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DEVIANZA E CRIMINALITÀ.convertito

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Le categorie dei comportamenti devianti
Anche il concetto di devianza abbraccia un insieme ampio di comportamenti. Si parla cioè di
categorie diverse di comportamenti devianti con riferimento, in primo luogo, ai tipi di norme cui ci
si riferisce.
Da una parte c’è l’insieme costituito dall’allontanamento dalle norme sociali della buona
educazione, del costume, dell’etichetta e della moda. Dall’altra ci si riferisce agli stili di vita
considerati problematici come l’abuso di alcol, il gioco d’azzardo e le dipendenze da sostanze.
Più le società sono complesse e più è difficile parlare di devianza e va considerata la relatività
dell’etichetta. Va detto che il giudizio negativo applicato al consumo di sostanze psicoattive varia a
seconda del tipo di sostanza e dei contesti relazionali.
Ci può essere la normalizzazione di un comportamento fino a prima considerato deviante. Si
tratta di un processo a volte lungo e progressivo che implica spesso conflitti, ma che segna il
cambiamento che interviene in una specifica società o delle società più simili sul modo di
considerare la questione.
-Devianza primaria: si intende una o più violazioni delle norme, spesso di carattere occasionale,
senza motivazioni particolari e che agli occhi di chi le compie hanno un rilievo marginale. Chi le
compie non considera se stesso un deviante, né viene visto come tale dagli altri, anche per il fatto
che non ne sono a conoscenza o le valutano come trascurabili e prive di importanza.
-Devianza secondaria: è il prodursi di nuove violazioni delle norme per un maggiore
coinvolgimento dell’individuo nelle situazioni che le favoriscono e a seguito della scoperta degli altri
di una devianza primaria e delle conseguenti reazioni di condanna sociale o applicazione delle
sanzioni =etichettamento. Questa avviene quando il deviante riorganizza la propria identità sulla
base della percezione che gli altri hanno di lui. Può nascere poi una carriera deviante (tecniche di
neutralizzazione del rispetto delle norme). Il comportamento deviante diventa mezzo di difesa, di
attacco o di adattamento nei confronti dei problemi derivanti all'individuo dalla reazione della
società alla devianza primaria: disapprovazione, degradazione e l'isolamento.
-Subcultura deviante: un insieme di elementi culturali che caratterizza e differenzia, rispetto alla
società globale di riferimento, un dato gruppo o segmento sociale. Essa fornisce sistemi di
pensiero, pratiche, codici di interazione sociale e stili di vita. La subcultura fornisce ai suoi membri
un insieme di norme e di valori che orientano le loro reazioni e che si differenziano solo in parte
dalle norme e dai valori della cultura dominante senza contestarne gli aspetti essenziali ma
elaborando collettivamente forme diverse/illegali/devianti per pervenirvi o per affrontare la
frustrazione del non riuscirvi. La subcultura si differenzia da una controcultura che propone valori o
stili di vita da coltivare, radicalmente diversi da quelli dominanti. (es: rivoluzionari)
Carriera deviante: percorso analogo a quello proprio del mondo del lavoro, caratterizzato dal
proseguimento della messa in atto di comportamenti devianti, del radicamento nel gruppo di coloro
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che condividono lo stesso stigma, dell'apprendimento di tecniche e di motivazioni utili a proseguire
in quei comportamenti.
Le rappresentazioni sociali del crimine e delle devianze: stereotipi, semplificazioni e luoghi comuni
-Rappresentazioni sociali: costituiscono un tipo di conoscenza socialmente elaborata e
condivisa, che ha un obiettivo pratico e che concorre alla costruzione di un pensiero comune a
tutta la società, sui significati di oggetti e situazioni vissute da tutti. Per questo si parla di
costruzione sociale della realtà. Gli appartenenti a quella formazione sociale condividono un sapere
di senso comune che fa apparire quanto pensato intorno a quella situazione o a quel problema
come qualcosa di naturale, definito e indiscutibile.
1) Come conoscere un oggetto nascosto. La ricerca sociologica su criminalità e
devianze
I problemi e i limiti della ricerca sul tema
Studiare questi fenomeni è complesso poiché sono comportamenti che, in quanto oggetto di
riprovazione e di sanzioni, sono generalmente nascosti agli altri. I comportamenti che non vengono
scoperti in flagrante sono uno dei limiti posti alla qualità delle statistiche criminali.
•Difficile misurazione : per questo vedremo i limiti delle statistiche ufficiali
•Difficile esplorazione con altri strumenti della ricerca sociologica (ad esempio qualitativa) che
implicano:
- conoscenza e accostamento ai soggetti
- entrata in relazione e fiducia
Da qui le difficoltà
● di fondare su evidenze empiriche le teorie esplicative considerando gli andamenti dei
fenomeni come variabili dipendenti da altre variabili «indipendenti»
● di comprendere motivazioni e orientamenti dell’azione degli individui
Gli obiettivi perseguibili
-Piano descrittivo: consiste nella raccolta, ricostruzione e sistematizzazione di diversi elementi su
aspetti diversi ma intrecciati, ovvero:
a) La quantificazione delle azioni considerate devianti o criminali, una misurazione del loro
numero che consenta di descrivere l’incidenza in un dato periodo di quei comportamenti.
Ne mostra l’andamento nel tempo e favorisce le comparazioni tra diversi contesti locali.
b) La descrizione dei soggetti che sono protagonisti o hanno relazione con i fenomeni
considerati (autori, vittime e chi vi entra in contatto), le cui ricerche sono tese a
quantificare le caratteristiche demografiche, culturali e sociali o con ricerche qualitative per
esplorare le ragioni dell’agire, percezioni soggettive, rappresentazioni e significati attribuiti
alle esperienze e alle situazioni, gli atteggiamenti di reazione.
c) Le caratteristiche dei contesti in cui si producono, ovvero gli ambiti geografici
(quartiere/area urbana) o le specifiche culture o subculture ma anche le connotazioni che
assumono in un periodo, l’economia e le condizioni di vita delle diverse classi sociali.
d) I contenuti e le forme delle norme e delle politiche di risposta a devianza e criminalità,
ovvero gli strumenti adottati per prevenirne o contenerne l'incidenza.
-Piano esplicativo / interpretativo: presuppone un buon livello di qualità dei dati e delle
conoscenze sul piano descrittivo. Si articola in piani differenti:
• La ricerca (quantitativa) delle connessioni tra andamento e caratteristiche di specifici fenomeni
che sono considerati potenziali variabili indipendenti in grado incidere sul cambiamento del
fenomeno in oggetto (Durkheim)
• La sistematizzazione (approccio interpretativo) delle ragioni che influenzano le motivazioni delle
scelte di azione ed i significati ad esse attribuiti, anche nel senso della loro razionalizzazione e
giustificazione mediante approccio qualitativo (Weber)
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• La ricerca sulle ragioni, interessi, valori, significati ed esiti delle impostazioni e dei contenuti delle
norme e delle politiche, ricerca sui fatti che spiegano le reazioni istituzionali alla criminalità e alla
devianza.
Le statistiche sulla criminalità
Vi sono state 3 visioni principali con cui si è discusso sul che cosa rappresentano le statistiche
criminali e sul loro possibile utilizzo: (Come si interpretano le statistiche ufficiali?)
-Visione positivista: tende a considerare le statistiche come specchio fedele della realtà (idea
abbandonata)
-Visione costruzionista: sostiene che le statistiche ufficiali non possono descrivere la criminalità
reale o le caratteristiche degli individui poiché esse hanno troppo limiti. Anche le statistiche sono
costruzioni sociali poiché varia la definizione di quei reati ed il loro riconoscimento
-Visione realista: ha una posizione intermedia e considera le statistiche come una parziale utile
rappresentazione della realtà. Queste statistiche sono poi integrate con altre modalità di
esplorazione del fenomeno come le indagini di vittimizzazione e di autoconfessione.
La riproposizione dei dati secondo la prima visione, usata dai media, alimenta solo le certezze del
senso comune e le soluzioni prospettate nel discorso politico.
Bisogna fare una distinzione fra tre insiemi che contengono i crimini commessi in un dato contesto
(in genere una nazione) e periodo (in genere un anno):
-Criminalità ufficiale: comprende le condotte criminali di cui si viene a conoscenza e che sono
registrate da forze dell’ordine e magistratura
-Criminalità nascosta: reati commessi in un certo contesto e periodo che non sono conosciuti
poiché non sono stati scoperti o denunciati. Si parla infatti di numero oscuro della criminalità. (Il
numero oscuro caratterizza tutti i tipi di reato: i fattori che fanno emergere e prendere in
considerazione i reati sono essenzialmente la gravità e visibilità pubblica, la scelta delle vittime e la
loro propensione a sporgere denuncia, le scelte delle Agenzie di controllo e delle istituzioni penali
determinanti a tutti i livelli).
-Criminalità reale: reati commessi in un determinato periodo e in un certo ambito territoriale,
indipendentemente che siano stati oggetto di denuncia o meno. È quindi l’insieme costituito dalla
somma della criminalità ufficiale e della criminalità nascosta.
I contenuti delle diverse statistiche
I 5 tipi principali di statistiche sulla criminalità sono:
-Statistiche della delittuosità: : Raccolta sistematica dei dati sui delitti commessi e denunciati
all'autorità giudiziaria da tutte le forze di polizia (Carabinieri, Guardia di finanza, Corpo forestale
dello Stato, Polizia penitenziaria, Direzione investigativa antimafia e altri uffici) che mensilmente
trasmettono all’ISTAT l’elenco dei reati. Sono escluse le contravvenzioni nonché i delitti denunciati
alla suddetta Autorità da altri pubblici ufficiali e da privati.
-Statistiche della criminalità: raccolta dati che riguarda i delitti per i quali l’autorità giudiziaria
ha iniziato l’azione penale. Esse considerano i reati iscritti nel Registro generale penale (Re.Ge) nel
momento in cui vengono definiti. Restano però escluse le contravvenzioni.
I limiti delle statistiche della delittuosità e della criminalità
Le statistiche ufficiali restituiscono sempre una visione parziale e condizionata della realtà. I limiti
riguardano il numero, quindi l’incidenza e la prevalenza dei differenti reati. Ma riguardano anche il
profilo degli autori poiché un gran numero di denunce viene spesso fatto verso un autore
ignoto. Allo stesso modo più dell’80% dei reati per i quali l'autorità giudiziaria ha iniziato l'azione
penale è di autore ignoto. La categoria “ altri delitti” che contiene tutti i reati non previsti dal
codice penale ma istituiti attraverso leggi speciali raccoglie circa il 30% dei delitti denunciati e dei
reati per i quali l'autorità giudiziaria ha iniziato l'azione penale.
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È difficile la comparazione con gli altri stati per via dei differenti sistemi penali e delle qualifiche
dei reati, ma è anche difficile in uno stesso paese se si guarda l’andamento nel tempo della
criminalità (difficili considerazioni longitudinali).
-Statistiche processuali penali: danno conto dell’insieme dei procedimenti che costituiscono
l’attività degli uffici dei tribunali penali cioè degli organi della giustizia penale.
-Statistiche degli imputati condannati: l’insieme degli individui condannati in qualsiasi fase o
tipo di giudizio, con riferimento al momento in cui, divenuto irrevocabile il procedimento di
condanna, viene iscritto al Casellario giudiziario centrale
-Statistiche penitenziarie: dati raccolti dall’amministrazione penitenziaria sulla popolazione
detenuta in carcere o negli istituti penali per minorenni, sulla sua variazione nel tempo, sul
movimento dei prigionieri in entrata e in uscita dagli istituti di pena, sullo status giuridico (quanti
sono i detenuti condannati in via definitiva e quelli in attesa di giudizio) e altre caratteristiche socio
demografiche di chi sconta la pena detentiva (sesso, età, titolo di studio, professione,
cittadinanza).
● Aderendo alla visione realista si può affermare che le statistiche ufficiali forniscono
indicazioni dirette circa:
il rapporto tra cittadini e istituzioni
l'attività del sistema di controllo formale della delinquenza
Regola di Sellin: la validità delle statistiche criminali come base per la misurazione della
criminalità all'interno di determinate aree geografiche diminuisce man mano che le procedure ci
portano lontano dal reato stesso
Crescente selettività nei passaggi dal reato alla pena: Commissione di un reato, denuncia o
scoperta, presa in considerazione da parte della magistratura, arresto e/o rinvio a giudizio del
presunto colpevole, processo penale, condanna, esecuzione della pena.
Come si costruiscono i dati
Le scelte delle vittime
Non tutti coloro che hanno subito un reato si rivolgono alle forze dell’ordine. La scelta dipende
spesso dal reato subito.
-Reati predatori: (rapine, estorsioni e truffe) la denuncia dipende dal valore dei beni sottratti, dal
rapporto tra questo valore e l’impegno, ovvero il calcolo di tempo ed energie richiesti per
effettuare la denuncia, la speranza di rientrare in possesso di tali beni, la possibilità di ottenere un
risarcimento, l’obbligo di produzione della denuncia per qualche pratica amministrativa (es rilascio
di un nuovo documento)
-Contro la persona: ovvero le varie forme di violenza. Per questi giocano un ruolo: la gravità del
danno subito, la relazione esistente tra autore del reato e vittima (grado di conoscenza), le
conseguenze che la vittima si prefigura per l’accusato in termini di danni materiali, alla reputazione
e alla vita sociale, le implicazioni per sé, sul piano materiale, psicologico e relazionale: perdita di
risorse, compromissione dell'immagine, sensi di colpa o vergogna, rotture di legami ed esclusione
sociale; la paura di conseguenze: nuova violenza, ritorsioni, perdita di lavoro…; le valutazioni che
connotano quel tipo di reato nell’ambiente cui si appartiene,che possono far considerare il reato
come più o meno grave, giustificabile o attribuibile al comportamento della vittima.
Questi elementi influenzano anche il testimone. Un grande rilievo nel favorire o ostacolare le
denunce è dato dal clima culturale che connotano il più diffuso sentire comune. Questi fattori
sono riconducibili a 3 ambiti:
-La rilevanza e la gravità attribuite a ogni specifico reato es. mutamento di percezione della
gravità della violenza sessuale che nel tempo ha prodotto un’estensione delle denunce;
-La percezione del funzionamento delle istituzioni di polizia e di giustizia, infatti la fiducia si
basa sui risultati che tali istituzioni ottengono. Se chi denuncia non si sente protetto o i responsabili
scoperti non sono sanzionati adeguatamente si produce un abbassamento del livello di fiducia nelle
istituzioni che ha poi ripercussioni sulla disponibilità a denunciare i reati subiti;
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-La concezione di sé come cittadino che appartiene ad una comunità sociale, chiamato anche
spirito civico (la speranza di favorire la scoperta del reo e di impedire la reiterazione da parte sua
di analoghi reati; l’idea che il cittadino debba collaborare a portare a conoscenza dello Stato o delle
autorità i problemi per favorire la loro soluzione).
