Copyright © 2012 Italo Bovolenta editore s.r.l., Ferrara [5960] www.bovolentaeditore.it I diritti di elaborazione in qualsiasi forma o opera, di memorizzazione anche digitale su supporti di qualsiasi tipo (inclusi magnetici e ottici), di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), i diritti di noleggio, di prestito e di traduzione sono riservati per tutti i paesi. L’acquisto della presente copia dell’opera non implica il trasferimento dei suddetti diritti né li esaurisce. Per le riproduzioni ad uso non personale (ad esempio: professionale, economico, commerciale, strumenti di studio collettivi, come dispense e simili) l’editore potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre un numero di pagine non superiore al 15% delle pagine del presente volume. Le richieste per tale tipo di riproduzione vanno inoltrate a Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali (CLEARedi) Corso di Porta Romana, n. 108 20122 Milano e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org L’editore, per quanto di propria spettanza, considera rare le opere fuori del proprio catalogo editoriale, consultabile al sito www.zanichelli.it/f_catalog.html. La fotocopia dei soli esemplari esistenti nelle biblioteche di tali opere è consentita, oltre il limite del 15%, non essendo concorrenziale all’opera. Non possono considerarsi rare le opere di cui esiste, nel catalogo dell’editore, una successiva edizione, le opere presenti in cataloghi di altri editori o le opere antologiche. Nei contratti di cessione è esclusa, per biblioteche, istituti di istruzione, musei ed archivi, la facoltà di cui all’art. 71 - ter legge diritto d’autore. Maggiori informazioni sul nostro sito: www.zanichelli.it/fotocopie/ Realizzazione editoriale: – Adattamento della terza edizione di Mario Rippa, Fondamenti di chimica e stesura dei capitoli 9, 11, 12 e 15: Matteo Reggiani – Rilettura critica: Stefano Piazzini – Progetto grafico: Chialab, Bologna – Disegni: Andrea Pizzirani Copertina: – Progetto grafico e realizzazione: Chialab, Bologna – Immagine di copertina: iStockphoto Prima edizione: marzo 2012 L’impegno a mantenere invariato il contenuto di questo volume per un quinquennio (art. 5 legge n. 169/2008) è comunicato nel catalogo Zanichelli, disponibile anche online sul sito www.zanichelli.it, ai sensi del DM 41 dell’8 aprile 2009, All. 1/B. File per diversamente abili L’editore mette a disposizione degli studenti non vedenti, ipovedenti, disabili motori o con disturbi specifici di apprendimento i file pdf in cui sono memorizzate le pagine di questo libro. Il formato del file permette l’ingrandimento dei caratteri del testo e la lettura mediante software screen reader. Le informazioni su come ottenere i file sono sul sito www.zanichelli.it/diversamenteabili Suggerimenti e segnalazione degli errori Realizzare un libro è un’operazione complessa, che richiede numerosi controlli: sul testo, sulle immagini e sulle relazioni che si stabiliscono tra essi. L’esperienza suggerisce che è praticamente impossibile pubblicare un libro privo di errori. Saremo quindi grati ai lettori che vorranno segnalarceli. Zanichelli editore S.p.A. opera con sistema qualità certificato CertiCarGraf n.477 secondo la norma UNI EN ISO 9001:2008 INDICE La chimica di Rippa - primo biennio indice C A P I TO L O 0 È un Libro misto che contiene un codice con cui si scarica gratis da ww.scuolabook.it la versione PDF del libro. Chi volesse approfondire gli argomenti del primo biennio riassunti in questo capitolo 0 e non fosse in possesso della Chimica di Rippa primo biennio può scaricare, insieme all’intero corso del secondo biennio, anche quello del primo biennio. Fondamenti di chimica: un riepilogo del primo biennio 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 La chimica e la struttura dell’atomo .................................................................................. CH/1 Le leggi ponderali della chimica ........................................................................................... CH/3 Sistema periodico e classificazione degli elementi .................................................. CH/5 La mole .................................................................................................................................................. CH/6 Lo stato aeriforme .......................................................................................................................... CH/7 Lo stato liquido ............................................................................................................................... CH/9 Lo stato solido e i passaggi di stato ............................................................................... CH/10 Le soluzioni ..................................................................................................................................... CH/11 III Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita INDICE La chimica di Rippa - secondo biennio C A P I TO L O D I DAT T I C A AT T I VA 9 ATTIVITÀ Effetto fotoelettrico b A SCHEDA DI LABORATORIO Analisi alla fiamma e spettroscopia APPROFONDIMENTO Lo spettro del Sole LABORATORIO SEMPLICE Spettroscopia chimica La struttura dell’atomo 9.1 9.2 9.3 L’atomo come sistema planetario ......................................................................................... CH/13 La radiazione elettromagnetica .......................................................................................... CH/14 I quanti di energia ...................................................................................................................... CH/15 |PER SAPERNE DI PIÙ| > Lo spettro del corpo nero e la catastrofe ultravioletta ...................................................................................................................................... CH/17 9.4 L’atomo di Bohr ............................................................................................................................. CH/17 |PER SAPERNE DI PIÙ| > I fuochi d’artificio ........................................................................... CH/20 9.5 Le energie di ionizzazione ........................................................................................................ CH/20 9.6 L’elettrone-onda ............................................................................................................................ CH/21 9.7 Il concetto di orbitale .............................................................................................................. CH/23 9.8 I numeri quantici ......................................................................................................................... CH/24 9.9 Gli orbitali s, p, d, f ................................................................................................................... CH/27 9.10 L’energia degli orbitali .............................................................................................................. CH/29 9.11 L’ordine di riempimento degli orbitali e la configurazione elettronica totale ......................................................................................................................... CH/30 C A P I TO L O I FIGURE PARLANTI (9.8 - 9.24) ATTIVITÀ Luci al neon e altre lampade a scarica d A d A ANIMAZIONE Energia di ionizzazione e livelli energetici APPROFONDIMENTO Il modello elettronico a gusci ANIMAZIONE La struttura elettronica degli elementi APPROFONDIMENTO Configurazione elettronica totale degli elementi 10 D I DAT T I C A AT T I VA LABORATORIO SEMPLICE Tavola periodica e numeri quantici Struttura elettronica e proprietà periodiche 10.1 10.2 10.3 10.4 10.5 10.6 10.7 10.8 Periodicità delle proprietà degli elementi ....................................................................... CH/37 Sistema periodico e configurazione elettronica degli elementi ..................... CH/37 Configurazione elettronica esterna .................................................................................. CH/40 Configurazione elettronica e proprietà degli elementi .......................................... CH/41 Volume atomico e raggio atomico .................................................................................... CH/42 Energia di ionizzazione e affinità elettronica ........................................................... CH/44 Il carattere metallico ................................................................................................................. CH/44 Elettronegatività .......................................................................................................................... CH/45 d A I ANIMAZIONE Tavola periodica interattiva APPROFONDIMENTO Raggio atomico e salinità dell’oceano FIGURE PARLANTI (10.8 - 10.11) LABORATORIO SEMPLICE Elettronegatività IV Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita INDICE La chimica di Rippa - secondo biennio C A P I TO L O D I DAT T I C A AT T I VA 11 Legame chimico 11.1 11.2 11.3 11.4 11.5 11.6 11.7 11.8 11.9 11.10 11.11 11.12 11.13 I legami chimici ........................................................................................................................... CH/51 La configurazione stabile a bassa energia e la regola dell’ottetto ............ CH/52 Il legame ionico ......................................................................................................................... CH/53 Il legame covalente omopolare ........................................................................................ CH/54 |PER SAPERNE DI PIÙ| > Linus Pauling, uno scienziato «rivoluzionario» ........... CH/57 Il legame covalente eteropolare ...................................................................................... CH/57 Il legame covalente dativo ................................................................................................. CH/59 |PER SAPERNE DI PIÙ| > Regole per ricavare le strutture di Lewis delle molecole ............................................................................................................................... CH/60 Il legame metallico .................................................................................................................. CH/61 Legame chimico e posizione degli elementi nel Sistema periodico .......... CH/61 I legami chimici secondari .................................................................................................. CH/63 Le interazioni di Van der Waals ........................................................................................ CH/63 Il legame idrogeno ................................................................................................................... CH/64 Il legame ione-dipolo ............................................................................................................. CH/65 Energia e lunghezza di legame ......................................................................................... CH/66 |PER SAPERNE DI PIÙ| > Van der Waals e l’arte di arrampicarsi sugli specchi .. CH/68 C A P I TO L O 12 I b A d d FIGURE PARLANTI (11.2 - 11.10 - 11.17) SCHEDA DI LABORATORIO Decomposizione di una sostanza pura con il calore APPROFONDIMENTO L’energia di legame e la degradazione dei minerali ANIMAZIONE Il legame ionico e il legame metallico ANIMAZIONE Il legame covalente ATTIVITÀ Polarità delle molecole A APPROFONDIMENTO La teoria degli orbitali molecolari LABORATORIO SEMPLICE I legami chimici D I DAT T I C A AT T I VA I FIGURE PARLANTI (12.2 - 12.4 - 12.11 - 12.12) ATTIVITÀ Forma delle molecole Forma delle molecole e proprietà delle sostanze 12.1 12.2 12.3 12.4 12.5 12.6 12.7 Angolo di legame e forma delle molecole ..................................................................... CH/73 Il modello VSEPR ........................................................................................................................ CH/73 Teoria degli orbitali ibridi .................................................................................................... CH/77 Forma e polarità delle molecole ....................................................................................... CH/79 Polarità e miscibilità ............................................................................................................... CH/81 La formazione delle soluzioni ............................................................................................ CH/82 Soluzioni di un solido in un liquido................................................................................ CH/83 A APPROFONDIMENTO Dal modello VSEPR al modello VSED LABORATORIO SEMPLICE Forma delle molecole ed elettricità A APPROFONDIMENTO L’accumulo e la carenza delle vitamine negli organismi LABORATORIO SEMPLICE Conducibilità elettrica delle sostanze V Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita INDICE La chimica di Rippa - secondo biennio C A P I TO L O 13 Nomi e formule dei composti chimici 13.1 13.2 13.3 13.4 13.5 13.6 13.7 13.8 13.9 13.10 13.11 13.12 13.13 13.14 13.15 La formula di un composto .................................................................................................... CH/88 Valenza e numero di ossidazione ..................................................................................... CH/88 Calcolo del numero di ossidazione ................................................................................. CH/90 Numero di ossidazione e formule .................................................................................... CH/93 Nomenclatura chimica ............................................................................................................ CH/94 |PER SAPERNE DI PIÙ| > Il nome dei sali ............................................................................... CH/94 Il nome delle sostanze allo stato elementare ......................................................... CH/95 Il nome degli ossidi ................................................................................................................. CH/96 Il nome degli idracidi e degli idruri .............................................................................. CH/97 Il nome dei perossidi .............................................................................................................. CH/98 |PER SAPERNE DI PIÙ| > I perossidi: un ossigeno di troppo ....................................... CH/99 Il nome dei sali binari ............................................................................................................ CH/99 Il nome degli idrossidi ........................................................................................................ CH/100 Il nome degli ossoacidi ...................................................................................................... CH/101 Il nome dei radicali acidi .................................................................................................. CH/103 Il nome degli ioni positivi ................................................................................................ CH/104 Il nome dei sali ternari ....................................................................................................... CH/105 D I DAT T I C A AT T I VA LABORATORIO SEMPLICE Valenza e numero di ossidazione I A FIGURA PARLANTE (13.3 - 13.5 - 13.9 - 13.13) APPROFONDIMENTO Il nome dei minerali VI Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita INDICE La chimica di Rippa - secondo biennio C A P I TO L O 14 D I DAT T I C A AT T I VA ATTIVITÀ Soluzioni di zucchero e sale d I Proprietà delle soluzioni C A P I TO L O Dissociazione ionica, dissoluzione molecolare e reazione di ionizzazione FIGURE PARLANTI (14.3 - 14.9 - 14.16 - 14.20) LABORATORIO SEMPLICE 14.1 14.2 14.3 Dissociazione elettrolitica .................................................................................................. CH/110 Ionizzazione in soluzione .................................................................................................. CH/111 Elettroliti forti ed elettroliti deboli ............................................................................ CH/112 |PER SAPERNE DI PIÙ| > Svante Arrhenius e la dissociazione elettrolitica .... CH/113 14.4 Proprietà delle soluzioni .................................................................................................... CH/114 14.5 Abbassamento della pressione di vapore ................................................................. CH/115 14.6 Innalzamento della temperatura di ebollizione .................................................. CH/116 14.7 Abbassamento della temperatura di solidificazione ......................................... CH/118 14.8 Osmosi ........................................................................................................................................... CH/121 14.9 Pressione osmotica ................................................................................................................ CH/122 |PER SAPERNE DI PIÙ| > L’osmosi inversa .......................................................................... CH/124 14.10 Calcolo della pressione osmotica .................................................................................. CH/124 ANIMAZIONE Proprietà colligative A APPROFONDIMENTO Il passaggio di sostanze attraverso la membrana plasmatica LABORATORIO SEMPLICE Osmosi nell’uovo d ANIMAZIONE L’osmosi nelle cellule 15 D I DAT T I C A AT T I VA LABORATORIO SEMPLICE Le reazioni chimiche I Reazioni chimiche FIGURA PARLANTE (15.12) ATTIVITÀ 15.1 15.2 15.3 15.4 15.5 Classificazione delle reazioni chimiche .................................................................... Stechiometria delle reazioni chimiche ...................................................................... Il reagente limitante ............................................................................................................ Stechiometria delle reazioni in soluzione ............................................................... La resa di reazione ................................................................................................................. Reagenti e prodotti CH/129 CH/132 CH/134 CH/135 CH/137 A APPROFONDIMENTO Azoto: il fattore limitante degli ecosistemi VII Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita INDICE La chimica di Rippa - secondo biennio C A P I TO L O 16 D I DAT T I C A AT T I VA A APPROFONDIMENTO Il potere calorifico dei combustibili LABORATORIO SEMPLICE Entalpia, entropia, energia libera Energia e velocità delle reazioni chimiche 16.1 16.2 16.3 16.4 16.5 16.6 16.7 16.8 16.9 16.10 16.11 16.12 16.13 16.14 16.15 Energia di legame ed energia chimica .................................................................... Primo principio della termodinamica e sistemi chimici .............................. Entalpia e calore di reazione ........................................................................................ Entalpia standard di formazione ................................................................................. Reazioni di combustione e calore .............................................................................. |PER SAPERNE DI PIÙ| > L’idrogeno, un combustibile alternativo ................ La legge di Hess .................................................................................................................... Calore di reazione e vita .................................................................................................. Spontaneità delle reazioni chimiche ed entropia ............................................ |PER SAPERNE DI PIÙ| > Il calorimetro .......................................................................... Velocità delle reazioni chimiche ................................................................................. Velocità e concentrazione dei reagenti .................................................................. Teoria degli urti e fattore sterico ............................................................................... L’energia di attivazione .................................................................................................... Velocità e temperatura ..................................................................................................... Velocità e suddivisione dei reagenti ........................................................................ Velocità e catalizzatori ..................................................................................................... CH/141 CH/142 CH/144 I b CH/146 CH/151 CH/154 CH/154 CH/155 CH/157 CH/158 CH/159 CH/160 CH/161 Influenza della concentrazione dei reagenti sulla velocità di una reazione Reazioni e velocità di reazione CH/148 CH/150 SCHEDA DI LABORATORIO ATTIVITÀ CH/147 CH/149 FIGURE PARLANTI (16.13 - 16.18) b b A b SCHEDA DI LABORATORIO Influenza della temperatura sulla velocità di una reazione SCHEDA DI LABORATORIO Influenza della suddivisione dei reagenti sulla velocità di una reazione APPROFONDIMENTO Gli enzimi: catalizzatori biologici SCHEDA DI LABORATORIO Influenza di un catalizzatore sulla velocità di una reazione VIII Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita INDICE La chimica di Rippa - secondo biennio C A P I TO L O 17 L’equilibrio chimico 17.1 17.2 17.3 17.4 17.5 17.6 17.7 17.8 17.9 17.10 17.11 17.12 17.13 Reversibilità delle reazioni chimiche ......................................................................... CH/167 L’equilibrio chimico ............................................................................................................. CH/169 Dinamicità dell’equilibrio chimico ............................................................................. CH/170 La legge di azione di massa .......................................................................................... CH/171 La costante di equilibrio ................................................................................................. CH/172 Reazioni di equilibrio in fase gassosa .................................................................... CH/174 Quoziente di reazione ........................................................................................................ CH/175 Equilibri eterogenei ............................................................................................................ CH/177 Il principio dell’equilibrio mobile .............................................................................. CH/177 |PER SAPERNE DI PIÙ| > Equilibri dei gas nel sangue ............................................... CH/179 Effetto della pressione sull’equilibro chimico .................................................... CH/180 Effetto della temperatura sull’equilibrio chimico ............................................ CH/182 Il prodotto di solubilità e l’effetto dello ione in comune .......................... CH/183 |PER SAPERNE DI PIÙ| > Le grotte, le stalattiti e l’equilibrio del carbonato di calcio ....................................................................................................... CH/186 Solubilità e precipitazione ............................................................................................. CH/187 D I DAT T I C A AT T I VA I FIGURE PARLANTI (17.3 - 17.6 - 17.7 - 17.10 - 17.12) ATTIVITÀ Lo stato di equilibrio LABORATORIO SEMPLICE L’equilibrio chimico A A APPROFONDIMENTO Il processo Haber-Bosch: come sfruttare l’equilibrio mobile APPROFONDIMENTO Il solfato di bario e l’intestino ai raggi X IX Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita INDICE La chimica di Rippa - secondo biennio C A P I TO L O 18 Acidi e basi 18.1 18.2 18.3 18.4 18.5 18.6 18.7 18.8 18.9 18.10 18.11 18.12 18.13 18.14 18.15 18.16 18.17 D I DAT T I C A AT T I VA Proprietà degli acidi e delle basi ............................................................................... Acidi e basi secondo Brønsted-Lowry ..................................................................... Coppie coniugate acido-base ........................................................................................ Acidi e basi secondo Lewis ............................................................................................ La ionizzazione e il prodotto ionico dell’acqua ................................................ Soluzioni acide, basiche e neutre .............................................................................. Il pH ............................................................................................................................................. |PER SAPERNE DI PIÙ| > Il pH della pelle .................................................................... Elettronegatività e comportamento acido, basico o anfotero ................. Costante di dissociazione e forza di acidi e basi ............................................. Calcolo del pH delle soluzioni ...................................................................................... Elettronegatività e forza di acidi e basi ................................................................ Reazioni acido-base ............................................................................................................ L’idrolisi salina ....................................................................................................................... Le soluzioni tampone ........................................................................................................ |PER SAPERNE DI PIÙ| > Tamponi di pH nel sangue .............................................. Gli indicatori di pH ............................................................................................................. La titolazione acido-base ................................................................................................ Equivalente chimico e normalità ................................................................................ CH/193 CH/195 CH/196 I ATTIVITÀ CH/198 Scala del pH CH/199 CH/200 CH/201 CH/203 A CH/210 Le piogge acide Soluzioni acide e basiche CH/205 CH/209 APPROFONDIMENTO ATTIVITÀ CH/204 CH/207 FIGURE PARLANTI (18.6 - 18.10 - 18.12 - 18.23) b SCHEDA DI LABORATORIO Forza degli acidi LABORATORIO SEMPLICE CH/211 Acidi, basi e indicatori CH/213 CH/215 CH/216 CH/217 b SCHEDA DI LABORATORIO Titolazione acido-base CH/219 X Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita INDICE La chimica di Rippa - secondo biennio C A P I TO L O 19 Elettrochimica 19.1 19.2 19.3 19.4 19.5 19.6 19.7 19.8 19.9 19.10 19.11 19.12 19.13 19.14 19.15 19.16 19.17 19.18 Elettricità e chimica ............................................................................................................. CH/228 Le reazioni redox .................................................................................................................. CH/228 |PER SAPERNE DI PIÙ| > Luigi Galvani e l’elettricità delle rane .......................... CH/229 Le semireazioni redox ........................................................................................................ CH/231 Bilanciamento delle reazioni redox ........................................................................... CH/232 Le pile elettriche .................................................................................................................. CH/234 |PER SAPERNE DI PIÙ| > Alessandro Volta: non solo pile ........................................ CH/236 Il potenziale di riduzione ................................................................................................ CH/236 |PER SAPERNE DI PIÙ| > Reazioni di ossidoriduzione e corrosione ................... CH/238 Reazioni tra semielementi .............................................................................................. CH/239 La pila Daniell ........................................................................................................................ CH/239 Forza elettromotrice di una pila ................................................................................. CH/242 Le pile a secco ....................................................................................................................... CH/243 Gli accumulatori .................................................................................................................... CH/244 Conduttori di prima e seconda classe ..................................................................... CH/244 La conducibilità elettrica delle soluzioni .............................................................. CH/245 L’elettrolisi ................................................................................................................................ CH/246 Elettrolisi e potenziale di riduzione ......................................................................... CH/248 Applicazioni industriali dell’elettrolisi .................................................................... CH/248 Prima legge di Faraday ..................................................................................................... CH/249 |PER SAPERNE DI PIÙ| > Faraday: una vita per la scienza ....................................... CH/250 Seconda legge di Faraday ................................................................................................ CH/250 D I DAT T I C A AT T I VA I A FIGURE PARLANTI (19.3 - 19.6 - 19.12) APPROFONDIMENTO Reazioni di ossidoriduzione e viventi LABORATORIO SEMPLICE Le pile b b SCHEDA DI LABORATORIO Costruzione di alcune pile SCHEDA DI LABORATORIO Conducibilità elettrica dei liquidi LABORATORIO SEMPLICE Elettrolisi dell’acqua XI Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita INDICE La chimica di Rippa - secondo biennio C A P I TO L O 20 Chimica inorganica 20.1 20.2 20.3 20.4 20.5 20.6 20.7 20.8 20.9 20.10 20.11 20.12 20.13 20.14 20.15 20.16 20.17 20.18 20.19 20.20 20.21 20.22 20.23 20.24 La chimica inorganica ....................................................................................................... Preparazione degli elementi dai loro composti ................................................. Gli elementi del gruppo 1 ............................................................................................... Gli elementi del gruppo 2 ............................................................................................... Gli elementi metallici del gruppo 13 ....................................................................... Gli elementi metallici del gruppo 14 ....................................................................... Gli elementi di transizione e i composti di coordinazione ........................ Il ferro ......................................................................................................................................... Altri elementi di transizione ......................................................................................... Il non-metallo del gruppo 13: il boro ..................................................................... Non-metalli del gruppo 14: il carbonio ................................................................. Non-metalli del gruppo 14: silicio e germanio .................................................. Gli elementi del gruppo 15 ............................................................................................ L’azoto e i suoi composti ................................................................................................ Il fosforo e i suoi composti ........................................................................................... Arsenico, antimonio e bismuto ................................................................................... |PER SAPERNE DI PIÙ| > Napoleone e l’avvelenamento da arsenico ........... Gli elementi del gruppo 16 ............................................................................................ L’ossigeno .................................................................................................................................. Lo zolfo e i suoi composti .............................................................................................. Un non-metallo senza gruppo: l’idrogeno ............................................................ Gli elementi del gruppo 17 ............................................................................................ Il cloro e i suoi composti ................................................................................................ Fluoro, bromo, iodio e loro composti ...................................................................... |PER SAPERNE DI PIÙ| > Lo iodio nel corpo ................................................................ Gli elementi del gruppo 18 ............................................................................................ D I DAT T I C A AT T I VA CH/257 CH/257 CH/259 CH/260 CH/262 CH/263 CH/264 CH/266 CH/268 CH/269 CH/270 I b A A FIGURE PARLANTI (20.14 - 20.17) SCHEDA DI LABORATORIO Decomposizione dell’acqua per elettrolisi APPROFONDIMENTO Il buco dell’ozono APPROFONDIMENTO Idrogeno: il combustibile delle stelle CH/272 CH/273 CH/274 CH/275 CH/276 CH/276 CH/277 CH/277 CH/278 CH/280 CH/282 CH/282 CH/283 CH/283 CH/284 XII Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita INDICE La chimica di Rippa - secondo biennio C A P I TO L O 21 D I DAT T I C A AT T I VA ATTIVITÀ Decadimento α ATTIVITÀ Decadimento β APPROFONDIMENTO Radioattività e reazioni nucleari 21.1 21.2 21.3 La scoperta della radioattività ....................................................................................... CH/288 L’era atomica ............................................................................................................................. CH/289 Il nucleo dell’atomo e il difetto di massa ................................................................. CH/290 |PER SAPERNE DI PIÙ| > Albert Einstein ........................................................................... CH/292 21.4 Nuclei stabili e nuclei instabili ...................................................................................... CH/292 21.5 Le radiazioni emesse dai radioisotopi ........................................................................ CH/293 21.6 Il decadimento radioattivo .............................................................................................. CH/294 21.7 Il tempo di dimezzamento ................................................................................................ CH/296 21.8 Le trasmutazioni nucleari .................................................................................................. CH/298 21.9 La fissione nucleare .............................................................................................................. CH/299 21.10 La fusione nucleare ............................................................................................................... CH/300 21.11 Confronto tra reazioni chimiche e reazioni nucleari .......................................... CH/302 A I A Altri tipi di decadimento radioattivo: cattura elettronica ed emissione di positroni FIGURE PARLANTI (21.18 - 21.19) APPROFONDIMENTO L’energia nucleare ATTIVITÀ Fissione nucleare LABORATORIO SEMPLICE Il ghiaccio pesante XIII Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita INDICE La chimica di Rippa - secondo biennio C A P I TO L O 22 Le proprietà dei composti organici D I DAT T I C A AT T I VA 22.1 22.2 22.3 La chimica del carbonio ..................................................................................................... CH/306 Le proprietà dell’atomo di carbonio ............................................................................ CH/307 L’isomeria nei composti organici .................................................................................. CH/308 |PER SAPERNE DI PIÙ| > La chiralità ................................................................................... CH/311 22.4 La forza dei legami nei composti organici ............................................................... CH/312 22.5 I gruppi funzionali ................................................................................................................ CH/312 |PER SAPERNE DI PIÙ| > Le creme autoabbronzanti .................................................. CH/313 22.6 La reattività del carbonio .................................................................................................. CH/315 22.7 La reattività dei doppi legami ........................................................................................ CH/316 22.8 Atomi elettrofili e nucleofili e reazioni organiche .............................................. CH/316 22.9 Proprietà fisiche dei composti organici .................................................................... CH/317 22.10 Nomenclatura dei composti organici .......................................................................... CH/318 LABORATORIO SEMPLICE Proprietà ottica delle molecole A I APPROFONDIMENTO L’attività ottica e la scoperta della chiralità FIGURA PARLANTE (22.9) XIV Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita INDICE La chimica di Rippa - secondo biennio C A P I TO L O 23 Classificazione dei composti organici 23.1 23.2 23.3 23.4 23.5 23.6 23.7 23.8 23.9 23.10 23.11 23.12 23.13 23.14 23.15 23.16 23.17 23.18 23.19 23.20 23.21 23.22 23.23 23.24 Gli idrocarburi ......................................................................................................................... Alcani ........................................................................................................................................... Alcheni ........................................................................................................................................ Alchini ......................................................................................................................................... Cicloalcani ................................................................................................................................ Idrocarburi aromatici ......................................................................................................... Le reazioni di polimerizzazione ................................................................................... |PER SAPERNE DI PIÙ| > Giulio Natta e il polipropilene ..................................... Le materie plastiche ........................................................................................................... |PER SAPERNE DI PIÙ| > Il Pacific Trash Vortex ......................................................... Composti monofunzionali e polifunzionali .......................................................... Gli alogenuri alchilici e arilici ...................................................................................... Gli alcoli ..................................................................................................................................... Gli alcoli più importanti .................................................................................................. I fenoli ........................................................................................................................................ I tioalcoli .................................................................................................................................. Gli eteri ....................................................................................................................................... Le aldeidi ................................................................................................................................... I chetoni .................................................................................................................................... Gli acidi carbossilici ........................................................................................................... Gli acidi carbossilici più importanti ......................................................................... Gli acidi grassi ........................................................................................................................ Gli esteri .................................................................................................................................... I saponi ...................................................................................................................................... Le ammine ................................................................................................................................ I composti eterociclici ...................................................................................................... D I DAT T I C A AT T I VA CH/324 CH/324 CH/326 CH/328 CH/329 CH/330 CH/332 CH/333 CH/333 CH/335 CH/336 CH/336 CH/337 CH/338 CH/340 CH/340 A A I A A b APPROFONDIMENTO I feromoni APPROFONDIMENTO Il petrolio e i suoi derivati FIGURE PARLANTI (23.5 - 23.27) APPROFONDIMENTO Il bioaccumulo di DDT nelle catene alimentari APPROFONDIMENTO Etanolo come biocarburante SCHEDA DI LABORATORIO Reazione di esterificazione CH/341 CH/341 CH/342 CH/343 CH/344 CH/345 CH/346 CH/347 CH/347 CH/348 XV Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita INDICE La chimica di Rippa - secondo biennio C A P I TO L O 24 La chimica della vita 24.1 24.2 24.3 24.4 24.5 24.6 24.7 24.8 24.9 24.10 24.11 24.12 24.13 24.14 D I DAT T I C A AT T I VA La biochimica ........................................................................................................................... CH/355 Carboidrati ................................................................................................................................. CH/356 |PER SAPERNE DI PIÙ| > Louis Pasteur, il chimico che trasformò la medicina ................................................................................................................................ CH/356 Monosaccaridi .......................................................................................................................... CH/357 Disaccaridi e polisaccaridi ................................................................................................ CH/359 Lipidi ............................................................................................................................................. CH/362 Lipidi semplici ......................................................................................................................... CH/364 Lipidi complessi ...................................................................................................................... CH/364 Amminoacidi ............................................................................................................................. CH/367 Peptidi .......................................................................................................................................... CH/369 |PER SAPERNE DI PIÙ| > Amminoacidi e sport .............................................................. CH/370 Proteine ....................................................................................................................................... CH/370 Classificazione e struttura delle proteine ................................................................ CH/371 Proteine ed enzimi ................................................................................................................ CH/374 Basi azotate, nucleosidi e nucleotidi ......................................................................... CH/375 Acidi nucleici ............................................................................................................................ CH/377 |PER SAPERNE DI PIÙ| > La doppia elica: Crick & Watson ....................................... CH/379 Indice analitico (CHIMICA capitoli 9-14) ........................................................................... Indice analitico (CHIMICA capitoli 15-24) ........................................................................ I b d A FIGURE PARLANTI (24.8 - 24.9 - 24.36 - 24.37) SCHEDA DI LABORATORIO Curva di solidificazione dell’acido stearico ANIMAZIONE Polisaccaridi e lipidi APPROFONDIMENTO Le biotecnologie ia/1 ia/9 Referenze fotografiche L’Editore porrà rimedio, in caso di segnalazione, alle involontarie omissioni o errori nei riferimenti. p. 1a, 20, 37, 68, 73, 89, 110, 129, 141, 167a, 179, 193a, 203b, 228ab, 243, 244, 257a, 260, 289, 324, 328, 339, 355, 366b, 371a, iStockphoto p. 10, 18, 22, 82ab, 123, 129, 130, 131, 137, 167abc, 183a, 185, 187a, 215. 217, 218, 230, 239, 245, 246, 261a, 263, 271, 272ab, 274, 275, 283ab, 291, 301ab, 315, 342, 372a, 379, SPL /London p. 13, 337a, gettyimages® p. 16, da La riscoperta dell’Egitto nel secolo XIX. I primi fotografi, Studioforma, Torino 1981 p. 81, 119b, 155a, 214, 238, MILKO MARCHETTI p. 99, 183bc, CLAUDIO PETTINARI p. 113, ANDREA PIZZIRANI p. 257b, 268, da R. HOCHLEITNER, Fotoatlante dei Minerali e rocce, Zanichelli, Bologna 1984 p. 337b, da L’aria e la vita. Una realtà dinamica, a cura di Francesco Soletti, Marsilio, Venezia 1991 p. 364, da BRUM, MCKANE, KARP, Biologia, Zanichelli, Bologna, 1996 p. 370, Yuzuru Sunada XVI Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita Fondamenti di chimica: un riepilogo del primo biennio 0.1 C A P I TO L O 0 La chimica e la struttura dell’atomo N ella parte del testo relativa al primo biennio, lo studio della chimica ci ha introdotto alla conoscenza delle proprietà della materia che ci circonda. Il percorso che ora ci accingiamo a riprendere ci permetterà di svelare i segreti delle sostanze naturali, così da capire anche come è stato possibile per i chimici ideare e progettare nuovi materiali, quelli che ogni giorno fanno fare un passo avanti alla tecnologia in tutti i campi. Prima di affrontare questa nuova sfida mettiamo però bene a fuoco gli argomenti già trattati. Nel capitolo riprenderemo e consolideremo i nodi centrali delle conoscenze di chimica già acquisite. 씰 La chimica è la scienza che studia la materia e le sue trasformazioni. Le trasformazioni in cui la materia è coinvolta possono essere trasformazioni fisiche, se varia solo lo stato fisico ed energetico della materia, o trasformazioni chimiche, se si ottengono nuove sostanze e si ha una variazione della composizione della materia (figura 0.1). La materia può essere classificata, secondo la sua composizione, in miscugli e sostanze pure. I miscugli sono sistemi formati da più di un componente e hanno composizione variabile. I miscugli possono essere separati nei loro componenti tramite trasformazioni fisiche. I miscugli vengono a loro volta divisi in miscugli omogenei o soluzioni, quando la composizione e le proprietà intensive sono le stesse in ogni parte del sistema, e in miscugli eterogenei, se la composizione e le proprietà variano da una parte all’altra del sistema. Le sostanze pure sono sostanze formate da un solo componente e hanno quindi composizione costante. Le sostanze pure vengono classificate in elementi, se non possono essere scisse in sostanze più semplici, e in composti, se sono formate da due o più elementi. I composti possono essere scissi negli elementi che li costituiscono tramite trasformazioni chimiche (figura 0.2). FIGURA 0.2 Classificazione della materia in base alla sua composizione. In natura la materia si trova prevalentemente sotto forma di miscugli. Gli oceani e le rocce sono miscugli, rispettivamente, omogenei ed eterogenei. M AT E RIA si presenta in natura sotto forma di MISCUGLI SOSTANZE PURE possono essere possono essere OMOGENEI ETEROGENEI FIGURA 0.1 Un fiammifero che brucia è un esempio di trasformazione chimica. Le sostanze che si trovano sulla capocchia, i reagenti, si trasformano rapidamente in altre sostanze, i prodotti. ELEMENTI COMPOSTI CH/1 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 0 Fondamenti di chimica: un riepilogo del primo biennio Nell’Ottocento si appurò che la materia è costituita da parti piccolissime, gli atomi. 씰 L’atomo è la più piccola parte di un elemento che conserva le proprietà chimiche dell’elemento stesso. Un elemento è costituito da atomi dello stesso tipo, con le medesime proprietà chimiche. La prima ipotesi atomica basata su risultati sperimentali si deve all’inglese John Dalton e si articola su quattro punti: • la materia è costituita da atomi, particelle di materia indivisibili e indistruttibili; • un elemento chimico è formato da atomi tutti uguali tra loro; • elementi diversi sono formati da atomi diversi per volume, massa e proprietà; • atomi diversi possono unirsi tra loro per formare i composti chimici. Nei composti gli atomi sono tenuti insieme da forze, i legami chimici. L’unione di due o più atomi produce le molecole. 씰 La molecola è la più piccola parte di un composto che conserva tutte le proprietà chimiche del composto stesso. Nelle reazioni chimiche si formano nuove sostanze per effetto di una ricombinazione degli atomi tra di loro. L’atomo è formato da particelle più piccole, le particelle subatomiche: • l’elettrone è una particella con carica elettrica negativa (figura 0.3 A); • il protone è una particella con carica elettrica positiva e massa circa duemila volte più grande di quella dell’elettrone (figura 0.3 B); • il neutrone è una particella priva di carica elettrica e con massa circa uguale a quella del protone (figura 0.3 C). FIGURA 0.3 Gli atomi sono costituiti da particelle subatomiche diverse per massa e carica elettrica: gli elettroni (A); i protoni (B) e i neutroni (C). Rappresentazione – Simbolo e– A Rappresentazione + Simbolo p+ Massa (unità di massa atomica) Carica (unità atomica di carica) 1/1836 u 5,4858 · 10 – 4 u –1 Massa (unità di massa atomica) Carica (unità atomica di carica) 1,007276 u +1 Massa (unità di massa atomica) Carica (unità atomica di carica) 1,008665 u 0 B Rappresentazione n Simbolo n C Normalmente in un atomo il numero di protoni è uguale al numero di elettroni, per cui l’atomo è elettricamente neutro. 씰 Gli ioni sono atomi, o gruppi di atomi, dotati di cariche elettriche positive o negative in quanto hanno ceduto o acquistato elettroni. Gli atomi, o i gruppi di atomi, con carica positiva sono chiamati cationi, mentre quelli con carica negativa sono gli anioni. CH/2 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 0 Fondamenti di chimica: un riepilogo del primo biennio Nel 1911 Rutherford dimostrò che l’atomo è costituito da una parte centrale, chiamata nucleo, in cui è concentrata quasi tutta la massa, e da una parte periferica, molto più grande e quasi vuota, dove si trovano gli elettroni. Il raggio di un atomo è circa 10 000 volte più grande del raggio del suo nucleo. L’atomo è praticamente quasi vuoto. Questo modello è detto atomo nucleare. Le particelle che si trovano nel nucleo sono chiamate nucleoni. Il numero totale di protoni e neutroni presenti in un atomo è il numero di massa A. Il numero di protoni si chiama numero atomico Z (figura 0.4). Un elemento chimico è formato da atomi con lo stesso numero di protoni, cioè con lo stesso numero atomico. Ogni elemento è rappresentato con un simbolo chimico. Elemento O (ossigeno) F (fluoro) Au (oro) A = Z + Numero neutroni 16 19 = + = 8 9 + 8 10 197 = 79 + 118 FIGURA 0.4 Il numero di massa A di un atomo si ottiene sommando il numero di neutroni al numero atomico. Simbolo chimico A numero di massa 56 26 Fe Z numero atomico Tutti gli atomi di uno stesso elemento hanno lo stesso numero di protoni, ma possono avere un numero di neutroni diverso. Atomi che hanno lo stesso numero di protoni, ma differente numero di neutroni sono detti isotopi. La formula chimica di una molecola indica la sua composizione qualitativa e quantitativa, utilizzando i simboli chimici degli elementi che ne fanno parte. La formula molecolare indica in quale rapporto sono gli atomi che costituiscono una singola molecola. simbolo chimico dell’elemento CH4 1 atomo di carbonio Le caratteristiche chimiche degli isotopi sono identiche. indice Formula molecolare del metano 4 atomi di idrogeno 0.2 Le leggi ponderali della chimica T ra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento nacque la chimica moderna, basata sulla misura della quantità delle sostanze che si combinano, e si posero le fondamenta per il suo sviluppo. Nel 1775 Antoine Lavoisier con i suoi esperimenti osservò che: 씰 in una reazione chimica che avvenga in un sistema chiuso la massa delle sostanze reagenti è uguale alla massa dei prodotti di reazione. Questa enunciazione corrisponde a ciò che oggi è conosciuta come legge di Lavoisier o legge della conservazione della massa. La legge delle proporzioni definite, formulata da Joseph-Louis Proust nel 1799, afferma che: 씰 quando due o più elementi si combinano tra loro per dare un composto, lo fanno secondo rapporti in peso determinati e costanti. Secondo la legge di Proust la composizione percentuale in peso di un composto è costante. La legge delle proporzioni multiple, enunciata da John Dalton nel 1803, afferma che: 씰 quando due elementi si combinano per dare più composti, una stessa quantità di un elemento si combina con quantità multiple dell’altro. Le quantità multiple stanno tra loro come numeri piccoli e interi. CH/3 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 0 Fondamenti di chimica: un riepilogo del primo biennio Le masse degli atomi sono state determinate come pesi atomici relativi utilizzando i rapporti ponderali. L’unità di misura della massa degli atomi e delle particelle subatomiche è l’unità di massa atomica (simbolo u), che corrisponde alla dodicesima parte della massa di un atomo di carbonio 12 C. 1 u = 1,66 · 10 – 24 g In natura un elemento è sempre presente in una miscela di isotopi. Il peso atomico (P.A.) di un elemento è il peso medio di un atomo dell’elemento, espresso in unità di massa atomica, e dipende dalle percentuali relative con cui i vari isotopi sono presenti in natura e dalla loro massa. Il peso molecolare (P.M.) di un composto è uguale alla somma dei pesi atomici degli atomi che lo formano (figura 0.5). FIGURA 0.5 Il peso molecolare del glucosio C 6H12O6 si ottiene sommando i pesi atomici di tutti gli atomi che costituiscono la molecola. P.M. C6H12O6 == (6 · 12) (6 · 16) (12 · 1) + + == 180 u Le reazioni chimiche sono trasformazioni in cui si formano nuove sostanze. Le sostanze di partenza sono dette reagenti e quelle che si formano prodotti. Le reazioni chimiche sono rappresentate tramite le equazioni chimiche (figura 0.6). FIGURA 0.6 In una reazione chimica si rompono e si formano legami chimici, per cui si hanno nuove combinazioni tra gli stessi atomi. Dai reagenti si passa ai prodotti. + + + 2H2(gas) O2(gas) 2H2O(gas) Reagenti (A), l’equazione non rispetta la legge di Lavoisier. (B), il bilanciamento si ottiene scrivendo appropriati coefficienti stechiometrici davanti le formule. FIGURA 0.7 (A) Un’equazione chimica deve essere bilanciata per rispettare la legge della conservazione della massa. Il bilanciamento di un’equazione chimica si realizza aggiungendo opportuni coefficienti stechiometrici (figura 0.7). Equazione non bilanciata FeO + Fe + O (B) O2 O O Fe2O3 O Atomi di ossigeno = 3 Atomi di ferro = 2 Atomi di ossigeno = 3 Fe Equazione bilanciata 4FeO O O Fe Atomi di ferro = 1 Prodotti O2 + Fe O Fe O Fe O Fe O 2Fe2O3 O Fe + O O Fe Atomi di ferro = 4 Fe O O Atomi di ossigeno = 6 O O Atomi di ferro = 4 Atomi di ossigeno = 6 CH/4 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze O Fe CAPITOLO 0 Fondamenti di chimica: un riepilogo del primo biennio 0.3 Sistema periodico e classificazione degli elementi H 1 씰 le proprietà degli elementi variano in modo periodico in funzione del peso atomico. Utilizzando la legge periodica, Mendeleev predisse l’esistenza e alcune proprietà di elementi ai suoi tempi ancora sconosciuti. Il Sistema periodico moderno ordina gli elementi in ordine crescente di numero atomico. Gli elementi risultano disposti in periodi (righe orizzontali) e gruppi (colonne verticali). Il periodo e il gruppo in cui si trova un elemento costituiscono le sue coordinate chimiche. A ogni coppia di coordinate chimiche corrisponde un unico elemento (figura 0.9). Gli elementi chimici con proprietà simili fanno parte della stessa famiglia chimica. Importanti famiglie chimiche sono: i metalli alcalini (gruppo 1), i metalli alcalino-terrosi (gruppo 2), gli alogeni (gruppo 17), i gas nobili (gruppo 18) e gli elementi di transizione. Be B 9,4 11 BeH2 BH3 C 12 CH4 Na Mg Al Si 23 24 27,3 28 NaH MgH2 AlH3 SiH4 I l Sistema periodico racchiude e ordina tutti gli elementi chimici noti. A partire dal diciannovesimo secolo gli scienziati cercarono di organizzare gli elementi chimici in base alle loro somiglianze. Nel 1869 il chimico russo Dmitrij Mendeleev ordinò e classificò gli elementi nella Tavola periodica. Mendeleev osservò che, disponendo gli elementi in ordine di peso atomico crescente, alcune proprietà chimiche variavano in modo periodico e si ripetevano ogni otto elementi (figura 0.8). La legge periodica di Mendeleev afferma che: Li 7 LiH K 39 KH Ca 40 CaH2 ? N O 14 16 NH3 H2O P 31 PH3 S 32 H2S F 19 HF Cl 35,5 HCl Ti 48 TiH4 FIGURA 0.8 Seguendo le formule dei composti che gli elementi formano con l’idrogeno, Mendeleev collocò nella stessa colonna gli elementi con comportamento simile. Procedendo in questo modo rimasero posizioni libere. FIGURA 0.9 Il Sistema periodico moderno ordina gli elementi chimici per numero atomico crescente. È composto da 18 gruppi e 7 periodi. CH/5 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 0 Fondamenti di chimica: un riepilogo del primo biennio Gli elementi chimici vengono classificati in metalli, non-metalli e semimetalli (figura 0.10). FIGURA 0.10 La linea rossa spezzata divide i metalli (a sinistra) dai non-metalli (a destra). Gli elementi vicini alla linea hanno caratteristiche intermedie e sono chiamati semimetalli. I metalli costituiscono la maggior parte degli elementi del Sistema periodico e possiedono alcune caratteristiche comuni: si trovano allo stato solido (tranne il mercurio), sono buoni conduttori, sono duttili, malleabili e lucenti (figura 0.11). I non-metalli sono invece isolanti e friabili, mentre i semimetalli sono semiconduttori. 0.4 La mole FIGURA 0.11 Il rame è un metallo estremamente duttile e malleabile, tanto che viene facilmente ridotto in fili e in fogli sottilissimi. L a mole è l’unità di misura del Sistema Internazionale della quantità di sostanza. 씰 La mole (simbolo mol) è definita come la quantità di sostanza pura che contiene un numero di unità elementari (atomi, molecole, ioni, elettroni) esattamente uguale al numero di atomi contenuti in 12 g di carbonio 12 C. Una mole di una qualunque sostanza contiene 6,022 · 10 23 unità elementari (figura 0.12). Il numero di unità elementari contenute in una mole di sostanza è detto costante di Avogadro o semplicemente numero di Avogadro (NA): Non capisco perché ti lamenti: «Una MOLE per uno non fa male a nessuno!» NA = 6,022 · 10 23 particelle / mol Il numero di particelle Np contenute in una data quantità di sostanza n, espressa in moli, è uguale a: numero di particelle (Np) = n (mol) · NA (particelle / mol) Il numero di moli corrispondente a un dato numero di particelle è uguale a: n (mol) = Np NA La mole è definita in modo tale per cui la massa in grammi di una mole di una sostanza è numericamente uguale al peso atomico o molecolare della sostanza stessa ed è detta massa molare. Il suo simbolo è M e la sua unità di misura è grammi/mole (g/mol) (figura 0.13). Il numero di moli presenti in una certa massa di sostanza è uguale a: FIGURA 0.12 La massa di una mole varia da elemento a elemento in modo proporzionale alla massa di ogni singolo atomo. n (mol) = m (g) M (g/mol) CH/6 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 0 Fondamenti di chimica: un riepilogo del primo biennio Nei gas le particelle sono libere di muoversi, non risentono di forze di attrazione e occupano perciò tutto lo spazio disponibile (figura 0.14). Il volume di un gas è lo spazio a disposizione delle sue particelle e la sua pressione è la forza che le sue particelle esercitano sulla superficie del recipiente in cui è contenuto. Le proprietà dei gas sono interpretate tramite il modello del gas ideale o perfetto, il quale prevede che: FIGURA 0.14 Nelle sostanze aeriformi le particelle si muovono liberamente in tutte le direzioni. • ogni particella è in movimento caotico; • le particelle sono libere di muoversi in modo indipendente le une dalle altre; • il volume delle particelle è praticamente nullo. I gas reali sono i gas che esistono in natura. Un gas reale che si trova a bassa pressione e alta temperatura può essere considerato un gas ideale. Le trasformazioni dei gas sono le modificazioni che riguardano i loro valori di temperatura, pressione e volume. La pressione e il volume di un gas sono direttamente proporzionali al suo numero di particelle e quindi al numero di moli di gas. Queste leggi sono espresse dalle relazioni: p/n = k V/n = k Pressione p La legge isoterma di Boyle riguarda le trasformazioni a temperatura costante e afferma che il volume del gas è inversamente proporzionale alla sua pressione (figura 0.15). La legge è espressa dalla relazione: p·V=k La legge isocora di Gay-Lussac riguarda le trasformazioni a volume costante e afferma che per ogni variazione di 1 grado di temperatura la pressione varia di 1/273 della pressione esercitata a 0 °C (figura 0.16). La legge è espressa dalla formula: pt = p0 · [1 + t/273] t = costante iso ter ma La legge isobara di Charles riguarda le trasformazioni a pressione costante e afferma che per ogni variazione di 1 grado di temperatura il volume varia di 1/273 del volume occupato a 0 °C. La legge è espressa dalla formula: 0 Volume V ra Pressione p FIGURA 0.15 Il grafico relativo a una trasformazione isoterma è un ramo di iperbole equilatera. iso co p / T = k (legge isocora) V / T = k (legge isobara) V = costante 0 Vt = V0 · [1 + t/273] Anche il grafico di una trasformazione isobara è una retta non passante dall’origine degli assi. In base alle leggi dei gas si può risalire alla minima temperatura possibile, lo zero assoluto, che corrisponde a – 273 °C. Nella scala Kelvin, o della temperatura assoluta, lo zero (0 K) equivale a – 273 °C. Per ottenere la temperatura in kelvin occorre sommare 273 alla temperatura in gradi centigradi. Esprimendo la temperatura in valori della scala della temperatura assoluta T, la legge isocora e la legge isobara sono così modificate: Temperatura t FIGURA 0.16 Il grafico relativo a una trasformazione isocora è una retta non passante per l’origine degli assi. Il principio di Avogadro riguarda le trasformazioni a temperatura e pressione costante e afferma che volumi uguali di gas diversi contengono lo stesso numero di particelle. In altre parole il volume di un gas è direttamente proporzionale al numero di moli di gas. Una mole di qualsiasi gas alle condizioni normali (0 °C; 1 atm) occupa 22,4 litri. Il volume di una mole di gas alle condizioni normali è chiamato volume molare (L/mol). Riunendo le leggi dei gas si ottiene un’equazione che correla la pressione, la temperatura, il volume e il numero di moli di un gas tramite la costante universale dei gas R. Tale equazione prende il nome di equazione di stato dei gas perfetti: pV=nRT Il valore di R è uguale a 8,31 J/(mol · K) oppure 0,0821 atm · L / (mol · K). CH/8 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 0 Fondamenti di chimica: un riepilogo del primo biennio 0.7 Lo stato solido e i passaggi di stato N ello stato solido le particelle sono fortemente unite tra di loro tramite forze e occupano posizione fisse (figura 0.19). Di conseguenza i solidi hanno volume e forma propria e sono incomprimibili. Nello stato solido le particelle possono muoversi esclusivamente con moti vibrazionali e non con moti rotazionali e traslazionali come nei liquidi e negli aeriformi. I solidi possono essere solidi cristallini o solidi amorfi. I solidi cristallini sono costituiti da cristalli, strutture caratterizzate dal massimo ordine e da forme poliedriche tipiche, con le particelle che occupano posizioni fisse e regolari (figura 0.20). La disposizione ordinata delle particelle di un solido cristallino determina il reticolo cristallino. Al contrario nei solidi amorfi, che si formano a seguito di un raffreddamento veloce di un liquido, le particelle hanno una disposizione spaziale non regolare. FIGURA 0.19 Le forze di attrazione presenti tra le particelle conferiscono alle unità di base dei solidi una disposizione regolare e ordinata. FIGURA 0.20 I cristalli si formano quando un liquido raffredda lentamente o una soluzione concentrata viene lasciata cristallizzare: le particelle hanno il tempo sufficiente per formare strutture ordinate. Proprietà importanti dei solidi sono: la malleabilità; la duttilità e la durezza, misurata con la scala di Mohs. La temperatura o punto di fusione è la temperatura alla quale un solido si trasforma in liquido nel passaggio di stato chiamato fusione. Questa temperatura coincide con la temperatura o punto di solidificazione, che segna il passaggio dallo stato liquido a quello solido nel processo di solidificazione. Il passaggio diretto dallo stato solido allo stato aeriforme si chiama sublimazione, il passaggio inverso brinamento. La curva di riscaldamento di una sostanza solida riporta la variazione di temperatura che si osserva riscaldando una sostanza pura (figura 0.21). Si osserva che durante i passaggi di stato la temperatura rimane costante. Questo fenomeno è chiamato stasi termica. La lunghezza dei tratti rettilinei della curva dipende dal calore specifico e dal calore latente della sostanza. 씰 Il calore specifico di una sostanza è la quantità di calore che bisogna fornire a un grammo di sostanza per aumentare la temperatura di un grado centigrado. 씰 Il calore latente è il calore che occorre fornire a un grammo di sostanza alla temperatura del passaggio di stato per far avvenire il passaggio. La distillazione è il processo che permette di separare i componenti di un miscuglio liquido, sfruttando il loro diverso punto di ebollizione e condensando separatamente i vapori. Qualora le temperature di ebollizione dei componenti del miscuglio siano molto vicine tra di loro, per rendere possibile la separazione si sfrutta la distillazione frazionata. Al distillatore viene aggiunta una colonna di rettifica, che permette di condensare i vapori meno volatili e separare i componenti della miscela. Alcune sostanze formano i cristalli liquidi, la cui condizione può essere considerata uno stato intermedio tra lo stato solido e lo stato liquido. Le molecole dei composti che formano cristalli liquidi possono variare la propria struttura a seconda delle condizioni di pressione e temperatura o per l’azione di campi elettrici e assumere una struttura ordinata, come nei solidi, o una struttura più disordinata, simile a quella dei liquidi. I polimeri sono macromolecole ottenute dall’unione in catena di molecole più piccole. Esistono polimeri naturali, come i polisaccaridi e le proteine, e polimeri sintetici, come il polietilene e il PVC. CH/10 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 0 Fondamenti di chimica: un riepilogo del primo biennio PASSAGGI DI STATO fusione solido solido solidificazione liquido evaporazione / ebollizione aeriforme liquido liquefazione / condensazione aeriforme G Temperatura critica Gas Temperatura di ebollizione Vapore D Temperatura di fusione Temperatura F Temperatura di liquefazione o di condensazione E Temperatura di solidificazione Liquido C B A Calore del solido FIGURA 0.21 Durante i passaggi di stato la temperatura rimane costante, in quanto l’energia viene utilizzata dal sistema per vincere le forze intermolecolari che uniscono le particelle negli stati condensati della materia. Solido Calore latente di fusione Calore del liquido Calore latente di vaporizzazione Calore del vapore Calore del gas Calore fornito 0.8 Le soluzioni I miscugli si dividono in miscugli eterogenei e in miscugli omogenei o soluzioni (figura 0.22). Nei miscugli eterogenei la materia è presente in stati omogenei diversi, le fasi. Le proprietà intensive sono diverse nelle differenti parti del sistema. In un miscuglio eterogeneo è sempre possibile distinguere e separare i componenti. Nelle soluzioni i componenti sono completamente mescolati fra loro, per cui vi è la presenza di un’unica fase. 씰 Una soluzione è un sistema formato da più componenti che presenta le stesse proprietà intensive in ogni parte. Le soluzioni possono essere liquide, solide o gassose. La legge di Dalton afferma che: 씰 la pressione esercitata dalle soluzioni gassose è uguale alla somma delle pressioni parziali esercitate dai singoli componenti. FIGURA 0.22 Il solfato di rame sciolto in acqua è una soluzione, il granito e il sangue sono miscugli eterogenei. A B C CH/11 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 0 Fondamenti di chimica: un riepilogo del primo biennio L’entropia è la misura del grado di disordine di un sistema. Tutti i sistemi tendono spontaneamente ad aumentare la loro entropia. Quando si forma una soluzione, l’entropia aumenta in quanto si passa da un sistema ordinato, la sostanza che si scioglie, a uno disordinato, la soluzione. Una soluzione è costituita dal solvente e dai soluti. 씰 Il solvente di una soluzione è il componente più abbondante, mentre i soluti sono i componenti presenti in minore quantità. Una sostanza che si scioglie facilmente in un solvente è detta solubile, mentre se non si scioglie viene definita insolubile. Anche le sostanze solubili non possono essere miscelate in qualunque rapporto con il solvente. Una soluzione è detta satura, se contiene la massima quantità possibile di soluto e si è venuto a formare il corpo di fondo. 씰 La solubilità è la quantità massima di soluto che può sciogliersi in una data quantità di solvente a una certa temperatura. La solubilità dipende dalla natura chimica del soluto e dalla temperatura della soluzione. In genere, nel caso dei soluti solidi la solubilità aumenta con la temperatura, mentre la solubilità dei gas nei liquidi diminuisce. La solubilità di un gas in un liquido dipende anche dalla pressione del gas. La legge di Henry afferma che: 씰 la quantità di gas che si scioglie in un liquido è direttamente proporzionale alla pressione esercitata dal gas. 씰 La concentrazione di una soluzione esprime le quantità relative di soluto e solvente presenti. TABELLA 0.2 La concentrazione di una soluzione può essere espressa in diversi modi a seconda della convenienza. Concentrazione La concentrazione di una soluzione può essere indicata in diversi modi, in quanto si possono esprimere le quantità di soluto e soluzione in termini di volume, di massa o di numero di moli (tabella 0.2). Se le dimensioni delle particelle dei soluti sono superiori a 1 nm, il miscuglio non è più una soluzione, ma una dispersione. Le dispersioni colloidali, o colloidi, si formano quando le particelle disperse hanno dimensioni comprese tra 1 e 1 000 nanometri. I colloidi possono essere considerati come casi intermedi tra miscugli eterogenei e soluzioni e si classificano in base agli stati di aggregazione della fase dispersa e del mezzo disperdente. Sono colloidi gli aerosol, le schiume e le emulsioni. Se le particelle hanno dimensioni superiori ai 1 000 nm si parla di sospensioni. Simbolo Soluto Soluzione Relazione matematica Percentuale peso/peso %P/P g 100 g (gsoluto / gsoluzione ) × 100 Percentuale peso/volume %P/V g 100 cm3 = 100 mL (gsoluto / cm3soluzione ) × 100 Percentuale volume/volume %V/V cm3 = mL 100 cm3 = 100 mL (cm3soluto / cm3soluzione ) × 100 ppm mg 1 dm3 = 1 L mgsoluto / dm3soluzione M mol 1 dm3 = 1 L molsoluto / Lsoluzione Parti per milione Molarità Con le caratteristiche delle soluzioni si conclude la trattazione degli argomenti che nel primo biennio hanno introdotto lo studio della chimica. Ora si apre la porta alla esplorazione di nuovi territori. Entreremo nello spazio infinitamente piccolo delle particelle subatomiche e scopriremo le straordinarie architetture create dagli elettroni. Impareremo a scrivere formule e a prevedere quali legami tengono uniti gli atomi. Alla fine saremo più vicini a scoprire i segreti della materia. CH/12 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze La struttura dell’atomo C A P I TO L O 9 9.1 L’atomo come sistema planetario L a teoria atomica di Dalton, che affermava l’indivisibilità degli atomi, fu messa in discussione tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Gli esperimenti di alcuni scienziati, fra cui quello di Thomson con il tubo a raggi catodici, permisero di dimostrare che l’atomo è formato da particelle più piccole: i protoni, gli elettroni e i neutroni (cfr. § 0.1). Successivamente, gli scienziati ottennero importanti informazioni sulla struttura dell’atomo, cioè sul modo in cui le particelle subatomiche sono disposte al suo interno (tabella 9.1). In particolare nel 1911 il fisico Ernest Rutherford, basandosi sui risultati dell’esperimento che porta il suo nome, elaborò il modello nucleare dell’atomo. Secondo questo modello, l’atomo è costituito prevalentemente da spazio vuoto, al cui interno si muovono rapidamente gli elettroni, e da un piccolo nucleo denso e positivo, dove si trovano i protoni e i neutroni (cfr. § 0.1). Rutherford ipotizzò per l’atomo una struttura planetaria, in cui il nucleo rappresentava il Sole e gli elettroni si comportavano come i pianeti. Gli elettroni ruotavano attorno al nucleo a grande velocità lungo traiettorie circolari. La velocità dell’elettrone doveva essere tale che la forza centrifuga generata dalla rotazione bilanciasse in ogni istante la forza di attrazione elettrostatica del nucleo positivo (figura 9.1). Anno Scoperta 1897 J.J. Thomson identifica gli elettroni 1904 J.J. Thomson propone il modello atomico a «panettone» 1911 E. Rutherford elabora il modello atomico nucleare 1914 Viene dimostrata sperimentalmente l’esistenza dei protoni. H. Moseley determina la carica dei nuclei degli atomi e definisce il numero atomico 1932 J. Chadwick scopre i neutroni TABELLA 9.1 Tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo numerose scoperte permisero di fare luce sulla struttura dell’atomo. La forza centrifuga è quella forza che spinge verso l’esterno un corpo che ruota intorno a un punto. FIGURA 9.1 L’elettrone è attratto dal nucleo da una forza elettrostatica. Questa forza, secondo l’ipotesi di Rutherford, è uguale e contraria alla forza centrifuga, che agisce sull’elettrone in conseguenza del suo moto circolare. Questo equilibrio di forze è analogo a quello esistente nel sistema solare fra Sole e pianeti. CH/13 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 9 La struttura dell’atomo Questa ipotesi però non poteva essere accettata in quanto, a differenza dei pianeti, gli elettroni sono corpi elettricamente carichi in movimento. Sotto l’azione del campo elettrico dell’atomo, gli elettroni avrebbero dovuto perdere energia e sarebbero alla fine caduti nel nucleo (figura 9.2). Il modello non riusciva perciò a spiegare il comportamento degli elettroni, sia per quanto riguardava il tipo di movimento sia per la loro traiettoria. – Elettrone + Nucleo 9.2 La radiazione elettromagnetica Secondo le leggi dell’elettromagnetismo, una particella carica in moto circolare libera energia emettendo radiazioni. Di conseguenza, un elettrone che si muove come un pianeta attorno al Sole deve diminuire la sua velocità e finisce per cadere sul nucleo seguendo una traiettoria a spirale. FIGURA 9.2 I fenomeni che vengono spiegati utilizzando il modello ondulatorio sono: rifrazione, diffrazione e interferenza. Intensità Per indicare la frequenza si usa la lettera greca ν, che si legge ni. La lunghezza d’onda è indicata dalla lettera greca λ, che si legge lambda. Lunghezza d’onda Ampiezza I problemi posti dal modello planetario di Rutherford furono superati grazie agli studi sulla emissione di luce da parte delle sostanze. La luce è stata per lungo tempo oggetto della ricerca scientifica, che cercava di definirne la reale natura. Verso la metà del Seicento lo scienziato inglese Isaac Newton (1642-1727) ipotizzò che la luce fosse formata da minuscole particelle. Alla fine di quello stesso secolo il fisico olandese Christiaan Huygens (1629-1695) propose un modello alternativo a quello corpuscolare, ipotizzando per la luce una natura ondulatoria. Nel corso dell’Ottocento, grazie agli studi del fisico scozzese James Clerk Maxwell (1831-1879) sull’interferenza della luce e sull’elettromagnetismo, la teoria ondulatoria prevalse su quella corpuscolare. La luce va considerata come una particolare forma di onda elettromagnetica, che si genera dall’oscillazione su piani perpendicolari di un campo elettrico e di un campo magnetico (figura 9.3). I parametri che permettono di caratterizzare un’onda sono: • la frequenza (ν); indica il numero di oscillazioni che un’onda compie nell’unità di tempo; si misura in s –1, che equivale alla misura in hertz (Hz); • la lunghezza d’onda (λ); rappresenta la distanza tra due massimi dell’onda e si misura in metri, anche se nel caso della luce l’unità di misura più adeguata è il nanometro (nm); • l’ampiezza (A); corrisponde alla massima altezza della cresta dell’onda rispetto alla base; • il periodo (T); corrisponde all’intervallo di tempo in cui avviene un’oscillazione completa dell’onda; • la velocità di propagazione; è uguale al rapporto tra la lunghezza d’onda e il suo periodo; nel vuoto la velocità di propagazione di un’onda luminosa assume un valore costante (c), che è uguale a 3 · 10 8 m/s. In base alla definizione di velocità di propagazione per la luce si ha: c= Tempo λ T (1) A sua volta la frequenza ν è uguale a: Generalmente l’onda elettromagnetica viene rappresentata mostrando esclusivamente la componente elettrica. Secondo il modello ondulatorio, in un piano cartesiano, che riporta in ordinata l’ampiezza dell’onda e in ascissa la sua direzione di propagazione, la luce può essere rappresentata da una curva sinusoidale. ν= FIGURA 9.3 1 T per cui sostituendo nella (1) si ha: c=ν·λ e di conseguenza: ν= c λ (2) Questa relazione significa che tutte le onde elettromagnetiche si propagano in un mezzo con la stessa velocità, ma si differenziano per la frequenza di oscillazione e quindi anche per la lunghezza d’onda. L’insieme di tutte le frequenze che le onde elettromagnetiche possono assumere costituisce lo spettro elettromagnetico (figura 9.4). Con il termine luce si intende la parte visibile dello spettro elettromagnetico, che si estende tra l’ultravioletto e i raggi infrarossi. CH/14 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 9 La struttura dell’atomo FIGURA 9.4 Lo spettro elettromagnetico include, oltre alla luce visibile, i raggi γ , i raggi X, i raggi ultravioletti e infrarossi, le microonde e le onde radio. La luce visibile corrisponde a una fascia molto ristretta dello spettro elettromagnetico. λ cresce 10 –2 10 10 –4 10 –6 10 –8 10 –10 10 –12 10 –14 Lunghezza d’onda λ Onde radio Onde TV Microonde Infrarosso Frequenza ν 3·10 8 3·1010 Visibile metri Ultravioletto Raggi X 3·1012 Raggi γ s–1 3·1016 3·1018 3·10 20 3·10 22 ν cresce 700 nm 400 nm Rosso Arancio Giallo Verde Azzurro Indaco Violetto PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 1. Utilizzando la figura 9.4, determina in quale zona spettrale si trova una radiazione con lunghezza d’onda di 100 nm. Calcola inoltre la frequenza della radiazione. 1. Calcola la lunghezza d’onda di una radiazione la cui frequenza è 4 · 10 18 Hz. In quale zona dello spettro elettromagnetico si trova? In figura 9.4 le lunghezze d’onda sono espresse in metri, per cui occorre trasformare il valore 100 nm da nanometri a metri: 1 nm = 1∙10 –9 m, per cui 100 nm = 1,00∙10 – 7 m Una radiazione con lunghezza d’onda dell’ordine di 10 – 7 m corrisponde alla zona dell’ultravioletto dello spettro elettromagnetico. La frequenza di una radiazione è inversamente proporzionale alla sua lunghezza d’onda. Poiché tutte le radiazioni si propagano nel vuoto alla velocità della luce, per calcolare la frequenza occorre dividere la velocità della luce per la lunghezza d’onda della radiazione: 3 ∙ 10 8 m s –1/ 1,00 ∙ 10 –7 m = 3,00 ∙ 10 15 s – 1 9.3 I quanti di energia V erso la fine dell’Ottocento vennero scoperti alcuni fenomeni, per i quali le leggi della fisica classica non erano in grado di fornire nessuna spiegazione e interpretazione. Il problema principale era la cosiddetta catastrofe dell’ultravioletto, termine con cui venne indicato l’imprevisto comportamento delle radiazioni emesse da un corpo nero (vedi PER SAPERNE DI PIÙ). Nel 1900 il fisico tedesco Max Planck (1858-1947) propose la teoria quantistica, che interpretò perfettamente l’emissione del corpo nero, rivoluzionando il pensiero scientifico ed i concetti basilari della fisica. La fisica classica è la fisica anteriore al 1900. Il corpo nero è un corpo che emette radiazioni in seguito al suo riscaldamento. 씰 La teoria quantistica postula che nei processi fisici l’energia non può essere trasferita in modo continuo, cioè in quantità piccole a piacere, ma in quantità ben definite, dette quanti. Il concetto di quanto di energia non è semplice e immediato. Facciamo un esempio esplicativo. Per salire un gradino alto 10 cm dobbiamo sollevare il piede di un’altezza per lo meno pari all’altezza del gradino. Se non facciamo questo lavoro, se non consumiamo questa energia, non saliremo mai. Possiamo provare anche mille volte di seguito a sollevare il piede di 9 cm, ma non riusciremo a salire. La minima quantità di energia, che corrisponde all’altezza del gradino, è ciò che possiamo chiamare quanto di energia (figura 9.5). CH/15 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 9 La struttura dell’atomo FIGURA 9.5 In molti casi le variazioni di energia avvengono solo in apparenza in modo continuo. In realtà, quando vogliamo superare un dislivello, per esempio salire in cima a una piramide, le variazioni di energia avvengono attraverso tanti singoli passaggi in modo discontinuo, perché ogni «quanto di energia» permette di superare un singolo «gradino» alla volta. L’energia E di ogni quanto è proporzionale alla frequenza ν della radiazione: E=h·ν dove h è una costante, chiamata costante di Planck, che vale 6,63 · 10 –34 J · s. Pertanto, nelle interazioni tra radiazioni e materia, per esempio quando la luce colpisce gli atomi, l’energia viene scambiata (assorbita o emessa) per quantità multiple di un quanto h· ν. Nel 1922 Arthur Holly Compton (18921962) coniò il termine fotone per indicare un quanto di luce. La teoria di Planck all’inizio non fu accolta con entusiasmo dalla comunità scientifica. Nel 1905, però, Albert Einstein (1879-1955) la utilizzò proficuamente per interpretare e spiegare l’effetto fotoelettrico, cioè l’emissione di elettroni da parte di alcuni metalli quando vengono colpiti da opportune radiazioni. Albert Einstein vinse il premio Nobel nel 1921 proprio per i suoi studi sull’effetto fotoelettrico. Quello che si osserva sperimentalmente nell’effetto fotoelettrico, e che non può essere spiegato ammettendo una natura solamente ondulatoria delle radiazioni, è che: ATTIVITÀ Effetto fotoelettrico • l’emissione di elettroni avviene solo se la frequenza della radiazione è superiore a un certo valore ν0, chiamato soglia fotoelettrica; • l’energia cinetica degli elettroni emessi dipende dalla frequenza della radiazione incidente sul metallo e non dalla sua intensità (figura 9.6); Energia cinetica dei fotoelettroni • il numero di elettroni emessi dal metallo dipende dall’intensità della radiazione incidente. ν0 Frequenza della radiazione (ν) FIGURA 9.6 Il grafico mostra come varia l’energia degli elettroni emessi in funzione della frequenza ν della radiazione. Per frequenze della radiazione inferiori alla soglia fotoelettrica ν0 non si ha emissione di elettroni. L’esistenza della soglia fotoelettrica non poteva essere spiegata dal modello ondulatorio, secondo cui l’energia della radiazione dipendeva dall’intensità della radiazione. Considerando invece le radiazioni come quantità discrete, Einstein dimostrò che l’elettrone veniva emesso soltanto se il metallo era colpito da una radiazione con sufficiente energia. Secondo l’equazione di Planck (E = h · ν), questa energia è funzione esclusivamente della frequenza della radiazione. L’intensità della radiazione incidente, che dipende dal numero di fotoni, determina invece il numero di elettroni emessi. Più numerosi sono i fotoni più è probabile che un elettrone interagisca con un quanto di energia. Secondo Einstein la luce si comportava come se fosse costituita da piccolissime particelle, i fotoni, con energia proporzionale alla loro frequenza. In conclusione, il comportamento delle radiazioni può essere interpretato correttamente soltanto ammettendone una doppia natura, chiamata dualismo onda-particella. La luce può essere descritta sia come un’onda elettromagnetica sia come un flusso di particelle in rapidissimo movimento. 씰 Quando la luce si propaga nello spazio può essere considerata come un’onda, mentre quando interagisce con la materia mostra caratteristiche corpuscolari. CH/16 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 9 La struttura dell’atomo PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 2. Calcola l’energia di un fotone la cui frequenza è 3,00 · 1011 s– 1. 2. Calcola la frequenza e la lunghezza d’onda di un fotone con un’energia di 2,45 · 10 –16 J. L’energia di un fotone si calcola moltiplicando la frequenza della radiazione per la costante di Planck: 3,00 ∙ 10 11 s –1 × 6,63 ∙ 10 –34 J ∙ s = 1,99 ∙ 10 – 22 J dalle leggi della fisica classica e quella determinata sperimentalmente. A questa osservazione fu dato il nome di catastrofe dell’ultravioletto. La spiegazione dello spettro di emissione del corpo nero fu alla base della teoria quantistica di Planck. Il 14 dicembre del 1900 Max Planck presentò all’Accademia delle Scienze tedesca un lavoro che spiegava in modo compiuto e chiaro la distribuzione dell’energia nello spettro di emissione del corpo nero. Considerando, infatti, che gli atomi del corpo nero possono assorbire ed emettere energia solo per quantità discrete proporzionali alla frequenza e non in modo continuo, lo spettro viene interpretato correttamente. La luce emessa, che si origina dalla vibrazione degli atomi del corpo nero, può avere solo valori discreti di energia, determinabili utilizzando l’equazione di Planck E = h · ν. Il massimo di intensità che si osserva corrisponde alla frequenza di vibrazione degli atomi del corpo nero. Lo spettro del corpo nero e la catastrofe ultravioletta PER SAPERNE DI PIÙ Scaldando un blocco di ferro si osserva che durante il riscaldamento cambia colore. Prima assume una colorazione rossa, poi gialla e infine bianca con sfumature azzurre. All’aumentare della temperatura il blocco di ferro emette radiazioni sempre più energetiche. Il blocco di ferro appena considerato si comporta come un corpo nero. Lo spettro di emissione di un corpo nero mostra come l’intensità della radiazione emessa raggiunga un massimo in corrispondenza di una determinata frequenza, che cresce all’aumentare della temperatura. Questo fatto non è spiegabile con le leggi dell’elettromagnetismo, secondo le quali l’intensità della radiazione dovrebbe crescere indefinitamente all’aumentare della frequenza. Si osserva invece una diminuzione dell’intensità della radiazione alle frequenze corrispondenti alla zona spettrale dell’ultravioletto. A partire dalla zona spettrale corrispondente all’ultravioletto si osserva uno scostamento tra la curva teorica dedotta Iλ 0 λ Lo spettro di emissione del corpo nero (curva continua) si discosta da quello dedotto teoricamente (curva tratteggiata). Solo nella regione dell’infrarosso le due curve coincidono. Secondo l’interpretazione classica l’intensità della radiazione dovrebbe crescere all’infinito all’aumentare della frequenza della radiazione. 9.4 L’atomo di Bohr R iscaldando un gas rarefatto, questo emette luce. Facendo passare la radiazione emessa attraverso un prisma di vetro, questa si scompone in un insieme di righe colorate distanziate, chiamato spettro a righe (figura 9.7 A). Se la stessa procedura è effettuata con la luce bianca, questa viene scomposta in tutte le componenti monocromatiche che si susseguono dal rosso al violetto: si ottiene uno spettro continuo (figura 9.7 B). Luce bianca Gas rarefatto caldo Gas compresso caldo A B FIGURA 9.7 (A), un elemento gassoso rarefatto e incandescente emette solo alcune lunghezze d’onda, caratteristiche dell’elemento. Se la radiazione emessa attraversa un prisma di vetro, questo scompone la radiazione e separa le diverse componenti. Quello che si ottiene è uno spettro a righe, cioè una serie di ri- ghe colorate su uno sfondo scuro. (B), un gas compresso e incandescente emette luce bianca. Poiché la luce bianca contiene tutte le lunghezze d’onda, la radiazione luminosa viene scomposta dal prisma in uno spettro continuo, cioè si ottiene un insieme di colori che si susseguono in modo continuo. CH/17 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO b A SCHEDA DI LABORATORIO Analisi alla fiamma e spettroscopia APPROFONDIMENTO Lo spettro del Sole I ricercatori tedeschi Kirchhoff e Robert Wilhelm von Bunsen (1811-1899) attraverso indagini spettroscopiche scoprirono gli elementi rubidio e cesio. LABORATORIO SEMPLICE Spettroscopia chimica 9 La struttura dell’atomo Ogni elemento è caratterizzato da un proprio spettro d’emissione, per cui analizzando la radiazione emessa da un campione è possibile identificare gli elementi in esso presenti. La stessa cosa succede se un gas viene irradiato con luce bianca: la radiazione emergente risulta attenuata in corrispondenza di determinate frequenze. Ciò che si ottiene è lo spettro di assorbimento. Le radiazioni assorbite e quelle emesse da uno stesso elemento corrispondono perfettamente. Questa osservazione fu fatta per la prima volta dal matematico e fisico tedesco Gustav Robert Kirchhoff (1824-1887) ed è nota come principio di inversione dello spettro. Dalla metà dell’Ottocento la spettroscopia, cioè la branca della scienza che si occupa dell’interpretazione degli spettri, divenne un potente mezzo per studiare le proprietà della materia. Nel 1913 il fisico danese Niels Bohr (1885-1962) ipotizzò che gli spettri di emissione e di assorbimento di un atomo fossero in relazione con i suoi elettroni. Applicando la teoria quantistica all’ipotesi della struttura planetaria dell’atomo, Bohr elaborò un modello capace di spiegare la frequenza delle righe di emissione dell’atomo di idrogeno e di prevedere e calcolare il raggio delle orbite possibili per il suo unico elettrone. Il valore in picometri (pm) del raggio r delle orbite era determinato dall’espressione: 1 pm = 1 picometro = 10–12 m r = 53 n 2 r = 53n2 dove n è un numero intero e positivo, chiamato numero quantico principale, che può assumere tutti i valori interi positivi da 1 a infinito (n = 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 … ∞). Secondo questo modello, che prende il nome di atomo di Bohr, gli elettroni non possono distribuirsi in qualsiasi punto dello spazio atomico, ma solo a particolari distanze, descrivendo orbite di raggio r = 53 n 2 pm e possedendo così valori quantizzati di energia. Se un elettrone abbandona un’orbita, cioè cambia il valore di n, deve necessariamente trasferirsi su un’altra orbita a distanza diversa. L’orbita più piccola (n = 1) è distante 53 pm dal nucleo: l’elettrone non potrà trovarsi a distanze minori e non potrà mai cadere sul nucleo (figura 9.8). n= 1 2 3 4 5 r= 53 pm 212 pm 477 pm 848 pm 1325 pm pm 848 pm 477 − − I − − pm 212 FIGURA PARLANTE pm 1325 FIGURA 9.8 Nel modello costruito da Bohr studiando l’atomo di idrogeno, l’elettrone non può stare a qualunque distanza dal nucleo, ma può muoversi solo su orbite circolari di raggio 53 pm, 212 pm, 477 pm, 848 pm, 1325 pm ecc. Le misure non sono rappresentate in scala. − pm 53 + 1 1 H Niels Bohr è stato uno degli scienziati più importanti del Novecento per i suoi contributi sulla struttura dell’atomo e sulla meccanica quantistica. Premio Nobel per la fisica nel 1922, a causa delle persecuzioni naziste per le sue origini ebree nel 1943 fu costretto a rifugiarsi negli Stati Uniti. Qui si unì ai fisici che lavoravano al «Progetto Manhattan» per la produzione della bomba atomica. Successivamente, però, fu uno strenuo sostenitore della pace nel mondo e si rivolse ai capi di governo delle principali potenze e all’ONU per promuovere la cooperazione e il controllo delle armi di distruzione di massa. Un elettrone dell’idrogeno che si trova sull’orbita con raggio minore, quella corrispondente al numero quantico principale n = 1, è caratterizzato dal minimo valore di energia, che viene chiamato stato fondamentale. Alle altre orbite permesse corrispondono valori di energia superiori, che vengono indicati come stati eccitati. Ogni elettrone è attirato dal nucleo. Per portare un elettrone da un’orbita più piccola a una più grande, cioè per allontanarlo dal nucleo, bisogna CH/18 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 9 La struttura dell’atomo vincere questa forza di attrazione e, quindi, bisogna fornirgli energia. L’elettrone che si viene a trovare su un’orbita più ampia ha perciò l’energia che aveva prima, più quella necessaria per il passaggio. In un atomo risulta allora che, se consideriamo elettroni appartenenti a orbite di raggio diverso, l’elettrone che gira sull’orbita più esterna ha il maggiore valore di energia (figura 9.9). Per sollevare un oggetto consumiamo energia, cioè cediamo una parte della nostra energia all’oggetto. Ciò vuol dire che qualunque corpo per il fatto di trovarsi più in alto, cioè più distante dal centro di attrazione, possiede maggiore energia potenziale. Numero quantico principale 4 Energia 3 Distanza dal nucleo FIGURA 9.9 Con l’aumentare del numero quantico principale n aumentano la distanza dal nucleo e l’energia dell’elettrone. Un elettrone che passa da un’orbita con raggio minore a una con raggio maggiore aumenta la propria energia di un valore quantizzato. 2 Quanto di energia e– bassa ene rgi a alta ene rgia 1 Nucleo Normalmente gli elettroni di un atomo occupano le orbite a minore energia. Se forniamo all’atomo una quantità di energia sufficiente per far passare l’elettrone a un’orbita con numero quantico principale più grande, questo passaggio avviene. Successivamente l’elettrone ritorna allo stato fondamentale, emettendo energia sotto forma di fotoni di opportuna frequenza. Se la frequenza cade nella parte dello spettro elettromagnetico corrispondente alla luce visibile, si ottiene una riga colorata. L’energia del fotone, assorbito o emesso, è uguale alla differenza tra i valori di energia delle orbite tra cui avviene la transizione elettronica e può essere determinata dall’espressione: ΔE = h · ν Maggiore è la differenza di energia degli stati tra cui avviene la transizione elettronica, maggiore è la frequenza della radiazione emessa (figura 9.10 A). Per esempio, nello spettro di emissione dell’idrogeno si osservano quattro righe nella parte visibile dello spettro elettromagnetico, che corrispondono alle transizioni elettroniche che arrivano al livello con numero quantico principale n = 2 (figura 9.10 B). A n= 6 n= 5 n= 4 n= 3 E6 E5 E4 E3 n= 2 E2 n= 1 E1 B λ (nm) 656 486 ν (Hz) 4,57 ·1014 6,17 ·1014 434 ATTIVITÀ Luci al neon e altre lampade a scarica FIGURA 9.10 (A), la frequenza della radiazione emessa dipende dalla differenza di energia delle orbite tra cui avviene la transizione. (B), nell’atomo di idrogeno le transizioni elettroniche tra uno stato eccitato e il livello con n = 2 danno origine alle righe spettrali con frequenza corrispondente alla porzione visibile dello spettro. Le transizioni che terminano nello stato con n = 1 cadono nell’ultravioletto, mentre quelle che terminano nell’orbita con n = 3 cadono nell’infrarosso. 410 6,91 ·1014 7,31 ·1014 La riga a frequenza minore è dovuta alla transizione dell’elettrone tra l’orbita con n = 3 e quella con n = 2. La differenza di energia tra i due CH/19 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 9 La struttura dell’atomo stati è l’energia del fotone: ΔE = E 3 – E 2 = 3,03 · 10 – 19 J. Per ricavare la frequenza della radiazione emessa è sufficiente dividere l’energia del fotone per la costante di Planck h: ν= ΔE h = 3,03 · 10 – 19 J 6,63 · 10 –34 J · s = 4,57 · 10 14 s –1 In sintesi, il modello atomico di Bohr prevede che: • un elettrone può muoversi solo seguendo orbite con raggi definiti dal numero quantico principale; • l’energia di un elettrone aumenta all’aumentare del raggio dell’orbita e, quindi, all’aumentare del numero quantico principale; • un elettrone per passare a un livello energetico superiore assorbe energia, mentre per tornare a un’orbita con energia inferiore emette un fotone di opportuna frequenza; • la frequenza del fotone emesso è tale per cui la sua energia corrisponde alla differenza di energia delle due orbite tra cui avviene la transizione. La presenza di righe vicinissime con frequenze leggermente diverse negli spettri degli elementi prende il nome di struttura fine delle righe spettrali. Gli splendenti colori dei fuochi d’artificio sono dovuti agli atomi e agli ioni di particolari sali, che sono aggiunti alle polveri con cui i fuochi sono preparati. Quando gli atomi vengono eccitati, alcuni elettroni assorbono energia, che è restituita sotto forma di luce al ritorno degli elettroni allo stato fondamentale. Per produrre energia si usano sostanze I fuochi d’artificio PER SAPERNE DI PIÙ Il modello di Bohr è particolarmente efficace per spiegare le righe di emissione dell’atomo di idrogeno e fornisce risultati soddisfacenti anche quando è applicato ai cosiddetti atomi idrogenoidi, cioè quegli ioni, come Li2+ e He+, che posseggono un solo elettrone. Il modello di Bohr non fornisce invece risultati adeguati quando viene applicato ad atomi polielettronici, i cui spettri sono caratterizzati da molte righe vicine. La teoria di Bohr fu completata e generalizzata dal fisico tedesco Arnold Sommerfeld (1868-1951), che ammise per gli elettroni orbite non più sferiche. Sommerfeld ipotizzò orbite ellittiche con diverse orientazioni e suppose che ogni livello fosse strutturato in più sottolivelli. In questo modo si spiegava la presenza di più righe spettrali ravvicinate. ossidanti, come il perclorato di potassio (KClO4) o il nitrato di potassio (KNO3). La luce bianca si ottiene ossidando magnesio o alluminio ad alte temperature. La luce gialla si sprigiona dai sali di sodio. I sali di stronzio danno luce rossa, quelli di bario verde. Per il colore blu, il più difficile da produrre, occorre decomporre il cloruro di rame (CuCl 2) a basse temperature. 9.5 Le energie di ionizzazione L Legge di Coulomb. Due cariche elettriche si attraggono, se hanno segno opposto, o si respingono, se sono dello stesso segno, con una forza direttamente proporzionale al prodotto delle due cariche e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. d ANIMAZIONE Energia di ionizzazione e livelli energetici a distribuzione degli elettroni in diversi livelli di energia, ipotizzata da Bohr, ha trovato importanti conferme sperimentali. Gli elettroni di un atomo sono attratti dal nucleo e, in accordo con la legge di Coulomb, la forza con cui sono trattenuti diminuisce all’aumentare della loro distanza dal nucleo. Se forniamo a un atomo energia sufficiente, è possibile allontanare definitivamente i suoi elettroni per formare un catione (cfr. § 0.1). Il processo con cui si formano i cationi prende il nome di ionizzazione e l’energia necessaria per sottrarre gli elettroni a un atomo è detta energia di ionizzazione. 씰 L’energia necessaria per allontanare l’elettrone più esterno da un atomo isolato è detta energia di prima ionizzazione. CH/20 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 9 La struttura dell’atomo L’energia per estrarre il secondo elettrone da un atomo prende il nome di energia di seconda ionizzazione. Fornendo energia adeguata è possibile eliminare tutti gli elettroni da un atomo. Per esempio per il berillio Be, che ha 4 protoni e 4 elettroni, sono possibili quattro ionizzazioni. I processi di ionizzazione del berillio possono essere così schematizzati: Be(g) Ei 500 400 300 + E 1 → Be+(g) + e – 200 Be+(g) + E 2 → Be2+(g) + e – 100 Be2+(g) + E 3 → Be3+(g) + e – 0 0 Be3+(g) + E 4 → Be4+(g) + e – dove E 1 è l’energia di prima ionizzazione, mentre E 2, E 3 e E 4 sono rispettivamente le energie di seconda, terza e quarta ionizzazione. Analizzando come variano i valori dell’energia necessaria per estrarre tutti gli elettroni di un elemento, si ottengono importanti informazioni sulla struttura elettronica degli atomi. Le energie di ionizzazione successive alla prima assumono valori sempre crescenti. Questo fatto è spiegabile ammettendo che l’allontanamento degli elettroni da un atomo non più neutro, ma carico positivamente, richieda più energia. Gli elettroni rimasti risultano infatti più trattenuti dal nucleo. Riportando in un grafico tutte le energie di ionizzazione di un elemento, si può osservare come i valori non aumentino in modo graduale, ma risultino raggruppati (figura 9.11). Per esempio, le energie di prima, seconda e terza ionizzazione dell’alluminio (Z = 13) hanno valori crescenti, ma non molto distanti tra loro, mentre si osserva un grande incremento nell’energia di quarta ionizzazione. Successivamente l’energia cresce in modo lineare fino all’eliminazione dell’undicesimo elettrone. Un altro salto nei valori di energia di ionizzazione si osserva per l’allontanamento degli ultimi due elettroni, il dodicesimo e il tredicesimo. L’andamento delle energie di ionizzazione dell’alluminio può essere spiegato ammettendo una distribuzione degli elettroni non uniforme, ma a gruppi. Si può ipotizzare che gli elettroni non si dispongano alla stessa distanza dal nucleo, ma in livelli caratterizzati da energia diversa. L’alluminio dovrebbe disporre due elettroni in un primo livello più vicino al nucleo, otto elettroni in un secondo livello intermedio e tre elettroni in un terzo livello più esterno. Le stesse osservazioni possono essere fatte per tutti gli elementi (figura 9.12). L’analisi delle energie di ionizzazione degli elementi conferma l’esistenza dei livelli energetici ipotizzati da Bohr. Gli elettroni di un atomo non si trovano tutti alla stessa distanza dal nucleo, ma sono disposti in livelli diversi, cui competono valori di energia differenti. 2 4 6 8 Elettroni allontanati 10 FIGURA 9.11 L’andamento dei valori delle successive energie di ionizzazione dell’alluminio mostra come i 13 elettroni dell’elemento siano disposti in tre livelli energetici. Ei Primo livello 500 Secondo livello 400 300 Terzo livello 200 Quarto livello 100 0 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 Z Energie di progressiva ionizzazione dei primi 30 elementi. Per ragioni di spazio sono riportate le energie relative ai due elettroni del primo livello solo per i primi 16 elementi. I valori sono espressi in kJ/mol. Il grafico mostra chiaramente come la disposizione degli elettroni negli atomi di tutti gli elementi non sia uniforme, ma ripartita in livelli. FIGURA 9.12 9.6 L’elettrone-onda U na volta stabilito che la luce poteva essere descritta sia come un’onda elettromagnetica sia come un flusso di particelle in rapidissimo movimento, il passo successivo fu di considerare la materia, che è costituita da particelle, come un’onda, almeno per alcuni suoi comportamenti. L’elettrone è una particella piccolissima, indivisibile, dotata di elevatissima velocità. Nel 1924 Louis Victor de Broglie (1892-1987, premio Nobel nel 1929) avanzò l’ipotesi che l’elettrone, come il fotone, potesse essere descritto sia come particella sia come onda. Per de Broglie ogni particella subatomica è un corpuscolo, ma è anche un’onda elettromagnetica, le cui caratteristiche dipendono dalla massa e dalla velocità della particella. L’onda associata all’elettrone doveva essere, secondo il fisico francese, un’onda stazionaria, che si propaga lungo una circonferenza avente per centro il nucleo dell’atomo (figura 9.13). 12 A APPROFONDIMENTO Il modello elettronico a gusci CH/21 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 9 La struttura dell’atomo A B FIGURA 9.13 (A), l’elettrone non è solo una particella corpuscolare, ma è anche un’onda. Poiché l’orbita è circolare, l’onda è stazionaria. L’onda può essere stazionaria soltanto se la lunghezza d’onda è tale che a ogni giro vi sia concordanza di fase. Le orbite devono contenere un numero intero di lunghezze d’onda e possono avere perciò solo particolari valori del raggio. Da questa proprietà trae origine il numero quantico principale. (B), quando facciamo vibrare le corde di una chitarra produciamo un’onda stazionaria, che parte e arriva sempre dagli stessi punti descrivendo un numero intero di oscillazioni. La lunghezza d’onda associata a una particella può essere determinata combinando l’equazione di Planck E = h · ν, concepita per le onde elettromagnetiche, con la relazione di Einstein E = m · c 2, che lega massa ed energia delle particelle. Svolti tutti i passaggi, risulta che: λ= Werner Heisenberg fu collaboratore di Niels Bohr e ricevette il premio Nobel nel 1932 grazie all’enunciazione del principio di indeterminazione. È stato uno dei fondatori della meccanica quantistica. h m·v dove λ è la lunghezza d’onda della radiazione, h la costante di Planck, m la massa e v la velocità della particella. In base a questa relazione, una particella che si muove con velocità v elevata deve avere massa m piccolissima, affinché la lunghezza dell’onda associata λ sia almeno misurabile. L’idea di elettrone-onda fu accettata, anche se poneva nuovi problemi. Mentre nel modello di Bohr l’elettrone era considerato come una particella che viaggiava su orbite definite, come un treno sui binari, e si poteva prevedere in ogni momento dove si trovava e dove sarebbe passato, con la nuova concezione proposta da de Broglie non si riusciva più a localizzarlo. Per l’elettrone-onda non era possibile individuare con certezza le posizioni assunte durante il moto. Se vogliamo sapere come si muove un elettrone, dobbiamo irradiarlo con una radiazione corta, di lunghezza d’onda simile a quella dell’elettrone-onda. Le radiazioni corte, però, hanno elevata frequenza e, di conseguenza, grande energia. L’impatto della radiazione con l’elettrone provoca inevitabilmente una perturbazione del moto della particella. Nel 1927 il fisico tedesco Werner Heisenberg (1901-1976) enunciò il suo famoso principio di indeterminazione, con cui si dichiarava l’assoluta impossibilità di conoscere contemporaneamente i valori precisi della velocità e della posizione delle particelle subatomiche, cioè in pratica le caratteristiche del loro movimento. Alla luce di ciò ancora oggi è impossibile sapere quale cammino percorrerà e dove si troverà in un particolare momento l’elettrone-onda, che si allontana e si avvicina al nucleo. Non lo potremo mai sapere, ma possiamo fare valutazioni probabilistiche: possiamo calcolare le probabilità di trovare l’elettrone entro una determinata distanza dal nucleo in una certa direzione dello spazio. Gli studi condotti dai fisici hanno segnato il passaggio dalla meccanica classica newtoniana alla meccanica quantistica, dalla certezza al calcolo delle probabilità. Nel 1926 il fisico Erwin Schrödinger (1887-1961) propose una relazione matematica, l’equazione d’onda, le cui soluzioni sono funzioni, chiamate funzioni d’onda, che descrivono i diversi stati in cui l’elettrone si può trovare. Le funzioni d’onda vengono indicate con la lettera greca ψ (psi). Queste funzioni d’onda sono chiamate orbitali. CH/22 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 9 La struttura dell’atomo L’equazione di Schrödinger permette di calcolare con precisione l’energia dell’elettrone, ma per il principio di indeterminazione di Heisemberg la definizione della sua posizione è sempre afflitta da incertezza. Si può quindi stabilire unicamente la probabilità di trovare un elettrone in una determinata regione dello spazio, quando si trova in un dato stato energetico. Il quadrato della funzione d’onda (ψ2) è proporzionale alla probabilità di trovare l’elettrone in una data zona dello spazio atomico e il suo valore diminuisce allontanandosi dal nucleo. 9.7 Il concetto di orbitale P er spiegare con rigore scientifico il comportamento dell’elettrone-onda e per valutare probabilisticamente le caratteristiche del suo movimento, dovremmo addentrarci in una trattazione matematica abbastanza complicata. Con un piccolo sforzo cerchiamo comunque di cogliere i significati essenziali di questo approccio al problema. Per aiutarci faremo ricorso agli esempi riportati qui di seguito, in cui si riconosce facilmente la differenza tra certezza e probabilità di un evento. Il termine orbitale è stato introdotto nel 1932 dal fisico e chimico statunitense Robert Mulliken (18961986) come abbreviazione di funzione d’onda orbitale monoelettronica. Certezza. Un trenino elettrico che corre su binari circolari: è possibile calcolare il momento in cui il trenino passerà per un determinato punto del suo percorso. Probabilità. Un’automobilina telecomandata da un ragazzo: non si sa quale percorso seguirà, né con quale frequenza e quando passerà per un determinato punto. Si può calcolare, però, la probabilità di trovarla entro una determinata distanza dal ragazzo e si può determinare l’ampiezza della zona intorno al ragazzo in cui l’automobilina corre per la maggior parte, ad esempio il 90%, del suo tempo. Facciamo un altro esempio. Al centro di un piazzale c’è un ragazzo che gioca a gettare sassi intorno a sé, in tutte le direzioni. Ne lancia a diverse distanze, alcuni vicini, altri lontani. Noi non sappiamo a quale distanza dal ragazzo sarà scagliato il sasso successivo, ma possiamo fare previsioni statistiche: calcoliamo la distanza dal ragazzo entro la quale si trova il 90% dei sassi già lanciati e possiamo scommettere che, con il 90% di probabilità, il prossimo sasso cadrà entro tale distanza. Certo, il sasso successivo potrebbe essere lanciato più lontano, ma le probabilità che ciò avvenga sono molto basse. Abbiamo così determinato l’area entro la quale è molto probabile essere colpiti dai sassi lanciati dal ragazzo. L’elettrone, che è onda e particella, si muove intorno al nucleo con un moto impossibile da definire. Le diverse posizioni assunte nel tempo dall’elettrone fanno sì che in pratica si formi una nube di carica elettrica negativa. Questa nube, come le nubi del cielo, non ha contorni ben definiti. Possiamo però definire un contorno, una superficie, che al suo interno comprenda, per esempio, il 90% della nube. Riprendiamo di nuovo l’esempio dell’automobilina telecomandata. Nella sua corsa vorticosa il giocattolo si troverà a passare con molte probabilità nelle vicinanze del ragazzo, da cui qualche volta si allontanerà (figura 9.14). Nell’atomo, allo stesso modo, l’elettrone, attirato dal nucleo, tende a passare più frequentemente vicino all’area centrale, ma potrà trovarsi anche molto lontano da essa. In effetti, la probabilità di incontrare l’elettrone diminuisce man mano che ci allontaniamo dal nucleo. Questa probabilità, però, diventa zero solo a distanza infinita. Per evidenti motivi pratici è perciò conveniente determinare il raggio di una immaginaria sfera nella quale vi sia una elevata probabilità, il 90%, di trovare l’elettrone e non la FIGURA 9.14 L’automobilina telecomandata dal ragazzo segue un percorso non prevedibile e non determinabile. È possibile tuttavia individuare una circonferenza all’interno della quale la probabilità di trovare l’automobilina è elevata. CH/23 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 9 La struttura dell’atomo certezza, il 100%. La certezza di trovare l’elettrone in una sfera che al centro ha il nucleo si avrebbe solo se il raggio fosse infinito. Il concetto di orbitale si fonda su queste considerazioni probabilistiche, ricavate dalle formule delle funzioni d’onda. Espresso con una definizione sintetica ed efficace, che non richiede la conoscenza dell’equazione di Schrödinger, l’orbitale è la regione dello spazio, del tutto immaginaria e ricavata matematicamente, in cui vi è il 90% di probabilità di trovare l’elettrone (figura 9.15). A ogni diverso stato energetico dell’elettrone corrisponde un diverso orbitale. Gli atomi di idrogeno ed elio, ad esempio, hanno gli elettroni in orbitali di forma sferica. Ciò vuol dire che all’interno di ciascuno di questi spazi sferici vi è per lo meno il 90% di probabilità di trovare l’elettrone relativo a quell’orbitale. L’atomo di idrogeno è costituito da un solo protone e da un solo elettrone. Secondo il modello atomico di Bohr, oggi abbandonato, l’elettrone girava intorno al protone lungo un’orbita circolare. Secondo il modello degli orbitali, detto anche modello quantomeccanico, il protone è al centro di una nube elettronica sferica all’interno della quale vi è il 90% di probabilità di trovare l’elettrone, ovvero dove l’elettrone passa il 90% del suo tempo. Ricapitoliamo quanto la meccanica quantistica prevede sugli elettroni. 씰 Un elettrone è contemporaneamente una particella e un’onda. 씰 Gli elettroni non si muovono lungo orbite prefissate. 씰 Il movimento e lo stato energetico dell’elettrone definiscono le caratteristiche dell’orbitale ad esso relativo. 씰 L’orbitale può essere considerato come la regione dello spazio intorno al nucleo dove c’è il 90% di probabilità di trovare l’elettrone. 씰 L’orbitale può essere considerato come la regione dello spazio intorno al nucleo in cui l’elettrone passa il 90% del suo tempo. FIGURA 9.15 (A), questa immagine è ciò che si vedrebbe se potessimo fotografare la posizione di un elettrone a intervalli brevissimi di tempo. (B), la circonferenza tratteggiata delimita la regione dello spazio in cui vi è il 90% delle probabilità di trovare l’elettrone. (C), rappresentazione tridimensionale di un orbitale sferico, cioè della regione dello spazio atomico in cui la probabilità di trovare un elettrone con determinate caratteristiche energetiche è del 90%. A B C 9.8 I numeri quantici S econdo il modello di atomo planetario, gli elettroni, considerati soltanto come particelle, giravano su orbite che differivano tra loro per le dimensioni, in base al valore del numero quantico principale n, e per la forma, circolare o ellittica. Secondo il modello degli orbitali, l’elettrone, considerato invece come particella-onda, si trova all’interno di spazi che differiscono tra loro per dimensione, forma e orientazione nello spazio. Le dimensioni, la forma e l’orientazione nello spazio dei vari orbitali sono specificate da tre tipi di numeri, chiamati numeri quantici. Il numero quantico principale (simbolo n) può assumere tutti i valori interi positivi compresi tra 1 e infinito (n = 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 … ∞). Nel modello degli orbitali questo numero ha lo stesso significato, gli stessi valori e lo stesso simbolo che abbiamo già conosciuto studiando l’atomo di Bohr (cfr. § 9.4). Il numero quantico principale è un indice delle dimensioni e dell’energia dell’orbitale. Un orbitale con un valore di n piccolo ha dimensioni più ridotte ed energia più bassa rispetto a un orbitale che ha un valore di n maggiore. CH/24 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 9 La struttura dell’atomo Il numero quantico angolare o secondario (simbolo l ) può assumere tutti i valori interi compresi tra 0 e (n – 1) (figura 9.16). Per esempio, se n = 4, l può assumere 4 valori: 0, 1, 2 e 3 (vedi seconda colonna della figura 9.16). Il numero quantico angolare indica la forma dell’orbitale. Per esempio, quando l è uguale a 0, l’orbitale è sferico, mentre quando l ha altri valori, l’orbitale ha altre forme che conosceremo nel prossimo paragrafo. L’elettrone è una carica elettrica in rapidissimo movimento e pertanto, come ogni carica elettrica in movimento, genera un campo magnetico. Ogni orbitale può essere paragonato a un piccolo magnete che può assumere diverse orientazioni nello spazio. Il numero quantico magnetico (simbolo m) indica le diverse possibilità di orientazione degli orbitali nello spazio. Il numero quantico magnetico può assumere tutti i valori interi compresi tra –l e + l. Per esempio, se l = 2, m può assumere 5 valori: – 2, – 1, 0, +1, +2 (vedi terza colonna della figura 9.16). Da quanto abbiamo detto risulta che i valori di m dipendono da quelli di l, che a loro volta dipendono da quelli di n. Nella figura 9.16 sono riportati i valori che i numeri quantici l e m possono assumere in corrispondenza con i primi quattro valori di n. Indichiamo gli orbitali con quadratini colorati. Il primo quadratino che incontriamo in alto nella figura rappresenta un orbitale caratterizzato dai seguenti valori dei numeri quantici: n = 1, l = 0, m = 0. Il quadratino indicato da una freccina è invece contraddistinto dai seguenti valori dei numeri quantici: n = 4, l = 2, m = – 2. Nella figura 9.16 si vede anche che, in corrispondenza dei diversi valori dei numeri quantici principali n, vi è un diverso numero di orbitali. I numeri quantici derivano il loro nome dal fatto di essere stati introdotti dalla meccanica quantistica e si ottengono risolvendo l’equazione di Schrödinger. 씰 Il numero di orbitali possibili per ogni valore di n è dato da n 2. Con n = 4, per esempio, abbiamo 42 = 16 orbitali. In particolare si possono avere: 1 orbitale con l = 0; 3 orbitali con l = 1; 5 orbitali con l = 2 e 7 orbitali con l = 3; in totale 1 + 3 + 5 + 7 = 16 orbitali. I tre numeri quantici di cui abbiamo parlato finora si riferiscono agli orbitali. Si conosce un quarto numero quantico, che però è proprio dell’elettrone. Come la Terra che oltre a girare intorno al Sole gira anche intorno al proprio asse, così l’elettrone oltre a girare intorno al nucleo gira intorno a se NUMERO QUANTICO l n ORBITALE m Tipo Nome Numero 1 0 0 s 1s 1 2 0 0 s 2s 1 p 2p 3 s 3s 1 p 3p 3 d 3d 5 s 4s 1 p 4p 3 d 4d 5 f 4f 7 2 3 1 3 4 4 4 0 +1 0 0 3 4 –1 1 –2 2 –1 0 +1 –1 0 +1 +2 0 0 1 2 3 –1 0 +1 ➔ –2 –1 0 +1 +2 –3 –2 –1 0 +1 +2 +3 FIGURA 9.16 Lo schema mostra i valori dei numeri quantici l ed m in corrispondenza ai primi quattro valori del numero quantico n. A ogni orbitale, caratterizzato da una particolare combinazione di valori di n, l ed m, è attribuito uno specifico nome. I triangoli permettono di evidenziare che all’aumentare di n il numero di orbitali aumenta e risulta essere n 2: 1, 4, 9, 16. CH/25 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO FIGURA 9.17 L’elettrone può ruotare attorno al proprio asse in senso orario o antiorario. Questa rappresentazione dà un’idea molto concreta dell’elettrone; non dimentichiamo, però, che si tratta di una particella quasi priva di massa e con natura ondulatoria. Spin • In inglese to spin significa «ruotare su se stessi» come fa una trottola. 9 La struttura dell’atomo stesso. Per alcuni aspetti l’elettrone è assimilabile a una trottola e come tale può girare in senso orario o in senso antiorario (figura 9.17). Una carica elettrica negativa che ruota intorno al proprio asse genera un campo magnetico. Anche per questo movimento rotatorio l’elettrone può essere considerato un piccolo magnete. Il numero quantico di spin o semplicemente spin (simbolo ms) è una caratteristica dell’elettrone che si riferisce al campo magnetico prodotto dalla rotazione intorno al proprio asse. Il numero quantico di spin può assumere solo i valori – ½ e + ½, secondo il senso di rotazione con cui l’elettrone ruota. Due elettroni che hanno numero quantico di spin opposto compiono movimenti che hanno verso opposto. Nel 1925 il fisico austriaco Wolfgang Pauli enunciò una legge, nota come principio di esclusione di Pauli, che definiva quanti elettroni potevano trovarsi in un orbitale. Pauli affermò che in un atomo non possono mai trovarsi due elettroni con tutti i numeri quantici uguali. Di conseguenza verifichiamo sempre che: 씰 in un unico orbitale non vi possono essere più di due elettroni e, se ve ne sono due, essi devono avere numero quantico di spin opposto. Per rappresentare graficamente questo concetto indichiamo un orbitale con un quadratino. La presenza nell’orbitale di uno o due elettroni è indicata da una o due frecce verticali. Quando vi sono due elettroni le frecce devono avere verso opposto, per ricordare che i due elettroni hanno spin opposto. Per esempio, per quanto riguarda un orbitale con n = 1 possiamo avere i seguenti casi: Il fisico austriaco Wolfgang Pauli (1900-1958) fu allievo di Niels Bohr a Copenaghen e nel 1945 ricevette il premio Nobel per l’enunciazione del suo principio di esclusione. A lui si deve anche la scoperta del neutrino. Due elettroni con numero quantico di spin uguale sono detti elettroni con spin parallelo. TABELLA 9.2 Nomi, simboli, valori e significato dei quattro numeri quantici. 1 elettrone con numeri quantici: n = 1, l = 0, m = 0, m s = + ⎯12 1 elettrone con numeri quantici: n = 1, l = 0, m = 0, m s = – ⎯12 2 elettroni con numeri quantici: ⎧ n = 1, l = 0, m = 0, m s = + ⎯12 ⎨ n = 1, l = 0, m = 0, m = – ⎯1 s 2 ⎩ Dalla rappresentazione risulta chiaro il motivo per cui un orbitale può contenere al massimo due elettroni con spin opposto. Due elettroni che si trovano nello stesso orbitale hanno n, l ed m identici. Affinché il principio di esclusione di Pauli sia rispettato, i due elettroni devono essere differenti per il numero quantico di spin. Un terzo elettrone nello stesso orbitale avrebbe necessariamente la sequenza dei numeri quantici identica ad uno degli altri due, in quanto il numero quantico di spin può assumere solo due valori. Come visto in precedenza, il numero di orbitali di un livello n è uguale a n 2. Per il principio di esclusione di Pauli il numero di elettroni che si possono trovare in un dato livello n corrisponde al doppio del numero di orbitali presenti, quindi è uguale a 2n 2. La tabella 9.2 riassume le caratteristiche dei quattro numeri quantici. Nome Simbolo Valori Significato Principale n 1→∞ Raggio ed energia dell’orbitale Angolare l 0 → (n –1) Forma dell’orbitale Magnetico m –l → + l Orientazione dell’orbitale Spin ms –½ e +½ Senso di rotazione dell’elettrone CH/26 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 9 La struttura dell’atomo 9.9 Gli orbitali s, p, d, f O sservando di nuovo la figura 9.16, notiamo che per ogni valore di n vi è un orbitale caratterizzato dal numero quantico angolare l = 0 (i quadratini segnati in verde). Gli orbitali che hanno l = 0 si chiamano orbitali s (cfr. quarta colonna della figura). Per distinguere tra loro gli orbitali s, scriviamo davanti al simbolo s il valore del numero quantico principale, come indicato nella quinta colonna della figura. Notiamo anche che per ogni valore di n c’è un solo orbitale s. L’orbitale s può essere considerato come una nube elettronica di forma sferica, al cui interno l’elettrone passa per lo meno il 90% del suo tempo. All’aumentare del valore di n aumenta il raggio dell’orbitale (figura 9.18) e, in proporzione, aumenta anche l’energia dell’elettrone che appartiene a quell’orbitale. Osservando ancora la figura 9.16, risulta che per ogni valore di n, escluso n = 1, vi sono 3 orbitali caratterizzati dal numero quantico angolare l = 1 (i quadratini segnati in rosso). Gli orbitali che hanno l = 1 si chiamano orbitali p. Anche in questo caso, per distinguere le varie terne di orbitali p scriviamo davanti il valore del numero quantico principale. Infatti abbiamo orbitali 2p, 3p ecc. (cfr. quinta colonna della figura). Un orbitale p ha una forma particolare, come quella di due gocce d’acqua allineate e riunite per la parte più stretta (figura 9.19). Ogni terna di orbitali p è disposta lungo i tre assi cartesiani ortogonali dello spazio, x, y e z, in modo che ogni orbitale p giaccia su un asse perpendicolare agli altri due. Il nucleo dell’atomo si trova all’incrocio degli assi. Riferendoci sempre alla figura 9.16, risulta che, quando n ha valore superiore a 2, vi sono 5 orbitali caratterizzati dal numero quantico angolare l = 2 (i quadratini azzurri). Gli orbitali che hanno l = 2 si chiamano orbitali d. Per ogni valore di n, escluso 1 e 2, abbiamo quindi 5 orbitali d, che sono indicati 3d, 4d ecc. Questi orbitali hanno una propria particolare forma, rappresentata nella figura 9.20. Infine, per ogni valore di n superiore a 3 vi sono 7 orbitali che hanno l = 3 (i quadratini marroni). Gli orbitali caratterizzati dal numero quantico angolare l = 3 si chiamano orbitali f. Questi orbitali, indicati come 4f, 5f ecc., hanno forme più complicate, che non riportiamo. Rifacciamoci ancora alla figura 9.16. Quando n = 1 abbiamo soltanto l’orbitale 1s; per n = 2 abbiamo l’orbitale 2s e i 3 orbitali 2p; per n = 3 abbiamo l’orbitale 3s, i 3 orbitali 3p e i 5 orbitali 3d; per n = 4 abbiamo l’orbitale 4s, i 3 orbitali 4p, i 5 orbitali 4d e i 7 orbitali 4f. Per valori più alti di n abbiamo ancora altri orbitali. Tutti gli orbitali noti per gli elementi fino a oggi scoperti sono riportati nello schema seguente: 1s 2s 3s 4s 5s 6s 7s Z X Z Y X 2p 3p 4p 5p 6p 7p X 2s n=2 l=0 3s n=3 l=0 FIGURA 9.18 Rappresentazione in scala degli orbitali 1s, 2s e 3s. All’aumentare del valore del numero quantico principale n aumentano il raggio e l’energia dell’orbitale s. Z Z Y X Z Y X px Y X pz py Z Y X p xyz FIGURA 9.19 Gli orbitali p sono caratterizzati dal numero quantico angolare l = 1. Per ogni valore di n maggiore di 1 si hanno tre orbitali p, uguali per forma ed energia, ma diversi per il valore del numero quantico magnetico m, che può assumere i valori –1, 0, +1. Gli assi dei tre orbitali p sono perpendicolari tra loro. I tre orbitali sono rappresentati con colori diversi, in alto isolati e in basso riuniti insieme. 