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La Chimica di Rippa - Secondo Biennio

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Realizzazione editoriale:
– Adattamento della terza edizione di Mario Rippa, Fondamenti di chimica e stesura dei capitoli 9, 11, 12 e 15: Matteo Reggiani
– Rilettura critica: Stefano Piazzini
– Progetto grafico: Chialab, Bologna
– Disegni: Andrea Pizzirani
Copertina:
– Progetto grafico e realizzazione: Chialab, Bologna
– Immagine di copertina: iStockphoto
Prima edizione: marzo 2012
L’impegno a mantenere invariato il contenuto di questo volume per un quinquennio (art. 5 legge n. 169/2008) è comunicato
nel catalogo Zanichelli, disponibile anche online sul sito www.zanichelli.it, ai sensi del DM 41 dell’8 aprile 2009, All. 1/B.
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INDICE
La chimica di Rippa - primo biennio
indice
C A P I TO L O
0
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del primo biennio riassunti in questo
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primo biennio.
Fondamenti di chimica:
un riepilogo del primo biennio
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
La chimica e la struttura dell’atomo .................................................................................. CH/1
Le leggi ponderali della chimica ........................................................................................... CH/3
Sistema periodico e classificazione degli elementi .................................................. CH/5
La mole .................................................................................................................................................. CH/6
Lo stato aeriforme .......................................................................................................................... CH/7
Lo stato liquido ............................................................................................................................... CH/9
Lo stato solido e i passaggi di stato ............................................................................... CH/10
Le soluzioni ..................................................................................................................................... CH/11
III
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita
INDICE
La chimica di Rippa - secondo biennio
C A P I TO L O
D I DAT T I C A AT T I VA
9
ATTIVITÀ
Effetto fotoelettrico
b
A
SCHEDA DI LABORATORIO
Analisi alla fiamma e spettroscopia
APPROFONDIMENTO
Lo spettro del Sole
LABORATORIO SEMPLICE
Spettroscopia chimica
La struttura dell’atomo
9.1
9.2
9.3
L’atomo come sistema planetario ......................................................................................... CH/13
La radiazione elettromagnetica .......................................................................................... CH/14
I quanti di energia ...................................................................................................................... CH/15
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Lo spettro del corpo nero e la catastrofe
ultravioletta ...................................................................................................................................... CH/17
9.4 L’atomo di Bohr ............................................................................................................................. CH/17
|PER SAPERNE DI PIÙ| > I fuochi d’artificio ........................................................................... CH/20
9.5 Le energie di ionizzazione ........................................................................................................ CH/20
9.6 L’elettrone-onda ............................................................................................................................ CH/21
9.7 Il concetto di orbitale .............................................................................................................. CH/23
9.8 I numeri quantici ......................................................................................................................... CH/24
9.9 Gli orbitali s, p, d, f ................................................................................................................... CH/27
9.10 L’energia degli orbitali .............................................................................................................. CH/29
9.11 L’ordine di riempimento degli orbitali e la configurazione
elettronica totale ......................................................................................................................... CH/30
C A P I TO L O
I
FIGURE PARLANTI (9.8 - 9.24)
ATTIVITÀ
Luci al neon e altre lampade a scarica
d
A
d
A
ANIMAZIONE
Energia di ionizzazione e livelli energetici
APPROFONDIMENTO
Il modello elettronico a gusci
ANIMAZIONE
La struttura elettronica degli elementi
APPROFONDIMENTO
Configurazione elettronica
totale degli elementi
10
D I DAT T I C A AT T I VA
LABORATORIO SEMPLICE
Tavola periodica e numeri quantici
Struttura elettronica
e proprietà periodiche
10.1
10.2
10.3
10.4
10.5
10.6
10.7
10.8
Periodicità delle proprietà degli elementi ....................................................................... CH/37
Sistema periodico e configurazione elettronica degli elementi ..................... CH/37
Configurazione elettronica esterna .................................................................................. CH/40
Configurazione elettronica e proprietà degli elementi .......................................... CH/41
Volume atomico e raggio atomico .................................................................................... CH/42
Energia di ionizzazione e affinità elettronica ........................................................... CH/44
Il carattere metallico ................................................................................................................. CH/44
Elettronegatività .......................................................................................................................... CH/45
d
A
I
ANIMAZIONE
Tavola periodica interattiva
APPROFONDIMENTO
Raggio atomico e salinità
dell’oceano
FIGURE PARLANTI (10.8 - 10.11)
LABORATORIO SEMPLICE
Elettronegatività
IV
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita
INDICE
La chimica di Rippa - secondo biennio
C A P I TO L O
D I DAT T I C A AT T I VA
11
Legame chimico
11.1
11.2
11.3
11.4
11.5
11.6
11.7
11.8
11.9
11.10
11.11
11.12
11.13
I legami chimici ........................................................................................................................... CH/51
La configurazione stabile a bassa energia e la regola dell’ottetto ............ CH/52
Il legame ionico ......................................................................................................................... CH/53
Il legame covalente omopolare ........................................................................................ CH/54
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Linus Pauling, uno scienziato «rivoluzionario» ........... CH/57
Il legame covalente eteropolare ...................................................................................... CH/57
Il legame covalente dativo ................................................................................................. CH/59
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Regole per ricavare le strutture di Lewis
delle molecole ............................................................................................................................... CH/60
Il legame metallico .................................................................................................................. CH/61
Legame chimico e posizione degli elementi nel Sistema periodico .......... CH/61
I legami chimici secondari .................................................................................................. CH/63
Le interazioni di Van der Waals ........................................................................................ CH/63
Il legame idrogeno ................................................................................................................... CH/64
Il legame ione-dipolo ............................................................................................................. CH/65
Energia e lunghezza di legame ......................................................................................... CH/66
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Van der Waals e l’arte di arrampicarsi sugli specchi .. CH/68
C A P I TO L O
12
I
b
A
d
d
FIGURE PARLANTI (11.2 - 11.10 - 11.17)
SCHEDA DI LABORATORIO
Decomposizione di una sostanza
pura con il calore
APPROFONDIMENTO
L’energia di legame e la degradazione
dei minerali
ANIMAZIONE
Il legame ionico e il legame metallico
ANIMAZIONE
Il legame covalente
ATTIVITÀ
Polarità delle molecole
A
APPROFONDIMENTO
La teoria degli orbitali molecolari
LABORATORIO SEMPLICE
I legami chimici
D I DAT T I C A AT T I VA
I
FIGURE PARLANTI (12.2 - 12.4 - 12.11 - 12.12)
ATTIVITÀ
Forma delle molecole
Forma delle molecole
e proprietà delle sostanze
12.1
12.2
12.3
12.4
12.5
12.6
12.7
Angolo di legame e forma delle molecole ..................................................................... CH/73
Il modello VSEPR ........................................................................................................................ CH/73
Teoria degli orbitali ibridi .................................................................................................... CH/77
Forma e polarità delle molecole ....................................................................................... CH/79
Polarità e miscibilità ............................................................................................................... CH/81
La formazione delle soluzioni ............................................................................................ CH/82
Soluzioni di un solido in un liquido................................................................................ CH/83
A
APPROFONDIMENTO
Dal modello VSEPR al modello VSED
LABORATORIO SEMPLICE
Forma delle molecole ed elettricità
A
APPROFONDIMENTO
L’accumulo e la carenza delle
vitamine negli organismi
LABORATORIO SEMPLICE
Conducibilità elettrica delle sostanze
V
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita
INDICE
La chimica di Rippa - secondo biennio
C A P I TO L O
13
Nomi e formule dei composti chimici
13.1
13.2
13.3
13.4
13.5
13.6
13.7
13.8
13.9
13.10
13.11
13.12
13.13
13.14
13.15
La formula di un composto .................................................................................................... CH/88
Valenza e numero di ossidazione ..................................................................................... CH/88
Calcolo del numero di ossidazione ................................................................................. CH/90
Numero di ossidazione e formule .................................................................................... CH/93
Nomenclatura chimica ............................................................................................................ CH/94
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Il nome dei sali ............................................................................... CH/94
Il nome delle sostanze allo stato elementare ......................................................... CH/95
Il nome degli ossidi ................................................................................................................. CH/96
Il nome degli idracidi e degli idruri .............................................................................. CH/97
Il nome dei perossidi .............................................................................................................. CH/98
|PER SAPERNE DI PIÙ| > I perossidi: un ossigeno di troppo ....................................... CH/99
Il nome dei sali binari ............................................................................................................ CH/99
Il nome degli idrossidi ........................................................................................................ CH/100
Il nome degli ossoacidi ...................................................................................................... CH/101
Il nome dei radicali acidi .................................................................................................. CH/103
Il nome degli ioni positivi ................................................................................................ CH/104
Il nome dei sali ternari ....................................................................................................... CH/105
D I DAT T I C A AT T I VA
LABORATORIO SEMPLICE
Valenza e numero di ossidazione
I
A
FIGURA PARLANTE (13.3 - 13.5 - 13.9 - 13.13)
APPROFONDIMENTO
Il nome dei minerali
VI
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita
INDICE
La chimica di Rippa - secondo biennio
C A P I TO L O
14
D I DAT T I C A AT T I VA
ATTIVITÀ
Soluzioni di zucchero e sale
d
I
Proprietà delle soluzioni
C A P I TO L O
Dissociazione ionica, dissoluzione
molecolare e reazione di ionizzazione
FIGURE PARLANTI (14.3 - 14.9 - 14.16 - 14.20)
LABORATORIO SEMPLICE
14.1
14.2
14.3
Dissociazione elettrolitica .................................................................................................. CH/110
Ionizzazione in soluzione .................................................................................................. CH/111
Elettroliti forti ed elettroliti deboli ............................................................................ CH/112
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Svante Arrhenius e la dissociazione elettrolitica .... CH/113
14.4 Proprietà delle soluzioni .................................................................................................... CH/114
14.5 Abbassamento della pressione di vapore ................................................................. CH/115
14.6 Innalzamento della temperatura di ebollizione .................................................. CH/116
14.7 Abbassamento della temperatura di solidificazione ......................................... CH/118
14.8 Osmosi ........................................................................................................................................... CH/121
14.9 Pressione osmotica ................................................................................................................ CH/122
|PER SAPERNE DI PIÙ| > L’osmosi inversa .......................................................................... CH/124
14.10 Calcolo della pressione osmotica .................................................................................. CH/124
ANIMAZIONE
Proprietà colligative
A
APPROFONDIMENTO
Il passaggio di sostanze attraverso
la membrana plasmatica
LABORATORIO SEMPLICE
Osmosi nell’uovo
d
ANIMAZIONE
L’osmosi nelle cellule
15
D I DAT T I C A AT T I VA
LABORATORIO SEMPLICE
Le reazioni chimiche
I
Reazioni chimiche
FIGURA PARLANTE (15.12)
ATTIVITÀ
15.1
15.2
15.3
15.4
15.5
Classificazione delle reazioni chimiche ....................................................................