Ci sono poi i crimini invisibili, reati che raramente vengono registrati e che le ricerche di
vittimizzazione tendono ad escludere: ci sono casi in cui la vittima non è consapevole di aver
subito un reato, o non ha la capacità o la possibilità di denunciare, questo è il caso degli abusi
sull’infanzia poiché i bambini che li subiscono oltre a non sapere che i comportamenti tenuti dagli
adulti non sono consentiti per legge, non sono in condizione di entrare in contatto con le
istituzioni di polizia senza la mediazione di altri adulti. Infine, vi sono casi in cui la vittima non è
definita, cioè coincide con la collettività danneggiata.
Le scelte delle agenzie di controllo
L’attivazione delle forze dell’ordine avviene discrezionalità e selettività. Ogni individuo che
svolga funzioni di polizia orienta il proprio agire sulla base delle norme esistenti, ma nella
quotidianità del suo agire, opera un certo numero di scelte, caratterizzate da un margine di
discrezionalità. Essa si esprime nelle quotidiane relazioni tra i cittadini che hanno subito un reato
e il personale addetto a riceverle. Le scelte operate dagli attori e la discrezionalità hanno un ruolo
nel prodursi di certi risultati sul piano della quantificazione dei reati e della costruzione statistica
della distribuzione degli stessi tra la popolazione. Questa distribuzione non rappresenta la realtà
ma è una parte selezionata, per via dell’agire delle agenzie di controllo: si parla di selettività
mirata. Una delle possibili ragioni è il prodursi frequente di potenziali nuovi campi di intervento (es
nuovo reato). Bisogna così ridefinire la distribuzione di risorse (uomini, mezzi, denaro) poiché
queste non crescono in relazione all’aumento delle esigenze. Da qui la necessità di fare delle scelte
e quindi scegliere cosa privilegiare e cosa trascurare. L'azione delle forze dell'ordine si orienta e si
concentra su alcune fattispecie di reato, su alcuni ambiti territoriali, su alcune categorie di soggetti.
La selettività si correla anche all’immagine di efficienza che l’organizzazione è chiamata a dare e
che in buona parte è costruita sui numeri. Si cerca così di produrre dati che abbiano l’effetto di
mostrare capacità ed efficienza, orientando le scelte di azione verso i reati più facilmente
osservabili. (fare statistica).
Le statistiche processuali, dei condannati, penitenziarie
Anche queste statistiche presentano dei limiti, poiché anch’esse sono il riflesso delle scelte
compiute da attori diversi e che sono connotate dalla discrezionalità e dalla selettività. Anche le
procure devono fare delle scelte in merito a se e come investire le risorse (tempo, uomini e mezzi
economici) che sono spesso scarse. Queste valutazioni sono l’espressione della cultura dell’ufficio e
dei suoi capi, ma che risentono anche delle sollecitazioni esterne. La selettività si vede nella
registrazione: errori e/o forme di manipolazione dei dati da parte degli organi di polizia, negli
esiti dei processi che costituiscono i dati che alimentano le statistiche processuali penali e quelle
sugli imputati condannati, nelle forme di esecuzione della pena è accesso alle misure
alternative dipendenti dal capitale sociale. Le statistiche sulla composizione della popolazione
carceraria testimoniano la natura selettiva del sistema, innanzitutto perché una parte di questa
popolazione è rinchiusa non all’esito di una condanna ma perché è in attesa del processo. Misura
che riflette la diseguale condizione degli imputati. Avviene l’opposto per chi dispone di maggiore
capitale sociale.
Le possibilità di conoscere il numero oscuro
Sul piano quantitativo criminologi e sociologi hanno iniziato a considerare le indagini di
autoconfessione e le indagini di vittimizzazione per misurare la criminalità nascosta, 2 tipi di
indagini effettuate tramite questionari anonimi che hanno in comune:
-Il fatto di fondarsi su un campione casuale e rappresentativo dell’intera popolazione
-La garanzia di assoluto anonimato.
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-Le indagini di autoconfessione: Sono indagini rivolte a un campione casuale e rappresentativo
della popolazione intera o di gruppi sociali, che usano questionari strutturati fatti pervenire agli
individui che sono invitati a “confessare” la messa in atto dei reati, scegliendo solitamente fra una
lista di reati. Questi studi sono uno strumento per soddisfare le esigenze conoscitive dei reati
effettivamente commessi e alle caratteristiche dei loro autori. Finalità: ricostruire la
distribuzione della delinquenza dei gruppi sociali, mostrare che la violazione delle norme penali è
più diffusa di quanto raffigurato nelle statistiche ufficiali e valutare l’efficacia delle politiche
di prevenzione e controllo. I limiti sono: la difficoltà di includere nel campione tutte le
articolazioni della popolazione, le possibili difficoltà di comprensione dell’indagine, l’impossibilità
materiale di porre davanti agli intervistati la lista di tutti i possibili reati, l’indisponibilità di molti a
confessare o all’opposto la possibilità che vengano confessati dei reati non realmente commessi e
infine, gli eccessivi costi per poter rendere rappresentativo il campione. Inoltre pochi reati
riguardano i crimini di impresa o familiari.
-Le indagini di vittimizzazione: sono condotte intervistando un campione rappresentativo di
persone per vedere quali sono state vittime, in un certo periodo, di reati al fine di raccogliere
informazioni sulle dinamiche del fatto e per sapere se hanno denunciato o no. Finalità: indagare il
numero oscuro per alcuni reati avendo info anche su quelli che non sono stati denunciati,
scoprire le caratteristiche delle vittime, raccogliere e valutare gli effetti dell’esperienza di
vittimizzazione, studiare le ragioni per cui alcuni soggetti e categorie sono vittimizzati più
frequentemente di altri. In alcuni casi forniscono indicazioni anche sull'autore del reato,
consentono inoltre uno studio diacronico dei tassi di vittimizzazione. I limiti: possono porre
attenzione solo su reati chiaramente definiti, dei quali la vittima ha conoscenza diretta, finendo
così per rafforzare un’immagine settoriale della criminalità. Vengono esclusi i reati tentati che non
hanno prodotto conseguenze ma anche quelli senza vittima es quelli dei colletti bianchi. È forte il
rischio di indisponibilità per paura di ritorsioni.
I metodi di ricerca sulle diverse forme di devianza
I dati di fonte istituzionale
❖ I dati di Fonte ufficiale,le statistiche di ministeri e Istat su vari fenomeni: dipendenze, malattie
mentali, vittime di tratta, senza dimora, ecc.
❖ Relazioni annuali a Parlamento o rapporti ministeriali
❖ Dati a livello locale e poi aggregati
❖ Persone intercettate da servizi
❖ Solo parte emersa dei fenomeni: persone che si rivolgono ai servizi o che sono segnalate
Anche per altri fenomeni devianti non penalmente qualificabili si può fare riferimento a statistiche
ufficiali elaborate da autorità amministrative, sanitarie o dall’ISTAT (es alcol/cannabis/gioco
d’azzardo ma anche coloro che hanno stili di vita marginali). Anche queste statistiche hanno dei
limiti. Esse sono infatti costruite a partire da scelte di individui di manifestare a qualche istituzione
la propria situazione o all’attivarsi di agenzie e servizi partendo da sollecitazioni diverse. Queste
statistiche sono indicatori: delle scelte operate dagli individui implicati, del prodursi di eventi o
incidenti che portano i soggetti a contatto con istituzioni di cura, delle azioni delle agenzie di
controllo impegnate nella prevenzione e nella sanzione. Più certi sono invece i dati sulla forma
estrema di devianza ovvero il suicidio.
Le indagini su campioni di popolazione
Ci sono indagini, simili a quelle di autoconfessione, poste a campioni rappresentative della
popolazione o a parte di essa, spesso legate a temi sensibili (alcol/sostanze illegali) al fine di
osservare le condizioni di vita della popolazione. Il tema delle droghe illegali compare nelle indagini
condotte sulla popolazione giovanile poiché queste sostanze possono incidere sulla salute e sui
rapporti sociali. Ad esempio, in tema di alcol:
• ESPAD®Italia questionario cartaceo anonimo autocompilato a scuola
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• MULTISCOPO ISTAT: interviste a domicilio condotte da rilevatori formati
• IPSAD® questionario cartaceo anonimo inviato per posta e autocompilato
• Differenti modalità di somministrazione e domande diverse portano a risultati non comparabili.
• Esigenza di ancor maggiore cautela in comparazioni internazionali
Le ricerche sulle popolazioni nascoste
Con questa espressione si fa riferimento a quei gruppi di individui accomunati dal fatto di mettere
in atto un determinato comportamento (es. prostituzione), o di avere una determinata condizione
(es. HIV): a questi è solitamente associato uno stigma o anche delle sanzioni e che quindi
vengono nascosti. Il rischio della possibile sanzione sociale e la delicatezza dei temi trattati
rendono complessa la ricerca su queste popolazioni. 2 problemi: riuscire a costruire un campione
rappresentativo della popolazione nel suo insieme e la probabilità di successo nel sottoporre ai
componenti del campione i questionari o nel sollecitare la disponibilità a sottoporsi ad un’intervista.
Il metodo più utilizzato per risolvere questi problemi è il campionamento a valanga. Questo
metodo prevede la costruzione del campione a partire dalla richiesta di disponibilità a collaborare
con un individuo che soddisfi la caratteristica fondamentale oggetto di studio. A questo soggetto
verrà chiesto di sollecitare i suoi contatti a rendersi disponibili allo studio e poi ad ognuno di essi
verrà sottoposto lo stesso quesito. Si procede così fino a quando non è raggiunto un numero
significativo di soggetti di cui siano rappresentate le articolazioni dell’insieme. Questo è un
campionamento non probabilistico cioè i risultati ottenuti non possono essere generalizzati. Queste
ricerche offrono la possibilità di una buona conoscenza dei fenomeni e dei soggetti soprattutto
riguardo il tema delle droghe e del loro consumo.
Un altro metodo è il pescaggio e ripescaggio di soggetti nascosti, per finalità di quantificazione.
È un metodo preso dalle scienze naturali per quantificare la consistenza delle popolazioni non
facilmente visibili. Vi sono 2 modi per raccogliere i dati di base: il primo avviene con l’emersione
dei soggetti attraverso i contatti con le agenzie di controllo (arresti/sanzioni amministrative); il
secondo deriva da azioni specifiche condotte da servizi sociali o sanitari al di fuori degli ambiti
tradizionali. Le équipes che agiscono in determinati luoghi hanno l’interesse di quantificare questi
fenomeni per programmare i loro interventi. Le mappature su base territoriale avviene
attraverso l'osservazione di ricercatori in unità mobili o che contattano persone in contesti di
attività o di collocazione in strada e sono in genere connessi ad attività di riduzione del danno.
Dal punto di vista qualitativo si fa spesso ricorso a testimoni privilegiati ossia a persone che,
soprattutto per motivi professionali, hanno direttamente a che fare con il gruppo sociale in analisi,
pur non facendone parte. È necessaria cautela nella scelta delle persone identificate come
informatori che possono essere influenzati da particolari pregiudizi professionali e/o istituzionali e
che possono indurle a sovrastimare/sottostimare aspetti o caratteristiche del fenomeno analizzato.
Un ultimo metodo è l’osservazione partecipante ovvero una strategia di ricerca in cui il
ricercatore si inserisce direttamente e per un periodo di tempo relativamente lungo in un
determinato gruppo sociale, nel suo ambiente naturale, instaurando un rapporto di interazione
personale con i membri allo scopo di descriverne le azioni e le motivazioni per comprenderle
attraverso un processo di immedesimazione.
Prospettiva comprendente: la vicinanza dell'osservatore all'oggetto della sua osservazione e la
partecipazione alle dinamiche che caratterizzano il campo possono arricchire in maniera unica il
panorama delle conoscenze e la possibilità di comprensione delle situazioni, motivazioni, percezioni
soggettive e significati attribuiti ad esse, oltre che ai vissuti delle relazioni con soggetti che
condividono gli stessi comportamenti e traiettorie di vita degli individui che le vivono. Esempio:
convict criminology= studi sulla condizione carceraria avendola vissuta in prima persona
acquisendo competenze e metodologie di raccolta e di interpretazione in maniera scientifica di
quanto direttamente osservato sulla modalità in cui individui diversi vivono la loro condizione e
potendo così cogliere aspetti dell'istituzione carceraria non visibili ad altri ricercatori.
Le frontiere della ricerca criminologica: logica attuariale, ricerca sui rischi, profiling di individui e
categorie
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Recentemente si sono sviluppati nuovi filoni di ricerca riconducibili a 2 categorie: una in cui
adottano gli strumenti della statistica attuariale riguardo la distribuzione dei tassi di delinquenza
nella popolazione per predire la probabilità che essa avvenga in categorie e contesti diversi. Questo
al fine di concentrare il controllo su quelle che presentano maggiore pericolosità. → criminologia
attuariale, nasce nell’800 e permette di analizzare le variabili per valutare i livelli di rischio connessi
alle soluzioni proposte. Impegno della ricerca verso il risk assessment o analisi del rischio di
messa in atto di comportamenti criminali da parte degli individui con particolare attenzione al
rischio di recidiva.
Un altro impegno è legato alla profilazione di individui criminali nel corso delle indagini di
polizia. Gli esperti di profiling offrono le loro competenze ex post, cioè quando un crimine si è
compiuto e si deve ricercarne l’autore analizzando elementi che ne tracciano il profilo.
2) Perché gli individui violano le norme?
Le risposte di senso comune: la colpa è di…
Il tema delle cause del crimine e della devianza ha grande spazio nel dibattito pubblico, ancor di
più nella quotidianità delle persone. Si trovano diverse spiegazioni nel senso comune. I contenuti
del senso comune applicati al crimine e alla devianza sono il riflesso e a loro volta alimentano le
rappresentazioni sociali legate a quei comportamenti in un determinato contesto. Le
rappresentazioni sociali possono essere definite come sapere di senso comune o sapere ingenuo,
naturale, ed essere distinte dalla conoscenza scientifica, anche se alcuni elementi possono
concorrere a determinarne il contenuto. Questa conoscenza si costruisce principalmente a partire
dalle nostre esperienze, ma trova il suo fondamento anche nelle informazioni, nei saperi e nei
modi di pensare che circolano nella società attraverso l'educazione o i mezzi di comunicazione. Per
spiegare la causa del comportamento generalmente si usa la formula: la colpa è di.., inoltre
probabilmente vi saranno dei nuclei di rappresentazioni condivise da un certo numero degli
appartenenti alla comunità locale. Si tenderà ad attribuire la colpa allo Stato, alla natura alle
tendenze innate, alle assenze o deficit: genitori, scuola, crisi economica, il gruppo sociale o l’etnia,
altri alla televisione e al cinema, ai videogiochi; alla società. In queste rappresentazioni sociali si
possono trovare 5 categorie di spiegazioni:
-la colpa è del singolo individuo malvagio e disonesto che sceglie il male consapevolmente
perché gli conviene, che non vuole impegnarsi a vivere onestamente → scelta razionale;
-la colpa dell’individuo pericoloso predisposto naturalmente a delinquere, genetica/ereditarietà
-la colpa è di condizioni di vita difficili, di relazioni che determinano delle assenze, dei vuoti
(povertà, disoccupazione) → carenza di opportunità e deficit sul piano relazionale;
-la colpa è dei cattivi modelli che condizionano i giovani: l’apprendimento di modelli devianti;
-la colpa è delle risposte sbagliate della società e delle istituzioni → reazioni sociali
stigmatizzanti e conseguente rinforzo dell’identità deviante.