3d 4d 4f 5d 5f 6d Z Y 1s n=1 l=0 Z Y X Z Y X Y FIGURA 9.20 Gli orbitali d sono caratterizzati dal numero quantico angolare l = 2. Per ogni valore di n maggiore di 2 si hanno 5 orbitali d. Gli orbitali d con lo stesso valore di n hanno la stessa energia. CH/27 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO FIGURA 9.21 Rappresentazione secondo il modello degli orbitali della struttura di un atomo di neon (Ne, Z = 10). Il nucleo non è indicato. Si riconoscono gli orbitali 1s e 2s e i tre orbitali 2p perpendicolari tra loro. 9 La struttura dell’atomo Nella figura 9.21 è rappresentata la struttura atomica di un atomo di neon, vista secondo il modello quantomeccanico degli orbitali. Se indichiamo un orbitale s con un quadratino verde, ogni terna di orbitali p con tre quadratini rossi, ogni gruppo di 5 orbitali d con 5 quadratini azzurri e ogni gruppo di 7 orbitali f con 7 quadratini marroni, lo schema della pagina precedente risulta meglio visualizzato, come in figura 9.22. Gli elettroni che occupano orbitali con lo stesso valore Valore Sottoguscio Numero di di numero quantico princidi l o tipo orbitali nel di orbitale sottoguscio pale n si dice che si trovano nello stesso guscio elettroni0 s 1 co. Gli orbitali di un dato gu1 p 3 scio possono essere classifi2 d 5 cati in sottogusci, ciascuno 3 f 7 dei quali è caratterizzato da un differente valore del numero quantico angolare l e da una forma caratteristica. FIGURA 9.22 Lo schema mostra gli orbitali noti, disposti in base ai valori dei numeri quantici. Gli orbitali dello stesso tipo sono rappresentati con lo stesso colore. s p d f l 0 1 2 3 m 0 –1 0 +1 –2 –1 0 +1 +2 –3 – 2 –1 0 +1 +2 +3 1 2 3 n 4 5 6 7 PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 3. Per imparare a usare i numeri quantici e per distinguere gli orbitali, com- 3. Quanti orbitali vi sono all’interno di un pleta le frasi seguenti. sottoguscio caratterizzato dal numero quantico angolare l = 2? 4. Per ciascuno dei seguenti orbitali indica i valori di n ed l: 6s, 4p, 5d e 4f. (a) Quando n = 2, i valori di l possono essere ………… e …………………… . (b) Quando l = 1, i valori di m possono essere ………… , ………… e ………… e il sottoguscio è chiamato ………… . (c) Quando l = 2, il sottoguscio è chiamato ………… . (d) Quando un sottoguscio è chiamato s, il valore di l è ………… e il valore di m è ………… . (e) Quando un sottoguscio è chiamato p, all’interno del sottoguscio vi sono ………… orbitali. (f) Quando un sottoguscio è chiamato f, ci sono ………… valori di m e all’interno del sottoguscio vi sono ………… orbitali. (a) Poiché l ha tutti i valori interi compresi tra 0 e (n –1), in questo caso i valori possibili sono 0 e (2–1) = 1. (b) Poiché m ha tutti i valori interi compresi tra –l e +l, in questo caso i valori di numero quantico magnetico possibili sono –1, 0 e +1; il sottoguscio corrispondente a l = 1 è chiamato p. (c) Nel caso di l = 2 il sottoguscio è chiamato d. (d) Quando l = 0 il valore di m è 0 e il sottoguscio è chiamato s. (e) Un sottoguscio p corrisponde a l = 1 e perciò comprende 3 orbitali. (f) Un sottoguscio f ha l = 3 e perciò sono possibili 7 valori di m e 7 orbitali. CH/28 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 9.10 9 La struttura dell’atomo L’energia degli orbitali P ensiamo a un’aula scolastica ad anfiteatro, con i banchi a diversa altezza e diversa distanza dalla cattedra. I banchi sono così sistemati, anche quando non vi sono studenti seduti (figura 9.23). Gli studenti entrano e si siedono nei banchi più in basso; così facendo risparmiano l’energia che occorre per salire in alto e possono ascoltare meglio il docente, che espone la sua lezione guardando gli studenti, non i banchi vuoti. Il docente non considera quei banchi, è come se non esistessero. FIGURA 9.23 Gli studenti che entravano nello storico Teatro Anatomico dell’Università di Padova si disponevano attorno al tavolo dove il docente effettuava le dissezioni, a cominciare dai posti più vicini e via via occupando i banchi più lontani. Riferiamoci a questa immagine scolastica per illustrare una analoga situazione, quella che riguarda la distribuzione degli elettroni all’interno dell’atomo. Noi sappiamo che per ogni atomo si possono descrivere tanti orbitali. In quali di questi possibili orbitali, i banchi della analogia, si dispongono effettivamente gli elettroni, cioè gli studenti? Il criterio fondamentale è quello della minore energia. Gli elettroni sono presenti a partire dagli orbitali che hanno energia minore, cioè da quelli che hanno un più basso valore del numero quantico principale n. Gli orbitali con valore di n più alto sono occupati da elettroni soltanto quando gli orbitali con energia minore sono pieni. Questa affermazione è nota come principio di Aufbau. All’aumentare del numero quantico principale n l’energia degli orbitali aumenta. Per gli orbitali dello stesso tipo, per esempio gli orbitali s, l’ordine crescente di energia è quindi: 1s, 2s, 3s, 4s, 5s, 6s, 7s. Il numero quantico angolare l determina la forma dell’orbitale. Alle diverse forme competono diversi valori di energia. In particolare all’aumentare di l aumenta anche l’energia. Dato che agli orbitali s, p, d e f competono rispettivamente i valori del numero quantico angolare 0, 1, 2 e 3, nel caso di orbitali con lo stesso valore di numero quantico principale n l’ordine crescente di energia è: s, p, d, f (figura 9.24). Da ciò risulta, per esempio, che l’orbitale 4s ha energia inferiore a quella dell’orbitale 4p, che a sua volta ha energia inferiore a quella dell’orbitale 4d, il quale ha energia minore di quella dell’orbitale 4f. Per contro, tutti gli orbitali con lo stesso valore di n e di l hanno anche la stessa energia e sono pertanto orbitali isoenergetici. A questo punto possiamo affermare: 씰 L’energia degli orbitali aumenta all’aumentare dei valori di n e di l e quindi, a parità di n, aumenta secondo l’ordine s, p, d, f. 씰 A parità di n e di l gli orbitali sono isoenergetici. Aufbau • Il principio prende il nome dal termine tedesco Aufbauprinzip, che significa «principio di costruzione», e non dal nome di uno scienziato. Infatti venne formulato da Niels Bohr e da Wolfgang Pauli. I FIGURA PARLANTE 3d 3s 3p FIGURA 9.24 L’energia degli orbitali dipende, oltre che dal numero quantico principale, anche dal numero quantico angolare. Se un orbitale è più allungato di un altro, vuol dire che l’elettrone riesce ad allontanarsi di più e quindi assume maggiore energia. Gli orbitali 3d sono più allungati degli orbitali 3p che, a loro volta, hanno nubi elettroniche che arrivano più lontano dal nucleo di quella dell’orbitale 3s. CH/29 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 9 La struttura dell’atomo 4 Nel completamento di orbitali isoenergetici, gli elettroni occupano, con spin parallelo tra loro, il maggior numero possibile di quelli vuoti. La quarta regola, chiamata regola di Hund, tiene conto del fatto che due elettroni, dotati della stessa carica elettrica, tendono a respingersi di più, e quindi hanno maggiore energia, se si trovano nello stesso orbitale, rispetto a due elettroni collocati in due orbitali distinti. La regola di Hund deriva inoltre dalla constatazione che un atomo è tanto più stabile quanti più elettroni con spin parallelo contiene. Per visualizzare la disposizione degli elettroni negli orbitali dei diversi elementi facciamo riferimento alla figura 9.27. In ogni rettangolo abbiamo riportato la parte inferiore della figura 9.25, cioè solo gli orbitali 1s, 2s, 2p e 3s, con gli orbitali di minore energia in basso. In ogni rettangolo abbiamo inoltre indicato simbolo chimico e numero atomico dell’elemento. Gli atomi sono elettricamente neutri, per cui il numero di elettroni che occupano i vari orbitali è uguale a quello dei protoni presenti nel nucleo. Passando da un elemento al successivo nel Sistema periodico, il numero atomico aumenta di un’unità e viene aggiunto un protone al nucleo, per cui occorre aggiungere anche un elettrone. Questo ultimo elettrone è rappresentato in figura con una freccina rossa. Osservando la figura 9.27 si nota che viene riempito prima l’orbitale 1s, poi l’orbitale 2s, poi, nell’ordine, gli orbitali 2p e 3s. Si è seguito, perciò, l’ordine di riempimento già descritto. Da questa figura risulta inoltre che, aggiungendo un elettrone in un orbitale e un protone al nucleo, si passa da un elemento al successivo. Per ogni elemento sono indicati in basso a destra quali orbitali hanno elettroni e quanti elettroni vi sono in ciascun orbitale. La figura mostra come si dispongono i primi 12 elettroni. E i successivi? Si riempiranno prima gli orbitali 3p, poi, in ordine crescente di energia, gli orbitali 4s, 3d, 4p, 5s, 4d, 5p, 6s, 4f, 5d, 6p, 7s, 5f, 6d. Osserviamo la figura punto per punto e consideriamo solo gli elettroni. L’atomo più semplice è quello dell’idrogeno, H. L’unico elettrone di questo atomo va nell’orbitale che ha minore energia e quindi nell’orbitale 1s. Per ottenere un atomo di elio (He) prendiamo un atomo di idrogeno e mettiamo 1 3s 2s H (idrogeno) 2p 2s 1s 1s 1 4 3s 2s Be (berillio) 2p 1s 2 2s 2 7 3s 2s 2p 1s 2 2s 2 p 3 10 3s 1s Ne (neon) 2p 1s 2 5 2p 8 O (ossigeno) 2p 1s 1s 2 2s 2 p 4 11 3s Na (sodio) 2p C (carbonio) 1s 2 2s 2 p 2 9 F (fluoro) 2p 1s 1s FIGURA 9.27 Distribuzione degli elettroni negli orbitali dei primi 12 elementi. 2p 3s 2s 1s 2 2s 2 p 6 3s 1 6 1s 3s La struttura elettronica degli elementi 1s 2 2s 1 3s 2s Li (litio) ANIMAZIONE 2p 1s 2s 1s 2 2s 2 p 1 3s 1s B (boro) 3 3s 2s 1s 2s 1s 2 2s 2 p 6 2p 3s 2s 1s 2s N (azoto) He (elio) 1s 2s 1s 2 3s d 1s 2 2s 2 p 5 12 Mg (magnesio) 2p 1s 2 2s 2 p 6 3s 2 CH/31 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 9 La struttura dell’atomo un secondo elettrone nell’orbitale 1s, che ora è completo. Per ottenere un atomo di litio (Li), utilizzando un atomo di elio, mettiamo il terzo elettrone nell’orbitale 2s, che è quello che ha ora la minor energia e la capacità di ospitare un elettrone. Per ottenere un atomo di berillio (Be) completiamo con un elettrone l’orbitale 2s. Per l’atomo di boro (B), il quinto elettrone va in un orbitale 2p. Gli elettroni occorrenti per costruire gli atomi di carbonio (C) e azoto (N) si dispongono negli altri due orbitali 2p, con spin parallelo, secondo la regola di Hund. Gli elettroni necessari per ottenere gli atomi di ossigeno (O), fluoro (F) e neon (Ne) completano man mano i tre orbitali 2p. L’orbitale libero che ha ora la minore energia è l’orbitale 3s. Mettendo uno o due elettroni nell’orbitale 3s, otteniamo rispettivamente gli atomi di sodio (Na) o magnesio (Mg). Nella figura 9.28 riportiamo, a titolo di esempio, la struttura elettronica di un atomo di bario (Ba, Z = 56). Si noti che le coppie di elettroni presenti in uno stesso orbitale hanno spin opposto. I numeri che compaiono nei quadratini indicano il numero d’ordine degli elettroni. Nella figura 9.29 diamo una rappresentazione grafica tridimensionale della struttura atomica degli elementi che hanno numero atomico da uno a dieci, vista secondo il modello degli orbitali. Per mostrare la disposizione degli elettroni, senza dovere ogni volta ricorrere a rappresentazioni come quelle della figura 9.29, si usa il seguente sistema. Si indicano con s, p, d, f i vari orbitali che contengono elettroni e si aggiunge al simbolo di ogni orbitale un esponente uguale al numero di elettroni contenuti. Questa presentazione della struttura elettronica è nota come notazione sp d f. Per esempio, con la notazione 1s 2, 2s 2p 6, 3s 2p 5 (si legge «1 esse 2, 2 esse 2, pi 6, 3 esse 2, pi 5») si intende che l’atomo in questione ha due elettroni nell’orbitale 1s, due nell’orbitale 2s, sei negli orbitali 2p, due nell’orbitale 3s e cinque negli orbitali 3p. La serie di numeri, lettere ed esponenti che indica in quali orbitali dell’atomo sono presenti gli elettroni è chiamata configurazione elettronica totale dell’elemento. Si noti che facendo la somma degli esponenti si ricava il numero totale degli elettroni dell’atomo. Nell’esempio sopra citato la somma è 17, da cui si ricava che quella scritta rappresenta la configurazione elettronica totale dell’elemento cloro, che ha numero atomico 17 (Cl, Z = 17). FIGURA 9.28 Un atomo di bario (Ba, Z = 56) ha 56 protoni nel nucleo e 56 elettroni, che sono disposti negli orbitali con la minore energia possibile. L’ordine di riempimento è indicato dai numeri e dalle frecce. ENERG I A MAG G I O RE 56 6s 55 52 53 54 5p 49 50 51 44 45 46 47 48 4d 38 39 5s 40 41 42 43 37 34 35 36 4p 31 32 33 26 27 28 29 4s 21 22 23 24 19 16 17 18 3p 13 14 15 12 3s 11 8 9 10 2p 5 6 7 4 2s 3 56 2 1s 1 30 3d 20 ENERG I A MI NO RE CH/32 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze Ba (bario) 25 CAPITOLO 9 La struttura dell’atomo Nella figura 9.27 sono scritte le configurazioni elettroniche totali dei primi 12 elementi. A lato riportiamo le configurazioni totali dei successivi 8; tra i primi 20 elementi chimici, infatti, troviamo quelli più importanti e comuni sulla crosta terrestre. Le configurazioni elettroniche totali dei primi 92 elementi chimici sono riportate nel sito web del libro. Esaminando questa tabella si possono notare alcune eccezioni rispetto alle regole sul riempimento degli orbitali, che avevamo indicato nei paragrafi precedenti. Per esempio, nell’atomo di cromo (Cr, Z = 24) troviamo elettroni nell’orbitale 3d senza che sia completo l’orbitale 4s. Altre eccezioni si hanno nell’atomo di rame (Cu, Z = 29), di argento (Ag, Z = 47) e in molti altri elementi in cui gli ultimi elettroni riempiono orbitali d ed f. Per esempio, la configurazione elettronica effettivamente assunta dal rame 1s 2, 2s 2p 6, 3s 2p 6d 10, 4s 1 ha energia inferiore rispetto a quella attesa 1s 2, 2s 2p 6, 3s 2p 6d 9, 4s 2. 1s 2, 2s 2 p 6, 3s 2 p 1 1s 2, 2s 2 p 6, 3s 2 p 2 1s 2, 2s 2 p 6, 3s 2 p 3 15 P 1s 2, 2s 2 p 6, 3s 2 p 4 16 S 2 2 6 2 5 17 Cl 1s , 2s p , 3s p 2 2 6 2 6 18 Ar 1s , 2s p , 3s p 2 2 6 1s , 2s p , 3s 2 p 6, 4s 1 19 K Ca 1 s 2, 2s 2 p 6, 3s 2 p 6, 4s 2 20 13 Al 14 Si A APPROFONDIMENTO Configurazione elettronica totale degli elementi FIGURA 9.29 Rappresentazione secondo il modello degli orbitali della struttura atomica dei primi 10 elementi. Le dimensioni degli atomi non sono in scala. I puntini neri indicano gli elettroni. H 1s He 1s 2 B 1s 2 2s 2 2p1 Li 1s 2 2s1 C 1s 2 2s 2 2p 2 Be 1s 2 2s 2 N 1s 2 2s 2 2p 3 O 1s 2 2s 2 2p 4 F 1s 2 2s 2 2p 5 Glossary Aufbau principle ( principio di Aufbau) Electrons fill orbitals starting from the one with less energy and lower values of the principal quantum number. Black body (corpo nero) A hypothetical body that absorbs all the radiation falling on it. Ionization energy (energia di ionizzazione) The minimum energy required to remove an electron from a atom or ion. Nuclear atom model (modello atomico nucleare) Atom has a positively charged nucleus which contains protons and neutrons and is surrounded by orbiting electrons. Orbital (orbitale) The region of a atom in which there is the maximum probability to found an electron. Pauli exclusion principle ( principio di esclusione di Pauli) Two electrons in a atom cannot posses an identical set of quantum numbers. Photoelectric effect (effetto fotoelettrico) The emission of electrons from a substance exposed to electromagnetic radiation. Quantum (quanto) The minimum amount of energy that a physical system can change. Quantum numbers (numeri quantici) Set of four numbers that characterized the electron. They are obtained by the resolution of the Schrödinger equation. Uncertainty principle ( principio di indeterminazione) For the uncertainty principle it is not possible to know with unlimited accuracy both the position and the velocity of a subatomic particle. Wave function ( funzione d’onda) A complex number that described the electron states. The square of the wave function is proportional to the probability of finding an electron in a region. Wave-particle duality (dualismo onda-particella) In some experiments light will appear wavelike, while in others it will appear to be corpuscular. CH/33 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze Ne 1s 2 2s 2 2p 6 G U I DA A L L O S T U D I O EA FACCIAMO IL PUNTO Domande aperte Esercizi di completamento 11 Come viene descritta la luce dal modello ondulatorio? 17 12 13 14 15 16 17 18 19 10 11 12 13 14 15 16 Quali sono i parametri che caratterizzano l’onda elettromagnetica? Quali sono i fondamenti della Teoria Quantistica? Che cosa è un quanto di energia? Che cosa è un fotone? Definisci il modello atomico proposto da Bohr. Perché l’elettrone nel modello atomico di Bohr non cade nel nucleo? Che cosa indica il numero quantico principale? Quali sono le conferme sperimentali alla distribuzione degli elettroni in livelli energetici diversi? Quale principio dichiara l’assoluta impossibilità di conoscere contemporaneamente velocità e posizione delle particelle subatomiche? Da chi fu proposto? Che cosa si intende con il termine orbitale? Quali sono le caratteristiche di un orbitale? Che cosa definiscono i numeri quantici e quali valori possono assumere? Quali relazioni esistono tra i numeri quantici? Rappresenta schematicamente gli orbitali s, p e d. Enuncia e spiega il principio di esclusione di Pauli. Come varia l’energia degli orbitali? Indica la sequenza degli orbitali in ordine di energia crescente. Enuncia le regole che devono essere seguite nel riempimento degli orbitali. Scrivi la configurazione elettronica totale degli atomi corrispondenti ai seguenti numeri atomici Z: 9, 10, 13, 15, 17, 18, 21, 24, 29. A Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello spazio vuoto il termine opportuno. Dopo che ………………………………………………………………… ebbe definito il …………………………………………………… come una particella piccolissima di massa trascurabile che viaggia alla velocità della luce, e dopo che ………………………………………………………… con il suo principio di ……………………………………………………… ebbe dichiarato l’impossibilità di conoscere simultaneamente la ………………………………………………… e la ………………………………………………… di una particella subatomica, fu at- traverso la meccanica …………………………………………………… che si riu- scì a proporre un nuovo ………………………………………………… di atomo. Il principale risultato fu quello di definire ………………………………………… come la regione dove c’è almeno il …………………………… di probabilità di trovare ………………………………………………… e fu quello di asse- gnare all’elettrone le proprietà contemporaneamente di un’ …………………………………… e di una …………………………………………………… . VERIFICA LE CONOSCENZE A Esercizi di corrispondenza 18 Nello schema, che descrive le caratteristiche dei 4 numeri quantici, inserisci gli elementi mancanti. Numero quantico Simbolo Valori Significato ms Principale 0 → n –1 Orientazione dell’orbitale 19 Scrivi a fianco di ciascun nome di scienziato la definizione o la scoperta che lo ha reso famoso, scegliendola tra quelle elencate di seguito: esclusione; massima molteplicità di spin; indeterminazione; effetto fotoelettrico; modello planetario; quanto di energia; elettrone = onda elettromagnetica. Pauli Hund Rutherford Bohr Einstein Heisenberg De Broglie CH/34 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze A Domande a scelta multipla B C D 20 Tra le seguenti radiazioni, quale ha frequenza minore? A C infrarossa; visibile; B D ultravioletta; ultrasuoni. 21 Tra le seguenti radiazioni, qual è la più energetica? A C 22 33 3 numeri quantici; 1 numero quantico. 35 4 numeri quantici; 2 numeri quantici; B D 3 numeri quantici; 1 numero quantico. del 90% circa di trovare l’elettrone; del 100% di trovare l’elettrone; del 50% circa di trovare l’elettrone; 0 di trovare l’elettrone. numero quantico principale; numero quantico angolare; numero quantico magnetico; numero quantico di spin. 37 numero quantico principale; numero quantico angolare; numero quantico magnetico; numero quantico di spin. Secondo la meccanica quantistica, l’orientazione dell’orbitale nello spazio dipende dal: A numero quantico principale; C 2; B 1; C n 2; B 2; C 3; l = 2; l = 3; l = 1; l = 1; m = –2; m = +2; m = +2; m = +3; 39 n = 3; n = 1; n = 2; n = 4; l = 2; l = 1; l = 1; l = 3; m = –2; m = +1; m = 0; m = +3; ms = –1/2; ms = –1/2; ms = +1/2; ms = +1/2. B 2d; C 3p; D 4f. Quale elemento ha la seguente configurazione elettronica totale: 1s 2, 2s 2p 6, 3s 2p 6d 10, 4s 2p1 ? (utilizza la tabella dei numeri atomici degli elementi) B Stagno (Sn); D Gallio (Ga). L’elemento stronzio (Sr), che ha numero atomico Z = 38, ha la configurazione elettronica totale: 1s 2, 2s 2 p6, 3s 2 p6 d 10, 4s 2 p6, 5s 2; 1s 2, 2s 2 p6, 3s 2 p6 d 10, 4s 2 p6 d 10, 5s 2; 1s 2, 2s 2 p6, 3s 2 p6 d 10, 4s 2 ; 1s 2, 2s 2 p6, 3s 2 p6 d 10, 4s 2 p6 d 10. La regola di Hund stabilisce che, se si hanno a disposizione 2 orbitali vuoti aventi la stessa energia, gli elettroni si vanno: ad appaiare su uno di essi con spin opposto; ad appaiare su uno di essi con lo stesso spin; a sistemare ognuno su un orbitale con spin parallelo; a sistemare ognuno su un orbitale con spin opposto. La corretta configurazione elettronica totale dell’atomo di sodio (Na, Z = 11) è: A 1s 2, 2s 2p4, 3s 2p1; C 1s 2, 2s 2p5, 3s 1p1; 42 D 4. Tra i seguenti orbitali, quello che non può esistere è: A B C D 41 D n 3. Ogni serie di numeri quantici si riferisce a un elettrone. Quale non è corretta? A B C D 40 D 3. ms = +1/2; ms = –1/2; ms = +1/2; ms = +1/2. A Germanio (Ge); C Arsenico (As); Secondo la meccanica quantistica, la forma dell’orbitale è legata al: numero quantico principale; numero quantico angolare; numero quantico magnetico; numero quantico di spin. n = 4; n = 3; n = 4; n = 2; A 6p; 38 B 1; Ogni serie di numeri quantici si riferisce a un elettrone. Qual è quella corretta? A B C D una particella corpuscolare; un’onda elettromagnetica; una particella e un’onda contemporaneamente; una particella di materia carica negativamente. D 3. Il valore del numero quantico angolare l per l’orbitale 4d è: A B C D 36 C 2; Quanti orbitali sono possibili per ogni valore del numero quantico principale n? A n; 34 B 1; Gli orbitali di tipo f sono quelli per cui l è uguale a: A 0; Secondo la meccanica quantistica, il simbolo l è associato al: A B C D 30 B D Il numero quantico, proprio dell’orbitale, che non modifica il valore di energia dell’elettrone è: A B C D 29 4 numeri quantici; 2 numeri quantici; Un orbitale è la regione dello spazio intorno al nucleo in cui si ha la probabilità: A B C D 28 r = 53n 2; 53r = 5n 2. 32 Secondo la meccanica quantistica, un elettrone è: A B C D 27 B D A 0; Per definire le caratteristiche energetiche di un elettrone è necessario conoscere: A B C D 26 r = n 2; r = 53n 3; Gli orbitali di tipo p sono quelli per cui l è uguale a: A 1; A C 25 ultravioletta; ultrasuoni. Un orbitale atomico è individuato da: A C 24 B D Secondo il modello atomico di Bohr, il valore del raggio r delle orbite elettroniche di un atomo di idrogeno, espresso in pm, si ottiene dalla relazione: A C 23 infrarossa; visibile; 31 numero quantico angolare; numero quantico magnetico; numero quantico di spin. B 1s 2, 2s 2p6d 1; D 1s 2, 2s 2p6, 3s 1. Negli orbitali 3p vi possono essere al massimo: A 3 elettroni; C 6 elettroni; CH/35 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze B 2 elettroni; D 10 elettroni. G U I DA A L L O S T U D I O EA G U I DA A L L O ST U D I O EA VERIFICA LE ABILITÀ A Gioca e impara 43 Inserisci nelle linee orizzontali dello schema in basso i termini corrispondenti alle seguenti definizioni e, nella colonna in colore, vedrai comparire il nome della regione dello spazio atomico in cui è massima la probabilità di trovare l’elettrone. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Particella di massa trascurabile, cui è associata un’onda, che si muove alla velocità della luce. Lo è il ... quantico principale Propose un modello di atomo che utilizzava i quanti. Formulò un famoso principio che esclude. Descrisse la luce come costituita da onde e particelle. Lo è il numero quantico che definisce l’orientazione di un orbitale nello spazio. Il simbolo del numero quantico angolare. Formulò il principio che impedisce la determinazione. Esercizi e problemi 46 Calcola l’energia e la frequenza di una radiazione di lunghezza d’onda 3,45 · 10 –12 metri. 47 Rappresenta col diagramma a quadratini e freccine la configurazione elettronica dell’alluminio, quella dello zolfo e quella dello zinco. 48 Stabilisci quali combinazioni di numeri quantici, tra le seguenti, esistono effettivamente e quali non esistono e motiva la risposta: A B C D n = 3; n = 2; n = 6; n = 4; l = 3; l = 1; l = 5; l = 3; m = 0; m = 0; m = –1; m = +4. 1 49 2 3 A n = 2; B n = 3; C n = 6; 4 5 6 8 Scrivi di seguito i simboli degli elementi chimici a cui appartengono le seguenti configurazioni elettroniche totali. Si ottiene così il nome di uno scienziato austriaco che diede un importante contributo alla conoscenza della distribuzione degli elettroni negli orbitali. 51 Disponi i seguenti orbitali in ordine decrescente di energia: 3s, 2s, 2p, 4s, 3p, 1s, 3d. 52 Disponi i seguenti orbitali in ordine crescente di energia: 2s, 4p, 5f, 3d, 6s, 3p. 53 Quali sono i valori di n ed l per ciascuno dei seguenti orbitali: 5s, 6p, 4d e 5f ? 54 Determina il numero totale di elettroni presenti negli orbitali s, negli orbitali p e negli orbitali d dei seguenti elementi: A B C D 2) 1s 2, 2s 2 p6, 3s 2 p6 d 10, 4s 2p6d 10f 14, 5s 2p6d 10, 6s 1; 1 3) 1s , 2s . 55 Question 45 Find within the following list the only element not related with the quantum mechanics description of the atomic structure. Explain the answer. Orbital; Particle; Spherical shape; Pressure; Probability; Electron; Uncertainty; Wave; Shell; Spin; Magnetic; Nucleus. m = 0; m = –2; m = +1. Stabilisci quali tra i seguenti orbitali non possono esistere secondo la meccanica quantistica e motiva la risposta: 2s, 2d, 3d, 3p, 3f, 4f, 4s, 5p. 1) 1s 2, 2s 2 p6, 3s 2 p3; 2 l = 2; l = 1; l = 0; 50 7 44 Spiega perché le seguenti combinazioni di numeri quantici non costituiscono, per un elettrone che occupa un orbitale, un sistema possibile: Si; Ni; Zn; Rb. Indica il numero quantico principale, il numero quantico angolare e il numero quantico magnetico dell’elettrone a più alta energia per i seguenti atomi, considerati nel loro stato fondamentale: A B C D P; Cl; K; Ga. 56 Quali sono i numeri quantici corrispondenti all’ultimo elettrone dell’elemento calcio Ca? 57 Qual è la configurazione elettronica totale di un elemento con 23 elettroni? CH/36 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze Struttura elettronica e proprietà periodiche 10.1 10 Periodicità delle proprietà degli elementi I primi tentativi di classificazione degli elementi chimici iniziarono alla fine del Settecento. Solo nel 1869 Dmitrij Mendeleev riuscì a ordinare gli elementi, elaborando quella che chiamò legge periodica (cfr. § 0.3): le proprietà degli elementi chimici variano in modo periodico in funzione del loro peso atomico. La legge periodica era una legge empirica, basata sui valori dei pesi atomici e su dati sperimentali ricavati dall’osservazione delle proprietà chimiche e fisiche dei vari elementi. Mendeleev non fu però in grado di spiegare la causa delle somiglianze e delle differenze di comportamento tra gli elementi chimici. Il Sistema periodico elaborato da Mendeleev è stato in seguito modificato in base alle nuove conoscenze sull’atomo acquisite all’inizio del Novecento (tabella 10.1). Oggi sappiamo che: 씰 le proprietà degli elementi chimici variano in modo periodico in funzione del numero atomico. Nei prossimi paragrafi, utilizzando le conoscenze sulla struttura elettronica acquisite nel capitolo precedente, comprenderemo le motivazioni alla base della legge periodica moderna. Conoscere a fondo le caratteristiche del Sistema periodico è fondamentale per ricavare in modo immediato le proprietà degli elementi chimici. Queste proprietà, chiamate proprietà periodiche, sono sia proprietà chimiche sia proprietà fisiche. Tra le proprietà fisiche studieremo le dimensioni atomiche, mentre tra le proprietà chimiche saranno considerate l’energia di ionizzazione, l’affinità elettronica, l’elettronegatività e il carattere metallico degli elementi. 10.2 C A P I TO L O ANNO SCOPERTA 1902 Viene integrato il Sistema periodico di Mendeleev con l’inserimento dei gas nobili. 1911 Antonius Van der Broek intuisce che la carica nucleare dell’atomo è uguale al numero d’ordine dell’elemento nel Sistema periodico, cioè alla posizione occupata. 1913 Henry G.J. Moseley conferma sperimentalmente le affermazioni di Van der Broek. Il numero d’ordine di un elemento nel Sistema periodico corrisponde al suo numero atomico. TABELLA 10.1 Solo nel 1913 fu chiaro quale fosse il vero criterio ordinatore degli elementi chimici. Moseley bombardò con elettroni veloci gli atomi degli elementi e notò che la frequenza dei raggi X emessi, che dipende dal numero atomico dell’atomo, era direttamente proporzionale al numero d’ordine degli elementi. Sistema periodico e configurazione elettronica degli elementi L a posizione occupata da un elemento nel Sistema periodico dipende dal suo numero atomico, che corrisponde al numero di protoni nel nucleo e al numero di elettroni presenti (cfr. § 0.1). Nel capitolo precedente avevamo visto come la disposizione degli elettroni attorno al nucleo non sia casuale, ma segua un preciso criterio: gli elettroni occupano gusci e sottogusci a partire da quelli a minore energia (cfr. § 9.10). CH/37 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 10 Struttura elettronica e proprietà periodiche Riprendiamo in esame la figura 9.25, che riporta l’ordine di riempimento degli orbitali, ma proviamo a modificarla in modo che tenga conto della periodicità delle caratteristiche degli elementi. Si ottiene la figura 10.1 A, la cui lettura, da sinistra a destra, riga per riga dall’alto verso il basso, ripete l’ordine di riempimento degli orbitali che già conosciamo. Come si vede, sono stati disposti nelle stesse colonne e sono stati indicati con lo stesso colore gli orbitali dello stesso tipo (s, p, d, f ). Per rendere più compatta la figura spostiamo in basso gli orbitali f : otteniamo la figura 10.1 B; FIGURA 10.1 per ricordarci la posizione iniziale di questi orbitali li contrassegniamo Costruzione del Sistema periodico sulla base dell’ordine di riempimento degli orbitali. Sono segnati in con asterischi. verde gli orbitali s, in rosso gli orbitali p, in azzurro gli orSappiamo che in ogni orbitale possono trovare posto uno o due elettroni bitali d e in marrone gli orbitali f. Accanto a ogni orbitale e che, ogni volta che aggiungiamo un protone nel nucleo e un elettrone in o gruppo di orbitali è segnato il nome. In A, leggendo i un orbitale, abbiamo un elemento diverso, con numero atomico superiore nomi degli orbitali riga per riga, si ha l’ordine di riempidi una unità. Osserviamo ora la figura 10.1 B e prendiamo in esame l’orbitamento con gli elettroni. In B gli orbitali f sono stati spole 1s, quello che ha la minima energia. Se immaginiamo di mettere nel nustati al fondo della figura. Poiché per ogni orbitale si possono avere due elementi chimici, a seconda che sia contecleo di un atomo uno o due protoni, nell’orbitale 1s dovranno trovarsi uno nuto uno oppure due elettroni, a ciascun quadratino di B o due elettroni: abbiamo, rispettivamente, l’atomo dell’elemento idrogeno corrispondono due elementi in C. In questa figura i numeri (Z = 1) e quello dell’elemento elio (Z = 2). Dopo aver riempito questo orbitascritti all’interno dei quadratini corrispondono ai numeri le, aggiungiamo ancora uno o due elettroni. Questi andranno a collocarsi atomici. Aggiungendo in ogni casella il simbolo chimico, nell’orbitale 2s: abbiamo rispettivamente l’elemento litio (Z = 3) e l’elemenabbiamo costruito il Sistema periodico degli elementi, come quello riportato nella pagina a fianco. to berillio (Z = 4). Verifichiamo così che a ogni orbitale corrispondono due elementi, secondo l’ordine crescente dei numeri atomici. A questo punto, sdoppiando i quadratini della figura A 10.1 B, si ottiene la figura 10.1 C, in cui i numeri indica1s no i numeri atomici degli elementi. Come si vede, abbia2s mo quattro blocchi: il blocco degli orbitali s (colorato in 2p verde), il blocco degli orbitali p (in rosso), il blocco degli 3s 3p orbitali d (in azzurro) e il blocco degli orbitali f (in mar3d 4s 4p rone). I numeri che appaiono alla sinistra di ogni blocco sono i valori dei numeri quantici principali dei vari orbi5p 4d 5s tali. I numeri all’interno dei quadratini rappresentano i 4f 5d 6s 6p numeri atomici degli elementi. 5f 6d 7s Ricordando che per ogni numero atomico abbiamo un elemento, cui compete un simbolo chimico, completiaB mo la figura e scriviamo vicino a ogni numero atomico il 1s simbolo chimico dell’elemento corrispondente. Abbiamo 2s 2p costruito così il Sistema periodico degli elementi, come 3s 3p quello riportato in forma completa nella pagina a fianco. 3d 4s 4p La tabella che abbiamo costruito è analoga a quella ela5p 4d 5s borata da Mendeleev, ma è basata sulle moderne conoscenze della struttura dell’atomo. Nella prima colonna * 5d 6s 6p all’estrema sinistra del Sistema periodico vi sono i valori * * 6d 7s del numero quantico principale n. Nella riga in alto evidenziata in rosso sono indicati i tipi di orbitale (s, p, d ), * 4f cui va aggiunto il relativo numero quantico principale * * 5f (che compare nella colonna all’estrema sinistra). Nella colonna all’estrema destra sono indicati gli orbitali che C BLOCCO s man mano si riempiono. Leggendo tutti i simboli in suc1 1 2 BLOCCO p cessione, si ritrova la sequenza che mostra l’ordine cre2 3 4 2 5 6 7 8 9 10 scente di energia degli orbitali (cfr. § 9.10). 3 11 12 3 13 14 15 16 17 18 BLOCCO d I 112 elementi chimici noti sono distribuiti in 7 righe 4 19 20 3 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 4 31 32 33 34 35 36 orizzontali, i periodi, che corrispondono ai 7 valori del 5 37 38 4 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 5 49 50 51 52 53 54 numero quantico principale, e in 18 colonne, i gruppi. I periodi sono numerati da 1 a 7 utilizzando numeri arabi. 6 55 56 5 57 72 73 74 75 76 77 78 79 80 6 81 82 83 84 85 86 Secondo le ultime indicazioni della IUPAC (Internatio7 87 88 6 89 104 105 106 107 108 109 110 111 112 nal Union of Pure and Applied Chemistry), anche i grupBLOCCO f pi seguono la numerazione araba da 1 a 18. 4 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 Il Sistema periodico degli elementi ci appare diviso in 5 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 quattro grandi blocchi, rappresentati con cornici di colo- CH/38 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 10 Struttura elettronica e proprietà periodiche re diverso. Il primo blocco, all’estrema sinistra e incorniciato in verde, è il blocco degli orbitali s. In questo blocco vi sono i simboli degli elementi nei quali l’ultimo elettrone è disposto in un orbitale s. Per esempio, il calcio (Ca, Z = 20) ha l’ultimo elettrone nell’orbitale 4s. All’estrema destra del Sistema periodico, incorniciato in rosso, vi è il blocco degli orbitali p. In questo blocco troviamo i simboli degli elementi nei quali l’ultimo elettrone è disposto in un orbitale p. I due blocchi, s e p, formano otto colonne, chiamate gruppi principali. Al centro del Sistema periodico, incorniciato in azzurro, c’è il blocco degli orbitali d. Gli elementi che appartengono a questo blocco sono chiamati elementi di transizione (cfr. § 0.3). Più in basso, incorniciato in marrone, troviamo il blocco degli orbitali f, con i relativi elementi. Ricapitolando, evidenziamo i seguenti punti: La numerazione tradizionale numera i gruppi principali con numeri romani che vanno da I a VIII. • nel Sistema periodico ci sono 7 periodi e 18 gruppi; • il Sistema periodico è diviso in quattro blocchi: blocco degli orbitali s, blocco degli orbitali p, blocco degli elementi di transizione e blocco degli orbitali f; gli elementi sono disposti in ordine crescente di numero atomico; • • gli orbitali sono disposti in ordine crescente di energia; • in corrispondenza di ogni valore del numero quantico principale si trovano gli orbitali s e p che hanno quel valore di n. Col Sistema periodico degli elementi davanti agli occhi è ora più immediata la ricostruzione dell’ordine di riempimento degli orbitali. Non c’è neanche bisogno di guardare l’ultima colonna a destra, dove questo ordine viene espressamente indicato. Basta leggere riga per riga, da sinistra a destra, iniziando dall’alto. Incontriamo il periodo 1 e la colonna degli orbitali s: il primo orbitale è 1s. Andiamo a capo e incontriamo il numero 2 e i blocchi s e p: abbiamo gli orbitali 2s e 2p. Andiamo ancora a capo; troviamo il numero 3, il blocco s e il blocco p: abbiamo gli orbitali 3s e 3p. Andiamo a capo; incontriamo il numero 4, il blocco s, il blocco d (ma si tratta degli orbitali 3d ) e il blocco p: gli orbitali sono nell’ordine 4s, 3d, 4p; e così via. LABORATORIO SEMPLICE Tavola periodica e numeri quantici d ANIMAZIONE Tavola periodica interattiva GRUPPO (numerazione IUPAC ) 1 2 I II GRUPPO (numerazione tradizionale) ORBITALI np s2 CONFIGURAZIONE ELETTRONICA ESTERNA s2p1 s2p2 s2p3 s2p4 s2p5 s2p6 3 4 ns s1 5 6 (n –1) d 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 III IV V VI VII VIII 2 Li Be 11 PERIODO 3 56 Cs Ba 87 7 38 Rb Sr 55 6 20 22 21 23 88 40 39 Y 57 41 24 25 26 27 29 30 42 43 44 45 46 47 48 Zr Nb Mo Tc Ru Rh Pd Ag Cd 72 73 104 105 14 N 15 31 32 16 P 33 S 34 74 75 76 77 106 107 108 109 78 79 80 Pt Au Hg 110 111 49 F Ne 17 35 50 51 52 53 81 82 83 84 I 85 59 60 61 62 63 64 65 3s 3p 36 4s (3d) 4p 54 Xe 5s (4d) 5p 86 Tl Pb Bi Po At Rn 6s (4f) (5d) 6p 112 7s (5f) (6d) Fr Ra Ac Rf Db Sg Bh Hs Mt Ds Rg Cn 58 2s 2p 18 Cl Ar In Sn Sb Te 1s 10 9 O Cr Mn Fe Co Ni Cu Zn Ga Ge As Se Br Kr La Hf Ta W Re Os Ir 89 28 C Al Si ELEMENTI DI TRANSIZIONE K Ca Sc Ti V 37 5 13 12 Na Mg 19 4 B 8 7 6 5 4 3 2 He H 1 66 Orbitali che si riempiono nel periodo 1 n 67 68 69 70 71 Ce Pr Nd Pm Sm Eu Gd Tb Dy Ho Er Tm Yb Lu 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103 Th Pa U Np Pu Am Cm Bk Cf Es Fm Md No Lr Stato fisico a condizioni normali (0 °C; 1,013 bar) Liquido Aeriforme Elementi preparati artificialmente CH/39 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 10.3 Elemento Configurazione elettronica F (fluoro) 1s 2 2s 2p 5 Cl (cloro) 1s 2 2s 2p 6 3s 2p 5 Br (bromo) 1s 2 2s 2p 6 3s 2p 6d 10 4s 2p 5 I (iodio) 1s 2 2s 2p 6 3s 2p 6d 10 4s 2p 6d 10 5s 2p 5 TABELLA 10.2 Configurazioni elettroniche totali degli elementi del gruppo 17. Tutti hanno 7 elettroni negli orbitali più esterni, con la struttura s 2p 5. 10 Struttura elettronica e proprietà periodiche Configurazione elettronica esterna N ella tabella 10.2 sono riportate le configurazioni elettroniche totali dei primi quattro elementi del gruppo 17 del Sistema periodico. Abbiamo sottolineato, per ogni elemento, gli orbitali che hanno il più alto valore di n, cioè gli orbitali più grandi e quindi più esterni. Possiamo subito notare che questi elementi, pur avendo un diverso numero totale di elettroni, hanno tutti negli orbitali più esterni sette elettroni, con la struttura s 2p 5. Alla stessa maniera, tutti gli elementi del gruppo 1 hanno all’esterno un solo elettrone e la struttura s1, gli elementi del gruppo 2 hanno due elettroni e la struttura s 2, quelli del gruppo 13 hanno tre elettroni e la struttura s 2p 1 e così via. Ciò significa che gli elementi di uno stesso gruppo hanno nel livello esterno lo stesso numero di elettroni. Questi elettroni esterni sono chiamati elettroni di valenza (vedi § 13.2). Per ogni elemento la formula che indica quanti elettroni vi sono negli orbitali s e p col più alto valore di n si chiama configurazione elettronica esterna o di valenza. 씰 Gli elementi dello stesso gruppo hanno la stessa configurazione elettronica esterna. La configurazione elettronica esterna di un elemento può essere facilmente ricavata dalla sua posizione nel Sistema periodico. Per i gruppi 1 e 2 il numero di elettroni esterni coincide con il numero del gruppo, mentre per i gruppi dal 13 al 18 per ottenere il numero di elettroni di valenza occorre sottrarre 10 al numero del gruppo: elettroni di valenza = numero del gruppo – 10 Per esempio, nel caso degli elementi del gruppo 15 gli elettroni di valenza sono 15 – 10 = 5 e la relativa configurazione elettronica esterna è s 2p 3. I primi due elettroni di valenza sono disposti nell’unico orbitale s, mentre i restanti tre elettroni si trovano a spin parallelo in altrettanti orbitali p. Per quanto riguarda gli elementi del blocco d (elementi di transizione) e del blocco f (lantanidi e attinidi), gli elettroni di valenza generalmente sono sempre due, in quanto gli elettroni che si dispongono negli orbitali d ed f occupano un livello più interno. La configurazione elettronica esterna di questi elementi è quindi s 2. PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 1. Usando la notazione spdf, scrivi le configurazioni elettroniche totali e esterne per (a) lo zinco (Zn) e (b) lo stronzio (Sr). 1. Usando la notazione spdf, scrivi la configurazione elettronica totale e quella esterna dello stagno (Sn). (a) Lo zinco (Zn) ha numero atomico Z = 30. Richiamandosi all’ordine di riempimento degli orbitali mostrato nella figura 9.25, la sua configurazione elettronica si ottiene dapprima riempiendo gli orbitali del primo guscio e del secondo guscio, 1s 2, 2s 22p6, collocando poi gli elettroni negli orbitali s e p del terzo guscio, 1s 2, 2s 22p6, 3s23p6, continuando con l’orbitale 4s, 1s 2, 2s 22p6, 3s23p6, 4s2, e infine sistemando nell’orbitale 3d i dieci elettroni restanti, 1s2, 2s22p6, 3s23p63d10, 4s2; questa ultima notazione è la configurazione elettronica totale. Per la configurazione elettronica esterna dello zinco, che è un elemento di transizione, facciamo riferimento all’orbitale s più esterno, 4s2. 2. Usando la notazione spdf, scrivi la configurazione elettronica totale e quella esterna dello zolfo (S). (b) Lo stronzio (Sr) ha numero atomico Z = 38. Analogamente allo zinco dell’esercizio precedente, la sua configurazione elettronica si ottiene dapprima riempiendo il primo, il secondo e il terzo guscio, e collocando poi due elettroni nell’orbitale 4s: 1s2, 2s22p6, 3s23p63d10, 4s2; dopo il 4s riempiamo gli orbitali 4p, 1s2, 2s22p6, 3s23p63d10, 4s24p6, e infine i due elettroni restanti li collochiamo nell’orbitale 5s: 1s2, 2s22p6, 3s23p63d10, 4s24p6, 5s2. Questa ultima notazione è la configurazione elettronica totale. Per la configurazione elettronica esterna dello stronzio, che è un elemento del gruppo 2, facciamo riferimento agli orbitali del quinto guscio, il guscio più esterno: 5s2. CH/40 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 10 Struttura elettronica e proprietà periodiche 10.4 Configurazione elettronica e proprietà degli elementi A bbiamo visto nel paragrafo precedente che gli elementi dello stesso gruppo hanno un differente numero totale di elettroni, ma un uguale numero di elettroni esterni. Quale tra i due numeri è più importante nel definire le proprietà chimiche dell’elemento? Nel Sistema periodico gli elementi di uno stesso gruppo hanno proprietà chimiche simili e hanno inoltre la stessa configurazione elettronica esterna. È quindi lecito supporre che la reattività di un elemento dipenda dal numero di elettroni nel guscio più esterno. Quando gli atomi reagiscono, sono interessati solo i gusci più esterni e quindi gli orbitali con energia maggiore. La capacità di un atomo di reagire con un altro atomo, di legarsi a esso o di staccarsi, dipende perciò dal numero e dall’energia degli elettroni che si trovano negli orbitali più esterni. Gli elettroni degli orbitali più interni sono, per così dire, nascosti e non influenzano in modo determinante le proprietà chimiche dell’atomo. 씰 Le proprietà chimiche degli elementi non dipendono dal numero totale degli elettroni, ma dalla configurazione elettronica esterna. Infatti, il sodio (Na, Z = 11) e il potassio (K, Z = 19) differiscono per 8 elettroni, ma, avendo la stessa configurazione elettronica esterna s1, hanno proprietà chimiche molto simili. Il potassio (K, Z = 19) e il cloro (Cl, Z = 17) differiscono solo per due elettroni, ma hanno diversa configurazione elettronica esterna (rispettivamente s1 e s2p5) e le loro proprietà sono molto diverse: il primo è un solido metallico, il secondo un gas ossidante. 씰 Le proprietà chimiche degli elementi dello stesso gruppo, aventi la stessa configurazione elettronica esterna, sono simili. Spostandoci da sinistra verso destra lungo un periodo, il numero degli elettroni esterni aumenta con continuità da 1 a 8 e, quindi, con continuità variano le proprietà degli elementi. Quando si va a capo, cioè si comincia un nuovo periodo, inizia un’altra variazione da 1 a 8 e così via. Costatiamo ancora una volta che le pro55 Cs 87 Fr prietà chimiche degli elementi variano con perio56 Ba 88 Ra 57 La 89 Ac dicità (figura 10.2). 1H 2 He 3 Li 4 Be 5B 6C 7N 8O 9F 10 Ne 11 Na 12 Mg 13 Al 14 Si 15 P 16 S 17 Cl 18 Ar 19 K 20 Ca 21 Sc 22 Ti 23 V 24 Cr 25 Mn 26 Fe 27 Co 28 Ni 29 Cu 30 Zn 31 Ga 32 Ge 33 As 34 Se 35 Br 36 Kr 37 Rb 38 Sr 39 Y 40 Zr 41 Nb 42 Mo 43 Tc 44 Ru 45 Rh 46 Pd 47 Ag 48 Cd 49 In 50 Sn 51 Sb 52 Te 53 I 54 Xe 58 Ce 59 Pr 60 Nd 61 Pm 62 Sm 63 Eu 64 Gd 65 Tb 66 Dy 67 Ho 68 Er 69 Tm 70 Yb 71 Lu 72 Hf 73 Ta 74 W 75 Re 76 Os 77 Ir 78 Pt 79 Au 80 Hg 81 Tl 82 Pb 83 Bi 84 Po 85 At 86 Rn 90 Th 91 Pa 92 U FIGURA 10.2 In questa inconsueta rappresentazione del Sistema periodico, gli elementi con proprietà analoghe sono collegati tra loro da righe. L’idrogeno (H, Z = 1) è collegato al litio (Li, Z = 3), ma per il comportamento potrebbe essere avvicinato anche al fluoro (F, Z = 9). Gli elementi inseriti in riquadri colorati corrispondono al blocco degli orbitali d e al blocco degli orbitali f. CH/41 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 10.5 10 Struttura elettronica e proprietà periodiche Volume atomico e raggio atomico U na importante caratteristica degli atomi, da cui dipendono le proprietà chimiche degli elementi, è la dimensione atomica, che può essere espressa tramite il volume atomico e il raggio atomico. 씰 Il volume atomico di un elemento è una misura dello spazio occupato dal nucleo e dagli elettroni dell’atomo. Il volume atomico del litio (Li, Z = 3, 1s 22s 1), per esempio, dipende dallo spazio occupato dall’elettrone dell’orbitale più esterno, il 2s. Ricordiamo che le dimensioni degli orbitali aumentano all’aumentare del numero quantico principale n (cfr. figura 9.18). Prendiamo allora in esame elementi dello stesso gruppo, per esempio litio (Li, Z = 3), sodio (Na, Z = 11) e potassio (K, Z = 19). Questi elementi hanno l’ultimo elettrone rispettivamente negli orbitali 2s, 3s e 4s e perciò i loro volumi dipendono da questi tre orbitali. Litio, sodio e potassio hanno infatti volume atomico crescente, con raggio atomico rispettivamente di 152, 186 e 231 pm. Generalizzando il problema e ricordando che quando si scende nel gruppo aumenta il valore di n, possiamo affermare che il volume atomico degli elementi dello stesso gruppo aumenta, se ci spostiamo dall’alto verso il basso (figura 10.3). FIGURA 10.3 Dimensioni relative dei vari atomi. Scendendo lungo un gruppo, il raggio atomico e il volume dell’atomo aumentano, perché aumenta il numero quantico principale e crescono le dimensioni degli orbitali. 1 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 He H 2 Li Be B C N O F Ne Na Mg Al Si P S Cl Ar K Ca Sc Ti V Cr Mn Fe Co Ni Cu Zn Ga Ge As Se Br Kr Rb Sr Y Zr Nb Mo Tc Ru Rh Pd Ag Cd In Sn Sb Te I Xe Cs Ba La Hf Ta W Re Os Ir Pt Au Hg Tl Pb Bi Po At Rn Fr Ra Ac 3 4 5 6 A APPROFONDIMENTO Raggio atomico e salinità dell’oceano – 2s 1s ++ + 7 – 1s 2s ++ ++ – 3 Li 4 Be FIGURA 10.4 Variazione del volume atomico nel periodo. Il volume atomico diminuisce spostandosi da sinistra a destra nel periodo, perché aumenta il numero delle cariche positive nel nucleo e quindi gli elettroni sono attirati verso il nucleo con una forza maggiore. I segni «+» indicano le cariche positive dei protoni del nucleo, i segni «–» le cariche negative degli elettroni. Che cosa succede, invece, se ci spostiamo da sinistra verso destra in un periodo? In questo caso il numero quantico n rimane costante e ci aspettiamo, perciò, che il volume atomico risulti sempre uguale. Vediamo in realtà che cosa avviene e mettiamo a confronto, per esempio, un atomo di litio (1s 22s 1) e uno di berillio (Be, Z = 4, 1s 22s 2). L’elettrone dell’orbitale 2s del litio è attirato dalle tre cariche positive del nucleo; ognuno dei due elettroni che occupano l’orbitale 2s del berillio è attirato verso il nucleo da quattro, e non da tre, cariche positive (figura 10.4). Per questo motivo gli elettroni del berillio si avvicinano di più al nucleo. La conseguenza è che il volume dell’atomo è più grande nel litio che nel berillio, con raggio rispettivamente di 152 e 112 pm. Tenendo conto di questo effetto, in generale possiamo affermare che quando si passa da sinistra a destra nel periodo il volume atomico diminuisce, perché aumenta il numero dei protoni e aumentano le forze attrattive del nucleo nei confronti degli elettroni. CH/42 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 10 Struttura elettronica e proprietà periodiche 씰 Il raggio atomico è per convenzione la metà della distanza tra i nuclei di due atomi dello stesso elemento legati fra loro (figura 10.5). 2r 씰 Volume atomico e raggio atomico aumentano scendendo nel gruppo e diminuiscono andando verso destra nel periodo. FIGURA 10.5 Il raggio atomico è uguale alla semidistanza tra i nuclei di due atomi identici. pm Riprendiamo in esame la figura 10.3. Si nota che il volume atomico diminuisce lungo un periodo, aumenta bruscamente andando a capo, diminuisce nuovamente e poi aumenta un’altra volta. Il suo andamento indica che varia periodicamente. Volume e raggio atomico sono proprietà periodiche degli elementi (figura 10.6). Osserviamo ancora la figura 10.3. Notiamo che le differenze di volume sono ben riconoscibili in ogni gruppo tra il secondo e il terzo periodo, mentre divengono sempre più lievi nei periodi successivi. Possiamo dire che, scendendo in un gruppo, le differenze di volume tra un elemento e l’altro sono meno significative. 300 Raggio atomico FIGURA 10.6 Variazione periodica del raggio atomico, espresso in pm, al variare del numero atomico Z. 200 100 0 2 10 18 36 Numero atomico 54 86 100 Z Sappiamo che gli atomi possono acquistare o perdere elettroni formando ioni, cioè atomi carichi negativamente, gli anioni, o positivamente, i cationi (cfr. § 0.1). La trasformazione di un atomo in uno ione ha come conseguenza la modificazione del volume (figura 10.7). Il volume di un atomo di litio (Li, Z = 3, 1s2 2s1) è quello dell’orbitale 2s, mentre il volume dello ione litio (Li+) è quello dell’orbitale 1s. Perciò nella formazione di un catione assistiamo alla riduzione del raggio. Se, invece, – da un atomo si passa a un anione, per esempio da Cl a Cl , lo stesso nucleo va ad esercitare la sua forza di attrazione su un numero maggiore di elettroni. La forza con la quale ogni elettrone viene attirato diminuisce e il risultato è un aumento di volume. Possiamo allora dire che un anione ha un volume maggiore dell’atomo da cui deriva. A B Li –1e– Li + F +1e– F– Na –1e– Na+ Cl +1e– Cl – K –1e– K+ Br +1e– Br – FIGURA 10.7 (A), se un atomo perde gli elettroni degli orbitali più esterni, il volume diminuisce. (B), se invece un atomo acquista elettroni trasformandosi in un anione, i protoni del nucleo (in ugual numero nell’atomo e nello ione) si trovano ad attirare un maggior numero di elettroni; come conseguenza gli elettroni si allontanano dal nucleo e il volume atomico aumenta. CH/43 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO I 10 Struttura elettronica e proprietà periodiche 10.6 Energia di ionizzazione FIGURA PARLANTE e affinità elettronica A N + − − el paragrafo 9.5 abbiamo visto come l’energia di ionizzazione degli elementi, cioè l’energia necessaria per estrarre gli elettroni più esterni da un atomo isolato, non sia costante, ma varia da elemento a elemento. Da quale fattore dipende l’energia di ionizzazione di un elemento? Si sa che la forza di attrazione elettrostatica tra due cariche elettriche di segno opposto è inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. L’energia di ionizzazione, perciò, è inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra l’elettrone più esterno e il nucleo e, quindi, al quadrato del raggio atomico (figura 10.8 A). Ricordando che il raggio atomico aumenta nel gruppo e diminuisce nel periodo, possiamo dire che: + B 1 2 13 14 15 16 17 18 1 씰 L’energia di ionizzazione diminuisce nel gruppo e aumenta nel periodo. 2 3 4 5 6 7 FIGURA 10.8 (A), l’elettrone è attratto verso il nucleo da una forza elettrostatica (freccine azzurre). Per allontanare l’elettrone dal nucleo bisogna esercitare una forza (freccine verdi) per lo meno uguale. Dato che la forza di attrazione è inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra le cariche elettriche, un elettrone più lontano dal nucleo è attratto con una forza inferiore ed è quindi più facilmente allontanabile. (B), poiché il volume atomico cresce nel gruppo e diminuisce nel periodo, l’energia di ionizzazione diminuisce nel gruppo e aumenta nel periodo. Sia per l’affinità elettronica sia per l’energia di ionizzazione le misure sono effettuate su atomi isolati e allo stato gassoso. La figura 10.8 B rende evidente che l’energia di ionizzazione è più elevata per gli elementi a destra in alto e più ridotta per gli elementi a sinistra in basso nel Sistema periodico. L’elemento che si trova nell’angolo in basso a sinistra, il cesio (Cs, Z = 55), ha una energia di ionizzazione così bassa che per togliere elettroni dai suoi atomi è sufficiente l’energia della luce. Su questa proprietà è basato il funzionamento delle cellule fotoelettriche. La luce colpisce gli atomi di cesio, sottrae loro elettroni e provoca un passaggio di corrente elettrica proporzionale alla quantità di luce che colpisce la fotocellula. È stato studiato anche il processo inverso della ionizzazione, cioè quello in cui a un atomo si fa acquistare un elettrone. In questo caso si forma un anione. L’energia che si scambia quando un atomo accetta un elettrone in più si chiama affinità elettronica. Quando avviene questo processo, l’energia in gioco viene di solito ceduta dall’atomo all’ambiente. Se all’anione formatosi vogliamo far accettare un ulteriore elettrone, può essere necessario spendere energia, a causa della repulsione tra gli elettroni. In tal caso l’energia in gioco è negativa. Questo processo può comunque avvenire, se la formazione dell’anione con due cariche negative porta complessivamente a un vantaggio energetico, per esempio nella formazione di molecole più stabili di quelle ottenibili con un anione monovalente. Se indichiamo con A un generico atomo, abbiamo: A + e – → A– A– + e – → A– – anione monovalente anione bivalente 씰 L’affinità elettronica varia nel Sistema periodico in modo identico rispetto all’energia di ionizzazione: diminuisce nel gruppo e aumenta nel periodo. Nei metalli l’energia di ionizzazione è bassa e gli elettroni esterni possono essere sottratti agli atomi con facilità. Se avviciniamo a un’estremità di un chiodo metallico una carica elettrica positiva, molti elettroni si spostano verso di essa. Questa parte diviene più ricca di elettroni e assume carica negativa; l’altra parte di conseguenza diventa positiva. La mobilità degli elettroni fa sì che il metallo conduca bene la corrente elettrica e, se riscaldiamo il chiodo, che il calore venga trasmesso con grande rapidità. FIGURA 10.9 10.7 Il carattere metallico G li elementi chimici possono essere classificati in base alle loro caratteristiche in due grandi categorie, i metalli e i non-metalli. I metalli sono elementi che, quando reagiscono, tendono a perdere elettroni. La facilità con cui i metalli cedono gli elettroni più esterni spiega la proprietà dei metalli di essere buoni conduttori di calore e di elettricità (figura 10.9). 씰 I metalli sono elementi chimici con bassa energia di ionizzazione. Al contrario, la chimica dei non-metalli è caratterizzata dalla tendenza ad acquistare elettroni, pertanto: 씰 I non-metalli sono elementi chimici con alta energia di ionizzazione. CH/44 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 10 Struttura elettronica e proprietà periodiche Le proprietà degli elementi dello stesso gruppo sono simili, ma non identiche. Gli atomi degli elementi di uno stesso gruppo hanno dimensioni atomiche diverse e, di conseguenza, tutte le proprietà che dipendono dal volume atomico e dalla configurazione elettronica, come l’energia di ionizzazione, cambiano. Per questo motivo anche il carattere metallico, che dipende dall’energia di ionizzazione di un atomo, è una proprietà che varia con periodicità lungo il Sistema periodico degli elementi. Come abbiamo visto nel paragrafo 10.6, l’energia di ionizzazione diminuisce scendendo lungo un gruppo e aumenta procedendo verso destra in un periodo, pertanto: 씰 Il carattere metallico aumenta scendendo lungo un gruppo e diminuisce procedendo verso destra nei periodi del Sistema periodico. Questo andamento spiega la collocazione dei metalli e dei non-metalli nel Sistema periodico. I metalli si trovano dove l’energia di ionizzazione è minima, cioè nella parte sinistra e centrale della Tavola periodica, mentre i non-metalli occupano la parte destra, dove si collocano gli elementi con energia di ionizzazione più alta. La figura 10.10 mette in evidenza come il carattere metallico sia maggiore per gli elementi che si trovano in basso a sinistra nel Sistema periodico e minore per quelli che si trovano in alto a destra. Una evidente eccezione a quanto appena affermato riguarda la collocazione dell’idrogeno nel Sistema periodico. Questo elemento si trova nel gruppo 1 anche se è un non-metallo. L’idrogeno ha un solo elettrone nell’orbitale 1s e quindi trova posto nel primo gruppo. All’idrogeno manca un elettrone per completare l’unico orbitale del primo livello, per cui potrebbe essere inserito anche nel gruppo 17, dove si trovano tutti i non-metalli a cui manca un solo elettrone per completare il livello più esterno. Nel Sistema periodico, tra i metalli e i non-metalli si trova la ristretta fascia dei semimetalli, gli elementi con caratteristiche chimiche e fisiche intermedie tra le due categorie. 1 2 13 14 15 16 17 18 1 2 3 4 5 6 7 FIGURA 10.10 Poiché l’energia di ionizzazione diminuisce nel gruppo e aumenta nel periodo, il carattere metallico aumenta nel gruppo e diminuisce nel periodo. PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 2. Confronta le caratteristiche di tre elementi, litio (Li), berillio (Be) e rubidio (Rb), e ordinali per carattere metallico crescente. 3. Confronta le caratteristiche di tre elementi, berillio (Be), calcio (Ca) e carbonio (C), e ordinali per carattere metallico crescente. Il carattere metallico diminuisce procedendo lungo un periodo e aumenta scendendo lungo un gruppo. Per prima cosa occorre individuare la posizione degli elementi nel Sistema periodico: il litio si trova nel gruppo 1 e nel periodo 2; il berillio si trova nel gruppo 2 e nel periodo 2; il rubidio si trova nel gruppo 1 e nel periodo 5. L’elemento con il carattere metallico minore è il berillio, in quanto il rubidio si trova più a sinistra e in basso nel Sistema periodico e il litio è nello stesso periodo, ma più a sinistra. Il rubidio ha un carattere metallico maggiore del litio in quanto i due elementi fanno parte dello stesso gruppo, ma il rubidio è collocato più in basso. L’ordine dei tre elementi per carattere metallico crescente è pertanto: Be < Li < Rb. 10.8 Elettronegatività N ella maggior parte dei casi gli atomi tendono a legarsi tra loro grazie allo stabilirsi di legami chimici e formano così i composti. In alcuni tipi di legame due elettroni, chiamati elettroni di legame, sono condivisi da due atomi e sono attirati contemporaneamente dai nuclei dei due atomi legati. Se la forza di attrazione è diversa, gli elettroni sono spostati di più verso uno dei due atomi. 씰 Si definisce elettronegatività di un elemento la tendenza che ha un atomo dell’elemento ad attirare verso di sé gli elettroni di legame. I fattori da cui dipende il valore dell’elettronegatività di un elemento sono: la posizione nel gruppo e nel periodo, il volume atomico e la carica nu- Può essere utile precisare che l’elettronegatività non è una energia, ma esprime una tendenza, quella di attirare gli elettroni di legame. CH/45 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO I Struttura elettronica e proprietà periodiche cleare. Se i due atomi legati hanno lo stesso volume e la stessa carica (figura 10.11 A), gli elettroni di legame subiscono un’uguale forza di attrazione. Se i due atomi, invece, hanno volume diverso ma stessa carica (figura 10.11 B), gli elettroni di legame sono più vicini al nucleo dell’atomo più piccolo e sono attratti più fortemente da questo nucleo: gli elettroni si spostano verso l’atomo più piccolo. I risultati sperimentali confermano che minore è il volume degli atomi, maggiore è la forza di attrazione verso gli elettroni di legame e perciò maggiore è l’elettronegatività. Ricordando che il volume atomico cresce nel gruppo e diminuisce nel periodo e sapendo che l’elettronegatività è inversamente proporzionale al volume dell’atomo, possiamo dire che: FIGURA PARLANTE A 10 B 씰 L’elettronegatività diminuisce nel gruppo e aumenta nel periodo. C 1 2 13 14 15 16 17 1 2 3 4 5 6 7 FIGURA 10.11 Gli elettroni di legame sono rappresentati con due punti rossi e le forze di attrazione verso i nuclei con freccine azzurre. (A), se i due atomi hanno stesso volume e stessa carica nucleare, le forze si bilanciano e gli elettroni si distribuiscono alla stessa distanza dai due nuclei. (B), due atomi con la stessa carica ma volume diverso attraggono diversamente gli elettroni. (C), l’elettronegatività degli elementi aumenta nel periodo e diminuisce nel gruppo. La figura 10.11 C mostra che i valori maggiori di elettronegatività sono a destra in alto, i minori in basso a sinistra. Questa rappresentazione è identica alla figura 10.8 B, che riguarda la variazione dell’energia di ionizzazione. La coincidenza non è casuale e non ci sorprende, perché, come sappiamo, l’elettronegatività e l’energia di ionizzazione dipendono allo stesso modo dal volume atomico. A ogni elemento del Sistema periodico corrisponde un valore di elettronegatività. Fanno eccezione gli elementi del gruppo 18, i gas inerti, per i quali non si conoscono valori di elettronegatività (figura 10.12). Questi elementi, infatti, non si legano mai e non formano composti. I valori di elettronegatività sono riportati nella tabella 10.3 e nella figura 10.13. L’elettronegatività è una delle più importanti proprietà chimiche di un elemento. Facciamo notare che, se escludiamo il raro fluoro (F), l’ossigeno (O) è l’elemento più elettronegativo. Inoltre, tra gli elementi dei primi gruppi ci sono piccole differenze di elettronegatività, se confrontate con quelle esistenti tra gli elementi degli ultimi gruppi. 4 FIGURA 10.12 Variazione del valore dell’elettronegatività in funzione del numero atomico. L’altezza delle colonne è proporzionale al valore dell’elettronegatività. Elettronegatività 3 2 1 LABORATORIO SEMPLICE Elettronegatività 0 TABELLA 10.3 Valori di elettronegatività degli elementi chimici. Il cesio Cs, nell’angolo in basso a sinistra, ha il valore minore; il fluoro F, nell’angolo in alto a destra, ha il valore più elevato. Esistono diverse scale che esprimono i valori di elettronegatività. Generalmente ci si riferisce ai valori ottenuti da Linus Pauling. H 2,1 Li 1,0 Na 0,9 K 0,8 Rb 0,8 Cs 0,7 2 Be 1,5 Mg 1,2 Ca 1,0 Sr 1,0 Ba 0,9 10 Sc 1,3 Y 1,2 La 1,0 18 Ti 1,5 Zr 1,4 Hf 1,3 36 V 1,6 Nb 1,6 Ta 1,5 Cr 1,6 Mo 1,8 W 1,7 54 Numero atomico Mn 1,5 Tc 1,9 Re 1,9 Fe 1,8 Ru 2,2 Os 2,2 Co 1,8 Rh 2,2 Ir 2,2 Ni 1,8 Pd 2,2 Pt 2,2 100 86 Cu 1,9 Ag 1,9 Au 2,4 Zn 1,6 Cd 1,7 Hg 1,9 B 2,0 Al 1,5 Ga 1,6 In 1,7 Tl 1,8 C 2,5 Si 1,8 Ge 1,8 Sn 1,8 Pb 1,8 CH/46 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze N 3,0 P 2,1 As 2,0 Sb 1,9 Bi 1,9 O 3,5 S 2,5 Se 2,4 Te 2,1 Po 2,0 F 4,0 Cl 3,0 Br 2,8 I 2,5 At 2,2 Z CAPITOLO 10 Struttura elettronica e proprietà periodiche FIGURA 10.13 Variazione del valore dell’elettronegatività nel Sistema periodico. L’altezza dei blocchi è proporzionale al valore dell’elettronegatività. Gli elementi del gruppo 18, che non si legano mai, non possiedono valori di elettronegatività. Elettronegatività 4 F 4,0 3 O 3,5 N 3,0 H 2,1 2 C 2,5 Cl 3,0 B 2,0 1 Be 1,5 Si 1,8 Li 1,0 P 2,1 S 2,5 Se 2,4 Br 2,8 1 Al As 1,5 Fe 1,8 Co 1,8 Ni 1,8 Cu l 2,0 Ge 1,9 Cr 2,5 1,8 V Ga Zn Na Mn1,5 Ru Rh Pd Ti 1,6 Te 1,6 1,6 1,6 0,9 2,2 2,2 2,2 Ag1,9 1,5 Sc 2,1 Sb Mo Tc 1,3 Au Cd In Sn 1,9 Ca 1,8 1,9 Nb Os Pt 2,4 1,7 1,7 1,8 At Ir 1,0 K 1,6 Zr 2,2 2,2 2,2 2,2 Po 0,8 Re 1,4 Y Hg Tl Pb Bi 2,0 1,9 W 1,2 Sr 1,9 1,8 1,8 1,9 1,7 Ta 1,0 Rb 1,5 Hf 0,8 1,3 Ba La 1,0 0,9 Cs 0,7 Mg 1,2 2 3 Pe r io 4 do 5 6 1 2 Gruppo 13 14 15 16 17 PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 3. Confronta le caratteristiche di tre elementi: carbonio (C), fluoro (F) e silicio (Si). (a) Collocali in ordine di raggio atomico crescente; (b) indica quale di essi ha la maggiore energia di ionizzazione; (c) indica tra carbonio e fluoro quale elemento ha la maggiore elettronegatività. 4. Confronta le caratteristiche di tre elementi: boro (B), alluminio (Al) e azoto (N). (a) Collocali in ordine di raggio atomico crescente; (b) indica quale di essi ha la maggiore energia di ionizzazione; (c) indica tra boro e azoto quale elemento ha la maggiore elettronegatività. (a) Il raggio atomico diminuisce procedendo lungo il periodo, per cui il fluoro deve avere raggio atomico più piccolo di quello del carbonio. Il raggio atomico, però, aumenta scendendo lungo il gruppo. Poiché il C e il Si appartengono allo stesso gruppo (gruppo 14), il Si deve essere più grande del C. In ordine di raggio atomico crescente abbiamo perciò: F < C < Si. (b) L’energia di ionizzazione aumenta procedendo lungo il periodo e diminuisce scendendo lungo il gruppo. Il fluoro si trova a destra e in alto rispetto agli altri due elementi e perciò ha l’energia di ionizzazione più elevata. (c) L’elettronegatività aumenta procedendo lungo il periodo e diminuisce scendendo lungo il gruppo. Perciò l’elettronegatività del fluoro, che è collocato più a destra, è maggiore di quella del carbonio. 5. Confronta le caratteristiche di tre elementi: zolfo (S), sodio (Na) e ossigeno (O). (a) Collocali in ordine di raggio atomico crescente; (b) indica quale di essi ha la maggiore energia di ionizzazione; (c) indica tra zolfo e ossigeno quale elemento ha la maggiore elettronegatività. Glossary Electron affinity (affinità elettronica) Energy change occurring when an atom gains an electron to form a negative ion. Electronegativity (elettronegatività) The tendency of an atom of an element in a molecule to gain electrons. Group ( gruppo) A vertical column of the Periodic table. The elements of a group have the same outer shell structure and the same properties. Metal (metallo) A chemical element with a low ionization energy. Nonmetal (non-metallo) A chemical element with a high ionization energy. Period ( periodo) A horizontal row of the Periodic table. The atoms of all the elements of a period have the same number of shells but a different number of electrons in the outer shell. Periodic law (legge periodica) The properties of the chemical elements are a periodic function of their atomic weights. Valence electrons (elettroni di valenza) Electrons in the outer shell of an atom. CH/47 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze G U I DA A L L O S T U D I O EA FACCIAMO IL PUNTO Domande aperte Esercizi di completamento 11 Come furono disposti i simboli degli elementi da Mende- 15 leev nella sua classificazione? 12 Come è stato modificato il Sistema periodico nel ventesimo secolo? 13 Che cosa sono le proprietà periodiche degli elementi? 14 Prova a costruire un Sistema periodico a blocchi, suddividendo ogni singolo blocco (s, p, d, f ) nel giusto numero di caselle, ognuna relativa a un solo elemento. Dove posizioni il blocco p? Quanti elementi fanno parte di questo blocco? 15 A che cosa corrispondono i periodi del Sistema periodico? 16 Che cosa si intende col termine configurazione elettronica esterna? Come influisce la configurazione elettronica esterna sulle proprietà degli elementi? 17 Che cosa sono il volume atomico e il raggio atomico di un elemento? 18 Come variano volume atomico e raggio atomico degli ele- Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello spazio vuoto il termine opportuno. Per classificare gli elementi oggi utilizziamo il …………………………………………… …………………………………………… spetto a quelle degli atomi da cui derivano? , che è costruito sulla base dell’ordine di riempimento degli …………………………………………… . Gli elementi del ……………………… ………… sono quelli che hanno l’ …………………………………………… elettrone in orbitali s, mentre quelli del blocco p hanno l’ultimo elettrone in …………………………………………… ………… . Gli elementi del bloc- co d sono chiamati di ……………………………………………………… ; quelli del ………………………………………… ………… si trovano staccati, più in basso. Gli ………………………………… di uno stesso gruppo hanno la stessa menti all’aumentare del numero atomico? 19 Come variano le dimensione dei cationi e degli anioni ri- A …………………………………… elettronica …………………………………………… , mentre quelli di uno stesso periodo hanno lo stesso numero quan- 10 Che cosa è l’energia di ionizzazione e come varia all’interno del Sistema periodico? 11 Che cosa è l’elettronegatività e come varia all’interno del tico …………………………………… . Gli elementi con ………………………………………… …………………………………………… Sistema periodico? 12 Quali sono le principali differenze tra metalli e non-metalli? In quale parte del Sistema periodico sono sistemati gli elementi con caratteristiche metalliche? 13 Quali caratteristiche hanno gli elementi che si trovano nella zona centrale del Sistema periodico? ………………………………… esterna s 2 p 6 sono detti …………………………… . L’energia di …………………………………………… è l’ener- gia necessaria per strappare uno o più …………………………………………… da un atomo, mentre l’ …………………………………………………… è la tendenza di un atomo ad attrarre verso sé gli elettroni di 14 Perché l’idrogeno deve essere considerato un elemento particolare del Sistema periodico? ……………………………………… . VERIFICA LE CONOSCENZE A Esercizi di corrispondenza 16 Inserisci nello schema le caratteristiche e i valori corrispondenti degli elementi, con l’aiuto del Sistema periodico, delle figure e delle tabelle presenti nel testo. Elemento Simbolo Configurazione elettronica Elettronegatività Raggio atomico Berillio Magnesio Calcio Stronzio Bario CH/48 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze 17 gli elettroni di legame; A Domande a scelta multipla B la tendenza che un atomo dell’elemento ha a tratte- nere gli elettroni di legame; Il carattere metallico: C l’energia che un atomo dell’elemento libera quando A diminuisce lungo il periodo da sinistra verso destra e acquista elettroni; diminuisce lungo il gruppo dall’alto verso il basso; B diminuisce lungo il periodo da sinistra verso destra e aumenta lungo il gruppo dall’alto verso il basso; C aumenta lungo il periodo da sinistra verso destra e di- minuisce lungo il gruppo dall’alto verso il basso; D l’energia che un atomo dell’elemento libera quando perde elettroni. 31 A l’energia necessaria per sottrarre a un suo atomo gli D aumenta lungo il periodo da sinistra verso destra e au- elettroni del guscio interno; menta lungo il gruppo dall’alto verso il basso. 18 19 un elettrone; B Mg; C Al; C l’energia necessaria per sottrarre a un suo atomo l’e- lettrone più esterno; D Si. D la tendenza che un suo atomo ha ad attrarre verso sé gli elettroni di legame. Quale tra i seguenti elementi ha minor carattere metallico? A B; 20 B l’energia che si libera quando un suo atomo acquista Quale tra i seguenti elementi rivela in modo più accentuato il carattere metallico? A Na; B C; C O; D F. 32 gurazione elettronica esterna e quindi possiedono proprietà molto simili; B le proprietà degli elementi dipendono dalla loro configurazione elettronica esterna; diminuisce lungo il gruppo dall’alto verso il basso; B aumenta lungo il periodo da sinistra verso destra e au- menta lungo il gruppo dal basso verso l’alto; C le proprietà degli elementi dipendono dal numero to- C diminuisce lungo il periodo da sinistra verso destra e tale degli elettroni; aumenta lungo il gruppo dall’alto verso il basso; D gli elementi dello stesso periodo non hanno la stessa D aumenta lungo il periodo da sinistra verso destra e au- configurazione elettronica esterna e quindi possiedono proprietà differenti. menta lungo il gruppo dall’alto verso il basso. Tra i seguenti, qual è l’atomo più elettronegativo? A C; 22 B Br; B Cl; B B; B Fe; B Si; B S; C S; D Se. 35 C Na; C Ca; B Cl –; B F –; 36 C O2–; D B3+. B elementi di transizione; D gas inerti. Quale processo è scritto correttamente? A Li – 1e– → Li+; C Li + 1e– → Li+; D N. D Fe3+. Gli elementi con configurazione elettronica esterna s1 sono: A metalli; C semimetalli; D S. C Li +; La configurazione elettronica totale 1s 2, 2s 22p 6 non appartiene allo ione: A Na+; C S; D F. 37 B Na – 1e– → Na2+; D K – 1e– → K –. C P; D S. C K; D Ca. Quale tra i seguenti è un catione bivalente? A Co++; 38 B Na+; C Fe3+; D O2 –. Quale tra i seguenti è un anione bivalente? A Fe++; B O2 –; C Al3+; D Cl –. 39 Il periodo di appartenenza di un elemento è determinato dal numero quantico: Gli elementi con configurazione elettronica esterna s 2p6 sono: A metalli; C semimetalli; 30 34 Quale tra i seguenti atomi ha il raggio atomico maggiore? A Na; 29 A Na+; Quale tra i seguenti atomi ha il raggio atomico minore? A Al; 28 D D. La configurazione elettronica totale 1s 2, 2s 22 p 6 appartiene allo ione: Quale tra i seguenti atomi ha minore energia di ionizzazione? A C; 27 C O; Quale tra i seguenti atomi ha maggiore energia di ionizzazione? A Na; 26 D O. La serie di elementi «B, C, F, N» si completa quando aggiungiamo: A O; 25 B C; 33 La serie di elementi «F, Cl, I, At» si completa quando aggiungiamo: A O; 24 C N; Tra i seguenti, qual è l’atomo meno elettronegativo? A Na; 23 B Li; Quale tra le seguenti frasi non è corretta? A gli elementi dello stesso gruppo hanno la stessa confi- L’elettronegatività: A diminuisce lungo il periodo da sinistra verso destra e 21 L’energia di ionizzazione di un elemento è: B elementi di transizione; D gas inerti. L’elettronegatività di un elemento è: A la tendenza che un atomo dell’elemento ha a cedere A angolare; C principale; 40 B magnetico; D di spin. Un atomo che acquista uno o più elettroni diventa: A un catione; C un anione; B uno ione positivo; D un metallo elettronegativo. CH/49 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze G U I DA A L L O S T U D I O EA G U I DA A L L O ST U D I O EA VERIFICA LE ABILITÀ A Gioca e impara 41 Inserisci nelle linee orizzontali dello schema in basso i termini corrispondenti alle definizioni e, leggendo nell’ordine le caselle in colore, vedrai comparire il termine che si usa per distinguere gli elementi del gruppo 1 del Sistema periodico. 1. Lo sono quelli inerti del gruppo 18. 2. Particella che possiede numero di spin ± ½. 3. Lo è uno ione carico positivamente. 4. Proprietà elettronica degli elementi, che varia in modo periodico. 5. Compilò una tabella, lasciando vuote alcune caselle per gli elementi non ancora scoperti. Esercizi e problemi 43 Utilizzando il Sistema periodico, disponi i seguenti elementi in ordine crescente di elettronegatività: B, Br, C, Ca, F, Fe, H, K, Ni, O, P, Rb, Sn. 44 Per ciascuna delle seguenti configurazioni elettroniche totali, indica se si riferisce a un metallo o a un non-metallo. A 1s 2, 2s 2; 6. Lo è il Sistema degli elementi chimici. 7. Gli elementi del blocco d sono di … . 8. Elementi chimici con bassa energia di ionizzazione, buoni conduttori di calore ed elettricità. B 1s 2, 2s 2 2p4; C 1s 2, 2s 2 2p6, 3s 2 3p6 3d 2, 4s2; D 1s 2, 2s 2 2p6, 3s 2 3p6 3d 10, 4s2 4p5. 45 Indica a fianco di ciascun elemento il blocco di appartenenza nel Sistema periodico. 1 Sodio (Na) 2 Cloro (Cl) 3 Rutenio (Ru) 4 Oro (Au) 5 6 Gallio (Ga) 7 Uranio (U) 8 Gadolinio (Gd) 46 Utilizzando il Sistema periodico degli elementi, scrivi le configurazioni elettroniche esterne dei seguenti elementi: Al, Co, Rb, P, Kr, He. 47 A e B sono due elementi con le seguenti configurazioni elettroniche: A = 1s 2, 2s 22p 6, 3s 23p 6, 4s1 B = 1s 2, 2s 2 2p 6, 3s 23p 63d 10, 4s 24p 5 Question 42 Starting from the letter A and following the correct pathway, you can obtain the asnwer to the question: what is the most important feature of the noble gases? A L’elemento A è un metallo, un elemento di transizione o un non-metallo? B L’elemento B è un metallo, un elemento di transizione o un non-metallo? C Quale elemento ha il più alto valore di energia di ionizzazione? D Quale elemento ha il più piccolo raggio atomico? 48 Quale elemento tra Cl e P ha le dimensioni maggiori? Quale elemento tra i due ha il più alto valore di elettronegatività? Quale la minore energia di ionizzazione? 49 Completa le seguenti trasformazioni da atomo a ione: A Fe …………… Fe 3+; _ B Cl + 1e …………… ; C O …………… O 2 –; D …………… _ – 1e K +. CH/50 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze Legame chimico 11.1 11 C A P I TO L O I legami chimici N ella maggior parte dei casi le sostanze chimiche, sia naturali sia di sintesi, sono costituite da atomi combinati tra loro e non da atomi isolati. Solo gli elementi del gruppo 18, i gas nobili, si trovano allo stato elementare, cioè in forma monoatomica. Elio (He), neon (Ne), argo (Ar), cripto (Kr), xeno (Xe) e radon (Ra) si trovano comunemente allo stato aeriforme, sono molto stabili e hanno bassissima reattività chimica. Proprio per questo motivo sono chiamati anche gas inerti. Tutti gli atomi degli altri elementi si uniscono attraverso la formazione di legami chimici. FIGURA 11.1 La distanza tra due nuclei dipende da un equilibrio di forze. La forza di repulsione elettrostatica tra i nuclei, indicata con la freccia azzurra, è bilanciata dalla forza di attrazione tra il nucleo di un atomo e l’elettrone dell’altro atomo, rappresentata con le frecce rosse. Per quale motivo gli atomi di alcuni elementi si combinano tra di loro, mentre altri non lo fanno? Generalmente i sistemi naturali evolvono spontaneamente verso stati dotati di maggiore stabilità. I corpi e i sistemi sono tanto più stabili quanta meno energia possiedono, per cui tendono verso stati con minore energia potenziale. Per gli atomi valgono le stesse considerazioni: un legame chimico si forma se l’energia degli atomi uniti insieme è inferiore a quella degli atomi isolati. Vediamo cosa accade quando due atomi si avvicinano. Gli elettroni di legame tendono ad avvicinare i due nuclei, verso i quali sono attirati contemporaneamente dalle forze elettrostatiche. I nuclei però tendono a respingersi, essendo entrambi dotati di carica positiva (figura 11.1). A una certa distanza si instaura un equilibrio tra la forza di attrazione nucleo-elettrone e quella di repulsione nucleo-nucleo. A questa distanza corrisponde un minimo di energia (figura 11.2). 씰 La distanza tra i nuclei di due atomi legati è chiamata lunghezza di legame o distanza di legame. Poiché i legami chimici sono forze attrattive che uniscono gli atomi, per separare e allontanare tra loro atomi legati occorre fornire energia. Energia potenziale 씰 I legami chimici sono forze attrattive di tipo elettrostatico che tengono uniti gli atomi nelle molecole e nei composti ionici. I FIGURA PARLANTE Repulsione Attrazione Distanza Energia minima FIGURA 11.2 A grandi distanze gli atomi non riescono ad interagire. Quando si avvicinano, l’attrazione tra il nucleo di un atomo e gli elettroni dell’altro atomo fa diminuire l’energia. Se gli atomi sono troppo vicini, prevale la repulsione dovuta ai nuclei e l’energia aumenta. 씰 L’energia di legame è l’energia che bisogna fornire a una mole di sostanza per rompere il legame che unisce gli atomi. L’energia di legame si misura in kJ/mol (kilojoule per mole). Dire, per esempio, che l’energia del legame H — H vale 435 kJ/mol, significa che per rompere tutti i legami chimici presenti in 2 g di idrogeno molecolare H2, la cui massa molare è 2 g/mol, occorrono 435 kJ. Tanto più è forte un legame, tanta più energia occorre per romperlo. Si può affermare, perciò, che il valore dell’energia di legame fornisce una precisa indicazione sulla forza del legame (vedi § 11.13). Per avere un’idea dell’energia in gioco basti pensare che con 435 kJ di energia si riesce a far aumentare di 100 °C la temperatura di 1,04 litri di acqua. CH/51 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO b A SCHEDA DI LABORATORIO Decomposizione di una sostanza pura con il calore APPROFONDIMENTO L’energia di legame e la degradazione dei minerali Molecola Energia di legame H2 435 kJ/mol N2 944 kJ/mol O2 498 kJ/mol F2 158 kJ/mol Cl 2 242 kJ/mol TABELLA 11.1 I valori delle energie di legame dipendono dalle caratteristiche degli elementi che si uniscono, oltre che dal numero e dal tipo di legami chimici presenti. 11 Legame chimico Nella tabella 11.1 sono riportate le energie di legame di alcune molecole biatomiche. Tra le molecole riportate quella con il legame chimico più debole è F2, mentre quella con il legame più forte è N 2. Affinchè si possa formare un legame, gli atomi devono entrare in contatto. Sono coinvolte così le parti più esterne degli atomi, dove si trovano gli elettroni di valenza (cfr. § 10.3). La possibilità di formare legami, il loro numero e tipo sono perciò determinati dal numero e dalla distribuzione degli elettroni più esterni, cioè dalla configurazione elettronica di valenza. La configurazione elettronica esterna di un elemento può essere rappresentata in modo semplice con un metodo messo a punto dal chimico statunitense Gilbert Newton Lewis (1876-1946). Ogni elettrone del livello più esterno viene indicato con un puntino e scritto attorno al simbolo chimico dell’elemento. I puntini-elettroni vengono disposti attorno al simbolo, inserendoli progressivamente uno per lato. Solo quando sono stati inseriti quattro puntini-elettroni, i puntini possono essere accoppiati. Attorno a un simbolo si possono disegnare al massimo otto puntini-elettroni (figura 11.3). Nella rappresentazione di Lewis si distinguono elettroni singoli, chiamati elettroni spaiati o singoletti, e elettroni accoppiati, chiamati doppietti elettronici. G RUPPO I simboli di Lewis degli elementi del secondo periodo. I gas nobili, come il neon Ne, sono gli unici elementi che non hanno elettroni spaiati. 1 2 13 14 15 16 17 18 Li Be B C N O F Ne FIGURA 11.3 PERI O DO 11.2 1 He 2 Ne 3 Ar 4 Kr 5 Xe 6 Rn La configurazione stabile a bassa energia e la regola dell’ottetto C FIGURA 11.4 La configurazione elettronica esterna dei gas nobili è stabile in quanto tutti gli elettroni sono accoppiati. Anche i due elettroni dell’elio sono accoppiati, perché il primo guscio può contenere solo due elettroni e pertanto è completo. ome abbiamo visto nel paragrafo precedente, la formazione di un legame chimico porta alla diminuzione dell’energia degli atomi coinvolti. La scarsa propensione a legarsi da parte di un elemento è un chiaro indizio della presenza di uno stato di bassa energia nei suoi atomi. La stabilità chimica dei gas nobili, e quindi la loro bassa energia, è il dato scientifico da cui è partito Gilbert Lewis per avanzare la sua interpretazione della formazione del legame chimico, fondata sul ruolo degli elettroni esterni. Secondo Lewis l’inerzia chimica degli elementi del gruppo 18 è dovuta alla loro particolare configurazione elettronica esterna s 2p 6, che li rende molto stabili. Tutti i gas nobili hanno otto elettroni negli orbitali s e p del livello più esterno, che risulta quindi completo (figura 11.4). L’unico gas nobile che non ha otto elettroni nell’ultimo guscio, ma due, è l’elio. Questo elemento gode però delle stesse proprietà dei gas nobili, in quanto il suo livello più esterno, il primo, è completo. La configurazione con otto elettroni nel guscio più esterno è detta configurazione a ottetto. Gli atomi che non hanno otto elettroni nel guscio più esterno si trovano in una situazione di instabilità e tendono a formare legami chimici per raggiungere una configurazione elettronica esterna più stabile. Secondo l’interpretazione di Lewis del legame chimico, chiamata regola dell’ottetto: 씰 ogni atomo tende, quando si lega con altri atomi, a raggiungere la configurazione elettronica esterna uguale a quella del gas nobile con numero atomico a lui più vicino, cioè la configurazione a ottetto con otto elettroni nel guscio più esterno. Esistono diversi modi con cui un atomo può raggiungere la configurazione a ottetto: CH/52 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO Cl Cl Ba Ba – Cl Cl Cl Cl – Ba Ba ++ Cl Cl – ++ Ba Cl – Cl – Ba ++ Cl – Cl FIGURA 11.6 I due elettroni ceduti dall’atomo di bario vengono acquistati da due atomi di cloro. La formula del composto è pertanto BaCl 2. d ANIMAZIONE Il legame ionico e il legame metallico 11 Legame chimico Vediamo ora la formazione del legame ionico tra bario e cloro. Il bario Ba è un elemento del gruppo 2, che raggiunge la configurazione a ottetto se trasferisce i due elettroni del guscio più esterno. In questo modo si forma il catione Ba2+. Il cloro Cl appartiene al gruppo 17 e quindi, come abbiamo visto per il fluoro, completa il guscio più esterno acquistando un elettrone e formando l’anione Cl –. Il bario cede due elettroni per raggiungere l’ottetto, mentre il cloro ne acquista solo uno. Occorrono perciò due atomi di cloro per acquistare i due elettroni ceduti da ogni atomo di bario (figura 11.6). La formula del composto ionico che si forma tra bario e cloro è BaCl 2, perché nell’aggregato di ioni il rapporto tra ioni Ba2+ e ioni Cl – è 1:2. Perché si possa formare un legame ionico, la differenza di elettronegatività tra i due atomi deve essere molto alta. Solo in questo caso gli elettroni possono essere trasferiti dall’elemento meno elettronegativo all’elemento più elettronegativo. In altre parole il legame ionico si forma prevalentemente tra elementi metallici dei primi gruppi e elementi non-metallici degli ultimi gruppi. Riepilogando possiamo dire che: 씰 il legame ionico comporta il trasferimento totale di uno o più elettroni tra due atomi che hanno grande differenza di elettronegatività; 씰 il legame ionico determina la formazione di composti ionici e non di molecole. 11.4 Il legame covalente omopolare I l cloro si trova in natura sotto forma di molecola biatomica Cl 2, formata da due atomi di cloro legati insieme. Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, a entrambi gli atomi di cloro manca un solo elettrone per raggiungere la configurazione a ottetto. Se formassero un legame ionico, un atomo dovrebbe cedere un elettrone all’altro. In questo modo solo uno dei due atomi avrebbe il guscio più esterno completo, mentre la configurazione elettronica dell’altro si allontanerebbe dall’ottetto. Il trasferimento di elettroni da un atomo a un altro, necessario per formare il legame ionico, avviene solo se uno degli atomi impegnati nella formazione del legame è in grado di attirare gli elettroni maggiormente rispetto all’altro, cioè se ha elettronegatività decisamente più alta. Il legame ionico non può quindi formarsi tra due atomi dello stesso elemento, in quanto hanno la stessa tendenza ad attirare gli elettroni di legame. Deve pertanto esistere un altro tipo di legame per formare la molecola biatomica di cloro. I due atomi di cloro possono raggiungere la configurazione a ottetto mettendo in comune un elettrone ciascuno (figura 11.7 A). Gli elettroni così condivisi fanno parte contemporaneamente del guscio più esterno di entrambi gli atomi. È questa condivisione che permette a tutti e due gli atomi di disporre di otto elettroni nel guscio più esterno. Il raggiungimento della configurazione a ottetto attraverso la condivisione di elettroni è chiamato legame covalente. A Cl Cl Cl Cl B Cl Cl 씰 Il legame covalente è la forza che unisce due atomi che hanno una coppia di elettroni in comune. Il composto che si forma è una molecola. FIGURA 11.7 (A), l’attrazione da parte del nucleo di un atomo nei confronti di un elettrone dell’altro atomo porta alla condivisione di coppie di elettroni. (B), la formula di struttura di Lewis rappresenta il legame covalente con un trattino tra i simboli degli elementi ed evidenzia le coppie elettroniche non utilizzate. Per un breve profilo di Linus Pauling vedi la scheda a pagina 57. Il legame covalente si forma tra elementi non-metallici e viene rappresentato con un trattino che unisce i simboli degli elementi (figura 11.7 B). Quella che si ottiene è la formula di struttura di Lewis di una molecola, che mette in evidenza i legami covalenti presenti tra gli atomi e i doppietti elettronici non utilizzati. L’interpretazione di Lewis sulla formazione del legame chimico è precedente allo sviluppo della meccanica quantistica. Un modello alternativo, sviluppato negli anni Trenta del secolo scorso, è la teoria del legame di valenza (valence bond theory). Il modello si deve allo scienziato americano Linus Pauling e prevede che: CH/54 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 11 Legame chimico 씰 i legami chimici si possono formare attraverso la sovrapposizione di orbitali esterni semioccupati. Vediamo che cosa accade durante la formazione di una molecola di idrogeno H 2. Gli atomi di idrogeno sono costituiti da un protone e un elettrone, posto nell’orbitale 1s (figura 11.8 A). Formando un legame covalente, i due atomi di idrogeno raggiungono la configurazione elettronica esterna 1s 2 del gas nobile più vicino nel A Sistema periodico, cioè l’elio. Quando i due atomi collidono con sufficiente energia, i due orbitali 1s si compenetrano parzialmente (figura 11.8 B) e si forma una nube elettronica nuova che contiene i due B elettroni e i due nuclei (figura 11.8 C). Affinché si possa stabilire un legame covalente tra due atomi devono verificarsi tre condizioni: • in entrambi gli orbitali coinvolti vi deve essere un elettrone spaiato; • gli orbitali devono sovrapporsi e compenetrarsi parzialmente; C 2H FIGURA 11.8 Formazione di una molecola di idrogeno. Consideriamo due atomi di idrogeno, colorati uno in giallo e l’altro in azzurro. (A), il nucleo di ogni atomo attira solo il proprio elettrone. Se i due atomi si urtano in modo che i due orbitali si compenetrino (B), l’elettrone dell’atomo colorato in giallo viene attratto anche dal nucleo dell’altro atomo e può muoversi intorno a esso. Stessa cosa avviene all’elettrone dell’atomo indicato in azzurro. (C), i due elettroni si muovono intorno a entrambi i nuclei e formano un’unica nube elettronica. In basso il processo è rappresentato con la simbologia dei quadratini e con la simbologia di Lewis; i due orbitali atomici sono legati dai due elettroni. H—H • gli elettroni di legame devono avere spin opposto. Inoltre, il numero di legami covalenti che un atomo può formare è uguale al numero di elettroni spaiati che l’atomo ha nel guscio più esterno. Nella molecola di cloro Cl2 si forma un unico leH H H game covalente, in quanto i due atomi di cloro hanH no configurazione elettronica esterna s 2p 5 e vi è un solo elettrone spaiato nel livello più esterno. Tra i due orbitali p contenenti un singoletto si ha una sovrapposizione frontale, in quanto i due orbitali si congiungono nella direzione dell’asse che unisce i due nuclei (figura 11.9). Il legame che si stabilisce prende il nome di legame σ (sigma). Il cloro (Cl; Z = 17) è un elemento del gruppo 17. 씰 Un legame covalente è definito legame σ, se la sovrapposizione degli orbitali avviene frontalmente e la nube elettronica che si genera avvolge in modo omogeneo la linea retta ideale che congiunge i due nuclei. Il legame σ si può formare dalla sovrapposizione frontale di due orbitali s , di due orbitali p o di un orbitale s con un orbitale p . Cl Cl Cl Cl σ + σ Cl A volte gli atomi si legano mettendo in comune più di un elettrone ciascuno. Consideriamo la formazione del composto O2. I due atomi di ossigeno hanno configurazione elettronica esterna s 2p 4. Essi hanno due orbitali p perpendicolari tra loro, che contengono elettroni spaiati. Gli atomi di ossigeno raggiungono l’ottetto condividendo due coppie di elettroni. Cl Cl 2 FIGURA 11.9 Per raggiungere l’ottetto, due atomi di cloro sovrappongono parzialmente i due orbitali p con singoletto, indicati in verde, e formano un legame covalente σ. Gli altri orbitali p in grigio non sono coinvolti nel legame. CH/55 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO FIGURA 11.10 ↓ Formazione di un doppio legame covalente. Ogni atomo di ossigeno ha due orbitali p con singoletto. Per prima cosa i due atomi di ossigeno formano un legame σ sovrapponendo i due orbitali indicati in verde. Successivamente sovrappongono lateralmente gli orbitali colorati in rosso, perpendicolari ai primi, formando un secondo legame, che è chiamato π. La nube elettronica del legame π è distribuita da parti opposte rispetto alla retta congiungente i nuclei. FIGURA PARLANTE Legame chimico Nella figura 11.10 gli orbitali che contengono singoletti sono colorati in verde e in rosso. Essendo i due orbitali perpendicolari, una sola delle sovrapposizioni può essere frontale con formazione di un legame σ. Il secondo legame covalente avviene attraverso una sovrapposizione laterale di due orbitali p paralleli: il legame che si stabilisce prende il nome di legame π (pi greco). I due legami covalenti che si formano dalla sovrapposizione dei due orbitali p costituiscono un doppio legame. L’ossigeno (O; Z = 8) è un elemento del gruppo 16. I 11 씰 Un legame covalente si definisce legame π se la sovrapposizione tra gli orbitali avviene lateralmente e la nube elettronica che si genera si trova al di sopra e al di sotto del piano in cui giace il legame σ, comprendente la retta che congiunge i due nuclei. O O O O π σ + σ O O2 O π L’atomo di azoto ha configurazione esterna s 2p 3 e ha quindi un doppietto e tre singoletti. Per raggiungere la configurazione a ottetto ogni atomo di azoto tende a condividere altri tre elettroni. Rappresentiamo gli orbitali p con singoletto con colori diversi. I due orbitali p colorati in verde si sovrappongono frontalmente e si forma un legame σ, mentre i due orbitali colorati in rosso si sovrappongono lateralmente formando un legame π. Anche gli orbitali colorati in azzurro, perpendicolari agli altri orbitali p, si sovrappongono lateralmente, formando un secondo legame π. Nel caso della condivisione di tre coppie di elettroni si parla di triplo legame (figura 11.11). L’azoto (N; Z = 7) è un elemento del gruppo 15. N N N N π π σ + σ π N FIGURA 11.11 ↑ Formazione di un triplo legame covalente. Ogni atomo di azoto ha tre orbitali p con singoletto. Per prima cosa i due atomi di azoto formano un legame σ sovrapponendo i due orbitali indicati in verde. Successivamente sovrappongono lateralmente gli orbitali colorati in rosso e in azzurro, formando due legami π. I due atomi sono pertanto uniti da tre legami, uno di tipo σ e due di tipo π. Omopolare • Significa «con la stessa polarità» e deriva dal greco omos, «stesso, uguale». N N2 π Nel legame di tipo σ la sovrapposizione degli orbitali è massima e il legame che si genera è forte. Nel caso del legame π la compenetrazione degli orbitali è ridotta e il legame è più debole. I casi che abbiamo fin qui esaminato riguardano la formazione di legami covalenti tra atomi identici. Questi atomi hanno la stessa elettronegatività, per cui attraggono gli elettroni con la stessa forza. La nube elettronica che si forma è pertanto simmetrica rispetto ai due nuclei. Questo tipo di legame covalente è detto omopolare o puro. 씰 Il legame covalente omopolare o puro si stabilisce tra atomi uguali, o con uguale elettronegatività, che condividono coppie di elettroni. CH/56 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 11.5 Legame chimico nutrizione. Ricevette due premi Nobel, per la chimica nel 1954 e per la pace nel 1962. Linus Pauling fu uno scienziato scomodo e contestatore. Egli infatti accompagnò il suo impegno in campo scientifico con quello nel campo sociale e dei diritti civili. Nel 1955 fu uno dei 55 premi Nobel firmatari della «Dichiarazione di Mainau», che chiedeva la fine di tutte le guerre. Davanti ai risultati delle bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki e agli effetti delle esplosioni nucleari in atmosfera, Pauling decise di dedicare una parte rilevante del suo impegno ai movimenti pacifisti e libertari per la cessazione dei test nucleari e per il disarmo. Linus Pauling, uno scienziato «rivoluzionario» Il legame covalente eteropolare I l legame covalente si forma anche tra atomi di elementi diversi. Se un atomo attira maggiormente gli elettroni rispetto all’altro, ma non è in grado di sottrarli in modo definitivo, non si formano ioni. Per esempio, la molecola di acqua ha formula H2O ed è costituita da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno. L’ossigeno si trova nel gruppo 16, ha sei elettroni nel guscio più esterno e gli occorrono due elettroni per raggiungere la configurazione a ottetto. I due atomi di idrogeno hanno un elettrone nel loro guscio più esterno, il primo, e hanno bisogno di un elettrone per completarlo. L’atomo di ossigeno può condividere una coppia di elettroni con ciascun atomo di idrogeno: in questo modo tutti e tre gli atomi raggiungono la configurazione del gas nobile più vicino (figura 11.12 A). L’ossigeno e i due atomi di idrogeno formano due legami covalenti di tipo σ. Questi legami, però, non sono omopolari. Vediamo perché. A Idrogeno e ossigeno hanno diversa elettronegatività e attirano gli elettroni con diversa forza. I valori di elettronegatività dell’idrogeno e dell’ossigeno sono rispettivamente 2,1 e 3,5. Il nucleo dell’ossigeno esercita una maggiore forza di attrazione nei confronti dei due elettroni. Come conseguenza i due elettroni di legame si trovano per più tempo intorno all’atomo di ossigeno rispetto all’atomo di idrogeno (figura 11.12 B). La carica positiva del nucleo dell’atomo di idrogeno non è B più esattamente neutralizzata dall’elettrone: l’idrogeno assume una parziale carica positiva, che indichiamo con il simbolo δ+ (delta più). L’atomo di ossigeno assume invece una parziale carica negativa δ – (delta meno), perché le cariche positive del suo nucleo non riescono a bilanciare la carica negativa dovuta all’elettrone dell’idrogeno (figura 11.12 C). FIGURA 11.12 Formazione di legami covalenti eteropolari. (A), i due orbitali p con singoletto di un atomo di ossigeno possono sovrapporsi con due orbitali s di due atomi di idrogeno, per formare due legami σ. (B), poiché un atomo di ossigeno è più elettronegativo di un atomo di idrogeno, gli elettroni di legame sono spostati verso l’atomo di ossigeno; la nube elettronica attorno a questo atomo si allarga e quella intorno all’atomo di idrogeno si restringe. (C), l’atomo di ossigeno assume una parziale carica negativa e gli atomi di idrogeno una parziale carica positiva. Le due parziali cariche positive si respingono e provocano un aumento dell’angolo formato dai legami. (D), modello a bastoncini e palline di una molecola d’acqua. Le frecce indicano lo spostamento degli elettroni. d ANIMAZIONE Il legame covalente H H O O H H σ σ C D δ– δ – O δ+ H δ+ 104,5 δ+ H δ+ CH/57 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze PER SAPERNE DI PIÙ La vita di Linus Pauling (1901-1994) fu lunga, tumultuosa e molto importante per la storia della scienza. Nella sua lunga carriera Pauling descrisse la natura dei legami chimici, definì la struttura delle proteine, studiò le cause dell’anemia, partecipò all’impresa scientifica che portò nel 1953 a determinare la struttura del DNA. Fu insignito della medaglia presidenziale statunitense per le ricerche condotte durante la seconda guerra mondiale, utili al progresso nei campi della cristallografia, dei raggi X, della diffrazione degli elettroni, della meccanica quantistica, della biochimica, dell’anestesia, dell’immunologia e della 11 CAPITOLO Eteropolare • Significa «con polarità diversa» e deriva dal greco eteros, che significa «altro, diverso». 11 Legame chimico La molecola che si è formata è elettricamente neutra nel suo complesso, ma al suo interno sono presenti parziali cariche elettriche sugli atomi. Il legame prende il nome di covalente eteropolare o polarizzato. In figura 11.13 troviamo alcuni esempi di legame covalente eteropolare. 씰 Il legame covalente eteropolare o polarizzato si stabilisce tra due atomi con differente elettronegatività che condividono una o più coppie di elettroni. Le molecole caratterizzate dalla presenza di legami covalenti eteropolari, pur essendo elettricamente neutre, presentano una separazione tra le cariche elettriche e si forma un dipolo. 씰 Un dipolo è un sistema costituito da due cariche elettriche uguali, ma di segno opposto, situate a una certa distanza. I composti caratterizzati da legami covalenti formano molecole. Allo stato solido si trovano come aggregati caratterizzati da struttura cristallina. La presenza di molecole e non di ioni rende le forze di attrazione più deboli rispetto ai composti ionici. Di conseguenza i composti molecolari hanno minore temperatura di fusione rispetto ai solidi ionici. FIGURA 11.13 Rappresentazione, secondo Lewis e con i quadratini, della formazione dei legami covalenti eteropolari nelle molecole di ammoniaca NH3, anidride ipoclorosa Cl2O o ossido di dicloro, acido ipocloroso HClO e acido nitroso HNO2. Le freccine rosse e verdi rappresentano i singoletti. Si noti come nella formazione dell’acido nitroso HNO2 un atomo di ossigeno sia legato all’atomo di azoto attraverso un doppio legame, uno σ e uno π. H N HNH H H H H N H H 2H H N N H NH3 (ammoniaca) H Cl O Cl Cl O Cl H Cl O Cl Cl Cl O O Cl Cl Cl2O (anidride ipoclorosa) H H O Cl O Cl H O Cl H H O O Cl Cl HClO (acido ipocloroso) H O N O HON O H O N O H H O O N N ATTIVITÀ Polarità delle molecole O σ π O CH/58 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze HNO2 (acido nitroso) CAPITOLO 11.6 11 Legame chimico Il legame covalente dativo N ei legami covalenti, sia omopolari che eteropolari, una coppia di elettroni viene condivisa tra due atomi. I due elettroni normalmente derivano l’uno da un atomo e l’altro dall’altro atomo. Per formare il legame covalente, infatti, i due atomi devono avere ciascuno un singoletto. Si conosce, però, un altro tipo di legame covalente in cui questa condizione non si verifica: il legame dativo. Nel legame covalente dativo un atomo, che ha già raggiunto l’ottetto, unisce un suo orbitale, in cui sono presenti due elettroni, con un orbitale non occupato da elettroni di un altro atomo. In altri termini il legame dativo si stabilisce tra un atomo con un doppietto e un atomo con un orbitale completamente vuoto. Questo secondo atomo utilizza il doppietto del primo atomo per raggiungere la configurazione a ottetto. Anche nel legame dativo una coppia di elettroni è condivisa da due atomi. In questo caso, però, i due elettroni provengono dallo stesso atomo. Perché un atomo possa agire da datore nel legame dativo, deve avere un doppietto elettronico non impegnato in altri legami. Se un atomo ha due o tre doppietti non impegnati, può formare due o tre legami dativi. Un legame dativo viene indicato con una freccina, che parte dall’atomo datore ed è diretta all’altro atomo, l’atomo accettore. Per rendere più chiare le cose vediamo alcuni esempi di legame dativo. L’atomo di azoto dell’ammoniaca (NH 3, figura 11.14 A) ha un doppietto nell’orbitale 2s, che può essere utilizzato nella formazione di un legame dativo. Lo ione H +, cioè un atomo di idrogeno che ha perduto il suo elettrone, può agire da accettore in quanto ha l’orbitale 1s completamente vuoto. Si stabilisce un legame dativo e si forma uno ione complesso che incontreremo spesso nel nostro studio, lo ione ammonio NH +4. Un altro esempio di legame dativo lo troviamo nello ione H3O+ (figura 11.14 B). In questo ione la specie chimica che funge da accettore è ancora lo ione H +, che utilizza un doppietto dell’ossigeno dell’acqua. A FIGURA 11.14 Formazione del legame dativo. (A), legame dativo nello ione ammonio NH +4. (B), legame dativo nello ione ossonio o idronio H3O+. B H+ H+ N O Ammoniaca H H H H H+ H+ ↓ ↓ N Acqua H O Ione ammonio H H H H Ione ossonio H L’atomo di ossigeno è un caso particolare di accettore di doppietti elettronici. L’ossigeno, infatti, allo stato fondamentale non ha un orbitale completamente vuoto, ma può ottenerlo. La sua configurazione elettronica esterna, s2p 4, presenta due doppietti e due singoletti. In opportune condizioni, però, l’atomo di ossigeno può accoppiare i due elettroni dei singoletti in un unico orbitale p. In questo modo viene reso libero l’altro orbitale p, che può fungere da accettore di un doppietto (figura 11.14 C). C O segue figura 11.14 (C), per accettare legami dativi, due elettroni spaiati di un atomo di ossigeno vanno a occupare un unico orbitale. O CH/59 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 11 Legame chimico Vediamo, rappresentati nella figura 11.14 D, alcuni composti in cui l’ossigeno agisce come accettore nei legami dativi. Nell’acido ipocloroso, HClO, il cloro ha tre doppietti disponibili e ha quindi la possibilità di formare tre legami dativi. In questa molecola il cloro è legato, attraverso un legame di tipo σ, con un solo atomo di ossigeno. Se l’atomo di cloro dell’acido ipocloroso stabilisce un legame dativo con un altro atomo di ossigeno, si forma l’acido cloroso, HClO2; se si lega con altri due atomi di ossigeno si forma l’acido clorico, HClO3, con altri tre si forma l’acido perclorico, HClO4. Altri esempi di legame dativo si hanno nell’acido nitrico, HNO3, nell’acido solforico, H2SO4, e nell’acido fosforico, H3PO4. In tutti questi casi verifichiamo che, grazie al legame dativo, un atomo a cui mancano due elettroni per raggiungere l’ottetto può utilizzare un doppietto di un altro atomo che ha raggiunto la configurazione elettronica stabile. O O Cl O Acido cloroso Dalla formula di struttura si possono prevedere molte proprietà delle sostanze. Per questo motivo è importante scrivere correttamente la struttura di Lewis delle molecole. Per ricavare la formula di struttura di Lewis di una molecola si adotta il seguente procedimento: Regole per ricavare le strutture di Lewis delle molecole 1. Per prima cosa si scrivono i simboli di Lewis degli atomi presenti nella molecola. 2. Si devono poi disporre gli atomi nella giusta posizione, tenendo conto che al centro va inserito l’elemento che deve fare più legami per raggiungere l’ottetto, cioè l’atomo col maggior numero di elettroni spaiati. Se sono presenti elementi dello stesso gruppo, va scritto al centro l’elemento col maggior carattere metallico. Se la molecola ha più atomi uguali, questi occupano in genere posizioni terminali, in quanto la molecola tende a essere simmetrica. Anche l’idrogeno, dato che può formare un unico legame covalente, va inserito in posizione terminale. 3. Si calcola il numero di coppie elettroniche presenti nella molecola, sommando i puntini-elettroni delle formule di Lewis di ogni atomo presente nella molecola. 4. Si uniscono gli atomi, tenendo conto che ogni atomo forma tanti legami covalenti quanti sono i suoi elettroni spaiati. 5. Si assegnano le coppie elettroniche che non sono state utilizzate agli atomi che non hanno ancora raggiunto l’ottetto. Spiritoso ritratto di Gilbert Newton Lewis visto come sacerdote dei legami chimici. H O Cl H O O Cl ↓ O O Acido ipocloroso PER SAPERNE DI PIÙ H ↓ Cl ↓ O ↓ H O ↓ D ↓ segue figura 11.14 (D), l’atomo di cloro dell’acido ipocloroso HClO può formare uno, due o tre legami dativi, legando uno, due o tre atomi di ossigeno. Si formano l’acido cloroso (HClO2), l’acido clorico (HClO3) e l’acido perclorico (HClO4). Verifichiamo il metodo ricavando la strut- Acido clorico Acido perclorico tura della molecola di acido carbonico H2CO3. 1. Scriviamo i simboli di Lewis degli atomi presenti nella molecola: il carbonio C, l’idrogeno H e l’ossigeno O: H C O 2. La molecola contiene 1 atomo di carbonio C, 3 atomi di ossigeno O e 2 atomi di idrogeno H. L’elemento centrale è C, in quanto deve formare 4 legami per raggiungere l’ottetto. Gli idrogeni vanno invece inseriti in posizione terminale: O H O C O H 3. Il carbonio possiede 4 elettroni di valenza, l’ossigeno ne ha 6 e l’idrogeno ne ha 1, per cui il numero di elettroni di valenza è 4 + (6·3) + (1·2) = 24 elettroni di valenza, che corrispondono a 12 coppie. 4. Uniamo gli atomi tramite trattini (legami chimici), considerando che il carbonio forma 4 legami, gli atomi di ossigeno 2 e gli atomi di idrogeno 1: O H O C O H 5. Gli atomi sono stati uniti con 6 legami, per cui abbiamo utilizzato 6 coppie elettroniche. Occorre quindi assegnare i 6 doppietti che mancano agli atomi che non hanno ancora raggiunto l’ottetto: O H O C CH/60 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze O H CAPITOLO 11.7 11 Legame chimico Il legame metallico I metalli hanno particolari proprietà fisiche, come l’elevata conducibilità elettrica e termica, la duttilità e la malleabilità. I metalli, escluso il mercurio, sono tutti solidi a temperatura ambiente e hanno un punto di fusione generalmente alto. La formazione del legame ionico e del legame covalente non spiegano queste caratteristiche. Le proprietà dei metalli sono interpretate facendo riferimento a un altro modello, a un legame di altro tipo, il legame metallico. I metalli sono elementi che cedono facilmente elettroni del loro guscio più esterno per raggiungere la configurazione a ottetto, formando cationi. Gli elettroni ceduti non vengono acquistati da nessun atomo e si distribuiscono nell’intero solido metallico. Un metallo allo stato solido può essere considerato come costituito da un insieme di cationi, disposti con regolarità, circondati da elettroni. Ognuno di questi elettroni è attirato contemporaneamente da tutti i cationi circostanti, che risultano fortemente uniti: è questo il legame metallico (figura 11.15). Si può affermare che: FIGURA 11.15 In un metallo allo stato solido ogni catione è attirato dagli elettroni, che si spostano facilmente da un atomo all’altro e lo circondano come una nube; ogni elettrone è, a sua volta, attirato dai cationi che lo circondano. 씰 un corpo metallico è costituito da un aggregato geometricamente ordinato di soli cationi, immersi in una nube di elettroni che si distribuisce in tutto il corpo. Il legame metallico spiega le proprietà dei metalli. Gli elettroni si spostano con facilità da un punto all’altro del corpo metallico, conducendo bene calore e corrente elettrica. Le temperature di fusione relativamente alte e la struttura cristallina dei metalli sono giustificate dalla consistenza delle forze che uniscono i cationi agli elettroni mobili circostanti. La malleabilità dei metalli è invece dovuta al fatto che i cationi, separati dagli elettroni mobili, possono scorrere facilmente gli uni sugli altri (figura 11.16). FIGURA 11.16 (A), nella struttura di un metallo sono presenti tutti cationi esattamente equivalenti. Uno slittamento di una parte rispetto all’altra non provoca alcuna alterazione e può essere tollerato. I metalli sono malleabili. (B), nella struttura di un composto ionico uno slittamento delle posizioni determina una situazione di repulsione tra particelle dello stesso segno; la struttura ionica non sopporta alcuna alterazione. I solidi ionici non sono malleabili. A B A APPROFONDIMENTO La teoria degli orbitali molecolari LABORATORIO SEMPLICE I legami chimici 11.8 Legame chimico e posizione degli elementi nel Sistema periodico C ome abbiamo visto nei paragrafi precedenti, il tipo di legame chimico che si instaura tra due elementi dipende dalla loro differenza di elettronegatività. L’elettronegatività è una proprietà periodica (cfr. § 10.8). È possibile perciò prevedere quale legame chimico unisce due elementi a partire dalla posizione che essi occupano nel Sistema periodico. In generale possiamo affermare che: CH/61 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 11.9 11 Legame chimico I legami chimici secondari C onsideriamo un campione di acqua H2O e un campione di diossido di carbonio CO2. Entrambe le sostanze sono formate da atomi uniti da legami covalenti eteropolari. In condizioni normali l’acqua si trova allo stato liquido, mentre il diossido di carbonio allo stato aeriforme. Perché l’acqua è un liquido, mentre il diossido di carbonio è un gas? Il modello particellare della materia (cfr. § 0.5) prevede che le particelle allo stato solido e allo stato liquido siano unite tramite forze attrattive. Affinché ciò avvenga è necessario che le particelle interagiscano tra loro. Nel caso dell’acqua devono quindi essere presenti forze che uniscono tra loro le molecole. I legami chimici che abbiamo visto finora non prevedono la formazione di legami tra le molecole, tali da giustificare stati condensati della materia. Le interazioni che uniscono le molecole sono chiamate legami secondari o intermolecolari, mentre il legame ionico, il legame metallico e il legame covalente sono chiamati legami primari. 씰 I legami primari uniscono tra loro atomi per formare molecole, aggregati metallici o composti ionici. I legami secondari si stabiliscono tra molecole e tra molecole e ioni. I legami secondari sono legami deboli. Tuttavia ogni molecola può formare un elevato numero di legami intermolecolari in modo tale da influenzare molte proprietà fisiche delle sostanze, tra cui il calore specifico, il calore latente e le temperature di fusione e di ebollizione. Torniamo al confronto tra l’acqua e il diossido di carbonio. L’acqua è una sostanza meno volatile del diossido di carbonio, in quanto i legami intermolecolari tra le sue molecole sono più forti di quelli presenti tra le molecole di CO2. L’acqua ha quindi una pressione di vapore inferiore e bolle a una temperatura più alta rispetto al diossido di carbonio (cfr. § 0.6). 11.10 Le interazioni di Van der Waals P ur essendo nel loro complesso elettricamente neutre, le molecole possono stabilire tra loro deboli legami di natura elettrostatica che prendono il nome di interazioni di Van der Waals. Prendiamo in esame i tre tipi fondamentali di queste interazioni, elencandoli in ordine decrescente di forza. – Interazione dipolo-dipolo. Come abbiamo visto nel caso dell’acqua, nelle molecole che presentano un legame covalente eteropolare vi può essere separazione di cariche elettriche, cioè un dipolo. In un punto delle moleco+ le dipolari si trova una carica parziale positiva (δ ) e in un altro punto una − carica parziale negativa (δ ). Ognuna di queste molecole è un dipolo e, per facilità di comprensione, può essere paragonata a un piccolo magnete. La parte positiva di una molecola attira verso di sé la parte negativa di un’altra molecola, e viceversa (figura 11.18 A). Le molecole dipolari rimangono legate. Tra di esse si è stabilita una interazione, cioè una forza che agisce reciprocamente, chiamata interazione dipolo-dipolo. – Interazione dipolo-dipolo indotto. Una carica elettrica, quando si trova vicino a un corpo neutro in cui vi sono elettroni mobili, può determinare la formazione di un dipolo. Il fenomeno è chiamato induzione elettrostatica. Una molecola dipolare come l’acqua può indurre un dipolo in una molecola adiacente, anche se questa normalmente non presenta alcuna separazione di cariche elettriche (figura 11.18 B). La parte negativa della molecola dell’acqua, ad esempio, è in grado di allontanare gli elettroni di un’altra molecola molto vicina e di creare in questa uno squilibrio di cariche. Tra le parti di segno opposto delle due molecole si determina una interazione dipolodipolo indotto. JOHANNES DIDERIK VAN DER WAALS A δ δ _ δ _ δ _ _ δ+ δ+ δ+ δ+ B δ δ _ δ _ _ δ+ δ+ δ+ FIGURA 11.18 Interazioni di Van der Waals. Una ombreggiatura omogenea indica che non vi è separazione di cariche elettriche all’interno della molecola. Una diversa ombreggiatura indica la presenza di un dipolo. (A), interazione dipolo-dipolo; (B), interazione dipolo-dipolo indotto. CH/63 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 11 Legame chimico – Interazione dipolo indotto-dipolo indotto. Consideriamo una molecola in cui non vi è alcuna separazione di cariche elettriche. Anche se non notiamo alcun dipolo permanente, possiamo pensare che in ogni istante gli elettroni non siano distribuiti in modo omogeneo tra gli atomi, cioè che esistano dipoli istantanei. Il moto degli elettroni, infatti, potrebbe farli trovare casualmente più concentrati da una parte della molecola o dall’altra. Nel tempo, però, lo squilibrio di carica elettrica tende a compensarsi e l’effetto risultante è nullo. Se ammettiamo che in una molecola non dipolare si possa produrre questo tipo di dipolo, anche per un solo istante, in una molecola adiacente in quello stesso istante può essere indotta una separazione di cariche, cioè un altro dipolo istantaneo (figura 11.18 C). In queste condizioni si viene a determinare una interazione tra le parti di segno opposto delle due molecole: si è prodotta una interazione dipolo indotto-dipolo indotto, detta anche forza di London. Le forze di London sono molto deboli e hanno effettiva rilevanza solo quando le molecole sono vicinissime tra loro. Per esempio, le interazioni dipolo indotto-dipolo indotto tra le molecole di idrogeno, H2, assumono valori significativi solo quando il gas è fortemente compresso, con pressioni di centinaia di bar. segue figura 11.18 (C), interazione dipolo indotto-dipolo indotto. C δ δ δ+ 11.11 _ _ δ δ+ δ+ δ δ_ δ+ δ+ Il legame idrogeno Q Il tetraedro è un solido geometrico, più precisamente un poliedro regolare, formato da 4 facce uguali, che sono 4 triangoli equilateri, e da 4 vertici. _ _ uando un atomo di idrogeno è legato con legame covalente a un atomo molto elettronegativo, ad esempio fluoro, ossigeno o azoto, gli elettroni di legame sono molto spostati verso questo secondo atomo. L’atomo di idrogeno assume una parziale, ma consistente, carica positiva. Questa carica, distribuita in un piccolo volume, conferisce all’atomo di idrogeno un’alta densità di carica elettrica e quindi un’alta energia. L’idrogeno, per diminuire questa energia, tende a legarsi con un atomo che ha una parziale carica negativa. Neutralizzando la carica elettrica, l’idrogeno acquisisce maggiore stabilità. Una interazione dipolo-dipolo di questo tipo, che prende il nome di legame idrogeno, si ha tipicamente tra le molecole d’acqua: un atomo di idrogeno di una molecola si lega all’atomo di ossigeno di un’altra molecola. Rappresentiamo il legame idrogeno con tre punti messi in fila (...) (figura 11.19 A). Constatiamo che l’idrogeno fa da ponte tra due atomi di ossigeno: uno legato con legame covalente, l’altro con legame idrogeno. Ogni molecola è legata pertanto ad altre quattro molecole (figura 11.19 B). Si forma un reticolato, che non si sviluppa su un piano, ma nelle tre dimensioni dello spazio. I due legami covalenti e i due legami idrogeno rappresentati al centro della figura 11.19 C si dirigono verso i vertici di un immaginario tetraedro. La figura 11.19 D utilizza modelli a spazio pieno per mostrare la disposizione dei legami idrogeno tra le molecole d’acqua. L’atomo di idrogeno di un legame idrogeno e i due atomi a esso legati si trovano quasi sulla stessa retta. Perché il legame idrogeno abbia maggiore forza, occorre che i due atomi legati all’idrogeno abbiano un valore di elettronegatività elevato: un atomo, quello legato covalentemente, per creare la parziale carica positiva; l’altro atomo, quello legato con legame idrogeno, per assumere una carica negativa parziale, ma consistente. Solo gli atomi di ossigeno, azoto e fluoro hanno valori di elettronegatività tanto elevati da dar luogo a legami idrogeno relativamente forti. CH/64 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO A 11 Legame chimico B H δ + H δ _ O H δ + δ C D O + δ δ O _ H δ _ O + H H δ δ + δ _ O H + H δ _ O H H δ δ δ + δ _ O _ H δ + O H H δ δ _ + + O δ + H δ δ δ H + + δ _ O + H δ _ O H δ + δ O + δ H O H O H _ O O È sufficiente confrontare il punto di ebollizione di composti simili per dimostrare quanto influisca il legame idrogeno sulle proprietà delle sostanze. Se consideriamo i composti binari formati dall’idrogeno, verifichiamo che le sostanze che riescono a formare legami idrogeno, come H2O, HF e NH3, sono quelle che hanno il punto di ebollizione più alto (figura 11.20). Pur essendo più debole del legame covalente e di quello ionico, il legame idrogeno ha un’enorme importanza. Se non ci fosse, l’acqua perderebbe le sue particolari caratteristiche chimiche e fisiche, bollirebbe a – 80 °C e si troverebbe perciò tutta allo stato aeriforme: sulla Terra non ci sarebbe vita. I legami idrogeno hanno eccezionale importanza biologica, in quanto intervengono nella formazione della struttura delle proteine e del DNA. Riassumendo possiamo dire che: FIGURA 11.19 (A), un atomo di idrogeno, dotato di carica elettrica positiva parziale, si lega con un altro atomo dotato di parziale carica elettrica negativa. Il legame idrogeno che si forma è indicato con tre puntini. (B), nell’acqua allo stato liquido o solido si verifica che ogni molecola è legata da legami idrogeno ad altre quattro molecole; si forma così un reticolo. (C), i quattro legami, due covalenti e due idrogeno, che partono da ogni atomo di ossigeno sono diretti verso i vertici di un tetraedro. (D), molecole d’acqua e relativi legami idrogeno rappresentati con modelli a spazio pieno. 씰 Il legame idrogeno è la forza elettrostatica che unisce un atomo di idrogeno, legato covalentemente a un atomo molto elettronegativo, e un altro atomo molto elettronegativo. 16 Temperatura di ebollizione (°C) H2O po up Gr 100 FIGURA 11.20 Il grafico mostra i punti di ebollizione di composti in cui è presente idrogeno e che hanno formula chimica simile. Il punto di ebollizione dei composti che formano legami idrogeno, come H2O, NH3 e HF, è più alto. HF 0 Gr up po 17 NH3 Grup po 15 H2S HCl PH3 –100 14 ppo Gru H2Te SbH3 HI AsH3 H2Se SnH4 HBr GeH4 SiH4 CH4 – 200 2 3 4 5 Periodo del Sistema periodico 11.12 Il legame ione-dipolo S e mettiamo in acqua un composto ionico, per esempio il cloruro di sodio NaCl, verifichiamo che in soluzione il composto è tutto scisso negli ioni sodio Na+ e negli ioni cloruro Cl–. Ogni ione Na+, segnato in azzurro nella figura 11.21 A, orienta verso di sé, attira e lega la parte negativa delle molecole d’acqua, cioè la parte dove vi è l’ossigeno. Analogamente ogni ione Cl–, indicato in verde nella figura 11.21 B, orienta verso di sé, attira e lega la parte positiva delle molecole dipolari di acqua, quella dove sono gli atomi di idrogeno. 씰 La forza elettrostatica che si stabilisce tra uno ione e una molecola dipolare si chiama legame ione-dipolo. A B FIGURA 11.21 (A), uno ione sodio, in azzurro, come ogni altro ione positivo attira e lega a sé gli atomi di ossigeno delle molecole di acqua. Si formano legami ione-dipolo. (B), alla stessa maniera uno ione cloruro, in verde, come qualunque altro ione negativo attira e lega a sé gli atomi di idrogeno delle molecole d’acqua, che hanno una parziale carica positiva. Si producono così legami ione-dipolo. CH/65 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 11 Legame chimico Il legame ione-dipolo è dovuto a forze di attrazione elettrostatica tra cariche elettriche di segno opposto. Questo legame non comporta né condivisione né cessione di elettroni, in quanto si instaura dopo che si sono formate le molecole e i composti ionici. Legami ioni-dipolo si formano, per esempio, ogni volta che si scioglie in acqua un composto ionico, come il sale, o un composto che in acqua si ionizza, come un acido. Il risultato è che: 씰 ogni ione in soluzione acquosa è circondato da uno strato, più o meno abbondante, di molecole di acqua. PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 2. Quale tipo di legame è presente tra le molecole di azoto, N 2? 3. Quale tipo di legame è presente tra le molecole di ossigeno, O2, tra quelle di acqua, H2O, e tra quelle di ammoniaca, NH3? Il legame da identificare non riguarda ioni, ma è un legame tra molecole. Possiamo perciò escludere il legame ione-dipolo. Le molecole di azoto, N2 , sono formate da atomi dello stesso tipo e perciò non sono presenti dipoli permanenti. Ciò fa escludere il legame idrogeno, che dovremmo escludere comunque non essendo presenti atomi di idrogeno, e i legami dipolo-dipolo e dipolo-dipolo indotto. L’ultima possibilità rimasta è quella di un legame dipolo indotto-dipolo indotto, che si riscontra in molecole con legami covalenti omopolari come quelle di azoto. 4. Stabilisci se i legami P⎯ H, Si⎯ N e C ⎯ O possono determinare dei dipoli e, in caso affermativo, indica le posizioni del polo positivo e del polo negativo. 