Stechiometria delle reazioni chimiche ......................................................................
Il reagente limitante ............................................................................................................
Stechiometria delle reazioni in soluzione ...............................................................
La resa di reazione .................................................................................................................
Reagenti e prodotti
CH/129
CH/132
CH/134
CH/135
CH/137
A
APPROFONDIMENTO
Azoto: il fattore limitante
degli ecosistemi
VII
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita
INDICE
La chimica di Rippa - secondo biennio
C A P I TO L O
16
D I DAT T I C A AT T I VA
A
APPROFONDIMENTO
Il potere calorifico dei combustibili
LABORATORIO SEMPLICE
Entalpia, entropia, energia libera
Energia e velocità
delle reazioni chimiche
16.1
16.2
16.3
16.4
16.5
16.6
16.7
16.8
16.9
16.10
16.11
16.12
16.13
16.14
16.15
Energia di legame ed energia chimica ....................................................................
Primo principio della termodinamica e sistemi chimici ..............................
Entalpia e calore di reazione ........................................................................................
Entalpia standard di formazione .................................................................................
Reazioni di combustione e calore ..............................................................................
|PER SAPERNE DI PIÙ| > L’idrogeno, un combustibile alternativo ................
La legge di Hess ....................................................................................................................
Calore di reazione e vita ..................................................................................................
Spontaneità delle reazioni chimiche ed entropia ............................................
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Il calorimetro ..........................................................................
Velocità delle reazioni chimiche .................................................................................
Velocità e concentrazione dei reagenti ..................................................................
Teoria degli urti e fattore sterico ...............................................................................
L’energia di attivazione ....................................................................................................
Velocità e temperatura .....................................................................................................
Velocità e suddivisione dei reagenti ........................................................................
Velocità e catalizzatori .....................................................................................................
CH/141
CH/142
CH/144
I
b
CH/146
CH/151
CH/154
CH/154
CH/155
CH/157
CH/158
CH/159
CH/160
CH/161
Influenza della concentrazione dei
reagenti sulla velocità di una reazione
Reazioni e velocità di reazione
CH/148
CH/150
SCHEDA DI LABORATORIO
ATTIVITÀ
CH/147
CH/149
FIGURE PARLANTI (16.13 - 16.18)
b
b
A
b
SCHEDA DI LABORATORIO
Influenza della temperatura
sulla velocità di una reazione
SCHEDA DI LABORATORIO
Influenza della suddivisione dei reagenti
sulla velocità di una reazione
APPROFONDIMENTO
Gli enzimi: catalizzatori biologici
SCHEDA DI LABORATORIO
Influenza di un catalizzatore
sulla velocità di una reazione
VIII
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita
INDICE
La chimica di Rippa - secondo biennio
C A P I TO L O
17
L’equilibrio chimico
17.1
17.2
17.3
17.4
17.5
17.6
17.7
17.8
17.9
17.10
17.11
17.12
17.13
Reversibilità delle reazioni chimiche ......................................................................... CH/167
L’equilibrio chimico ............................................................................................................. CH/169
Dinamicità dell’equilibrio chimico ............................................................................. CH/170
La legge di azione di massa .......................................................................................... CH/171
La costante di equilibrio ................................................................................................. CH/172
Reazioni di equilibrio in fase gassosa .................................................................... CH/174
Quoziente di reazione ........................................................................................................ CH/175
Equilibri eterogenei ............................................................................................................ CH/177
Il principio dell’equilibrio mobile .............................................................................. CH/177
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Equilibri dei gas nel sangue ............................................... CH/179
Effetto della pressione sull’equilibro chimico .................................................... CH/180
Effetto della temperatura sull’equilibrio chimico ............................................ CH/182
Il prodotto di solubilità e l’effetto dello ione in comune .......................... CH/183
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Le grotte, le stalattiti e l’equilibrio
del carbonato di calcio ....................................................................................................... CH/186
Solubilità e precipitazione ............................................................................................. CH/187
D I DAT T I C A AT T I VA
I
FIGURE PARLANTI (17.3 - 17.6 - 17.7 - 17.10 - 17.12)
ATTIVITÀ
Lo stato di equilibrio
LABORATORIO SEMPLICE
L’equilibrio chimico
A
A
APPROFONDIMENTO
Il processo Haber-Bosch:
come sfruttare l’equilibrio mobile
APPROFONDIMENTO
Il solfato di bario e l’intestino
ai raggi X
IX
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita
INDICE
La chimica di Rippa - secondo biennio
C A P I TO L O
18
Acidi e basi
18.1
18.2
18.3
18.4
18.5
18.6
18.7
18.8
18.9
18.10
18.11
18.12
18.13
18.14
18.15
18.16
18.17
D I DAT T I C A AT T I VA
Proprietà degli acidi e delle basi ...............................................................................
Acidi e basi secondo Brønsted-Lowry .....................................................................
Coppie coniugate acido-base ........................................................................................
Acidi e basi secondo Lewis ............................................................................................
La ionizzazione e il prodotto ionico dell’acqua ................................................
Soluzioni acide, basiche e neutre ..............................................................................
Il pH .............................................................................................................................................
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Il pH della pelle ....................................................................
Elettronegatività e comportamento acido, basico o anfotero .................
Costante di dissociazione e forza di acidi e basi .............................................
Calcolo del pH delle soluzioni ......................................................................................
Elettronegatività e forza di acidi e basi ................................................................
Reazioni acido-base ............................................................................................................
L’idrolisi salina .......................................................................................................................
Le soluzioni tampone ........................................................................................................
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Tamponi di pH nel sangue ..............................................
Gli indicatori di pH .............................................................................................................
La titolazione acido-base ................................................................................................
Equivalente chimico e normalità ................................................................................