Queste rappresentazioni sono la sedimentazione, nel senso comune, delle elaborazioni che gli
studiosi hanno posto all’attenzione delle società e delle istituzioni.
I diversi paradigmi scientifici succedutisi nel tempo: il pendolo individuo-società-individuo
Negli anni si sono succeduti diversi paradigmi interpretativi della devianza, che hanno influenzato
le visioni collettive e le scelte riguardo le politiche di controllo di questi fenomeni. Il concetto di
paradigma è stato introdotto da Thomas Khun nel 1969 per indicare ciò che è ampiamente
condiviso dai membri di una comunità scientifica alle prese con un fenomeno che definisce il modo
dominante di interpretarlo e spiegarlo. Inoltre, vi è una visione sequenziale con cui l’autore
descrive i cambiamenti nei modi di interpretare e spiegare i fenomeni, per cui dopo una fase di
consolidamento del paradigma avviene l’emergere delle sue anomalie. La terza ragione dell’utilizzo
del concetto di paradigma consiste nella rilevanza accordata al contesto socioeconomico nel
mutamento delle spiegazioni.
Sequenza di paradigmi che si sono succeduti dal 700 ad oggi per rispondere alla domanda
perché alcuni individui commettono atti devianti:
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-seconda metà del ‘700 nasce il paradigma classico: il crimine come scelta razionale, esito di
un calcolo costi-benefici;
-seconda metà dell’800 e primi ‘900 nasce il paradigma positivista: predisposizione
naturale; il delinquente nato di Lombroso
-fine 800 e fino al 1980 paradigma sociale delle assenze: devianza come esito di carenze
socio-culturali, dei condizionamenti e delle reazioni sociali; il paradigma sociale delle
presenze forti; apprendimento di modelli devianti nella cultura diffusa o nei contesti di relazione,
conseguenza dei processi di definizione ed etichettamento.
-fine 900 e inizi 2000 paradigma neoclassico: rinnovata centralità della responsabilità
individuale;
-dopo il 2000 paradigma neopositivista: diversità intrinseca dell’individuo e propensione
naturale di alcuni ad agire non conformemente alle norme convenzionali o alle leggi. (genetica e
neuroscienze).
METAFORA DEL PENDOLO -> INDIVIDUO - SOCIETÀ’ - INDIVIDUO
Le spiegazioni non sociologiche: la responsabilità è dell’individuo (paradigma classico e positivista)
Il PARADIGMA CLASSICO → si sviluppa dalla filosofia e dal diritto e vede tre esponenti:
Rousseau, Bentham e Beccaria. Viene riconosciuto come paradigma della scelta razionale. È
una lettura delle cause che nasce nel 700 ma persiste fino ai giorni nostri come spiegazione ai
comportamenti, soprattutto a quelli di carattere strumentale (analisi costi-benefici). Il periodo in
cui si sviluppa questo paradigma è legato all’affermarsi del capitalismo industriale ed allo sviluppo
della borghesia con l’affievolirsi dell’aristocrazia, si afferma la centralità del contratto e la certezza
del diritto (garanzie reciproche che gli accordi vengano mantenuti). Inoltre, avviene la progressiva
separazione fra sfera pubblica e privata con l’imporsi del controllo dello Stato sui comportamenti
pubblici limitando la libertà dei singoli quando nuocciono a quella altrui. Inoltre, concezione
dell’uomo come membro della società basata su un contratto sociale fra individui uguali e liberi. I
valori della classe borghese diventano universali e tutti devono aspirarvi. Processi di
modernizzazione con la laicizzazione delle istituzioni. Con lo stato nazione bisogna unificare le
fonti del diritto cioè creare un diritto unico per un certo territorio.
La scuola classica i cui principali esponenti sono Beccaria e Bentham, nasce nel XVIII secolo sulla
scorta del movimento di pensiero illuminista. I valori principali cui si fa riferimento sono: il primato
della ragione, la libertà dei cittadini e l'uguaglianza di tutti di fronte alla legge. I punti cardine del
pensiero di Beccaria riguardano il fatto che le azioni degli individui sono guidate da razionalità.
Innanzitutto l'uomo è immaginato come essere libero, razionale e calcolatore che agisce spinto da
interessi e desideri, sulla base di un calcolo del rapporto tra costi e benefici. In secondo luogo
lo stato è concepito come il prodotto di un contratto sociale in base al quale gli individui
decidono di privarsi di parte della propria libertà individuale per garantire la pace sociale, l'ordine
interno e la sicurezza esterna. Questa posizione teorica comporta tre implicazioni immediate.
Primo: il crimine è una normale opportunità di azione, secondo: il criminale è un individuo
normale e terzo: il reo è totalmente responsabile delle proprie azioni. In tal modo il crimine e
la pena individualizzano la responsabilità come scelta dell'individuo e si opera una separazione del
crimine come violazione delle leggi umane dalla colpa morale. Nasce il diritto penale che non
afferma la concezione morale e non può più essere lasciato ad arbitrio, ma deve tutelare il bene
pubblico e l’ordine sociale. La pena deve essere giusta e utile, deve minimizzare il ricorso alla
violenza e garantire l'ordine sociale; deve procurare all'individuo un danno maggiore rispetto ai
benefici in modo che non sia più conveniente, utile o desiderabile trasgredire la legge. La pena in
questo senso ha una funzione deterrente. Nel pensiero beccariano la pena giusta e utile deve
possedere alcune caratteristiche fondamentali:
1) prontezza poiché ad un reato deve seguire subito una sanzione;
2) infallibilità perché alla violazione della legge deve corrispondere sempre una pena;
3) certezza la pena deve essere scontata interamente, senza possibilità di clemenza o perdono;
4) dolcezza, la pena deve risparmiare al condannato inutile sofferenza.
A garanzia dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la giustizia penale deve essere
amministrata secondo il modello del giusto processo (p. 31) : ciò significa che i reati e le pene
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devono essere stabiliti per legge, la discrezionalità dei giudici deve essere ridotta dalla
determinazione normativa delle relative pene, i giudici devono agire in modo imparziale, le
prove devono essere raccolte a partire dai fatti rispettando le procedure, le persone inquisite per
le quali vige la presunzione di innocenza devono essere informate in merito alle prove raccolte
a loro carico e infine i processi devono essere pubblici.
★ POLITICHE E MODELLI DI INTERVENTO: Con Beccaria si afferma l’esigenza di
adeguare il sistema penale-sanzionatorio per renderlo coerente alla teoria che vede il
crimine come frutto di calcolo tra benefici ottenibili e costi della sanzione. Affinché la
funzione deterrente si realizzi è necessaria la conoscenza delle leggi (e delle sanzioni)
per orientare i comportamenti. Diventa così’ essenziale la definizione delle regole di
funzionamento della giustizia e in specifico del processo penale mediante diffusione dei
codici penali e delle norme che man mano sono approvate. Oggi avviene attraverso la
pubblicazione, delle leggi, sulla Gazzetta Ufficiale e attraverso i mezzi di comunicazione di
massa.
Il PARADIGMA POSITIVISTA → si basa su spiegazioni basate su predisposizioni naturali che
orientano al crimine. Con il 1800 si afferma il modello di produzione del capitalismo industriale
che porta alla concentrazione della produzione, all’urbanizzazione forzata, alla modificazione degli
stili di vita, alla precarizzazione delle condizioni economiche e la conseguente concentrazione nelle
stesse aree di gravi problemi sociali. Da qui nasce l’esigenza di esplorare gli aspetti individuali e
sociali della criminalità. Il secolo dei lumi cede il posto alla scienza positiva e alla teoria
dell’evoluzionismo. Si è fermano anche discipline quali l'antropologia, la fisica, psicologia e la
biologia e con esse anche il principio della causalità necessaria: ogni fenomeno naturale deve
avere una o più cause. In questo contesto nasce la sociologia, la statistica quantitativa è il calcolo
probabilistico come fondamento delle relazioni di tipo causale tra variabili. Qui si afferma la scuola
positiva che ha come nucleo centrale Cesare Lombroso che propone la visione dei criminali come
individui condizionati a esserlo per via di fattori biologici, caratteri ereditari o patologie mentali:
positivismo biologico. Lombroso fece ricerche infatti nelle istituzioni psichiatriche e carcerarie di
Pesaro, Pavia e Torino e scrisse l’opera “L’uomo delinquente”. Non analizzò solo l’anatomia del
cranio e del cervello (frenologia), ma anche l’intera costituzione fisica al fine di individuare uno
specifico tipo antropologico: il delinquente nato. Lombroso concluse che i criminali portano
con sé ereditariamente i caratteri degli antenati pre umani dell’uomo, il delinquente rappresenta
una forma di regressione o incompiutezza evolutiva: riproduce gli istinti feroci degli animali,
dell’umanità primitiva e dei popoli selvaggi (atavismo). I caratteri possono riunirsi in 3 gruppi:
fisici/anatomici, biologici/funzionali e psicomorali. equivalente femminile dell'uomo delinquente è la
donna prostituta, su cui non si è compiuto il percorso evolutivo che ha fatto della maggioranza
delle donne gli esseri moralmente irreprensibili che rappresentano la normalità (mogli e madri).
L’allievo di Lombroso, Enrico Ferri, con il libro sociologia criminale divenne l’esponente della
scuola positivista e venne considerato il fondatore della sociologia criminale. Esso, legato ai
presupposti biologici, diede rilievo alla multidimensionalità del delitto. Da qui individua 5 tipi di
delinquenti: occasionali (condizionati da fattori esterni), passionali (fattori morali e sociali), abituali
(fattori economico-sociali), folli (malattie mentali), nati (impulsività e mancanza di senso morale). Il
lascito più importante riguarda la politica criminale, per cui la pericolosità sociale è determinata
dall’incapacità dei delinquenti di controllare il loro impulso a compiere crimini. A essi non basta
contrapporre la sanzione ma bisogna mettere in campo misure mirate alle specificità dei tipi di
criminali, per difendere la società, annullandone la pericolosità.
★ POLITICHE E MODELLI DI INTERVENTO:
L’attenzione non si concentra più sul reato, ma sul reo. Gli autori del paradigma positivista si
concentrano sulla pericolosità sociale del delinquente e sulla difesa sociale. Bisogna ridurre la
criminalità con il trattamento dei delinquenti adeguato ad ogni singolo individuo. Si formula il
sistema del doppio binario, in cui oltre alle pene previste dal codice penale e al carcere si
impongono misure di sicurezza basate sul livello di pericolosità del reo (contenimento e
terapia). Queste misure possono affiancare o sostituire le sanzioni classiche. Gli strumenti di
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esecuzione sono i manicomi criminali (‘72) che nel ’75 diventano ospedali psichiatrici
giudiziari e sono aboliti nel 2011. Questi fanno parte delle misure detentive insieme alle case di
cura e custodia e all’assegnazione ad una colonia agricola o a una casa di lavoro. Fra le misure non
detentive ci sono la libertà vigilata, espulsione dello straniero dallo Stato… Invece, per i minorenni
vi sono istituti specializzati al contenimento e trattamento di questi soggetti, e trovarono
legittimazione anche le case di rieducazione e i riformatori. Si affaccia la funzione
«riabilitativa» della sanzione.
L’articolazione delle teorie sociologiche
Con PARADIGMA SOCIALE intendiamo quella vasta serie di contributi e riflessioni che sono stati
prodotti nell'ambito della sociologia. Diversamente dei contributi precedenti faremo riferimento
dunque a sociologi e non a criminologi, a giuristi, alle diverse forme di devianza intese come stili di
vita e di comportamento non conformi e non più solo la criminalità o la prostituzione, alle
complessive dinamiche sociali nel cui ambito si collocano le forme di devianza. Nel corso del XIX
secolo e all’inizio del XX secolo con la nascita e lo sviluppo della sociologia emerge una visione che
considera la devianza - come ogni altro comportamento - un prodotto sociale, un “fatto sociale”.
Il paradigma sociale individua le radici del comportamento deviante in quelle condizioni
(sociali, materiali ed ambientali) che gli individui non possono controllare e che li
predispongono a certi comportamenti.
Durkheim, Weber e Simmel si interessarono all’allontanamento delle norme nella modernità e ai
fattori di criticità per l’equilibrio sociale legati all’incrinarsi di 2 variabili sociali: la coesione dei
rapporti sociali (legame sociale) e la condivisione delle rappresentazioni collettive (legame morale).
Da qui si riflette anche sulle rotture dei legami e sulle trasgressioni alle regole condivise. Si
sviluppano diverse teorie che riconducono le cause delle devianze a vari tipi di carenze, sociali,
economiche e culturali. Il paradigma sociale si articola quindi in due sottoinsiemi:
1) Carenze o deficit: approccio a deficit di carattere economico e alle conseguenze che i
fattori strutturali hanno sulle condizioni di vita di molte persone; approccio che vede le
ragioni della devianza al venir meno di valori, regole e controllo sociale; approccio che
osserva le carenze sul piano relazionale, educativo e ambientale.
2) Riferimenti a condizionamenti forti: teorie che danno rilevanza all’apprendimento di
modelli devianti; teorie che danno rilevanza ai processi di definizione ed etichettamento dei
comportamenti provocati dalla reazione sociale e istituzionale e alla stigmatizzazione
conseguente.
Paradigma delle assenze o dei deficit
1. Le carenze strutturali e il determinismo sociale
Le carenze di tipo strutturale sono al centro del pensiero marxista che definisce la criminalità
e le devianze in termini di comportamenti socialmente determinati da condizioni di
deprivazione e sfruttamento. Marx ed Engels si riferiscono infatti alle condizioni della classe
operaia e del sottoproletariato nelle società capitaliste. -> riferimento ai nessi tra condizioni
economiche, materiali di sfruttamento e criminalità, prostituzione, alcolismo.
Nel comportamento criminale è però possibile scorgere anche il desiderio di affrancarsi da tali
condizioni: il crimine è espressione della lotta che un individuo pone con la libera volontà contro le
condizioni predominanti. Negli scritti di Marx si nota l’attenzione alla funzione del crimine. Esso
sottolinea la funzione positiva, per la società, dei criminali in quanto il delinquente contribuisce alla
creazione di nuove professioni (produce gli organi di polizia ecc.); ma anche al fatto che
contribuisce al progresso della società mediante potenziamento di alcuni settori produttivi:
fabbricazioni di serrature forti, perfezionamento delle banconote, nuovi mezzi di difesa.