3. Stabilisci se i legami B ⎯ Cl, Si⎯ O e N ⎯ N possono determinare dei dipoli e, in caso affermativo, indica le posizioni del polo positivo e del polo negativo. (B ⎯ Cl) Boro e cloro si trovano abbastanza lontani nel Sistema periodico. Il boro è un semimetallo e il cloro è un non-metallo. Il valore di elettronegatività per il boro è 2,0 e per il cloro 3,0. La differenza di elettronegatività tra B e Cl è 1,0. Si tratta perciò di un legame covalente eteropolare, che può dar luogo a un dipolo col polo positivo dalla parte del boro e quello negativo dalla parte del cloro. (Si ⎯ O) Il silicio è un elemento del gruppo 14 e del 3° periodo, mentre l’ossigeno è un elemento del gruppo 16 e del 2° periodo; l’ossigeno ha perciò un valore di elettronegatività (3,5) superiore a quello del silicio (1,8). La differenza di elettronegatività è 1,7 e il legame determina la formazione di un dipolo con l’ossigeno come polo negativo. (N ⎯ N) Poiché il legame è tra atomi uguali, non c’è separazione di carica elettrica e non si stabilisce un dipolo permanente. TABELLA 11.2 Energia di legame in kJ/mol di alcuni legami chimici (valori medi). ENERGIA DI LEGAME Legame kJ/mol H ⎯⎯ H C ⎯⎯ C C ==== C C ≡≡≡≡ C O ==== O C ==== O Cl ⎯⎯ Cl Br ⎯⎯ Br I ⎯⎯ I H ⎯⎯ F H ⎯⎯ Cl H ⎯⎯ Br H ⎯⎯ I H ⎯⎯ O H ⎯⎯ N H ⎯⎯ C C ⎯⎯ F C ⎯⎯ Cl N ≡≡≡≡ N H …F H …O H …N 435 347 610 835 498 745 242 192 151 560 431 366 299 463 391 413 485 339 945 42 29 8 11.13 Energia e lunghezza di legame G li atomi si legano insieme per acquisire uno stato energetico caratterizzato da minore energia. Le grandezze che caratterizzano un legame chimico sono l’energia di legame e la lunghezza di legame (cfr. § 11.1). Ora che abbiamo passato in rassegna tutti i legami chimici, possiamo analizzare quali sono i fattori che determinano l’energia e la lunghezza di un legame. I legami sono dovuti agli elettroni esterni. Se i due atomi legati sono piccoli, gli elettroni si trovano vicini al nucleo e risentono molto delle forze di attrazione verso di esso. Tanto più l’atomo è grande, tanto più gli elettroni di legame sono lontani dal nucleo e tanto meno sono attratti. Un legame tra atomi che hanno raggio elevato è più debole che tra atomi piccoli. Se il legame è di tipo elettrostatico, una carica elettrica su un atomo piccolo conferisce a quest’atomo un’alta densità di carica e quindi la capacità di stabilire un legame forte; se l’atomo è più grande, la densità di carica è minore e il legame è più debole. Per avere conferma di quanto abbiamo detto, confrontiamo i valori delle energie di legame nei legami delle molecole HF, HCl, HBr e HI (tabella 11.2). I raggi degli atomi legati all’atomo di idrogeno (fluoro F, cloro Cl, bromo Br, iodio I) aumentano nell’ordine. Verifichiamo sempre che il valore dell’energia di legame diminuisce all’aumentare del raggio dell’atomo. CH/66 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 11 Legame chimico Il valore dell’energia di legame dipende anche dal tipo di legame. Prendiamo due coppie uguali di atomi, per esempio idrogeno e ossigeno. Se i due elementi sono uniti da legame covalente (H ⎯⎯ O) oppure da legame idrogeno (H ... O), si hanno valori di energia di legame nettamente diversi (tabella 11.2). In linea generale il legame ionico è un po’ più forte del legame covalente ed entrambi sono molto più forti del legame ione-dipolo, del legame idrogeno e delle interazioni di Van der Waals. C’è inoltre un terzo fattore da considerare: il valore dell’energia di legame dipende dal numero dei legami che uniscono i due atomi. La spiegazione è semplice: è più facile rompere un solo legame che romperne due o tre. Prendiamo in esame i valori delle energie di un legame singolo, di uno doppio e di uno triplo tra due atomi di carbonio, cioè confrontiamo i valori delle energie dei legami C ⎯⎯ C, C ==== C e C ≡≡≡≡ C (tabella 11.2). Ci aspetteremmo di trovare valori multipli, ma non è così. Vediamo perché. Un legame doppio è costituito da un legame σ e da un legame π (cfr. § 11. 4). Sappiamo che gli orbitali che formano il legame σ si compenetrano più di quelli che formano il legame π. Gli elettroni del legame σ si trovano più vicini ai nuclei degli elettroni del legame π. Ne risulta che il legame σ è più forte del legame π e quindi che l’energia di un doppio legame non è uguale al doppio dell’energia di un legame singolo, ma è minore. Infatti, mentre l’energia di un legame singolo C ⎯⎯ C è di 347 kJ/mol, quella di un legame doppio C ==== C non corrisponde a 347 × 2 = 694 kJ/mol, ma è 610 kJ/mol. Nei doppi legami il legame π è più debole del legame σ e si rompe prima. Ricapitolando possiamo dire che: LUNGHEZZA DI LEGAME Legame pm TABELLA 11.3 Lunghezza di legame in pm di alcuni legami chimici. H ⎯⎯ H H ⎯⎯ C H ⎯⎯ N H ⎯⎯ O F ⎯⎯ F Cl ⎯⎯ Cl C ⎯⎯ O C ⎯⎯ C C ==== C C ≡≡≡≡ C C ==== O H …O 씰 Il valore dell’energia di legame diminuisce all’aumentare del raggio degli atomi legati, cresce col numero dei legami ed è molto più alto per i legami primari rispetto a quelli secondari. L’energia di legame è direttamente correlata con la lunghezza di legame. Infatti, gli atomi uniti da legami forti si attraggono in modo da avvicinare al massimo i loro nuclei. Se l’energia di legame ha un valore elevato, il legame è più corto, rispetto a quello degli stessi due atomi tenuti da un legame debole. Per esempio, il legame covalente H — O, che ha energia molto alta, è più corto del legame idrogeno H... O. Ci sono altri fattori che influiscono sulla lunA ghezza di legame. Uno di questi è il volume atomico. La lunghezza di legame è direttamente proporzionale al raggio degli atomi legati. 74 Un legame tra atomi piccoli è più corto di un legame dello stesso tipo tra atomi più grandi. Nella tabella 11.3 sono riportati i valori delle H H lunghezze di alcuni legami chimici. Confrontiamo i valori dei legami H — C, H — N, H — O: notiamo che sono decrescenti, in accordo col 199 fatto che gli atomi di carbonio, azoto e ossigeno hanno raggio decrescente. Nella figura 11.22 A troviamo una conferma dell’influenza di questo fattore: il legame H — H è più corto di quelCl Cl lo Cl — Cl, perché l’atomo di idrogeno ha raggio minore di quello di cloro. Un altro fattore che influisce sulla lunghezza di legame è il numero dei legami. Nel caso di atomi che formano legami multipli, la lunghezza di legame è tanto minore quanto maggiore è il numero di legami. Nella figura 11.22 B è rappresentata la differenza tra un legame singolo C — C e un doppio legame C ==== C, più corto. Ricapitolando possiamo dire che: 74 108 101 96 142 199 143 154 135 120 121 177 B 154 C C 135 C C FIGURA 11.22 La lunghezza di legame è la distanza tra i nuclei degli atomi legati. (A), un atomo di idrogeno è più piccolo di un atomo di cloro e il legame H ⎯ H ha lunghezza minore del legame Cl ⎯ Cl. (B), la lunghezza di un doppio legame è inferiore a quella di un legame singolo. I valori delle lunghezze di legame sono espressi in pm. 씰 La lunghezza di legame aumenta con il raggio degli atomi legati e diminuisce all’aumentare dell’energia di legame e del numero dei legami. CH/67 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze PER SAPERNE DI PIÙ CAPITOLO Van der Waals e l’arte di arrampicarsi sugli specchi I «polpastrelli» dei gechi aderiscono al vetro grazie alle interazioni di Van der Waals. 11 Legame chimico Nessuno fa caso a una mosca che cammina su una parete verticale, anche quando la parete è un vetro. Intuitivamente pensiamo che il corpo della mosca sia così leggero da rimanere incollato al vetro. Gli animali «arrampicatori» che ci sorprendono di più, però, non sono i minuti insetti, ma i ben più corposi gechi, rettili comuni nelle abitazioni, soprattutto al sud del nostro Paese. Come può il loro corpo, lungo fino a 15 cm, muoversi agevolmente sul soffitto e su ogni superficie? Addirittura, se li lasciamo cadere, sono in grado di aggrapparsi a una foglia durante il volo toccandola con una zampa. I gechi destano meraviglia soprattutto perché non sono provvisti di alcuna sostanza adesiva, che d’altra parte li bloccherebbe una volta realizzata l’adesione. Le loro eccezionali proprietà hanno attirato l’attenzione dei ricercatori, che non hanno tardato a scoprire la presenza di un numero enorme di microscopiche setole sulla superficie dei loro «polpastrelli». Le setole, 14 100 ogni mm2, sono a loro volta suddivise in centinaia di diramazioni larghe appena 0,2 μm (un capello è spesso 80 μm). Le ricerche hanno dimostrato che ognuna di queste ramificazioni è attirata dalle molecole delle superfici da forze molto deboli, che sono interazioni di Van der Waals. Il numero elevatissimo delle propaggini epidermiche con cui terminano le zampe dei gechi fa sì che la forza complessiva sia enorme, assimilabile a quella di un peso di 2 kg. Le ramificazioni delle setole aderiscono alle superfici grazie alle interazioni di Van der Waals, ma si possono staccare facilmente. Il geco modifica l’inclinazione delle setole e la forza di adesione viene subito a mancare. Glossary Bond length (lunghezza di legame) The distance between the nuclei of two bonded atoms. Bond energy (energia di legame) The energy required to break the bond that hold atoms together in one mole of substance. Chemical bond (legame chimico) The forces of attraction that hold atoms together in a molecule or in a ionic compound. Covalent bond (legame covalente) A chemical bond formed by sharing of valence electrons. Dipole-dipole interaction (interazione dipolo-dipolo) The electrostatic interaction between two polar molecules. Heteropolar covalent bond (legame covalente eteropolare) The chemical bond between two atoms with different values of electronegativity. The pair of electrons isn’t equally shared between the two atoms. Homopolar covalent bond (legame covalente omopolare) The chemical bond between two atoms with similar electronegativity. The pair of electrons is equally shared between the two atoms. Hydrogen bond (legame idrogeno) The electrostatic interaction between electronegative atoms in one molecule and hydrogen atoms bond to electronegative atoms in another molecule. Ionic bond (legame ionico) The electrostatic attraction between ions. Ionic bond is formed by transfer of electrons. Metallic bond (legame metallico) The electrostatic attraction between the positive metal ions and the free electrons. Primary chemical bond (legame chimico primario) A chemical bond that hold atoms together in a molecule or in a ionic compound. Secondary chemical bond (legame chimico secondario) The attractive forces between molecules and between molecules and ions. Van der Waals force (interazione di Van der Waals) Electrostatic interaction between molecules. π bond (legame pigreco) A covalent bond produced by sideways overlap of the orbitals. The resulting orbitals have two parts, one on each side of the plane between the two nuclei. σ bond (legame sigma) A covalent bond produced by overlap of the orbitals along the line of axes between the two nuclei. CH/68 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze FACCIAMO IL PUNTO Domande aperte 10 11 Che cosa è un legame chimico? 12 Per quale motivo si formano i legami chimici? 13 Descrivi brevemente che cosa accade quando due atomi 14 15 16 17 18 19 14 15 16 17 18 19 20 A Esercizi di completamento 21 11 12 13 si avvicinano. Rappresenta con la notazione di Lewis la configurazione elettronica esterna degli elementi che vanno da Z = 11 a Z = 20. Che cosa significano i termini singoletto e doppietto? Quali sono le principali caratteristiche del legame ionico? Tra quali atomi si può formare? È corretto parlare di molecola quando il legame è ionico? Quali sono le principali differenze tra un legame covalente omopolare e uno eteropolare? Che cosa significano i termini legame σ, legame π, legame doppio e legame triplo? Rappresenta schematicamente, secondo la notazione di Lewis, la formazione delle molecole di acido cloridrico HCl e di anidride ipobromosa Br2O. Che cosa è un legame dativo? Indica alcuni esempi di composti in cui è presente un legame dativo. Rappresenta con la notazione di Lewis la formazione del legame dativo nello ione ossonio. Quale legame è presente nei metalli allo stato solido? Come si spiega la formazione di questo legame? La molecola di acido cloridrico HCl è un dipolo? Quando una molecola può essere considerata un dipolo? Definisci il legame ione-dipolo. Cita un esempio di questo legame. Ordina le interazioni di Van der Waals in base alla loro energia di legame. Quale legame si può stabilire tra due molecole d’acqua? Che tipo di legame è? Che differenza c’è tra legami primari e legami secondari? Definisci l’energia di legame e indica come varia in funzione del raggio degli atomi legati. Che cosa rappresenta la lunghezza di legame? Quale fattore può far variare la lunghezza di legame tra due atomi dello stesso elemento? Quale relazione lega l’energia di un legame alla lunghezza dello stesso legame? Perché l’energia dei legami doppi o tripli non ha valore doppio o triplo rispetto a quella del legame semplice? Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello spazio vuoto il termine opportuno. I ………………………………………… ……………………………………………… chimici sono forze attrattive di natura …………………………………………………………………… che tengono uniti gli atomi nelle o nei ……………………………………………… ionici. Facendo corrispondere un puntino agli …………………………………………………………… più esterni usiamo la simbologia di ………………………………………… . Per rompere un legame bisogna ………………………………………… l’ ………………………………………… di legame, il cui valore diminuisce all’aumentare del ………………………………………… degli atomi legati, ………………………………………… col numero dei legami ed è più alta per i legami ……………………………………………… (covalente, ……………………………………………… , metallico) rispetto ai legami secondari (ione-dipolo, interazioni di stanza tra ……… ………………………………… ………………… ……………… …………………… , legame ……………………………………………………… ). La lunghezza di legame è la di- degli atomi legati. VERIFICA LE CONOSCENZE Esercizi di corrispondenza 22 A Assegna a ciascuna specie chimica il legame che la caratterizza, scegliendolo tra i legami sottoelencati, e indica il legame segnato in colore tra le molecole di acqua: covalente omopolare; covalente eteropolare; covalente dativo; ionico; metallico; Van der Waals; idrogeno. Specie chimica Legame HCl NaF CsI CaCl2 H2 Na Fe H2O … H2O CH/69 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze G U I DA A L L O ST U D I O EA A Domande a scelta multipla 23 A B C • • O• D • • B 1 legame σ e 1 legame π; O• • C 1 legame σ; D 2 legami σ. • • B C F •• • • D F •• • • 34 • 9F • 19 9F La rappresentazione di Lewis per il cloro è: C • • Cl D • • B c’è un legame σ e un legame π »; C c’è un legame covalente omopolare»; Il boro (B) allo stato fondamentale ha la configurazione elettronica esterna caratterizzata da: A un tripletto; D gli elettroni di legame non sono equamente condivisi». 35 B tre singoletti; B covalente omopolare; D un singoletto e un doppietto. C covalente eteropolare; D covalente dativo. Quale tra le seguenti definizioni non è corretta? A il legame covalente unisce due atomi ed è dovuto a una coppia di elettroni di legame; B gli elettroni di legame condividono la stessa nube elettronica; C gli elettroni di legame possono avere lo stesso spin; D gli elettroni che formano il legame devono avere spin opposto. 28 36 B covalenti omopolari; C idrogeno; D covalenti eteropolari. 37 elettronico e l’altro funge da accettore di un doppietto elettronico; B uno dei due atomi funge da donatore di un elettrone e l’altro funge da accettore di un elettrone; C uno dei due atomi funge da donatore di un protone e l’altro funge da accettore di un protone; D entrambi gli atomi condividono un loro elettrone e un elettrone dell’altro atomo. B uguali o diversi, con stessa elettronegatività; C uguali, con diversa energia di ionizzazione; D diversi, con lo stesso numero di singoletti. 30 31 In quale dei seguenti composti è presente un legame covalente omopolare? B HCl; C H2S; D HF. 38 In quale dei seguenti composti non è presente un legame covalente omopolare? A PH3; B N2; C F2; D H2O. In quale delle seguenti specie chimiche è presente un legame covalente eteropolare? A F2; 39 C I2; B NaCl; D NH3. In quale delle seguenti specie chimiche non è presente un legame covalente eteropolare? A HCl; C PH3; B Cl2O3; D CCl4. Nella molecola di azoto N2 sono presenti: 40 A 1 legame σ e 2 legami π; Quale tra le seguenti definizioni non è corretta? A il legame ionico è la forza di attrazione elettrostatica B 1 legame σ e 1 legame π; che si genera tra tutti gli ioni di carica opposta; C 2 legami σ; 32 Nel legame dativo: A uno dei due atomi funge da donatore di un doppietto Un legame covalente omopolare si forma tra atomi: A H2; La molecola di anidride ipoclorosa Cl2O ha due legami: A ionici; A diversi, con diversa elettronegatività; 29 Nella molecola di acido cloridrico HCl è presente un legame: A ionico; C due doppietti e un singoletto; 27 Quale completamento della frase non è corretto? «Nella molecola di ossigeno O2: A c’è un doppio legame»; Cl •• • 17Cl • • B • • Cl • • • • A 26 8O Nella molecola di cloro Cl2 abbiamo: A 1 legame σ e 2 legami π; La rappresentazione di Lewis per il fluoro è: A 25 16 8O • 24 33 La rappresentazione di Lewis per l’ossigeno è: • • G U I DA A L L O S T U D I O EA D 3 legami σ. B il legame ionico si forma tra due atomi che hanno Un legame σ si ha quando la nube elettronica: C lo stabilirsi del legame ionico non determina la forma- elettronegatività molto diversa; zione di molecole, ma genera composti ionici; A si trova ai due lati della retta ideale che congiunge i due nuclei; B avvolge omogeneamente la retta ideale che congiunge i due nuclei; C è parallela alla retta ideale che congiunge i due nuclei; D avvolge la perpendicolare alla retta ideale che congiunge i due nuclei. D il legame ionico non comporta il trasferimento di elet- troni da un atomo all’altro. 41 In quale delle seguenti specie chimiche è presente il legame ionico? A CsCl; B HI; C HNO2; D BH3. CH/70 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze 42 In quale delle seguenti specie chimiche non è presente il legame ionico? A SrCl2; 43 44 C BCl3; D NaCl. C l’energia del legame σ è maggiore di quella del A HF; D l’energia di legame dipende dal numero di legami. B HI; C CH4; D SiH4. In quale dei seguenti composti le molecole non sono unite da legami idrogeno? B NH3; C HF; D BH3. Un dipolo è un sistema costituito da due cariche elettriche: 49 C BeF2; B PCl3; C H2O; D CO2. D BCl3. Quale tra le seguenti affermazioni non è corretta? B HF; C NH3; D HI. 54 Quale tra i seguenti composti ha punto di ebollizione più B HCl; C HI; D HBr. A perché formano legami idrogeno; B grazie alle interazioni di Van der Waals; C perché formano legami ione-dipolo; D grazie alle forze di London. 56 Quale tra le seguenti molecole può dare interazioni dipolo indotto-dipolo indotto? A HCl; B NaCl; B legami primari; C interazione ione-dipolo; Quale tra le seguenti affermazioni non è corretta? A il legame idrogeno è un legame elettrostatico; B il legame idrogeno si forma tra un atomo di idrogeno e un atomo fortemente elettronegativo; C il legame idrogeno ha importanza biologica, poiché in- terviene nella struttura delle proteine e del DNA; D il legame idrogeno è presente in tutti i composti contenenti idrogeno. L’energia di legame è l’energia che: A si libera quando si forma un legame chimico; B bisogna fornire per formare un legame chimico; C bisogna fornire a un solido per trasformarlo in un liquido; D bisogna fornire a un liquido per trasformarlo in un gas. D FeCl . 2 A legami intermolecolari; C legami forti; Quale tra le seguenti non è una interazione di Van der Waals? C Cl ; 2 57 Le interazioni di Van der Waals sono: ordinato di cationi immerso in una nube elettronica; B in un metallo allo stato solido gli elettroni degli orbitali più esterni si spostano facilmente da un punto all’altro; C i metalli hanno elevata conducibilità elettrica e quindi acquistano facilmente elettroni; D i metalli hanno elevata conducibilità termica. D interazione dipolo-dipolo indotto. 51 A H2O; A un metallo allo stato solido è costituito da un insieme A interazione dipolo-dipolo; B interazione dipolo indotto-dipolo indotto; 50 idrogeno? 55 I solidi ionici si solubilizzano in acqua: In quale dei seguenti composti l’atomo centrale (in neretto nella formula) ha due coppie di elettroni non condivise, disponibili per legami dativi? A NH3; 48 B NH3; 53 Quale tra le seguenti molecole non può formare legami A HF; In quale dei seguenti composti l’atomo centrale (in neretto nella formula) ha una coppia di elettroni non condivisa, disponibile per un legame dativo? A BH3; legame π; alto a causa dell’intervento del legame idrogeno? C di diverso valore, ma dello stesso segno; D di diverso valore e di segno opposto. 47 legati; In quale dei seguenti composti le molecole sono unite da legami idrogeno? A uguali e dello stesso segno; B uguali, ma di segno opposto; 46 A l’energia di legame dipende dal raggio degli atomi B l’energia di legame non dipende dal tipo di legame; A H2O; 45 B CaF2; 52 Quale tra le seguenti affermazioni non è corretta? D interazioni tra ioni. 58 Quale tra le seguenti coppie di atomi può formare legame ionico? A H, I; B I, I; C Ca, I; D P, I. 59 Quale tra i seguenti composti ha il legame con il maggior carattere ionico? A I2; B BaS; C NaF; D NaI. 60 I composti ionici: A sono insolubili in acqua; B sono malleabili; C hanno alte temperature di fusione; D si trovano tipicamente allo stato gassoso. 61 Il ghiaccio è un solido tenuto insieme da: A forze intermolecolari; B legami ionici; C legame metallico; D legami covalenti. 62 In quale tra i seguenti composti c’è un doppio legame? A NaF; B CO2; C CaF2; D NH3. CH/71 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze G U I DA A L L O S T U D I O EA VERIFICA LE ABILITÀ A Gioca e impara 63 Inserisci nelle linee orizzontali dello schema i termini corrispondenti alle seguenti definizioni e, nelle caselle in colore, vedrai comparire il nome del legame … generatore di acqua. 1. Legame possibile solo tra atomi con elevata differenza di elettronegatività. Il legame covalente formato da un atomo che ha già raggiunto l’ottetto, ma che ha ancora doppietti disponibili. I legami che uniscono le molecole. Il legame covalente presente nell’acqua. Quella di legame dipende dal raggio degli atomi legati. Quella di legame è la distanza tra i nuclei. Diede il nome a deboli legami di natura elettrostatica. È formato da due cariche elettriche uguali e di segno opposto, presenti a una certa distanza in un corpo. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 1 Esercizi e problemi 65 66 67 2 Per ciascuna delle seguenti coppie di legami, indica qual è il legame più eteropolare e utilizza una freccia per mostrare la direzione dello spostamento degli elettroni in ciascun legame. A C⎯ ⎯O e C⎯ ⎯ N; B P⎯ ⎯ Br e P⎯ ⎯ Cl; C B⎯ ⎯O e B⎯ ⎯ S; D B⎯ ⎯F e B⎯ ⎯ I. Per ciascuna delle seguenti coppie di legami, indica qual è il legame più corto. A B⎯ ⎯ Cl e Ga ⎯ ⎯ Cl; B Sn ⎯ ⎯O e C⎯ ⎯ O; C P⎯ ⎯S e P⎯ ⎯ O; D C === =O e C === = N. Disponi i seguenti composti in ordine di carattere ionico del legame decrescente: A H2; 3 B LiH; 4 C HBr; 5 D HCl; 6 E KH. 7 68 Utilizza la rappresentazione di Lewis per indicare la struttura molecolare del cloroformio CHCl3. Quanti legami sono presenti? Ci sono doppi o tripli legami? Indica quali sono gli orbitali del carbonio, dell’idrogeno e del cloro che si sovrappongono per formare i legami tra questi elementi. 69 Per ciascuna delle seguenti coppie di atomi indica il tipo di legame che si forma e disegna la formula di struttura della molecola che si produce, utilizzando la rappresentazione di Lewis: 8 A P, Cl; B C, H; Question C Si, O; Starting from the letter in the little ring and by using all the letters, you have the answer to the following question: what is necessary to supply for breaking a bond in a molecule, the reactants and the products being in the gas phase at standard conditions? D S, O. 70 Disegna la formula di struttura di ciascuna delle seguenti molecole, utilizzando la rappresentazione di Lewis. A NH3; B HF; Y E C H2SO4; O D HClO3. N E N B D 64 R G U I DA A L L O ST U D I O EA G 71 Per ciascuna delle seguenti coppie di legami, indica il legame più eteropolare e utilizza una freccia per specificare la direzione dello spostamento degli elettroni. A C⎯ ⎯O e C⎯ ⎯ Cl; B P⎯ ⎯H e P⎯ ⎯ N; C B⎯ ⎯H e B⎯ ⎯ Cl. CH/72 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze Forma delle molecole e proprietà delle sostanze C A P I TO L O 12 12.1 Angolo di legame e forma delle molecole N el capitolo precedente abbiamo confrontato le caratteristiche di due sostanze con atomi uniti da legami covalenti: l’acqua e il diossido di carbonio. Per spiegare le differenze tra le proprietà fisiche delle sostanze non è sufficiente considerare il tipo di legame chimico che unisce gli atomi, ma occorre anche verificare se tra le molecole sono presenti legami secondari e di quale tipo sono (cfr. § 11.9). A temperatura ambiente l’acqua si trova nello stato liquido, mentre il diossido di carbonio è aeriforme: tra le molecole d’acqua esistono legami più forti rispetto a quelli che agiscono tra le molecole di diossido di carbonio. Perché l’intensità delle forze di attrazione nell’acqua sono superiori a quelle presenti nel diossido di carbonio? Come vedremo in seguito, l’intensità delle forze intermolecolari dipende dalle dimensioni e dalla forma delle molecole. La forma e le dimensioni di una molecola dipendono dal numero degli atomi che la compongono, dal loro volume, dalla lunghezza dei legami che uniscono gli atomi e anche dell’angolo che questi legami formano tra loro, cioè dall’angolo di legame (figura 12.1). 씰 Si chiama angolo di legame l’angolo formato dagli assi di due legami chimici che partono dallo stesso atomo. La forma e le dimensioni delle molecole, la disposizione degli atomi nello spazio, la lunghezza e gli angoli di legame definiscono nel loro complesso la geometria molecolare. La geometria di una molecola può essere ricavata attraverso un modello, chiamato VSEPR, e spiegata facendo ricorso alla teoria degli orbitali ibridi. Anngolo di legame (°) FIGURA 12.1 L’angolo di legame di una molecola viene misurato in gradi (°). La geometria molecolare viene determinata sperimentalmente attraverso la diffrazione ai raggi X. 12.2 Il modello VSEPR N el 1957 il chimico inglese R.J. Gillespie mise a punto un modello, che permetteva di ricavare facilmente la geometria molecolare dei composti: la teoria VSEPR. Il nome del modello è un acronimo della denominazione inglese della teoria (Valence Shell Electron Pair Repulsion), che può essere tradotta letteralmente in: repulsione delle coppie elettroniche del guscio di valenza. Con una traduzione meno rigorosa, ma più vicina al linguaggio utilizzato in questo testo, possiamo definirla come la teoria della repulsione dei doppietti esterni. Il termine VSEPR è formato dalle lettere iniziali di cinque parole inglesi: Valence = valenza; Shell = guscio; Electron = elettrone; Pair = coppia; Repulsion = repulsione. CH/73 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO I C A B B 씰 Gli orbitali esterni occupano posizioni reciproche che realizzano la massima distanza possibile e quindi la minima interazione. A X Coppia di legame Forma delle molecole e proprietà delle sostanze Secondo il modello VSEPR la forma di una molecola viene determinata esclusivamente dalla repulsione tra i doppietti elettronici presenti nel livello più esterno. Le coppie di elettroni di legame tendono a respingersi, in quanto zone ad alta densità elettronica, e si portano alla massima distanza possibile. FIGURA PARLANTE Coppia di non legame 12 B FIGURA 12.2 (a sinistra), in una molecola formata da un atomo centrale A, provvisto di due coppie elettroniche di non legame e legato con due atomi B attraverso legami singoli, l’intensità delle repulsioni tra le coppie di elettroni di non legame è superiore a quella tra le coppie di legame. (a destra), una molecola è formata da un atomo centrale A legato con un legame doppio a un atomo C e legato a un atomo B e a un atomo X poco elettronegativo attraverso legami singoli. L’intensità delle repulsioni è maggiore nel caso di legami multipli e aumenta al diminuire dell’elettronegatività dell’elemento legato. L’intensità delle repulsioni è rappresentata dallo spessore delle frecce. ATTIVITÀ Forma delle molecole Il modello si basa sulla diversa intensità delle forze di repulsione a seconda che siano dovute a coppie elettroniche di valenza impegnate in legami, dette coppie di legame o leganti, o a coppie elettroniche solitarie, chiamate coppie di non legame o non leganti. In particolare si verifica che: • le coppie non leganti respingono le altre coppie elettroniche maggiormente rispetto alle coppie leganti; • un legame multiplo respinge le altre coppie elettroniche con maggiore forza rispetto a un legame singolo; • la repulsione tra coppie leganti aumenta al diminuire dell’elettronegatività dell’elemento legato; • i legami multipli si considerano come una coppia elettronica unica. Nella figura 12.2 sono rappresentati possibili casi di repulsione tra coppie elettroniche del guscio di valenza. Consideriamo la molecola di dicloruro di berillio BeCl2. Il berillio ha due elettroni spaiati, che utilizza per formare due legami covalenti con i due atomi di cloro. Attorno al berillio, che è l’atomo centrale, abbiamo due coppie elettroniche di legame e nessuna coppia di non legame. La massima distanza tra le coppie di elettroni si ottiene disponendo le coppie con un angolo di legame di 180°. La geometria che si ottiene prende il nome di geometria lineare. 180° La struttura di Lewis del dicloruro di berillio evidenzia come questa molecola sia un’eccezione alla regola dell’ottetto, in quanto il berillio ha solo quattro elettroni nel guscio di valenza. BeCl2 Dicloruro di berillio Cl Be Cl Struttura di Lewis Forma lineare Anche la molecola di CO2 assume una geometria lineare. Il carbonio forma due doppi legami con gli atomi di ossigeno. Secondo il modello VSEPR i legami multipli sono considerati come una singola coppia elettronica. Anche il carbonio dispone perciò i due assi elettronici a 180°. 180° CO2 Diossido di carbonio O C O Struttura di Lewis Forma lineare Consideriamo ora il trifluoruro di boro BF3, una molecola con tre coppie elettroniche di legame attorno all’atomo centrale. La massima distanza tra le coppie si realizza con la disposizione a 120° l’una dall’altra. La geometria che si ottiene prende il nome di triangolare planare. Anche il trifluoruro di boro è un’eccezione alla regola dell’ottetto. 120° F BF3 Trifluoruro di boro F B F Struttura di Lewis Forma triangolare planare CH/74 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 12 Forma delle molecole e proprietà delle sostanze Vediamo ora il caso del diossido di zolfo SO 2. La struttura di Lewis della molecola di SO 2 evidenzia la presenza attorno all’atomo di zolfo di un doppio legame covalente tra lo zolfo e uno dei due atomi di ossigeno, di un legame covalente dativo con l’altro atomo di ossigeno e di una coppia elettronica di non legame. Il numero delle coppie elettroniche attorno all’atomo centrale è tre, come nel caso precedente. La struttura è ancora triangolare planare. Tuttavia la presenza di una coppia elettronica di non legame, che esercita una repulsione maggiore rispetto alla coppia di legame, fa in modo che l’angolo tra i due atomi di ossigeno sia di poco inferiore a 120°. Quando sono presenti coppie di non legame, la struttura della molecola non coincide con la sua effettiva forma, in quanto quest’ultima è determinata esclusivamente dagli atomi legati all’atomo centrale. La forma del diossido di zolfo è pertanto piegata. Questo effetto è ancora più evidente nelle molecole, come l’acqua, con quattro coppie elettroniche attorno all’atomo centrale. SO2 Diossido di zolfo O S O Struttura di Lewis Forma piegata Nella molecola di metano CH 4, il carbonio ha attorno a sé quattro coppie elettroniche di legame. La geometria che permette di minimizzare le repulsioni è quella tetraedrica, che si realizza quando le coppie elettroniche non sono disposte su un piano, ma sono dirette verso i vertici di un ipotetico tetraedro con angoli di legame di 109,5°. H H C H CH4 H Metano Struttura di Lewis La struttura lineare e quella triangolare sono planari, mentre la geometria tetraedrica è tridimensionale. Forma tetraedrica Vediamo che cosa succede nel caso in cui siano presenti sempre quattro coppie di elettroni attorno all’atomo centrale della molecola, ma con coppie non leganti. Nella molecola di ammoniaca NH 3, l’azoto ha tre coppie leganti e una coppia non legante. Le quattro coppie elettroniche si dispongono in modo che i tre atomi di idrogeno e il doppietto libero si trovino ai vertici di un tetraedro. La maggior repulsione esercitata dalla coppia di non legame fa diminuire gli angoli di legame tra gli atomi di idrogeno, rispetto a quelli presenti nella molecola di metano. Quella che si ottiene è una forma piramidale triangolare con angoli di 107,3°. H N H NH3 H Ammoniaca Struttura di Lewis Forma piramidale triangolare Nel caso dell’acqua H2O, attorno all’ossigeno ci sono due coppie di legame e due coppie di non legame. Anche in questo caso la struttura è tetraedrica, in quanto le coppie elettroniche sono complessivamente quattro. La presenza di due coppie libere, però, fa diminuire l’angolo di legame tra i due atomi di idrogeno più di quanto avvenga nell’ammoniaca. La forma che si ottiene è piegata e l’angolo di legame risulta di 104,5°. H 2O O H H Acqua Struttura di Lewis CH/75 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze Forma piegata CAPITOLO 12 Forma delle molecole e proprietà delle sostanze In pratica, per risalire alla geometria di una molecola è necessario scrivere la struttura di Lewis e contare il numero totale di coppie elettroniche presenti attorno all’atomo centrale. La forma che la molecola effettivamente assume si ricava invece dal numero di coppie di legame e di non legame. Molecole con lo stesso numero di coppie elettroniche attorno all’atomo centrale, ma con numero diverso di coppie elettroniche di non legame, hanno stessa geometria ma forma diversa. Nella tabella 12.1 sono riportate le strutture e le forme molecolari più significative, ricavate utilizzando il modello VSEPR. Nella figura 12.3 sono rappresentate le possibili forme delle molecole. TABELLA 12.1 Struttura e forma delle molecole previste con il modello VSEPR. Nel caso in cui siano presenti coppie di non legame, la struttura e la forma della molecola non coincidono e si osserva una diminuzione dell’angolo di legame. FIGURA 12.3 Geometria molecolare di alcuni composti sulla base della teoria VSEPR. In rosso gli atomi legati all’atomo centrale, disegnato in azzurro; in verde è indicata la posizione nello spazio dei doppietti non legati. In alto a destra, in ciascun riquadro, sono riportate a titolo di esempio le formule di alcune molecole che hanno la struttura tridimensionale illustrata. A sinistra, con X è indicato l’atomo centrale, con Y gli atomi a esso legati e con E i doppietti non legati dell’atomo centrale. numero di coppie di legame numero di coppie di non legame 2 2 0 lineare lineare 180° BeCl 2 3 3 0 triangolare planare triangolare planare 120° BF3 3 2 1 triangolare planare piegata 119,7° SO2 4 4 0 tetraedrica tetraedrica 109,5° CH4 4 3 1 tetraedrica piramidale triangolare 107,3° NH3 4 2 2 tetraedrica piegata 104,5° H2O XY2 BeCl 2 HgCl 2 Lineare Tetraedrica XY5 APPROFONDIMENTO XY3 CH2O BF3 Angolo XY2 E NH3 PCl 3 XY3 E PCl 5 AsF5 XY6 SF6 Ottaedrica Esempio PbCl 2 SnCl 2 SO2 Piegata XY2 E 2 Piramidale triangolare Bipiramidale triangolare Dal modello VSEPR al modello VSED Struttura Triangolare planare NH +4 CCl 4 XY4 A Forma numero di coppie elettroniche H2O H2S Piegata XY5 E BrF5 Piramidale quadrata CH/76 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 12 Forma delle molecole e proprietà delle sostanze PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 1. Determina la struttura e la forma della fosfina PH3. 1. Determina la struttura e la forma del biossido di silicio SiO2. Per prima cosa si determina la struttura di Lewis della molecola di PH3. Il fosforo è un elemento del gruppo 15, per cui ha cinque elettroni nel guscio più H esterno, di cui tre singoletti e un doppietto. Con i tre singoletti forma H H P un legame covalente con ciascun atomo di idrogeno. Il fosforo ha quattro coppie elettroniche attorno a sé, tre coppie di legame e una coppia di non legame. La struttura della molecola è tetraedrica e la forma è piramidale triangolare. 2. Determina la struttura e la forma del tetrafluoruro di carbonio CF4. 12.3 Teoria degli orbitali ibridi I La teoria del legame di valenza non è in grado di spiegare gli angoli di legame di alcune molecole, determinati per via sperimentale. I FIGURA PARLANTE energia A p p p p p p p p s B energia FIGURA 12.4 Ibridazione sp degli orbitali. Un atomo di berillio ha due elettroni nell’orbitale 2s; quando viene eccitato, un elettrone sale in un orbitale p. I due orbitali con singoletto si mescolano per dare due orbitali ibridi uguali. I due orbitali ibridi si dispongono sullo stesso asse, ma ruotati di 180°. L’atomo di berillio viene ad avere così due orbitali con singoletto e può formare due legami covalenti. s C energia l modello VSEPR determina la forma di una molecola senza considerare gli orbitali coinvolti nel legame. È possibile risalire alla struttura delle molecole rifacendosi alla teoria del legame di valenza (cfr. § 11.4) opportunamente modificata. Lo stesso Pauling adattò questa teoria ed elaborò un nuovo modello che permettesse di risalire alla geometria delle molecole: la teoria degli orbitali ibridi. Secondo questa teoria i legami si possono originare anche da orbitali diversi da quelli fin qui conosciuti: gli orbitali ibridi. In biologia il termine ibridazione indica un incrocio tra individui con caratteri genetici diversi per dare discendenti con caratteristiche nuove, dovute a nuove combinazioni di geni. Il mulo, per esempio, è un ibrido nato dall’incrocio di un asino con una cavalla. In chimica, quando parliamo di ibridazione ci riferiamo al mescolamento di due orbitali di tipo diverso per formare orbitali con caratteristiche nuove rispetto a quelle di partenza. La causa di questo fenomeno sta nella ricerca di una maggiore stabilità. Sappiamo che un atomo per formare legami covalenti deve possedere per lo meno un singoletto. Si è notato, però, che vi sono atomi capaci di formare forti legami covalenti pur non avendo singoletti. Questi atomi, quando stabiliscono legami, utilizzano orbitali diversi da quelli presenti allo stato fondamentale, orbitali con diversa forma ed energia. Il berillio (Be, Z = 4) è un elemento del gruppo 2 del Sistema periodico e ha la configurazione elettronica esterna s 2. Il berillio non ha singoletti e non potrebbe formare legami covalenti omopolari o eteropolari, ma solo legami dativi o ionici. Invece si conoscono alcuni composti, per esempio il dicloruro di berillio BeCl 2, in cui l’atomo di berillio stabilisce due legami covalenti uguali con il cloro. Per spiegare questo fenomeno si fa ricorso al concetto di ibridazione degli orbitali. L’orbitale 2s ha energia minore di quella dei tre orbitali 2p (figura 12.4 A). Se però all’atomo viene fornita energia, cioè se viene eccitato, uno dei due elettroni dell’orbitale 2s si sposta in un orbitale 2p (figura 12.4 B). A questo punto i due orbitali 2s e 2p parzialmente occupati si «mescolano», suddividendosi equamente la loro energia e rimodellando la propria forma. Si formano due nuovi orbitali isoenergetici, aventi la stessa forma, che chiamiamo orbitali ibridi, ognuno con un singoletto (figura 12.4 C) sistemato in base alla regola di Hund (cfr. § 9.11). Gli altri due orbitali 2p rimangono invece non occupati e mantengono la loro energia. sp sp D + 씰 Gli orbitali ibridi sono orbitali nuovi ottenuti dalla combinazione, ricavata matematicamente, di più orbitali atomici di uno stesso atomo. E Gli orbitali ibridi del berillio, invece delle forme degli orbitali s e p (figura 12.4 D), vanno ad assumere la forma indicata nella figura 12.4 E. I due orbitali ibridi si dispongono in maniera che i loro assi formino tra loro un angolo di 180° (figura 12.4 F). L’atomo di berillio viene così a possedere nei due orbitali ibridi due singoletti in grado di formare legami covalenti uguali. F 180° CH/77 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO Atomo ibridato • Si usa per indicare in modo abbreviato un «atomo con gli orbitali più esterni ibridati». 12 Forma delle molecole e proprietà delle sostanze Nella figura 12.5 A l’atomo di berillio è rappresentato con gli orbitali allo stato fondamentale; nella figura 12.5 B lo stesso atomo dopo che si è avuta l’ibridazione degli orbitali. La molecola di dicloruro di berillio BeCl 2, che presenta due legami covalenti Be ⎯ Cl, ha struttura lineare (figura 12.5 C). Il tipo di ibridazione descritto si chiama ibridazione sp, perché coinvolge un orbitale s e un orbitale p. Il boro (B, Z = 5) è un elemento del gruppo 13 e pertanto ha configurazione elettronica esterna s 2p. Nonostante che negli orbitali esterni abbia un doppietto e un solo singoletto (figura 12.5 D), riesce ugualmente a formare tre legami covalenti uguali. Ciò è possibile perché l’orbitale s con doppietto si mescola con due orbitali p, uno con singoletto e uno senza elettroni. Si producono tre orbitali ibridi isoenergetici, ognuno con un singoletto (figura 12.5 E). I tre orbitali ibridi, che hanno forma simile a quella già vista nella figura 12.4 E, si dispongono in modo che i loro assi siano complanari e formino tra loro un angolo di 120°. L’orbitale che non è stato interessato da ibridazione si dispone perpendicolarmente al piano su cui giacciono gli assi degli orbitali ibridi. L’atomo di boro viene ad avere così tre singoletti nei tre orbitali ibridi e può formare tre legami covalenti uguali, per esempio con il cloro (figura 12.5 F). Questo tipo di ibridazione si chiama ibridazione sp 2, perché coinvolge un orbitale s e due orbitali p, e la struttura della molecola che si forma è triangolare planare. Un atomo di carbonio (C, Z = 6), elemento del gruppo 14, ha negli orbitali esterni un doppietto e due singoletti (figura 12.5 G). Con i due singoletti non riuscirebbe a stabilire i quattro legami covalenti necessari per raggiungere la configurazione stabile, se non intervenisse l’ibridazione degli orbitali. Il carbonio può acquisire grande stabilità, perché l’orbitale s con il doppietto si ibrida con i tre orbitali p. Si producono quattro orbitali ibridi isoenergetici, ognuno con un singoletto (figura 12.5 H). Gli assi di questi quattro orbitali sono diretti verso i quattro vertici di un immaginario tetraedro e racchiudono tra loro angoli di 109,5°. L’atomo di carbonio, utilizzando i suoi quattro singoletti negli orbitali ibridi, può formare così quattro legami covalenti uguali, per esempio con il cloro (figura 12.5 I). Questo tipo di ibridazione si chiama ibridazione sp 3, perché coinvolge un orbitale s e tre orbitali p, e la struttura della molecola che si forma è tetraedrica. Il carbonio è il costituente fondamentale di centinaia di migliaia di composti diversi. Nella maggior parte dei suoi composti il carbonio è ibridato sp, sp 2 oppure sp 3. Se conosciamo la formula del composto, possiamo risalire al tipo di ibridazione. Basta contare il numero degli atomi con cui l’atomo di carbonio ibridato si è legato: se sono due, tre oppure quattro, l’atomo è ibridato rispettivamente sp, sp2 o sp 3; se è legato un solo atomo non si è avuta ibridazione. Ricapitolando possiamo dire che: 씰 Più orbitali di tipo diverso si possono mescolare per dare nuovi orbitali, gli orbitali ibridi, isoenergetici tra loro. 씰 L’ibridazione degli orbitali permette di aumentare il numero di legami covalenti che un atomo può formare e rende così più stabili le molecole. 씰 Il numero e il tipo di orbitali ibridi determinano la geometria della molecola formata dall’atomo ibridato (tabella 12.2). TABELLA 12.2 Il numero di orbitali ibridati in un atomo determina la struttura della molecola che da esso si forma. Numero di orbitali ibridati Ibridazione Struttura della molecola 2 sp lineare 3 sp2 triangolare planare 4 sp3 tetraedrica CH/78 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO A 12 Forma delle molecole e proprietà delle sostanze D p p G p p s p p s Be sp p sp 3 sp 3 sp 3 C E p p s B B p H p p sp sp 2 sp 2 sp 2 sp 3 120° 180° 120° Be B C C F I Cl Cl Be Cl FIGURA 12.5 Ibridazione sp, sp 2 e sp 3. Sono colorati in verde gli orbitali 2s e in rosso gli orbitali 2p. Gli orbitali ibridi, ottenuti dal riarrangiamento di orbitali s e p, sono colorati in azzurro. Gli orbitali p non coinvolti nella ibridazione sono indicati in grigio; questi orbitali mantengono inalterata la loro forma e la loro disposizione spaziale. Il nucleo è indicato con un punto nero. B Cl Cl Cl Cl C Cl Cl In A, D e G sono rappresentati gli orbitali esterni prima dell’ibridazione, rispettivamente in un atomo di berillio (Be), di boro (B) e di carbonio (C). In B è riportata la struttura di un atomo di berillio con ibridazione sp. Dalla ibridazione di un orbitale s e di un orbitale p si formano due orbitali ibridi, i cui lobi maggiori si dispongono dalla parte opposta rispetto al nucleo, sulla stessa retta, a 180° tra loro. Perpendicolarmente a questa retta vi sono due orbitali p non ibridati, che non hanno cambiato forma. In E è riportata la struttura di un atomo di boro, dopo che un orbitale s e due orbitali p si sono ibridati per formare tre orbitali ibridi sp2, i cui assi giacciono sullo stesso piano e formano tra loro angoli di 120°. L’orbitale p non ibridato è perpendicolare al piano in cui giacciono gli altri orbitali. In H è illustrata la struttura di un atomo di carbonio, dopo che l’orbitale s e i tre orbitali p si sono ibridati per dare quattro orbitali ibridi sp3, i cui assi sono diretti verso i vertici di un tetraedro; non sono rimasti orbitali p non ibridati. Dopo l’ibridazione, berillio, boro e carbonio hanno rispettivamente 2, 3 e 4 orbitali con singoletto, che possono essere utilizzati per formare legami covalenti. In C, F e I sono rappresentati, con la struttura di Lewis e il modello a spazio pieno, i composti che questi elementi formano con atomi di cloro. 12.4 Forma e polarità delle molecole A bbiamo visto che molte molecole possono legarsi con altre grazie alla presenza stabile di cariche elettriche separate. Si tratta di molecole che, per il fatto di possedere un dipolo permanente, sono chiamate molecole polari. La molecola di acqua ne è un tipico esempio. Invece, le molecole in cui gli elettroni sono equamente condivisi o nelle quali i dipoli annullano reciprocamente il loro effetto sono dette molecole apolari. Ne sono esempi la molecola di idrogeno, H2, e quella di diossido di carbonio, CO 2. Della polarità della molecola di acqua abbiamo già avuto modo di parlare (cfr. § 11.11) e in seguito conosceremo altre importanti conseguenze. La polarità di questa come di altre molecole dipende, oltre che dalla presenza di legami covalenti eteropolari, anche dalla forma della molecola. C’è una stretta relazione, infatti, tra forma e polarità. La presenza di legami covalenti eteropolari è una condizione necessaria, ma non sufficiente per avere molecole polari. Nella molecola potrebbero infatti essere presenti particolari simmetrie che annullano la polarità. La forma della molecola d’acqua è piegata, con la carica negativa tutta concentrata da una parte, dove c’è l’atomo di ossigeno, e quella positiva dall’altra, dove ci sono i due atomi di idrogeno. CH/79 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 12 Forma delle molecole e proprietà delle sostanze La molecola di diossido di carbonio, invece, ha forma lineare (figura 12.6). I due atomi di ossigeno sono legati con un doppio legame covalente eteropolare e tendono ad attirare gli elettroni di legame più di quanto faccia l’atomo di carbonio. Poiché gli atomi di ossigeno si trovano da parti opposte rispetto all’atomo di carbonio e sulla stessa retta, le forze di attrazione interne alla molecola si annullano reciprocamente e il dipolo risultante è nullo. Mentre l’acqua è polare, il diossido di carbonio è apolare. FIGURA 12.6 Il diossido di carbonio, comunemente noto come anidride carbonica, ha molecola lineare. L’atomo di carbonio è alla stessa distanza dai due atomi di ossigeno, che sono sulla stessa retta e da parti opposte rispetto ad esso. Le forze di attrazione, con le quali ciascun atomo di ossigeno trattiene gli elettroni del carbonio, sono esattamente uguali e contrarie. L’equilibrio tra le forze produce una risultante nulla: la molecola è apolare. (δ −) (δ −) (δ −) C (δ −) (δ ) (δ −) O C Anche le molecole come il tetracloruro di carbonio, CCl4, sono apolari, benché contengano legami covalenti eteropolari (figura 12.7). Infatti, le parziali cariche negative, che tendono a stabilirsi sugli atomi di cloro, circondano simmetricamente e alla stessa distanza la parziale carica positiva, che tende a stabilirsi sull’atomo di carbonio: le forze si fanno perfettamente equilibrio e si annullano a vicenda. Alcune regole generali per poter prevedere la polarità delle molecole sono le seguenti: • molecole biatomiche con legami covalenti eteropolari sono sempre polari; • molecole formate da più di due atomi uniti con legami covalenti eteropolari sono apolari, se l’atomo centrale non ha doppietti elettronici liberi e gli atomi legati sono identici; • molecole formate da più di due atomi uniti con legami covalenti eteropolari sono polari, se l’atomo centrale non ha doppietti elettronici liberi e gli atomi legati sono diversi; • molecole formate da più di due atomi uniti con legami covalenti eteropolari sono polari, se l’atomo centrale ha doppietti elettronici liberi. (δ +) (δ −) + Cl FIGURA 12.7 La molecola del tetracloruro di carbonio, CCl 4, ha forma di tetraedro, con il carbonio in posizione centrale e gli atomi di cloro disposti ai quattro vertici. La molecola è tenuta insieme da quattro legami covalenti eteropolari, ma nel suo complesso non presenta squilibri di carica elettrica ed è perciò apolare. La distribuzione simmetrica e l’equidistanza dal carbonio dei quattro atomi di cloro determinano un effetto risultante nullo della polarità. Le conseguenze della polarità o apolarità delle molecole hanno enorme importanza. Le molecole polari sono soggette a legarsi fortemente tra loro e con altre molecole o ioni attraverso legami ioni-dipolo, interazioni dipolodipolo, legami idrogeno ecc. (figura 12.8). Le sostanze costituite da molecole polari si trovano comunemente allo stato liquido o solido. Le molecole apolari si legano con difficoltà e con poca forza; in natura si trovano infatti come particelle isolate allo stato gassoso. Siamo ora in grado di rispondere alla domanda con cui avevamo iniziato il capitolo. La differenza tra lo stato fisico dell’acqua e quello del diossido di carbonio è dovuta alla differente polarità delle loro molecole. Le molecole polari dell’acqua sono in grado di unirsi tramite legami idrogeno, mentre le uniche forze che agiscono tra le molecole apolari di diossido di carbonio sono le deboli forze di London. FIGURA 12.8 Se avviciniamo una bacchetta elettrizzata a un liquido apolare che fuoriesce da un tubicino, ad esempio benzene o tetracloruro di carbonio, il flusso del liquido non viene deviato. Se il liquido è acqua, o un’altra sostanza polare come acetone o alcol, il flusso subisce una netta deviazione. Le molecole polari sono attirate dalle cariche elettriche presenti sulla bacchetta. LABORATORIO SEMPLICE Forma delle molecole ed elettricità CH/80 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 12 Forma delle molecole e proprietà delle sostanze PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 2. Determina se la molecola di NH3 è polare. 3. Determina se la molecola di CH 4 è polare. Per determinare se la molecola è polare o apolare occorre scrivere la struttura di Lewis della molecola e stabilire quale tipo di legame unisce gli atomi. L’azoto N appartiene al gruppo 15 e possiede tre singoletti e un doppietto. Per raggiungere l’ottetto forma un legame covalente con ciascuno dei tre atomi di idrogeno H. 4. Determina se un sottile flusso di CHCl 3 che fuoriesce da un tubicino viene deviato da una bacchetta elettrizzata. H N H H La differenza di elettronegatività tra azoto (3,0) e idrogeno (2,1) determina la presenza di legami covalenti eteropolari. La struttura di Lewis evidenzia che l’azoto, che è l’atomo centrale, ha un doppietto elettronico di non legame, per cui la molecola è polare. 12.5 Polarità e miscibilità L a temperatura di fusione e la temperatura di ebollizione non sono le uniche proprietà delle sostanze a essere influenzate dalla polarità delle molecole. L’esperienza di tutti i giorni ci dimostra che alcune sostanze si mescolano tra di loro, mentre altre non lo fanno. La proprietà di due liquidi di mescolarsi è detta miscibilità. Il vino è un esempio di soluzione prevalentemente costituita da due liquidi mescolati assieme, l’acqua e l’etanolo, cioè l’alcol etilico. La completa miscibilità tra acqua e alcol è dovuta al fatto che entrambi i liquidi sono composti polari, per cui tra le loro molecole si formano forti legami idrogeno. Anche la benzina è una soluzione, ma è costituita da molecole apolari, che nel caso specifico sono idrocarburi liquidi completamente miscibili tra loro. Vediamo ora cosa accade mescolando due liquidi con polarità diversa. Versando nell’acqua un liquido apolare come l’olio, si osserva la formazione di due strati. L’acqua e l’olio sono due liquidi immiscibili (figura 12.9). FIGURA 12.9 Anche dopo una vigorosa agitazione, acqua e olio rimangono come due fasi separate. I due liquidi sono immiscibili, essendo il primo polare e il secondo apolare. Anche il petrolio, che è costituito da sostanze apolari, non si mescola con l’acqua (figura 12.10). Un liquido polare aggiunto a un liquido pochissimo polare si solubilizza se aggiungiamo solo piccole quantità di soluto: i due liquidi sono parzialmente miscibili. Una regola generale per prevedere la solubilità tra i composti afferma che: 씰 le sostanze polari si sciolgono in quelle polari, mentre le sostanze apolari si sciolgono nelle apolari: il simile scioglie il simile. Gli alchimisti medievali scrivevano: «Similia similibus solvuntur». CH/81 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO A 12 Forma delle molecole e proprietà delle sostanze Possiamo avere una conferma di questa regola empirica, se esaminiamo la solubilità dei solidi nei liquidi. Ci sono sostanze che si solubilizzano in alcuni solventi, mentre sono insolubili in altri. Un solido polare come il saccarosio, il comune zucchero, forma all’istante una soluzione con un liquido polare come l’acqua. Una sostanza solida apolare, come lo iodio I 2, è invece insolubile in acqua. Anche in questo caso notiamo che la differente solubilità è determinata dalla diversa polarità delle molecole. APPROFONDIMENTO L’accumulo e la carenza di vitamine negli organismi 씰 Due sostanze sono solubili se hanno polarità simili. FIGURA 12.10 Nella notte del 15 febbraio 1996 la petroliera Sea Empress si arenò nei pressi di Milford Haven, nel Galles. Dai serbatoi della nave iniziò a uscire petrolio greggio. Il petrolio è un fluido insolubile in acqua, essendo formato da molecole apolari, gli idrocarburi (vedi § 23.1). Gli uccelli acquatici furono tra le principali vittime dell’inquinamento da idrocarburi. Intorno a Milford Haven, un’area che ospita un gran numero di uccelli selvatici, almeno 7000 esemplari di 25 specie diverse di uccelli furono recuperati morti o ricoperti di petrolio, come l’uria raccolta da un volontario (foto a sinistra). Per arginare la marea nera, molti volontari stesero barriere galleggianti presso la costa (foto a destra). Questo accorgimento impedì un ulteriore inquinamento delle coste, ma non poté fare nulla contro il petrolio che continuava a fuoruscire. 12.6 La formazione delle soluzioni N FIGURA PARLANTE Energia I SOLUTO SOLVENTE SOLUZIONE Tempo FIGURA 12.11 Se l’energia che si libera a seguito della formazione dei legami tra le particelle di soluto e di solvente supera l’energia spesa per separare le particelle di soluto e solvente, si ha una diminuzione dell’energia del sistema e si forma una soluzione. el paragrafo precedente abbiamo visto come alcune sostanze tendano spontaneamente a mescolarsi, mentre altre non lo fanno e si separano in fasi distinte. Come nel caso dei legami chimici (cfr. § 11.1), anche la solubilizzazione di un soluto in un solvente avviene se si ha una diminuzione dell’energia potenziale del sistema. Quando si forma una soluzione è necessario che si rompano sia i legami che uniscono tra loro le particelle di soluto sia i legami presenti tra le particelle di solvente. Inoltre si devono instaurare nuove interazioni tra particelle di soluto e di solvente. La rottura dei legami è un processo che richiede sempre energia, mentre la loro formazione rilascia energia. Affinché il processo di solubilizzazione avvenga, occorre che le interazioni tra soluto e solvente riescano a compensare l’energia spesa per allontanare le particelle (figura 12.11). Cerchiamo una spiegazione a livello molecolare di quanto appena detto. Supponiamo di mescolare due sostanze A e B, le cui particelle sono legate fra loro da legami intermolecolari, come nei liquidi o nei solidi molecolari, o da legami primari, come nei solidi ionici, nei solidi covalenti e nei metalli. Se le forze tra le particelle di A e quelle tra le particelle di B sono complessivamente inferiori alle forze che si producono quando le particelle di A si uniscono a quelle di B, si può formare una soluzione. Se invece le forze di attrazione tra le stesse particelle di A e le forze tra le stesse particelle di B sono nel loro insieme superiori rispetto a quelle che intervengono tra particelle di A e di B, non è possibile che avvenga il miscelamento. Si spiega così la regola del simile scioglie il simile. Solo sostanze con struttura simile possono dar luogo a interazioni con forze uguali o superiori a quelle presenti tra le molecole di soluto e di solvente separati. 씰 Tra le sostanze apolari che si miscelano agiscono interazioni dipolo-dipolo indotto o dipolo indotto-dipolo indotto, mentre tra le sostanze polari che si solubilizzano si instaurano interazioni dipolo-dipolo o legami idrogeno. CH/82 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 12 Forma delle molecole e proprietà delle sostanze PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 3. Prevedi, facendo riferimento alle forze intermolecolari, se il mescolamento delle seguenti coppie di sostanze può portare alla formazione di una soluzione, ed eventualmente se in modo completo o parziale: (a) metanolo CH3OH e acqua H2O; (b) esano (idrocarburo) C6H14 e acqua H2O; (c) pentano (idrocarburo) C5H12 ed esano (idrocarburo) C6H14. 5. Prevedi, facendo riferimento alle forze intermolecolari, se il mescolamento delle seguenti coppie di sostanze può portare alla formazione di una soluzione, ed eventualmente se in modo completo o parziale: (a) Consideriamo la struttura dell’acqua e quella dell’alcol metilico o metanolo. Entrambe le molecole sono in grado di stabilire legami idrogeno, che rappresentano la forza intermolecolare dominante. La forza del legame idrogeno è maggiore nell’acqua piuttosto che nel metanolo. Quando le due sostanze vengono messe a contatto, tra di esse si formano legami idrogeno, che globalmente hanno maggiore energia dei legami presenti tra le molecole non miscelate. Pertanto è prevedibile che le due sostanze diano luogo a una soluzione in qualunque proporzione. (a) etanolo C2H5OH e metanolo CH3OH; (b) benzene C6H6 e acqua H2O; (c) benzene C6H6 e l’idrocarburo esano C6H14. (b) L’esano è un idrocarburo, composto da una catena di sei atomi di carbonio. La sua molecola è apolare, a differenza di quella dell’acqua, polare. Le forze che si instaurano tra esano e acqua (interazioni dipolo-dipolo indotto) sono troppo esigue rispetto ai legami idrogeno presenti tra le molecole d’acqua, che non riescono a essere scissi. Pertanto è prevedibile che tra le due sostanze non si formi una soluzione. (c) Il pentano e l’esano sono due idrocarburi rispettivamente a cinque e sei atomi di carbonio. Sono entrambi sostanze apolari e le forze di attrazione in una loro soluzione, così come nei liquidi puri, hanno valori quasi uguali. Pertanto è prevedibile che tra le due sostanze si formi una soluzione in qualunque proporzione. 12.7 Soluzioni di un solido in un liquido P roviamo ora a disciogliere un composto solido in un liquido, utilizzando acqua come solvente. Cominciamo con l’esaminare il meccanismo con cui si sciolgono in acqua i solidi ionici, cioè quei solidi costituiti di ioni, legati tra loro da legame ionico. Per semplicità prendiamo in esame il cloruro di sodio NaCl allo stato solido, in cui gli ioni sono disposti in modo da dar luogo a cristalli di forma cubica. Quando un cristallo di cloruro di sodio viene messo in acqua, ogni ione sodio Na+ attira verso di sé e lega con legame ione-dipolo (cfr. § 11.12) l’atomo di ossigeno di diverse molecole d’acqua (in genere 6), perché questo atomo di ossigeno ha una parziale carica negativa (figura 12.12). Alla stessa maniera, gli ioni cloruro Cl– attirano verso di sé e legano gli atomi di idrogeno di altre molecole d’acqua, perché questi atomi hanno una parziale carica positiva. Le cariche positive degli ioni Na+ presenti sulla superficie del cristallo sono così neutralizzate non solo dagli ioni Cl –, ma anche dalle cariche negative delle molecole d’acqua legate. Analogo processo avviene per I Na+ Cl – Cl – Na+ FIGURA PARLANTE FIGURA 12.12 Il cristallo di cloruro di sodio viene demolito dalle molecole d’acqua. Le forze di attrazione tra gli ioni sono vinte dalle forze ione-dipolo, che si stabiliscono tra gli ioni, cationi e anioni, e le molecole d’acqua. I singoli ioni sono separati e circondati da molecole d’acqua. CH/83 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO LABORATORIO SEMPLICE Conducibilità elettrica delle sostanze FIGURA 12.13 (A), il cristallo del saccarosio, il comune zucchero, è un solido molecolare. (B), le molecole di zucchero sono tenute insieme da legami idrogeno, indicati da tre puntini. (C), in presenza di acqua questi legami si rompono per opera dei nuovi legami idrogeno, che si formano tra le molecole del saccarosio e le molecole d’acqua: il cristallo si scioglie. A 12 Forma delle molecole e proprietà delle sostanze gli ioni cloruro. Il legame tra gli ioni Na+ e gli ioni Cl – si indebolisce tanto da essere facilmente spezzato. Gli ioni posti sulla superficie del cristallo si staccano uno a uno, esponendo all’azione dell’acqua altri ioni, che subiscono la stessa sorte. Il cristallo di cloruro di sodio gradualmente si scioglie in acqua: è avvenuto il processo di dissoluzione di un solido ionico. Gli ioni che vanno in soluzione potrebbero di nuovo legarsi tra loro per riformare il cristallo. Ciò non avviene per quattro motivi: 1) gli ioni non riescono a venire a contatto tra loro, perché sono circondati da molecole d’acqua; 2) l’acqua posta tra gli ioni funziona da isolante e attenua le forze di attrazione tra ioni di carica opposta; 3) la carica elettrica degli ioni è neutralizzata dalle cariche elettriche delle molecole d’acqua; 4) la somma delle energie dei legami ione-dipolo, che ogni ione stabilisce con numerose molecole d’acqua, è maggiore dell’energia del legame ionico. Vediamo ora cosa succede se invece del sale NaCl prendiamo il saccarosio, il comune zucchero. Le molecole di saccarosio sono unite tra loro principalmente da legami idrogeno, dai quali dipende l’ordinata disposizione presente nei piccoli cristalli di zucchero. Anche l’acqua, però, è capace di formare forti legami idrogeno. Tra le molecole d’acqua e le molecole di saccarosio poste sulla superficie esterna dei cristalli si stabiliscono nuovi legami idrogeno, mentre quelli che univano le molecole del solido cristallino si rompono (figura 12.13). L’energia liberata nella formazione di nuovi legami compensa l’energia necessaria per rompere i legami vecchi e ciò consente alle molecole di saccarosio di passare in soluzione. Con questo meccanismo passano in soluzione i solidi molecolari, le cui particelle sono tenute insieme da legami idrogeno. I solidi covalenti e i solidi metallici, invece, non sono solubili in acqua. Pertanto possiamo affermare che l’acqua è un ottimo solvente per i solidi ionici e per i solidi molecolari. B C Glossary Bond angle (angolo di legame) The angle between two bond axes that started from the same atom. Hybrid orbital (orbitale ibrido) A new orbital obtained from the mathematical combination of atomic orbitals of a same atom. Linear geometry ( geometria lineare) The molecular geometry of the molecules with two electron pairs around the central atom. The angle between the electron pairs is 180°. Nonpolar molecule (molecola apolare) A molecule in which the bonding electrons are equally shared between the two atoms and with no permanent dipole. Polar molecule (molecola polare) A molecule with a separation of charge in the chemical bonds and with a permanent dipole. Tetrahedral geometry ( geometria tetraedrica) The molecular geometry of the molecules with four electron pairs around the central atom. The angle between the electron pairs is approximately 109,5°. Trigonal planar geometry ( geometria triangolare planare) The molecular geometry of the molecules with three electron pairs around the central atom. The angle between the electron pairs is approximately 120°. CH/84 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze FACCIAMO IL PUNTO Domande aperte Esercizi di completamento 11 Che cosa rappresenta l’angolo di legame? 12 Per quale motivo è importante definire la forma delle mo- 21 lecole? 13 Quali sono i fattori che determinano la forma delle molecole? 14 Che cos’è la geometria molecolare? 15 Specifica i punti su cui è basata la teoria VSEPR. 16 Per quale motivo a volte struttura molecolare e forma del- A Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello spazio vuoto il termine opportuno. Quando due ……………………………………………………………… diversi si mescolano e danno luogo a orbitali con caratteristiche nuove rispetto a quelle di partenza, si ha il fenomeno della …………………………………………………………………………………………… la molecola non coincidono? 17 Che cosa è una coppia di non legame? 18 Nella molecola di diossido di carbonio, quanto vale l’angolo di legame tra il carbonio e gli atomi di ossigeno? 19 Quanto valgono, secondo la teoria VSEPR, gli angoli di le- ………………………………………………………………… tria molecolare diversa. Perché? 12 Perché la teoria degli orbitali ibridi permette di risalire alla geometria delle molecole? 13 Che cosa significa che un atomo è ibridato? 14 Che cosa si intende col termine ibridazione degli orbitali? 15 In che cosa consiste l’ibridazione sp, sp2 e sp3? Fai alcuni aumentare il …………………………………………………………………… di legami …………………………………………………………… eteropolari risultano apolari? Fai alcuni esempi. 17 Come è possibile determinare se una molecola è polare? 18 Quali sono le principali proprietà che vengono influenzate dalla polarità delle molecole? 19 Perché alcuni liquidi sono miscibili tra loro e altri no? 20 In quale tipo di composti si sciolgono le sostanze polari? che un atomo può formare e rende le molecole più ………………………………………………………………… . Se, come nel caso del metano CH4 , il ……………………………………………………… ibrida un orbitale s con …………………………………………… orbitali p, si ha ibridazione sp3. La molecola del metano ha forma di ………………………………………………… esempi. 16 Per quale motivo alcune molecole con legami covalenti sono isoenergetici e hanno la stessa …………………………………………… . L’ibridazione consente di game nelle molecole con forma triangolare planare? 10 Perché alcune molecole hanno una forma piegata? 11 I composti BH3 ed NH3 hanno formula simile, ma geome- . Gli orbitali , con ………………………………………………… di lega- me di 109,5°, ed è ……………………………………………………… , essendo formata da ………………………………………………………………… legami covalenti ………………………………………………… . Nel metano la distribuzione della carica elettrica è …………………………………………………… e i quattro atomi di …………………………………………………… sono equidistanti dal carbonio. VERIFICA LE CONOSCENZE Esercizi di corrispondenza 22 A Unisci con una freccia gli elementi della prima colonna a quelli corrispondenti della seconda. benzina e acqua Pauling simile scioglie il simile polare VSEPR triangolare planare acqua teoria degli orbitali ibridi CO2 ibridazione sp2 tetraedro acqua e etanolo apolare repulsioni 109,5° liquidi immiscibili CH/85 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze G U I DA A L L O ST U D I O EA G U I DA A L L O S T U D I O EA A Domande a scelta multipla 23 31 Quale tra le seguenti sostanze è sicuramente un gas a temperatura ambiente? Quale tra le seguenti affermazioni non è corretta? A CHCl 3; B CH 4; A le proprietà delle molecole sono influenzate dalla loro C CH3 OH; D CH2Cl2. forma; B le proprietà delle molecole sono influenzate dalle loro dimensioni; C le proprietà delle molecole dipendono esclusivamente dal tipo di legame presente; D le proprietà delle molecole sono influenzate dall’angolo di legame. 24 Quale tra le seguenti affermazioni non riguarda il modello VSEPR? A permette di determinare la forma delle molecole; 32 33 34 Quale molecola presenta atomi con ibridazione sp3? A BeF2; B BF3; C CO2; D CCl4. Quale molecola presenta atomi con ibridazione sp2? A CH4; B CO2; C BF3; D BeCl2. Quale molecola presenta atomi con ibridazione sp? B considera gli orbitali atomici; A CCl4; B BF3; C considera le repulsioni tra le coppie elettroniche di C BeCl2; D CH4. valenza; D permette di prevedere gli angoli di legame. 35 Quale tra le seguenti affermazioni non è corretta? A gli orbitali ibridi derivano dal mescolamento di orbitali 25 s e p di differenti atomi; B gli orbitali ibridi, che si ottengono dal mescolamento di orbitali s e p, sono isoenergetici; C dal mescolamento di un certo numero di orbitali s e p si forma lo stesso numero di orbitali ibridi; D gli orbitali ibridi derivano dal mescolamento degli orbitali esterni di uno stesso atomo. Una molecola con tre coppie elettroniche di legame attorno all’atomo centrale ha struttura: A tetraedrica; B triangolare planare; C lineare; D ottaedrica. 26 Una molecola con due coppie elettroniche di legame e una coppia di non legame sull’atomo centrale ha forma: 36 A triangolare planare; B tetraedrica; C lineare; D piegata. 27 28 29 37 In una molecola con forma triangolare planare gli angoli di legame sono di: A 180°; B 109,5°; C 104,5°; D 120°. 38 Quale tra le seguenti molecole ha angoli di legame maggiori? A BeH2; B BF3 ; C PF3 ; D CCl 4. A 90°; B 109,5°; C 180°; D 120°. In una molecola in cui vi è un atomo ibridato sp3, gli angoli di legame sono: A 90°; B 180°; C 109,5°; D 120°. Nella molecola di diossido di carbonio CO2, oltre ai singoletti negli orbitali ibridati: A non rimangono altri singoletti in orbitali non ibridati; B rimane 1 singoletto in 1 orbitale non ibridato; C rimangono 2 singoletti in 2 orbitali non ibridati; D rimangono 3 singoletti in 3 orbitali non ibridati. Quale tra le seguenti sostanze è insolubile in acqua? A una sostanza apolare; 39 B una sostanza polare; C una sostanza ionica; D nessuna delle precedenti. 30 L’angolo di legame presente nella molecola di diossido di carbonio CO2 è: Quale tra le seguenti affermazioni è corretta? 40 Quale tra le seguenti molecole è polare? A CO2; B BF3; C CH4; D NH3. Quale tra le seguenti molecole è apolare? A una sostanza biatomica con legami covalenti eteropo- A CO2; B HCl; lari è solubile in acqua; B una sostanza biatomica con legami covalenti omopolari non si trova mai allo stato gassoso; C una sostanza polare è sicuramente gassosa; D una sostanza apolare è miscibile in un solvente polare. C CHCl3; D NH3. 41 Quale tra le seguenti molecole ha geometria tetraedrica? A HgCl2; B SF6; C CCl4; D BF3. CH/86 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze VERIFICA LE ABILITÀ A Gioca e impara 42 1. 2. 3. 4. 5. 49 Inserisci nelle linee orizzontali dello schema in basso i termini corrispondenti alle seguenti definizioni e, nelle caselle in colore, vedrai comparire il nome del solvente più importante. Considera le seguenti molecole e indica quali di esse sono polari e quali apolari. Indica, inoltre, se nella molecola di ClF sono presenti cariche negative ed eventualmente dove sono localizzate. A H O; 2 B CO2; È la forma delle molecole ibridate sp. La proprietà di mescolarsi dei liquidi. La forma piramidale del BrF5. Lo sono i solidi polari nei solventi polari. La forma del metano CH4. C CCl 4; D ClF; E NH3. 50 1 Per ciascuna delle seguenti molecole determina se è polare o apolare: A SO3; 2 B Cl2O; 3 C CS2; 4 D O2. 5 51 Per ciascuna delle seguenti molecole determina la forma e l’angolo di legame: A NCl3; B CF4; Esercizi e problemi C H2S; 43 Classifica le seguenti molecole in tre gruppi, sp, sp2, sp3, in D BCl3. base al tipo di orbitali ibridi in esse presenti. CO2; BH3; CH2Cl2; BeH2; CCl4; CH2O; BHCl2; CHCl3; CH3Cl. 44 Si conoscono tre tipi di ibridazione tra gli orbitali s e p. Quale forma, descritta nel piano o nello spazio, della molecola risultante dal legame dell’orbitale ibrido è associata a ciascun tipo di ibridazione? 45 Ognuna delle seguenti sovrapposizioni tra orbitali di due Question 52 atomi di carbonio dà luogo a un legame. Per ogni legame fai un esempio di molecola in cui sia contenuto. A un orbitale p con un orbitale p; 53 B un orbitale sp con un orbitale sp; C un orbitale sp2 con un orbitale sp2; Which of the following compounds is polar? A CBr4; B C BeCl 2; D N2; NF3. The shape of the carbon dioxide molecule is: A linear; B C square; D tetrahedral; exagonal. D un orbitale sp3 con un orbitale sp3. Fai anche un esempio di molecola in cui due orbitali p di un atomo di carbonio si sovrappongano con due orbitali p dell’altro atomo. 46 Perché in alcuni casi la forma della molecola prevista in base alla teoria degli orbitali ibridi non coincide con quanto si ricava dai dati sperimentali? 47 Perché nel diossido di zolfo SO2 il valore dell’angolo di legame non è esattamente 120°, ma è di poco inferiore? 48 Quale tipo di ibridazione viene utilizzata dall’atomo evidenziato in colore in ciascuna delle seguenti molecole? A BBr3; B CO2; C CH2Cl2; D BeCl2. 54 Which of the following compounds has the greatest bond polarity? A PH3; B C HF; D NH3; H2S. 55 Which of the following is not tetrahedral in shape? A CH4 ; B C CCl 4 ; D SO2; NH 4+. 56 Which of the following hybridization patterns is associated with trigonal planar geometry? A sp3; C sp2d; CH/87 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze B D sp; sp2. G U I DA A L L O S T U D I O EA C A P I TO L O 13 Nomi e formule dei composti chimici 13.1 La formula di un composto S C 6 H6 Formula molecolare CH Formula minima H H C H C C C C H H C H Formula di struttura FIGURA 13.1 Formula molecolare, formula minima e formula di struttura del benzene, importante composto organico. Si noti come la formula minima e quella molecolare non forniscano indicazioni sul numero e sulle caratteristiche dei legami presenti nella molecola. appiamo già dal capitolo 1 che a ogni valore di numero atomico Z corrisponde un determinato elemento e che a esso può essere associato un simbolo chimico che lo rappresenti. Nel capitolo 11 abbiamo inoltre mostrato che atomi uguali o diversi si combinano tra loro mediante legami chimici, formando molecole o composti ionici secondo un numero elevatissimo di possibili combinazioni. Per operare agevolmente in chimica, è necessario adottare a questo punto un sistema di regole che consenta di assegnare a ciascun composto un nome e una formula, così da renderlo immediatamente riconoscibile e identificabile. Impariamo prima a scrivere le formule, poi a classificare i composti e a identificarli con un nome specifico. Le formule delle molecole sono scritture ricche di significato. Una formula chimica è una notazione in grado di dare informazioni sul numero degli atomi che costituiscono il composto e sul tipo e sul numero di legami chimici che uniscono gli stessi atomi (cfr. § 1.12). Da una formula si può risalire rapidamente alla struttura, alla forma e alle proprietà della molecola. Scrivere la formula molecolare di un composto significa indicare in che rapporto numerico sono gli atomi che costituiscono una singola molecola. Scrivere la formula minima significa invece indicare il rapporto minino di numeri interi esistente tra gli atomi o gli ioni che costituiscono un composto chimico. Entrambe le formule si differenziano notevolmente dalla formula di struttura, che indica non solo il numero degli atomi costituenti, ma anche la loro disposizione nello spazio e il numero di legami presenti tra essi (figura 13.1). 13.2 P Valenza e numero di ossidazione er scrivere la formula di un composto chimico dobbiamo prestare particolare attenzione a due caratteristiche riguardanti gli atomi coinvolti: • la posizione degli elementi nel Sistema periodico, da cui si può risalire al loro comportamento metallico o non-metallico; • la configurazione elettronica esterna degli elementi, per valutare l’eccesso o il difetto di elettroni rispetto alla configurazione più stabile. La maggior parte degli elementi tende a raggiungere la configurazione elettronica esterna stabile s 2p6; gli elementi vicini all’elio, H, Li e Be, tendono a raggiungere la configurazione esterna s 2. La conoscenza di questi aspetti consente di prevedere il tipo e il numero di legami che l’atomo può formare. In base alla loro posizione nel Sistema periodico, gli elementi tendono, in misura maggiore o minore, a cedere, scambiare o acquistare elettroni, così da raggiungere l’ottetto, cioè la configurazione elettronica esterna s 2p 6 a bassa energia (cfr. § 11.2). CH/88 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 13 Nomi e formule dei composti chimici A tal proposito viene definito uno specifico parametro: la valenza di un elemento in un composto, che è il numero di legami che l’elemento instaura con atomi di altri elementi. La valenza corrisponde al numero di elettroni ceduti, acquistati o condivisi dall’elemento nel composto considerato. Gli elettroni più esterni di un atomo sono infatti chiamati elettroni di valenza (cfr. § 10.3), mentre quelli più interni, non utilizzabili per formare legami, sono chiamati elettroni del nocciolo (tabella 13.1). La determinazione della valenza segue la cosiddetta regola dell’ottetto di Kossel: 씰 Gli elementi tendono a raggiungere la configurazione elettronica stabile del gas inerte più vicino, condividendo, acquistando o cedendo il necessario numero di elettroni. Elemento Elettroni del nocciolo Elettroni di valenza Gruppo nel Sistema periodico Carbonio (C) 1s 2 2s 2 2p 2 14 (IV) Fluoro (F) 1s 2 2s 2 2p 5 17 (VII) Sodio (Na) 1s 2 2s 2 2p6 3s 1 17 (I) Fosforo (P) 1s 2 2s 2 2p6 3s 2 3p3 15 (V) Titanio (Ti) 1s 2 2s 2 2p6 3s 2 3p63d 2 4s 2 Elementi di transizione Anche la valenza degli elementi è una proprietà periodica. Gli elementi che fanno parte dello stesso gruppo del Sistema periodico hanno la stessa valenza. Se usiamo la numerazione tradizionale dei gruppi, si nota che la valenza aumenta progressivamente dal gruppo I fino al gruppo IV e poi diminuisce dal gruppo V al gruppo VII (tabella 13.2). Per scrivere le formule si fa spesso riferimento a un altro parametro ancora più utile della valenza: il numero di ossidazione, un indice dello stato di combinazione degli atomi. Il numero di ossidazione (n.o.) di un elemento in un composto può essere definito come la carica elettrica formale che l’elemento assumerebbe nel composto, se gli elettroni di ciascun legame venissero attribuiti all’atomo più elettronegativo, come se da esso fossero completamente acquistati. TABELLA 13.1 Elettroni del nocciolo ed elettroni di valenza di cinque noti elementi. Nella numerazione tradizionale il gruppo è indicato da numeri romani; inoltre sono saltati i dieci gruppi, dal 3 al 12, degli elementi di transizione. Gruppo I II III IV V VI VII Valenza 1 2 3 4 3 2 1 TABELLA 13.2 La valenza degli elementi è una proprietà periodica e corrisponde al numero di elettroni di valenza spaiati di un atomo. Per comodità di consultazione la numerazione del gruppo è quella tradizionale. 씰 Il numero di ossidazione di un atomo indica il numero di elettroni che l’atomo possiede, o comunque utilizza, in eccesso o in difetto rispetto al numero che lo stesso atomo possiede allo stato elementare. Poiché si riferisce a valori di carica elettrica, il numero di ossidazione può assumere sia valori positivi che negativi. Il valore del numero di ossidazione può non coincidere con quello della valenza dell’elemento. Per esempio, la valenza del carbonio è quasi sempre 4, mentre il suo numero di ossidazione varia da + 4 a – 4 e può anche essere un numero non intero. Molti elementi, quando si combinano, presentano un solo numero di ossidazione, perché hanno una sola possibilità di ulteriore stabilizzazione. Altri elementi, invece, possono trovarsi combinati in modo da assumere differenti numeri di ossidazione. Avevamo visto, studiando il Sistema periodico, che gli elementi sono classificati in metalli o non-metalli in base al loro comportamento chimico. Gli elementi che possono cambiare numero di ossidazione si comportano a volte da metalli, quando hanno un ben definito stato di ossidazione, altre volte da non-metalli, con un differente numero di ossidazione. Si definisce anfotero il comportamento degli elementi che hanno caratteristiche intermedie tra quelle metalliche e non-metalliche a seconda del loro numero di ossidazione. Nella tabella 13.3 sono indicati i più comuni numeri di ossidazione di alcuni importanti elementi e le relative caratteristiche metalliche, non-metalliche o anfotere. La valenza di un elemento in un composto è sempre un numero positivo, mentre il numero di ossidazione può assumere sia valori positivi sia valori negativi. LABORATORIO SEMPLICE Valenza e numero di ossidazione CH/89 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO Simbolo TABELLA 13.3 Principali numeri di ossidazione e carattere metallico, non-metallico o anfotero degli elementi più significativi. Nei loro composti alcuni elementi hanno proprietà differenti a seconda del corrispondente numero di ossidazione. H Li Na K Cu Ag Au Mg Ca Zn Cd Hg B Fe Al C Si Sn Pb N P As O S Cr F Cl Br I Mn 13 Nomi e formule dei composti chimici Nome dell’elemento Idrogeno Litio Sodio Potassio Rame Argento Oro Magnesio Calcio Zinco Cadmio Mercurio Boro Ferro Alluminio Carbonio Silicio Stagno Piombo Azoto Fosforo Arsenico Ossigeno Zolfo Cromo Fluoro Cloro Bromo Iodio Manganese Carattere metallico Carattere anfotero Carattere non-metallico ±1 +1 +1 +1 +1, +2 +1 +1, +3 +2 +2 +2 +2 +1, +2 +2 +3 +2, +3 +3 +2, +4 +4 +2, +4 +4 +2 +3 +2 +4 +2 (raro), +4 +2 (raro), +4 +4 ±1, +2, ±3, +4, +5 ±3, +5 ±3, +5 –1 (solo nei perossidi), –2 –2, +4, +6 +6 –1 –1, +1, +3, +5, +7 –1, +1, +3, +5 –1, +1, +3, +5, +7 +6, +7 13.3 Calcolo del numero di ossidazione I l calcolo del numero di ossidazione è abbastanza semplice, ma occorre prestare bene attenzione all’effettivo stato dei legami tra gli atomi. Per facilitare l’operazione abbiamo riunito nella tabella 13.4 le regole generali per la determinazione del n.o., valide sia per le molecole sia per gli ioni. Un atomo allo stato elementare, isolato e non combinato, ha numero di ossidazione uguale a 0, perché mantiene inalterato il proprio numero di protoni e di elettroni e rimane elettricamente neutro. Non ci sono, infatti, elettroni in eccesso o in difetto. Gli atomi di elio He, ad esempio, non stabiliscono mai legami, non scambiano mai elettroni e, come gli atomi degli altri gas inerti, hanno sempre numero di ossidazione 0 (tabella 13.5). Due atomi uguali, uniti da uno o più legami covalenti omopolari, non si sottraggono a vicenda gli elettroni, che sono equamente condivisi. In queste molecole gli atomi rimangono elettricamente neutri e il loro n.o. è pertanto 0. Per esempio, nelle molecole di ossigeno O2, di azoto N2 e di cloro Cl2 gli atomi hanno n.o. 0. Nei composti ionici, poiché gli ioni si formano a seguito di totale cessione o acquisto di elettroni da parte di atomi neutri, il numero di ossidazione può essere ricavato semplicemente contando il numero delle cariche positive o negative degli ioni che formano il composto. Il n.o. di uno ione coincide col numero delle cariche elettriche dello ione e ha il suo stesso segno. Per calcolare il numero di ossidazione degli atomi in una molecola, bisogna invece dapprima valutare l’elettronegatività degli atomi presenti e il numero dei legami che essi formano. Se i legami sono covalenti eteropolari, CH/90 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 13 Nomi e formule dei composti chimici un atomo attira in misura maggiore verso di sé gli elettroni di legame e tende a caricarsi negativamente, mentre l’altro atomo, meno elettronegativo, si carica positivamente. Per esempio, nella molecola dell’acqua (figura 13.2) l’ossigeno attira verso di sé gli elettroni di ambedue i legami O ⎯ ⎯ H e quindi acquisisce parzialmente due elettroni in più rispetto alla sua carica originale; per questo il suo numero di ossidazione è pari a –2. Ciascun atomo di idrogeno, invece, perdendo parzialmente l’elettrone si carica positivamente: il suo numero di ossidazione è +1. Ogni atomo che perde un elettrone di legame, anche se in modo parziale, assume una carica positiva e il valore del numero di ossidazione è contraddistinto dal segno +; ogni specie chimica che, invece, riceve un elettrone, anche parzialmente, assume una carica negativa e il numero di ossidazione è contraddistinto dal segno –. Nel calcolo del numero di ossidazione di un elemento in una molecola bisogna valutare quanti elettroni sono stati ceduti o acquistati dall’elemento. La molecola nel suo complesso è neutra e perciò il numero totale di elettroni acquistati deve essere sempre uguale al numero degli elettroni ceduti. Ciò equivale a dire che la somma algebrica dei numeri di ossidazione degli elementi di una molecola neutra è uguale a 0. Consideriamo, per esempio, il composto idrossilammina, H ⎯ ⎯O⎯ ⎯ NH 2 (figura 13.3). L’atomo di azoto è più elettronegativo dell’idrogeno e quindi acquista parzialmente due elettroni dai due atomi di idrogeno cui è legato (–2). Lo stesso atomo di azoto, però, è legato anche all’ossigeno, rispetto al quale è meno elettronegativo: all’ossigeno perciò cede parzialmente 1 elettrone (+1). Il numero di ossidazione dell’azoto N in questo composto è pertanto –1, come risultato dell’acquisto di 2 cariche negative dagli H e della cessione di 1 carica negativa all’O: (–2) + (+1) = –1. L’ossigeno acquista 1 carica negativa dall’azoto e una dall’idrogeno, cui è direttamente legato, e ha numero di ossidazione –2. I tre idrogeni del composto hanno tutti perso il loro elettrone di valenza e hanno quindi n.o. +1. Nel complesso la somma algebrica del numero di ossidazione degli atomi presenti [(H) +1, +1, +1; (O) –2; (N) –1] risulta uguale a 0. Il n.o. di una specie chimica allo stato elementare è 0. 2 Nel calcolo del n.o. non bisogna tenere conto dei legami tra gli atomi dello stesso elemento; infatti, due atomi uguali hanno la stessa elettronegatività e non possono sottrarsi vicendevolmente gli elettroni. 3 I cationi e gli anioni hanno un n.o. che corrisponde alla propria carica. 4 In una molecola la somma algebrica dei n.o. di tutti gli atomi è 0. 5 L’idrogeno (H) ha sempre n.o. +1, tranne che negli idruri, composti binari con i metalli, in cui presenta n.o. -1. 6 L’ossigeno (O) ha sempre n.o. –2, tranne che in OF2 (n.o. +2) e nei composti denominati perossidi (—O—O—, n.o. –1) e superossidi (n.o. –1/2). 7 I metalli hanno sempre n.o. positivo. I metalli alcalini, cioè quelli del gruppo 1, hanno sempre n.o. +1; i metalli alcalino-terrosi, cioè quelli del gruppo 2 più zinco (Zn) e cadmio (Cd), hanno sempre n.o. +2; gli elementi del gruppo 3, come alluminio (Al) e boro (B), hanno sempre n.o. +3. 8 Il fluoro (F) ha sempre n.o. –1. Il cloro (Cl), il bromo (Br) e lo iodio (I) hanno n.o. –1, tranne che nei composti in cui sono legati a fluoro o ossigeno, nei quali assumono n.o. positivi (+1, +3, +5, +7). 0 He Atomo di oro 0 Au Molecola di idrogeno 0 0 H⎯ H Molecola di ossigeno 0 0 O == O 0 N ≡≡ N Ione sodio +1 Na+ Ione bario +2 Ba++ Acqua H +1 FIGURA 13.2 Nella molecola dell’acqua l’ossigeno, più elettronegativo dell’idrogeno, attira verso sé la carica elettrica. Nel calcolo del numero di ossidazione assegniamo all’ossigeno gli elettroni di entrambi i legami O ⎯ H e il suo numero di ossidazione diventa perciò –2. L’atomo di idrogeno, invece, perdendo parzialmente l’elettrone si carica positivamente e assume numero di ossidazione +1. Poiché nei legami intervengono solo gli elettroni più esterni, i soli che possono essere ceduti, non si può verificare che un atomo abbia un numero di ossidazione superiore al numero degli elettroni di valenza. +1 –2 O H +1 Idrossilammina H –1 N I H +1 FIGURA PARLANTE FIGURA 13.3 Nel calcolo del numero di ossidazione di un elemento bisogna tenere in considerazione sia gli elettroni ceduti che quelli acquistati. Nella molecola dell’idrossilammina l’azoto assume gli elettroni dei legami N ⎯ H, ma perde quelli del legame O ⎯ N e ha pertanto n.o. –1. ossidazione. Molecola di azoto 0 H +1 TABELLA 13.4 1 Atomo di elio –2 O ← Regole utili per il calcolo del numero di TABELLA 13.5 ↓ Atomi, molecole e ioni con il numero di ossidazione di ogni elemento indicato sopra il simbolo chimico. Ione alluminio +3 Al+++ Ione cloruro –1 Cl– CH/91 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze Ione solfuro –2 S –– Molecola di acqua +1 –2 H2O CAPITOLO Negli ioni poliatomici, ioni costituiti da più atomi come lo ione solfato SO 2– 4 , la somma algebrica dei numeri di ossidazione deve risultare uguale alla carica dello ione. Pertanto nello ione solfato il n.o. dello zolfo (S) è +6. Infatti [4 × (–2)] + n.o.S = –2. n.o.Ca + n.o.X + 3 (n.o.O) = 0 n.o.Ca + n.o.X + 3 (–2) = 0 Numero di ossidazione degli elementi in alcuni composti. Le freccine rosse indicano in che direzione si spostano gli elettroni di legame. Il numero segnato sopra il simbolo dell’elemento indica il numero di ossidazione dell’elemento in quel composto. Si noti che: a) uno stesso elemento in composti diversi può avere un numero di ossidazione diverso; b) la somma algebrica dei numeri di ossidazione di tutti gli atomi di un composto è 0; c) nel caso di un doppio legame o di un legame dativo lo spostamento riguarda due elettroni +1 –2 +1 Na H H O H 0 Cl (regola 4) Per quanto riguarda l’ossigeno, il punto 6 della tabella 13.4 ci permette di stabilire che il suo n.o., tranne nei casi particolari di OF2, dei perossidi e dei superossidi, è sempre –2. La relazione precedente pertanto diventa: FIGURA 13.4 –1 Nomi e formule dei composti chimici Le regole presentate nella tabella 13.4 ci consentono anche di determinare il numero di ossidazione di elementi di cui non conosciamo esattamente le caratteristiche, come accade spesso con gli elementi di transizione. Supponiamo, ad esempio, di avere un composto di formula CaXO3, dove X indica un elemento di cui non conosciamo le proprietà e il numero di ossidazione. Poiché sappiamo che in una molecola la somma algebrica dei n.o. di tutti gli atomi deve essere 0, possiamo scrivere: Molti elementi di transizione hanno, oltre a 0, due o più numeri di ossidazione, tra i quali c’è quasi sempre +2. +1 13 (regola 6) Il punto 7 della tabella ci dice che i metalli alcalino-terrosi, cioè quelli del gruppo 2 di cui il calcio (Ca) fa parte, hanno sempre n.o. +2, e quindi: (+2) + n.o.X + 3 (–2) = 0 (regola 7) da cui possiamo ricavare che l’elemento X ha n.o. + 4: n.o.X = 6 – 2 = +4 Altri esempi per il calcolo del numero di ossidazione sono riportati nella figura 13.4. 0 +1 –1 +1 –2 +1 0 0 Cl H Cl H O Cl N N +1 –1 Na Cl +1 –2 +3 –2 +2 –2 –1 +2 –1 +1 –2 +3 –2 +1 –1 –1 +1 H O Cl O Ba O Cl Hg Cl H O N O H O O H –2 O +1 H +1 –2 –1 H O N –2 O +1 –2 +5 –2 +3 –2 H O Cl O Al O +5 P +1 –2 Na O –2 O +6 +2 Ba S –2 O O +6 O –2 –2 S +1 –2 +1 –2 –2 –2 –2 H O Na O O O O Uno stesso elemento in composti diversi può avere un numero di ossidazione diverso. PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 1. Calcola il numero di ossidazione del manganese (Mn) nel composto KMnO4, permanganato di potassio. 1. Calcola il numero di ossidazione dello zolfo (S) nel composto H2SO4, acido solforico. Ogni atomo di ossigeno ha numero di ossidazione –2 e l’atomo di potassio, metallo alcalino cioè elemento del gruppo 1, ha numero di ossidazione +1. Eseguendo la somma algebrica del n.o. degli atomi che costituiscono il composto e indicando con n.o.Mn il numero di ossidazione del manganese, poiché in base alla regola 4 la somma algebrica di tutti i n.o. della molecola deve essere 0, abbiamo: [(+1) + n.o.Mn + 4 × (–2)] = 0 e quindi: n.o.Mn = + 7 2. Calcola il numero di ossidazione del fosforo (P) nel composto AlPO4, fosfato di alluminio. CH/92 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 13 Nomi e formule dei composti chimici Numero di ossidazione e formule 13.4 L a formula chimica è il modo più conveniente, rapido ed esplicito per rappresentare le specie chimiche e per comunicare informazioni sulle loro caratteristiche. La scrittura della formula chimica deve essere, però, un’operazione facile e veloce, per risultare effettivamente di aiuto nel lavoro del chimico. Per comporre una formula non possiamo fare affidamento solo sulle nostre capacità di memorizzazione. Per ricavare le formule ricorriamo piuttosto al Sistema periodico, tenendo ben presente il significato della posizione degli elementi. Inoltre, ora che conosciamo il numero di ossidazione dei vari atomi, la scrittura della formula di un composto diventa un’operazione ancora più facile, anche nel caso di sostanze relativamente complesse. Applicare i numeri di ossidazione per scrivere le formule è un po’ come risolvere un cruciverba. In entrambi i casi bisogna fissare all’inizio alcuni segni e posizioni chiave, per poter successivamente completare con una certa facilità l’intero quadro. Una volta stabiliti i numeri di ossidazione degli elementi di riferimento, è sufficiente solo un po’ di esercizio perché la scrittura delle formule diventi un gioco di abilità. Il criterio che ci guida è ancora quello per cui in ogni composto la somma algebrica dei numeri di ossidazione deve essere sempre uguale a 0. Gli indici della formula di un composto binario, cioè formato da due elementi diversi, possono essere determinati con la cosiddetta regola della croce. La formula si ottiene scrivendo il valore numerico del numero di ossidazione di un elemento come indice dell’altro elemento. Nel caso in cui gli indici siano multipli occorre dividere per il massimo comun divisore. Supponiamo di dover scrivere la formula del composto formato dal boro con l’ossigeno. Il boro B, elemento del gruppo 13, ha numero di ossidazione +3; l’ossigeno O, come al solito, ha numero di ossidazione –2. Incrociando i numeri di ossidazione secondo la regola della croce, la formula diventa B2O3. Nella molecola sono presenti due atomi di boro [2 × (+3) = + 6], che controbilanciano i tre atomi di ossigeno [3 × (– 2) = – 6]. In questo modo la somma algebrica dei numeri di ossidazione risulta 0 (figura 13.5). I +3 FIGURA PARLANTE Boro FIGURA 13.5 Nella scrittura della formula di un composto binario l’indice che si pone in basso a destra del simbolo di un atomo è il valore numerico del n.o. dell’altro atomo. –2 B O +3 Ossigeno –2 B O B2O3 Ricordiamo che nella scrittura delle formule gli elementi vanno citati seguendo la loro disposizione da sinistra verso destra nel Sistema periodico. Per convenzione gli elementi vengono così scritti in ordine di elettronegatività crescente (figura 13.6). FIGURA 13.6 L’ordine di disposizione dei simboli degli elementi in una formula prevede che siano citati prima quelli meno elettronegativi. La freccia evidenzia l’ordine di scrittura degli elementi in base alla loro posizione nel Sistema periodico. Dato il suo valore di elettronegatività, l’idrogeno è posizionato tra l’azoto e il polonio. H He Li Be B C N O F Ne Na Mg Al Si P S Cl Ar K Ca Sc Ti V Cr Mn Fe Co Ni Cu Zn Ga Ge As Se Br Kr Rb Sr Y Zr Nb Mo Tc Ru Rh Pd Ag Cd In Sn Sb Te I Xe Cs Ba La Lu Hf Ta W Re Os Ir Pt Au Hg Ti Pb Bi Po At Rn Fr Ra Ac Lr CH/93 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 13 Nomi e formule dei composti chimici 13.5 Nomenclatura chimica A L APPROFONDIMENTO Il nome dei minerali «International Union of Pure and Applied Chemistry» è tradotto in italiano in «Unione Internazionale di Chimica Pura e Applicata». PER SAPERNE DI PIÙ Con una nomenclatura razionale, come quella IUPAC, se il composto N2O viene chiamato «ossido di diazoto» e il composto NO prende il nome di «ossido di azoto», è facile risalire al fatto che il composto NO2 si debba chiamare «diossido di azoto». a formula chimica consente di individuare in modo preciso ogni composto. Nel linguaggio parlato e per soddisfare le nostre esigenze di comunicazione abbiamo bisogno, però, anche di nomi, oltre che di formule e numeri. La nomenclatura chimica è il complesso di regole che consente di attribuire un nome a ogni composto di cui si conosca la formula e, viceversa, di ricavare la formula una volta noto il nome del composto. Nel passato la nomenclatura chimica non era soggetta a regole oppure seguiva criteri non omogenei e non razionali. In molti casi erano assegnati alle sostanze nomi che si riferivano al loro uso comune oppure alle loro proprietà, sia chimiche che fisiche come l’odore e il colore, o alla loro derivazione, come l’acido formico e l’acido acetico, o al loro scopritore, come il sale di Zeise e il sale di Magnus. Ai tempi dell’alchimia medievale era pratica comune assegnare alle sostanze nomi di fantasia, che aiutavano a mantenere un alone di mistero e di magia attorno al lavoro degli alchimisti. Quella terminologia ha lasciato traccia nel linguaggio comune. L’alcol etilico, per esempio, è ancora oggi chiamato spirito, perché con un soffio d’aria sembra scomparire nel nulla. Gli antichi nomi sono stati mantenuti dai chimici moderni solo in pochi casi. Col tempo è emersa sempre più l’esigenza di attribuire alle sostanze nomi sulla base di regole definite. Le conoscenze nel campo della chimica hanno potuto così liberamente circolare ed essere condivise. Una commissione internazionale composta da chimici, la IUPAC (International Union of Pure and Applied Chemistry), iniziò nel 1961 il lavoro di revisione della nomenclatura, cercando di uniformare criteri e norme. I chimici della IUPAC stabilirono una serie di regole in modo che i nomi dei composti fossero gli stessi in tutti i Paesi del mondo, fossero facilmente riconoscibili e razionali. Una nomenclatura razionale significa che il criterio per assegnare il nome a un composto segue regole generali, valide per ogni composto. Pertanto, anche chi non ha mai sentito parlare in precedenza di una data molecola può ricavarne la formula dal nome e viceversa. La nomenclatura IUPAC è oggi accettata da tutti i chimici e in molti Paesi è resa ufficiale dalla legislazione. Malgrado ciò, nella sua applicazione incontra ancora notevoli resistenze. Molte delle vecchie regole e delle tradizionali denominazioni dei composti sono così radicate nell’uso comune che nella pratica risulta impossibile una loro sostituzione. L’ammoniaca, per esempio, non è mai chiamata col nome IUPAC di triidruro di azoto. In questo libro di testo, che vuole rimanere vicino alla chimica di tutti i giorni, faremo pertanto uso sia della nomenclatura tradizionale sia del- Il nome dei sali Già prima di Dalton i nomi dei composti erano Minerale di solfato di sodio (thenardite). Il composto preparato in laboratorio prende il nome di sale di Gauber. frequentemente associati ai nomi dei loro scopritori. Alla fine del XVI secolo Johann Rudolf Gauber descrisse il metodo per la fabbricazione del solfato di sodio Na2 SO4, che da allora si chiama sale di Gauber, ancora oggi impiegato in medicina come lassativo. Il sale di Magnus prende il nome dal chimico che lo produsse nel 1828; si tratta di un composto ionico del platino, che si ottiene sciogliendo il cloruro di platino in ammoniaca. Dallo scozzese Thomas Graham deriva il sale di Graham, una miscela di polifosfati sodici a catena lunga, con caratteristiche vetrose. Questo tipo di sale viene usato nella produzione di vetri, ceramiche, refrattari, cementi e abrasivi. Thomas Graham (1805-1869) CH/94 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 13 Nomi e formule dei composti chimici la nomenclatura IUPAC, che si basa sulle informazioni fornite dalla formula. Il nome IUPAC di un composto indica il tipo e il numero di atomi presenti, mentre la nomenclatura tradizionale si basa sui numeri di ossidazione degli elementi. La sostanza HCl, che nel linguaggio di tutti i giorni chiamiamo acido cloridrico, ha nome IUPAC cloruro di idrogeno, mentre la sostanza CO2, comunemente nota come anidride carbonica, ha nome IUPAC diossido di carbonio. La nomenclatura IUPAC classifica i composti chimici in base al numero di elementi presenti nella formula. I composti binari sono composti che contengono due elementi, mentre i composti ternari sono formati dalla combinazione di tre elementi diversi. I composti sono poi divisi in classi a seconda del tipo di atomi presenti. Le principali classi dei composti binari sono gli ossidi, gli idracidi, gli idruri e i sali binari, mentre importanti composti ternari sono gli idrossidi, gli ossoacidi e i sali ternari (tabella 13.6). Categoria Classe Composti binari Composti ternari Elementi presenti ossidi basici metallo, ossigeno ossidi acidi non-metallo, ossigeno idruri TABELLA 13.6 La nomenclatura IUPAC classifica i composti in binari e ternari, in base al numero di elementi presenti, e in classi, a seconda del tipo di elementi presenti. metallo, idrogeno non-metallo (esclusi gli alogeni e lo zolfo), idrogeno idracidi idrogeno, alogeni o zolfo sali binari metallo, non-metallo idrossidi metallo, ossigeno, idrogeno ossoacidi idrogeno, non-metallo, ossigeno sali ternari metallo, non-metallo, ossigeno 13.6 Il nome delle sostanze allo stato elementare L e sostanze costituite da atomi singoli degli elementi prendono evidentemente lo stesso nome dell’elemento e la formula corrisponde al simbolo chimico. Se indichiamo con Cu la composizione di una sostanza, vogliamo comunicare che essa è costituita esclusivamente da atomi singoli di rame. Gli elementi che in natura si trovano invece sotto forma di molecola devono essere indicati con la formula molecolare. Ad esempio, l’ossigeno moTABELLA 13.7 Importanti eccezioni alle regole per la derivazione della radice di un elemento. lecolare va scritto come O2, l’azoto molecolare come N2 e il fosforo molecolare come P4. L’ossigeno esiste in natura anche nella forma triatomica O3. Questa molecola è molto instabile e prende il nome di Elemento Radice Esempio ozono (vedi § 20.18). Dai nomi degli elementi si ricavano le radici usate per comporre i nomi delle sostanze. Se il nome dell’elemento finisce in -o, la raOro AurCloruro aurico dice da utilizzare nei composti viene ottenuta togliendo la o finale. Stagno StannAcido stannico Per esempio, nel caso del cloro la radice è clor-. Se il nome termiManganese ManganManganato di potassio na in -io, la radice si ottiene togliendo l’intero dittongo. Per esemAzoto NitrAcido nitrico, nitrato ferrico pio, nel caso del calcio la radice è calc - e per il carbonio la radice Fosforo FosfFosfato di potassio è carbon-. Se, invece, il nome ha altre terminazioni, è il nome stesFosforAcido fosforico so che viene adottato come radice; nel caso del rame, per esempio, Zolfo SolfSolfato di calcio la radice è rame-. Queste regole presentano numerose eccezioni, le SolforAcido solforico più importanti delle quali sono riunite nella tabella 13.7. CH/95 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 13.7 13 Nomi e formule dei composti chimici Il nome degli ossidi I Il fluoro è l’unico elemento più elettronegativo dell’ossigeno, per cui la formula del composto che si ottiene tra fluoro e ossigeno è OF2 e non F2O. metalli così come i non-metalli formano con l’ossigeno composti binari chiamati ossidi. Gli ossidi formati dai metalli vengono definiti ossidi basici, per il loro comportamento chimico, mentre quelli che contengono non-metalli sono classificati come ossidi acidi. In questi composti l’ossigeno ha sempre numero di ossidazione – 2 e nella formula si scrive per ultimo, essendo l’elemento più elettronegativo. Gli ossidi si ottengono dalla reazione diretta dell’elemento con l’ossigeno. Un esempio di ossido basico è il K 2O, che si forma per reazione del potassio metallico con l’ossigeno secondo la reazione: 4K + O2 → 2K2O L’ossido acido SO2 si può ottenere dalla combinazione diretta dell’ossigeno con il non-metallo zolfo: S + O2 → SO2 Tetra-, penta-, esa-, epta- • Prefissi usati per indicare rispettivamente «quattro, cinque, sei, sette»; derivano dalle parole che in greco si riferiscono a questi numeri. Prefisso Numero di atomi mono- 1 di- (o bi-) 2 tri- 3 tetr(a)- 4 pent(a)- 5 esa- 6 ept(a)- 7 TABELLA 13.8 Prefissi usati nei nomi dei composti chimici per indicare il numero degli atomi con cui ogni elemento compare nella formula. Il prefisso mono- viene in genere omesso. Ipo-, per- • Prefissi usati per indicare rispettivamente «sotto, più in basso» e «sopra, più in alto»; derivano dalle preposizioni ipo e iper che in greco hanno il corrispondente significato. Nella denominazione dei composti binari l’ordine in cui vengono riportati gli elementi presenti è invertito rispetto a quello con cui sono elencati nella formula. L’elemento diverso dall’ossigeno compare perciò sempre per ultimo nel nome degli ossidi. La nomenclatura IUPAC chiama sia gli ossidi acidi sia gli ossidi basici con la stessa dizione ossido, cui si fa seguire il nome dell’elemento preceduto dalla preposizione di. La nomenclatura IUPAC esplicita anche il numero di atomi presenti per ciascun elemento. Sia la parola ossido che il nome dell’elemento devono essere infatti preceduti da prefissi, che indichino il numero di atomi degli elementi presenti nella formula: di-, tri-, tetr(a)-, pent(a)-, esa-, ept(a)- ecc., a seconda che gli atomi dell’elemento siano 2, 3, 4, 5, 6, 7 ecc. Il prefisso mono- corrispondente a 1 viene normalmente omesso (tabella 13.8). Vediamo il caso dell’ossido basico formato da sodio Na e ossigeno O. I numeri di ossidazione di ossigeno e sodio sono rispettivamente – 2 e +1. Utilizzando la regola della croce, la formula del composto si ottiene scrivendo l’indice 2 dopo il simbolo del sodio. La formula è pertanto Na2O e il nome IUPAC del composto è ossido di disodio. Se l’elemento ha due numeri di ossidazione, forma due composti diversi con l’ossigeno. Per esempio, il rame forma l’ossido di dirame Cu2O, quando il n.o.Cu è +1, e l’ossido di rame CuO, quando il n.o.Cu è +2. Allo stesso modo i due ossidi dell’azoto N2O3 (n.o.N = 3) e N2O5 (n.o.N = 5) si chiamano rispettivamente triossido di diazoto e pentossido di diazoto. La nomenclatura tradizionale assegna agli ossidi acidi il nome di anidridi. Inoltre, nel caso in cui un elemento abbia due numeri di ossidazione, nomina i composti utilizzando il suffisso -oso oppure -osa, nelle specie a n.o più basso, e -ico oppure -ica, per le specie a numero di ossidazione più alto. Per esempio, considerando il caso visto in precedenza dei due ossidi del rame, il composto Cu2O, dove il n.o.Cu è +1, si chiama ossido rameoso, mentre il composto CuO, con n.o.Cu +2, viene chiamato ossido rameico. Analogamente, lo zolfo, che è un non-metallo, forma l’anidride solforosa SO2, quando il n.o.S è +4, e l’anidride solforica SO3, quando il n.o.S è + 6. Se l’elemento ha più di due numeri di ossidazione, come ad esempio gli alogeni cloro, bromo e iodio che hanno quattro numeri di ossidazione positivi, si utilizzano i suffissi -oso (-osa) ed -ico (-ica) per le specie con i due n.o. intermedi, mente per quel che riguarda gli altri si usano il prefisso ipo- e il suffisso -oso (-osa), per il n.o. più basso, e il prefisso per- col suffisso -ico (-ica), per il n.o. più alto. Per esempio le quattro anidridi del cloro sono: anidride ipoclorosa Cl2O con n.o.Cl = +1; anidride clorosa Cl2O3 con n.o.Cl = +3; anidride clorica Cl2O5 con n.o.Cl = +5; anidride perclorica Cl2O7 con n.o.Cl = +7. Nella tabella 13.9 sono riportati i nomi secondo la nomenclatura IUPAC e la nomenclatura tradizionale di alcuni composti. CH/96 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 13 Nomi e formule dei composti chimici Composto Nomenclatura tradizionale Nomenclatura IUPAC Na2O ossido sodico ossido di disodio CO2 anidride carbonica diossido di carbonio Cu2O ossido rameoso ossido di dirame CuO ossido rameico ossido di rame SO2 anidride solforosa diossido di zolfo SO3 anidride solforica triossido di zolfo N2O3 anidride nitrosa triossido di diazoto N2O5 anidride nitrica pent(a)ossido di diazoto Cl 2O anidride ipoclorosa ossido di dicloro Cl 2O3 anidride clorosa triossido di dicloro Cl 2O5 anidride clorica pent(a)ossido di dicloro Cl 2O7 anidride perclorica ept(a)ossido di dicloro TABELLA 13.9 Nomi di composti binari formati da alcuni elementi con l’ossigeno, secondo la nomenclatura tradizionale e secondo la nomenclatura IUPAC. PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 2. Attribuisci il nome al composto che ha formula SO3. Poiché la somma algebrica dei numeri di ossidazione in una molecola è 0, e poiché l’ossigeno ha n.o. –2, il numero di ossidazione dello zolfo deve essere +6. Lo zolfo è un non-metallo e forma con l’ossigeno ossidi acidi chiamati anidridi nella nomenclatura tradizionale. Il n.o.S +6 è il più alto dei due numeri di ossidazione con cui lo zolfo forma anidridi. Utilizziamo perciò il suffisso -ica da aggiungere alla radice, che per l’elemento zolfo è solfor-. Anteponendo il termine anidride, il nome per il composto SO3 è quindi anidride solforica. Il nome IUPAC è triossido di zolfo. 3. Attribuisci il nome IUPAC e quello tradizionale ai seguenti composti di formula: 3. Scrivi la formula dell’ossido ferroso. Il ferro è un metallo di transizione che ha due numeri di ossidazione principali: +2 e +3. Il suffiso -oso indica che l’ossido è quello in cui il ferro ha n.o. più basso. L’ossido ferroso è un composto formato dal ferro con n.o. +2 e dall’ossigeno che ha n.o. –2. Perché la somma algebrica risulti uguale a 0, occorre che ci sia lo stesso numero di atomi di ferro e di zolfo. La formula è perciò FeO. Br2O; P2 O5; K 2O. 4. Scrivi la formula dei seguenti composti: ossido di bario, anidride perclorica, triossido di boro. 13.8 Il nome degli idracidi e degli idruri C onsideriamo ora i composti binari formati dall’idrogeno. Gli elementi del gruppo 17, i cosiddetti alogeni, e lo zolfo formano con l’idrogeno composti binari a carattere acido denominati idracidi. In questi composti l’idrogeno ha sempre n.o. +1, gli alogeni n.o. –1 e lo zolfo n.o. – 2. Nella scrittura della formula degli idracidi il simbolo dell’idrogeno va posto prima di quello dell’elemento. Il nome degli idracidi si ottiene facendo precedere la radice dell’elemento dalla parola acido e facendola seguire dal suffisso -idrico. Così l’idracido del fluoro è l’acido fluoridrico HF, quello del cloro l’acido cloridrico HCl, quello del bromo l’acido bromidrico HBr, quello dello iodio l’acido iodidrico HI, quello dello zolfo l’acido solfidrico H2S. Con la nomenclatura IUPAC, poco usata nel caso degli idracidi, questi composti sono designati facendo seguire alla radice dell’elemento il suffisso -uro, la preposizione di e la parola idrogeno. I nomi precedenti quindi diventano fluoruro di idrogeno, cloruro di idrogeno, bromuro di idrogeno, ioduro di idrogeno, solfuro di diidrogeno. Oltre che negli idracidi, l’idrogeno si trova combinato a formare composti binari con quasi tutti gli elementi. Quando si combina con i metalli, i com- Come vedremo nel capitolo 18 gli acidi sono composti le cui molecole rilasciano ioni idrogeno H +. CH/97 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO Il nome dell’acqua, secondo le regole della nomenclatura IUPAC, dovrebbe essere ossido di diidrogeno, considerandola come un ossido, ossigenuro di diidrogeno, considerandola un idracido, oppure diidruro di ossigeno, considerandola un idruro. 13 Nomi e formule dei composti chimici posti vengono denominati idruri e in essi l’idrogeno ha numero di ossidazione –1. Nella scrittura della loro formula il simbolo dell’idrogeno questa volta segue quello dell’elemento. I nomi sono formati dal termine idruro, nella nomenclatura IUPAC preceduto dai prefissi di-, tri- ecc. a seconda del numero di idrogeni presenti, dalla preposizione di e dal nome dell’elemento. Per esempio, idruro di sodio NaH, diidruro di calcio CaH2, triidruro di alluminio AlH3. Quando si lega agli elementi del gruppo 15, l’idrogeno assume n.o. +1, mentre azoto, fosforo e arsenico assumono il n.o. negativo –3. Si formano composti gassosi molto comuni, come l’ammoniaca NH3, o più rari, come la fosfina PH3 e l’arsina AsH3. La nomenclatura IUPAC prevede per questi composti le stesse regole viste per gli idruri. Abbiamo perciò il triidruro di azoto, il triidruro di fosforo e il triidruro di arsenico. L’idrogeno legato a elementi dei gruppi 13 e 14, come carbonio, silicio e boro, forma invece i seguenti composti binari: metano CH 4, silano SiH 4 e diborano B2 H 6. Questi due ultimi composti nella nomenclatura IUPAC sono chiamati tetraidruro di silicio e esaidruro di di boro. L’idrogeno ha numero di ossidazione +1 e – 1; di conseguenza le formule degli idracidi e degli idruri si ottengono semplicemente scrivendo come indice dell’idrogeno il valore numerico del numero di ossidazione dell’altro elemento. I nomi dei composti binari dell’idrogeno che abbiamo incontrato sono riassunti nella tabella 13.10. C’è da ricordare, infine, un composto binario dell’idrogeno che non rientra in nessuna classificazione: quello con l’ossigeno, che ha formula H2O. L’importanza e la familiarità di questa molecola è tale che il suo nome, acqua, è accettato anche dalla nomenclatura IUPAC. Nomenclatura tradizionale Nomenclatura IUPAC HF acido fluoridrico fluoruro di idrogeno HCl acido cloridrico cloruro di idrogeno HBr acido bromidrico bromuro di idrogeno HI acido iodidrico ioduro di idrogeno H2S acido solfidrico solfuro di diidrogeno NaH idruro di sodio idruro di sodio CaH2 idruro di calcio diidruro di calcio AlH3 idruro di alluminio triidruro di alluminio NH3 ammoniaca triidruro di azoto PH3 fosfina triidruro di fosforo AsH3 arsina triidruro di arsenico B2H6 diborano esaidruro di diboro Composto TABELLA 13.10 Nomi di composti binari formati da alcuni elementi con l’idrogeno, secondo la nomenclatura tradizionale e secondo la nomenclatura IUPAC. 13.9 Il nome dei perossidi I perossidi sono composti binari molto instabili, alcuni dei quali abbastanza comuni e apprezzati per le proprietà ossidanti. I perossidi possono essere considerati come derivati dagli ossidi, per sostituzione di un atomo di ossigeno con un gruppo, chiamato perosso, costituito da due atomi di ossigeno e con due cariche negative (O 22 – ). Gli ossigeni del gruppo perosso sono legati tra loro (⎯ O ⎯ O ⎯), per cui il loro numero di ossidazione è –1. La nomenclatura dei perossidi è la stessa incontrata nel caso degli ossidi, con l’aggiunta del prefisso per- davanti al termine ossido. Abbiamo perciò il per ossido di sodio Na2O2 e il per ossido di idrogeno H2O2, quest’ultimo comunemente noto col nome di acqua ossigenata. CH/98 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO Questa sostanza è ampiamente utilizzata in campo medico per le sue proprietà antisettiche e nell’industria per il suo forte potere ossidante: è infatti in grado di liberare ossigeno atomico. Il perossido di idrogeno è preparato trattando il perossido di bario con acido solforico, secondo la seguente reazione: BaO2 + H2SO4 → H2O2 + BaSO4 Ossidanti e instabili come i perossidi sono Nomi e formule dei composti chimici gli _ idroperossidi, caratterizzati dal gruppo HO 2 . Perossidi e idroperossidi sono sostanze molto reattive e possono esplodere, se subiscono urti o semplicemente se vengono agitate. A volte basta soltanto muovere o ruotare velocemente il tappo di una bottiglia contaminata con perossidi per avere una esplosione. I perossidi si formano con facilità a partire da alcune sostanze organiche, come gli eteri e le ammidi. La reazione di formazione del perossido è in genere iniziata da un radicale libero, cioè da una molecola con un elettrone non appaiato. I perossidi: un ossigeno di troppo PER SAPERNE DI PIÙ Tra i perossidi, composti che si riconoscono per la presenza del gruppo O 2– 2 , il più comune è il perossido di idrogeno H2O2. Nel linguaggio abituale si usa quasi esclusivamente il termine acqua ossigenata per indicare il perossido di idrogeno. 13 Contenitore con chiusura di sicurezza per evitare esplosioni 13.10 Il nome dei sali binari I sali sono composti molto comuni che si originano per reazione tra un metallo, o un qualsiasi composto derivato da un metallo, e un non-metallo, o un composto derivato da un non-metallo (figura 13.7). ELEMENTI +H IDRURI +H METALLI + O2 SEMIMETALLI + O2 NON-METALLI + O2 OSSIDI OSSIDI OSSIDI BASICI ANFOTERI ACIDI + H2O + H2O IDROSSIDI IDRACIDI FIGURA 13.7 I sali possono essere prodotti attraverso percorsi diversi, che portano alla fine ad avere nello stesso composto un metallo e un non-metallo. + H2O OSSOACIDI SALI I sali binari sono composti ionici formati da un catione metallico e da un anione di un non-metallo. Nella formula si indica prima l’elemento metallico seguito da quello non-metallico. Anche in questo caso la formula può essere ricavata facilmente attraverso la regola della croce. Consideriamo il sale binario formato da alluminio e fluoro. L’alluminio fa parte del gruppo 13 e ha numero di ossidazione + 3, mentre il fluoro, che è un alogeno del gruppo 17, ha numero di ossidazione – 1. Gli indici degli elementi nella formula si ottengono incrociando i numeri di ossidazione di alluminio e fluoro. La formula del composto è pertanto AlF3. Come nel caso degli idracidi, la nomenclatura IUPAC dei sali binari fa seguire alla radice del nome dell’elemento non-metallico il suffisso -uro, la preposizione di e il nome del metallo, indicando con l’opportuno prefisso il CH/99 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO Nel caso in cui gli elementi del composto abbiano un solo numero di ossidazione, i prefissi che indicano il numero di atomi presenti possono essere omessi. TABELLA 13.11 Nomi di alcuni sali binari, secondo la nomenclatura tradizionale e secondo la nomenclatura IUPAC. 13 Nomi e formule dei composti chimici numero di atomi presenti. Il nome del composto AlF3 è pertanto trifluoruro di alluminio. Il ferro che ha n.o. + 2 e +3 forma con il cloro (n.o.Cl = – 1) i composti dicloruro di ferro FeCl2 e tricloruro di ferro FeCl3. Come nel caso degli ossidi, la nomenclatura tradizionale prevede che la radice del nome dell’elemento metallico sia seguita dal suffisso -oso, nelle specie a n.o. più basso, e -ico, nelle specie a n.o. più alto. In base alla nomenclatura tradizionale i composti tra ferro e cloro visti in precedenza prendono il nome di cloruro ferroso FeCl2 e cloruro ferrico FeCl3. Nella tabella 13.11 sono riportati i nomi di alcuni sali binari secondo la nomenclatura tradizionale e IUPAC. Composto Nomenclatura tradizionale Nomenclatura IUPAC NaCl cloruro di sodio solfuro di sodio ioduro di calcio fluoruro di alluminio cloruro ferroso cloruro ferrico bromuro di cesio cloruro di sodio solfuro di disodio diioduro di calcio trifluoruro di alluminio dicloruro di ferro tricloruro di ferro bromuro di cesio Na2S CaI2 AlF3 FeCl 2 FeCl 3 CsBr 13.11 Il nome degli idrossidi F Na2O + H2O → 2NaOH CaO + H2O → Ca(OH)2 Al 2O3 + 3H2O → 2Al(OH)3 La reazione dell’ossido di sodio con l’acqua porta alla formazione dell’idrossido di sodio, comunemente chiamato soda caustica; dall’ossido di calcio, noto anche come calce viva, si forma con l’acqua l’idrossido di calcio, la calce spenta. – Na+ O H in qui abbiamo considerato solo composti binari. Adesso prendiamo in esame la nomenclatura che riguarda le principali classi di composti ternari, formati cioè da tre diversi elementi. Gli idrossidi sono formati da un metallo, ossigeno e idrogeno. Sono composti molto reattivi e manifestano un comportamento basico (vedi § 18.1). Gli idrossidi si possono considerare come derivati dalla reazione con acqua degli ossidi basici: K2O + H2O → 2KOH Gli idrossidi sono costituiti da uno ione metallico positivo, indicato ge– nericamente con M n + per n cariche positive, e da n ioni idrossido OH . Lo ione idrossido, detto anche ossidrilione, è una specie chimica molto stabile (figura 13.8). La formula degli idrossidi si costruisce ponendo accanto al simbolo del metallo tanti gruppi OH quanti ne indica il numero di ossidazione del metallo: Na (n.o. = +1) NaOH Ca (n.o. = +2) Ca(OH)2 Al (n.o. = +3) Al(OH)3 FIGURA 13.8 Nella struttura cristallina dell’idrossido di sodio NaOH, gli ioni idrossido OH– sono legati da legami ionici agli ioni sodio Na+. Per gli idrossidi valgono le stesse regole di nomenclatura, sia tradizionale sia IUPAC, utilizzate per gli ossidi, con la parola idrossido che prende il posto del termine ossido (tabella 13.12). Composto TABELLA 13.12 Nomi di alcuni idrossidi, secondo la nomenclatura tradizionale e secondo la nomenclatura IUPAC. NaOH Nomenclatura tradizionale Nomenclatura IUPAC idrossido sodico (soda caustica) idrossido di sodio KOH idrossido potassico (potassa caustica) idrossido di potassio Ca(OH)2 idrossido calcico (calce spenta) diidrossido di calcio Ba(OH)2 idrossido barico diidrossido di bario Fe(OH)2 idrossido ferroso diidrossido di ferro Fe(OH)3 idrossido ferrico triidrossido di ferro CH/100 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 13.12 13 Nomi e formule dei composti chimici Il nome degli ossoacidi G li ossoacidi sono composti ternari a carattere acido, contenenti atomi di ossigeno, di idrogeno e di un elemento non-metallico. Gli ossoacidi possono essere considerati come derivati dalla reazione con acqua delle anidridi, o ossidi acidi. Nella formula si scrive dapprima l’idrogeno, quindi il simbolo dell’elemento non-metallico e infine l’ossigeno. SO2 + H2O → H2SO3 CO2 + H2O → H2CO3 La nomenclatura tradizionale prevede le stesse regole già viste per gli ossidi acidi, col termine acido che sostituisce la parola anidride e con gli stessi suffissi (e prefissi) dell’anidride da cui deriva, associati alla radice dell’elemento. Per esempio, dallo zolfo che forma l’anidride solforosa si origina con l’acqua l’ossoacido H2SO3, denominato acido solforoso, mentre dall’anidride carbonica otteniamo H2CO3, l’acido carbonico. Le regole della nomenclatura IUPAC prevedono anch’esse l’uso del termine acido, seguito dall’indicazione del numero di atomi di ossigeno con i prefissi della tabella 13.8 che precedono il termine -osso-, cui fa seguito la radice del non-metallo col suffisso -ico e infine il suo numero di ossidazione, scritto tra parentesi in numeri romani. Per esempio, il composto H2CO3 acido carbonico, rappresentato nella figura 13.9, in base carbonio alla nomenclatura IUPAC deve essere denominato acido triossocarbonico (IV). Nella tabella 13.13 sono riporidrogeno tre ossigeni tate le formule di alcuni ossoacidi comuni, con a fianco il nome acido triosso carbonico (IV) tradizionale e quello della nomenclatura IUPAC. Osservando la tabella 13.13 si nota che molti non-metalli hanno più di un numero di ossidazione e possono perciò formare più di un ossoacido. Infatti, gli atomi degli alogeni, dello zolfo, dell’azoto e del fosforo possiedono all’esterno doppietti, cioè coppie di elettroni di valenza non condivise. Ciascuna coppia può essere impiegata per formare un legame dativo con un altro atomo di ossigeno (cfr. § 11.6). Si ottengono così ossoacidi diversi a seconda del numero di atomi di ossigeno legati al non-metallo. Per esempio, il cloro forma l’ossoacido denominato acido ipocloroso HClO, quando ha n.o. +1, ma anche gli acidi cloroso HClO2, clorico HClO3 e perclorico HClO4, quando il numero di ossidazione è, rispettivamente, +3, +5 e +7, e si formano 1, 2 o 3 legami dativi (figura 13.10). H2CO3 Composto Nomenclatura tradizionale H2CO3 HNO2 HNO3 H2SO3 H2SO4 HClO HClO2 HClO3 HClO4 HBrO3 HIO acido carbonico acido nitroso acido nitrico acido solforoso acido solforico (IV) acido ipocloroso acido cloroso acido clorico acido perclorico acido bromico acido ipoiodoso L’anidride solforica con l’acqua dà origine all’acido solforico: SO3 + H2O → H2SO4 dall’anidride nitrosa si ottiene l’acido nitroso: N2O3 + H2O → H2N2O4 → 2HNO2 e dall’anidride nitrica si ottiene l’acido nitrico: N2O5 + H2O → H2N2O6 → 2HNO3 FIGURA 13.9 Il nome degli ossoacidi, secondo le regole della nomenclatura IUPAC, fornisce indicazioni sulla presenza dell’idrogeno, sul numero di atomi di ossigeno e sull’elemento non-metallico legato all’ossigeno. Il valore del n.o. del non-metallo, scritto tra parentesi, è utile per risalire al numero di atomi di idrogeno. I FIGURA PARLANTE Nomenclatura IUPAC acido triossocarbonico (IV) acido diossonitrico (III) acido triossonitrico (V) acido triossosolforico (IV) acido tetraossosolforico (VI) acido (mono)ossoclorico (I) acido diossoclorico (III) acido triossoclorico (V) acido tetraossoclorico (VII) acido triossobromico (V) acido (mono)ossoiodico (I) TABELLA 13.13 Nomi di alcuni ossoacidi, secondo la nomenclatura tradizionale e secondo la nomenclatura IUPAC. CH/101 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO FIGURA 13.10 Nell’ossoacido HClO, acido ipocloroso, il cloro ha numero di ossidazione +1. Negli altri ossoacidi il cloro impiega i propri doppietti elettronici per formare legami covalenti dativi con uno (acido cloroso), due (acido clorico) o tre atomi di ossigeno (acido perclorico). In questi casi il cloro assume n.o. rispettivamente +3, +5 o +7. Dei quattro acidi è indicato anche il nome IUPAC. 13 H Nomi e formule dei composti chimici O H Cl HClO Acido ipocloroso O HClO2 Acido cloroso Acido ossoclorico (I) Acido diossoclorico (III) O H O Cl O Cl O H O O O Cl O HClO3 Acido clorico HClO4 Acido perclorico Acido triossoclorico (V) Acido tetraossoclorico (VII) Per quanto riguarda la scrittura della formula di struttura è opportuno ricordare che negli ossoacidi: • ciascun atomo di idrogeno è legato con un legame covalente semplice a un atomo di ossigeno; • gli atomi di ossigeno legati all’idrogeno sono uniti con un altro legame covalente semplice all’atomo del non-metallo; • gli atomi di ossigeno non legati all’idrogeno sono uniti all’atomo del nonmetallo con legami doppi o con legami dativi (figura 13.11). Alcuni non-metalli, come il fosforo e il silicio, formano ossoacidi la cui formula corrisponde all’addizione di più di una molecola d’acqua. Per esempio, l’anidride fosforica P2O5 può addizionare una, due o tre molecole d’acqua. Il nome degli acidi corrispondenti prevede per tutti il suffisso -ico. Per distinguere tra loro i composti si fa a volte ricorso ai prefissi meta- e orto-, per il primo e l’ultimo, e al prefisso piro- per l’intermedio; spesso il prefisso orto- viene omesso: P2O5 + 1H2O ⎯→ H2P2O6 ⎯→ 2HPO3 acido metafosforico P2O5 + 2H2O ⎯→ H4P2O7 acido pirofosforico P2O5 + 3H2O ⎯→ H6P2O8 ⎯→ 2 H3PO4 acido ortofosforico o fosforico SiO2 + 1H2O ⎯→ H2SiO3 acido metasilicico SiO2 + 2H2O ⎯→ H4SiO4 (A), formula di struttura dell’acido carbonico H2CO3. I due atomi di idrogeno sono legati ognuno a un atomo di ossigeno. I due atomi di ossigeno a loro volta sono legati al carbonio. Il restante atomo di ossigeno è unito con un doppio legame al carbonio. (B), formula di struttura dell’acido nitroso HNO2. L’atomo di idrogeno è legato a un atomo di ossigeno, il quale è legato all’azoto. Il restante atomo di ossigeno è unito con un doppio legame all’azoto. (C), formula di struttura dell’acido nitrico HNO3. La differenza con la molecola di acido nitroso consiste nell’atomo di ossigeno in più, che si è potuto legare all’azoto grazie a un legame dativo. acido ortosilicico o silicico FIGURA 13.11 A B C H H H C O H O O O O N O CH/102 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze N O O CAPITOLO 13 Nomi e formule dei composti chimici Ricordiamo inoltre il nome, secondo la nomenclatura tradizionale, di tre acidi organici molto importanti, l’acido acetico CH3COOH, l’acido formico HCOOH e l’acido ossalico H2C2O4, che reagiscono spesso anche con i composti inorganici. Ossalico • Il termine indica un acido organico presente in molte piante; deriva dal greco oxalios che significa «acidulo». PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 4. Attribuisci il nome ai composti di formula (a) HI, (b) HNO3, (c) NaOH. 5. Attribuisci il nome IUPAC e tradizionale ai seguenti composti di formula: (a) HI è un composto formato dallo iodio, un elemento con spiccate caratteristiche non-metalliche, e l’idrogeno. Si tratta di un idracido e pertanto alla radice dell’elemento iod- aggiungiamo il suffisso -idrico, preceduto dal termine acido; il nome è perciò acido iodidrico o ioduro di idrogeno. (b) HNO3 è un ossoacido, essendo l’elemento N un non-metallo e trovandosi nella formula prima dell’ossigeno e dopo l’idrogeno. Risaliamo dapprima al numero di ossidazione di N, conoscendo quello di O (–2) e di H (+1). Poiché la molecola è neutra: [(+1) + n.o.N + 3 × (–2)] = 0; il numero di ossidazione dell’azoto risulta uguale a +5. Questo n.o. è il più elevato tra quelli che l’azoto può utilizzare; dobbiamo perciò aggiungere il suffisso -ico alla radice relativa all’elemento azoto, che è nitr-. Il composto HNO3 prende così il nome di acido nitrico o acido triossonitrico (V). Ba(OH)2; HClO2; HF. 6. Scrivi la formula dei seguenti composti: acido pirofosforico, acido solforoso, tetraidrossido di stagno (IV). (c) NaOH è un composto formato dal sodio, un elemento con spiccate caratteristiche metalliche, e il gruppo idrossido OH. Poiché il sodio, elemento del gruppo 1, ha un solo numero di ossidazione, non abbiamo bisogno di particolari suffissi nell’assegnare il nome a questo composto, che si chiama idrossido sodico o idrossido di sodio. 