CH/193
CH/195
CH/196
I
ATTIVITÀ
CH/198
Scala del pH
CH/199
CH/200
CH/201
CH/203
A
CH/210
Le piogge acide
Soluzioni acide e basiche
CH/205
CH/209
APPROFONDIMENTO
ATTIVITÀ
CH/204
CH/207
FIGURE PARLANTI (18.6 - 18.10 - 18.12 - 18.23)
b
SCHEDA DI LABORATORIO
Forza degli acidi
LABORATORIO SEMPLICE
CH/211
Acidi, basi e indicatori
CH/213
CH/215
CH/216
CH/217
b
SCHEDA DI LABORATORIO
Titolazione acido-base
CH/219
X
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita
INDICE
La chimica di Rippa - secondo biennio
C A P I TO L O
19
Elettrochimica
19.1
19.2
19.3
19.4
19.5
19.6
19.7
19.8
19.9
19.10
19.11
19.12
19.13
19.14
19.15
19.16
19.17
19.18
Elettricità e chimica ............................................................................................................. CH/228
Le reazioni redox .................................................................................................................. CH/228
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Luigi Galvani e l’elettricità delle rane .......................... CH/229
Le semireazioni redox ........................................................................................................ CH/231
Bilanciamento delle reazioni redox ........................................................................... CH/232
Le pile elettriche .................................................................................................................. CH/234
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Alessandro Volta: non solo pile ........................................ CH/236
Il potenziale di riduzione ................................................................................................ CH/236
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Reazioni di ossidoriduzione e corrosione ................... CH/238
Reazioni tra semielementi .............................................................................................. CH/239
La pila Daniell ........................................................................................................................ CH/239
Forza elettromotrice di una pila ................................................................................. CH/242
Le pile a secco ....................................................................................................................... CH/243
Gli accumulatori .................................................................................................................... CH/244
Conduttori di prima e seconda classe ..................................................................... CH/244
La conducibilità elettrica delle soluzioni .............................................................. CH/245
L’elettrolisi ................................................................................................................................ CH/246
Elettrolisi e potenziale di riduzione ......................................................................... CH/248
Applicazioni industriali dell’elettrolisi .................................................................... CH/248
Prima legge di Faraday ..................................................................................................... CH/249
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Faraday: una vita per la scienza ....................................... CH/250
Seconda legge di Faraday ................................................................................................ CH/250
D I DAT T I C A AT T I VA
I
A
FIGURE PARLANTI (19.3 - 19.6 - 19.12)
APPROFONDIMENTO
Reazioni di ossidoriduzione e viventi
LABORATORIO SEMPLICE
Le pile
b
b
SCHEDA DI LABORATORIO
Costruzione di alcune pile
SCHEDA DI LABORATORIO
Conducibilità elettrica dei liquidi
LABORATORIO SEMPLICE
Elettrolisi dell’acqua
XI
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita
INDICE
La chimica di Rippa - secondo biennio
C A P I TO L O
20
Chimica inorganica
20.1
20.2
20.3
20.4
20.5
20.6
20.7
20.8
20.9
20.10
20.11
20.12
20.13
20.14
20.15
20.16
20.17
20.18
20.19
20.20
20.21
20.22
20.23
20.24
La chimica inorganica .......................................................................................................
Preparazione degli elementi dai loro composti .................................................
Gli elementi del gruppo 1 ...............................................................................................
Gli elementi del gruppo 2 ...............................................................................................
Gli elementi metallici del gruppo 13 .......................................................................
Gli elementi metallici del gruppo 14 .......................................................................
Gli elementi di transizione e i composti di coordinazione ........................
Il ferro .........................................................................................................................................
Altri elementi di transizione .........................................................................................
Il non-metallo del gruppo 13: il boro .....................................................................
Non-metalli del gruppo 14: il carbonio .................................................................
Non-metalli del gruppo 14: silicio e germanio ..................................................
Gli elementi del gruppo 15 ............................................................................................
L’azoto e i suoi composti ................................................................................................
Il fosforo e i suoi composti ...........................................................................................
Arsenico, antimonio e bismuto ...................................................................................
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Napoleone e l’avvelenamento da arsenico ...........
Gli elementi del gruppo 16 ............................................................................................
L’ossigeno ..................................................................................................................................
Lo zolfo e i suoi composti ..............................................................................................
Un non-metallo senza gruppo: l’idrogeno ............................................................
Gli elementi del gruppo 17 ............................................................................................
Il cloro e i suoi composti ................................................................................................
Fluoro, bromo, iodio e loro composti ......................................................................
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Lo iodio nel corpo ................................................................
Gli elementi del gruppo 18 ............................................................................................
D I DAT T I C A AT T I VA
CH/257
CH/257
CH/259
CH/260
CH/262
CH/263
CH/264
CH/266
CH/268
CH/269
CH/270
I
b
A
A
FIGURE PARLANTI (20.14 - 20.17)
SCHEDA DI LABORATORIO
Decomposizione dell’acqua
per elettrolisi
APPROFONDIMENTO
Il buco dell’ozono
APPROFONDIMENTO
Idrogeno: il combustibile delle stelle
CH/272
CH/273
CH/274
CH/275
CH/276
CH/276
CH/277
CH/277
CH/278
CH/280
CH/282
CH/282
CH/283
CH/283
CH/284
XII
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita
INDICE
La chimica di Rippa - secondo biennio
C A P I TO L O
21
D I DAT T I C A AT T I VA
ATTIVITÀ
Decadimento α
ATTIVITÀ
Decadimento β
APPROFONDIMENTO
Radioattività e reazioni nucleari
21.1
21.2
21.3
La scoperta della radioattività ....................................................................................... CH/288
L’era atomica ............................................................................................................................. CH/289
Il nucleo dell’atomo e il difetto di massa ................................................................. CH/290
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Albert Einstein ........................................................................... CH/292
21.4 Nuclei stabili e nuclei instabili ...................................................................................... CH/292
21.5 Le radiazioni emesse dai radioisotopi ........................................................................ CH/293
21.6 Il decadimento radioattivo .............................................................................................. CH/294
21.7 Il tempo di dimezzamento ................................................................................................ CH/296
21.8 Le trasmutazioni nucleari .................................................................................................. CH/298
21.9 La fissione nucleare .............................................................................................................. CH/299
21.10 La fusione nucleare ............................................................................................................... CH/300
21.11 Confronto tra reazioni chimiche e reazioni nucleari .......................................... CH/302
A
I
A
Altri tipi di decadimento radioattivo:
cattura elettronica ed emissione di
positroni
FIGURE PARLANTI (21.18 - 21.19)
APPROFONDIMENTO
L’energia nucleare
ATTIVITÀ
Fissione nucleare
LABORATORIO SEMPLICE
Il ghiaccio pesante
XIII
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita
INDICE
La chimica di Rippa - secondo biennio
C A P I TO L O
22
Le proprietà dei composti organici
D I DAT T I C A AT T I VA
22.1
22.2
22.3
La chimica del carbonio ..................................................................................................... CH/306
Le proprietà dell’atomo di carbonio ............................................................................ CH/307
L’isomeria nei composti organici .................................................................................. CH/308
|PER SAPERNE DI PIÙ| > La chiralità ................................................................................... CH/311
22.4 La forza dei legami nei composti organici ............................................................... CH/312
22.5 I gruppi funzionali ................................................................................................................ CH/312
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Le creme autoabbronzanti .................................................. CH/313
22.6 La reattività del carbonio .................................................................................................. CH/315
22.7 La reattività dei doppi legami ........................................................................................ CH/316
22.8 Atomi elettrofili e nucleofili e reazioni organiche .............................................. CH/316
22.9 Proprietà fisiche dei composti organici .................................................................... CH/317
22.10 Nomenclatura dei composti organici .......................................................................... CH/318
LABORATORIO SEMPLICE
Proprietà ottica delle molecole
A
I
APPROFONDIMENTO
L’attività ottica e la scoperta della
chiralità
FIGURA PARLANTE (22.9)
XIV
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita
INDICE
La chimica di Rippa - secondo biennio
C A P I TO L O
23
Classificazione dei composti organici
23.1
23.2
23.3
23.4
23.5
23.6
23.7
23.8
23.9
23.10
23.11
23.12
23.13
23.14
23.15
23.16
23.17
23.18
23.19
23.20
23.21
23.22
23.23
23.24
Gli idrocarburi .........................................................................................................................
Alcani ...........................................................................................................................................
Alcheni ........................................................................................................................................
Alchini .........................................................................................................................................
Cicloalcani ................................................................................................................................
Idrocarburi aromatici .........................................................................................................
Le reazioni di polimerizzazione ...................................................................................
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Giulio Natta e il polipropilene .....................................
Le materie plastiche ...........................................................................................................
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Il Pacific Trash Vortex .........................................................
Composti monofunzionali e polifunzionali ..........................................................
Gli alogenuri alchilici e arilici ......................................................................................
Gli alcoli .....................................................................................................................................
Gli alcoli più importanti ..................................................................................................
I fenoli ........................................................................................................................................
I tioalcoli ..................................................................................................................................
Gli eteri .......................................................................................................................................
Le aldeidi ...................................................................................................................................
I chetoni ....................................................................................................................................
Gli acidi carbossilici ...........................................................................................................
Gli acidi carbossilici più importanti .........................................................................
Gli acidi grassi ........................................................................................................................