Un altro esponente è Bonger il quale non guarda solo alla criminalità della classe lavoratrice ma
anche a quella della borghesia unificate dal “pensiero criminale” che è la conseguenza del
capitalismo che crea egoismo e mancanza di istruzione morale della popolazione. Bonger ha una
visione determinista in cui il crimine è prodotto dallo stato di demoralizzazione della società
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capitalistica. Bonger vede come unica soluzione, per prevenire il crimine, la costruzione di una
società di tipo egualitario basata sul comune possesso dei mezzi di produzione. Vi è però il rischio
di una riduzione economicistica del tema delle motivazioni psicologiche e culturali che spingono
alla devianza, nonché l'assenza di un'adeguata considerazione delle differenze tra i diversi
comportamenti. Molti autori (Taylor, Walton, Young) ribadiscono il legame fra criminalità e classe
sociale nell’economia capitalista. Si parla infatti di prospettiva conflittuale, nella visione della
società che individua nel conflitto l’elemento costitutivo di ogni dinamica sociale. Le società sono
tenute insieme dal potere e dall’imposizione di norme e visioni di parti di essa su altre parti (classi/
gruppi sociali). Il crimine e le devianze sarebbero così manifestazioni delle condizioni materiali della
società e le disuguaglianze strutturali del sistema sono all’origine delle scelte di molti individui di
violare le leggi o del rifugio in forme di alienazione (alcol/droga). Infine, si pone attenzione
all’assenza di relazioni, di risorse materiali, di riconoscimento di competenze e qualità e di
opportunità a seguito della definizione sociale di devianti o criminali. Ciò è conseguente all’aver
subito la reazione istituzionale e sociale degli atti compiuti che pregiudica la qualità della vita delle
persone ma può anche essere causa di ulteriori atti devianti = criminologia critica
★ POLITICHE E MODELLI DI INTERVENTO: Gli autori delle teorie marxiste proponevano
come soluzione un processo rivoluzionario che rifondasse l’economia su nuove basi. Per
quelli che condividevano questo pensiero ma non quello utopista della rivoluzione si
propone di affrontare i problemi sociali con riforme economiche per ridurre le
disuguaglianze e la povertà.
2. I deficit di valori e di controllo sociale
Questo approccio ha origine nell’elaborazione di Durkheim emerge una concezione
relativistica della criminalità, un atto può essere considerato deviante solo facendo riferimento al
contesto storico, sociale e culturale in cui si manifesta. Innanzitutto emerge la natura relativa di
ciò che una società definisce crimine, ma si deve concepire il comportamento sociale come
regolato da norme fondate su idee di valore per cui chi si discosta incorre nella considerazione
negativa degli altri. Il secondo elemento è la presenza di devianze e crimini in ogni società:
la devianza è un fatto sociale normale. è universale, necessario per l’evoluzione della
società ed inevitabile. Nella misura in cui non sorpassi un certo livello la criminalità e la devianza
sono funzionali alla società stessa per il mantenimento della coesione sociale (in quanto
rinsalda la forza della coscienza collettiva costituita dall’insieme dei sentimenti e delle credenze
comuni ai membri di una società e l'identificazione dei membri della società con i valori di
riferimento) e come fattore di mutamento sociale in quanto la trasgressione diffusa dell'ordine
morale condiviso può portare ad un cambiamento degli orientamenti normativi.
Durkheim, nei suoi studi sul suicidio, mette in relazione i comportamenti devianti con le condizioni
di anomia, ovvero la deregolamentazione che avviene nella società quando i legami sociali si
indeboliscono e la società stessa non è più in grado di regolare i sentimenti e le scelte d'azione
degli individui, disgregazione di valori condivisi e assenza di punti di riferimento. Durkheim sviluppa
il concetto di anomia nel suo studio sul suicidio (1897). Egli studia l’andamento dei tassi di suicidio
ed elabora una tipologia del suicidio classificandone le cause:
• il suicidio egoistico: diffuso in gruppi sociali in cui il grado di integrazione è meno elevato;
• Il suicidio altruistico: la spiegazione risiede in un eccesso di attaccamento al gruppo;
• il suicidio anomico: quando il potere delle norme sociali, che dovrebbero regolare la loro
condotta individuale, si affievolisce e i membri della società perdono i loro “punti di riferimento”.
Con la Scuola di Chicago si sviluppa la prospettiva ecologica secondo cui gli esseri umani
sono visti come “animali sociali” modellati dalla loro interdipendenza con gli altri e dalla loro
dipendenza dalle risorse dell’ambiente in cui vivono. I campi analizzati riguardano la configurazione
urbanistica, le relazioni sociali fra gruppi, l’immigrazione in modo da poterli descrivere,
comprendere e affrontare. La comunità che questa scuola studia è la città che si presenta come
insieme di aree naturali ideale per studiare cause e dinamiche del comportamento umano. La
città tende ad espandersi secondo un modello naturale, mediante centri concentrici che si
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irradiano dalla zona centrale e in cui si sviluppano relazioni simbiotiche ed organiche che uniscono
gli individui tra di loro e li rendono simili, attraendo i simili e respingendo i diversi. Si parla di
contagio sociale per intendere che gli abitanti della città sviluppano stili di vita e valori comuni
rafforzando i propri comportamenti. In alcune particolari regioni morali della città i devianti si
associano ad altri individui devianti rafforzando così disposizioni innate e offrendo razionalizzazioni
e modelli normativi differenti da quello dominante. La violazione delle norme è legata alla crisi o
all’assenza delle istituzioni tradizionali della comunità, della famiglia e delle relazioni sociali
primarie. Con il concetto di disorganizzazione sociale si indica la “diminuzione dell’influenza
delle regole sociali di comportamento esistenti sui membri individuali del gruppo” e dall’assenza di
nuovi modelli normativi e nuove istituzioni in grado di sostituire le regole esistenti. Alcuni processi
come l’immigrazione, l’urbanizzazione o l’industrializzazione, portando in contatto tra loro persone i
cui comportamenti e riferimenti valoriali e normativi sono differenti, possono favorire
l’indebolimento delle relazioni sociali primarie rendendo la comunità locale non più in grado
di esercitare un efficace controllo sociale sui propri membri. Segue così la demoralizzazione ovvero
il calo dell’influenza delle regole sociali di condotta sui membri di un gruppo che produce una
disorganizzazione personale all’origine di molte patologie sociali (social problems, i principali sono
criminalità, prostituzione e alcolismo), le quali sono osservate attraverso lo studio di comunità.
Va sempre considerata la dimensione temporale cioè l’analisi delle vicende individuali e della vita di
una comunità come processo.
TEORIA DEL CONFLITTO CULTURALE -> SELLIN 1938
Il conflitto culturale è insito in tutte le società; secondo questa teoria le definizioni legali, di
ciò che è criminale e di ciò che non lo è, sono relative poiché cambiano nel tempo come
risultato dei cambiamenti nelle norme di condotta. Il contenuto di tali norme varia da cultura a
cultura, i gruppi sociali che detengono il potere politico impongono le proprie norme di condotta
ai gruppi subordinati. Il contesto sociale cui fanno riferimento gli studiosi della Scuola di Chicago
è caratterizzato da una forte immigrazione che mette per la prima volta a contatto culture fra
di loro differenti anche sotto il profilo delle norme di riferimento.
Questi autori notano come possa essere l’osservanza delle norme di condotta della propria
cultura ad indurre i soggetti ad adottare comportamenti che violano le norme di condotta della
cultura dominante all’interno della quale quel comportamento sarà definito come atto deviante.
Secondo la teoria del conflitto culturale, quindi, il deviante non è un soggetto “patologico”, ma è
un individuo che si è conformato alle norme di condotta della propria cultura.
Sellin distingue due tipi di conflitto culturale:
• primario: le norme di una determinata cultura sono considerate devianti nell’ambito di
un’altra cultura;
• secondario: nell’ambito di una stessa società alcuni dei suoi membri considerano normale un
comportamento che altri definiscono come deviante.
Oggi il problema si presenta in forme rinnovate: nelle società segnate nuovamente da fenomeni
di immigrazione, si parla di pluralismo normativo e delle sue conseguenze sul piano giuridico
e sociale.
★ POLITICHE E MODELLI DI INTERVENTO: Si propongono politiche che rafforzino i
legami sociali e che rendano più efficace il controllo informale della società. Bisogna
anche puntare al miglioramento delle condizioni di vita soprattutto nei contesti
territoriali degradati. Va promossa anche l’integrazione degli immigrati.
Struttural-funzionalismo: La società è vista come una “totalità di strutture sociali e culturali tra
loro interdipendenti, ciascuna delle quali fornisce un particolare contributo – detto funzione – a
favore del mantenimento di condizioni essenziali per l’esistenza e la riproduzione del sistema
sociale osservato”. Il sistema sociale è quindi in uno stato di equilibrio, che si caratterizza per:
- un sistema normativo condiviso dai propri membri;
- il ruolo della socializzazione primaria e secondaria attraverso cui si apprende come agire in modo
conforme alle aspettative di ruolo. Il deviante è un soggetto che, per una socializzazione
inadeguata, agisce violando tali aspettative.
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Merton elabora la teoria della tensione fondata sul deficit di rilevanza attribuita ai valori che
inducono all’utilizzo di mezzi riconosciuti come legittimi per prevenire agli obiettivi cui tutti devono
aspirare. Il deficit è nei processi di socializzazione che non assicurano un’adeguata attenzione
all’esigenza di adottare mezzi legittimi. Merton essendo esponente dello strutturalfunzionalismo ritiene che ogni sistema sociale è costituito dalla struttura sociale (ruoli rivestiti dal
membro del sistema a cui corrispondono dei riconoscimenti) e da quella culturale (costituita dalle
mete a cui aspirano gli individui e dai mezzi legittimi per perseguirle, questi mezzi sono dati da
norme istituzionalizzate nel tempo a cui la maggioranza attribuisce valore). Le mete sono
diversamente accessibili per gli appartenenti al sistema a seconda della collocazione nella struttura
dei ruoli che sono legati a status differenti. Merton considera il comportamento deviante come il
prodotto della struttura sociale e culturale. Il criterio dell’accettabilità dei diversi mezzi per
raggiungere le mete “non è dato dall’efficienza tecnica”, ma da norme istituzionalizzate a cui la
maggioranza dei membri della società attribuisce valore e che definiscono i mezzi legittimi.
Merton riformula la teoria dell’anomia di Durkheim per cui essa non è più una condizione che
mina la capacità di una società di regolare il comportamento degli individui (cfr. Durkheim), ma è
una condizione della società in cui vi è un contrasto/dissociazione tra l’enfasi/importanza che si
pone sulle mete culturalmente indotte dal sistema sociale e la scarsa importanza che si riserva ai
mezzi legittimi che devono essere utilizzati per raggiungerle.
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La devianza è “un sintomo” di tale dissociazione: quando mete e mezzi istituzionali sono poco
integrate, si verifica la demoralizzazione (le norme perdono il loro potere di regolare il
comportamento degli individui) --> ogni mezzo può diventare ammissibile per raggiungere i propri
obiettivi. Il deviante è un soggetto che, per una socializzazione inadeguata, agisce violando le
aspettative di ruolo.
Gli individui che vivono in un contesto culturale nel quale vi sia una tensione tra le mete da
raggiungere e le procedure istituzionalizzate per realizzarle possono reagire a questa tensione in 5
modi detti tipi di adattamento (riferiti alla meta culturale del successo economico):
Conformità = gli individui si conformano tanto al criterio del successo quanto ai mezzi necessari
per conseguirlo (individuo non deviante)
Innovazione = l’individuo rifiuta i mezzi legittimi per conseguire il successo economico e si affida a
quelli illegittimi, in particolare al crimine (il criminale “classico”)
Ritualismo = l’individuo abbandona la meta del successo economico ma continua a rimanere
vincolato alle norme istituzionali (il “burocrate”)
Rinuncia = si abbandonano sia le mete che i mezzi (il barbone, il “drogato“, il malato di mente)
Ribellione = l’individuo rinuncia a mete e mezzi istituzionali, ma per sostituirli con altri (il
rivoluzionario)
Le teorie delle subculture ampliano le teorie di Merton affrontando le forme di devianza
collettiva, e ritengono che la sua origine sia determinata dalla tensione strutturale esistente tra
mete e mezzi e considerano il comportamento deviante un adattamento collettivo
piuttosto che individuale. Cohen evidenzia come molti comportamenti criminali siano
commessi da gruppi di ragazzi piuttosto che da singoli individui, gruppi di una stessa
subcultura (insieme di norme di valori che orienta le azioni e si differenzia dalle norme dei valori
della cultura dominante) che nasce quando più individui sperimentano l’impossibilità di dare
soluzione ai loro problemi ed emergono standard di gruppo ed un quadro di riferimenti condivisi.
La subcultura deviante viene elaborata dai giovani maschi della classe operaia e dà luogo a
comportamenti collettivi di violazione delle leggi e ciò che li caratterizza non è la ricerca dell’utile
ma è la gratuità, la malignità e la distruttività. Cohen spiega questa devianza con 2 concetti:
la frustrazione di status e la ricerca di un adattamento collettivo, confermando che se
l’origine della devianza è strutturale, la fonte di tensione principale è la consapevolezza delle
difficoltà del raggiungimento di uno status, da cui ne derivi considerazione sociale. Delinea poi
3 soluzioni al problema di adattamento: impegnarsi nello studio, adattarsi allo stile di vita della
classe operaia o adottare la soluzione delinquente. Il problema principale è quindi il deficit di
opportunità legato alla condizione.
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Cloward e Ohlin con la teoria delle opportunità differenziali ampliano la riflessione sulla
struttura illegittima delle opportunità. Infatti, evidenziano che il soggetto che ritiene di non
farcela con i mezzi legittimi, non per forza ha accessibilità a qualunque mezzo illegittimo. La
subcultura conflittuale caratterizza un tipo di banda i cui membri ricorrono alla violenza per
acquisire uno status, si sviluppa negli slums in cui c’è un’organizzazione sociale instabile e non
si possono usare i mezzi legittimi ma neanche quelli illegittimi. In questo caso l'individuo mette in
discussione la legittimità del sistema e può alienarsi dalle regole sociali convenzionali.
Perché si crei una subcultura è necessario che si verifichino alcuni presupposti:
• i giovani “devono liberarsi dell’adesione e della credenza nella legittimità di certi aspetti della
esistente organizzazione dei mezzi”.
• si uniscono ad altri nella ricerca di una soluzione anziché tentare di risolvere da soli.
• devono essere forniti di mezzi adeguati per controllare le emozioni che esperiscono in seguito al
compimento degli atti devianti.
• infine è necessario che non siano ostacolati dal ricorso ad una risoluzione collettiva dei problemi.