13.13 Il nome dei radicali acidi C iò che resta di un acido per perdita parziale o totale degli idrogeni prende il nome di radicale acido. Un radicale acido è uno ione, che ha per carica e per valenza il numero di idrogeni ceduti dall’acido. Nella rappresentazione della formula di un radicale acido si pongono in alto a destra tante cariche negative quanti sono gli idrogeni perduti (figura 13.12). La nomenclatura tradizionale di un radicale acido deriva direttamente da quella dell’acido corrispondente. Il termine ione sostituisce la parola acido, ai suffissi -oso e -ico si sostituiscono, rispettivamente, i suffissi -ito e -ato, mentre al suffisso -idrico si sostituisce il suffisso -uro. Nella nomenclatura IUPAC, invece, tutti i radicali acidi derivati da ossoacidi prendono la desinenza -ato, cui si fa seguire il n.o. del non-metallo scritto tra parentesi in numero romano. Il numero di atomi di ossigeno continua a essere indicato dai prefissi (mono)osso-, diosso-, triosso- ecc., che avevamo visto nel paragrafo precedente. La perdita parziale di ioni H + da parte di acidi che possiedono più idrogeni dà luogo a radicali ionici negativi. Questi ioni vengono denominati allo stesso modo dei radicali acidi, con in più il prefisso idrogeno- oppure diidrogeno- a seconda che siano ancora presenti uno o due idrogeni. Nella tabella 13.14 sono indicati alcuni acidi, i loro radicali, i nomi tradizionali, quelli IUPAC e la valenza degli ioni. – 2H + – H2CO3 FIGURA 13.12 Il radicale acido carbonato CO 2– 3 deriva dall’acido carbonico H2CO3, quando quest’ultimo perde due ioni idrogeno H +. CO3– – CH/103 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 13 Nomi e formule dei composti chimici Acido di provenienza TABELLA 13.14 Nomi di alcuni radicali acidi, secondo la nomenclatura tradizionale e secondo la nomenclatura IUPAC, con l’indicazione dell’acido di provenienza e della valenza dello ione. HCl Acido cloridrico H2S Acido solfidrico H2SO4 Acido solforico H2SO4 Acido solforico H2CO3 Acido carbonico H2CO3 Acido carbonico HClO Acido ipocloroso HClO2 Acido cloroso HClO3 Acido clorico HClO4 Acido perclorico H3PO4 Acido fosforico H3PO4 Acido fosforico H3PO4 Acido fosforico HNO2 Acido nitroso HNO3 Acido nitrico Radicale acido Cl– S2– SO 42– HSO–4 CO 23– HCO –3 ClO– ClO –2 ClO –3 ClO–4 PO 43 – HPO 24– – H2PO 4 NO –2 NO –3 Nomenclatura tradizionale Nomenclatura IUPAC Valenza Ione cloruro Ione solfuro Ione solfato Ione idrogenosolfato Ione carbonato Ione idrogenocarbonato Ione ipoclorito Ione clorito Ione clorato Ione perclorato Ione fosfato Ione idrogenofosfato Ione diidrogenofosfato Ione nitrito Ione nitrato Ione cloruro Ione solfuro Ione tetraossosolfato (VI) Ione idrogenotetraossosolfato (VI) Ione triossocarbonato (IV) Ione idrogenotriossocarbonato (IV) Ione ossoclorato (I) Ione diossoclorato (III) Ione triossoclorato (V) Ione tetraossoclorato (VII) Ione tetraossofosfato (V) Ione idrogenotetraossofosfato (V) Ione diidrogenotetraossofosfato (V) Ione diossonitrato (III) Ione triossonitrato (V) 1 2 2 1 2 1 1 1 1 1 3 2 1 1 1 13.14 Il nome degli ioni positivi G li ioni positivi che derivano da un metallo per cessione di uno o più elettroni hanno nomi che, dopo il termine ione, seguono le stesse regole di nomenclatura viste per gli ossidi o gli idrossidi. Per esempio, il rame forma lo ione rameoso Cu+ (n.o. + 1) o lo ione rameico Cu2+ (n.o. + 2). A volte viene usato il numero di Stock, cioè si fa seguire il nome dell’elemento dal numero tra parentesi delle cariche positive espresse in cifre romane. Secondo questa regola di nomenclatura, lo ione Fe2+, con il ferro che ha n.o. +2, oltre che ione ferroso può essere scritto come ione ferro (II ), che si legge «ione ferro due»; quando il n.o. del ferro è +3, lo ione Fe3+ è detto ferrico oppure ferro (III ), che si legge «ferro tre». In alternativa la IUPAC raccomanda di far seguire al nome dell’elemento il numero di carica. Fe2+ (n.o. +2) ione ferroso o ione ferro (II ) o ione ferro (2+) Fe3+ (n.o. +3) ione ferrico o ione ferro (III ) o ione ferro (3+) Oltre agli ioni positivi dei metalli, molto importanti sono quelli dovuti all’idrogeno. In qualche caso gli atomi di questo elemento, che ha n.o. +1, perdono il loro unico elettrone: si forma lo ione positivo H +, detto idrogenione, che corrisponde a un protone isolato. Per addizione di un idrogenione H + con formazione di un legame dativo, dall’acqua H2O si origina lo ione positivo H3O+, chiamato ione ossonio o idronio (cfr. § 11.6). Stessa cosa fa l’ammoniaca NH3, che con l’idrogenione forma lo ione positivo NH +4 , conosciuto come ione ammonio. Dell’idrogenione e dello ione ossonio parleremo diffusamente nel capitolo 18 dedicato agli acidi. H + + H2O ⎯→ H3O+ ione ossonio H + + NH3 ⎯→ NH +4 ione ammonio CH/104 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 13 Nomi e formule dei composti chimici I sali formati dai radicali acidi che contengono ancora idrogeni, a seguito di una cessione parziale di ioni H +, sono detti sali acidi. La loro nomenclatura segue le regole descritte per gli altri sali, tenendo presente che l’anione dovrà contenere il prefisso idrogeno- e l’indicazione del numero di idrogeni presenti. Per esempio, il sale acido KHSO4 è detto idrogenosolfato di potassio, mentre il composto LiH2PO4 è chiamato diidrogenofosfato di litio. Secondo una nomenclatura usata nel passato, per i sali di questo tipo derivati dagli ossoacidi carbonico, solforoso e solforico bastava aggiungere il prefisso bi-. Il comune bicarbonato di sodio NaHCO3, ad esempio, è oggi più correttamente indicato col nome idrogenocarbonato di sodio. Nella tabella 13. 15 sono riportati nomi e formule di alcuni dei più comuni sali ternari. TABELLA 13.15 Nomi di alcuni sali, secondo la nomenclatura tradizionale e secondo la nomenclatura IUPAC. Composto Nomenclatura tradizionale Nomenclatura IUPAC NaClO NaClO2 NaClO3 NaClO4 Fe(ClO4)3 Mg(ClO2)2 CaSO4 CaSO3 Fe(NO3)2 Fe(NO3)3 K2CO3 Li3PO4 KHCO3 Ipoclorito di sodio Clorito di sodio Clorato di sodio Perclorato di sodio Perclorato ferrico Clorito di magnesio Solfato di calcio Solfito di calcio Nitrato ferroso Nitrato ferrico Carbonato di potassio Fosfato di litio Idrogenocarbonato di potassio (bicarbonato di potassio) Ossoclorato (I) di sodio Diossoclorato (III) di sodio Triossoclorato (V) di sodio Tetraossoclorato (VII) di sodio Tris(tetraossoclorato) (VII) di ferro (III) Bis(diossoclorato) (III) di magnesio Tetraossosolfato (VI) di calcio Triossosolfato (IV) di calcio Bis(triossonitrato) (V) di ferro (II) Tris(triossonitrato) (V) di ferro (III) Triossocarbonato (IV) di dipotassio Tetraossofosfato (V) di trilitio Idrogenotriossocarbonato (IV) di potassio NaHSO4 Idrogenosolfato di sodio (bisolfato di sodio) Idrogenotetraossosolfato (VI) di sodio CH3COONa NH4NO3 KMnO4 Acetato di sodio Nitrato di ammonio Permanganato di potassio Acetato di sodio Triossonitrato (V) di ammonio Tetraossomanganato (VII) di potassio PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 5. Scrivi la formula dei seguenti composti: (a) solfato ferrico, (b) perossido di sodio. 7. Attribuisci il nome IUPAC e tradizionale ai seguenti composti di formula: (a) Solfato è il nome del radicale acido, lo ione bivalente SO 2– 4 , che deriva dall’acido solforico H2SO4 per perdita dei due idrogeni. Il termine ferrico si riferisce allo ione del ferro col numero di ossidazione più alto (+3), cioè allo ione trivalente Fe 3+. Poiché la carica complessiva del composto è 0, sono necessari 3 ioni solfato per ogni 2 ioni ferrico e quindi la formula è Fe2(SO4 )3. (b) Un perossido è un composto in cui è presente il gruppo perosso (⎯ O ⎯ O ⎯) O 2– 2 . Poiché il sodio ha numero di ossidazione +1, per legarsi con i due elettroni di valenza del gruppo perosso sono necessari due atomi di sodio Na e quindi la formula è Na2O2. CaCO3; Mg(BrO3)2; LiF. 8. Scrivi la formula dei seguenti composti: nitrato di bario, clorito di litio, perossido di potassio, tris(triossocarbonato) di ferro (III). Glossary Acidic oxides or anhydrides (ossidi acidi o anidridi) Binary compounds formed between non-metals and oxygen. Basic oxides (ossidi basici) Binary compounds formed between metals and oxygen. Hydracid (idracido) A binary compound formed between halogen or sulfur atoms an hydrogen. Hydride (idruro) A compound formed between hydrogen and another element. Hydroxide (idrossido) A basic compound containing the hydroxide ion (OH –) bound to a metal atom. Salt (sale) A compound formed between a cation and an anion. Oxoacid (ossoacidi) A ternary acid compound formed between hydrogen, oxygen and a non-metal. CH/106 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze FACCIAMO IL PUNTO Domande aperte Esercizi di completamento 11 Che cosa rappresenta la formula molecolare di un compo- 11 sto chimico? 12 Qual è la differenza tra formula molecolare e formula di struttura? 13 Che cosa rappresenta il numero di ossidazione di un elemento e perché si differenzia dalla valenza? 14 Quando un elemento può essere definito anfotero? 15 Per quale motivo nel 1961 venne istituita una commissione internazionale per la revisione della nomenclatura chimica? 16 Nella determinazione dei numeri di ossidazione in un composto, a quale atomo vanno assegnati gli elettroni di legame e perché? 17 Che cosa stabilisce la regola dell’ottetto? 18 Quando scriviamo una formula chimica, quali caratteristiche dobbiamo tenere presenti? 19 Che cosa si intende col termine idrogenione? 10 Indica, in base alle conoscenze acquisite in questo capitolo, quali sono le caratteristiche di un elemento con comportamento metallico e quelle di un elemento con comportamento non-metallico. A Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello spazio vuoto il termine opportuno. Si definisce ………………………………………………… di un elemento in un composto il …………………………………………… di legami che l’elemento instaura con …………………………………………… di altri elementi, e quindi anche il numero di ……………………………………………………… ceduti, acquistati o ……………………………………………… dall’elemento nel composto considerato. Questo valore può essere diverso dal ………………………………………… ……… ………………………………………………… , che rap- presenta invece la carica elettrica …………………………………………………… che l’elemento assume nei suoi composti, se gli elettroni di ciascun ……………………………………………………………… vengono attribuiti all’atomo più …………………………………………………… . Va sempre tenuto presente che gli elementi tendono a ……………………………………………… la configurazione elettronica del gas ……………………………………………… più ………………………………………………………… , condividendo, acquistando o cedendo ……………………………………………………………… in base alla regola …………………………………………………………………………… . VERIFICA LE CONOSCENZE Esercizi di corrispondenza A 12 Unisci con una freccia ciascun tipo di composto alla corrispondente reazione di formazione. 13 Segna la casella che corrisponde al carattere, metallico, non-metallico o anfotero, dell’elemento evidenziato in colore in ciascuna specie chimica. Ossoacido Idracido o idruro non-metallico Ossido basico Anidride Sale Idrossido Perossido Idruro metallico Specie chimica Br– – NO 3 S2 – NH+4 PO43 – Ca++ Al 2 O3 Na2 O Cl2 O3 LiOH HClO Carattere metallico Anidride + Acqua → Metallo + Idrogeno → Non-metallo + Ossigeno → Metallo + O 2– 2 → Non-metallo + Metallo → Metallo + Ossigeno → Ossido basico + Acqua → Non-metallo + Idrogeno → Carattere non-metallico CH/107 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze Carattere anfotero G U I DA A L L O ST U D I O EA G U I DA A L L O S T U D I O EA A Domande a scelta multipla 14 A +1; C HF; B –1; D HNO3. 24 D – 2. B NaClO; Il numero di ossidazione del carbonio nel composto NaHCO 3 è: C HNO2; D NaNO3. B – 4; 25 C +2; A CaO; Il numero di ossidazione del cloro nel composto HClO4 è: C CuO; B SO3; D H2O. B –7; 26 C +1; A CH4; La formula chimica dell’ipoclorito di sodio è: C HNO2; A NaClO2; D N2O5. B Ca(ClO4)2; B NaCl; 27 B idrogenosolfuro di sodio; C idrogenosolfito di sodio; La formula chimica del nitrito di calcio è: D idrogenosolfato di sodio. A CaNO2; 28 B Ca(NO3)2; C Ca(NO2)2; A nitrito di potassio; B azoturo di potassio; La formula chimica dell’acido diossonitrico (III) è: D triossonitrato (V) di potassio. C perossonitrito (III) di potassio; 29 B HNO; D NO2. C acido carbonico; D triossocarbonato (IV) di idrogeno. Il composto N2 O5 è chiamato: 30 A ossido di diazoto; B biossido di pentossigeno; Quale tra le seguenti formule è errata? A KHSO4; B K3SO4; C pentossido di diazoto; D biossido nitroso. C H2SO4; D KH2PO4. Il composto NH4 OH è chiamato: 31 A idrossilammina; Quale tra le seguenti formule è corretta? A NaH2; B AlCl2; B ammoniato di idrossido; C idrossido di ammonio; C FeCl5; D ossido tetrammonico. 22 La formula H2CO3 si riferisce a: A idruro di carbonio; B cianuro di idrogeno; C HNO2; 21 La formula KNO3 si riferisce a: D CaNO3. A HN2; 20 La formula NaHSO3 si riferisce a: A nitrato di zolfo; D NaHCl. 19 Quale tra le seguenti specie chimiche è un sale? D +7. C NaClO; 18 Quale tra le seguenti specie chimiche è un ossido acido? D –2. A –1; 17 Quale tra le seguenti specie chimiche è un ossoacido? A HCl; A + 4; 16 Quale tra le seguenti specie chimiche è un idracido? A NaHS; B H2SO4; Il numero di ossidazione dello zolfo nel composto Al(HS)3 è: C +2; 15 23 D KHSO3. 32 La formula chimica del cloruro ferrico è: A FeCl3; Quale tra le seguenti formule è errata? A Al(OH)3; B NaF; B Fe3Cl; C FeCl2; C AgCl; D FeCl. D Al3S2. CH/108 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze G U I DA A L L O ST U D I O EA VERIFICA LE ABILITÀ A Esercizi e problemi 33 Assegna il numero di ossidazione agli elementi indicati in colore. a) B2O3 b) H2SO3 c) CaO l) ………… e) KMnO4 f) K2SO4 g) N2O5 Cl2O7 ………… ………… n) H3PO4 ………… o) SrCO3 ………… p) PtCl4 ………… ………… ………… ………… q) Na2MnO4 ………… r) PCl5 ………… ………… ………… i) CO2 ………… s) TiBr4 j) CH4 ………… t) Sb2O5 Scrivi la formula corrispondente ai seguenti sali. Solfuro di dilitio ………… m) FeCl3 ………… d) K2Cr2O7 h) PH3 k) NH3 ………… 35 Nitrato ferrico …………………………… …………………………… Perclorato di sodio …………………………… Bis(diossonitrato) (III) di ferro (II) …………………………… Idrogenosolfito di potassio …………………………… Idrogenofosfato di alluminio …………………………… Fluoruro di potassio Idrogenosolfuro di alluminio …………………………… …………………………… Dibromuro di calcio …………………………… Tetraossosolfato (VI) di dipotassio …………………………… Tetraossosolfato (VI) di stronzio …………………………… Idrogenocarbonato di sodio …………………………… Carbonato di sodio …………………………… Solfito di ammonio Acetato di sodio Tetraossofosfato (V) di ferro (III) …………………………… …………………………… …………………………… ………… ………… A Question 34 Scrivi la formula dei seguenti ossidi e anidridi. Diossido di carbonio Anidride clorica Ossido stannico …………………………… …………………………… Triossido di diferro …………………………… …………………………… Eptossido di dicloro Anidride carbonica Anidride solforosa Triossido di zolfo 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. Composto. Idrossido. Sale. Reazione. Perossido. Idruro. Acido. Ossido. 4 6 …………………………… 1 3 2 …………………………… …………………………… …………………………… Ossido rameoso …………………………… Ossido di calcio …………………………… …………………………… Triossido di manganese Triossido di cromo 8 7 …………………………… Monossido di carbonio Ossido ferroso Translate the following terms in English and insert in the vertical columns. The name of an important anion will appear in the colored line. …………………………… Ossido di disodio Anidride nitrica …………………………… 36 …………………………… …………………………… CH/109 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze 5 CAPITOLO A 14 Proprietà delle soluzioni FIGURA 14.2 (A), un circuito elettrico è interrotto da una bacinella di acqua. (B), se aggiungiamo all’acqua un composto ionico solubile, per esempio cloruro di sodio NaCl, la corrente passa; questo fatto indica la presenza di cariche elettriche mobili in soluzione. B Acqua Acqua + NaCl ATTIVITÀ Soluzioni di zucchero e sale 14.2 Ionizzazione in soluzione P rendiamo ora in considerazione un composto non ionico, per esempio un composto molecolare in cui due atomi sono legati da un legame covalente eteropolare. Tra i due atomi vi è una certa differenza di elettronegatività, quindi un atomo assume una parziale carica positiva e l’altro una parziale carica negativa (figura 14.3 A). Se poniamo il composto in acqua, le molecole d’acqua si legano ai due atomi. Ogni molecola di acqua è un dipolo, che si lega con il dipolo del composto. La parte negativa di ogni molecola d’acqua attira il polo positivo del composto polare; con la parte positiva le molecole d’acqua attirano il polo negativo del composto. La coppia di elettroni del legame covalente eteropolare viene attirata sempre meno dall’atomo poco elettronegativo e sempre più dall’atomo molto elettronegativo (figura 14.3 B). Se il valore della differenza di elettronegatività nel composto era già apprezzabile, con l’intervento dell’acqua si raggiunge una differenza tale da determinare la totale separazione delle cariche e la trasformazione del composto in ioni. L’acqua è in grado di provocare la ionizzazione di molecole polari, cioè la loro scomposizione in ioni. Gli ioni sono poi separati e circondati dalle molecole d’acqua: alla ionizzazione segue la dissociazione elettrolitica (figura 14.3 C). Il risultato è che in acqua sia i composti ionici che i composti molecolari contenenti legami covalenti eteropolari piuttosto polarizzati si dissociano in ioni e danno luogo a soluzioni elettrolitiche. A B δ δ + C δ + _ δ d ANIMAZIONE Dissociazione ionica, dissoluzione molecolare e reazione di ionizzazione FIGURA 14.3 (A), se in un composto due atomi sono legati con un legame covalente eteropolare, si verifica separazione di cariche elettriche, per cui su un atomo è presente una parziale carica positiva e sull’altro una parziale carica negativa. (B), se mettiamo in acqua il composto polare, le molecole dell’acqua si legano ai due atomi con legame dipolo-dipolo e accentuano la separazione delle cariche. (C), la differenza di carica raggiunge un valore tale che uno dei due atomi perde completamente un elettrone e si formano due ioni: si è verificata la ionizzazione. Gli ioni vengono poi separati e circondati, come avviene con la dissociazione ionica di un composto ionico. _ I FIGURA PARLANTE CH/111 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 14 Proprietà delle soluzioni 14.3 Elettroliti forti ed elettroliti deboli T Il simbolo (aq) scritto in basso a destra della specie chimica indica che questa si trova dispersa in soluzione acquosa. NaNO3(s) + – Na(aq) + NO 3(aq) NO –3 Na+ FIGURA 14.4 La dissociazione ionica di un sale come il nitrato di sodio NaNO3 avviene in modo completo e produce ioni sodio Na+ e ioni nitrato NO –3. FIGURA 14.5 Elettroliti forti come l’acido nitrico (A) ed elettroliti deboli come l’acido acetico (B) alla stessa concentrazione mostrano una diversa capacità di condurre elettricità. Ciò indica una diversa ionizzazione delle loro molecole, completa in HNO3 e parziale in CH3COOH. (C), i non-elettroliti come il glucosio, anche se in soluzioni molto concentrate, non conducono elettricità. – + – NaNO3(s) ⎯→ Na (aq) + NO 3(aq) Per ogni mole di NaNO3 che si scioglie, in soluzione sono presenti 1 mole + – di ioni sodio Na e una mole di ioni nitrato NO 3 (figura 14.4). Se c’è acqua a sufficienza, tutto il nitrato di sodio si scioglie e non troviamo più il composto NaNO3 indissociato. Poiché il soluto si è dissociato completamente negli ioni corrispondenti, la soluzione conduce bene la corrente elettrica: con l’apparato sperimentale precedentemente descritto noteremo una intensa luminosità della lampadina. Le sostanze che in soluzione sono buone conduttrici di elettricità sono definite elettroliti forti. Se nello stesso apparato formato da pila e lampadina poniamo concentrazioni uguali di elettroliti diversi, notiamo che la lampadina emette luminosità diverse. La differente quantità di luce corrisponde alle differenti quantità di ioni che i vari elettroliti mandano in soluzione. Il nitrato di sodio, che abbiamo visto, e così anche l’acido nitrico HNO3 e l’idrossido di potassio KOH provocano un’intensa luminosità, mentre l’idrossido di ammonio NH 4OH e l’acido acetico CH3COOH, seppur presenti con la stessa concentrazione, fanno emettere alla lampadina una luce molto fioca. Rispetto alle prime tre, queste due ultime sostanze mandano perciò in soluzione pochi ioni. Le sostanze che in soluzione non sono buone conduttrici di elettricità vengono definite elettroliti deboli. La differenza tra elettroliti forti ed elettroliti deboli sta nella dissociazione, che è completa per i primi e parziale per i secondi (figura 14.5). 씰 Un elettrolita forte è una sostanza che in soluzione si dissocia completamente, per il 100%; un elettrolita debole si dissocia parzialmente. Tutti i sali sono elettroliti forti. Acido nitrico HNO3 utti gli acidi, gli idrossidi e i sali solubili in acqua sono elettroliti. La reazione chimica che provoca la liberazione di ioni in soluzione è la reazione di dissociazione ionica. Per esempio, il nitrato di sodio NaNO3 è un sale che in acqua subisce la reazione di dissociazione ionica: L’acido acetico CH 3COOH è un elettrolita debole: si scioglie completamente in acqua, ma solo poche molecole, meno del 5%, si ionizzano per – formare lo ione acetato CH3COO e lo ione idrogeno H +. La tendenza a dissociarsi di ogni elettrolita è individuata dal grado di dissociazione, la grandezza che esprime il rapporto tra il numero delle molecole dissociate e il numero delle molecole iniziali. Per esempio, su 100 molecole di idrossido di ammonio NH 4OH in soluzione se ne dissociano 2; NH 4OH è un elettrolita debole e il suo grado di dissociazione, indicato con Acido acetico CH3COOH A + – + B Glucosio C6H12O6 – C + CH/112 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 14 Proprietà delle soluzioni la lettera greca α (alfa), è α = 2/100 = 0,02. Un elettrolita forte è sempre caratterizzato dal grado di dissociazione α uguale a 1. Su 100 moli di nitrato di sodio NaNO3 in soluzione, ad esempio, 100 sono dissociate: α = 100/100 = 1. Il grado di dissociazione di un non-elettrolita è invece sempre uguale a zero: α = 0/100 = 0 (figura 14.6). FIGURA 14.6 (A), viti e dadi sono tutti separati, così come in soluzione un elettrolita forte è completamente dissociato in ioni. (B), solo in pochi casi viti e dadi sono separati, così come un elettrolita debole è dissociato solo in piccola parte. (C), tutte le viti sono connesse ai rispettivi dadi, così come un non-elettrolita è formato da molecole indissociate. Molecole AB A B C Ioni + A+ Ioni – B– PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 1. Nel caso in cui si verifichi la reazione, scrivi l’equazione chimica della dissociazione ionica in acqua per le seguenti sostanze: cloruro di sodio NaCl, solfato di calcio CaSO4, solfito di litio Li2SO3, fosfato di calcio Ca3(PO4)2, nitrato di bario Ba(NO3)2, acido nitrico HNO3 (α = 1), zucchero ed etanolo. 1. Scrivi l’equazione chimica della reazione di dissociazione ionica in acqua per le sostanze cloruro di potassio KCl, solfito di bario BaSO3, solfato di cesio Cs2SO4, fosfato di alluminio AlPO4, solfito ferrico Fe2(SO3)3, acido solforico H2SO4 (α = 1). I composti NaCl, CaSO4 , Li2 SO3, Ca3(PO4)2 e Ba(NO3)2 sono tutti sali e come tali sono elettroliti forti che, sciolti in acqua, si dissociano completamente, liberando ioni negativi e positivi. Nell’equazione scriviamo quindi una singola freccia che va da sinistra a destra. Occorre tenere presente che dalla dissociazione di Li2 SO3 si liberano due ioni litio Li +, da quella di Ca3(PO4)2 tre ioni calcio Ca 2+ e due ioni fosfato PO 43–e da quella di Ba(NO3)2 due ioni nitrato NO 3–: + – + Cl (aq) ; NaCl(s) → Na(aq) 2+ 2– ; CaSO4(s) → Ca(aq) + SO 4(aq) + 2– + SO 3(aq) ; Li2SO3(s) → 2Li(aq) 2+ 3– + 2PO 4(aq) ; Ca3(PO4)2(s) → 3Ca(aq) 2+ – Ba(NO3)2(s) → Ba(aq) + 2NO 3(aq). L’acido nitrico HNO3 è invece un composto molecolare tenuto insieme da legami covalenti eteropolari. In soluzione questa sostanza si ionizza e, avendo il grado di dissociazione uguale a 1, è completamente dissociata in ioni: + – + NO 3(aq) . HNO3(l) → H(aq) Infine, lo zucchero e l’etanolo sono composti organici solubili in acqua, ma che non si dissociano in ioni; per essi non si può scrivere pertanto nessuna reazione di dissociazione ionica. di essere respinta. Il chimico fisico tedesco Friedrich Wilhelm Ostwald (1853-1923), premio Nobel per la chimica nel 1909, all’avanguardia nello studio delle trasformazioni fisiche associate alle reazioni chimiche, rimase invece favorevolmente impressionato e offrì un posto a Arrhenius, incoraggiandolo a proseguire le ricerche. Nel 1903 Arrhenius vinse il premio Nobel per la chimica proprio grazie alla sua teoria sul trasferimento di ioni, visti come responsabili del passaggio di elettricità. Svante Arrhenius e la dissociazione elettrolitica CH/113 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze PER SAPERNE DI PIÙ Svante August Arrhenius, chimico svedese (1859-1927), da studente iniziò a eseguire ricerche sulle affinità tra chimica ed elettricità. La sua tesi di dottorato affrontava la questione del passaggio di elettricità attraverso le soluzioni. Arrhenius sosteneva che gli elettroliti, quando si sciolgono in acqua, si dissociano in ioni di carica elettrica opposta, positiva e negativa. Il grado della dissociazione dipende dalla natura della sostanza e dalla concentrazione della soluzione. Le idee di Arrhenius incontrarono notevole resistenza e la sua tesi di dottorato rischiò 2. Se il generico acido HA è dissociato nella misura del 15,3%, qual è il suo grado di dissociazione α? CAPITOLO 14 Proprietà delle soluzioni 14.4 Proprietà delle soluzioni L Colligative • Il termine, usato per indicare alcune proprietà delle soluzioni, deriva dal latino colligere, che significa «raccogliere, riunire, correlare». Il termine correlate, riferito alle proprietà delle soluzioni, ha lo stesso significato. La concentrazione delle soluzioni è stata trattata nel paragrafo 8.8. Una soluzione 0,1 M è una soluzione che nel volume di 1 L contiene 0,1 mol di soluto. e proprietà chimiche e fisiche delle soluzioni sono determinate dalla natura del solvente e del soluto. L’acqua zuccherata è dolce e incolore; il vino ha un caratteristico sapore e un tipico colore, che dipendono dalle sostanze contenute nell’uva da cui deriva; il plasma sanguigno contiene le sostanze nutritive che mantengono in vita le nostre cellule. Alcune proprietà delle soluzioni, dette proprietà colligative o proprietà correlate, non dipendono dalla natura chimica del soluto e del solvente, ma solo dalla concentrazione. Se raffreddiamo una soluzione 0,1 M di acqua e zucchero, notiamo che congela a una temperatura più bassa di 0 °C, per un motivo che vedremo nel § 14.7. Se facciamo congelare una soluzione acquosa di etanolo anch’essa 0,1 M, misuriamo una temperatura di solidificazione inferiore a 0 °C, la stessa della soluzione 0,1 M di zucchero. Etanolo e zucchero sono sostanze molto diverse tra loro; l’abbassamento della temperatura di solidificazione dipende perciò solo dalla concentrazione della soluzione e non dalla natura intima del soluto. Abbiamo messo in evidenza una proprietà colligativa. Le proprietà colligative delle soluzioni sono: • • • • abbassamento della pressione di vapore; innalzamento della temperatura di ebollizione; abbassamento della temperatura di solidificazione; pressione osmotica. Prima di esaminare queste proprietà occorre fare alcune precisazioni. Quando affermiamo che esse dipendono dalla concentrazione, intendiamo dire che dipendono dal numero di particelle effettivamente presenti in soluzione. La specificazione è necessaria per le sostanze che, come i composti ionici, in soluzione acquosa sono presenti scomposte in ioni. Infatti, se sciogliamo in acqua 58,4 g di cloruro di sodio NaCl, la cui massa molare è 58,4 g/mol, non abbiamo una mole di particelle in soluzione, ma due, poi+ – ché in acqua non esiste la specie chimica NaCl, ma i due ioni Na e Cl . Occorre considerare perciò la scissione in ioni dei composti ionici, e in qualche caso delle molecole (cfr. § 14.2), e moltiplicare il numero delle moli per un fattore, indicato dalla lettera greca ν (ni ). Il fattore ν esprime il rapporto tra le moli di particelle in soluzione e le moli di soluto disciolto ed è chiamato coefficiente di Van’t Hoff: ν= Il valore di concentrazione espresso con la molalità è indipendente dalla temperatura. Infatti, con la molalità sono messe in relazione due quantità, moli del soluto e massa del solvente, che sono grandezze indipendenti dalla temperatura. FIGURA 14.7 Nei tre becher sono state sciolte quantità corrispondenti alla massa molare in (A) di glucosio C6H12O6, in (B) di cloruro di sodio NaCl, in (C) di cloruro di bario BaCl 2. Il numero delle particelle presenti nelle tre soluzioni, però, non è uguale, perché in (A) c’è glucosio, un composto molecolare, in (B) c’è un composto ionico che in soluzione è dissociato in due ioni, Na+ e Cl–, in (C) c’è un sale che si scompone in tre ioni, uno di Ba2 + e due di Cl–. Il numero delle particelle in (B) è doppio, mentre in (C) è triplo rispetto ad (A). moli di particelle in soluzione moli di soluto disciolto Per esempio, nel caso di KOH o di MgSO4 il valore di ν è 2, perché i com– posti sciogliendosi si scindono completamente in due ioni (K + e OH , Mg+ + –– e SO4 ) e il numero delle particelle in soluzione diventa doppio. Nel caso di Na2CO3 o di BaCl2 sono tre gli ioni che si formano dalla completa dissociazione (2Na+ e CO3– –, Ba+ + e 2Cl–) e quindi ν = 3 (figura 14.7). Inoltre può tornare utile esprimere la concentrazione delle soluzioni mediante due nuove unità di concentrazione, che non avevamo ancora incontrato: la frazione molare (XN) e la molalità (m). Na+ + Cl – C6H12O6 A B Ba2 + + 2Cl – C CH/114 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 14 Proprietà delle soluzioni 씰 La frazione molare indica il rapporto tra il numero di moli di un componente della soluzione e il numero di moli totali. Per esempio, la frazione molare di un soluto A è X A = 0,2, se in 1 mole di molecole complessive della soluzione il numero di moli del componente A è 0,2 mol. 씰 La molalità indica quante moli di soluto sono state aggiunte a 1000 grammi di solvente. Una soluzione acquosa è 0,3 m in cloruro di sodio, se a 1 000 g di acqua sono state aggiunte 0,3 mol di cloruro di sodio. Nella tabella 14.1 sono riassunte tutte le unità di concentrazione che abbiamo incontrato fino ad ora. Concentrazione Simbolo Relazione matematica Percentuale peso/peso %P/P (g soluto / g soluzione ) × 100 Percentuale peso/volume %P/V (g soluto / cm3soluzione ) × 100 Percentuale volume/volume %V/V (cm3soluto / cm3soluzione ) × 100 Parti per milione ppm mg soluto / dm3soluzione Molarità M mol soluto / L soluzione Frazione molare XN mol soluto N / (mol soluti + mol solvente ) Molalità m mol soluto / kg solvente 14.5 Abbassamento della TABELLA 14.1 Per esprimere la concentrazione delle soluzioni si può fare riferimento a varie unità di misura che si riferiscono sempre a rapporti tra soluto, solvente e soluzione. A pressione di vapore 0,2 M 0,4 M 0,2 M 0,4 M asciamo all’aria e al Sole quattro soluzioni formate dallo stesso solvente liquido e da quantità diverse dello stesso soluto solido e osserviamo cosa succede. Dopo un po’ di tempo il livello del liquido è sceso nei recipienti, ma in quello contenente la soluzione a concentrazione maggiore si è abbassato di meno (figura 14.8 A). Le soluzioni presentano una tendenza a evaporare tanto minore tanto più sono concentrate. Se confrontate col solvente puro, tutte le soluzioni mostrano una inferiore tendenza a evaporare. Ripetiamo ora l’esperimento cambiando solo il tipo di soluto e lasciando uguali le concentrazioni: registriamo gli stessi abbassamenti (figura 14.8 B). I fenomeni osservati hanno evidenziato una proprietà colligativa delle soluzioni e pertanto, ricordando che la tendenza a evaporare è funzione della pressione di vapore del liquido (cfr. § 0.6), possiamo affermare che: 씰 La presenza del soluto fa diminuire la tendenza a evaporare del solvente; l’abbassamento della pressione di vapore del solvente rispetto al solvente puro è proporzionale alla concentrazione della soluzione. 1M ± L 0,8 M B 0,8 M ± FIGURA 14.8 Le soluzioni a concentrazione maggiore mostrano minore tendenza a evaporare. A parità di solvente, la soluzione 1 M è quella che evapora più lentamente, sia se anche il soluto è lo stesso nelle quattro soluzioni (A), sia se i soluti sono differenti (B). I valori di molarità si riferiscono all’effettivo contenuto di particelle in soluzione, cioè tengono conto dell’eventuale dissociazione in ioni del soluto. CH/115 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze 1M CAPITOLO François Marie Raoult (1830-1901), chimico francese, eseguì studi pionieristici nel campo delle proprietà delle soluzioni e individuò un nuovo metodo per la determinazione del peso molecolare. FIGURA 14.9 In una soluzione acquosa di cloruro di sodio il solvente puro ha minore tendenza a evaporare, sia perché in superficie è presente un numero minore di molecole d’acqua, sia perché vi sono forze di attrazione tra acqua e ioni che rallentano l’evaporazione. I 14 Proprietà delle soluzioni Tanto meno soluto è presente, tanto più facilmente il solvente liquido passa allo stato di vapore (figura 14.9). La pressione di vapore del solvente psolv in una soluzione è perciò direttamente proporzionale al numero di moli di solvente, rispetto al numero di moli totali presenti nella soluzione, cioè è proporzionale alla frazione molare del solvente X solv. Questa enunciazione rappresenta Na+ la legge di Raoult, che è espressa dalCl – H2O + la relazione: Na – Cl psolv = p °solv · X solv Cl – dove con p °solv si indica la pressione di vapore del solvente puro (figura Na 14.10). La legge di Raoult, valida a temperatura costante, permette di riNa+ Cl – cavare il valore della pressione di vapore di un solvente in una soluzione di cui sia nota la concentrazione. In pratica, se in una soluzione la frazione molare del solvente è 0,9, cioè il 10% delle particelle sono di soluto e il 90% sono di solvente, allora la pressione di vapore del solvente nella soluzione è il 90% della pressione di vapore del solvente puro. FIGURA PARLANTE Na+ LABORATORIO SEMPLICE Proprietà colligative P0solvente Cl – + psolvente 14.6 Innalzamento della temperatura di ebollizione U 0 1 Xsolvente FIGURA 14.10 Il grafico della legge di Raoult è una retta passante per l’origine degli assi. Pressione di vapore in bar 1,013 n liquido bolle quando la sua pressione di vapore uguaglia la pressione cui è sottoposto (cfr. § 0.6). Alla pressione atmosferica normale, che a livello del mare è 1,013 bar, l’acqua bolle a 100 °C, perché a quel valore di temperatura la sua pressione di vapore è 1,013 bar. Una soluzione acquosa ha una pressione di vapore minore di quella dell’acqua e a 100 °C non ha ancora raggiunto la pressione atmosferica; il valore di 1,013 bar verrà raggiunto a una temperatura superiore a 100 °C (figura 14.11). Perché una soluzione di qualunque soluto possa bollire, è necessario far salire la temperatura a valori superiori alla temperatura di ebollizione del solvente puro. L’innalzamento della temperatura di ebollizione delle soluzioni si chiama innalzamento ebullioscopico e lo studio di questa proprietà colligativa prende il nome di ebullioscopia. L’innalzamento ebullioscopio è proporzionale all’abbassamento della pressione di vapore. Poiché l’abbassamento della pressione di vapore è proporzionale alla concentrazione della soluzione, possiamo concludere che: 씰 Una soluzione bolle a temperatura superiore a quella del solvente puro; l’innalzamento ebullioscopico è proporzionale alla concentrazione. 0 Temperatura in °C 100 La pressione di vapore di una soluzione acquosa è 1,013 bar a una temperatura >100 °C FIGURA 14.11 La curva verde e quella blu indicano come variano la pressione di vapore di ghiaccio (verde) e acqua (blu) in funzione della temperatura. La curva rossa indica come varia la pressione di vapore di una soluzione acquosa. La pressione di vapore della soluzione è minore di quella dell’acqua. L’innalzamento ebullioscopico è una proprietà colligativa delle soluzioni, perché soluzioni a uguale concentrazione producono lo stesso innalzamento della temperatura, indipendentemente dalla natura chimica del soluto. Per l’aggiunta di 1 mole di qualunque sostanza a 1 000 grammi di solvente, cioè per le soluzioni la cui concentrazione è 1 molale, si ha lo stesso innalzamento della temperatura di ebollizione. Questo valore è perciò una costante per ogni solvente ed è chiamato costante ebullioscopica molale (Keb) (tabella 14.2). Se la molalità (m) raddoppia, l’innalzamento ebullioscopico (Δt eb) raddoppia: Δt eb = m · Keb CH/116 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 14 Proprietà delle soluzioni Per l’acqua K eb vale 0,512 °C/mol. Una soluzione formata da 2,00 moli di zucchero aggiunte a 1 000 grammi di acqua, cioè a 1 litro, è una soluzione 2,00 molale che bolle a: 100 + (2,00 × 0,512) = 101,024 °C. Se sostituiamo lo zucchero col sale NaCl, che in soluzione è scomposto in 2 ioni, Na+ e Cl – (ν = 2), l’ebollizione si verifica a: 100 + [(2,00 × 2) × 0,512] = 102,048 °C. Il metodo ebullioscopico può essere utilizzato per determinare la concentrazione e il peso molecolare di sostanze incognite in soluzione. Facciamo bollire una soluzione acquosa a concentrazione incognita e troviamo che la temperatura di ebollizione è, per esempio, 101,536 °C. In questo caso possiamo dire che la soluzione è formata da 3,00 mol di soluto aggiunte a 1 000 g di acqua, cioè è 3,00 m: Δt eb = 101,536 – 100 = 1,536 °C; m = Δt eb / K eb = 1,536 / 0,512 = 3,00 m. Facciamo una verifica «domestica» di questa proprietà delle soluzioni: la cottura degli spaghetti. L’acqua salata dentro la quale abbiamo «buttato» gli spaghetti bolle a una temperatura superiore a 100 °C (figura 14.12). Man mano che l’ebollizione procede, verifichiamo con un termometro che la temperatura dell’acqua salata continua ad aumentare, anche se di poco. La temperatura di ebollizione dell’acqua salata tende a salire, perché col passaggio dell’acqua allo stato di vapore aumenta la concentrazione della soluzione; l’aumento di concentrazione fa salire ulteriormente la temperatura di ebollizione. In conclusione, se cuocessimo gli spaghetti in acqua pura, avremmo per tutto il tempo dell’ebollizione (e della cottura) la temperatura di 100 °C; in acqua salata, invece, gli spaghetti cuociono a temperature che diventano sempre più alte. Solvente Punto di ebollizione del solvente puro(°C) Acqua 100 0,512 118,2 3,07 Benzene 80,1 2,53 Canfora 207,4 5,61 Acido acetico Temperatura in °C K eb (°C/m) TABELLA 14.2 Punti di ebollizione di alcuni solventi e relative costanti ebullioscopiche. FIGURA 14.12 L’acqua bolle a 100 °C; la temperatura dell’acqua bollente rimane la stessa per tutto il tempo dell’ebollizione. L’acqua salata bolle invece a una temperatura superiore a 100 °C, che dipende dalla concentrazione del sale. A causa dell’evaporazione dell’acqua, la concentrazione della soluzione aumenta e ciò fa aumentare anche la temperatura di ebollizione. Acqua salata Acqua pura 105 °C 105 104 103 °C 103 102 101 100 101 °C 100 °C 99 98 Tempo CH/117 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 14 Proprietà delle soluzioni 14.7 Abbassamento della temperatura di solidificazione C Crioscopia • Osservazione e studio dei fenomeni legati al congelamento; deriva dai termini greci kryos «freddo, gelo» e scopeo «osservare». ome esempio di proprietà colligativa avevamo già presentato nel § 14.4 il caso dell’abbassamento della temperatura di congelamento dell’acqua, che si verifica nelle soluzioni acquose. La diminuzione della temperatura di solidificazione prende il nome di abbassamento crioscopico e lo studio di questa proprietà è chiamato crioscopia. Analogamente a quanto avevamo visto per l’ebullioscopia, nel caso della crioscopia possiamo dire: 씰 Una soluzione passa allo stato solido a temperatura inferiore a quella del solvente puro; l’abbassamento crioscopico è proporzionale alla concentrazione della soluzione. L’acqua pura congela a 0 °C. Nella figura 14.13 riconosciamo questo passaggio di stato nel punto d’incontro tra la curva blu e la curva verde del grafico. Una soluzione acquosa, che ha una pressione di vapore minore, curva rossa, incontra la curva verde a una temperatura inferiore a 0 °C. L’abbassamento della temperatura di solidificazione è proporzionale all’abbassamento della pressione di vapore e quindi è proporzionale alla concentrazione della soluzione. 1,013 Pressione di vapore in bar FIGURA 14.13 La curva verde e quella blu indicano come variano la pressione di vapore di ghiaccio (verde) e acqua (blu) in funzione della temperatura. La curva rossa indica come varia la pressione di vapore di una soluzione acquosa. La soluzione congela a una temperatura inferiore a 0 °C. 0 100 Temperatura in °C Soluzioni a uguale concentrazione determinano lo stesso abbassamento crioscopico (Δt cr ). Per l’aggiunta di 1 mole di qualunque sostanza a 1 000 grammi di solvente, cioè per le soluzioni 1 molale, si ha lo stesso abbassamento della temperatura di solidificazione. Questo valore, costante per ogni solvente, è chiamato costante crioscopica molale (K cr ) (tabella 14.3). Δt cr = m · K cr Solvente Acqua Punto di solidificazione del solvente puro(°C) 0 K cr (°C/m) 1,86 Acido acetico 16,63 3,90 Benzene 5,53 5,12 Canfora 179,75 39,7 TABELLA 14 .3 Punti di solidificazione di alcuni solventi e relative costanti crioscopiche. Per l’acqua K cr vale 1,86 °C/mol. Una soluzione formata da 2,0 moli di zucchero aggiunte a 1 000 grammi di acqua, cioè a 1 litro, è una soluzione 2,0 molale che congela a: 0 – (2,0 × 1,86) = – 3,72 °C. Come per le altre proprietà colligative, le sostanze che si scindono in ioni determinano risultati multipli di un fattore ν. L’esempio precedente riferito al sale NaCl, in soluzione Na+ e Cl – (ν = 2), dà come risultato: 0 – [(2,00 × 2) × 1,86] = –7,44 °C. La crioscopia può essere utilizzata per risalire al valore incognito della concentrazione di una soluzione. Prima misuriamo la temperatura di solidificazione, poi ricaviamo l’abbassamento crioscopico e, infine, dividiamo questo valore per la costante crioscopica molale: m = Δt cr / K cr L’abbassamento crioscopico ha una notevole importanza pratica. Per esempio, affinché l’acqua del mare, che è una soluzione molto ricca di sali, possa congelare, si deve raggiungere una temperatura inferiore a 0 °C, intorno a –2 °C. Sfruttando questa proprietà colligativa, si usa spargere sale sulla neve in modo da impedire la formazione di ghiaccio (figura 14.14). Non tutti i sali hanno lo stesso effetto nel prevenire la formazione del CH/118 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 14 Proprietà delle soluzioni ghiaccio. Generalmente si fa ricorso al comune NaCl, ma una diminuzione maggiore della temperatura di solidificazione dell’acqua si può ottenere dal cloruro di calcio CaCl2, che si dissocia formando tre ioni (Ca2 + e 2Cl – ) con ν = 3. Spargendo la stessa quantità dei due sali, il cloruro di calcio provoca un abbassamento crioscopico maggiore. Il cloruro di sodio viene preferito in quanto è più economico. Anche gli additivi anticongelanti, che si versano nel circuito di raffreddamento delle automobili, determinano un abbassamento crioscopico, oltre che un innalzamento ebullioscopico. Se nel radiatore ci fosse solo acqua, al di sotto di 0 °C si formerebbe ghiaccio e il motore si bloccherebbe (figura 14.15). Una ulteriore verifica dell’abbassamento crioscopico si può realizzare anche in casa. L’esperienza ci insegna che si fa abbastanza presto a ottenere un cubetto di ghiaccio nel congelatore del frigorifero, mentre ci vuole più tempo, cioè bisogna raggiungere una temperatura più bassa, quando si vuole ottenere un ghiacciolo alla menta. Infatti, lo sciroppo che congeliamo per fare il ghiacciolo è una soluzione concentrata di acqua e zucchero. Possiamo concludere che una soluzione ha un intervallo di esistenza dello stato liquido più ampio rispetto a quello del solvente puro (figura 14.16). FIGURA 14 .14 I veicoli spargisale cospargono le strade di cloruro di sodio NaCl e cloruro di calcio CaCl 2 per evitare la formazione di lastre di ghiaccio. Sulla superficie stradale questi sali formano soluzioni acquose concentrate, che solidificano a temperature molto inferiori a 0 °C. FIGURA 14 .15 L’aggiunta di un anticongelante all’acqua del radiatore delle automobili determina un abbassamento del punto di solidificazione, che mantiene liquida la soluzione anche in condizioni climatiche molto difficili per temperature troppo basse o troppo alte. Infatti l’aggiunta del soluto fa anche aumentare il punto di ebollizione. SOLUZIONE SOLVENTE FIGURA 14 .16 La curva blu riporta la variazione della pressione di vapore dell’acqua pura con la temperatura, mentre la curva rossa indica la pressione di vapore di una soluzione acquosa. L’innalzamento ebullioscopico Δt eb e l’abbassamento crioscopico Δt cr, causati dall’aggiunta di un soluto a una sostanza pura, provocano un incremento dell’intervallo di esistenza della fase liquida del solvente. Pressione di vapore in bar 1,013 Punto di fusione della soluzione Punto di fusione dell’acqua Δtcr Punto di ebollizione dell’acqua Temperatura in °C Punto di ebollizione della soluzione Δteb I FIGURA PARLANTE CH/119 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 14 Proprietà delle soluzioni PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 2. Sciogliamo 150 g di glucosio (C6H12O6, massa molare 180 g/mol) in 335,4 cm 3, cioè 335,4 g, di acqua (massa molare 18,02 g/mol) alla temperatura di 25 °C. Qual è la pressione di vapore dell’acqua in questa soluzione? La pressione di vapore dell’acqua pura p H° O a 25 °C è 23,8 torr e la densità è 1,00 g/cm 3. 2 3. Calcola il valore della pressione di vapore dell’acqua in una soluzione ottenuta sciogliendo 200 grammi del composto organico eugenolo C10H12O2 in 760 g di acqua a 25 °C? Dapprima calcoliamo il numero di moli di acqua: 335,4 g = 18,61 mol 18,02 g /mol 4. Calcola il punto di ebollizione di una soluzione di 10,0 g di canfora C10H16O in 425 grammi di benzene. Punto di ebollizione del benzene = 80,1 °C; K eb = 2,53 °C/m. Poi calcoliamo il numero di moli di glucosio: 150 g 180 g /mol = 0,833 mol Possiamo determinare ora la frazione molare dell’acqua X H2O nella soluzione, facendo il rapporto tra il numero di moli di acqua e il numero di moli totale: XH2O = 18,61 mol = 0,9572 (18,61 + 0,833) mol Applichiamo infine la legge di Raoult per calcolare la pressione di vapore del solvente nella soluzione: pH O = XH O · pH° O = 0,9572 × 23,8 torr = 22,8 torr 2 2 2 3. Il glicol etilenico CH2OHCH2OH ha massa molare 62,0 g/mol. Qual è il punto di ebollizione di una soluzione che contiene 0,124 g di glicol etilenico disciolti in 200 g di acqua? La costante ebullioscopica molale K eb dell’acqua è 0,512 °C/m. Dapprima calcoliamo a quante moli corrispondono 0,124 g di glicol etilenico, dividendo per la sua massa molare: 0,124 g / 62,0 g/mol = 2,00 · 10 –3 mol Successivamente calcoliamo la molalità, dividendo le moli di glicol per la massa di solvente puro, in kg, a cui è stato aggiunto il soluto: 2,00 · 10 –3 mol / 0,200 kg = 1,00 · 10 –2 m A questo punto moltiplichiamo la molalità per la costante ebullioscopica molale e ricaviamo l’innalzamento del punto di ebollizione: Δ teb = m · Keb = 1,00 · 10 –2 m × 0,512 °C /m = 5,12 · 10 –3 °C Il punto di ebollizione del solvente puro si innalza di 0,00512 °C e diventa: 100 °C + 0,00512 °C = 100,00512 °C 4. Quanti grammi di glucosio (massa molare = 180 g/mol) devono essere aggiunti a 250 g di acqua (Kcr = 1,86 °C/m), perché il punto di solidificazione diminuisca di 1,00 °C? Dapprima calcoliamo la molalità della soluzione di glucosio a cui corrisponde l’abbassamento di 1,00 °C: Δ tcr = m · Kcr = m × 1,86 °C/m = 1,00 °C da cui: m = 1,00 °C / 1,86 °C /m = 0,538 m Conoscendo ora la molalità e la massa di solvente cui è stato aggiunto il soluto, possiamo ricavare la quantità in moli di glucosio da utilizzare: m = mol / kg solvente da cui: mol = m · kg solvente = 0,538 m × 0,250 kg = 0,135 mol Infine passiamo dalle moli di glucosio ai grammi, moltiplicando per la massa molare: 0,135 mol × 180 g/mol = 24,3 g CH/120 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 14 Proprietà delle soluzioni 14.8 Osmosi L e particelle di soluto in una soluzione si comportano come le molecole di un gas in un recipiente: tendono a distribuirsi in tutto lo spazio disponibile. Se versiamo delicatamente una soluzione colorata in acqua (figura 14.17), in un primo momento osserviamo che i due liquidi rimangono separati e stratificati. Dopo un po’ di tempo, però, il miscuglio assume una colorazione uniforme, più tenue e sfumata. Possiamo concludere che una soluzione concentrata tende spontaneamente a diluirsi. 씰 Il passaggio di una sostanza da una regione in cui è più concentrata verso una regione in cui è più diluita prende il nome di diffusione. FIGURA 14 .17 Una soluzione colorata aggiunta all’acqua, prima si stratifica, poi comincia a diluirsi, fino a far assumere al miscuglio una colorazione uniforme. Arriviamo alla stessa conclusione attraverso un altro esperimento. Poniamo sotto una campana di vetro due becher contenenti la stessa quantità di liquido; in uno c’è una soluzione molto concentrata, nell’altro acqua pura (figura 14.18). Passato un po’ di tempo osserviamo che il livello dell’acqua pura è diminuito e il livello della soluzione molto concentrata è aumentato. L’acqua è passata allo stato di vapore nell’ambiente della campana e si è condensata prevalentemente nel becher contenente la soluzione. Evaporazione FIGURA 14 .18 Nel becher A c’è una soluzione molto concentrata, nel becher B c’è acqua distillata. Dopo un po’ di tempo il livello di A risulta aumentato e il livello di B diminuito, perché l’acqua è passata allo stato di vapore e si è condensata soprattutto in A, legandosi col soluto e diluendo la soluzione. Condensazione Molecole di vapore acqueo A A B B Questo comportamento permette di spiegare un fenomeno che riguarda soluzioni a diversa concentrazione. Prendiamo un tubo a U (figura 14.19), diviso in due «rami», A e B, da una membrana semipermeabile, un setto di separazione che può essere attraversato da piccole molecole, ma non da ioni o da molecole di grandi dimensioni. In pratica attraverso una membra- A A Soluzione ipertonica B B A A Soluzione ipotonica 4% saccarosio H 2O 7% saccarosio A Il passaggio di sostanze attraverso la membrana plasmatica FIGURA 14 .19 All’inizio le concentrazioni in A e in B sono molto diverse. L’acqua passa da B ad A attraverso la membrana semipermeabile. Le soluzioni nei due rami del tubo tendono a raggiungere la stessa concentrazione. Alla fine del fenomeno la concentrazione è la stessa nei due rami del tubo. B B Soluzione isotonica 10% saccarosio APPROFONDIMENTO 7% saccarosio H2O ← Membrana semipermeabile CH/121 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO Ipertonica • Caratterizzato da tono elevato, da forte spinta; deriva dai termini greci yper «sopra, eccessivo» e tonos «tensione, accentuazione». Ipotonica • Caratterizzato da basso tono, da debole spinta; deriva dai termini greci ypo «sotto» e tonos «tensione, accentuazione». Isotonico •Caratterizzato dallo stesso tono, da uguale spinta; deriva dai termini greci isos «uguale» e tonos «tensione, accentuazione». Osmosi • Fenomeno che consiste nel flusso di un liquido attraverso una membrana che separa due soluzioni a diversa concentrazione; deriva dal greco osmos «spinta». 14 Proprietà delle soluzioni na semipermeabile può passare il solvente, ma non il soluto (figura 14.20). Introduciamo nel ramo A una soluzione di acqua e saccarosio ad alta concentrazione, soluzione ipertonica, e nel ramo B la stessa quantità della stessa soluzione, ma a concentrazione minore, soluzione ipotonica. La membrana semipermeabile permette il passaggio delle piccole molecole d’acqua, il solvente, ma non quelle del saccarosio, il soluto. Dopo un po’ di tempo osserviamo che il livello nel ramo A, che conteneva la soluzione a concentrazione maggiore, è aumentato, e il livello nel ramo B è diminuito. Le due soluzioni hanno raggiunto la stessa concentrazione e sono diventate soluzioni isotoniche. Anche in questo caso abbiamo verificato la tendenza della soluzione a diluirsi: le molecole d’acqua si sono mosse in una direzione, quella che va dalla soluzione ipotonica alla soluzione ipertonica, da B ad A. In realtà le molecole d’acqua si muovono nei due sensi, ma, poiché quelle che vanno dalla soluzione ipotonica a quella ipertonica sono molto più numerose, è giustificato dire che le molecole di acqua si muovono da B ad A. Il fenomeno che abbiamo descritto prende il nome di osmosi. 씰 L’osmosi è la migrazione spontanea delle molecole del solvente da una soluzione più diluita a una più concentrata, attraverso una membrana semipermeabile. FIGURA 14.20 Molecole grandi, come quelle del saccarosio, o ioni, come lo ione potassio K +, non riescono a passare attraverso una membrana semipermeabile, a differenza delle molecole dell’acqua. Molecola grande I FIGURA PARLANTE Ioni idratati H2 O Membrana semipermeabile LABORATORIO SEMPLICE Osmosi nell’uovo d ANIMAZIONE Osmosi 14.9 Pressione osmotica I l passaggio delle molecole dalla soluzione ipotonica a quella ipertonica durante l’osmosi a un certo punto sembra finire. Quando due soluzioni hanno concentrazioni iniziali molto diverse (figura 14.21 A), non raggiungono mai la stessa concentrazione. Infatti, nel ramo 1 (figura 14.21 B) la colonna del liquido esercita, via via che il livello sale, una pressione sempre maggiore contro la membrana, rallentando così il passaggio di altre molecole di solvente. A un certo punto il numero delle molecole che passano dal ramo 2 a quello 1 è uguale al numero delle molecole che passano dal ramo 1 al 2 e, infatti, osserviamo che il livello nei due rami non cambia più (figura 14.21 C). Si è instaurato un equilibrio dinamico. La pressione esercitata dalla colonna del liquido nel ramo 1 è la pressione osmotica, che viene indicata con il simbolo π (pi greco). Dopo che è stata raggiunta la condizione di equilibrio, l’altezza a cui arriva la colonna dà la misura del valore della pressione osmotica. CH/122 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 1 A 2 1 ← Membrana semipermeabile 2 B 14 Proprietà delle soluzioni 1 2 FIGURA 14 . 21 (A), due soluzioni, che hanno concentrazioni molto differenti e sono separate da una membrana semipermeabile, non raggiungeranno mai la stessa concentrazione (B). Quando il sistema raggiunge l’equilibrio (C), la pressione esercitata dal ramo 1 sulla membrana semipermeabile è la pressione osmotica. C 씰 La pressione osmotica di una soluzione è la pressione che occorre esercitare per bilanciare il flusso di solvente che passa attraverso una membrana semipermeabile, dalla soluzione più diluita a quella più concentrata. La pressione osmotica è una proprietà colligativa delle soluzioni. Se sciogliamo in acqua lo stesso numero di moli di sostanze diverse, le soluzioni che otteniamo fanno innalzare alla stessa altezza la colonna di liquido: la pressione osmotica è uguale. Soluzioni isotoniche hanno la stessa pressione osmotica. La pressione osmotica ricopre un ruolo di fondamentale importanza per i viventi. La membrana delle cellule di tutti gli organismi è una membrana semipermeabile. I globuli rossi, per esempio, sono cellule del sangue e possono essere considerati una soluzione di emoglobina e altre proteine a contatto con un’altra soluzione, il plasma sanguigno, attraverso una membrana semipermeabile, la membrana cellulare (figura 14.22). La pressione osmotica del plasma e quella dell’interno dei globuli rossi sono uguali, perché le due soluzioni sono isotoniche. Se prendiamo i globuli rossi e li immergiamo in acqua pura o in una soluzione ipotonica, che ha una pressione minore, l’acqua entra nei globuli rossi e ne produce il rigonfiamento fino a determinare la rottura della membrana e la distruzione della cellula (figura 14.23). Se invece immergiamo i globuli rossi in una soluzione molto concentrata, essi perdono acqua e raggrinziscono. Anche in questo caso le cellule perdono la loro funzionalità. Le conoscenze sulla pressione osmotica permettono di spiegare perché è possibile conservare gli alimenti sotto sale o immergendoli in soluzioni molto concentrate di zuccheri. Sappiamo che il deterioramento dei cibi dipende in gran parte dall’azione di microrganismi unicellulari, che utilizzano il materiale organico degli alimenti per nutrirsi. Aggiungendo sale o zucchero, come si fa rispettivamente con la salamoia o con la frutta candita, si crea un ambiente fortemente ipertonico, con una pressione osmotica elevata. In questo modo gli organismi unicellulari, Soluzione ipotonica che hanno una pressione osmotica minore, perdono acqua e muoiono per disidratazione. FIGURA 14 . 23 I globuli rossi del sangue sono isotonici col plasma nel quale sono immersi. Se la soluzione in cui vengono introdotti è ipotonica, si rigonfiano fino a rompere la membrana; se la soluzione è ipertonica, perdono acqua e raggrinziscono. Negli ospedali i pazienti vengono reidratati somministrando soluzioni isotoniche con i fluidi cellulari. Nei flaconi è contenuta una soluzione salina sterile 0,15 M in NaCl. FIGURA 14 . 22 I globuli rossi, come tutte le cellule, hanno una membrana esterna che permette il passaggio dell’acqua, ma non dei soluti. Grazie a questa membrana semipermeabile le cellule sono interessate dal fenomeno dell’osmosi. Soluzione ipertonica Soluzione isotonica CH/123 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze PER SAPERNE DI PIÙ CAPITOLO 14 Proprietà delle soluzioni L’osmosi inversa Pressione L’osmosi inversa è il sistema di purificazione dell’acqua per uso alimentare più sicuro e diffuso. Questo procedimento consente l’eliminazione di piccolissime particelle inquinanti grazie a una membrana osmotica. Il procedimento è inverso a quello che avviene naturalmente nell’osmosi. Applicando una forte pressione, l’acqua non pura viene spinta contro la membrana semipermeabile, le particelle inquinanti non riescono a passare e dall’altra parte viene così prodotta acqua pura. Con questo procedimento viene eliminato il 100% di tutte le sostanze inquinanti organiche e oltre l’80% di quelle inorganiche. Con l’osmosi inversa si può ottenere acqua potabile dall’acqua del mare. Acqua di scarto Membrana semipermeabile Soluzione meno concentrata Soluzione più concentrata Acqua di alimentazione Osmosi Acqua pura prodotta Osmosi inversa 14.10 Calcolo della pressione osmotica L a pressione osmotica dipende dal volume della soluzione, dal numero di moli di soluto e dalla temperatura. Il tipo di sostanza disciolta invece non ha nessuna influenza. Il comportamento di un soluto in un solvente è stato paragonato a quello di un gas in un recipiente e, in effetti, in tutte le osservazioni fin qui condotte abbiamo verificato tale somiglianza. Anche per ciò che riguarda gli aspetti quantitativi è possibile riferirsi ai gas e utilizzare le stesse leggi. Per esempio, possiamo prevedere come varia la pressione osmotica al variare dei fattori che la determinano. Per le soluzioni, infatti, vale una relazione, la legge della pressione osmotica, che è analoga alla equazione di stato dei gas perfetti (cfr. § 0.5): π·V=n·R·T Come per l’equazione di stato dei gas, R vale 0,0821 se π è misurato in atm. dove π è il valore della pressione osmotica; V è il volume della soluzione; n è il numero di moli di soluto; T è la temperatura assoluta; R è una costante, che ha il medesimo valore di 0,0831, se π è misurato in bar, V in dm3 o in L e T in kelvin (K). Per esempio, se volessimo calcolare la pressione osmotica di 1 500 cm3 di soluzione contenenti 171 grammi di saccarosio C12H22O11 alla temperatura di 27 °C, sapendo che la massa molare del saccarosio è 342 g/mol, dovremmo per prima cosa esprimere i valori delle misure in dm3, numero di moli e kelvin: V = 1 500 cm3 = 1,500 dm3 n = 171 / 342 = 0,500 mol T = 27 + 273 = 300 K e successivamente ricavare la pressione osmotica, utilizzando la relazione: Poiché n/V = M, la pressione osmotica può essere espressa in funzione della molarità M: π=M·R·T π = (n · R · T) / V = (0,500 × 0,0831 × 300) / 1,500 = 8,31 bar La formula della pressione osmotica si può utilizzare per calcolare uno qualsiasi dei quattro valori, conoscendo gli altri tre: V=n·R·T/π n=π·V/R·T T=π·V/n·R Poiché la pressione osmotica, come le altre proprietà colligative, dipende CH/124 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze CAPITOLO 14 Proprietà delle soluzioni dal numero di particelle per unità di volume, nel caso dei composti ionici, che in soluzione si scindono completamente in ioni, deve essere apportata una correzione alla legge, che pertanto diviene: π·V=n·R·T·ν dove ν indica il numero di ioni che si formano nella dissociazione del composto ionico. Nella tabella 14.4 abbiamo riassunto le più importanti proprietà delle soluzioni. Proprietà TABELLA 14.4 Riepilogo delle proprietà delle soluzioni. Equazione per sostanze che non si dissociano Equazione per sostanze che si dissociano Sgas = pgas · K H I soluti gassosi non si dissociano LEGGE DI HENRY la solubilità di un gas è eguale al prodotto della pressione parziale di un soluto gassoso (pgas) per una costante caratteristica del soluto e del solvente (KH) (cfr. § 0.8) LEGGE DI RAOULT la pressione di vapore di un solvente all’equilibrio a una data temperatura psolvente è il prodotto della frazione molare del solvente (X solvente ) per la pressione di vapore del solvente puro (p °solvente ) psolvente = Xsolvente · p °solvente p solvente = X solvente · p °solvente ↓ moli solvente moli solvente + moli soluto · ν INNALZAMENTO EBULLIOSCOPICO l’innalzamento del punto di ebollizione di un solvente in una soluzione è il prodotto della molalità del soluto per una costante caratteristica del solvente Δt eb = K eb · m Δt eb = K eb · m · ν Δt cr = K cr · m Δt cr = K cr · m · ν π=M·R·T π=M·R·T·ν ABBASSAMENTO CRIOSCOPICO l’abbassamento del punto di solidificazione di un solvente in una soluzione è il prodotto della molalità del soluto per una costante caratteristica del solvente PRESSIONE OSMOTICA (π) prodotto della concentrazione del soluto (molarità) per la costante universale dei gas R e la temperatura in kelvin Glossary Colligative properties ( proprietà colligative) Properties that depend on the concentration of particles present in a solution and not on the nature of the particles. Cryoscopic depression (abbassamento crioscopico) The reduction in the freezing point of a pure liquid when another substance is dissolved in it. Ebullioscopic elevation (innalzamento ebullioscopico) The increase in the boiling point of a pure liquid when another substance is dissolved in it. Lowering of vapour pressure (abbassamento della pressione di vapore) The reduction of the vapour pressure of a pure liquid when a solute is introduced. Osmosis (osmosi) The passage of a solvent through a semipermeable membrane separating two solution of different concentration. Osmotic pressure ( pressione osmotica) The pressure required to stop the flow of a solvent through a semipermeable membrane. Semipermeable membrane (membrana semipermeabile) A membrane in which the molecules of solvent can pass through but the molecules of most solutes cannot. CH/125 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze G U I DA A L L O S T U D I O EA FACCIAMO IL PUNTO Domande aperte 11 Quali sono le differenze tra la ionizzazione e la dissocia- 10 Cita esempi della vita quotidiana in cui sono evidenti fenomeni come l’innalzamento ebullioscopico e l’abbassamento crioscopico di soluzioni. zione elettrolitica? 12 Come può essere messa in evidenza la presenza di ioni in una soluzione? 13 Che cos’è un non-elettrolita? 14 Quali sono le caratteristiche di un elettrolita? Che differenza c’è tra un elettrolita forte e un elettrolita debole? 15 Che cosa si intende per grado di dissociazione? Che valore assume il grado di dissociazione nel caso di un elettrolita forte, di un elettrolita debole e di un non-elettrolita? 16 Che cos’è il coefficiente di Van’t Hoff? 17 Che cosa si intende per frazione molare di una soluzione? 18 Che cosa si intende col termine proprietà colligativa (o cor- 11 Tra lo zucchero e il sale da cucina in uguali quantità, quale sostanza deve essere scelta per abbassare maggiormente il punto di solidificazione dell’acqua? Giustifica la risposta. 12 Che cosa si intende con il termine diffusione? 13 Spiega il fenomeno dell’osmosi. Quando sono isotoniche due soluzioni? Quale metodo si può usare per misurare la pressione osmotica? 14 Perché la pressione osmotica ha una notevole importanza anche dal punto di vista biologico? 15 Perché la pressione osmotica esercitata nelle stesse condizioni di temperatura da soluzioni con la stessa molarità di glucosio C 6H12O6, di cloruro di sodio NaCl e di cloruro di calcio CaCl2 è diversa? Indica quale rapporto esiste fra i tre valori di pressione osmotica. relata) delle soluzioni? 19 Definisci il fenomeno dell’innalzamento ebullioscopico e dell’abbassamento crioscopico delle soluzioni. A Esercizi di completamento 16 Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello spazio vuoto il termine opportuno. Le ………………………………………… sono miscugli …………………………………………… formati da quantità variabili di …………………………………………… e solvente. La grandezza che definisce il rapporto tra la quantità di ……………………………………… e la quantità di solvente o di ……………………………………… è la ……………………………………………………………… . Le proprietà delle soluzioni che non dipendono dalla natura chimica del ……………………………………………………… , ma solo dalla concentrazione, sono dette ………………………………………………… ………………………………………………………… . Quando un soluto viene aggiunto a un , un effetto è l’abbassamento della di vapore, perché …………………………………………………………… la tendenza del solvente a evaporare. Dirette conseguenze di que- sto effetto sono l’innalzamento ……………………………………………………… ………………………………………………………… ………………………………………………………………… e l’ ………………………………………………………………… crioscopico. Un’altra proprietà è la pressione ………………………………………… , spinta che si verifica a seguito del fenomeno dell’ ……………………………………………………… , che è la migrazione spontanea delle molecole del ………………………………………………………… , più piccole, da una soluzione più …………………………………………………………… a una ……………………………………………… concentrata attraverso una membrana ……………………………………………………………… . VERIFICA LE CONOSCENZE A Esercizi di corrispondenza 17 Completa la tabella a lato che si riferisce a soluzioni acquose di triossonitrato (V) di potassio KNO3. La frazione molare è relativa al soluto. Massa soluto (g) A B C Moli soluto Moli solvente 10,2 Frazione molare 0,445 2,70 5,30 12,5 0,250 CH/126 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze A Domande a scelta multipla 18 Un elettrolita forte: A B C D 29 A 197; in acqua è parzialmente dissociato; è solubile in qualunque quantità; in acqua è completamente dissociato; in acqua non si dissocia. 30 20 L’acido acetico CH3COOH in acqua è un debole conduttore in un volume diverso; C isotoniche; D a molarità diversa, ma alla stessa temperatura. 31 formano: A tre ioni ammonio e tre ioni tetraossofosfato (V); B tre ioni ammonio e uno ione tetraossofosfato (V); C uno ione ammonio e uno ione tetraossofosfato (V); D uno ione ammonio e tre ioni tetraossofosfato (V). 23 La frazione molare di NaCl in una soluzione ottenuta sciogliendo 58,5 g di NaCl in 180 g di H2O è: A 0,10; B 0,09; C 1,0; H2 SO4 con 198 g di acqua è: A 1,20 m; B 1,30 m; C 1,26 m; 33 C 82,6 °C; D 81,3 °C. 34 D 1,18 m. 35 ni = n° di moli del componente i; ntotali = n° di moli totali della soluzione; V = volume della soluzione; mtotali = massa totale; mi = massa del componente i la frazione molare del componente i Xi è uguale a: A X i = ni / ntotali; C X i = ni / mtotale; B 1,60 m; C 0,201 m; A 0,0122 m; C 0,0149 m; B 0,0102 m; D 0,0166 m. In una soluzione 3,000 molale di fosfato di sodio Na3 PO4 (massa molare = 163,94 g/mol) la massa in grammi di Na3 PO4 sciolta in 1 kg d’acqua è: B 491,8; C 49,18; 37 D 0,4918. 38 B Δt = K cr · m; D p = X n · p °. Alla stessa temperatura, la pressione osmotica di una soluzione 1 M di cloruro di sodio è: uguale a quella di una soluzione 1 M di zucchero; inferiore a quella di una soluzione 1 M di zucchero; il doppio di quella di una soluzione 1 M di zucchero; uguale a quella di una soluzione 0,5 M di zucchero. Il sangue è isotonico a una soluzione 0,15 M di cloruro di sodio NaCl. Qual è la sua pressione osmotica alla temperatura di 37 °C? A 3,8 atm; C 1,9 atm; D 0,160 m. La molalità di una soluzione contenente 2,00 g di fosfato di sodio Na3 PO4 (massa molare = 163,94 g/mol) e 1200 g di acqua è: L’abbassamento della temperatura di solidificazione di un solvente è ricavabile da: A B C D B X i = ni / V; D X i = mi / mtotale. La molalità di una soluzione formata da 30,0 g di cloruro di potassio KCl (massa molare = 74,55 g/mol) aggiunti a 200 g di acqua è: 1 M di cloruro di sodio NaCl; 1 M di cloruro di calcio CaCl2; 1 M di cloruro ferrico FeCl3; 1 M di glucosio C6H12O6. A Δt = K eb · m; C π · V = n · R · T; 36 B 1,06 molale; D 1,36 molale. Tenendo conto della dissociazione in ioni, quale tra le seguenti soluzioni produce la pressione osmotica più alta? A B C D D 58,5. B 3 m NaCl; D 1 m Ca3(PO4)2. L’alcol etilico puro solidifica a –117,30 °C e la sua Kcr è 1,99 °C/m. Per far congelare l’alcol etilico alla temperatura di –120,00 °C è necessario preparare una soluzione alcolica: A 0,200 molale; C 2,00 molale; In una soluzione con più soluti dove: A 4,918; B 80,6 °C; di congelamento? A 2 m CaCl2; C 3 m C6H12O6; 24 La molalità di una soluzione ottenuta mescolando 24,4 g di 28 La temperatura di ebollizione di una soluzione 0,200 molale di acido oleico sciolto in benzene (temperatura di ebollizione del benzene = 80,1 °C; K eb del benzene = 2,53 °C/m) è di: A 83,1 °C; B elettroliti forti; D poco solubili. 22 Dalla dissociazione del tetraossofosfato (V) di triammonio si 27 Il fenomeno dell’osmosi non si evidenzia, se una membrana semipermeabile separa due soluzioni: 32 Quale tra le seguenti soluzioni acquose ha il più alto punto A elettroliti deboli; C non-elettroliti; A 2,01 m; D 123. B con solventi uguali e con la stessa quantità di soluto B è un elettrolita forte; D è un elettrolita debole. 21 Tutti i sali sono: 26 C 82,4; lo stesso soluto; na in una apparecchiatura per la verifica della conducibilità elettrica delle soluzioni? A KCl; B KOH; C CH3COOK; D saccarosio. 25 B 12,3; A dello stesso volume, ma a concentrazione diversa del- 19 Quale tra le seguenti soluzioni non fa accendere la lampadi- di elettricità perché: A è un non-elettrolita; C non si scioglie; In 250 g di una soluzione 3,00 molale di fosfato di sodio Na3 PO4 (massa molare = 163,94 g/mol) i grammi di Na3 PO4 sono: B 7,6 atm; D 0,95 atm. Quale delle seguenti affermazioni relative a una soluzione di acqua e zucchero non è corretta? A la temperatura di ebollizione è maggiore di 100 °C; B la temperatura di fusione è maggiore di 0 °C; C la concentrazione è la stessa in tutto il recipiente che la contiene; D si tratta di un miscuglio omogeneo tra due composti molecolari. CH/127 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze G U I DA A L L O ST U D I O EA G U I DA A L L O ST U D I O EA VERIFICA LE ABILITÀ 51 Esercizi e problemi 39 Qual è la molalità di una soluzione ottenuta da 300 g di cloruro di potassio KCl in 450 g di acqua? [8,94 m] 40 Calcola la frazione molare del soluto nella soluzione formata da 56,0 g di Ca(NO3)2 in 986 g di acqua. [6,20 · 10 –3] 41 Qual è la pressione osmotica a 25 °C di una soluzione 0,50 M di cloruro di calcio CaCl2? [36,6 atm] 42 In quanti mL di acqua sono sciolti 3,0 g di Kl se la pressione osmotica a 25 °C è 2,0 atm? [440 mL] 43 Qual è l’abbassamento crioscopico per una soluzione acquosa 1,3 molale di cloruro di sodio NaCl (K cr = 1,86 °C/m)? [4,8 °C] 44 Qual è l’abbassamento crioscopico per una soluzione ottenuta sciogliendo 46 g di glucosio (massa molare = 180 g/mol) in 5,0 kg di acqua (K cr = 1,86 °C/m)? [0,095 °C] 45 Quanti grammi di cloruro di calcio CaCl2 devono essere sciolti in 2,00 kg di acqua per ottenere un abbassamento crioscopico di 3,32 °C (K cr = 1,86 °C/m)? [132 g] 46 Qual è il punto di solidificazione per una soluzione acquosa di cloruro ferrico FeCl3 2,00 m (K cr = 1,86 °C/m)? [–14,88 °C] 47 Qual è l’innalzamento ebullioscopico per una soluzione 0,40 molale di zucchero in acqua (K eb = 0,512 °C/m)? [0,2 °C] 48 Qual è il punto di ebollizione di 55 mL di una soluzione acquosa di fosfato di calcio Ca3(PO4)2 0,100 molale (K eb = 0,512 °C/m)? [100,256 °C] 49 Quanti grammi di fosfato di sodio Na3PO4 devono essere aggiunti a 1.500 g di acqua, perché il punto di ebollizione della soluzione risultante sia 102 °C (K eb = 0,512 °C/m)? [240 g] 50 Una soluzione acquosa di urea NH2CONH2 a 27 °C ha la pressione osmotica di 7,00 bar. Dopo aver calcolato la molarità della soluzione, determina l’innalzamento ebullioscopico provocato dall’urea, sapendo che la densità della soluzione è 1,012 kg/dm3. [0,28 M] [0,144 °C] Calcola quale volume deve avere una soluzione che contiene 50 g di fruttosio C6H12O6, perché la sua pressione osmotica a 27 °C sia di 5,0 bar. Quanta acqua occorre aggiungere alla soluzione, affinché la sua pressione osmotica diventi di 2,0 bar? Sapendo che la densità della soluzione finale è di 1,15 kg/dm3, determina il punto di solidificazione della soluzione. [1,38 L] [2,08 L] [–0,13 °C] 52 In 225 cm3 di cloroformio vengono disciolti 12,25 g di un soluto, in modo che la temperatura di ebollizione diventi 62,50 °C. L’aumento di volume è trascurabile. Qual è la massa molare della sostanza disciolta e la concentrazione della soluzione in ppm? Il cloroformio ha densità 1,540 g /mL, temperatura di ebollizione 61,20 °C e K eb (cloroformio) = 3,63 °C/m. [98,7 g/mol] [54 400 ppm] 53 Una membrana semipermeabile separa due soluzioni in cui il solvente è acido acetico e il soluto è idrossido piombico Pb(OH)4, composto che si dissocia in: Pb 4+ + 4OH –. Sapendo che il volume di entrambe le soluzioni è 500 mL e che nella prima si osserva un innalzamento ebullioscopico di 6,20 °C mentre nella seconda si ha un abbassamento crioscopico di 5,85 °C, calcola la pressione osmotica alla temperatura di 27 °C di ciascuna delle due soluzioni e la pressione osmotica che si determina, alla stessa temperatura, tra le due soluzioni. Indica, inoltre, in quale delle due soluzioni la pressione osmotica relativa produce un innalzamento del livello del liquido. La densità della prima soluzione è 1,02 g/cm3 e quella della seconda è 1,01 g/cm3. Per l’acido acetico la temperatura di ebollizione è 118,2 °C, mentre quella di solidificazione è 16,6 °C. Inoltre, K eb = 3,07 °C/m e K cr = 3,90 °C/m. [9,12 atm] [6,88 atm] 54 Calcola la pressione osmotica in bar a 27 °C di una soluzione acquosa contenente 100 g di glucosio C 6H12O6 in 2,25 L di soluzione. Quanto glucosio occorre mettere in soluzione per avere la stessa pressione osmotica a 53 °C? [ 6,15 bar] [92,0 g ] 55 Si preparano 1 500 cm3 di una soluzione acquosa di ipoclorito di potassio KClO in modo che la sua pressione osmotica sia 405,3 kPa alla temperatura di 3 °C. Calcola la molarità della soluzione e la massa in grammi del composto ionico necessaria per prepararla, sapendo che il KClO si scinde in K + e ClO–. [8,8 · 10 –2 M] [5,334 g] Question 56 Please fill in the blanks with the correct terms. Some solution properties are defined as ………………………………………………………… properties. They are the same for all ……………………………………………………………………… and depend on the ………………………………………………………………… of the solute particles. …………………………………………………………… point elevation and …………………………………………………… point depression are proportional to …………………………………………………………………… of the solute. …………………………………………………………… refers to the movement of solvent molecules through a …………………………………………………………………………… membrane from a dilute to a concentrated solution. The pressure needed to stop the net motion of the …………………………………………………………………… particles is called osmotic ………………………………………………………………… of the solution. CH/128 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze Reazioni chimiche C A P I TO L O 15 Classificazione delle reazioni chimiche 15.1 N ei capitoli precedenti abbiamo incontrato un gran numero di composti chimici, ossidi, acidi, sali, idrossidi, idruri. Di essi abbiamo imparato a scrivere la formula e ad essi abbiamo attribuito un nome che ne consente il riconoscimento. Abbiamo anche definito il concetto di reazione chimica e sappiamo effettuare il bilanciamento. Ancora non siamo in grado, però, di stabilire con sicurezza quale composto si forma partendo da reagenti noti. Così come avevamo classificato i composti chimici in famiglie in base al loro comportamento, anche per le reazioni chimiche possiamo operare una classificazione che ci aiuti a prevedere quali trasformazioni possono avvenire. Elenchiamo i principali tipi di reazioni chimiche. • Reazioni di sintesi o di combinazione diretta: A + B → AB. Nelle reazioni di sintesi due o più atomi o molecole reagiscono tra loro per dare un unico composto come prodotto finale (figura 15.1). 2H2 H + H + O2 2H2O FIGURA 15.1 Esempi di reazioni di sintesi. H2 + + Esempi di reazioni di sintesi sono: – la combinazione tra un metallo e un non-metallo per formare direttamente un sale: 2K + I2 → 2KI – la combinazione di un metallo o di un non-metallo con l’ossigeno per formare, rispettivamente, un ossido basico (figura 15.2) o un ossido acido: FIGURA 15.2 In questa reazione di sintesi il magnesio, un metallo, reagisce con l’ossigeno per produrre l’ossido di magnesio, un ossido basico. La reazione libera energia sotto forma di una luce abbagliante. C + O2 → CO2 – la combinazione tra un ossido basico e l’acqua per formare un idrossido, detto anche base: Fe 2O3 + 3H2O → 2Fe(OH)3 – la combinazione tra un ossido acido e l’acqua per dare un ossoacido: SO3 + H2O → H2SO4 CH/129 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 15 Reazioni chimiche • Reazioni di decomposizione o di scissione: AB → A + B. Nelle reazioni di decomposizione da un unico composto si ottengono due o più composti o elementi (figura 15.3). Le reazioni di decomposizione possono essere considerate reazioni inverse rispetto a quelle di sintesi. Sono tipiche di composti instabili o di composti che si decompongono col calore. Per esempio, i sali formati da ioni poliatomici si scindono per riscaldamento nell’ossido basico del metallo e nell’ossido acido del non-metallo: CaCO3 → CaO + CO2 N2O4 FIGURA 15.3 2NO2 + Una reazione di decomposizione. • Reazioni di sostituzione semplice: A + BC → AC + B. Nelle reazioni di sostituzione semplice un atomo, uno ione o un gruppo poliatomico di un composto viene sostituito da un altro atomo, ione o gruppo poliatomico (figura 15.4). Sono reazioni di questo tipo quelle in cui: – un atomo metallico prende il posto di uno ione metallico che fa parte di un sale: Cu + AgNO3 → CuNO3 + Ag Zn FIGURA 15.4 + 2HCl ZnCl 2 + H2 Una reazione di sostituzione semplice. + + – un atomo metallico prende il posto dell’idrogeno di un acido (figura 15.5): Ca + 2HCl → CaCl2 + H2 – un atomo non-metallico prende il posto di uno ione non-metallico che fa parte di un sale: Cl2 + 2NaBr → 2NaCl + Br2 La sostituzione di un metallo con un altro o con l’idrogeno, oppure di un non-metallo con un altro, non è sempre possibile. Alcuni elementi mostrano maggiore facilità di altri a essere sostituiti e sulla base di questa tendenza è stata costruita una scala della reattività. Affronteremo di nuovo questo argomento nel capitolo 19. FIGURA 15.5 Il calcio metallico immerso in una soluzione di acido cloridrico HCl libera idrogeno gassoso H2. • Reazioni di doppio scambio o di doppia sostituzione: AB + CD → AD + CB. Nelle reazioni di doppio scambio vi è uno scambio di atomi, di ioni o di gruppi poliatomici tra due composti (figura 15.6), come avviene tra due ballerini che si scambiano le dame durante un giro di valzer. Le reazioni di doppio scambio avvengono in genere tra due sali. Se da reagenti solubili si forma un composto insolubile, detto precipitato, la reazione è chiamata di precipitazione. Per esempio, nitrato di argento AgNO3 e cloruro di sodio NaCl, sali entrambi solubili in acqua, reagiscono con reazione di doppio scambio e formano nitrato di sodio NaNO3, solubile, e cloruro di argento AgCl, una sostanza bianca insolubile che intorbida la soluzione e precipita sul fondo del recipiente (figura 15.7): AgNO3 + NaCl → NaNO3 + AgCl↓ CH/130 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 15 Reazioni chimiche Per indicare nell’equazione chimica che un prodotto di una reazione è un precipitato si aggiunge alla formula una freccina rivolta verso il basso (↓). BaCl 2 + Na 2 SO4 + BaSO4 + 2NaCl FIGURA 15.6 + Una reazione di doppio scambio. In alcune reazioni di doppio scambio si sviluppa un gas. La formazione di un prodotto gassoso può avvenire in due modi. La sostanza aeriforme si può produrre direttamente dalla reazione tra il catione di un reagente e l’anione dell’altro. Ne è un esempio la reazione di doppio scambio tra acido cloridrico HCl e solfuro di dipotassio K2S, in cui si produce H2S gassoso: 2HCl + K2S → H2S↑ + 2KCl Una freccina rivolta verso l’alto (↑) individua il gas che si forma. In altre reazioni di doppio scambio la sostanza gassosa si libera a seguito della produzione di composti intermedi instabili, che si decompongono. Per esempio, la reazione tra carbonato di sodio Na2CO3 e acido nitrico HNO3 forma acido carbonico H2CO3, che si decompone immediatamente in CO2 gassoso e H2O: Na2CO3 + 2HNO3 → 2NaNO3 + H2CO3 H2CO3 → CO2↑ + H2O Un’altra importante categoria di reazioni di doppio scambio è quella delle reazioni di neutralizzazione: HA + BOH → AB + H2O. Nelle reazioni di neutralizzazione un acido e un idrossido formano un sale e l’acqua (figura 15.8). Lo ione H + degli acidi si lega con lo ione idrossido OH – degli idrossidi e forma un composto stabile: l’acqua. La parte non-metallica dell’acido e quella metallica dell’idrossido si legano e vanno a costituire un sale: HCl + LiOH → LiCl + H2O Ca(OH) 2 + H 2 SO4 + CaSO4 + FIGURA 15.7 Aggiungendo un cloruro a una soluzione contenente un sale di argento, si verifica una reazione di doppio scambio e si forma un precipitato, il cloruro di argento AgCl, un composto bianco insolubile. 2H 2O + FIGURA 15.8 + – • Reazioni di dissociazione ionica: AB → A + B . Nelle reazioni di dissociazione ionica sali, acidi o basi si scompongono negli ioni corrispondenti (figura 15.9). Generalmente queste reazioni avvengono quando i composti sono disciolti in acqua: Una reazione di neutralizzazione. HCl CaSO4 → Ca+ + + SO4– – Le reazioni chimiche possono essere suddivise in due categorie in base al seguente criterio: reazioni che consistono in trasferimenti di elettroni e rea- H+ + Cl – + FIGURA 15.9 Una reazione di dissociazione ionica. CH/131 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO + Zn Cu++ Zn++ + + Cu + FIGURA 15.10 Una reazione di ossidoriduzione. Nel passaggio da atomo a ione o viceversa c’è variazione di volume. Alcune reazioni di sintesi e di decomposizione che abbiamo visto in precedenza sono reazioni di ossidoriduzione. FIGURA 15.11 15 Reazioni chimiche zioni che si svolgono senza scambio di elettroni. Le reazioni che avvengono con trasferimento di elettroni da una specie chimica a un’altra sono chiamate reazioni di ossidoriduzione o reazioni redox (figura 15.10). Cu + 2Ag+ → Cu+ + + 2Ag Il passaggio di elettroni da una specie chimica all’altra, che avviene nel corso delle reazioni redox, può essere utilizzato per produrre energia elettrica. Alla elettrochimica, la parte della chimica che si interessa dei trasferimenti di elettroni relativi a reazioni di ossidoriduzione, sarà dato ampio spazio nel capitolo 19. Riconoscere se una reazione avviene con trasferimento di elettroni può essere complesso. Esistono però alcuni casi in cui una reazione è sicuramente di ossidoriduzione. In particolare, sono sempre reazioni redox: • le reazioni tra metalli e non-metalli; • le reazioni tra le sostanze e l’ossigeno O2. Quest’ultimo gruppo di reazioni è noto col nome di reazioni di combustione. Nelle reazioni di combustione una sostanza reagisce con l’ossigeno per formare composti contenenti ossigeno, con liberazione di calore. Dalla combustione dei composti organici, che contengono carbonio e idrogeno, si ottengono come prodotti diossido di carbonio e acqua (figura 15.11). CH4 Una reazione di combustione. + 2O2 + CO2 + LABORATORIO SEMPLICE 2H2O + Le reazioni chimiche 15.2 Stechiometria delle reazioni chimiche Stechiometria • Letteralmente significa «misura della quantità di un elemento». Dal greco stoicheion, che significa «elemento», e metron, che significa «misura». L o studio delle relazioni quantitative tra le sostanze che si combinano in una reazione chimica è l’oggetto di una specifica parte della chimica, che prende il nome di stechiometria. I calcoli stechiometrici rivestono una fondamentale importanza per i chimici, in quanto permettono di determinare le quantità delle sostanze che si trasformano nel corso delle reazioni. La stechiometria è usata abitualmente dai chimici impegnati nella ricerca, ma anche nei laboratori di analisi, nelle industrie e ogni volta che nelle attività produttive avvengono reazioni chimiche. I coefficienti stechiometrici di una reazione chimica bilanciata rappresentano le quantità relative di atomi e molecole di reagenti che si combinano e di prodotti che si formano. È possibile interpretare la stessa equazione chimica in termini di moli, dato che una mole di una qualsiasi sostanza contiene sempre lo stesso numero di particelle. Una equazione chimica può esprimere pertanto un duplice concetto: un significato quantitativo microscopico e un significato quantitativo macroscopico. Consideriamo il seguente esempio: 2Fe + 3Cl2 → 2FeCl3 Il significato quantitativo della reazione è riportato nella tabella 15.1. 2Fe TABELLA 15.1 I coefficienti stechiometrici di una reazione chimica indicano sia il numero di particelle delle sostanze coinvolte sia il loro numero di moli. + 3Cl 2 2FeCl 3 Significato quantitativo microscopico 2 atomi 3 molecole 2 molecole Significato quantitativo macroscopico 2 moli 3 moli 2 moli CH/132 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio 15 CAPITOLO Reazioni chimiche Dal punto di vista macroscopico questa equazione ci dice che due moli di particelle di ferro (ciascuna particella è costituita da un atomo) reagiscono con tre moli di particelle di cloro (ciascuna particella è costituita da due atomi) per dare due moli di particelle di tricloruro di ferro (ciascuna particella è costituita da un atomo di ferro e tre atomi di cloro). Immaginiamo di avere a disposizione 6,50 g di ferro: vogliamo sapere quanti grammi di cloro occorrono per la reazione e quanti grammi di tricloruro di ferro si ricavano. Per risolvere il problema si può procedere così: • per prima cosa calcoliamo il numero delle moli di ferro, dividendo la massa in grammi di ferro per la sua massa molare (M = 55,85 g/mol): 6,50 g : 55,85 g/mol = 0,116 mol di Fe • calcoliamo poi il numero delle moli di cloro Cl2 necessarie per reagire con 0,116 moli di ferro; i coefficienti stechiometrici dell’equazione chimica indicano che il numero delle moli di cloro è 3/2 del numero delle moli di ferro; pertanto: 0,116 mol × 3/2 = 0,174 mol di Cl2 • troviamo il numero delle moli di tricloruro di ferro semplicemente considerando che, come indicato dai coefficienti stechiometrici, è uguale al numero delle moli di ferro; abbiamo quindi 0,116 mol di FeCl3; • infine convertiamo il numero delle moli di Cl2 e quello di FeCl3 nelle rispettive masse in grammi, usando la massa molare come fattore di conversione; moltiplichiamo le moli di cloro per la massa di una mole di Cl2 (M = 70,90 g/mol) e otteniamo: 0,174 mol × 70,90 g/mol = 12,3 g di Cl2; analogamente, per il tricloruro di ferro (M = 162,20 g/mol) si ha: 0,116 mol × 162,20 g/mol = 18,8 g di FeCl3 Il risultato ottenuto permette di verificare il rispetto della legge della conservazione della massa. Infatti, 18,8 g è la massa complessiva sia delle sostanze reagenti sia delle sostanze prodotte. Il procedimento seguito è riportato in forma schematica e generalizzata nella figura 15.12. Se la massa è una grandezza che non varia nel corso delle reazioni chimiche, non altrettanto può dirsi per il numero delle moli. Nel nostro esempio di reazione abbiamo 0,290 mol di sostanza nei reagenti e 0,116 mol di sostanza nei prodotti. Il numero delle moli è una grandezza che può subire variazioni nel corso di una reazione chimica. Questo fatto può essere spiegato, se si tiene presente che le particelle fondamentali delle diverse sostanze sono costituite da numeri diversi di atomi. Se nelle molecole di una sostanza prodotta, come nel nostro caso il tricloruro di ferro FeCl3, si riuniscono più atomi di quanti siano presenti nelle particelle delle sostanze reagenti, ferro Fe e cloro Cl2, il numero delle moli non può che diminuire nel corso della reazione. rA pB grammi REAGENTE A grammi PRODOTTO B FIGURA 15.12 Schema del procedimento da seguire per risolvere un tipico problema di calcolo stechiometrico. A = generico reagente; B = generico prodotto. il passaggio diretto non è possibile dividere per la moltiplicare per la MASSA MOLARE MASSA MOLARE di A moli REAGENTE A di B moltiplicare per il rapporto stechiometrico p/r moli PRODOTTO B I FIGURA PARLANTE CH/133 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 15 Reazioni chimiche PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 1. Il magnesio Mg reagisce con l’ossigeno O2 per formare ossido di magnesio MgO secondo la seguente reazione: 2Mg + O2 → 2MgO Quale massa di ossigeno è necessaria per la reazione completa di 75,0 g di magnesio? Quale massa di ossido di magnesio si forma? 1. Quale quantità in grammi di ossigeno O2 è necessaria per reagire con 250 g di CH4 secondo la seguente reazione? Quanti grammi di acqua si formano? CH4 + 2O2 → CO2 + 2H2O Trasformiamo i g di Mg in moli, dividendo per la massa molare (M = 24,3 g/mol): 75,0 g / 24,3 g /mol = 3,08 mol Dall’equazione bilanciata constatiamo che per 1 mole di Mg è richiesta ½ mole di O2; quindi 3,08 moli di Mg richiedono: 3,08/2 = 1,54 mol di O2. Moltiplichiamo ora le moli di O2 per la relativa massa molare (M = 32,0 g/mol) e troviamo la massa dell’ossigeno in grammi: 1,54 mol × 32,0 g/mol = 49,3 g. Per trovare i grammi di MgO osserviamo che nell’equazione chimica abbiamo un uguale numero di moli di Mg e di MgO, per cui si formano 3,08 moli di MgO; moltiplicando questo valore per la relativa massa molare (M = 40,3 g/mol) otteniamo la massa in grammi dell’ossido di magnesio: 3,08 mol × 40,3 g /mol = 124 g di MgO 15.3 Il reagente limitante C ome abbiamo visto nel paragrafo precedente, l’equazione chimica bilanciata esprime il rapporto tra le moli delle sostanze che si combinano. Se il rapporto tra le quantità espressa in moli dei reagenti è uguale al rapporto dei loro coefficienti stechiometrici, tutti i reagenti vengono consumati totalmente. Se invece è diverso, solo uno dei reagenti viene consumato completamente, mentre le sostanze in eccesso in parte rimangono ancora presenti quando la reazione termina. La sostanza presente in quantità minore, rispetto al rapporto molare dell’equazione bilanciata, è detta reagente limitante, in quanto limita il decorrere della reazione. 씰 Il reagente limitante è la sostanza che si esaurisce per prima durante una reazione e che limita la quantità di prodotto che si ottiene. ATTIVITÀ Reagenti e prodotti Consideriamo ancora la reazione tra ferro e cloro: 2Fe + 3Cl2 → 2FeCl3 Il rapporto stechiometrico tra ferro e cloro è 2:3. I due reagenti si consumano completamente nella reazione solo se il rapporto tra le moli di Fe e di Cl2 è uguale a 2:3. Nel caso in cui siano presenti nel recipiente di reazione 1 mol di Fe e 3 mol di Cl2, solo 1,5 mol di Cl2 possono reagire, mentre le altre 1,5 mol non si trasformano. Il ferro è il reagente limitante della reazione, in quanto è in difetto rispetto alle quantità stechiometriche. Per individuare il reagente limitante è sufficiente determinare quale sostanza permette la formazione della minore quantità in moli di prodotti. Sappiamo dalla stechiometria che per ricavare il numero di moli di un prodotto occorre moltiplicare le moli dei reagenti per il rapporto stechiometrico. Nel nostro caso abbiamo: nFeCl3 = 2 2 nFe = × 1 mol = 1 mol 2 2 nFeCl3 = 2 2 nCl2 = × 3 mol = 2 mol 3 3 Si ottiene un numero minore di moli di FeCl3 partendo da 1 mole di Fe: il ferro è il reagente limitante, mentre il cloro è il reagente in eccesso. CH/134 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 15 Reazioni chimiche Vediamo ora quale reagente è limitante se la reazione avviene tra 1,8 moli di ferro e 2,2 moli di cloro. Come in precedenza calcoliamo quale reagente forma meno prodotto: nFeCl3 = 2 2 nFe = × 1,8 mol = 1,8 mol 2 2 nFeCl3 = 2 2 nCl2 = × 2,2 mol = 1,5 mol 3 3 Anche se il cloro è presente, come numero di moli, in quantità maggiore rispetto al ferro, il reagente limitante è Cl2, in quanto fornisce 1,5 moli di FeCl3 contro le 1,8 del ferro. Per determinare il reagente limitante occorre tenere in considerazione i rapporti stechiometrici oltre al numero di moli dei reagenti presenti. PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 2. Il fosforo P4 reagisce con il cloro Cl 2 per formare tricloruro di fosforo PCl 3 secondo la reazione: P4 + 6Cl 2 → 4PCl 3 2. Quanti grammi di ammoniaca NH3 si ottengono facendo reagire 0,542 mol di azoto N2 con 0,542 mol di idrogeno H2 secondo la seguente reazione? N2 + 3H2 → 2NH3 Qual è il reagente limitante e quanti grammi di PCl 3 si formano, se si mettono a reagire 0,158 mol di fosforo e 0,452 mol di cloro? Calcoliamo le moli di PCl 3 che si ricavano rispettivamente da 0,158 mol di P4 e da 0,452 mol di Cl 2, moltiplicando il numero di moli per il rapporto stechiometrico: nPCl 3 = 4 nP4 = 4 × 0,158 mol = 0,632 mol 1 nPCl 3 = 4 nCl 2 = 2 × 0,452 mol = 0,301 mol 3 6 3. Idrogeno H2 e ossigeno O2 si combinano per dare acqua secondo la reazione: 2H2 + O2 → 2H2O Facendo reagire la stessa quantità in moli di ossigeno e di idrogeno, quale dei due composti è il reagente limitante? Il reagente limitante è il cloro, in quanto fornisce 0,301 mol di PCl 3 contro le 0,632 mol del fosforo. La quantità massima di prodotto ottenibile si determina moltiplicando le moli di PCl 3 per la sua massa molare (M = 137,32 g/mol): 0,301 mol × 137,32 g /mol = 41,3 g di PCl 3 15.4 Stechiometria delle reazioni in soluzione M olte delle reazioni chimiche che abbiamo incontrato nel paragrafo 15.1 avvengono in soluzione acquosa, un ambiente in cui le reazioni procedono più velocemente (vedi § 16.9). Anche nel caso di reazioni in soluzione è possibile effettuare calcoli stechiometrici. Poiché le soluzioni non sono sostanze pure, le quantità dei reagenti e dei prodotti vengono espresse tramite la loro concentrazione e il loro volume. Consideriamo la reazione di sostituzione semplice tra rame Cu solido e acido cloridrico HCl in soluzione: Cu(s) + 2HCl(aq) → CuCl2(aq) + H 2(g)↑ Per calcolare il volume di una soluzione 2,5 M di HCl che reagisce con 54,0 g di Cu occorre, per prima cosa, trasformare in moli la massa del rame, dividendo per la sua massa molare (M = 63,54 g/mol): nCu = 54,0 g = 0,850 mol 63,54 g /mol CH/135 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 15 Reazioni chimiche Utilizzando poi il rapporto stechiometrico, si determinano le moli di HCl che reagiscono con il rame: n HCl = 2n Cu = 2 × 0,850 mol = 1,70 mol Infine, facendo ricorso alla formula inversa della molarità, si calcola il volume di soluzione in cui sono contenute 1,70 mol di HCl: V= 1,70 mol n = = 0,68 L 2,5 mol/L M Inoltre, i calcoli stechiometrici in soluzione sono alla base di un procedimento analitico molto importante per determinare la concentrazione di una soluzione: la titolazione. 씰 La titolazione è un procedimento analitico che permette di determinare la concentrazione di una soluzione attraverso la misura del volume di una soluzione a concentrazione nota che viene fatta reagire in modo completo con un dato volume della soluzione incognita. Soluzione a concentrazione nota (titolante) La soluzione incognita viene chiamata titolato, mentre la soluzione a concentrazione nota prende il nome di titolante (figura 15.13). Consideriamo la reazione di neutralizzazione tra diidrossido di bario Ba(OH)2 e acido cloridrico HCl: Ba(OH)2 + 2HCl → BaCl2 + 2H2O Con 50,0 mL di una soluzione a concentrazione incognita di HCl reagiscono 30,0 mL di una soluzione di Ba(OH)2 0,0200 M. La molarità di HCl si ricava considerando che il numero di moli di acido cloridrico presenti in soluzione è doppio rispetto al numero di moli di diidrossido di bario, in quanto il rapporto stechiometrico tra HCl e Ba(OH)2 è 2:1. Il numero di moli di Ba(OH)2 che hanno reagito si ottiene moltiplicando la concentrazione della soluzione per il volume aggiunto, espresso in litri: Soluzione a concentrazione incognita (titolato) n Ba(OH)2 = M × V = 0,0200 mol/L × 0,0300 L = 0,000600 mol Il numero di moli di HCl presenti in soluzione si ottiene moltiplicando il numero di moli di Ba(OH)2 per il rapporto stechiometrico: n HCl = FIGURA 15.13 In una titolazione il titolante viene aggiunto lentamente a una quantità nota di titolato. Nel momento in cui tutta la soluzione incognita ha reagito, si interrompe l’aggiunta di soluzione titolante e si registra il valore del volume aggiunto. 2 n Ba(OH)2 = 2 × 0,000600 mol = 0,00120 mol 1 La concentrazione molare M della soluzione di acido cloridrico è data dal rapporto tra il numero di moli di HCl e il volume in litri della soluzione: M HCl = 0,0012 mol n = = 0,024 M 0,0500 L V PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 3. Determina il volume di una soluzione 1,147 M di H2SO4 necessario per reagire completamente con 150 mL di una soluzione 0,550 M di NaOH secondo la reazione: H2SO4(aq) + 2NaOH(aq) → Na2SO4(aq) + 2H2O 4. Acido cloridrico HCl e idrossido di litio LiOH reagiscono secondo la reazione: Si determinano le moli di NaOH contenute in 150 mL (0,150 L) di soluzione 0,550 M, utilizzando la formula inversa della molarità: n = M × V = 0,550 mol/L × 0,150 L = 0,0825 mol Il rapporto stechiometrico tra NaOH e H2 SO4 è 2:1, per cui il numero di moli di H2 SO4 che reagiscono con 0,0825 mol di NaOH è la metà, cioè 0,0413 mol. Il volume di soluzione 1,147 M di H2 SO4 che contiene 0,0413 mol si ottiene dividendo il numero di moli per la molarità M della soluzione: V = n/M = 0,0413 mol / 1,147 mol/L = 0,0360 L = 36,0 mL HCl + LiOH → LiCl + H2O Se vengono aggiunti 150 mL di una soluzione 2,99 M di LiOH a 250 mL di una soluzione 2,44 M di HCl, quale delle due sostanze è il reagente limitante? CH/136 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 15 Reazioni chimiche 15.5 La resa di reazione N ei paragrafi precedenti abbiamo visto come sia possibile calcolare la quantità di prodotti che si formano durante una reazione, tenendo in considerazione i rapporti stechiometrici tra le sostanze coinvolte. Nel caso in cui i reagenti si trasformino completamente, la quantità di prodotto che si forma è chiamata resa teorica. 씰 La resa teorica di una reazione è la quantità di prodotto che si otterrebbe se tutta la massa dei reagenti fosse trasformata nei prodotti. Tutte le sostanze chimiche contengono una certa quantità di impurezze. Quando si pesa un reagente, in realtà si prelevano un numero di moli della sostanza inferiore rispetto alla quantità teorica. Inoltre, le reazioni chimiche che si effettuano in laboratorio spesso necessitano di molte operazioni, come filtrazioni, evaporazione di solventi e purificazioni (figura 15.14). Tutte queste procedure, anche se condotte con cura e precisione, portano a una inevitabile perdita di sostanze. La quantità di prodotto che si ottiene risulta perciò inferiore a quella prevista dalla stechiometria della reazione. Questa quantità di prodotto è chiamata resa effettiva. 씰 La resa effettiva è la quantità di prodotto che si ottiene al termine di una reazione. La resa effettiva è sempre minore della resa teorica. La resa di una reazione può essere espressa come resa percentuale, moltiplicando per 100 il rapporto tra la resa effettiva e la resa teorica. Resa percentuale (%) = Resa effettiva × 100 Resa teorica 씰 La resa percentuale di una reazione è la quantità di prodotto ottenuta in rapporto a quella massima ottenibile. Consideriamo la reazione tra alluminio Al e ossigeno O2 per dare triossido di dialluminio Al2O3: 4Al + 3O2 → 2Al2O3 FIGURA 15.14 La separazione tramite filtrazione di un prodotto solido dalla soluzione in cui è precipitato porta necessariamente alla perdita di una parte della sostanza, in quanto è difficile recuperare tutto il prodotto dalla superficie del filtro. Se 3,44 mol di alluminio reagiscono con un eccesso di ossigeno, la resa teorica della reazione è ricavabile dal rapporto stechiometrico tra Al2O3 e Al che è 2:4. nAl2O3 = 2/4 × 3,44 mol = 1,72 mol L’industria chimica è notevolmente interessata allo studio e all’ottimizzazione delle condizioni in cui avvengono le reazioni chimiche. Aumentando le rese di reazione si ricavano quantità più elevate di prodotto e si ottiene un maggior profitto. Poiché invece si ottengono 1,55 mol di prodotto, la resa percentuale è: Resa percentuale (%) = 1,55 × 100 = 90,0% 1,72 Glossary Combustion reaction (reazione di combustione) A redox reaction in which a substance reacts with oxygen and produces water and CO2. Decomposition reaction (reazione di decomposizione) A reaction in which a compound breaks down into simpler substances. Neutralization reaction (reazione di neutralizzazione) A reaction in which an acid reacts with a hydroxide to form a salt and water. Precipitate ( precipitato) Insoluble solid product of a chemical reaction in solution. Precipitation reaction (reazione di precipitazione) A reaction in solution in which an insoluble solid is produced. Redox reaction (reazione di ossidoriduzione) A reaction in which electron transfer occurs from a substance to another. Stoichiometry (stechiometria) The study of the relative proportions in which substances react. Synthesys reaction (reazione di sintesi) A reaction in which a chemical compound is formed from more simple compounds. CH/137 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio G U I DA A L L O S T U D I O EA FACCIAMO IL PUNTO Domande aperte ne? Quali fenomeni sono legati a questo tipo di reazioni? 11 Che cosa si intende per reazione di sintesi? 12 Quali sono le differenze tra le reazioni di sostituzione 17 Che cosa studia la branca della chimica chiamata stechiometria? 18 Quanti e quali significati possono avere i coefficienti ste- semplice e le reazioni di doppio scambio? 13 Che cosa si intende per precipitato? In quali casi si può formare un precipitato? 14 A quale categoria di reazioni appartengono le reazioni di 15 16 neutralizzazione? Quali tipi di sostanze reagiscono e quali si formano durante queste reazioni? Quali differenze esistono tra le reazioni di decomposizione e le reazioni di dissociazione ionica? Quali sono le caratteristiche delle reazioni di ossidoriduzio- minore non è necessariamente il reagente limitante? 12 Che cosa si intende per resa percentuale di una reazione chimica? 13 Per quale motivo la resa effettiva di una reazione è sempre inferiore alla resa teorica? A Esercizi di completamento 14 chiometrici di una equazione chimica? 19 Che cos’è il rapporto stechiometrico? 10 Che cosa si intende per reagente limitante? 11 Per quale motivo il reagente presente in quantità molare Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello spazio vuoto il termine opportuno. Le …………………………………………………………………… possono essere classificate in diverse categorie in base alle modalità di svolgimento. Nelle reazioni di ………………………………………………………………………… due sostanze reagiscono per formare un unico composto, mentre le reazioni di …………………………………………………… sono le reazioni inverse rispetto a quelle di sintesi. Nelle reazioni di sostituzione …………………………………………………………………… ……………………………………………………………… ……………………………………………………………… , un atomo di un composto viene sostituito da un altro atomo. Le reazioni di ……………………………………………………… , reazioni di comprendere reazioni di precipitazione, se si forma un composto ……………………………………………………………… , se si forma un sale e acqua, e reazioni in cui si forma un composto allo stato ………………………………………………………………………… . Alcune reazioni avvengono con trasferimento di chiamate reazioni redox o di ……………………………………………………………………… ………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………… da una specie chimica a un’altra e sono . Un’importante classe di reazioni redox sono le reazioni di , dove una sostanza reagisce con ………………………………………………………………………… sviluppando di carbonio e acqua. VERIFICA LE CONOSCENZE A Esercizi di corrispondenza 15 Collega con una freccia gli elementi della prima colonna a quelli corrispondenti della seconda colonna e giustifica le scelte operate. Neutralizzazione Precipitazione Dissociazione ionica Sostituzione semplice C + D → CD Sn2+ + 2Fe3+ → Sn4+ + 2Fe2+ AB + CW → AW + CB NaCl → Na+ + Cl– Ossidoriduzione HCl + KOH → KCl + H2 O Decomposizione AgNO3 + HCl → AgCl↓ + HNO3 Sintesi Cd + Zn(NO3)2 → Cd(NO3)2 + Zn Doppio scambio PCl 5 → PCl 3 + Cl 2 CH/138 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio A Domande a scelta multipla 16 18 un ossido; D un idrossido. B 28 A si ottiene ossido auroso Au2O; B si ottiene un ossoacido dell’oro; A 4 molecole di ossigeno; B 4 molecole di acqua; C si ottiene idrossido aurico Au(OH)3; D non avviene nessuna reazione. D 4 molecole di idrogeno. Per preparare l’acido triossonitrico si deve far reagire: C 4 molecole di diossido di carbonio; 29 30 Il prodotto della reazione tra sodio metallico e cloro gassoso è: A NaCl; C NaClO + NaO; B SO2 + H2O; D H2SO + O2. C calcio e acido nitroso; D magnesio e acido perclorico. 22 Facendo reagire in soluzione acquosa silicato di sodio Na4 SiO4 e dicloruro di calcio CaCl2 si ottiene tra l’altro: A Na2SiO4; C CaCl; 23 NaCl; D CaSiO4. B C sciogliere il reagente in acqua; D riscaldare i prodotti. 25 Quale fra le seguenti reazioni di decomposizione è corretta? A NaOH → Na + H2O; C CaS → Ca + H2S; 26 B CaSO3 → CaO + SO2; D Na2CO3 → 2Na + 3CO. Per ottenere tribromuro di alluminio devono reagire: A HBrO e Al(OH)3; C HBrO e Al2O3; HBrO e AlCl3; D HBr e Al(OH)3. B Quale tra le seguenti non è una reazione di ossidoriduzione? C 2Fe 3+ + Sn 2+ → Sn 4+ + 2Fe 2+; D H2SO4 + 2KOH → K2SO4 + 2H2O. 32 Per neutralizzare completamente 25,0 g di acido periodico HIO4 con idrossido di stronzio Sr(OH)2 occorrono: A 25,0 g di idrossido; C 29,0 g di idrossido; 33 B 14,5 g di idrossido; D 7,90 g di idrossido. Un esempio di reazione di neutralizzazione è: A N2O4 → 2NO2; B 2NaOH + H2S → Na2S + 2H2O; C 2Fe 3+ + Sn 2+ → Sn 4+ + 2Fe 2+; D Na2O + H2O → 2NaOH. Per favorire lo svolgimento di una reazione di decomposizione è opportuno: A riscaldare il reagente; B raffreddare il reagente; Facendo gorgogliare in acqua una certa quantità di diossido di carbonio CO2: A Zn + 2HCl → ZnCl2 + H2; B Cu + Zn 2+ → Zn + Cu 2+; 34 C CaPO4; D idrossido di fosforo. 24 31 Unendo H3 PO4 e Ca(OH)2 si ottengono sei molecole d’acqua e: A fosfato di calcio; B idrogenofosfato di calcio; acido solforico; C si ottiene CO + + O –; D non si verifica dissociazione ionica. Quale delle seguenti coppie di reagenti non porta alla produzione di idrogeno gassoso? A acido cloridrico e potassio; B litio e carbonato sodico; B D ioduro di alluminio. A si ottiene C + + + 2O –; B si ottiene 4C – + 2O + +; NaClO; D NaCl2. B I reagenti che portano alla produzione di acido solforoso sono: A SO3 + H2O; C SO + H2O; Quale dei seguenti composti, messo in acqua, si dissocia e dà ioni con tre cariche negative? A idrossido ferrico; C acido fosforico; C anidride nitrosa e idrogeno; 21 sintesi; Bruciando in modo completo una molecola di butano C4 H10 si ottengono: D anidride nitrica e acqua. 20 B D neutralizzazione. Mescolando tra loro ossido aurico Au2O3 e acqua: A monossido d’azoto e acqua; B biossido di azoto e ossigeno; 19 Una reazione di dissociazione ionica può essere considerata anche come una reazione di: A scissione; C combustione; Facendo reagire tra loro un metallo e un non-metallo si ottiene: A un sale; C un ossoacido; 17 27 Dalla reazione completa di 44,0 g di uranio con acido bromidrico HBr per formare bromuro di uranio UBr4 si libera un volume di idrogeno che, alla temperatura di –13 °C e alla pressione di 2,20 atm, è: A 0,350 L; C 35,6 L; 35 B 349 L; D 3,59 L. Sodio Na e cloro Cl2 si combinano secondo la reazione: 2Na + Cl2 → 2NaCl Facendo reagire 0,5 moli di Cl2 con 0,7 moli di Na, quale dei due reagenti è il reagente limitante? A il cloro perché è il reagente presente con il minor numero di moli; B il cloro perché nella reazione bilanciata il suo coeffi- ciente stechiometrico è 1; C il sodio perché ha il peso atomico minore; D il sodio perché il rapporto stechiometrico è 2:1. CH/139 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio G U I DA A L L O S T U D I O EA G U I DA A L L O ST U D I O EA VERIFICA LE ABILITÀ 47 Esercizi e problemi 36 Calcola quante moli di acqua possono essere ottenute dalla combustione completa di 6,00 · 10 3 kg di metano, secondo la reazione: CH4(g) + 2O2(g) → CO2(g) + 2H2O(g) [7,48 ·105 mol] 37 Calcola quanti grammi di ossigeno occorrono per reagire con 34,00 g di alluminio. [30,24 g] 38 Determina quanti grammi di tricloruro di alluminio si possono ottenere facendo reagire completamente 45,0 mol di acido cloridrico con triidrossido di alluminio. Nella reazione vengono prodotte anche molecole di acqua. [2.000 g] 39 Calcola la quantità in grammi di bromo e di alluminio necessaria per produrre 70,0 g di AlBr 3 . [7,08 g di Al] [62,9 g di Br2 ] 40 Considera la reazione tra acido cloridrico HCl e idrossido di sodio NaOH. Se si hanno a disposizione 300 g di HCl e 200 g di NaOH, quanto NaCl si produce? [292,3 g] 41 Calcola quante moli di diidrossido di piombo reagiscono con 0,33 mol di HNO3 per dare Pb(NO3)2 e acqua. [0,165 mol] 42 L’idrogeno molecolare reagisce con sodio metallico per dare l’idruro di sodio NaH secondo la reazione già bilanciata: 2Na(s) + H2(g) → 2NaH Si fanno reagire 6,750 g di Na con 0,010 moli di H2. Determina quale reagente è in eccesso e qual è la quantità di NaH formato. [Na; 0,48 g] 43 Nel processo detto del «gas d’acqua», l’idrogeno è prodotto dalla reazione tra acqua e carbon coke a 1 000 °C, secondo l’equazione: C + H2O → CO + H2. Determina quale reagente è in eccesso tra 888,5 kg di carbon coke, che contiene carbonio nella misura del 76%, e 60.000 [H2O] mol di H 2O. 44 Quando si tratta ammoniaca gassosa NH3 con acqua, si ottiene una soluzione di idrossido di ammonio NH4OH, secondo la reazione: NH3 + H2O → NH4OH. Quanti grammi di NH3 sono necessari per avere 24 mL di [11 g] NH4OH a densità 0,91 g/mL? 45 Da un campione di solfato rameico CuSO4, dal peso di 450 g che viene trattato con acido cloridrico, si ottengono cloruro rameico CuCl2 e acido solforico H2SO4. Sapendo che si producono 250 g di cloruro rameico, calcola la percentuale di impurità presente nel campione. [34,0%] 46 Data la reazione tra BaCl2 e H2SO4, completa, scrivi e bilancia l’equazione chimica. Avendo a disposizione 621 g di cloruro di bario, calcola: a) quanti grammi di solfato di bario si formano; b) il volume di acido cloridrico prodotto, sapendo che la sua densità è di 0,88 g/cm3; c) quanti grammi di acido solforico vengono consumati per far reagire tutto il cloruro di bario. [696 g] [247 cm3 ] [292 g] Un cubetto di zinco, puro al 95%, ha spigolo di 3,75 cm e densità 7,00 g /cm3. Quanti grammi di acido cloridrico HCl sono necessari per consumare tutto lo zinco? Quali sono i prodotti della reazione e qual è il loro peso in grammi? [391 g] [731 g ZnCl2 ] [10,8 g H2 ] 48 Il metano CH4 reagisce con l’ossigeno secondo la reazione: CH4 + 2O2 → CO2 + 2H2O Se si fanno reagire 1,45 kg di metano con 100 mol di ossigeno, qual è il reagente limitante e quanta CO2 in mol si forma? [CH4; 90,4 mol] 49 Considera la reazione Fe + Cl 2 → FeCl 2. Quanti grammi di dicloruro di ferro FeCl 2 si ottengono facendo reagire 43,4 g di Fe con 85,6 g di Cl 2? [98,5 g] 50 50,0 mL di una soluzione di KOH reagiscono con 25,4 mL di una soluzione 1,25 M di H2SO4 secondo la reazione: 2KOH + H2SO4 → K2SO4 + 2H2O Qual è la concentrazione della soluzione di KOH? [1,27 M] 51 Lo zinco reagisce con l’acido cloridrico secondo la seguente reazione: Zn(s) + 2HCl(aq) → ZnCl2(aq) + H2(g) Quale volume di una soluzione di HCl 0,555 M deve essere aggiunto a 25,4 g di Zn affinché tutto lo zinco reagisca? [1,40 L] 52 Ioduro di potassio KI e nitrato di piombo Pb(NO3)2 reagiscono formando un precipitato giallo di diioduro di piombo PbI2 secondo la reazione: 2KI + Pb(NO3)2 → 2KNO3 + PbI2 Quanti mL di una soluzione 0,555 M di KI devono essere utilizzati affinché si formino 3,50 g di PbI2? [27,4 mL] 53 Per ciascuna delle seguenti reazioni indica i prodotti, scrivi e bilancia l’equazione chimica e classifica la reazione secondo le tipologie indicate nel testo: a) acido ipocloroso + diidrossido di calcio b) c) d) e) f) g) h) i) j) acido iodidrico + potassio dicloruro di berillio + ioduro di sodio solfato di alluminio + fluoruro di litio acido solfidrico + tetraidrossido di piombo acido cloridrico + diidrosssido di stagno grafite (carbonio puro) + ossigeno propano (C3H8) + ossigeno solfito di calcio (dopo forte riscaldamento) acido nitroso + idrossido di potassio Question 54 Why precipitation reactions always occur in solution? 55 Aluminium Al and oxygen O2 react in this way: 4Al + 3O2 → 2Al2O3 How many grams of Al2O3 can be obtained from the reaction between 0,256 mol of Al and 0,554 mol of O2? [13,1 g] CH/140 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio Energia e velocità delle reazioni chimiche 16.1 C A P I TO L O 16 Energia di legame ed energia chimica I 씰 L’energia di un sistema chimico associabile ai legami chimici e alle forze intermolecolari presenti è chiamata energia chimica. L’energia chimica di una sostanza dipende sia dal tipo di particelle presenti sia dal tipo di legami che le uniscono. ENERGIA n linea del tutto teorica, le migliaia di sostanze esistenti in natura potrebbero combinarsi tra loro attraverso un numero enorme di combinazioni. Nel capitolo precedente, però, abbiamo visto che esistono pochi tipi di reazioni chimiche. Solo se uniamo le sostanze secondo i criteri e le condizioni indicate, c’è la possibilità che le trasformazioni chimiche avvengano effettivamente. Ma non basta, perché anche se mettiamo insieme due sostanze che in teoria dovrebbero reagire, non sempre nella realtà si verifica una reazione. Per capire meglio cosa succede nelle reazioni chimiche, occorre tornare a riflettere sull’energia di legame (cfr. § 11.1). Una reazione chimica non va vista semplicemente come una trasformazione di materia da certe sostanze ad altre. Una reazione chimica è anche una trasformazione energetica, perché comporta sempre una variazione di energia dovuta alle differenti energie di legame nei reagenti e nei prodotti. Quando due o più sostanze reagiscono per formarne altre diverse, si devono verificare sempre scissioni di legami nei reagenti e formazioni di nuovi legami che danno luogo ai prodotti. Il primo evento, cioè la rottura di un legame chimico, richiede energia; più esattamente ne richiede una quantità corrispondente all’energia del legame che si scinde. Il secondo evento, la formazione di nuovi legami, per contro comporta emissione di energia, in quantità pari all’energia del legame che si forma (figura 16.1). Atom dei reag i en separati ti Reagente Reagente A B 씰 Quanto più i legami sono forti e la molecola è stabile, tanto minore è la sua energia chimica. L’energia chimica è una forma di energia potenziale in quanto dipende dalla posizione reciproca degli atomi. Quando avviene una reazione chimica gli atomi variano la loro posizione reciproca, per cui le trasformazioni chimiche sono sempre accompagnate da una variazione di energia chimica. Consideriamo un caso specifico e prendiamo in esame, per esempio, la reazione tra fluoro F2 e acido cloridrico HCl in cui si forma cloro Cl2 e acido fluoridrico HF. Nell’equazione chimica indichiamo, in basso a destra delle formule, anche lo stato fisico delle sostanze, solido (s), liquido (l), aeriforme TEMPO Prodott o C FIGURA 16.1 Ogni reazione chimica comporta una trasformazione energetica, perché le energie di legame di reagenti e prodotti sono diverse. Nel caso riportato l’energia chimica dei prodotti è inferiore a quella dei reagenti, in quanto la formazione dei nuovi legami nelle molecole dei prodotti, a partire dagli atomi isolati dei reagenti, emette una quantità di energia superiore a quella richiesta per rompere i legami chimici delle molecole dei reagenti. CH/141 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 16 Energia e velocità delle reazioni chimiche (g) o in soluzione acquosa (aq), perché le variazioni di energia dipendono anche dallo stato di aggregazione: F2(g) + 2HCl(g) → Cl2(g) + 2HF(g) HCl + Cl 2 F—F 150 kJ/m H — Cl o 431 kJ/m l H — Cl o 431 kJ/m l ol F2(g) + 2 HCl(g + Cl— Cl H—F H—F ) HF STABILITÀ ENERGIA CHIMICA F2 242 kJ/m o 560 kJ/m l o 560 kJ/m l ol Cl2(g + ) 2HF Per prima cosa andiamo a individuare i valori delle energie di legame dei reagenti e dei prodotti, che sono 150, 431, 242 e 560 kJ/mol rispettivamente per i legami F — F, H — Cl, Cl — Cl e H — F e che dipendono dalle caratteristiche atomiche degli elementi coinvolti (cfr. tabella 11.2). Per risalire alle variazioni di energia che avvengono nel corso della reazione presa in esame dobbiamo stabilire se si passa da composti più instabili a composti più stabili, o viceversa, e cioè da molecole con energia chimica maggiore a minore, o viceversa. Facciamo perciò la somma dei valori delle energie di legame dei reagenti. Determiniamo così quanta energia è necessaria complessivamente per rompere quei legami: F — F + H — Cl + H — Cl (150 + 431 + 431) kJ/mol = 1 012 kJ/mol La quantità di energia che si produce con la formazione dei nuovi legami si ottiene poi sommando i valori delle energie di legame dei prodotti: Cl — Cl + H — F + H — F (242 + 560 + 560) kJ/mol = 1 362 kJ/mol (g) FIGURA 16.2 La reazione tra fluoro F2 e acido cloridrico HCl avviene nel momento in cui i loro legami chimici si rompono e si stabiliscono i nuovi legami dei prodotti, cloro Cl2 e acido fluoridrico HF. La reazione comporta diminuzione di energia chimica e passaggio da composti meno stabili a più stabili. La reazione chimica tra fluoro F2 e acido cloridrico HCl ha portato alla formazione di sostanze più stabili, cloro Cl2 e acido fluoridrico HF, in quanto la somma delle energie di legame dei prodotti (1 362 kJ/mol) è maggiore di quella delle energie di legame dei reagenti (1 012 kJ/mol): la reazione è avvenuta con una diminuzione di energia chimica (figura 16.2). 16.2 Primo principio della AMBIENTE termodinamica e sistemi chimici M SISTEMA Acido cloridrico entre leggi le pagine di questo libro, il tuo organismo sta bruciando le sostanze nutritive contenute nei cibi che hai mangiato. Mentre leggi, dunque, l’energia chimica delle molecole del cibo viene trasformata nell’energia di cui hai bisogno per svolgere le funzioni vitali. Analogamente, nel motore di un’automobile l’energia chimica immagazzinata nelle molecole di carburante viene convertita in calore tramite reazioni di combustione e la macchina può muoversi. Uno degli aspetti più importanti delle reazioni chimiche riguarda gli scambi energetici collegati ad esse. In particolare è la branca della chimica chiamata termochimica a occuparsene. 씰 La termochimica studia gli scambi di calore che avvengono durante le reazioni chimiche. Carbonato di calcio La termochimica fa parte di una disciplina scientifica più ampia chiamata termodinamica. 씰 La termodinamica è la scienza che studia i trasferimenti di energia in un sistema. La reazione tra il carbonato di calcio e l’acido cloridrico in soluzione acquosa forma dicloruro di calcio, che si solubilizza in acqua, e diossido di carbonio. I reagenti e i prodotti della reazione sono il sistema chimico, mentre la beuta e tutto quello che la circonda rappresentano l’ambiente. FIGURA 16.3 Consideriamo la reazione chimica che avviene aggiungendo una soluzione di acido cloridrico HCl a una massa solida di carbonato di calcio CaCO3 posta all’interno di una beuta. Per studiare adeguatamente gli scambi energetici che accompagnano la reazione è utile considerare i reagenti e i prodotti della reazione in modo separato da tutto il resto. In una trasformazione chimica viene definito sistema l’insieme delle sostanze che partecipano alla reazione, mentre il recipiente di reazione, l’aria circostante e lo spazio fisico in cui si opera costituiscono l’ ambiente. Il sistema e l’ambiente formano ciò che in termodinamica è chiamato universo (figura 16.3). CH/142 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 16 Energia e velocità delle reazioni chimiche 16.3 Entalpia e calore di reazione I n un sistema chimico il trasferimento di energia tra il sistema e l’ambiente può avvenire in due modi: attraverso scambi di calore e attraverso scambi di lavoro. Il calore corrisponde all’energia trasferita da un corpo a temperatura maggiore a un corpo a temperatura minore, mentre il lavoro è l’energia scambiata attraverso azioni meccaniche. Per esempio, si scambia lavoro tra sistema chimico e ambiente, quando in una reazione fatta avvenire all’interno di un cilindro chiuso da pistone mobile si produce un gas. Il gas espandendosi esercita una pressione sul pistone e lo spinge verso l’alto. Se una reazione chimica avviene in un recipiente rigido, chiuso ermeticamente, che non permette variazioni di volume, la reazione avviene a volume costante. In questo caso tutta l’energia viene trasferita sotto forma di calore, in quanto non è possibile nessuno scambio di lavoro tra sistema e ambiente. Si può dimostrare che il calore scambiato a volume costante (Q v) corrisponde alla variazione di energia interna del sistema: ΔU = Q v 씰 La variazione di energia interna di un sistema è uguale al calore scambiato a volume costante. Generalmente le reazioni chimiche avvengono in recipienti aperti alla pressione atmosferica. In questo tipo di trasformazioni, che avvengono a pressione costante, il calore scambiato (Q p) non corrisponde alla variazione di energia interna, ma è uguale alla variazione di un’altra funzione termodinamica, l’entalpia (H). Anche l’entalpia è una funzione di stato, per cui la variazione di entalpia ΔH si ottiene dalla differenza tra l’entalpia dei prodotti H prodotti e l’entalpia dei reagenti H reagenti: L’unità di misura dell’entalpia è il joule. ΔH = H prodotti – H reagenti = Q p 씰 La variazione di entalpia di una reazione chimica che avviene a pressione costante è uguale al calore scambiato. Il calore scambiato a pressione costante viene comunemente chiamato anche calore di reazione. Seguiamo ora le trasformazioni di energia termica nelle reazioni, prendendo come esempio la reazione di ossidazione del carbonio, in pratica il carbone che brucia: C(s) + O2(g) → CO2(g) Durante questa reazione si ha produzione di calore. Più precisamente, quando una mole di carbonio C reagisce con una mole di ossigeno O2 per formare una mole di diossido di carbonio CO2 si liberano 393,5 kJ di calore. Nelle equazioni chimiche la quantità di energia che si libera viene scritta dopo le formule dei prodotti. Nel nostro caso perciò scriviamo: O2 C ➔ R e a z io ne esote C(s) + O2(g) → CO2(g) + 393,5 kJ/mol CO2 STABILITÀ 393,5 kJ / mol ENERGIA CHIMICA + rm ic a FIGURA 16.6 Un atomo di carbonio reagisce con una molecola di ossigeno e forma una molecola di diossido di carbonio, che ha due doppi legami. Con la formazione di questi nuovi legami il sistema è più stabile, perché le molecole hanno minore energia chimica di quella dei reagenti; ciò provoca la liberazione di 393,5 kJ/mol di energia. 