo differenzia dall’oggetto naturale e
dall’oggetto percepito, e senza scorgere quindi la specificità dell’oggetto
estetico […] negli atti “personalistici” – diremmo quasi “dialogici” – in cui
si verifica il “riempimento” estetico della cosa» Franzini 1985, 88.
168
Scaramuzza 1976, 35. Conrad, che morí nel 1915, si interessò di
nuovo alla differenza fra atteggiamento estetico e scientifico (Conrad 1915
e 1916), ma abbandonò il piano fenomenologico descrittivo, recuperando
un atteggiamento valutativo piú tradizionale, di limitata portata euristica;
cfr. Scaramuzza 1972a, XLV.
169
Conrad sottolinea la cogenza dell’oggettività dell’opera nei confronti dell’atteggiamento estetico, per far fronte ai soggettivismi idealistici
e romantici che legavano l’estetico ad una libera decisione del soggetto.
170
Scaramuzza 1976, 45 e 53-55.
86
86
gue essenzialmente l’oggetto estetico dagli altri
oggetti ideali. Secondo Conrad, infatti, la dimensione
sensibile dell’opera d’arte richiama su di sé una speciale attenzione soggettiva che fa scattare una risignificazione di tutto l’evento percepito.171 Il suono, ad esempio, pur essendo un fatto fisico, quando viene
strutturato all’interno di un’opera musicale, si risignifica, liberando valenze diverse e facendosi latore
dei peculiari valori che appartengono alla sinfonia
intesa come oggetto estetico. Lo strato sensibile non è
pertanto da considerare un mezzo indifferente, una
passiva materialità.
Ora, nota Scaramuzza, l’atto con cui il percepito
viene di volta in volta risignificato chiama necessariamente in causa l’intenzionalità soggettiva. Infatti, se
per un verso le richieste oggettuali sembrano estremamente rigide (vi è un limite oltre il quale il soggetto
non fruisce piú lo stesso oggetto), per altro verso le
stesse proposte (aventi come loro veicolo essenziale
proprio la dimensione sensibile), necessitano dei soggetti che le decodifichino. È la stessa struttura dell’opera, in altri termini, a prevedere (sia pur implicitamente) l’intenzionalità dei soggetti, alle cui capacità
percettive si deve la validità (epocale) dei valori oggettuali (che, comunque, non hanno nulla a che fare con
le fantasie psichiche). E proprio perché tale implicazione non è stata sufficientemente esplicitata da
Conrad, questi sarebbe stato come «tormentato»
dall’impossibilità di separare nettamente la sfera di
ciò che è gemeint da quella di ciò che è mitgemeint.
Invece, tale difficoltà, lungi dall’essere un limite, nasconde secondo Scaramuzza uno dei principali guada171
L’idealità dell’oggetto costituisce per Conrad un «compito» anche
per la percezione: Dufrenne 1969, 305.
87
87
gni dell’estetica fenomenologica:
non vi è […] una struttura invariabile definita una
volta per tutte, non v’è alcuna essenza metafisica
dell’arte. Limiti e strutture piuttosto variano […] al
variare dei condizionamenti storico-sociali.
Un’indagine fenomenologica deve dunque farsi
carico anche di tutti gli attributi a vario titolo predicabili al nucleo essenziale dell’opera, incluse le eventuali fantasie (da non scambiare, comunque, per valori estetici anch’esse) che insorgono nella psiche del
fruitore; si tratta infatti di elementi pur sempre richiesti dall’opera, frutto del suo impatto con una determinata cultura:172
i fattori psichici, come i dati ambientali e sociali in
qualche modo presenti nell’opera, non sono accadimenti empirici o sentimenti attualmente vissuti nell’animo dell’artista o del fruitore; vengono piuttosto
rilevati in quanto invarianti intersoggettive: l’attesa
della tonica in un brano di musica tonale, come lo
smacco di uno schema ritmico bruscamente interrotto […] sono costanti in nessun modo da confondersi con reazioni del tutto mutevoli che si possono
provare di fronte ad un’opera d’arte, e che solo raramente assumono rilevanza intersoggettiva. Certo
tutto questo riguarda in gran parte la psicologia (o la
sociologia), ma vi sono dei “correlati oggettivi” a esso
nell’opera.
Il mondo cointenzionato dal fruitore non sarebbe
dunque estraneo all’opera stessa; e se un tale orizzonte di possibilizzazione fantastica potesse essere riconosciuto come strato oggettuale, meglio si colloche172
Scaramuzza 1976, 41-2.
88
88
rebbe l’oggetto estetico nel suo organico oscillare tra
richieste segniche e risposte fruitive. Tutto questo, secondo Scaramuzza, avrebbe forse evitato a Conrad di
rimettersi a quella vaga asserzione di idealità che
rende tutto sommato aporetico il suo discorso.173
Tuttavia, a differenza di Ingarden o di Geiger, Conrad
sarebbe riuscito ad evitare la «chiusura» della ricerca
sul piano ontologico,174 tenendo invece vivo il legame
tra lo strato ideale dell’oggetto, sede del valore estetico, e la sua concreta, sensibile presenza (presenza
per un soggetto):
L’oggetto estetico (ben lungi dall’esaurirsi in una
propria univoca essenza) si configura quindi come
una struttura ben definita di possibili relazioni, di riferimenti intenzionali definiti ed irreversibili. Un sistema latente nell’oggetto, di emergenze e di subordinazioni, di molteplici rimandi, e che postula di essere afferrato secondo il suo senso immanente. Una
proposta dunque, ma ben definita […] qualcosa […]
che non emerge se non in presenza di un soggetto
che interroga e di un certo atteggiamento, e che
quindi non può fare a meno di un proprio
completamento da parte (diremmo) di un’intersoggettività storica.175
L’oggetto non va dunque mai considerato come
struttura a sé stante; se anche si impone come una
proposta ben codificata, esso non si presenta comunque come un sistema segnico dato e definito una volta
173
«Proprio l’ineludibile presenza all’opera di una soggettività
introduce in tutti i suoi strati controllabili mutamenti, che impediscono che
essa si configuri come l’oggetto ideale di cui aveva parlato W. Conrad»
Scaramuzza 1984a, 46; Scaramuzza 1981, 347.
174
Scaramuzza 1976, 36.
175
Scaramuzza 1976, 55.
89
89
per tutte. D’altro canto nemmeno la soggettività
dev’essere ridotta ad un mondo asettico e chiuso che
possa assumere indiscriminatamente qualsiasi oggetto come estetico:
In ogni epoca non è arbitrario, non dipende da una
“libera” decisione del soggetto l’emergere di qualcosa
come oggetto estetico, ma da un incontro tra un’intersoggettività e la realtà che le si impone.
Pertanto, in linea di principio
l’idealità dell’oggetto estetico non è in contraddizione
con la sua temporalità; a meno di non presumere che
all’ideale spetti una purezza metempirica che lo sottrae a qualsiasi costituzione nel tempo, o di non ritenere, d’altro lato, che il fatto di sorgere e modificarsi
nella storia impedisca ad un oggetto che se ne rilevino le strutture ideali.176
Essenza e significato dell’arte. Estetica fenomenologica
in Walter Meckauer e Oskar Becker
Nel secondo decennio del secolo, soprattutto dopo
la pubblicazione di Ideen I, ulteriori ricerche, sempre
intitolate all’estetica fenomenologica, recuperano altri
fondamentali luoghi della produzione husserliana,
quali ad esempio l’epoché fenomenologica o la costituzione trascendentale, trascurati dagli autori della
corrente oggettivistica. Geiger, ad esempio, dà ampio
spazio all’eco soggettiva dei fenomeni estetici, alla
loro portata esistenziale, e l’estetica fenomenologica
176
Scaramuzza 1976, 43-5. Sempre secondo Scaramuzza, altro limite
di Conrad sarebbe l’aver trascurato la storia e l’aver pertanto riferito le
proprie descrizioni non ad individui inseriti nel tempo ma a uomini generici
e a valori universali ignari della propria storicità; Scaramuzza 1972a, XXI.
90
90
cessa in tal modo di identificarsi con una teoria
dell’oggetto artistico, recuperando anche diverse e piú
ampie categorie antropologiche.177 Lo stesso accade
con Walter Meckauer, Oskar Becker e Fritz
Kaufmann,178 altri autori che iscrivono le proprie
ricerche nell’alveo dell’estetica fenomenologica (o della
fenomenologia dell’arte), volgendosi però anche a temi
di ampio respiro, toccando cioè questioni relative al
senso generale del fare arte, indagandone le radici
soggettive ed anche la portata metafisica. Si tenta in
questi studi una risignificazione globale dei fenomeni
artistici e dell’esteticità, ricercandone le connessioni
di senso con l’esistenza umana.179 Il mondo della soggettività estetica risulta cosí piú direttamente coinvolto, e l’orizzonte teorico risulta anche piú vicino al
trascendentalismo di Ideen I.
Fra i nomi a questo riguardo ricordati da Scaramuzza e da Zecchi è certamente da segnalare Walter
Meckauer, autore di Ästhetische Idee und Kunsttheorie. Anregung zur Begründung einer phänomenologischen Ästhetik, 1918, in cui viene ribadita l’analogia husserliana tra arte e fenomenologia,180 basata,
177
Zecchi 1978, II, 85.
Su Fritz Kaufmann cfr. Zecchi 1978 II, 86-7.
179
Scaramuzza 1976, 74-82.
180
«L’arte fa uso di un metodo rappresentativo, non discorsivo-conoscitivo; l’arte non analizza, non seziona, non descrive, ma “presenta” gli
oggetti nella loro vissuta relazione con l’io; rende intuitivamente vivo
l’oggetto, laddove la scienza ne limita la complessità, elaborando sistematicamente le leggi dei fenomeni. Inoltre, diverso è il ruolo svolto dalla
coscienza: l’arte epochizza la coscienza teorizzante e ogni determinazione
concettuale, “mantiene quanto di vissuto (erlebnishaft) v’è nell’atto di
conoscere” e, della coscienza, il suo muovere intenzionale verso qualcosa.
Non coglie, infine, le cose nelle loro correlazioni universali, entro il
sistema di leggi in cui le pone la coscienza teorizzante: piuttosto le vive e
le rappresenta nel loro “irrazionale” isolamento, in un’estrema
178
– segue –
91
91
come s’è visto, sul fatto che entrambe neutralizzano il
mondo naturale volgendosi direttamente a strutture
eidetiche. Meckauer comincia anche ad applicare le
nuove idee estetiche all’arte contemporanea: l’espressionismo pittorico (e, non meno, quello letterario),
tutto intenzionato ad abbandonare l’«esteriorità dell’esistente empirico» affinché l’intenzione coscienziale
si volga all’«interiorità dell’essenziale», opererebbe anch’esso una sorta di «fenomenologica rivoluzione copernicana»;181 arte e fenomenologia sarebbero
pertanto accomunate da «una concentrazione del sensibile-materiale sull’essenziale» che fa dell’orizzonte
eidetico una possibilità sempre latente nel mondo sensibile. L’opera d’arte, in altri termini, fornisce vesti
sensibili alle essenze, le quali a loro volta, grazie
appunto all’arte, trovano una via per manifestarsi
nella realtà.182
L’attualizzazione di questi possibili viene però da
Meckauer demandata ad una dimensione del reale diversa ed alternativa a quella data, e il motivo di ciò
sta nella peculiarità della rappresentazione artistica a
suo avviso incapace di esaurire il piano dell’essenza
(che l’arte dunque rivela, ma allo stesso tempo tradisce): le possibilità essenziali che trovano spazio nell’arte non sono ancora visibili all’uomo.183 Ora, argomenta a questo punto Scaramuzza, se proprio attraverso l’arte è data, sia pur in modo incompleto, la
possibilità di intuire quelle possibilità essenziali, queintensificazione della loro unicità significativa vissuta» Scaramuzza 1976,
90.
181
Meckauer 1918, 278-301; Meckauer 1920, 60; cfr. Scaramuzza
1976, 84-7.
182
Meckauer 1918, 278.
183
Scaramuzza 1976, 93.
92
92
sto significa che l’arte si pone come un impegno di riconciliazione, realizzabile solo in un mondo diverso:
l’essenza svelata si fa allora desiderio della propria realizzazione,184 proiettando l’arte in una dimensione
utopica. E la concentrazione fantastica sull’essenziale
che ha luogo nell’arte dev’essere integrata dalla prassi
umana trasformatrice.185 Se dunque Meckauer, col suo
stesso porre una tragica frattura tra essenza ed esistenza fattuale, fa dell’opera d’arte la proposta di un
compito utopico di riconciliazione, l’arte, pur essendo
per essenza votata allo scacco (per la sua insufficienza
a colmare la distanza tra la realtà e la visione
eidetica), si qualifica come un prezioso strumento di
risignificazione del reale, come una possibilità di
apertura rispetto all’angusta coscienza di un’epoca:
L’essenza svelata è desiderio della propria realizzazione e, in questo, proiezione in una futura presenza,
rimando a un impegno. Perciò l’originalità dell’opera
184
«Se dunque l’arte implica un attivo rendersi conto, una certa modalità del prender coscienza, tutto questo ha a che vedere con un mondo di
possibilità occultate: con qualcosa che può rivelarsi ad un adeguato atteggiamento, e la cui rivelazione costituisce pertanto un compito; come un
compito è la sua realizzazione in un mondo “diverso”». Scaramuzza 1976,
86.
185
La conoscenza estetica, dunque implicherebbe necessariamente
un’attiva presenza della soggettività umana, un impegno, un progetto che
non possono essere che «etico, pratico, politico». Tutto ciò – ammette
Scaramuzza – va però oltre la lettera e lo spirito delle pagine
meckaueriane, e tende semmai ad evidenziare connessioni tra la tematica
estetico-fenomenologica e i problemi agitati, fra altri, dal giovane Lukács:
«Nel rifiuto di assolutizzare l’autonomia strutturale dell’estetico (indice
negativo di una assoluta, disperante alterità del dato rispetto al significato)
e nel recupero (sia pur in luce utopica) di una funzione dell’arte, nella risignificazione di essa in seno all’esistere operata dal giovane Lukács, è da
vedere un aggancio alla problematica estetica ravvivata dalla lettura delle
Ideen» (Scaramuzza 1976, 88-89). Sul rapporto fra il giovane Lukács e
l’estetica fenomenologia cfr. Benassi 1977.
93
93
d’arte non è novità a tutti i costi e l’immaginazione
non è gioco gratuito, ma scoperta di un possibile
obliato, la cui realizzazione è progettabile. E il
progetto ha le sue radici nell’autentica realtà, nella
pienezza delle sue dimensioni, che vanno oltre quelle
attualmente date.186
È chiaro a questo punto, conclude Scaramuzza, lo spostarsi del discorso dal piano estetico-oggettuale a
quello dei rapporti tra prodotto artistico finito e
soggettività, col correlativo riproporsi all’attenzione
del problema del senso del fare arte e di una sua risignificazione in seno all’esistere.187
Anche il fenomenologo Oskar Becker si interessò
occasionalmente di estetica in un saggio dal titolo Von
der Hinfälligkeit des Schönen und der Abenteuerlichkeit des Künstlers, pubblicato nel 1929 sulla Festschrift in onore del settantesimo compleanno di Husserl. Becker prende partito per una fondazione dell’estetica «a parte subjecti»188 in esplicita contrapposizione rispetto al privilegiamento dal lato oggettivo teorizzato da Geiger (nonostante le sue analisi psicologiche) e Ingarden e contro una riduzione della
considerazione dei momenti costitutivi ad elemento
inessenziale per l’estetica. Rinviando all’idealismo
trascendentale di Husserl, Becker afferma che gli
oggetti estetici non devono essere considerati come
realtà a sé stanti, essendo piuttosto potenzialità che
diventano attuali solo nel vissuto. Sua preoccupazione
186
Scaramuzza 1976, 86-7.
Scaramuzza 1976, 87.
188
La caducità del bello annunciata nel titolo è «il segno del carattere
misterioso dell’arte, legato a una soggettività che, sia dal lato costruttivo
sia da quello ricettivo, rivela emozioni e passioni soggettive» ZecchiFranzini 1995, 956.
187
94
94
è pertanto quella di descrivere il tipo di atteggiamento
umano operante nel mondo estetico-artistico.
Si ritrovano pertanto in queste analisi di Becker
alcuni fra i principali guadagni della precedente riflessione estetico-fenomenologica: riduzione dell’oggetto alla sua apparenza ed immanenza ad essa di
senso ed artisticità. Sulla linea del ms A VI 1 di
Husserl, l’estetica viene inoltre posta come campo privilegiato di applicazione del metodo fenomenologico:
tanto l’epoché quanto la riduzione eidetica sono spontaneamente compiute di fronte all’oggetto estetico.189
Tuttavia, al di là dell’esplicito richiamo husserliano,
l’apparato teorico messo in campo da Becker attinge
molto anche da Sein und Zeit di Heidegger e dall’estetica romantica (Solger, in particolare)190. In un contesto in cui si innalza una denuncia di una tragica separatezza tra esistenza ed essenza (analoga a quella
riscontrata da Meckauer), Becker, senza alcuna pretesa di riconciliazione della frattura, ribadisce infatti
la pura fenomenicità dell’estetico (che sarebbe velo di
un’altra realtà piú reale) e la fondamentale «dualità e
discordia delle “radici” dell’essere».191 La fragilità del
bello diviene cosí la denuncia del divario ontologico
tra la perfetta e conchiusa fenomenalità dell’estetico e
la vera e profonda realtà metafisica svelata.192 L’atto
produttivo dell’artista, tuttavia, non può comunque
189
Becker 1929, 36, n. 1; Scaramuzza 1976, 97.
L’idea di una «Hinfälligkeit des Schönen» è mutuata da Solger.
191
Becker 1929, 52.
192
«Nessuna romantica sopravvalutazione dell’arte, nessuna aura viene
qui rispolverata; connotazioni romantiche vengono piuttosto riprese e al
tempo stesso incenerite dallo sguardo acuto e doloroso dell’artista, che
sembra in questo vivere piú la propria morte e la propria negazione che non
una propria felice genialità: non resta che il gesto di una negazione in cui
s’incarna un insanabile conflitto» Scaramuzza 1976, 109.
190
95
95
essere secondo Becker spiegato dalle sole categorie antropologico-esistenziali, ma rinvia ad una dimensione
metastorica dell’essere che rende conto della sua bizzarria e allo stesso tempo della sua riuscita artistica:
la pesantezza del Dasein cessa dove ha inizio il
destino non storico, l’esistere «avventuroso» del
genio.193
Forse piú negli esiti che nelle dichiarate intenzioni teoriche, questo lavoro di Becker mostra dunque
un netto distacco dal pensiero husserliano, accentuato
dall’utilizzazione di Essere e tempo in connessione a
tematiche presenti nell’estetica romantica.194 Esso si
situa, dunque piú nel solco dello heideggerismo che
della fenomenologia; al limite, secondo Scaramuzza, si
potrebbe parlare di «una fenomenologia che tenta il
recupero dei propri temi (il trascendentalismo ad esempio) attraverso la mediazione di Heidegger».195 Comunque, l’approdo di Becker ad una concezione metafisica e sovrastorica196 della posizione dell’uomo nella
realtà costituirebbe un limite che impedisce, per
quanto concerne la soggettività estetica, di compiere
qualche passo avanti circa la tematica della costituzione dell’oggetto estetico cosí come abbozzata da
Husserl.197
Soggettività e oggettività dei momenti estetici
Non è certo possibile procedere a questo punto
disegnando una mappa della circolazione di idee tra la
fenomenologia e l’esistenzialismo, cosa che evidente193
194
195
196
197
Becker 1929, 45; Scaramuzza, 1976, 105.
Zecchi 1978, II, 85.
Scaramuzza 1976, 243.
Scaramuzza 1976,102-6.
Scaramuzza 1976, 108.
96
96
mente richiederebbe uno studio a parte. Con questi
sconfinamenti si può d’altronde considerare cessata la
prima ondata di studi d’estetica fenomenologica, che
ricomparirà successivamente (soprattutto in Francia e
in Italia) in contesti culturali assai mutati rispetto
all’inizio del secolo. In ordine alle esigenze di questa
nostra ricognizione storiografica sembra pertanto
opportuno porre ora in risalto alcune delle ragioni che
hanno motivato la rimessa in circolazione delle fonti
dell’estetica fenomenologica.