Due altri fattori possono contribuire alla stabilizzazione di queste subculture:
1. Il tipo di organizzazione sociale dello slums che tende a promuovere subculture
delinquenziali distinte in base al:
• grado di integrazione tra trasgressori di differenti livelli di età
• grado di integrazione tra criminali e non-criminali
2. La reazione sociale degradante ed escludente degli adulti e delle istituzioni della comunità agli
atti collettivi di devianza contribuisce al consolidamento della subcultura delinquente.
La subcultura conflittuale è caratterizzata da un tipo di banda i cui membri ricorrono alla
violenza per acquisire uno status. Si sviluppa negli slums caratterizzati da un'organizzazione sociale
precaria ed instabile. La comunità non organizzata non è in grado di fornire i giovani l'accesso ai
mezzi legittimi per perseguire il successo economico e non si può sviluppare una struttura illegale
di opportunità.
La subcultura criminale è quella i cui membri utilizzano mezzi illegali per procurarsi denaro. I
comportamenti illegali sono considerati mezzo per raggiungere il successo.Tende a nascere negli
slums integrati in cui vi sono stretti legami tra i criminali di differenti livelli di età e fra soggetti
criminali e soggetti non criminali. Il comportamento criminale viene appreso interagendo con i
membri adulti delle organizzazioni criminali. Lo stretto legame dei criminali con la società
convenzionale favorisce la stabilità del ruolo criminale e l'organizzazione criminale è stratificata in
base all'età degli adulti criminali esercitano un efficace controllo sociale sulla condotta dei giovani.
La subcultura astensionista qualifica un tipo di banda in cui si consumano droghe ed i suoi
membri vivono in una condizione di doppio fallimento: non sono riusciti a perseguire il successo né
con i mezzi legittimi né con quelli illegittimi. Per questo si astengono e si concentrano in attività
volte ad ottenere il denaro necessario per acquistare le droghe.
★ POLITICHE E MODELLI DI INTERVENTO: con la teoria della tensione e delle
subculture si propongono obiettivi per favorire il raggiungimento delle mete sia a livello
strutturale sia a livello culturale. Le politiche strutturali propongono di intervenire sul
ineguale distribuzione delle risorse e sulla distribuzione di opportunità attraverso
la creazione di posti di lavoro, il miglioramento del rendimento scolastico e la riduzione
della dispersione scolastica, l'offerta di servizi sociali è l'istituzione di programmi di
formazione professionale per soggetti svantaggiati. Le politiche culturali propongono
interventi per contrastare le tendenze che inducono le persone ad attribuire più importanza
alle mete che alle procedure istituzionalizzate che si dovrebbero seguire per raggiungerle,
mediante un intervento nel processo di socializzazione degli individui appartenenti a
gruppi sociali svantaggiati aiutandoli ad interiorizzare l'importanza dell'uso dei mezzi
istituzionali nel perseguimento delle proprie mete; si può inoltre intervenire con una
modifica degli obiettivi che la società prescrive agli individui.
3. Le carenze educative, relazionali, sociali (NON PRESENTE NELLE SLIDES)
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Questa questione è al centro di numerose spiegazioni dei comportamenti devianti, particolarmente
dalla seconda metà del ‘900. Essa sostiene che vi sia una socializzazione incompiuta e con pochi
riferimenti valoriali e normativi (abbandono precoce, carenze educative delle famiglie, povertà
culturale, assenza di ambiti di interazione sani, difficoltà occupazionali). In questo contesto il tema
della devianza incontra quello della marginalità di molti territori e gruppi sociali che li abitano.
In essi vi è emarginazione sociale, povertà culturale e deprivazione economica. Hirschi considera le
carenze legate ai legami sociali e nota diversi fattori:
-attachment: ovvero l’attaccamento agli altri;
-commitment: il coinvolgimento: grado di tempo e energia dedicate alle attività conformi e sane;
-involvement: l’impegno nell’investimento in attività come lo studio e il lavoro e il mantenimento
di buoni rapporti con gli altri;
-belief: la convinzione della validità delle norme sociali e giuridiche e quindi l’obbedienza a esse
come obbligo morale.
La mancanza di questi è il risultato di deficit educativi attribuibili ai genitori e induce una scarsa
capacità di controllo di sé che favorisce la violazione delle norme. Questo è al centro della teoria
dell’autocontrollo di Gottfredson e Hirschi che ritengono di poterla applicare a tutti i tipi di reati.
Il paradigma delle presenze o dei condizionamenti forti
Sono sia teorie che puntano sulla rilevanza dell’apprendimento di modelli devianti ma anche
che attribuiscono la responsabilità ai processi di definizione ed etichettamento.
1. L’apprendimento del comportamento deviante
Teoria procedurale della devianza, in quanto risponde alla domanda come gli individui
diventano devianti. Teoria proposta da Edwin Sutherland che ricerca sulla criminalità dei colletti
bianchi interessandosi quindi ai comportamenti criminali di soggetti diversi da quelli che sono
solitamente studiati. Si impegna così a studiare i comportamenti criminali nei luoghi meno scontati:
imprese, mondo degli affari e del commercio. Per Sutherland il comportamento deviante può
essere appreso da chiunque, indipendentemente dalle sue condizioni economiche e sociali, nello
stesso modo in cui si apprendono quelli conformi, ovvero nelle interazioni sociali mediante i
processi di comunicazione. Quindi, se il comportamento deviante è appreso come tutti gli altri, può
prodursi in qualunque situazione sociale. Questa teoria si rifà a 3 concetti: conflitto culturale e
normativo, organizzazione sociale differenziale e associazione differenziale. Il punto di
partenza è che le società moderne sono caratterizzate dalla compresenza di molti gruppi sociali che
possono entrare in conflitto tra loro poiché hanno diverse tradizioni culturali e diversi riferimenti
normativi. Più una società è socialmente differenziata, maggiore è la possibilità che ci siano
conflitti. Per organizzazione sociale differenziale si intende che tutti gli individui si aggregano
a uno dei diversi gruppi compresenti all’interno della società, differenziandosi dagli appartenenti
agli altri gruppi, al contrario della disorganizzazione sociale che fa pensare che gli individui possono
essere privi di riferimento. Con associazione differenziale intendiamo il processo con cui gli
individui apprendono il comportamento criminale in associazione con modelli criminali. Sono le
differenti opportunità di associazione che possono indurre alcune persone ad avere atteggiamenti
devianti. Attraverso questi concetti Sutherland si propone di spiegare sia le variazioni dei tassi
di criminalità in una società sia il comportamento criminale individuale. L’associazione, che
permette l’apprendimento, ha un carattere processuale ovvero un processo di acquisizione
dell’identità deviante. Vi sono 9 asserzioni che indicano i passaggi necessari affinché un individuo
adotti comportamenti criminali:
-il comportamento criminale è appreso;
-è appreso nell’interazione con altre persone nel processo di comunicazione;
-la parte fondamentale del processo avviene nel gruppo di persone in stretto rapporto tra loro;
-l’apprendimento comprende le tecniche adatte alla commissione del reato (semplici o complesse)
e l’orientamento delle motivazioni (utile, opportuno o necessario);
-orientamento favorevole o meno al rispetto delle leggi per quel determinato comportamento;
-ci si orienta al crimine quando si è esposti a discorsi favorevoli alla violazione della legge;
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-essere esposti a definizioni favorevoli produce < o > probabilità di dirigersi al non rispetto delle
leggi a seconda di frequenza, durata, priorità e intensità dell’associazione con quei modelli;
- processo coinvolge i meccanismi naturalmente impliciti in ogni altro apprendimento;
-la differenza fra ladro e lavoratore (che hanno gli stessi bisogni) è che hanno avuto esperienze
diverse di associazione con modelli criminali .
Nella sua spiegazione del comportamento criminale Sutherland individua da una parte i processi
che agiscono nella storia antecedente dell'autore del reato ( spiegazione storica o evolutiva) =
focus sulla persona, dall'altra i processi che agiscono nel momento in cui il reato si verifica
(spiegazione situazionale o dinamica ) = focus sulla situazione. Entrambe le spiegazioni devono
essere prese in considerazione in quanto un atto criminale viene compiuto quando nella definizione
dell'individuo che lo mette in atto si presentano situazioni considerate appropriate ad esso
I colletti bianchi sono persone collocate in ruoli di rilievo nelle organizzazioni economiche e nel
mondo del lavoro addestrate alla commissione di reati o di illeciti per perseguire quegli obiettivi di
arricchimento e successo negli affari che la cultura dominante propone. Questo tipo di criminale
apprende il proprio comportamento a contatto con il gruppo sociale di riferimento i cui
soggetti definiscono favorevolmente la violazione delle leggi. Questi fanno parte del numero oscuro
poiché questi reati sono più difficili da scoprire. Sutherland propone 3 considerazioni: i danni
economici prodotti dalle attività illegali dei potenti superano molto quelli derivanti dalla criminalità
comune; provocano guasti nelle relazioni sociali (intaccano la fiducia nelle istituzioni); sono capaci
di impedire la reazione sociale poiché grazie all’appartenenza di classe riescono ad opporsi
facilmente all’azione delle agenzie di controllo ed anche una volta condannati, la posizione
sociale, lo status e le relazioni gli permettono di mantenere la reputazione e evitare l’esclusione
sociale.
Matza svolge una critica agli studiosi che teorizzavano l’alterità della cultura del deviante rispetto a
quella conformista e sostiene che i fenomeni considerati patologici sono solo modelli differenziati
che provocano disapprovazione. Se si guardano dal punto di vista del deviante ci si accorge che
non vi è una distinzione assoluta fra devianza e normalità. Matza afferma che fra fenomeni devianti
e normali si verifica la paradossale situazione per cui proprio chi dovrebbe prevenire e reprimere i
devianti contribuisce a produrre ciò da cui la società vuole difendersi. Si giunge a 2 conclusioni: le
persone pubblicamente e tradizionalmente rispettabili partecipano più o meno frequentemente a
un’attività deviante (devianza comune e diffusa) e che l’opzione del soggetto verso il
comportamento trasgressivo non è il rifiuto della morale corrente ma l’apprendimento e l’utilizzo
delle tecniche di neutralizzazione nei confronti dei vincoli normativi diffusi a livello sociale,
forme di giustificazione della devianza. Queste tecniche sono delle razionalizzazioni, in
forma di negoziazione, che possono essere espresse sia ex ante l’atto deviante, rendendolo
possibile, sia ex post, per giustificarlo. Queste tecniche permettono al deviante di essere libero
dal legame morale con le leggi che vuole violare e costituiscono una componente fondamentale,
che viene appresa nella relazione con il gruppo sociale di riferimento, delle definizioni favorevoli
alla violazione della legge.
Matza e Sykes individuano 5 tecniche di neutralizzazione:
-diniego dalle responsabilità: le azioni attuate sono il prodotto di forze incontrollabili (non
intendevo farlo);
-diniego dal danno arrecato: le azioni realizzate non hanno arrecato alcun danno serio (non ho
fatto male a nessuno);
-diniego della vittima: essa meritava di subire il danno poiché precedentemente si era
comportata male (se lo meritava);
-la condanna di chi condanna: chi mi condanna è ipocrita e animato da pregiudizi e risentimenti
e persegue i propri interessi, è imparziale e ingiusto (tutti ce l’hanno con me);
-richiamo a obblighi di lealtà più alti: è motivato da valori in cui si crede, obbedienza,
conformità, subordinazione gerarchica o lealtà (non l’ho fatto per me stesso).
Cohen invece parla di negoziazioni: letterale (sono innocente), interpretativa (non è ciò che
sembra) e implicita (anche se illecito ne vanno considerate le motivazioni) e di giustificazioni:
discorsi che gli individui fanno tra sé per evitare le conseguenze del loro comportamento.
22
A queste negazioni e giustificazioni va aggiunta anche la diffusione della responsabilità o cinismo: il
comportamento è diffuso, tenuto dalla maggioranza, in particolare da chi ha più responsabilità o è
al potere come i politici che rubano.
Infine, vanno ricordate le scuse o il diniego della volontà di fare del male. Questi discorsi possono
anche essere pronunciati ex ante.
★
POLITICHE E MODELLI DI INTERVENTO: Secondo la teoria dell’associazione
differenziale bisogna contrastare l’associazione precoce con i gruppi o modelli criminali,
favorire dei modelli di aggregazione giovanili nelle scuole, nelle attività sportive
e nell’associazionismo, promuovere interventi con programmi di comunità con lo scopo
di diffondere modelli normativi favorevoli alla legge. Dalla teoria della neutralizzazione si
propone di rendere inefficaci i meccanismi di razionalizzazione dei comportamenti devianti,
comunicando messaggi che interiorizzino valori che riducano la neutralizzazione. Con
l’approccio delle presenze forti si propongono degli interventi rieducativi (misure sociali
e istituzioni apposite) con enfasi sul piano delle relazioni sociali. Sulle politiche per
contrastare i crimini professionali, si cerca di rafforzare non solo la reazione del sistema
penale ma anche le reazioni sociali di condanna. Vengono favorite anche iniziative di
promozione della legalità.
Reazione sociale, devianza secondaria, carriere nella prospettiva interazionista
La teoria interazionista della devianza (teoria dell’etichettamento) è una delle prospettive
che emerge negli anni ’60 nella Nuova Scuola di Chicago, i cui componenti sono detti labelling
theorists. La teoria rappresenta il punto di confluenza di prospettive teoriche di impostazione
pluralista e conflittuale emerse negli Stati Uniti e accomunate dall’insoddisfazione per la
sociologia struttural-funzionalista dominante. Questi autori ribaltano il ragionamento secondo il
quale la reazione sociale alla devianza dovrebbe ridurre i comportamenti criminali e quindi
rafforzare la coesione sociale. Il controllo sociale nella loro visione non è più la risposta della
società al comportamento deviante ma diventa un fattore criminogeno che spiega il
comportamento deviante stesso. Il clima in cui si sviluppa è quello delle tensioni sopite, del
risveglio politico dei cittadini e dell’emergere di una nuova sinistra ma anche delle lotte dei
movimenti degli afroamericani, dei giovani e del femminismo che propongono valori e stili di vita
profondamente diversi da quelli che caratterizzano l’American way of life (Merton). Matura così una
concezione relativistica della devianza ed il gruppo dei sociologi della Nuova Scuola di Chicago
rivaluta l’individuo come attore sociale e pone al centro di interesse anche le definizioni con cui gli
altri qualificano il suo agire. Il concetto di devianza è relativo in quanto modificabile nel
tempo, nello spazio e in relazione ai soggetti agenti. La devianza è una proprietà che viene
conferita ad alcuni atti dalla reazione sociale di coloro che vengono a contatto con essi ed è il
prodotto del processo interattivo tra coloro che creano e fanno applicare le norme e coloro
che le infrangono e vengono etichettati come devianti. L'attenzione si sposta dall'analisi del
comportamento/delle caratteristiche dei devianti ai processi attraverso i quali si diventa devianti.