씰 Una reazione che avviene con produzione di calore viene definita reazione esotermica. Da dove proviene l’energia che si libera dalla reazione esotermica? Evidentemente i prodotti si trovano in una condizione di maggiore stabilità rispetto ai reagenti e hanno una energia chimica minore; tutto ciò è una conseguenza della presenza di legami più forti nei prodotti rispetto ai reagenti (figura 16.6). Poiché i prodotti hanno una entalpia minore rispetto ai reagenti, la differenza di entalpia ha valore negativo e il ΔH è inferiore a 0. Per la reazione del carbone che brucia la differenza di entalpia vale perciò: ΔH = H CO2 – H C + O2 = – 393,5 kJ mol 씰 Sono reazioni esotermiche quelle per le quali ΔH < 0. CH/144 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio 16 Energia e velocità delle reazioni chimiche Consideriamo ora la reazione del carbonato di calcio CaCO3 che col calore si decompone in ossido di calcio CaO e diossido di carbonio CO2. Questa reazione non avviene se non forniamo energia. Per far decomporre una mole di carbonato di calcio sono necessari 176 kJ di calore. L’equazione chimica, arricchita delle informazioni riguardanti l’energia, va scritta pertanto: Nelle reazioni endotermiche i prodotti hanno caratteristiche di minore stabilità rispetto ai reagenti, che hanno legami più forti. I prodotti possiedono perciò una entalpia maggiore di quella dei reagenti (figura 16.7); in questo caso la differenza di entalpia ha valore positivo e il ΔH è superiore a 0. Per esempio, nella reazione di decomposizione del carbonato di calcio abbiamo che: ΔH = H CaO + CO2 – H CaCO3 = +176 kJ/mol per cui possiamo scrivere: CaCO3(s) → CaO(s) + CO2(g) ΔH = 176 kJ/mol 176 kJ/mol 씰 Una reazione che avviene con consumo di calore viene definita reazione endotermica. + ENERGIA CHIMICA Il valore dell’energia che è prelevata dall’esterno è indicato al primo membro dell’equazione chimica. CO2 CaO CaCO3(s) + 176 kJ/mol → CaO(s) + CO2(g) CaO + C O2 CaCO 3 ➔ Re a z io n e e n d STABILITÀ CAPITOLO o t e rm ic a FIGURA 16.7 La decomposizione del carbonato di calcio CaCO3 avviene con assorbimento di 176 kJ/mol di energia, perché nella reazione si passa da un reagente stabile e con legami forti a prodotti con legami complessivamente più deboli, CaO e CO2, meno stabili e con energia chimica maggiore. 씰 Sono reazioni endotermiche quelle per le quali ΔH > 0. Nelle reazioni esotermiche l’energia chimica contenuta nelle molecole si trasforma in energia termica; nelle reazioni endotermiche si ha trasformazione di energia termica in energia chimica. Se una reazione rilascia energia quando procede in una direzione, essa deve assorbire una eguale quantità di energia per andare nella direzione opposta. Invertire la direzione di una reazione equivale a cambiare il segno della variazione di entalpia. La reazione tra due molecole di biossido d’azoto NO2 per formare una molecola di ipoazotide N2O4 ne fornisce un semplice esempio. Quando due molecole di NO2 collidono, esse formano un legame chimico con una reazione che rilascia energia (figura 16.8). La reazione di decomposizione della molecola di N2O4, invece, avviene con assorbimento di energia, perché si formano le molecole meno stabili di NO2. FIGURA 16.8 Quando due molecole di biossido di azoto NO2 si uniscono per formare ipoazotide N2O4 (in alto), si libera energia; quando una molecola di N2O4 si scinde in due molecole di NO2 (in basso), l’energia viene sottratta all’ambiente. Si libera energia O O O N + N O O N O Si forma il legame Reagenti N Prodotti O O L’energia chimica del sistema è diminuita. L’ambiente ha acquistato energia. Si assorbe energia O N O O O N N O Il legame si rompe Prodotti O + N Reagenti O O L’energia chimica del sistema è aumentata. L’ambiente ha ceduto energia. CH/145 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 16 Energia e velocità delle reazioni chimiche PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 1. L’ottano C8H18 è un combustibile liquido che brucia con ossigeno secondo la seguente reazione: 2C8H18(l) + 25O2(g) → 16CO2(g) + 18H2O(l) + 10 930 kJ Indica se la reazione è esotermica o endotermica e determina la variazione di entalpia ΔH della reazione, quando vengono bruciati 369 g di ottano. 1. Il propano C3H8 è un combustibile utilizzato nei laboratori chimici. Quale quantità di calore in kJ si può ottenere dalla seguente reazione, se bruciamo 500 g di propano? La reazione è esotermica in quanto il valore dell’energia scritto a destra nell’equazione chimica, che equivale a un prodotto della reazione, è positivo. L’equazione ci dice inoltre che bruciando 2 moli di ottano si liberano 10930 kJ di calore; ciò significa che per ogni mole di ottano se ne liberano 10930 / 2 = 5465 kJ/mol. Poiché la massa molare dell’ottano è 114 g/mol, 369 g corrispondono a: ↓ 3CO2(g) + 4H2O(l) + 2220 kJ/mol C3H8(l) + 5O2(g) 2. Classifica le seguenti reazioni come esotermiche o endotermiche e indica il segno della variazione di entalpia ΔH della reazione: H2(g) + Cl2(g) → 2HCl(g) + 184,62 kJ/mol NH3(g) + HCl(g) → NH4Cl(s) + 176 kJ/mol 369 g = 3,24 mol 114 g/mol La variazione di entalpia corrisponde al calore complessivamente liberato dalle 3,24 moli di ottano presenti, col segno negativo essendo la reazione esotermica: ΔH = –5465 kJ/mol × 3,24 mol = –17707 kJ 16.4 Entalpia standard di formazione L a variazione di entalpia ΔH di una reazione dipende dalle condizioni in cui la trasformazione si svolge. È quindi necessario fissare condizioni di riferimento, definite condizioni standard, in modo da poter confrontare tra loro i valori di ΔH. Le condizioni da specificare sono la pressione, la temperatura e, nel caso siano presenti soluzioni, la concentrazione. In termodinamica le condizioni standard sono: • pressione 1 bar; • temperatura 25 °C; • concentrazione 1 M. Una variazione di entalpia misurata in queste condizioni è chiamata variazione di entalpia standard ed è indicata con ΔH° (delta acca zero). Da quanto abbiamo detto nel paragrafo precedente appare chiaro che, per conoscere la differenza di entalpia ΔH di una reazione, dobbiamo conoscere il valore di entalpia di ogni sostanza che prende parte alla reazione o che in essa si forma. Esiste un metodo più semplice per ricavare la variazione di entalpia di ogni possibile trasformazione. Ogni composto chimico ha un proprio specifico valore di entalpia, chiamato entalpia standard di formazione, indicato con ΔH°formazione e riferito a una mole di sostanza. L’entalpia standard di formazione di una specie chimica è l’energia termica relativa alla formazione di tutti i legami che la costituiscono, a partire dagli elementi costitutivi nella loro forma più stabile e in condizioni standard. Per gli elementi l’entalpia di formazione è nulla. 씰 L’entalpia standard di formazione di un composto corrisponde al calore sviluppato o assorbito quando una mole di quel composto nel suo stato standard si forma a partire dagli elementi costituenti. L’entalpia standard di formazione può essere utilizzata per determinare la variazione dell’entalpia standard in qualsiasi reazione. Consideriamo la reazione di formazione dell’ossido di calcio CaO a partire dagli elementi costituenti, calcio Ca e ossigeno O2: Ca(s) + ½O2(g) → CaO(s) + 634,9 kJ/mol CH/146 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 16 Energia e velocità delle reazioni chimiche Quando una mole di calcio metallico reagisce con mezza mole di ossigeno per formare una mole di ossido di calcio, si liberano 634,9 kJ di calore. Questo valore corrisponde all’entalpia di formazione del CaO, dato che i reagenti sono entrambi elementi nelle condizioni standard, per i quali l’entalpia di formazione è 0. Con lo stesso procedimento si può ricavare l’entalpia di formazione standard per tutti i composti. Se si conoscono le entalpie di formazione dei composti che partecipano a una reazione, si può risalire alla variazione di entalpia standard della reazione ΔH°reazione attraverso il seguente calcolo: ΔH°reazione = (ΣΔH°formazione prodotti) – (ΣΔH°formazione reagenti) dove il simbolo Σ sta a indicare «la sommatoria di». Nella tabella 16.1 è riportata l’entalpia di formazione standard di alcuni composti comuni. Formula Nome CH4(g) C2H6(g) C3H8(g) C4H10(g) C4H10(l) C2H4(g) CH3OH(l) C2H5OH(l) C12H22O11(s) CO(g) CO2(g) CaCO3(s) CaO(s) HCl(g) H2O(l) H2O(g) NH3(g) NO(g) NO2(g) N2O4(g) NaCl(s) NaOH(s) SO2(g) SO3(g) Metano Etano Propano Butano Butano Etilene Metanolo Etanolo Saccarosio (zucchero) Monossido di carbonio Diossido di carbonio Carbonato di calcio Ossido di calcio Acido cloridrico Acqua Acqua Ammoniaca Monossido di azoto Biossido di azoto Ipoazotide Cloruro di sodio Idrossido di sodio Biossido di zolfo Triossido di zolfo Entalpia di formazione standard ΔH°formazione (kJ/mol) –74,6 –84,0 –103,8 –125,7 –147,3 +52,4 –239,2 –277,6 –2226,2 –110,5 –393,5 –1207,6 –634,9 –92,3 –285,8 –241,8 –45,9 +91,3 +33,2 +11,1 –411,2 –425,6 –296,8 –395,8 TABELLA 16.1 Entalpia di formazione ΔHformazione di alcuni composti, riferita a 1 mole a condizioni standard. 16.5 Reazioni di combustione e calore L e reazioni di combustione sono le reazioni più comuni, da sempre usate per la produzione di energia sotto forma di calore. Bruciando all’aria il legno, la carta, il metano, il petrolio e tutti i suoi derivati, gli atomi di idrogeno e carbonio contenuti in questi materiali si combinano con l’ossigeno dell’aria per dare acqua e diossido di carbonio, secondo un’equazione chimica che per un generico idrocarburo è: CnHm + (n + m /4)O2 → nCO2 + (m /2)H2O + kJ Nel corso delle reazioni di combustione si liberano elevate quantità di energia termica. Anche gli atomi di idrogeno e di carbonio contenuti nei cibi di cui ci nutriamo reagiscono nel nostro organismo con reazioni di A APPROFONDIMENTO Il potere calorifico dei combustibili CH/147 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 16 Energia e velocità delle reazioni chimiche combustione. In modo graduale e controllato, idrogeno e carbonio si legano con l’ossigeno che respiriamo per formare ancora diossido di carbonio e acqua e per liberare energia. Per quale motivo dalle reazioni di combustione si libera sempre tanta energia? Abbiamo visto che, se una reazione avviene con rottura di legami deboli e formazione di legami forti, la reazione è esotermica e si ha produzione di energia. Sappiamo anche che l’energia di legame dipende dalla lunghezza di legame e, più precisamente, che i legami corti sono più forti dei legami lunghi, perché vi è maggiore interazione tra i nuclei degli atomi legati (cfr. § 11.13). Ebbene, i prodotti delle reazioni di combustione, diossido di carbonio e acqua, sono caratterizzati da legami corti ed estremamente forti. Il risultato è la liberazione di grandi quantità di calore. PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 2. Utilizzando i dati della tabella 16.1, calcola l’entalpia di combustione del butano liquido C 4H10(l). 3. Utilizzando i dati della tabella 16.1, calcola l’entalpia di combustione dell’etilene C2H4(g). Scriviamo prima l’equazione bilanciata della reazione di combustione tra butano e ossigeno, con formazione di diossido di carbonio e acqua. 2C 4 H10(l) + 13O2(g) → 8CO2(g) + 10H2O(l) La tabella delle entalpie di formazione mostra i valori di ΔH° formazione per il C4H10(l) = –147,3 kJ/mol; per il CO2(g) = –393,5 kJ/mol; per l’H2O(l) = –285,8 kJ/mol. Per l’O2(g), come per tutti gli elementi, il valore è nullo. Nel calcolo occorre considerare che il ΔH° combustione è riferito a 1 mole di C4H10 e pertanto i coefficienti stechiometrici degli altri composti vanno dimezzati: 13/2 per O2, 4 per CO2, 5 per H2O. L’entalpia di combustione si ricava dalla differenza tra la sommatoria delle entalpie di formazione dei prodotti e la sommatoria di quelle dei reagenti: PER SAPERNE DI PIÙ ΔH° formazione prodotti ) – (ΣΔH° formazione reagenti ) = combustione = (ΣΔH° = [(4 × ΔH° formazione CO2(g)) + (5 × ΔH° formazione H2O(l))] – [(1 × ΔH° formazione C4H10(l)) + + (13/2 × ΔH° O )] = {[4 × (–393,5 kJ/mol)] + [5 × (–285,8 kJ/mol)]} – 2(g) formazione – {[1 × (–147,3 kJ/mol)] + (13/2 × 0)} = –2855,7 kJ/mol L’idrogeno, un combustibile alternativo Alcune automobili a idrogeno sono già disponibili. L’industria automobilistica BMW, per esempio, ha costruito un veicolo prototipo che utilizza come carburante idrogeno liquido, sistemato in un serbatoio pressurizzato. Il prezzo dei veicoli che usano la tecnologia a idrogeno è ancora molto alto. I problemi di inquinamento e di impoverimento delle risorse hanno incoraggiato negli ultimi tempi la ricerca di combustibili alternativi agli idrocarburi. In particolare sono stati sviluppati progetti basati sull’uso dell’idrogeno come combustibile, che sfruttano l’energia liberata dalla reazione: 2H2 + O2 → 2H2O La combustione dell’idrogeno fornisce la maggior quantità di energia per grammo di qualsiasi altro combustibile e il prodotto dell’ossidazione, l’acqua, è assolutamente non inquinante. Il ricorso all’idrogeno come combustibile permette di evitare l’emissione di CO2 (il principale gas serra) e di ossidi di zolfo (responsabili delle piogge acide). Le uniche emissioni inquinanti potrebbero essere gli ossidi di azoto, ma in quantità trascurabili. Per una produzione di idrogeno su larga scala si potrebbero utilizzare, in una prima fase, i combustibili fossili, come il carbone e il gas naturale. Il carbone può essere fatto reagire con l’acqua per produrre idrogeno e CO2. L’idrogeno è poi usato come combusti- bile, ma il CO2 deve essere smaltito, confinandolo in cavità del sottosuolo come giacimenti di petrolio esauriti. Se l’idrogeno potesse essere ottenuto dall’acqua a basso costo, si avrebbero enormi vantaggi. Potrebbe infatti essere preparato e conservato nel posto stesso dove viene consumato, così da utilizzarlo sia su larga scala nelle industrie sia su piccola scala nelle automobili. L’impiego dell’idrogeno come combustibile è dal punto di vista ambientale il più corretto ed è praticamente innocuo, quando l’elemento è ottenuto dall’acqua utilizzando come fonte di energia il Sole. Questo processo, però, non è ancora efficiente per applicazioni su larga scala. Attualmente l’idrogeno come combustibile è usato soprattutto nelle navette spaziali. Il serbatoio sganciabile di una navetta contiene 1,46·106 L di H2 e 5,43·105 L di O2. Questi veicoli usano anche un dispositivo, chiamato cella a combustibile, che produce elettricità direttamente dalla reazione chimica di idrogeno con ossigeno. CH/148 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 16 Energia e velocità delle reazioni chimiche 16.6 La legge di Hess S e bruciamo il carbone in presenza di poco ossigeno, abbiamo la formazione dell’ossido di carbonio CO, detto anche monossido di carbonio, secondo la reazione esotermica (1): (1) C(s) + ½O2(g) → CO(g) ΔH °1 = –110,5 kJ/mol L’ossido di carbonio può ancora reagire con l’ossigeno per dare diossido di carbonio, con una seconda reazione esotermica (2): (2) CO(g) + ½O2(g) → CO2(g) ΔH °2 = –283,0 kJ/mol Se invece il carbonio brucia in eccesso di ossigeno, si produce direttamente diossido di carbonio. Abbiamo la reazione esotermica (3): (3) C(s) + O2(g) → CO2(g) ΔH °3 = –393,5 kJ/mol Germain-Henri Hess (1802-1850), chimico russosvizzero, è noto principalmente per gli studi termodinamici sulle reazioni chimiche. Propose nel 1840 la legge che porta il suo nome, che permette di ricavare il calore di reazione anche nei casi in cui sia impossibile una sua misura diretta. La legge di Hess può essere considerata analoga alla legge di conservazione dell’energia, riferita ai fenomeni chimici. Notiamo che se sommiamo la prima alla seconda reazione, otteniamo esattamente la terza, non solo per quel che riguarda le sostanze reagenti e i prodotti, ma anche per la quantità di energia liberata sotto forma di calore. Verifichiamo infatti la validità della seguente relazione: Questa affermazione prende il nome di legge di Hess. L’utilità della legge di Hess è evidente quando vogliamo determinare la variazione di entalpia complessiva nel caso di reazioni chimiche in serie, poiché possiamo prendere in considerazione solo le condizioni iniziali e finali. Per fare un semplice esempio, riprendiamo in esame la reazione descritta alla fine del § 16.3 con la quale il biossido di azoto NO2 si trasforma in ipoazotide N2O4: 2NO2(g) → N2O4(g) Immaginiamo che la reazione della figura 16.10 proceda come illustrato in basso. Inizialmente due molecole di NO2 si decompongono in molecole di azoto N2 e ossigeno O2, che reagiscono tra loro per formare N2O4: CO C + 1/2 O ⎯ 2 → CO + 1 /2 O2 ⎯→ STABILITÀ 110,5 2 283,0 kJ/mol 씰 La quantità di calore messa in gioco in una reazione chimica dipende dall’energia chimica dei reagenti e dei prodotti e non dal cammino effettivamente percorso dalla reazione. C+O ENERGIA CHIMICA In altre parole, se una reazione avviene in più stadi intermedi oppure attraverso un passaggio diretto, la quantità di calore prodotta o richiesta è sempre la stessa. Infatti, ciò che conta è la differenza di energia chimica tra lo stato iniziale (C + O2) e lo stato finale (CO2) (figura 16.9). 393,5 kJ/mol ΔH °3 = ΔH °1 + ΔH °2 CO2 CO2 FIGURA 16.9 Il carbonio può reagire con l’ossigeno per formare diossido di carbonio CO2 mediante un’unica reazione o mediante due reazioni successive, nelle quali si ha come prodotto intermedio il monossido di carbonio CO. La quantità di energia sviluppata dalla reazione diretta è uguale alla somma delle quantità di energia sviluppate dalle reazioni parziali. 2NO2(g) → N2(g) + 2O2(g) → N2O4(g) N2O4 NO2 NO2 ΔH diretta + REAZIONE DIRETTA e n io siz ΔH sin po om te si ec d ΔH REAZIONE DI DECOMPOSIZIONE FIGURA 16.10 La variazione di entalpia che si verifica nella reazione diretta di trasformazione del biossido di azoto NO2 in ipoazotide N2O4 può essere calcolata sommando le variazioni di entalpia delle due reazioni, di decomposizione e di sintesi, che si hanno nel caso di un passaggio intermedio tra NO2 e N2O4. O2 N2 + REAZIONE DI SINTESI O2 + ΔH diretta = ΔH decomposizione + ΔHsintesi CH/149 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 16 Energia e velocità delle reazioni chimiche PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 3. Conoscendo la variazione di entalpia standard ΔH° relativa alle seguenti reazioni: a) O2(g) + ½N2(g) → NO2(g) ΔH° = +33,2 kJ/mol b) N2(g) + 2O2(g) → N2O4(g) ΔH° = +11,1 kJ/mol calcola la variazione di entalpia ΔH° relativa alla reazione per la produzione di ipoazotide a partire dal biossido di azoto 2NO2(g) → N2O4(g). 4. Calcola la variazione di entalpia ΔH° della reazione: Il composto ipoazotide N2 O4 , prodotto finale della reazione della quale dobbiamo calcolare la variazione di entalpia ΔH°, è il prodotto della reazione b). In primo luogo moltiplichiamo per 2 i coefficienti della reazione a), e quindi anche il relativo valore del ΔH°, e invertiamone il senso, invertendo anche il segno del ΔH°. Abbiamo la reazione a*): 2NO2(g) → N2(g) + 2O2(g) ΔH°reazione = –66,4 kJ/mol; NO(g) + ½O2(g) → NO2(g) ΔH°reazione = –57,0 kJ/mol a*) 2NO2(g) → 2O2(g) + N2(g), la cui variazione di entalpia diventa: ΔH° = –(+33,2 × 2) kJ/mol = –66,4 kJ/mol Sommiamo poi la reazione a*) alla reazione b) e otteniamo, sommando anche i rispettivi valori di ΔH°: 2NO2(g) + N2(g) + 2O2(g) → 2O2(g) + N2(g) + N2O4(g) ΔH° = (–66,4 + 11,1) kJ/mol = –55,3 kJ/mol A questo punto eliminiamo dall’equazione chimica 2O2 e N2, che compaiono sia tra i reagenti sia tra i prodotti e quindi non partecipano alla reazione, e abbiamo così la reazione finale con il valore di variazione di entalpia cercato: 2NO2(g) → N2O4(g) ΔH° = –55,3 kJ/mol In generale, per risolvere problemi che richiedono di calcolare la variazione di entalpia facendo ricorso alla legge di Hess, occorre tenere presenti i seguenti punti: 1. quando una reazione è scritta nella direzione opposta, si deve cambiare il segno del ΔH°; 2. se tutti i coefficienti di un’equazione sono moltiplicati o divisi per lo stesso fattore, il valore di ΔH° deve essere anch’esso moltiplicato o diviso per lo stesso fattore; 3. i valori di ΔH° ottenuti vanno sommati; 4. nell’equazione risultante dalla somma delle equazioni relative ai passaggi intermedi bisogna cancellare da entrambi i lati le formule delle stesse sostanze che si presentano nel medesimo stato di aggregazione (solido, liquido, gassoso). N2(g) + O2(g) → 2NO(g) sapendo la variazione di entalpia ΔH° delle seguenti reazioni: 5. Conoscendo la variazione di entalpia ΔH° delle seguenti reazioni: a) C2H2(g) + 5/2O2(g) → 2CO2(g) + H2O(l) ΔH°reazione = –1301,1 kJ/mol; b) C(s) + O2(g) → CO2(g) ΔH°reazione = –393,5 kJ/mol; c) H2(g) + ½ O2(g) → H2O(l) ΔH°reazione = –285,8 kJ/mol; calcola il ΔH° della reazione: 2C(s) + H2(g) → C2H2(g) 16.7 Calore di reazione e vita Q ualunque sistema vivente, per crescere, per spostarsi, per riprodursi, per mantenere costante la propria temperatura e per ogni altra funzione vitale, ha bisogno di energia. L’energia deriva, direttamente o indirettamente, dalla ossidazione delle sostanze nutritive che entrano nell’organismo. Queste sostanze vengono trasformate chimicamente attraverso una lunga serie di reazioni chimiche. Quasi tutti gli atomi di carbonio e di idrogeno contenuti nelle molecole delle sostanze nutritive vengono usati per formare, rispettivamente, diossido di carbonio e acqua. Il riassunto di decine di reazioni chimiche è nelle due reazioni esotermiche: C + O2 → CO2 H2 + ½O2 → H2O FIGURA 16.11 I nostri cibi contengono sostanze organiche dalla cui combustione si libera energia. Il nostro corpo sarebbe irrimediabilmente danneggiato, se questa energia si liberasse tutta in una volta. Le reazioni biologiche avvengono per tappe: si produce la stessa quantità di energia totale, ma con gradualità. ΔH° = – 393,5 kJ/mol ΔH° = – 285,8 kJ/mol Anche se le reazioni nei viventi procedono attraverso lunghi percorsi che prevedono numerosi stadi intermedi, la quantità di energia che si produce alla fine è la stessa, così come è espresso dalla legge di Hess. Quando facciamo avvenire la combustione di atomi di carbonio e di idrogeno, determiniamo la liberazione di una grande quantità di energia e si sviluppa una fiamma. Se ciò avvenisse anche nel nostro organismo, ogni volta che mangiamo dovremmo bruciarci. Invece, nei viventi la combustione delle sostanze nutritive avviene attraverso tante diverse reazioni, con produzione continua e controllata di piccole quantità di energia (figura 16.11). CH/150 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 16 Energia e velocità delle reazioni chimiche Dato che la quantità di energia prodotta non dipende dalle reazioni intermedie, ma solo dalla composizione chimica iniziale e da quella finale, misurando la quantità di calore che un alimento produce quando brucia al di fuori del nostro organismo, possiamo conoscere la quantità di energia che lo stesso alimento produce dentro di noi. Per esempio, se vogliamo sapere quanta energia ci siamo procurati per aver mangiato una tavoletta di cioccolata da un etto, basta misurare quanto calore si ottiene dalla combustione di 100 g di quella cioccolata. La quantità di calore prodotta da una combustione si misura, come tutte le quantità di energia, in joule. Correntemente per indicare il contenuto energetico dei cibi si usa, invece, la caloria (cal), che equivale a 4,186 J. 씰 Il valore calorico di un alimento è la quantità di calore, espressa in calorie, prodotta dalla combustione dell’unità di massa dell’alimento. La caloria è la quantità di energia necessaria per far aumentare di 1 grado (da 14,5 °C a 15,5 °C) la temperatura di 1 grammo d’acqua. Nella tabella 16.2 riportiamo il valore calorico di alcuni alimenti. Noci Grissini Prosciutto cotto Carne di maiale (grassa) Parmigiano Prosciutto crudo Riso Pasta Ricotta Piselli secchi Pane Mozzarella Olive nere Carne di pollo Uova Carne di maiale (magra) Olive verdi 660 435 412 400 374 371 355 347 328 306 280 243 234 175 155 148 142 Carne di bue (magra) Carne di manzo (magra) Fagioli Carne di agnello Sogliola Vino Patate Banane Latte Mele Birra Carote gialle Arance Spinaci Pesche Pomodori Insalata 129 113 104 101 83 75 67 66 65 46 34 33 33 31 27 19 19 TABELLA 16.2 Valore calorico di alcuni alimenti, indicato in kcal prodotte da 100 g di alimento. 16.8 Spontaneità delle reazioni chimiche ed entropia NH4Cl A bbiamo fin qui preso in esame il contenuto di energia dei composti e abbiamo studiato la produzione o l’assorbimento di calore dovuto alle reazioni chimiche. Queste conoscenze, però, non sono ancora sufficienti per stabilire se in determinate condizioni una certa reazione può effettivamente avvenire oppure no. Generalmente le reazioni esotermiche sono spontanee, perché portano a uno stato di minore energia chimica dei composti. L’eccesso di energia è ceduto all’ambiente sotto forma di calore. La maggior parte delle reazioni che abbiamo incontrato è di questo tipo. Si tratta di un comportamento abbastanza comune, ma non di una regola. Infatti si conoscono anche molte reazioni e fenomeni esotermici non spontanei e altre reazioni e fenomeni endotermici ma spontanei. Per esempio, sciogliamo in acqua pochi cristalli di cloruro di ammonio NH 4 Cl, tenendo in mano il becher in cui facciamo avvenire la reazione. Al contatto sentiamo il becher diventare più freddo: il passaggio in soluzione dei cristalli assorbe calore dall’ambiente (figura 16.12). Il fenomeno è endotermico, ma è avvenuto ugualmente in modo spontaneo. FIGURA 16.12 I cristalli di cloruro di ammonio NH4Cl si sciolgono in acqua assorbendo calore dall’ambiente circostante. Il recipiente dà una sensazione di freddo. CH/151 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 16 Energia e velocità delle reazioni chimiche La previsione della spontaneità di una trasformazione fisica o di una reazione chimica richiede di tener conto non solo dell’energia in gioco, nel caso delle reazioni cioè del calore ceduto o assorbito durante il loro svolgimento, ma anche dell’entropia. Abbiamo già conosciuto l’entropia come una grandezza di stato correlata al grado di disordine del sistema (cfr. § 0.8). L’aumento del disordine, cioè dell’entropia, viene raggiunto spontaneamente, perché è più probabile. Il passaggio a uno stato ordinato è invece poco probabile e generalmente non spontaneo. Per chiarire il significato della variazione di entropia in una reazione chimica prendiamo in esame una generica reazione: A + 3B → 2C + 4D. L’equazione chimica ci dice che da 4 moli di reagenti (1 di A e 3 di B) si formano 6 moli di prodotti (2 di C e 4 di D). La situazione finale è sicuramente più disordinata della situazione iniziale, perché ci sono più molecole e queste possono distribuirsi in più modi diversi, aumentando il disordine all’interno del recipiente di reazione. La reazione tende perciò a evolvere in maniera spontanea verso i prodotti, almeno per quanto riguarda il fattore entropia. L’esempio del cloruro di ammonio NH 4 Cl che abbiamo sopra descritto evidenzia la spontanea tendenza a sciogliersi a causa dell’aumento di entropia, sebbene la dissoluzione di questo sale sia un fenomeno endotermico. Il cloruro di ammonio sciolto in acqua, infatti, è in uno stato più disordinato per la formazione degli ioni NH +4 e Cl– dispersi all’interno del solvente. 씰 Ogni sistema evolve spontaneamente verso lo stato a massima entropia, che corrisponde alla condizione di massima probabilità. La lettera G deriva dall’iniziale di Josiah Willard Gibbs (1839-1903), matematico, chimico e fisico statunitense. Studiò i sistemi eterogenei in equilibrio e si interessò di termodinamica, alla quale applicò nuovi metodi matematici. Dunque la spontaneità dei processi chimici dipende sia dall’energia chimica dei composti, cioè dall’entalpia, sia dall’entropia. Oltre queste due, c’è una terza funzione di stato che completa la descrizione dei parametri energetici di un sistema: si tratta dell’energia libera o energia libera di Gibbs, indicata con la lettera G. L’energia libera tiene conto di entrambe le funzioni, l’entalpia H e l’entropia S, attraverso la relazione: G=H–T·S dove T è la temperatura assoluta espressa in kelvin. In realtà, poiché non è possibile misurare i valori assoluti assunti da entalpia ed entropia, ma solo le variazioni di queste funzioni nel corso delle reazioni chimiche, la relazione precedente è meglio scritta nella forma: ΔG = ΔH – T · ΔS LABORATORIO SEMPLICE Entalpia, entropia, energia libera cioè la variazione di energia libera è uguale alla differenza tra la variazione ΔS Δ Entropia ΔG Δ Energia libera ΔS > 0 Maggior disordine ΔG < 0 Processo spontaneo in tutte le condizioni ΔH > 0 Processo endotermico ΔS < 0 Minor disordine ΔG > 0 Processo non spontaneo in tutte le condizioni ΔH < 0 Processo esotermico ΔS < 0 Minor disordine ΔG < 0 oppure ΔG > 0 Dipende dalla prevalenza del valore di ΔH o di TΔS. Processi spontanei più probabili a basse temperature ΔH > 0 Processo endotermico ΔS > 0 Maggior disordine ΔG < 0 oppure ΔG > 0 Dipende dalla prevalenza del valore di ΔH o di TΔS. Processi spontanei più probabili ad alte temperature ΔH Δ Entalpia TABELLA 16.3 Le possibili combinazioni tra i valori di variazione di entalpia ΔH, di variazione di entropia ΔS e di temperatura assoluta T possono determinare valori di energia libera ΔG negativi, in questo caso le reazioni sono spontanee, o positivi, in questo caso non sono spontanee. ΔH < 0 Processo esotermico CH/152 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 16 Energia e velocità delle reazioni chimiche di entalpia e la variazione di entropia moltiplicata per la temperatura assoluta. Qual è il significato di questa relazione in termini di spontaneità delle reazioni chimiche? Prendiamo una qualsiasi reazione che avvenga alla temperatura T, misuriamo le variazioni di entalpia ΔH e di entropia ΔS che si registrano e ricaviamo il valore di energia libera ΔG. Se il valore di ΔG è negativo, cioè se l’energia libera diminuisce, la reazione è spontanea; se il valore di ΔG è positivo, l’energia libera aumenta e la reazione non è spontanea, ma richiede un intervento esterno per avvenire. In questo caso è spontanea la sua reazione inversa. Scendiamo a un maggior dettaglio e riassumiamo i possibili casi nella tabella 16.3. Se nel passaggio da reagenti a prodotti si libera calore (ΔH < 0) e l’entropia aumenta (ΔS > 0), l’energia libera sicuramente diminuisce (ΔG < 0) e la reazione è spontanea. Se, invece, il calore viene assorbito (ΔH > 0) e l’entropia diminuisce (ΔS < 0), l’energia libera certamente aumenta (ΔG > 0) e la reazione non è spontanea. Nei casi in cui il contributo delle due grandezze (ΔH e ΔS) alla spontaneità della reazione non sia concorde, non è possibile stabilire a priori se l’energia libera risultante è positiva o negativa, ma occorre verificare caso per caso la prevalenza di ΔH o di T·ΔS (figura 16.13). Per calcolare il ΔG di una reazione dobbiamo conoscere, oltre che la differenza di entalpia ΔH e la temperatura T, anche la differenza ΔS tra l’entropia dei prodotti e quella dei reagenti. La tabella 16.4 mostra il valore di entropia di alcune sostanze, riferito a una mole a 25 °C e 1 atm. I valori di ΔS sono molto piccoli rispetto ai valori di ΔH, per cui generalmente è la variazione di entalpia a determinare la spontaneità dei processi. Solo ad alte temperature il fattore entropico ΔS può influenzare il valore di ΔG. A B ΔS > 0 ΔH > 0 ΔH < 0 ΔG > 0 ΔG < 0 Spontanea ΔG − D 5,7 CH4(g) 186,3 C2H6(g) 229,6 CH3OH(l) 126,8 CO2(g) 213,7 Ca(s) 154,7 H2(g) 130,7 N2(g) 191,6 H2O(g) 188,8 H2O(l) 69,9 O2(g) 205,1 HCl(g) 186,9 92,9 CaCO3(s) TABELLA 16.4 Valori di entropia molare standard S° a 298 K di alcuni elementi e composti. Non spontanea + Spontanea ΔG ΔS < 0 ΔH < 0 ΔG > 0 − E Non spontanea + Spontanea ΔG ΔS > 0 ΔS < 0 ΔH > 0 ΔH > 0 ΔG < 0 Spontanea ΔG ΔH < 0 ΔG > 0 − − F ΔS > 0 Non spontanea + C(grafite) C ΔS < 0 Non spontanea + Entropia S° (J/K·mol) Composto o elemento Non spontanea + ΔG < 0 Spontanea ΔG − FIGURA 16.13 La spontaneità o non spontaneità delle reazioni chimiche dipende dalla differenza tra la variazione di entalpia ΔH, che può essere positiva o negativa, e il prodotto della temperatura per la variazione di entropia TΔS, che a sua volta può essere positivo o negativo. La variazione di energia libera, ΔG = ΔH –TΔS, può assumere valori positivi, in questo caso la reazione non è spontanea, o negativi, in questo caso la reazione è spontanea. Non spontanea + I Spontanea ΔG FIGURA PARLANTE CH/153 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio − CAPITOLO 16 Energia e velocità delle reazioni chimiche PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 4. Indica se la reazione CH4(g) + 2O2(g) → CO2(g) + 2H2O(l) è spontanea o non spontanea alla temperatura di 25 °C (ΔH = –890,8 kJ/mol; ΔS = –243 J/K mol). 6. Classifica le seguenti reazioni come spontanee o non spontanee alla temperatura di 25 °C. La funzione di stato che ci fornisce informazioni sulla spontaneità delle reazioni chimiche è l’energia libera di Gibbs, o meglio la sua variazione: ΔG = ΔH –TΔS Conoscendo ΔH, ΔS e la temperatura assoluta T = 25 + 273 = 298 K, ricaviamo la variazione di energia libera: PER SAPERNE DI PIÙ ΔG = –890,8 kJ/mol –[298 K × (–243 J/K mol)] = = –890,8 kJ/mol – (–72,4 kJ/mol) = –818,4 kJ/mol La variazione di energia libera che accompagna questo processo ha valore negativo e pertanto la reazione è spontanea. a) C(s) + O2(g) → CO2(g) (ΔH = –393,5 kJ/mol; ΔS = +3,0 J/K mol); b) N2(g) + 3F2(g) → 2NF3(g) (ΔH = –264 kJ/mol; ΔS = –278 J/K mol). Per misurare la quantità di calore ceduta o assorbita durante le reazioni si usa il calorimetro. Si tratta di un contenitore isolato al cui interno è inserito un termometro. I reagenti, di cui è nota la massa, vengono collocati nel contenitore (indicato con 3 in figura) e la reazione viene fatta partire. Se nella reazione si verifica assorbimento o cessione di calore, il trasferimento del calore avviene tra i componenti del sistema che reagisce e il calorimetro. Il calorimetro è rivestito di materiale isolante (indicato con 1 in figura) per impedire scambi di calore con l’ambiente esterno. Il calorimetro 6 5 1 3 2 Durante il tempo richiesto perché avvenga la reazione, il calorimetro e le sostanze che reagiscono si comportano come un sistema isolato. Se la reazione libera calore, l’acqua del bagno (indicata con 2 in figura) viene riscaldata e la temperatura segnata dal termometro sale (processo esotermico); se la reazione richiede calore, l’acqua del bagno si raffredda e la temperatura segnata dal termometro diminuisce (processo endotermico). Dal valore di innalzamento o abbassamento della temperatura si risale alla quantità di energia emessa o assorbita. 4 1) guscio esterno isolante 2) acqua del bagno 3) contenitore dei reagenti 4) reagenti 5) termometro 6) agitatore 16.9 Velocità delle reazioni chimiche A Cinetico • Che si riferisce al movimento. Dal greco kineo «muovo». bbiamo visto che, in base all’energia chimica delle molecole dei reagenti e dei prodotti e alla loro entropia, una reazione può o non può avvenire spontaneamente. Nel caso in cui la reazione proceda, come si svolge e in quanto tempo si completa? A queste domande risponde la cinetica chimica, la branca della chimica che studia la velocità delle reazioni e i fattori che la influenzano. Ma che cosa si intende per velocità di una reazione chimica? Nel corso di una reazione i reagenti si trasformano in prodotti. Col passare del tempo la quantità dei reagenti diminuisce e quella dei prodotti aumenta. Queste variazioni di quantità di materia si verificano in un certo tempo, più o meno lungo (figura 16.14). Come la velocità di un’automobile in km/h indica quanti kilometri si percorrono in un’ora, cioè esprime il rapporto tra la distanza e il tempo impiegato a percorrerla, così la velocità di reazione è il rapporto tra la quantità delle sostanze che si sono trasformate e il tempo impiegato perché la trasformazione sia avvenuta. CH/154 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 16 Energia e velocità delle reazioni chimiche velocità = (posizione finale – posizione iniziale) = Δposizione = Δs dell’automobile Δt (tempo finale – tempo iniziale) Δtempo (concentrazione finale – concentrazione iniziale) Δconcentrazione Δ[ ] velocità di = = reazione = (tempo finale – tempo iniziale) Δtempo Δt FIGURA 16.14 Tre familiari esempi di reazioni con velocità diversa. (A), coagulazione del latte quando vi si versa succo di limone, reazione veloce; (B) imbrunimento (ossidazione) della polpa di una mela tagliata, reazione lenta; (C), maturazione del vino, reazione molto lenta. A B C 씰 La velocità di reazione indica il numero delle moli di reagente che si trasforma, o il numero delle moli di prodotto che si forma, nell’unità di tempo. L’unità di tempo prescelta varia a seconda delle reazioni. Un’esplosione è una reazione che avviene in una frazione di secondo ed è una reazione chimica velocissima. Vi sono reazioni più lente, che avvengono in minuti o in ore. Vi sono reazioni lentissime, come l’arrugginirsi del ferro, o reazioni ancora più lente, come la formazione del petrolio, che richiedono anni o millenni. Affermare che la velocità di una reazione chimica è di cinque moli al minuto (5 mol/min) vuol dire che in un minuto si sono consumate cinque moli di reagente o si sono formate cinque moli di prodotto. Per determinare la velocità di una reazione chimica misuriamo la diminuzione della quantità dei reagenti o l’aumento della quantità dei prodotti. Queste misure sono eseguite, seguendo vari metodi analitici, dopo precisi intervalli di tempo. Dividendo la variazione di concentrazione per il tempo intercorso si ottiene la velocità di reazione. 16.10 Velocità e concentrazione dei reagenti L a velocità di una reazione chimica dipende da diversi fattori. Prendiamo in esame una generica reazione di decomposizione: A → B + C (cfr. § 15.1). In una reazione di questo tipo, per esempio PCl5 → PCl3 + Cl 2, un composto A si scinde e dà due composti, B e C. Se la quantità iniziale di A è piccola, nell’unità di tempo si formano piccole quantità di B e di C. Se, viceversa, abbiamo molte moli di A, le quantità di B e di C che si formano sono maggiori. Possiamo affermare che la velocità di una reazione di decomposizione è direttamente proporzionale alla concentrazione del reagente. Nel caso in esame, indicando con v la velocità di reazione e con [A] la concentrazione del reagente A, possiamo scrivere: v = k · [A]n dove k è una costante di proporzionalità, chiamata costante di velocità, e n è un coefficiente, determinato sperimentalmente, che dipende dal tipo di CH/155 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO A 100 Moli di reagente 80 60 40 20 0 0 1 2 3 4 B 100 Velocità di reazione minuti 80 60 40 20 0 0 1 2 3 4 minuti FIGURA 16.15 Una volta iniziata una reazione, la concentrazione del reagente diminuisce (A) e conseguentemente decresce anche la velocità di reazione (B). Se la velocità della reazione è tale che ogni minuto si dimezza il numero delle moli di reagente, dopo un minuto abbiamo la meta delle moli, dopo due minuti 1/4 delle moli e dopo tre minuti 1/8. A ogni dimezzamento del numero delle moli si dimezza anche la velocità di reazione. 16 Energia e velocità delle reazioni chimiche reazione. Nel caso della decomposizione del PCl 5 il valore di n è uguale a 1. Una reazione la cui velocità dipende dalla prima potenza della concentrazione di [A], cioè che ha n = 1, viene definita del primo ordine. Quando una formula chimica è scritta tra parentesi quadre indica la concentrazione molare della sostanza. Va inoltre ricordato che per le sostanze gassose la concentrazione si può esprimere come pressione parziale alla temperatura di reazione. Man mano che la reazione procede, la quantità del composto A diminuisce e quindi diminuisce la velocità di reazione, che è proporzionale alla concentrazione di A (figura 16.15). La velocità delle reazioni chimiche non è costante, ma tende a diminuire nel tempo. Esaminiamo altri tipi di reazione, per esempio quella tra una molecola A e una B per dare C e D, due nuove molecole: A + B → C + D. Mettiamo in un recipiente un certo numero di molecole di A e un uguale numero di B; misuriamo la velocità di formazione di C e D e troviamo che assume il valore x (figura 16.16 A). Ora raddoppiamo il numero di molecole di B, oppure il numero di molecole di A, e osserviamo che la velocità di formazione di C e D raddoppia, cioè diventa 2x (figura 16.16 B). La doppia quantità di molecole di B fa raddoppiare le probabilità di incontro con A. Il numero di urti molecolari è doppio e quindi si trasforma un numero doppio di molecole. Vediamo ora cosa succede se raddoppiamo sia la concentrazione di A sia quella di B: la velocità diventa 4x (figura 16.16 C). Ciò significa che c’è proporzionalità diretta tra concentrazione dei reagenti e velocità di reazione. In questo caso, la velocità dipende dalla costante di velocità e dal prodotto delle concentrazioni, secondo la relazione: v = k · [A]n · [B]m dove n ed m sono coefficienti determinati sperimentalmente. Se i coefficienti valgono entrambi 1, la somma degli esponenti (n + m) è 2; pertanto la reazione viene definita del secondo ordine. In altri casi la reazione è del terzo ordine, come quando nella reazione A + 2B → C i valori di n ed m determinati sperimentalmente sono rispettivamente 1 e 2. Non sempre i coefficienti n ed m corrispondono ai coefficienti stechiometrici. Per esempio, per alcune reazioni del tipo A + 2B + 2C → D si è sperimentalmente determinato che la velocità di reazione segue la relazione: v = k [A] [B] [C]; oppure per reazioni come 2A + 2B → C sperimentalmente si rileva che la velocità è: v = k [A] [B] [B] = k [A] [B] 2. Si tratta perciò in entrambi i casi di reazioni del terzo ordine, perché la somma degli esponenti è 3. L’ordine della reazione deve essere derivato una volta che è stata determinata sperimentalmente l’equazione della velocità. Generalizzando, per tutti i tipi di reazioni possiamo dire che: 씰 La velocità di una reazione chimica è direttamente proporzionale al prodotto delle concentrazioni dei reagenti, ognuna elevata a potenza avente per esponente un coefficiente determinato sperimentalmente. b SCHEDA DI LABORATORIO Influenza della concentrazione dei reagenti sulla velocità di una reazione Si conoscono anche alcune reazioni di decomposizione caratterizzate da velocità costante, che non varia in funzione della concentrazione del reagente. Queste reazioni vengono definite di ordine 0. L’espressione della velocità di questo tipo di reazioni può essere scritta: v = k ∙ [A]0 = k Le reazioni di ordine 0 sono tipiche delle reazioni catalizzate (vedi § 16.15). FIGURA 16.16 Quante più molecole vi sono in un determinato volume, cioè quanto più alta è la concentrazione, tanto più alta è la probabilità di urto e quindi la velocità della reazione. Le freccine verdi indicano le possibilità di urto. A B C CO NC ENTR AZIO NE CH/156 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 16.11 16 Energia e velocità delle reazioni chimiche Teoria degli urti e fattore sterico I n base a quanto detto nel paragrafo precedente, una reazione chimica avviene quando tra le particelle dei reagenti si verificano urti. Come vedremo nei prossimi paragrafi, tutti i fattori che fanno aumentare il numero degli urti tra le particelle dei reagenti provocano un aumento della velocità di reazione. È però necessario fare alcune precisazioni. Quando mescoliamo due sostanze per farle reagire, favoriamo gli urti casuali tra le loro molecole. Dato l’elevato numero di particelle presenti nei campioni di sostanza con cui lavoriamo, se tutti gli urti producessero la rottura dei legami dei reagenti, tutte le reazioni sarebbero velocissime. Le molecole si urtano continuamente, ma ciò non vuol dire che tutte in ogni caso si trasformino. Solo alcuni urti sono efficaci, cioè riescono a rompere proprio i legami che possono dar luogo ai nuovi composti. Il modello che spiega come avvengono le reazioni chimiche prende il nome di teoria degli urti, secondo cui: 씰 affinché una reazione chimica possa avvenire, le particelle dei reagenti devono scontrarsi attraverso urti efficaci; ciò significa che solo le particelle che collidono con la giusta orientazione e con sufficiente energia possono reagire. Prendiamo due atomi di idrogeno, caratterizzati da un elettrone in un unico orbitale sferico. Comunque si urtino, la possibilità di formare un legame covalente tra questi atomi è sempre la stessa e la reazione avviene quindi con molta facilità. Esaminiamo ora la reazione illustrata nella figura 16.17 A, in cui si vede la formazione di un legame covalente tra l’atomo di carbonio (in nero) del diossido di carbonio CO2 e l’atomo di ossigeno (in rosso) dell’acqua, con produzione di acido carbonico H2CO3. Questa reazione può avvenire solo se i due atomi si urtano opportunamente. Se l’urto avviene come indicato nella figura 16.17 B, la reazione non si verifica, perché non interagiscono gli atomi che possono effettivamente modificare i propri legami. Per formare un legame covalente tra due atomi di due molecole diverse occorre che l’urto riguardi in modo preciso gli orbitali dei due atomi che possono stabilire il nuovo legame. Facciamo un altro esempio. Se due molecole di bromuro di nitrosile NOBr vengono a contatto con la giusta orientazione, si trasformano in due molecole di ossido di azoto NO e una molecola di bromo Br2 (figura 16.18 A). La reazione ha successo, però, solo quando le due molecole si urtano con i loro atomi di bromo e non quando la collisione avviene tra gli atomi di ossigeno (figura 16.18 B). Generalizzando, nel caso di due molecole ABCDEF e GHILMN, in cui l’atomo A della molecola ABCDEF può combinarsi soltanto con l’atomo G del- ATTIVITÀ Reazioni e velocità di reazione A CO2 + H2O CO2 + H2O H2CO3 B FIGURA 16.17 (A), la reazione tra acqua H2O e diossido di carbonio CO2 comporta la formazione di un legame tra l’atomo di ossigeno di H2O e l’atomo di carbonio di CO2. Il legame può formarsi se l’urto avviene tra questi due atomi. (B), gli urti tra altri atomi non danno luogo ad alcuna reazione. A 2NOBr Br 2 + 2NO LA REAZIONE AVVIENE Orientazione idonea Urto efficace FIGURA 16.18 (A), due molecole di bromuro di nitrosile NOBr reagiscono per formare bromo Br2 e ossido di azoto NO dopo aver urtato con i loro due atomi di bromo. (B), gli urti che avvengono con orientazioni diverse non determinano alcuna reazione. I B FIGURA PARLANTE 2NOBr LA REAZIONE NON AVVIENE Orientazione non idonea Urto non efficace CH/157 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO Sterico • Che si riferisce alla dimensione spaziale, tridimensionale. Dal greco stereos «solido». 16 Energia e velocità delle reazioni chimiche la molecola GHILMN, la reazione avviene solo se, nella collisione tra le due molecole, A urta contro G. Tutti gli altri urti non sono efficaci. È evidente che tanto maggiore è il numero degli atomi delle molecole reagenti, tanto minore è la probabilità di urto nel punto giusto. La probabilità che le particelle urtino nel punto giusto, in modo che la reazione avvenga, si chiama fattore sterico della reazione. Il fattore sterico ha valore 1 nel caso della reazione tra due atomi di idrogeno, che reagiscono sempre, comunque si urtino. Il valore del fattore sterico è tanto minore di 1 quanto maggiore è il numero degli atomi presenti nelle molecole dei reagenti. La costante di velocità k tiene conto anche del fattore sterico. Al diminuire del fattore sterico diminuisce il valore di k e quindi diminuisce la velocità di reazione. 씰 A parità di altri fattori, la velocità di una reazione chimica è inversamente proporzionale al numero degli atomi delle molecole dei reagenti. 16.12 L’energia di attivazione I Si sconsiglia di mescolare idrogeno con ossigeno o con aria, perché la miscela potrebbe esplodere alla minima scintilla. l carbone, la benzina, la carta, il metano bruciano, cioè reagiscono con l’ossigeno dell’aria liberando energia sotto forma di calore. Ciò avviene perché nello stato finale le molecole hanno entalpia minore e entropia maggiore rispetto allo stato iniziale e per questo motivo le reazioni sono anche spontanee (cfr. § 16.8). Tuttavia, queste sostanze combustibili possono rimanere esposte all’aria per anni senza che si verifichi alcuna reazione. Perché? E come mai una scintilla o una piccola fiamma sono sufficienti per provocare uno spaventoso incendio? Anche l’idrogeno H2 reagisce attivamente con l’ossigeno O2, bruciando in modo esplosivo secondo la reazione: 2H2(g) + O2(g) → 2H2O(g) + 484 kJ Questa reazione libera calore e ha le caratteristiche energetiche per avvenire spontaneamente. Eppure è possibile conservare per anni idrogeno e ossigeno mescolati, senza che nulla si trasformi. Esaminiamo più in dettaglio reagenti e prodotti, mettendo in evidenza i legami chimici che uniscono gli atomi: O2 1 368 kJ 2• • • 1 852 kJ 2H + 2 O H ⎯ H + H ⎯ H + O === O → H ⎯ O ⎯ H + H ⎯ O ⎯ H 2 484 kJ ENERGIA CHIMICA 2H Reaz i one ➔ esot er mica 2H O 2 FIGURA 16.19 La reazione tra idrogeno H2 e ossigeno O2 con formazione di acqua può avvenire a condizione che le molecole dei reagenti abbiano l’energia necessaria per rompere i legami che uniscono gli atomi. Gli atomi poi reagiscono spontaneamente per dare il prodotto, l’acqua H2O. Perché la reazione avvenga e si formino quattro legami O ⎯ H, bisogna prima rompere i legami chimici tra gli atomi di idrogeno e quelli tra gli atomi di ossigeno. In base ai valori delle energie di legame, per rompere i legami esistenti in due moli di idrogeno e una di ossigeno occorrono 1 368 kJ. Se non forniamo questa energia ai reagenti o se i reagenti non hanno già questa energia, la reazione non avviene. Se, con una fiamma, forniamo l’energia richiesta, riusciamo a rompere i legami e otteniamo quattro atomi di idrogeno e due di ossigeno, molto più reattivi e capaci di unirsi spontaneamente. Si formano quattro legami O ⎯ H con liberazione di 1 852 kJ di energia. Consumiamo 1 368 kJ, ma ne otteniamo 1 852, con un ricavo netto di 484 kJ, cioè di 484/2 = 242 kJ per ogni mole di acqua (ΔH = – 242 kJ/mol) (figura 16.19). Avevamo reagenti che non reagivano da soli; li abbiamo attivati fornendo loro energia e siamo passati a un sistema che ha energia chimica inferiore. Ecco perché anche le reazioni che hanno i requisiti energetici per avvenire spontaneamente non avvengono, fino a che i reagenti non acquisiscono una determinata quantità di energia, detta energia di attivazione. 씰 L’energia di attivazione di una reazione è la quantità minima di energia che deve essere fornita ai reagenti perché la reazione possa avvenire. CH/158 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio Energia e velocità delle reazioni chimiche Possiamo dire che per trasformare un sistema A in uno B, che ha un contenuto di energia chimica inferiore, siamo obbligati a passare attraverso un sistema C, che ha energia chimica maggiore sia di quella iniziale sia di quella finale (figura 16.20). Il sistema C è chiamato complesso attivato. Per salire al sistema C occorre fornire energia, ma questa ci viene poi completamente restituita scendendo da C a B. La variazione di energia chimica che si determina passando attraverso C è la stessa che si avrebbe con un passaggio diretto da A a B. Possiamo anche dire che, per passare da un sistema A a un sistema B, bisogna superare un dosso di energia e che l’energia di attivazione è appunto l’energia richiesta per superare questo dosso energetico. Il carbone, la benzina, la carta dunque non bruciano con l’ossigeno dell’aria, se prima non forniamo l’energia di attivazione con la fiamma di un fiammifero, con una scintilla o in altre forme analoghe. Una volta avviata, la reazione procede con liberazione di energia e il calore prodotto è energia di attivazione per altre molecole, che proseguono così la reazione. Si è innescata una reazione a catena. Accendiamo il gas metano con un fiammifero, ma poi il calore della fiamma fornisce l’energia di attivazione, che permette alla combustione di svilupparsi anche in assenza di fiammifero (figura 16.21). Le reazioni che hanno una bassa energia di attivazione, cioè un dosso energetico poco pronunciato, possono prendere il via più facilmente, anche a bassa temperatura. Se invece il valore dell’energia di attivazione è alto, bisogna fornire molta energia per far partire la reazione, che ha meno probabilità di avvenire. L’energia di attivazione rappresenta un fabbisogno energetico in più, ma ha anche i suoi aspetti positivi. Se non ci fosse bisogno dell’energia di attivazione, a temperatura normale tutte le reazioni spontanee avverrebbero istantaneamente: il legno e la carta esposti all’aria si incendierebbero, lo stesso accadrebbe ai composti organici di cui è costituito il nostro corpo. Gli organismi riescono a tenere sotto controllo e a fare avvenire nei tempi e nei modi desiderati le reazioni del metabolismo sfruttando proprio la barriera rappresentata dall’energia di attivazione. È questa la chiave che garantisce la complessa regolazione metabolica dei sistemi viventi. O2 H2O CH 4 Nel momento della formazione del complesso attivato si passa attraverso il cosiddetto stato di transizione. Com C p attivlesso ato Energia di attivazione 16 ENERGIA CHIMICA CAPITOLO A Reag e nti B P2rH od2oO tti FIGURA 16.20 Perché i reagenti possano trasformarsi in prodotti, è necessario che passino per lo stato di complesso attivato. L’energia di attivazione viene restituita quando il complesso attivato dà i prodotti della reazione. FIGURA 16.21 L’energia liberata dalla fiamma di un fiammifero innesca la reazione tra metano e ossigeno. Una volta iniziata, la reazione procede spontaneamente, perché l’energia che si libera dalla combustione è energia di attivazione per altre molecole. CO 2 16.13 S Velocità e temperatura tudiando il processo di evaporazione dei liquidi, abbiamo visto come le particelle di una sostanza non abbiano tutte la stessa energia cinetica. Quanto è stato detto per le molecole dei liquidi vale per tutte le particelle. Infatti, quando si parla di energia cinetica delle molecole, questa grandezza va sempre intesa come energia cinetica media. Se riportiamo in un grafico come varia la distribuzione delle particelle in funzione della loro energia cinetica, osserviamo una distribuzione a campana attorno a b SCHEDA DI LABORATORIO Influenza della temperatura sulla velocità di una reazione CH/159 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO Numero di molecole 0 °C 1000 °C Energia E FIGURA 16.22 All’aumentare della temperatura aumenta il numero delle molecole che hanno un’energia maggiore dell’energia di attivazione E. La relazione tra temperatura assoluta T e costante di velocità k di una reazione è definita dalla legge di Arrhenius, espressa nella seguente forma: k = A·e –Ea / RT dove A è una costante, chiamata fattore di frequenza, caratteristica della reazione, e è la base del sistema logaritmico naturale, R è la costante dei gas ed Ea è l’energia di attivazione. 16 Energia e velocità delle reazioni chimiche un valore medio. A un aumento della temperatura del sistema corrisponde un aumento dell’energia cinetica media delle particelle. Vediamo ora come l’aumento della temperatura influisce sulla velocità delle reazioni chimiche. Indichiamo con E l’energia di attivazione di una reazione. Dai grafici della figura 16.22 risulta che le molecole con energia superiore al valore E sono poche a 0 °C e molte di più a 1 000 °C. Aumentando la temperatura si raggiunge più facilmente l’energia di attivazione, cioè l’energia occorrente perché una reazione avvenga. A temperatura più alta, inoltre, l’energia cinetica delle particelle è maggiore e aumenta il numero degli urti. Aumenta di conseguenza anche il numero degli urti efficaci, perché gli scontri tra le molecole sono più frequenti e avvengono con più energia. Tutti questi fattori determinano l’aumento della velocità di reazione. 씰 La velocità delle reazioni chimiche aumenta all’aumentare della temperatura. Una reazione che a freddo avviene lentamente, a caldo si svolge con maggiore velocità. Cuociamo i cibi per aumentare la velocità delle reazioni di denaturazione delle sostanze organiche. La temperatura del nostro corpo è costante a 37 °C; quando vi sono processi infiammatori, la temperatura corporea cresce per aumentare la velocità delle reazioni chimiche di difesa. Per contro, la velocità delle reazioni si abbassa, quando la temperatura diminuisce. In frigorifero i cibi si conservano meglio, perché la velocità della loro degradazione è rallentata. 16.14 Velocità e suddivisione dei reagenti S b SCHEDA DI LABORATORIO Influenza della suddivisione dei reagenti sulla velocità di una reazione e mettiamo un cubetto di zinco in una soluzione di acido cloridrico HCl, l’acido reagisce con gli atomi di zinco che si trovano all’esterno del cubetto, sulla sua superficie. Solo dopo che questi atomi hanno reagito e sono andati in soluzione, possono reagire gli atomi più interni. La velocità della reazione, quindi, dipende solo dal numero degli atomi esterni. Infatti, quando nell’acido cloridrico mettiamo zinco in polvere, che ha una superficie esposta molto più ampia, la reazione è decisamente più veloce. Quanto più fine è la polvere, tanto più intimo è il contatto, tanto più alta è la velocità di reazione (figura 16.23). FIGURA 16.23 Un tronco di legno brucia lentamente, perché solo la sua parte a contatto con l’ossigeno dell’aria può reagire. Se riduciamo il tronco in trucioli, la reazione è molto più veloce, perché aumenta la superficie a contatto con l’aria. Per quanto piccolo, ogni granello di polvere di un reagente è costituito da miliardi di molecole o di ioni. Se potessimo scomporre i corpi solidi in forme ancora più fini delle polveri, riducendoli a livello di singola molecola o di singolo ione, la velocità sarebbe enormemente più alta. Questa operazione può essere realizzata in modo semplice: basta sciogliere i reagenti in un solvente. Infatti, in soluzione ogni sostanza è divisa molecola per molecola, ione per ione, ogni particella di soluto è staccata dalle altre. Anche nei gas le particelle sono tutte separate tra loro. Le reazioni in soluzione e quelle CH/160 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 16 Energia e velocità delle reazioni chimiche In pratica, come ha agito la spugna di platino? Grazie al fenomeno dell’adsorbimento, il platino ha abbassato l’energia di attivazione della reazione. In questo processo il metallo non ha subito alcuna alterazione chimica, cioè non si è consumato. La sua funzione è stata solo quella di innescare la reazione e di farla avvenire più rapidamente senza fare ricorso a una fonte di energia. Avremmo ottenuto, infatti, le stesse molecole di acqua, se avessiCatalizzatore • Sostanza che accelera una reazione chimica. mo utilizzato al posto del platino una fiamma. Le sostanze che, come il plaDal greco katalysis «scioglimento». tino, abbassano l’energia di attivazione sono chiamate catalizzatori e il processo attraverso il quale esplicano la loro azione è detto catalisi. ENERGIA CHIMICA 씰 Un catalizzatore è una specie chimica che fa diminuire l’energia di attivazione di una reazione e la accelera senza parteciparvi direttamente e senza essere consumata. 2H + 2 O 2 Reaz i one ➔ esot er mica Con catalizzatore 2H O 2 Senza catalizzatore FIGURA 16.26 In presenza di un catalizzatore l’energia di attivazione da fornire all’idrogeno e all’ossigeno è molto minore che in assenza di un catalizzatore e la reazione avviene più velocemente. A b APPROFONDIMENTO Gli enzimi: catalizzatori biologici Nella figura 16.26 confrontiamo il grafico dell’energia di attivazione, riferita ancora alla reazione di sintesi dell’acqua, con la spugna di platino, linea blu, e senza di essa, linea rossa. Nel primo caso l’energia di attivazione risulta molto minore. Una reazione catalizzata può avvenire a temperatura più bassa e si svolge con maggiore velocità di quella non catalizzata. I catalizzatori sono largamente usati nell’industria e nei laboratori chimici per produrre composti in condizioni di esercizio meno spinte, cioè con minori temperature e pressioni, oppure per la sintesi di composti altrimenti non ottenibili. Tra i catalizzatori ricordiamo il platino, il ferro, gli ossidi di molibdeno, il cromo, il tricloruro di alluminio e alcuni acidi. Per le produzioni industriali di acido solforico, acido nitrico, ammoniaca e per i derivati del petrolio si utilizzano catalizzatori (figura 16.27). Vi sono catalizzatori che accelerano più reazioni; altri sono invece specifici per una sola reazione. La vita degli organismi dipende dalla presenza nelle cellule di catalizzatori biologici dotati di elevata specificità: gli enzimi. Gli enzimi sono molecole proteiche molto grandi e complesse, che agiscono come catalizzatori nelle reazioni degli organismi. Il loro meccanismo di azione è tale che ogni enzima possa agire solo su una specifica molecola. SCHEDA DI LABORATORIO 1. Catalizzatore in ceramica con struttura a nido d’ape 2. Protezione elastica in platino e rodio 3. Rivestimento inossidabile in acciao Influenza di un catalizzatore sulla velocità di una reazione 1 2 3 Le marmitte catalitiche rendono più veloci le reazioni che diminuiscono la nocività dei gas di scarico dei motori a scoppio. Se queste reazioni avvenissero nell’atmosfera, senza catalisi, richiederebbero tempi molto lunghi e le sostanze tossiche permarrebbero nell’aria. FIGURA 16.27 Glossary Chemical energy (energia chimica) The potential energy associated with chemical bonds between atoms and molecules. Endothermic reaction (reazione endotermica) A chemical reaction in which the system takes heat from its surroundings. Enthalpy (entalpia) A thermodynamics function. In a chemical reaction carried out at constant pressure the enthalpy change is equal to the heat of the reaction. Entropy (entropia) A thermodynamics function related to the measure of disorder. Real systems change to higher entropy and therefore higher disorder. Exothermic reaction (reazione esotermica) A chemical reaction in which the system releases heat into its surroundings. First law of thermodynamics ( primo principio della termodinamica) During a chemical reaction the internal energy of the universe is constant. Free energy (energia libera) The measure of a system’s ability to perform work. If the changes in free energy are negative the reaction will proceed spontaneously. Internal energy (energia interna) Is the sum of potential energy and kinetic energy. Thermochemistry (termochimica) The branch of the chemistry concerned with the heat exchange during chemical reactions. Thermodynamics (termodinamica) The study of conversion of the energy from one form to another in a system. CH/162 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio FACCIAMO IL PUNTO Domande aperte 10 Quale funzione di stato consente la previsione della spon- 11 Qual è la differenza tra l’energia chimica e l’energia inter- 11 In quali condizioni una reazione endotermica può essere taneità delle reazioni chimiche? na di un sistema chimico? spontanea? 12 Che cosa afferma il primo principio della termodinamica? 13 Che cosa si intende per spontaneità di una reazione? 14 Quando una reazione si dice esotermica? E quando si dice 12 Che cosa si intende per velocità di una reazione chimica? La velocità di una reazione è costante nel tempo? Giustifica la risposta. 13 Quale relazione esiste tra velocità di reazione e concen- endotermica? trazione dei reagenti? 15 Che cosa si intende per condizioni standard? Quali sono le 14 Che cosa afferma la teoria degli urti? 15 Che cos’è l’energia di attivazione? 16 Quali sono i parametri che influenzano la velocità di una condizioni standard in termodinamica? 16 Enuncia la legge di Hess. Questa legge può essere applicata a tutte le reazioni chimiche? 17 Quale relazione esiste tra entalpia di reazione e reazioni reazione chimica? metaboliche? 17 Se la velocità di una reazione è data dalla equazione 18 Quale relazione esiste tra entropia e reazioni chimiche? 19 Che cosa si intende per entalpia di formazione? 18 Che cos’è un catalizzatore? Come funziona? A Esercizi di completamento 19 v = k[A]2[B], qual è l’ordine di reazione? Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello spazio vuoto il termine opportuno. L’energia gioca un ruolo ……………………………………………………………………… sono in grado di rilasciare definita fondamentale in chimica. chimici e viene rilasciata o …………………………………………………… ………………………………………………………………… …………………………………………………………… ………………………………………………… ……………………………………………………… …………………………………………………………… ………………………………………………………………………… delle reazioni chimiche può essere prevista con un’altra ……………………………………………… conservata di Gibbs, che tiene conto sia dell’entalpia che dell’ 20 A Collega con una freccia ciascuno degli elementi della prima colonna a quelli corrispondenti della seconda e giustifica le scelte operate. . Le ……………………………………………… di stato, l’ ……………………………………………………… Entalpia Variazione di entropia . ΔS U Energia libera ΔH < 0 Energia interna ΔG < 0 Reazione esotermica Qp Reazione spontanea H Calore scambiato a pressione costante Variazione di entalpia standard CH/163 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio , per di formazione. La VERIFICA LE CONOSCENZE Esercizi di corrispondenza nei . Nelle reazioni chimiche che avvengono a pres- è la funzione di stato che consente di calcolare il calore esempio nelle reazioni di formazione. In questo caso si parla di …………………………………………… viene durante le reazioni. I processi chimici , mentre una reazione che assorbe calore viene definita ……………………………………………… ……………………………………………………… ………………………………………………………… oppure possono svolgere un lavoro. Una reazione che rilascia calore viene quantità di calore trasferite si possono misurare con i sione costante, l’ L’energia ΔH° G G U I DA A L L O ST U D I O EA G U I DA A L L O S T U D I O EA A Domande a scelta multipla 21 L’energia chimica: A aumenta con la forza dei legami chimici; B è una forma di energia potenziale; C è associabile all’agitazione termica delle molecole; D aumenta sempre nel corso delle reazioni chimiche. 22 Quale branca della chimica studia gli scambi di calore nel corso delle reazioni chimiche? A cinetica; C radiochimica; termodinamica; D termochimica. B 23 I reagenti di una reazione chimica posti all’interno di una provetta sono: 31 Per decomporre il solfato di calcio CaSO4 sono necessari 1 423 kJ/mol di energia termica. Quanto calore dobbiamo fornire per ottenere 841,2 g di ossido di calcio CaO? A 21 345 kJ; C 7 250 kJ; B 2 550 kJ; D 15 520 kJ. 32 Sapendo che il calore prodotto dalla combustione di una mole di metano CH4 è di 890,8 kJ, possiamo dire che, a condizioni normali, per ottenere 5 329 kJ di energia occorre bruciare: A 72,2 litri di metano; C 269 litri di metano; B 134 litri di metano; D 1,30 litri di metano. 33 Un ragazzo che voglia fare un pasto da 1 500 kcal a base di pane e parmigiano (cfr. tabella 16.2) deve mangiare: A 200 g di pane e 250 g di parmigiano; B 100 g di pane e 350 g di parmigiano; A l‘ambiente di reazione; B un sistema chimico; C l’universo; D nessuna delle risposte precedenti è corretta. C 300 g di pane e 150 g di parmigiano; D 250 g di pane e 200 g di parmigiano. 34 Dalla combustione di una mole di idrogeno si ottengono 24 L’energia interna di un sistema: A è una forma di energia potenziale; B è una forma di energia cinetica; complessivamente 286 kJ di calore. Dalla combustione a condizioni normali di 500 L di idrogeno si liberano sotto forma di calore: C è sempre costante; D è la sua energia totale. A 5 830 kJ; C 8 740 kJ; 25 Quale tra le seguenti non è una funzione di stato? A entropia; C lavoro; B entalpia; D energia libera. 26 Quali sono le condizioni standard in termodinamica? gettato per far avvenire la reazione, quantità determinate di idrogeno e ossigeno allo stato gassoso. Rispetto a un reattore che ha il volume di 50 dm3, la reazione ha la maggiore velocità quando tra i seguenti si utilizza il reattore da: B 60 dm3; C 45 dm3; D 90 dm3. 36 L’energia di attivazione: C 25 bar; 1 °C; concentrazione 1 M; D 1 atm; 273 K ; concentrazione 1 M. A fa diminuire il volume di reazione; B permette la rottura dei legami nei reagenti; 27 La variazione di entalpia di un sistema chimico: A è uguale al calore scambiato a pressione costante; B è uguale al calore scambiato a volume costante; C è sempre positiva; D è sempre negativa. C favorisce l’azione dei catalizzatori; D riesce a formare i nuovi legami nei prodotti. 37 La costante di velocità k: A varia al variare della temperatura; B dipende dalla concentrazione dei reagenti; 28 Nelle reazioni endotermiche: C diminuisce nel tempo; D è sempre la stessa per tutte le reazioni. A la variazione di entalpia è nulla; B la variazione di entalpia è positiva; 38 Per far reagire più velocemente alluminio e acido solforico C la variazione di entalpia è negativa; D avviene liberazione di calore. è meglio usare: 29 Le reazioni esotermiche sono caratterizzate da: A ΔH > 0; C ΔH = 0; 6 380 kJ; 35 Facciamo reagire in un reattore, cioè in un recipiente pro- A 25 dm3; A 1 atm; 0 °C; concentrazione 1 M; B 1 bar; 25 °C, concentrazione 1 M; B D 142 000 kJ. B ΔH < 0; D ΔH < Q p. 30 Una reazione con ΔH < 0 e ΔS > 0: A alluminio in fogli; C un cubetto di alluminio; B polvere di alluminio; D trucioli di alluminio. 39 Una reazione a condizioni standard, ha un’energia di attivazione pari a 222 kJ per mole di reagente. In particolari condizioni operative l’energia di attivazione scende a 162 kJ/mol. La modificazione che interviene può essere: A è spontanea; B non è spontanea; A l’aumento della temperatura; B l’aggiunta di un catalizzatore; C è spontanea solo alle alte temperature; D è spontanea solo a bassa temperatura. D la diminuzione della temperatura. C la frantumazione del reagente; CH/164 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio sostanza si forma dai suoi elementi che si trovano nel loro stato elementare; 40 Tanto maggiore è il disordine in un sistema chimico: A tanto maggiore è S; B tanto minore è S; B al calore assorbito quando una mole di sostanza stan- C tanto minore è H; D tanto maggiore è G. C all’aumento di entropia associato alla formazione di dard si forma a 0 °C e 1 atm; una mole di sostanza dai suoi elementi; 41 In una reazione chimica ΔH°reazione: D al calore sviluppato o assorbito quando una mole di A è = 0 a condizioni standard; B dipende dalla presenza di un catalizzatore; C è < 0 se la reazione è esotermica; D è > 0 se la reazione è esotermica. sostanza si forma a 0 K e 1 bar. 46 Per la reazione di sintesi dell’ossido di azoto NO N2(g) + O2(g) → 2NO(g) in cui ΔG = –20,7 kcal/mol, possiamo dire che è: 42 In una reazione chimica spontanea: A ΔG = 0; C ΔG < 0; B ΔG > 0; D ΔG > 1. D endotermica. esotermica; allora per tale reazione alla stessa T: A sicuramente ΔH < 0; diminuisce; D raddoppia. B B sicuramente ΔH > 0; C sicuramente ΔH –TΔS < 0; 44 La reazione 2H2O2(g) → 2H2O(g) + O2(g) per il fatto di avere D sicuramente ΔS < 0. ΔG = –246 kJ/mol è: A spontanea; C non spontanea; B C non spontanea; 47 Se a una certa T per una reazione chimica si ha che ΔG < 0, 43 Nella reazione N2(g) + 3H2(g) → 2NH3(l) l’entropia: A aumenta; C rimane immutata; A spontanea; esotermica; D endotermica. B 48 L’entalpia di combustione del metanolo è –726 kJ/mol. Quale massa di metanolo si deve bruciare per produrre 72,6 kJ di calore? 45 L’entalpia di formazione di un composto corrisponde: A al calore sviluppato o assorbito quando una mole di A 3,2 g; B C 71,5 g; D 7,5 g. 32 g; VERIFICA LE ABILITÀ 52 Esercizi e problemi 49 Alla pressione di 1,33 bar vengono bruciati completamente 250 g di saccarosio C12H22O11. Sapendo che la temperatura dell’ambiente è di 37 °C, calcola: A quanti dm3 di CO2 vengono prodotti; B quanti m3 di aria vengono consumati per l’intera com- bustione (l’ossigeno è pari al 20,9% in volume dell’aria); Un cubo di ferro ha lo spigolo di 0,200 m e la densità di 7,87 kg/dm3. Calcola il volume di idrogeno, alla temperatura di 25 °C e alla pressione di 250 000 Pa, che deve essere bruciato per riscaldare il cubo di 25,0 °C, sapendo che il calore specifico del ferro è 0,460 kJ/kg · °C e che dalla combustione di 1 mole di idrogeno si liberano 242 kJ di calore. Quanti litri di acqua si producono, quando questa viene portata allo stato liquido? La densità dell’acqua è 1,00 g/mL. [29,6 dm3] [0,0539 L] C quanto calore viene prodotto, sapendo che si liberano 5 645 kJ per ogni mole di saccarosio. [170 dm3] [0,812 m3] [4 120 kJ] 50 Trattando il carbonato di calcio con acido cloridrico si ottengono dicloruro di calcio, diossido di carbonio e acqua. Sapendo che occorre fornire 1 207 kJ di calore per ogni mole di carbonato, quanto calore viene complessivamente consu[15,1 kJ] mato per formare 1,39 g di dicloruro di calcio? 51 Bisogna riscaldare 0,300 m3 di acqua da 20,0 °C a 80,0 °C. Sapendo che il calore specifico dell’acqua è 4,18 kJ/kg · °C e che la combustione completa di una mole di carbonio produce 393,5 kJ, calcola quanti grammi di carbonio occorrono per riscaldare tutta l’acqua e quanti dm3 di ossigeno a 100 °C e 2,20 bar di pressione sono necessari per bruciare il carbonio. [2 297 g] [2696 dm3] 53 Bruciando l’etanolo C2H5OH si liberano, alla temperatura di 36,5 °C e alla pressione di 1,00 atm, 1 360 kJ/mol. Sapendo che la grappa ha una gradazione alcolica di 40 gradi (gradazione alcolica = composizione percentuale V/V) e che la densità dell’etanolo è di 0,80 g/mL, calcola quanta energia termica il nostro organismo potrebbe liberare da un bicchie[240 kJ] re di 25 mL di grappa. 54 L’azione delle radiazioni elettromagnetiche permette la formazione dei perossidi. Sapendo che per trasformare una mole di H2O in una mole di H2O2 occorrono 0,50 moli di O2 e 98,0 kJ/mol, determina quanta energia si deve fornire per produrre 1,00 kg di acqua ossigenata e a quale pressione l’ossigeno necessario occupa un volume di 300 cm3, sapen[2 880 kJ] [1 230 bar] do che la temperatura è di 30 °C. CH/165 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio G U I DA A L L O S T U D I O EA G U I DA A L L O ST U D I O EA VERIFICA LE ABILITÀ 55 Se si espone un nastro di magnesio all’aria, la superficie del nastro si opacizza in conseguenza dell’ossidazione del magnesio, secondo la reazione: 2Mg + O2 → 2MgO. Un nastro di magnesio di massa 2,06 g viene esposto all’aria. Dopo 10 minuti la superficie del nastro è diventata opaca e la massa che viene misurata è 2,22 g. Qual è la velocità della reazione espressa in moli al minuto (mol/min)? Dopo altri 10 minuti la massa è passata a 2,70 g e ancora dopo altri 10 minuti è di 3,02 g. Calcola la velocità di reazione nei vari momenti e rappresenta graficamente il suo andamento nel tempo. Quali conclusioni puoi trarre? [1,0 · 10 – 3 mol/min] [3,0 · 10 – 3 mol/min] [2,0 · 10 – 3 mol/min] 56 L’entalpia di formazione dell’ossido di bario BaO solido è – 553 kJ/mol, mentre l’entalpia di formazione del perossido di bario BaO2 è – 634 kJ/mol. Calcola la variazione di entalpia per la seguente reazione, indicando anche se essa è endotermica o esotermica: BaO2(s) → BaO(s) + ½O2(g) [81 kJ/mol] [endotermica] 57 58 La reazione di dissociazione del saccarosio in acqua acidulata necessita di un’energia di attivazione di 107,9 kJ/mol. Quanta energia è necessario fornire per attivare la dissociazione di 250 g di saccarosio C12H22O11 in un sufficiente volume di acqua acidulata? [78,8 kJ] Gioca e impara 62 Cancella all’interno di ognuna delle sei cartelle riportate in basso le lettere corrispondenti alle risposte alle prime sei domande sotto elencate. Le 12 lettere rimanenti, scritte in successione, forniscono la risposta alla domanda 7. 1. La funzione di stato relativa al grado di disordine. 2. Studia la velocità delle reazioni. 3. Il rapporto tra numero di moli trasformate e tempo. 4. La funzione di stato relativa al calore scambiato a pressione costante. 5. Processo che permette di accelerare le reazioni. 6. Quella di ossidoriduzione comporta il trasferimento di elettroni. 7. Il tipo di reazione semplice rappresentato dalla seguente equazione: AB + C → AC + B. Per far avvenire la trasformazione del ciclopropano C3H6 in propene è necessaria un’energia di attivazione pari a 272 kJ/mol. Quanto ciclopropano viene trasformato, se la quantità di energia destinata all’attivazione è 2,00 ·10 5 kJ? E S N O O P A R I T C S I E I T N A C T I V 0 E T T U A E L L I T C Á P A Z I N S C I L I E N A E Z A I A T O R I E O N [30,9 kg] 59 60 Lo ioduro di potassio KI reagisce con l’ipoclorito di potassio KClO per dare ipoiodito di potassio KIO e cloruro di potassio KCl. Si mescolano in un reattore 2,5 ·10 –3 mol di KI e altrettante di KClO. Dopo 10 minuti rimangono nel recipiente 2,3 ·10 –3 mol di ciascun reagente. Calcola la costante di velocità della reazione. Il volume del reattore è di 2,0 L e la [6,4 L · mol – 1 · min– 1] reazione è del secondo ordine. Question 63 Which of the following are state functions? (a) height of a mountain; (b) distance travelled in climbing the mountain; (c) gravitational potential energy of a climber on top of the mountain; (d) energy consumed in climbing the mountain. 64 An iron kettle weigthing 1,0 kg contains 3,0 kg of water at 24 °C. The kettle and the water are heated up to 50 °C. How many joule of heat are absorbed by the water and by the kettle? How many joule would be absorbed if we would let all the water decompose in hydrogen and oxygen? 65 Find the elements among the following that are not related to the topic of the chapter: calorimeter, free energy, entropy, enthalpy, diffusion, orbitals, kinetic, reaction, electronegativity, oxidation, adsorption. Quale quantità di calore viene sviluppata, quando vengono prodotti 2,00 L di acido acetico, la cui densità è 1,044 g/mL? 66 What is the function of a catalyst? [12 388 kJ] 67 Provide a correct definition of the term «activation energy». Il monossido di azoto NO, una sostanza che prende parte in numerosi processi biologici, reagisce con l’ossigeno per dare NO2 gassoso, una sostanza dal colore bruno, secondo la seguente reazione: 2NO(g) + O2(g) → 2NO2(g) ΔH°reazione = –114 kJ/mol La reazione è esotermica o endotermica? Se 2,00 g di NO vengono completamente convertiti a NO2, quale quantità di calore viene assorbita o rilasciata? [esotermica] [7,6 kJ] 61 L’acido acetico CH3COOH viene preparato industrialmente attraverso la reazione del metanolo CH3OH con monossido di carbonio CO. CH3OH(l) + CO(g) → CH3COOH(l) ΔH°reazione = –356 kJ/mol CH/166 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 17 L’equilibrio chimico L’equilibrio chimico 17.1 C A P I TO L O 17 Reversibilità delle reazioni chimiche S e avviciniamo una fiamma alla carta, al metano, alla benzina, al carbone, questi materiali si infiammano e bruciano completamente, fino a quando tutti i reagenti sono diventati prodotti (figura 17.1). Se mettiamo a contatto una mole di zinco Zn con due moli di acido cloridrico HCl, tutto lo zinco e tutto l’acido cloridrico reagiscono e si producono dicloruro di zinco ZnCl2 e idrogeno gassoso H2, che si libera nell’aria. Anche in questo caso la reazione termina quando i reagenti si sono consumati del tutto. Consideriamo ora altre due reazioni: (1) tricloruro di fosforo PCl3 e cloro molecolare Cl2 che formano pentacloruro di fosforo PCl5 PCl3(g) + Cl2(g) → PCl5(g) (1) e (2) acido acetico CH3COOH ed etanolo C2H5OH che producono acetato di etile CH3COOC2H5 e acqua H2O CH3COOH(aq) + C2H5OH(aq) → CH3COOC2H5(aq) + H2O(l) acido acetico etanolo acetato di etile (2) acqua Se il sistema è chiuso, dopo un’ora, ma anche dopo un mese o un anno dal mescolamento dei reagenti, l’analisi chimica mostra che il tricloruro di fosforo e il cloro gassoso nella reazione (1) o l’acido acetico e l’etanolo nella reazione (2) non si sono consumati del tutto, come se la reazione si fosse fermata dopo aver consumato solo una parte dei reagenti. Perché i reagenti non si sono consumati completamente? Un sistema è definito chiuso se non scambia materia con l’esterno. Rispondiamo alla domanda con una osservazione sperimentale. Prendiamo un recipiente e introduciamo pentacloruro di fosforo PCl5 gassoso. A B C FIGURA 17.1 La reazione del sodio con l’ossigeno (A), la reazione di combustione del gas naturale presente nei giacimenti di petrolio (B), le reazioni esplosive dovute alla polvere da sparo (C) sono esempi di reazioni in cui i reagenti si trasformano completamente nei prodotti. CH/167 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 17 L’equilibrio chimico Dopo un po’ di tempo osserviamo la formazione di tricloruro di fosforo PCl3 gassoso e cloro molecolare Cl2, pur rimanendo nel recipiente ancora una grande quantità di pentacloruro PCl5(g) → PCl3(g) + Cl2(g) (3) Prendiamo un altro recipiente e introduciamo acetato di etile e acqua, cioè quei composti che erano i prodotti della reazione (2). Otteniamo acido acetico ed etanolo, cioè i reagenti della reazione (2) e costatiamo che l’acetato di etile e l’acqua non si sono consumati completamente CH3COOC2H5(aq) + H2O(l) → CH3COOH(aq) + C2H5OH(aq) acetato di etile acqua acido acetico (4) etanolo Nella reazione (2) acido acetico ed etanolo reagiscono per dare acetato di etile e acqua; queste due ultime sostanze nella reazione (4) formano di nuovo le sostanze di partenza. Analogo comportamento è quello di pentacloruro e tricloruro di fosforo nelle reazioni (1) e (3). Lo svolgimento di ciascuna reazione determina come conseguenza lo svolgimento dell’altra. La reazione tra acido acetico ed etanolo non avrà termine, e così anche quella tra PCl3 e Cl2: non appena i reagenti cominciano a formare i prodotti, questi si ritrasformano in reagenti. Le due reazioni continueranno all’infinito, perché avremo sempre prodotti e reagenti in grado di reagire. Possiamo generalizzare queste conclusioni prendendo in esame una generica reazione, in cui un composto A reagisce con un composto B per dare i composti C e D, secondo la reazione: A+B→C+D Supponiamo poi che i composti C e D, man mano che si formano, reagiscano tra loro per riformare i composti A e B, secondo la reazione: C+D→A+B Per indicare che una reazione è reversibile, d’ora in poi separeremo sempre reagenti e prodotti con due frecce di verso opposto ⇄. che è la reazione inversa della precedente. Invece di scrivere le due equazioni chimiche separate, per indicare che la reazione può andare nei due sensi possiamo scriverne una sola, mettendo tra le formule dei reagenti e quelle dei prodotti due frecce con verso opposto: A+B⇄C+D La maggior parte delle reazioni chimiche si comporta in questo modo. Per il fatto di prevedere la continua trasformazione dei reagenti nei prodotti e viceversa, queste reazioni sono dette reversibili (figura 17.2). Reversibile • Che può essere invertito, rovesciato. Dal latino revertere «ritornare». 씰 Nelle reazioni reversibili avvengono contemporaneamente la reazione diretta, da sinistra verso destra, e la reazione inversa, da destra verso sinistra. PCl 3 Purché rimangano costanti la temperatura e il numero complessivo di atomi di fosforo e di cloro, il risultato è lo stesso sia che la reazione inizi partendo da PCl 3 e Cl2 o da PCl 5. Si tratta di una reazione reversibile. FIGURA 17.2 Cl 2 PCl 3 + Cl 2 PCl 5 PCl 3 + Cl 2 ⇄ PCl 5 CH/168 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio PCl 5 CAPITOLO 17 L’equilibrio chimico 17.2 L’equilibrio chimico T orniamo a esaminare la reazione tra due generiche sostanze A e B. Mescolando una mole di A con una mole di B, la reazione ha inizio, i due composti reagiscono e si trasformano in C e D. Rappresentiamo con un grafico lo svolgimento della reazione. Costruiamo il grafico mettendo in ascissa il tempo di reazione trascorso e in ordinata il numero delle moli dei reagenti e dei prodotti. Le concentrazioni dei reagenti diminuiscono progressivamente col passare del tempo, seguendo l’andamento rappresentato dalla linea rossa nel grafico 1 della figura 17.3. Poiché la velocità di una reazione chimica è direttamente proporzionale alle concentrazioni dei reagenti (cfr. § 16.10), con la diminuzione sia di A sia di B anche la velocità v1 della reazione diminuisce con il tempo, come possiamo vedere dall’andamento della linea rossa nel grafico 2 di figura 17.3. All’inizio dell’esperimento i prodotti ancora non sono stati formati e perciò la loro concentrazione è zero. Dal momento in cui A inizia a reagire con B, si formano sia C che D, nella stessa misura, e col passare del tempo le loro concentrazioni aumentano. L’incremento delle concentrazioni dei prodotti è rappresentato dalla linea verde nel grafico 1 di figura 17.3. Anche C e D, però, una volta formati possono reagire tra loro per dare A e B, con una velocità che aumenta con l’aumentare della loro concentrazione. Se la costante di velocità k2 della reazione inversa è la metà di quella della reazione diretta, la velocità v2 della reazione inversa aumenta, anche se in modo attenuato, come indica la curva verde del grafico 2 di figura 17.3. In breve, una volta che la reazione è partita, le concentrazioni dei reagenti diminuiscono e quelle dei prodotti aumentano; conseguentemente la velocità della reazione diretta diminuisce e quella della reazione inversa aumenta. Arriviamo a un tempo t (2 ore e 32 minuti) in cui le due velocità sono uguali: v1 = v2. Dal tempo t in poi la velocità della reazione diretta rimane sempre uguale a quella della reazione inversa (retta blu del grafico 2) e, quindi, il numero di molecole di A che reagiscono con B è sempre uguale al numero di molecole di C che reagiscono con D. Da questo momento in poi le concentrazioni dei quattro composti chimici restano costanti (retta rossa e retta verde del grafico 1), non cambiano più nel tempo, come se la reazione si fosse fermata. Si badi bene però: le due reazioni continuano sempre, ma con la stessa velocità. GRAFICO 1 1,0 A oppure B 0,8 C oppure D (0,66) A oppure B (0,34) Numero delle moli 0,6 0,4 C oppure D 0,2 t 1 GRAFICO 2 2 3 4 5 6 7 1,0 0,8 v1 I Velocità di reazione 0,6 FIGURA PARLANTE v1 = v2 0,4 0,2 FIGURA 17.3 Man mano che la reazione procede, il numero delle moli dei reagenti, A e B, (grafico 1, curva rossa) diminuisce e quello dei prodotti, C e D, (grafico 1, curva verde) aumenta. Nello stesso tempo la velocità della reazione diretta (grafico 2, curva rossa) diminuisce, mentre la velocità della reazione inversa (grafico 2, curva verde) aumenta. Infatti la velocità è proporzionale alla concentrazione dei reagenti. Da un certo momento in poi, il tempo t, le velocità delle due reazioni sono eguali (grafico 2, retta blu) e quindi le concentrazioni dei reagenti e dei prodotti (retta rossa e retta verde del grafico 1) diventano costanti. In condizioni di equilibrio la velocità della reazione diretta è uguale a quella della reazione inversa. v2 t 1 2 Tempo di reazione 3 4 5 6 7 ore d ANIMAZIONE Lo stato di equilibrio CH/169 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO A 17 L’equilibrio chimico Se una reazione è reversibile, cioè può andare in senso diretto o inverso, prima o poi raggiunge una condizione di equilibrio. La condizione in cui le velocità delle due reazioni rimangono uguali, così da rendere il sistema chimico apparentemente statico, è detta equilibrio chimico (tabella 17.1). B 씰 Un sistema chimico è all’equilibrio quando la velocità della reazione diretta è uguale alla velocità della reazione inversa. Nelle condizioni di equilibrio le concentrazioni di tutte le specie chimiche restano costanti nel tempo. NO2 2NO2 ⇄ N2O4 N2O4 N2O4 ⇄ 2NO2 FIGURA 17.4 Il raggiungimento dell’equilibrio può essere segnalato dalla stabilità delle caratteristiche macroscopiche, come per esempio il colore. Nel caso della reazione 2NO2 ⇄ N2O4, la condizione di equilibrio corrisponde al mantenimento di una colorazione costante. Il raggiungimento dell’equilibrio chimico può essere facilmente evidenziato quando reagenti e prodotti differiscono per la colorazione. Il diossido di azoto NO2, per esempio, è un gas di colore bruno che si trasforma in modo reversibile in ipoazotide (tetraossido di diazoto) N2O4, un gas incolore, secondo la reazione: 2NO2 ⇄ N2O4. Se immettiamo i due gas separatamente in due recipienti diversi alla stessa temperatura, inizialmente quello contenente NO2 appare di colore bruno intenso, mentre quello contenente N2O4 appare incolore (figura 17.4 A). Nel recipiente con NO2 procede la reazione 2NO2 → N2O4, che provoca una graduale diminuzione di intensità del colore. Nell’altro recipiente avviene la reazione N2O4 → 2NO2, che determina un graduale imbrunimento del contenuto. Rapidamente i due recipienti convergono verso lo stesso risultato, evidenziato dallo stesso colore che si conserva immutato nel tempo (figura 17.4 B). Ciò indica che in entrambi i recipienti è stata raggiunta la condizione di equilibrio, nella quale le due reazioni procedono con la stessa velocità. Reazione diretta: velocità = v1; Reazione inversa: velocità = v2; A+B⇆C+D costante di velocità = k1 = 1,00 costante di velocità = k2 = 0,250 Tempo [A] [B] [C] [D] v1 = 1,00[A][B] v2 = 0,250[C][D] v1 e v 2 0 3,00 3,00 0 0 9,00 0 v1 > v2 1 2,50 2,50 0,500 0,500 6,25 0,0625 v1 > v2 2 2,00 2,00 1,00 1,00 4,00 0,250 v1 > v2 3 1,50 1,50 1,50 1,50 2,25 0,563 v1 > v2 4 1,00 1,00 2,00 2,00 1,00 1,00 v1 = v2 0 0 0 3,00 3,00 0 2,25 v1 < v2 1 0,500 0,500 2,50 2,50 0,250 1,56 v1 < v2 2 1,00 1,00 2,00 2,00 1,00 1,00 v1 = v2 TABELLA 17.1 La trasformazione delle sostanze A e B in C e D è una reazione reversibile, dove la costante di velocità della reazione diretta k1 è 1,00 mentre la costante della reazione inversa k 2 è 0,250. Le concentrazioni iniziali di [A] e [B] sono entrambe 3,00 mol/L; queste concentrazioni diminuiscono man mano che la reazione procede. Quando [A], [B], [C] e [D] raggiungono rispettivamente i valori di 1,00; 1,00; 2,00; 2,00 mol/L, diventano uguali la velocità di reazione diretta e quella inversa: v1 = v2. Si è raggiunto l’equilibrio chimico. Allo stesso risultato si arriva se si parte da 3,00 mol/L di [C] e altrettante di [D]. 17.3 Dinamicità dell’equilibrio chimico I n un sistema chimico all’equilibrio le caratteristiche macroscopiche sono stabili: l’osservazione a occhio nudo non rivela alcun cambiamento. Se, invece, potessimo osservare il sistema a livello di atomi e molecole, noteremmo che continua incessante il turbinio delle particelle che si muovono, si urtano e formano nuovi legami. Il numero delle particelle che vanno incontro alla reazione diretta è però uguale al numero delle particelle che se- CH/170 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 17 L’equilibrio chimico guono la reazione inversa: per questo motivo non osserviamo variazioni. L’equilibrio chimico è un equilibrio dinamico (cfr. § 0.6). Perché si realizzi una condizione di equilibrio è necessario che il sistema chimico sia chiuso. Il raggiungimento dello stato di equilibrio può richiedere tempi più o meno lunghi, ma è inevitabile. Questa affermazione vale anche se il valore della costante di velocità della reazione diretta è molto diverso da quello della reazione inversa. Per rendercene conto, facciamo ricorso a un esempio. Immaginiamo due tennisti che si sfidano a una gara inconsueta: sul campo di gioco sono sparse numerose palline, vincerà chi per primo avrà gettato tutte le palline oltre la rete. Un tennista è agile e atletico; l’altro meno mobile e dal fisico un po’ appesantito, sembra destinato a perdere la sfida. Ma non sarà affatto così. Vediamo perché. Il tennista agile corre per il campo e lancia rapidamente le palline nel campo avversario. Il numero delle palline lanciate è inizialmente molto alto, ma decresce col passare del tempo, perché diventa sempre più difficile trovare una nuova pallina da lanciare. Il tennista poco agile si trova inizialmente in difficoltà, ma grazie alle numerose palline che vengono scagliate nel suo campo non tarda ad aumentare il numero dei lanci: dovunque si chini, trova subito una pallina. Trascorso un certo periodo di tempo, il numero delle palline scagliate oltre la rete in un verso finisce col diventare uguale al numero delle palline scagliate nel verso opposto. Il tennista agile correrà per il campo a raccogliere le poche palline presenti; al tennista poco mobile basteranno piccoli movimenti per raccogliere una pallina da rilanciare (figura 17.5). Tutto ciò si verifica purché sia rispettata la condizione che il numero totale delle palline nel campo rimanga costante. Si tratta di una condizione analoga a quella che richiede che il sistema in cui avviene la reazione reversibile sia chiuso. Allo stesso modo del tennista agile, una reazione chimica con costante di velocità molto elevata trasforma rapidamente i reagenti nei prodotti. In conseguenza della propria velocità, questa reazione rimane rapidamente a corto di reagenti e procede sempre più lenta. La reazione inversa, invece, inizia molto lentamente, ma poi accresce sempre più la propria velocità, grazie al contributo della reazione diretta. In ogni caso si finisce sempre per raggiungere una condizione di equilibrio. 17.4 FIGURA 17.5 Dopo un certo periodo di tempo, il numero di palline rinviate dal tennista poco agile eguaglia il numero delle palline rinviate dal tennista agile. LABORATORIO SEMPLICE L’equilibrio chimico La legge di azione di massa S appiamo che la velocità di una reazione è proporzionale alle concentrazioni dei reagenti. Consideriamo la reazione reversibile A + B ⇄ C + D, del secondo ordine e caratterizzata da coefficienti stechiometrici unitari. Indicando la velocità della reazione diretta tra A e B con v1 e con v2 la velocità della reazione inversa tra C e D, abbiamo: v1 = k1 [A] [B] v2 = k2 [C] [D] dove k1 e k2 sono le costanti di velocità delle reazioni. Nelle condizioni di equilibrio le due velocità sono uguali e quindi possiamo scrivere: v1 = v2 k1 [A] [B] = k2 [C] [D] [C] [D] k1 = [A] [B] k2 Poiché k1 e k2 sono costanti, il loro rapporto è anch’esso una costante. Questa nuova grandezza si indica con il simbolo K e si chiama costante di equilibrio della reazione. Scriviamo allora: K= [C] [D] [A] [B] CH/171 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 17 L’equilibrio chimico In molte reazioni le formule delle sostanze compaiono nell’equazione chimica con coefficienti diversi da 1. In questi casi nell’espressione della costante di equilibrio i coefficienti stechiometrici dell’equazione chimica diventano esponenti del valore di concentrazione della sostanza cui si riferiscono (cfr. § 16.10): K= [C]c [D]d [A]a [B]b dove a, b, c, d sono i coefficienti stechiometrici della reazione. Per esempio, data la reazione 4HCl(g) + O2(g) ⇄ 2Cl2(g) + 2H2O(g), la relazione per ricavare la costante di equilibrio è: K= [Cl2]2 [H2O]2 [HCl]4 [O2] Si noti che nella formula della costante di equilibrio le concentrazioni dei prodotti della reazione compaiono al numeratore e le concentrazioni dei reagenti al denominatore. Si noti, inoltre, che le concentrazioni dei vari composti non sono le concentrazioni iniziali, ma le concentrazioni nelle condizioni di equilibrio; infatti solo nelle condizioni di equilibrio le due velocità sono uguali. La relazione che definisce la costante di equilibrio è espressa della legge di azione di massa o di Guldberg e Waage. FIGURA 17.6 Vasi comunicanti come paragone per l’equilibrio chimico. (A), mettiamo acqua nel vaso 1. Aprendo il rubinetto, l’acqua passa da 1 ai vasi 2 e 3 con un’alta velocità (proporzionale alla lunghezza della freccia), perché il dislivello è notevole. Man mano che il dislivello diminuisce (B), la velocità decresce, fino ad annullarsi quando il livello è lo stesso (C). Il livello rimane costante nel tempo, pur non arrestandosi il movimento delle molecole di acqua, perché il numero delle molecole che passano da un vaso all’altro è uguale a quello delle molecole che vanno in senso opposto. Lo stesso livello finale verrebbe ottenuto se in partenza la stessa quantità di acqua fosse introdotta nel recipiente 2 o 3, anziché nel recipiente 1. 1 2 씰 In una reazione chimica all’equilibrio, il rapporto tra il prodotto delle concentrazioni delle sostanze prodotte e il prodotto delle concentrazioni delle sostanze reagenti, ciascuna elevata a un esponente uguale al corrispondente coefficiente stechiometrico, è costante. La costante di equilibrio K ha un valore specifico per ogni reazione chimica e dipende dalla temperatura. Per chiarire il concetto di equilibrio chimico, può essere utile ricorrere a un paragone di tipo idraulico. Pensiamo, per esempio, a un sistema formato da vasi fra loro comunicanti (figura 17.6). La trasformazione di reagenti in prodotti, e viceversa, è infatti analoga allo spostamento delle molecole d’acqua da un vaso, quello dei reagenti, a un altro vaso, quello dei prodotti. In condizioni di equilibrio reagenti e prodotti si trasformano gli uni negli altri con uguale velocità, così come le molecole d’acqua passano da un vaso all’altro con uguale velocità di flusso nei due versi. 3 1 A I 2 3 B 1 2 3 C 17.5 La costante di equilibrio FIGURA PARLANTE M escolando tre moli di acido acetico con tre moli di etanolo, avviene la seguente reazione: CH3COOH + C2H5OH ⇄ CH3COOC2H5 + H2O acido acetico etanolo acetato di etile acqua Si raggiunge l’equilibrio e in quelle condizioni risultano presenti una mole di acido acetico, una di etanolo, due di acetato di etile e due di acqua. Come nell’esempio riportato nella tabella 17.1, anche in questo caso all’e- CH/172 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio L’equilibrio chimico quilibrio la concentrazione dei reagenti è la metà di quella dei prodotti. Applicando la legge di azione di massa a questo equilibrio, abbiamo: [CH3COOC2H5] [H2O] [CH3COOH][C2H5OH] =K Sostituendo alle formule i valori delle concentrazioni dei quattro composti all’equilibrio, il valore della costante di equilibrio della reazione è 4: K= GRAFICO 2·2 =4 1·1 Quando la costante di equilibrio ha un valore maggiore di 1, come in questo caso, vuol dire che il numeratore ha un valore numerico superiore a quello del denominatore perché nelle condizioni di equilibrio i prodotti si trovano in quantità maggiore dei reagenti. Per indicare graficamente questa situazione tracciamo la freccia verso destra più lunga di quella verso sinistra e diciamo che se K > 1 l’equilibrio chimico è spostato a destra. Scriviamo allora: CH3COOH + C2H5OH ―→ ← CH3COOC2H 5 + H2O Quando invece il valore della costante di equilibrio è minore di 1, nel rapporto il numeratore è inferiore al denominatore. Ciò significa che la concentrazione dei reagenti nelle condizioni di equilibrio è maggiore di quella dei prodotti. Per esempio, nel caso della reazione di decomposizione dell’acido iodidrico HI in idrogeno H 2 e iodio I 2 la costante di equilibrio, alla temperatura di 500 °C, è 0,020. Possiamo dire che se K < 1 l’equilibrio chimico è spostato a sinistra e scriviamo nell’equazione la freccia verso sinistra più lunga di quella verso destra: → H 2 + I2 2HI ←― Nella tabella 17.2 sono riportati i valori della costante di equilibrio di alcune reazioni. In generale verifichiamo che: le reazioni in cui è favorita la formazione dei prodotti, cioè in cui all’equilibrio le concentrazioni dei prodotti sono maggiori delle concentrazioni dei reagenti, hanno K > 1; le reazioni in cui è favorita la formazione dei reagenti, cioè in cui all’equilibrio le concentrazioni dei reagenti sono maggiori delle concentrazioni dei prodotti, hanno K < 1 (figura 17.7). Reazione Costante di equilibrio K La costante di equilibrio è un rapporto tra grandezze dello stesso tipo e pertanto è una costante senza dimensione fisica. Per convenzione non viene indicata l’unità di misura, anche quando le somme degli esponenti al numeratore e al denominatore sono diverse. 1 La reazione favorisce la formazione dei reagenti REAGENTI Concentrazione 17 I FIGURA PARLANTE PRODOTTI K<1 Tempo GRAFICO 2 La reazione favorisce la formazione dei prodotti Concentrazione CAPITOLO PRODOTTI REAGENTI K>1 Tempo FIGURA 17.7 ↑ Il grafico (1) si riferisce a una reazione il cui equilibrio è spostato verso sinistra, caratterizzata da una costante K minore di 1, che tende a formare più reagenti che prodotti. Il grafico (2) rappresenta una reazione che porta decisamente alla formazione dei prodotti, avendo una costante K maggiore di 1 in conseguenza del fatto che l’equilibrio è spostato verso destra. TABELLA 17.2 ↓ Valore della costante di equilibrio K di alcune reazioni reversibili a diverse temperature. Temperatura Verso prevalente della reazione di equilibrio 298 K 800 K 1000 K Dai reagenti ai prodotti; K >> 1 Dai prodotti ai reagenti; K < 1 Dai prodotti ai reagenti; K < 1 3H2(g) + N2(g) ⇄ 2NH3(g) ΔH<0 K = 3,5·108 K = 3,4·10 –2 K = 2,4·10 –3 H2(g) + I2(g) ⇄ 2HI(g) ΔH<0 K = 794 K = 160 K = 54 298 K 498 K 700 K Dai reagenti ai prodotti; K > 1 Dai reagenti ai prodotti; K > 1 Dai reagenti ai prodotti; K > 1 H2(g) + Cl 2(g) ⇄ 2HCl (g) ΔH<0 K = 4·1031 298 K Dai reagenti ai prodotti; K >> 1 N2(g) + O2(g) ⇄ 2NO(g) ΔH>0 K = 1,7·10 –3 2300 K Dai prodotti ai reagenti; K < 1 N2O4(g) ⇄ 2NO2(g) ΔH>0 K = 4,5·10 –3 K = 0,260 298 K 373 K Dai prodotti ai reagenti; K < 1 Dai prodotti ai reagenti; K < 1 PCl 5(g) ⇄ PCl 3(g) + Cl 2(g) ΔH>0 K = 8,1·10 –3 K = 4,16·10 –2 473 K 523 K Dai prodotti ai reagenti; K < 1 Dai prodotti ai reagenti; K < 1 2SO2(g) + O2(g) ⇄ 2SO3(g) ΔH<0 K = 1,6·10 23 K = 523 298 K 700 K Dai reagenti ai prodotti; K >> 1 Dai reagenti ai prodotti; K > 1 C(s) + H2O(g) ⇄ CO(g) + H2(g) ΔH>0 K = 1,6·10 –21 K = 10,0 298 K 1100 K Dai prodotti ai reagenti; K << 1 Dai reagenti ai prodotti; K > 1 CH/173 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 17 L’equilibrio chimico 씰 Se la costante di equilibrio ha valori elevati, buona parte dei reagenti si consuma per dare i prodotti; se invece la costante ha valori bassi, solo una piccola parte dei reagenti si trasforma in prodotti. Si conoscono numerose reazioni i cui valori della costante di equilibrio sono altissimi, praticamente infiniti. Si tratta delle cosiddette reazioni a completamento o reazioni irreversibili. Facciamo un esempio. Immergendo un pezzo di zinco Zn in una soluzione di acido cloridrico HCl, si formano dicloruro di zinco ZnCl2 e idrogeno H2, secondo la reazione: Zn + 2HCl → ZnCl2 + H2↑ L’idrogeno prodotto, essendo un gas poco solubile in acqua, man mano che si forma si allontana dalla soluzione sotto forma di bollicine. In questo modo l’idrogeno viene sottratto all’equilibrio, la sua concentrazione non aumenta e la reazione inversa ha sempre una velocità bassissima. Fumi 씰 In una reazione a completamento l’equilibrio chimico è tutto spostato verso la formazione dei prodotti e la reazione termina quando i reagenti si sono trasformati completamente nei prodotti (figura 17.8). Fiamma FIGURA 17.8 La combustione di un fiammifero è un esempio di reazione che procede fino a completamento. Alcuni prodotti della reazione, infatti, si disperdono nell’atmosfera sottraendosi all’equilibrio. Lo stesso risultato si ottiene nelle reazioni in cui si forma un prodotto poco solubile. Il solido precipita e si deposita sul fondo del recipiente di reazione, sottraendosi così all’equilibrio. Come è evidenziato nella tabella 17.2, i valori di K variano notevolmente con il variare della temperatura. 씰 Un aumento della temperatura provoca un aumento del valore della costante di equilibrio nel caso di reazioni endotermiche (∆H > 0), mentre provoca una diminuzione del valore della costante di equilibrio nel caso di reazioni esotermiche (∆H < 0). PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 1. Scrivi la relazione della costante di equilibrio per le due reazioni seguenti: 1. Scrivi la relazione della costante di equilibrio per le tre reazioni seguenti: (a) N2(g) + 3H2(g) ⇄ 2NH3(g) (a) 2NOCl(g) ⇄ 2NO(g) + Cl2(g) (b) H2(g) + I2(g) ⇄ 2HI(g) Dobbiamo considerare che il prodotto delle concentrazioni dei prodotti deve comparire al numeratore, mentre il prodotto delle concentrazioni dei reagenti è riportato al denominatore. Infine, è bene ricordare che ogni concentrazione va elevata a un esponente uguale al coefficiente stechiometrico con cui il composto compare nell’equazione bilanciata. Tenuto conto di ciò abbiamo: (a) K = [NH3]2 / [H2]3[N2] (b) K = [HI]2 / [H2][I2] 17.6 (b) N2O4(g) ⇄ 2NO2(g) (c) 2SO3(g) ⇄ 2SO2(g) + O2(g) Reazioni di equilibrio in fase gassosa N ella maggior parte degli argomenti che tratteremo nei prossimi capitoli ci riferiremo a sostanze in soluzione acquosa. Le concentrazioni che utilizzeremo per il calcolo della costante di equilibrio in questi casi sono espresse in molarità (mol/L). Per tali reazioni il simbolo specifico per la costante è K c o più semplicemente K. In molti altri casi le reazioni di equilibrio riguardano sostanze in fase gassosa. Per queste reazioni la costante di equilibrio può essere ricavata dalle CH/174 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 17 L’equilibrio chimico pressioni parziali dei reagenti e dei prodotti, invece che dalle concentrazioni. Infatti, se riformuliamo l’equazione di stato dei gas pV = nRT per evidenziare la «concentrazione del gas», cioè il rapporto n/V, ricaviamo: p / RT = n/V p = (n/V) RT da cui Questa relazione ci dimostra che, a una certa temperatura, tra la pressione parziale di un gas (p) e la sua concentrazione (n/V) c’è proporzionalità diretta. Pertanto, nella legge di azione di massa applicata a composti gassosi, le quantità dei reagenti e dei prodotti possono essere espresse come pressioni parziali. In questo caso la costante di equilibrio per la reazione aA(g) + bB(g) ⇄ cC(g) + dD(g), indicata con il simbolo K p, è: Kp = pCc · p Dd pAa · pBb dove a, b, c, d sono i coefficienti stechiometrici delle specie chimiche A, B, C, D, che compaiono nell’equazione di una generica reazione (tabella 17.3). Per esempio, la K p per la reazione H2(g) + I2(g) ⇄ 2HI(g) è: 2 pHI Kp = p · p H I 2 2 Si può dimostrare che la K p e la K c sono legate dalla seguente relazione: K p = K c · (RT)Δn dove Δn è la differenza tra il numero di moli dei prodotti e il numero di moli dei reagenti. Reazione Costante di equilibrio K p TABELLA 17.3 Valore della costante di equilibrio K p, espressa in funzione delle pressioni parziali, di alcune reazioni reversibili. Temperatura Verso prevalente della reazione di equilibrio 2H2(g) + O2(g) ⇄ 2H2O(g) Kp = 1,4·10 83 298 K Dai reagenti ai prodotti; Kp >> 1 2NO(g) + Br2(g) ⇄ 2NOBr(g) Kp = 2,40 373 K Dai reagenti ai prodotti; Kp > 1 PCl 5(g) ⇄ PCl 3(g) + Cl 2(g) Kp = 0,315 473 K Dai prodotti ai reagenti; Kp < 1 H2(g) + I 2(g) ⇄ 2HI(g) Kp = 794 Kp = 160 Kp = 54 298 K 498 K 700 K Dai reagenti ai prodotti; Kp > 1 Dai reagenti ai prodotti; Kp > 1 Dai reagenti ai prodotti; Kp > 1 H2(g) + Cl 2(g) ⇄ 2HCl (g) Kp = 4·1031 298 K Dai reagenti ai prodotti; Kp >> 1 N2(g) + O2(g) ⇄ 2NO(g) Kp = 1,7·10 –3 2300 K Dai prodotti ai reagenti; Kp < 1 2SO2(g) + O2(g) ⇄ 2SO 3(g) Kp = 3,4 1000 K Dai reagenti ai prodotti; Kp > 1 C(s) + H2O(g) ⇄ CO(g) + H2(g) Kp = 1,6·10 –21 Kp = 10,0 298 K 1100 K Dai prodotti ai reagenti; Kp << 1 Dai reagenti ai prodotti; Kp > 1 CaCO3(s) ⇄ CaO(s) + CO2(g) Kp = 1,9·10 –23 298 K Dai prodotti ai reagenti; Kp << 1 17.7 Quoziente di reazione A bbiamo precedentemente osservato che, quando un sistema ha raggiunto l’equilibrio, le concentrazioni dei prodotti e dei reagenti sono correlate tra loro e il loro rapporto può essere espresso attraverso una grandezza costante a temperatura costante, la costante di equilibrio. Tuttavia spesso è utile determinare le concentrazioni di specie chimiche che prendono parte a una reazione reversibile, anche quando l’equilibrio non è stato ancora raggiunto. Ogni miscela di reagenti e prodotti che non CH/175 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 17 L’equilibrio chimico sia all’equilibrio è caratterizzata da un rapporto, chiamato quoziente di reazione e indicato con Q, la cui espressione è esattamente eguale alla costante di equilibrio. c Q= d [C] · [D] a b [A] · [B] 씰 Il quoziente di reazione esprime il rapporto tra il prodotto delle concentrazioni dei prodotti e quello delle concentrazioni dei reagenti, ciascuna elevata al proprio coefficiente stechiometrico come compare nella reazione bilanciata, quando la reazione non si trova in condizioni di equilibrio. Il valore numerico del quoziente di reazione Q è eguale a quello della costante di equilibrio K solo quando la reazione raggiunge l’equilibrio. Facciamo un esempio. Un sistema, che non ha ancora raggiunto l’equilibrio, è composto da 3 mol di acido iodidrico HI, 2 mol di iodio I 2 e 2 mol di idrogeno H 2, tutte nello stesso recipiente da 1 litro a 442 °C. Nel recipiente avviene la reazione reversibile: H 2(g) + I 2(g) ⇄ 2HI (g) il cui quoziente di reazione Q nelle condizioni sopra citate è: Q = [HI]2 / [H 2]·[I 2] = (3 mol/L)2 / (2 mol/L) × (2 mol/L) = 2,25 Sappiamo che per questa reazione la costante di equilibrio K vale 49,0 a 442 °C, un valore decisamente superiore rispetto a quello del quoziente di reazione. Il fatto che Q < K conferma che il sistema non è all’equilibrio. Per raggiungerlo alcune molecole di iodio e di idrogeno devono trasformarsi in molecole di acido iodidrico, aumentando la concentrazione dei prodotti e diminuendo quella dei reagenti. Questa trasformazione avverrà fino a quando Q = 49,0 cioè fino a quando Q = K. Se nel nostro recipiente abbiamo invece 1 mol di iodio I 2, 1 mol di idrogeno H 2 e 8 mol di acido iodidrico HI, il quoziente di reazione Q è: Q = [HI]2 / [H 2]·[I 2] = (8 mol/L)2 / (1 mol/L) × (1 mol/L) = 64 un valore superiore al valore della costante. Con Q > K il sistema non è all’equilibrio. Per raggiungerlo alcune molecole di acido iodidrico devono trasformarsi in iodio e idrogeno: la concentrazione dei reagenti tende ad aumentare e quella dei prodotti tende a diminuire fino a che Q = K. 씰 Se Q < K il sistema non è all’equilibrio, per cui parte dei reagenti si trasformerà nei prodotti; se Q > K il sistema non è all’equilibrio, per cui parte dei prodotti si trasformerà nei reagenti; se Q = K il sistema è all’equilibrio. PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 2. Il diossido di azoto NO2 è un gas di colore bruno, che può trasformarsi in ipoazotide N2O4, un gas incolore, secondo la reazione: 2NO2(g) ⇄ N2O4(g) la cui costante di equilibrio K è 222 alla temperatura di 298 K. Se in un recipiente da 1,0 L abbiamo 0,018 mol di NO2 e 0,036 mol di N2O4, quanto vale il quoziente di reazione Q? Discuti sul valore di Q, mettendolo a confronto con quello di K, e indica, se il sistema non si trova all’equilibrio, quali modificazioni delle concentrazioni sono prevedibili. 2. Abbiamo in un recipiente ammoniaca NH3 0,010 M, idrogeno H2 1,0 M e azoto N2 0,10 M, che reagiscono secondo la reazione Scriviamo dapprima l’espressione del quoziente di reazione Q e poi sostituiamo i valori numerici: Q = [N2O4] / [NO2]2 = (0,036/1) / (0,018/1)2 = 111. Il valore del quoziente di reazione (111) è minore del valore della costante (222). Poiché Q < K il sistema non è all’equilibrio. La reazione tende a raggiungere l’equilibrio trasformando parte di NO2 in N2O4: la concentrazione di N2O4 aumenta e quella di NO2 diminuisce fino a che Q = K. N2(g) + 3H2(g) ⇄ 2NH3(g) la cui costante di equilibrio è 3,5 · 108 alla temperatura di 298 K. Quanto vale il quoziente di reazione Q? Discuti sul valore di Q, mettendolo a confronto con quello di K, e indica, se il sistema non si trova all’equilibrio, quali modificazioni delle concentrazioni sono prevedibili. CH/176 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 17 L’equilibrio chimico Equilibri eterogenei 17.8 A lcune reazioni chimiche in equilibrio riguardano sostanze che si trovano in fasi diverse. Gli equilibri che presentano diverse fasi sono chiamati equilibri eterogenei. Per esempio, il carbonato di calcio CaCO 3 allo stato solido (calcare), il diossido di carbonio CO 2 gassoso (anidride carbonica) e l’ossido di calcio CaO solido (calce viva) formano un sistema chimico in equilibrio secondo la reazione reversibile: CaCO3(s) ⇄ CO2(g) + CaO(s) In questo caso, tipico di equilibri eterogenei, la costante di equilibrio viene espressa prendendo in considerazione soltanto il gas diossido di carbonio, l’unico composto per il quale il rapporto n/V, la concentrazione, si modifica in modo significativo nel corso della reazione: K = [CO2] Negli equilibri eterogenei l’espressione della costante di equilibrio non tiene conto delle concentrazioni dei solidi e dei liquidi puri presenti. Le loro concentrazioni, infatti, sono in pratica costanti. Quando in un equilibrio abbiamo liquidi o solidi puri, la loro concentrazione può, con buona approssimazione, essere inclusa nel valore della costante di equilibrio. Nel nostro esempio ciò significa che la concentrazione del diossido di carbonio gassoso in equilibrio con il carbonato di calcio solido e con l’ossido di calcio solido non dipende dalle quantità di carbonato di calcio e ossido di calcio presenti. La concentrazione del diossido di carbonio all’equilibrio dipende solo dalla temperatura (figura 17.9). CaCO3(s) ⇄ CaO(s) + CO2(g) CO2 CO2 17.9 R CaCO3 CaO CaO CaCO3 FIGURA 17.9 A temperatura costante la concentrazione del diossido di carbonio gassoso CO2 in equilibrio con i solidi CaCO3 e CaO è sempre la stessa, qualunque sia la quantità di solido presente. Il principio dell’equilibrio mobile iprendiamo in esame la reazione generica su cui abbiamo discusso nel primo paragrafo di questo capitolo: A+B 1 C+D ⇄ 2 e indichiamo con 1 la reazione diretta e con 2 la reazione inversa. Le velocità delle due reazioni sono rispettivamente v1 e v2. Uniamo i reagenti A e B. La reazione inizia e, dopo un certo tempo, v1 diventa uguale a v2: il sistema ha raggiunto l’equilibrio. A questo punto aggiungiamo alla miscela di reagenti e prodotti all’equilibrio una certa quantità di un reagente, per esempio la sostanza A. L’incremento della concentrazione di un reagente fa aumentare la velocità v1, che è proporzionale alla concentrazione dei reagenti. Altre molecole dei reagenti si trasformano perciò per dare molecole di prodotti. Man mano CH/177 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO La variazione di concentrazione ha fatto cambiare il valore del quoziente di reazione Q rispetto a K, alterando l’equilibrio. Solo quando i valori di Q e K coincidono, il sistema ritorna all’equilibrio. 17 L’equilibrio chimico che questa ulteriore trasformazione avviene, v1 diminuisce, perché diminuisce la concentrazione dei reagenti, e v2 aumenta, perché aumenta la concentrazione dei prodotti. Il processo continua fino a che le due velocità diventano di nuovo uguali, anche se entrambe maggiori rispetto alle precedenti condizioni, e si ritorna a uno stato di equilibrio. La figura 17.10 utilizza il consueto paragone idraulico per rappresentare il processo descritto. Abbiamo aggiunto un reagente e questo in parte si è consumato per darci altro prodotto. Possiamo dire che l’aggiunta di un reagente sposta a destra l’equilibrio della reazione, in quanto fa aumentare la quantità dei prodotti (che stanno a destra nell’equazione chimica). Analogamente, se al sistema in condizioni di equilibrio aggiungiamo un prodotto, la velocità v2 diviene maggiore di v1 e si forma altro reagente. L’aggiunta di un prodotto sposta a sinistra l’equilibrio, giacché fa aumentare la quantità dei reagenti. Interveniamo ancora sul nostro sistema all’equilibrio, questa volta per sottrarre una certa quantità di un prodotto, ad esempio C, che riusciamo a separare dagli altri. La velocità v2 diminuisce, perché diminuisce la concentrazione di un prodotto, e ciò fa prevalere la velocità v1. Le molecole dei reagenti si trasformano per dare altre molecole dei prodotti. La sottrazione di un prodotto sposta l’equilibrio a destra, consumando reagenti per ottenere altri prodotti. La figura 17.10 mostra anche questo caso. 1 Abbiamo tre vasi comunicanti con liquido allo stesso livello. (A), aggiungiamo dell’altro liquido nel recipiente 1 e creiamo un dislivello. (B), quando apriamo il rubinetto, parte del liquido da 1 si trasferisce a 2 e a 3, fino a raggiungere lo stesso livello. (C), con il rubinetto chiuso togliamo acqua dal recipiente 3 e creiamo un dislivello. (D), aprendo il rubinetto si ripristina un uguale livello in tutti i recipienti. 2 3 1 2 3 1 2 3 FIGURA 17.10 A B 1 I 2 3 FIGURA PARLANTE C D Cerchiamo ora di trarre conclusioni di carattere generale. Abbiamo un sistema chimico in equilibrio. Se aggiungiamo un reagente o allontaniamo un prodotto, alteriamo i valori delle concentrazioni all’equilibrio. La velocità diretta diventa maggiore di quella inversa e l’equilibrio si sposta a destra, fino a raggiungere un nuovo stato di equilibrio. Se invece aumentiamo la concentrazione di un prodotto o diminuiamo la concentrazione di un reagente, la velocità della reazione inversa sopravanza quella della reazione diretta e l’equilibrio si sposta a sinistra prima di stabilizzarsi di nuovo. Il sistema risponde modificandosi in modo da contrastare qualunque alterazione sia apportata. Volevamo diminuire la quantità di un prodotto? Ne viene formato dell’altro. Volevamo aumentare la concentrazione di un reagente? Questo viene consumato. Qualunque intervento facciamo, il sistema tende a reagire per contrastarlo. In sintesi, un sistema all’equili- CH/178 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 17 L’equilibrio chimico brio si oppone alle modificazioni che intervengono su di esso. Queste caratteristiche definiscono il principio dell’equilibrio mobile conosciuto anche come principio di Le Chatelier: A+B C+D 씰 Un sistema chimico all’equilibrio reagisce alle variazioni apportate ai suoi componenti in modo da ridurne gli effetti. Nella figura 17.11 sono schematizzati tutti gli spostamenti possibili dell’equilibrio chimico a seguito di aggiunta o sottrazione di reagenti o di prodotti. Nella tabella 17.4 sono presentati alcuni esempi numerici riguardanti il principio di Le Chatelier. FIGURA 17.11 Le frecce rosse indicano la nostra azione sulla concentrazione di un reagente o di un prodotto in un sistema chimico all’equilibrio. Rivolte in alto, le frecce indicano un aumento, rivolte in basso una diminuzione. Le frecce verdi indicano da quale parte si sposta l’equilibrio. A+B⇄C+D costante di equilibrio K = 4,00 1 2 3 4 [A] [B] [C] [D] v1 = 1,00[A][B] v2 = 0,250[C][D] Equilibrio K 1,00 1,00 2,00 2,00 1,00 1,00 sì 4,00 1,00 4,00 2,00 2,00 4,00 1,00 no — 0,46 3,46 2,55 2,55 1,60 1,60 sì 4,00 1,00 1,00 2,00 4,00 1,00 2,00 no — 1,27 1,27 1,73 3,73 1,60 1,60 sì 4,00 1,00 1,00 2,00 0,50 1,00 0,25 no — 0,68 0,68 2,32 0,82 0,46 0,46 sì 4,00 TABELLA 17. 4 Una reazione generica ha la costante di equilibrio uguale a 4,00. Le costanti di velocità sono le stesse di quelle della tabella 17.1. Nel caso 1 siamo in condizioni di equilibrio. Nel caso 2 sono state aggiunte 3 moli di B. Questo aumento ha fatto crescere v1 a scapito di v2. L’equilibrio si è spostato verso destra fino al raggiungimento di nuove condizioni cui corrispondono velocità uguali. Nel caso 3 al sistema in equilibrio sono state tossico che forma un complesso molecolare con l’emoglobina, detto carbossiemoglobina Hb ⎯ CO. Il complesso Hb ⎯ CO è più stabile rispetto al complesso Hb ⎯ O2. Infatti, la reazione di equilibrio Equilibri dei gas nel sangue Hb ⎯ O2 + CO ⇄ Hb ⎯ CO + O2 (2) ha la costante K = 210, un valore superiore a 1. La formazione della carbossiemoglobina impedisce all’emoglobina di trasportare ossigeno e ciò può portare all’avvelena(1) Hb + O2 ⇄ Hb ⎯ O2 mento da monossido di carbonio. Il primo da cui dipende se l’ossigeno tende più a effetto che si manifesta è il rallentamento legarsi con l’emoglobina o se invece tende dei riflessi, poi si ha perdita di coscienza a separarsi e liberarsi. In montagna l’aria è e infine sopraggiunge la morte. In caso di rarefatta e la concentrazione dell’ossigeno avvelenamento la pronta somministrazione è bassa: l’equilibrio è spostato verso sinidi aria ben ossigenata sposta l’equilibrio stra. Il nostro corpo gradualmente si adat(2) verso sinistra e l’intossicazione da mota alle alte quote producendo quantità nossido di carbonio può non lasciare gravi maggiori di emoglobina. In questo modo conseguenze. I fumatori hanno nel loro l’equilibrio si sposta di nuovo verso destra sangue un’alta concentrazione di monossie più ossigeno viene trasportato. do di carbonio, perché questa sostanza si Il monossido di carbonio CO è un gas forma nella combustione del tabacco. CH/179 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio PER SAPERNE DI PIÙ L’ossigeno è trasportato dal sangue, che provvede a distribuirlo a tutte le cellule del corpo. La quantità di ossigeno che può essere trasportata è molto alta soprattutto per la presenza dell’emoglobina, una molecola proteica complessa. Tra ossigeno O2 ed emoglobina Hb avviene una reazione di sintesi reversibile con produzione di ossiemoglobina Hb ⎯ O2. Nel sangue pertanto è presente l’equilibrio aggiunte 2 moli di D. La velocità della reazione inversa v2 è diventata maggiore di v1 e l’equilibrio si è spostato verso sinistra, fino a che le due velocità sono tornate a essere uguali. Nel caso 4 abbiamo sottratto 1,5 moli di D. La velocità v2 è divenuta minore di v1 e l’equilibrio si è spostato verso destra. In tutti i casi i valori delle concentrazioni si modificano e la costante K mantine lo stesso valore. CAPITOLO 17 L’equilibrio chimico PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 3. Quali modificazioni intervengono a seguito dell’aggiunta di idrogeno H2(g) a una miscela gassosa in equilibrio, composta da idrogeno H2, azoto N2 e ammoniaca NH3 , che reagisce a volume e temperatura costante secondo la reazione N2(g) + 3H2(g) ⇄ 2NH3(g)? E se viene aggiunta ammoniaca? 3. Quali modificazioni intervengono a seguito dell’aggiunta di biossido di zolfo SO2(g) a una miscela gassosa in equilibrio, composta da SO2, ossigeno O2 e triossido di zolfo SO3, che reagisce a volume e temperatura costante secondo la reazione 2SO2(g) + O2(g) ⇄ 2SO3(g)? E se viene aggiunto triossido di zolfo? L’effetto immediato dell’aggiunta di idrogeno è lo spostamento della reazione di equilibrio da sinistra verso destra: si forma ulteriore ammoniaca, si consuma parte dell’idrogeno aggiunto (non tutto quello aggiunto) e si trasforma una ulteriore parte di azoto. Il sistema dopo un po’ di tempo ritorna in condizioni di equilibrio, con il valore della costante K immutato. L’aggiunta di ammoniaca provoca lo spostamento immediato della reazione da destra verso sinistra, poiché si formano ulteriori quantità di idrogeno e azoto e si consuma parte dell’ammoniaca aggiunta (non tutta quella aggiunta). Il sistema poi ritorna in condizioni di equilibrio e la costante K riassume il valore precedente. 17.10 Effetto della pressione sull’equilibrio chimico I l principio di Le Chatelier afferma che un equilibrio chimico si oppone agli interventi che lo modificano, cercando di annullarli. Consideriamo una generica reazione: A + 3B ⇄ 2C in cui tutti i componenti siano allo stato aeriforme. Raggiunte le condizioni di equilibrio, la soluzione gassosa contenente i tre composti presenta determinati valori di composizione e di pressione parziale, che mantiene inalterati nel tempo (figura 17.12 A). A un certo punto interveniamo sul sistema e ne alteriamo le condizioni. Facendo scendere lo stantuffo, riduciamo il volume del recipiente. La pressione dei gas dovrebbe aumentare con proporzionalità inversa, secondo la legge isoterma (cfr. § 0.5). Infatti, per i gas una diminuzione del volume comporta un aumento della pressione (figura 17.12 B). In base al principio dell’equilibrio mobile, però, il sistema cerca di opporsi alla modificazione e tende perciò ad abbassare la pressione. Come può farlo? Facendo diminuire il numero totale delle molecole. Per ottenere questo risultato, 4 molecole dei reagenti (1 di A e 3 di B) vanno a reagire tra loro per dare 2 molecole del prodotto C, come è indicato nell’equazione chimica. Quando aumentiamo la pressione, un certo numero di molecole dei reagenti scompare, in quanto si trasforma in un numero inferiore di molecole del prodotto. L’equilibrio si sposta a destra (figura 17.12 C). Viceversa, se diminuiamo la pressione, il sistema in equilibrio cerca di aumentarla e, per far questo, aumenta il numero totale delle molecole. Alcune molecole del prodotto si trasformano per dare un numero doppio di molecole dei reagenti. L’equilibrio si sposta a sinistra. Da quanto abbiamo detto risulta che: Un esempio di reazione in cui non c’è variazione del numero di molecole allo stato aeriforme è la reazione tra idrogeno e iodio a 500 °C per dare acido iodidrico: 씰 una modificazione della pressione sposta l’equilibrio delle reazioni chimiche, nel caso in cui il numero delle molecole di reagenti allo stato aeriforme sia diverso da quello dei prodotti. Una variazione di pressione determina lo spostamento dell’equilibrio quando rende il quoziente Q diverso dalla costante K. Ciò si verifica se gli esponenti a cui sono elevate le concentrazioni delle sostanze allo stato ae- H 2(g) + I 2(g) ⇄ 2HI(g) CH/180 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 17.11 17 L’equilibrio chimico Effetto della temperatura sull’equilibrio chimico C onsideriamo una reazione esotermica (cfr. § 16.3) che ha raggiunto le condizioni di equilibrio. La reazione diretta avviene con produzione di una certa quantità di calore Q. Scriviamo, riferendoci a un caso generale: A+B ⇄ C+D+Q dove ΔHreazione < 0 Nel corso della reazione diretta si libera energia termica, che viene usata per la reazione inversa. Se noi interveniamo e raffreddiamo il recipiente che contiene la miscela di composti, cioè se sottraiamo calore, il sistema all’equilibrio reagisce, opponendosi alla modificazione. Infatti, in base al principio di Le Chatelier la diminuzione della temperatura determina nel sistema una risposta che tende ad aumentarla: si libera altro calore. Per produrre questo calore altre molecole di A e B devono reagire tra loro per dare molecole di C e D più energia termica. L’equilibrio chimico si è spostato verso destra. Ora immaginiamo, invece, di intervenire con un riscaldamento. Il sistema all’equilibrio risponde e tende a opporsi assorbendo calore: altre molecole di C e D reagiscono secondo la reazione endotermica per dare A e B e l’equilibrio si sposta verso sinistra. Consideriamo ora una generica reazione endotermica, che avviene con assorbimento di una certa quantità di calore Q. La reazione a un certo punto raggiunge le condizioni di equilibrio: M+N+Q ⇄ R+S dove ΔHreazione > 0 La reazione diretta avviene consumando energia termica, che viene prodotta dalla reazione inversa. Se forniamo calore al sistema all’equilibrio, questo cerca di assorbirlo spostando la reazione verso destra. Se raffreddiamo, il sistema tende a produrre calore e l’equilibrio si sposta verso sinistra. In tutti i casi che abbiamo esaminato, l’equilibrio si è spostato verso la reazione esotermica, quando è stata diminuita la temperatura, e verso la reazione endotermica, quando la temperatura è stata aumentata. Riassumendo le influenze sull’equilibrio chimico, possiamo dire che: 씰L’equilibrio chimico può essere spostato variando le concentrazioni dei reagenti o dei prodotti; variando la pressione esercitata sul sistema, se il numero delle molecole allo stato gassoso dei reagenti è diverso da quello dei prodotti; variando la temperatura, se la reazione è esotermica o endotermica. A L’equilibrio chimico, invece, non è spostato dall’aggiunta di un catalizzatore. Infatti, il catalizzatore determina un aumento della velocità di reazione, ma ciò vale nella stessa misura sia per la reazione diretta sia per quella inversa. L’effetto complessivo è che l’intervento del catalizzatore non provoca alcuna modificazione del punto di equilibrio, e quindi anche del valore di K, ma semplicemente lo fa raggiungere in un tempo minore. APPROFONDIMENTO Il processo Haber-Bosch: come sfruttare l’equilibrio mobile PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 6. Considera la reazione reversibile 6. Considera la reazione reversibile ΔHreazione = +180 kJ/mol N2(g) + O2(g) ⇄ 2NO(g) Indica come bisogna modificare la temperatura, affinché, una volta raggiunto l’equilibrio, si formi una maggiore quantità di ossido di azoto NO. Come si deduce dal segno positivo della variazione di entalpia, la reazione diretta è endotermica, cioè richiede calore dall’ambiente esterno. Se forniamo calore e aumentiamo la temperatura, favoriamo la reazione che avviene con assorbimento di energia, cioè quella che porta alla formazione del prodotto NO. L’effetto dell’aumento della temperatura è lo spostamento dell’equilibrio da sinistra verso destra, con ulteriore formazione di ossido di azoto NO e consumo di ossigeno O2 e azoto N2 . 