Spesso, come si è visto, Scaramuzza si sofferma
sui rapporti tra fenomenologia ed estetica, esplicitando la duplice direzione di ricerca aperta da questi
tipi di studi, vale a dire, quella morfologicostrutturale accanto a quella genetico-costitutiva (relativa non solo alla soggettività ma anche all’intersoggettività storica che si cela dietro ogni creazione o
fruizione artistica):
Separare l’aspetto genetico da quello morfologico, fissare nella ricerca oggetti, modalità di apprensione
nella loro struttura separata (per quanto utile e indispensabile possa essere nel corso della concreta ricerca) può voler dire (e sicuramente vuol dire se valori, significati, strutture vengono ontologizzati) perder di vista la carica significatrice (e riattivante dei
significati) delle operazioni soggettive, la viva
relazionalità dell’opera col tessuto intersoggettivo in
cui si situa.198
Il riferimento ad una tale soggettività «allargata»199
consentirebbe infatti di liberare il campo dalle teorie
incapaci di render adeguatamente conto di quella in198
199
Scaramuzza, 1989, 47.
Mutuo il termine da Formaggio 1959, 1.
97
97
tenzionalità conoscitiva che già emerge in ogni concreto operare dell’uomo e che a maggior ragione informa ogni operazione artistica:
L’attività costitutrice […] opera a vari livelli, si distende su molteplici piani, includendo ad esempio le
disposizioni soggettive o intersoggettive che rendono
possibile un intenzionamento estetico, i processi immaginativi, i processi sensibili-emotivi o i momenti
del piacere, gli abiti culturali come le operazioni
tecniche. […] Si tratta di un insieme di atti che – a
partire da un materiale sensibile dato, da un certo
mondo culturale e vissuto comune, da una situazione
linguistica e generalmente segnica, comunque storicamente determinata sempre; e operando una sorta
di preliminare sospensione di esso – istituiscono
(nella creazione come nella contemplazione) l’evento
estetico-artistico.
La comprensione dell’oggettività estetica non
può dunque prescindere dall’analisi degli atti che la
istituiscono; se infatti una considerazione meramente
psicologica dei vissuti estetici (che tanto ha segnato la
storia della disciplina) può essere superata solo indagando la possibilità del costituirsi in tratti oggettuali
del valore estetico,
meno che mai comunque si può parlare di un privilegiamento di principio del momento oggettuale – quasi l’esteticità potesse propriamente risiedere solo nell’oggetto e non nella sua viva correlazione con gli atti
che ne costituiscono l’esteticità, quasi che un evento
potesse dirsi estetico di per sé, a prescindere dal suo
rapporto con la coscienza che lo intenziona.200
Da questi capisaldi deve muovere secondo Scaramuz200
Scaramuzza 1989, 38.
98
98
za un’estetica che non si voglia precludere la comprensione delle rivoluzioni accadute nel corso del XX secolo
nel mondo dell’arte:
Ripercorrere un simile cammino, che va dalla attribuzione costruttiva di un senso da parte dell’artista
alla riattivazione di senso inseguita dal fruitore, vuol
dire operare uno scavo alla riscoperta di un senso
originario del fare arte. E questo può rivelarsi di
estrema importanza in un momento storico in cui i
pesanti interrogativi sollevati […] intorno al senso e
al destino della dimensione estetico-artistica nella
nostra civiltà […] impongono che se ne reinterroghi
il significato, mediante un radicale esame delle
operazioni che lo fondano.201
La ricognizione di Scaramuzza intorno alle origini dell’estetica fenomenologica si inscrive dunque
nell’ambito di una ricerca di una metodologia filosofica che consenta di render conto dei profondi livelli di
significatività immanenti al fenomeno arte.202 E
201
Scaramuzza 1976, 80-81.
Diversi sono dunque i luoghi in cui Scaramuzza evidenzia l’utilità
della fenomenologia per interpretare l’arte contemporanea (ma, non meno,
anche dell’arte per comprendere alcuni passaggi della fenomenologia),
poiché è solo da una verifica «delle radici soggettive (o meglio intersoggettive) del fare arte, dei mondi di sensibilità e di immaginazione, delle
tonalità esistenziali e sociali in esso implicate», da una «riattivazione del
senso (o degli abissi di non senso) vissuto in esso latente» che sarà
possibile prendere l’avvio «per una risposta agli urgenti interrogativi che
l’arte d’oggi pone, e pone in relazione alla sua stessa sopravvivenza».
Pertanto, conclude Scaramuzza, «se nell’ambito estetico-oggettuale […] la
fenomenologia sopravvive oggi forse non molto piú che per alcune importanti indicazioni di metodo, piú attuali contributi e incentivi essa offre […]
a una teoria, appunto della costituzione dell’oggetto estetico-artistico.
Depurare questi contributi da certe tonalità neoromantiche e metafisiche
[…] e riconnettendoli con alcune originali indicazioni husserliane (e anche
per altro verso geigeriane) […] può essere oggi quanto ci si può aspettare
202
– segue –
99
99
questo in un momento in cui quei significati sono
sempre piú paradossalmente ostesi dagli artisti senza
che, tuttavia, questo li renda piú facilmente comunicabili o decodificabili (si pensi, ad esempio, alla necessità, per numerose poetiche di rottura, di riversarsi in
manifesti teorici che affiancano ed esplicitano l’enigmatica proposta oggettuale). Non è allora un caso se
l’estetica fenomenologica prese il via in una città come
Monaco, allora attivissimo centro artistico, quasi
come se si fosse voluta fornire una prima sistemazione
teorica al concitato mondo delle avanguardie artistiche.203 Di recente, del resto, Ferdinand Fellmann
ha sostenuto una stretta affinità fra l’espressionismo
e la fenomenologia husserliana a partire dalla svolta,
fondamentalmente stilistica, delle Ideen, mentre
Hans Rainer Sepp ha evidenziato una fondamentale
analogia fra il cubismo e le operazioni relative alla riduzione fenomenologica.204
da ulteriori sviluppi dell’estetica fenomenologica» Scaramuzza 1976, 243244.
203
Scaramuzza individua diverse affinità teoriche fra la prima estetica
fenomenologica e l’arte fra Otto-Novecento: a) alterità dell’opera rispetto
alla natura (Cézanne, poi Picasso); b) rifiuto dell’imitazione (dal postimpressionismo all’astrattismo); c) carica significatrice autonoma di linee,
forme e colori (Gaugin e Kandinsky); d) antipsicologismo in musica
(Strawinsky), con accentuazione della soggettività (Schönberg); e) autonomizzarsi del segno verbale (Kafka). La carica significatrice attribuita al
gesto (Duchamp) e, piú in generale, lo spostamento dell’attenzione sull’atto
conferitore di senso, sarebbero poi l’analogo della riconsiderazione degli
atti costitutivi operata dai fenomenologi; Scaramuzza 1976, 16-18. Per una
piú ampia trattazione di tali analogie si vedano Scaramuzza 1989, 61-81,
Sepp 1988 e 1996 e i saggi contenuti in AAVV 1991a.
204
Sepp 1996. Fellmann 1982, VIII e 1991; cfr. anche Fellmann 1989.
100
100
Ontologia dell’arte, valore, costituzione in Roman
Ingarden
Molte delle intuizioni di W. Conrad, notevolmente ampliate e ripensate secondo preoccupazioni
anche di carattere puramente filosofico, si ritrovano
nella decennale ricerca di Roman Ingarden. È questi
forse il principale esponente dell’estetica fenomenologica, almeno per quanto riguarda la letteratura critica
che è certamente la piú fornita, anche se spesso
vengono evidenziati limiti o curvature non condivise
della sua fenomenologia. Indubbi sono comunque gli
influssi della riflessione ingardeniana riscontrabili
oggi in alcune correnti dell’estetica o della scienza
della letteratura: piú volte sono stati sottolineati i debiti nei confronti di Ingarden da parte della Rezeptionsästhetik della Scuola di Costanza, di Dufrenne, di
Wellek e di numerosi altri autori. In Polonia, dove
aveva cominciato gli studi universitari e dove torna a
insegnare dopo aver studiato e lavorato a Göttingen
con Husserl, Ingarden costituisce un punto di riferimento imprescindibile tanto per gli sviluppi dell’estetica quanto per la diffusione della fenomenologia. Ma
non è questo il luogo per intervenire sul disegno complessivo dell’estetica di Ingarden, cosa che sarebbe comunque opportuna e per la quale sto raccogliendo i
materiali; mi limiterò pertanto qui, in linea con lo
stile di queste note informative, a riferire circa la
valutazione critica dell’estetica fenomenologica di
Ingarden fornita in Italia da Gabriele Scaramuzza e
da Ermanno Migliorini; le riflessioni dedicate al filosofo polacco da Elisa Oberti saranno invece riportate
nel capitolo quinto.
Schema e costituzione dell’opera letteraria Cominciamo dall’intervento di Scaramuzza contenuto in
Le origini dell’estetica fenomenologica, ove l’estetica di
101
101
Ingarden viene giudicata la «piú organica e complessa
tra quante, anche dopo di lui, si ispirarono alla fenomenologia»;205 essa ha infatti sistematicamente guadagnato un atteggiamento antipsicologistico simile a
quello husserliano, raggiungendo «la difesa di uno
studio “impersonale” delle strutture del mondo artistico, inteso come qualcosa di irriducibile agli stati soggettivi sia dell’artista sia del fruitore».206 Un tale oggettivismo non è comunque unilaterale, in quanto non
è estranea alle ricerche di Ingarden anche la tematica
costitutiva, peraltro subordinata all’analisi del modo
d’essere dell’opera d’arte. A quest’ultima viene del
resto attribuita un’eteronomia d’essere e la fenomenologia viene cosí riassorbita in un’ontologia realistica.207
La prima importante opera d’estetica di
Ingarden, Das literarische Kunstwerk, prevede in realtà quel completamento «a parte subjecti»208 rimasto
latente nel saggio di Conrad: l’opera d’arte letteraria
(ed il discorso verrà poi esteso all’opera musicale, plastica, architettonica, filmica) si costituisce in oggetto
estetico solo in presenza di un soggetto che la concre205
Scaramuzza 1976, 58.
Scaramuzza 1989, 90.
207
Scaramuzza 1976, 71; cfr. anche Zecchi 1978, II, 87-9. Husserl rivolse al suo ex-allievo ed amico ripetuti inviti affinché adottasse la fenomenologia costitutiva; Ingarden, dal canto suo, non rifiutava aprioristicamente
i consigli del «venerato maestro», sebbene riteneva non fosse possibile
«condurre in porto l’esame della costituzione “senza una preliminare
chiarificazione del senso proprio della natura del costituito”. Per questo “la
considerazione ontologica dell’oggetto, la cui costituzione dev’essere
indagata, deve precedere la vera e propria considerazione costitutiva,
orientata in senso noetico”» Scaramuzza 1989, 87.
208
«L’opera letteraria si presenta […] come un sistema di potenzialità
[…] che rimandano per la propria realizzazione all’intervento di un soggetto in grado di coglierle» Scaramuzza 1976, 66.
206
102
102
tizza; l’opera consiste infatti di una struttura semantica potenziale che, per divenire attuale (oggetto estetico), rinvia agli atti soggettivi che intenzionano i significati. Ora, nota Scaramuzza, Ingarden non considera quegli atti noetici come appartenenti alla realtà ontica dell’oggetto, tanto che l’opera conserva una
sua realtà anche se nessuno la legge (fruisce), essendo
in sé stessa costituita da un numero indeterminato e
di per sé infinito di aspetti schematizzati (come già
Conrad aveva intravisto), indagabili in modo formale
ed autonomo. Questo genera un’opposizione fra realtà
e intenzionalità soggettiva, opposizione che, del resto,
corrisponde a due ben distinti piani di ricerca, uno logico e l’altro estetico, riscontrabili in questo lavoro di
Ingarden.
La letterarietà è dunque immanente alla struttura testuale potenziale, sebbene poi l’oggetto estetico
si costituisca solo grazie all’intervento degli atti soggettivi concretizzanti i significati. Ingarden ha già a
questo punto generato un dualismo, destinato anche
ad accentuarsi quando, per spiegare l’attualizzazione
dell’oggetto grazie agli atti soggettivi, introduce un’altra serie di riferimenti eteronomi: i concetti ideali, nei
quali risiede la possibilità di significare delle proposizioni209 (a cui corrispondono le qualità ideali estetiche
alle quali risale invece la possibilità del costituirsi del
valore estetico dell’opera, nel corso appunto della con209
«Solo riferendosi ai contenuti di senso dei concetti ideali il lettore di
un’opera letteraria può riattualizzare in modo identico il contenuto di senso
di una proposizione datagli dall’autore. Se non ci fossero concetti ideali e
nemmeno qualità (essenze) ideali e idee, non solo sarebbero allora
impossibili le proposizioni, cioè le oggettività reali ed intenzionali, ma
sarebbe altrettanto impossibile raggiungere un’autentica intesa nella
conversazione tra due soggetti coscienti, che dai loro rispettivi colgono il
contenuto identico di senso della proposizione». Ingarden 1968a, 182.
103
103
cretizzazione). Ora, è proprio l’introduzione da parte
di Ingarden di queste astratte e astoriche oggettività
ideali – che, del resto, motivano la stessa Seinsheteronomie dell’opera – ciò che secondo Scaramuzza impedisce all’estetologo polacco di sfruttare appieno il riferimento all’intenzionalità soggettiva. Ingarden infatti,
al fine di determinare la modalità d’essere dell’opera
d’arte, aveva messo in campo la nozione di puro-intenzionalità che pur implicava la dipendenza ontica
dell’opera dagli atti soggettivi e avrebbe semmai
consentito di recuperare il sistema di legami che rapporta gli oggetti al mondo dei soggetti;210 l’introduzione delle qualità ideali, invece, fa smarrire secondo Scaramuzza l’orizzonte di autonomia dell’artisticità che in qualche modo si cercava in precedenza
di guadagnare.211 Limite della posizione di Ingarden
sarebbe pertanto la chiusura dell’opera – ridotta a
struttura semantica potenziale – al mondo delle concrete, storiche, operazioni dei fruitori:
Abbiamo qui a che fare con una generica intersoggettività metatemporale, vista nei suoi tratti essenziali
astorici, mai mediata nella realtà sociale vissuta; per
cui la comunità di lettori che l’opera coinvolge risulta
una comunità astratta.212
210
Scaramuzza 1976, 62.
««La trascendenza dell’oggetto rispetto agli atti in cui si costituisce
non basta a garantirne l’autonomia nel caso dell’estetica» Scaramuzza,
1976, 67.
212
Scaramuzza 1976, 68. In Das literarische Kunstwerk, infatti,
Ingarden ha accennato al rapporto fra oggettività ideale e comunità intersoggettiva preposta alla sua decodifica; addirittura, ad un certo punto
dell’opera, dichiara conclusa l’analisi dell’oggetto astratto da ogni «vivo
rapporto con gli individui psichici, e perciò anche con l’atmosfera culturale
e le diverse correnti di vita spirituale che si sviluppano nel corso della
storia» Ingarden 1968a, 571). Il prosieguo della ricerca non fornisce però
211
– segue –
104
104
Le analisi di Ingarden, in altri termini, si concentrerebbero unilateralmente su una fenomenologia
(peraltro sui generis) dei significati, senza sviluppare
le originarie valenze sensibili e intuitive della corporeità esperiente, autentica radice di ogni fenomeno
genetico-costitutivo. Eppure tutto questo non toglie
che nelle fitte analisi ingardeniane si aprano «una
quantità di problemi avvincenti, e da cui non è
possibile prescindere in una seria indagine sui
fenomeni estetici»,213 come sarebbe del resto confermato dalla indagini sviluppate da Ingarden successivamente al lavoro sull’opera letteraria. Il nucleo
invariante dell’opera (la sua identità) non sarà piú
analizzata a prescindere dalle determinazioni storicosociali che presiedono alla sua concreta esecuzione e
fruizione, come lo stesso Scaramuzza mette ben in
evidenza in relazione al saggio di Ingarden sull’opera
musicale.214 Lo stesso Ingarden avrebbe cioè successivamente ovviato a queste sue unilateralità riscontrabili nel lavoro, peraltro comunque apprezzato da
Scaramuzza, sull’opera d’arte letteraria.
secondo Scaramuzza quell’integrazione da Ingarden stesso auspicata. Nello
studio sul riconoscimento dell’opera d’arte letteraria (Ingarden 1937)
Ingarden tratta ampiamente il rapporto col soggetto, anche se l’indagine è
sempre piú portata ad individuare le determinazioni nei confronti del
lettore presenti a livello di struttura oggettuale. Viene costruito una sorta di
modello ideale di lettura che si confaccia ad un tipo ideale di lettore; cfr. su
ciò Scaramuzza 1984 a.
213
Scaramuzza 1976, 68. Nel già citato studio sul riconoscimento dell’opera d’arte letteraria, Ingarden tratterà però del vissuto estetico (che
scatta a motivo di un’emozione originaria che estrania dal vivere quotidiano) dando maggiore importanza al momento sensibile-intuitivo come
istitutivo dell’esteticità; «cosí Ingarden sottolinea la necessità che un autentico sapere implichi l’attraversamento di una piena concretizzazione
estetica dell’opera sul piano del vissuto» Scaramuzza 1984, 50.
214
Scaramuzza 1991b.
105
105
Modificazione di neutralità ed emozione originaria Un altro estetologo italiano si è occupato in alcuni
suoi lavori specificamente di Roman Ingarden: si
tratta di Ermanno Migliorini. Nel suo studio su
Critica, oggetto, logica, Migliorini interviene sullo
scritto di Ingarden O Poznawaniu Dziela Literackiego,
forse piú noto nella versione tedesca portante il titolo
Vom Erkennen des literarischen Kunstwerks.215
Migliorini discute la nozione di epoché che Ingarden
avrebbe posto alla base del riconoscimento dell’opera
d’arte letteraria come oggetto estetico216 e, pur giudicando lo scritto molto interessante per una teoria fenomenologica dell’oggetto estetico, sostiene che le indagini qui avanzate dal filosofo polacco non riescono a
superare l’ostacolo della percezione naturalistica dell’oggetto, in quanto non viene operata la vera e
propria modificazione di neutralità della percezione
husserlianamente intesa, secondo cui le noesi pongono
come loro correlato un’oggettività qualitativamente
diversa rispetto a quella naturale.217
Ingarden comincia col porre una distinzione fra
la cosa reale fisica (reales Ding) e l’oggetto estetico, e
questo in funzione dell’atteggiamento intenzionale del
soggetto; su questa base afferma che l’atteggiamento
estetico (quello cioè che presiede alla costituzione dell’oggetto estetico) è un atteggiamento derivato, il quale
scatta solo dopo che le proprietà reali dell’oggetto percepito vengono sottoposte ad epoché. Le qualità del215
Ingarden 1937; 1968.
Migliorini 1968, 9-26, 73 ss.
217
Le indagini di Ingarden sono state condotte ad avviso di Migliorini
secondo prospettive parziali e strettamente legate al genere artistico prescelto, di modo che risulterebbe «laborioso e forse nemmeno del tutto utile
e legittimo estrapolare da esse la trama di una dottrina generale della
costituzione» Migliorini 1968, 9.
216
106
106
l’oggetto inizialmente assunte come sue proprietà fisiche vengono come sostituite o completate mentalmente, di modo che sopra o al di là dell’oggetto primario – il pezzo di marmo, ad esempio – se ne costituisce
proprio un altro, di nuovo tipo: una Venere, una donna, una dea che ha movimento ed espressione, ma che
non è piú una donna reale. L’apparizione della «Venere di Milo» come oggetto di esperienza estetica è dunque resa possibile da una neutralizzazione dell’atteggiamento tetico fatta scattare da un’«emozione preliminare (Ursprungsemotion)» a sua volta suscitata dalla percezione di determinate qualità dell’oggetto.218
Ora, secondo Migliorini, nonostante il rinvio esplicito ad Ideen I, l’epoché che Ingarden mette in
campo differisce da quella proposta da Husserl. In
primo luogo, essa non è gestita liberamente dal soggetto, ma accade necessariamente a seguito dell’emozione originaria. In secondo luogo, l’atteggiamento
naturalistico mantiene un certo carattere di originarietà, essendo quello grazie a cui il soggetto percepisce
le qualità oggettuali che stimoleranno la risposta
emotiva e il conseguente passaggio all’atteggiamento
estetico. Piú in dettaglio, è proprio l’emozione vissuta
di fronte a determinate qualità oggettive (desiderio di
possesso della cosa, volontà di aumentare il piacere
adombrato dal suo possesso intuitivo) a provocare secondo Ingarden quel brusco arresto del decorso percettivo che recide di colpo i legami col mondo reale.