Gli esteri ....................................................................................................................................
I saponi ......................................................................................................................................
Le ammine ................................................................................................................................
I composti eterociclici ......................................................................................................
D I DAT T I C A AT T I VA
CH/324
CH/324
CH/326
CH/328
CH/329
CH/330
CH/332
CH/333
CH/333
CH/335
CH/336
CH/336
CH/337
CH/338
CH/340
CH/340
A
A
I
A
A
b
APPROFONDIMENTO
I feromoni
APPROFONDIMENTO
Il petrolio e i suoi derivati
FIGURE PARLANTI (23.5 - 23.27)
APPROFONDIMENTO
Il bioaccumulo di DDT nelle
catene alimentari
APPROFONDIMENTO
Etanolo come biocarburante
SCHEDA DI LABORATORIO
Reazione di esterificazione
CH/341
CH/341
CH/342
CH/343
CH/344
CH/345
CH/346
CH/347
CH/347
CH/348
XV
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita
INDICE
La chimica di Rippa - secondo biennio
C A P I TO L O
24
La chimica della vita
24.1
24.2
24.3
24.4
24.5
24.6
24.7
24.8
24.9
24.10
24.11
24.12
24.13
24.14
D I DAT T I C A AT T I VA
La biochimica ........................................................................................................................... CH/355
Carboidrati ................................................................................................................................. CH/356
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Louis Pasteur, il chimico che trasformò
la medicina ................................................................................................................................ CH/356
Monosaccaridi .......................................................................................................................... CH/357
Disaccaridi e polisaccaridi ................................................................................................ CH/359
Lipidi ............................................................................................................................................. CH/362
Lipidi semplici ......................................................................................................................... CH/364
Lipidi complessi ...................................................................................................................... CH/364
Amminoacidi ............................................................................................................................. CH/367
Peptidi .......................................................................................................................................... CH/369
|PER SAPERNE DI PIÙ| > Amminoacidi e sport .............................................................. CH/370
Proteine ....................................................................................................................................... CH/370
Classificazione e struttura delle proteine ................................................................ CH/371
Proteine ed enzimi ................................................................................................................ CH/374
Basi azotate, nucleosidi e nucleotidi ......................................................................... CH/375
Acidi nucleici ............................................................................................................................ CH/377
|PER SAPERNE DI PIÙ| > La doppia elica: Crick & Watson ....................................... CH/379
Indice analitico (CHIMICA capitoli 9-14)
...........................................................................
Indice analitico (CHIMICA capitoli 15-24)
........................................................................
I
b
d
A
FIGURE PARLANTI (24.8 - 24.9 - 24.36 - 24.37)
SCHEDA DI LABORATORIO
Curva di solidificazione
dell’acido stearico
ANIMAZIONE
Polisaccaridi e lipidi
APPROFONDIMENTO
Le biotecnologie
ia/1
ia/9
Referenze fotografiche
L’Editore porrà rimedio, in caso di segnalazione, alle involontarie omissioni o errori nei riferimenti.
p. 1a, 20, 37, 68, 73, 89, 110, 129, 141, 167a, 179, 193a, 203b, 228ab, 243, 244, 257a, 260, 289, 324, 328, 339, 355, 366b, 371a, iStockphoto
p. 10, 18, 22, 82ab, 123, 129, 130, 131, 137, 167abc, 183a, 185, 187a, 215. 217, 218, 230, 239, 245, 246, 261a, 263, 271, 272ab, 274, 275, 283ab, 291, 301ab, 315, 342, 372a, 379,
SPL /London
p. 13, 337a, gettyimages®
p. 16, da La riscoperta dell’Egitto nel secolo XIX. I primi fotografi, Studioforma, Torino 1981
p. 81, 119b, 155a, 214, 238, MILKO MARCHETTI
p. 99, 183bc, CLAUDIO PETTINARI
p. 113, ANDREA PIZZIRANI
p. 257b, 268, da R. HOCHLEITNER, Fotoatlante dei Minerali e rocce, Zanichelli, Bologna 1984
p. 337b, da L’aria e la vita. Una realtà dinamica, a cura di Francesco Soletti, Marsilio, Venezia 1991
p. 364, da BRUM, MCKANE, KARP, Biologia, Zanichelli, Bologna, 1996
p. 370, Yuzuru Sunada
XVI
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alla chimica della vita
Fondamenti di chimica:
un riepilogo del primo biennio
0.1
C A P I TO L O
0
La chimica e la struttura dell’atomo
N
ella parte del testo relativa al primo biennio, lo studio della chimica ci
ha introdotto alla conoscenza delle proprietà della materia che ci circonda. Il percorso che ora ci accingiamo a riprendere ci permetterà di svelare i segreti delle sostanze naturali, così da capire anche come è stato possibile per i chimici ideare e progettare nuovi materiali, quelli che ogni giorno
fanno fare un passo avanti alla tecnologia in tutti i campi. Prima di affrontare questa nuova sfida mettiamo però bene a fuoco gli argomenti già trattati.
Nel capitolo riprenderemo e consolideremo i nodi centrali delle conoscenze
di chimica già acquisite.
씰 La chimica è la scienza che studia la materia e le sue trasformazioni.
Le trasformazioni in cui la materia è coinvolta possono essere trasformazioni fisiche, se varia solo lo stato fisico ed energetico della materia, o trasformazioni chimiche, se si ottengono nuove sostanze e si ha una variazione della composizione della materia (figura 0.1). La materia può essere classificata, secondo la sua composizione, in miscugli e sostanze pure.
I miscugli sono sistemi formati da più di un componente e hanno composizione variabile. I miscugli possono essere separati nei loro componenti
tramite trasformazioni fisiche. I miscugli vengono a loro volta divisi in miscugli omogenei o soluzioni, quando la composizione e le proprietà intensive sono le stesse in ogni parte del sistema, e in miscugli eterogenei, se la
composizione e le proprietà variano da una parte all’altra del sistema.
Le sostanze pure sono sostanze formate da un solo componente e hanno
quindi composizione costante. Le sostanze pure vengono classificate in elementi, se non possono essere scisse in sostanze più semplici, e in composti,
se sono formate da due o più elementi. I composti possono essere scissi negli
elementi che li costituiscono tramite trasformazioni chimiche (figura 0.2).
FIGURA 0.2
Classificazione della materia in base alla sua
composizione. In natura la materia si trova prevalentemente sotto forma di miscugli. Gli oceani e le rocce sono miscugli, rispettivamente, omogenei ed eterogenei.
M AT E RIA
si presenta in natura sotto forma di
MISCUGLI
SOSTANZE PURE
possono essere
possono essere
OMOGENEI
ETEROGENEI
FIGURA 0.1
Un fiammifero che brucia è un esempio di trasformazione chimica. Le sostanze che si trovano sulla capocchia, i reagenti, si trasformano rapidamente in altre sostanze, i
prodotti.
ELEMENTI
COMPOSTI
CH/1
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
0
Fondamenti di chimica: un riepilogo del primo biennio
Nell’Ottocento si appurò che la materia è costituita da parti piccolissime,
gli atomi.
씰 L’atomo è la più piccola parte di un elemento che conserva le proprietà
chimiche dell’elemento stesso.
Un elemento è costituito da atomi dello stesso tipo, con le medesime proprietà chimiche. La prima ipotesi atomica basata su risultati sperimentali si
deve all’inglese John Dalton e si articola su quattro punti:
• la materia è costituita da atomi, particelle di materia indivisibili e
indistruttibili;
• un elemento chimico è formato da atomi tutti uguali tra loro;
• elementi diversi sono formati da atomi diversi per volume, massa
e proprietà;
• atomi diversi possono unirsi tra loro per formare i composti chimici.
Nei composti gli atomi sono tenuti insieme da forze, i legami chimici.
L’unione di due o più atomi produce le molecole.
씰 La molecola è la più piccola parte di un composto che conserva tutte
le proprietà chimiche del composto stesso.
Nelle reazioni chimiche si formano nuove sostanze per effetto di una ricombinazione degli atomi tra di loro.
L’atomo è formato da particelle più piccole, le particelle subatomiche:
• l’elettrone è una particella con carica elettrica negativa (figura 0.3 A);
• il protone è una particella con carica elettrica positiva e massa circa
duemila volte più grande di quella dell’elettrone (figura 0.3 B);
• il neutrone è una particella priva di carica elettrica e con massa circa
uguale a quella del protone (figura 0.3 C).
FIGURA 0.3
Gli atomi sono costituiti da particelle subatomiche diverse per massa e carica elettrica: gli elettroni
(A); i protoni (B) e i neutroni (C).