Howard Becker (da non confondere con Gary Becker v. più avanti teorie neoclassiche) afferma
che i gruppi sociali creano la devianza istituendo norme la cui infrazione costituisce la devianza
stessa, applicando quelle norme a determinate persone e attribuendogli l’etichetta di outsiders. La
devianza è così una conseguenza dell’applicazione di norme e sanzioni nei confronti di un
colpevole. Un comportamento è deviante poiché la gente lo etichetta come tale. La reazione
sociale si esprime sul livello informale nei processi di stigmatizzazione e marginalizzazione e
su quello istituzionale a opera delle agenzie di controllo. La devianza è un processo attraverso il
quale i membri di un gruppo: interpretano un comportamento come deviante; etichettano gli
individui che si comportano così e riservano loro il trattamento considerato appropriato per tali
casi. Con la stigmatizzazione si contrassegnano pubblicamente le persone come moralmente
inferiori mediante etichette negative e di conseguenza l’individuo perde il rispetto e la
considerazione. Ci sono 2 conseguenze: piano personale e piano sociale. Sul piano personale
la formazione dell’identità deviante (immagine di sé negativa e rapporto problematico con le
relazioni e le opportunità “normali”) ed anche l’identità pubblica (il soggetto può essere stato
23
scoperto ed etichettato pubblicamente come deviante e per questo acquisire un nuovo status nelle
relazioni sociali, oppure può subire le reazioni istituzionali ufficiali essere internato nelle istituzioni
totali deputate al trattamento dei devianti). Sul piano sociale le etichette applicate agli individui
hanno effetti molto concreti, poiché dalla costruzione di un modello stabile di comportamento
deviante discendono conseguenze reali per le persone implicate nelle relazioni sociali (un
innocente considerato deviante porterà il peso di conseguenze concrete che cambieranno la sua
vita; la mancata scoperta come criminale di qualcuno che ha commesso un crimine consentirà al
soggetto di continuare ad essere considerato una brava persona mantenendo intatte le sue
condizioni di vita).
I labellist fanno riferimento ai contributi della psicologia sociale, in particolare di Mead, sui
processi che presiedono alla definizione del sé nella relazione con gli altri, in quanto l'attribuzione
dell'etichetta di deviante a determinati comportamenti e a chi li pone in essere contribuisce in
maniera rilevante a ridefinire l'identità personale e pubblica del soggetto, restituendogli
un'immagine di sé caratterizzata da tratti di negatività associati alla qualifica di deviante e
rendendo più problematico il suo rapporto nelle relazioni e nelle opportunità normali. Per Mead
l’identità (il sé) è il prodotto dell’interazione fra l’io (parti originali della personalità) e il me (ciò che
penso che gli altri pensino che io sia).
Il focus dell'analisi si concentra su tre importanti tematiche:
la formazione delle norme
Le norme sono il prodotto dell’azione sociale di gruppi sociali e attori collettivi interessati a tutelare
interessi e valori di cui sono portatori. Per spiegare il processo attraverso cui questi definiscono
deviante/ criminale un determinato comportamento sociale occorre ragionare su:
● quali attori sociali hanno assunto l’iniziativa di proporre nuove norme (Becker li definisce
“imprenditori morali”= attori dotati di particolari competenze che orientano il contenuto
e la promulgazione della legge. Becker riporta l'approvazione del marijuana Tax Act del
1937, in cui i dirigenti del Bureau of narcotics orientarono la loro azione sull'appoggio di
altre organizzazioni interessate alla promulgazione di una legge proibizionista e all'influenza
dell'opinione pubblica attraverso i mezzi di comunicazione di massa senza concedere alcun
posto nel dibattito pubblico al punto di vista dei consumatori di marijuana). p.29
● quali sono i valori e – soprattutto – gli interessi di cui sono portatori
-
l'applicazione delle norme
L'applicazione delle norme è selettiva: la reazione sociale non è orientata da criteri oggettivi
ma è espressione delle scelte e degli interessi di coloro che hanno il potere di
etichettamento, delle prassi e dei vincoli organizzativi che regolano l'attività delle istituzioni
deputate al controllo sociale. Non tutti coloro che violano le norme sono “etichettati” come
devianti, così come occasionalmente possono essere etichettate come devianti persone che
non hanno violato le norme. Occorre inoltre l'attivazione diretta di un membro della società
o l'attivazione delle agenzie deputate al controllo sociale. Si ha quindi reazione sociale quando
si crea un etichetta deviante e questa viene applicata. Becker afferma che occorre distinguere
tra l'effettivo comportamento messo in atto dagli individui e la percezione sociale dello
stesso (Innocente considerato colpevole di un determinato reato porterà il peso di
conseguenze concrete che cambieranno la sua vita; all'opposto un criminale non scoperto
continuerà ad essere considerato un cittadino onesto). Vi sono dei gruppi che sono più esposti
alla reazione sociale come per esempio gli individui che appartengono a gruppi sociali dotati di
minore potere nella società per razza, genere, classe sociale..., i membri di gruppi che
risiedono in ambiti territoriali criminogeni, gli individui dal cui aspetto e
comportamento si può inferire che sono portatori di valori diversi da quelli dominanti, le
persone che sono già state stigmatizzate come gli ex detenuti.
-
le conseguenze dell'etichettamento sugli individui
Lemert descrive il processo attraverso cui la persona etichettata riorganizza la propria identità
e la propria vita intorno all'orientamento deviante, individuando due momenti di questo
processo: devianza primaria = allontanamento più o meno temporaneo/importante di chi lo
attua da valori e norme sociali e/o giuridiche; devianza secondaria = esito del processo di
24
interazione tra il deviante e coloro che lo stigmatizzano. La devianza ripetuta diviene mezzo di
attacco, difesa o adattamento nei confronti del problema. Lemert sottolinea come occorra
distinguere tra i tipi diversi di devianza evitando di cadere in posizioni deterministe per cui
l’applicazione di una etichetta conduce inevitabilmente a percorsi di vita segnati da essa.
L'obiettivo della sociologia diventa spiegare come funziona il processo attraverso cui le persone
etichettate acquisiscono progressivamente uno status e un'identità deviante, per cui il
comportamento deviante deve essere studiato ricorrendo a modelli processuali, diacronici
(evolvono col tempo). -> CARRIERA DEVIANTE: processo attraverso cui un individuo arriva a
vivere la propria devianza come elemento naturale della propria identità; i mutamenti di stato
nell'ambito di una carriera possono anche dipendere da fattori casuali e contingenti (contingenze di
carriera) e possono essere più o meno improvvisi e radicali.
Becker presenta un modello di carriera deviante articolato in 4 fasi: violazione della norma
(devianza primaria), sviluppo di motivazioni favorevoli alla devianza, etichettamento con passaggio
dalla devianza primaria a quella secondaria e dalla condizione di persona screditabile a quella di
persona screditata, affiliazione a una subcultura deviante. Nella terza fase di sviluppo della carriera
deviante, quando la devianza diventa status egemone, ogni aspetto della vita del deviante è
reinterpretato alla luce della nuova etichetta, per trovare una conferma della sua diversità, della
sua “natura deviante”. Questo processo si configura come una vera e propria profezia che si
autoadempie e, come descritto dal teorema di Thomas, la persona etichettata come deviante
finisce per assumere in sé le caratteristiche che gli sono state attribuite.
Anche il trattamento può ampliare la devianza. Goffman (p. 32); opera: Asylums -> Studio sulle
istituzioni totali = tendono a consolidare lo status e l'identità deviante dei soggetti che
trattano impedendo loro lo scambio sociale, spogliandoli dei ruoli sociali abituali a causa delle
barriere che li separano dal mondo esterno (Perdita progressiva della capacità di interpretare i ruoli
abituali, es. lavoratore, genitore, studente…), mortificando il loro sé (l'identità personale viene
sostituita dal identità dell'istituzione) in quanto li privano della possibilità di gestire la propria
facciata, attribuendo loro l'etichetta di persone istituzionalizzate, limitandone in questo modo le
opportunità di vita anche una volta usciti. In tal senso le istituzioni applicano un processo tipico
dell’istituzionalizzazione, ovvero quello della spersonalizzazione per cui le persone internate, una
volta etichettate, assumono lo status collegato alla definizione della situazione e dell'identità che ne
da l'istituzione, mettendo in ombra tutte le altre caratteristiche personali.
★ POLITICHE E MODELLI DI INTERVENTO: Da questa teoria si propone di ridurre
l’intrusione delle istituzioni nella vita degli individui, perseguendo obiettivi di
ridimensionamento delle reazioni istituzionali e delle risposte penali. Da qui si
sono sviluppate 3 tipi di politiche:
- La depenalizzazione intesa come abrogazione della norma che qualifica come reato un
certo comportamento, nella realtà all’eliminazione si preferiscono sanzioni pecuniarie. La
depenalizzazione è sollecitata soprattutto per i reati senza vittima per i quali è proprio la
penalizzazione a produrre il crimine e stigmatizzare chi lo mette in atto (es prostituzione,
consumo di sostanze psicoattive). La legge crea i criminali; la criminalizzazione spinge
coloro che adottano il comportamento proibito a commettere reati che sono collegati ad
esso; la criminalizzazione, proibendo l’acquisizione legale di beni e prestazioni che sono
desiderati da un numero consistente di persone, sviluppa i mercati illegali gestiti dalla
criminalità organizzata; l’esistenza di tali mercati illegali rappresenta un forte incentivo
per la corruzione degli agenti deputati al controllo sociale; le persone, entrando nel
circuito penale, subiscono un processo di stigmatizzazione.
- Le politiche di diversion hanno 2 fondamenti: la prima è legata alla teoria
dell’etichettamento e la seconda riguarda i costi che il sistema giudiziario sopporta per
gestire i processi dei reati minori. Da questa teoria si punta a misure alternative per
allontanare le persone dal sistema penale al fine di evitare l’esperienza di
stigmatizzazione e quella del carcere. Alcuni studi hanno però mostrato gli effetti negativi
delle politiche di diversion:
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-
• Allargamento della rete del controllo sociale: secondo alcuni autori le politiche della
diversion non hanno ridotto il ricorso a politiche di tipo penale ma hanno aumentato il
numero di persone sottoposte a controllo.
• Carattere selettivo delle misure di diversion: sono utilizzate tendenzialmente nei confronti
di alcuni gruppi sociali ed in particolare degli individui che si trovano in condizioni meno
deprivate dal punto di vista familiare, economico e sociale.
Le politiche di deistituzionalizzazione derivano dalla critica alle istituzioni totali. In
alternativa propongono contesti diversi per gestire i condannati, vi sono 2 alternative:
innanzitutto le pratiche di lavoro sociale che consentono alle persone di essere curate o
assistite rimanendo a vivere nel proprio ambiente sociale e familiare (assistenza domiciliare,
servizi di educativa territoriale, servizi psichiatrici territoriali, ecc.); in secondo luogo gli
ambiti di accoglienza residenziale e di trattamento “aperti” (case-famiglia/ comunità) in
cui è favorito lo scambio sociale con il mondo esterno, luoghi destinati a quelle persone che
non possono, per varie ragioni, essere curate ed assistite nel proprio ambiente.
★ POLITICHE E MODELLI DI INTERVENTO: Le teorie critiche: dal determinismo sociale al
realismo di sinistra
Si auspica ad una radicale riforma della legislazione penale, cioè una ridefinizione delle
priorità dei sistemi penali e dei contenuti in direzione della tutela degli interessi delle classi
subalterne e della redistribuzione della ricchezza. Riguardo gli istituti penali vengono proposte
politiche ispirate alla diversion giungendo alle proposte più radicali dell’abolizione del carcere. Si
propongono così misure non afflittive ma responsabilizzanti, riparative o utili alla società. in
diversi paesi hanno avuto più successo le proposte di superamento dell’ospedale psichiatrico come
le istituzioni per il trattamento psichiatrico o le strutture rieducative per gli irregolari o i ribelli. Le
soluzioni proposte dal realismo di sinistra cercano di assumere il punto di vista delle vittime e
per questo puntano a promuovere politiche di impegno di lotta alla criminalità economica e
organizzata e di prevenzione basate sulla maggiore giustizia sociale, sull’integrazione e sul
coinvolgimento delle comunità locali nel controllo del territorio per ridurre i rischi di
vittimizzazione e sul controllo dell’operato della Polizia affinché non operi in modo selettivo e
discriminatorio verso alcuni gruppi di popolazione, prevenzione della sicurezza urbana nelle
forme democratiche. I realisti condividono la depenalizzazione e il controllo dei reati dei colletti
bianchi.
Il ritorno alla centralità dell’individuo
Verso la fine del ‘900 si ritorna a considerare la responsabilità individuale (pendolo). Questo è in
linea con le società postmoderne e la globalizzazione in cui si ridefinisce l’immagine ideale
dell’uomo come individuo libero e indipendente e di conseguenza, anche responsabile unico
dei propri errori e fallimenti. In alternativa, se vi sono dei segnali di comportamento non
pienamente razionali si propone l’idea di un uomo segnato da deficit personali che lo rendono
predisposto naturalmente al crimine e alla devianza. Da qui si diffondono il paradigma
neoclassico e quello neopositivista.
Le teorie neoclassiche
Diversamente dal paradigma classico di epoca illuminista, l’individuo viene concepito come attore
che effettua delle scelte, da un lato, in un quadro di vincoli e opportunità in base a regole
sociali e desideri e, dall’altro, a partire da valutazioni soggettive. Gli individui scelgono
l’alternativa per loro migliore, la quale non necessariamente è tale in modo oggettivo. Il
crimine è dunque il risultato di decisioni consapevoli del criminale ma anche date da certe
situazioni, condizioni, bisogni, interessi e dati certi orientamenti e certe credenze interiorizzate.
In questo periodo si sviluppano le teorie dell’azione che sostengono che per spiegare i fenomeni
sociali è necessario partire dal punto di vista degli attori. Ottiene successo Gary Becker
secondo il quale i criminali sono attori razionali mossi da desideri di massimizzazione del proprio
benessere. L’individuo compie un crimine se l’utilità di questo supera la soddisfazione che
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potrebbe derivare dall’attività legale. Il diritto penale è efficace solo imponendo costi alle attività
criminali in modo da dissuaderle dal commettere il reato.
a) l’azione è uno strumento per realizzare determinati fini;
b) gli individui scelgono l’alternativa secondo loro migliore;
c) nessun individuo è in grado di raccogliere tutte le informazioni possibili per scegliere l’azione
migliore né di prevedere con certezza gli esiti di quanto scelto.