Attraverso una tale modificazione della percezione, la
qualità (che ha suscitato l’emozione) prima colta come
predicato di un oggetto reale, viene ora intenzionata
218
Secondo Zecchi il rinvio di Ingarden ad una «imprecisata»
emozione originaria, introdotto per spiegare la costituzione dell’oggetto
estetico, comporta un velato ricorso all’Einfühlung; Zecchi 1978, II, 89.
107
107
come qualità «pura», centro di cristallizzazione di un
nuovo oggetto, l’oggetto estetico. Sembra allora – commenta Migliorini – che Ingarden radicalizzi un po’
troppo la distinzione metodica fra oggetto reale ed oggetto estetico:219 la cosa come l’abbiamo percepita prima dell’emozione preliminare non interessa piú, e
l’apparire diviene pienamente sufficiente per una
prensione intuitiva delle qualità estetiche.
È questa un’accezione psicologico-introspettiva
della riduzione fenomenologica, lontana da quella
«analitica» propria della riflessione husserliana. Non
è qui in gioco la struttura trascendentale della coscienza, ma solo un soggetto empirico (io o noi che
sia): la «tempesta emotiva» che fa scattare l’intenzionamento estetico non riduce (nel senso fenomenologico del termine) il piano naturale. L’epoché di
Ingarden corrisponderebbe, in altri termini, alla sola
modificazione di fantasia senza esser preceduta dalla
modificazione di neutralità della percezione.220 In tal
modo, commenta Migliorini
la funzione metodologica, gnoseologicamente rivelatrice, della neutralizzazione si perde, sí che l’oggetto
“estetico” (come sarà manifesto in seguito) manterrà
comunque, anche simbolicamente certi attributi cosali, facendo sí che tutto il discorso si svolga all’interno dell’atteggiamento naturale, essendo ancora –
almeno da certi punti di vista – una cosa alla mano,
219
Migliorini 1968, 13-4.
Secondo Husserl, infatti, l’oggetto estetico è il risultato di almeno
due modificazioni: la prima che si può identificare con la neutralizzazione
dell’atteggiamento naturale, la seconda relativa al carattere posizionale
nella sfera della credenza.
220
108
108
in una posizione in fondo ambigua o polivalente.221
Dopo aver operato tale neutralizzazione sui generis, il discorso di Ingarden riprende però, sempre secondo Migliorini, un andamento accettabile e tornando a procedere «fenomenologicamente»: una volta
che l’oggetto estetico è stato (in qualche modo) costituito, la «qualità primaria» appare sullo sfondo di
un’oggettività che è finalmente percepita (quale che
ne sia l’origine) in atteggiamento modificato. A questo
punto, infatti, la qualità estetica primaria che si staglia ormai dall’oggetto non riempie piú le aspettative
del soggetto, appare indeterminata, insufficiente e
manchevole, sí da stimolare un decorso percettivo che
ne fornisca un completamento qualitativo. È qui che
le riflessioni di Ingarden diventano secondo Migliorini
pregevoli, e piú autenticamente fenomenologiche: il
soggetto entra infatti in attività, non aspetta che l’opera imponga da sé le sue qualità, poiché integra –
sempre mediante Erlebnisse ora modificati, cioè intenzionati alle qualità – la percezione dell’oggetto da
tutti i punti di vista possibili. Ed è a questo livello che
si situano le migliori indagini di Ingarden, che ha poi
occasione di esercitare le sua analisi sul completamento qualitativo dell’oggetto anche su altri tipi di
opere (musicali, letterarie, ecc.) che ancor piú richiedono una percezione prolungata nel tempo.222
221
Migliorini 1968, 14-18. Ecco i passi cui fa riferimento Migliorini:
Husserl 1965a, 243-5; Husserl 1968a, II, 431-5. La modificazione della
percezione, in un celebre esempio husserliano, è detta «coscienza neutrale
dell’immagine-oggetto» e corrisponde alla «coscienza delle piccole figure
grigie [«il Cavaliere, la Morte ed il Diavolo»] in cui grazie alla noesi si
rappresenta figuratamente un’altra cosa» (Husserl 1965a, 244-5).
222
E l’oggetto estetico diverrebbe pertanto «una struttura armonica di
qualità, private da ogni riferimento oggettivo dalla neutralizzazione, che
tendono a fondersi, a trascendere persino il reticolo delle loro connessioni
– segue –
109
109
Critica e assiologia Il discorso sviluppato da
Ingarden sulla fruizione estetica non si limita alla
dottrina della Wertantwort fatta scattare dal piacere
(ammirazione, rapimento) suscitato dalla percezione
dell’oggetto, poiché si prefigge di spiegare anche il tipo
di oggettività attorno a cui ruota il discorso della
critica. Sopra e al di là del vissuto emotivo, prosegue
infatti Ingarden, si costituisce una seconda esperienza, quella della critica, che porterà finalmente a
conoscere cosa sia l’oggetto estetico, quali siano le sue
qualità, il suo valore: «la funzione della critica –
spiega Migliorini – appare dunque quella di ripercorrere la via già seguita nel primo rapporto emotivamente tumultuoso e oscillante con l’oggetto allo scopo
di razionalizzarlo».223
Ma, allora, la descrizione fenomenologica del processo fruitivo viene a coincidere con l’indicazione della
via da seguire per assumere un corretto comportamento critico, con l’indicazione delle norme che
l’osservatore deve rispettare affinché possa cogliere il
senso armonico di un’opera d’arte:
L’analisi fenomenologica si trasforma dunque in metodologia critica: si suggerisce di cercare quello che si
deve trovare, anticipando cosí il risultato critico (o
almeno il suo senso) e lo stesso risultato teoretico (se
si cerca l’armonia di qualità evidentemente l’oggetto
artistico sarà un oggetto qualitativamente armonico).224
Lo spunto pare a Migliorini certamente interesper dar vita, esse stesse, ad una qualità superiore, ad una qualità armonia»
Migliorini, 1968, 23.
223
Migliorini 1968, 24.
224
Migliorini 1968, 21.
110
110
sante, nonostante Ingarden non sia riuscito a vincere
le difficoltà destate (nello studio sul riconoscimento
dell’opera d’arte letteraria) da quell’anomalo riferimento all’epoché, di cui s’è detto sopra. Una volta operato quel tipo di neutralizzazione, infatti, si incontrano ancora degli oggetti naturali che ora, dopo la conversione della coscienza suscitata dall’emozione originaria, si oppongono alle opere d’arte costituite come
latrici di valore. Queste vengono perciò percepite parallelamente alle precedenti (grazie ad atti percettivi
modificati, in cui la coscienza non pone piú l’esistenza
reale ma solo quella in immagine) di modo che l’oggetto estetico viene a presentarsi come un «irreale»,
con un «errore» analogo a quello compiuto da Sartre;
invece, il fatto che a un certo punto l’oggetto venga
intenzionato in modo diverso (cioè nell’atteggiamento
estetico), non dovrebbe portare a porre due distinte
oggettività, l’una sovrapposta all’altra. Intendendo
dunque l’epoché in questo modo, l’oggetto naturalistico continua ad essere intenzionato come base dell’oggetto estetico:
pur essendo in un atteggiamento non tetico e non piú
controllato dalla ragione tuttavia è dato, originariamente, attraverso successive neutralizzazioni, in un
Erlebnis di percezione tetica, e quindi in un Erlebnis
di memoria in cui permane un nocciolo noetico-noematico identico, nocciolo che, esso, non è modificato.225
Volendo invece individuare il vero e autonomo
fondamento del discorso della critica bisognerà allora
compiere un’autentica neutralizzazione dell’oggetto
naturale:
225
Migliorini, 1968, 96.
111
111
se vogliamo indagare, con qualche probabilità, sullo
strato dell’esperienza critica dovremo liberarci dall’atteggiamento naturale in generale, che nasconde
alla coscienza, nella sua accettazione di un mondo esistente, nel suo costante e puntiglioso riferirsi ad
esso, la sua donazione di senso, la sua operazione costitutiva dell’universo della critica, e dell’oggettività
estetica in esso; dovremo dunque farne epoché. Ciò
non significa ovviamente che i nostri musei avranno
le pareti nude o che gli scaffali delle nostre
biblioteche saranno vuoti: ma semplicemente che
sospendiamo la certezza banale dell’esistenza di quadri e di libri nel tempo e nello spazio, il loro essere
alla mano nello strato della critica, e solo questo.226
Se non si scandiscono tutti i necessari passaggi
fenomenologici, dunque, il critico d’arte avrà sempre
davanti a sé un compito infinito; oppure, come piú
spesso accade, sospinto da un’astorica pretesa d’adequatio, tenterà una «mistica» e impossibile penetrazione dell’oggetto naturalistico. La prassi descrittiva
fenomenologica conduce invece all’evidenziazione di
un’autonoma oggettività di valore, che non si pone sopra o al di là di eventuali sostegni naturali, ma che si
dà nell’intenzionamento estetico con tutti i predicati
di valore in essa coglibili e solo con quelli. Solo se si
compie una neutralizzazione della percezione e poi
una modificazione di fantasia si può realizzare il peculiare carattere tetico dell’intenzione estetica, che è
fondamentalmente un’intenzione di valore; solo cosí si
genera, in definitiva, l’autentica oggettività estetica,
quella oggettività che, come si è visto, Husserl considera «di grado piú alto»227:
226
Migliorini 1968, 81-2.
Faccio qui riferimento al primo capitolo di Ideen, II (§§. 1-11);
fondamentalmente in linea con questa interpretazione mi sembra anche
227
– segue –
112
112
Perché è infatti solo in un Erlebnis valutativo che la
coscienza ridiventa coscienza posizionale, e il “valevole” è “dossicamente ponibile come dossicamente
esistente”, e il “valutato come tale è un nocciolo di
senso, circondato da nuovi caratteri tetici”.228
L’oggetto estetico può giungere dunque all’esistenza dossica solo attraverso la valutazione; esso si
colloca cosí entro una nuova regione dell’essere:
la coscienza valutante costituisce l’oggettività “assiologica”, che è di una nuova specie rispetto al semplice
mondo di cose, un “esistente” di una regione nuova.229
La costituzione dell’oggetto estetico è dunque secondo
Migliorini una costituzione assiologica, un’investitura,
che ha il potere di rendere posizionali (di ricondurre
cioè all’esistenza estetica) i complessi noematici
riferiti all’oggetto valutato:
è quindi il valutare che è arbitro della scelta: sullo
strato assiologico si decide lo status delle formazioni
che compaiono sullo strato dell’immaginazione;
quante di esse passeranno all’esistenza riceveranno
di nuovo, in quanto poste come valori, una posizionalità, e sia pure in una regione nuova. È insomma
dalla parte del valore che si dovranno ricercare le
leggi e le ragioni della costituzione dell’oggetto estetico: e principalmente nella “regione” degli oggetti
Francesco Piselli: «Da queste pagine husserliane risulta insomma che gli
oggetti di valore, e inclusivamente quelli di cui si occupa l’estetica, sono a
un ramo marcatamente divergente rispetto alle cose di cui si occupa la
scienza naturale; […] che agli oggetti “di grado piú alto” si confanno
piuttosto atti teoretici la cui scaturigine è uno strato valutante affettivo
interteoretico abile ad afferrare preliminarmente ed emotivamente negli
oggetti il valore “bello”» Piselli 1994, 42-3.
228
Migliorini 1968, 103, con riferimenti a Husserl 1965a 257-9.
229
Husserl 1965a, 263.
113
113
estetici e nella correlativa ontologia regionale.230
Moritz Geiger e la fenomenologia della fruizione
estetica
Geiger è un altro degli esponenti della prima
estetica fenomenologica riscoperto a partire dagli anni
Settanta. Formatosi in psicologia a München con
Lipps e a Leipzig con Wundt, egli si era poi avvicinato
alla fenomenologia, mantenendo però un orientamento fondamentalmente realista, tanto che Husserl
ebbe a definirlo «fenomenologo solo per un quarto». Si
occupò per diversi anni di estetica, pubblicando numerosi studi che rivestono una certa importanza nel
panorama dell’estetica del primo Novecento.231
Cercheremo qui di seguito di riassumere alcuni momenti salienti del pensiero estetologico geigeriano,
cosí come emergono nella presentazione che ne ha
fatto in diversi luoghi Gabriele Scaramuzza.
Un primo obiettivo della riflessione di Geiger
sull’estetica è quello di difenderne l’autonomia contro
gli allora frequenti sconfinamenti della psicologia; a
questo scopo egli comincia col distinguere tre tipi di
scienze, fra loro eterogenee, che si è soliti definire
tutte indistintamente come estetica: «1) Estetica come
particolare scienza autonoma, 2) estetica come disciplina filosofica e 3) estetica come campo di applicazione di altre scienze».232 Se nel contesto dello psicologismo allora dominante prende evidentemente il sopravvento il significato 3), per Geiger si tratta invece
di tornare all’estetica come scienza autonoma, avente a
230
Migliorini 1968, 104.
Per una bibliografia sull’estetica geigeriana cfr. l’allegato
all’edizione de Lo spettatore dilettante(Geiger 1988).
232
Geiger 1925, 30; tr. it. in Geiger 1996b, 78.
231
114
114
suo avviso per oggetto il valore estetico-artistico, cioè
quel valore che si riferisce esclusivamente alla configurazione fenomenica dell’oggetto: «solo mediante il
ritorno ai momenti che costituiscono l’opera d’arte
come fenomeno sono risolvibili le questioni dell’estetica come scienza particolare».233
Ora, anche se Geiger dichiara che l’estetica come
scienza autonoma deve prescindere dalle questioni
relative agli effetti psichici dell’arte, egli considerava
anche questo tipo di analisi della massima
importanza, sempre per ovviare, anche in questo ambito, alle unilateralità dello psicologismo; soprattutto
agli inizi della sua attività, egli del resto si dedicò proprio a studi di taglio psicologico, fra cui spicca l’importante contributo sul Genuß estetico apparso sul
primo numero dello «Jahrbuch» husserliano.
L’indagine sugli atti soggettivi, dunque, sebbene fosse
considerata mero preludio ad ogni ricerca ontologica o
assiologica, non comportava un’accettazione acritica
delle dottrine allora piú in voga; anzi, si esprimeva
senza mezzi termini contro l’estetica psicologica,
«contro quel principio del “nient’altro che”, in nome
del quale viene cancellata ogni differenza tra i diversi
ambiti di realtà».234
È in questo contesto antipsicologistico che Geiger
fece proprie diverse assunzioni metodiche tipiche dell’indagine fenomenologica husserliana: unilaterali
prese di posizione, presupposti acriticamente assunti
lasciano il posto ad un atteggiamento descrittivo impegnato a individuare differenze sin dove è possibile e
legittimo. La fenomenologia si presenta infatti in
Geiger «come una pura descrizione che esclude da sé
233
234
Geiger 1996b, 80; cfr. Scaramuzza 1976, 158.
Scaramuzza 1989, 90.
115
115
ogni tesi circa la realtà del descritto: si interessa solo
del che cosa (Was) del fenomeno in quanto tale, nelle
modalità del suo puro manifestarsi, come Husserl ha
ben chiarito»,235 oltre che risultare indispensabile
anche per mettere a fuoco tre capisaldi indispensabili
per teorizzare l’estetica come scienza autonoma: 1- la
riduzione ai fenomeni; 2- il volgersi ad essenza; 3- il
coglimento delle essenze non deduttivo, né induttivo,
ma propriamente intuitivo. Eppure, nonostante questa funzione metodica fondamentale, alla fenomenologia viene attribuito da Geiger un ruolo solamente
introduttivo: tutte le scienze, estetica inclusa, non
possono infatti prescindere da una fondazione filosofico-metafisica che esponga quella concezione
unitaria della realtà entro cui diviene possibile
sviluppare il proprio specifico discorso (che, nel nostro
caso, concerne i valori). La pura descrizione di vissuti
e delle essenza intuite nei dati particolari fornisce
dunque solo i dati di partenza, non essendo poi d’aiuto
nell’indagine sulla provenienza e sul significato dei
valori, nel principio della cui validità si cela secondo
Geiger il segreto di ogni fenomeno estetico, incluso
quell’«effetto profondo» che dei valori oggettuali costituisce il correlato soggettivo-esistenziale. L’estetica
fenomenologica, espletato il suo compito, deve perciò
lasciare il posto all’estetica come scienza filosofica (il
secondo significato dei tre sopra ricordati), che
«riflette sul valore estetico», considerato come «una
rappresentazione dell’infinito nel finito» e posto a confronto con le altre categorie di valore:
l’estetica come disciplina filosofica si comporta con
l’estetica come scienza particolare piú o meno come
235
Scaramuzza 1976, 119-20.
116
116
la filosofia della natura si comporta con le scienze
naturali. Le scienze naturali presuppongono l’esistenza della natura esterna e ne studiano le leggi.
Cosí l’estetica come scienza particolare presuppone il
fatto del valore estetico e cerca di studiarne i principi.236
La Weltanschauung di Geiger è, come si è appena visto, fondamentalmente realistica e quindi l’intentum trascende sempre l’intentio; si capisce pertanto
come mai egli non faccia riferimento alla husserliana
coscienza intenzionale, preferendo invece parlare di
una unmittelbare Einstellung, che si risolve in una disposizione intuitiva verso la realtà (esterna o interna)
della quale si constata semplicemente il darsi,
astenendosi da ogni giudizio.237 Anche l’estetico, allora, non potrà emergere che grazie all’assunzione di
un atteggiamento idoneo, l’atteggiamento immediato,
di fronte a cui le cose rivelano la loro pura oggettività:
«la riduzione apre alle cose cosí come sono, cioè nelle
loro differenze reciproche e nella loro alterità rispetto
al soggetto».238 Infatti secondo Geiger:
Per intuire l’essenza universale bisogna disporre
l’oggetto nella giusta luce, e prima si deve anche far
assumere al soggetto che indaga la posizione esatta,
236
Geiger 1996b, 87.
La realtà del mondo esterno non richiede secondo Geiger alcuna
dimostrazione: «Lo stato d’animo malinconico sulla riva dell’oceano non è
chiuso in sé; è stato d’animo di fronte all’oceano» Geiger 1921a, 72. Si
tratta dunque, per la coscienza, di rispettare la complessità del reale
disponendosi ad accoglierlo senza sopraffarlo idealisticamente. L’esistenza
o la non esistenza di un determinato ambito di fatti viene in tal modo a
dipendere «da una presa di posizione a livello ontologico» Scaramuzza
1976, 136-7.
238
Scaramuzza 1976, 235-6.
237
117
117
che gli renda possibile un’intuizione adeguata.239
Fra le nozioni husserliane riprese da Geiger vi è
dunque anche l’intuizione eidetica: per intuire nel
caso singolo l’«essenza universale»240 non si tratta
infatti di astrarre e generalizzare, quanto piuttosto di
intuire, nel particolare, quegli aspetti universali che
riappariranno in tutti gli individui dello stesso genere;241 ma se il metodo di Geiger presenta diverse
analogie con le Logische Untersuchungen, non sembra
che egli abbia mutuato ulteriori indicazioni dai
successivi sviluppi della ricerca husserliana. L’epoché
a cui fa riferimento Geiger, ad esempio, non fa per
nulla emergere la costituzione soggettiva, limitandosi,
tutto all’opposto, a metterla tra parentesi affinché sia
possibile l’immediata intuizione oggettuale. La soggettività è dunque presente, nota Scaramuzza, ma
solo negativamente, in funzione della sua capacità di
autoannullarsi per lasciar parlare le cose; e ciò trova
conferma, del resto, nel fatto che Geiger non usa il
verbo husserliano «aufbauen», intendendo invece
l’intenzione oggettuale dell’atteggiamento immediato
come un «herausfinden».242
239
Geiger 1925, 35; Scaramuzza 1976, 161; si veda ora la tr. it. 1996b,
82-3.