Rappresentazione
–
Simbolo
e–
A
Rappresentazione
+
Simbolo
p+
Massa
(unità di massa atomica)
Carica
(unità atomica di carica)
1/1836 u
5,4858 · 10 – 4 u
–1
Massa
(unità di massa atomica)
Carica
(unità atomica di carica)
1,007276 u
+1
Massa
(unità di massa atomica)
Carica
(unità atomica di carica)
1,008665 u
0
B
Rappresentazione
n
Simbolo
n
C
Normalmente in un atomo il numero di protoni è uguale al numero di
elettroni, per cui l’atomo è elettricamente neutro.
씰 Gli ioni sono atomi, o gruppi di atomi, dotati di cariche elettriche positive
o negative in quanto hanno ceduto o acquistato elettroni.
Gli atomi, o i gruppi di atomi, con carica positiva sono chiamati cationi,
mentre quelli con carica negativa sono gli anioni.
CH/2
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
0
Fondamenti di chimica: un riepilogo del primo biennio
Nel 1911 Rutherford dimostrò che l’atomo è costituito da una parte
centrale, chiamata nucleo, in cui è concentrata quasi tutta la massa, e da
una parte periferica, molto più grande e quasi vuota, dove si trovano gli
elettroni. Il raggio di un atomo è circa 10 000 volte più grande del raggio
del suo nucleo. L’atomo è praticamente quasi vuoto. Questo modello è
detto atomo nucleare.
Le particelle che si trovano nel nucleo sono chiamate nucleoni. Il numero
totale di protoni e neutroni presenti in un atomo è il numero di massa A. Il
numero di protoni si chiama numero atomico Z (figura 0.4).
Un elemento chimico è formato da atomi con lo stesso numero di protoni, cioè con lo stesso numero atomico. Ogni elemento è rappresentato con
un simbolo chimico.
Elemento
O (ossigeno)
F (fluoro)
Au (oro)
A
=
Z
+
Numero neutroni
16
19
=
+
=
8
9
+
8
10
197
=
79
+
118
FIGURA 0.4
Il numero di massa A di un atomo si ottiene
sommando il numero di neutroni al numero atomico.
Simbolo chimico
A numero di massa
56
26 Fe
Z numero atomico
Tutti gli atomi di uno stesso elemento hanno lo stesso numero di protoni,
ma possono avere un numero di neutroni diverso. Atomi che hanno lo stesso numero di protoni, ma differente numero di neutroni sono detti isotopi.
La formula chimica di una molecola indica la sua composizione qualitativa e quantitativa, utilizzando i simboli chimici degli elementi che ne
fanno parte. La formula molecolare indica in quale rapporto sono gli atomi che costituiscono una singola molecola.
simbolo chimico
dell’elemento
CH4
1 atomo
di carbonio
Le caratteristiche chimiche degli isotopi sono identiche.
indice
Formula molecolare del metano
4 atomi
di idrogeno
0.2 Le leggi ponderali della chimica
T
ra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento nacque la chimica moderna, basata sulla misura della quantità delle sostanze che si combinano, e si posero le fondamenta per il suo sviluppo.
Nel 1775 Antoine Lavoisier con i suoi esperimenti osservò che:
씰 in una reazione chimica che avvenga in un sistema chiuso la massa delle
sostanze reagenti è uguale alla massa dei prodotti di reazione.
Questa enunciazione corrisponde a ciò che oggi è conosciuta come legge
di Lavoisier o legge della conservazione della massa.
La legge delle proporzioni definite, formulata da Joseph-Louis Proust nel
1799, afferma che:
씰 quando due o più elementi si combinano tra loro per dare un composto,
lo fanno secondo rapporti in peso determinati e costanti.
Secondo la legge di Proust la composizione percentuale in peso di un
composto è costante.
La legge delle proporzioni multiple, enunciata da John Dalton nel 1803,
afferma che:
씰 quando due elementi si combinano per dare più composti, una stessa
quantità di un elemento si combina con quantità multiple dell’altro. Le
quantità multiple stanno tra loro come numeri piccoli e interi.
CH/3
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
0
Fondamenti di chimica: un riepilogo del primo biennio
Le masse degli atomi sono state determinate come pesi atomici relativi
utilizzando i rapporti ponderali.
L’unità di misura della massa degli atomi e delle particelle subatomiche
è l’unità di massa atomica (simbolo u), che corrisponde alla dodicesima
parte della massa di un atomo di carbonio 12 C.
1 u = 1,66 · 10
– 24
g
In natura un elemento è sempre presente in una miscela di isotopi. Il
peso atomico (P.A.) di un elemento è il peso medio di un atomo dell’elemento, espresso in unità di massa atomica, e dipende dalle percentuali relative con cui i vari isotopi sono presenti in natura e dalla loro massa.
Il peso molecolare (P.M.) di un composto è uguale alla somma dei pesi
atomici degli atomi che lo formano (figura 0.5).
FIGURA 0.5
Il peso molecolare del glucosio C 6H12O6 si
ottiene sommando i pesi atomici di tutti gli atomi che costituiscono la molecola.
P.M.
C6H12O6 ==
(6 · 12)
(6 · 16)
(12 · 1)
+
+
== 180 u
Le reazioni chimiche sono trasformazioni in cui si formano nuove sostanze. Le sostanze di partenza sono dette reagenti e quelle che si formano
prodotti. Le reazioni chimiche sono rappresentate tramite le equazioni chimiche (figura 0.6).
FIGURA 0.6
In una reazione chimica si rompono e si formano legami chimici, per cui si hanno nuove combinazioni
tra gli stessi atomi. Dai reagenti si passa ai prodotti.
+
+
+
2H2(gas)
O2(gas)
2H2O(gas)
Reagenti
(A), l’equazione non rispetta la legge di Lavoisier. (B), il bilanciamento si ottiene scrivendo appropriati coefficienti stechiometrici davanti le formule.
FIGURA 0.7
(A)
Un’equazione chimica deve essere bilanciata per rispettare la legge della conservazione della massa. Il bilanciamento di un’equazione chimica si
realizza aggiungendo opportuni coefficienti stechiometrici (figura 0.7).
Equazione non bilanciata
FeO
+
Fe
+
O
(B)
O2
O
O
Fe2O3
O
Atomi di ossigeno = 3
Atomi di ferro = 2
Atomi di ossigeno = 3
Fe
Equazione bilanciata
4FeO
O
O
Fe
Atomi di ferro = 1
Prodotti
O2
+
Fe
O
Fe
O
Fe
O
Fe
O
2Fe2O3
O
Fe
+
O
O
Fe
Atomi di ferro = 4
Fe
O
O
Atomi di ossigeno = 6
O
O
Atomi di ferro = 4
Atomi di ossigeno = 6
CH/4
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
O
Fe
CAPITOLO
0
Fondamenti di chimica: un riepilogo del primo biennio
0.3 Sistema periodico
e classificazione degli elementi
H
1
씰 le proprietà degli elementi variano in modo periodico in funzione del
peso atomico.
Utilizzando la legge periodica, Mendeleev predisse l’esistenza e alcune
proprietà di elementi ai suoi tempi ancora sconosciuti.
Il Sistema periodico moderno ordina gli elementi in ordine crescente di
numero atomico. Gli elementi risultano disposti in periodi (righe orizzontali) e gruppi (colonne verticali). Il periodo e il gruppo in cui si trova un elemento costituiscono le sue coordinate chimiche. A ogni coppia di coordinate chimiche corrisponde un unico elemento (figura 0.9).
Gli elementi chimici con proprietà simili fanno parte della stessa famiglia chimica. Importanti famiglie chimiche sono: i metalli alcalini (gruppo
1), i metalli alcalino-terrosi (gruppo 2), gli alogeni (gruppo 17), i gas nobili
(gruppo 18) e gli elementi di transizione.
Be
B
9,4
11
BeH2 BH3
C
12
CH4
Na Mg
Al
Si
23
24 27,3 28
NaH MgH2 AlH3 SiH4
I
l Sistema periodico racchiude e ordina tutti gli elementi chimici noti.
A partire dal diciannovesimo secolo gli scienziati cercarono di organizzare gli elementi chimici in base alle loro somiglianze. Nel 1869 il chimico
russo Dmitrij Mendeleev ordinò e classificò gli elementi nella Tavola periodica. Mendeleev osservò che, disponendo gli elementi in ordine di peso
atomico crescente, alcune proprietà chimiche variavano in modo periodico
e si ripetevano ogni otto elementi (figura 0.8).
La legge periodica di Mendeleev afferma che:
Li
7
LiH
K
39
KH
Ca
40
CaH2
?
N
O
14
16
NH3 H2O
P
31
PH3
S
32
H2S
F
19
HF
Cl
35,5
HCl
Ti
48
TiH4
FIGURA 0.8
Seguendo le formule dei composti che gli elementi formano con l’idrogeno, Mendeleev collocò nella stessa
colonna gli elementi con comportamento simile. Procedendo in
questo modo rimasero posizioni libere.