2H2(g) + O2(g) ⇄ 2H2O(g) ΔHreazione = –242 kJ/mol Per produrre una quantità maggiore di acqua, una volta raggiunto l’equilibrio, occorre aumentare o diminuire la temperatura? Giustifica la risposta. CH/182 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 17 L’equilibrio chimico della costante del prodotto di solubilità K ps. Per un generico sale A x By che in soluzione si dissocia secondo l’equazione di dissociazione ionica: A x By(s) y+ x– + yB(aq) ⇄ xA(aq) l’espressione della costante K ps è: y+ y Kps = [A ]x · [Bx– ] 씰 In una soluzione satura a temperatura costante il prodotto delle concentrazioni degli ioni presenti in soluzione, ciascuna elevata al proprio coefficiente stechiometrico come compare nella reazione di dissociazione, è costante ed è uguale al prodotto di solubilità del composto. Nel § 0.8 avevamo sinteticamente classificato le sostanze solide in due gruppi, solubili e insolubili. Le differenze rispetto alla solubilità sono invece più sfumate e articolate. Esistono infatti sostanze che, dopo essersi sciolte in minima quantità, formano soluzioni sature (sostanze pochissimo solubili) e sostanze che formano soluzioni sature dopo l’aggiunta di quantità rilevanti (sostanze solubili). Se un sale è poco solubile, cioè ha un valore basso di solubilità, in soluzione vi è una ridotta concentrazione degli ioni derivanti dalla sua dissociazione e quindi il prodotto di solubilità ha un valore basso (tabella 17.5). A partire dal valore della costante K ps di un composto si può ricavare la sua solubilità, passando per il calcolo della concentrazione degli ioni. Per esempio, sappiamo che il K ps del cloruro di argento AgCl a 25 °C è 1,5·10 –10, cioè [Ag +]·[Cl– ] = 1,5·10 –10. La piccola quantità di cloruro d’argento che si scioglie è completamente dissociata in uno ione Ag + e uno ione Cl– e le concentrazioni dei due ioni sono uguali. Essendo [Ag +] = [Cl– ], possiamo scrivere [Ag +] 2 = 1,5·10 –10, da cui ricaviamo [Ag +] = 1,2·10 –5 M. L’equa– + ci dice che una mole di ioni Ag + si + Cl(aq) zione chimica AgCl(s) ⇄ Ag (aq) forma da una mole di AgCl, per cui possiamo scrivere [AgCl] = 1,2·10 –5 M e questo valore esprime la solubilità del cloruro d’argento in mol/L. Infine, utilizzando la massa molare di AgCl, che è 143,32 g/mol, convertiamo le moli in grammi e ricaviamo il valore 1,7·10 –3 g/L. Col procedimento inverso possiamo ricavare il valore della costante K ps conoscendo la solubilità. Per esempio, alla temperatura di 20 °C la solubilità dello ioduro d’argento AgI è 9,2·10 –9 mol/L. Ciò significa che, quando la soluzione è satura, la concentrazione degli ioni argento [Ag+] è 9,2·10 –9 Formula TABELLA 17.5 Solubilità in mol/L e costante del prodotto di solubilità per alcuni composti poco solubili. Temperatura °C Solubilità mol /L K ps 10 6·10 –6 4,0·10 –11 25 1,2·10 –5 1,5·10 –10 25 8,8·10 –7 7,7·10 –13 100 2·10 –5 5,0·10 –10 AgI 25 1·10 –8 9,0·10 –17 Ag2S 25 2,9·10 –13 1,0·10 –37 Ag2SO4 25 6·10 –3 7,0·10 –7 AgBrO3 25 7,6·10 –3 5,8·10 –5 BaCO3 25 9·10 –5 8,1·10 –9 BaSO4 25 1·10 –5 1,1·10 –10 CaCO3 25 7·10 –5 5,0·10 –9 CaSO4 25 8·10 –3 6,0·10 –5 Ca(OH)2 30 0,013 9,0·10 –6 2,8·10 –18 8,0·10 –36 1,4·10 –18 AgCl AgBr CuS 0 Hg2Cl2 25 2·10 –5 HgS 25 1,7·10 –26 3,0·10 –52 PbCl2 25 0,016 1,6·10 –5 PbBr2 25 0,013 PbI2 25 1,5·10 PbCO3 20 4·10 –7 CH/184 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio 9,0·10 –6 –3 1,4·10 –8 1,4·10 –13 CAPITOLO 17 L’equilibrio chimico mol/L, così come quella degli ioni ioduro [I – ]. Perciò il valore di K ps per lo ioduro d’argento è: K ps = [Ag +] · [I – ] = (9,2 · 10 –9 mol/L)2 = 8,5 · 10 –17 I dati della tabella 17.5 indicano che le costanti del prodotto di solubilità di alcuni sali presentano valori estremamente bassi. Nelle soluzioni di questi sali, per esempio AgCl, BaSO4 e HgS, non si avranno mai alte concentrazioni di ioni, quali Ag + e Cl– , Ba2+ e SO 24 – o Hg2+ e S2–, perché ognuno di questi ioni tende a legarsi all’altro, riformando il sale poco solubile. Come per tutte le costanti di equilibrio, il valore di K ps varia al variare della temperatura. Consideriamo ancora una soluzione satura di cloruro di argento: AgCl(s) – ⇄ Ag +(aq) + Cl(aq) Proviamo ad aumentare la concentrazione dello ione cloruro, aggiungendo per esempio cloruro di potassio, cioè ioni potassio K + e ioni cloruro Cl – (figura 17.14). Il principio di Le Chatelier ci dice che l’aggiunta di un prodotto in una reazione all’equilibrio fa spostare la reazione verso la formazione dei reagenti. Nel nostro caso l’aggiunta degli ioni Cl – sposta l’equilibrio verso sinistra, cioè verso il precipitato di AgCl solido. Infatti osserviamo la formazione di altro AgCl, che precipita, e verifichiamo una diminuzione della concentrazione degli ioni Ag +. L’aggiunta di un composto che manda in soluzione ioni Cl –, già prodotti dalla dissociazione del cloruro d’argento, fa diminuire la solubilità di AgCl. Otteniamo lo stesso risultato se introduciamo altri ioni Ag +, anziché ioni Cl –. Per esempio, quando aggiungiamo un sale che ha in comune il catione argento, come il nitrato d’argento AgNO3, spostiamo l’equilibrio verso il cloruro d’argento indissociato. Questo comportamento è chiamato effetto dello ione in comune. 씰 L’aggiunta di uno ione in comune a una soluzione satura contenente un sale poco solubile fa diminuire la solubilità del sale e ne determina la precipitazione. FIGURA 17.14 Nel becher vi è una soluzione satura di un sale poco solubile. L’aggiunta di una soluzione contenente uno ione in comune fa diminuire ulteriormente la solubilità del sale e determina ancora precipitazione. PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 7. La solubilità dello ioduro rameoso CuI è 8,4·10 –7 mol/L a 25 °C. Calcola il valore del prodotto di solubilità K ps del CuI a quella temperatura. Dapprima scriviamo la reazione di dissociazione ionica dello ioduro rameoso: – + . Ogni mole di CuI che si dissocia forma 1 mole di ioni rameosi + I(aq) CuI(s) ⇄ Cu(aq) + Cu e 1 mole di ioni ioduro I –. Poiché la solubilità del CuI è 8,4·10 –7 mol /L, nella soluzione satura abbiamo 8,4·10 –7 mol/L di Cu + e 8,4·10 –7 mol/L di I –. L’espressione del prodotto di solubilità è: Kps = [Cu+]·[I –] poiché [Cu+] = [I –], il valore della costante è Kps = (8,4·10 –7 mol/L)2 = 7,0·10 –13 7. Il prodotto di solubilità del bromuro di piombo PbBr2 a 25 °C è 9,0·10 – 6. Calcola la solubilità del sale in g/L. 8. La solubilità del cloruro d’argento AgCl è 6,3·10 – 6 mol/L a 10 °C. Calcola il valore della costante K ps a quella temperatura. 8. La costante del prodotto di solubilità del carbonato di calcio CaCO3 a 25 °C è 5,0·10 – 9. Calcola la solubilità del composto in g/L a quella temperatura. Dapprima scriviamo la reazione di dissociazione ionica del carbonato di calcio: 2– 2+ . Ogni mole di CaCO3 che si scioglie e si dissocia forma 1 + CO 3(aq) CaCO3(s) ⇄ Ca(aq) mole di ioni calcio Ca 2+ e 1 mole di ioni carbonato CO 32– . Le concentrazioni degli ioni [Ca 2+] e [CO 32– ] corrispondono perciò al valore della solubilità del composto. L’espressione della costante K ps per il carbonato di calcio CaCO3 è: K ps = [Ca2+]·[CO 32–] Poiché conosciamo il valore della costante, possiamo ricavare la solubilità del carbonato di calcio estraendo la radice quadrata di K ps. Infatti, indicando con s la solubilità, quando la soluzione è satura abbiamo s mol /L di Ca 2+ ed s mol /L di CO 32–; quindi Kps = s × s = s 2, da cui s = √Kps = √5,0·10 – 9 = 7,1·10 – 5 mol /L. Dalla solubilità in mol /L passiamo alla solubilità in g/L, moltiplicando per la massa molare del CaCO3, che è 100,1 g/mol: s = 7,1·10 – 5 mol /L × 100,1 g /mol = 7,1·10 – 3 g/L CH/185 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 17 L’equilibrio chimico PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 9. Calcola la solubilità in mol /L del cloruro d’argento AgCl (K ps = 1,5·10 –10) in una soluzione 0,10 M di cloruro di sodio NaCl. 9. Calcola la solubilità espressa in g/L dello ioduro di argento AgI (K ps = 8,5·10 – 17) in una soluzione 0,010 M di ioduro di potassio KI. Il cloruro di argento viene introdotto in una soluzione di cloruro di sodio che contiene lo ione in comune Cl –, per cui la concentrazione massima degli ioni in soluzione deve tenere conto degli ioni Cl – già presenti. Innanzitutto scriviamo l’espressione della costante K ps relativa all’equilibrio del cloruro d’argento: + – + Cl(aq) : AgCl(s) ⇄ Ag(aq) + – Kps = [Ag ]·[Cl ] = 1,5·10 –10 Indichiamo con s la solubilità in mol /L del cloruro d’argento. All’equilibrio si sono disciolte s mol /L di AgCl e in soluzione abbiamo s mol /L di ioni Ag + e s mol /L di ioni Cl –. La concentrazione degli ioni Cl – è però molto più alta, tenendo conto della presenza degli ioni cloruro provenienti dal cloruro di sodio, sale completamente dissociato. Poiché la concentrazione di NaCl è 0,10 M, abbiamo in soluzione 0,10 mol /L di ioni Na + e 0,10 mol /L di ioni Cl –. La concentrazione degli ioni [Cl –] complessivamente presenti in soluzione è data dalla somma: (s + 0,10) mol /L. Conoscendo il valore della costante Kps, possiamo ricavare la solubilità s: K ps = 1,5·10 –10 = [Ag +]·[Cl –] = (s)·(s + 0,10) Dal valore molto basso della costante K ps possiamo dedurre che anche la solubilità s ha un valore estremamente piccolo, se confrontato col valore di concentrazione 0,10 mol /L; pertanto non commettiamo un errore significativo trascurando s rispetto a 0,10, cioè (s + 0,10) ~ 0,10. A questo punto la relazione precedente diventa: K ps = 1,5·10 –10 = (s)·(0,10) = 0,10 s da cui ricaviamo la solubilità: PER SAPERNE DI PIÙ s = K ps / 0,10 = 1,5·10 –10 / 0,10 = 1,5·10 –9 mol /L Le grotte, le stalattiti e l’equilibrio del carbonato di calcio La maggior parte delle acque sotterranee ha reazione leggermente acida, perché contiene deboli acidi organici che si formano dalla decomposizione dei vegetali. Questa acqua acida, che contiene quindi più ioni H +, a contatto con le rocce calcaree, costituite da carbonato di calcio CaCO 3, reagisce secondo l’equazione: line, tipiche delle zone carsiche. Se questa azione avviene nella roccia in profondità si creano le grotte. L’acqua che circola negli strati profondi di roccia e nelle grotte può contenere in soluzione CO2. Anche questa soluzione è debolmente acida e col carbonato di calcio CaCO 3 dà luogo alla reazione reversibile: + CaCO3(s) + 2H (aq) CaCO 3(s) + CO2(aq) + H2O(l) ↓ Ca 2+ (aq) + H2O(l) + CO2(g) ⇅ + Ca 2(aq) + 2HCO –3(aq) (1) Il carbonato di calcio della roccia viene attaccato, corroso e disciolto, perché si formano sali di calcio solubili, acqua e diossido di carbonio. La liberazione del gas CO2 fa spostare verso destra la reazione. Sulla superficie della roccia calcarea si creano incisioni e depressioni a forma di imbuto, le do- (2) Quando un’acqua sotterranea contenente ioni calcio Ca2 + e ioni idrogenocarbonato HCO –3 gocciola dal soffitto di una caverna, l’acqua e il diossido di carbonio evaporano. L’equilibrio (2) si sposta a sinistra e il carbonato di calcio CaCO 3 precipita: si formano così le stalattiti e le stalagmiti. Caratteristiche formazioni carsiche: le stalattiti, pendenti dall’alto, e le stalagmiti, che si elevano dal basso. CH/186 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 17.13 17 L’equilibrio chimico Solubilità e precipitazione P rendiamo una soluzione in cui vi siano ioni cloruro Cl – e uniamola con un’altra soluzione in cui siano presenti ioni argento Ag +. Si forma il cloruro di argento AgCl, sale pochissimo solubile. La soluzione immediatamente diviene satura, il liquido si intorbida e precipita sul fondo del recipiente un solido bianco (figura 17.15). La domanda che ci poniamo ora è la seguente: se una soluzione contiene ioni Ag + e ad essa aggiungiamo ioni Cl –, otteniamo sempre il precipitato di AgCl indipendentemente dalla concentrazione degli ioni? Per rispondere a questa domanda occorre considerare che il sistema chimico è basato sulla reazione reversibile: AgCl (s) – ⇄ Ag +(aq) + Cl(aq) Il precipitato di AgCl solido si forma quando il sistema ha raggiunto l’equilibrio e le concentrazioni degli ioni Ag + e Cl – sono tali da far superare il valore della costante del prodotto di solubilità. Per sapere se il sistema ha raggiunto l’equilibrio, utilizziamo il quoziente di reazione Q. Come abbiamo visto nel § 17.7, il calcolo del quoziente di reazione permette di determinare se la miscela di reagenti e prodotti che sta reagendo è già all’equilibrio o se la reazione tende a spostarsi verso destra o verso sinistra per stabilire l’equilibrio. Nel caso dei sali poco solubili il quoziente di reazione Q si ottiene, come la costante K ps, dal prodotto delle concentrazioni degli ioni: Q = [Ag + ]·[Cl – ]. La differenza tra quoziente di reazione Q e costante del prodotto di solubilità K ps sta nel fatto che le concentrazioni che si utilizzano nel calcolo del quoziente di reazione non sono quelle del sistema all’equilibrio. Una volta calcolato Q, si presentano tre casi. Se Q = K ps la soluzione è satura e gli ioni in soluzione sono in equilibrio con il precipitato solido. Se Q < K ps il sistema non è all’equilibrio, la soluzione non è satura e il precipitato non si forma. Se Q > K ps il sistema non è all’equilibrio, le concentrazioni di Ag + e Cl – sono troppo alte, la soluzione è sovrassatura e il cloruro d’argento precipita fino a che diventa Q = K ps. FIGURA 17.15 Mescolando una soluzione acquosa di cloruro di sodio NaCl con una soluzione acquosa di nitrato d’argento AgNO3, provochiamo la formazione del cloruro d’argento AgCl, che essendo un sale poco solubile precipita. 씰 Il quoziente di reazione consente di prevedere se si forma un precipitato quando uniamo soluzioni di composti ionici a concentrazioni note. Consideriamo un’altra reazione di precipitazione. Se a una soluzione contenente ioni solfato SO 2– 4 aggiungiamo un sale di bario che rilascia ioni Ba2 +, la soluzione si intorbida per la formazione di un precipitato bianco di solfato di bario BaSO4. Basta una piccola quantità per far sì che il prodotto delle concentrazioni degli ioni Ba2 + e degli ioni SO 24– risulti superiore al valore molto basso della costante K ps del BaSO4. Questa caratteristica può essere utilizzata per effettuare analisi qualitative, cioè per scoprire la presenza di certi ioni in soluzione. Per esempio, se aggiungiamo ioni bario Ba2+ a una soluzione incognita e immediatamente osserviamo la formazione di un precipitato bianco, possiamo affermare che la soluzione contiene ioni solfato SO 24– (figura 17.16). A APPROFONDIMENTO Ba2 + Il solfato di bario e l’intestino ai raggi X Na+ NO–3 SO42– Aggiungendo nitrato di bario Ba(NO3)2 a una soluzione di solfato di sodio Na2SO4, si ha la precipitazione del solfato di bario BaSO4, essendo Q > Kps. Se aggiungendo ioni bario Ba 2+ a una soluzione incognita osserviamo l’immediata formazione di un precipitato, possiamo affermare che la soluzione contiene ioni solfato SO 2– 4 . FIGURA 17.16 CH/187 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 17 L’equilibrio chimico PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 10. Determina se, aggiungendo 20 mL di una soluzione 0,032 M di nitrato d’argento AgNO3 a 15 mL di una soluzione 0,043 M di bromuro di sodio NaBr, si verifica la formazione di un precipitato di bromuro d’argento AgBr (K ps = 7,7·10 –13). 10. Determina se, aggiungendo 10 mL di una soluzione 0,00010 M di nitrato d’argento AgNO3 a 100 mL di una soluzione 0,00010 M di ioduro di potassio KI, si verifica la formazione di un precipitato di ioduro di argento AgI (K ps = 9,0·10 – 17). Tra le due soluzioni che uniamo avviene la reazione: AgNO3 + NaBr → AgBr + NaNO3 Dapprima troviamo la concentrazione degli ioni argento Ag + e degli ioni bromuro Br – nelle soluzioni di partenza. Tenendo conto che sia AgNO3 sia NaBr sono sali solubili che si dissociano completamente in uno ione positivo e uno ione negativo, in ciascuna soluzione dei reagenti la concentrazione degli ioni è uguale alla molarità della soluzione. Determiniamo ora le concentrazioni [Ag +] e [Br –] nella soluzione risultante dopo l’unione dei reagenti. Ricaviamo prima il numero delle moli di ciascuno ione, moltiplicando la molarità per il volume espresso in litri: moli di Ag + in 20 mL = 0,032 M × 0,020 L = 6,4·10 –4 mol; moli di Br – in 15 mL = 0,043 M × 0,015 L = 6,4·10 –4 mol. Dividiamo poi il numero delle moli di ciascuno ione per il volume complessivo della soluzione (0,020 L + 0,015 L = 0,035 L) che si forma dall’unione dei due reagenti: [Ag +] = 6,4·10 –4 mol / 0,035 L = 0,018 mol /L; [Br –] = 6,4·10 –4 mol / 0,035 L = 0,018 mol/L. Il precipitato di AgBr che si forma dalla reazione dà luogo all’equilibrio – + AgBr(s) ⇄ Ag(aq) + Br(aq) A questo punto calcoliamo il quoziente di reazione Q per il nostro sistema, in modo da poterlo confrontare con la costante Kps : Q = [Ag +]·[Br –] = (0,018) × (0,018) = 3,2·10 –4 Il valore di Q è maggiore di quello di K ps (3,2·10 –4 > 7,7·10 –13) e quando Q > Kps il precipitato si forma. Glossary Chemical equilibrium (equilibrio chimico) A reversible reaction in which the rate of the forward reaction equals the rate of the reverse reaction. Equilibrium constant (costante di equilibrio) Is the ratio of the rate constant of the reverse reaction and the rate constant of the forward reaction. Irreversible reaction (reazione irreversibile) A chemical reaction in which the extent of the reverse reaction is negligibly small and the reactants totally change to products. Law of mass action (legge di azione di massa) For a reversible reaction at equilibrium the ratio of the rate constant of the reverse reaction and the rate constant of the forward reaction is constant. Le Chatelier’s principle ( principio di Le Chatelier) In a system in equilibrium any change on the system tends to shift the equilibrium to nullify the effect of the applied change. Reversible reaction (reazione reversibile) A chemical reaction in which the forward reaction and the reverse reaction occurs at the same time. Solubility product ( prodotto di solubilità) The product of the concentrations of ions in a saturated solution. CH/188 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio A presente un catalizzatore rispetto a quando la stessa reazione non è catalizzata? Domande aperte 11 Quando è corretto indicare come reversibile una reazione 17 Quali sono i parametri che possono influire sullo stato di equilibrio? chimica? 12 Quali sono le principali caratteristiche di un sistema chi- 18 In quale modo la temperatura influisce sull’equilibrio di mico all’equilibrio? Perché definiamo dinamico un equilibrio chimico? 19 Che cosa si intende per reazione a completamento? Per- 13 Che cosa afferma la legge di azione di massa? 14 Che cosa esprime la costante di equilibrio di una reazione una reazione chimica? ché questo tipo di reazione è anche denominato irreversibile? chimica? Che cosa possiamo affermare se il valore della costante è maggiore, minore o uguale a 1? 10 Che cosa è il prodotto di solubilità? Che relazione c’è tra 15 Definisci il principio di Le Chatelier. Illustra il suo significa- 11 Che cosa si intende con effetto dello ione in comune? 12 Indica le somiglianze e le differenze tra quoziente di rea- to con qualche esempio. 16 Come varia l’equilibrio di una reazione chimica, quando è zione e costante di equilibrio. A Esercizi di completamento 13 costante del prodotto di solubilità e solubilità? Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello spazio vuoto il termine opportuno. La legge di Guldberg e rapporto tra il delle sostanze ……………………………………………… …………………………………………… dice che un sistema chimico è in condizioni di delle concentrazioni delle sostanze prodotte e il prodotto delle ……………………………………………………………… , ciascuna elevata a un ………………………………………………………………… ………………………………………………………………………… stechiometrico, è ……………… afferma che, se un sistema in condizioni di ……………………………………………………… ………………………………………………… …………………………………………………………………………… quando il …………………………………………………………… corrispondente al proprio a temperatura costante. Il principio di ………………………………………………… viene perturbato, l’equilibrio risponde in modo da …………………………………………………… alla variazione apportata e ristabilire un nuovo …………………………………………………………………… . VERIFICA LE CONOSCENZE A Esercizi di corrispondenza 14 Collega con una freccia gli elementi della prima colonna a quelli corrispondenti della seconda e giustifica le tue scelte. Reazione reversibile Costante di equilibrio Reazione a completamento Equilibrio chimico Equilibrio mobile Reazione in cui l’equilibrio chimico è tutto spostato verso destra Le Chatelier v1 = v2 [Prodotti] / [Reagenti] Reazione in cui si svolgono nello stesso tempo la reazione diretta e quella inversa CH/189 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio G U I DA A L L O ST U D I O EA E FACCIAMO IL PUNTO G U I DA A L L O ST U D I O EA A Gioca e impara 15 Rispondi alle seguenti definizioni. Con le lettere iniziali di ciascuna risposta componi poi il termine che completa la frase a lato: «Quando la velocità della reazione diretta è uguale alla velocità della reazione inversa il sistema ha raggiunto lo stato di ………………………………………………………………… .» …………………………………… …………………………………… …………………………………… ………… …………………………………………… 3. Lo sono le velocità di reazione in un sistema all’equilibrio …………………………………… 4. Lo è la reazione che si oppone alla reazione diretta …………………………………… 5. Enunciò il principio dell’equilibrio mobile ………… …………………………………… 6. Possono essere positivi o negativi e costituiscono i sali …………………………………… 7. NaOH, Ca(OH)2, NH4OH sono composti definiti idrossidi o ... …………………………………… 8. Nelle equazioni chimiche il loro posto è a sinistra …………………………………… 9. Lo è una reazione a completamento …………………………………… …………………………………… 1. Grandezza che definisce la spontaneità delle reazioni chimiche 2. Il rapporto tra le concentrazioni dei prodotti e quelle dei reagenti, quando il sistema non è all’equilibrio 10. Il fenomeno che consiste nel passaggio di un solvente da una parte all’altra di una membrana semipermeabile per riequilibrare due soluzioni a differente concentrazione 16 Trova l’errore presente nel seguente schema e giustifica la risposta. H2 I2 HI EQUILIBRIO 17 AGGIUNTA DI H2 NUOVO EQUILIBRIO B C Quale tra le seguenti situazioni rappresenta meglio quella di un sale poco solubile? Spiega la motivazione della tua scelta. AgCl Cl – Ag+ A CH/190 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio 18 In un reattore dal volume di 1,00 avviene la reazione: 2H2(g) + CO(g) ⇄ CH3OH(g). Raggiunto l’equilibrio, misuriamo 0,140 mol di CH3OH, 0,270 mol di H2 e 0,160 mol di CO. La costante di equilibrio K c vale: B 3,24; C 10,5; A < 0,65; C > 0,65; espresso in mol/L. 26 Quale tra i seguenti sali è il meno solubile? A AgBr (Kps = 3,5 · 10 –13); B AgI (Kps = 1,5 · 10 –16); D 0,310. L’acqua allo stato aeriforme viene fatta reagire col gas monossido di carbonio per formare diossido di carbonio e idrogeno gassosi. Dopo che si è raggiunto l’equilibrio, la costante K c vale 0,65. Successivamente viene aggiunta una quantità di CO2 pari a 0,65 g, lasciando inalterate le altre concentrazioni e le condizioni. La costante di equilibrio diventa: A reagenti; D dei reagenti e dei prodotti hanno lo stesso valore dm3 A 12,0; 19 C C ZnS (Kps = 3,0 · 10 – 22); D CaSO4 (Kps = 6,1 · 10 – 5). 27 Se il valore del quoziente di reazione Q è minore del valore della costante di equilibrio K: A la reazione procede prevalentemente da sinistra 0,65; D 0,65 + 0,65. verso destra; B B la reazione procede prevalentemente da destra verso sinistra; 20 Un sistema chimico all’equilibrio, in cui avviene la reazione CO(g) + 3H2(g) ⇄ CH4(g) + H2O(g), contiene 0,30 mol di CO, 0,10 mol di H2, 0,02 mol di H2O e una quantità non nota di CH4 in un volume di 1,0 L. La miscela all’equilibrio ha una costante K c uguale a 3,92. La concentrazione di CH4(g) è: A 0,049 mol/L; C 0,0069 mol/L; 21 C la reazione è in condizioni di equilibrio chimico; D si deve aggiungere un catalizzatore per far procedere la reazione. 28 L’aggiunta di uno ione in comune a una soluzione satura contenente un sale poco solubile: 0,059 mol/L; D 0,49 mol/L. B La reazione di decomposizione del pentacloruro di fosforo in tricloruro di fosforo e cloro, tutti gassosi, è reversibile ed esotermica. Possiamo allora dire che l’equilibrio viene spostato verso destra: A da un abbassamento della temperatura; B da un innalzamento della pressione; A aumenta la solubilità del sale; B fa precipitare il sale; C sposta l’equilibrio verso destra; D modifica il valore della costante Kps. 29 A la reazione è esotermica; B la reazione è endotermica; C da un aumento della concentrazione del cloro; D dall’aggiunta di un catalizzatore. 22 L’acido iodidrico HI gassoso si ottiene dalla reazione reversibile tra idrogeno e iodio, anch’essi gassosi. Per aumentare la resa di questo processo, che è esotermico, è più opportuno: C la reazione avviene senza scambio di calore; D la reazione è una combustione. 30 A ridurre la temperatura dell’ambiente di reazione; B diminuire la concentrazione dell’idrogeno; Data la reazione reversibile H2(g) + I2(g) ⇄ 2HI(g) se all’equilibrio aggiungiamo I2(g) mantenendo costanti le condizioni, dopo il ritorno a condizioni stabili: 2 2 C Kp = (p CO · pO2 ) / p CO ; 2 2 D Kp = p CO / (p CO · pO2 2 ). 2 31 A l’equilibrio si è spostato verso destra e la costante di C la costante di equilibrio K c è rimasta invariata; D il valore della costante di equilibrio K c è aumentato, B l’equilibrio si è spostato verso sinistra; C il valore della costante di equilibrio non è cambiato; La costante di equilibrio K relativa alla reazione tra azoto e idrogeno per dare ammoniaca è espressa dalla relazione: A K = [NH3]2 / [N2][H2]3; C K = [NH3] / [N2][H2]3; 25 Se, mantenendo costante la pressione, si aggiunge ammoniaca gassosa NH3 alla reazione di equilibrio N2(g) + 3H2(g) ⇄ 2NH3(g), dopo il ritorno a condizioni stabili: A il valore della costante di equilibrio K c è aumentato; B il valore della costante di equilibrio K c è diminuito; equilibrio è diminuita; mentre quello della K p è diminuito. 24 Quale tra le seguenti è la costante di equilibrio Kp per la reazione 2CO(g) + O2(g) ⇄ 2CO2(g)? 2 2 A Kp = p CO / (p CO · pO2 ); 2 B Kp = [CO2] / [CO][O2]2; C aumentare la concentrazione dell’acido iodidrico; D aumentare la concentrazione dello iodio. 23 Il valore della costante di equilibrio di una reazione chimica aumenta all’aumentare della temperatura se: K = [NH3]2 / [N2][H2]; D K = [NH3] / [N2][H2]2. B D si forma di nuovo la stessa quantità di NH3 che era stata aggiunta. 32 Se, mantenendo costante la pressione, si aggiunge azoto gassoso N2 alla reazione di equilibrio N2(g) + 3H2(g) ⇄ 2NH3(g) dopo il ritorno a condizioni stabili: Nelle reazioni chimiche all’equilibrio le quantità: A l’equilibrio si è spostato verso sinistra; B il valore della costante di equilibrio non è cambiato; A di ciascun reagente e prodotto rimangono costanti D si è formata di nuovo la stessa quantità di N 2 che era nel tempo; B dei reagenti diventano trascurabili; D l’equilibrio si è spostato verso destra. stata aggiunta; CH/191 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio GGU UIIDA DA AALLLLOO ST S TU UD D IIO O A Domande a scelta multipla EA Eprodotti sono sempre maggiori di quelle dei dei G U I DA A L L O ST U D I O EA E VERIFICA LE ABILITÀ A Esercizi e problemi 33 A 723 K in un reattore dal volume di 5,000 L sono presenti all’equilibrio 3,356 mol di azoto, 4,070 mol di idrogeno e 1,285 mol di ammoniaca, tutti allo stato gassoso. Determina il valore della costante di equilibrio K c. [0,1824] 34 Nella reazione di formazione della formaldeide HCHO a partire da monossido di carbonio CO e idrogeno H2, tutti composti gassosi, l’equilibrio a 333 °C si raggiunge con la presenza di 0,305 mol di CO, 0,440 mol di H2 e 0,525 mol di formaldeide. Determina la costante di equilibrio K c , sapendo che il volume del reattore è di 7,50 L. Che cosa succede se si introduce nel reattore un certo volume di idrogeno, mantenendo inalterate le condizioni di temperatura e pressione? [29,3] 35 A una data temperatura in un recipiente da 5,0 L avviene la reazione reversibile di sintesi del composto AB3 secondo l’equazione A(g) + 3B(g) ⇄ AB3(g). All’equilibrio il sistema ha la seguente composizione: 6,0 mol di B, 8,5 mol di A e 4,0 mol di AB3. Quanto vale la costante di equilibrio K c della reazione? 42 Il valore della costante K c della reazione di equilibrio PCl5(g) ⇄ PCl3(g) + Cl2(g) a 300 °C è 0,050. Se all’equilibrio in un recipiente da 1,00 L la concentrazione di PCl5 è 0,014 mol/L, quante moli sono presenti di PCl3 e di Cl2? [0,0264 mol] 43 Nella reazione reversibile tra ozono e ossigeno 2O3(g) ⇄ 3O2(g) le concentrazioni all’equilibrio sono [O2] = 0,21 mol/L e [O 3] = 6,0 · 10 –8 mol/L. Calcola il valore della costante di equilibrio K c . [2,6 · 10 12] 44 La concentrazione iniziale del metano CH4 , che reagisce secondo la reazione di equilibrio 2CH4(g) ⇄ C 2H2(g) + 3H2(g) è 0,030 M. All’equilibrio la concentrazione dell’acetilene C 2H2 è 0,014 M e quella dell’idrogeno è 0,042 M. Determina la concentrazione molare all’equilibrio del metano e il valore della costante di equilibrio K c . [0,002 mol/L] [0,259] 45 Nel sistema all’equilibrio in cui avviene la reazione CO(g) + 2H2(g) ⇄ CH3OH(g) le concentrazioni del monossido di carbonio e del metanolo sono [CO] = 1,00 mol/L e [CH3OH] = 1,50 mol/L, mentre la costante di equilibrio K c è 14,5. Calcola il valore della concentrazione all’equilibrio dell’idrogeno H2. [0,321 mol/L] 46 Se il prodotto di solubilità del CuS a una certa temperatura è K ps = 8,5 · 10 – 45, qual è la solubilità in mol /L e g /L alla stessa temperatura? [9,2 · 10 – 23 mol/L] [8,8 · 10 – 21 g /L] 47 Il prodotto di solubilità di CaF2 è 3,2 · 10 – 11. Calcola la concentrazione degli ioni Ca2+ e F – in g /L e in mol/L. [0,272] 36 In un reattore da 25,0 dm3 alla pressione di 1,25 bar si trovano in equilibrio le sostanze risultanti dalla dissociazione del pentacloruro di fosforo, secondo la reazione: PCl5(g) ⇄ PCl3(g) + Cl2(g) Sapendo che il valore della pressione parziale del pentacloruro è pari a 0,625 bar ed è doppio di quello degli altri due gas, determina la costante di equilibrio K p del sistema e spiega che cosa accade se si sottrae parte del cloro presente all’equilibrio. [0,156] 37 Nella reazione di formazione a 871 °C del diossido di carbonio, a partire da carbonio gassoso e ossigeno gassoso, la costante di equilibrio K c vale 10,0. Determina le quantità in grammi delle sostanze all’equilibrio, sapendo che inizialmente si dispone di 1,000 mol di ossigeno nel volume di 1,00 dm3 e di 4,00 g di carbonio gassoso. [CO 2 12,9 g] [C 0,49 g] [O 2 22,7 g] 38 Se si riscaldano 12,0 g di etilene C2H4 in un reattore dal volume di 8,00 L alla temperatura di 1 050 K, avviene la reazione: C2H4(g) ⇄ C2H2(g) + H2(g). Sapendo che la costante di equilibrio K c vale 0,100, determina le concentrazioni in mol/L delle tre specie chimiche all’equilibrio. [8 · 10 – 3 g /L; 2 · 10 – 4 mol/L] [7,6 · 10 – 3 g /L; 4· 10 – 4 mol/L] Question 48 A The reaction quotient defines the equilibrium con- centrations and has a constant value. B Le Chatelier principle predicts the effect of a distur- [C2H4 0,0148 mol/L] [C2H2 0,0388 mol/L] [H2 0,0388 mol/L] 39 bance on a chemical equilibrium. For example, a change of pressure in the following reaction shifts the equilibrium to right H2(g) + I2(g) ⇄ 2HI(g). C A large value of K c means the reaction is reactants-favoured and that the products concentrations are lower than the reactants concentrations at equilibrium. La costante di equilibrio K c per la reazione: 2NO2(g) ⇄ 2NO(g) + O2(g) a 763 K non è conosciuta. Determina il suo valore, sapendo che all’equilibrio in un reattore dal volume di 100 L hanno reagito solo 2,76 g dei 5,52 g di NO2 presenti all’inizio. [3,0 · 10 – 4 ] 40 41 Dalla reazione tra idrogeno e monossido di azoto si ottengono azoto gassoso e acqua. Sapendo che la costante di equilibrio K c vale 2,5 a 20 °C, determina quanti grammi di acqua sono presenti all’equilibrio in un reattore da 50 L, tenendo conto che sia per H2 che per NO il numero delle molecole che hanno reagito è la metà di quello iniziale. [180 g] In un recipiente da 20 L si introducono 61,9 g di acido iodidrico e si riscalda fino a una data temperatura. Avviene la reazione reversibile di decomposizione 2HI(g) ⇄ H2(g) + I2(g) e all’equilibrio la quantità di idrogeno presente è 0,0550 mol. Determina il valore della costante di equilibrio K c. [2,1 · 10 – 2] What is wrong? D When the reactions are reversible, they reach the equilibrium state which can be assumed as a static situation. 49 For each of the following insoluble salts write a balanced equation showing the equilibrium occurring when the salt is added to water and write the K ps expression: A silver chloride; B calcium carbonate; C calcium phosphate. CH/192 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio Acidi e basi 18.1 C A P I TO L O 18 Proprietà degli acidi e delle basi A cidi e basi sono tra le sostanze più comuni presenti in natura e sono normalmente presenti nelle nostre case (figura 18.1). L’acido acetico CH3COOH è stato il primo composto cui è stato dato il nome di acido ed era conosciuto fin dall’antichità. In seguito furono scoperti molti altri composti con proprietà simili e anche questi furono chiamati acidi (cfr. §§ 13.8 e 13.12). L’acido solforico H2SO4 e l’acido nitrico HNO3 furono preparati per la prima volta nel tredicesimo secolo. Acido • Dal latino acidus «pungente». Base • Dal greco basis «sostenere», nel senso che sono composti basilari per la formazione dei sali. FIGURA 18.1 Acidi e soluzioni acide (A) e basi e soluzioni basiche (B) sono comunemente utilizzati per la pulizia della casa e nel settore alimentare. A B Il primo a interessarsi in modo sistematico degli acidi fu Robert Boyle. Egli nel 1675 descrisse le caratteristiche tipiche di questi composti: il sapore agro, l’azione solvente, la proprietà di dar luogo a reazioni di neutralizzazione con le basi (cfr. § 15.1), la possibilità di reagire con i metalli liberando idrogeno e la capacità di far cambiare di colore alcune sostanze, definite indicatori, come il tornasole (figura 18.2). Le basi, nel passato note come alcali, sono composti che reagiscono con gli acidi formando soluzioni neutre di sali e acqua. Anch’esse fanno cambiare colore agli indicatori e annullano gli effetti degli acidi ripristinando il colore originario. Le basi, scivolose al tatto e di sapore amaro, sono presenti nelle ceneri delle piante e consentono la preparazione di soluzioni alcaline. I primi studi sugli acidi e sulle basi tenevano conto solo delle caratteristiche sensoriali. In seguito, i chimici iniziarono a interrogarsi circa le cause del comportamento acido o basico delle sostanze. Lavoisier assegnò il nome ossigeno, che significa «generatore di acidi», all’elemento gassoso presente nell’aria, ritenendo erroneamente che tutti gli acidi contenessero ossigeno. Fu Claude-Louis Berthollet (1748-1822) a scoprire che l’elemento presente in tutti gli acidi non era l’ossigeno, bensì FIGURA 18.2 Dai licheni, come questo che vive sulle rocce, si estrae il tornasole, una miscela di sostanze coloranti. In passato se ne faceva largo uso in tintoria. In laboratorio si usano strisce di carta imbevuta di questo indicatore. Il tornasole assume colore rosso in ambiente acido e colore azzurro in ambiente basico. CH/193 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 18 Acidi e basi Bisogna precisare, però, che non tutti gli acidi e non tutte le basi hanno la stessa capacità di scindersi in ioni (cfr. § 14.3): alcuni sono elettroliti forti, come HCl, HNO3, KOH e NaOH, perché si dissociano per il 100% (α = 1), altri sono elettroliti deboli, perché si dissociano parzialmente (α < 1), come fa l’acido acetico CH3COOH (figura 18.4). Lo ione H +, che si genera da un atomo di idrogeno da cui è stato estratto un elettrone, è un protone. La presenza di una carica elettrica in un volume così piccolo conferisce al protone un’energia elevatissima. Per questo motivo il protone non può esistere da solo. Quando un acido in acqua si ionizza, lo ione H + si lega tramite un legame dativo all’atomo di ossigeno di una molecola di acqua. Si forma così il catione H3O+, chiamato ione ossonio o ione idronio (figura 18.5). In soluzione acquosa in realtà troviamo sempre lo ione ossonio. Ben presto la definizione di Arrhenius cominciò a mostrare i suoi limiti, in quanto si riferiva esclusivamente al solvente acqua. Per di più alcune sostanze, come il diossido di carbonio CO 2, pur non presentando atomi di idrogeno formavano in acqua soluzioni acide; altre sostanze che non possedevano gruppi idrossido, come l’ammoniaca NH 3, in acqua davano luogo a soluzioni basiche. Per spiegare il comportamento di queste sostanze furono ipotizzate le seguenti reazioni e, per mantenere valida la teoria di Arrhenius, furono riformulate le definizioni di acido e base: + O H H H H+ + H2O ⎯→ H3O+ L’idrogenione H + in soluzione acquosa si unisce con un legame dativo all’atomo di ossigeno di una molecola d’acqua e forma lo ione ossonio H3O +. La struttura dello ione è tetraedrica, mentre la forma è piramidale a base triangolare. FIGURA 18.5 CO2 + 2H2O ⇄ H3O + + HCO –3 NH3 + H2O ⇄ NH4+ + OH – 씰 Un acido secondo Arrhenius è una sostanza che incrementa la concentrazione di ioni H3O + in acqua; una base secondo Arrhenius è _ una sostanza che incrementa la concentrazione di ioni OH in acqua. 18.2 Acidi e basi secondo Brønsted-Lowry L a teoria di Arrhenius sugli acidi e le basi dominò quasi incontrastata per i primi due decenni del ventesimo secolo, poi cominciò a vacillare sotto i colpi delle obiezioni che venivano presentate. Nel 1923 il chimico danese Johannes Brønsted (1879-1947) e il chimico inglese Thomas Lowry (18741936) proposero, indipendentemente l’uno dall’altro, una nuova teoria che superava tutte le difficoltà e una nuova definizione di acido e base che ancora oggi mantiene la sua validità. Secondo la teoria di Brønsted-Lowry, un acido, che può essere una molecola o uno ione, rilascia un idrogenione a condizione che possa trasferirlo a una base, che è un’altra molecola o un altro ione (figura 18.6). Il trasferimento dell’idrogenione richiede la contemporanea presenza e disponibilità di due soggetti, l’acido che lo cede e la base che lo accetta. Una specie chimica non può cedere un idrogenione, se non vi è un’altra .. . H .. Cl .. . + H . .... O ...H .. .– .. Cl .. . + HCl + + H .. . . O.. H H .. + FIGURA 18.6 L’acido cloridrico HCl ha una notevole tendenza a rilasciare lo ione H +, ma non lo rilascia se non vi è una specie chimica che possa catturarlo. In acqua la molecola di HCl cede lo ione H + a una molecola d’acqua, che lo lega all’atomo di ossigeno con un legame dativo, formando lo ione ossonio H3O +. + H 2O Cl – + H 3O+ I FIGURA PARLANTE CH/195 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO Un idrogenione può essere paragonato a uno schiaffo. Non lo si può dare se non c’è chi lo riceve e non si può riceverlo se non c’è chi lo dà. Il numero degli schiaffi dati è uguale a quello degli schiaffi ricevuti. 18 Acidi e basi specie che lo accetti; una specie chimica non può accettare un idrogenione, se non vi è un’altra specie che lo ceda. Il punto nodale della teoria è che in una reazione acido-base vi è sempre il trasferimento di un idrogenione da una specie all’altra. L’acido è la specie chimica donatore dell’idrogenione, la base è la specie chimica accettore. 씰 Un acido è una specie chimica capace di cedere un idrogenione a una base; una base è una specie chimica in grado di accettare un idrogenione da un acido. Le definizioni di acido e di base di Brønsted-Lowry sono più generali rispetto a quelle di Arrhenius, in quanto non si riferiscono esclusivamente alle soluzioni acquose, ma sono applicabili a tutte le soluzioni. In base alla teoria di Brønsted-Lowry, possono essere classificati come acido composti molecolari come l’acido nitrico HNO3 o l’acido perclorico HClO4 (figura 18.7), ma anche cationi, come lo ione ammonio NH +4: + – HNO3(aq) + H2O(l) ―→ ← H3O (aq) + NO 3 (aq) + – HClO4(aq) + H2O(l) ―→ ← H3O (aq) + ClO 4 (aq) + + → NH3(aq) + H3O (aq) NH 4(aq) + H2O(l) ←― Analogamente, una base secondo Brønsted-Lowry può essere una specie molecolare, come l’ammoniaca NH3, oppure un anione, come lo ione carbonato CO 2– 3 : _ + → NH 4(aq) + OH (aq) NH3(aq) + H2O(l) ←― _ 2– → HCO –3(aq) + OH (aq) CO 3(aq) + H2O(l) ←― FIGURA 18.7 L’acido perclorico è un acido, secondo la teoria di Brønsted-Lowry, in quanto è in grado di cedere un idrogenione all’acqua. In soluzione acquosa troviamo ioni ossonio H3O + e ioni perclorato ClO –4 . + H + HClO4 + – + + H 2O + H 3O – ClO4 18.3 Coppie coniugate acido-base N coppia coniugata acido-base 1 + acido 1 + base 2 base 1 acido 2 coppia coniugata acido-base 2 FIGURA 18.8 Una reazione tra un acido e una base è considerata da Brønsted-Lowry come un sistema chimico formato da due coppie coniugate acido-base. el corso di una reazione tra un acido e una base, l’acido cede l’idrogenione alla base e si trasforma lui stesso in una base. Il prodotto della sua trasformazione è infatti una specie chimica in grado di riacquistare l’idrogenione nella reazione inversa, almeno potenzialmente. La base che deriva da un acido quando questo perde l’idrogenione è chiamata base coniugata dell’acido. In modo del tutto analogo è definito acido coniugato di una base l’acido che deriva dalla base quando questa acquista un idrogenione. Le due specie chimiche che differiscono per un idrogenione, cioè l’acido e la base coniugati, sono chiamate coppia coniugata acido-base (figura 18. 8). L’acido cloridrico HCl e l’acido acetico CH3COOH in soluzione acquosa danno luogo con le molecole dell’acqua ai seguenti equilibri: – + HCl + H2O ―→ ← Cl + H3O acido base base acido → CH3COO– + H3O+ CH3COOH + H2O ←― acido base base acido in cui Cl – è la base coniugata di HCl, CH3COO – è la base coniugata di CH3COOH e H3O+ è l’acido coniugato di H2O. Secondo Brønsted-Lowry, CH/196 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 18 Acidi e basi HCl e CH3COOH si comportano da acidi in quanto cedono un idrogenione all’acqua; l’acqua si comporta da base in quanto accetta questo idrogenione. L’acqua presenta un ugual numero di ioni H3O+ e OH –, ma l’aggiunta dell’acido ha fatto aumentare la concentrazione degli ioni ossonio [H3O+]. L’ammoniaca NH3 e lo ione carbonato CO 2– 3 in soluzione acquosa danno luogo con le molecole dell’acqua ai seguenti equilibri: → NH4+ + OH – NH3 + H2O ←― base acido acido base → HCO –3 + OH – CO 2– 3 + H2O ←― base acido acido base in cui NH 4+ è l’acido coniugato di NH3, HCO –3 è l’acido coniugato di CO 2– 3 e OH – è la base coniugata di H2O. Secondo Brønsted-Lowry, NH3 e CO 2– 3 si comportano da basi in quanto accettano un idrogenione dall’acqua; l’acqua si comporta da acido in quanto cede questo idrogenione. In questi casi l’aggiunta della base ha fatto aumentare la concentrazione degli ioni idrossido [OH –] dell’acqua. 씰 Ogni reazione acido-base secondo Brønsted-Lowry richiede il trasferimento di un idrogenione da un acido a una base e presenta due coppie coniugate acido-base. PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 1. Scrivi l’equazione chimica bilanciata per la reazione di dissociazione ionica dell’acido solforico H2SO4 in acqua, nella quale si forma lo ione idrogenosolfato HSO –4. Quale specie chimica nella reazione si comporta da acido e quale da base? Identifica le coppie acido-base coniugate. 1. Nelle seguenti reazioni acido-base identifica quale tra i reagenti, secondo Brønsted-Lowry, è l’acido e quale la sua base coniugata; specifica anche quale tra i reagenti è la base e quale il suo acido coniugato. Scriviamo a sinistra nell’equazione di reazione i due reagenti: H2 SO4 + H2O ⇄ ; scriviamo poi a destra la specie chimica indicata come prodotto, lo ione HSO 4– : H2SO4 + H2O ⇄ HSO 4– . A questo punto notiamo che lo ione HSO 4– differisce dalla molecola H2SO4 per un idrogenione H + e quindi è la base coniugata dell’acido solforico H2SO4. Ciò significa che H2SO4 , che è un acido in base alla teoria di Brønsted-Lowry, cede l’idrogenione all’acqua, che in questo caso si comporta da base nel senso indicato da Brønsted-Lowry; H2O accetta l’idrogenione e si trasforma nel suo acido coniugato H3 O +. In definitiva l’equazione completa è: H2SO4 + H2O ⇄ HSO 4– + H3 O +. Le coppie acido-base coniugate sono le seguenti: H2SO4 / HSO 4– e H3 O + / H2O. 2. Nelle seguenti reazioni acido-base identifica quale tra i reagenti, secondo Brønsted-Lowry, è l’acido e quale la sua base coniugata; specifica anche quale tra i reagenti è la base e quale il suo acido coniugato. (a) HCO –3 + H2O ⇄ H2CO3 + OH – (b) HCN + H2O ⇄ CN– + H3O + (c) HCl + NH3 ⇄ NH +4 + Cl– 2. Scrivi l’equazione chimica bilanciata per la reazione di dissociazione ionica dell’acido fosforico H3 PO4 in acqua, nella quale si forma lo ione diidrogenofosfato H2PO –4 . Quale specie chimica nella reazione si comporta da acido e quale da base? Identifica le coppie acido-base coniugate. (a) HCOOH + H2O ⇄ HCOO– + H3 O+ + (b) HCO –3 + H2O ⇄ CO 2– 3 + H3 O (c) NH3 + H2O ⇄ NH +4 + OH– Nella reazione (a) notiamo che HCOOH e HCOO – differiscono per un idrogenione, quindi sono una coppia acido-base coniugata HCOOH / HCOO –; poiché HCOOH è la specie che cede l’idrogenione, esso è l’acido tra i reagenti. Poiché H2 O accetta l’idrogenione, e quindi è la base tra i reagenti, la coppia acido-base coniugata in questo caso è H3 O + / H2 O. Nella reazione (b) sono HCO 3– e CO32– a differire per un idrogenione; quindi HCO 3– è l’acido tra i reagenti e l’acqua è la base. Le coppie acido-base coniugate sono: HCO 3– / CO32– e H3 O + / H2 O. Nella reazione (c) è l’acqua H2 O che differisce per un idrogenione rispetto a OH –; quindi H2 O è l’acido tra i reagenti e NH3 è la base; le coppie acido-base coniugate sono H2 O / OH – e NH 4+ / NH3 . CH/197 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 18 Acidi e basi 18.4 Acidi e basi secondo Lewis L a teoria sugli acidi e le basi proposta da Brønsted e Lowry è sicuramente valida per le reazioni che implicano il trasferimento di un idrogenione, ma non è sufficiente a spiegare il comportamento di tutte le soluzioni. Una definizione più generale e più ampia di acido e base fu proposta nel 1930 da Gilbert Lewis (1876-1946), chimico statunitense. La teoria di Lewis si basa sulla possibilità di condivisione di coppie di elettroni, cioè di doppietti elettronici (cfr. § 11.6), tra due specie chimiche in modo da formare legami covalenti dativi: la base le mette a disposizione, l’acido le accetta. Una specie chimica interpretata come acido o come base secondo la teoria di Lewis è detta acido di Lewis o base di Lewis. Tra un acido di Lewis, che accetta una o più coppie di elettroni, e una base di Lewis, che le mette a disposizione, si stabiliscono uno o più legami dativi. 씰 Un acido di Lewis è una specie in grado di accettare un doppietto elettronico da una base di Lewis per formare un nuovo legame; una base di Lewis è una specie in grado di donare un doppietto elettronico a un acido di Lewis per formare un nuovo legame. L’acido di Lewis, che accoglie la coppia di elettroni, deve avere perciò un orbitale libero per condividere il doppietto elettronico della base (figura 18.9). Una reazione acido-base, secondo Lewis, si verifica quando una molecola, o uno ione, dona una coppia elettronica a un’altra molecola, o a uno ione. I composti che si formano in queste reazioni sono chiamati complessi o composti di coordinazione (vedi § 20.7). A + acido B: base → B:A complesso acido-base Teorie su acidi e basi 1887 1923 BRØNSTED-LOWRY ARRHENIUS Il concetto di acido e base si è modificato e ampliato nel tempo, passando dalla teoria di Arrhenius a quella di Brønsted-Lowry a quella di Lewis. Oggi si considerano come acidi o basi anche composti che non possiedono idrogeni o gruppi idrossido ionizzabili. FIGURA 18.9 FIGURA 18.10 Sono reazioni acido-base secondo Lewis quella (A) dell’acido H+ con la base acqua, quella (B) dell’acido H+ con la base ammoniaca, quella (C) dell’acido AlCl3 con la base ammoniaca, quella (D) del generico metallo M + + con la base acqua. In tutti questi casi l’acido accetta un doppietto elettronico dalla base. A 1930 LEWIS L’acido HA si dissocia in acqua liberando ioni H+ L’acido HA dona un idrogenione H+ a una base B L’acido X accetta una coppia di elettroni da una base B : La base BOH si dissocia in acqua liberando ioni OH – La base B accetta un idrogenione H+ da un acido HA La base B : dona una coppia di elettroni a un acido X La formazione dello ione ossonio H3O + e la formazione dello ione ammonio NH +4 costituiscono ottimi esempi di reazioni acido-base di Lewis (figura 18.10 A e B). Sono reazioni acido-base di Lewis anche quelle tra specie che hanno orbitali vuoti, come il tricloruro di alluminio AlCl3, e molecole in grado di donare doppietti elettronici, come l’ammoniaca NH3, o ancora quelle tra metalli di transizione e molecole di acqua (figura 18.10 C e D). C H + H H+ + O H AlCl3 + N O H H H H N N H + H H H Cl Cl H H H B H+ + H H A N Cl H H D H ++ H M++ + O M H CH/198 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio O H I FIGURA PARLANTE CAPITOLO 18 Acidi e basi 18.5 La ionizzazione e il prodotto ionico dell’acqua L’ acqua è in grado di dissociare, oltre ai composti ionici, i composti molecolari in cui sono presenti legami covalenti eteropolari (cfr. § 14.2). La molecola di acqua è formata proprio da legami covalenti eteropolari. È lecito domandarsi se anche la stessa molecola di acqua possa essere ionizzata. Accurate misure di conducibilità hanno accertato che, seppure in misura molto limitata, anche l’acqua pura è interessata dalla dissociazione. Le molecole d’acqua che si ionizzano cedono un idrogenione H + ad altre molecole d’acqua. Nella reazione si forma lo ione ossonio H3O + e lo ione idrossido o ossidrilione OH – (figura 18.11). + – + OH (aq) H2O(l) + H2O(l) ←― H3O (aq) La reazione di dissociazione ionica dell’acqua è un esempio di autoionizzazione. Alla luce della teoria di Brønsted-Lowry, l’autoionizzazione dell’acqua non è altro che la reazione di una molecola d’acqua che si comporta da acido con una molecola d’acqua che si comporta da base. ← H .... O ..H .. + H .... O ..H .. H .... O .. .. – + + FIGURA 18.11 Quando una molecola d’acqua si dissocia, cede un idrogenione H + a un’altra molecola d’acqua. Si formano uno ione idrossido OH – e uno ione ossonio H3O +. + + H 2O + H .. . O .. H H... H 2O OH – + H 3O+ Anche nelle reazioni con l’acido cloridrico HCl e con l’ammoniaca NH3, che abbiamo incontrato nei paragrafi precedenti, la molecola d’acqua si comportava da base nel primo caso e da acido nel secondo. Considerando tutti i vari tipi di reazione in cui è coinvolta, possiamo dire che l’acqua si comporta da base in presenza di un acido e da acido in presenza di una base. Per questa sua caratteristica l’acqua è definita elettrolita anfotero. La dissociazione ionica dell’acqua è una reazione reversibile. Per la legge di azione di massa (cfr. § 17.4) all’equilibrio abbiamo: K= [H3O +]·[OH –] [H2O] 2 dove K è la costante di dissociazione dell’acqua. Poiché solo pochissime molecole di acqua si dissociano, circa una ogni mezzo miliardo, la costante K ha valore bassissimo e l’equilibrio è quasi completamente spostato verso sinistra. L’espressione della costante di dissociazione dell’acqua può anche essere scritta come: Anfotero • Dal greco amphoteros, termine che significa «l’uno e l’altro». Oltre all’acqua esistono altri elettroliti anfoteri, che in soluzione acida si comportano da basi e in soluzione basica si comportano da acidi. K · [H2O ]2 = [H3O +]·[OH –] e siccome solo pochissime molecole di acqua sono ionizzate, la concentrazione dell’acqua ha un valore costante (circa 55,5 mol/dm3). Il prodotto K ∙ [H2O]2 è quindi il prodotto di due costanti e può essere espresso come una nuova costante, indicata con K w e chiamata prodotto ionico dell’acqua. Alla temperatura di 25 °C il prodotto ionico dell’acqua vale 10 –14: [H3O +]·[OH –] = K w = 1,0·10 –14 CH/199 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 18 Acidi e basi 씰 Il prodotto delle concentrazioni dello ione ossonio e dello ione idrossido in acqua ha il valore costante di 1,0 ·10 –14 a 25 °C. Poiché dalla ionizzazione delle molecole di acqua otteniamo un numero uguale di ioni ossonio e di ioni idrossido, abbiamo inoltre: [H3O +]2 = [OH –]2 = K w = 1,0 ·10 –14 da cui: K w = 1,0 ·10 –7 mol/dm3 [H3O +] = [OH –] = √ ̄ 씰 Nell’acqua la concentrazione dello ione ossonio è uguale a quella dello ione idrossido ed è 1,0 ·10 –7 M. 18.6 Soluzioni acide, basiche e neutre N el paragrafo precedente abbiamo visto che nell’acqua pura le due concentrazioni, dello ione ossonio e dello ione idrossido, sono uguali e valgono 1,0 · 10 – 7 M. Per questo suo equilibrio tra gli ioni, l’acqua è definita neutra, come tutte le soluzioni in cui [H3O +] e [OH –] sono uguali. 씰 Una soluzione neutra ha la concentrazione degli ioni ossonio uguale a quella degli ioni idrossido. Se aggiungiamo un acido o una base all’acqua pura, disturbiamo la sua reazione di dissociazione in equilibrio. In accordo con il principio di Le Chatelier (cfr. § 17.9), il sistema tende a opporsi alla variazione apportata. Introducendo un acido, aggiungiamo ioni H 3O +; una piccola frazione di questi ioni si unisce con gli ioni OH –, che provengono dalla ionizzazione dell’acqua, e quindi la concentrazione degli ioni OH – diminuisce, mantenendo costante il prodotto [H3O +]·[OH –]. La concentrazione degli ioni OH – diventa inferiore a 10 –7 M, quella degli ioni ossonio superiore. È questa la caratteristica distintiva di una soluzione acida. 씰 Una soluzione acida contiene ioni ossonio in concentrazione superiore agli ioni idrossido, cioè [H 3O +] è maggiore di 10 –7 M. >1,0 ·10 –7 M OH – Concentrazione H3O+ H3O+ OH – >1,0 ·10 –7 M OH – <1,0 ·10 –7 M Soluzione acida H3O+ Soluzione neutra Soluzione basica FIGURA 18.12 In una soluzione neutra gli ioni H3O + e quelli OH – hanno la stessa concentrazione. Se la soluzione è acida prevalgono gli ioni H3O +, se è basica prevalgono quelli OH –. Se, invece, aggiungiamo una base all’acqua, la concentrazione degli ioni OH – aumenta. Per il principio di Le Chatelier alcuni ioni H3O + reagiscono con gli ioni OH – aggiunti: la concentrazione degli ioni H3O + dell’acqua diminuisce, mantenendo così costante il prodotto [H3O +]·[OH – ]. La concentrazione degli ioni ossonio H 3O + diventa minore di 10 – 7 M, quella degli ioni idrossido maggiore. È questa la caratteristica distintiva di una soluzione basica. 씰 Una soluzione basica contiene ioni idrossido in concentrazione superiore agli ioni ossonio, cioè [OH – ] è maggiore di 10 –7 M. Per esempio, una soluzione che abbia [H3O +] = 1,0 ·10 – 4 M è acida; una soluzione nella quale [OH – ] = 1,0 ·10 – 5 M, e quindi in cui [H3O +] = 1,0 ·10 – 9 M, è basica (figura 18.12). Riassumendo possiamo dire che: I + – • in una SOLUZIONE NEUTRA [H3O ] = [OH ] = 1,0 ·10 –7 M; + – • in una SOLUZIONE ACIDA [H3O ] > [OH ], FIGURA PARLANTE cioè [H3O +] > 10 –7 M e [OH – ] < 10 –7 M; + – • in una SOLUZIONE BASICA [H3O ] < [OH ], cioè [H3O +] < 10 –7 M e [OH – ] > 10 –7 M. CH/200 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 18.7 18 Acidi e basi Il pH Q uando si studiano soluzioni acquose di acidi e di basi e si considerano in relazione alla loro acidità o basicità, non è pratico fare riferimento alla concentrazione molare degli ioni H3O + o degli ioni OH – . I calcoli con questi valori così bassi di concentrazione espressi in mol/L sono scomodi e complicati e richiedono sempre il ricorso a notazioni esponenziali che arrivano fino a 10 –14. Per ovviare a questo inconveniente nel 1909 il biochimico danese Sören Sörensen (1868-1939) propose di utilizzare una nuova notazione, che prese il nome di pH (pi-acca). 씰 Il pH di una soluzione è il logaritmo negativo in base 10 della concentrazione dello ione ossonio, cioè pH = –log 10 [H 3O +]. Il valore del pH è dato dall’esponente cambiato di segno della potenza in base 10 che esprime la concentrazione degli idrogenioni, o meglio degli ioni ossonio, della soluzione. Per esempio, una soluzione la cui concentrazione dello ione ossonio è 10 –9 M ha pH = 9. Infatti, l’esponente di 10 nel numero che esprime la concentrazione è –9; se cambiamo di segno otteniamo 9. Una soluzione che presenta [H3O +] = 1 M ha pH = 0, perché la potenza in base 10 che corrisponde al valore di concentrazione 1 M è 100. Così come abbiamo fatto per gli ioni H3O + con il pH, possiamo riferirci a una notazione analoga anche per gli ioni OH – con la grandezza denominata pOH (pi-oacca). La lettera «p» si riferisce al termine danese potenz «potenza», intesa in senso matematico, per indicare il fatto che, posta davanti a una grandezza, bisogna calcolarne il logaritmo negativo. La lettera «p» di fatto equivale a «–log». Pertanto il pH è il logaritmo cambiato di segno della concentrazione degli ioni H +, o meglio degli ioni H3O+. ATTIVITÀ Scala del pH 10 0 = 1; n 0 = 1; qualunque numero elevato a 0 è uguale a 1. 씰 Il pOH di una soluzione è il logaritmo negativo in base 10 della concentrazione dello ione idrossido, cioè pOH = –log 10 [OH –]. Per risalire alla concentrazione di ioni ossonio di una soluzione noto il valore del pH, o per ricavare il valore di [OH – ] noto il pOH, eseguiamo le operazioni inverse. Per esempio, se una bevanda analcolica ha pH = 3, la sua concentrazione di ioni ossonio è pari a 10 – 3. In generale abbiamo: [H3O +] = 10 – pH [OH – ] = 10 – pOH Sappiamo che in acqua pura a 25 °C le concentrazioni dello ione ossonio e dello ione idrossido sono entrambe 1·10 – 7 M. Rifacendosi alla definizione di pH, per l’acqua abbiamo: pH = –log [H3O +] = – log (1,0 ·10 – 7) = 7; pOH = –log [OH – ] = – log (1,0 ·10 – 7) = 7. Nel caso dell’acqua e in generale delle soluzioni neutre, che hanno – [H 3O +] = [OH ], i valori di pH e di pOH sono uguali: pH = pOH = 7. Se ci riferiamo alla relazione del prodotto ionico dell’acqua K w ed eseguiamo il logaritmo negativo di entrambe le parti dell’espressione, abbiamo: Kw = [H3O +]·[OH – ] = 1,0 ·10 – 14 log Kw = –log ([H3O +]·[OH – ]) = –log (1,0 ·10 – 14) pKw = –log [H3O +] + (–log [OH – ]) = 14 pKw = pH + pOH = 14 Così come il prodotto ionico dell’acqua K w è costante in tutte le soluzioni, per tutte le soluzioni i valori di pH e pOH devono essere tali che la loro somma sia uguale a 14. Per esempio, se una soluzione ha [OH – ] = 1 M, il suo pOH è uguale a 0. Sapendo che pK w = 14, il valore del pH è ricavato per differenza: pH = pK w – pOH = 14 – 0 = 14. I valori della scala del pH sono compresi tra due estremi, 0 e 14. Una soluzione neutra come l’acqua ha pH = 7. I valori di pH inferiori a 7 indicano soluzioni acide. Quanto più il valore di pH è basso, tanto più la soluzione è acida. Viceversa, valori di pH superiori a 7 indicano soluzioni basiche. Quanto più il valore di pH è elevato, tanto più la soluzione è basica. CH/201 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 18 Acidi e basi 씰 Una soluzione è acida se il pH è minore di 7, neutra se il pH è uguale a 7, basica se il pH è maggiore di 7. Nella tabella 18.1 e nella figura 18.13 sono riportati i valori delle concentrazioni degli ioni H3O + e OH – e i corrispondenti valori di pH e pOH. La tabella 18.2 riporta i valori tipici di pH di alcune comuni soluzioni. Questi e altri dati sono visualizzati nella figura 18.14. È importante notare che: • il pH aumenta quando la concentrazione degli ioni ossonio diminuisce; + – • il prodotto [H3O ]·[OH ] è sempre 1,0 ·10 – 14; pertanto la somma degli esponenti di 10 nelle corrispondenti concentrazioni di [H3O +] e di [OH – ] è sempre 14; –14 Acida Acida Acida Acida Acida Acida Acida Neutra Basica Basica Basica Basica Basica Basica Basica 10 – 14 10 –2 10 – 12 10 –4 10 – 10 10 –7 10 –7 soluzioni neutre 10 – 8 10 –6 10 – 10 [OH–] 10 – 8 10 – 6 10 –4 asi ib on 10 – 12 10 –2 e ch 10 – 14 10 0 0 2 6 7 8 4 10 12 14 pH FIGURA 18.13 In ogni soluzione la somma tra pH e pOH è 14, mentre il prodotto delle concentrazioni degli ioni ossonio e degli ioni idrossido è 10 –14. Si noti che al variare di una unità di pH, le concentrazioni di ioni ossonio e di ioni idrossido variano di 10 volte. acido cloridrico (HCl) 0,1M succo gastrico succo di limone aceto acqua di seltz succo di pomodoro caffè pelle latte Basicità Valore del pH di alcune comuni soluzioni. 0 uzi 0 2,0 2,3 2,3 2,9 3,5 4,2 6,2 6÷6,5 6,5 7 7,4 8,4 8,4÷9,0 10,5 14 2 sol Acido cloridrico HCl 1 M Succo gastrico Coca cola Succo di limone Aceto Acqua di seltz Succo di pomodoro Urina Acqua gassata Latte Acqua pura Sangue Acqua di mare Sapone da toilette Ammoniaca (detergente domestico) Idrossido di sodio NaOH 1 M 4 e pH 87 6 cid Soluzione 10 10 0 ia 10 10–13 10–12 10–11 10–10 10–9 10–8 10–7 10–6 10–5 10–4 10–3 10–2 10–1 100 TABELLA 18.1 Valori del pH e del pOH e corrispondenti valori della concentrazione di ioni ossonio e di ioni idrossido. TABELLA 18.2 pOH 14 12 on 10 10–1 10–2 10–3 10–4 10–5 10–6 10–7 10–8 10–9 10–10 10–11 10–12 10–13 10–14 Proprietà della soluzione uzi 14 13 12 11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 0 [OH]– sol 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 [H3O]+ [H3O+] pOH Acidità pH sangue bile acqua di mare sapone latte di magnesia ammoniaca uso domestico soda caustica (NaOH) 0,1M pH 2 4 6 8 10 12 FIGURA 18.14 Valori del pH di alcune soluzioni fisiologiche o di frequente uso. Le soluzioni sono disposte dall’alto in basso in ordine decrescente di acidità e quindi in ordine crescente di pH. CH/202 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 18 Acidi e basi • il pH può assumere anche valori decimali. Per esempio, il pH di una soluzione in cui [H3O +] = 5,0 ·10 – 4 è 3,3. Un simile calcolo richiede conoscenze matematiche un po’ più approfondite o l’uso di una calcolatrice scientifica. Per la misura rapida e diretta del pH delle soluzioni si usa uno strumento chiamato pH-metro. Immergendo nella soluzione lo speciale elettrodo di questo apparecchio, si legge sul quadrante il valore del pH (figura 18.15). Il pH-metro permette di seguire «in diretta» le variazioni di pH che avvengono durante lo svolgimento delle reazioni. Prima di eseguire la misura, però, occorre calibrare accuratamente lo strumento attraverso il confronto con soluzioni a pH noto. Inoltre, poiché il valore del prodotto ionico dell’acqua varia con la temperatura e vale 1,0 ·10 – 14 solo a 25 °C, occorre apportare una correzione al valore del pH rilevato dallo strumento. Molti pHmetri in commercio misurano anche la temperatura della soluzione e correggono automaticamente i valori. A APPROFONDIMENTO Le piogge acide FIGURA 18.15 Il pH-metro è lo strumento per la misura del pH delle soluzioni. I modelli di pH-metro più sensibili consentono di apprezzare variazioni di 0,01 unità di pH. Oltre che nei laboratori di ricerca, i pH-metri sono usati nelle aziende alimentari per controllare il pH, per esempio, dei formaggi, dei salumi e in genere dei prodotti conservati. Altre applicazioni dello strumento si hanno nella manutenzione degli acquari e in agricoltura per il dosaggio dei concimi e per l’analisi del pH del terreno. finiti neutri per la pelle. Il termine neutro non si riferisce al valore del pH della soluzione, ma al fatto che hanno un valore di acidità simile a quello della pelle. Nei prodotti cosmetici sono presenti diverse sostanze con azioni specifiche sulla pelle: idratanti, isolanti, protettive, elasticizzanti, ammorbidenti, nutrienti ecc. Questi prodotti in genere non alterano il pH normale, perché nella loro formulazione si cura che gli effetti sul pH si bilancino. L'impiego continuo ed eccessivo di questi prodotti può però portare a un affaticamento della pelle: il miglioramento estetico può alla fine rivelarsi effimero e l'intervento controproducente. Il pH della pelle CH/203 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio PER SAPERNE DI PIÙ Gli acidi sono molto attivi nei confronti dei microrganismi, hanno una azione antimicrobica e antibatterica e quindi proteggono dalle infezioni. La nostra pelle ha un pH intorno a 6 e il mantenimento del valore acido è importante per la difesa degli strati sottostanti. Quando ci laviamo col sapone, che in genere ha reazione basica, il pH della pelle sale e, se il contatto col sapone è protratto a lungo, la pelle diventa più esposta a infezioni. Per bilanciare questo effetto, le cellule dell’epidermide producono rapidamente acido lattico, un acido debole che riporta il pH al valore iniziale. Esistono in commercio saponi liquidi de- CAPITOLO 18 Acidi e basi PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 3. Calcola il pH e il pOH di una soluzione la cui concentrazione degli ioni ossonio [H3 O +] è 0,003 M. 3. Calcola il pH di una soluzione la cui concentrazione dello ione ossonio [H3 O +] è 0,1 M. La concentrazione degli ioni ossonio, scritta con la notazione esponenziale in base 10, è [H3 O +] = 10 –3 M. Sapendo che pH = -log [H3 O +], ricaviamo: pH = -log 10 –3 = –(–3) = 3 Il valore del pOH si ricava dalla relazione pH + pOH = 14, da cui abbiamo: pOH = 14 – pH = 14 – 3 = 11 4. Una soluzione di idrossido di potassio KOH ha pH = 11. Qual è la concentrazione molare degli ioni [OH – ] nella soluzione? 4. Un campione di acqua di mare ha pH uguale a 8. Qual è la concentrazione molare degli ioni ossonio [H3 O +] nella soluzione? Utilizziamo la relazione tra concentrazione degli ioni e pH ricavata come formula inversa dalla definizione di pH: [H3 O +] = 10 – pH. Per il campione di acqua di mare abbiamo: [H3 O +] = 10 – 8 M 18.8 Elettronegatività e comportamento acido, basico o anfotero E Composto acido .. – H+ ....X .... O .. .. – X O H+ Alta .. Elettrolita anfotero Composto basico X.... O .. H X X+ X + O Media come l’idrogeno H .. .. .. H – O .. – O H Bassa ELETTRONEGATIVITÀ DELL’ELEMENTO X La forza di un legame covalente diminuisce all’aumentare della sua polarità. FIGURA 18.16 Il valore di elettronegatività dell’elemento X determina le caratteristiche acide, basiche o anfotere dei composti del tipo X ⎯ O ⎯ H. Se il valore di elettronegatività di X è superiore a quello dell’idrogeno, il composto è un acido; se è inferiore è una base; se è all’incirca uguale è un elettrolita anfotero. sistono centinaia di composti con comportamento acido e altrettanti con comportamento basico. È possibile, esaminando una formula mai vista, riconoscere se il composto rappresentato tende a comportarsi da acido o da base? Sì, occorre un po’ di attenzione, ma non è difficile. Esaminiamo il composto X ⎯ O ⎯ H, in cui X rappresenta un generico elemento chimico. L’ossigeno ha un alto valore di elettronegatività (3,5), cioè ha una forte tendenza ad attirare su di sé gli elettroni dei legami che l’uniscono agli atomi H e X. Se X è un elemento degli ultimi gruppi del Sistema periodico, e quindi anch’esso ha un’alta elettronegatività, l’ossigeno non riesce ad attirare su di sé gli elettroni del legame X ⎯ O. L’ossigeno, invece, attira fortemente gli elettroni del legame O ⎯ H, indebolendolo. In acqua perciò abbiamo: X ⎯ O ⎯ H ⇄ X ⎯ O– + H + e il composto XOH si comporta da acido. Sono acidi, per esempio, i composti ClOH (acido ipocloroso), BrOH (acido ipobromoso), IOH (acido ipoiodoso). Se X è invece un elemento dei primi gruppi del Sistema periodico o un elemento di transizione, cioè un elemento che ha un basso valore di elettronegatività (inferiore comunque a quello dell’idrogeno), l’ossigeno attira con facilità su di sé gli elettroni del legame X ⎯ O, indebolendolo. In acqua perciò abbiamo: X ⎯ O ⎯ H ⇄ X + + OH – e il composto XOH si comporta da base. Sono basi, per esempio, i composti NaOH, KOH, LiOH, rispettivamente idrossido di sodio, di potassio e di litio. Consideriamo ora il caso in cui l’elemento X abbia un valore medio di elettronegatività, cioè sia idrogeno o un elemento dei gruppi intermedi. Come si comporta il composto XOH in questo caso? Si comporta da acido se è in presenza di una base, da base se è in presenza di un acido, cioè si comporta da elettrolita anfotero. Se X è l’idrogeno, abbiamo l’acqua H ⎯ O ⎯ H, che è appunto un elettrolita anfotero (figura 18.16). 씰 Un generico composto X — O — H si comporta da acido, da base o da elettrolita anfotero a seconda che X abbia, rispettivamente, un valore alto, basso o medio di elettronegatività. CH/204 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 18 Acidi e basi In questi esempi abbiamo considerato composti ternari del tipo X ⎯ O ⎯ H, piuttosto comuni. Si conoscono, però, composti a comportamento acido che non presentano atomi di ossigeno tra l’elemento X molto elettronegativo e l’idrogeno. L’elemento molto elettronegativo attira su di sé gli elettroni di legame e, in soluzione con l’aiuto dell’acqua, libera facilmente l’idrogenione. L’acido cloridrico HCl, per esempio, si dissocia in acqua cedendo un idrogenione e formando lo ione cloruro Cl –. Se invece, come nel caso degli idruri, l’elemento X è un metallo con basso valore di elettronegatività, l’acqua non è in grado di strappare l’idrogenione. Questo è il motivo per cui gli idruri, a differenza degli idracidi, in soluzione acquosa non si comportano da acidi. 18.9 Costante di dissociazione e forza di acidi e basi C erchiamo di definire in maniera quantitativa la capacità degli acidi o delle basi di interagire con l’acqua in soluzione, cioè la loro tendenza a dissociarsi. Si potrebbe, per esempio, misurare il pH di una serie di soluzioni di acidi a uguale concentrazione: più basso il valore del pH, più idrogenioni sono liberati, più l’acido è dissociato. Tutti gli acidi e le basi in soluzione si dissociano in ioni e quindi sono elettroliti. Possono essere, però, elettroliti forti o deboli, cioè possono dissociarsi molto o poco. Acidi e basi che in acqua sono molto dissociati sono detti acidi forti e basi forti. In questo caso l’equilibrio della reazione di dissociazione è spostato verso destra e la costante di equilibrio ha un valore alto. Per un acido forte si può assumere che la concentrazione degli ioni H 3O + in soluzione sia uguale alla concentrazione dell’acido prima della dissociazione, come avviene per l’acido nitrico HNO3; un’analoga considerazione vale per gli ioni OH – delle basi forti, come nell’idrossido di sodio NaOH: ATTIVITÀ Soluzioni acide e basiche O HNO3 + H2O → H3O + + NO –3 H3C O NaOH → Na+ + OH – C Acidi e basi che in acqua sono parzialmente dissociati sono detti acidi deboli e basi deboli. Un acido debole in acqua ha la concentrazione degli ioni H3O + sempre molto inferiore rispetto alla concentrazione dell’acido prima della dissociazione; stessa situazione vale per gli ioni OH – di una base debole (figura 18.17). L’equilibrio della loro dissociazione è fortemente spostato a sinistra e il valore della costante K è basso: K < 1. Prendiamo in considerazione due acidi deboli, l’acido acetico CH3 COOH e l’acido cianidrico HCN, e scriviamo le reazioni di dissociazione e le relative costanti di equilibrio: → CH3COO – + H3O + CH3COOH + H2O ←― CH3 N N H O HO N N CH3 A Acido formico B Caffeina → CN – + H3O + HCN + H2O ←― HO K= – + [CH3COO ] [H3O ] [CH3COOH] [H2O] K= – + O O [CN ] [H3O ] [HCN] [H2O] C O CH3 CH3 HO Poiché la concentrazione dell’acqua [H2O] può essere considerata costante, la costante di equilibrio diventa: Ka = [CH3COO –] [H3O +] [CH3COOH] Ka = [CN – ] [H3O +] [HCN] dove Ka è la costante di dissociazione dell’acido. Analogamente, per le basi facciamo riferimento a Kb, la costante di dissociazione della base. Per una base debole come l’ammoniaca NH3 abbiamo: → NH +4 + OH – NH3 + H2O ←― O C Acido acetico D Acido acetilsalicilico FIGURA 18.17 Molte sostanze presenti in natura e molte altre preparate in laboratorio hanno caratteristiche di acido o di base debole. (A), le formiche per difendersi rilasciano una sostanza irritante, l’acido formico, un acido debole. (B), la sostanza stimolante presente nel caffè è la caffeina, una base debole. (C), l’acido acetico, un acido debole, è il componente principale dell’aceto. (D), l’aspirina, farmaco ad azione analgesica, è un acido debole. CH/205 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 18 Acidi e basi K= [OH – ] [NH +4] [NH3] [H2O] [OH – ] [NH +4] [NH3] Kb = L’esame della tabella 18.3, che si riferisce ai principali acidi sia forti sia deboli, ci permette di evidenziare alcuni punti importanti: • un valore elevato di Ka indica che i prodotti nella reazione di dissociazione sono favoriti rispetto ai reagenti e quindi l’acido è forte; La relazione Kw = Ka · Kb = 10 –14 può essere espressa utilmente in forma logaritmica: –log Kw = –log (Ka · Kb) = –log Ka + (–log Kb) ovvero pKw = pKa + pKb = 14 • gli acidi più forti sono quelli in alto, poiché il valore di Ka diventa sempre minore scendendo nella tabella; le basi più forti sono quelle in basso, poiché il valore di Kb diminuisce salendo lungo la tabella; • più forte è l’acido, più debole è la sua base coniugata; più debole è l’acido, più forte è la sua base coniugata; maggiore è il valore di K a in una coppia acido-base coniugata, minore è il valore di K b, e viceversa; il prodotto K a · Kb è uguale a 10–14. TABELLA 18.3 Costante di dissociazione Ka dei più comuni acidi, loro base coniugata e costante di dissociazione Kb della base coniugata. I primi sei valori di Ka e Kb sono così estremi da rendere impossibile una loro precisa determinazione. Il prodotto di Ka per Kb è sempre uguale a 10 –14. BA S I F O R T I : LiOH, NaOH, KOH, RbOH, CsOH, Ba(OH)2, Sr(OH)2 b Perclorico Solforico Permanganico Cloridrico Bromidrico Nitrico Solforoso Ione idrogenosolfato Cloroso Fosforico Fluoridrico Nitroso Formico Benzoico Acetico Carbonico Solfidrico Ione idrogenosolfito Ipocloroso Ione ammonio Cianidrico Ione idrogenocarbonato Acqua HClO4 H2SO4 HMnO4 HCl HBr HNO3 H2SO3 HSO –4 HClO2 H3PO4 HF HNO2 HCOOH C6H5COOH CH3COOH H2CO3 H2S HSO–3 HClO NH+4 HCN HCO–3 H2O Ka Base coniugata Kb Molto alto Molto alto Molto alto Molto alto Molto alto Molto alto 1,2 · 10–2 1,2 · 10–2 1,0 · 10–2 7,5 · 10–3 7,2 · 10–4 4,5 · 10–4 1,8 · 10–4 6,3 · 10–5 1,8 · 10–5 4,2 · 10–7 1,0 · 10–7 6,2 · 10–8 3,5 · 10–8 5,6 · 10–10 4,0 · 10–10 4,8 · 10–11 1,0 · 10–14 ClO –4 HSO–4 MnO–4 Cl – Br – NO –3 HSO–3 SO 24– ClO –2 H2PO –4 F– NO –2 HCOO– C6H5COO– CH3COO– HCO–3 HS – SO 23– ClO– NH3 CN – CO 23– OH – Molto basso Molto basso Molto basso Molto basso Molto basso Molto basso 8,3 · 10–13 8,3 · 10–13 1,0 · 10–12 1,3 · 10–12 1,4 · 10–11 2,2 · 10–11 5,6 · 10–11 1,6 · 10–10 5,6 · 10–10 2,4 · 10–8 1,0 · 10–7 1,6 · 10–7 2,9 · 10–7 1,8 · 10–5 2,5 · 10–5 2,1 · 10–4 1,0 Aumento della forza basica Il modo migliore per riconoscere subito tra gli acidi e le basi quelli che sono forti, distinguendoli dai deboli, è cercare di memorizzare gli acidi e le basi forti, perché si tratta di un numero limitato di composti. Tutti gli altri acidi e basi sono deboli. AC I D I F O R T I : HCl, HBr, HI, HNO3, H2SO4, HClO4 Aumento della forza acida Acido Fin qui abbiamo considerato acidi con un solo idrogeno, che quindi possono cedere un solo idrogenione, come l’acido cloridrico HCl e l’acido nitrico HNO3. Questi composti sono chiamati acidi monoprotici. Altri acidi, le cui molecole contengono più atomi di idrogeno, riescono con la dissociazione a liberare più idrogenioni. Queste sostanze sono chiamate acidi poliprotici o, in modo più specifico, acidi diprotici, triprotici o tetraprotici a seconda che possano cedere due, tre o quattro idrogenioni. Come risulta dalla tabella 18.4, a ogni reazione di dissociazione corrisponde un valore di costante di dissociazione K a. Il valore di K a diminuisce man mano che diminuiscono gli idrogeni ionizzabili. Analogamente agli acidi poliprotici, alcune basi, quelle che contengono più gruppi OH – , possono rilasciare più ioni idrossido. Queste sostanze vengono chiamate basi polibasiche. Per esempio, il diidrossido di calcio Ca(OH)2, che si dissocia liberando due ioni OH – , è una base dibasica, mentre il triidrossido di alluminio Al(OH)3, che può liberare tre ioni idrossido, è una base tribasica. SCHEDA DI LABORATORIO Forza degli acidi CH/206 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO Acido Reazione di dissociazione 18 Acidi e basi Ka Monoprotico HNO2 HNO2 + H2O ⇄ H3O + + NO –2 4,5 · 10–4 Diprotico H2CO3 H2CO3 + H2O ⇄ H3O + + HCO–3 4,2 · 10–7 HCO–3 + H2O ⇄ H3O + + CO 23– 4,8 · 10–11 H3PO4 + H2O ⇄ H3O + + H2PO –4 7,5 · 10–3 H2PO –4 + H2O ⇄ H3O + + HPO 24– 6,2 · 10– 8 HPO 24– + H2O ⇄ H3O + + PO 43– 4,8 · 10–13 Triprotico H3PO4 TABELLA 18.4 Reazioni di dissociazione e relative Ka di un acido monoprotico, di un acido diprotico e di un acido triprotico. Negli acidi poliprotici il valore della costante di dissociazione Ka diminuisce con la diminuzione degli idrogeni ionizzabili, in quanto è più facile separare lo ione H+ da una molecola neutra. 18.10 Calcolo del pH delle soluzioni C ome abbiamo visto nel paragrafo precedente, nel caso di acidi e basi forti la concentrazione dello ione ossonio o dello ione idrossido è uguale a quella dell’elettrolita di partenza. In pratica, una soluzione 0,1 M di un acido forte come l’acido nitrico HNO3 ha una concentrazione di ioni [H3O +] = 0,1 M. Il suo pH si ottiene dal logaritmo negativo di [H3O +]: pH = – log [H3O +] = – log 10 – 1 = – (–1) = 1 Allo stesso modo una soluzione 0,1 M di NaOH, che è una base forte, ha una concentrazione di ioni OH – 0,1 M e il suo pOH si ricava dalla relazione: pOH = – log [OH – ] = – log 10 – 1 = – (–1) = 1 Dato che in tutte le soluzioni pH + pOH = pK w = 14, il pH della soluzione 0,1 M di NaOH è: pH = pK w – pOH = 14 – 1 = 13 Nel caso di acidi o di basi deboli, che si dissociano parzialmente in soluzione acquosa, la concentrazione di ioni ossonio o di ioni idrossido in soluzione è sempre inferiore alla concentrazione dell’elettrolita di partenza. Di conseguenza il pH di un acido debole è sempre più alto del pH di un acido forte alla stessa concentrazione e il pOH di una base debole è sempre più basso del pOH di una base forte alla stessa concentrazione. Per determinare il pH delle soluzioni di acidi e di basi deboli occorre considerare l’entità della dissociazione dell’elettrolita, cioè la sua K a nel caso di acidi o la sua K b nel caso di basi. Vediamo come possiamo determinare, per esempio, il pH di una soluzione 0,1 M di acido acetico CH3COOH, la cui costante di dissociazione K a è 1,8 ∙ 10 – 5. Per prima cosa scriviamo la reazione di dissociazione e la relativa costante di dissociazione K a. → CH3COO – + H3O + CH3COOH + H2O ←― Ka = [CH3COO – ]·[H3O +] [CH3COOH] Per calcolare il pH della soluzione occorre determinare la concentrazione degli ioni H3O +. Dalla reazione di dissociazione è evidente come la concentrazione dello ione ossonio H3O + sia uguale alla concentrazione dello ione CH3COO – , per cui al numeratore possiamo scrivere: [H3O +] · [CH3COO – ] = [H3O +]2 Inoltre, il valore della K a è molto piccolo. L’acido acetico è così poco dissociato che la sua concentrazione [CH3COOH] all’equilibrio può essere ragionevolmente considerata uguale alla concentrazione iniziale dell’acido C a. La relazione della costante di dissociazione K a diventa perciò: Ka = da cui: [H3O +]2 = 1,8 · 10 – 5 Ca  ̄ = 1,3 · 10 – 3 M [H3O +] = √ ̄ 1,8 ̄ ̄ ̄ · 10 – 5 ̄ · ̄ Ca = √ ̄ ̄ ̄ ̄ 1,8 · 10 – 5  ̄ · 0,1 CH/207 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 18 Acidi e basi Una volta determinata la concentrazione degli ioni H3O +, il pH della soluzione si calcola attraverso la relazione: pH = – log [H3O +] = – log 1,3 · 10 – 3 = 2,9 Quanto abbiamo appena definito per l’acido acetico vale per tutti gli acidi deboli, per cui generalizzando: K a ̄ · ̄ Ca [H3O +] = √ ̄ Le stesse considerazioni possono essere estese anche alle basi deboli: K b ̄ · ̄ Cb [OH – ] = √ ̄ dove Cb è la concentrazione iniziale della base. Il pH di un acido debole e il pOH di una base debole possono essere ricavati nel seguente modo: · ̄ Ca pH = – log √ ̄ K a ̄ pOH = – log √ ̄ K b ̄ · ̄ Cb PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 5. Calcola il pH di una soluzione di acido perclorico HClO4, un acido forte, la cui concentrazione molare è 10 – 4 M. 5. Calcola il pH di una soluzione 0,10 M di acido acetico CH3COOH (K a = 1,8·10 –5). Quando un acido forte viene posto in acqua, si dissocia completamente: 6. Qual è il pH di una soluzione 10 –2 M di ammoniaca NH3 (K b = 1,8·10 –5)? HClO4 + H2O → H3 O+ – + ClO 4 Ciò significa che la concentrazione degli ioni H3 O + corrisponde a quella dell’acido perclorico HClO4 , cioè è anch’essa 10 – 4 M. Sapendo che pH = –log [H3 O +], ricaviamo: pH = –log 10 – 4 = –(–4) = 4 6. L’idrossido di sodio NaOH è una base forte. Qual è il pH di una sua soluzione a concentrazione 10 – 2 M? Essendo NaOH una base forte, lo consideriamo completamente dissociato: NaOH → Na + + OH – Pertanto la concentrazione 10 – 2 M dell’idrossido di sodio è anche la concentrazione degli ioni OH –. Possiamo calcolare allora il pOH: pOH = –log [OH –] = –log 10 – 2 = –(–2) = 2 Il valore del pH si ricava dalla relazione: pH + pOH = 14, da cui abbiamo: pH = 14 – pOH = 14 – 2 = 12 7. L’acido benzoico C6H5COOH è un acido debole, la cui costante di dissociazione K a è 6,3 · 10 –5. Calcola il pH di una sua soluzione 10 –1 M. Gli acidi deboli in soluzione acquosa si dissociano parzialmente. Scriviamo prima l’equazione chimica e poi l’espressione della costante di dissociazione Ka : → C6H5COO – + H3 O +; C6H5COOH + H2O ←― Ka = [C6H5COO –] [H3 O +] [C6H5COOH] Per calcolare il pH dobbiamo risalire al valore della concentrazione degli ioni H3 O +. Nella reazione di dissociazione si formano quantità identiche di C6H5COO – e H3 O +, per cui abbiamo: [C6H5COO –] = [H3 O +] = x Inoltre, la concentrazione dell’acido benzoico [C6H5COOH] all’equilibrio diminuisce in modo trascurabile rispetto alla concentrazione dell’acido iniziale Ca , in quanto l’acido benzoico è debole e quindi poco dissociato. La relazione della Ka diventa: Ka = x 2/Ca ; cioè 6,3 · 10 – 5 = x 2/10 – 1, da cui x = √ ̄ ̄ ̄ ̄ ̄ ̄ ̄ ̄ 6,3 · 10 – 5 × 10 – 1 = √ ̄ ̄ ̄ ̄ 6,3 · 10 – 6 = 2,5 · 10 – 3 M. Avendo trovato il valore di [H3 O +], possiamo risalire al pH della soluzione: pH = –log [H3 O +] = –log 2,5 · 10 – 3 = 2,6 CH/208 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 18 Acidi e basi 18.11 Elettronegatività e forza di acidi e basi S iamo già in grado di capire, studiando la formula di un composto, se si tratta di un acido o di una base. Cerchiamo ora di determinare dalla formula se l’acido, o la base, è forte o debole. Consideriamo tre composti del tipo generico HOX, in cui X è un elemento del gruppo 17 del Sistema periodico: acido ipocloroso H ⎯ O ⎯ Cl, acido ipobromoso H ⎯ O ⎯ Br, acido ipoiodoso H ⎯ O ⎯ I. Questi composti sono tutti e tre acidi, perché il cloro, il bromo e lo iodio hanno valori di elettronegatività relativamente alti, rispettivamente 3; 2,8; 2,5. Il cloro, che ha un’elettronegatività maggiore di quella degli altri due elementi, ha maggiore tendenza ad attirare su di sé gli elettroni di legame. L’acido ipocloroso cede lo ione H + più facilmente degli altri due acidi e, quindi, è più dissociato e più forte. L’acido ipoiodoso è il meno dissociato e il meno forte dei tre. I composti idrossido di litio LiOH, idrossido di sodio NaOH e idrossido di potassio KOH sono basi, in quanto il litio, il sodio e il potassio sono elementi del gruppo 1 del Sistema periodico. Il potassio ha una elettronegatività minore degli altri due elementi e quindi ha maggiore tendenza a cedere all’ossigeno gli elettroni di legame. L’idrossido di potassio è più dissociato delle altre due basi ed è perciò una base più forte. Per quanto riguarda la forza degli idrossidi, un altro criterio cui riferirsi è quello della solubilità. Gli idrossidi più solubili sono le basi più forti: LiOH, NaOH e KOH sono molto solubili; Ba(OH)2 è un po’ meno solubile; gli altri idrossidi sono quasi tutti poco solubili e hanno bassi valori della costante di dissociazione K b (tabella 18.5). L’ammoniaca NH3, un altro composto di uso comune, è una base debole. Infatti, all’equilibrio la reazione tra ammoniaca e acqua è spostata verso sinistra, con la netta prevalenza dei reagenti sui prodotti. Esaminiamo ora gli acidi indicati nella figura 18.18. In questi quattro acidi lo stesso elemento, il cloro, è legato al gruppo OH. In tre di questi acidi, però, all’atomo di cloro sono legati altri atomi di ossigeno, i quali attirano fortemente gli elettroni. Quanti più atomi di ossigeno sono legati all’atomo di cloro, tanto più il cloro attira a sé gli elettroni del legame O ⎯ H. Con un numero maggiore di atomi di ossigeno l’idrogenione viene ceduto più facilmente, il composto è più dissociato e l’acido è più forte. Acido ipocloroso H O Cl Acido cloroso H O Cl O Base Diidrossido di calcio Diidrossido di manganese Diidrossido di magnesio Diidrossido di argento H O Cl H O Cl 4,0 · 10–2 1,9 · 10–3 1,4 · 10–3 1,1 · 10–4 FIGURA 18.18 Ogni ossigeno legato con legame dativo al cloro attira su di sé gli elettroni di legame. L’atomo di cloro attira con più forza gli elettroni del legame covalente Cl ⎯ O, facendo spostare verso l’ossigeno gli elettroni del legame O ⎯ H. La dissociazione degli ioni H + aumenta e aumenta la forza dell’acido. L’acido ipocloroso è debolissimo, l’acido perclorico è invece fortissimo. O O Acido perclorico Ca(OH)2 Mn(OH)2 Mg(OH)2 AgOH TABELLA 18.5 Costante di dissociazione Kb di alcune basi deboli. Gli idrossidi di Li, Na, K, Rb, Cs, Ba e Sr sono considerati basi forti. O Acido clorico Kb O O CH/209 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 18 Acidi e basi 18.12 Reazioni acido-base P A rendiamo un uguale numero di moli di cloruro di sodio NaCl, di idrossido di sodio NaOH e di acido cloridrico HCl e mettiamo questi tre composti in tre recipienti diversi contenenti acqua (figura 18.19 A, B, C). I tre composti, tutti elettroliti forti, in soluzione sono completamente dissociati in ioni. La prima soluzione è neutra, in quanto non è stata alterata l’uguaglianza delle concentrazioni di ioni ossonio e ioni idrossido dell’acqua (pH = 7). La seconda soluzione è nettamente basica (pH > 7), perché prevalgono gli ioni idrossido; la terza soluzione è acida (pH < 7), perché prevalgono gli ioni H3O +. Mescoliamo ora in un unico recipiente il contenuto dei due recipienti B e C, uniamo cioè NaOH e HCl (figura 18.19 D). In soluzione dovremmo avere tutti gli ioni che avevamo in partenza (Na +, OH – , H3O + e Cl– ), presenti con uguale numero di moli. Invece troviamo solo gli ioni Na + e Cl– , cioè abbiamo una soluzione identica a quella del recipiente A con il cloruro di sodio. A seguito del mescolamento, gli ioni OH – provenienti dalla base e gli ioni H3O + provenienti dall’acido, presenti in uguale numero, si sono legati per formare acqua, essendo quasi completamente spostato a si→ H3O + + OH – . nistra l’equilibrio della reazione H2O + H2O ←― Quando si fa reagire una soluzione di un acido monoprotico con una soluzione equimolecolare di una base monobasica si ottiene una soluzione di un sale: HCl + NaOH → NaCl + H2O NaCl pH = 7 Na+ Na+ Na+ Cl – Cl – Cl – acido B NaOH pH > 7 Na+ Na+ Na+ base sale acqua Avevamo una soluzione acida e una soluzione basica. Unendo un numero uguale di moli dell’una e dell’altra abbiamo ottenuto una soluzione neutra, con pH = 7, come quella del sale e dell’acqua. La soluzione dell’acido ha reso neutra, cioè ha neutralizzato, la soluzione della base, e viceversa: la reazione acido-base è una reazione di neutralizzazione (cfr. § 15.1). OH – OH – OH – 씰 In una reazione di neutralizzazione una soluzione di una base aggiunta a una quantità equimolare di un acido in soluzione, o viceversa, produce una soluzione di un sale in acqua. C pH < 7 D Se l’acido è monoprotico e la base è monobasica, dalla reazione di una mole di acido con una mole di base si ha la formazione di una mole di sale e di una mole di acqua. Ne è un esempio la reazione tra idrossido di potassio e acido nitrico con formazione di nitrato di potassio e acqua: HCl H 3O + H3O + H3O + Cl – Cl – Cl – KOH + HNO3 → KNO3 + H2O Se, invece, l’acido è di-, tri- o tetraprotico, il risultato è differente per quanto riguarda i rapporti molari. Prendiamo un acido triprotico, ad esempio l’acido fosforico H3PO4. Ogni molecola di questo acido può cedere tre idrogenioni e ognuno di questi ioni può legarsi a uno ione idrossido fornito da una base monobasica. Possono avvenire le seguenti reazioni: NaCl H3PO4 + NaOH → H2O + NaH2PO4 pH = 7 Na+ OH – H3O + Cl – Diidrogenofosfato di sodio H3PO4 + 2NaOH → 2H2O + Na2HPO4 Na+ OH – H3O + Cl – Na+ OH – H3O + Cl – Idrogenofosfato di sodio H3PO4 + 3NaOH → 3H2O + Na3PO4 Nel recipiente A c ’è una soluzione di cloruro di sodio. Nei recipienti B e C si trova un uguale numero di moli di idrossido di sodio e acido cloridrico. La soluzione B ha pH > 7, la soluzione C ha pH < 7. Se mescoliamo le due soluzioni, gli ioni idrossido si uniscono con gli ioni ossonio formando molecole di acqua (D); la soluzione ottenuta ha pH = 7 e contiene ioni sodio e ioni cloruro, esattamente come la soluzione presente in A. L’acido ha reagito con la base per dare un sale e l’acqua. FIGURA 18.19 Fosfato di sodio Un acido triprotico dà tre tipi di sale, a seconda della quantità di base con cui reagisce. Analogamente un acido diprotico, come l’acido carbonico, dà due tipi di sale: H2CO3 + KOH → H2O + KHCO3 Idrogenocarbonato di potassio H2CO3 + 2KOH → 2H2O + K2CO3 Carbonato di potassio CH/210 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 18 Acidi e basi Nella formazione dei sali abbiamo usato finora idrossidi monobasici di elementi del gruppo 1, come il sodio. In queste reazioni un atomo dell’elemento del gruppo 1 sostituisce un solo atomo di idrogeno dell’acido. Quando, invece, prendiamo idrossidi dibasici o tribasici, vengono sostituiti rispettivamente due o tre atomi di idrogeno, come nei seguenti esempi: Ba(OH)2 + 2HCl → BaCl2 + 2H2O Ba(OH)2 + H2SO4 → BaSO4 + 2H2O 3Ba(OH)2 + 2H3PO4 → Ba3(PO4)2 + 6H2O Al(OH)3 + 3HCl → AlCl3 + 3H2O 2Al(OH)3 + 3H2SO4 → Al2(SO4)3 + 6H2O Al(OH)3 + H3PO4 → AlPO4 + 3H2O 18.13 L’idrolisi salina L a soluzione acquosa di un acido è acida, quella di una base è basica. La nostra esperienza ci dice che l’acqua salata, come la soluzione di cloruro di sodio nella quale mettiamo a cuocere gli spaghetti, è neutra; sappiamo anche che tanti altri sali non fanno variare il pH dell’acqua. Vi sono alcuni sali, però, che in acqua danno soluzioni acide e altri che danno soluzioni basiche. Cerchiamo di capire perché. Il cloruro di sodio NaCl che abbiamo sciolto in acqua si è dissociato completamente e ha formato ioni Na+ e ioni Cl –. Questi ioni non reagiscono con le molecole dell’acqua, ma rimangono dispersi nella massa del solvente. La concentrazione degli ioni ossonio e quella degli ioni idrossido non variano e il pH rimane uguale a 7. Sciogliamo ora in acqua cloruro di ammonio NH 4Cl; questo sale si dissocia completamente in ioni ammonio NH +4 e ioni cloruro Cl –. Gli ioni NH +4 reagiscono con le molecole d’acqua e formano NH3, una base debole poco dissociata, e ioni H3O +. Gli ioni Cl –, invece, rimangono dispersi in soluzione. A differenza dello ione ammonio, questi ioni non reagiscono con l’acqua o con gli ioni H3O + presenti, perché hanno una minima tendenza a formare composti indissociati: HCl è infatti un acido molto forte. Nella soluzione perciò aumenta la concentrazione degli ioni H3O + e, per la costanza del prodotto ionico dell’acqua Kw, diminuisce la concentrazione degli ioni idrossido: la soluzione di NH 4Cl risulta acida. Il fenomeno per cui la soluzione di un sale è acida o basica si chiama idrolisi salina. Idrolisi • Dal greco hydor «acqua» e lysis «soluzione, scomposizione». NH4Cl A NH4+ NH 4Cl(aq) → NH +4(aq) + Cl –(aq) + H 2O + → NH3(aq) + H3O (aq) NH 4(aq) + H2O(l) ←― In questo caso il processo di idrolisi può essere così riassunto: il sale NH 4 Cl in acqua si dissocia completamente; lo ione Cl – non ha alcuna tendenza a riassociarsi, mentre lo ione NH +4 reagisce con l’acqua per formare NH3 e liberare ioni H3O +; il pH della soluzione diventa acido. Nel caso del cloruro di ammonio, un sale che possiamo considerare come proveniente da un acido forte (HCl) e una base debole (NH3), è avvenuta una reazione di idrolisi acida (figura 18.20 A). Sciogliamo ora in acqua acetato di sodio CH3COONa, sale completamente dissociato in Na + e CH3COO –. Sappiamo che gli ioni sodio Na + non reagiscono con l’acqua e rimangono dispersi in soluzione. Gli ioni acetato CH3COO –, invece, si uniscono con l’acqua per formare acido acetico CH3COOH e liberare ioni idrossido. Si determina così un aumento di ioni OH – e una conseguente diminuzione di ioni H3O +: la soluzione risulta basica. Nel caso dell’acetato di sodio, un sale che consideriamo come proveniente da una base forte (NaOH) e un acido debole (CH3COOH), è avvenuta una reazione di idrolisi basica (figura 18.20 B). + – CH3COONa(aq) → Na+(aq) + CH3COO (aq) – – → CH3COOH(aq) + OH (aq) CH3COO (aq) + H2O(l) ←― Cl – + non reagisce NH3 + H3O+ Idrolisi acida pH < 7 CH3COONa B Na+ non reagisce Idrolisi basica + CH3COO– + H2O CH3COOH + OH– pH > 7 FIGURA 18.20 (A), un sale proveniente da acido forte e base debole fa aumentare la concentrazione degli ioni ossonio. (B), un sale proveniente da base forte e acido debole fa aumentare la concentrazione degli ioni idrossido. CH/211 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO La concentrazione in ioni ossonio di una soluzione di un sale proveniente da acido forte e base debole, che in acqua dà la reazione di idrolisi acida, si calcola con la formula: [H3O +] = √ ̄ ̄ ̄ ̄ ̄ (K w /K b) · C s dove Kw è la costante del prodotto ionico dell’acqua, Kb è la costante di dissociazione della base e C s è la concentrazione del sale. 18 Acidi e basi 씰 La reazione di idrolisi acida avviene nelle soluzioni dei sali provenienti da un acido forte e una base debole; la reazione di idrolisi basica avviene nelle soluzioni dei sali provenienti da un acido debole e una base forte. Nel caso di un sale proveniente da un acido forte e una base forte, come il cloruro di sodio NaCl, o da un acido debole e una base ugualmente debole, come l’acetato d’ammonio CH3COONH 4, le concentrazioni degli ioni ossonio e idrossido rimangono uguali, il pH si mantiene neutro e l’idrolisi non avviene (figura 18.21). In definitiva abbiamo 4 possibilità: • se un sale proviene da un acido e da una base ugualmente forti o ugualmente deboli, la sua soluzione acquosa è neutra; La concentrazione in ioni idrossido di una soluzione di un sale proveniente da acido debole e base forte, che in acqua dà la reazione di idrolisi basica, si calcola con la formula: [OH – ] = √ ̄ ̄ ̄ ̄ ̄ (Kw/Ka) · C s dove K w è la costante del prodotto ionico dell’acqua, K a è la costante di dissociazione dell’acido e Cs è la concentrazione del sale. • se un sale proviene da un acido forte e da una base debole, la sua soluzione acquosa è acida; • se un sale proviene da un acido debole e da una base forte, la sua soluzione acquosa è basica; • se un sale proviene da un acido debole e da una base debole con differenti valori della costante di dissociazione, la sua soluzione acquosa è acida nel caso in cui la Ka dell’acido sia maggiore della Kb della base, è basica nel caso contrario. NaCl Na+ Un sale proveniente da acido e base ugualmente forti (A) o ugualmente deboli (B) non altera l’equilibrio tra la concentrazione degli ioni ossonio e quella degli ioni idrossido. La soluzione risulta neutra. FIGURA 18.21 CH3COONH4 Cl – + non reagisce H2O + H2O NH4+ non reagisce + H2O H3O++ OH– Soluzione neutra CH3COO – + H2O NH3 + H3O+ CH3COOH + OH– pH = 7 A + pH = 7 B Soluzione neutra PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 8. Indica se le soluzioni acquose dei seguenti sali hanno pH acido, basico o neutro: (a) KNO3; (b) NH4Br; (c) NaCN. 7. Indica se le soluzioni acquose dei seguenti sali hanno pH acido, basico o neutro: (a) KCl; (b) NH4F; (c) K3PO4; (d) CH3COONa. Giustifica le risposte. (a) Il nitrato di potassio KNO3 è un sale proveniente da un acido forte (HNO3 ) e una base forte (KOH). Gli ioni K + e NO 3– , che si formano dalla completa dissociazione in soluzione, non hanno alcuna tendenza a riassociarsi reagendo con l’acqua. Pertanto il pH della soluzione rimane neutro, come quello dell’acqua. (b) Il bromuro di ammonio NH4 Br è un sale proveniente da un acido forte (HBr) e una base debole (NH3 ). Mentre lo ione NH4+, l’acido coniugato della base debole ammoniaca, tende a reagire con l’acqua liberando ioni H3 O +, lo ione Br – non reagisce con l’acqua. Nella soluzione aumentano gli ioni H3 O + e il pH è acido. (c) Il cianuro di sodio NaCN è un sale proveniente da un acido debole (HCN) e una base forte (NaOH). Lo ione Na + che si forma dalla dissociazione ionica non ha alcuna tendenza a reagire con l’acqua; lo ione CN –, invece, reagisce con l’acqua formando HCN e lo ione OH –. Gli ioni idrossido diventano prevalenti e la soluzione risulta basica. 8. Se mescoliamo quantità equimolari di acido cianidrico HCN e di idrossido di potassio KOH, la soluzione risultante ha pH acido, basico o neutro? Giustifica la risposta. CH/212 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 18 Acidi e basi 18.14 Le soluzioni tampone P rendiamo un po’ di acqua pura (pH = 7), aggiungiamo 10 – 2 moli di acido cloridrico HCl e portiamo tutto il volume a 1 litro. L’acido cloridrico è completamente dissociato e la concentrazione degli ioni H3O + nella soluzione sale a 10 –2 mol/L. Il pH è perciò uguale a 2 (figura 18.22 A). Se ripetiamo la stessa operazione, aggiungendo però all’acqua pura 10 –2 moli di idrossido di sodio NaOH, una base molto forte, la concentrazione degli ioni idrossido diviene 10 –2 M, quella degli ioni ossonio di conseguenza passa a 10 –12 M e il pH arriva a 12. Abbiamo così dimostrato che l’aggiunta di quantità molto piccole di un acido forte (365 mg/L di HCl) o di una base forte (400 mg/L di NaOH) fa variare di 5 unità il valore del pH dell’acqua. Prendiamo ora 1 litro di una soluzione contenente 0,10 moli di acido acetico CH3 COOH, un acido debole, e 0,10 moli di acetato di sodio CH 3 COONa, un sale proveniente dallo stesso acido debole con una base forte come NaOH. Con un pH-metro determiniamo il pH della soluzione e troviamo che ha pH = 4,7. Ora aggiungiamo a questa soluzione le stesse quantità di acido o di base che avevamo aggiunto in precedenza all’acqua. Il pH-metro ci indica che questa volta il pH cambia pochissimo, meno di 0,4 unità (figura 18.22 B). Che cosa è successo? Perché questa soluzione è riuscita a impedire una variazione rilevante della concentrazione degli ioni H3O +? La soluzione ha tamponato l’effetto dell’aggiunta dell’acido o della base sul valore del pH. Cerchiamo di capire quale meccanismo chimico ha agito. L’acido acetico è un acido debole. Per semplicità di calcolo ammettiamo che ogni 100 molecole se ne dissoci solo una, lasciandone indissociate 99. → CH3COO –(aq) + H3O +(aq) (1) CH3COOH(aq) + H2O(l) ←― Ricordiamo che la variazione di una unità nella scala del pH corrisponde alla variazione di 10 volte della concentrazione degli ioni H3O +. Un valore più basso di 5 unità di pH è dovuto a una concentrazione 100 000 volte più grande di ioni ossonio. A pH 11 9 acqua 7 soluzione tampone + NaOH 5 L’acetato di sodio è un sale che, come tutti i sali, si dissocia completamente. Se le molecole introdotte sono 100, in soluzione risultano dissociate tutte e 100. (2) CH3COONa(aq) → CH3COO –(aq) + Na+(aq) 3 soluzione tampone + HCl acqua + HCl FIGURA 18.22 (A), aggiungendo piccole quantità di acido o di base all’acqua si ha una notevole variazione del pH. (B), se le stesse aggiunte sono fatte a una soluzione tampone, ad esempio di acido acetico CH3COOH e acetato di sodio CH3COONa, il pH varia di poco. a N COO CH 3 0 O CO CH 3 99 – OO H 3C C + H 3O 00 FIGURA PARLANTE 1 + I 1+1 + + Na Funzionamento di una soluzione preparata unendo 100 molecole di acido acetico e 100 di acetato di sodio. I numeri sotto le formule indicano il numero delle specie chimiche presenti all’equilibrio. Se vengono aggiunti alla soluzione ioni ossonio, questi reagiscono con gli ioni acetato e formano nuovo acido acetico. Se vengono introdotti ioni idrossido, questi reagiscono con gli ioni ossonio e formano acqua. Gli ioni ossonio sono però subito riformati, perché l’equilibrio si sposta in modo che l’acido acetico si dissoci. FIGURA 18.23 100 CH/213 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio H L’insieme delle reazioni concatenate determina la situazione rappresentata nella figura 18.23. Alla nostra soluzione ora aggiungiamo un acido, cioè ioni H3O +. Il pH dovrebbe abbassarsi, perché abbiamo aumentato la concentrazione degli ioni ossonio. Gli ioni H3O + aggiunti, però, si legano agli ioni CH3COO – , che in soluzione sono abbondanti (ne abbiamo in tutto 101). L’equilibrio della reazione (1) viene spostato verso la molecola indissociata CH3COOH. Abbiamo aggiunto ioni H3O +, ma questi ioni non restano liberi e quindi il pH non cambia in maniera sensibile. Se invece aggiungiamo una base, per esempio un idrossido in grado di liberare ioni OH – , il pH dovrebbe aumentare, perché all’aggiunta di ioni OH – corrisponde una proporzionale diminuzione degli ioni H3O +. Gli ioni OH – che aggiungiamo, però, non restano liberi e quindi non fanno aumentare il pH. Infatti, subito gli ioni idrossido si legano agli ioni ossonio provenienti dalla reazione (1). L’equilibrio (1) risponde alla variazione secondo il principio di Le Chatelier, spostandosi a destra. Si producono altri ioni ossonio a partire dalle molecole di CH3COOH (ne abbiamo 99). B B acqua + NaOH CAPITOLO 18 Acidi e basi In altre parole, gli ioni H3O + o quelli OH – che aggiungiamo non restano liberi in soluzione facendo variare il pH, ma sono catturati dalle specie chimiche presenti. Gli ioni ossonio sono catturati dagli ioni CH3COO – , presenti in grande quantità, mentre gli ioni idrossido reagiscono con gli ioni H3O + già presenti, formando acqua. La scomparsa di questi ioni ossonio provoca la dissociazione di ulteriore acido acetico (reazione 1), con la conseguente formazione di altro H3O +. Il sistema chimico ottenuto unendo un acido debole a un suo sale con una base forte è in grado di catturare eventuali ioni H3O + e OH – aggiunti, impedendo che il pH cambi, ed è chiamato soluzione tampone. Il sistema ha però una capacità limitata di cattura e quindi di «tamponamento». Infatti, una volta finita la «riserva» di ioni CH3COO – e di molecole di CH3COOH, cioè delle specie catturanti, ulteriori aggiunte di acido o di base provocano rilevanti variazioni del pH. Con un meccanismo analogo a quanto abbiamo visto per l’acido debole unito a un suo sale con una base forte, si forma una soluzione tampone quando uniamo una base debole a un suo sale con un acido forte. 씰 Una soluzione tampone, costituita da un acido debole e da un suo sale con una base forte oppure da una base debole e un suo sale con un acido forte, è un sistema in grado di limitare la variazione del pH di una soluzione in seguito all’aggiunta di un acido o di una base. Per calcolare il pH di una soluzione tampone riferiamoci di nuovo alla reazione (1) e ricaviamo la costante di dissociazione: Ka = [CH3COO – ]·[H3O +] = 1,8 · 10 – 5 [CH3COOH] (3) Il valore di K a rimane costante anche se la concentrazione degli ioni CH3COO – , derivati quasi esclusivamente dalla dissociazione dell’acetato di sodio (2), è molto alta. Anzi, poiché il sale è completamente dissociato, a differenza dell’acido, possiamo far coincidere la concentrazione degli ioni acetato [CH3COO – ] con la concentrazione del sale, che indichiamo con Cs. Indichiamo poi con Ca la concentrazione dell’acido, il cui valore per la ridotta dissociazione è rimasto praticamente quello iniziale, e sostituiamo nella relazione (3). Infine ricaviamo la concentrazione degli ioni H3O + e quindi il pH. Ka = Cs · [H3O +] Ca da cui [H3O +] = K a · Ca na = Ka · ns Cs La concentrazione degli ioni H3O + si ricava moltiplicando la K a per il rapporto tra le moli di acido na e quelle del sale ns, in quanto il volume della soluzione in cui si trovano il sale e l’acido è lo stesso. Per le soluzioni tampone formate da una base debole e da un suo sale con un acido forte le relazioni sono analoghe alle precedenti: [OH – ] = K b · FIGURA 18.24 Soluzioni tampone appositamente preparate sono usate come soluzioni standard di riferimento a pH fisso per la taratura dei pH-metri. Cb nb = Kb · ns Cs dove Kb è la costante di dissociazione della base debole, Cb è la sua concentrazione e nb è il suo numero di moli. Le soluzioni tampone sono usate dai chimici per le reazioni che devono avvenire a pH costante (figura 18.24). Molto importante è la funzione delle soluzioni tampone negli organismi, in quanto rendono stabili le concentrazioni dei liquidi organici. Anche l’industria alimentare fa uso di sistemi che tamponano il pH. Poiché gli alimenti tendono ad acidificarsi, nei cibi conservati si aggiungono sostanze che riducono al minimo la liberazione di ioni idrogeno. CH/214 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 18 Acidi e basi PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 9. Calcola il pH della soluzione tampone ottenuta mescolando 200 mL di acido acetico CH3COOH 0,10 M e 150 mL di acetato di sodio CH3COONa 0,10 M (Ka = 1,8 · 10 – 5). 9. Calcola il pH della soluzione tampone ottenuta mescolando 100 mL di ammoniaca NH3 0,20 M e 150 mL di cloruro di ammonio NH4Cl 0,15 M (Kb = 1,8 · 10 – 5). La soluzione tampone è costituita da un acido debole e da un suo sale con una base forte. Calcoliamo dapprima le moli dell’acido e quelle del sale: na = 0,200 L × 0,10 mol /L = 0,020 mol ns = 0,150 × 0,10 mol /L = 0,015 mol Calcoliamo poi la concentrazione degli ioni ossonio con la relazione: [H3 O +] = Ka · 0,020 na = 2,4 · 10 – 5 mol /L = 1,8 · 10 – 5 × ns 0,015 da cui: pH = –log [H3 O +] = –log 2,4 · 10 – 5 = 4,6 con il CO2(g) gassoso presente negli alveoli polmonari, secondo i due equilibri: Tamponi di pH nel sangue CO2(g) ⇄ CO2(aq) CO2(aq) + H2O(l) ⇄ H2CO3(aq) In definitiva, la riserva di H2CO3 nel sangue è costantemente supportata dalla riserva di CO2(g) presente nel volume aereo dei polmoni. Si forma un sistema di equilibri reversibili fra CO2(g) nei polmoni e ioni HCO –3(aq) nel sangue, come indicato nello schema in basso. Se il sangue si arricchisce di idrogenioni H+, la concentrazione di H2CO3(aq) aumenta; aumenta di conseguenza la concentrazione di CO2(aq), che a sua volta fa aumentare la concentrazione di CO2(g); quest’ultima sostanza è infine eliminata con la respirazione. Se invece il sangue si arricchisce di ioni OH–, gli equilibri si spostano nel verso opposto. Gli ioni H+ presenti reagiscono con gli ioni OH–; la diminuita concentrazione degli idrogenioni favorisce la dissociazione di H2CO3(aq); questo fatto determina ulteriore consumo di CO2(aq) e di conseguenza è favorito il passaggio di CO2(g) dai polmoni al sangue. H2O H + + HCO –3(aq) H2CO3(aq) CO2(aq) CO2(g) H2O CH/215 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio PER SAPERNE DI PIÙ Il mantenimento di un pH costante, in genere intorno a 7, ha grande importanza per il corretto svolgimento delle reazioni metaboliche degli organismi. Negli animali sono presenti liquidi extracellulari, come il sangue, il cui pH è regolato su valori costanti. Se nell’uomo il valore del pH del sangue scende sotto a 7,3, si ha la condizione di acidosi; se il pH scende sotto il valore di 7,0, sopravviene il coma. Se il valore del pH del sangue supera 7,5, si ha la condizione di alcalosi; se il pH sale sopra il valore di 7,8, sopravviene la tetanìa, una condizione di prolungata contrazione delle fibre muscolari con crampi e convulsioni. La costanza del pH nei sistemi viventi è dovuta a soluzioni tampone basate sugli ioni idrogenofosfato HPO 2– 4 o sugli ioni idrogenocarbonato, detti anche bicarbonato, HCO –3 . Il sangue dei mammiferi è mantenuto a pH costante, intorno al valore di 7,4, grazie alla soluzione tampone costituita dall’acido carbonico H2CO3 e dallo ione idrogenocarbonato HCO –3 . La particolarità di questo sistema sta nel fatto che uno dei componenti, l’acido carbonico, si forma dalla reazione del diossido di carbonio CO2(aq) disciolto nell’acqua, a sua volta in equilibrio CAPITOLO 18 Acidi e basi 18.15 Gli indicatori di pH Q uando vengono aggiunte alcune gocce di limone al tè, questo diventa più chiaro. Il tè contiene una sostanza che cambia colore a seconda del pH. L’aggiunta del succo di limone, che contiene acido citrico, fa aumentare l’acidità della soluzione e il tè cambia colore. Le sostanze che assumono colori diversi a seconda del pH sono chiamate indicatori di pH, in quanto forniscono indicazioni sul pH della soluzione in cui si trovano. 씰 Gli indicatori sono acidi deboli, le cui molecole assumono colori diversi a seconda che siano in forma dissociata o indissociata. LABORATORIO SEMPLICE Acidi, basi e indicatori Supponiamo di sciogliere in acqua una di queste sostanze, per esempio un acido debole di formula generica RH, che abbia colore rosso nella forma indissociata e colore giallo nella forma dissociata R – : – + H O+ → R (aq) RH (aq) + H2O(l) ←― 3 (aq) 100 10 –3 10 – 4 10 – 5 10 – 6 [H3O +] R– RH 80 60 40 20 % R– 3 RH 4 5 6 pH FIGURA 18.25 Variazione della concentrazione della forma indissociata [RH], di colore rosso, e di quella dissociata [R –], di colore giallo, di un acido debole in funzione del pH o della concentrazione degli ioni ossonio H3O +. Poiché l’acido è debole, le molecole indissociate RH (rosse) prevalgono e la soluzione assume il colore rosso. Aggiungiamo ora alla soluzione una base. Gli ioni idrossido liberati dalla base si legano agli ioni ossonio derivanti dalla dissociazione dell’acido RH. Per il principio dell’equilibrio mobile la diminuzione della concentrazione di un prodotto della reazione determina lo spostamento dell’equilibrio verso destra. La sottrazione degli ioni H3O + fa diminuire la concentrazione di RH e aumentare quella di R –. Continuiamo ad aggiungere la base, finché si arriva a un valore di pH al quale le due concentrazioni, [RH] e [R –], sono uguali. Si può dimostrare che, quando le concentrazioni della forma indissociata RH e della forma dissociata R – sono uguali, la concentrazione dello ione ossonio [H3O +] è uguale alla costante di dissociazione dell’acido K RH. Il grafico della figura 18.25 si riferisce al comportamento di un acido debole RH con costante di dissociazione K RH = 10 – 5. Le concentrazioni della forma indissociata [RH] e di quella dissociata [R –] variano col variare del pH della soluzione. Quando la concentrazione [H3O +] è superiore a 10 – 5, prevalgono le molecole indissociate e la soluzione è rossa. Quando la concentrazione di ioni ossonio è inferiore a 10 – 5, prevalgono gli ioni R – e la soluzione è gialla. La soluzione assume un colore arancione quando le concentrazioni [RH] e [R –] sono uguali, cioè quando la concentrazione di ioni ossonio è 10 – 5. Se a questa soluzione continuiamo ad aggiungere base, l’equilibrio si sposta, le molecole indissociate RH (rosse) diminuiscono, gli ioni R – (gialli) aumentano, la soluzione diventa gialla. Possiamo dire che la soluzione è rossa a un pH minore di 5, arancione a un pH intorno a 5 e gialla a un pH maggiore di 5. 씰 Si chiama indicatore di pH un acido debole, le cui molecole hanno colore diverso da quello degli ioni, dal cui colore è possibile risalire al pH della soluzione. FIGURA 18.26 Variazione del colore di alcuni indicatori con il pH della soluzione. Il cambiamento di colore indica il valore del pH di viraggio. Giallo alizarina Fenolftaleina Blu timolo Rosso fenolo Blu di bromotimolo Rosso bromofenolo Rosso metile Verde bromocresolo Metilarancio pH 3 4 5 6 7 CH/216 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio 8 9 10 11 CAPITOLO 18 Acidi e basi Il pH al quale un indicatore cambia il proprio colore (pH = 5 nel caso dell’esempio riportato) si chiama pH di viraggio. Nella figura 18.26 sono riportati i pH di viraggio e i colori assunti dai più comuni indicatori. Un indicatore permette di sapere se il pH di una soluzione è maggiore o minore del pH di viraggio. Per esempio, della soluzione riprodotta nella figura 18.27 A, contenente l’indicatore chiamato rosso metile, che è rosso fino a pH = 5 e poi giallo, possiamo dire che ha il pH minore di 5; non sappiamo, però, se il suo valore è 4, 3 o ancora minore. Utilizziamo allora un altro indicatore, per esempio il verde bromocresolo, che assume colore blu se il pH è maggiore di 4,5 (figura 18.27 B). Se la nostra soluzione si colora in blu, allora vuol dire che il suo pH è compreso tra 4,5 e 5. Per conoscere il pH di una soluzione non è sufficiente un unico indicatore. Per risalire più precisamente e rapidamente al pH di una soluzione si usano le cartine indicatrici del pH. Queste cartine sono striscette di carta imbevute di una miscela di diversi indicatori, scelti in maniera tale che la cartina assuma un colore diverso per ogni valore di pH. Si bagna la cartina con una goccia della soluzione di cui si vuole conoscere il pH e si paragona il colore assunto dalla cartina con la scala cromatica di confronto in dotazione (figura 18.28). A [RH] > [R – ] pH < 5 2 3 4 5 6 7 8 9 [R ′H] < [R′ – ] pH > 4,5 FIGURA 18.27 (A), il rosso metile è rosso a pH < 5. (B), il verde bromocresolo è blu a pH > 4,5. Se la soluzione incognita assume, in due prove separate, queste colorazioni, il pH della soluzione deve essere maggiore di 4,5 e minore di 5. pH 1 B 10 FIGURA 18.28 Per determinare il pH con le cartine indicatrici si deve stabilire a quale colore della scala cromatica corrisponde il colore assunto dalla cartina indicatrice bagnata con la soluzione. 18.16 La titolazione acido-base N el paragrafo 15.4 abbiamo visto come sia possibile determinare la concentrazione di una soluzione incognita attraverso il procedimento analitico chiamato titolazione. Supponiamo di avere una soluzione di acido cloridrico HCl e di volerne determinare la concentrazione, cioè il titolo. Dato che questo acido in soluzione acquosa è completamente dissociato, per risalire alla sua concentrazione è sufficiente determinare la concentrazione in ioni ossonio [H3O +] della soluzione. La concentrazione degli ioni H3O + può essere determinata tramite la reazione di neutralizzazione tra l’acido cloridrico HCl e l’idrossido di sodio NaOH, che reagiscono secondo la reazione: HCl + NaOH → H2O + NaCl CH/217 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 18 Acidi e basi Quando HCl e NaOH vengono mescolati in quantità equimolari, tutti gli ioni H3O + sono neutralizzati dagli ioni OH – della base e in soluzione è presente solo il sale NaCl. Il cloruro di sodio NaCl è un sale la cui idrolisi non fa variare il pH della soluzione (cfr. § 18.13), per cui al punto di fine titolazione, chiamato punto di equivalenza, il pH è uguale a 7. Per determinare il momento in cui tutto l’acido cloridrico ha reagito con l’idrossido di sodio è necessario evidenziare il punto di equivalenza, facendo ricorso a un indicatore di pH che abbia un pH di viraggio uguale a 7. Vediamo come si esegue in pratica una simile titolazione acido-base. Prendiamo un certo volume della soluzione di acido cloridrico e vi aggiungiamo una goccia di blu di bromotimolo, un indicatore di pH che assume i colori giallo, verde e blu a pH rispettivamente inferiore, uguale e superiore a 7. La nostra soluzione di HCl è acida, ha un pH minore di 7 e diviene perciò gialla (figura 18.29 A). Aggiungiamo ora alla soluzione, goccia a goccia, una soluzione di idrossido di sodio NaOH di cui conosciamo la concentrazione. Utilizziamo una buretta, un recipiente cilindrico graduato munito di rubinetto, che misura il volume della soluzione di NaOH. L’idrossido di sodio è una base fortissima, completamente dissociata in ioni Na + e OH –. Gli ioni idrossido che aggiungiamo si legano immediatamente agli ioni ossonio per formare molecole d’acqua, facendo diminuire così la concentrazione degli ioni H3O + (figura 18.29 B e C). Il pH della soluzione aumenta, fino a che la soluzione assume un colore verde (figura 18.29 D). Questo cambiamento di colore avviene quando il pH raggiunge il valore di 7, cioè quando sono stati consumati tutti gli ioni H3O + dell’acido. Poiché della soluzione di NaOH conosciamo la concentrazione e abbiamo misurato il volume necessario per far cambiare il colore, possiamo ricavare il numero delle moli di idrossido di sodio aggiunte. Questo numero è uguale al numero delle moli di acido cloridrico presente nella soluzione di partenza. Il rapporto tra il numero delle moli e il volume della soluzione di HCl ci fornisce infine il titolo, cioè la concentrazione, dell’acido cloridrico. Con lo stesso metodo, se abbiamo una soluzione di idrossido di sodio a concentrazione ignota, per titolarla aggiungiamo una soluzione a concentrazione nota di acido cloridrico. 씰 Con la titolazione acido-base si può ricavare la concentrazione di un acido mediante aggiunta di una base a titolo noto, o viceversa. FIGURA 18.29 Titolazione di un acido con una base. (A), nella beuta vi è una soluzione di un acido a concentrazione incognita con qualche goccia di un indicatore di pH. (B), aprendo il rubinetto della buretta facciamo scendere un po’ della soluzione di base, che reagisce con l’acido. (C), l’ulteriore aggiunta di base fa diminuire la concentrazione degli ioni H3O +, ma il colore non cambia. (D), il repentino passaggio da un colore all’altro segnala che siamo al pH di viraggio e che tutto l’acido presente ha reagito. Se nella titolazione si utilizza come indicatore la fenolftaleina, la soluzione al pH di viraggio passa da incolore a rosa, come si vede nella fotografia in alto. Buretta OH – H3O+ A B C Beuta b SCHEDA DI LABORATORIO Titolazione acido-base CH/218 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio D CAPITOLO 18 Acidi e basi 18.17 Equivalente chimico e normalità U na mole di acido monoprotico, per esempio HCl, diprotico, per esempio H2SO4, o triprotico, per esempio H3PO4, è capace di cedere rispettivamente una, due o tre moli di ioni ossonio. Una mole di base monobasica, per esempio NaOH, o dibasica, per esempio Ba(OH)2, è capace di reagire rispettivamente con una o due moli di ioni ossonio (figura 18.30). 씰 Si chiama equivalente chimico la quantità di un acido che rilascia una mole di ioni ossonio o la quantità di una base che reagisce con una mole di ioni ossonio. 1 mole di acido monoprotico 1 mole di acido diprotico 2 è rilasciata da FIGURA 18.30 Per rilasciare, o per reagire con, una mole di ioni ossonio occorre un numero di moli che dipende dal fatto che l’acido sia mono-, di- o triprotico, o la base sia mono- o dibasica. 1 mole di acido triprotico 3 1 mole di ioni ossonio 1 mole di base monobasica reagisce con 1 mole di base dibasica 2 L’equivalente chimico è una quantità di materia analoga alla mole. La figura 18.31 riassume la relazione che lega nei diversi casi l’equivalente chimico alla mole. Un equivalente di un acido monoprotico o di una base monobasica ha la stessa massa di una mole di quella sostanza. Nel caso di un acido diprotico o di una base dibasica, un equivalente ha massa eguale alla metà di una mole. Nel caso di acidi triprotici o basi tribasiche, la massa di un equivalente è un terzo di quella di una mole (tabella 18.6). di un acido triprotico 1 mole corrisponde a tetraprotico 1 equivalente chimico di una base Acido o Base Acido cloridrico Acido nitrico Acido perclorico Acido solforico Acido carbonico Idrossido di sodio Idrossido di bario monoprotico diprotico HCl HNO3 HClO4 H2SO4 H2CO3 NaOH Ba(OH)2 monobasica dibasica 1 mole 2 di acido 1 mole 3 1 mole 4 1 mole corrisponde a 1 mole 2 FIGURA 18.31 Corrispondenza tra equivalente chimico di un acido o di una base e mole. di base Massa molare (g/mol) Massa di un equivalente (g) 36,5 63 100,5 98,1 62 40 171,3 36,5 63 100,5 98,1 : 2 = 49,05 62 : 2 = 31 40 171,3 : 2 = 85,7 TABELLA 18.6 Valore della massa in grammi di una mole e di un equivalente chimico di alcuni acidi e basi. Occorre precisare, però, che per una stessa sostanza l’equivalente chimico varia a seconda dalla reazione in cui il composto è coinvolto. Per esempio, nella reazione: H2SO4 + 2NaOH → Na2SO4 + 2H2O l’equivalente chimico dell’acido solforico H2SO4 che reagisce con una mole di idrossido di sodio NaOH è esattamente 1/2 della massa molare. L’acido in- CH/219 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 18 Acidi e basi fatti rilascia due moli di ioni ossonio. Se le stesse sostanze reagiscono secondo la reazione: H2SO4 + NaOH → NaHSO4 + H2O l’equivalente dell’acido diventa uguale alla sua massa molare, perché in questo caso la quantità di ioni ossonio rilasciati è solo una mole. Sappiamo che la molarità di una soluzione indica il numero delle moli di soluto disciolte in 1 dm3 di soluzione (cfr. § 0.8). Dire che una soluzione è tre molare e scrivere 3 M significa che 1 dm3 di quella soluzione contiene 3 mol di soluto. Analogamente, per quanto riguarda la normalità, che viene indicata con N, diciamo che una soluzione è due normale e scriviamo 2 N, quando contiene 2 equivalenti chimici in 1 dm3 di soluzione. Nella tabella 18.7 sono indicate le corrispondenze tra soluzioni molari e normali di alcuni acidi e basi. 씰 La normalità di una soluzione indica il numero di equivalenti chimici disciolti in 1 dm 3 di soluzione. Acido o Base TABELLA 18.7 Corrispondenza tra molarità e normalità per alcune soluzioni di acidi e basi. Molarità Normalità Acido cloridrico HCl 1 1 Acido solforico H2SO4 1 2 0,5 1 1 3 0,66 2 0,33 1 Acido fosforico H3PO4 Idrossido di sodio NaOH 1 1 Idrossido di bario Ba(OH)2 1 2 0,5 1 Glossary Arrhenius acid (acido di Arrhenius) A compound that dissociates in water to produce positive hydrogen ions. Arrhenius base (base di Arrhenius) A compound that gives hydroxide ions in water solution. Brønsted-Lowry acid (acido di Brønsted-Lowry) A compound that can donate protons. Brønsted-Lowry base (base di Brønsted-Lowry) A compound that can accept protons. Lewis acid (acido di Lewis) A compound or atom that can accept a pair of electrons. Lewis base (base di Lewis) A compound or atom that can donate an electron pair. pH pH stands for potential of hydrogen. pH is equal to – log [H3O+]. pH scale (scala del pH) A logarithmic scale for expressing the acidity of a solution. Strong acid (acido forte) An acid that is almost completely dissociated. Strong base (base forte) A base that is almost completely dissociated. Weak acid (acido debole) An acid that is partially dissociated. Weak base (base debole) A base that is partially dissociated. CH/220 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio FACCIAMO IL PUNTO Domande aperte 12 Perché il composto NH4Cl dà reazione di idrolisi acida, 11 Che cosa si intende per acido e base secondo la definizione 13 Quando un acido viene detto poliprotico? Influisce il carat- mentre NaHCO 3 dà idrolisi basica? di Arrhenius? 12 Facendo reagire un acido e una base si ha sempre una soluzione neutra? Giustifica la risposta. 14 di Brønsted e Lowry? Che cosa significa acido coniugato e base coniugata? Che cosa è un elettrolita anfotero? Definisci il pH di una soluzione. Quale relazione esiste tra pH e prodotto ionico dell’acqua? Come si calcola il pH di una soluzione di un acido forte? Quando una soluzione si definisce neutra, acida o basica? Con quale strumento si misura il pH di una soluzione? Quali sono le caratteristiche di una soluzione tampone? Come si calcola il pH di una soluzione tampone? 15 13 Che cosa si intende per acido e base secondo la definizione 14 15 16 17 18 19 10 11 Esercizi di completamento 21 16 17 18 19 20 tere poliprotico di un acido sul pH di una sua soluzione? Giustifica la risposta. Con quale relazione si può esprimere la costante di dissociazione di un generico acido? E di una generica base? Che cosa è un indicatore? A che cosa serve? Che cosa è una cartina indicatrice? Che cosa è il pH di viraggio? Come si esegue una titolazione acido-base? Come sono definiti gli acidi e le basi da Lewis? Fornisci esempi di reazioni acido-base secondo Lewis. Quali relazioni esistono tra la forza di un acido e i legami chimici presenti nella sua molecola? Vale lo stesso discorso anche per la determinazione della forza di una base? Definisci il termine normalità. Che cosa è l’equivalente chimico? A che cosa corrisponde? A Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello spazio vuoto il termine opportuno. La teoria di Brønsted e …………………………… definisce come acido la specie chimica in grado di …………………………… un ……………………………………………… alla base, la specie chimica in grado di …………………………………………… . Un acido cedendo l’ ………………………………………………… si trasforma nella sua base ……………………………………………… , mentre la ……………………………… accettando l’idrogenione si trasforma nel suo acido ………………………………………… . Alcune specie chimiche, come l’acqua, possono accettare o donare idrogenioni a seconda delle sostanze con cui ……………………………………………… e sono denominate elettroliti …………………………………………… . Un acido è tanto più …………………………………… quanto più fa- cilmente si dissocia e quanto più grande è la sua …………………………… di dissociazione. Il ……………… di una soluzione esprime la ………………………………………………… degli ioni ossonio in soluzione ed è eguale al …………………………………………… negativo in base 10 di [H3O + ]. La somma del pH e del ……………… di una soluzione è sempre eguale a ……………… . VERIFICA LE CONOSCENZE Esercizi di corrispondenza 22 A Ricava dal pH della soluzione la corrispondente concentrazione degli ioni H3O + e OH –. Soluzione pH Sapone da bucato 11 Ammoniaca per uso domestico 11,8 Bicarbonato di sodio 9 Carbonato di potassio 11,6 Vino 3,5 Latte 6,5 Caffè 5 Birra 4,5 CH/221 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio [H3O +] [OH–] G U I DA A L L O ST U D I O EA G U I DA A L L O S T U D I O EA A Domande a scelta multipla 23 Nella reazione HNO 3 + OH Brønsted-Lowry sono: – A OH e H2O; C H2O e HNO3; B NO –3 C in acqua libera ioni H + e OH – ; D libera più ioni negativi che positivi. – e OH ; D H2O e NO –3. 