240
Geiger 1973, 7.
Scaramuzza 1976, 116-8.
242
Cfr. Scaramuzza 1976, 236. La coscienza, in definitiva, si limita in
Geiger a scoprire, scorgere, ritrovare una realtà già data, e quindi il piano
della ricerca rimane ad avviso di Scaramuzza troppo statico, finendo per
relegare la soggettività estetica in un ambito ancora troppo soggettivistico,
«quasi si trattasse di un mero correlato esterno, di una sorta di rispondenza
soggettiva dell’oggettualità estetica, e non di un’essenziale componente
dell’artisticità» Scaramuzza 1976, 79-80. Le essenze, private del loro
nucleo storico, sembrerebbero perciò ipostatizzarsi in idee di tipo platonico, la cui concretizzazione rimane un fatto del tutto contingente. L’arte,
ribatte invece Scaramuzza, «non può venir intesa come una categoria dello
241
– segue –
118
118
Anschauliche Fülle e fruizione estetica Fra le riflessioni piú profonde e interessanti di Geiger sono invece secondo Scaramuzza da annoverare quelle riguardanti la risonanza soggettiva della fruizione estetica e la portata conoscitiva dell’arte. Geiger si sofferma infatti molto finemente nel descrivere il tipo di
intuizione entro cui si danno i fenomeni estetici, venendo a parlare del vissuto suscitato dalla grande
arte come di un rapportarsi emotivo e fruitivo ai
valori propri dell’opera. Fra i due estremi dell’intellettualismo scevro da sentimenti e del sentimentalismo
antiintellettualista si insinua a suo avviso una terza
possibilità: «il cogliere sensibilmente (das fühlende Erfassen) i valori estetici».243 Si tratta, in altri termini,
di un coglimento sentimentale del valore in cui ci si
immerge sensibilmente, ci si abbandona all’incanto e
alla vivezza dell’individuale, dominandolo però allo
stesso tempo mediante la sua essenza, mantenendo
cioè un occhio universale. E quest’essenza intuita
nella fruizione estetica non costituisce propriamente
un sapere, bensí un concreto vivere, capace altresí di
spirito, né l’esteticità come una oggettiva od eterna proprietà delle cose.
Cosí la comprensione di un’opera d’arte, come di un fatto estetico in
nessun caso può limitarsi a un puro afferramento di strutture oggettuali, ma
deve includere la coscienza delle intenzionalità che hanno presieduto alla
sua formazione e che regolano la riattivazione del suo senso, a livello
storico-intersoggettivo. Nell’esperienza vissuta dell’arte non sono per nulla
separabili i momenti soggettivi ed oggettivi (e sociali)» Scaramuzza 1976,
238.
243
Geiger 1988, 53. Secondo Geiger il pericolo del sentimentalismo è
assimilabile a quello dello psicologismo. Perciò una vera e propria
«immersione nell’opera» deve a suo avviso sostituire la concentrazione su
proprie emozioni psichiche, credute estetiche poiché manifestatesi durante
la fruizione dell’oggetto.
119
119
generare un senso vissuto per il soggetto.244
Geiger parla a questo riguardo anche di una presenza intuitiva, eidetico-sensibile, dell’oggetto, in
quanto all’origine di un tale rapporto fruitivo (che non
sia cioè mero godimento) sta infatti l’apparizione dell’oggetto secondo una «pienezza intuitiva (anschauliche Fülle)».245 Ora, la differenza fra oggetto e
244
Geiger 1928, 98-9; Scaramuzza 1976, 222. Geiger propone a
questo riguardo l’esempio della Ronda di notte di Rembrandt: «Non è
strano? sono uomini scarsamente interessanti – uomini quali si possono
incontrare ogni giorno in Olanda; davanti alle loro anonime fisionomie
passiamo disattenti. Rembrandt li ritrae in tutta la loro semplicità, e ora ci
fermiamo commossi davanti alla tela della Ronda di notte, proprio davanti
a quegli uomini la cui banalità nella vita ci fa inorridire. […] e sempre lo
stesso gioco: colori e suoni, linee e pietre acquistano un potere inaudito su
di noi. Come accade questo? Come si configura il processo spirituale che
compie un simile miracolo, che produce effetti qualitativamente diversi da
quelli che viviamo altrimenti, e cui sono paragonabili solo le emozioni del
sentire religioso e del conoscere scientifico?» Geiger 1928, 67; cfr. Scaramuzza 1976, 216, Spiegelberg 1960, 206.
245
Geiger pone la differenza tra «oggetto (Gegenstand)» e «pienezza
dell’oggetto (Gegenstandsfülle)» (differenza irriducibile a quella, teoretica,
fra oggetto e apparenza d’oggetto): un oggetto può essere presente alla coscienza (rappresentato o percepito) senza che alcuna sensazione corporea
sia specificamente intenzionata. Si può invece parlare di piena presenza
(Gegenstandsfülle) solo quando la percezione (o rappresentazione) è
«piena di momenti “tangibili” (greifbar)». Geiger considera la possibilità
che anche una rappresentazione (cioè anche quando l’oggetto non è
attualmente percepito) possa essere data in «pienezza»: basta che anche in
questo caso i momenti «tangibili» dell’oggetto rappresentato siano intenzionati; (la fruizione, peraltro, raggiunge in tal caso un livello inferiore)
allora l’oggetto raggiunge l’«evidenza intuitiva»: «Ciò che generalmente in
estetica si designa come Anschaulichkeit dell’oggetto non vuol riferirsi a
una qualunque origine dai sensi, né prender posizione intorno alla
questione del riempimento di intenzioni; riguarda piuttosto la modalità del
darsi degli oggetti. Oggetti dati intuitivamente (anschaulich) hanno in sé
una determinata p ienezza (Fülle), un esser-pieni di momenti «tangibili
(greifbar)» Geiger 1973, 42. La coscienza, dunque, allo stesso tempo vive
le sensazioni e intenziona l’oggetto che origina quelle modificazioni degli
organi di senso.
120
120
pienezza dell’oggetto (Gegenstandsfülle) non è riducibile a quella fra l’oggetto e la sua apparenza; si dà infatti Gegenstandsfülle solo se l’intenzione oggettuale è
«piena di momenti “tangibili” (greifbar)», quando cioè
le sensazioni corporee che avvertono l’oggetto vengono
anch’esse specificamente intenzionate.246 Solo in tal
caso l’oggetto raggiunge una vera e propria «evidenza
intuitiva»:
Ciò che generalmente in estetica si designa come Anschaulichkeit dell’oggetto non vuol riferirsi a una
qualunque origine dai sensi, né prender posizione intorno alla questione del riempimento di intenzioni;
riguarda piuttosto la modalità del darsi degli oggetti.
Oggetti dati intuitivamente (anschaulich) hanno in
sé una determinata pienezza (Fülle), un esserpieni di momenti «tangibili (greifbar).247
Si tratta dunque di una peculiare forma d’intuizione in cui il soggetto, immergendosi nel dato sensoriale immanente, non perde per questo il rimando all’oggetto trascendente. Le qualità dell’oggetto appaiono cosí in tutta la loro concretezza:
Mentre prima attraverso i dati intuitivi guardavamo
immediatamente all’oggetto, ora la coscienza si arresta ai dati sensibili e si interessa alla loro pienezza.
Prima vedevo l’uomo attraverso i suoi colori e le sue
forme, ora vedo i colori e le forme, ma sempre come
colori e forme di un uomo.248
246
Geiger ammette infatti la possibilità di raggiungere una «pienezza
dell’oggetto» anche quando esso non è attualmente percepito: basta che i
momenti «tangibili» dell’oggetto siano comunque intenzionati. La fruizione, peraltro, raggiunge in tal caso un grado inferiore.
247
Geiger 1973, 42.
248 Geiger 1973, 93. «Non è affatto indifferente per la fruizione estetica
che i colori e le forme vengano appresi come colori e forme di un uomo
– segue –
121
121
Ciò significa, in definitiva, che nell’atto di fruizione
estetica, convivono una contemplazione, una considerazione (Betrachtung) che tiene lontani da sé gli oggetti e un’intuizione che ostende e addirittura vive
nella loro pienezza sensibile.249 Essenziale diviene
dunque il modo in cui l’oggetto appare: attraverso la
pienezza noi guardiamo all’oggetto che ci dà la pienezza.250
Come Geiger mostra anche in Die psychische
Bedeutung der Kunst,251 una tale pienezza sensibile –
che, abbiamo visto, risulta indispensabile affinché si
dia autentica fruizione estetica – non impedisce comunque all’arte di rappresentare situazioni universali. L’essenza viene dunque intuita entro un’individualità che viene a sua volta colta in pienezza intuitiva. E si profila in tal modo la specificità del momento conoscitivo dell’arte: Geiger oppone infatti al
conoscere teoretico, che si impadronisce concettualmente dell’oggetto, mantenendolo però a distanza
neutrale, un sapere esistenziale che investe di sé tutta
la vita, presentandosi già come senso vissuto dell’e[anziché meri dati dei sensi]. Colui cui il significato di ciò è estraneo, cui
non riesce di eseguire di “dar forma umana” (Menschformung) a colori e
forme, fruirà un dipinto magari come fosse uno sgorbio colorato, o una
poesia come si ascoltano incomprensibili parole straniere» Geiger 1973,
92.
249
Secondo Geiger, essenziali al vissuto fruitivo (Genuß) sono: 1) l’atteggiamento contemplativo, consistente nel tener lontani da sé gli oggetti;
2) il rapporto diretto e vissuto con l’oggetto, fondato sulle peculiari
proprietà dell’opera d’arte: «Il contemplare richiede qualcosa di piú che
una semplice posizione di lontananza dell’oggetto; implica anche che in
questa posizione in certo modo io accolga l’oggetto, che io afferri
intensamente l’oggetto malgrado la sua distanza» Geiger 1973, 77-92.
250
«L’essenza della contemplazione estetica sta nel fatto che essa
accoglie l’oggetto nella sua pienezza, ma oggetto di fruizione non è tuttavia
la pienezza, bensí l’oggetto stesso» Geiger 1973, 93.
251
Geiger 1976, 202-270.
122
122
sperienza.252 Se nel conoscere intellettivo la singolarità perde valore, nella vita estetica ci si abbandona
invece all’incanto e alla vivezza dell’individuale, insieme dominandolo però nella sua essenza. Accade
cioè qualcosa di simile al conoscere storico, anche se
alla storia basta il puro conoscere (il generale non è
reso intuitivamente presente, ma intellettualmente
consaputo), mentre nell’arte l’essenza è intuitivamente presente in un’individualità data anch’essa in
pienezza intuitiva. L’arte, questa forma aconcettuale
di conoscenza, assume dunque in Geiger un profondo
significato esistenziale:
L’artista ha il compito di portare a significanza esistenziale quanto “si sa” neutralmente. Spesso “i nostri occhi sono ciechi per l’essenza” e l’artista ci aiuta
a vedere; ogni artista cose diverse, aspetti diversi
delle essenze, con l’uso di diversi stili. Ognuno dei
quali – è il caso di aggiungere – non è soggettiva
interpretazione, mera espressione di emozioni private e di originale genialità […]; ma ricerca e scoperta della realtà. L’essenza qui non è solo da contemplare già fatta, o da discutere, fondare,
verificare, ma da vivere; e solo cosí è “vera”. La
verità dell’arte è “evidenza vissuta” (erlebnismässige
Evidenz).253
Sul rapporto arte-possibilità in Nicolai Hartmann
Rientra nel contesto di questa ricognizione sulla
fortuna italiana della prima estetica fenomenologica
252
«Esiste un’essenza intuitiva che svolge una funzione analoga a
quella concettuale: sottrae il tutto alla sua pura casualità e fattualità, gli dà
senso. E risolve il contrasto tra individuale ed essenziale» Scaramuzza
1976, 222.
253
Scaramuzza, 1976, 222-223.
123
123
anche l’articolato intervento di Dino Formaggio che
accompagna l’edizione italiana dell’Ästhetik254 di
Nicolai Hartmann. Quest’opera, sia pur «segnata da
pericolose oscillazioni interne», tocca infatti secondo
Formaggio diverse tematiche vicine ad altre canoniche proposte di estetica fenomenologica, anche se, a
ben vedere, la vera problematica di fondo attorno a
cui ruota la riflessione estetologica hartmanniana è a
suo avviso il rapporto fra arte e possibilità (e questo
spiega, nell’edizione italiana, l’accostamento alla
Ästhetik di Möglichkeit und Wirklichkeit 255). È alla
luce della «mera possibilità»,256 infatti, che Formaggio
chiarisce il significato dell’Erscheinungsverhältnis
254
Hartmann 1953. L’opera, talvolta considerata epilogo aporetico di una
filosofia «aporetica», è stata per lo piú studiata non tanto per il suo portato
estetologico, quanto per il suo rimettere in discussione alcuni paradigmi
dell’ontologia hartmanniana. Ed in verità l’autore piú che operare una
ricognizione sullo stato a lui contemporaneo dell’estetica preferisce
sollevare questioni di carattere teoretico. Hartmann, comunque, sembra
voler iscrivere queste sue ricerche nell’abito di un’estetica fenomenologica
sebbene ricordi il solo Moritz Geiger, rimproverandogli, fra l’altro, l’unilaterale analisi degli atti soggettivi (Hartmann 1969, 119). Per una
valutazione teoretica dell’Ästhetik si vedano anche Barone 1953-54,
Barone 1957, VIII, Cantoni 1972.
255
Hartmann 1938.
256
In Möglichkeit und Wirklichkeit Hartmann distingue possibilità
«meramente tale» (disgiuntiva) da possibilità «indifferente». La prima è la
semplice possibilità di A, che è al contempo possibilità di non-A. Essa dice
di uno «stato dell’essere» in cui A e non-A sussistono assieme; proprio per
questo è incompatibile con l’effettività: l’effettività di A esclude
l’effettività di non-A; è invece «necessario» che la possibilità di A includa
la possibilità di non-A. L’esistenza di un ente in questo stato è secondo
Hartmann «misteriosamente affascinante». Al contrario, la possibilità indifferente non dice nulla sulla possibilità o impossibilità del proprio contrario;
questa è secondo Hartmann la sola possibilità reale, poiché compatibile
con lo stato dell’essere effettivo: l’esser effettivo di A dice ad un tempo del
suo essere possibile, ma non si pronuncia sull’essere possibile o impossibile di non-A. Al mondo del bello si addice il primo tipo di possibilità, la
possibilità disgiuntiva; Hartmann 1969, 57-62.
124
124
individuato da Hartmann tra primo piano e sfondo
dell’opera d’arte, rapporto che, per altri versi
sembrerebbe invece implicare un’aporetica scissione
fra due strati oggettuali.
Fenomenologia ed ontologia Il mondo dell’estetica, esordisce Formaggio, costituisce per Hartmann –
come altre volte è accaduto nella storia della filosofia
– il banco di prova della validità sistematica di tutto
un pensiero. L’oggetto estetico si mostra infatti atto a
saggiare l’effettiva consistenza di quella metafisica
ontologica, di quella «suprema oggettualità»257 cui
approdavano le precedenti ricerche di Hartmann.
Quest’ultimo – com’è noto – giudicava la fenomenologia semplice strumento gnoseologico e la riteneva comunque insufficiente a render conto della «durezza»
del reale; ne proponeva pertanto un’integrazione all’insegna di una piú ampia aporetizzazione dell’esperienza, inscritta entro un piú comprensivo disegno
257
Formaggio 1969, 4. Il realismo di Hartmann non è secondo Formaggio esente però da alcune aperture: «si vedevano emergere, rompendo il
privilegio di primarietà metodologica e di assolutezza teoretica della
scienza e della conoscenza, altre sfere del reale di pari dignità e fondazione
oggettivistica (pur variando la misura della loro attingibilità), quali quelle
dell’Etica e dell’Estetica. Non solo, ma poiché la relazionalità (con
privilegio soggettivistico) del rapporto soggetto-oggetto veniva a sua volta
annegata nel gran mare dell’essere, essa si dissolveva in una suprema oggettualità (per altro sempre da ricostituire fenomenologicamente), e la problematizzazione aporetica rompeva anche qui il privilegio soggettivistico,
avviando il pensiero verso una metafisica ontologica finale ben lontana
dalle metafisiche deduttivistiche e tutta piena di moderni spiriti empiristici
e descrittivistici; qualcosa come l’eredità di passi già wolfiani e
illuministici, e, insieme, l’avanzare di un nuovo realismo che giunge fino a
riflettere in sé le luci inquiete di un certo irrazionalismo esistenzialistico»
Formaggio 1969, 4.
125
125
ontologico.258 Ebbene, sarà secondo Formaggio proprio
questa «prova limite» costituita dall’analisi dell’oggetto estetico a far recuperare ad Hartmann riflessioni di piú stretta marca fenomenologica.
Secondo Hartmann l’unità dell’opera d’arte – cosí
come di ogni altro oggetto cui si possa a buon diritto
predicare la bellezza – è garantita da un «rapporto di
apparizione (Erscheinungsverhältnis)», grazie a cui
uno sfondo, ovvero un contenuto spirituale, si cala
entro un primo piano percettivo. Ex parte subiecti ciò
corrisponderebbe ad un progressivo «trascendersi all’indietro» della percezione, orientato verso un sentire
affettivo originario, di modo che il valore estetico
viene ad esser costituito (reso visibile) proprio grazie a
quel complesso di atti che presiedono dapprima
all’ostensione fenomenica dell’oggetto e poi all’apprensione del contenuto spirituale.
L’analisi sviluppata da Hartmann è dunque duplice: strutturale dell’oggetto (suddiviso in strati) e fenomenologica della percezione; ma quest’ultima, secondo l’Erscheinungsverhältnis, sarebbe il fondamento
della prima. Il problema è allora secondo Formaggio
quello di stabilire come tale fondazione possa essere
intesa; solo cosí si potrà valutare il ruolo svolto dalla
fenomenologia in questa analisi.
Formaggio comincia con l’apprezzare un punto
metodologico, ovvero la continua ristrutturazione dell’oggetto «attraverso molteplici esperienze fenomenologiche, in una persistente e sempre possibile unità».259 Ed è proprio su questo piano che è possibile re258
Come è noto, Hartmann rimprovera ad Husserl un eccesso di
soggettivismo e di logicismo. Ma Hartmann – precisa Formaggio – aveva
davanti a sé solo il primo Husserl.
259
Formaggio 1969, 5-6.
126
126
perire un filo conduttore che avvia a conciliazione la
problematica distinzione proposta da Hartmann di
due differenti livelli presenti nell’oggetto estetico
(piano reale o materiale vs contenuto ideale spirituale). L’intenzionamento estetico dell’oggetto, infatti,
opera una spontanea epoché fenomenologica260 capace
di far «arretrare sia la percezione conoscitiva sia la dimensione pratica del percepire stesso».261
Oltre a ciò, Formaggio apprezza l’impostazione
generale della ricerca, diretta in senso filosofico e caratterizzata da un corretto antidogmatismo, da una
posizione
non già critico-valutativa o esplicativa dell’opera
d’arte e tanto meno normativa per qualche fare artistico, ma correttamente teorica a partire dal piano
fenomenologico-descrittivo.
Un’impostazione – dunque – grazie alla quale si può
respingere la riduzione dell’estetica a «gnoseologia inferior», sbloccandola altresí «dalla sua lunga storia di
soggettivismi romantici e idealistici e di intuizionismi
mistici o spiritualisti». Un’adeguata analisi dell’obiettivazione estetica, capace di sviluppare alcune indica260
Quella di Hartmann, tuttavia, non coincide con la neutralizzazione
husserliana, poiché lo strato sensibile è irrimediabilmente trasceso a favore
del contenuto spirituale di una visione piú alta; Formaggio 1969, 15.