FIGURA 0.9
Il Sistema periodico moderno ordina gli elementi chimici per numero atomico crescente. È composto da 18
gruppi e 7 periodi.
CH/5
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
0
Fondamenti di chimica: un riepilogo del primo biennio
Gli elementi chimici vengono classificati in metalli, non-metalli e semimetalli (figura 0.10).
FIGURA 0.10
La linea rossa spezzata divide i metalli (a
sinistra) dai non-metalli (a destra). Gli elementi vicini alla
linea hanno caratteristiche intermedie e sono chiamati
semimetalli.
I metalli costituiscono la maggior parte degli elementi del Sistema periodico e possiedono alcune caratteristiche comuni: si trovano allo stato solido
(tranne il mercurio), sono buoni conduttori, sono duttili, malleabili e lucenti (figura 0.11).
I non-metalli sono invece isolanti e friabili, mentre i semimetalli sono semiconduttori.
0.4 La mole
FIGURA 0.11 Il rame è un metallo estremamente duttile e
malleabile, tanto che viene facilmente ridotto in fili e in
fogli sottilissimi.
L
a mole è l’unità di misura del Sistema Internazionale della quantità di
sostanza.
씰 La mole (simbolo mol) è definita come la quantità di sostanza pura che
contiene un numero di unità elementari (atomi, molecole, ioni, elettroni)
esattamente uguale al numero di atomi contenuti in 12 g di carbonio 12 C.
Una mole di una qualunque sostanza contiene 6,022 · 10 23 unità elementari (figura 0.12).
Il numero di unità elementari contenute in una mole di sostanza è detto
costante di Avogadro o semplicemente numero di Avogadro (NA):
Non capisco
perché ti lamenti:
«Una MOLE per uno
non fa male a
nessuno!»
NA = 6,022 · 10 23 particelle / mol
Il numero di particelle Np contenute in una data quantità di sostanza n,
espressa in moli, è uguale a:
numero di particelle (Np) = n (mol) · NA (particelle / mol)
Il numero di moli corrispondente a un dato numero di particelle è uguale a:
n (mol) =
Np
NA
La mole è definita in modo tale per cui la massa in grammi di una mole
di una sostanza è numericamente uguale al peso atomico o molecolare della sostanza stessa ed è detta massa molare. Il suo simbolo è M e la sua
unità di misura è grammi/mole (g/mol) (figura 0.13).
Il numero di moli presenti in una certa massa di sostanza è uguale a:
FIGURA 0.12
La massa di una mole varia da elemento a
elemento in modo proporzionale alla massa di ogni singolo
atomo.
n (mol) =
m (g)
M (g/mol)
CH/6
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CAPITOLO
0
Fondamenti di chimica: un riepilogo del primo biennio
Nei gas le particelle sono libere di muoversi, non risentono di forze di attrazione e occupano perciò tutto lo spazio disponibile (figura 0.14).
Il volume di un gas è lo spazio a disposizione delle sue particelle e la sua
pressione è la forza che le sue particelle esercitano sulla superficie del recipiente in cui è contenuto.
Le proprietà dei gas sono interpretate tramite il modello del gas ideale o
perfetto, il quale prevede che:
FIGURA 0.14 Nelle sostanze aeriformi le particelle si muovono liberamente in tutte le direzioni.
• ogni particella è in movimento caotico;
• le particelle sono libere di muoversi in modo indipendente le une dalle
altre;
• il volume delle particelle è praticamente nullo.
I gas reali sono i gas che esistono in natura. Un gas reale che si trova a
bassa pressione e alta temperatura può essere considerato un gas ideale.
Le trasformazioni dei gas sono le modificazioni che riguardano i loro valori di temperatura, pressione e volume.
La pressione e il volume di un gas sono direttamente proporzionali al suo
numero di particelle e quindi al numero di moli di gas.
Queste leggi sono espresse dalle relazioni:
p/n = k
V/n = k
Pressione p
La legge isoterma di Boyle riguarda le trasformazioni a temperatura costante e afferma che il volume del gas è inversamente proporzionale alla
sua pressione (figura 0.15). La legge è espressa dalla relazione:
p·V=k
La legge isocora di Gay-Lussac riguarda le trasformazioni a volume costante e afferma che per ogni variazione di 1 grado di temperatura la pressione varia di 1/273 della pressione esercitata a 0 °C (figura 0.16). La legge è
espressa dalla formula:
pt = p0 · [1 + t/273]
t = costante
iso
ter
ma
La legge isobara di Charles riguarda le trasformazioni a pressione costante e afferma che per ogni variazione di 1 grado di temperatura il volume varia di 1/273 del volume occupato a 0 °C. La legge è espressa dalla formula:
0
Volume V
ra
Pressione p
FIGURA 0.15
Il grafico relativo a una trasformazione isoterma è un ramo di iperbole equilatera.
iso
co
p / T = k (legge isocora)
V / T = k (legge isobara)
V = costante
0
Vt = V0 · [1 + t/273]
Anche il grafico di una trasformazione isobara è una retta non passante
dall’origine degli assi.
In base alle leggi dei gas si può risalire alla minima temperatura possibile,
lo zero assoluto, che corrisponde a – 273 °C. Nella scala Kelvin, o della temperatura assoluta, lo zero (0 K) equivale a – 273 °C. Per ottenere la temperatura in kelvin occorre sommare 273 alla temperatura in gradi centigradi.
Esprimendo la temperatura in valori della scala della temperatura assoluta T, la legge isocora e la legge isobara sono così modificate:
Temperatura t
FIGURA 0.16
Il grafico relativo a una trasformazione isocora è una retta non passante per l’origine degli assi.
Il principio di Avogadro riguarda le trasformazioni a temperatura e pressione costante e afferma che volumi uguali di gas diversi contengono lo
stesso numero di particelle. In altre parole il volume di un gas è direttamente proporzionale al numero di moli di gas. Una mole di qualsiasi gas alle
condizioni normali (0 °C; 1 atm) occupa 22,4 litri. Il volume di una mole di
gas alle condizioni normali è chiamato volume molare (L/mol).
Riunendo le leggi dei gas si ottiene un’equazione che correla la pressione,
la temperatura, il volume e il numero di moli di un gas tramite la costante
universale dei gas R. Tale equazione prende il nome di equazione di stato
dei gas perfetti:
pV=nRT
Il valore di R è uguale a 8,31 J/(mol · K) oppure 0,0821 atm · L / (mol · K).
CH/8
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CAPITOLO
0
Fondamenti di chimica: un riepilogo del primo biennio
0.7 Lo stato solido e i passaggi di stato
N
ello stato solido le particelle sono fortemente unite tra di loro tramite
forze e occupano posizione fisse (figura 0.19). Di conseguenza i solidi
hanno volume e forma propria e sono incomprimibili. Nello stato solido le
particelle possono muoversi esclusivamente con moti vibrazionali e non
con moti rotazionali e traslazionali come nei liquidi e negli aeriformi.
I solidi possono essere solidi cristallini o solidi amorfi. I solidi cristallini
sono costituiti da cristalli, strutture caratterizzate dal massimo ordine e da
forme poliedriche tipiche, con le particelle che occupano posizioni fisse e
regolari (figura 0.20). La disposizione ordinata delle particelle di un solido
cristallino determina il reticolo cristallino.
Al contrario nei solidi amorfi, che si formano a seguito di un raffreddamento veloce di un liquido, le particelle hanno una disposizione spaziale
non regolare.
FIGURA 0.19
Le forze di attrazione presenti tra le particelle conferiscono alle unità di base dei solidi una disposizione regolare e ordinata.
FIGURA 0.20
I cristalli si formano quando un liquido raffredda lentamente o una soluzione concentrata viene lasciata cristallizzare: le particelle hanno il tempo sufficiente per
formare strutture ordinate.
Proprietà importanti dei solidi sono: la malleabilità; la duttilità e la durezza, misurata con la scala di Mohs.
La temperatura o punto di fusione è la temperatura alla quale un solido
si trasforma in liquido nel passaggio di stato chiamato fusione. Questa temperatura coincide con la temperatura o
punto di solidificazione, che segna il passaggio dallo stato liquido a quello solido
nel processo di solidificazione. Il passaggio diretto dallo stato solido allo stato aeriforme si chiama sublimazione, il passaggio inverso brinamento.
La curva di riscaldamento di una sostanza solida riporta la variazione di temperatura che si osserva riscaldando una
sostanza pura (figura 0.21). Si osserva che
durante i passaggi di stato la temperatura
rimane costante. Questo fenomeno è chiamato stasi termica. La lunghezza dei tratti rettilinei della curva dipende dal
calore specifico e dal calore latente della sostanza.