33 Secondo la teoria di Brønsted-Lowry, un elettrolita anfotero ha la capacità di: centrazione della soluzione; B minore di 7, a elevate concentrazioni dell’acido; C sempre maggiore di 7, indipendentemente dalla con- C accettare o cedere idrogenioni; centrazione della soluzione; D accettare idrogenioni o cedere ioni idrossido. D tra 1 e 14 a seconda della concentrazione della solu- zione. Secondo la teoria di Arrhenius, una base forte: A ha la costante di dissociazione minore di 1; B non può mai essere anfotera; 34 Nella reazione di dissociazione dell’acido acetico CH3COOH + H2O ⇄ CH3COO– + H3O + la costante di dissociazione vale 1,8 · 10 –5. Tra le seguenti affermazioni, quale non è corretta? A l’acido acetico è un acido debole; B lo ione acetato è una base forte; 35 36 37 Tra le seguenti soluzioni, di cui viene indicato un valore di concentrazione, ha il pH più alto la soluzione in cui: D diventa uguale a 7. C diventa minore di 2; 38 acido è concentrata; B a parità di concentrazione, il pH di una soluzione di un acido forte è più basso rispetto a quello di un acido debole; C il pH di una soluzione di un acido non può essere mai eguale a 7; D a parità di concentrazione, il pH di una soluzione di una base forte è più basso rispetto a quello di una base debole. Una soluzione contenente 38,0 g di ioni ossonio H3O + in 2,00 hL di acqua ha pH uguale a: A 2; B 4; C 6; D 8. Mescolando 500 mL di una soluzione di un acido a pH = 5,0 con 500 mL di una soluzione dello stesso acido a pH = 6,0, si ottiene una soluzione: 39 A acida; B neutra; 40 Una soluzione che ha pH = 10: A contiene più idrogenioni che ioni idrossido; B è fortemente acida; Secondo Brønsted-Lowry, nella reazione acido-base HF + H2O ⇄ F – + H3O + gli acidi sono: A H2O e H3O+ ; C F – e H2O; C basica; D il cui pH dipende dal tipo di composto. 31 Quale tra le seguenti affermazioni non è corretta? A il pH diventa più basso quanto più una soluzione di 10 –6 C [OH ] = 7,0 · M; D [H3O+] = 5,5 · 10 –5 M. 30 A 100 mL di una soluzione acquosa con pH = 2 si aggiungono 300 mL di acqua. Il pH della soluzione: A rimane 2; B diventa maggiore di 2; – 29 L’acido acetico CH3COOH è un acido debole e una sua soluzione contiene: D uguale a 10 –7. A [H3O+] = 9,2 · 10 –8 M; B [OH – ] = 7,8 · 10 – 4 M; [H3O+ ] > [OH – ]; D [H3O+ ] = K w . B C ioni CH3COO– , ma non ioni H3O+ ; D solo ioni CH3COO– e OH – . C leggermente acido; 28 è molto dissociata; A ioni CH –3 e ioni COOH+ ; B ioni CH3COO– e ioni H3O+ ; Il pH dell’acqua di mare è: A debolmente basico; B uguale a quello dell’acqua pura; B D non reagisce con acidi. Una soluzione acquosa è acida se: A [H3O+ ] = [OH – ]; C [H3O+ ] < [OH – ]; C l’acido acetico è una base debole; D l’acido acetico si dissocia in minima parte. 27 Una base debole: A è molto diluita; C è poco dissociata; C impartisce alla soluzione un pH fortemente acido; D neutralizza solamente acidi deboli. 26 La soluzione di un acido a temperatura ambiente ha un valore di pH: A sempre minore di 7, indipendentemente dalla con- A mantenere costante il pH; B accettare ioni idrossido; 25 Una base secondo Arrhenius è un elettrolita che: A si ionizza in acqua liberando ioni H +; B si ionizza in acqua liberando ioni OH – ; – ⇄ NO 3 + H2O le basi secondo – 24 32 B HF e F – ; D HF e H3O+ . In quale dei seguenti gruppi di composti vi sono solo acidi forti? A HF, HCl, HNO3, CH3COOH; B HNO2, HNO3, H2SO4, H3PO4; C ha una concentrazione di ioni idrossido uguale a 10 –10; C HCOOH, HNO3, HCl, HClO4; D è ottenuta dalla dissociazione di un idrossido. D HCl, HNO3, H2SO4, HClO4. CH/222 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio 41 C tanto maggiore è il numero di ioni H 3O+ che una mo- Quale gruppo di composti comprende solo acidi deboli? lecola di acido può cedere; A H2S, HCOOH, HCN, CH3COOH; D tanto maggiore è il numero di ioni H 3O+ che una mo- B HNO2, HNO3, HCN, H3PO4; lecola di acido può acquistare. C HCOOH, HF, HCl, HCN; 54 D HCl, HNO3, H2SO4, HClO4. 42 A tanto più forte è il suo acido coniugato; In quale dei seguenti gruppi di composti vi sono solo basi forti? B tanto più debole è il suo acido coniugato; A NaOH, NH3, LiOH, Al(OH)3; C tanto maggiore è il numero di ioni OH – che una mole- B NaOH, Ca(OH)2, KOH, NH3; cola di base può cedere; C NaOH, LiOH, KOH, Ba(OH)2; D tanto maggiore è il numero di ioni H 3O+ che una mo- lecola di base può acquistare. D Ba(OH)2, NH3, Ca(OH)2, Al(OH)3. 43 55 L’acido coniugato di una base debole: B è sicuramente un acido debole; B da cui si ottengono prodotti elettricamente neutri; C è sicuramente una base forte; C nella quale il pH è sempre 7; D può essere un acido debole o forte indifferentemente. D di equilibrio. 56 La base coniugata di un acido forte: A è sicuramente un acido debole; B è sicuramente una base debole; C è sicuramente una base forte; D può essere una base debole o forte indifferentemente. 45 57 58 C H2S; D HCl. B HCOOH; C NH3; 59 A OH ; B SO32– ; A OH ; B – ClO4 ; 60 C H2SO3; D H3 C è neutra; B è basica; C è neutra; Una soluzione di acetato di sodio CH3 COONa in acqua: B è basica; C è neutra; Una soluzione di idrogenocarbonato di sodio NaHCO3 in acqua: A è acida; O+ . B è basica; C è neutra; D non si può affermare nulla se non si conosce la con- centrazione. C H2ClO+4 ; D H3O+ . 61 Un elettrolita anfotero è una specie chimica che: A si può comportare sia da acido sia da base; 2– B SO 4 ; C H2SO4; B può cedere più di un idrogenione; D H3O+ . C può acquistare più di un idrogenione; D ha sempre il pH = 7. L’acido coniugato di ClO –2 è: A OH – ; è basica; centrazione. L’acido coniugato di HSO –4 è: A OH – ; B Una soluzione di cloruro di sodio NaCl in acqua: A è acida; La base coniugata di HClO4 è: – B ClO 3–; C HClO2; D H3O+ . 62 B un donatore di idrogenioni; C un accettore di doppietti elettronici; B può cedere almeno due idrogenioni; C può acquistare più di un idrogenione; D può acquistare almeno tre elettroni. Un acido di Lewis è: A un accettore di idrogenioni; Una base è detta polibasica se: A può cedere più di un elettrone; 53 Una soluzione di cloruro di ammonio NH4Cl in acqua: D non si può affermare nulla se non si conosce la con- D H3PO4. La base coniugata di HSO –3 è: – 52 B HCN; acido acetico; centrazione. Quale tra le seguenti specie chimiche è un acido triprotico? A CH3COOH; 51 D acido cloridrico. D non si può affermare nulla se non si conosce la con- Quale tra le seguenti specie chimiche è un acido poliprotico? A CH3COOH; 50 C cloruro di sodio; A è acida; D può acquistare più di un elettrone. 49 B centrazione. C può acquistare più di un idrogenione; 48 A alcol etilico; D non si può affermare nulla se non si conosce la con- B può cedere più di un idrogenione; 47 Quale tra i seguenti composti in soluzione acquosa si comporta da elettrolita debole? A è acida; Un acido è poliprotico quando: A può cedere più di un elettrone; 46 Una reazione di neutralizzazione è una reazione: A tra un acido e una base in quantità equivalenti; A è sicuramente un acido forte; 44 Tanto più forte è una base: D un donatore di doppietti elettronici. 63 Una base di Lewis è: A un accettore di idrogenioni; Tanto più forte è un acido: B un donatore di idrogenioni; A tanto più forte è la sua base coniugata; C un accettore di doppietti elettronici; B tanto più debole è la sua base coniugata; D un donatore di doppietti elettronici. CH/223 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio G U I DA A L L O ST U D I O EA G U I DA A L L O S T U D I O EA 64 Una soluzione ottenuta sciogliendo in acqua lo stesso numero di moli di NH4 Cl e di NH3 è: 76 A sicuramente neutra; B una soluzione satura; Per neutralizzare completamente 50 mL di una soluzione 0,1 N di Ca(OH)2 occorrono: A 50 mL di HCl 0,05 N; B C 50 mL di HCl 0,1 M; D 25 mL di HCl 0,05 M. 25 mL di HCl 0,04 N; C una soluzione acida; 77 D una soluzione tampone. 65 Quale tra le seguenti è una soluzione tampone? A 150 mL di una soluzione 0,02 M di NaOH; A CH3COONa 0,1 M; B CH3COONa 0,005 M e HCl 0,005 M; C 60 mL di una soluzione 0,02 N di NaOH; C CH3COOH 0,1 M; D 30 mL di una soluzione 0,1 M di Ca(OH)2. B 150 mL di una soluzione 0,05 N di KOH; D CH3COONa 0,005 M e CH3COOH 0,005 M. 66 67 L’equazione chimica relativa alla reazione di idrolisi del cloruro di ammonio NH4 Cl è: A NH4Cl 0,1 M; B NH4Cl 0,001 M e NH3 0,001 M; A NH4Cl + H2O ⇄ NH4OH + HCl; B NH3 + H2O ⇄ NH+4 + OH – ; C NH3 0,005 M e NaOH 0,001 M; D NH3 0,005 M e HCl 0,005 M. C NH +4 + H2O ⇄ NH3 + H3O + ; D 2NH4Cl ⇄ N2 + 4H2 + Cl2. Il pH della soluzione formata da CH3COONa 0,005 M e da CH3COOH 0,005 M (K a CH3COOH = 1,8 · 10 – 5) è: B 10 –5; B 7,4·10 – 6; B 7,4·10 –6; C 5,0; C 5,1; D 8,9. B 3; C 7; B 3; C 4; D 8,9. 82 83 84 B CN –; C K +; + C Cl – ; D Sn4 . B HClO2; C HClO3; D HClO4. B HF; C H2O; D HCl. – B H2PO 4 ; 2– C HPO 4 ; D H2O. Andando dall’acido più forte al meno forte, il corretto ordine di acidità è: B HClO4 > HCl > CH3COOH > H2S; C HCl > HClO4 > CH3COOH > H2S; – D HCl > HClO4 > H2S > CH3COOH. D H2PO 4 . Per neutralizzare completamente 100 mL di una soluzione 0,1 N di NaOH occorrono: B OH – ; A HClO4 > H2S > HCl > CH3COOH; Quale tra le seguenti specie chimiche non può dare la reazione di idrolisi? 2– D Fe 2+. C BF3; Quale tra i seguenti acidi è il più forte? A H3PO4; 86 B H+ ; Quale tra i seguenti acidi è il più forte? A H2S; 85 D NH3. Quale tra i seguenti acidi è il più forte? A HClO; D 11. C HCl; Quale tra le seguenti specie chimiche non è una base di Lewis? A NH3; D 11. B HNO3; Quale tra le seguenti specie chimiche non è un acido di Lewis? A F –; Una soluzione tampone si ottiene sciogliendo in acqua: A HPO 4 ; Quale tra i seguenti composti è un acido di Lewis? A AlCl3; 81 forte; B una base debole e il suo acido coniugato; C un idrossido forte e un acido forte; D un sale derivato da una base debole e da un acido forte. 75 80 D 9,0. A un sale derivato da un acido debole e da una base 74 C CH3COOH + H2O ⇄ CH3COO – + H3O + ; D CH3COONa + H2O ⇄ Na + CH3COOH + OH – . Il pH di una soluzione 0,001 M della base forte NaOH è: A 0,001; 73 C 5,0; L’equazione chimica relativa alla reazione di idrolisi dell’acetato di sodio CH3 COONa è: A CH3COONa + H2O ⇄ CH3COOH + NaOH; B CH3COO – + H2O ⇄ CH3COOH + OH – ; Il pH di una soluzione 0,001 M dell’acido forte HCl è: A 0,001; 72 D 9,3. Il pH di una soluzione 0,1 M di CH3COONa (K a CH3COOH = 1,8 · 10 –5) è: A 1; 71 C 4,7; Il pH di una soluzione 0,2 M di NH4Cl (Kb NH3 = 1,8 · 10 –5) è: A 1; 70 B 7; 79 Il pH della soluzione formata da NH3 0,1 M e da NH4Cl 0,2 M (Kb NH3 = 1,8 · 10 – 5) è: A 1; 69 78 Quale tra le seguenti è una soluzione tampone? A 0,005; 68 Per neutralizzare completamente 60 mL di una soluzione 0,05 M di HNO3 occorrono: 87 Andando dall’acido più forte al meno forte, il corretto ordine di acidità è: A 50 mL di HCl 0,1 N; B 50 mL di HCl 0,2 N; A HClO4 > HF > HCl > HCOOH; C 100 mL di HCl 0,01 M; D 20 mL di HCl 1 N. C HCl > HClO4 > HCOOH > HF; B HClO4 > HCl > HF > HCOOH; D HCl > HClO4 > HF > HCOOH. CH/224 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio 88 C il valore del logaritmo negativo naturale della concen- Andando dall’acido più forte al meno forte, il corretto ordine di acidità è: trazione molare di H3O + o di H + ; D il valore del logaritmo in base 10 cambiato di segno del prodotto ionico dell’acqua K w. A H2SO4 > H2SO3 > H2S > H2O; B H2SO4 > H2SO3 > H2O > H2S; C H2SO3 > H2SO4 > H2O > H2S; 91 La normalità di una soluzione di acido arsenico H3AsO4 D H2SO3 > H2SO4 > H2S > H2O. 89 contenente 0,44 g in 5,5 L è: A 5,6 · 10 – 4 N; Andando dalla base più forte alla meno forte, il corretto ordine di basicità è: B 1,7 · 10 – 3 N; C 1,1 · 10 – 3 N; A NaOH > KOH > LiOH > NH3; D 2,8 · 10 – 4 N. B KOH > NaOH > LiOH > NH3; C KOH > NaOH > NH3 > LiOH; 92 D KOH > NH3 > NaOH > LiOH. 90 La definizione corretta di pH è: Mescolando 200 mL di una soluzione 0,100 N di idrossido di sodio con 400 mL di una soluzione 0,0500 N di acido cloridrico, si ottiene una soluzione: A acida; A il valore del logaritmo in base 10 della concentrazio- B basica; + ne molare di H3O + o di H ; C neutra; B il valore del logaritmo negativo in base 10 della con- centrazione molare di H3O + o di H + ; D anfotera. VERIFICA LE ABILITÀ Gioca e impara 93 A Completa lo schema rispondendo alle seguenti domande. Al termine, leggendo in successione le lettere nelle caselle evidenziate in giallo, comparirà una sostanza necessaria per eseguire le titolazioni acido-base. 1 2 3 1. Il fenomeno che si ha ponendo cloruro di ammonio in acqua. 4 2. La base debole lo è dell’acido forte. 3. Ha sapore aspro, pungente e in acqua fa aumentare la concentrazione degli ioni ossonio. 4. Studiò la dissociazione elettrolitica e diede la prima definizione operativa di acido e base. 5 6 7 5. H2SO4 è un acido … 6. Lo è una soluzione ottenuta unendo 50 mL di HCl 0,1 M e 25 mL di NaOH 0,2 M. 7. Esiste quella di dissociazione, di equilibrio e del prodotto ionico dell’acqua. 8 9 10 8. Una soluzione costituita da NH3 e NH4Cl. 9. Un elettrolita che può avere sia proprietà acide sia basiche. 10. Fa aumentare la concentrazione degli ioni idrossido in acqua ed è scivolosa al tatto. CH/225 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio G U I DA A L L O ST U D I O EA G U I DA A L L O S T U D I O EA 94 Assumendo che ogni sfera rappresenti un anione o un catione, assegna alle soluzioni rappresentate nei quattro schemi il soluto corrispondente, scegliendolo tra NaOH, H2SO4, CH3CH2OH, HCOOH. Giustifica le tue risposte. (a) …………………………… (b) …………………………… (c) …………………………… 106 Esercizi e problemi 195 Calcola il pH di una soluzione di NH4Cl che contiene 5,8 g di questo sale in 1 000 mL di soluzione. La costante di dissociazione K b dell’ammoniaca NH3 è 1,8 · 10 –5. [5,1] (d) …………………………… A 50 mL di acido acetico 0,10 M vengono aggiunti 120 mg di NaOH. Calcola il pH della soluzione ottenuta, essendo la costante di dissociazione dell’acido 1,8 · 10 –5. Come si modifica il pH se la quantità di NaOH aggiunta è 200 mg? [4,9] [8,2] 196 Calcola il pH di una soluzione 0,050 M di HCl. [1,3] 197 Calcola il pH di una soluzione 0,020 M di HNO3. [1,7] 198 Calcola la concentrazione idrogenionica di una soluzione di HClO4 a pH = 3. [0,001 M] 199 Calcola la costante di dissociazione Kb dell’ammoniaca, se il pH di una sua soluzione 0,010 M è 10,623. [1,8 · 10 –5] 100 Calcola il pH e il pOH di una soluzione 10 – 4 M della base forte idrossido di potassio. [10] [4] 101 Calcola il pH di una soluzione 10 –2 M della base forte diidrossido di bario. [12,3] 111 Calcola il pH di una soluzione 10 –2 M di acido acetico CH3COOH (K a CH3COOH = 1,8 · 10 –5). [3,4] Qual è il pH di viraggio del blu di bromotimolo, un indicatore con K a = 7,94 · 10 –8 ? [7,1] 112 Calcola il pH della soluzione che in 300 mL contiene 4,00 g di CH3COONa (K a CH3COOH = 1,8 · 10 – 5 ). [8,9] 113 Calcola il pH della soluzione che in 250 mL contiene 20,0 g di cloruro di ammonio (K b NH3 = 1,8 · 10 – 5 ). [4,5] 114 Calcola il pH della soluzione che in 0,00025 m3 contiene 12 g di idrossido di calcio (K b Ca(OH)2 = 4,0 · 10 –2). [11,6] 115 Disponi i seguenti composti in ordine crescente in base alla loro forza come elettroliti: HF, H2CO3, HIO3, HCN, H2S, H3PO4, HIO, HClO, HClO2 , H2O. 102 103 104 107 Calcola il pH della soluzione ottenuta mescolando 150 mL di HCl 0,10 M con 200 mL di KOH 0,20 M. [12,8] 108 Calcola il pH della soluzione ottenuta mescolando 10 cm3 di HCl 0,10 M con 250 cm3 di acqua distillata. [2,4] 109 Calcola il pH della soluzione ottenuta mescolando 100 mL di CH3COOH 0,10 M con 50 mL di CH3COONa 0,20 M (K a CH3COOH = 1,8 · 10 –5). [4,7] 110 Calcola il pH della soluzione ottenuta mescolando 50 mL di NH3 0,10 M con 70 mL di NH4Cl 0,10 M (K b NH3 = 1,8 · 10 –5 ). [9,1] Calcola la concentrazione degli ioni [H3O +] e il pH di una soluzione di HCN 0,010 M. La costante di dissociazione K a di HCN è 7,2 · 10 –10. [2,7 · 10 –6 M] [5,6] Sciogliamo in acqua 3,0 g di NaOH e 9,0 g di KOH e portiamo il volume a 0,500 L. Calcola il pH della soluzione. [13,7] 105 Calcola il pH della soluzione ottenuta mescolando 15 mL di H 2SO4 1,0 M con 30 mL di NaOH 1,1 M. [12,8] CH/226 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio 116 Disponi i seguenti composti basici in ordine decrescente a seconda della loro forza come basi: NaOH, Ca(OH)2 , NH3, Mg(OH)2 , KOH, Mn(OH)2 , AgOH. 117 Il pH di una soluzione di un acido monoprotico che è dissociato per l’1% vale 4. Calcola la concentrazione dell’acido all’equilibrio e il valore del pH di una soluzione di una base monobasica che ha la stessa concentrazione e si dis[9,9 · 10 –3 M] [10] socia nella stessa percentuale. 118 L’idrossido di sodio è una base forte e si può considerare completamente dissociato. Calcola il pH di una soluzione contenente 2,50 g di idrossido di sodio in 25,0 L di soluzione. Quale valore assume il pH, se si aggiunge acqua in modo che il volume della soluzione raddoppi? E se il volu[11,4; 11,1] [10,8] me quadruplica? 129 Si hanno a disposizione tre soluzioni di basi forti completamente dissociate: la 1ª di idrossido di sodio 0,0125 M; la 2ª di idrossido di bario 2,50 · 10 –3 M; la 3ª di idrossido di potassio 10 –7 M. Dopo avere calcolato il pH delle singole soluzioni, determina il pH di una soluzione ottenuta mescolando insieme volumi eguali delle tre soluzioni. [(1ª) 12,1; (2ª) 11,7; (3ª) 7; (1ª + 2ª + 3ª) 11,8] 130 Calcola la concentrazione di ioni ossonio e il pH in una soluzione 0,20 M di cloruro di ammonio NH4Cl. [1,5·10 –5 M] [4,98] 131 Il cianuro di sodio è un sale dell’acido debole HCN. Calcola la concentrazione degli ioni H3O+, OH–, Na+ e dell’HCN in una soluzione preparata sciogliendo 10,8 g di NaCN in sufficiente acqua per preparare 5,00 · 10 2 mL di soluzione. [4,0·10 –3 M] [2,5·10 –3 M] [0,434 M] [2,5·10 –3 M] 119 A una soluzione costituita da 20,0 mg di idrossido di sodio sciolti in 1,00 L di soluzione vengono aggiunti 250 mL di soluzione contenente 30,0 mg di acido cloridrico, acido forte e completamente dissociato. Qual è il pH della solu[3,59] zione finale? 120 Quanti grammi di acido bromidrico, acido forte e completamente dissociato, si trovano in un litro di una sua solu[0,0809 g] zione a pH = 3? 121 Qual è la concentrazione degli ioni idrossido di una base in una soluzione a pH = 8? Se la base disciolta è un idrossido monobasico dissociato per il 25%, qual è la sua con[10 –6 M] [4,0 · 10 –6 M] centrazione iniziale? 122 132 Un acido monoprotico disciolto in acqua dà una soluzione 0,1 N, il cui pH è 3. Qual è la costante di dissociazione [10 –5 ] dell’acido in esame? Question 133 Quanti millilitri di una soluzione di HCl al 30% P/P e di densità 1,1 g /mL bisogna aggiungere all’acqua per ottene[110 mL] re 0,10 m3 di una soluzione a pH = 2? Connect each of the following substances or solutions in the left column to the corresponding definition in the right column. CH3COOH NH4Cl + NH3 123 124 125 Quanti grammi di idrossido di sodio vi devono essere in 2,50 L di una sua soluzione, affinché la concentrazione [200 g] della soluzione sia 0,200 N? KOH Quanti milligrammi di HNO3 devono essere contenuti in 3,0 L di una sua soluzione, affinché il pH sia uguale a 4? 134 [19,2 mg] 126 127 [0,002 M] [3,04 · 10 –4 ] 128 Quanti millilitri di una soluzione 0,50 M di acido nitrico bisogna prelevare per avere 25 L di una sua soluzione acquosa a pH = 3? Quanti millilitri di soluzione 0,50 M di idrossido di sodio occorre aggiungere alla soluzione così [50 mL; 50 mL] ottenuta per avere un pH finale pari a 7? Indicator Weak base NH3 Weak acid Titration NaCN Strong acid NaOH + HBr Strong base Indicate if the resulting pH is equal to, less than, greater than 7, after combining equal molar amounts of: A a weak base with a strong acid; Calcola il pH di una soluzione ottenuta mescolando 100 mL di una soluzione 0,100 M di acido acetico CH3COOH con 50,0 mL di una soluzione 0,100 M di idrossido di so[9,26] dio NaOH. Una soluzione 0,015 M di acido cianico HOCN ha pH = 2,67. Qual è la concentrazione di ioni ossonio nella soluzione? Qual è la costante di dissociazione K a per l’acido? Hydrolysis HNO3 Phenolphthalein Quanti grammi di acido solforico vi devono essere in 3,4 L di una sua soluzione, affinché la concentrazione della solu[32,64 g] zione sia 0,10 N? Buffer B a strong base with a strong acid; C a weak acid with a strong base; D a weak base (K b = 1,3 ·10 – 5) with a weak acid (K a = 2,6 ·10 – 5). 135 Does the pH of the solution increase, decrease or stay the same when: A HCl is added to the water? B NH4Cl is added to a NH3 solution? C NaCl is added to a HCl solution? D NaOH is added to a HCl solution? E HCl is added to a KOH solution? F HF is added to a NaCl solution? CH/227 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio G U I DA A L L O ST U D I O EA C A P I TO L O 19 Elettrochimica 19.1 Elettricità e chimica I l filosofo greco Talete, circa 2 600 anni fa, fu probabilmente il primo a parlare di «forze elettrostatiche». Egli osservò che l’ambra, strofinata con un panno, diviene capace di attrarre oggetti leggeri. Molto tempo dopo, William Gilbert (1544-1603) scoprì che questa capacità di attrazione era comune anche ad altre sostanze e propose di chiamare il fenomeno elettricità. Nei primi decenni del 1700 si affermò l’idea che, quando si strofinavano tra loro due corpi, si venivano a creare due tipi di cariche elettriche, che si attiravano perché avevano segno opposto. Successivamente si ipotizzò che l’esistenza delle due cariche di segno opposto fosse dovuta a un eccesso o a un difetto di un unico tipo di «fluido elettrico». In effetti, oggi sappiamo che i due tipi di carica sono dovuti a un eccesso o a un difetto di elettroni. Solo nel 1789 Charles-Augustin de Coulomb pose le basi quantitative per studiare le forze di attrazione elettrostatiche. Un notevole impulso allo studio dei «fluidi elettrici» fu fornito da due scienziati italiani: Luigi Galvani e Alessandro Volta. Il loro lavoro culminò nella costruzione delle celle galvaniche o voltaiche, dette anche pile, dispositivi in grado di utilizzare reazioni chimiche per produrre una corrente elettrica. Successivamente si mise a punto il processo opposto, l’elettrolisi, che consiste nell’impiego della corrente elettrica per produrre una reazione chimica. Era aperta la strada per uno scambio di contributi scientifici tra due discipline, la chimica e l’elettrologia. L’elettrochimica, che approfondiremo in questo capitolo, studia le reazioni chimiche che producono, o sono prodotte da, un passaggio di corrente elettrica. Ci interesseremo dei fenomeni in cui l’energia chimica si trasforma in energia elettrica, e viceversa, e vedremo come al centro dell’attenzione ci sia sempre la stessa particella: l’elettrone (figura 19.1). 19.2 Le reazioni redox S FIGURA 19.1 Gran parte degli oggetti che ci circondano ricavano l’energia elettrica necessaria per il loro funzionamento da una reazione chimica di ossidoriduzione, che avviene nei dispositivi chiamati pile. appiamo che un idrogenione H + non può esistere da solo e che viene trasferito da un composto donatore, un acido, a un composto accettore, una base (cfr. § 18.2). Anche l’elettrone non è stabile da solo. La sua carica elettrica è uguale, in valore assoluto, a quella dell’idrogenione, ma si trova in una massa 1836 volte più piccola (cfr. § 0.1). Ne deriva una concentrazione di carica elevatissima, maggiore di quella dello ione H + e tale da rendere molto instabile l’elettrone isolato. CH/228 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 19 Elettrochimica Analogamente all’idrogenione, anche l’elettrone può essere trasferito da una specie chimica a un’altra. La specie chimica che cede l’elettrone è il donatore di elettroni o riducente; la specie chimica che acquista l’elettrone è l’accettore di elettroni o ossidante. Cessione e acquisto di elettroni non possono avvenire separatamente: il trasferimento richiede la contemporanea presenza di un donatore e di un accettore di elettroni, cioè di un riducente e di un ossidante. 씰 La perdita di elettroni è chiamata ossidazione. L’acquisto di elettroni prende il nome di riduzione. Una reazione di trasferimento di elettroni si chiama reazione di ossidoriduzione o reazione redox. Il termine riduzione deriva dal fatto che, quando una specie chimica acquista elettroni, diminuisce il suo numero di ossidazione. Molte reazioni chimiche avvengono col trasferimento di elettroni da una specie chimica all’altra (cfr. § 15.1). Ogni volta che vi è un trasferimento di elettroni si ha anche liberazione o assorbimento di energia. Nelle combustioni, per esempio, il passaggio di elettroni è accompagnato da liberazione di energia termica. Galvani ottenendo gli stessi risultati, ma giunse a conclusioni differenti. Volta pensava che la corrente elettrica fosse generata dal contatto tra due differenti metalli e che il muscolo fosse solo un rivelatore della piccola corrente generata. Per dimostrare questa ipotesi Volta costruì la prima pila che fu usata poco dopo dai chimici inglesi Anthony Carlisle e William Nicholson per decomporre l’acqua in idrogeno e ossigeno. Nel 1797 von Humboldt proclamò Galvani scopritore della bioelettricità. Lo scienziato tedesco aveva infatti dimostrato che il muscolo di una rana si contraeva quando veniva a contatto col nervo di un altro organismo. Nello stesso anno Galvani fu allontanato dalla sua cattedra perché si rifiutò di prestare giuramento al governo napoleonico. Luigi Galvani e l’elettricità delle rane CH/229 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio PER SAPERNE DI PIÙ Le pile sono chiamate anche celle galvaniche in onore di un fisico italiano, Luigi Galvani (1737-1798), che per primo studiò quella che lui chiamava «elettricità animale». Intorno al 1780, Galvani osservò che una corrente elettrica generata da una macchina elettrostatica causa la contrazione dei muscoli nelle zampe delle rane e teorizzò l’esistenza di una elettricità intrinseca all’animale, che messa in circolo da un arco bimetallico esterno produce la contrazione dei muscoli. Per Galvani il muscolo della rana è un serbatoio di elettricità che fluisce attraverso i nervi. Continuando gli studi trovò che il muscolo si contraeva anche quando veniva posto a contatto con due differenti metalli, senza applicare correnti elettriche dall’esterno. Alessandro Volta riprese gli esperimenti di CAPITOLO 19 Elettrochimica 19.3 Le semireazioni redox N elle reazioni chimiche il numero degli atomi dei reagenti e dei prodotti è lo stesso. Nelle reazioni redox, oltre a ciò, deve essere uguale anche la somma delle cariche elettriche dei reagenti e quella dei prodotti. Il bilancio in pareggio delle cariche dimostra che il numero degli elettroni ceduti nell’ossidazione è eguale al numero degli elettroni acquistati nella riduzione. Per bilanciare un’equazione chimica di una reazione redox è conveniente scomporre la reazione in due stadi, chiamati semireazioni perché ognuno di essi rappresenta una metà della reazione. Consideriamo di nuovo la reazione di ossidoriduzione tra sodio e cloro atomici. Indicando con e – l’elettrone, possiamo suddividere la reazione, in linea teorica, nelle due semireazioni: Na+ + e – (semireazione di ossidazione) → – (semireazione di riduzione) Cl → La somma delle due semireazioni dà la reazione complessiva: Na Cl + e – Na + Cl + e – → cioè: – Na+ + Cl + e – – Na+ + Cl → Ognuna delle due semireazioni non può avvenire da sola, perché in una reazione non possono apparire elettroni liberi, che non si producono in quanto altamente instabili. La reazione somma invece può avvenire, perché non vi compaiono elettroni liberi. Se consideriamo la reazione tra una specie chimica che tende a cedere due elettroni e un’altra specie chimica che tende a prenderne solo uno, occorre fare in modo che il numero degli elettroni ceduti sia uguale a quello degli elettroni acquistati. Per esempio, nella reazione tra il bario e il cloro molecolare un atomo di bario reagisce con due atomi di cloro, cioè con la molecola Cl2. In questo caso le due semireazioni evidenziano che gli elettroni scambiati tra bario e cloro sono due: Ba Ba2+ + 2e – → – 2Cl Cl2 + 2e – → – 2+ Ba + 2Cl Ba + Cl2 → Na + Cl PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 1. Facendo ricorso alle semireazioni, bilancia la reazione di ossidoriduzione + Ag (aq) + Cu(s) → Cu 2+ (aq) + Ag(s) Identifica, inoltre, l’agente ossidante e quello riducente, la sostanza ossidata e quella ridotta. 1. Facendo ricorso alle semireazioni, bilancia la reazione di ossidoriduzione + 3+ Al (s) + Hg2(aq) + Hg(s) → Al (aq) Identifica, inoltre, l’agente ossidante e quello riducente, la sostanza ossidata e quella ridotta. + Scomponiamo la reazione nelle due semireazioni, una per l’argento Ag (aq) → Ag(s); 2+ l’altra per il rame Cu(s) → Cu(aq) . Poiché le masse sono già bilanciate, passiamo a considerare il numero delle cariche, che devono essere uguali nei due membri dell’equazione. Per bilanciare le cariche aggiungiamo elettroni a sinistra della freccia di reazio_ _ 2+ + + e → Ag(s); Cu(s) → Cu(aq) + 2e . Poine per l’argento e a destra per il rame: Ag (aq) + ché lo ione Ag si riduce acquistando l’elettrone, esso è l’agente ossidante, mentre il 2+ e la Cu(s) si ossida ed è quindi l’agente riducente. La specie ossidata è quindi Cu(aq) specie ridotta è Ag(s). A questo punto bilanciamo l’equazione nel suo complesso, molti_ + + e → Ag(s)) × 2; plicando ciascuna semireazione per un fattore appropriato (Ag(aq) _ 2+ + 2e ) × 1, in maniera tale che il numero degli elettroni scambiati (Cu(s) → Cu(aq) _ _ 2+ + + 2e → 2Ag(s); Cu(s) → Cu(aq) + 2e . nelle due semireazioni diventi uguale: 2Ag (aq) In definitiva la reazione scritta correttamente è: + 2+ 2Ag (aq) + Cu(s) → Cu(aq) + 2Ag(s) CH/231 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 19 Elettrochimica 19.4 Bilanciamento delle reazioni redox A bbiamo studiato il numero di ossidazione (n.o.) degli atomi, quando eravamo alla ricerca di un metodo pratico e veloce per scrivere le formule dei composti (cfr. § 13.3). Ora utilizziamo il numero di ossidazione per capire cosa avviene agli elementi coinvolti nelle reazioni redox, cioè chi si ossida, chi si riduce e quanti elettroni sono perduti o acquistati. Col n.o. il bilanciamento delle reazioni diventa un’operazione più semplice e rapida. Quando un atomo cede elettroni, il suo numero di ossidazione aumenta. Per esempio, l’idrogeno che si ossida da H a H + cambia il proprio n.o. da 0 a +1. Se l’ammoniaca NH3 viene ossidata ad acido nitrico HNO3, il numero di ossidazione dell’azoto cresce da – 3 a + 5. Viceversa, se un atomo acquista elettroni, il suo numero di ossidazione diminuisce. Nel caso della reazione redox tra rame metallico e lo ione argento abbiamo: Il rame si ossida e il suo numero di ossidazione aumenta + + 2Ag(s) Cu(s) + 2Ag +(aq) ⎯→ Cu 2(aq) L’argento si riduce e il suo numero di ossidazione diminuisce 씰 Il numero di ossidazione di un atomo aumenta se l’atomo si ossida, diminuisce se l’atomo si riduce. Le stesse considerazioni valgono per le reazioni in cui tutte le specie presenti sono molecolari e non ioniche, come nel caso della sintesi dell’acqua: (0) Il numero di elettroni ceduti dall’atomo di rame Cu è uguale al numero di elettroni complessivamente accettati dagli ioni argento Ag +. (0) (+1) (–2) 2H2 + O2 ⇄ 2H2O In questa reazione l’idrogeno H2 si ossida perché il suo n.o. passa da 0 a +1, mentre l’ossigeno O2 si riduce in quanto il suo n.o. passa da 0 a –2. Il bilanciamento delle reazioni redox in qualche caso può risultare complesso, ma esistono procedure standard che rendono il procedimento più veloce e snello. Sappiamo come si bilanciano normalmente le reazioni chimiche (cfr. § 0.2). Se, però, la reazione è di ossidoriduzione, il calcolo è più laborioso, perché il bilanciamento deve riguardare sia la massa sia la carica elettrica. Nelle reazioni redox, infatti, le trasformazioni chimiche riguardano contemporaneamente atomi ed elettroni. Il calcolo dei coefficienti stechiometrici si basa sulla variazione del numero di ossidazione degli atomi nel corso della reazione. Per sapere quali atomi si sono ridotti e quali ossidati in una reazione redox, si calcola il numero di ossidazione di tutti gli atomi dei reagenti e dei prodotti. L’elemento che ha aumentato il numero di ossidazione si è ossidato, quello che lo ha diminuito si è ridotto. Per esempio, nella reazione redox: (0) (+2) (+2) (0) Zn + Cu2 + ⇄ Zn2 + + Cu lo zinco passa da numero di ossidazione 0 a +2 e quindi si ossida, mentre il rame passa da +2 a 0 e quindi si riduce. Il metodo per calcolare rapidamente i coefficienti delle reazioni di ossidoriduzione si basa sul fatto che nelle reazioni redox il numero degli elettroni ceduti da una specie chimica deve essere eguale al numero degli elettroni acquistati dall’altra specie. Si procede nel seguente modo: 1 si calcolano i numeri di ossidazione di tutti gli elementi, nei reagenti e nei prodotti; 2 si individuano gli elementi che hanno cambiato il numero di ossidazione (supponiamo siano gli atomi A e B in una generica reazione); 3 si calcola di quanto è variato il numero di ossidazione di A (Δ A) e di quanto è variato il numero di ossidazione di B (Δ B); 4 si dà il coefficiente Δ A ai composti contenenti B e il coefficiente Δ B ai composti contenenti A; 5 si bilanciano con il metodo normale tutte le altre specie; alla fine si bilanciano gli atomi di idrogeno, di ossigeno e le molecole di acqua. CH/232 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 19 Elettrochimica PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 2. Bilancia l’equazione chimica della reazione redox Zn + HCl → ZnCl 2 + H2 2. Bilancia l’equazione chimica della reazione redox Sn + Pb2+ → Sn2+ + Pb Assegniamo dapprima i numeri di ossidazione agli atomi che partecipano alla reazione di ossidoriduzione: (0) (+1)(–1) (+2)(–1) (0) 3. Bilancia l’equazione chimica della reazione redox MnO2 + KClO3 + KOH Zn + HCl → ZnCl 2 + H2 Il numero di ossidazione dello zinco passa da 0 a +2 e quello dell’idrogeno da +1 a 0; il n.o. del cloro non cambia. Indichiamo quindi: ↓ K2MnO4 + KCl + H2O n.o.Zn 0 → +2, cioè Δ Zn = 2 = coefficiente dell’idrogeno; n.o.H + 1 → 0, cioè Δ H = 1 = coefficiente dello zinco. Dato che un atomo di zinco cede due elettroni, mentre ogni atomo di idrogeno ne accetta solo uno, per ogni atomo di zinco che si ossida occorre che due atomi di idrogeno si riducano. Mettiamo quindi il coefficiente 2 davanti al composto che contiene l’idrogeno, cioè davanti all’acido cloridrico. Il coefficiente 1 dello zinco non viene indicato, perché è sottinteso. L’equazione bilanciata è pertanto: Zn + 2HCl → ZnCl2 + H2 3. Bilancia l’equazione chimica della reazione redox N2 + H2 ⇄ NH3 Assegniamo dapprima i numeri di ossidazione agli atomi che partecipano alla reazione di ossidoriduzione: (0) (0) (–3)(+1) N2 + H2 ⇄ NH3 Il numero di ossidazione dell’azoto passa da 0 a –3 e quello dell’idrogeno da 0 a +1. Indichiamo quindi: n.o.N 0 → –3, cioè Δ N = 3 = coefficiente dell’idrogeno; n.o.H 0 → +1, cioè Δ H = 1 = coefficiente dell’azoto. Per equilibrare il numero degli elettroni ceduti e acquistati mettiamo il coefficiente 3 davanti all’idrogeno, mentre il coefficiente 1 per l’azoto rimane sottointeso: N2 + 3H2 ⇄ NH3. Poiché però a sinistra abbiamo 2 atomi di azoto, per bilanciare la reazione anche per quanto riguarda le masse mettiamo il coefficiente 2 davanti all’ammoniaca, in modo che anche a destra siano indicati 2 atomi di azoto e 6 atomi di idrogeno. La reazione correttamente bilanciata è pertanto: N2 + 3H2 ⇄ 2NH3 4. Bilancia l’equazione chimica della reazione redox H2S + HNO3 ⇄ H2SO3 + NO + H2O Assegniamo dapprima i numeri di ossidazione agli atomi che partecipano alla reazione di ossidoriduzione: (+1)(–2) (+1)(+5)(–2) (+1)(+4)(–2) (+2)(–2) (+1)(–2) H2 S + H N O3 ⇄ H2 S O3 + N O + H2 O Abbiamo i seguenti cambiamenti per quanto riguarda il n.o. dello zolfo e dell’azoto: n.o.S –2 → +4, cioè Δ S = 6 = coefficiente dell’azoto; n.o.N +5 → +2, cioè Δ N = 3 = coefficiente dello zolfo. Nel corso della reazione, mentre un atomo di zolfo perde 6 elettroni, un atomo di azoto ne acquista 3. Per far sì che il numero di elettroni scambiati sia uguale, è necessario che una molecola di H2 S, per un totale di 6 elettroni, reagisca con due molecole di HNO3, per un totale di 2 × 3 = 6 elettroni. Pertanto, attribuendo il coefficiente 1 allo zolfo e il coefficiente 2 all’azoto e verificando che anche gli atomi di idrogeno e ossigeno siano in ugual numero, otteniamo la reazione bilanciata: H2 S + 2HNO3 ⇄ H2 SO3 + 2NO + H2 O CH/233 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 19 Elettrochimica 19.5 Le pile elettriche N elle reazioni esotermiche si ha trasformazione di energia chimica in energia termica, in quelle endotermiche si ha il passaggio inverso (cfr. § 16.3). Nelle reazioni redox si verifica un trasferimento di elettroni e ciò comporta la trasformazione dell’energia chimica degli atomi, che si ossidano e si riducono, in energia elettrica. Anche in questo caso è possibile il passaggio inverso, quando l’energia elettrica si trasforma in energia chimica. Vediamo come avvengono questi passaggi e prendiamo come esempio la reazione di ossidoriduzione tra lo ione argento e il rame metallico: 2+ + 2Ag(s) 2Ag +(aq) + Cu(s) → Cu (aq) FIGURA 19.4 ↓ (A), una lamina di rame viene collocata in una soluzione contenente ioni argento Ag+. (B), il rame riduce gli ioni Ag + ad argento metallico e si ossida a ione rameico Cu2+, andando così in soluzione. (C), alla fine tutti gli ioni Ag+ sono passati ad argento metallico e la soluzione si è arricchita di ioni Cu2+. Nella foto il filo di rame si è ricoperto di cristalli di argento. Se questa reazione viene fatta avvenire immergendo una lamina di rame in una soluzione di un sale di argento, gli ioni argento vengono a contatto diretto con gli atomi di rame della lamina e avviene il trasferimento degli elettroni. La reazione procede fino a che tutto il rame non è passato in soluzione sotto forma di ione rameico Cu2+ o tutti gli ioni argento Ag + non si sono ridotti ad argento metallico (figura 19.4). In questa maniera gli elettroni vengono direttamente scambiati tra chi si ossida e chi si riduce. Il flusso delle cariche elettriche non può essere utilizzato per produrre una corrente elettrica e l’energia prodotta si libera sotto forma di calore. A Ioni argento in soluzione Rame solido B C Ione argento Ag + Rame metallico Argento metallico Ione rameico Cu 2 + Per produrre una corrente elettrica occorre che il flusso di elettroni passi attraverso un conduttore, per esempio un filo metallico. Se colleghiamo mediante un conduttore due sistemi separati, uno che tende a cedere elettroni e l’altro che tende ad acquistarli, il passaggio avviene spontaneamente dal sistema che cede elettroni a quello che li acquista: una corrente elettrica passa attraverso il circuito che abbiamo costruito (figura 19.5). FIGURA 19.5 ← Un dispositivo basato su reazioni di ossidoriduzione, in cui siano separate le specie chimiche che si ossidano da quelle che si riducono; può generare una corrente elettrica. Se il circuito elettrico è chiuso la lampadina si accende, perché gli elettroni passano attraverso il filo conduttore che collega il comparto in cui avviene la semireazione di ossidazione con il comparto in cui si svolge la semireazione di riduzione. CH/234 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 19 Elettrochimica Facciamo allora avvenire la stessa reazione descritta nella figura 19.4, ma operiamo in modo diverso, così da produrre una corrente elettrica. Dobbiamo far sì che i reagenti della reazione redox, il rame metallico e gli ioni argento, non siano a diretto contatto tra loro, ma collegati attraverso un circuito elettrico. Nel nostro caso possiamo mettere in un recipiente il riducente, la specie che cede elettroni, e in un altro recipiente l’ossidante, la specie che acquista elettroni. Inseriamo in ciascun recipiente una piastra metallica, che chiamiamo elettrodo, e chiudiamo il circuito con un filo metallico o con altri conduttori che collegano gli elettrodi, per esempio un ponte salino formato da un tubo che contiene una soluzione di un sale. L’elettrodo dove avviene la semireazione di ossidazione è chiamato anodo; l’elettrodo dove avviene la semireazione di riduzione prende il nome di catodo (figura 19.6). Il funzionamento delle pile elettriche e degli accumulatori è basato sul passaggio degli elettroni da una specie chimica all’altra attraverso conduttori ed elettrodi, senza che ci sia contatto diretto. Le pile prendono il nome dall’apparecchiatura realizzata da Alessandro Volta, in cui dischi di rame e di zinco erano messi uno sopra l’altro a formare una colonna, come una pila di piatti (figura 19.7). 씰 Una pila elettrica è un sistema elettrochimico che trasforma energia chimica in energia elettrica, sfruttando una reazione redox. Sappiamo che le reazioni di ossidoriduzione, e quindi anche quelle che determinano il funzionamento delle pile, possono essere suddivise in due semireazioni. Prendiamo come esempio la reazione tra zinco metallico Zn e ione rameico Cu2+ I FIGURA PARLANTE Flusso di elettroni V Voltmetro Anodo Catodo Ponte salino FIGURA 19.6 In una soluzione si verificano le reazioni di ossidazione, nell’altra si verificano le reazioni di riduzione. Gli elettroni circolano attraverso il conduttore esterno, collegato a uno strumento che misura il passaggio di corrente elettrica. Il circuito è chiuso dal ponte salino attraverso il quale le cariche possono passare tra le due soluzioni, che rimangono separate. Zn + Cu2+ → Zn2+ + Cu e suddividiamola nelle due semireazioni, di ossidazione e di riduzione: FIGURA 19.7 Pila di Volta. I dischi di rame e di zinco sono separati da una soluzione acida. Zn → Zn2+ + 2e – Cu2+ + 2e – → Cu Le due semireazioni singolarmente non possono avvenire, perché un atomo non può ossidarsi se contemporaneamente un altro atomo non si riduce. In ogni semireazione appaiono due specie chimiche, in questo caso Zn con Zn2+ e Cu con Cu2+, che differiscono solo per il numero di ossidazione. Una coppia di specie chimiche che differiscono solo per il numero di ossidazione si chiama semielemento di una pila o, semplicemente, semielemento (figura 19.8). Ciascuna semireazione descrive un semielemento. Un semielemento e la corrispondente semireazione sono convenzionalmente rappresentati con i simboli delle due specie chimiche separati da una barra. Sempre per convenzione, a sinistra della barra è indicata la specie ossidata, a destra quella ridotta. Per esempio, riferendoci alla reazione sopra descritta, il semielemento a zinco è rappresentato come Zn2+/Zn e il semielemento a rame come Cu2+/Cu. Il simbolo Fe 2+/Fe, a sua volta, rappresenta il semielemento a ferro, cioè la semireazione Fe2+ + 2e – → Fe. A B e– e– Zn2+ Zn Zn2+ Zn e– + e– Cu FIGURA 19.8 (A), reazione redox tra zinco e ione rameico. (B), semireazione che riguarda il semielemento a zinco. (C), semireazione che riguarda il semielemento a rame. C e– 2+ e Fe2+/Fe // Cu2+/Cu e– e– + Cu + – Per rappresentare una pila si utilizza il diagramma di cella. I due semielementi sono separati da una doppia barra che rappresenta il ponte salino. A sinistra della doppia barra viene indicato il semielemento interessato dalla reazione di ossidazione che avviene all’anodo. La parte destra si riferisce al catodo e alla relativa reazione di riduzione. Per esempio: Cu 2+ e– e– e– e– + Cu CH/235 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio PER SAPERNE DI PIÙ CAPITOLO 19 Elettrochimica Alessandro Volta: non solo pile Alessandro Volta (Como, 1745-1827) studiò a lungo i fenomeni legati all’elettricità. Dopo una lunga disputa con lo scienziato bolognese Luigi Galvani sull’esistenza di una forma di elettricità animale, nel 1799 costruì la pila a corona di tazze e la pila a colonna, dando comunicazione dell’invenzione alla Royal Society di Londra. Divenne presto famoso e fu chiamato a esporre gran parte delle sue ricerche nel 1801 all’Institut de France alla presenza di Napoleone, che propose per Volta una medaglia d’oro. La pila di Volta è formata da una serie di piastrine di zinco e di rame, intervallate da tessuto imbevuto di soluzione acida. Ricordando Volta nel 1927 in occasione del primo centenario della morte, Albert Einstein affermò che la pila può essere considerata il fondamento di tutte le invenzioni moderne. Alessandro Volta si occupò anche del comportamento dei gas e individuò le relazioni su pressione volume e temperatura che furono successivamente riprese e generalizzate da Gay-Lussac. Oltre che per avere scoperto e studiato l’«aria infiammabile» delle paludi, poi chiamata metano, divenne famoso per aver costruito una pistola azionata dal metano e la «lampada perpetua» ad aria infiammabile. (in alto), ritratto di Alessandro Volta.(a lato), lo scienziato italiano illustra le sue scoperte alla presenza di Napoleone. 19.6 Il potenziale di riduzione N elle reazioni di ossidoriduzione avvengono trasferimenti di elettroni da un atomo all’altro, da chi tende a cederli a chi tende a prenderli. Un passaggio importante per comprendere i vari fenomeni elettrochimici è la precisa valutazione di queste tendenze con l’attribuzione di un valore numerico. Gli studi condotti sulle reazioni redox hanno permesso di misurare la capacità dei vari elementi di cedere o prendere elettroni. In questo modo, confrontando i dati, è diventato possibile prevedere quale elemento in una reazione cede elettroni e quale li acquista. Tutti gli atomi tendono a raggiungere la configurazione elettronica esterna più stabile. Gli elementi dei primi gruppi tendono a cedere elettroni: quindi sono portati a ridurre, non a ossidare. Gli elementi degli ultimi gruppi mostrano invece maggiore tendenza ad acquistare elettroni: quindi con facilità ossidano, non riducono. Gli elementi che tendono a ossidare hanno bassa capacità di ridurre, e viceversa. È pertanto possibile riportare le due opposte tendenze, a ridurre e a ossidare, a una sola: stabiliamo di considerare quella a ridurre. Infatti, se un sistema ha una elevata potenzialità a ossidare, ha anche una bassa tendenza a ridurre. Si definisce potenziale di riduzione di un semielemento il valore che misura la sua tendenza a ridursi, ossidando altre specie. CH/236 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 19 Elettrochimica Il potenziale di riduzione si misura in volt (V), l’unità di misura del potenziale elettrico. Un semielemento con potenziale di riduzione positivo ha un’alta tendenza a ridursi e quindi a ossidare; viceversa un semielemento con potenziale di riduzione negativo ha bassa tendenza a ridursi e quindi a ossidare. Collegando i due semielementi, uno si ossida e l’altro si riduce. La possibilità per una specie chimica di ridursi o di ossidarsi dipende dalla specie con cui è messa a reagire (cfr. § 19.2). Per avere potenziali di riduzione tra loro confrontabili occorre quindi eseguire una serie di misure nelle stesse condizioni, utilizzando sempre lo stesso semielemento come riferimento. Il valore di potenziale così ottenuto è un valore standard e prende il nome di potenziale di riduzione standard, indicato come E°. Il potenziale di riduzione standard di un semielemento è utilizzato per valutare la tendenza relativa di una specie a ossidarsi o a ridursi nel corso di una reazione redox. Il semielemento scelto come riferimento è il cosiddetto semielemento a idrogeno 2H +/H 2, cui è stato attribuito convenzionalmente potenziale di riduzione standard E° = 0,00 V (figura 19.9). La semireazione che caratterizza il semielemento a idrogeno è: + + 2e – → H 2(g) 2H (aq) I valori di E° dei semielementi, disposti in ordine decrescente, costituiscono la scala dei potenziali di riduzione standard (tabella 19.1). Le semireazioni sono sempre scritte secondo il modello: «forma ossidata + elettroni → forma ridotta». All’aumentare del valore di E° aumenta il potere ossidante dello ione o del composto scritto a sinistra nella semireazione. Ciò significa che F2(g) è la specie con il massimo potere ossidante. 씰 Più il valore di E° è basso, maggiore è la tendenza di un semielemento a ridurre. Ciascun semielemento tende a ossidare i semielementi con E° minore e a ridurre i semielementi con E° maggiore. Semireazione di riduzione F2(g) + 2e _ H2O2(aq) + 2H +(aq) PbO2(s) + SO 2– 4(aq) − MnO 4(aq) + + 2e + 8H +(aq) _ 4H +(aq) + 5e _ + Au 3(aq) + 3e _ Cl2(g) + 2e O2(g) + 4H +(aq) Br2(l) + 2e Pd 2+ (aq) Hg 2+ (aq) + + 4e 4H +(aq) + 2e _ +e _ + Fe 3(aq) +e _ I2(s) + 2e _ Cu+(aq) + e _ Cu 2+ (aq) + 2e _ Cu 2+ (aq) + e _ Sn 4+ (aq) + 2e Ag +(aq) +2,87 → 2H2O(l) +1,77 _ + 2e → PbSO4(s) + 2H2O(l) → → _ + Mn2(aq) + 4H2O(l) → + 4e − 2Cl (aq) → 2H2O(l) _ _ − → 2F (aq) → Au(s) _ + 2e NO –3(aq) _ E° (V) _ − 2Br (aq) +1,685 +1,52 +1,50 +1,36 +1,229 +1,08 → Pd(s) +0,98 → NO(g) + 2H2O(l) +0,96 → Hg(s) +0,86 → Ag(s) +0,80 → + Fe 2(aq) +0,77 → − 2I (aq) +0,53 → Cu(s) +0,52 → Cu(s) +0,34 → Cu+(aq) +0,15 → Sn2+ (aq) +0,15 La tendenza a reagire come ossidante aumenta dal basso verso l’alto: le specie in alto si riducono più facilmente, mentre quelle in basso lo fanno con maggiore difficoltà. H2 H2 1 atm Pt H+ 1M A B FIGURA 19.9 Il semielemento a idrogeno è utilizzato come riferimento nella assegnazione del potenziale di riduzione. (A), modello schematico di un semielemento a idrogeno. (B), semielemento a idrogeno realizzato per l’utilizzazione nella pratica di laboratorio, in cui prende il nome di elettrodo a idrogeno. TABELLA 19.1 Scala dei potenziali di riduzione standard E° espressa in volt (V). Semireazione di riduzione _ 2H +(aq) + 2e _ Pb 2+ (aq) + 2e _ Sn 2+ (aq) + 2e _ + Ni 2(aq) + 2e _ Co 2+ (aq) + 2e _ + Cd 2(aq) + 2e _ + Fe 2(aq) + 2e _ Zn 2+ (aq) + 2e _ 2H2O(l) + 2e _ + Mn2(aq) + 2e _ Al 3+ (aq) + 3e _ + Be 2(aq) + 2e _ + Mg 2(aq) + 2e _ Na +(aq) + e _ Ca 2+ (aq) + 2e _ Ba 2+ (aq) + 2e _ K +(aq) + e _ Li +(aq) + e E° (V) → H2(g) 0,00 → Pb(s) –0,13 → Sn(s) –0,14 → Ni(s) –0,25 → Co(s) –0,28 → Cd(s) –0,40 → Fe(s) –0,44 –0,76 → Zn(s) → H2(g) + – 2OH (aq) –0,83 → Mn(s) –1,18 → Al (s) –1,67 → Be(s) –1,85 → Mg(s) –2,37 → Na(s) –2,714 → Ca(s) –2,87 → Ba(s) –2,90 → K(s) –2,925 → Li(s) –3,045 La tendenza a reagire come riducente aumenta dall’alto verso il basso: le specie in alto si ossidano con più difficoltà, mentre quelle in basso lo fanno più facilmente. CH/237 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO Le condizioni standard corrispondono alla pressione di 1 atm e alla temperatura di 25 °C per soluzioni 1 M. PER SAPERNE DI PIÙ I metalli nobili sono ossidati solo da una miscela di acido cloridrico HCl e acido nitrico HNO3 in proporzione 3:1, chiamata acqua regia. Reazioni di ossidoriduzione e corrosione 19 Elettrochimica I semielementi dei primi gruppi, che tendono a cedere elettroni, hanno basso valore di E°: sono ossidati con facilità. I semielementi degli ultimi gruppi, che tendono ad acquistare elettroni, hanno elevato valore di E°: sono ridotti con facilità. I semielementi dei gruppi intermedi e di transizione hanno valori intermedi di E°. Il semielemento 2H +/H 2 ossida i semielementi con E° negativo e riduce i semielementi con E° positivo. In soluzione acida, dove sono presenti ioni H +, la maggior parte dei metalli, che ha E° negativo, è ossidata e va in soluzione in forma ionica, mentre si libera idrogeno gassoso H 2. Solo i metalli che hanno E° positivo (oro, argento, rame, mercurio, platino, ecc.) non sono attaccati dagli acidi. Questi metalli sono chiamati metalli nobili. L’ossigeno ha valore di E° molto alto; pertanto attacca tutti i metalli, tranne l’oro, che ha potenziale di riduzione ancora maggiore. L’inattaccabilità dell’oro da parte degli acidi e dell’ossigeno spiega la brillantezza e l’inalterabilità di questo metallo. Il ferro, al contrario, che ha un basso potenziale di riduzione, è facilmente attaccato dall’ossigeno e dagli acidi. Le reazioni di ossidoriduzione possono essere sfuttate a nostro vantaggio, per esempio, per produrre corrente elettrica. Altre volte, però, avvengono spontaneamente reazioni redox che sono indesiderate e spesso molto dannose, come nel caso della corrosione. Possiamo definire la corrosione come l’alterazione di un metallo a causa di una reazione di ossidazione spontanea. La corrosione del ferro converte il metallo in una polvere rosso-marrone nota come ruggine, che è ossido ferrico idrato Fe2O3·H2O. Il processo richiede la presenza dell’aria e dell’acqua ed è più veloce se l’acqua contiene ioni disciolti o se la superficie dell’oggetto non è liscia. Il processo decorre come se l’oggetto fosse una piccola cella elettrochimica. Vi è un anodo e un catodo e una connessione elettrica tra i due rappresentata dal metallo stesso. C’è anche un elettrolita con cui anodo e catodo sono in contatto. Sulla superficie metallica si viene a creare un’area anodica, dove il metallo viene ossidato, e un’area catodica, dove gli elettroni vengono utilizzati. Nel caso del ferro a contatto con acqua e ossigeno le due semireazioni sono le seguenti: all’anodo (ossidazione) – Fe(s) → Fe 2+ (aq) + 2e al catodo (riduzione) – O2 + 2H2O(l) + 4e– → 4OH(aq) (schema in basso). Dopo di che si forma idrossido ferroso Fe(OH)2 solido: – Fe 2+ (aq) + 2OH(aq) → Fe(OH)2(s) Infine, in ambiente umido e ossigenato l’idrossido ferroso diventa ruggine: 4Fe(OH)2(s) + O2(g) → 2Fe2O3·H2O + 2H2O(l) ruggine Fe (OH)2 e– e– e– OH – Fe2 + + Fe e– Fe2 + – Fe + Anodo Anodo Catodo Soluzione salina ossigenata CH/238 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 19 Elettrochimica PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 5. Facendo riferimento ai dati della tabella 19.1, elenca gli elementi del gruppo 17 in ordine decrescente in base al loro potere ossidante. Stabilisci, inoltre, chi tra il cloro Cl 2(g) e l’ossigeno O2(g) in ambiente acido ha maggiore potere ossidante. 4. Facendo riferimento ai dati della tabella 19.1, stabilisci tra lo ione ferrico Fe 3+ e lo ione rameico Cu 2+ quale ha maggiore potere ossidante. Il potere ossidante di un semielemento, cioè la sua capacità a ossidare, diminuisce quando si scende lungo la scala dei potenziali di riduzione standard. Gli elementi del gruppo 17 (F, Cl, Br, I) compaiono tutti nella parte alta della scala e sono disposti, dall’alto verso il basso cioè in ordine decrescente di E°, nel seguente ordine: F2 > Cl2 > Br2 > I2 . Il semielemento a fluoro ha il maggior potere ossidante in assoluto. Tra Cl 2 e O2 il semielemento a cloro presenta E° = +1,36 V e nella scala si trova più in alto del semielemento a ossigeno in ambiente acido, che ha E° = +1,23 V. Pertanto il cloro ha maggiore potere ossidante. 5. Facendo riferimento ai dati della tabella 19.1, stabilisci tra lo ione sodio Na + e lo ione calcio Ca2+ quale ha maggiore potere riducente. 19.7 Reazioni tra semielementi P rendiamo una lamina di zinco e immergiamola in una soluzione di solfato rameico CuSO4 , cioè in una soluzione che contenga ioni rame (2 +) Cu2+. Otteniamo un sistema formato da atomi di zinco, che tendono a ossidarsi a ioni Zn2+, e da ioni Cu2+, che tendono a ridursi a rame metallico. Consideriamo le due semireazioni, con i relativi semielementi e i potenziali di riduzione standard: semireazione Cu2+ + 2e – → Cu semielemento Cu2+/Cu E° + 0,34 V FIGURA 19.10 Una lamina di zinco Zn, immersa in una soluzione contenente ioni rameico Cu 2+, si ricopre di rame metallico. semireazione Zn2+ + 2e – → Zn semielemento Zn2+/Zn E° – 0,76 V Zn Il potenziale di riduzione E° del semielemento a zinco è minore del potenziale E° del semielemento a rame. Messi a contatto diretto, il primo tende a cedere elettroni al secondo, così si ossida e riduce l’altro. Atomi di zinco si ossidano a ioni Zn2+, che vanno in soluzione. Gli elettroni ceduti dallo zinco sono trasferiti agli ioni Cu2+, che si riducono ad atomi di rame e si depositano come solido metallico sulla lamina di zinco, ricoprendola di uno strato rosso scuro (figura 19.10). È avvenuta la reazione: SO42 – Zn + Cu2+ → Zn2+ + Cu cioè il passaggio diretto di elettroni dallo zinco agli ioni rame (2 +). L’energia liberata in questa reazione si sviluppa sotto forma di calore; infatti la soluzione si riscalda. Se, viceversa, ponessimo una lamina di rame in una soluzione contenente ioni zinco Zn2+, non osserveremmo alcun cambiamento. Il semielemento a zinco, infatti, ha un potenziale di riduzione che gli consente di ridurre il semielemento a rame, ma non di ossidarlo. Gli ioni Zn2+ in soluzione non riescono pertanto a sottrarre elettroni alla lamina di rame e a ridursi ad atomi di zinco metallico. Cu2+ Cu Zn + Cu2+ A Zn2+ + Cu APPROFONDIMENTO Reazioni di ossidoriduzione e viventi 19.8 La pila Daniell S appiamo che, se facciamo passare gli elettroni da un semielemento all’altro attraverso un conduttore, per esempio un filo metallico, anziché per contatto diretto, abbiamo una pila: l’energia della reazione si sviluppa sotto forma di energia elettrica e non come calore. Vediamo come è possibile ottenere corrente elettrica da una reazione chimica, prendendo come esempio il funzionamento della pila Daniell, una delle prime pile elettriche. CH/239 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 19 Elettrochimica La pila Daniell (figura 19.11) è costituita da un recipiente diviso in due parti da un setto poroso: da una parte vi è una lamina di zinco immersa parzialmente in una soluzione di solfato di zinco ZnSO4, cioè vi è il semielemento Zn2 +/Zn; dall’altra parte vi è una lamina di rame immersa parzialmente in una soluzione di solfato rameico CuSO4, cioè si tratta del semielemento Cu2+/Cu caratterizzato dal colore azzurrino tipico degli ioni Cu2+ in soluzione. Il setto poroso è permeabile agli ioni, ma ne consente il passaggio solo con difficoltà così da impedire di fatto il mescolamento delle due soluzioni. Quando colleghiamo le due lamine con un filo metallico, che è unito anche a una lampadina, osserviamo una serie di eventi spiegabili con il passaggio di corrente elettrica e con lo svolgimento della reazione redox: la lampadina si accende; la lamina di zinco si assottiglia perché lo zinco va in soluzione; la lamina di rame si ispessisce e si produce rame metallico; la soluzione di solfato rameico si decolora perché gli ioni Cu 2+ diminuiscono. Avviene la reazione di ossidoriduzione: Zn + Cu2+ → Zn2+ + Cu A 2e– Zn Zn 2 + 2e– Zn + Cu2 + Cu S e t t o p o r o s o Cu SO42 – Zn2 + + Cu FIGURA 19.11 Schema di una pila Daniell. Per ogni atomo di zinco che va in soluzione, due elettroni passano dalla lamina di zinco a quella di rame, uno ione rame acquista i due elettroni e si riduce a rame metallico, mentre uno ione SO 2– 4 attraversa il setto poroso ristabilendo l’equilibrio delle cariche. nel corso della quale gli elettroni dagli atomi di zinco arrivano agli ioni Cu2+ attraverso un filo elettrico. Il conduttore che collega le due lamine costituisce il circuito esterno della pila. Il sistema formato dalla pila Daniell e dal circuito esterno è in grado di trasformare energia chimica in energia elettrica. Esaminiamo ora nel dettaglio il meccanismo di funzionamento della pila Daniell. Per comodità di studio è opportuno dividere il processo in tappe successive e considerare un solo atomo di zinco e un solo ione rameico coinvolti nelle reazioni redox. In realtà tutte le fasi del processo si svolgono contemporaneamente e per un numero molto grande di atomi e di ioni. All’inizio nelle due soluzioni il numero dei cationi (Zn2+ e Cu2+) e degli anioni (SO 2– 4 ) è uguale, sia a destra sia a sinistra (figura 19.12 A). Un atomo di zinco della lamina di zinco si ossida a ione zinco Zn2+ e va in soluzione, lasciando due elettroni sulla lamina. Questi elettroni si spostano attraverso il circuito esterno dall’elettrodo di zinco a quello di rame (figura 19.12 B). Qui i due elettroni attirano uno ione rameico Cu2+, che li acquista e si riduce ad atomo di rame. Il rame metallico aderisce alla lamina (figura 19.12 C). Nella soluzione di sinistra vi è un eccesso di cariche positive, dovute al nuovo ione Zn2+ andato in soluzione. Nella soluzione di destra vi è un eccesso di cariche negative, dovute allo ione SO 2– 4 non più neutralizzato dallo ione Cu2+ che si è ridotto. Lo squilibrio di carica elettrica determina il passaggio di uno ione solfato da destra a sinistra attraverso il setto poroso (figura 19.12 D); in questo modo si ristabilisce la neutralità tra le soluzioni. Le due soluzioni che bagnano le lamine di zinco e di rame e il setto poroso costituiscono il circuito interno della pila. In estrema sintesi, i due elettroni ceduti dall’atomo di zinco passano al rame, essendo acquistati dallo ione Cu2+. Contemporaneamente due cariche negative sono trasportate dallo ione SO 2– 4 da destra a sinistra attraverso il setto poroso. I due elettroni passano da sinistra a destra nel circuito esterno e le due cariche negative da destra a sinistra nel circuito interno. I due semielementi rimangono elettricamente neutri. Nel semielemento a zinco la perdita di elettroni da parte della lamina metallica è compensain soluzione. Viceversa, nel semielemento a ta dall’arrivo di ioni SO 2– 4 rame l’acquisto di elettroni da parte della lamina metallica è compensato dall’allontanamento di ioni SO 2– 4 dalla soluzione. Man mano che gli atomi di zinco vanno in soluzione, gli ioni Cu2+ si riducono a rame e gli ioni SO 2– 4 si spostano da destra a sinistra. In questo processo la lamina di zinco si assottiglia e quella di rame si ispessisce. Fino a che vi sono atomi di zinco e vi sono ioni Cu2+ in soluzione, gli CH/240 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 19 Elettrochimica elettroni passano attraverso il filo metallico e la pila funziona, cioè trasforma energia chimica in energia elettrica. Abbiamo esaminato il funzionamento della pila Daniell. Quello delle altre pile segue lo stesso modello generale. Nella figura 19.6 avevamo visto, per esempio, una pila in cui le due soluzioni sono separate da un ponte salino, cioè una soluzione che serve solo al trasferimento degli elettroni, anziché da un setto poroso. In tutte le pile l’anodo, l’elettrodo dove avviene la reazione di ossidazione, ha segno negativo, il catodo, dove avviene la riduzione, è positivo. L’ossidazione produce elettroni e dà la carica negativa; la corrente elettrica nel circuito esterno si muove perciò dall’elettrodo negativo a quello positivo, cioè dall’anodo al catodo. Ricapitolando possiamo dire che: 씰 Una pila è costituita da due semielementi con diverso potenziale di riduzione, tenuti separati, ma collegati tra loro da un circuito esterno. A B 2e – Zn Anodo Catodo Zn 2+ 2– SO4 S e t t o Cu Zn 2– SO4 S e t t o Cu2 + p o r o s o Cu Catodo 2– p o r o s o Zn 2 + Zn 2 + Cu 2 + 2– SO4 D 2e – Zn 2e – Anodo Catodo Zn 2 + Zn 2 + 2– SO4 S e t t o p o r o s o Cu Zn Anodo S e t t o 2– SO4 Cu Zn 2 + 2– SO4 I Cu Catodo Zn 2 + (A), il setto poroso separa la soluzione contenente in ugual numero ioni Zn2+ e ioni dalla soluzione di ioni Cu2+ e SO 2– 4 , sempre in numero uguale. (B), un atomo di zinco si ossida a ione Zn2+ e va in soluzione, lasciando due elettroni sull’elettrodo; i due elettroni passano attraverso il circuito esterno, arrivano alla lamina di rame e attirano uno ione Cu2+. (C), a contatto con la lamina, lo ione Cu2+ acquista i due elettroni e si riduce ad atomo di rame, che aderisce all’elettrodo. (D), uno ione SO 2– 4 della soluzione azzurra di solfato rameico attraversa il setto poroso, attratto dalle cariche positive dell’altra soluzione. Infatti, a destra con la scomparsa dello ione Cu2+ si è creato un eccesso di carica negativa; a sinistra c’è invece un eccesso di carica positiva per la formazione del nuovo ione Zn2+. Alla fine i due elettroni che erano stati ceduti dal semielemento a zinco sono ritornati alla soluzione di sinistra trasportati dallo ione SO 2– 4 . SO 2– 4 , Anodo SO4 C FIGURA 19.12 2e – p o r o s o FIGURA PARLANTE 2– SO4 Zn Cu Zn2 + + 2e – Cu2 + + 2e – SO42 – CH/241 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio Cu CAPITOLO 19 Elettrochimica 19.9 Forza elettromotrice di una pila Q uando acquistiamo una pila elettrica, specifichiamo da quanti volt ci occorre. Il valore della differenza di potenziale elettrico espresso in volt è la forza elettromotrice della pila. La forza elettromotrice (f.e.m.) di una pila corrisponde alla differenza tra i valori del potenziale di riduzione standard del semielemento ossidante e del semielemento riducente: f.e.m. = E°catodo – E°anodo È questa differenza di potenziale che consente il flusso spontaneo degli elettroni da un elettrodo all’altro. Per esempio, la forza elettromotrice della pila Daniell è data dalla differenza tra il potenziale di riduzione del semielemento a rame (+0,34 V) e quello del semielemento a zinco (– 0,76 V); quindi è 0,34 – (– 0,76) = 1,10 V. Così la forza elettromotrice di una pila formata dai semielementi ad argento Ag +/Ag (E° = + 0,80 V) e a ferro Fe2+/Fe (E° = – 0,44 V) vale 1,24 V. La differenza tra i due potenziali di riduzione (E°catodo – E°anodo), cioè la f.e.m., deve avere valore positivo affinché la reazione redox decorra nel senso indicato e il sistema funzioni come una pila. Il polo negativo delle pile, l’anodo, è perciò sempre costituito dal semielemento col potenziale di riduzione più basso, che tende quindi a dare elettroni; il polo positivo, il catodo, dal semielemento col potenziale di riduzione maggiore, che tende cioè a prendere elettroni. Nella pila Daniell il semielemento a zinco è il polo negativo e il semielemento a rame il polo positivo. Una pila produce corrente elettrica in quanto avviene una reazione redox e funziona solo fino a che la reazione procede. Quando la reazione si ferma, perché si sono consumati i reagenti o perché si è raggiunto l’equilibrio, la pila non funziona più ed è perciò scarica. LABORATORIO SEMPLICE Le pile b SCHEDA DI LABORATORIO Costruzione di alcune pile PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 6. Facendo riferimento ai dati della tabella 19.1, verifica se la reazione Fe 2+ (aq) + Cu(s) → Fe(s) + Cu 2+ (aq) può avvenire in questa direzione o nella direzione opposta e calcola la forza elettromotrice della pila formata da questi semielementi. 6. Facendo riferimento ai dati della tabella 19.1, verifica se la reazione + + Ba2(aq) + Pb(s) → Ba(s) + Pb2(aq) può avvenire in questa direzione o nella direzione opposta e calcola la forza elettromotrice della pila formata da questi semielementi. Scriviamo dapprima le due semireazioni e individuiamo i relativi potenziali di riduzione standard: 2+ Cu(aq) E° = +0,34 V + 2e – → Cu(s), 2+ + 2e – → Fe(s), Fe(aq) E° = – 0,44 V 2+ Il semielemento Fe /Fe ha potenziale di riduzione minore e tende perciò a cedere elettroni e a ossidarsi. Questa reazione avviene all’anodo, per cui E°anodo = –0,44 V. Il semielemento Cu 2 +/Cu ha potenziale di riduzione più elevato e perciò è caratterizzato dall’acquisto di elettroni e dalla sua riduzione. Questa reazione avviene al catodo, per cui E°catodo = +0,34 V. Ora ricaviamo la forza elettromotrice della pila: f.e.m. = E°catodo – E°anodo = + 0,34 V – (– 0,44 V) = +0,78 V Il valore positivo ottenuto indica che il sistema può funzionare come pila quando il semielemento a ferro è l’anodo, dove avviene la reazione di ossidazione, e il semielemento a rame è il catodo, dove avviene la riduzione. Quindi la reazione che effettivamente avviene nella pila ha direzione opposta a quella indicata ed è: 2+ 2+ Fe(s) + Cu(aq) → Fe(aq) + Cu(s) CH/242 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 19 Elettrochimica 19.10 Le pile a secco L e pile di tipo Daniell o quelle con ponte salino hanno il grande svantaggio di non essere trasportabili, perché le soluzioni si mescolerebbero o si verserebbero. Le pile a secco invece non contengono liquidi liberi e permettono di fornire energia elettrica ovunque. Queste pile sono costituite da un materiale inerte, imbevuto di una soluzione con gli elettroliti ed ermeticamente chiuso in un recipiente metallico. L’involucro ha anche la funzione di semielemento, perché è uno dei due elettrodi. La pila a secco Leclanché, messa a punto dall’omonimo chimico francese nel 1868, è quella che ancora oggi usiamo per torce elettriche e vari apparecchi elettronici (figura 19.13). Queste pile hanno una f.e.m. di 1,5 volt. Gli elementi interessati dalla reazione redox sono Zn e Mn. Un altro tipo di pila a secco è la pila Mallory (1942), chiamata anche per la sua forma pila a bottone (figura 19.14); viene usata per orologi, calcolatrici tascabili, macchine fotografiche, videocamere, telecomandi, pacemakers, apparecchi acustici e altri oggetti elettronici di piccole dimensioni. Queste pile, a parità di peso, producono una quantità di energia 5÷6 volte maggiore della pila Leclanché e forniscono una corrente costante fino al loro esaurimento. Gli elementi interessati dalla reazione redox sono Zn e Hg. Una volta scariche, occorre fare molta attenzione al loro smaltimento, dato che contengono composti di mercurio altamente tossici. La pila a combustibile, detta anche cella a combustibile, è un dispositivo elettrochimico che in futuro potrebbe trovare una larghissima diffusione. Queste pile hanno la più alta resa energetica e non provocano inquinamento, poiché si basano sulla reazione di ossidoriduzione: F A (Zn) B C D E (Zn 2 +) (NH4Cl) (MnO2) (C) FIGURA 19.13 Pila a secco Leclanché. (A), involucro esterno di zinco che costituisce l’elettrodo negativo. (B), soluzione di cloruro di zinco ZnCl 2. (C), soluzione di cloruro di ammonio NH4Cl. (D), pasta di biossido di manganese MnO2. (E), sbarretta di grafite, che ha solo la funzione di conduttore per formare il polo positivo della pila. (F), isolante. 2H2 + O2 ⇄ 2H2O che è la reazione con cui l’idrogeno brucia violentemente per produrre acqua. Questa reazione, però, viene fatta avvenire in modo controllato e in soluzione, così che in realtà si hanno le due semireazioni: 2H2 + 4OH – ⇄ 4H2O + 4e – 4e – + 2H2O + O2 ⇄ 4OH – Nella pila a combustibile le due semireazioni si svolgono separatamente in parti diverse del recipiente (figura 19.15). Con l’introduzione continua di idrogeno e ossigeno in queste due parti, dove vi sono elettrodi di platino, si ha produzione costante di energia elettrica e si ottiene acqua come prodotto di scarto. Le pile a combustibile hanno ancora costi elevati e sono usate, per ora, solo in settori a tecnologia avanzata, per esempio nei veicoli spaziali. Una volta risolti alcuni problemi dovuti ai materiali usati, potrebbero sostituire il motore a scoppio nelle automobili. Polo negativo Polo positivo H2O A H2 FIGURA 19.14 La pila a bottone, la più piccola tra quelle di uso quotidiano rappresentate nella foto, è una pila a secco con elevata resa energetica e produzione costante di corrente elettrica. B 2H2 +4OH – K+ 4e– +4H2O OH – 4e– +2H2O +O2 4OH – O2 FIGURA 19.15 Pila a combustibile. Nel recipiente vi è una soluzione di idrossido di potassio KOH. Nella parte A gorgoglia idrogeno e nella parte B ossigeno. Gli elettroni prodotti nella parte A raggiungono il circuito esterno e rientrano attraverso il polo positivo nella parte B, dove riducono l’ossigeno. I quattro elettroni che hanno seguito il percorso indicato in _rosso ritornano nella parte A attraverso i quattro ioni OH (freccia blu) e così il circuito si chiude. CH/243 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 19 Elettrochimica 19.11 Gli accumulatori L e pile a secco Leclanché non sono ricaricabili e quindi, una volta scariche, devono essere gettate negli appositi contenitori. Gli accumulatori sono invece ricaricabili, cioè trasformano energia chimica in energia elettrica e viceversa. Gli accumulatori a piombo si basano sulla reazione redox: FIGURA 19.16 Le batterie delle automobili contengono una serie di piastre di piombo e di biossido di piombo, disposte in successione alternata e collegate in modo che la forza elettromotrice sia complessivamente di 12 V. 2e – 2H+ 2e– Pb SO42 – PbO2 Pb 2 + SO42 – Pb 2 + SO42 – A B Pb + PbO2 + 2H2SO4 ⇄ 2PbSO4 + 2H2O I due semielementi di questa particolare pila sono entrambi a base di piombo, Pb2+/Pb e Pb4+/Pb2+, e la forza elettromotrice prodotta è di circa 2 V. Quando più coppie di questi semielementi sono collegate in serie, si ha una batteria elettrochimica, come quella delle automobili (figura 19.16). Vediamo come funziona un accumulatore. Nel recipiente numerose piastre metalliche, la cui superficie è traforata in modo da formare piccole celle, sono immerse in una soluzione acquosa di acido solforico H2SO4. Una serie di piastre, costituenti il polo negativo, ha le cellette ripiene di piombo metallico in forma spugnosa, per aumentare la superficie esposta all’acido. L’altra serie di piastre, il polo positivo, ha cellette ripiene di biossido di piombo PbO2 (figura 19.17). Il piombo atomico si ossida, cede due elettroni e diventa ione Pb2+. Gli ioni piombo con gli ioni SO 2– 4 formano il solfato di piombo PbSO4, un solido bianco insolubile che si deposita nelle cellette. I due elettroni perduti dal piombo sono acquistati dal biossido, che viene ridotto a ione Pb2+. Anche nelle cellette del biossido, perciò, si viene a formare PbSO4, che si deposita. Durante la fase di scarica, cioè quando l’accumulatore trasforma energia chimica in energia elettrica, tutte le piastre si ricoprono di PbSO4 e la quantità di acido solforico diminuisce. Man mano che utilizziamo la batteria per produrre corrente elettrica, i reagenti si consumano. Se colleghiamo l’accumulatore a un sistema capace di generare corrente elettrica continua, per esempio la dinamo di una automobile, le reazioni avvengono in senso inverso e la batteria si ricarica. Sfruttiamo la batteria come pila quando mettiamo in moto l’automobile e la ricarichiamo quando il motore funziona. Durante la fase di carica la quantità dei reagenti aumenta e si ha la trasformazione dell’energia elettrica in energia chimica. Oltre a quelli a piombo si conoscono altri accumulatori, come quelli a base di nichel e cadmio, che sono più leggeri ma hanno una f.e.m. di 1,3 V per ogni unità. 19.12 FIGURA 19.17 Un accumulatore a piombo è formato da un recipiente contenente una soluzione di acido solforico, in cui sono immerse piastre traforate di due tipi. Le cellette delle piastre sono riempite di piombo spugnoso (A) o di biossido di piombo (B). Il piombo si ossida a Pb2+ e i due elettroni ricavati, tramite il circuito esterno, arrivano all’altra piastra, dove riducono PbO2 a ioni Pb2+. Gli ioni Pb2+, prodotti dalle due piastre, formano solfato di piombo, solido insolubile che resta aderente alle piastre. Conduttori di prima e seconda classe S e in un filo metallico facciamo passare, anche per giorni, corrente elettrica, il metallo non si modifica, cioè non subisce alcuna reazione chimica. Si chiamano conduttori elettrici di prima classe i corpi in cui il passaggio di corrente elettrica è dovuto al libero movimento degli elettroni e non provoca reazioni chimiche. I metalli sono conduttori di prima classe; conducono la corrente elettrica, perché gli elettroni del livello energetico più esterno dei loro atomi sono attirati debolmente e sono pertanto liberi di spostarsi da un atomo all’altro (cfr. § 11.7). Se immergiamo due sbarrette metalliche, collegate a una pila, in una soluzione di acido cloridrico HCl, vediamo che su queste sbarrette si formano bollicine di cloro Cl2 e di idrogeno H2. Il passaggio della corrente elettrica provoca la reazione chimica: 2HCl → H2 + Cl2 Si chiamano conduttori elettrici di seconda classe i sistemi in cui il passaggio di corrente elettrica è dovuto al libero movimento degli ioni e provoca reazioni chimiche. Sono conduttori di seconda classe le soluzioni di elettroliti, cioè le soluzioni di composti che in acqua si dissociano in ioni. CH/244 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 19 Elettrochimica Sono anche conduttori di seconda classe i solidi ionici fusi e tutti i sistemi in cui vi siano ioni capaci di spostarsi. Il cloruro di sodio allo stato solido, pur essendo costituito da ioni Na+ e Cl –, non conduce corrente, in quanto gli ioni sono fortemente legati tra loro e non possono spostarsi. Nel cloruro di sodio fuso, invece, gli ioni si spostano e lo spostamento determina il trasporto della carica elettrica. 19.13 La conducibilità elettrica delle soluzioni C olleghiamo una pila a una lampadina e a due elettrodi, cioè due barrette di metallo, immersi in una bacinella contenente una soluzione acquosa. La bacinella in cui sono immersi gli elettrodi è chiamata voltametro e gli elettrodi hanno i consueti nomi di catodo e anodo. Avevamo già visto che la lampadina resta spenta se il soluto è un non-elettrolita o se c’è solo acqua pura, mentre si accende se in soluzione è sciolto un elettrolita (cfr. § 14.1). Supponiamo di sciogliere nel voltametro un elettrolita forte come il cloruro di sodio NaCl. Gli ioni Na+ e Cl – passano in soluzione e sono attirati, rispettivamente, dal catodo e dall’anodo. Nel voltametro ci sono cariche elettriche in movimento, il circuito si chiude e la lampadina si accende (figura 19.18). Nel circuito esterno al voltametro passa una corrente elettrica formata da elettroni; nel circuito interno passa una corrente formata da ioni positivi e negativi. A seconda dell’intensità della luce emessa dalla lampadina sappiamo se passa poca o molta corrente elettrica (cfr. figura 14.5). La misura della quantità di cariche elettriche che passano nell’unità di tempo ci dà una indicazione sulla conducibilità elettrica della soluzione. Quando la concentrazione degli ioni è bassa, vi è uno scarso passaggio di corrente; quando in soluzione vi sono molti ioni, passa molta corrente. Facciamo notare che nel voltametro il catodo è l’elettrodo negativo e l’anodo quello positivo. Nelle pile era l’anodo l’elettrodo negativo e il catodo quello positivo. Infatti, il catodo è sempre l’elettrodo in cui avviene la reazione di riduzione e l’anodo l’elettrodo in cui avviene la reazione di ossidazione. 씰 La conducibilità elettrica di una soluzione è proporzionale alla concentrazione degli ioni. La misura della conducibilità di una soluzione dà molte informazioni: • se una soluzione conduce corrente, vi sono ioni; • se abbiamo due soluzioni dello stesso composto, la soluzione che ha maggiore conducibilità è quella più concentrata; • se abbiamo due soluzioni di due elettroliti diversi con la stessa concentrazione, quella che ha maggiore conducibilità è la soluzione dell’elettrolita più forte, cioè dell’elettrolita più dissociato. SCHEDA DI LABORATORIO b Conducibilità elettrica dei liquidi – + Ione positivo o catione Catodo – Anodo + Ione negativo o anione FIGURA 19.18 In un voltametro la differenza di potenziale elettrico tra i due elettrodi immersi in una soluzione di un elettrolita causa la migrazione degli ioni. I cationi si dirigono verso il catodo (–) e gli anioni verso l’anodo (+). CH/245 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 19 Elettrochimica 19.14 L’elettrolisi S e lasciamo funzionare per un certo tempo il circuito descritto nel paragrafo precedente, comprendente il voltametro in cui è stato disciolto NaCl, notiamo lo sviluppo di bollicine di gas sugli elettrodi. Con un semplice dispositivo possiamo raccogliere questi gas (figura 19.19). L’analisi rivela che il gas raccolto al catodo è idrogeno, mentre il gas raccolto all’anodo è cloro. La comparsa nella soluzione di sostanze che prima non erano presenti indica che è avvenuta una reazione in conseguenza del passaggio di corrente elettrica. Questa reazione è chiamata reazione elettrolitica. I fenomeni che avvengono nel voltametro al passaggio della corrente prendono nel loro complesso il nome di elettrolisi. Il voltametro viene anche chiamato cella elettrolitica. L’azione di un generatore di corrente elettrica, come una pila, può essere paragonata a quella di una pompa. L’analogia ci torna utile per descrivere le reazioni chimiche che avvengono in un voltametro. Il generatore, infatti, accumula elettroni al polo negativo e li richiama verso di sé dal polo positivo. Se nel voltametro è presente una soluzione elettrolitica, gli ioni sono attirati dall’elettrodo con carica di segno opposto. I cationi si dirigono verso l’elettrodo negativo, che è il catodo del voltametro. Gli anioni si dirigono verso l’elettrodo positivo, cioè l’anodo del voltametro. Gli elettroni provenienti dal generatore determinano la riduzione dei cationi al catodo. Gli anioni si ossidano all’anodo e il generatore riporta verso sé gli elettroni ceduti. Prendiamo in esame un voltametro in cui sia presente una soluzione acquosa concentrata di acido cloridrico HCl, un elettrolita forte completa– mente dissociato in ioni H + e Cl . Quando il circuito viene chiuso, gli ioni si dirigono ciascuno verso l’elettrodo con carica opposta (figura 19.20). Seguiamo prima gli idrogenioni che si dirigono verso il catodo. Quando raggiungono l’elettrodo, catturano ciascuno un elettrone e si riducono ad atomi di idrogeno. Gli atomi di idrogeno si legano due a due per FIGURA 19.19 Il gas che si forma agli elettrodi può essere raccolto capovolgendo sopra ciascun elettrodo una provetta piena d’acqua. Man mano che il gas si accumula nella provetta, il livello del liquido scende. Il passaggio della corrente elettrica determina al catodo produzione di idrogeno, all’anodo di cloro. – + H2 Cl2 – + Acqua + NaCl Catodo Anodo CH/246 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 19 Elettrochimica formare molecole di idrogeno H2. In questo processo, per ogni ione H + che ha reagito, un elettrone ha abbandonato il catodo. Contemporanea– mente, gli anioni Cl sono attirati dall’anodo. Al contatto con l’anodo ciascuno ione cede un elettrone, ossidandosi ad atomo di cloro. Gli atomi di cloro così formati si uniscono due a due per dare molecole di cloro Cl2. – Per ogni ione Cl che ha reagito, l’anodo ha acquistato un elettrone. Facciamo un riepilogo di ciò che è successo. Un elettrone dal catodo è – passato a uno ione H + della soluzione e un elettrone di uno ione Cl della soluzione è passato all’anodo. In altri termini, attraverso gli ioni presenti in soluzione un elettrone ha abbandonato il catodo e un altro ha raggiunto l’anodo, ovvero un elettrone è passato dal catodo all’anodo. In questo modo il circuito si è chiuso. Il passaggio della corrente elettrica nella soluzione ha fatto avvenire una reazione non spontanea di ossidoriduzione, in cui l’energia elettrica è stata trasformata in energia chimica: si è svolta una reazione di elettrolisi. Uno ione H + ha acquistato un elettrone e quindi si è ridotto, mentre uno – ione Cl ha ceduto un elettrone e quindi si è ossidato. Sono avvenute le reazioni: al catodo all’anodo in totale In definitiva: 2H + + 2e – → H2 – 2Cl → Cl2 + 2e – – 2H + + 2Cl → H2 + Cl2 씰 una cella elettrolitica è un sistema che utilizza energia elettrica per far avvenire una reazione redox non spontanea. Elettroni Elettroni – Catodo Elettroni + Elettroni – Anodo – Catodo + + Anodo – – – – H +e Cl – H+ + e– e– e– e– e e + LABORATORIO SEMPLICE Elettrolisi dell’acqua e– e– H+ + e– – Elettroni – Catodo – Elettroni + Cl + e– Cl 2 Elettroni – Anodo Catodo H2 + – Cl C – B Elettroni H H2 Cl – e Cl A H – + Anodo + Cl2 FIGURA 19.20 Elettrolisi dell’acido cloridrico HCl. In solu_ zione sono presenti ioni H + e ioni Cl dovuti alla dissociazione dell’acido. Gli ioni H + sono attirati dal catodo, dove prelevano elettroni e si riducono ad atomi di idro_ geno. Gli ioni Cl sono attirati dall’anodo, dove cedono elettroni e si ossidano ad atomi di cloro. D CH/247 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 19 19.15 Elettrochimica Elettrolisi e potenziale di riduzione N el voltametro della figura 19.19, in cui era sottoposta a elettrolisi una soluzione concentrata di cloruro di sodio NaCl in acqua, avevamo visto la formazione agli elettrodi di H2 e Cl2. La scala dei potenziali di riduzione standard (cfr. tabella 19.1) chiarisce il motivo per cui, contrariamente alle aspettative, al catodo si forma idrogeno anziché sodio. Lo ione sodio ha un potenziale di riduzione così basso, che gli elettroni forniti dal catodo sono impiegati per la riduzione dell’acqua, secondo la reazione: 2e – + 2H2O → H2 + 2OH FIGURA 19.21 (A), in un voltametro contenente una soluzione di cloruro di sodio vengono aggiunte alcune gocce di blu di bromotimolo; nella soluzione neutra l’indicatore di pH assume colore verde. (B), alla chiusura del circuito il blu di bromotimolo vira ad azzurro intorno al catodo, dove si formano ioni OH –. (C), con il trascorrere del tempo l’intera soluzione assume caratteristiche basiche. – È come se al catodo ci fosse una competizione per l’accaparramento degli elettroni, cioè per la riduzione, tra gli ioni Na+ e le molecole di acqua. Anche se le molecole di acqua non hanno particolare tendenza a ridursi, la tendenza degli ioni Na+ a catturare elettroni è ancora più bassa. Si può fare una verifica sperimentale, mettendo in evidenza la formazio– ne di ioni OH man mano che la reazione di elettrolisi procede. Si aggiungono alla soluzione elettrolitica alcune gocce di un indicatore acido-base con pH di viraggio uguale a 7 (cfr. § 18.15), per esempio il blu di bromotimolo (figura 19.21). Finché il circuito è aperto, l’indicatore di pH mostra con il colore verde che la soluzione è neutra. Appena il circuito viene chiuso, la soluzione intorno al catodo inizia a tingersi di azzurro, colore che rivela basicità. Con il trascorrere del tempo la colorazione azzurra si estende a tutta la soluzione. La produzione degli ioni idrossido, negativi, compensa la diminuzione degli ioni cloruro, ossidati all’anodo. La soluzione rimane elettricamente neutra. La neutralità non è invece conservata per quanto riguarda il pH. La – – graduale sostituzione degli ioni Cl con gli ioni OH rende la soluzione elettrolitica sempre più basica. L’elettrolisi del cloruro di sodio in soluzione è un metodo ampiamente utilizzato nell’industria per la produzione dell’idrossido di sodio NaOH. Acqua + NaCl – + – A + B – + C 19.16 Applicazioni industriali dell’elettrolisi L’ elettrolisi è usata industrialmente per la preparazione di molti elementi e composti chimici, per la raffinazione di metalli e per ricoprire un metallo con un altro. Di seguito diamo soltanto alcuni esempi. Il cloruro di sodio è un composto ionico. L’elettrolisi del cloruro di sodio solido non è possibile, perché gli ioni legati gli uni agli altri non si spostano. Facendo l’elettrolisi del cloruro di sodio allo stato fuso, però, gli ioni Na+ – vanno al catodo e sono ridotti a sodio metallico, gli ioni Cl vanno all’anodo CH/248 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 19 Elettrochimica sale fuso Na Cl2 Na+ Cl– – – + catodo di ferro FIGURA 19.22 Il cloruro di sodio viene fuso portandolo ad alta temperatura. Nel sale fuso vi sono due elettrodi, uno di ferro (catodo) e uno di carbonio (anodo). Al catodo gli ioni Na + acquistano un elettrone e si riducono a sodio metallico, che, essendo più leggero del cloruro di sodio fuso, sale nel liquido e si raccoglie nel recipiente a sinistra. Gli ioni cloro all’anodo cedono un elettrone e si ossidano a cloro atomico, da cui si formano le molecole di cloro. Il cloro è un gas e viene raccolto nel cilindro centrale. anodo di carbonio + – e– e sono ossidati a cloro atomico. Quindi al catodo si forma sodio metallico e all’anodo si forma cloro. Questo metodo è usato per la preparazione industriale contemporanea del sodio e del cloro (figura 19.22). Anche l’alluminio e il magnesio sono prodotti mediante l’elettrolisi dei loro sali fusi. L’elettrolisi è usata anche per la raffinazione dei metalli, cioè per ottenere i metalli allo stato puro. Per esempio, il rame ottenuto per via metallurgica, cioè con metodi chimici, è puro al 99%, ma quello utilizzabile per i conduttori elettrici deve essere puro al 99,98%. Questo aumento di purezza si ottiene mediante raffinazione elettrolitica (figura 19.23). Si chiama galvanostegia il processo di copertura di un metallo con un altro mediante l’elettrolisi. La latta che si adopera per lo scatolame è ferro ricoperto di stagno mediante l’elettrolisi. Una lastra di ferro viene immersa in una soluzione contenente sali di stagno e viene collegata al polo negativo di un generatore di corrente continua. Gli ioni stagno si riducono a stagno metallico, che va a ricoprire omogeneamente la lastra di ferro e la rende così meno attaccabile e meno soggetta alla corrosione. Allo stesso modo, a seconda degli ioni presenti in soluzione, si può argentare, dorare, nichelare, zincare, cromare e, in genere, coprire un metallo con un altro, più prezioso o più resistente alla corrosione. La galvanoplastica è un processo elettrochimico analogo alla galvanostegia, ma che permette di ricoprire con un metallo un corpo non metallico o di riprodurre in metallo un oggetto non metallico. e– Anodo (ossidazione) Catodo (riduzione) + Cu – Cu 2 + Cu SO42 – FIGURA 19.23 Raffinazione elettrolitica del rame. Il rame impuro viene utilizzato come anodo e un filo di rame purissimo come catodo. I due elettrodi sono immersi in una soluzione di solfato di rame. Quando circola corrente elettrica, gli atomi di rame all'anodo vengono ossidati a ioni Cu2+ e passano in soluzione. Gli ioni Cu2+ sono ridotti al catodo, dove si depongono come rame metallico puro. 19.17 Prima legge di Faraday F in qui ci siamo soffermati sugli aspetti qualitativi delle reazioni che avvengono nelle celle elettrolitiche. Gli aspetti quantitativi sono altrettanto importanti, soprattutto nelle applicazioni industriali dell’elettrolisi. Ci interessa sapere, in certi casi, quanta sostanza si può produrre agli elettrodi oppure quanta corrente è necessaria per la deposizione di una data massa di sostanza. Due leggi elaborate dallo scienziato britannico Michael Faraday hanno fornito un contributo fondamentale su questi argomenti. Se attraverso il voltametro della figura 19.20, che contiene una soluzione di HCl, facessimo passare un solo elettrone, avremmo la reazione agli elettrodi di un solo ione H + e di un solo ione Cl –. Se facessimo passare 1000 elettroni, avremmo la reazione di 1000 ioni H + e di 1000 ioni Cl –. E se facessimo passare un numero di Avogadro NA di elettroni, avremmo la reazione di NA ioni H + e di NA ioni Cl – . Ogni elettrone è una carica elettrica: maggiore è la quantità di carica che passa attraverso il circuito, maggiore è la quantità di sostanza che rea- CH/249 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 19 Elettrochimica gisce al catodo e all’anodo. La quantità di materia m che si deposita agli elettrodi del voltametro aumenta se aumenta l’intensità della corrente I o se aumenta l’intervallo di tempo t durante il quale la corrente circola. Poiché il prodotto dell’intensità della corrente I (in ampere) per il tempo t (in secondi) è uguale alla quantità di carica elettrica Q che passa (in coulomb), cioè I · t = Q, possiamo scrivere: da cui abbiamo: m∝I·t m∝Q Questa relazione esprime la prima legge di Faraday: 씰 La quantità di sostanza che reagisce agli elettrodi nel corso dell’elettrolisi è proporzionale alla carica elettrica che circola nella cella elettrolitica. La misura della quantità di sostanza che si forma all’elettrodo consente di calcolare il numero degli elettroni transitati nel circuito. La formazione di una mole di atomi di idrogeno e di una mole di atomi di cloro segnala il passaggio di un numero di Avogadro NA di elettroni. Il numero di Avogadro di elettroni è chiamato faraday (F). Il valore di 1 faraday espresso nell’unità di misura della carica elettrica, il coulomb C, si ricava moltiplicando la carica di un elettrone (1,60 · 10 –19 C) per il numero di elettroni corrispondenti a una mole (6,02 · 10 23) ed è uguale a 96500 C/mol. Questo valore è definito costante di Faraday. PER SAPERNE DI PIÙ Michael Faraday Faraday: una vita per la scienza Michael Faraday, nato in Inghilterra nel 1791 da una povera famiglia che non poteva permettersi di pagare l’istruzione per i figli, è un personaggio unico nella storia della scienza. Del tutto autodidatta, ha saputo raggiungere vette altissime nel campo della ricerca chimica e fisica grazie alla sua insaziabile curiosità scientifica e all’abilità pratica di cui era dotato. Assunto giovanissimo come apprendista rilegatore, trascorreva le ore libere leggendo alcuni dei volumi che gli passavano per le mani. Un articolo sull’elettricità pubblicato sull’Enciclopedia Britannica lo colpì in modo particolare, tanto da convincerlo a dedicare la sua vita alla scienza. Riuscì a entrare come assistente di laboratorio alla Royal Institution di Londra, dove perfezionò le sue abilità. La sua fama come eccellente chimico si diffuse in gran fretta, procurandogli numerosi incarichi da parte dell’industria chimica. Più tardi si occupò di ioni in soluzione, scoprendo così le leggi che governano l’elettrolisi. Altri importanti contributi alla scienza vennero con la legge dell’induzione e con lo sviluppo di un prototipo di generatore elettrico, creato sperimentalmente inserendo un magnete in una bobina. Carattere disinteressato e puro, dallo stile di vita estremamente sobrio, Faraday respinse tutti gli onori e le possibilità di ricchezza che dalla sua posizione potevano meritatamente derivare. Morì nel 1867 nella più completa semplicità di mezzi, coerente fino all’ultimo con le sue idee. 19.18 Seconda legge di Faraday I l passaggio di un faraday attraverso la soluzione di acido cloridrico fa reagire agli elettrodi una mole di ioni H +, cioè 1 g, e una mole di ioni – Cl , cioè 35,5 g. E se invece che ioni portatori di una sola carica, avessimo ioni con due o tre cariche elettriche, cosa cambierebbe? Nel caso di una so– luzione di cloruro di bario BaCl 2, che contiene ioni Ba2+ e ioni Cl , per trasformare uno ione Ba2+ in un atomo di bario occorrono due elettroni. Per ridurre una mole di ioni Ba2 + occorrono due faraday. Un solo faraday fa reagire solo mezza mole di ioni Ba2 +. Alla stessa maniera, nel caso di ioni Fe3+ un solo ione richiede tre elettroni, una mole di ioni richiede tre faraday; un faraday fa reagire solo un terzo di mole di ioni Fe 3+. 씰 La quantità di sostanza che scambia una mole di elettroni, cioè un faraday, è chiamata equivalente redox. CH/250 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 19 Elettrochimica Una mole di ioni con una carica, mezza mole di ioni con due cariche e un terzo di mole con tre cariche corrispondono tutte a un equivalente redox. Possiamo dire che un faraday fa reagire un equivalente di ioni H +, un equivalente di ioni Ba 2 + e un equivalente di ioni Fe 3+. La seconda legge di Faraday afferma che: 씰 Durante l’elettrolisi il passaggio di un faraday provoca la reazione agli elettrodi di un equivalente di ogni tipo di ione. In definitiva, la stessa quantità di corrente che circola in celle elettrolitiche contenenti soluzioni diverse provoca la deposizione di un numero di moli di sostanza inversamente proporzionale al numero di elettroni scambiati. Un faraday fa reagire ⎧1 ⎨ 1/2 1 ⎩ /3 mole di ioni con una carica mole di ioni con due cariche mole di ioni con tre cariche PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 7. Attraverso una soluzione contenente ioni Cu 2 + viene fatta passare per 1 h una corrente elettrica la cui intensità è di 4,00 A (ampere). Quanti grammi di rame metallico si depositano al catodo? La reazione al catodo è: – Cu 2+ (aq) + 2e → Cu(s) 7. Attraverso una soluzione contenente ioni Fe3 viene fatta passare per 45 min una corrente elettrica la cui intensità è di 10,0 A (ampere). Quanti grammi di ferro metallico si depositano al catodo? La reazione al catodo è: + Fe 3(aq) + 3e– → Fe(s) Calcoliamo dapprima la quantità di carica Q che passa attraverso la cella elettrolitica per 1 h: Q (coulomb, C) = I (ampere, A) × t (secondi, s) = 4,00 A × 60 min × 60 s/min = 14400 C. Poi determiniamo il numero di moli di elettroni, dividendo la quantità di carica passata per la quantità di carica che corrisponde a una mole di sostanza: moli di elettroni = 14400 C × (1 mole e – / 96500 C) = 0,149 mol e –. Poi calcoliamo il numero delle moli di Cu che si depositano al catodo, ricordando che due elettroni sono necessari per un solo atomo di rame: 0,149 / 2 = 0,0746 mol di Cu. Infine, moltiplicando per la massa molare del rame (63,55 g/mol) otteniamo: 0,0746 mol × 63,55 g /mol = 4,74 g di rame. + 8. Per quanti minuti una corrente, la cui intensità è di 0,500 A, deve passare attraverso una soluzione contenente ioni Ag + per avere la deposizione di 5,00 g di argento metallico in una cella elettrolitica? _ + + e → Ag(s). Dapprima calcoliamo le moli di Al catodo avviene la reazione: Ag (aq) elettroni che sono necessarie. Dalla reazione sappiamo che per depositare un atomo di argento è necessario un elettrone; le moli di elettroni sono perciò uguali alle moli di argento da depositare. _ moli di Ag = g di Ag /Massa Molare Ag = 5,00 g / 107,9 g/mol = 0,0463 mol = moli di e A questo punto calcoliamo la quantità di carica Q espressa in coulomb (C), moltiplicando il numero delle moli di elettroni per la carica elettrica di una mole: Q = 0,0463 mol × 96 500 C / mol = 4 470 C Infine, sapendo che Q = I · t, ricaviamo il tempo necessario per la deposizione: t = Q / I = 4470 C / 0,500 A = 8940 s = 149 min Glossary Anode (anodo) The electrode in which a reduction occurs. Cathode (catodo) The electrode in which an oxidation occurs. Electrolysis (elettrolisi) A chemical reaction originated by an electric current in an electrolytic cell. Electrolytic cell (cella elettrolitica) A system in which current from an external source causes a redox reaction. Oxidation (ossidazione) A loss of electrons. Oxidizing agent (agente ossidante) A substance that gains electrons and brings about oxidation in other substances. Redox reaction (reazione redox) A chemical reaction that occurs with electron transfer. Reduction (riduzione) A gain of electrons. Reducing agent (agente riducente) A substance that loses electrons and brings about reduction in other substances. Salt bridge ( ponte salino) An electrical connection between two half cells. Voltaic cell ( pila) A system in which a spontaneous redox reaction produces a potential difference between two electrodes. CH/251 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio G U I DA A L L O S T U D I O EA FACCIAMO IL PUNTO Domande aperte 11 Quale relazione c’è tra il trasferimento di elettroni nelle 12 13 14 15 16 17 18 reazioni chimiche e le relative trasformazioni energetiche? Possono esistere trasformazioni chimiche senza trasferimento di elettroni? Giustifica la tua risposta. Come puoi definire una reazione redox? Che cosa sono gli ossidanti e i riducenti? Quali sono i rispettivi ruoli nelle reazioni redox? Perché può essere utile calcolare il numero di ossidazione degli elementi coinvolti in una reazione chimica? Definisci la composizione e illustra il funzionamento di una pila Daniell. Di quale grandezza ricaviamo la misura, quando calcoliamo la differenza del potenziale di riduzione standard tra i due semielementi di una pila? Che cosa esprime il potenziale di riduzione standard? Come possiamo decidere se una reazione redox può essere utilizzata per la costruzione di una pila? Daniell? 11 Come possiamo classificare i conduttori elettrici in base al passaggio di corrente elettrica al loro interno? 12 A che cosa è proporzionale la conducibilità elettrica di una soluzione? 13 Definisci il principio generale su cui si basa l’elettrolisi. 14 L’elettrolisi ha effetti proporzionali al numero di elettroni 15 16 che passano attraverso la soluzione? Giustifica la tua risposta. Perché, se facciamo passare la stessa quantità di corrente attraverso un solido ionico fuso MX e un solido ionico fuso M′X 2 , si depositano agli elettrodi diverse quantità di sostanza? La natura chimica del soluto presente nella soluzione in cui viene fatta passare corrente elettrica influisce sullo svolgimento del fenomeno di elettrolisi? E sulla quantità di sostanza che si produce agli elettrodi? A Esercizi di completamento 14 19 Una pila Daniell è ricaricabile? 10 Quali sono le differenze tra una pila a secco e una pila Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello spazio vuoto il termine opportuno. Una reazione di …………………………………………… ……………………………………………………………………………… , che avviene spontaneamente, libera energia chimica; questa deriva dal trasferimento di elettroni da un atomo, che si ……………………………………………………………… chimica in energia ………………………………………………… . Mediante particolari dispositivi, le celle voltaiche o ………………………………………………… ……………………………………………………………………… …………………………………………………………………… . In una ………………………… tra …………………………………… ……………………………………… , che corrisponde alla differenza del potenziale di , a un altro atomo, che si , si può trasformare l’energia e catodo si determina una forza ………………………………………………………… della pila. La f.e.m. consente il flusso spontaneo degli elettroni lungo il standard tra i due ………………………………………………… esterno della pila. Nel processo di ……………………………………………………………… si verifica il passaggio inverso a quello delle pile e si trasforma energia ………………………………………………… in energia chimica: in questo caso le reazioni redox non sono ……………………………………………………… . I processi elettrolitici sono governati dalle due leggi di ……………………………………………………………… . VERIFICA LE CONOSCENZE A Esercizi di corrispondenza 18 Collega con una freccia gli elementi della prima colonna a quelli corrispondenti della seconda colonna e giustifica le scelte operate. Pila Daniell 2H2 + O2 ⇄ 2H2 O Corrosione Pb + PbO2 + 2H2 SO4 ⇄ 2PbSO4 + 2H2 O Pila Leclanché Pila a combustibile Elettrolisi Accumulatore Pila Mallory 2NaCl ⇄ 2Na + Cl 2 Zn + ZnCl 2 + NH4Cl + MnO2 HgO + C + Zn + KOH Zn + Cu2+ → Zn2+ + Cu – Fe(s) → Fe 2+ (aq) + 2e CH/252 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio A Domande a scelta multipla 19 29 A 2Na + Cl2 → 2NaCl; B 2SO2 + O2 ⇄ 2SO3; Quale tra le seguenti affermazioni riguardanti una reazione redox non è corretta? C CaO + CO2 ⇄ CaCO3; A l’ossidante è la specie chimica che tende ad acqui- stare elettroni; B l’ossidante è la specie che tende a cedere elettroni; C il numero di ossidazione di un ossidante diminuisce nel corso della reazione; D il numero di ossidazione di un riducente aumenta nel corso della reazione. 20 Qual è la specie ossidante nella reazione di ossidoriduzione Cl 2 + 2I – → 2Cl – + I2 ? A Cl 2; 21 B I –; B C entalpia in energia elettrica; D entropia in energia elettrica. Nella cella elettrolitica l’anodo è l’elettrodo: C negativo dove ha luogo il processo di ossidazione; D positivo dove ha luogo il processo di ossidazione. 33 Un ossidante è una sostanza: A in grado di ossidarne un’altra; B che si ossida spontaneamente; C in grado di cedere elettroni spontaneamente; D che fa ridurre un’altra sostanza. 34 Un riducente è una sostanza: A che acquista spontaneamente elettroni; B che determina l’ossidazione dell’ossidante; C in grado di ossidarne un’altra; D che si ossida spontaneamente. 35 Nella pila Au3+/Au // Ca2+/Ca la forza elettromotrice generata è: A 4,37 V; C 2,80 V; 36 B Nella reazione MnO 2 + 4HCl → MnCl2 + Cl2 + 2H2 O l’elemento che si ossida è: A il manganese; C l’ossigeno; 37 B Quale tra le seguenti classi di elementi ha il carattere riducente più marcato? C gas nobili; 38 1 faraday corrisponde a: A il rame è l’ossidante; B il rame è il riducente; C lo zinco è l’ossidante; D lo zinco si riduce. il cloro; D l’idrogeno. D metalli di transizione. Nella pila Zn 2+/Zn // Cu2+/Cu: 1,67 V; D 1,27 V. A 1 elettrone; B 96 500 elettroni; C 1,60 · 10 –19 coulomb/mol; D 96 500 g/mol. non spontanee; A negativo dove ha luogo il processo di riduzione; B positivo dove ha luogo il processo di riduzione; Quale tra le seguenti classi di elementi ha il carattere ossidante più marcato? A elementi del gruppo 2; B elementi del gruppo 14; A 100 000 coulomb/mol; B 96 500 coulomb/mol; 28 B D esotermiche. A metalli alcalini; B alogeni; C 1 mol di elettroni; non spontanee; Nelle celle elettrolitiche avvengono reazioni: 1 faraday rappresenta la quantità di carica trasportata da: D una corrente elettrica di 1 ampere per 1 secondo. 27 32 Una cella elettrolitica è un dispositivo nel quale si ha la trasformazione di: A energia elettrica in energia chimica; B energia chimica in energia elettrica; B D esotermiche. A spontanee; C con ΔG = 0; Mallory; D a combustibile. C entalpia in energia elettrica; D energia termica in energia elettrica. 26 31 B La pila elettrica è un dispositivo chimico nel quale si ha la trasformazione di: Nelle pile avvengono reazioni: A spontanee; C con ΔG = 0; acqua marina; A energia elettrica in energia chimica; B energia chimica in energia elettrica; 25 30 D sodio. Tra le seguenti pile, quella che a parità di condizioni di esercizio ha la più alta resa energetica è la pila: A Leclanché; C Daniell; 24 B O2 + 4H+/2H2O; D 2H+/H2. Quale tra le seguenti sostanze è un conduttore elettrico di 2ª classe? A acqua distillata; C rame; 23 D I2. D 2H2 + O2 ⇄ 2H2O. Il valore del potenziale di riduzione standard 0,00 V è attribuito al semielemento: A Na+/Na; C Pt 2 +/Pt; 22 C Cl –; Tra le seguenti non è una reazione redox: C alogeni; D elementi del 4° periodo. 39 Nell’elettrolisi del cloruro di sodio fuso, al catodo si forma: A Na; 40 B H2; C O2; D Cl2. Nell’elettrolisi del cloruro di sodio in soluzione, al catodo si forma: A Na; B H2; CH/253 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio C O2; D Cl2. G U I DA A L L O S T U D I O EA G U I DA A L L O ST U D I O 41 EA E In una cella elettrolitica, in seguito al passaggio di 96 500 coulomb la quantità di sostanza che si scarica agli elettrodi è: A 45 A P4O10 + 6H2O → 4H3PO4; B Zn + 2HNO3 → Zn(NO3)2 + H2; A 1 g; B 1 equivalente; C 3Cu + 2NO 3– + 8H+ → 2NO + 3Cu 2+ + 4H2O; – D HClO + H+ + Cl → Cl2 + H2O. C 100 g; D 96 500 mol. 42 46 Nella reazione NaClO3 → NaClO + O2 : l’ossidazione; B il catodo in una pila è l’elettrodo dove avviene C il sodio si riduce e l’ossigeno si ossida; la riduzione; D il sodio si ossida e il cloro si riduce. C la f.e.m. di una pila è la misura della differenza Nella reazione H 2 S + 2HNO2 → S + 2NO + 2H2 O l’elemento che si riduce è: D il semielemento a ossigeno ha potenziale di di potenziale tra i due elettrodi; A lo zolfo; C l’ossigeno; 44 Quale tra le seguenti definizioni non è corretta? A l’anodo in una pila è l’elettrodo dove avviene A il cloro si ossida e l’ossigeno si riduce; B il cloro si riduce e l’ossigeno si ossida; 43 Quale tra le seguenti non è una reazione redox? l’azoto; D l’idrogeno. riduzione standard uguale a 0,00 V. B 47 A isola elettricamente i due semielementi; B consente il collegamento elettrico tra i due semiele- In una pila Ag +/Ag // Al3+/Al, il numero delle moli di elettroni trasferiti per ogni mole di alluminio che reagisce è: A 2; C 1/3; In una pila il ponte salino: menti; C consente il rimescolamento delle soluzioni; D determina la forza elettromotrice. 3; D 1. B VERIFICA LE ABILITÀ Esercizi e problemi 48 52 Si vuole ricoprire d’oro una medaglia con un processo di galvanostegia. Sapendo che la sua superficie è di 18 cm2 e che sono necessari 0,50 g/cm2 d’oro per la copertura, quanti faraday bisogna far passare attraverso una soluzione di ioni Au3+ durante l’elettrolisi? [0,14 F] 53 Si deve preparare 1,00 m3 di idrogeno alla temperatura di 20 °C e alla pressione di 5,00 bar. Quanti faraday bisogna far passare attraverso una soluzione di acido iodidrico HI per ottenere con l’elettrolisi l’idrogeno che occorre? [411 F] 54 Quanti faraday sono necessari per far ridurre all’elettrodo 25 g di ioni Ca2+ ? Quanti grammi di ioni Cl – si ossiderebbero con la stessa quantità di carica elettrica? [1,2 F ] [44 g] 55 Indica a quale tipo di semielemento è opportuno collegare un semielemento a sodio in modo da ottenere una differenza del potenziale di riduzione di 4,21 V. Quale valore assume la differenza di potenziale, se al posto del sodio si inserisce un semielemento ad argento? [Au3+/Au] [0,70 V] 56 Indica quale fra le seguenti pile genera la maggiore forza elettromotrice e individua quali semielementi funzionano da ossidanti e quali da riducenti: Bilancia le seguenti reazioni di ossidoriduzione: A H2S + HNO3 → H2SO3 + NO + H2O; B Al + AgNO3 → Al(NO3)3 + Ag; C MnO2 + HCl → MnCl2 + Cl2 + H2O; D Cu + HNO3 → Cu(NO3)2 + NO + H2O; E PbCl2 + HIO3 + HCl → PbCl4 + HI + H2O; F H3PO4 + HCl + Zn → PH3 + ZnCl2 + H2O; G BH3 + H2O + AgNO3 → Ag + H3BO3 + HNO3; H H3AsO3 → AsH3 + H3AsO4; I 49 50 51 CdS + HNO3 → Cd(NO3)2 + S + NO + H2O. Durante il funzionamento di una pila Daniell la lamina di zinco si consuma e quella di rame si accresce. Se il peso della lamina di zinco diminuisce di 1,00 g, il peso della lamina di rame di quanti grammi aumenta? [0,972 g] Calcola quanti grammi di cloro Cl2 si sviluppano nell’elettrolisi di una soluzione di HCl al passaggio di 5,7 faraday di elettroni. [202 g] Calcola quanti faraday occorre far passare attraverso una soluzione contenente ioni Cu2+ per ottenere con l’elettrolisi 1,000 kg di rame metallico. Per ottenere 1,000 kg di argento metallico da una soluzione contenente ioni Ag + è necessaria una quantità maggiore o minore di carica elettrica? Giustifica la risposta. [31,47 F; Ag < Cu (9,271 F < 31,47 F)] A Fe3+/Fe2+ // Ag +/Ag B Pb2+/Pb // Cu2+/Cu C Zn2+/Zn // Cd2+/Cd D Cu+/Cu // Au3+/Au CH/254 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio Calcola quanti coulomb devono passare in una cella elettrolitica per depositare 63,54 g di rame da una soluzione di [193.000 C] solfato rameico CuSO4. 71 Trova gli errori presenti nei seguenti schemi. A Cella voltaica A 58 Calcola quanti coulomb devono passare in una cella elettrolitica per depositare 111,7 g di ferro da una soluzione di sol[386.000 C] fato ferroso FeSO4. 59 Calcola quanti coulomb devono passare in una cella elettrolitica per depositare 26 g di alluminio da una soluzione di tricloruro di alluminio AlCl3 e il tempo necessario, se la cor[278.974 C] [15 h 30 min] rente è di 5,0 A. 60 L’elettrolisi di una soluzione contenente ioni nichel Ni 2 + fa depositare nichel metallico al catodo. Se si fa passare una corrente di 0,200 A per 25 minuti, quanti grammi di nichel [0,091 g] metallico si formano? 61 L’elettrolisi di una soluzione di solfato rameico per la produzione di rame metallico viene eseguita con una corrente elettrica di 0,80 A. Per quanti secondi deve essere condotta [37.990 s] l’elettrolisi per produrre 1,00 g di rame? 62 Calcola la f.e.m. di una pila in cui si svolge la reazione: – + Zn 2 + 2I (aq) (aq) ⇄ I2(s) + Zn(s). [1,30 V] In quale verso avviene effettivamente la reazione? 63 GGU UIIDA DA AALLLLOO ST S TU UD D IIO O 57 EA E e– V (–) (+) Zn Cu + 2+ Zn (aq) + SO 24(aq) + 2+ Cu (aq) + SO 24(aq) Membrana semipermeabile Cella voltaica B Flusso di elettroni Quale catione può essere ridotto più facilmente? 2+ A Cu (aq) ; 2+ B Zn (aq) ; D Ag +(aq). 64 Qual è la f.e.m. della pila Zn2+/Zn // Ag +/Ag? Quale elettrodo agisce da catodo? 65 Quanto argento metallico si deposita al catodo di una cella elettrolitica, se si fanno passare 200 000 C di carica in una [224 g] soluzione di ioni Ag + ? 66 Facendo passare una certa quantità di corrente in cloruro di sodio fuso si sviluppano 25 g di cloro Cl2 all’anodo. Quanti [16 g] grammi di sodio si depositano al catodo? 67 68 69 70 RIDUZIONE OSSIDAZIONE 2+ C Fe (aq) ; Anodo Cella elettrolitica C Per quanto tempo dobbiamo applicare una corrente di 10 ampere per avere la deposizione di 135 g di ferro metallico [12 h 58 min] da una soluzione di ioni Fe 2+ ? Calcola la quantità di carica elettrica in coulomb necessaria per depositare al catodo 180 g di zinco da una soluzione di [531.190 C] ZnCl 2. G Generatore di corrente continua e– Catodo Utilizzando i valori dei potenziali di riduzione standard riportati nella tabella 19.1, indica la f.e.m. della pila Zn 2+/Zn // Sn 2+/Sn e specifica qual è il processo ossidoriduttivo spontaneo che avviene. Un pezzo di zinco è posto in una soluzione contenente numero uguale di moli di ioni Na +, ioni H+ e ioni Cu 2+. In base ai valori dei potenziali di riduzione standard, quali reazioni effettivamente avvengono? Giustifica la risposta. Catodo e– Anodo Na+ Cl – 2Cl – → Cl 2 + e – Na+ + e – → Na NaCl fuso CH/255 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio G U I DA A L L O ST U D I O EA A Gioca e impara 72 Completa lo schema in base alle definizioni. 1 2 17 3 10 16 4 6 15 5 20 14 9 12 21 13 7 8 18 19 11 1. Quello standard di riduzione del semielemento 2H+/ H2 è uguale a 0 V. 2. Scienziato famoso per la sua teoria sull’elettricità animale. 3. Per primo trovò il modo di trasformare energia chimica in energia elettrica. 4. Inventò la pila a secco. 5. Quella a combustibile produce acqua. 6. La trasformazione da ione Ag + ad Ag metallico è una reazione di … 7. Simbolo del metallo che nella pila a secco fa da elettrodo e da contenitore esterno. 8. La specie che si riduce in una reazione redox è un … 9. A lui si devono due leggi sull’elettrolisi. 10. Pile a forma di bottone. 11. 96 500 coulomb corrispondono a una … di elettroni. 12. La pila con un setto poroso. 13. Dispositivo in grado di trasformare l’energia chimica in energia elettrica e viceversa. 14. Simbolo del rame (orizzontale). L’unità di misura della quantità di carica elettrica (verticale). 15. Elettrodi in cui avvengono reazioni di riduzione (orizzontale). Simbolo dell’elemento che può essere raffinato con un metodo elettrolitico (verticale). 16. Forza elettromotrice. 17. Il processo che trasforma energia elettrica in energia chimica. 18. Simbolo del litio. 19. Elemento usato in galvanostegia per fare la doratura. 20. L’elettrodo di riferimento nella scala dei potenziali di riduzione standard è a … 21. Un elemento molto soggetto alla corrosione. Question 73 Put the five boxes, describing the electrolytic process, in the correct order and explain your choice: 74 Answer the following questions: A Where are spontaneous chemical reactions used to generate electricity? A number of moles of electrons; B electric charge (coulomb); B How do you define the difference in electric potential energy between the two half-cells that make up the cells? C What is the Faraday constant? D What kind of process takes place in an electrolytic C grams oxidized and reduced species; cell? D current (ampere) and time (s); E number of moles oxidized and reduced species. CH/256 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio Chimica inorganica C A P I TO L O 20 20.1 La chimica inorganica L a chimica inorganica è quella parte della chimica che studia le proprietà chimiche e fisiche, i metodi di preparazione e le reazioni dei singoli elementi e dei loro composti. Gli elementi oggi conosciuti sono più di 100 e i loro composti molti milioni. Noi studieremo solo gli elementi più importanti dal punto di vista industriale, economico e biologico, mettendone in risalto somiglianze e differenze. Lo studio della chimica inorganica non richiede un’analisi dettagliata e specifica per ogni elemento. È sufficiente esaminare le caratteristiche generali di ogni famiglia chimica (cfr. § 0.3), citando le proprietà degli elementi più rappresentativi e dei loro composti più importanti. Le caratteristiche degli elementi variano infatti con periodicità nel Sistema periodico (cfr. § 10.1), in quanto con periodicità variano la configurazione elettronica esterna e il volume atomico. Gli elementi di uno stesso gruppo hanno la stessa configurazione elettronica esterna. Le loro proprietà chimiche sono simili, ma non uguali. Scendendo lungo il gruppo, infatti, aumenta il volume atomico (cfr. § 10.5) e variano tutte le proprietà a esso collegate, come il carattere metallico, che aumenta (cfr. § 10.7). Queste variazioni hanno una grande influenza soprattutto nei gruppi intermedi, come il 13, il 14 e il 15 (cfr. figura 0.10). Per esempio, nel gruppo 14 i primi due elementi, carbonio e silicio, sono non-metalli e formano acidi deboli, mentre gli ultimi due, stagno e piombo, sono tipici metalli e formano basi deboli. Spostandosi da sinistra a destra nel Sistema periodico, aumenta il numero di elettroni presenti nel livello più esterno. Gli elementi dei primi gruppi tendono a cedere elettroni per raggiungere la condizione di stabilità, comportandosi da riducenti, mentre gli elementi degli ultimi gruppi tendono ad acquistarli e sono quindi ossidanti (cfr. § 19.2). La chimica inorganica si occupa di tutti gli elementi, tranne uno: il carbonio. Il carbonio ha caratteristiche particolari e ai suoi composti, fondamentali per i sistemi viventi, sarà dedicato uno specifico studio nei capitoli 22, 23 e 24, dedicati alla chimica organica. 20.2 Preparazione degli elementi dai loro composti L a superficie terrestre è in continuo contatto con l’ossigeno dell’aria e con l’acqua di fiumi e mari o con l’acqua piovana. Ne risulta che su di essa non è possibile trovare, in forma libera e non combinata, gli elementi che reagiscono facilmente con l’ossigeno e con l’acqua, che sono la maggior parte. Si trovano allo stato elementare solo l’oro (figura 20.1), il platino, il carbonio sotto forma di diamante, il rame, i gas inerti, l’ossigeno e l’azoto presenti nell’atmosfera. FIGURA 20.1 Oro nativo. L’oro, che è un metallo assai poco reattivo, si trova in natura allo stato elementare. CH/257 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica Se vogliamo ottenere un elemento, dobbiamo perciò prepararlo partendo dai suoi composti. Sulla superficie terrestre troviamo allo stato solido soltanto i composti insolubili in acqua, perché quelli solubili si sono già sciolti. Nel caso degli elementi metallici, la preparazione avviene secondo i seguenti metodi: a) se il metallo si trova sotto forma di ossido, si fa reagire con carbone a caldo, che riduce l’ossido a metallo. Per esempio: FeO + C → Fe + ossido di ferro CO monossido di carbonio b) se il metallo si trova sotto forma di carbonato o di solfuro, si portano questi composti ad alta temperatura per ottenere l’ossido. Il metallo si ricava poi dall’ossido per riduzione. Per esempio: FeCO3 → FeO triossocarbonato ossido di ferro di ferro 2FeS solfuro di ferro FIGURA 20.2 A causa della diversa struttura cristallina, i cristalli di ruggine non aderiscono al ferro sottostante e si staccano con facilità. Per questo motivo il ferro rimane continuamente esposto al progressivo attacco dell’ossigeno e dell’acqua. + 3O2 → 2FeO + CO2 diossido di carbonio + ossido di ferro 2SO2 biossido di zolfo Il diossido di carbonio CO2, il biossido di zolfo SO2 e il monossido di carbonio CO, che appaiono tra i prodotti delle ultime tre reazioni, sono gas, che si liberano e sfuggono. Le tre reazioni sopra descritte sono perciò a completamento (cfr. § 17.5). c) se il metallo si trova sotto forma di cloruro o di un altro sale che può essere fuso con relativa facilità, si ricorre all’elettrolisi del sale fuso. Con questo metodo si preparano, per esempio, gli elementi del gruppo 1, del gruppo 2 e l’alluminio. Fra i non-metalli l’ossigeno e l’azoto si preparano industrialmente per distillazione dell’aria liquida. Si liquefa l’aria per raffreddamento e poi la si riscalda: bolle prima l’azoto (–196 °C), poi l’ossigeno (–183 °C). Per distillazione frazionata dell’aria liquida si ottengono anche i gas inerti, cioè gli elementi del gruppo 18. Il cloro invece si produce industrialmente per elettrolisi del cloruro di sodio fuso. La preparazione in laboratorio di alcuni elementi e composti sarà descritta in seguito. Un elemento allo stato puro deve essere conservato inalterato. Se l’elemento è poco reattivo con l’ossigeno atmosferico, non vi sono problemi. Alcuni metalli (alluminio, zinco, rame, piombo ecc.), esposti all’aria, si ricoprono di uno strato di ossido che aderisce al metallo e impedisce un’ulteriore reazione con l’ossigeno dell’aria. Il ferro, invece, arrugginisce (figura 20.2). Gli elementi del gruppo 1 sono tanto reattivi che, esponendoli all’aria, in pochi minuti si ossidano. Per poterli conservare inalterati occorre mantenerli immersi in petrolio, miscela di composti poco reattivi. Gli elementi gassosi, come idrogeno, elio, ossigeno, azoto, cloro, fluoro, sono conservati e commercializzati in recipienti ad alta pressione (figura 20.3). FIGURA 20.3 Gli elementi che a temperatura ambiente si trovano allo stato gassoso non sono liberi in natura e vanno conservati in recipienti chiusi ad alta pressione. Da qui in poi, i vari paragrafi di questo capitolo sono introdotti da uno schema, che ricorda la posizione nel Sistema periodico degli elementi del gruppo studiato. Inoltre, sono riportati i nomi e i simboli dei vari elementi, i numeri di ossidazione minimi e massimi che questi elementi possono assumere nei loro composti e le formule dei composti che gli elementi formano con l’idrogeno e l’ossigeno. Infine, sono indicati anche i tipi di legame che questi elementi formano nei loro composti. CH/258 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica 20.3 Gli elementi del gruppo 1 2 1 He H 4 3 Li 11 5 Be 12 K 37 Rb 55 20 Fr Al 31 Ca 38 Sr 56 7 C 14 Si 32 Ga Ge 49 In 81 Cs Ba 87 B 13 Na Mg 19 6 Tl 50 Sn 82 Pb 8 N 15 P 33 As 51 Sb 83 Bi 9 O 16 S 34 Se 52 10 F 17 Cl 35 Po Ar 36 Br 53 Te 84 Ne 18 Kr 54 I 85 At Xe 86 Litio (Li); Sodio (Na); Potassio (K); Rubidio (Rb); Cesio (Cs); Francio (Fr). Configurazione elettronica esterna: s1. Numeri di ossidazione più comuni: 0, +1. Formula generale dei composti con l’idrogeno: XH. Formula generale dei composti con l’ossigeno: X 2O. Legami: ionici. Rn 88 Ra G li elementi del gruppo 1, detti anche metalli alcalini, hanno la configurazione elettronica esterna s 1; hanno una fortissima tendenza a cedere l’elettrone dell’orbitale s più esterno per dare cationi monovalenti M + e sono quindi riducenti molto forti; reagiscono energicamente anche con l’acqua per formare un idrossido monobasico e idrogeno (figura 20.4): – + H2(g) 2K(s) + 2H2O(l) → 2K +(aq) + 2OH (aq) I metalli alcalini sono metalli teneri e a bassa densità: litio, sodio e potassio sono meno densi persino dell’acqua, sulla quale galleggiano mentre reagiscono. Gli elementi del gruppo 1 hanno bassi anche i punti di fusione. Il cesio, in particolare, fonde a 29 °C: ciò significa che in molte giornate estive il mercurio non è l’unico metallo allo stato liquido. Il sodio viene prodotto per elettrolisi di NaCl fuso. Per separare il metallo dal cloro è necessario fare ricorso all’energia elettrica, perché con reazioni redox spontanee è molto difficile convertire lo ione sodio in sodio metallico. I metalli alcalini sono molto reattivi. Reagendo con l’idrogeno formano idruri, per esempio l’idruro di sodio NaH. Quando sono esposti all’aria, reagiscono con l’ossigeno e si ricoprono di uno strato di ossido (figura 20.5). I loro ossidi sono ossidi basici che, reagendo con acqua, formano idrossidi. Per esempio, l’ossido di potassio K2O con l’acqua forma l’idrossido di potassio KOH, una base molto forte. FIGURA 20.4 Un pezzo di potassio solido gettato sull’acqua reagisce violentemente, sviluppando idrogeno che per il calore liberato si infiamma. Nella reazione si forma anche idrossido di potassio KOH, completamente ionizzato in soluzione. FIGURA 20.5 Il sodio esposto all’aria si ossida molto rapidamente: lo strato bruno che si forma sulla superficie è ossido di sodio. Tra gli idrossidi più importanti ricordiamo l’idrossido di sodio NaOH, detto anche soda caustica, e l’idrossido di potassio KOH, detto anche potassa caustica, solidi bianchi, corrosivi, solubilissimi in acqua come quasi tutti i composti degli elementi del primo gruppo. Gli idrossidi di sodio e di potassio sono impiegati in enormi quantità per la preparazione di saponi, detersivi, coloranti, esplosivi, sali. Le reazioni chimiche talvolta presentano sorprese. Il prodotto principale della reazione tra sodio e ossigeno non è infatti l’ossido di sodio Na2O, ma è il perossido di sodio Na2O2, mentre il prodotto principale della reazione tra il potassio e l’ossigeno è KO2, il superossido di potassio. Quest’ultimo com- La soda caustica NaOH a contatto con acqua può generare sufficiente calore da incendiare sostanze combustibili. È irritante per inalazione e dà sensazione di bruciore, mal di gola, tosse e difficoltà respiratoria. A contatto con la cute è corrosiva e produce arrossamento, dolore e ustioni; stessi effetti sono prodotti sugli occhi. Per l’uso in laboratorio è necessario munirsi di guanti, di vestiario protettivo e di occhiali da protezione. Durante l’uso è bene non toccare il cibo. CH/259 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO FIGURA 20.6 Le maschere per la respirazione sono usate nei casi in cui nell’aria non sia più presente ossigeno. Nella maschera è presente il superossido di potassio KO2 , una sostanza che, reagendo con il diossido di carbonio emesso con la respirazione, produce ossigeno molecolare. 