261
«Nella percezione […] noi ritroviamo un rovesciarsi della presenza
sensibile verso gli sfondi del piú lontano vissuto, ed i due strati, del
sensibile e del vissuto, si compenetrano indissolubilmente […] La
percezione risulta storicamente stratificata e sprofondata fin nella piú
lontana ed inestirpabile sensibilità originaria. È proprio per questo
ineliminabile sfondo originario che la percezione può essere ripercorsa
anche, in un trascendimento all’indietro, fino al ritrovamento dei suoi sensi
originari. È proprio e caratteristico della percezione estetica di operare
questo autotrascendimento all’indietro della percezione comune»
Formaggio 1969, 14-15.
127
127
zioni contenute nella riflessione hartmanniana sull’estetica, toglierebbe finalmente il primato all’atto
contemplativo o a quello creativo, troppo spesso, secondo Formaggio, identificati con l’essenza dei fenomeni estetici. Hartmann, in altri termini, significherebbe per l’estetica – analogamente a quanto Scheler
ha significato per l’etica – un potente stimolo a superare «l’antitesi parzializzante (e paralizzante) di oggettivismo e soggettivismo», a compiere cioè quella fenomenologica «dissoggetivizzazione» del campo che,
del resto, risulta indispensabile qualora si voglia recuperare la scientificità dell’estetica.
Ma Formaggio sta con ciò andando consapevolmente oltre alla lettera di Hartmann, il cui privilegiamento della dimensione oggettuale finirebbe invece
per «polverizzare» gli stessi guadagni piú cari al movimento fenomenologico: la correlazione noetico-noematica d’intenzionalità, cioè il piano della datità fenomenologica.262
Ci si imbatte pertanto «nel vero mostro di tutta
la questione: la costituzione dell’oggetto artistico».
L’orizzonte del valore, il bello, viene collocato tutto sul
piano dell’irreale, al quale pur accade di presentarsi
attraverso una datità sensibile. Operando una sorta
di «fuga dall’effettivo mediante l’opera d’arte»,263 Hartmann prescinderebbe dunque dall’atto istituzionale
dell’indagine fenomenologica, la modificazione di
neutralità della percezione, che per Husserl consiste
nel metter fuori gioco l’atteggiamento quotidiano,
senza però abbandonare il fondamentale riferimento
262
263
Formaggio 1969, 22.
Formaggio 1969, 26.
128
128
alla stessa percezione.264 Il ritorno husserliano alle
cose si tradurrebbe pertanto in Hartmann in una riconsiderazione ontologica dell’oggettività: ciò che egli
fa passare per costituzione dell’oggettività estetica si
qualifica piuttosto come ricostituzione dell’oggetto in
un’altra dimensione del reale, in una dimensione sottratta alla temporalità dell’esperienza.
Pertanto, conclude Formaggio, se è vero che ponendo la questione nei termini di un rapporto di apparizione fra primo piano e sfondo Hartmann avrebbe
cercato di radicare la nozione di spirito in una fenomenologia della percezione «stratificata e sprofondata
fin nella piú lontana e inestirpabile sensibilità originaria»265, di fatto l’unità in tal modo intravista si polverizza non appena egli comincia a trattare ontologicamente di due strati oggettuali: l’irrealtà di cui parla
Hartmann significa, in definitiva, un oggetto «tale da
non imporsi alla coscienza e al corpo», mentre – e qui
sta la radice dell’aporia – questo ibrido oggetto di
fantasia non rimane esente da un certo commercio con
la realtà, la quale, anzi, costituirebbe la condizione
per l’apparizione dell’oggetto fantastico:
È pure sua condizione [dell’oggetto], quando e dove
compare, di comparire sensibilmente e materialmente, cioè di scattar dentro a una entità reale, ad
264
Secondo Husserl – pare utile ricordarlo – l’idealità rinvia al piano
dell’esperienza: «L’esperienza è la fondazione primitiva dell’essere-per-noi
di oggetti che hanno lo stesso senso oggettuale che le è proprio. Ciò
evidentemente vale altresí per gli oggetti irreali sia che essi abbiano il carattere della idealità propria dello specifico o quello della idealità di un giudizio, o quello di una sinfonia ecc. […] Nelle sintesi continue e discrete di
molteplici esperienze si costruisce in modo essenziale e “visibilmente”,
l’oggetto d’esperienza come tale, nel mutevole presentarsi di aspetti sempre
nuovi che gli sono essenzialmente propri» Husserl 1966b, 204.
265
Formaggio 1969, 14.
129
129
uno strato di materie reali, tolte le quali cessa a sua
volta di sussistere.266
Possibilità nella realtà dell’arte Hartmann, nota
Formaggio, aveva portato l’attenzione sull’oggettività
estetica anche prima di scrivere la sua estetica. Trattando delle modalità dell’essere in Möglichkeit und
Wirklichkeit267 si era infatti soffermato anche sul libero e aereo mondo ideale del bello, per essenza sottratto all’incombente necessitazione reale; e per Formaggio la vera problematica di fondo che anima la teoria
hartmanniana dell’oggetto estetico è costituita, come
si è detto, proprio dalla dialettica fra possibilità e
realtà, alla luce della quale lo stesso Hartmann
avrebbe potuto risolvere l’interna «aporetica» del
«rapporto di apparizione».268
La possibilità «meramente tale», di ascendenza
aristotelica, da cui Hartmann sembra inizialmente
prender congedo, viene di fatto riesumata per spiegare il mondo estetico; il puro possibile costituisce infatti un nuovo stato dell’essere269 che si pone accanto
all’essere effettivo della cosa, pur rimanendo escluso
dalle condizioni della sua costituzione ontologica.270
Decisivo è dunque il fatto che la base interna di irrealtà dell’oggetto estetico non aspira affatto a mascherarsi di realtà per garantire la propria consistenza, ma si
rovescia sui piani modali della possibilità, istituendo
266
Formaggio 1969, 7.
Hartmann 1938, passim; di particolare interesse per la nostra
tematica è il cap. 35 Die Welt des Schönen und ihre Modalstruktur
Hartmann 1969, 31-77.
268
Formaggio 1969, 15.
269
Hartmann 1969, 58.
270
Formaggio 1969, p.18.
267
130
130
il «mondo della dis-effettuazione»271. In questo modo il
mondo dell’estetico si sottrae all’impossibilità della
«possibilità reale», che è tale solo quando le sue condizioni «sono fino all’ultima soddisfatte», senza per
questo pretendere alcuna mistificazione del reale, dal
quale prende semplicemente congedo, si libera.
Hartmann, secondo Formaggio, pur avendo intuito tale apertura, tale libertà relativa al mondo
autonomo dell’arte, sarebbe comunque rimasto affascinato dall’inquietante costrizione dell’essere reale,
con le sue possibilità, effettività, necessità che si richiamano e implicano l’un l’altra; nonostante l’importante intuizione del nesso arte-possibilità, egli
avrebbe infatti deciso di raddoppiare la catena della
necessità reale nel regno ideale del bello, al fine di
garantire l’integrità ontica all’opera d’arte, una volta
recisa e abbandonata la sua base reale. Hartmann
parla infatti, sia di una «necessità artistica» (o «essenziale», cosí come «essenziale» è detta la corrispondente
possibilità) sia di un’effettività sui generis, vigenti nel
mondo autonomo, separato, dis-effettualizzato del
bello. Il limite di questa posizione, conclude Formaggio, consiste nel fatto che il reale viene degradato a
puro mezzo, l’ancoraggio percettivo risulta ridotto ad
un’estrinseca fenomenizzazione. Hartmann, in altri
271
«La fuga dall’effettivo mediante l’opera d’arte non punta nella direzione del cosiddetto ideale, ma significa solamente una rottura di quel gravoso equilibrio di possibilità e necessità che il reale possiede e sempre pretende, rottura che avviene non già a favore della necessità (come avviene
nel cupo splendore del dovere morale), bensí a favore della possibilità».
Infatti: «Il possibile reale soffre di una “angustia” insopprimibile per la
trama completa delle condizioni reali in cui si muove. Il possibile artistico
nasce come slancio oltre il sistema ferreo di tali condizioni e inaugura il
volo di liberazione di un “meramente possibile”, librato fuori e sopra il
reale effettivo, fuori e sopra la dura necessità e lo stesso rapporto di
identità» Formaggio 1969, 26 e 20-21.
131
131
termini, non coglie alcuna possibilità nella realtà, non
riesce a cogliere la possibilità nella realtà dell’arte.272
Realtà, prassi, progetto La stratificazione della
percezione di cui Hartmann parla nell’Ästhetik per
attestare l’integrità dell’oggetto estetico introduce
quella «imprescindibile relazionalità soggettiva» che
costituisce secondo Formaggio uno dei principali acquisti dell’estetica fenomenologica. Sviluppando i
momenti genetici e costitutivi, Hartmann avrebbe potuto superare il necessitarismo della sua ontologia e
recuperare il senso dell’esperienza e della prassi, anche nella loro relazione al futuro, collocate cioè nell’insieme delle estasi temporali; cogliendo il fondamentale legame dell’estetico con la categoria di possibilità, quest’ultima avrebbe potuto essere utilizzata a
questi scopi.273 Ma Hartmann non si avvede di ciò,
272
«Ciò le cui condizioni sono fino all’ultima soddisfatte, è, al limite e
solo al limite, il possibile reale. Il che può significare sia che il possibile
tende a dissolversi nel reale effettuale, sia che il possibile tende ad agire e
ad operare infinitamente nel reale ed è una dimensione del reale. L’arte ha
a che fare con una possibilità irrealizzante o diseffettuata, solo per una
concezione inadeguata dell’arte stessa che tende a identificarla con
un’esteticità che è, infine, un’estaticità, o con un immaginario concepito
come altro ontologico dal mondo» Formaggio 1973, 77. Come avrebbe
messo in luce Bergson – prosegue Formaggio –, è il reale che si fa
possibile, non quest’ultimo che si attua in quello: «[…] Ciò significa che
cade la tesi platonica di un essere dato una volta per sempre e si rovescia la
tesi che faceva nascere la libertà dalla indeterminazione competitiva dei
possibili, mentre si convalida che è la libertà […] a creare il possibile.
Questo significa l’incessante novità del reale, la sua artistica novità che si
fa mentre si possibilizza, sotto i nostri occhi» Formaggio 1973, 75-76. Solo
una riconsiderazione fenomenologica della realtà – dunque – permette di
cogliere l’intenzionalità del nuovo che anima il fare artistico; il reale,
nell’esperienza artistica, diventa possibilità progettuale: include in sé passato, presente, futuro o, in una parola, la storia.
273
«Una estetica come scienza filosofica, nel momento in cui afferma il
proprio fondamento unitario in una specifica logica del possibile e quivi
riconosce la base, l’unica base comune possibile, sia per una teoria gene– segue –
132
132
continuando a considerare la materia rimane un puro
mezzo, da cui l’essenza estetica si stacca senza possibilità di ritorno.
Emerge chiaramente, dunque, la posizione di
Formaggio, secondo il quale, a differenza di
Hartmann, il possibile non è per nulla estraneo alla
dimensione della realtà; anzi, esso è in tutto e per
tutto una dimensione del reale, di una realtà, anzi,
che si fa possibile proprio grazie all’intenzionamento
estetico. E quindi, in forza di questi suoi essenziali legami con l’estetico si deve porre proprio un nuovo tipo
di possibilità, la
possibilità artistica del reale, che anziché rompere
con la struttura di base della effettività, anziché
diseffettuarsi e srealizzarsi, operi dentro il reale, sia
pure su altre basi dalla durezza della sua necessità,
per trasformarlo in arte.274
Una volta trasformata in arte, la determinatezza
della realtà storica e sociale, viene proiettata verso
una possibilizzazione, verso una nuova riconciliazione. Ed è questa una condizione che Formaggio definisce «piú reale del reale», una condizione supponibile
solo in un reale in perenne divenire. La netta cesura
hartmanniana, invece, comporta a suo avviso la
perdita della vastità e pienezza del reale storico, della
presenza «della società e della storia in una effettiva –
e non solo sognata – liberazione artistica».
rale della sensibilità (o Estetica generale) che, ed insieme, per una teoria
generale dell’arte (o Estetica speciale), non può far a meno di verificare e
denunciare i limiti del rapporto arte-possibilità nel pensiero di Nicolai
Hartmann» Formaggio 1969, 27. Sulla distinzione Estetica speciale ed Estetica generale v. Formaggio 1962a, 303-327.
274
Formaggio 1973, 75.
133
133
L’arte come «possibilità progettuale» agisce dunque in mezzo alla realtà senza però ossificarsi in essa;
al contrario, il fare artistico risulta capace di aprire e
fluidificare il reale, di avviare nella e con la realtà
uno schema di «perfezionamento di cosa e senso».275 E
la «logica prassistica» dell’arte significa, in definitiva,
la liberazione dell’uomo, la liberazione della sua infinita capacità comunicativa e fattiva:276
Interpretare e reinterpretare sempre e ogni volta
daccapo i segni che popolano il cielo e la terra è compito dell’arte come possibilizzazione progettuale del
mondo ed è un modo di vincere, in progetto, s’intende, non di fatto, la morte.277
275
Formaggio 1969, 29; Formaggio 1973, 77-84.
«Se la progettazione cade sotto controllo tecnologico, con la fine
della sua libertà liberatrice si ha anche la fine della progettazione artistica
del nuovo segno, della nuova parola, della funzionalità significativa e
comunicativa (non solo informativa) del mondo». Formaggio 1973, 82.
277
Formaggio 1973, 79.
276
134
134
Fenomenologia e «aggancio metafisico»
nell’estetica di Elisa Oberti
Obiettivo primario delle riflessioni di Elisa
Oberti278 è quello di evidenziare all’interno dei fenomeni artistici (dei quali l’estetica fornirebbe un’interpretazione essenziale) un’indicazione verso l’«ulteriorità metafisica», indicazione tutta radicata, però,
nella concretezza sensibile. L’opera d’arte, infatti, si
dà a suo avviso esclusivamente nella presenza sensibile, ed è perciò estremamente scorretto interpretarla
muovendo da orizzonti di significatività esterni
allopera stessa (eteronomi).
Ma è solo dopo un lungo confronto con gli esponenti dell’estetica fenomenologica (oltre che, ovviamente, con quelli di una classica estetica metafisica «a
parte ante») che l’Oberti arriva a formulare tale dottrina di un «aggancio metafisico a posteriori». Fra gli
autori presi in considerazione, una maggiore affinità
viene riscontrata con la linea Conrad-IngardenDufrenne volta reperire il fondamento dell’artisticità
ex parte objecti, anche se non mancano riferimenti a
Geiger, Sartre, Hartmann; fondamentalmente, i fenomenologi che si sono occupati di estetica interessano all’Oberti in quanto avrebbero anch’essi posto
l’esigenza di un rilancio verso l’ulteriorità metafisica a
partire dalla concretezza dell’arte, sebbene sarebbero
278
Fu docente di estetica all’Università Cattolica di Milano fra gli anni
Sessanta e Settanta; un ricordo nel ventennale della sua morte è in preparazione a cura di Francesco Solitario per il Bollettino dell’Associazione
Italiana di Studi d’Estetica, autunno 1996. Seguirò in questo capitolo
Oberti 1962, 1964 e1968.
135
135
poi ricaduti in aporetici dualismi fra la dimensione
sensibile dell’opera e l’ulteriorità spirituale.
Estetica e metafisica
L’estetica intrattiene e deve intrattenere secondo
Elisa Oberti stretti rapporti con la filosofia, in quanto
una delle sue primarie funzioni è quella di esplicitare
il principio del carattere conoscitivo dell’arte; questo,
del resto, non intacca minimamente la specificità disciplinare dellestetica, poiché la conoscenza veicolata
dalla «presenza evidenziata» di una datità sensibile
(cioè dall’arte), non presenta alcuna inferiorità rispetto all’orizzonte concettuale. Il riferimento ai referti
sensoriali – icasticamente detti i «documenti»279 di
ogni ricerca estetologica – svolge infatti una funzione
fondamentale proprio in funzione di quell’«evidenziazione della presenza» che sta alla base dell’estetica di
Elisa Oberti, il cui principale intento è appunto quello
di mantenere aperto un rilancio metafisico ma che
muova dal concreto dell’opera d’arte, negando qualsiasi «persistenza metafisica a parte ante»:
Una metafisica dell’arte è possibile ma dopo e non
prima dell’accertamento delle sue strutture in ambito fenomenologico, nel senso che l’arte e la definizione dell’arte prendono posto tra le altre determinazioni metafisiche e sono con esse compatibili, ma non
da esse aprioristicamente deducibili, in un sistema
armonico di rapporti.
Una metafisica dell’arte incontra però due ordini
di difficoltà: in primo luogo, la metafisica, scienza
279
«Documento» è per la Oberti l’oggetto da cui deve aver origine ogni
indagine fenomenologica.
136
136
orientata verso gli aspetti piú universali della realtà,
non è per sua natura votata a comprendere quella peculiarissimma manifestazione che è l’opera d’arte;
inoltre, volendo sottoscrivere l’assioma della fenomenologia che vieta la deduzione di princípi da teorie
precostituite (anche se raffinate e valide per altre regioni dell’essere), l’estetica metafisica deve abbandonare la concezione del pulchrum quale predicato trascendentale dell’essere, concezione che porta ad una
metafisica del bello solo nel senso (deteriore) di
«definizione aprioristica» e che non può che condurre,
pertanto, ad un’accezione depotenziata di bellezza. Si
tratterebbe infatti di un bello predicabile indistintamente a tutti gli enti e perciò inadatto ad attestare
l’autonomia di campo dell’estetica. Quest’ultima deve
invece partire dall’opera d’arte nella sua immediata e
concreta presenza che, non dimentichiamolo è pur
sempre presenza per un soggetto, e dunque presenza
con significato. Se l’estetica mantiene pertanto dei
rapporti con la metafisica, questi non possono darsi
che a posteriori:280
L’aggancio […] deve di necessità proporsi come a
parte post: a partire dalla datità stessa sensibile che
sembrerebbe indurre in dimensioni immanentistiche
e che d’altra parte è offerta dalla inconfutabile atte280
Oberti 1962, 12-13. «Nel sostenere che la teoria dell’arte non può
essere dedotta da un sistema filosofico e dalla metafisica in esso
dichiaratamente enunciata o implicitamente contenuta, si intende solo
asserire che tale riduzione non può essere operata totalmente a priori, cioè
prima e fuori di ogni concreto rapporto con l’oggetto artistico» Oberti
1962, 13; ma: «[…] Non si esclude che le acquisizioni raggiunte in seguito
all’atto di indagare e analizzare in sede fenomenologica tale oggetto non
possano venir sussunte e collocate in un sistema metafisico riconosciuto
come valido» Oberti 1962, 14.
137
137
stazione fenomenologica.281
Notiamo subito come, al di là di un canonico richiamo metodologico ad un’indagine scevra da presupposti mistificanti, il referente del termine fenomenologia sia qui peculiare. In primo luogo esso indica
un momento preliminare dell’indagine, il momento
dell’ostensione dei «documenti» che saranno in secondo momento ricompresi in un «sistema metafisico
riconosciuto come valido», nel quale i fenomeni raggiungano una definizione concettuale. In secondo
luogo, l’Oberti – come meglio vedremo tra breve –
identifica l’estetica con una fenomenologia dell’oggetto
d’arte,282 l’originaria evidenza del quale deve fungere
da punto di partenza per qualsiasi teorizzazione su di
esso; decisamente unilaterale è pertanto l’esame dei
fenomeni artistici messo in campo dalle estetiche che
considerano solo i momenti soggettivi o percettivi:
Invertire l’ordine della trattazione tra oggetto artistico e attività percettiva […] significa fidare nell’obiettività dell’oggetto, e ritenere che nei suoi confronti la percezione e l’immaginazione non siano
281
Oberti 1962, 293. L’Oberti invita piú volte a rispettare il dato fenomenologico; se non si può – come avrebbero fatto, fra altri, Kant e
Heidegger – assumere l’oggetto estetico quale mero pretesto per affermare
un’ulteriorità, nemmeno, all’opposto, si può semplicemente estetizzare una
metafisica già formulata. Estetica e metafisica possiedono entrambe una
loro autonomia o autosufficienza, e se l’arte comporta la necessità della
metafisica, questo non significa che quest’ultima debba sovrapporsi alla
prima; Oberti 1962, 344-8.