●
●
●
La teoria della scelta razionale, (Cornish e Clarke) che segue quella di G. Becker (i criminali,
così come i consumatori nel libero mercato, sono attori razionali mossi dal desiderio di
massimizzare il proprio benessere), elabora un modello di spiegazione del processo
decisionale e si basa sulla consapevolezza che la razionalità dell’uomo è limitata e che i
vantaggi che le persone possono ottenere dal loro comportamento non sono solo
strumentali. Per cui l’atto criminale è un tentativo di fare fronte ai bisogni ordinari attraverso
un processo decisionale che avviene in decisioni di coinvolgimento (Relative alle scelte di
essere coinvolti, continuare o desistere nell'attività criminale) e decisioni di evento (di
carattere strategico, tattico, finalizzate a commettere uno specifico reato). Il primo tipo non è al
centro delle preoccupazioni, mentre ci si focalizza di più sul secondo ovvero sulle situazioni in
cui gli individui interessati a perseguire un determinato obiettivo scelgono di agire anche
violando le leggi. Ci si focalizza infatti sulle variabili di contesto = situazione nella quale
l’individuo agisce e non sulle motivazioni. Ne consegue che occorre intervenire per modificare la
struttura delle opportunità.
L’approccio delle attività abituali, di Cohen e Felson, cerca di spiegare la variazione nel
tempo e nello spazio dei tassi di criminalità e di vittimizzazione. Considerano così le
attività abituali, cioè quelle che le persone svolgono regolarmente per soddisfare i loro bisogni e
interessi. Da queste si definiscono le differenti opportunità di contatto fra chi è intenzionato
a commettere un reato e la sua vittima. Ci sono 3 elementi che rendono possibile il reato: una
persona disposta a compierlo, un bersaglio idoneo e l’assenza di un guardiano in
grado di impedire che il reato venga commesso (questi sono i comuni cittadini). Da questi si
può spiegare la variabilità dei tassi e le motivazioni dell’agire ovvero la prossimità, la
remuneratività e l’accessibilità.
La teoria degli stili di vita (Hindelang, Gottfredson e Garofano) vuole spiegare la differente
distribuzione del rischio di vittimizzazione degli appartenenti a gruppi diversi. È
importante il concetto di rischio legato alla scelta di stili di vita eterogenei che possono
lasciare spazio alla vittimizzazione (spesso sono i giovani a essere vittime di reati predatori
perché sono i primi a muoversi in spazi aperti e nelle ore notturne). Gli stili di vita sono
influenzati da tre elementi: dal ruolo sociale che le persone ricoprono nella società; dalla
posizione ricoperta nella struttura della società; dalla componente razionale del
comportamento.
★ POLITICHE E MODELLI DI INTERVENTO: Si sono sviluppate 2 tipi di politiche: la
prevenzione situazionale che deriva dal presupposto che chiunque può commettere
reato se si presenta l’occasione favorevole ma anche che il criminale più incallito non
commetterebbe reati se non ci fossero le condizioni per farlo. Per questo ci si concentra
sulle circostanze che favoriscono i comportamenti criminali, riducendo le opportunità di
commissione del reato. La risposta penale si lega all’approccio law and order coerenti con il
nuovo senso comune penale, cioè elaborando nuove funzioni delle istituzioni
penitenziarie in direzione dell’incapacitazione e della neutralizzazione. La
tolleranza zero consiste nel perseguire penalmente anche le minime infrazioni. Si traduce
così in una maggiore attenzione agli spazi pubblici e ai reati della microcriminalità di strada.
Questo è il riflesso del sentimento di insicurezza e della “teoria delle finestre rotte” (se una
finestra è rotta e non viene aggiustata e chi l’ha rotta punito allora verranno rotte altre
finestre). Da qui la risposta penale si orienta fra la funzione retributiva (dare a ciascuno
ciò che si merita) e quella incapacitante (attribuita alle istituzioni penitenziarie secondo
cui chi intraprende volontariamente comportamenti criminali o devianti ne Deve
necessariamente subire le conseguenze. L’esempio estremo di queste leggi è la
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promulgazione in alcuni stati americani che si richiama alla formula 3 strikes and you’re out,
secondo cui al terzo reato l’individuo incorre in una condanna elevata (il doppio di quanto
previsto nel codice penale) o in una pena fissa (es 25 anni). L’obiettivo è che, chi dopo 2
reati continua a scegliere la strada del crimine va allontanato dalla collettività per lungo
tempo.
Le teorie neopositiviste
Secondo il modello bioantropologico la criminalità sarebbe influenzata dalla costituzione biologica e
psichica delle persone. Nel corso del ‘900 si afferma la tesi della ereditarietà della criminalità e
Sheldon individua 3 tipi di individui sulla base della loro struttura fisica: mesomorfi (muscolosi e
attivi), ectomorfi (magri) e endomorfi (grassi). Osserva che i mesomorfi hanno maggiore
probabilità di diventare criminali. Ciò che propone per risolvere il problema è quella
dell’accoppiamento selettivo al fine di eliminare i tipi costituzionalmente nocivi. Vennero poi
considerati anche altri fattori come il temperamento e gli atteggiamenti individuali (rapporto tra
delinquenza e costituzione fisica) Questi tratti sono rafforzati dal fatto di essere educati in
ambienti familiari con molte carenze, per cui questi ragazzi esprimono facilmente le loro tendenze
alla devianza.
Negli anni ’60 si sviluppano anche le teorie legate alle anomalie cromosomiche che vengono
considerate una spiegazione soprattutto della violenza: tra i criminali analizzati molti presentavano
un cromosoma Y in più nella coppia di cromosomi sessuali. In anni più recenti si sono sviluppate
ricerche sulla configurazione delle diverse aree del cervello umano e del suo funzionamento
in relazione agli stimoli esterni. In realtà la particolare configurazione genetica di ciascun
individuo non è condizione né necessaria, né sufficiente per un comportamento specifico.
Al massimo l’ereditarietà può avere un ruolo su un determinato tratto caratteriale come
l’impulsività o l’aggressività ma non possono essere solo giustificate dalla genetica.
Successivamente si considerano anche le tecniche di neuroimaging che sono alla base delle
neuroscienze cognitive moderne e consentono di osservare le anomalie o le lesioni cerebrali e le
attività cerebrali in corrispondenza di determinati stimoli. Da esse è stata messa in luce l’esistenza
di aree del cervello che producono maggiore o minore capacità di autocontrollo, elementi su cui si
sta ancora lavorando e che possono integrare le letture psicologiche e sociologiche delle scelte
individuali. Anche ammettendo che i fattori biologici possano influenzare dei comportamenti, sono
poco utili per spiegare la devianza in generale poiché le devianze sono qualificate culturalmente e
socialmente e attribuite a comportamenti che mutano nel tempo.Ci sono anche autori che
sostengono posizioni semplificatorie, seguite dai non esperti.
Rapporti tra biologia e comportamenti (anche devianti) campo aperto di riflessioni, utili se sempre
si considerano le relazioni tra:
• Modalità di funzionamento del cervello del soggetto agente e la sua progressiva maturazione,
connotazioni peculiari di ciascun individuo (ad esempio le differenti capacità di reazione a
sollecitazioni, stimoli, dunque di autocontrollo)
• La sua razionalità espressione anche di convincimenti e credenze (culturalmente determinate)
• Gli stimoli e le situazioni contingenti sperimentate in concreto, condizionamenti esterni
(bisogni materiali, pressioni culturali)
★ POLITICHE E MODELLI DI INTERVENTO: Nel discorso pubblico si è cercato di ricercare
propensioni che accomunano gruppi di individui appartenenti alla stessa razza, speranza
alimentata dalle considerazioni razziste sull’inferiorità della razza nera. L’interpretazione
deterministica ha dato sfogo ai discorsi politici che possono far intravedere agli elettori i
vantaggi dell’individuazione di una causa certa come promessa per la scoperta del rimedio
sicuro. Si asseconda così le speranze del senso comune, operando una selezione
(screening) precoce degli individui potenzialmente inclini ad essi o orientando le politiche
penali verso l’incapacitazione sulla base di diagnosi genetiche. Questo per pervenire al
raggiungimento di certezze sulle cause dei comportamenti devianti senza complicati intrecci
di fattori poco definiti, per sollevare dalle colpe e dalle responsabilità le famiglie, le
istituzioni educative, l'ambiente prossimo, la collettività tutta, riconducendo l'origine del
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male al malfunzionamento del singolo individuo ed infine per ridurre le grandi ed
improduttive spese per i programmi sociali e di prevenzione, limitandosi a sostenere gli
impegni volti a scoprire ed isolare i soggetti portatori di anomalie e potere così contenere
la loro naturale propensione a nuocere agli altri. Da qui si coltiva la speranza di programmi
e tecniche di inibizione dell’agire di chi può provocare danni a sé o agli altri. Si
aggiungono anche i mezzi farmacologici per contenere gli impulsi, ad esempio la
castrazione chimica. Oggi non si è concretizzato molto ma sono stati un pretesto per
smantellare le politiche sociali ed educative, inoltre, vi è stata una medicalizzazione dei
comportamenti devianti (trattamenti farmacologici e non programmi psicosociali).
4) Che cosa fanno le società per contrastare crimini e devianze? Le politiche e i modelli
di intervento → POLITICHE DI INTERVENTO GIÀ’ CITATE PER OGNI PARADIGMA
La produzione di norme e la creazione del crimine
La devianza e il crimine non esistono in natura, ma lo sono in quanto definiti nella nostra società
da chi è legittimato a farlo. Bisogna soffermarsi sul complesso processo di produzione
normativa, infatti, per arrivare all’elaborazione di nuove norme occorre che si verifichino
condizioni favorevoli al prodursi di decisioni legislative: dalla costruzione sociale dei problemi,
quindi alla loro percezione del senso comune, dai media e nel discorso pubblico, alle domande
che si orientano in direzione del sistema politico, ma anche il ruolo che svolgono i gruppi di
interesse o gli imprenditori morali (Becker), persone che hanno rilievo pubblico nel sollecitare
l’approvazione di provvedimenti su temi che evocano posizioni forti legati alla morale. (es
proibizione della Cannabis negli USA- Marijuana Tax Act). L’imprenditore morale fornisce dati
opportunamente selezionati ai media, magari dopo esserne diventato esperto di fiducia in quanto
capace di assecondare le esigenze di semplificazione e certezze dell’opinione pubblica. È comunque
molto importante il ruolo dei componenti del sistema politico in quanto decisori pubblici, i cui
interessi riguardano il mantenimento ed il rafforzamento del consenso dei cittadini garantito
dall’accoglimento delle loro istanze e di alcune misure per rispondervi. Lo stesso decisore può
anche assumere iniziative e imporre temi e soluzioni per accrescere il consenso intorno a sé.
Controverso è il ruolo degli esperti, in quanto spesso le soluzioni politiche adottate sono il riflesso
del senso comune, rappresentato dai media, dai gruppi di pressione (lobby) e da influenti
imprenditori morali tutti con interessi forti. Molte norme sono dovute alla sollecitudine dei decisori
politici che in realtà ne fanno un utilizzo strumentale delle questioni e dei problemi a fini
esclusivamente di consenso.
Negli ultimi anni si sono affermate normative in materia di controllo delle devianze i cui contenuti
sono spesso ispirati ad una “cultura del controllo” e al “senso comune penale”. Questo è
dimostrato: dall’aggravamento delle sanzioni per i reati di maggiore visibilità; la maggiore severità
nel trattamento dei minorenni; la definizione di misure di controllo per particolari gruppi in quanto
dotati di certe caratteristiche; il rafforzamento della Polizia e la neutralizzazione dei reclusi; la
protezione della sicurezza pubblica. Ma al fianco di questi si sono sviluppate anche posizioni
differenti da quelle dominanti: come l’attenzione alle vittime meritevoli di riparazione dei danni
materiali e morali; la difesa dei consumatori e dei cittadini; la depenalizzazione delle droghe; la
penalizzazione non solo di chi si prostituisce ma anche dei clienti; la severa regolazione dello
spazio virtuale.
Il controllo selettivo come fondamento della criminalizzazione e della devianza secondaria
Se un comportamento non è definito da una norma come criminale esso non lo è, allo stesso modo
è solo nell’interazione con altre persone o con le istituzioni di controllo che un individuo è
socialmente qualificato (etichettato) come responsabile di un comportamento illegale per quella
società. Per parlare dei confini fra lecito e illecito (criminalizzazione primaria) bisogna tener conto
dell’analisi delle fasi e dei processi di applicazione e implementazione delle norme.
Bisogna quindi osservare il rapporto fra la produzione di leggi e la loro applicazione (diritto sulla
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carta e diritto in azione). Vi sono scelte compiute da individui con vari ruoli e responsabilità in
specifici contesti istituzionali volte ad applicare quanto espresso nella norma e a produrre gli effetti
da perseguire. Questo vale anche per l’applicazione del codice penale con le azioni di controllo
delle forze dell’ordine nell’individuare la violazione di divieti. Si tratta qui di verificare l’effettività
della norma, cioè il prodursi di azioni di varia complessità rispondenti a quanto previsto nella
stessa, così da evitare che sia solamente una disposizione sulla carta). È importante anche la
natura della norma: se è una norma semplice, quindi introduce un divieto o un obbligo ad agire e
definisce le sanzioni relative alla sua violazione, si può parlare di effettività della norma se la sua
applicazione avviene con la predisposizione di misure di controllo che inducano alla sua osservanza
(esempio: cintura di sicurezza). Le norme complesse invece, si prefiggono di intervenire su un
fenomeno, e prefigurano interventi e misure per prevenirlo, contenerlo e reprimerlo. Qui si parla di
implementazione ovvero si fa riferimento al processo di messa in atto, da parte di attori
istituzionali, di azioni che danno attuazione al dispositivo normativo. Questo processo è quindi
espressione di scelte relative alla distribuzione di risorse per far funzionare istituzioni e servizi, delle
disposizioni organizzative operate a livello nazionale, regionale e locale, della messa in campo di
strutture e servizi, del reclutamento, dell'attivazione e dell'organizzazione di competenze
professionali. Tutto questo è ciò che necessariamente si deve attivare per rendere effettivo un
qualunque dettato normativo che non esaurisca compiutamente in sé lo spettro delle
possibilità interpretative o applicative. Parlando di efficacia della norma si intende la verifica che
essa abbia raggiunto gli obiettivi dichiarati, soddisfando così le domande dei cittadini, ridotto la
gravità o risolto dei conflitti. Bisogna poi guardare il nesso fra efficacia e effettività. Una norma
non è efficace se non è applicata, ma non per questo se una norma è effettiva è anche efficace.
Alcune volte il rapporto tra effettività ed efficacia è lineare. L’effettività, applicazione estesa
della norma attraverso continui controlli e sanzioni ai trasgressori, e la diffusione di messaggi tesi a
convincere della bontà della misura è anche garanzia della sua efficacia (diminuzione delle morti
dopo obbligo cintura). Per le leggi complesse invece ci sono casi di non raggiungimento degli
obiettivi dichiarati nel momento dell’elaborazione di una norma. Un esempio è la lotta al consumo
di sostanze psicoattive illegali (war on drugs) che ha prodotto un insieme di conseguenze che
hanno aggravato la situazione come l’espansione della criminalità organizzata, la corruzione di
alcuni poliziotti, l’aumento del consumo e la crescita di malattie… in alcuni processi di
implementazione dei responsabili delle scelte applicative possono esserne indifferenti se non
resistenti. Spesso si incontrano forme di selettività che orientano solo in certe direzioni gli sforzi
e gli impegni, nonché le risorse disponibili sempre limitate e scarse. La selettività con cui si
implementano le norme è il tratto che connota sempre le politiche di controllo delle devianze.