20 Chimica inorganica posto non è solo una curiosità di laboratorio, ma trova applicazione nei sottomarini e negli aerei dove occorre produrre ossigeno e tenerne sempre una scorta a disposizione per le emergenze (figura 20.6). Il superossido KO2 è in grado di reagire con il diossido di carbonio CO2 emesso con la respirazione per formare ossigeno: 4KO2(s) + 2CO2(g) → 2K2CO3(s) + 3O2(g) I metalli alcalini reagiscono energicamente con gli alogeni per formare sali, come il cloruro di sodio NaCl, il sale da cucina (figura 20.7), o il bromuro di potassio: 2K(s) + Br2(l) → 2KBr(s) FIGURA 20.7 Struttura cristallina del cloruro di sodio. Le sfere verdi rappresentano _ gli ioni cloruro Cl , quelle azzurre gli ioni sodio Na +. Il carbonato di sodio Na2CO3, detto anche soda, è usato nell’industria per la preparazione di vetri, saponi, vernici, smalti e molti altri prodotti. Si produce mediante il processo Solvay, che prevede di far reagire una soluzione concentrata di cloruro di sodio NaCl con ammoniaca NH3 e diossido di carbonio CO2: NaCl + CO2 + NH3 + H2O ⇄ NaHCO3 + NH4Cl 2NaHCO3 ⇄ Na2CO3 + H2O + CO2 L’idrogenocarbonato di sodio NaHCO3, detto comunemente bicarbonato di sodio, in acqua dà una reazione di idrolisi basica (cfr. § 18.13); infatti si usa per neutralizzare l’acidità di stomaco. Con un acido il bicarbonato forma acido carbonico, che a sua volta si scinde in acqua e diossido di carbonio: Il cloruro di sodio è indispensabile per l’alimentazione umana, poiché la quantità di ioni Na + presente negli alimenti è inferiore al fabbisogno fisiologico. Per questo motivo le saline hanno avuto, sin dall’antichità, una grande importanza economica. Per il loro controllo vi sono state guerre. Il monopolio statale del sale fu istituito per evitare speculazioni. NaHCO3 + HCl ⇄ NaCl + H2CO3 H2CO3 ⇄ H2O + CO2 Il diossido di carbonio è un gas e si allontana dalla soluzione. Il risultato finale dell’aggiunta di NaHCO3 alla soluzione acida dello stomaco è quindi quello di trasformare un acido forte, l’acido cloridrico, in acqua e cloruro di sodio, un sale neutro. 20.4 Gli elementi del gruppo 2 2 1 He H 3 Berillio (Be); Magnesio (Mg); Calcio (Ca); Stronzio (Sr); Bario (Ba); Radio (Ra). 4 5 12 13 20 31 38 49 56 81 Li 11 B Na Configurazione elettronica esterna: s 2. 19 Al K Numeri di ossidazione più comuni: 0, + 2. 37 Formula generale dei composti con l’idrogeno: XH2. Formula generale dei composti con l’ossigeno: XO. In Cs Legami: ionici. 87 7 C 14 Si 32 Ga Ge Rb 55 6 Tl 50 Sn 82 Pb 8 N 15 P 33 As 51 Sb 83 Bi 9 O 16 S 34 Se 52 10 F 17 Cl 35 Po Ar 36 Br 53 Te 84 Ne 18 Kr 54 I 85 At Xe 86 Rn 88 Fr G li elementi del gruppo 2, detti anche metalli alcalino-terrosi, hanno una forte tendenza a cedere due elettroni per formare cationi bivalenti M 2 +; sono quindi energici riducenti, pur essendolo meno degli elementi del gruppo 1. Sono metalli e, in genere, si preparano dai loro carbonati. Allo stato elementare hanno scarsa importanza industriale. Il calcio è il quinto elemento in ordine di abbondanza sulla crosta terrestre, mentre il magnesio è il settimo. Il carbonato di calcio CaCO3 è un composto molto diffuso, essendo il costituente di rocce come il marmo, il calcare e, insieme al carbonato di magnesio MgCO3, la dolomite. Anche stalattiti e stalagmiti sono formate da CaCO3. CH/260 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica Il magnesio è il più leggero dei metalli di uso comune e si utilizza, spesso in lega con l’alluminio, come materiale per la costruzione di aeroplani. Riscaldato, reagisce violentemente con l’ossigeno dell’aria, producendo una luce fortissima: il lampo al magnesio (figura 20.8). I più importanti e diffusi composti dei metalli (M) del gruppo 2 sono i carbonati (MCO3), i solfati (MSO4) e i silicati (M2SiO4). Questi sali sono molto meno solubili in acqua dei corrispondenti sali degli elementi del gruppo 1; basti pensare al carbonato di calcio, così poco solubile da formare rocce come il marmo. Riscaldando ad alta temperatura il calcare, formato da CaCO3 impuro, si ottiene l’ossido di calcio CaO, la calce viva, che può reagire con l’acqua dando il diidrossido di calcio Ca(OH)2, la calce spenta. Il diidrossido di calcio può legarsi col diossido di carbonio dell’aria, formando di nuovo carbonato di calcio CaCO3: CaCO3 → CO2 + CaO calce viva CaO + H2O → Ca(OH)2 calce spenta Ca(OH)2 + CO2 → CaCO3 + H2O carbonato di calcio FIGURA 20.8 La combustione del magnesio è una reazione molto rapida che produce una luce intensa. Su questa serie di reazioni è fondato l’uso delle malte a base di calce per le costruzioni. Edifici, ponti e in genere le opere murarie devono la loro solidità alla presenza di un materiale legante tra le pietre o tra i mattoni. I leganti idraulici sono così chiamati perché per azione dell’acqua la malta da semifluida diviene col tempo dura e resistente. Le malte derivate dalla calce hanno reso possibili la Grande Muraglia dei cinesi e le grandi opere realizzate dagli antichi romani (figura 20.9). La malta contiene calce spenta che assorbe lentamente CO2 dall’aria e forma carbonato di calcio. Il solfato di calcio biidrato CaSO4 · 2H2O è il gesso, anch’esso usato come legante e per preparare stucchi. Il diidrogenofosfato di calcio Ca(H2PO4)2, detto perfosfato, è usato come concime chimico in agricoltura. Nelle acque superficiali e profonde sono sempre disciolti sali di calcio. Se l’acqua contiene un’alta concentrazione di ioni calcio Ca2+ è definita acqua dura. Per diminuire la concentrazione di ioni calcio si ricorre agli addolcitori, composti che si legano agli ioni, sottraendoli all’acqua (vedi § 20.7). Gli ioni Ca2+ e Mg 2+ hanno grande importanza per gli organismi. I gusci delle uova e le conchiglie sono costituiti da carbonato di calcio. Il fosfato di calcio è il maggior componente dello scheletro dei vertebrati. Alcuni enzimi, che hanno funzione di catalizzatori biologici, non funzionano in assenza di ioni calcio o magnesio. Il magnesio fa parte della molecola di clorofilla, il pigmento verde presente negli organismi vegetali che permette l’utilizzazione della luce solare per la fotosintesi. Tra i sali del bario il più noto è il solfato di bario BaSO4, usato per le radiografie al tubo digerente. FIGURA 20.9 I grandi edifici costruiti dagli antichi romani prevedevano l’uso delle malte a base di calce come legante idraulico. Nella foto il grandioso ponte/acquedotto sul Gard in Francia, costruito nel 37 a.C. È alto 49 metri e lungo 373. Tuttora perfettamente conservato. CH/261 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica 20.5 Gli elementi metallici del gruppo 13 2 1 Alluminio (Al); Gallio (Ga); Indio (In); Tallio (Tl). He H 4 3 Configurazione elettronica esterna: s 2 p1. Li Numeri di ossidazione più comuni: 0, +3. 11 5 Be 12 Na Mg Formula generale dei composti con l’idrogeno: XH3. 19 Formula generale dei composti con l’ossigeno: X 2O3. K 37 Legami: ionici. Rb 55 Legami: covalenti (Alluminio). Cs 87 Fr 20 Ca 38 Sr 56 Ba 6 B 13 Al 31 7 C 14 Si 32 Ga Ge 49 In 81 Tl 50 Sn 82 Pb 8 N 15 P 33 As 51 Sb 83 Bi 9 O 16 S 34 Se 52 10 F 17 Cl 35 Po Ar 36 Br 53 Te 84 Ne 18 Kr 54 I 85 At Xe 86 Rn 88 Ra G li elementi del gruppo 13 sono detti anche metalli terrosi, perché i loro ossidi hanno un aspetto terroso. Tuttavia non tutti gli elementi di questo gruppo hanno carattere metallico. Il boro è un non-metallo e forma essenzialmente legami covalenti (vedi § 20.10). L’alluminio, che allo stato elementare si presenta come un metallo, stabilisce legami ionici, ma può anche formare composti covalenti comportandosi da non-metallo. Gli altri elementi del gruppo 13 formano legami ionici e sono metalli. FIGURA 20.10 Un rubino, varietà preziosa di corindone, una pietra dura formata da ossido di alluminio Al 2O3. Il nome deriva dal latino medievale rubinus, derivante a sua volta dal latino classico rubens che significa «rosso». L’alluminio è il terzo elemento in ordine di abbondanza sulla crosta terrestre, di cui rappresenta il 7,4%. I suoi più diffusi minerali sono i silicati di alluminio (argilla, caolino, feldspati, miche ecc.). L’ossido di alluminio Al2O3 allo stato cristallino costituisce pietre preziose come il corindone, il rubino (colorato in rosso per impurezze di ioni Cr 3+) e lo zaffiro (colorato in blu per impurezze di ioni Fe2+, Fe3+ e Ti2+) (figura 20.10). La bauxite, ossido di alluminio idrato Al2O3·nH2O, è il minerale da cui risulta più vantaggiosa l’estrazione del metallo. L’alluminio si produce in enormi quantità per elettrolisi della bauxite fusa, in presenza di criolite per abbassarne la temperatura di fusione. Scoperto solo 150 anni fa, l’alluminio è oggi un elemento chimico insostituibile. Allo stato puro è un metallo bianco, tenero e poco resistente. In lega con altri elementi acquista proprietà diverse: diviene duttile e malleabile, come nei sottilissimi fogli di alluminio che si usano in cucina, oppure molto duro, come nel duralluminio. Per la sua ottima conducibilità elettrica e termica è impiegato come materiale, rispettivamente, per conduttori elettrici e per pentole. È molto leggero ed è quindi usato, in lega con magnesio, manganese o rame, nell’industria aeronautica, in quella automobilistica e in edilizia (figura 20.11). Sali di alluminio sono adoperati in tintoria, nell’industria della carta e nella concia delle pelli. L’ossido viene utilizzato come materiale assorbente, come catalizzatore, per la preparazione di refrattari, abrasivi e pietre preziose sintetiche. L’alluminio è un materiale riciclabile e il suo recupero limita lo spreco di risorse naturali. La raccolta differenziata dei rifiuti di alluminio consente di limitare l’estrazione della bauxite e di risparmiare il 95% dell’energia richiesta per produrre il metallo. FIGURA 20.11 Per i rivestimenti esterni la moderna edilizia fa largo uso di materiali leggeri come vetro e alluminio. Nella foto il Sony Center di Berlino nella Postdamer Platz. Gli altri elementi metallici del gruppo 13 sono abbastanza rari, hanno scarse applicazioni e sono poco importanti nei processi biologici. CH/262 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica 20.6 Gli elementi metallici del gruppo 14 2 1 He H 4 3 Li 11 5 Be 12 K 37 Rb 55 Cs 87 Fr B 13 Na Mg 19 6 20 Al 31 Ca 38 Ga 49 Sr 56 C 14 Si 32 Ge 50 In 81 Ba 7 Tl 8 N 15 P 33 As 51 Sb 82 83 Bi 9 O 16 S 34 Se 52 10 F 17 84 Po Stagno (Sn); Piombo (Pb). Configurazione elettronica esterna: s 2 p 2. 18 Cl 35 Ar 36 Br 53 Te Ne Kr 54 I 85 At Xe 86 Numeri di ossidazione più comuni: 0, +2, +4. Formula generale dei composti con l’idrogeno: XH 4. Formula generale dei composti con l’ossigeno: XO, XO 2. Legami: ionici e covalenti. Rn 88 Ra G li elementi del gruppo 14 hanno configurazione elettronica esterna s 2 p 2 . Mentre carbonio e silicio hanno caratteristiche riconducibili ai non-metalli (vedi § 20.11), stagno e piombo sono tipici metalli. Il germanio può essere considerato un elemento con proprietà intermedie tra quelle dei metalli e dei non-metalli, è cioè un semimetallo (cfr. § 0.3). Gli elementi del gruppo 14 in genere tendono a formare quattro legami covalenti. FIGURA 20.12 Nelle case di Pompei sepolte dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. sono stati rinvenuti tubi di piombo, che avevano la funzione di trasporto dell’acqua. Lo stagno fu ottenuto allo stato puro già dai Fenici ed è citato nella Bibbia e da molti scrittori di epoca romana. Lo stagno è un metallo bianco-argenteo, tenero, duttile e malleabile, che fonde a bassa temperatura (231 °C). Per la sua produzione il minerale più usato è la cassiterite SnO2, biossido di stagno che viene ridotto a stagno metallico. Per la sua inalterabilità all’aria e la sua resistenza all’attacco di molte sostanze chimiche, lo stagno è utilizzato come rivestimento protettivo del rame e del ferro. Per il suo basso punto di fusione è usato nelle saldature elettriche. Grazie alla sua non tossicità, l’industria alimentare ne ha fatto ampio uso per avvolgere i prodotti con sottili fogli, la carta stagnola, o per rivestire internamente i contenitori, le scatole di latta. La latta è infatti un lamierino di ferro ricoperto con metodo elettrolitico di un sottile strato di stagno (cfr. § 19.16). Fuso insieme al rame, lo stagno forma il bronzo, una lega in uso già nel terzo millennio a.C. Anche il piombo era noto fin dalla preistoria. Nell’antica Roma si costruivano col piombo le condutture d’acqua (figura 20.12), che erano unite tra loro mediante martellatura: il piombo è infatti molle e malleabile. Il principale minerale del piombo è la galena, solfuro di piombo PbS. Il piombo puro è un metallo tenero, lucente, con bassa temperatura di fusione (327 °C) e alta densità (11,4 g/cm3). All’aria si copre di uno strato aderente di ossido, che impedisce un’ulteriore ossidazione. Il piombo metallico è usato per tubazioni, per rivestire cavi elettrici, per la fabbricazione di munizioni (figura 20.13), anche in lega con l’arsenico, e per proteggersi dai raggi X. Molti sali di piombo sono colorati e vengono usati per la preparazione di colori, smalti e vernici. Il minio è una miscela di ossidi di piombo ed è il componente fondamentale della vernice antiruggine. Il piombo e il biossido di piombo PbO2 costituiscono le piastre degli accumulatori elettrici. Tutti i composti del piombo sono tossici. L’avvelenamento da piombo è denominato «saturnismo». Il nome si riferisce alle pratiche alchemiche che collegavano il piombo al pianeta Saturno. FIGURA 20.13 Un proiettile di piombo che colpisce un vetro speciale antiproiettile sprigiona nell’impatto una quantità di energia tale da passare allo stato di vapore. Il piombo evaporato ricondensa poi intorno al punto di impatto. Il basso punto di fusione del piombo è sfruttato per la produzione dei fusibili. Come gli altri metalli, quando è attraversato da corrente si scalda. Se l’intensità della corrente è eccessiva, come nel caso di un corto circuito, il piombo fonde e il circuito elettrico si interrompe prima che si abbiano danni più gravi. CH/263 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 1. Scrivi la formula e il nome delle sostanze che si formano nelle reazioni tra i seguenti metalli e non-metalli: (a) calcio e iodio molecolare; (b) alluminio e ossigeno molecolare; (c) litio e cloro molecolare. Bilancia inoltre le relative equazioni chimiche. 1. Scrivi la formula e il nome delle sostanze che si formano nelle reazioni tra i seguenti composti: (a) ossido di calcio e diossido di carbonio; (b) ferro e ossigeno molecolare; (c) ossido di magnesio e acqua. Per prevedere quali composti si formeranno nelle reazioni indicate dobbiamo basarci sul fatto che i metalli tendono a formare cationi con la configurazione elettronica esterna del gas inerte più vicino. Il calcio, elemento del gruppo 2, forma lo ione Ca 2 +, l’alluminio lo ione Al 3+ e il litio lo ione Li +. Nelle loro reazioni con i metalli, iodio e cloro formano gli anioni I – e Cl –, addizionando un solo elettrone, mentre l’ossigeno ne acquista due formando l’anione ossido O 2–. A questo punto combiniamo cationi e anioni, bilanciando prima le cariche e poi le masse: (a) Ca + I2 → Ca 2+ + I – → CaI2 ; Ca + I2 → CaI2 ; (b) Al + O2 → Al 3+ + O 2 – → Al2O3 ; 4Al + 3O2 → 2Al2O3 ; Bilancia inoltre le relative equazioni chimiche. (c) Li + Cl2 → Li + + Cl – → LiCl; 2Li + Cl2 → 2LiCl. Infine attribuiamo il nome in base alle regole di nomenclatura: (a) CaI2 diioduro di calcio; (b) Al 2 O3 triossido di dialluminio; (c) LiCl cloruro di litio. 20.7 Gli elementi di transizione e i composti di coordinazione Tutti gli elementi con Z da 21 a 30, da 39 a 48, da 57 a 80 e da 89 a 112. Configurazione elettronica esterna: s 2. Numeri di ossidazione più comuni: 0, +1, +2, +3, +4. Formula generale dei composti con l’idrogeno: varie. Formula generale dei composti con l’ossigeno: X 2O, XO, X 2O3, X2O4, XO2. Legami: prevalentemente ionici. G Gli elementi del blocco f sono anche conosciuti come elementi di transizione interna. li elementi di transizione rappresentano il grande blocco di elementi disposti nella parte centrale del Sistema periodico. Sono tutti metalli e comprendono tipicamente gli elementi del blocco d, che corrispondono al riempimento degli orbitali d, cui si possono aggiungere gli elementi del blocco f, che corrispondono al riempimento degli orbitali di tipo f. Questi ultimi sono a loro volta suddivisi in due sottogruppi, i lantanidi, compresi tra il lantanio La (Z = 57) e l’afnio Hf (Z = 72), e gli attinidi, compresi tra l’attinio Ac (Z = 89) e il rutherfordio Rf (Z = 104). Gli elementi di transizione in genere tendono a dare cationi bivalenti M 2 + o trivalenti M 3 +; vi sono però casi di cationi monovalenti, come Ag +, o di cationi tetravalenti, come Ti4+. Allo stato elementare gli atomi di questi metalli sono uniti da legami metallici. Se il legame metallico è molto forte, gli elementi fondono ad alta temperatura: il tungsteno W, che costituisce il filamento delle lampadine elettriche, fonde per esempio a 3 410 °C. Se il legame è debole fondono a bassa temperatura: il mercurio è addirittura liquido a temperatura ambiente. I metalli del blocco f sono molto rari in natura e tra di essi ci sono gli elementi radioattivi e quelli artificiali. Le proprietà dei metalli del blocco d sono particolarmente adatte per le varie applicazioni tecnologiche che han- CH/264 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica no accompagnato le civiltà umane, dall’età del ferro a quella odierna dell’acciaio. Tra essi vi sono i metalli più densi, quelli più tossici e quelli che hanno funzioni importanti per gli organismi. Sono ottimi conduttori di calore e di elettricità; sono duttili e malleabili e hanno buone caratteristiche meccaniche. In natura si trovano allo stato elementare solo quelli che hanno scarsissima reattività, come oro, platino e rame. In genere si preparano dai loro composti per riduzione degli ossidi o per elettrolisi. Nel paragrafo 18.4 abbiamo visto come un catione metallico possa formare un legame dativo, accettando coppie di elettroni da una molecola o da uno ione. La reazione che avviene è una reazione acido-base e il metallo si comporta da acido di Lewis. I composti che si formano in queste reazioni sono chiamati composti di coordinazione o complessi. I composti di coordinazione contengono uno ione metallico o un atomo metallico centrale, al quale sono legati con legame dativo uno o più ioni o molecole. Nella maggior parte dei composti di coordinazione troviamo come elemento centrale un metallo di transizione e solo in pochi casi c’è un metallo rappresentativo degli altri gruppi. Le specie chimiche legate al metallo prendono il nome di leganti. Un legante è una base di Lewis, cioè è una specie che contiene almeno un doppietto elettronico disponibile per poter formare un legame dativo con il metallo. Un esempio di leganti sono le molecole NH 3 e H2O (figura 20.14). Il numero di leganti uniti al metallo definisce il numero di coordinazione del metallo, mentre la distribuzione dei gruppi nello spazio è definita come geometria di coordinazione (figura 20.15). Per esempio, il rame nel composto [Cu(NH3)4 ]2+ ha numero di coordinazione 4 e la geometria è quadrato planare; il nichel in [Ni(H2O)6 ]2+ ha numero di coordinazione 6 e la geometria è ottaedrica (tabella 20.1). L L M L L L M M L L L M L L L M L Ione metallico Triangolare Tetraedrica Geometria di coordinazione Quadrato planare L L L L M L Bipiramide trigonale Ottaedrica Numero di coordinazione Esempio Ag + Lineare 2 [Ag(NH3)2] + Au + Lineare 2 [Au(CN)2] – Cu + Tetraedrica 4 [Cu(NH3)4] + Cd 2+ Tetraedrica 4 [Cd(CN)4]2 – Zn 2+ Tetraedrica 4 [Zn(NH3)4]2 + Ni 2+ Tetraedrica 4 [NiCl 4]2 – 2+ Quadrato planare 4 [Pt(NH3)2Cl 2] 2+ Quadrato planare 4 [Pd(NH3)4]2 + Co 3 + Ottaedrica 6 [CoF6]3– 3+ Ottaedrica 6 [Fe(NH3)3Cl3] 3+ Ottaedrica 6 [Cr(NH3)6]3 + Pt Pd Fe Cr L L L L Lineare Cl FIGURA PARLANTE – 2+ Ni Cl – B N 2+ N Cu N 2– S N FIGURA 20.14 Struttura molecolare degli ioni _ (A) [Ni(H2O)6]2+(Cl )2 e (B) [Cu(NH3)4]2+(SO 24– ). L L L I A FIGURA 20.15 I composti di coordinazione assumono nello spazio specifiche forme geometriche. La struttura può essere: lineare, triangolare, tetraedrica, quadrato planare, bipiramide trigonale, ottaedrica. Con M è indicato il metallo o lo ione metallico centrale, con L il legante. TABELLA 20.1 Geometria di coordinazione e numero di coordinazione di alcuni complessi metallici. Nelle formule dei complessi il metallo e i leganti si scrivono tra parentesi quadra, mentre gli altri anioni si scrivono fuori dalla parentesi. CH/265 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica I leganti che formano legami con il metallo attraverso uno solo dei loro atomi sono definiti monodentati; quelli che formano simultaneamente più legami con il metallo sono detti polidentati o chelanti, in quanto formano una struttura chiusa (figura 20.16). I complessi con leganti chelanti, chiamati complessi chelati, sono composti particolarmente stabili. La formazione di ioni complessi chelati stabili è alla base del processo di addolcimento e depurazione delle acque. La parte della chimica che si interessa dei complessi è chiamata chimica di coordinazione e rappresenta uno dei settori di maggiore sviluppo della odierna chimica inorganica. Con composti di questo tipo si producono nuovi materiali, farmaci e catalizzatori. N Nei complessi chelati, il legante si coordina con due o più atomi allo stesso atomo metallico M, bloccandolo in una struttura chiusa. Il legame di coordinazione si rappresenta con una freccia che va dall’atomo donatore a quello accettore. FIGURA 20.16 N N Legante N N M 2+ N N N M PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 2. Scrivi la formula degli ioni complessi che gli ioni metallici Pt2+, Cd2 + e Co3 + formano con i leganti NH3 e CN –. Utilizza inoltre i dati della tabella 20.1 per indicare la geometria di coordinazione assunta. 2. Scrivi la formula degli ioni complessi che gli ioni metallici Fe3 +, Cu2 + e Ni2 + formano con i leganti NH3 e CN –. Utilizza inoltre i dati della tabella 20.1 per indicare la geometria di coordinazione assunta. Il numero di coordinazione degli ioni Pt 2+, Cd 2+ e Co 3+, come indicato nella tabella 20.1, è rispettivamente 4, 4 e 6. Ciò significa che gli ioni Pt 2 + e Cd 2 + formano quattro legami ciascuno con i leganti, mentre lo ione Co 3 + ne forma sei. Poiché NH3 è un legante neutro, nei complessi in cui è presente abbiamo una carica ugua_ le a quella dello ione metallico: 2+ per Pt 2+ e Cd 2+ e 3+ per Co 3 +. Poiché CN è invece un legante anionico monovalente, i complessi tra questo anione e i cationi Pt 2 + e Cd 2+, che hanno numero di coordinazione 4, presentano due cariche negati_ ve: [4 × (–1)] + (+2) = –2. Il complesso tra lo ione CN e lo ione Co 3 +, che ha numero di coordinazione 6, presenta tre cariche negative: [6 × (–1)] + (+3) = –3. Pertanto le formule dei complessi sono: [Pt(NH3 )4 ]2+, [Cd(NH3 )4 ]2 +, [Co(NH3 )6 ]3 +, [Pt(CN)4 ]2–, [Cd(CN)4 ]2–, [Co(CN)6 ]3–. Per quanto riguarda la geometria, i dati della tabella 20.1 ci dicono che i complessi del platino sono quadrato planari, quelli del cadmio sono tetraedrici e quelli del cobalto sono ottaedrici. 20.8 Il ferro T ra tutti gli elementi di transizione, il ferro è il più importante dal punto di vista industriale ed economico e per la vita di ogni giorno. In natura si trova raramente allo stato elementare. I suoi minerali, però, sono relativamente abbondanti, in quanto il ferro, dopo l’ossigeno, il silicio e l’alluminio, è l’elemento più presente sulla crosta terrestre (4,7%). I geologi ritengono che il nucleo del pianeta, la parte più interna della Terra, sia costituito da ferro e nichel. Il ferro è un elemento essenziale anche per il metabolismo dei sistemi viventi. CH/266 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica I più importanti minerali del ferro sono gli ossidi, come l’ematite Fe 2O3 e la magnetite Fe3O4, il carbonato FeCO3, la siderite, e il solfuro FeS2, la pirite. Grandi giacimenti di ossidi di ferro si trovano negli Stati Uniti, in Svezia, in Francia e in Gran Bretagna. In Italia si trovano giacimenti di minerali ferrosi a Cogne in Val d’Aosta e nell’isola d’Elba. I minerali da cui si parte per la produzione industriale del ferro sono in prevalenza gli ossidi di ferro. Questi vengono ridotti a ferro metallico dal monossido di carbonio negli altiforni. Gli altiforni (figura 20.17) sono costruzioni alte 30 metri con le pareti rivestite da materiale refrattario capace di resistere alle elevate temperature raggiunte all’interno. L’altoforno viene caricato continuamente dall’alto con strati alterni di carbone e di minerali o rottami di ferro. Alla base dell’altoforno vi sono aperture per fare entrare aria sotto pressione. L’ossigeno dell’aria reagisce con il carbone formando monossido di carbonio CO. Dalla reazione si sviluppa molto calore. Il monossido di carbonio formatosi reagisce con l’ossido di ferro e lo riduce a ferro: I FIGURA PARLANTE Carico Gas caldi 220 °C Fe2O3 + 3CO → 2Fe + 3CO2 Il ferro prodotto fonde, grazie al calore sviluppato nella reazione di formazione del monossido di carbonio, e cola in un recipiente di raccolta detto crogiolo, da cui viene estratto. I minerali ferrosi introdotti nell’altoforno contengono molte impurezze, che vengono eliminate aggiungendo specifici composti. Per esempio, il calcare CaCO3 alle alte temperature raggiunte nell’altoforno si decompone in diossido di carbonio e ossido di calcio CaO. Aggiungendo silice SiO2, l’ossido di calcio si trasforma in silicato di calcio CaSiO3, che fonde e cola nel crogiolo. Qui il CaSiO3 viene facilmente separato dal ferro fuso, in quanto il silicato ha densità minore e galleggia. Il ferro che esce dall’altoforno non è ferro puro, ma una sua soluzione fusa, che contiene il 5% di carbonio e piccole quantità di altri elementi. Quando passa allo stato solido, questo materiale forma una lega ferrosa chiamata ghisa. Se il raffreddamento è rapido, si ottiene la ghisa bianca, dura e fragile. Se il raffreddamento è lento, si ottiene un materiale dalle migliori caratteristiche meccaniche, la ghisa grigia, utilizzata nelle componenti dei motori a scoppio, che devono resistere alle alte pressioni, e nei radiatori dei termosifoni. Per ottenere materiali con caratteristiche diverse occorre diminuire la percentuale di carbonio. La ghisa uscita dall’altoforno, ancora allo stato liquido, viene introdotta in un convertitore (figura 20.18), dove è mescolata con ossidi di ferro. L’ossigeno contenuto negli ossidi reagisce con il carbonio, il fosforo e lo zolfo presenti nella ghisa per formare ossidi volatili, che si liberano trascinando con sé altre impurezze. 400 °C 1 300 °C Zona di fusione Aria Scorie 1 600 °C Aria Scarico ghisa FIGURA 20.17 Schema di un altoforno. Sono riportati i valori delle temperature presenti all’interno. La temperatura non è uniforme, ma diminuisce salendo. 씰 Se la percentuale di carbonio in lega con il ferro è diminuita a valori compresi tra 2,5% e 0,5% si ottiene l’acciaio, mentre se la percentuale è ancora minore si ottiene il ferro dolce, cioè ferro praticamente puro. Il ferro dolce è facilmente lavorabile e si utilizza per laminati, fili, barre, profilati, ecc. L’acciaio può avere tantissime applicazioni, perché ha alta resistenza meccanica ed elevata elasticità. Al tempo stesso è un materiale duttile, malleabile e presenta maggiore resistenza alla corrosione rispetto al ferro puro. L’acciaio e il ferro dolce, sottoposti a forte riscaldamento seguito da rapido raffreddamento, subiscono la tempra, trattamento che migliora la resistenza meccanica e la durezza. Se si aggiungono agli acciai altri metalli, si ottengono gli acciai speciali, materiali dalle caratteristiche particolari. Molto importanti sono gli acciai inossidabili, che contengono cromo e nichel. Altri metalli aggiunti agli acciai sono il titanio, il vanadio, il tungsteno, il manganese, il silicio e il molibdeno. FIGURA 20.18 Caricamento di un convertitore in una industria metallurgica. Il materiale versato nel convertitore è ghisa fusa, che dopo il trattamento diviene acciaio. CH/267 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica 20.9 Altri elementi di transizione O ltre al ferro, tra gli elementi di transizione sono importanti il titanio, il cromo, il molibdeno, il tungsteno, il manganese, il cobalto, il nichel, il platino, il rame, l’argento, l’oro, lo zinco e il mercurio. Il titanio Ti è molto resistente alla corrosione, ha bassa densità e ottime caratteristiche meccaniche; è perciò usato per molte leghe metalliche. Il biossido di titanio TiO2, chiamato bianco di titanio, è usato come pigmento per la preparazione di smalti e vernici. Il cromo Cr è un metallo bianco, duro e assai resistente alla corrosione, tanto da essere usato per ricoprire altri metalli con la cromatura e per le leghe. L’acciaio inossidabile o acciaio inox è una lega di ferro (74%) con il 18% di cromo e l’8% di nichel. Molti composti di cromo sono colorati (cromo in greco significa colore) e sono usati come pigmenti per smalti e vernici. Altri composti del cromo sono usati per la concia delle pelli e nell’industria. I composti del cromo sono tossici. Il molibdeno Mo e il tungsteno W sono metalli molto resistenti all’ossidazione e sono usati in molte leghe. Hanno un’alta temperatura di fusione, rispettivamente 2 610 °C e 3 410 °C, e possono essere ridotti in fili sottili. I filamenti delle lampade a incandescenza sono costituiti da tungsteno. Il manganese Mn è un componente di molte leghe. I suoi composti si usano come coloranti e per la concia delle pelli. Il biossido di manganese MnO2 trova impiego nell’industria vetraria e nella fabbricazione delle pile a secco (cfr. § 19.10). Il cobalto Co è usato in alcune leghe metalliche. I suoi sali sono colorati e si adoperano per la colorazione delle ceramiche e dei vetri. Il nichel Ni è presente nelle leghe, in particolare nell’acciaio inox, ed è usato per la copertura di altri metalli con la nichelatura e per la produzione di monete metalliche. Trova impiego anche nella produzione di pile ricaricabili. Le batterie al nichel-ferro sono più leggere di quelle al piombo. FIGURA 20.19 Il platino Pt è un metallo bianco, inattaccabile dall’ossigeno e inalterabile, tanto da essere considerato nobile al pari dell’oro. Viene usato come catalizzatore, per contatti elettrici e nell’industria orafa. Rame nativo. Verso la metà del XVIII secolo alcuni minatori della Sassonia tentarono di estrarre il rame dalla niccolite. Riuscirono però solo a ottenere un metallo molto fragile. Qualcuno in un eccesso di collera esclamò «Il diavolo ti porti!». Poiché allora il diavolo era generalmente chiamato «vecchio Nick», a quel metallo fu dato il nome di kupfernickel, cioè «rame del diavolo». In seguito il nome fu abbreviato in nickel. Il rame Cu ha un elevato potenziale redox ed è quindi difficilmente ossidabile (figura 20.19). Fu prodotto allo stato elementare e utilizzato sin dal 3 500 a.C. È un metallo rossastro, tenero, duttile, malleabile, ottimo conduttore di calore e di elettricità, tanto da essere il componente fondamentale dei cavi elettrici. Il rame, l’argento e l’oro sono chiamati metalli da conio, in quanto per le loro proprietà meccaniche e di resistenza alla corrosione sono stati spesso usati per la coniazione delle monete. Il rame, in lega con lo stagno, forma il bronzo e, in lega con lo zinco, l’ottone. Esposto all’aria umida si copre lentamente di una patina verdastra di carbonato di rame, detto verderame. Tra i più importanti sali di rame c’è il solfato rameico CuSO4, molto usato come anticrittogamico. I sali di rame sono tossici. L’argento Ag è un metallo bianco, tenero, molto resistente all’ossidazione ed è il miglior conduttore di elettricità. L’argento puro è poco usato: in gioielleria si usa normalmente una sua lega contenente il 20% di rame. Molti metalli vengono ricoperti per via elettrochimica con l’argentatura. La parte riflettente degli specchi è un sottile strato di argento. L’annerimento degli oggetti di argento è dovuto alla formazione di solfuro di argento Ag 2S. Il bromuro d’argento AgBr è un composto fotosensibile, cioè esposto alla luce reagisce e si decompone in argento metallico e bromo. Per questa proprietà è usato nelle emulsioni delle pellicole fotografiche. CH/268 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica L’oro Au è un metallo giallo, brillante, molto resistente all’ossidazione. È inalterabile e non reagisce con gli acidi, essendo attaccato solo da una particolare miscela di composti: l’acqua regia (vedi § 20.14). Per questa sua resistenza all’ossidazione, l’oro con il platino e il palladio fa parte dei cosiddetti metalli nobili. Come il platino, si può trovare allo stato puro sotto forma di pepita. L’oro è molto malleabile: si riesce a farne fogli con lo spessore di un decimillesimo di millimetro. Per renderlo più duro lo si unisce in lega con altri metalli. L’oro bianco contiene il 20% di platino, l’oro rosso contiene rame e l’oro verde argento. Il titolo, cioè la concentrazione dell’oro nella lega, si esprime in carati: l’oro puro è a 24 carati; quello comunemente usato nelle lavorazioni orafe è a 18 carati, cioè contiene 18 parti in peso di oro su 24 parti totali. Lo zinco Zn è un metallo bianco, che resiste all’ossidazione in quanto si copre di un sottile strato di ossido. Si usa per ricoprire altri metalli con la zincatura. Costituisce l’involucro e l’anodo di alcune pile a secco. È essenziale per la vita degli animali e delle piante. Il mercurio Hg è l’unico elemento di transizione e l’unico metallo che a condizioni normali (c.n.) si trovi allo stato liquido. Ha elevata densità (13,6 g/cm3) e colore bianco argenteo, tanto che era chiamato argento vivo. Fonde a –39 °C e viene usato nei barometri e nei termometri, ma soprattutto nell’industria per l’estrazione di alcuni metalli. Viene anche usato per la fabbricazione delle lampade a vapori di mercurio, che danno una luce ricca di radiazioni ultraviolette. In lega con altri metalli forma gli amalgami. I suoi sali sono estremamente tossici. 20.10 Il non-metallo del gruppo 13: il boro 2 1 He H 4 3 Li 11 5 Be 12 Na Mg 19 K 37 Rb 55 Cs 87 Fr 20 Ca 38 Sr 56 Ba 6 B 13 Al 31 7 C 14 Si 32 Ga Ge 49 In 81 Tl 50 Sn 82 Pb 8 N 15 P 33 As 51 Sb 83 Bi 9 O 16 S 34 Se 52 10 F 17 Cl 35 Po Ar 36 Br 53 Te 84 Ne 18 Kr 54 I 85 At Xe 86 Boro (B). Configurazione elettronica esterna: s 2 p1. Numeri di ossidazione più comuni: 0, +3. Formula generale dei composti con l’idrogeno: XH3. Formula generale dei composti con l’ossigeno: X 2O3. Legami: covalenti. Rn 88 Ra I l boro è un elemento del gruppo 13, ma ha solo 5 elettroni e il suo volume atomico è piccolo. Pertanto le proprietà del boro sono quelle dei non-metalli, tanto che forma quasi sempre legami covalenti. Tra i composti del boro ricordiamo l’acido borico H3BO3, un acido debolissimo con proprietà disinfettanti, il perborato di sodio NaBO3, usato nei detersivi come ossidante e sbiancante in quanto si decompone liberando ossigeno atomico, il borace Na 2B4O5(OH)4·8H2O (figura 20.20) e i trialogenuri BX3 (X = F, Cl, Br, I). I composti del boro, nei quali l’elemento non raggiunge L →F la configurazione elettronica stabile dell’ottetto s 2p 6, sono | L •• →B ⎯ F piuttosto reattivi. Per esempio, nel trifluoruro di boro BF3 | l’atomo di boro può accogliere un quarto doppietto elettroL →F nico, come quello donato da basi di Lewis o da leganti (L) (cfr. § 20.7). FIGURA 20.20 Il borace è uno dei minerali più importanti da cui si possono ricavare i composti del boro. Il borace è utilizzato nell’industria dei saponi. CH/269 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica 20.11 Non-metalli del gruppo 14: il carbonio 2 1 He H 3 Carbonio (C); Silicio (Si); Germanio (Ge). 4 Li 11 Configurazione elettronica esterna: s 2 p 2. 5 Be 12 Na Mg Numeri di ossidazione più comuni: 0, +2, +4, –4. 19 K Formula generale dei composti con l’idrogeno: XH 4. 37 Formula generale dei composti con l’ossigeno: XO, XO 2. Rb 55 Legami: covalenti (Carbonio, Silicio). Cs 87 Fr In questo capitolo si parla del carbonio allo stato elementare e dei suoi composti inorganici. Ai composti organici del carbonio sono interamente dedicati i capitoli 22, 23 e 24. 20 Ca 38 Sr 56 Ba 6 B 13 Al 31 7 C 14 Si 32 8 N 15 P 33 Ga Ge As 49 In 81 Tl 50 51 Sn Sb 82 Pb 83 Bi 9 O 16 S 34 Se 52 10 F 17 Cl 35 Po Ar 36 Br 53 Te 84 Ne 18 Kr 54 I 85 At Xe 86 Rn 88 Ra A bbiamo visto nel § 20.6 che gli elementi del gruppo 14 hanno in comune la configurazione elettronica esterna s 2p 2 e che due di essi, stagno e piombo, sono metalli e due, carbonio e silicio, presentano le caratteristiche tipiche dei non-metalli. Carbonio e silicio stabiliscono generalmente quattro legami e il carbonio, per il suo piccolo raggio atomico, può formare anche doppi o tripli legami. Il carbonio, così come il silicio, ha un’enorme importanza e diffusione in natura. Allo stato elementare si può trovare carbonio puro sotto forma di cristalli o impuro in forme non cristallizzate. Le due tipiche forme cristalline in cui il carbonio si presenta sono estremamente diverse: il diamante e la grafite. Una terza forma è rappresentata dalla famiglia dei fullereni, forme cicliche di atomi di carbonio scoperte alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso e prodotte artificialmente. Il diamante, carbonio purissimo, è un solido costituito interamente da atomi di carbonio con ibridazione sp3 legati tra loro. Nei diamanti gli atomi sono uniti da legami covalenti puri così forti da farne il solido più duro che si conosca. Infatti il diamante è usato per incidere qualunque altro materiale. Il diamante fonde ad altissima temperatura (3500 °C) e non conduce la corrente elettrica, perché gli elettroni sono tutti impegnati nei forti legami covalenti. La sua brillantezza è data dalla trasparenza e dalla facilità con la quale scompone la luce nei vari colori. Nel 1950 alcuni scienziati riscaldarono la grafite a 1500 °C in presenza di metalli come nichel o ferro e sotto la pressione di 60 000 atm. Essi verificarono che in condizioni simili a quelle delle eruzioni vulcaniche il carbonio si scioglie nel metallo e forma diamanti (figura 20.21). La grafite ha una struttura cristallina che si differenzia dal quella del diamante per la diversa disposizione dei legami tra gli atomi. Nella grafite gli atomi di carbonio hanno infatti ibridazione sp2 anziché sp3. Gli atomi si uniscono perciò a formare strati che si sovrappongono gli uni agli altri con debolissime interazioni tra loro. La stuttura planare spiega perché la grafite sia un buon lubrificante e una sostanza facilmente sfaldabile. Rispetto al diamante è un po’ meno densa ed è uno dei componenti delle mine delle matite, in cui è mescolata con argilla. Detriti Roccia diamantifera FIGURA 20.21 Visione aerea e schema in sezione della grande miniera diamantifera di Kimberley (Sud Africa). Le miniere di diamanti sono scavate in modo da raggiungere antichi camini vulcanici non più attivi. La roccia diamantifera è costituita da frammenti di magma formatosi a grande profondità e a elevatissima pressione. Le forme non cristalline e non pure di carbonio sono i carboni fossili e i carboni vegetali, animali e artificiali. I carboni fossili derivano dalla disidratazione e fossilizzazione, più o meno completa, del legno di antiche foreste o di materiale vegetale accumulatosi in ambiente acquitrinoso. I resti vegetali, sepolti sotto decine o centinaia di metri di sedimenti e sottoposti a leggero riscaldamento, si trasformano in carbone fossile. A seconda delle condizioni ambientali e della durata della fossilizzazione si CH/270 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica formano materiali diversi con contenuto di carbonio crescente. Si forma prima la torba e poi lignite, litantrace e infine antracite, che ha un contenuto di carbonio del 98%. I carboni animali e i carboni vegetali si ottengono riscaldando ossa o legno ad alte temperature in assenza di ossigeno. Questi carboni sono molto porosi e sono usati per decolorare i vini, per potabilizzare le acque, nelle maschere antigas e in genere nei filtri per depurare i gas. Carboni artificiali sono il nerofumo, ottenuto bruciando il metano in difetto di ossigeno, e il carbone coke, ottenuto riscaldando il litantrace in assenza di ossigeno. Quando il carbonio reagisce con quantità limitate di ossigeno si forma il monossido di carbonio CO (figura 20.22): 2C + O2 → 2CO Il monossido di carbonio è un gas molto tossico, perché si lega stabilmente con la molecola di emoglobina, bloccandone il funzionamento. Antracite • Carbone fossile, dal greco anthrax «carbone». Il principale uso del carbone fossile è per la produzione di energia; una mole di carbonio, cioè 12 g, reagendo con l’ossigeno produce 393 kJ. Il carbone viene usato nell’industria anche per il suo potere riducente. Il carbone coke è un combustibile prodotto per distillazione del carbon fossile e impiegato per la produzione di energia negli impianti industriali. Viene caricato negli altiforni, dove agisce come riducente degli ossidi di ferro e come combustibile. FIGURA 20.22 Il monossido di carbonio è uno dei pochi composti inorganici in cui l’atomo di carbonio è legato all’altro atomo con tre legami. C ≡≡≡ O Quando il monossido di carbonio reagisce con l’ossigeno si forma il diossido di carbonio CO2, detto comunemente anidride carbonica. Il diossido di carbonio si forma anche direttamente quando il carbonio reagisce con quantità abbondanti di ossigeno: C + O2 → CO2 In questo caso l’atomo di carbonio lega entrambi gli atomi di ossigeno con un doppio legame (figura 20.23). Il diossido di carbonio viene preparato in laboratorio facendo reagire un acido con un carbonato: CaCO3 + 2HCl → CaCl2 + H2O + CO2 FIGURA 20.23 Nel diossido di carbonio l’atomo di carbonio forma un doppio legame con ciascuno dei due atomi di ossigeno. La molecola ha struttura lineare. O == C == O Si ottiene diossido di carbonio come sottoprodotto della preparazione dell’etanolo nelle distillerie. Per compressione passa facilmente allo stato liquido e viene messo in commercio in bombole. Si può trovare anche allo stato solido. Il diossido di carbonio solido, chiamato comunemente ghiaccio secco (figura 20.24), non fonde, ma sublima, cioè passa direttamente allo stato aeriforme, producendo un notevolissimo raffreddamento. Il potere refrigerante del ghiaccio secco, pari a 150 kcal/kg, è quasi il doppio di quello del ghiaccio di acqua. Il diossido di carbonio è molto solubile in acqua, perché reagisce con essa formando acido carbonico H2CO3: CO2 + H2O → H2CO3 L’acido carbonico H2CO3 è un acido debole diprotico. Quando reagisce con idrossidi di metalli alcalini e alcalino-terrosi forma sali, come il carbonato di sodio Na2CO3, o sali acidi, come l’idrogenocarbonato di sodio NaHCO3. I carbonati degli elementi del gruppo 1 sono solubili in acqua, mentre quelli dei gruppi 2 e 3 sono insolubili. FIGURA 20.24 Il diossido di carbonio solido, comunemente chiamato ghiaccio secco, si trova a –78 °C a pressione atmosferica. CH/271 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica 20.12 Non-metalli del gruppo 14: silicio e germanio D opo l’ossigeno, il silicio è l’elemento più abbondante sulla crosta terrestre, di cui costituisce il 26%. In natura non si trova allo stato elementare, ma sotto forma di ossido o di silicato. Si adopera per fare leghe ed essendo un semiconduttore è usatissimo nella fabbricazione dei componenti elettronici per apparecchiature digitali (figura 20.25). Come il carbonio, anche il silicio ha un comportamento chimico da nonmetallo, ma il suo raggio atomico è maggiore. Per questo motivo non riesce a formare legami doppi, come fa il carbonio nella molecola O == C == O (CO2), o tripli (cfr. § 11.4). La molecola con formula di struttura O == Si == O non può esistere; esiste però una specie chimica corrispondente in cui ci sono due atomi di ossigeno per ogni atomo di silicio, che ha formula minima SiO2 e nome diossido di silicio. Questo composto molecolare ha una struttura polimerica in cui ogni atomo di silicio è legato a quattro atomi di ossigeno e ogni ossigeno è legato a due atomi di silicio. In natura la sostanza che ha formula (SiO2)n è largamente diffusa e nelle varie forme in cui si presenta prende il nome generico di silice. Il minerale quarzo è silice pura disposta a formare cristalli ben riconoscibili. Di silice sono formati anche altri minerali, come calcedonio, agata, corniola, onice, diaspro e opale, conosciuti come pietre ornamentali. La silice è una sostanza solida che fonde ad alta temperatura e che resiste all’attacco di tutti gli acidi, a parte l’acido fluoridrico HF. Il disco a forma di wafer contiene numerosi circuiti integrati, i microchips, costituiti di silicio. Per la sua resistività elettrica intermedia tra quella dei conduttori e quella degli isolanti, il silicio è un semiconduttore e come tale permette il funzionamento di transistor, diodi e processori per computer. FIGURA 20.25 Il gel di silice, una sostanza amorfa, incolore e porosa, è ottenuto sottraendo parte dell’acqua presente nel polimero gelatinoso di acido silicico SiO2·n(H2O), prodotto a sua volta per aggiunta di acido cloridrico a una soluzione di silicato di sodio. Il gel di silice assorbe acqua e altre sostanze ed è perciò usato come disidratante e decolorante (figura 20.26). Dalla silice SiO2, riscaldata con carbone coke in un forno elettrico a circa 3 000 °C, si preparano quantità elevate di silicio allo stato elementare: SiO2(s) + 2C(s) → Si(s) + 2CO(g) FIGURA 20.26 Il gel di silice fu preparato per assorbire gas e vapori tossici nelle maschere antigas usate durante la prima guerra mondiale. Oggi trova impieghi vastissimi ovunque sia necessario assorbire l’umidità ed eliminare gas o vapori. I silicati sono i minerali più abbondanti in natura, in quanto costituiscono la crosta e il mantello del nostro pianeta e hanno perciò un’enorme importanza nel determinare le caratteristiche della Terra solida e i fenomeni geologici. I silicati sono formati da unità tetraedriche di ioni silicato SiO 44– e hanno differenti proprietà a seconda di come i tetraedri sono legati tra loro. Rocce molto note, come il granito, il porfido, il basalto, l’argilla e l’amianto, e tanti altri materiali, come il vetro, la ceramica e il cemento, sono costituiti da silicati. Anche alcune pietre preziose, come l’acquamarina, lo smeraldo e il granato, sono silicati. CH/272 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica I siliconi sono composti artificiali del silicio di notevole interesse industriale. Si tratta di polimeri inorganici formati da una catena principale di atomi di silicio alternati ad atomi di ossigeno. Ogni atomo di silicio completa gli altri due legami con gruppi tipici delle molecole organiche, come il gruppo metile ⎯ CH3 (figura 20.27 A). I siliconi sono materiali dotati di elevata elasticità. La catena principale del polimero è infatti molto flessibile, perché i legami tra l’atomo di silicio e i due atomi di ossigeno cui è legato si possono aprire e chiudere facilmente, come una forbice (figura 20.27 B). FIGURA 20.27 (A), i siliconi sono catene di atomi di silicio collegati da atomi di ossigeno. Quando legati al silicio ci sono due gruppi metile ⎯ CH3, il polimero è il polidimetilsilossano, il silicone più comune. (B), nei siliconi i legami tra silicio e ossigeno possono flettersi con estrema facilità. Ciò li rende adatti a essere impiegati come materiali elastici, oli lubrificanti e impermeabilizzanti. A CH3 Si CH3 CH3 O CH3 Si O CH3 Si CH3 O CH3 Si CH3 O Si CH3 CH3 B R O R Si R O R R R Si Si O O O O Il germanio allo stato elementare è un semiconduttore ed è usato per i transistor e i componenti elettronici. È un elemento piuttosto raro e si ricava dal diossido di germanio GeO2, un prodotto secondario dei minerali dello zinco. Una sostanza nota come germanio organico è usata in campo terapeutico per la proprietà di stimolare il sistema immunitario. 20.13 Gli elementi del gruppo 15 2 1 He H 4 3 Li 11 5 Be 12 K 37 Rb 55 Cs 87 Fr B 13 Na Mg 19 6 20 Al 31 Ca 38 56 In 81 Ba C 14 Si 32 8 N 15 P 33 9 O 16 S 34 Ga Ge As Se 49 Sr 7 Tl 50 Sn 82 Pb 51 Sb 83 Bi 52 10 F 17 Cl 35 84 Po Ar 36 Br 53 Te Ne 18 Kr 54 I 85 At Xe 86 Rn 88 Azoto (N); Fosforo (P); Arsenico (As); Antimonio (Sb); Bismuto (Bi). Configurazione elettronica esterna: s 2 p 3. Numeri di ossidazione più comuni: 0, –3, –1, +1, +2, +3, +4, +5. Formula generale dei composti con l’idrogeno: XH3. Formula generale dei composti con l’ossigeno: varie. Legami: ionici (Sb, Bi). Legami: covalenti (N, P, As). Ra G li elementi del gruppo 15 del Sistema periodico hanno in comune la configurazione elettronica esterna s 2p 3. Per raggiungere la configurazione stabile tendono perciò a catturare o a condividere tre elettroni. Questi elementi utilizzano i tre orbitali p con elettroni spaiati per formare tre legami covalenti e, in certi casi, mettono a disposizione l’orbitale s con doppietto per formare un legame dativo. I primi due elementi del gruppo, azoto e fosforo, sono tipicamente nonmetalli; gli ultimi due, antimonio e bismuto, posseggono anche caratteristiche comuni ai metalli. L’arsenico ha caratteristiche intermedie. L’azoto è l’elemento più abbondante e più importante del gruppo 15. CH/273 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica 20.14 L’azoto e i suoi composti L’ FIGURA 20.28 L’azoto liquido raffredda l’aria e provoca la condensazione del vapore acqueo in piccole nuvole. L’ammoniaca è irritante e tossica. Non è corrosiva, ma in presenza di ossigeno può attaccare metalli, come alluminio, rame e nichel. Se respirata in quantità elevate, provoca prima irritazione e tosse, poi emorragia polmonare. In caso di contatto con gli occhi può procurare lesioni permanenti; sulla pelle produce ustioni e necrosi dei tessuti. azoto costituisce circa il 78% dell’aria ed entra a far parte di migliaia di composti, di cui alcuni, come proteine, acidi nucleici, vitamine e ormoni, sono di enorme importanza biologica. Tra gli elementi del gruppo 15, l’azoto è l’unico che si trova libero in natura, l’unico allo stato gassoso e l’unico capace di formare doppi e tripli legami. La scarsa reattività dell’azoto molecolare N2 è dovuta al fatto che nella molecola biatomica i due atomi sono fortemente legati tra loro da un triplo legame. L’azoto è un gas incolore, inodore, poco solubile in acqua. Si prepara industrialmente portando l’aria allo stato liquido e poi separandone i costituenti per distillazione frazionata. Il basso valore del punto di ebollizione dell’azoto liquido (–196 °C) lo rende particolarmente utile per numerose applicazioni dovunque sia necessario raggiungere temperature molto basse (figura 20.28). L’azoto molecolare è la sostanza da cui si parte per la preparazione industriale di quasi tutti i composti azotati, primo fra tutti l’ammoniaca. L’ammoniaca NH 3 è un gas incolore, con forte e caratteristico odore pungente. È una base debole, solubile in acqua, con cui reagisce per formare lo ione ammonio e lo ione idrossido (figura 20.29): → NH +4 + OH – NH3 + H2O ←― L’ammoniaca si prepara industrialmente in enormi quantità col processo Haber-Bosch. Per sfruttare al meglio la reazione, la si fa avvenire a temperature comprese tra 400 e 600 °C, a pressioni comprese tra 150 e 1 000 atm e con catalizzatori a base di ossidi di ferro: ΔH = – 92 kJ/mol N2 + 3H2 ⇄ 2NH3; L’ammoniaca serve per preparare l’acido nitrico, i fertilizzanti e alcune materie plastiche. I sali di ammonio, come il nitrato di ammonio NH 4 NO3, il cloruro di ammonio NH4Cl e il solfato di ammonio (NH 4)2SO4, sono molto solubili in acqua. Il nitrato e il fosfato di ammonio sono impiegati in agricoltura come fertilizzanti chimici. FIGURA 20.29 Il doppietto elettronico libero dell’ammoniaca NH3 lega con un legame dativo un idrogenione rilasciato da una molecola d’acqua, per formare lo ione ammonio NH +4 . Questo ione ha struttura tetraedrica, con l’azoto al centro e i 4 atomi di idrogeno ai vertici. + + NH3 TABELLA 20.2 L’azoto si combina con l’ossigeno per formare ossidi, nei quali assume tutti i numeri di ossidazione possibili da +1 a +5. Nelle reazioni in cui è presente azoto si formano a volte miscugli dei vari ossidi, che vengono genericamente indicati con la formula NOx. NH+4 H2O OH – L’azoto forma con l’ossigeno sei ossidi diversi, in cui assume numero di ossidazione che va da +1 a +5 (tabella 20.2). Il monossido di diazoto N2O, chiamato anche gas esilarante perché produce un leggero stato di ebbrezza, è usato in anestesia. Il monossido d’azoto NO è un gas incolore e inodore, che si forma dalla combustione dei composti azotati ad alta temperatura; nelle reazioni si produce anche il biossido d’azoto NO2: N2 + O2 → 2NO 2NO + O2 → 2NO2 Formula N2O NO N2O3 NO2 N2O4 N2O5 Nome monossido di diazoto monossido d’azoto triossido di diazoto biossido d’azoto tetrossido di diazoto pentossido di diazoto Numero di ossidazione dell’azoto +1 +2 +3 +4 +4 +5 CH/274 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica La tossicità del monossido d’azoto è ridotta. Il biossido d’azoto, invece, è estremamente irritante, essendo un energico ossidante, molto reattivo e altamente corrosivo. Il biossido NO2 è un gas giallo-rossastro, dall’odore forte e pungente, che si forma anche per dissociazione delle molecole di tetraossido di diazoto detto anche ipoazotide N2O4, la sua forma dimera. Reagendo con l’acqua, gli ossidi d’azoto danno acido nitroso o acido diossonitrico (III) HNO2, piuttosto instabile, e acido nitrico o acido triossonitrico (V) HNO3, uno degli acidi più forti: Il colore giallognolo delle foschie che spesso ricoprono le città più inquinate è dovuto alla presenza del biossido d’azoto, prodotto anche dai motori a scoppio. N2O3 + H2O → 2HNO2 N2O4 + H2O → HNO2 + HNO3 N2O5 + H2O → 2HNO3 I sali dell’acido nitroso sono i nitriti, come il nitrito di sodio NaNO2, e quelli dell’acido nitrico sono i nitrati, come il nitrato di sodio NaNO3, tutti solubili in acqua. L’acido nitrico, dopo l’ammoniaca, è il più importante composto inorganico dell’azoto; la sua importanza dipende da tre proprietà: • è un acido, e perciò attacca i metalli per dare i sali; • è un ossidante, quindi è usato in molti processi in cui è richiesta una ossidazione; • è un agente nitrante, cioè è in grado di inserire il gruppo ⎯ NO2 nei composti organici (figura 20.30). L’acido nitrico attacca e porta in soluzione tutti i metalli, tranne l’oro e il platino. Per sciogliere questi due metalli si ricorre all’acqua regia, miscela costituita da tre parti di acido cloridrico e una parte di acido nitrico concentrati. L’acido nitrico viene anche largamente usato nella produzione di fertilizzanti, esplosivi e coloranti. FIGURA 20.30 Apparato per la nitrazione del benzene C6H6 con acido nitrico. Dall’alto scende benzene goccia a goccia; nel pallone riscaldato avviene la reazione e si forma il nitrobenzene. 20.15 Il fosforo e i suoi composti I l fosforo non si trova libero in natura. Allo stato elementare è un solido formato da molecole tetratomiche P4, in cui i quattro atomi di fosforo si trovano ai vertici di un tetraedro (figura 20.31). Si può presentare cristallizzato come fosforo bianco, un solido di colore ambrato, ceroso, insolubile in acqua, estremamente tossico e reattivo, e come fosforo rosso dal colore rosa-violetto, più stabile, non velenoso, che non fonde ma sublima a 550 °C e si scioglie soltanto nel piombo fuso. Il fosforo si lega all’idrogeno per formare la fosfina PH3, un gas velenoso. All’aria il fosforo brucia producendo una grande quantità di calore, perché reagisce violentemente con l’ossigeno. Molti suoi composti si comportano allo stesso modo, tanto da essere usati come innesco nei fiammiferi, nelle bombe incendiarie e nei fuochi d’artificio. Legandosi all’ossigeno, il fosforo dà due ossidi molecolari: l’esaossido di tetrafosforo P4O6 e il decaossido di tetrafosforo P4O10 (figura 20.32). Questi ossidi reagiscono a loro volta con l’acqua per dare due acidi: P4 FIGURA 20.31 A differenza dell’azoto, il fosforo non può formare doppi o tripli legami. In natura si trova sotto forma di molecola tetratomica P4, in cui ogni atomo è legato ad altri tre atomi di fosforo per dare una struttura tetraedrica. P4O6 + 6H2O → 4H3PO3 acido fosforoso o acido triossofosforico (III) P4O10 + 6H2O → 4H3PO4 acido fosforico o acido tetraossofosforico (V) A B FIGURA 20.32 (A), nell’esaossido di tetrafosforo P4O6 gli atomi di fosforo non sono legati tra loro direttamente, ma attraverso atomi di ossigeno. (B), nel decaossido di tetrafosforo P4O10 ci sono in più quattro atomi di ossigeno legati con legame dativo ai quattro atomi di fosforo. P4O6 P4O10 CH/275 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO Il fosforo fu scoperto ad Amburgo nel 1669 da Hennig Brand, che lo ricavò dall’urina. 20 Chimica inorganica L’acido fosforico H3PO4 è molto corrosivo, ma in piccole quantità è aggiunto alle bibite gassate per dare loro un sapore aspro. È un acido triprotico (cfr. § 18.9) e come tale dà sali con uno, due o tutti e tre gli atomi di idrogeno sostituiti. Con il sodio, per esempio, si formano diidrogenofosfato di sodio NaH2PO4, idrogenofosfato di sodio Na2HPO4 e fosfato di sodio Na3PO4. I sali dell’acido fosforico, i fosfati, sono ottimi concimi; quelli degli elementi del gruppo 1 sono solubili, a differenza di quelli del gruppo 2. Possono essere usati anche per ridurre la durezza delle acque. Come l’azoto, anche il fosforo è essenziale alla vita. Il fosfato tricalcico Ca3(PO4)2, insolubile in acqua, rappresenta il 60% in peso delle nostre ossa ed entra nella costituzione dei denti. Molti composti presenti nel nostro organismo contengono atomi di fosforo. Gruppi fosforici fanno parte degli acidi nucleici, delle molecole che costruiscono le membrane e di quelle che svolgono la funzione del trasferimento dell’energia chimica all’interno delle cellule. Anche le piante hanno bisogno di fosfati, che possono essere forniti artificialmente con i concimi chimici. 20.16 Arsenico, antimonio e bismuto L’ arsenico forma composti di formula analoga a quella dei composti del fosforo: l’arsina AsH3, l’acido arsenioso o acido triossoarsenico (III) H3AsO3 e l’acido arsenico o acido tetraossoarsenico (V) H3AsO4. Per la sua elevata tossicità, l’arsenico ha usi limitati. L’avvelenamento procurato da questo elemento è facilmente riconoscibile, anche dopo molti anni dalla morte. L’antimonio mostra un comportamento non-metallico poco marcato. In lega con il piombo e lo stagno forma il peltro; è inoltre usato, in lega col piombo, nella fabbricazione dei caratteri da stampa. Come l’acqua, l’antimonio possiede l’insolita proprietà di espandersi quando per raffreddamento passa allo stato solido. Per questa prerogativa viene impiegato per riempire le fessure degli stampi e produrre ghise con contorni perfettamente rifiniti. Tra i suoi composti più importanti figura il tartrato di antimonio e potassio, detto tartaro emetico, che nei secoli scorsi trovava largo impiego in medicina e in tintoria. PER SAPERNE DI PIÙ Il bismuto, di aspetto e comportamento metallico, è un elemento molto raro in natura. Le sue applicazioni riguardano soprattutto la preparazione di leghe metalliche. Napoleone e l’avvelenamento da arsenico La causa della morte di Napoleone è ancora oggetto di discussione. La versione ufficiale parla di morte dovuta a un tumore allo stomaco, come risultò dall’autopsia. Anche il padre di Napoleone morì per la stessa malattia. Alcuni storici sostengono invece che la morte di Napoleone sia stata causata da un lento avvelenamento da arsenico, che gli veniva somministrato in piccole dosi nei cibi per ordine delle autorità inglesi. Secondo un’altra ipotesi furono invece i medici che nell’isola di S. Elena curavano Napoleone a causarne la morte. Per alleviargli i dolori provocati dal tumore allo stomaco, lo sottoponevano a clisteri giornalieri e gli somministravano preparati emetici per farlo vomitare. Queste cure privarono l’organismo di Napoleone di sali, in particolare di quelli contenenti gli ioni potassio, e provocarono una grave forma di tachicardia, che lo uccise. CH/276 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica 20.17 Gli elementi del gruppo 16 2 1 He H 3 4 Li 11 5 Be 12 K 37 Rb 55 Cs 87 Fr B 13 Na Mg 19 6 20 Al 31 Ca 38 Sr In 81 Ba C 14 Si 32 Ga Ge 49 56 7 Tl 50 Sn 82 Pb 8 N 15 P 33 As 51 Sb 83 Bi 9 O 16 S 34 Se 52 10 F 17 Cl 35 Po Ar 36 Br 53 Te 84 Ne 18 Kr 54 I 85 At Xe 86 Ossigeno (O); Zolfo (S); Selenio (Se); Tellurio (Te); Polonio (Po). Configurazione elettronica esterna: s 2 p 4. Numeri di ossidazione più comuni: 0, –2, +4, +6. Formula generale dei composti con l’idrogeno: XH2. Formula generale dei composti con l’ossigeno: varie. Legami: covalenti. Rn 88 Ra G li elementi del gruppo 16 del Sistema periodico sono non-metalli, che hanno in comune la configurazione elettronica esterna s 2p 4. Questi elementi, per raggiungere la configurazione stabile, tendono a catturare o a condividere elettroni. Per formare i legami, che in genere sono covalenti, possono utilizzare i due orbitali p con elettroni spaiati, ma anche orbitali esterni con doppietto. In questo caso si formano legami dativi. Gli atomi di ossigeno e zolfo, inoltre, possono riunire i due elettroni spaiati in un unico orbitale, liberando da elettroni un orbitale p, che così diviene capace di accettare un legame dativo. L’ossigeno ha elettronegatività molto alta ed è l’elemento più importante del gruppo. 20.18 L’ossigeno L’ ossigeno costituisce il 46% della crosta terrestre, il 21% dell’aria e oltre il 25% del nostro corpo. Si trova nelle molecole dell’acqua, di tutti gli ossidi, degli ossoacidi, degli idrossidi e di quasi tutti i sali. Senza ossigeno non vi può essere vita, perché questo elemento partecipa ai processi metabolici in cui si produce l’energia necessaria ai sistemi viventi. L’ossigeno allo stato atomico O si trova stabilmente soltanto nel Sole (0,08%). Sulla Terra l’ossigeno atomico è instabile e, se viene prodotto artificialmente, si trasforma quasi immediatamente in ossigeno molecolare O2, in cui i due atomi sono legati da un doppio legame. L’ossigeno molecolare, che si trova nell’aria, è un gas inodore, poco solubile in acqua, energico ossidante e forte agente di corrosione. In genere le reazioni con l’ossigeno avvengono con produzione di calore e spesso di luce. Le reazioni con l’ossigeno sono reazioni di ossidoriduzione o di combustione. Industrialmente l’ossigeno si prepara, come l’azoto, per distillazione frazionata dell’aria liquida. La maggior parte dell’ossigeno è utilizzato nell’industria metallurgica. L’altra forma dell’ossigeno è l’ozono, un composto che ha formula O3, cioè è formato da tre atomi di ossigeno (figura 20.33). L’ozono si produce quando le molecole di ossigeno O2 sono colpite da radiazioni ad alta energia, da fulmini o da scariche elettriche: 3O2 → 2O3. L’ozono è un gas azzurro, dotato di caratteristico odore pungente. È un composto instabile che si decompone per dare ossigeno molecolare e ossigeno atomico: O3 → O2 + O. Quest’ultimo è un ossidante molto energico. L’ozono è infatti usato per ossidare, sbiancare, disinfettare, disinfestare, deodorare e per la potabilizzazione dell’acqua. Per la sua elevata reattività è considerato uno dei più pericolosi inquinanti dell’aria. L’acqua ossigenata, nota ai chimici come perossido di idrogeno, ha for- b SCHEDA DI LABORATORIO Decomposizione dell’acqua per elettrolisi O O A O FIGURA 20.33 Nella molecola di ozono O3 due atomi di ossigeno sono legati da un doppio legame e il terzo atomo è unito da un legame dativo. APPROFONDIMENTO Il buco dell’ozono CH/277 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO L’acqua ossigenata H2O2 si decompone tanto più rapidamente quanto più è concentrata, arrivando a decomposizioni esplosive quando è allo stato puro. 20 Chimica inorganica mula molecolare H 2O2 e formula di struttura H ⎯ O ⎯ O ⎯ H; a differenza dell’acqua i due atomi di ossigeno sono legati tra loro (cfr. § 13.9). È solubile in acqua in tutte le proporzioni. Si trova in commercio per uso medico sotto forma di soluzione acquosa che contiene dal 3 al 6% in massa di H 2O2. Viene usata per ossidare, sbiancare, decolorare e disinfettare. Il perossido di idrogeno tende a decomporsi in acqua ed è per questo motivo che le soluzioni di H 2O2 perdono in fretta il potere ossidante. 20.19 Lo zolfo e i suoi composti A differenza dell’ossigeno, lo zolfo in natura non si trova sotto forma di molecole biatomiche, ma sotto forma di molecole ottoatomiche S 8 (figura 20.34 A). Allo stato elementare si trova in giacimenti a forma di ampia cupola, profondi tra 60 e 600 m sotto la superficie terrestre. Sono molto più abbondanti i suoi composti, soprattutto solfuri e solfati. Lo zolfo elementare è un solido giallo (figura 20.34 B), che brucia con fiamma azzurra e un forte odore caratteristico dovuto alla formazione del diossido di zolfo SO2, noto anche come anidride solforosa. A FIGURA 20.34 (A), struttura dello zolfo elementare. Lo zolfo, che non riesce a stabilire doppi legami e quindi molecole biatomiche, forma molecole ottoatomiche, chiuse ad anello, in cui gli atomi sono legati tra loro con legami singoli. (B), lo zolfo elementare si trova sotto forma di cristalli di colore giallo. Il triossido di zolfo, reagendo con l’acqua, sia liquida sia allo stato di vapore, origina rapidamente acido solforico H2SO4, responsabile in gran parte del fenomeno delle piogge acide. La presenza di H2SO4 fa aumentare l’acidità delle precipitazioni con effetti deleteri sugli ecosistemi e sui materiali. B S S S S S S S S Lo zolfo è usato nella vulcanizzazione del caucciù per la preparazione dei pneumatici degli automezzi e per la preparazione dell’ebanite, una delle prime materie plastiche. La vulcanizzazione è un processo a cui viene sottoposto il caucciù per trasformarlo da una massa plastica in una massa elastica. Se al caucciù si aggiunge meno del 10% di zolfo si ottiene la gomma, se si supera il 30% l’ebanite. Si usa zolfo anche per la preparazione della polvere pirica e per combattere un fungo parassita della vite, la peronospora. Grandi quantità di zolfo sono destinate alla produzione dell’acido solforico H2SO4. Lo zolfo forma due ossidi acidi: il diossido di zolfo SO2 e il triossido di zolfo SO3 (figura 20.35). Il diossido di zolfo è un composto tossico, che si forma nelle combustioni dello zolfo e dei combustibili contenenti impurezze di zolfo. Dall’ossidazione del diossido di zolfo si ottiene il triossido di zolfo, utilizzato per la produzione dell’acido solforico. Sia il diossido sia il triossido di zolfo sono composti a carattere acido; in acqua formano rispettivamente gli ossoacidi acido solforoso e acido solforico: SO2 + H2O → H2SO3 acido solforoso o acido triossosolforico (IV) SO3 + H2O → H2SO4 acido solforico o acido tetraossosolforico (VI) FIGURA 20.35 La struttura molecolare dei due ossidi dello zolfo, il diossido SO2 e il triossido SO3. SO2 CH/278 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio SO3 CAPITOLO 20 Chimica inorganica L’acido solforico è un acido fortissimo, si trova in commercio sotto forma di soluzione concentrata al 98% P/P e, oltre ad agire come acido, è un agente ossidante e disidratante. L’acido solforico è dal punto di vista industriale l’acido più importante. È utilizzato per la preparazione di detersivi, fertilizzanti, coloranti, esplosivi e liquidi per batterie. I sali dell’acido solforoso e dell’acido solforico si chiamano rispettivamente solfiti e solfati. Tra i più importanti solfati ricordiamo il solfato di calcio CaSO4, che cristallizzato con due molecole d’acqua costituisce il gesso, il solfato di rame CuSO4, usato come anticrittogamico, e il solfato di ammonio (NH4)2SO4, un importante fertilizzante azotato. L’acido solforico è una sostanza corrosiva, che provoca bruciore agli occhi e, se inalato, determina mal di gola, tosse e difficoltà respiratorie. A contatto con la pelle causa ustioni e formazione di vesciche. Lo zolfo con l’idrogeno forma un idracido, l’acido solfidrico o solfuro di idrogeno H2S. Nonostante la sua formula sia analoga a quella dell’acqua, i due composti sono molto diversi. L’acido solfidrico è un acido e a temperatura ambiente si trova allo stato gassoso. Un atomo di zolfo ha un raggio maggiore di un atomo di ossigeno, per cui è meno elettronegativo. I legami idrogeno che l’acido solfidrico può formare sono meno forti rispetto a quelli dell’acqua. Le molecole di H2S sono più libere e passano allo stato aeriforme con grande facilità. L’acido solfidrico è un gas incolore, tossico e dall’odore nauseante, molto simile a quello delle uova marce. In natura si trova nelle acque sulfuree e nelle esalazioni vulcaniche. I sali dell’acido solfidrico si chiamano solfuri. Fra i tanti solfuri ricordiamo il solfuro di ferro FeS, la pirite FeS2 e la galena PbS. PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 3. Quali sono i prodotti che si formano dalla reazione con acqua degli ossidi N2O3, N2O5, P4O10 e SO3? 3. Quali sono i prodotti che si formano dalla reazione con acqua degli ossidi CO2, As2O3 e Cl2O? Il composto N2 O3 è un ossido acido, per cui con acqua dà una reazione di sintesi con formazione di un acido: N2 O3 + H2 O → 2HNO2 4. Indica attraverso quali reazioni si possono preparare i composti H2S, H2SO3 e H2SO4. Nell’acido HNO2 l’azoto ha numero di ossidazione +3, il più basso tra i due più comuni, e perciò il composto prende il nome di acido nitroso. Il composto N2O5 è un ossido acido, per cui con acqua dà una reazione di sintesi con formazione di un acido diverso dal precedente: N2 O5 + H2 O → 2HNO3 Nell’acido HNO3 l’azoto ha numero di ossidazione +5, il più alto tra i due più comuni, e perciò il composto prende il nome di acido nitrico. Il composto P4O10 è un ossido acido, per cui con acqua dà una reazione di sintesi con formazione di un acido. L’ossido P4O10 reagisce con 6 molecole di acqua: P4O10 + 6H2 O → 4H3PO4 Nell’acido H3PO4 il fosforo ha numero di ossidazione +5, il più alto che può assumere, e perciò il composto prende il nome di acido fosforico. Il composto SO3 è un ossido acido, per cui con acqua dà una reazione di sintesi con formazione di un acido: SO3 + H2 O → H2 SO4 Nell’acido H2 SO4 lo zolfo ha numero di ossidazione +6, il più alto che può assumere, e perciò il composto prende il nome di acido solforico. CH/279 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica 20.20 Un non-metallo senza gruppo: l’idrogeno 2 1 He H 4 3 Li Idrogeno (H). 11 5 Be 12 Na Mg Configurazione elettronica esterna: s 1. 19 Numeri di ossidazione più comuni: –1, 0, +1. 37 Legami: ionici, covalenti. 55 K Rb Cs 87 Fr 20 Ca 38 Sr 56 Ba 6 B 13 Al 31 7 C 14 Si 32 Ga Ge 49 In 81 Tl 50 Sn 82 Pb 8 N 15 P 33 As 51 Sb 83 Bi 9 10 O 16 S 34 Se 52 F 17 Cl 35 Po Ar 36 Br 53 Te 84 Ne 18 Kr 54 I 85 At Xe 86 Rn 88 Ra N La reazione di 2 grammi di idrogeno molecolare con ossigeno molecolare produce acqua H2O(l) e libera ben 286 kJ di energia. on tutti gli elementi trovano una precisa collocazione nel Sistema periodico. È il caso dell’idrogeno, che col numero atomico Z = 1 è l’elemento più semplice e ha caratteristiche tutte particolari. L’idrogeno ha un solo elettrone nell’orbitale s, come gli elementi del gruppo 1, e con un altro elettrone raggiunge la configurazione stabile, come gli elementi del gruppo 17. Basandosi sul valore di elettronegatività è classificabile tra i semimetalli e per le caratteristiche chimiche si avvicina di più agli elementi del gruppo 17. L’idrogeno allo stato atomico H è chiamato idrogeno nascente. Per la sua configurazione elettronica è molto instabile e reattivo. Appena preparato si trasforma in idrogeno molecolare H2 , stabilissimo. L’idrogeno molecolare H2 è un gas incolore, inodore, insolubile in acqua. È altamente infiammabile ed è un ottimo combustibile. In laboratorio l’idrogeno si può preparare per elettrolisi dell’acqua o mettendo a reagire pezzi di zinco con acido cloridrico: Zn + 2HCl → ZnCl2 + H2 Fino a qualche tempo fa l’idrogeno veniva prodotto industrialmente facendo passare vapor d’acqua sul carbone con la reazione definita del gas d’acqua, un processo chimico utilizzato per oltre un secolo: C(s) + H2 O(g) → H2(g) + CO(g) Oggi la maggior parte dell’idrogeno si produce col processo di reforming catalitico degli idrocarburi: Nell’atmosfera della Terra l’idrogeno, che è quasi 15 volte più leggero dell’aria, è contenuto in piccola quantità, perché risente poco dell’attrazione terrestre e tende a sfuggire nello spazio. CH4(g) + H2 O(g) → 3H2(g) + CO(g) Nell’industria l’idrogeno trova numerose applicazioni: per la produzione dell’ammoniaca NH3 e del metanolo CH3OH, per la trasformazione di oli poco costosi in grassi idrogenati utilizzati nell’alimentazione, come la margarina, e per la preparazione di molti composti organici. L’idrogeno costituisce il 70% della materia dell’universo. L’energia del Sole e della maggior parte delle altre stelle si produce nel nucleo di questi corpi celesti, dove avviene la reazione di fusione termonucleare dell’idrogeno che diventa elio (figura 20.36). L’idrogeno forma composti binari con quasi tutti gli elementi. Con atomi poco elettronegativi forma gli idruri, come l’idruro di sodio NaH e l’idruro di calcio CaH2 , in cui ha numero di ossidazione –1; con atomi molto elettronegativi forma gli idracidi, come l’acido cloridrico HCl e l’acido solfidrico H2 S, in cui ha numero di ossidazione +1. Si trovano atomi di idrogeno combinati in quasi tutti i composti organici. Il 60% degli atomi presenti nel corpo umano è costituito da atomi di idrogeno, la maggior parte dei quali è legata agli atomi di ossigeno dell’acqua. Il composto più importante dell’idrogeno è l’acqua. CH/280 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica FIGURA 20.36 Nella parte più interna del Sole i nuclei di idrogeno si fondono per formare elio attraverso una reazione termonucleare, che libera un’enorme quantità di energia. Zona convettiva Zona radiativa Nucleo L’acqua ricopre il 70% circa della superficie terrestre, costituisce oltre il 70% in peso delle cellule degli organismi e il 67% in peso del nostro corpo (figura 20.37). L’acqua è un elettrolita anfotero (cfr. § 18.5). La sua costante di dissociazione ha un valore molto basso e il suo pH è 7,0, cioè è neutro. L’acqua è un ottimo solvente, sia per i composti ionici che per quelli le cui molecole presentano dipoli e sono legate da legami idrogeno. Con gli elementi dei primi gruppi l’acqua forma idrossidi e libera idrogeno: 2Na + 2H2 O → 2NaOH + H2 con gli elementi dell’ultimo gruppo forma idracidi e ossoacidi: Cl2 + H2 O → HCl + HClO con gli ossidi basici forma gli idrossidi: Na2 O + H2 O → 2NaOH con gli ossidi acidi forma gli ossoacidi: Cl2 O + H2 O → 2HClO Dalla combustione di tutti i composti contenenti atomi di idrogeno si ottiene acqua. La maggior parte degli atomi di idrogeno introdotti nel nostro organismo con gli alimenti viene eliminata sotto forma di acqua, che si produce nelle reazioni del metabolismo energetico. Nel nostro organismo l’acqua funziona da solvente, da trasportatore e accumulatore di calore, da veicolo per i materiali nutritizi e di rifiuto, da isolante termico, da liquido refrigerante a seguito della sudorazione e da ammortizzatore degli urti. kg 75 A APPROFONDIMENTO Idrogeno: il combustibile delle stelle 100 % 90 % 80 % Ossa kg 2,5 70 % Tessuti molli kg 2,5 60 % Sangue kg 3,5 50 % Linfa e liquido interstiziale kg 9 FIGURA 20.37 L’acqua è il composto più abbondante nei sistemi viventi. Nell’uomo adulto costituisce mediamente il 67% del peso corporeo. 40 % 30 % Acqua cellulare kg 32,5 20 % 10 % 0% CH/281 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica 20.21 Gli elementi del gruppo 17 2 1 He H 3 Fluoro (F); Cloro (Cl); Bromo (Br); Iodio (I); Astato (At). 4 Li 11 5 Be 12 Na Mg Configurazione elettronica esterna: s 2 p 5. 19 K Numeri di ossidazione più comuni: 0, –1, +1, +3, +5, +7. 37 Formula generale dei composti con l’idrogeno: XH. Rb 55 Formula generale dei composti con l’ossigeno: varie. Cs Legami: ionici e covalenti. 87 Fr 20 Ca 38 Sr 56 Ba 6 B 13 Al 31 7 C 14 Si 32 Ga Ge 49 In 81 Tl 50 Sn 82 Pb 8 N 15 P 33 As 51 Sb 83 Bi 9 O 16 S 34 Se 52 10 F 17 Cl 35 Po Ar 36 Br 53 Kr 54 I Te 84 Ne 18 85 Xe 86 At Rn 88 Ra G li elementi del gruppo 17 del Sistema periodico sono detti alogeni, cioè generatori di sali, e hanno in comune la configurazione elettronica esterna s 2p 5. Questi elementi hanno una notevolissima tendenza a catturare un elettrone per raggiungere la configurazione stabile dell’ottetto s 2p 6. Hanno elevata elettronegatività, sono energici ossidanti e hanno alta tossicità. Allo stato elementare tutti gli alogeni si trovano come molecole biatomiche e difficilmente si rinvengono liberi in natura, perché sono molto reattivi. 20.22 Il cloro e i suoi composti I l cloro è un gas di colore verdastro, fortemente irritante e velenoso, usato come arma chimica nella prima guerra mondiale. Si prepara industrialmente per elettrolisi del cloruro di sodio allo stato fuso o dello stesso sale in soluzione. Nel secondo caso, il cloro si produce all’anodo, dove avviene l’ossidazione dello ione cloruro, mentre al catodo si ha la riduzione degli idrogeni dell’acqua e si formano ioni idrossido: Saliva all’anodo, ossidazione: al catodo, riduzione: pH basico – 2Cl (aq) → Cl2(g) + 2e – – 2H2O(l) + 2e – → H2(g) + 2OH (aq) Il cloro gassoso è solubile in acqua. La soluzione acquosa di cloro, detta acqua di cloro, ha elevato potere sbiancante e disinfettante. In soluzione, infatti, si verifica una reazione che porta alla formazione di acido ipocloroso HClO e di acido cloridrico HCl: Succhi gastrici pH acido FIGURA 20.38 I succhi digestivi attuano la demolizione chimica delle molecole del cibo. Il succo gastrico che si produce nello stomaco è fortemente acido per la presenza di acido cloridrico HCl. Il colore azzurro indica ambiente basico, quello rosso ambiente acido. L’acido cloridrico è una sostanza corrosiva. Quando è concentrato dà irritazione alla gola, tosse e respiro affannoso, se inalato. I sintomi si possono presentare anche in ritardo. A contatto con la pelle determina arrossamento e gravi ustioni. Dà bruciore agli occhi, offusca la vista e provoca ustioni profonde. Cl2 + H2O ⇄ HClO + HCl L’acido cloridrico è un gas incolore, di odore irritante, solubilissimo in acqua. È un acido fortissimo, che in acqua si dissocia quasi completamente; è uno degli acidi più usati nell’industria e in laboratorio. Attacca tutti i metalli che hanno un potenziale di riduzione standard negativo. In laboratorio si ottiene facendo reagire cloruro di sodio con acido solforico. Il metodo ha il vantaggio di formare acido cloridrico allo stato gassoso e di evitare l’ossidazione dello ione cloruro: 2NaCl(s) + H2SO4(l) → Na2SO4(s) + 2HCl(g) Nel nostro stomaco l’acido cloridrico costituisce lo 0,5% del succo gastrico e conferisce a questo liquido il pH acido necessario alla digestione (figura 20.38). I sali dell’acido cloridrico si chiamano cloruri. Il cloro forma con l’ossigeno quattro ossidi acidi, che a loro volta con l’acqua danno quattro ossoacidi: Cl2O + H2O Cl2O3 + H2O Cl2O5 + H2O Cl2O7 + H2O → → → → 2HClO 2HClO2 2HClO3 2HClO4 acido ipocloroso o acido ossoclorico (I) acido cloroso o acido diossoclorico (III) acido clorico o acido triossoclorico (V) acido perclorico o acido tetraossoclorico (VII) CH/282 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 20 Chimica inorganica Tra i quattro ossoacidi formati dal cloro, l’acido ipocloroso è il più debole e l’acido perclorico è il più forte. I sali di questi acidi si chiamano rispettivamente ipocloriti, cloriti, clorati e perclorati. L’ipoclorito di sodio NaClO è un componente della candeggina, uno sbiancante per il bucato. Il clorato e il perclorato di potassio, KClO3 e KClO4, sono usati nella preparazione degli esplosivi e dei fuochi artificiali, in quanto sono forti agenti ossidanti. 20.23 Fluoro, bromo, iodio e loro composti I l fluoro è un gas giallastro, fortemente irritante. È l’elemento che in assoluto possiede la più alta elettronegatività e il più alto potenziale di riduzione standard. Il fluoro reagisce facilmente con tutti gli elementi, ossidandoli. In natura si trova combinato sotto forma di fluoruri, cioè sali dell’acido fluoridrico HF. L’acido fluoridrico è un acido forte, che attacca persino il vetro; infatti viene usato per smerigliare i vetri. I fluoruri presenti in soluzione possono essere assorbiti dallo smalto dei denti, aumentandone la durezza e quindi la resistenza alla carie (figura 20.39). Per questo motivo l’uso dei dentifrici al fluoro è molto diffuso e in qualche caso si è fatto ricorso all’aggiunta di fluoruri all’acqua potabile (1÷2 g per 1 000 m3). Un importante composto del fluoro è il teflon, ottenuto per polimerizzazione del tetrafluoroetilene F2 C === CF2 . Si tratta di una materia plastica caratterizzata da una straordinaria inerzia chimica e resistenza al calore. Sono di teflon, per esempio, i fondi delle pentole antiaderenti. Il bromo è un liquido rosso e lo iodio un solido nero-violaceo. Il bromo serve per la preparazione di molti farmaci e la produzione del dibromo etano BrCH2 ⎯ CH2Br, un additivo delle benzine. Il bromuro d’argento AgBr si usa nelle pellicole e nelle carte fotografiche. L’acido bromidrico HBr è un acido forte. Il bromuro di potassio è un sedativo del sistema nervoso. Il bromo serve inoltre a ottenere alcuni derivati organici bromurati, utilizzati come prodotti terapeutici, sostanze lacrimogene, materie coloranti. FIGURA 20.39 Al bambino viene inserito un dente al fluoruro per prevenire la carie. Il dente fa aumentare la concentrazione di ioni fluoruro nella saliva fino a 0,7÷1,5 mg/L. Il dente viene fissato con una resina e il fluoruro è liberato lentamente per oltre 2 anni. I composti dello iodio sono abbondanti in alcune alghe. L’elemento si può ricavare anche da acque minerali ricche di iodio. La fonte principale di iodio è il nitrato del Cile, che contiene notevoli quantità di iodati. È un ossidante e un disinfettante: la tintura di iodio è una soluzione alcolica di iodio. tutto negli alimenti di origine marina, come sgombri, merluzzi, cozze, tonni e scampi, mentre il contenuto in iodio delle verdure dipende dai terreni di coltivazione. In particolare i crostacei marini sono cibi caratterizzati da concentrazioni relativamente elevate di iodio e di alcuni ioni metallici importanti per la corretta regolazione del metabolismo. La loro presenza nella dieta è consigliabile, in assenza di controindicazioni specifiche. Lo iodio nel corpo CH/283 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio PER SAPERNE DI PIÙ La quantità di iodio contenuta nel corpo umano è solo 40 mg, il 60% dei quali si trova nella tiroide, il rimanente nelle ovaie, nel sangue e nei muscoli. Nella tiroide fa parte della molecola di triiodotironina (T3) e di quella di tiroxina (T4), due ormoni che influenzano il metabolismo. Dal punto di vista clinico la carenza di iodio causa ipotiroidismo, gozzo, rischio di aborto e cretinismo. Lo iodio, assorbito nell’intestino tenue ed eliminato con le urine, è contenuto soprat- CAPITOLO 20 Chimica inorganica 20.24 Gli elementi del gruppo 18 G li elementi del gruppo 18 del Sistema periodico hanno in comune la configurazione elettronica esterna s2p 6, tranne l’elio, elemento del primo periodo, che ha configurazione s2. Questi elementi non hanno la minima tendenza né a cedere, né ad acquistare, né a condividere elettroni. Sono infatti caratterizzati da una marcata inerzia chimica; solo nel 1962 è riuscita la preparazione di alcuni instabili composti di questi elementi. Per la loro scarsissima reattività si chiamano gas inerti o gas nobili. Sono presenti in bassissima percentuale (1%) nell’aria e perciò sono chiamati anche gas rari. Si ricavano dalla distillazione frazionata dell’aria liquida. Sono tutti monoatomici. 2 1 H 3 4 Li 11 5 Be 12 Na Mg 19 K 37 Rb 55 Cs 87 Fr 20 Ca 38 Sr 56 Ba 6 B 13 Al 31 7 C 14 Si 32 Ga Ge 49 In 81 Tl 50 Sn 82 Pb 8 N 15 P 33 As 51 Sb 83 Bi 9 O 16 10 F 17 S 34 18 Cl 35 Se 52 36 Br 53 Te 84 54 I 85 Po 86 At 88 Ra L’elio, subito dopo l’idrogeno, è l’elemento più abbondante dell’universo, con oltre il 20% degli atomi. Molto più leggero dell’aria, l’elio è usato per riempire gli aerostati e i palloni sonda (figura 20.40). Si usa anche come diluente dell’ossigeno nelle bombole per immersioni subacquee. Nuovi campi di applicazione dell’elio consistono nell’impiego come fluido di raffreddamento nella tecnologia delle basse temperature e come agente pressurizzante per espellere i combustibili liquidi nei serbatoi dei razzi. Elio (He); Neon (Ne); Argo (Ar); Cripto (Kr); Xeno (Xe); Radon (Rn). Configurazione elettronica esterna: s 2 p 6 o s 2. Numeri di ossidazione più comuni: 0. Non stabiliscono legami. L’argo, il gas inerte più abbondante nell’aria, è usato per riempire i bulbi delle lampadine elettriche. L’uso più importante del neon è nell’illuminazione. Se si fa scoccare una scintilla elettrica in tubi contenenti neon a bassa pressione, si ha un’intensa luce rosso-arancio. Se, oltre al neon, nel tubo vi sono tracce di altri gas inerti, si hanno altri colori. I tubi al neon hanno il vantaggio di produrre limitate quantità di calore e a parità di consumo di elettricità danno più luce delle lampadine a incandescenza. Glossary FIGURA 20.40 Nei palloni sonda è contenuto elio, un gas inerte che rimane allo stato aeriforme anche alle basse temperature presenti nell’alta atmosfera. Alkali metals (metalli alcalini) The elements of the group 1 of the Periodic table: lithium (Li), sodium (Na), potassium (K), rubidium (Rb), caesium (Cs) and francium (Fr). They have the outer electronic configuration ns1. Alkaline earth metals (metalli alcalino-terrosi) The elements of the group 2 of the Periodic table: beryllium (Be), magnesium (Mg), calcium (Ca), strontium (Sr) and barium (Ba). They have the outer electronic configuration ns 2. Alloy steels (acciai speciali) A steel with small quantities of other elements such as manganese, silicon, chromium, molybdenum and nickel. Alloy steels have special properties. Blast furnace (altoforno) A furnace for reducing iron oxides to metallic iron using carbon monoxide as reducing agent. The carbon monoxide is obtained by blasting the coke with hot air. Cast iron ( ghisa) An iron alloy with a carbon contents varying from 2,5% to 5%. Complex (complesso) A compound in which molecules or ions form dative bonds to a metal atom or ion. Halogens (alogeni) The elements of the group 17 of the Periodic table: fluorine (F), chlorine (Cl), bromine (Br), iodine (I) and astatine (At). They have the outer electronic configuration ns 2 np5. Ligand (legante) An ion or molecule that donates a pair of electrons to a metal atom or ion in forming a coordination complex. Noble gases ( gas nobili ) The elements of the group 18 of the Periodic table: helium (He), neon (Ne), argon (Ar), krypton (Kr), xenon (Xe), radon (Ra). The electron configuration of helium is 1s 2. The outer electronic configuration of the others elements is ns 2 np6. Steel (acciaio) An iron alloy with a carbon contents varying from 0,5% to 2,5%. CH/284 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio FACCIAMO IL PUNTO Domande aperte 19 Quali sono le caratteristiche comuni a tutti gli elementi del 11 Che cosa studia la chimica inorganica? Per quale motivo 12 13 14 15 16 17 18 non è necessario studiare nel dettaglio le caratteristiche di tutti gli elementi del Sistema periodico? Descrivi come è possibile preparare un metallo a partire dai suoi composti. Che cosa è il processo Solvay? Quali sono gli elementi più importanti e diffusi del gruppo 2 del Sistema periodico? Quali sono i composti più comuni in cui li troviamo? Quali elementi del gruppo 13 hanno caratteristiche metalliche? E quali del gruppo 14? Descrivi il processo industriale di preparazione del ferro e indica la composizione delle sue leghe più importanti. Che cosa è un composto di coordinazione? Qual è il legame presente nei composti di coordinazione? Definisci la geometria e il numero di coordinazione. 11 12 13 14 15 16 A Esercizi di completamento 17 10 gruppo 14 del Sistema periodico? Quali sono invece le più spiccate differenze tra gli stessi elementi? Definisci le proprietà dei principali composti inorganici del carbonio. Quali sono le principali proprietà chimiche dell’azoto? Queste proprietà sono tali da farlo considerare l’elemento più rappresentativo del gruppo 15 del Sistema periodico? Quali sono le differenze fondamentali tra una molecola di ozono e una di ossigeno? Perché lo zolfo elementare non si presenta come l’ossigeno in forma di molecole biatomiche? L’acido solforico è una delle sostanze più importanti per l’industria chimica. Descrivi le sue proprietà. Quali sono le caratteristiche comuni agli elementi della famiglia degli alogeni? Che cosa indica il termine «gas nobile»? Come si differenzia l’abbondanza dei vari gas inerti nell’universo? Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello spazio vuoto il termine opportuno. Gli elementi del gruppo ………………………………………… con spiccate caratteristiche non-metalliche sono carbonio e …………………………………………………… . Il carbonio si trova in natura in due forme: ………………………………………………………… e diamante. Il silicio elementare si può produrre per riduzione del ………………………………………………………… ……………………………………………………………………… ………………………………………………… formula ……………………… o silice SiO2 attraverso una reazione con frazionata dell’ ……………………………………… …………………………………………………… liquida e si trova come molecola biatomica con un legame tra i due atomi di azoto. Il fosforo invece allo stato solido ha struttura …………………………………………………………… e . La molecola in cui si trova lo zolfo elementare ha invece formula trovano come molecole ………………………………………………… e nelle reazioni redox si comportano da ………………………………… VERIFICA LE CONOSCENZE Esercizi di corrispondenza A Indica per ogni elemento il gruppo del Sistema periodico cui appartiene. Scrivi inoltre la configurazione elettronica esterna dell’elemento. N Bi Sn F Mg Se B Po I P Si K O Fe . Gli alogeni in natura si …………………………………………………… sono allo stato …………………………………………………… a temperatura ambiente. 18 . L’azoto si produce per CH/285 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio . Cloro e fluoro G U I DA A L L O ST U D I O EA G U I DA A L L O S T U D I O EA A Domande a scelta multipla 19 C distillando l’aria liquida; D condensando i vapori dell’acqua arricchita in ammoniaca. 21 32 33 B ossidante; D di transizione. 34 C 2C2H6(g) + 7O2(g) → 4CO2(g) + 6H2O(g); 35 La grafite: C non può essere trasformata in diamante; 36 Gli elementi del gruppo 18 del Sistema periodico sono caratterizzati da: A bassa energia di ionizzazione; B formazione di molecole biatomiche; B non-metallo; D metallo di transizione. Il boro è un: C scarsa reattività; B non-metallo; D metallo di transizione. 37 Il boro per raggiungere l’ottetto deve formare: A tre legami covalenti; B tre legami ionici e anche uno dativo; La calce viva è: C quattro legami covalenti; B CaCO3; C CaO; D Ca(HCO3)2. B D tre legami covalenti e anche un legame di coordinazione. La soda caustica è: Na2CO3; C KOH; D NaHCO3. 38 B Na2CO3; C KOH; D Na2O2. 39 rame e stagno; D silicio e alluminio. B Quale tra le seguenti affermazioni è sicuramente corretta? A gli elementi dei primi gruppi sono ossidanti e quelli degli ultimi gruppi riducenti; B gli elementi di transizione sono ossidanti; C il cloro è un forte riducente; D gli elementi dei primi gruppi sono riducenti e quelli degli ultimi gruppi ossidanti. 40 C dalla reazione di una base di Lewis con l’ossigeno; D è formato dalla reazione di un acido con una base di Lewis. 44 C CO2; D H2CO3. B NO2; C N2O3; D N4O. B H3O+; C H2O2; D H2O3. B un riducente; L’acido nitrico non è: D un agente nitrante. La formula dell’ozono è: A O; A dall’unione di due metalli; B dall’unione di due basi di Lewis; SiO2; A un ossidante; C un acido forte; 43 Un composto di coordinazione è formato: B La formula del perossido di idrogeno è: A H2O; 42 artificiale; Quale non è un ossido dell’azoto esistente in natura? A N2O; 41 B D vegetale. La formula chimica del ghiaccio secco è: A CO; Il bronzo è una lega di: A ferro e molibdeno; C rame e zinco; Il nerofumo è un carbone: A fossile; C animale; Tra i seguenti, il composto più ossidante è: A NaOH; 30 Il processo definito reforming catalitico degli idrocarburi è caratterizzato dalla reazione: D configurazione elettronica esterna s 2p8. A NaOH; 29 tetraedrica; D Zn(s) + 2HCl(aq) → ZnCl2(aq) + H2(g). Il piombo è un: A Ca(OH)2; 28 B D ottaedrica. D è una forma cristallina del carbonio. A metallo; C semimetallo; 27 D 4. La geometria di coordinazione del cadmio in [Cd(H2O)4 ]2+ è: A solfato di calcio; B idrogenosolfato di calcio; A metallo; C semimetallo; 26 C 3; Qual è il composto utilizzato come fertilizzante? C fosfato dicalcico; 25 2; A è costituita da carbonio e argilla; B può essere trasformata in silice; D diidrogenofosfato di calcio. 24 KO2; A C (s) + H2O(g) → CO(g) + H2(g); B CH4(g) + H2O(g) → CO(g) + 3H2(g); In un altoforno il carbone serve per: di ferro; B formare il diossido di carbonio, che ossida le scorie; C formare CaCO3, che catalizza le reazioni di riduzione; D produrre ferro dolce. 23 B A quadrato planare; C bipiramide trigonale; A formare il monossido di carbonio, che riduce gli ossidi 22 B D [Ag(NH3)2]+. Il numero di coordinazione del platino in [Pt(CN)4 ]2 – è: A 1; Il calcio è un tipico elemento: A non-metallico; C riducente; Quale tra le seguenti specie è un composto di coordinazione? A NaCl; C BF3; L’azoto si prepara industrialmente: A liquefacendo a –196 °C il vapore acqueo; B utilizzando batteri simbionti delle leguminose; 20 31 B Oz; C O2; D O3. I sali formati dall’acido solforico sono chiamati: A solfiti; C solforati; B solfati; D solfuri. CH/286 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio VERIFICA LE ABILITÀ Esercizi e problemi 45 D N2O5 + H2O →; E NO + O2 →; Bilancia le seguenti reazioni chimiche: F CaCO3 + HCl →. A FeS + O2 → FeO + SO2; B SnO2 + C → Sn + CO; C Fe + O2 → Fe2O3; 46 48 D Fe2O3 + CO → Fe + CO2; E CuSO4 + NH3 → [Cu(NH3)4]SO4. A reforming degli idrocarburi; B reazione del gas d’acqua; Bilancia le seguenti reazioni chimiche: C riduzione della silice con carbonio; E conversione del metanolo ad acido acetico. A ZnS + O2 → ZnO + SO2; B NaCl + H2SO4 → Na2SO4 + HCl; 49 C KClO3 → KCl + O2; D P4O10 + H2O → H3PO4; C pirite; D ghiaccio secco; E galena; Che cosa si produce nelle seguenti reazioni? Una volta scritti i prodotti bilancia la reazione. F quarzo; A Cl2 + H2O →; B C(s) + H2O(g) →; G smeraldo; H fosfina. C Na + H2O →; A Gioca e impara 50 Trova l’elemento da inserire nella colonna a sinistra della tabella, utilizzando i dati presenti nelle altre colonne. Elemento Composti o sostanze formate Numero di ossidazione più alto o più comune Elettronegatività Quarzo +4 Intermedia Nerofumo +4 Intermedia Freon –1 Altissima Calcare +2 Bassa configuration. Fluorine is the most used halogen. Iodine is the most reactive non metal. Question 52 Indica gli elementi presenti nei seguenti materiali: A borace; B diamante; E P4O6 + H2O → H3PO3. 47 Scrivi le equazioni chimiche che rappresentano le seguenti reazioni: Find the mistakes and explain your choice: Compared with other elements in the same period, the halogens have big radii and low nuclear charges. The outer electron configuration of the halogens ns2np4 is just two electron short of the electron configuration of the earth alkaline metals. Halogens have the lowest electron affinities and are unreactive. Fluorine forms with hydrogen one of the most important compounds, HF, the strongest acid. By reacting with active metals, halogens gain two electrons to form – 2 ions and achieve a noble gas electron 53 Wich are the oxidation numbers of the following elements? A sulfur in copper sulphate; B oxygen in hydrogen peroxide; C nitrogen in nitric acid. 54 Give the formula of a complex constructed from one Ni 2+ ion, two ammonia ligands and two chlorine atoms. Is the complex neutral or is it charged? If it is charged, give the charge. Draw the formula of the complex. CH/287 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio G U I DA A L L O ST U D I O EA C A P I TO L O 21 Radioattività e reazioni nucleari 21.1 La scoperta della radioattività A lla fine dell’Ottocento alcune importanti scoperte aprirono la strada alla conoscenza della struttura dell’atomo (cfr. § 9.1) e alla possibilità di utilizzare l’energia in esso contenuta. Nel 1895 il fisico tedesco Wilhelm Conrad Röntgen (1845-1923, premio Nobel nel 1901) scoprì i raggi X, detti anche raggi Röntgen, che erano in grado di attraversare i corpi, di impressionare le lastre fotografiche e di rendere fluorescenti alcuni materiali (figura 21.1). Per queste proprietà i raggi X sono ancora oggi molto usati, soprattutto in medicina per le radiografie e le radioscopie. Il fisico francese Antoine-Henry Becquerel (1852-1908, premio Nobel nel 1903) scoprì per caso, nel 1896, che i composti dell’uranio, posti vicino a una lastra fotografica, la impressionavano. Egli formulò l’ipotesi che questo elemento fosse una sorgente di radiazioni dello stesso tipo dei raggi X. Il fenomeno per cui un composto dell’uranio emetteva spontaneamente radiazioni capaci di impressionare le lastre fotografiche e attraversare la materia fu chiamato emissione di raggi uranici. La scienziata polacca Marie Sklodowska Curie (1867-1934, premio Nobel nel 1903 e nel 1911) si accorse che il fenomeno non era esclusivo dei composti dell’uranio, ma si verificava anche per altri elementi e ribattezzò l’emissione di raggi uranici con il termine di radioattività. 씰 La radioattività è il fenomeno per cui alcuni atomi emettono spontaneamente radiazioni. A B FIGURA 21.1 I primi apparecchi per la produzione dei raggi X erano voluminosi e di difficile utilizzazione (A). La capacità di attraversare con radiazioni ad alta energia corpi opachi e spessi fu subito sfruttata in campo medico (B). Per questo motivo gli atomi in grado di emettere radiazioni furono chiamati atomi radioattivi. Studiando la radioattività in collaborazione con suo marito, il francese Pierre Curie (1859-1906, premio Nobel nel 1903), Marie Curie scoprì due nuovi elementi radioattivi. Il primo fu da lei chiamato polonio, in onore della sua patria, e il secondo radio, in quanto la sua radioattività era più intensa di quella dell’uranio. Il fisico Rutherford, che abbiamo già conosciuto per il suo fondamentale contributo alla individuazione del nucleo atomico (cfr. § 0.1), scoprì che le radiazioni emesse dagli atomi radioattivi derivavano dai nuclei degli atomi e potevano essere di tre tipi: raggi α, raggi β e raggi γ (vedi § 21.5). William Crookes (1832-1919), fisico inglese, si accorse che la radioattività di un campione di uranio aumentava nel tempo, anziché diminuire. Questo fenomeno fu spiegato da Rutherford e dall’inglese Frederick Soddy (1877-1956) con l’ipotesi che l’atomo di uranio, sprigionando radiazioni, si trasforma nell’atomo di un altro elemento avente una maggiore capacità di emettere radiazioni (figura 21.2). Un atomo di un elemento radioattivo può quindi trasformarsi in un atomo di un altro elemento. CH/288 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 21 Radioattività e reazioni nucleari FIGURA 21.2 Fin dal 1911 si poterono osservare e fotografare le radiazioni emesse dalle sorgenti radioattive grazie alla camera di Wilson (A). Questo apparecchio, detto anche camera a nebbia, sfrutta il potere degli ioni di far condensare il vapore. Dove passa la radiazione si formano ioni, il vapore condensa e rimane una traccia ben visibile (B). A B 21.2 L’era atomica E rnest Rutherford riuscì nel 1919 a trasformare sperimentalmente un elemento chimico in un altro. Fino ad allora i chimici avevano sostenuto che un atomo di un elemento non si può trasformare in un atomo di un altro elemento; solo le sostanze possono trasformarsi. Con il suo esperimento, Rutherford fece cadere questo presupposto teorico della chimica classica e aprì la strada a una nuova epoca nella storia della scienza. Le trasformazioni scoperte con la radioattività riguardano solo il nucleo dell’atomo e non possono essere condotte con i normali mezzi chimici. Il nuovo campo di ricerca fu infatti esplorato principalmente dai fisici nucleari. Questi scienziati impararono a riconoscere tra gli isotopi di ogni elemento (cfr. § 0.1) quelli radioattivi, detti radioisotopi, e riuscirono a operare numerose trasformazioni. La tecnica utilizzata fu quella del bombardamento degli atomi con particelle subatomiche ad alta energia. Si costruirono, a partire dal 1929, apparecchi capaci di accelerare le particelle per ottenere urti sempre più forti. Con gli acceleratori di particelle, come ciclotroni, betatroni, sincrotroni ecc., protoni ed elettroni furono lanciati e fatti collidere a velocità superiori a 250 000 km/s: divenne così praticabile la manipolazione dei nuclei atomici (figura 21.3). A ACCELERATORE LINEARE Diaframma collimatore Elettrodi acceleratori Sorgente FIGURA 21.3 Gli acceleratori di particelle sono apparecchiature, a volte di grandissime dimensioni, capaci di imprimere a particelle come protoni o elettroni velocità vicine a quella della luce. Le particelle, prodotte da una sorgente e poi spinte da forze generate da intensi campi elettrici e magnetici, possono seguire percorsi lineari (A) o circolari (B) e alla fine colpiscono il bersaglio. Bersaglio Elettrodo collettore B CICLOTRONE Magneti Marie Curie (1867-1934). Di origine polacca ma naturalizzata francese, ricercò attivamente gli elementi chimici responsabili del fenomeno della radioattività. Fu la prima donna a insegnare alla Sorbona di Parigi. Morì a 67 anni di leucemia, probabilmente per le dosi eccessive di radiazioni assorbite durante il suo lavoro. Marie Curie ricevette due premi Nobel, il primo in fisica nel 1903, insieme al marito e a A.H. Becquerel per la scoperta della radioattività, e il secondo in chimica nel 1911 per la scoperta del polonio e del radio. Camera a vuoto Iniettore Elettrodi Bersaglio Placca di deflessione CH/289 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO Enrico Fermi (1901-1954). Studiò a Roma, Gottinga e Leida, compiendo ricerche con Max Born e Paul Ehrenfest. Docente all’università di Roma (1926), fece parte del gruppo di fisici nucleari («Scuola di Roma») che contribuì in maniera determinante allo sviluppo della fisica delle particelle. Nello stesso anno in cui ottenne il Nobel (1938) si trasferì negli USA, per protesta contro le leggi razziali che discriminavano la moglie ebrea. 21 Radioattività e reazioni nucleari Quando una particella ad alta energia colpisce un nucleo, si modifica l’assetto originario di protoni e neutroni, i nuclei si scompongono o si trasformano, generando in qualche caso nuovi isotopi o addirittura nuovi elementi chimici. Dal 1941 al 1951 furono preparati artificialmente una decina di elementi non esistenti in natura. Nel 1934 il fisico italiano Enrico Fermi (1901-1954, premio Nobel nel 1938) bombardò con neutroni atomi di uranio. Sulla scia di quelle ricerche, il tedesco Otto Hahn (1879-1968, premio Nobel nel 1944) scoprì che, a causa di questo bombardamento, il nucleo dell’atomo di uranio si scindeva in due parti e si liberavano tre neutroni. Era stata scoperta la fissione nucleare, il fenomeno su cui si basano le centrali nucleari e le bombe atomiche. A seguito degli approfonditi studi guidati da Fermi, il 2 dicembre 1942 iniziò a funzionare la prima pila atomica, un sistema capace di generare enormi quantità di energia utilizzando le reazioni nucleari. La Seconda Guerra Mondiale era già scoppiata e il governo statunitense intravide la possibilità di sfruttare a scopo bellico l’energia prodotta dalla fissione nucleare. Fu finanziato e organizzato un colossale progetto di ricerca applicata, il progetto Manhattan, nel quale furono coinvolti seimila scienziati e tecnici. Nel luglio del 1945, in un deserto degli Stati Uniti, fu fatta esplodere la prima bomba atomica sperimentale. Un mese dopo due bombe atomiche sganciate da aerei americani distrussero completamente le città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki; questo intervento spinse il Giappone alla resa e segnò la fine del Secondo Conflitto Mondiale. Era cominciata l’era atomica. 21.3 Il nucleo dell’atomo e il difetto di massa I n questo capitolo ci occuperemo dell’atomo limitatamente a ciò che riguarda il nucleo, del quale studieremo le trasformazioni, spontanee o causate dall’uomo, che sono conosciute come reazioni nucleari. Sappiamo che il nucleo è formato dai nucleoni, particelle elementari di due tipi: protoni e neutroni (cfr. § 0.1). Il nucleo di un atomo dell’elemento elio (He, Z = 2), per esempio, è costituito da due protoni e due neutroni. Un protone ha la massa di 1,007276 u e un neutrone la massa di 1,008665 u; la massa del nucleo dell’elio dovrebbe essere pertanto di 4,031882 u. Misure molto accurate hanno stabilito, invece, che un nucleo di elio pesa 4,001506 u, cioè 0,030376 u meno di quanto ci si aspetterebbe (figura 21.4). La verifica sperimentale dimostra un fatto sorprendente: la massa del nucleo è inferiore alla somma delle masse dei suoi costituenti. 씰 La differenza tra la somma delle masse dei singoli costituenti del nucleo e la massa del nucleo è definita difetto di massa. 2 × 1,008665 + 2 × 1,007276 = 4,001506 u 4,031882 u FIGURA 21.4 Quattro particelle isolate, due protoni e due neutroni, pesano più delle stesse quattro particelle riunite in un nucleo atomico, il nucleo dell’elio 24He. Nella formazione del nucleo c’è una diminuzione della massa. Difetto di massa 0,030376 u CH/290 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio 21 Radioattività e reazioni nucleari La diminuzione della massa si verifica quando più nucleoni si uniscono per formare un nucleo. Dato che la massa è la misura della quantità di materia, una diminuzione della massa significa che una parte di materia scompare, si annulla. Il principio di Lavoisier della conservazione della massa afferma che nulla si crea e nulla si distrugge. Questo principio, che ha guidato le nostre considerazioni sulle reazioni chimiche (cfr. § 0.2), sembra ora essere contraddetto. Quale spiegazione possiamo avanzare? Una soluzione fu trovata nelle argomentazioni di Albert Einstein (18791955, premio Nobel nel 1921), fisico tedesco che nel 1905 propose, nell’ambito della teoria della relatività, la semplice e nello stesso tempo rivoluzionaria relazione: 2p + 2n MASSA o ENERGIA CAPITOLO Massa che il sistema perde 0,030376 u E = m · c2 tra la massa m e l’energia E, dove c indica la velocità della luce che ha un valore costante di 3 · 105 km/s. L’equazione di Einstein, pietra miliare della scienza moderna, collega con una proporzionalità diretta quantità di materia ed energia e ci dice che: 씰 La materia è una forma di energia, l’energia è una manifestazione della materia. Le due grandezze sono convertibili l’una nell’altra. Se diminuisce la massa di un corpo, diminuisce anche la sua energia. Quando un nucleo si forma a partire dai suoi costituenti, diminuisce la massa complessiva e quindi diminuisce l’energia. Un nucleo è più leggero e ha un’energia inferiore rispetto alla somma di quella delle singole parti di cui è composto. Questa minore energia rende il nucleo più stabile dei suoi costituenti isolati. Ma che fine hanno fatto la materia e l’energia scomparse? La materia si è trasformata in energia e questa si è dispersa nell’ambiente, liberandosi sotto forma di calore e radiazioni (figura 21.5). La diminuzione di massa che si registra quando si forma un nucleo è molto ridotta (circa lo 0,7%). Questa piccola diminuzione di massa, però, moltiplicata per l’altissimo valore della velocità della luce (c 2), corrisponde a una quantità enorme di energia, che si libera dall’atomo. Possiamo dire perciò che l’equazione di Einstein riunisce in sé e unifica il principio di conservazione della massa a quello di conservazione dell’energia. Trattando le reazioni chimiche non ci siamo mai accorti del difetto di massa, perché i valori di energia in gioco sono troppo bassi. Il principio di Lavoisier mantiene sostanzialmente la sua validità in ambito chimico, perché i valori dell’energia liberata sono così bassi da non determinare difetti di massa apprezzabili (figura 21.6). Energia liberata nell’ambiente 4,54 · 10 –12 J He FIGURA 21.5 Il difetto di massa, conseguente al passaggio dai 4 nucleoni isolati alle 4 particelle unite nel nucleo dell’elio, corrisponde alla diminuzione di una grande quantità di energia e al raggiungimento di una elevata stabilità. L’energia perduta dal sistema si libera nell’ambiente sotto forma di calore e radiazioni. L’enorme quantità di energia che da quasi 5 miliardi di anni si libera dal Sole è dovuta a reazioni nucleari. L’energia prodotta corrisponde alla trasformazione e alla diminuzione di circa lo 0,7% della massa che in ogni istante partecipa alla reazione. FIGURA 21.6 Solo quando entrano in gioco le forze che tengono unite le particelle del nucleo atomico, si possono liberare quantità di energia così grandi da rendere apprezzabile la diminuzione della massa. Nelle comuni reazioni chimiche, anche in quelle esplosive, per noi particolarmente violente, il difetto di massa è praticamente insignificante. Per avere un’idea delle enormi quantità di energia coinvolte nelle reazioni nucleari basti pensare che, mentre dalla combustione di 1 kg di carbone otteniamo circa 20 kilowattora di energia elettrica, dalla scomparsa di 1 kg di materia ne possiamo ottenere una quantità 1 miliardo di volte superiore. CH/291 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO PER SAPERNE DI PIÙ Albert Einstein Albert Einstein (a sinistra) con il direttore dei laboratori segreti di Los Alamos, Robert Oppenheimer. A Los Alamos fu realizzata la bomba all’uranio. La nuova arma fu impiegata nell’agosto 1945 contro le città di Hiroshima e Nagasaki per costringere il Giappone alla resa. Vi furono più di 200.000 vittime, ma in seguito numerose altre morirono per gli effetti delle radiazioni. 100 200 80 160 i= on ro t 120 ut ro n i /p 60 80 Ra pp or to 40 20 0 40 20 40 60 80 accettato in quel momento dalla comunità scientifica. Einstein si trasferì negli USA nel 1933, nel momento in cui in Germania la persecuzione antiebraica toccava il culmine e dopo che alcune delle sue lezioni furono oggetto di proteste da parte di dimostranti nazisti. Negli Stati Uniti si rifiutò inizialmente di partecipare alla costruzione della bomba atomica. In un secondo momento, però, spaventato dal pericolo nazista, ne appoggiò la realizzazione con una lettera al presidente Roosevelt. Di questo sostegno in seguito si pentì e, quando nel 1941 diventò cittadino americano, firmò con Bertrand Russell il primo manifesto pacifista per l’abolizione degli armamenti nucleari. Fu un sostenitore del movimento sionista fin dal 1920 e contribuì alla creazione dell’Università di Israele sul Monte Scopus a Gerusalemme. Nel 1952, in seguito alla morte del primo presidente israeliano Chaim Weizmann, il governo di Israele gli offrì la presidenza dello Stato, ma Einstein rifiutò la carica. Nuclei stabili e nuclei instabili N Numero di massa A 240 1 120 ne Numero di neutroni 280 Radioattività e reazioni nucleari Albert Einstein (1879-1955) nacque a Ulm, in Germania; all’età di 15 anni si trasferì in Svizzera, Paese di cui prese la nazionalità nel 1901. Nel 1895 non riuscì a entrare all’ETH di Zurigo per il corso di diploma di ingegnere elettrico. Nel 1913, a seguito dell’interesse suscitato dai suoi studi, fu nominato direttore del Kaiser Wilhelm Institut di Berlino, dove perfezionò le sue teorie ed ebbe modo di confrontarsi con scienziati quali Walther Nernst, Max Planck e Erwin Schrödinger. Contribuì fortemente allo sviluppo della fisica con la teoria dei moti browniani e con l’introduzione del concetto di fotone, ma la sua fama è legata soprattutto alla formulazione della teoria della relatività (1916). Nel 1921 gli fu assegnato il premio Nobel per la teoria relativa all’effetto fotoelettrico. Nel 1917 pubblicò Considerazioni cosmologiche sulla teoria della relatività generale, in cui immaginò un universo omogeneo. Il suo modello cosmologico era quello di un universo eterno ed immobile, costituito da infinite stelle e con densità uniforme, così come era 21.4 140 21 100 Numero di protoni Z FIGURA 21.7 Tanto più gli atomi sono grandi, cioè tanto maggiore è il numero atomico, tanto maggiore è il rapporto neutroni/protoni nel nucleo. Ogni nucleo di ciascun isotopo di ogni elemento è rappresentato da un punto del diagramma. Il numero dei neutroni, che si mantiene circa uguale a quello dei protoni fino a Z = 20, diventa poi progressivamente prevalente. Le forze nucleari sono molto più intense di quelle elettrostatiche, ma agiscono solo se le distanze sono inferiori a 3,0·10–15 m. el nucleo i protoni e i neutroni sono uniti gli uni agli altri, perché quando sono legati hanno energia minore rispetto a quando sono isolati. Il difetto di massa di un nucleo corrisponde all’energia liberata durante la sua formazione oppure all’energia che occorre fornire per separare e allontanare i nucleoni gli uni dagli altri. Il difetto di massa è perciò anche una misura della stabilità dei nuclei. Non tutti i nuclei, però, sono ugualmente stabili e il valore del difetto di massa varia a seconda dell’isotopo. Quanto più elevato è il difetto di massa tanto più il nucleo è stabile. La stabilità del nucleo dipende dal rapporto tra il numero dei neutroni e il numero dei protoni. I protoni presenti nel nucleo, dotati di carica elettrica dello stesso segno, tendono a respingersi. Il nucleo esploderebbe, se non ci fossero anche i neutroni. Queste particelle, elettricamente neutre, sono responsabili delle forze nucleari che uniscono tra loro i nucleoni e si oppongono alle forze elettrostatiche di repulsione. Quanti più protoni vi sono in un nucleo, tanti più neutroni occorrono per renderlo stabile. Per i primi 20 elementi il numero dei neutroni è quasi sempre uguale al numero dei protoni; infatti, il peso atomico di questi elementi è circa il doppio del numero atomico. Per gli altri elementi il numero dei neutroni supera, in misura gradualmente crescente, quello dei protoni (figura 21.7). Per esempio, l’isotopo del carbonio più abbondante in natura è il 12 C, che ha un numero uguale di protoni e neutroni (Z = 6; A = 12), mentre quello più abbondante del ferro è il 56 Fe, che ha 26 protoni e 30 neutroni. La differenza tra il numero dei neutroni e quello dei protoni cresce man mano che si scende nel Sistema periodico degli elementi: l’isotopo più abbondante del piombo (Z = 82) ha ben 126 neutroni nel nucleo. 씰 Per gli elementi più leggeri, con numero atomico Z inferiore a 21, la stabilità del nucleo si ha quando il rapporto tra il numero dei neutroni e il numero dei protoni vale 1; CH/292 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 21 Radioattività e reazioni nucleari 씰 per gli elementi più pesanti, con numero atomico Z compreso tra 21 e 83, la stabilità del nucleo si ha quando il rapporto tra il numero dei neutroni e il numero dei protoni è maggiore di 1; per gli elementi molto pesanti, con numero atomico Z maggiore di 83, la stabilità del nucleo non è mai del tutto raggiunta con la presenza dei neutroni. Oltre che dal rapporto neutroni/protoni, la stabilità dei nuclei dipende dal numero atomico Z. Il massimo di stabilità si ha per valori di numero atomico Z compresi tra 20 e 30 (figura 21.8). La maggiore stabilità dei nuclei atomici può essere ottenuta con la suddivisione di elementi pesanti in elementi più leggeri, come nel caso della fissione dell’uranio 92U che si scompone in 36Kr e 56Ba. Anche la fusione di nuclei di elementi leggeri in nuclei di elementi più pesanti, come quando dall’idrogeno 1H si passa all’elio 2He, comporta maggiore stabilità. In entrambi i casi si libera energia. C’è un solo tipo di atomo in cui non vi sono neutroni nel nucleo: è l’idrogeno, più precisamente l’isotopo prozio 11 H. In effetti, nel nucleo di questo atomo i neutroni non occorrono, visto che vi è un solo protone e non esistono forze di repulsione elettrostatica. Il numero di massa A e il numero atomico Z di un generico elemento X sono indicati, rispettivamente, in alto e in basso a sinistra del simbolo dell’elemento: AZ X (cfr. § 0.1). 씰 All’aumentare del numero atomico, la stabilità dei nuclei prima aumenta poi diminuisce. 36 Kr Ba Zona di massima stabilità Energia di legame per nucleone FUSIONE 56 He 2 1 0 21.5 92 U FISSIONE FIGURA 21.8 Gli elementi che hanno nuclei più stabili sono quelli con numero atomico compreso tra 20 e 30, ad esempio il ferro 26 Fe. La stabilità del nucleo corrisponde all’energia di legame tra le particelle nucleari, cioè all’energia necessaria per separare tra loro i nucleoni. Questa energia è la stessa che si libera quando le particelle si uniscono per formare un nucleo. H 10 20 30 40 50 60 Numero atomico Z 70 80 90 Le radiazioni emesse dai radioisotopi β γ α U n nucleo che contiene troppi o troppo pochi neutroni rispetto ai protoni è instabile. Esso tende a trasformarsi, modificando il rapporto neutroni/protoni, fino a che non raggiunge il rapporto cui compete la massima stabilità. La trasformazione del nucleo comporta l’emissione di radiazioni; se il nuovo nucleo è ancora instabile, anch’esso emette radiazioni e il processo continua fino alla formazione di un nucleo stabile. 씰 La radioattività è il fenomeno per cui un radioisotopo emette spontaneamente radiazioni per trasformarsi in un isotopo stabile. Le radiazioni emesse dai radioisotopi sono principalmente di tre tipi: radiazioni α (alfa), radiazioni β (beta) e radiazioni γ (gamma). Le prime hanno carica elettrica positiva, le seconde carica elettrica negativa e le terze sono elettricamente neutre (figura 21.9). Tutte queste radiazioni sono ionizzanti. Esse possono infatti trasferire la loro energia agli atomi che colpiscono, eccitandone gli elettroni. Se l’energia è sufficiente ad allontanare l’elettrone, vincendo le forze d’attrazione del nucleo, si forma uno ione. Una radiazione α, chiamata anche particella α, è costituita da due protoni e due neutroni e pertanto corrisponde a un nucleo di elio con due cari- Ra FIGURA 21.9 Un campione del radioisotopo radio Ra è posto in uno spesso recipiente di piombo che presenta un piccolo foro. Le radiazioni emesse dal radio escono dal foro e passano tra due elettrodi che hanno carica opposta. Il campo elettrico separa le radiazioni: le particelle β sono deviate verso la carica positiva, quelle α verso la carica negativa, mentre le radiazioni γ proseguono in linea retta. CH/293 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO γ B β A α Ra FIGURA 21.10 Le radiazioni α sono fermate già da un sottile foglio di carta (A). Uno strato metallico più spesso (B), per esempio 5 mm di alluminio, può invece fermare le radiazioni β, ma non le γ. Queste attraversano facilmente i corpi e sono bloccate solo da spessi strati di materiali molto densi, per esempio 20 cm di piombo o un robusto muro di cemento. 21 che positive 42 He 2 +. Queste radiazioni viaggiano a elevata velocità, ma, per la loro massa relativamente alta, riescono ad attraversare solo corpi molto sottili e nell’aria percorrono non più di 8 cm (figura 21.10). Le particelle α hanno una capacità di penetrazione più bassa rispetto alle altre radiazioni; non sono quindi particolarmente pericolose, se non vengono introdotte direttamente nel corpo. Una radiazione β, chiamata anche particella β, è un elettrone ( –01e) emesso da un neutrone. Quando un neutrone, che possiamo considerare ottenuto da un protone e un elettrone, perde l’elettrone, diventa un protone. Le particelle β sono emesse dal nucleo ad altissima velocità, di poco inferiore a quella della luce. Esse, rispetto alle particelle α, hanno una massa quasi 7 000 volte inferiore e una velocità circa tripla e sono perciò molto più penetranti e pericolose; sono infatti capaci di attraversare sottili strati metallici e qualche metro d’aria. Una radiazione γ , o raggio γ, è una radiazione elettromagnetica ad altissima frequenza, avendo lunghezza d’onda di 0,01÷10 pm. La sua energia è circa 30 000 volte superiore a quella dei fotoni della luce visibile. Come per la luce, la sua natura è considerata prevalentemente ondulatoria e la massa trascurabile; l’emissione di radiazioni γ, perciò, fa diminuire l’energia del nucleo, ma non la sua massa. I raggi γ sono in media 100 volte più penetranti delle particelle β: riescono ad attraversare decine di metri d’aria e spessi strati metallici. Hanno un’energia superiore a quella dei raggi X e sono ancora più penetranti di questi raggi. Le radiazioni γ sono sempre pericolose per l’uomo, anche se sono emesse da sorgenti molto lontane. Nella tabella 21.1 sono riassunte le principali caratteristiche delle radiazioni α, β e γ. Radiazione TABELLA 21.1 Le principali caratteristiche delle radiazioni emesse dai radioisotopi. Radioattività e reazioni nucleari Carica elettrica Massa (u) Velocità (km/s) Penetrazione (cm di aria) α (alfa) +2 4 16 000÷32 000 2,5÷8,5 β (beta) –1 1/1836 96 000÷220 000 30÷300 0 300 000 >3 000 γ (gamma) 21.6 0 Il decadimento radioattivo I Il decadimento α interessa i nuclei pesanti (Z > 83). Cs 55 Ba 56 La 57 Ce 58 Pr 59 Fr 87 Ra 88 Ac 89 Th 90 Pa 91 Decadimento α FIGURA 21.11 Quando il torio Th subisce un decadimento α, l’isotopo che si forma appartiene all’elemento che nel Sistema periodico è posto due caselle prima, cioè il radio Ra. l processo attraverso il quale un nucleo instabile emette spontaneamente radiazioni per stabilizzarsi prende il nome di decadimento radioattivo e può verificarsi attraverso tre modalità principali. Il decadimento α si verifica quando un nucleo emette una particella α. Questa è costituita da due protoni e due neutroni. Per ogni particella α emessa, la massa dell’atomo diminuisce perciò di quattro unità di massa atomica (4u), cioè il numero di massa A diminuisce di 4 unità. La perdita dei due protoni fa invece diminuire di due unità il numero atomico Z. Perciò, col decadimento α ogni atomo si trasforma in un atomo dell’elemento che lo precede di due posti nel Sistema periodico (figura 21.11). Il decadimento radioattivo è rappresentato attraverso una particolare equazione chimica, chiamata equazione nucleare. In una equazione nucleare la somma dei numeri atomici e la somma dei numeri di massa devono risultare uguali in entrambi i membri dell’equazione. Riportiamo come esempio le reazioni di decadimento α di due radioisotopi: 216 84 Po → 212 82 Pb + 42 He2+ 232 90 Th → 228 88 Ra + 42 He2+ CH/294 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio CAPITOLO 21 Radioattività e reazioni nucleari Nel decadimento β un neutrone di un nucleo si trasforma in un protone ed emette una particella β. La massa dell’atomo non diminuisce significativamente, dato che un protone e un neutrone hanno quasi la stessa massa. Non cambia il numero di massa A, ma l’atomo viene ad avere un numero di protoni, e quindi un numero atomico Z, maggiore di un’unità. Perciò un elemento radioattivo che emette una particella β si trasforma in un elemento che lo segue di un posto nel Sistema periodico (figura 21.12). Per esempio, un atomo di trizio, l’isotopo dell’idrogeno 31H, si trasforma in elio 32 He, mentre un atomo di carbonio 146 C si trasforma in azoto 147 N (figura 21.13). Le equazioni nucleari che rappresentano questi due decadimenti sono le seguenti: 3 –0 3 1H → 2 He + –1 e –0 14 14 6 C → 7 N + –1 e 3 2 H Decadimento β B 5 C 6 N 7 O 8 F 9 Al 13 Si 14 P 15 S 16 Cl 17 FIGURA 21.12 Quando il carbonio C subisce un decadimento β, l’isotopo che si forma appartiene all’elemento che nel Sistema periodico è posto una casella dopo, cioè l’azoto N. FIGURA 21.13 Il decadimento β prevede la trasformazione di un neutrone in un protone. Con l’emissione di una particella β l’idrogeno diventa elio (A) e il carbonio diventa azoto (B). A 3 1 Il decadimento β interessa i nuclei atomici che presentano un eccesso di neutroni. He +β Idrogeno protone neutrone Elio B 14 6 14 7 C N +β Carbonio Azoto Il decadimento γ avviene quando il nucleo di un atomo emette una radiazione γ. Ciò si verifica in quasi tutti i nuclei instabili e ogni volta che si hanno anche decadimenti α oppure β. L’emissione di raggi gamma corrisponde all’eliminazione di energia in eccesso. Un nucleone che si trova in uno stato di alta energia può passare allo stato energetico inferiore rilasciando la differenza di energia sotto forma di fotone γ, cioè di onda elettromagnetica ad alta frequenza. Con il decadimento γ il numero atomico e il numero di massa non variano. Quando un radioisotopo subisce un decadimento α o β il suo numero atomico cambia e si forma un nuovo elemento. L’isotopo prodotto dal decadimento radioattivo potrebbe essere a sua volta un radioisotopo, che è instabile e decade ancora. Si verificano quindi una serie di decadimenti radioattivi, fino a quando non si ottiene un isotopo stabile. Tutti i radioisotopi che derivano dal decadimento dello stesso isotopo iniziale costituiscono una famiglia radioattiva. Le famiglie radioattive naturali sono quattro e derivano dal decadimento di: torio-232, uranio-238, uranio-235 e nettunio-237. Un isotopo radioattivo può emettere contemporaneamente, o in successione, radiazioni uguali o diverse, fino a raggiungere la stabilità. Mostriamo come esempio la famiglia radioattiva del torio-232, che dal208 l’isotopo 232 del torio 232 90 Th arriva all’isotopo 208 del piombo 82 Pb. 232 90 Th α ―→ 228 88 Ra β ―→ 228 89 Ac β ―→ 228 90 Th α ―→ 224 88 Ra α ―→ 220 86 Rn α ―→ 216 84 Po L’emissione di raggi γ da parte dei nuclei nel decadimento γ è analoga all’emissione spontanea di elettroni da parte degli atomi nei fenomeni di fluorescenza e di fosforescenza. α ―→ 212 82 Pb β ―→ 212 83 Bi Indicando con X un generico elemento radioattivo di numero atomico Z e numero di massa A, possiamo così riassumere: • Nel decadimento radioattivo α l’emissione di una particella α provoca la diminuzione di due unità nel numero atomico e di quattro unità nel numero di massa: A A−4 4 2+ Z X → Z − 2 Y + 2 He ATTIVITÀ Decadimento α CH/295 Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio α ―→ 208 81 Tl β ―→ 208 82 Pb CAPITOLO Radioattività e reazioni nucleari • Nel decadimento radioattivo β l’emissione di una particella β provoca l’aumento di una unità nel numero atomico e nessuna modificazione del numero di massa: –0 A A Z X → Z + 1 Y + –1 e • Nel decadimento radioattivo γ, che si accompagna al decadimento α o β, l’emissione di un raggio γ non determina modificazioni del numero atomico e del numero di massa, cioè non si ha trasformazione di un elemento in un altro. ATTIVITÀ Decadimento β A 21 APPROFONDIMENTO Altri tipi di decadimento radioattivo: cattura elettronica ed emissione di positroni Le caratteristiche del decadimento radioattivo α, β e γ sono riassunte nella tabella 21.2. Tipo di decadimento TABELLA 21.2 Caratteristiche dei principali tipi di decadimento radioattivo. Particella emessa α (alfa) α; 24 He2+ β (beta) β; elettrone γ (gamma) fotone γ Massa (u) Carica elettrica Nucleo di partenza Nucleo di arrivo 4 +2 A ZX A–4 Z–2 Y 1/1836 –1 A ZX A Z+1 Y 0 0 A ZX A ZX PROVIAMO INSIEME PROVA DA SOLO 1. Indica i