282
Oberti 1962, 21-48. «Ritengo che il problema estetico si determini e
si precisi in funzione di un’originaria e fondamentale domanda sull’arte. Il
problema estetico, cioè, come problema specifico, nasce e si precisa attraverso una serie di interrogativi volti a indagare quel dato di fatto reale, se
pure inquietante, che è l’opera d’arte concreta» Oberti 1962, 224.
138
138
determinanti […] sia nel senso di un ingenua
invenzione iniziale dell’oggetto stesso, sia nel senso
di una sua invenzione attraverso l’annullamento, l’irrealizzazione del suo essere sensibile, come è in
Sartre o in Hartmann e per lo piú in tutti i fenomenologi di derivazione husserliana.283
Ed ancora:
Bisogna vedere come, nel suo porsi originariamente
283
Oberti 1962, 31. Tre sono i punti grazie a cui la fenomenologia
dell’oggetto d’arte può superare le metafisiche spiritualistiche: 1) «Far
consistere l’oggetto estetico nella sua oggettività stessa»; 2) «Salvarne la
fisicità, cioè la datità immediata una volta raggiunto il significato» (Oberti
1962, 52); 3) far piazza pulita di ogni forma di intuizionismo. Per dar conto
di una componente soggettiva dell’estetico, si potrebbe tutt’al piú
analizzare il correlato psicologico della conoscenza estetica, ma in questo
caso bisognerebbe essere consapevoli di operare unicamente con metodo
sperimentale. Una «fenomenologia dell’attività artistica» è dunque secondo
l’Oberti auspicabile oltre che possibile, anche se ai tempi in cui scriveva
sembrava ancora improbabile; comunque essa «non potrebbe venire che
dall’artista stesso che si trovasse per particolari disposizioni disposto, sia
pure in via di preliminare accertamento fenomenologico, alla dimensione
della filosofia» (Oberti 1962, 323-4). Sulla base di simili presupposti si
comprendono i giudizi formulati su quegli esponenti dell’estetica
fenomenologica che si sarebbero troppo soffermati sulla soggettività:
Geiger ha insistito troppo sui vissuti fruitivi, mentre Hartmann ha sostituito
due modalità del «Schauen» ai corrispondenti strati oggettuali,
trascendendo cosí l’«ambito di documentazione sensibile dell’opera»: «[…]
procedere per la via dello Hintergrund lasciando alle spalle il Vordergrund, che è poi l’ambito di documentazione sensibile dell’opera, significa abbandonare la zona di sicurezza della documentazione
fenomenologica in cui l’opera si realizza e dà prova di sé come complesso
di elementi sensibili. Spingere al di là in questa documentazione sensibile
la ricerca del senso dell’opera significa cercare l’opera dove essa non è:
fuori dei dati sensibili come infatti potremmo cercare di reperire l’opera?»
Oberti 1964, 407; anche W. Conrad viene tacciato di soggettivismo
(sebbene la Oberti apprezzi le sue indagini oggettuali), mentre il solo Mikel
Dufrenne avrebbe correttamente sottolineato la coazione dell’opera d’arte
nei confronti della percezione.
139
139
per un soggetto, sussistano i caratteri per cui l’opera
viene ad essere anche in sé, talché se l’opera è per il
soggetto si possa inversamente stabilire che anche il
soggetto è in un certo senso per l’opera.284
L’Oberti critica dunque la metafisica spiritualistica dell’arte e rifiuta quelle posizioni che privilegiano i momenti soggettivi dei fenomeni artistici; per
render conto dell’oggettività dell’arte bisogna invece
affidarsi esclusivamente alla concreta presenza delle
opere cosí come si danno coi loro colori, forme, suoni o
parole. A questo scopo ben si adatta l’analisi fenomenologica, anche se coloro che sino a quel momento si
erano impegnati nell’applicazione della fenomenologia
all’estetica avevano secondo l’Oberti indebitamente
trasceso il piano oggettivo di datità dell’opera d’arte,
arrivando a progettare l’autentico dell’opera fuori dall’opera stessa, al di là della sua concreta e sensibile
presenza. Conrad, Ingarden, Geiger, Hartmann,
Sartre (a cui si deve aggiungere Dufrenne, con cui
però l’Oberti per molti aspetti consente) avrebbero
infatti abbandonato il fertile suolo per un aggancio
metafisico a posteriori, peraltro da essi piú o meno
esplicitamente intravisto.285
284
Oberti 1962, 29-30.
Elisa Oberti ritiene che i citati esponenti dell’estetica fenomenologica fossero comunque animati da un’esigenza di ulteriorità
metafisica, intesa quale impulso all’autotrascendimento della datità
sensibile: «L’estetica fenomenologica che parrebbe volersi serrare in una
situazione di pura analisi del dato e anche in una assolutizzazione
immanentistica di esso, si apre piú decisamente di ogni altra forma di
estetica contemporanea non legata alla tradizionale teoria della metafisicità
dell’arte come fatto precostituito all’arte stessa, verso prospettive di
ulteriorità metafisica». Se per Hartmann, ad esempio, sono reali solo i dati
percettivi, in essi, tuttavia, «l’autentico si spegne per documentarsi come un
285
– segue –
140
140
Venendo ad esporre le modalità dell’integrazione
metafisica richiesta dall’arte, l’Oberti comincia col
precisare che non si tratta dell’aspirazione ad una
non ben definita «assolutezza dell’opera», estranea
alla sua datità (come se esistesse un’opera inautentica di contro ad una autentica), ma di un’indicazione
verso la «realtà e assoluto in quanto tali», quali garanti del senso di una determinata datità sensibile:
La datità sensibile non è solo involucro di un’essenza, ma è il concretarsi dell’essenza stessa dell’opera.
Il rilancio deve essere dunque a partire dall’opera,
senza che l’opera si proietti al di sopra di sé e fuori di
sé nell’ulteriorità metafisica. Il che vuol dire che l’opera indica la necessità di una metafisica, senza cimentarsi in proprio nei compiti che a una metafisica
competono.286
Solo intesa come rimando all’assoluto, ad un assoluto
qui solamente indicato e tutto ancora da scoprire ed
assaporare, l’apertura estetica all’universale può dunque rimaner tale, senza negare l’autonomia dell’arte.287 È la stessa realtà dell’opera, infatti, ad istituire
al di là». Secondo Sartre – altro autore preso qui in considerazione –
l’attività artistica è invece «annullamento […] dell’immaginario nei dati
percettivi in cui l’immagine si spegne ma non si esaurisce, facendo sí che
appunto lo spegnimento della datità sensibile e percettibile spinga verso
oggetti ulteriori, e irreali»; l’ulteriorità si presenta però qui come un
«indeterminabile nulla ulteriore» Oberti 1962, 294-8.
286
Oberti 1962, 341.
287
Esiste un rinvio tra arte e «metafisica in quanto tale», ma non fra arte
e «metafisica dell’arte»; precisazione che «serve a stabilire l’autonomia e
l’autosufficienza delle rispettive zone di attuazione. L’arte indica la necessità dell’ambito metafisico ma proprio come ambito ad essa ulteriore, e
dunque non assume in esso funzioni e responsabilità di primo piano, atte a
snaturare e sminuire la metafisica attraverso l’estetizzazione di essa, e a de– segue –
141
141
un essenziale rimando a qualcosa di altro rispetto al
piano della sua datità sensibile: il dato sensibile non
vale infatti per sé stesso ma assume un determinato
significato in quanto strutturato nella totalità di
un’opera d’arte; e questo significa che già a livello di
sensibilità si dà qualcosa di piú (la totalità dell’opera)
della sensibilità stessa, un elemento significante che
non attende però la propria esplicitazione in una dimensione concettuale, ma che richiede piuttosto
quella circolarità (sintesi) fra universale e particolare
che si dà pienamente solo nell’assoluto (e non certo
nell’astrazione concettuale scindente). E questo
perché i referti sensibili – o anche l’opera stessa –
sono realtà particolari che non valgono solo come
realtà particolari: sono particolari-universali, cioè
«universali concreti»; solo che l’indicazione conoscitiva
di cui sono latori non deve trapassare in nitore
concettuale, pur restando conoscitiva; ed è per questo,
lo ripetiamo, che una tale complessione sensibile indica secondo l’Oberti in direzione dell’assoluto.288
Solo un’adeguata ricognizione fenomenologica è
dunque la via da seguire per giungere ad una definizione dell’arte che non ne dissolva la consistenza nell’astrazione di uno spiritualismo dualistico o che,
d’altro canto, non ne dissolva il fondamento (comunque trascendente) nella necessaria antidogmaticità
del metodo: l’opera d’arte è veicolo di conoscenza e,
potenziare l’arte ridotta a strumento e quasi a pretesto di una metafisica depotenziata» Oberti 1962, 345.
288
Pertanto: «Nel rilancio l’opera deve restar se stessa, come del resto
è indicato dal fatto di essere l’opera un circolo solido tra la sua esteriorità e
la sua interiorità, tra la sua datità sensibile e il suo significato, tra
l’apparentemente fenomenico, e l’autentico» Oberti 1962, 344.
142
142
come tale, costituisce un’alternativa alla conoscenza
logico-concettuale, istituendo l’esigenza di ulteriorità
possibile.
Datità sensibile ed opera: la potentielle Offenbarung
di Ingarden
Fra gli autori della prima estetica fenomenologia, Ingarden è quello maggiormente apprezzato dall’Oberti in quanto avrebbe intravisto quella possibilità estetica di un orizzonte ulteriore, richiesta,
come si è visto, dal fenomeno arte.289 Il filosofo polacco
non avrebbe però adeguatamente riconosciuto secondo l’Oberti l’immanente significatività dello strato
sensibile dell’oggetto estetico e sarebbe per questo
giunto ad affermare un’inaccettabile eteronomia
dell’opera d’arte quale oggetto puro-intenzionale;
parlare di purezza intenzionale significa invece
perdere di vista la vera realtà dell’oggetto estetico,
289
Tale «apertura» – termine con cui l’Oberti talvolta rende la
Offenbarung di Ingarden – rinvia alla tipica modalità d’essere dell’oggetto
estetico, la «pura intenzionalità», che si esplicita nella caratteristica indeterminazione delle «schematizzazioni»: «Indeterminazione non implica in
questo caso negatività, dissoluzione dell’oggetto nell’insignificanza, anzi
sta ad indicare nell’oggetto stesso aperture non impedite e frustrate né da
empiriche precludenti determinazioni, né da congelamenti e assolutizzazioni d’ordine ideale». Apertura significa pertanto potenzialità della
struttura schematica dell’oggetto a rivelare i suoi piú autentici valori:
«L’apertura deve essere intesa come potenzialità. L’intenzionalità
dell’oggetto puramente intenzionale viene dunque a chiarirsi nel senso di
una apertura o disvelamento potenziale che spezza lo schema dell’oggetto
ideale e l’empiricità dell’oggetto reale e segna pertanto la vera e propria
nota distintiva nei loro confronti. L’oggetto intenzionale è dunque
disvelamento (Offenbarung) ma puramente potenziale». Oberti 1964, 4045; corsivi nostri.
143
143
significa recidere quel vitale legame che àncora l’intenzione soggettiva (che attribuisce il valore all’oggetto estetico) alla concretezza della percezione.
Non per questo l’estetica fenomenologica di
Ingarden è secondo l’Oberti priva di preziosi spunti;
sebbene il piano di datità sensibile venga indebitamente trasceso, Ingarden individua nell’opera un rimando all’ulteriorità inteso come apertura o disvelamento (estetico-metafisico) solamente potenziale che
risulta paragonabile alla dottrina dell’aggancio metafisico a posteriori proposta dall’Oberti nella sua
Estetica: il valore dell’opera non si può realizzare completamente in essa, ma trova nella propria determinata configurazione fenomenica (presenza evidenziata) una delle sue possibili concretizzazioni. Afferma
infatti Ingarden: «Die metaphysischen Qualitäten
können hier […] nicht realisiert werden […] sie werden
aber konkretisiert»;290 il valore dell’opera si dà inte290
Ingarden 1960a, 314. «Naturalmente le qualità metafisiche non possono essere qui realizzate […] esse vengono però concretizzate» Ingarden
1968a, 509. Commenta l’Oberti: «È appunto la nozione di potenzialità
quella che permette al suo pensiero di reggere piú a lungo la tensione verso
l’ulteriore senza spezzare i collegamenti con l’impianto fenomenologico
che si presenta come punto d’appoggio indispensabile per il rilancio […]
Infatti l’essere il disvelamento potenziale implica che esso non è in atto,
non si esaurisce cioè nel sensibile, è in potenza ad essere disvelamento, e
dunque il suo essere consiste tutto nella pura apertura, apertura tuttavia da
attuarsi in un al di là non ancora raggiunto e nel quale solo l’apertura stessa
può diventare attuale». Dunque il valore estetico (metafisico) si fonda nel
sensibile, ma è intenzionale: «L’opera letteraria tendenzialmente, come
aprirsi intenzionale di qualità metafisiche, sfugge alla base delle parole, ma
appunto perché la fuga è intenzionale vi permane e le valorizza. […]
L’attuazione delle possibilità metafisiche annullerebbe infatti la dimensione
della intenzionalità e […] l’attuazione tarperebbe lo slancio verso la
metafisica, per la empiricità che all’attuazione reale sarebbe intimamente
connessa» Oberti 1964, 409-10 e 424-5.
144
144
ramente nel concreto, anche se delle sue qualità si
può parlare analogicamente per concetti.
Per quanto riguarda la pars destruens, l’Oberti fa
innanzi tutto notare come la concretezza che bilancia
l’irrealtà intenzionale (la «purezza intenzionale» né
ideale né reale, cioè quello che Ingarden considera
l’orizzonte di realtà dell’opera d’arte) sia fondata su
un’interpretazione troppo fisicalistica del dato sensibile, che lo riduce a puro mezzo atto a render presente
una qualità che lo trascende. Questo spinge Ingarden
ad opporre in modo un po’ troppo forzato datità sensibile ad autenticità dell’opera, concretezza a realtà dell’oggetto,291 arrivando altresí a ontologizzare un’astrazione e ad attribuire all’opera un’eteronomia d’essere. In verità – ammette l’Oberti – il vizio di questa
posizione emerge esplicitamente negli scritti delle
Untersuchungen zur Ontologie der Kunst292, mentre rimaneva ancora latente in Das literarische Kunstwerk.293 Questo per due ordini di motivi, il primo dei
quali è abbastanza scontato: l’opera letteraria è, tra le
opere d’arte, quella meno compromessa con la datità
sensibile, talché l’abbandono del primo strato esteriore
(dove esteriore è detto in analogia con il Vordergrund
hartmanniano, parimenti criticato) per raggiungere
l’autentico dell’opera risulta di fatto meno perentorio.
Il secondo motivo è meno banale ed appare denso di
implicazioni per l’estetica; conviene dunque esporlo
meno fugacemente; con esso veniamo tra l’altro anche
alla pars construens di questa critica all’estetica di
Ingarden.
291
292
293
Oberti 1964, 414-22 e Oberti 1962, 38.
Ingarden 1962.
Ingarden 1931.
145
145
Come si è già anticipato, lo strato sensibile dell’opera d’arte è caratterizzato secondo Ingarden da
una potentielle Offenbarung delle qualità metafisiche:
al fine di garantire l’intenzionalità del valore ed evitare di ridurlo ad evento empirico o a vuota idealità,
Ingarden rinvia l’attualizzazione delle qualità estetico-metafisiche ad un ambito esterno all’oggetto,
estraneo cioè alla sua fruizione, o, come egli dice, alla
sua «concretizzazione». Ora, secondo l’Oberti questa
proiezione non dovrebbe comportare di principio un
abbandono del concreto,294 poiché che il disvelamento
sia solamente potenziale non implica il rinvio ad una
nuova oggettività di valore separata dal suo fondamento concreto; disvelamento potenziale significa
semplicemente che lo stesso materiale percettivo, in
quanto orchestrato in un certo modo (il bello), riesce
ad offrire anche un nuovo significato dell’oggettività
già presente:
Ciò che interessa nell’opera artistica è il fatto di celare un contenuto che trascende o trasforma in nuovi
significati la stessa datità sensibile nella quale l’opera si manifesta: l’essere nel sensibile e il trascendere in un certo modo il sensibile stesso. Ma è un
vero trascendere o piuttosto un trasformare, un
trasformare dall’interno, s’intende?295
È dunque la bellezza sensibile, senza altri riferimenti
estranei alla datità dell’opera, ad orientare gli oggetti
294
«Se il sensibile ha implicito il suo valore (sia pure in forma non assoluta
perché, sempre in quanto potenziale nell’opera, uno slancio interiore sollecita il disvelamento ad attuarsi non in altro ma per sé) il sensibile stesso
ne risulta potenziato ed illuminato» Oberti 1964, 411.
295
Oberti 1964, 410; sottolineature mie.
296
Oberti 1964, 410; sottolineature mie.
146
146
estetici verso il vero, a portare alla luce, nell’immagine sensibile, un’anticipazione dell’Assoluto, cioè di
quella sintesi fra universale e particolare non viziata
dalla strutturale perdita di realtà dovuta all’astrazione. Ed è proprio questa luce immanente (bellezza) che
evidenzia il significato all’interno della realtà sensibile che Ingarden non riesce a cogliere a motivo della
sua interpretazione naturalistica del dato sensibile.
Non resta allora all’Oberti che sottolineare
quella preziosa intuizione presente in Das literarische
Kunstwerk secondo cui l’«essere» della dimensione
ulteriore dell’opera d’arte letteraria consiste «tutto
nella pura apertura» («se pure in forma implicita»)297,
talché «l’opera in sé sussiste anche se il suo piú
profondo valore viene proiettato al di là di essa»; il
rimando metafisico non dovrebbe però destituire la
realtà sensibile dell’opera, visto che è istituito proprio
da un nuovo tipo di concetto, un concetto sensitivo
(potenziale):
La presenza è un quid di piú originario e di piú ampio della datità sensibile, e anche della organizzazione percettiva. La presenza è l’oggetto nella sua
concreta datità che non esclude dimensioni di universalità concettuale, anche se tali dimensioni restano latenti nell’oggetto e solo lo rischiarano dall’interno.298
Presenza evidenziata significa dunque, come si è visto, che «il tutto dell’opera è implicito nella datità sen-
297
Oberti 1964, 410. «Il valore dell’opera è tutto, se pure in forma
implicita, intrinseco alla concretezza dell’opera stessa» Oberti 1964, 424.
298
Oberti 1968, 3.
147
147
sibile nella quale in concreto essa consiste».299
Chi voglia sviluppare un’estetica dovrà pertanto
attenersi scrupolosamente ai dati, senza trascenderli
(quand’anche lo facesse solo per dar fondamento a
tutto il discorso): lo strato sensibile dell’oggetto
estetico «in funzione della sua dimensione in opera, e
cioè del gioco di prospettive, di rapporti, di implicanze
per cui nell’opera si concreta» produce una sorta di
illuminazione interna che costituisce un piano autonomo di significati sensitivi che l’Oberti denomina
presenza sensibile evidenziata:300
Evidenziare la presenza […] significa far parlare,
rendere espressiva la presenza stessa e quindi, senza
alterarne le linee di contorno e di sostegno, immergere la presenza in una atmosfera che dall’interno la
illumina trasformandola. […] ecco perché, in arte, si
deve attribuire tanta importanza al fatto sensibile:
proprio perché in esso si concreta l’istanza conoscitiva che abbiamo detto essere il fattore principale nel
compito di definire la peculiarità dell’arte stessa.
Non si deve perciò intendere che l’elemento sensibile
vada definito come il mezzo in cui si concreta l’idea.
Anzi esso con l’idea, l’idea artistica, beninteso, fa una
cosa sola.301
L’apertura metafisica dell’opera d’arte è dunque istituita dalla possibilità conoscitiva aperta dall’evidenziazione della presenza sensibile dell’oggetto; ed è
un’apertura alla metafisica stessa e non ad un’intermedia metafisica dell’arte.
299
300
301
Oberti 1968, 46.
Oberti 1964, 423.
Oberti 1962, 80-82.