씰 Il calore specifico di una sostanza è la quantità di calore che bisogna
fornire a un grammo di sostanza per aumentare la temperatura di un
grado centigrado.
씰 Il calore latente è il calore che occorre fornire a un grammo di sostanza
alla temperatura del passaggio di stato per far avvenire il passaggio.
La distillazione è il processo che permette di separare i componenti di un
miscuglio liquido, sfruttando il loro diverso punto di ebollizione e condensando separatamente i vapori. Qualora le temperature di ebollizione dei
componenti del miscuglio siano molto vicine tra di loro, per rendere possibile la separazione si sfrutta la distillazione frazionata. Al distillatore viene
aggiunta una colonna di rettifica, che permette di condensare i vapori meno
volatili e separare i componenti della miscela.
Alcune sostanze formano i cristalli liquidi, la cui condizione può essere
considerata uno stato intermedio tra lo stato solido e lo stato liquido. Le
molecole dei composti che formano cristalli liquidi possono variare la propria struttura a seconda delle condizioni di pressione e temperatura o per
l’azione di campi elettrici e assumere una struttura ordinata, come nei solidi, o una struttura più disordinata, simile a quella dei liquidi.
I polimeri sono macromolecole ottenute dall’unione in catena di molecole più piccole. Esistono polimeri naturali, come i polisaccaridi e le proteine, e polimeri sintetici, come il polietilene e il PVC.
CH/10
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CAPITOLO
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Fondamenti di chimica: un riepilogo del primo biennio
PASSAGGI DI STATO
fusione
solido
solido
solidificazione
liquido
evaporazione / ebollizione
aeriforme
liquido
liquefazione / condensazione
aeriforme
G
Temperatura
critica
Gas
Temperatura
di ebollizione
Vapore
D
Temperatura
di fusione
Temperatura
F
Temperatura di
liquefazione o di
condensazione
E
Temperatura
di solidificazione
Liquido
C
B
A
Calore del
solido
FIGURA 0.21
Durante i passaggi di stato la temperatura
rimane costante, in quanto l’energia viene utilizzata dal sistema per vincere le forze intermolecolari che uniscono le
particelle negli stati condensati della materia.
Solido
Calore
latente
di fusione
Calore
del liquido
Calore
latente di
vaporizzazione
Calore
del vapore
Calore
del gas
Calore fornito
0.8 Le soluzioni
I
miscugli si dividono in miscugli eterogenei e in miscugli omogenei o soluzioni (figura 0.22). Nei miscugli eterogenei la materia è presente in stati omogenei diversi, le fasi. Le proprietà intensive sono diverse nelle differenti parti del sistema. In un miscuglio eterogeneo è sempre possibile distinguere e separare i componenti. Nelle soluzioni i componenti sono completamente mescolati fra loro, per cui vi è la presenza di un’unica fase.
씰 Una soluzione è un sistema formato da più componenti che presenta le
stesse proprietà intensive in ogni parte.
Le soluzioni possono essere liquide, solide o gassose. La legge di Dalton
afferma che:
씰 la pressione esercitata dalle soluzioni gassose è uguale alla somma delle
pressioni parziali esercitate dai singoli componenti.
FIGURA 0.22 Il solfato di rame sciolto in acqua è una soluzione, il granito e il sangue sono miscugli eterogenei.
A
B
C
CH/11
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CAPITOLO
0
Fondamenti di chimica: un riepilogo del primo biennio
L’entropia è la misura del grado di disordine di un sistema. Tutti i sistemi
tendono spontaneamente ad aumentare la loro entropia. Quando si forma
una soluzione, l’entropia aumenta in quanto si passa da un sistema ordinato, la sostanza che si scioglie, a uno disordinato, la soluzione.
Una soluzione è costituita dal solvente e dai soluti.
씰 Il solvente di una soluzione è il componente più abbondante, mentre i
soluti sono i componenti presenti in minore quantità.
Una sostanza che si scioglie facilmente in un solvente è detta solubile,
mentre se non si scioglie viene definita insolubile. Anche le sostanze solubili non possono essere miscelate in qualunque rapporto con il solvente.
Una soluzione è detta satura, se contiene la massima quantità possibile di
soluto e si è venuto a formare il corpo di fondo.
씰 La solubilità è la quantità massima di soluto che può sciogliersi in una
data quantità di solvente a una certa temperatura.
La solubilità dipende dalla natura chimica del soluto e dalla temperatura
della soluzione. In genere, nel caso dei soluti solidi la solubilità aumenta
con la temperatura, mentre la solubilità dei gas nei liquidi diminuisce.
La solubilità di un gas in un liquido dipende anche dalla pressione del
gas. La legge di Henry afferma che:
씰 la quantità di gas che si scioglie in un liquido è direttamente proporzionale alla pressione esercitata dal gas.
씰 La concentrazione di una soluzione esprime le quantità relative di soluto
e solvente presenti.
TABELLA 0.2 La concentrazione di una soluzione può essere espressa in diversi modi a seconda della convenienza.
Concentrazione
La concentrazione di una soluzione può essere indicata in diversi modi,
in quanto si possono esprimere le quantità di soluto e soluzione in termini
di volume, di massa o di numero di moli (tabella 0.2).
Se le dimensioni delle particelle dei soluti sono superiori a 1 nm, il miscuglio non è più una soluzione, ma una dispersione. Le dispersioni colloidali, o colloidi, si formano quando le particelle disperse hanno dimensioni
comprese tra 1 e 1 000 nanometri. I colloidi possono essere considerati
come casi intermedi tra miscugli eterogenei e soluzioni e si classificano in
base agli stati di aggregazione della fase dispersa e del mezzo disperdente.
Sono colloidi gli aerosol, le schiume e le emulsioni. Se le particelle hanno
dimensioni superiori ai 1 000 nm si parla di sospensioni.
Simbolo
Soluto
Soluzione
Relazione matematica
Percentuale peso/peso
%P/P
g
100 g
(gsoluto / gsoluzione ) × 100
Percentuale peso/volume
%P/V
g
100 cm3 = 100 mL
(gsoluto / cm3soluzione ) × 100
Percentuale volume/volume
%V/V
cm3 = mL
100 cm3 = 100 mL
(cm3soluto / cm3soluzione ) × 100
ppm
mg
1 dm3 = 1 L
mgsoluto / dm3soluzione
M
mol
1 dm3 = 1 L
molsoluto / Lsoluzione
Parti per milione
Molarità
Con le caratteristiche delle soluzioni si conclude la trattazione degli argomenti che nel primo biennio hanno introdotto lo studio della chimica. Ora
si apre la porta alla esplorazione di nuovi territori. Entreremo nello spazio
infinitamente piccolo delle particelle subatomiche e scopriremo le straordinarie architetture create dagli elettroni. Impareremo a scrivere formule e a
prevedere quali legami tengono uniti gli atomi. Alla fine saremo più vicini
a scoprire i segreti della materia.
CH/12
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La struttura dell’atomo
C A P I TO L O
9
9.1 L’atomo come sistema planetario
L
a teoria atomica di Dalton, che affermava l’indivisibilità degli atomi, fu
messa in discussione tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Gli
esperimenti di alcuni scienziati, fra cui quello di Thomson con il tubo a
raggi catodici, permisero di dimostrare che l’atomo è formato da particelle
più piccole: i protoni, gli elettroni e i neutroni (cfr. § 0.1).
Successivamente, gli scienziati ottennero importanti informazioni sulla
struttura dell’atomo, cioè sul modo in cui le particelle subatomiche sono disposte al suo interno (tabella 9.1).
In particolare nel 1911 il fisico Ernest Rutherford, basandosi sui risultati dell’esperimento che porta il suo nome, elaborò il modello nucleare
dell’atomo. Secondo questo modello, l’atomo è costituito prevalentemente da spazio vuoto, al cui interno si muovono rapidamente gli elettroni, e
da un piccolo nucleo denso e positivo, dove si trovano i protoni e i neutroni (cfr. § 0.1).
Rutherford ipotizzò per l’atomo una struttura planetaria, in cui il nucleo
rappresentava il Sole e gli elettroni si comportavano come i pianeti. Gli
elettroni ruotavano attorno al nucleo a grande velocità lungo traiettorie circolari. La velocità dell’elettrone doveva essere tale che la forza centrifuga
generata dalla rotazione bilanciasse in ogni istante la forza di attrazione
elettrostatica del nucleo positivo (figura 9.1).