I processi di criminalizzazione secondaria sono resi possibili dall’operato delle forze di polizia e delle
istituzioni e dall’orientamento delle politiche di controllo. Questi attori sono orientati, nel loro
agire, da procedure formalmente definite ma di fatto condizionate da alcuni elementi, fra cui
l'interpretazione che i titolari di ruolo danno delle norme, le disposizioni di dettaglio rese necessarie
da formule generiche adottate dal legislatore, i margini di discrezionalità previsti per adattare la
norma generale a casi specifici o alle modalità di esercizio del ruolo di questi attori che sono
coinvolti a tutti i livelli dalla loro cultura, delle idee, dalle conoscenze e competenze ma anche dei
valori di cui sono portatori, senza dimenticare le loro condizioni psicologiche e relazionali. Tra i
molti fattori all’origine della selettività dell’agire delle istituzioni, vi è il ruolo dello stereotipo,
studiato da Chapman, secondo cui il comportamento criminale è generalizzato, mentre
l’incidenza delle condanne è dovuta in parte al caso e in parte ai processi sociali che dividono la
società in classi criminali e classi non criminali. Una volta che l’individuo è ritenuto criminale gli
sono precluse le opportunità di reinserimento per cui la sua vulnerabilità aumenta e la scelta
delinquenziale appare obbligata. Contrariamente i membri che non corrispondono allo stereotipo
godono di immunità e sono quindi meno soggetti a controlli. Il carattere selettivo delle politiche
penali continua a perpetuarsi e diventa anche un elemento programmatico dell’impostazione delle
politiche penali. Questo avviene anche con l’affermarsi delle politiche a tolleranza zero (oggetto
di repressione diventa soprattutto chi si presenta come portatore di segni sospetti a priori). Si
vengono a creare anche politiche attuariali secondo cui è preferibile esercitare il controllo non su
singoli individui ma su gruppi di soggetti considerati produttori di rischio. Con queste politiche si fa
riferimento alle scienze attuariali come fondamento di una criminologia attuariale, in cui vengono
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adottati procedimenti tipici della matematica delle assicurazioni il cui interesse non sono i singoli
incidenti o i problemi sanitari in cui può incorrere un singolo individuo, ma la distribuzione del
rischio di incidente o di malattia tra le diverse categorie, facendo attenzione alla potenziale
pericolosità dei gruppi. Si può dire da qui che le strategie di controllo si definiscono sempre più
come strategie di gestione di determinati gruppi o categorie di soggetti attraverso la sorveglianza,
l’incapacitazione e la repressione. Il singolo viene preso in considerazione a partire dagli attributi
della categoria a cui appartiene (identificazione precoce). L'agire della polizia spesso si fonda
sul sottoporre a controlli diretti una parte degli individui in base all'aspetto, il viso, il colore della
pelle ed il comportamento. Ne consegue che l'identificazione è influenzata dallo stereotipo del
criminale e le pratiche della polizia sono permeate di pregiudizi e stereotipi, in quanto
discriminatorie. Dagli studi e dalle ricerche sulla polizia emerge una sostanziale conferma delle
modalità selettive di esercizio del controllo a cui contribuiscono sia la cultura, sia l’esigenza
di dimostrare la propria efficienza attraverso risultati anche quantitativi. Le istituzioni, infatti,
agiscono selezionando tra i molteplici compiti loro affidati dalla legge quelli che maggiormente
consentono di valorizzare la propria funzione.
Bisogna, inoltre, tener conto del fatto che se i controlli si concentrano prevalentemente su
determinati contesti, gruppi o categorie di persone emergeranno proprio tra essi una proporzione
maggiore di reati rispetto ad altri. La selettività influenza quindi la diversa distribuzione delle
probabilità di individuazione di persone devianti e di conseguenza ne risentiranno le statistiche
della delittuosità.
Il (giusto?) processo
Il processo penale ha origine nel pensiero di Beccaria, che descrive le caratteristiche relative alla
quantità delle pene e alle modalità della loro applicazione: proporzionalità, dolcezza,
prontezza, certezza, infallibilità. Queste trovano espressione nei codici di procedura penale e
applicazione attraverso il giusto processo i cui principi possono essere così riassunti: i reati e le
pene devono sempre essere stabiliti dalla legge; tutti sono uguali di fronte alla legge e questa è
uguale per tutti; i giudici devono agire in modo imparziale; le prove della colpevolezza devono
essere raccolte in modo rigoroso e rispettando le procedure; sono escluse la tortura e la forza
psicologica; il tempo entro cui raccogliere le prove utili al processo deve essere il minore possibile;
le persone inquisite devono essere informate in merito alle prove raccolte a loro carico; nessuno
deve essere privato della libertà fino al momento in cui il giudice abbia stabilito la responsabilità
del reato di cui è accusato; la discrezionalità dei giudici nello stabilire le pene deve essere nulla; la
pena comminata deve essere espiata interamente; i processi sono pubblici.
La prima criticità del processo sta nella difficoltà di costruire in maniera oggettiva la
proporzionalità fra reati e sanzioni, infatti, è complicato valutare la gravità del danno
provocato, per stabilire la gravità della pena corrispondente (es: nel 1996 il reato di violenza
sessuale era classificato come reato contro la moralità, venne poi modificato e collocato nei reati
contro la libertà personale).
Per i reati diversi da quelli predatori e strumentali emerge il limite dell’individuazione
dell’unica causa del comportamento deviante nella razionalità che caratterizza l’Homo
oeconomicus. In particolare per i reati espressivi il calcolo Tra benefici e costi appare quasi sempre
non pertinente, (legami forti con ambienti criminali, condizioni di disperazione, ecc).
Un terzo elemento di criticità è la non consistenza empirica della sequenza delitto-pena su cui si
fonda molta della pretesa efficacia deterrente della sanzione. Chi compie un reato, oltre al
calcolo costi-benefici, fa anche una valutazione sulla probabilità che quel costo si paghi in concreto.
Questo ha effetti sia sull’efficacia deterrente generale che speciale. Siccome è impossibile
assicurare l’infallibilità delle pene, si punta sulla severità delle sanzioni minacciate, sperando
che la paura di pene più severe possa indurre la popolazione a desistere. Questo ha portato a un
allontanamento deciso dal principio beccariano della dolcezza della pena (una pena non minima e
non proporzionata non è giusta, anzi è inutile e in molti casi controproducente).
Molti studi si sono occupati di verificare l’effettiva efficacia deterrente delle sanzioni, Chambliss
infatti, sostiene l’esigenza di associare la distinzione tra reati espressivi e strumentali con quella
relativa al grado di coinvolgimento in stili di vita devianti. Oggi purtroppo, il principio della
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prontezza della pena (vicinanza temporale fra commissione del reato e punizione del criminale)
è poco rispettato. Il principio della presunzione di innocenza sostiene che il bene primario è la
libertà individuale, per cui non è bene che un individuo ne venga privato a meno che non vi sia la
sicurezza che egli abbia violato i patti al suo fondamento. Questa sicurezza è garantita solo dalla
celebrazione di un giusto processo. Riguardo l’infallibilità della pena (corrispondenza fra
sanzione prevista e sanzione applicata) è stata progressivamente messa in discussione dai
paradigmi successivi quello classico. Sono entrati in campo 3 elementi: la necessità di guardare
anche agli autori di reati e non solo alle loro azioni; l’attenzione alle condizioni dei soggetti ma
anche ai condizionamenti ed alle circostanze che possono fare da attenuanti o aggravanti della
responsabilità individuale; l’opportunità di attribuire alla pena una funzione rieducativa. Nel
corso del tempo si è arrivati al passaggio dalla definizione netta e univoca della sanzione
corrispondente a un reato alla indicazione di un minimo e di un massimo di pena che chiamiamo
forbice edittale (es furto punito con reclusione da 6 mesi a 3 anni). Nel tempo si sono elaborati
criteri per aiutare il giudice a scegliere la sanzione specifica entro i margini definiti dalle pene
edittali (caratteristiche specifiche del fatto reato, presenza di circostanze aggravanti, gravità del
danno o del pericolo, natura del reato: individuale o di gruppo, grado di premeditazione: reato
colposo o doloso, motivazioni per cui l'imputato ha agito, grado di consapevolezza e condizioni di
vita individuale, familiare e sociale dell'imputato). Bisogna infine ricordare che nei sistemi giudiziari
moderni c’è la possibilità di ricorrere a gradi diversi di giudizio per opporsi alle sentenze emanate
da un giudice. Quindi lo stesso fatto può essere valutato in modi differenti da giudici diversi.
Sociologicamente, le criticità maggiori si riscontrano in merito al tema dell’uguaglianza di tutti i
cittadini di fronte alla legge. Infatti, le differenze di classe si traducono nella diversa disponibilità
di risorse utili per essere tutelati nel processo. È osservabile la differenza fra un avvocato di
fiducia e uno d’ufficio (limitata qualità della difesa, no possibilità di acquisire conoscenze
puntuali sui fatti e sulla persona VS avvocato consapevole ed informato della posta in gioco che
studia a fondo le carte e le posizioni dell'accusa, dei testimoni, dei periti stabilendo la migliore linea
difensiva e sfruttando tutti gli escamotage per trascinare per le lunghe la causa ricorrendo a tutti i
gradi successivi di giudizio). Le prove di questo processo tutt'altro che giusto sono infinite e
reperibili nelle cronache giudiziarie e nella ricerca etnografica in un qualunque tribunale.
Il carcere e le altre istituzioni totali al servizio della neutralizzazione dei devianti
Goffman studia il funzionamento delle istituzioni totali e osserva le interazioni fra individui
etichettati e staff, aprendo la riflessione sulle modificazioni del Sé del soggetto e sulla fissazione
dell’identità deviante, segno del passaggio dalla devianza primaria a quella secondaria. Goffman
sottolinea Nella sua opera Asylums che le istituzioni di controllo creano la devianza in quanto al
momento dell’uscita dal carcere si concretizza la devianza del soggetto poiché scatterà per lui il
processo di stigmatizzazione. Analizzando la vita sotterranea che caratterizza tali istituzioni
Goffman sostiene che il soggetto sottoposto all'azione delle istituzioni il cui obiettivo è di pervenire
a un progressivo annullamento dei tratti peculiari degli internati subisca un processo di
fissazione dell'identità deviante e di strutturazione della carriera criminale criticando quindi la
presunta funzione rieducativa della pena esaltata dal positivismo. In questo clima si verifica
progressivamente l'abbandono dell'ideale della riabilitazione a favore di una nuova penologia
il cui obiettivo non è più prevenire il crimine o reinserire i criminali nella società bensì isolare i
gruppi percepiti come pericolosi e neutralizzarne i membri più problematici. In carcere viene meno
anche l’interesse al trattamento dell’individuo deviante, avviene cioè l’abbandono del modello
correzionale che un tempo puntava alla produzione di lavoro disciplinato, accompagnato
dall’istruzione e dalla religione. L’idea del trattamento lascia il posto a strategie di
incapacitazione e di isolamento. Si può parlare di distanza tra diritti soggettivi enunciati e
riconosciuti sulla carta e diritti effettivamente goduti dalle persone, per questo a livello
sovranazionale si è cercato di definire dei quadri di riferimento che vincolassero gli Stati nazionali
alle legislazioni. Nel contesto italiano la penalità ha assunto i caratteri di strumento di
neutralizzazione, esercitandosi su una popolazione di soggetti stranieri considerati responsabili
dell’insicurezza percepita e dunque meritevoli di contenimento, senza più interesse per le funzioni
rieducative. Si parla inoltre, di relativismo/individualismo penitenziario per indicare che ogni
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istituzione carceraria è un universo a sé, che regola diversamente dalle altre molti aspetti del suo
funzionamento. È importante il ruolo che invece può offrire il contesto locale (istruzione,
formazione, lavoro). Alcune rilevazioni hanno mostrato il fallimento delle finalità deterrente e
riabilitativa del carcere, usato principalmente come contenitore di disagio e marginalità,
poiché nel 68% dei casi le persone tornano a delinquere. Carcere dalle “porte girevoli”: molti di
quelli che ne escono non hanno altro destino che ritornarci.
Le politiche sociali di prevenzione e gestione delle devianze nello scenario contemporaneo
Negli ultimi decenni del ‘900 si sviluppa la prevenzione situazionale, che consiste nel creare
ostacoli alla commissione di atti criminali, ovvero costruendo uno spazio difendibile che sia quindi
sfavorevole alla delinquenza.
- Interventi di design ambientale (ristrutturazione degli spazi pubblici e arredi urbani al fine di
renderli più difendibili e frequentabili, maggiormente sorvegliabili o per rendere meno agevole
l'accesso a banche e negozi di pregio, o difficili vie di fuga)
- Misure di protezione dei bersagli rendendoli più difficilmente raggiungibili dai potenziali
criminali motivati (strumenti di custodia dei beni allarmi efficaci)
- Misure di sorveglianza a distanza dei luoghi sensibili (videosorveglianza)
- Intensificazione della presenza e dei controlli delle forze dell’ordine
- Programmi di informazione e responsabilizzazione dei cittadini, soprattutto per certe
categorie (anziani, donne, bambini).
- Iniziative di coinvolgimento dei cittadini residenti in alcune aree per la sorveglianza del
territorio.
In questo scenario le politiche sociali e i servizi sociali che si propongono di prevenire e gestire in
maniera non solo sanzionatoria o repressiva le situazioni socialmente problematiche (devianze non
penalmente rilevanti) vivono una fase di forte criticità soffrendo dell’uscita dalla fase di
espansione del welfare state. Il loro ridimensionamento è espressione della crisi fiscale del
welfare, cioè il rapporto tra fiscalità e costi del mantenimento del livello dei servizi, che oggi è
peggiorato per via del debito pubblico. Nella fase della postmodernità, che caratterizza le società
della globalizzazione, l’ideale dell’uomo è quello di un individuo che deve fare da sé e accettare i
rischi dell’incertezza e delle sfide che gli si pongono, che non deve contare più di tanto sugli altri o
sulle istituzioni (crisi ideale del modello di stato). In questo contesto culturale si parla di
modello neoliberalista. La fragilità delle politiche a favore delle categorie svantaggiate
(poveri/immigrati) e dei servizi che le sostanziano è il risultato dell’intreccio tra elementi economici
e culturali e dell’evidente incapacità dei sistemi politici di governare la complessità, cui si è
aggiunta l’esaltazione dei localismi proposti da attori interessati come antidoto delle paure e
incertezze della globalizzazione e dei cambiamenti che essa continua a provocare. Siamo di fronte
all’abbandono della legislazione organizzatrice in favore della politica simbolica (concentrata su
temi limitati) per questo non stupisce la centralità attuale del tema dell’insicurezza.
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