148
148
Si può a questo punto esplicitare ancora piú
chiaramente il ruolo che secondo l’Oberti bisogna
riservare negli studi d’estetica alla fenomenologia, la
quale offre un metodo di indagine che preserva da
prese di posizioni dogmatiche o aprioriche e consente
invece di evidenziare adeguatamente l’indicazione
intelligibile rilevabile sullo strato materico dell’opera
d’arte:
Non solo la fenomenologia ci ha fornito i lineamenti
generali eppure precisi nella loro sommarietà, dell’oggetto estetico, ma anche ne ha messo in luce uno
abbastanza particolarmente significativo dal quale
parimenti non possiamo prescindere: la significanza
dell’essere sensibile dell’opera. Vale a dire che abbiamo stabilito che l’opera è nella sua datità sensibile, ma anche che l’elemento sensibile è in se stesso
significante.302
Solo l’atteggiamento fenomenologico consente dunque
di attestare la specifica conoscitività dell’opera d’arte,
il suo tendere all’universale a partire dalla concretezza del particolare, o meglio da quella evidenziazione della presenza303 per effetto della quale
assistiamo a una diversa disposizione e a una
diversa risplendenza delle stesse strutture denuncianti l’elemento della presenza dell’opera, e fissate
nella sensibilizzazione, e quindi a un riproporsi
302
Oberti 1962, 320.
Presenza è l’«oggetto nella sua concreta datità che non esclude
dimensioni di universalità concettuale, anche se tali dimensioni restano latenti nell’oggetto e solo lo rischiarano dall’interno». Presenza per una
coscienza – prosegue l’Oberti – è già presenza «con significato»; infatti «la
sintesi non è privilegio dell’universale, e nemmeno della percezione:
presenza sensibile è già presenza in unità» Oberti 1968, 1 e 11.
303
149
149
dell’opera stessa dall’interno di sé con un in piú
capace di non intaccarne le strutture ma di conferire
ad esse nuove dimensioni di significato. […] Il dato
evidenziato non è il dato nella sua immediatezza, che
può essere talvolta vera e propria opacità, ma il dato
che pur senza uscire da sé si trasforma dall’interno e
si trasforma per cosí dire su se stesso senza tradirsi
o trasformarsi in altro, anzi rivelandosi nella stessa
sua piú autentica struttura di dato, di dato nell’opera, s’intende.304
I segni estetici – prosegue l’Oberti –, a differenza
dei concetti, «ex-pongono» una totalità nell’immagine
sensibile e veicolano pertanto una conoscitività addirittura superiore a quella essenzialistica, in quanto
raggiunge quella
totalità che l’universale, almeno per come esso si
realizza nell’umanità attraverso i concetti, non può
esaurire, dovendo poggiare sull’astrazione scindente
o separante che essa sia.305
304
Oberti 1962, 313-4.
Oberti 1962, 328. Può essere utile ricordare i nodi problematici che
l’Oberti sta cercando di sciogliere in queste pagine. Una prima difficoltà si
incontra nell’assicurare l’esigenza di ulteriorità emersa dalla ricognizione
fenomenologica: «Pur senza togliere la legittimità dell’esigenza verso l’universalità del concetto, sola possibilità per raggiungere le essenze, l’opera
d’arte si può salvare dalla necessità di rinunciare al suo peculiare modo di
porsi per tradursi e annullarsi nell’altro della conoscenza logicoconcettuale» Oberti 1962, 326. V’è una conoscenza estetica che non astrae
gli universali dai particolari, bensí coglie nella presenza sensibile
un’immagine dell’universalità del concetto. Quello che, secondo una
prospettiva intellettualistica, potrebbe sembrare un limite della conoscenza
estetica si profila invece come un suo autentico valore: l’arte consiste
nell’«ex-posizione» del «precario» (che è mera indicazione di ulteriorità) in
quanto precario. E cosí, se l’arida conoscenza astrattiva, in realtà, non può
esaurire la totalità, la conoscenza estetica può persino esser considerata
305
– segue –
150
150
L’autonomia dell’estetico è cosí affermata in
modo radicale, anche se questo non porta l’Oberti a
preferire una metafisica estetica alla metafisica in
quanto tale (ed anzi una metafisica estetizzante quale
quella heideggeriana viene esplicitamente deprecata),
in quanto il rinvio all’assoluto (dovuto alla tendenza
all’universale della conoscitività estetica) presente
nell’opera d’arte non è per nulla costitutivo dell’assoluto stesso. Quanto alla trascendenza, l’estetica resta
infatti solo uno dei possibili luoghi in cui se ne intravede la necessità.
Concetto sensibile e ulteriorità: l’universale senza interpretazione
Un ultimo punto resta però da esplicitare, per
meglio chiarire il rapporto di svelamento solo potenziale che l’Oberti stabilisce fra la datità sensibile –
che costituisce come s’è visto il riferimento base della
superiore, in quanto, sia pur nell’immagine sensibile, attinge ad una
totalità. Tale soluzione non è però cosí lineare e la ricognizione
dell’Oberti segue in tutti i loro rivoli le possibili obiezioni che si
potrebbero presentare a questo riguardo; l’universale, infatti, non viene
propriamente raggiunto dalla conoscenza estetica, rimanendo, in sostanza,
una mera esigenza: «il rilancio, determinato sotto la spinta di un’esigenza
conoscitiva, e per vero allo scopo di una piú ampia e sicura esplicitazione
dell’universale stesso, cade anziché in una zona conoscitiva nella zona
stessa della realtà». Qui, senza luce intellettuale, i significati rimangono del
tutto oscuri: «L’universale implicito nella translucida documentazione per
immagini sensibili evidenziate nell’opera, urge ad una esplicitazione che
tenga soprattutto conto della concretezza e non potendo, a tale scopo, bastare il rilancio verso l’universale riflesso, si impone quello verso la realtà
dove l’universale è nella concretezza del particolare. Ma la realtà non interpreta se stessa, non è forma di conoscenza e dunque in questo rilancio se si
salva l’esigenza di concretezza non si salva l’esigenza di esplicitazione»
Oberti 1962, 333-4. Quest’ultima viene pertanto piú propriamente
indentificata in un’esigenza verso l’ulteriorità metafisica.
151
151
sua ricognizione fenomenologica – e l’orizzonte della
conoscenza concettuale entro il quale, del resto, si dispiega una piú adeguata comprensione dell’assoluto
(verso cui l’arte si limita ad indicare). Ricapitoliamo a
questo scopo quanto è emerso dal confronto con
Ingarden e dall’esposizione dei lineamenti dell’estetica obertiana.
Constatando che secondo il filosofo polacco l’attualizzazione delle qualità estetico-metafisiche tenute
pronte nell’opera d’arte letteraria richiede inevitabilmente un’intenzione soggettiva e che una tale dipendenza del valore estetico dall’atto coscienziale rende
l’oggetto estetico eteronomo, Elisa Oberti ha voluto
proporre una nozione di oggettività estetica il cui essenziale rilancio metafisico non rinvii ad entità estranee alla sua presenza sensibile e non si appoggi esclusivamente sull’intenzionalità coscienziale. Il sensibile
esaurisce infatti la presenzialità dell’opera ed il rinvio
metafisico è attestato, semplicemente, da un’«apertura» tutta immanente a quella datità empirica: una
certa evidenziazione della presenza, una particolare
orchestrazione di materia, operano una «trasformazione dall’interno» che istituisce «nuovi significati» e che
indica perciò in direzione dell’universale.306 Quest’ultimo però resta in questo caso un «universale concreto»,
cioè profondamente radicato nella realtà individuale,
della quale mantiene tutta la pienezza, senza
impoverirla con l’astrazione: è la mera presenza
dell’oggetto estetico ad esser latrice di conoscenza, ovvero di un’esigenza d’ulteriorità metafisica (la quale
306
«L’esigenza verso l’ulteriore è in ragione dell’essere ogni forma di
conoscenza calamitata verso quella suprema dimensione che è la
conoscenza per universali» Oberti 1962, 328.
152
152
dall’arte può però essere solo evocata, non compresa);
l’arte, dunque, dice di un’esigenza d’assoluto, ne prepara il disvelamento allo stato potenziale307: «l’arte è
nella sua totalità un assoluto implicito, che rimanda
alla esplicitazione»308. E questo poiché nell’arte quella
tensione all’universale conoscitivo che essa stessa
istituisce non può trovar appagamento su quel piano,
appunto, conoscitivo. Ma proprio qui sta la sua
essenza, in quanto l’arte rappresenta proprio questa
condizione di precarietà della condizione umana, ovvero l’impossibilità di una conoscenza universale
totale:
L’opera di fatto riscatta l’insoddisfazione della sua
impossibilità a tradursi sul piano concettuale logico,
per fare di questa insoddisfazione un tema della sua
espressività, della sua funzione evidenziante. L’insoddisfazione, che implicherebbe una sortita da sé
per fluire verso l’altro termine nei cui confronti, in
quanto irraggiunto, l’insoddisfazione ha appunto motivo di affermarsi, è riscattata nel piano dell’arte in
quanto diventa tema espressivo di una fondamentale
struttura dell’opera: la precarietà.
Se l’arte esprime, ma attraverso il circolo che
istituisce all’interno della sensibilità, la precarietà
stessa della condizione umana, l’estetica, che dell’arte
offre la spiegazione teoretica, non è piú formulabile
per semplice deduzione a partire da un sistema filosofico precostituito, e si attesta invece come esplicitazione di un sapere legato esclusivamente alle ra307
Oberti 1962, in realtà, non parla di potenzialità del disvelamento;
tale categoria è introdotta in Oberti 1964, ove l’autore commenta Ingarden,
utilizzando la sua strumentazione teorica.
308
Oberti 1962, 329.
153
153
gioni della sensibilità, non piú ridotta però a mero
supporto esteriore. Una sensibilità che piú si addice,
pare di capire, alla modalità secondo cui l’uomo si
rappresenta la totalità. E inoltre, se l’arte possiede
questa sua sfera autonoma di significati, questi non si
appoggiano per nulla all’ulteriorità concettualmente
concepibile, che risulta completamente estranea alla
dimensione dell’opera:
L’opera esiste con una esigenza interna di ulteriorità, ma in ogni caso tale ulteriorità non è indispensabile all’esistenza dell’opera.
Ora, il fatto che l’opera esista autonomamente
rispetto all’ulteriorità verso cui indica e potenzialmente rivela, non significa però, come si è anticipato,
che anch’essa non rinvii ad un proprio fondamento
ontologico:
L’opera esiste ed ha in sé una sua autonomia ed una
autosufficienza […] Autosufficienza ed autonomia
dell’opera in quanto opera, che si radicano tuttavia
in una piú complessa realtà umana nei cui confronti
soltanto l’interna esigenza all’ulteriorità diventa fondamentale.309
L’opera d’arte possiede dunque un proprio statuto ontico (potenza, assoluto implicito; sensibile, ma sensibile evidenziato) che è indipendente da ogni costituzione di senso soggettiva e che non va disconosciuto;
eppure, la sua autonomia ontica rinvia comunque ad
un fondamento che trascende la sua sfera di sensibilità «evidenziata». L’opera, in altri termini, accende
un’esigenza d’ulteriorità che non può però trovare
309
Oberti 1962, 338.
154
154
appagamento nella totalità sensibile di cui essa stessa
consiste, e la sua indicazione, pertanto, non può
essere che quella di una radicale precarietà tipica
della condizione umana (una precarietà, però, che richiede un fondamento):
L’opera supera l’isolazionismo estetico, estetizzante
se si vuole, che le permetterebbe di chiudersi e di
bearsi nella sua autosufficienza, per la dimensione
conoscitiva. La dimensione conoscitiva fa essere l’opera d’arte e la dimensione artistica in generale, documento di umanità. E appunto sul piano dell’umanità in generale diventa efficiente la esigenza all’ulteriorità, mediata attraverso l’esigenza verso la piena esplicazione dell’universale.310
L’universale cosí come evocato dall’arte è pertanto piú una vocazione che una realtà e dice
piuttosto dell’impossibilità della conoscenza umana di
raggiungere quella condizione a cui la conoscitività
estetica evidentemente tende: l’identità di particolare
e universale, di realtà e mediazione conoscitiva.
L’estetico, infatti, è un significato che si dà solo nei
rapporti interni alla materia che lo veicola, ed accende
perciò una tensione verso un universale che pretende
di esser tale, ma «senza interpretazione», lasciando
cioè che la propria disvelatezza resti muta, mera
potenzialità nella realtà.311 Una realtà però –
310
Oberti 1962, 339.
«L’universale implicito nella traslucida documentazione per
immagini sensibili evidenziate nell’opera, urge ad una esplicitazione che
tenga soprattutto conto della concretezza e non potendo, a tale scopo,
bastare il rilancio verso l’universale riflesso, si impone quello verso la
realtà dove l’universale è nella concretezza del particolare. Ma la realtà
non interpreta sé stessa, non è forma di conoscenza e dunque in questo
311
– segue –
155
155
potremmo dire con espressione husserliana – che si
presenta in «carne ed ossa».
rilancio se si salva l’esigenza di concretezza non si salva l’esigenza di
esplicitazione, o almeno non si salva sul piano conoscitivo. L’universale si
esplica nella realtà, senza l’interpretazione di tale esplicazione tuttavia»
Oberti 1962, 333-4.
156
156
Arte, estetica e possibilità secondo
Virgilio Melchiorre
Nel contesto delle indagini legate al metodo fenomenologico che abbiamo sin qui seguito è stato piú
volte evidenziato il rilievo che può rivestire per il
pensiero estetico la nozione filosofica di possibilità;
ricerche sistematiche, come si è visto, sono state
svolte al riguardo da Nicolai Hartmann, sulla cui scia
Dino Formaggio si è voluto inserire, proponendone
tuttavia unintegrazione nella direzione della
fenomenologia costitutiva. Anche Ingarden ha parlato
di una rivelazione potenziale delle qualità metafisiche
inerente all’opera d’arte e a queste rifessioni si è
collegata Elisa Oberti per sviluppare la sua teoria
dell'aggancio metafisico a posteriori, capace di
mettere in relazione con lAssoluto.
Il tema del rapporto tra arte e possibilità sembra
dunque essere un punto teoretico di grande interesse
per la fondazione fenomenologica dellestetica. Non
sarà dunque inutile a questo punto soffermarsi su
alcuni saggi di Virgilio Melchiorre in cui, sulla base di
una ricognizione fenomenologica e con esplicito
riferimento al manoscritto A VI 1, la nozione di
possibilità viene ad essere il luogo teoretico a partire
da cui viene messo in luce lintrinseco portato esteticoassiologico del concetto di arte. La ʺfortuna italianaʺ
dellestetica fenomenologica riceve così ulteriori
conferme e importanti germi di sviluppo.
157
157
Duplicità dell’arte: possibilità e immaginazione
Nel volume Eticità dell’arte e senso dell’essere312
la tematica estetologica del possibile viene esaminata
da Virgilio Melchiorre con diversi riferimenti husserliani che interessano da vicino anche la nostra ricognizione sulla ricezione dell’estetica fenomenologica. Si tratta di un’indagine di carattere storico e teoretico in cui si mette in luce l’apertura veritativa dell’estetico, dalla quale viene dedotta una intrinseca eticità dell’arte. Se per i suoi esiti ultimativi (fondanti)
anche la posizione di Melchiorre si stacca da quella
dei fenomenologi piú sopra incontrati, l’apertura a
nuovi significati, a progetti di autenticità, che muove
dalla sporgenza della possibilizzazione estetica, sembra poggiare su un comune referente fenomenologico:
il rinvio alla struttura intenzionale e storica della coscienza incarnata.313
Melchiorre comincia con l’interrogarsi sulle
condizioni che fondano il referto fenomenologico dell’universalità dell’arte. La riflessione sulle arti, egli
esordisce, è stata sempre minacciata da un’essenziale
duplicità, già presente ad esempio nel divieto platonico che bandiva il mondo delle arti dall’universo
ideale e veritativo ma che nascondeva anche la sof-
312
Melchiorre 1986b.
In Essere e parola Melchiorre afferma che «l’uomo è strutturato in
una identità essenziale che non è una mera identità d’essere, ma un’identità
aperta nell’essere e per l’essere. […] L’equazione fra identità essenziale ed
apertura o richiesta d’essere […] va cercata nell’area della coscienza […]
nella coscienza e nel divenire della coscienza: la coscienza appunto come
apertura e come richiesta» Melchiorre 1984, 85; aperta è sottolineatura
nostra). Identità storica equivale dunque ad essenza, purché non la si
intenda aristotelicamente quale essere di ciò che era; Melchiorre 1984, 83.
313
158
158
ferta consapevolezza di un incantamento;314 sin dai
tempi piú antichi, dunque, il poeta è stato collocato su
una terra di mezzo, in una «vicinanza e insieme
pericolosa distanza dagli dei». Ora, tale ambiguità
dell’arte, tale potenza di corruzione, è certamente da
collegare al fatto che l’arte non sta sul piano dell’essere, bensí su quello del «poter essere»: essa viene
infatti condannata «perché tiene a distanza dalla
verità e la distanza nasce dal fatto che l’arte non vive
sul piano del reale, ma sul piano dell’immaginario. 315
Ma, secondo Melchiorre, se il poeta può correttamente
essere collocato lontano dall’essere effettivo, discutibile è invece la conseguente lontananza dalla verità, soprattutto se fondata sul rovesciamento nella dimensione del possibile; si può infatti reperire un possibile
la cui «seduzione»316 non significhi tanto degradazione
e corruzione, quanto piuttosto analogia d’essere o
partecipazione ontologica.
Già il pronunciamento aristotelico sull’essenza
dell’arte liberava infatti l’imitazione dalla mistificazione a cui l’aveva collegata Platone e la istituiva
come «manifestazione del possibile» – possibile essenziale –317, proiettando l’arte verso «un piano della
314
Melchiorre 1986a, 48; 1986b, 7-13.
Melchiorre 1986a, 49. «È il carattere immaginario dell’arte che
viene contestato. Ma si può parlare di una negatività dell’immaginario
come tale? È l’immaginario come possibilità che viene rifiutato»
Melchiorre 1986b, 14. La riflessione platonica – prosegue Melchiorre –
cela dunque l’identificazione di «immagine» e «possibilità», equazione che
emergerà piú chiaramente in Aristotele.
316
«La forza della seduzione sta, in fondo, proprio nella dissimulazione
che riesce a splendere, che enfatizza un frammento di verità mentre sa rimuovere l’ampiezza della contraddizione» Melchiorre 1986a, 61.
317
Melchiorre 1986a, 49. «Il verosimile esprime, infatti, una conformità verso l’essenza: costituisce in definitiva, una determinazione piú o
315
– segue –
159
159
possibilità che ricomprende l’accadibile, che vi si
fonda, ma ad un tempo lo trascende»; un possibile, in
altri termini, che istituisce una relazione di verità.318
Tuttavia, l’identificazione di mimesis, cioè immaginazione, e possibilizzazione non sarebbe stata interrogata da Aristotele nel suo nesso costitutivo, non essendo ancora stata esplicitata la vera e propria condizione di possibilità dello spostamento dal reale all’accadibile. La tensione all’universale dell’immaginazione poetica comporta infatti l’apertura anche alle
nuove possibilità di una stessa forma, e ciò conduce
decisamente oltre la definizione aristotelica di essenza
come mero essere di ciò che era.
Al fine di precisare la modalità e il fondamento
di quest’atto cognitivo intenzionato (esteticamente) al
novum dell’essenza,319 nel saggio Il possibile nell’arte320 Melchiorre opera una serie di excursus fenomenologici (in cui compare anche un esplicito riferimento al manoscritto A VI 1 di Edmund Husserl),
meno esemplare […] dell’universalità che essenzialmente lo costituisce»
Melchiorre 1986a, 55. «La verisimiglianza può essere considerata come
l’immagine, come la simiglianza della necessità, cioè di quanto non è
suscettibile di contraddizione, del vero. Ma tale è ultimamente solo
l’universale» Melchiorre 1986b, 15. Del resto, anche il «credibile» sottende
la relazione con l’universale: «[…] il possibile di cui si parla è quello che è
svelato nella luce dell’universale, non nel senso della mera accadibilità.
Questo possibile costituisce appunto l’intellegibilità, la credibilità
dell’evento poetico» Melchiorre 1986b, 17.
318
Melchiorre 1986b, 15. «Il poeta dunque non è interessato all’universale come tale, ma alla relazione con l’universale» Melchiorre 1986b, 16.
319
Limite della posizione aristotelica è secondo Melchiorre l’aver
posto la questione «a partire dai vertici dell’opera poetica e per differenza
dalla filosofia e dalla storia», anziché «dalle modalità piú elementari e
radicali dell’espressione estetica» Melchiorre 1986b, 14.
320
Melchiorre 1986b, 7-56.
160
160
visto che solo una riconsiderazione fenomenologica del
rapporto arte-possibilità consente infatti secondo
Melchiorre di «enucleare il fenomeno estetico nella sua
elementarità piú generale».321
Sappiamo, egli argomenta, che secondo Husserl
l’immaginazione libera la percezione dall’asservimento al percepito presente (o passato), alla realtà «in
persona (als selbst gegeben)»322, aprendo lo spazio per
l’assente, spazio che, tuttavia, rimane tutto interno
all’attività presentificante della coscienza. L’immaginazione, infatti, non è originariamente offerente, ed il
suo intentum non è di per sé comunicabile se non
viene tradotto in parole, suoni, figure, cioè in oggettività materiali, il cui valore risiede solo in ciò a
cui rinviano: «l’espressione estetica è solo un medio
comunicativo – andando a fondo si dovrebbe dire un
analogon – di qualcosa che è in realtà solo immaginata: che è assente, che soltanto può essere».323 Ora, –
si chiede Melchiorre – se solo nella «percepibilità
dell’evento estetico si fa […] presente il senso intenzionale di ciò che chiamiamo estetico», che rapporto si
stabilisce fra percezione e immagine o, piú precisamente, fra sintesi percettiva e coscienza di immagine?
E, ancora, che statuto possiede questo «assente»?324
321
Melchiorre 1986b, 20.
Cfr. Husserl 1981a, 78.
323
Melchiorre 1986b, 21.
324
«All’assente […] può corrispondere ciò che non è altrove e che
nemmeno è stato: una pura possibilità che non corrisponde a qualcosa di
adeguatamente percepito o di percepibile, anche se il disegno di questa
possibilità può pur sempre costituirsi solo partendo da depositi di
esperienze o di percezioni passate» Melchiorre 1986a, 14-15. Questo novum, in altri termini, «viene, sí, costituito sulla base di esperienze e di dati
322
– segue –
161
161
L’immagine non è mero residuo ritentivo di un
percepito oggettivo e neppure può secondo Melchiorre
essere intesa come un nulla d’essere nel senso sartriano. Il concreto referente percettivo su cui si basa
la possibilizzazione fantastica svolge infatti una funzione propriamente simbolica325: direziona sí la coscienza verso un nuovo orizzonte derealizzato (modificato) e non direttamente verificabile, ma questo orizzonte intenzionale è comunque latore di autentiche
possibilità umane, cioè di un «possibile con-essere
dell’uomo e del mondo».326 Le fantasie veicolate dall’oggetto artistico,327 in altri termini, non sono delle
libere associazioni cointenzionate parallelamente all’oggetto percepito, ma fanno capo ad intenzioni coscienziali che svelano un vero e proprio «novum», un
orizzonte di possibilità essenziali in cui l’uomo potrà
realizzare un diverso rapporto o una diversa adesione
all’essere. L’«analogon» immaginifico – se ne può
dunque concludere – senza abbandonare la propria radice corporea percettiva (e prospettica), investe
(scopre, rivela) nuove dimensioni dell’essere e, soprattutto, dice di un’analogia fra l’uomo e la natura.
trascorsi o collaterali», ma, nella sua totalità «ancora non è dato
all’esistenza» Melchiorre 1986b, 24.
325
Sul tema dell’immaginazione simbolica si veda Melchiorre 1972.
326
Melchiorre 1986b, 25.
327
Melchiorre 1986a, 50. Melchiorre distingue, comunque, l’estetico
dall’artistico: «L’espressione estetica può indicare il futuro della
percezione che ripeterà il già stato o che esplorerà il molteplice del
presente o, ancora, che costituirà nuove varianti nell’ordine dell’esistente.
L’espressione propriamente artistica si rivolge invece a quel possibile
novum che la sorgente dell’essenza può ancora dischiudere» Melchiorre
1986b, 25.
162
162
Piacere e perfezione ontologica
Lo stretto rapporto vigente fra arte e possibilità
introduce, come si è visto, ad una nuova modalità di
manifestazione delle essenze, aperta anche ad una
novità esistenziale, peraltro garantita nell’intimo coerire dell’essere e quindi da un’originaria compartecipazione fra uomo e natura. Quest’ultima costituisce
secondo Melchiorre la condizione ultima dell’immaginazione estetica, il fondamento della capacità
espressiva dell’analogon percettivo.
Il tema viene introdotto attraverso un altro
solido referente storico, la celebre definizione tomistica del bello:
[…] Pulchra dicuntur quae visa placent. Unde pulchrum in debita proportione consistit: quia sensus
ratio qaedam est, et omnis virtus cognoscitiva. Et
quia cognitio fit per assimilationem, similitudo autem respicit formam […].328
Due sono le glosse qui proposte da Melchiorre. In
primo luogo egli nota come, rispetto alla coeva riflessione estetologica, Tommaso abbia spostato il discorso
su un piano antropologico: il proprium della contemplazione estetica viene identificato nella dimensione
del piacere, non piú inteso, semplicemente, «come segno di riconoscibilità per un dato o per un valore squisitamente oggettivo», bensí elevato a «movimento intenzionale», ad una precisa «direzione conoscitiva»329.
Anche i sensi hanno infatti una «ratio», ed il piacere
328
Thomas Aquinas 1980, 191. Non meno efficace è la seguente
variante: «Pulchrum in debita proportione consistit: quia sensus delectatur
in rebus debite proportionatis» ivi.
329
Melchiorre 1986b, 26.
163
163
può a buon diritto divenire fondamento della relazione
estetica:
[…] Lo sguardo che si volge alla bellezza coglie un ordine che è nelle cose, ma quest’ordine gli appare solo
quando comporta un piacere della visione, quando
cioè coinvolge una partecipazione del soggetto […].
In secondo luogo – e si passa cosí al piano fondativo – il rapporto rimanda ad una comunanza, ad una
«convenienza» tra uomo e natura «ove non v’è piú
senso nel separare il destino delle cose da quello dell’uomo»:
L’uomo si riconosce, cosí, in sibi similibus e avverte
che l’ordine e lo splendore della cosa dicono ad un
tempo di un suo possibile ordine, della sua
possibilità di esistere in una corrispondenza ontologica.330
Grazie a questo riferimento tomistico, Melchiorre
ha cosí guadagnato quel riferimento fondante che giudicava necessario per render conto della mimesi artistica. Ma anche secondo Husserl, possiamo notare a
margine, il piacere funge da scintilla che fa scattare
330
Melchiorre 1986a, 51. «L’essere proporzionato della cosa è, ad un
tempo, rivelativo dell’umana proporzione» Melchiorre 1986b, 27.
Melchiorre sottolinea l’interna consequenzialità dell’«unde» nell’asserto
tomistico citato; il simile conosce il simile, e l’estetica proportio non è solo
ex parte objecti: «La definizione della bellezza come proporzione discende
dal piacere della visione. Dunque non si tratta di una proportio che sta solo
nella cosa, ma di una reciprocità proporzionale fra uomo e cosa: nel piacere
l’uomo esperisce la propria convenienza, il proprio coerire col mondo
[…]». Tale reciprocità è, in sostanza, una «Condizione analogica,
un’identità che pur riposa nella differenza tra l’uomo e l’altro dall’uomo»,
identità nella relazione che secondo Melchiorre costituisce la «condizione
ontologica del conoscere» Melchiorre 1986b, 26.
164
164
l’intenzionamento estetico, che pone tra parentesi il
mondo correlato dell’atteggiamento naturale, aprendo
l’orizzonte eidetico delle possibilità; parimenti in Tommaso – secondo l’interpretazione di Melchiorre che
stiamo seguendo – il piacere estetico rinvia ad un’imprescindibile relazionalità soggettiva, qualificandosi
come un vissuto che apre alla consapevolezza della
propria consonanza con l’universo.
Estetica e metafisica: la possibilità come simbolo dell’identico
Il possibile estetico si manifesta dunque come un
possibile specificamente «umano»: nell’opera d’arte
l’uomo esperisce la propria convenienza al mondo, al
di là di ogni aporetico dualismo.331 È in questo contesto che si colloca il rimando di Melchiorre al ms A
VI 1 di Husserl, che viene utilizzato per documentare
ulteriormente quel nesso fra percezione ed immagine
tale per cui la percezione neutralizzata comunica
l’immaginato non in forza di un rapporto estrinseco,
bensí in forza di una «parentela ontologica».332
Melchiorre fa leva soprattutto sul secondo blocco
di fogli del manoscritto333 in cui Husserl prende in
331
«Nei termini che ci sono propri, potremmo dunque dire, che l’immagine estetica della cosa, disvela la possibilità della cosa come, ad un
tempo, possibilità dell’uomo» Melchiorre 1986b 30.
332
Melchiorre 1986b, 24.
333
Husserl ms A VI 1, in Zecchi 1972a, 92-5, Per quanto riguarda la
prima sezione del manoscritto, Melchiorre sottolinea come la possibilizzazione relativa all’espressione estetica (fondata sulla neutralizzazione della
percezione) non possa essere ridotta a mera non contraddittorietà: essa dice
nel senso piú profondo una «relazione di verità», di una visione d’essenza.
La vicinanza aristotelica della filosofia alla poesia equivale dunque
all’intima affinità «tra la visione estetica e quella filosofica», visioni acco– segue –
165
165
considerazione la dottrina dell’Einfühlung estetica,
ricondotta fondamentalmente ad un «sentirsi uno», ad
un convenire e partecipare con l’oggetto; ora, argomenta Melchiorre, parlare in questi termini
dell’«immedesimazione estetica» significa fare un
passo nella ricognizione sull’analogia al di là all’empasse aristotelica, fondando, come in Tommaso, la
comunicazione estetica sulla consustanzialità dell’uomo con l’essere del mondo.334 Si ripresenta qui,
cioè, quella relazione estetica riscontrata nell’Aquinate, secondo cui la proportio dell’oggetto suscita un
piacere che rinvia a sua volta ad un’analogia d’essere
col fondamento, inteso come totalità di relazioni.335
Il risultato che si può dedurre dagli excursus di
Melchiorre (che chiamano successivamente in causa
anche Kant, Kierkegaard, Croce) è dunque che l’espressione estetica risulta capace di evocare quell’intenzionalità analogica dell’essere che segna, piú in
generale, ogni atto coscienziale umano:
il carattere processuale della coscienza non potrebbe
spiegarsi senza il presupposto di un originario riferimento alla pura positività dell’essere. La coscienza è
sempre coscienza in prospettiva, ma riflessivamente
anche sempre coscienza di prospettiva: coscienza
d’essere nel limite e quindi della negatività. Ma la
munate dalla ricerca – sono parole di Husserl – dell’«essenza immanente»:
il fare dell’artista istituisce una possibilità dell’essenza, altra o forse
alternativa a quella attualmente data. Dunque: «Il possibile di cui l’arte si
fa espressione costituisce […] un nesso fra l’esistente e l’essenza, fra
determinatezza storica ed universalità di condizioni, di valori, di riferimenti» Melchiorre 1986b, 16.
334
Melchiorre 1986b, 24;
335
«Ogni singola proporzione […] costituisce in definitiva una
metafora di un totum di relazioni» Melchiorre 1986a, 58.
166
166
coscienza della negatività è in sé stessa relazione
[…] Il processo conoscitivo è, dunque, alimentato da
questa originaria intuizione dell’essere, non
necessariamente tematica, ma necessariamente sempre fungente e sempre sottesa al processo che via via
la va determinando.336
Un’intenzionalità, dunque, che può esser evidenziata
solo via negationis e che comunque può esser paradigmaticamente sorpresa in quella modificazione di
neutralità della percezione che, secondo Husserl, attuano tanto l’artista quanto il fenomenologo.
Il piacere estetico si qualifica pertanto come un
vero e proprio «rapporto intenzionale», come un atto
conoscitivo nel quale, lungi dal proiettare nell’oggetto
determinate qualità soggettive, si esperisce una consustanzialità dell’uomo col mondo; e ciò fa dell’esperienza estetica un’apertura progettuale verso una positiva realizzazione di sé e dei propri simili. Si profila
cosí secondo Melchiorre una duplice storicità dell’opera d’arte:
Per un verso essa nasce nel cuore del proprio tempo,
per altro verso, e in forza della sua tensione universale, essa sviluppa una «storia ideale eterna»: la sua
è una risposta ai bisogni e alle contraddizioni del
presente, ma questa risposta individua possibilità
che non si esauriscono nella prossimità del presente
e che dal presente potranno essere adeguate solo in
parte. Rispetto alla propria età l’artista costituisce
cosí una coscienza profetica e i suoi possibili si iscrivono nell’ordine del paradigmatico delle figure utopiche o in quello uguale e contrario dei giudizi ultimi.
336
Melchiorre 1986b, 37.
167
167
Ma proprio questa sporgenza fa dell’artista un’autentica coscienza critica: egli sta nel cuore dell’attualità con lo sguardo rivolto agli ultimi sensi e perciò
può anche levarsi sulle contraddizioni dell’esistente,
può disegnarne le impossibili possibilità e dischiuderne quindi la redenzione.337
Il possibile che, essendo diretto al futuro e non
all’esistente, è piú ricco dell’attuale338 va dunque lasciato sussistere «nella sua verità» cosí come, talvolta,
anche nella sua «impossibilità»;339 altrimenti si rischia
che la riflessione di un’epoca si abitualizzi e si
appiattisca sul presente perdendo tutta la carica
337
Melchiorre 1986b, 49.
«L’essenza costituisce l’orizzonte del futuro: la condizione universale cui riferire la molteplicità esistita, esistente e ancora non esistente di
una specie […] la non adeguazione fra esistenza ed essenza fa dell’essenza
la sporgenza sempre aperta sul non ancora esistente di un ente: l’essenza
[…] come l’essere di ciò che era, ma anche e soprattutto come l’essere di
ciò che ancora non è» Melchiorre 1986b, 24.
339
«I personaggi di Sofocle o quelli di Shakespeare vengono raggiunti
nella loro piú segreta impossibilità, ma ad un tempo vengono pur ricompresi
in un ordine di giustizia, che è ancora ordine di speranza. Che dire, invece,
della tragedia contemporanea e ancor piú dell’esperienza raggiunta dalla
musica atonale o dalla pittura astratta? Per questa via siamo portati, piú
d’una volta, alla scomposizione delle stesse strutture trascendentali dell’esistenza: lo spazio e il tempo sono infine strappati ad ogni unità e ridotti a
frammenti di un indecifrabile caos; le forme cedono alla giustapposizione o
all’unilateralità di geometrie contorte ed irrelate […]; l’unità e la protensione della memoria viene infine precipitata nella fissità anarchica degli istanti divisi o nel divergere diabolico dei ritmi. Si direbbe che, sullo sfondo
di uno stesso riferimento radicale, l’unità sempre cercata dall’intelligenza
simbolica (sun - bavllein) giunge ormai a disfarsi della sua controfigura
diabolica (dia -bavllein). E tuttavia non per questo parleremo di arte
diabolica, giacché proprio con questo rovesciamento siamo giunti alla consapevolezza storica della impossibile impossibilità cercata dall’uomo contemporaneo» Melchiorre 1986a, 62. È la tragedia, ad esempio, dei sei personaggi pirandelliani che, rifiutati come possibilità, si rifugiano nell’impossibile possibilità di essere scacciati dalla commedia e pur rappresentati.
338
168
168
progettuale che aveva animato quella fissazione delle
forme che la caratterizza. Dal punto di vista artisticoestetico bisogna dunque vigilare affinché l’esistenza
non si sovrapponga alla «vita del possibile», sebbene,
passando ad una prospettiva etica (immanente, secondo Melchiorre, a quella artistica)340, «il possibile
non va sostituito all’esistenza» (per non ricadere nelle
contraddizioni del kierkegaardiano estetismo)341. Si
tratta pertanto di porre il possibile come tale, senza
perdersi in esso, cogliendolo, cioè, come simbolo dell’identico, come luogo in cui traspare l’analogia dell’essere:
340
La «ricchezza del possibile», afferma Melchiorre, «vale solo se è in
grado di sollevare a se stessa la scelta etica»; e quindi «parlare di eticità
dell’arte è dire non dall’esterno, ma dall’intimo stesso dell’arte. Se infatti
l’arte dispone il mondo del possibile, dobbiamo anche dire che essa dispone gli spazi della libertà: il suo stesso costituirsi è dunque una funzione del
movimento etico dell’uomo e, in tal senso, l’asserto di una assoluta
autonomia dell’arte risulta contraddittorio» (Melchiorre 1986b, 45-50)..
L’estetico – precisa quindi Melchiorre – «costituisce l’apertura e l’esercizio
del possibile», mentre l’artistico la sua «manifestazione assoluta», il
momento in cui si giudica della sua «verità» o «menzogna»; l’artistico
implica infatti il riferimento alla totalità delle relazioni, alla condizione di
possibilità dell’apertura svelata nell’estetico Melchiorre 1986a, 54.
341
Secondo Kierkegaard, ricorda Melchiorre, la poesia è «sempre un di
piú» rispetto alla realtà in quanto «apre al possibile e in questo chiama a
ciò che non si è». Ma ciò non toglie che «dal punto di vista etico, «la realtà
è piú alta delle possibilità», perché la decisione etica implica l’interesse per
l’esistenza e «fa essere quel che non si era, quel che appunto era soltanto
una possibilità». Ma, all’opposto, la ricchezza del possibile diviene un
mero «abbaglio» solo al cospetto di una debolezza della decisione:
«Occorre dunque una distanza o un distacco cui la visione estetica deve
sottomettersi […] Solo nel distacco della visione creatrice il possibile può
vivere in se stesso e giungere al compimento della sua figura, alla definitiva
manifestazione della sua positività o della sua negatività» Melchiorre
1986a, 65-6.
169
169
L’immaginazione resta comunque legata ad un che di
determinato e, se si sporge verso la relazione, lo fa
pur sempre a partire dal determinato: può farlo connotando il suo oggetto immediato nel tessuto delle
relazioni che diversamente lo costituiscono, può farlo
ancora portando piú a fondo l’universo della connotazione, lasciando cioè trasparire la totalità costituente, l’ “omnia in omnibus” appunto.
Ma anche l’«omnia» resta in ultima analisi indeterminato, in quanto non può che apparire sempre e solo
il suo simbolo: la totalità resta, in definitiva, «un significato che può emergere solo simbolicamente, all’interno di un significato primario, piú o meno determinato; e che, nella sua prevalente indeterminazione, può darsi con maggiore o minore evidenza ma
mai assolutamente».342
Ed è proprio in questa intenzionalità simbolica
dell’essere, che la fenomenologia tanto contribuisce ad
evidenziare, che si ritaglia secondo Melchiorre l’orizzonte dell’estetica.
342
Melchiorre 1986b, 39.
170
170
Bibliografia
Questa bibliografia scioglie le sigle utilizzate nel testo per i rinvii bibliografici ed elenca anche altri materiali utilizzati sulla presenza in Italia
dell’estetica fenomenologica.
Le voci sono ordinate alfabeticamente e, in subordine, cronologicamente;
quando nello stesso anno vi sono piú scritti di uno stesso autore, la data è
seguita da lettere minuscole progressive.
I volumi miscellanei compaiono come AAVV ed il curatore, se indicato,
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La dizione «contiene» posta alla fine di alcune voci non ha lo scopo di
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La dizione «traduce» indica la sigla dell’originale su cui è stata svolta una
traduzione.
T sta per traduttore, R per recensione di.
AAVV
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1913b: Logische Untersuchungen, I: Prolegomena zur reinen Logik, II:
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REPRINT
EUGENIO DE CARO
NOTE SULLA
FENOMENOLOGIA
DELL’ESTETICO
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