Anno
Scoperta
1897
J.J. Thomson identifica gli elettroni
1904
J.J. Thomson propone il modello atomico a
«panettone»
1911
E. Rutherford elabora il modello atomico
nucleare
1914
Viene dimostrata sperimentalmente l’esistenza
dei protoni. H. Moseley determina la carica dei
nuclei degli atomi e definisce il numero atomico
1932
J. Chadwick scopre i neutroni
TABELLA 9.1
Tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del
ventesimo secolo numerose scoperte permisero di fare luce sulla struttura dell’atomo.
La forza centrifuga è quella forza che spinge verso
l’esterno un corpo che ruota intorno a un punto.
FIGURA 9.1
L’elettrone è attratto dal nucleo da una forza
elettrostatica. Questa forza, secondo l’ipotesi di Rutherford, è
uguale e contraria alla forza centrifuga, che agisce sull’elettrone in conseguenza del suo moto circolare. Questo equilibrio di forze è analogo a quello esistente nel sistema solare
fra Sole e pianeti.
CH/13
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CAPITOLO
9
La struttura dell’atomo
Questa ipotesi però non poteva essere accettata in quanto, a differenza
dei pianeti, gli elettroni sono corpi elettricamente carichi in movimento.
Sotto l’azione del campo elettrico dell’atomo, gli elettroni avrebbero dovuto
perdere energia e sarebbero alla fine caduti nel nucleo (figura 9.2). Il modello non riusciva perciò a spiegare il comportamento degli elettroni, sia per
quanto riguardava il tipo di movimento sia per la loro traiettoria.
– Elettrone
+
Nucleo
9.2 La radiazione elettromagnetica
Secondo le leggi dell’elettromagnetismo,
una particella carica in moto circolare libera energia emettendo radiazioni. Di conseguenza, un elettrone che si muove come un pianeta attorno al Sole deve diminuire la sua
velocità e finisce per cadere sul nucleo seguendo una
traiettoria a spirale.
FIGURA 9.2
I fenomeni che vengono spiegati utilizzando il modello ondulatorio sono: rifrazione, diffrazione e interferenza.
Intensità
Per indicare la frequenza si usa la lettera greca ν,
che si legge ni. La lunghezza d’onda è indicata dalla
lettera greca λ, che si legge lambda.
Lunghezza d’onda
Ampiezza
I
problemi posti dal modello planetario di Rutherford furono superati grazie agli studi sulla emissione di luce da parte delle sostanze. La luce è
stata per lungo tempo oggetto della ricerca scientifica, che cercava di definirne la reale natura. Verso la metà del Seicento lo scienziato inglese Isaac
Newton (1642-1727) ipotizzò che la luce fosse formata da minuscole particelle. Alla fine di quello stesso secolo il fisico olandese Christiaan Huygens
(1629-1695) propose un modello alternativo a quello corpuscolare, ipotizzando per la luce una natura ondulatoria. Nel corso dell’Ottocento, grazie
agli studi del fisico scozzese James Clerk Maxwell (1831-1879) sull’interferenza della luce e sull’elettromagnetismo, la teoria ondulatoria prevalse su
quella corpuscolare.
La luce va considerata come una particolare forma di onda elettromagnetica, che si genera dall’oscillazione su piani perpendicolari di un campo
elettrico e di un campo magnetico (figura 9.3).
I parametri che permettono di caratterizzare un’onda sono:
• la frequenza (ν); indica il numero di oscillazioni che un’onda compie nell’unità di tempo; si misura in s –1, che equivale alla misura in hertz (Hz);
• la lunghezza d’onda (λ); rappresenta la distanza tra due massimi dell’onda e si misura in metri, anche se nel caso della luce l’unità di misura più
adeguata è il nanometro (nm);
• l’ampiezza (A); corrisponde alla massima altezza della cresta dell’onda
rispetto alla base;
• il periodo (T); corrisponde all’intervallo di tempo in cui avviene un’oscillazione completa dell’onda;
• la velocità di propagazione; è uguale al rapporto tra la lunghezza d’onda
e il suo periodo; nel vuoto la velocità di propagazione di un’onda luminosa assume un valore costante (c), che è uguale a 3 · 10 8 m/s.
In base alla definizione di velocità di propagazione per la luce si ha:
c=
Tempo
λ
T
(1)
A sua volta la frequenza ν è uguale a:
Generalmente l’onda elettromagnetica viene
rappresentata mostrando esclusivamente la componente
elettrica. Secondo il modello ondulatorio, in un piano cartesiano, che riporta in ordinata l’ampiezza dell’onda e in
ascissa la sua direzione di propagazione, la luce può essere
rappresentata da una curva sinusoidale.
ν=
FIGURA 9.3
1
T
per cui sostituendo nella (1) si ha:
c=ν·λ
e di conseguenza:
ν=
c
λ
(2)
Questa relazione significa che tutte le onde elettromagnetiche si propagano in un mezzo con la stessa velocità, ma si differenziano per la frequenza
di oscillazione e quindi anche per la lunghezza d’onda.
L’insieme di tutte le frequenze che le onde elettromagnetiche possono assumere costituisce lo spettro elettromagnetico (figura 9.4). Con il termine
luce si intende la parte visibile dello spettro elettromagnetico, che si estende tra l’ultravioletto e i raggi infrarossi.
CH/14
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CAPITOLO
9
La struttura dell’atomo
FIGURA 9.4
Lo spettro elettromagnetico include, oltre
alla luce visibile, i raggi γ , i raggi X, i raggi ultravioletti e
infrarossi, le microonde e le onde radio. La luce visibile
corrisponde a una fascia molto ristretta dello spettro elettromagnetico.
λ cresce
10 –2
10
10 –4
10 –6
10 –8
10 –10
10 –12
10 –14
Lunghezza d’onda λ
Onde radio Onde TV Microonde Infrarosso
Frequenza ν
3·10 8
3·1010
Visibile
metri
Ultravioletto Raggi X
3·1012
Raggi γ
s–1
3·1016
3·1018
3·10 20
3·10 22
ν cresce
700 nm
400 nm
Rosso
Arancio Giallo
Verde
Azzurro
Indaco
Violetto
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
1. Utilizzando la figura 9.4, determina in quale zona spettrale si trova una radiazione con lunghezza d’onda di 100 nm. Calcola inoltre la frequenza della radiazione.
1. Calcola la lunghezza d’onda di una radiazione
la cui frequenza è 4 · 10 18 Hz. In quale zona
dello spettro elettromagnetico si trova?
In figura 9.4 le lunghezze d’onda sono espresse in metri, per cui occorre trasformare
il valore 100 nm da nanometri a metri:
1 nm = 1∙10 –9 m, per cui 100 nm = 1,00∙10 – 7 m
Una radiazione con lunghezza d’onda dell’ordine di 10 – 7 m corrisponde alla zona
dell’ultravioletto dello spettro elettromagnetico.
La frequenza di una radiazione è inversamente proporzionale alla sua lunghezza
d’onda. Poiché tutte le radiazioni si propagano nel vuoto alla velocità della luce, per
calcolare la frequenza occorre dividere la velocità della luce per la lunghezza d’onda
della radiazione:
3 ∙ 10 8 m s –1/ 1,00 ∙ 10 –7 m = 3,00 ∙ 10 15 s – 1
9.3 I quanti di energia
V
erso la fine dell’Ottocento vennero scoperti alcuni fenomeni, per i quali
le leggi della fisica classica non erano in grado di fornire nessuna spiegazione e interpretazione. Il problema principale era la cosiddetta catastrofe dell’ultravioletto, termine con cui venne indicato l’imprevisto comportamento delle radiazioni emesse da un corpo nero (vedi PER SAPERNE DI PIÙ).
Nel 1900 il fisico tedesco Max Planck (1858-1947) propose la teoria quantistica, che interpretò perfettamente l’emissione del corpo nero, rivoluzionando il pensiero scientifico ed i concetti basilari della fisica.
La fisica classica è la fisica anteriore al 1900.
Il corpo nero è un corpo che emette radiazioni in
seguito al suo riscaldamento.
씰 La teoria quantistica postula che nei processi fisici l’energia
non può essere trasferita in modo continuo, cioè in quantità
piccole a piacere, ma in quantità ben definite, dette quanti.
Il concetto di quanto di energia non è semplice e immediato. Facciamo
un esempio esplicativo. Per salire un gradino alto 10 cm dobbiamo sollevare il piede di un’altezza per lo meno pari all’altezza del gradino. Se non
facciamo questo lavoro, se non consumiamo questa energia, non saliremo
mai. Possiamo provare anche mille volte di seguito a sollevare il piede di 9
cm, ma non riusciremo a salire. La minima quantità di energia, che corrisponde all’altezza del gradino, è ciò che possiamo chiamare quanto di energia (figura 9.5).
CH/15
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9
La struttura dell’atomo
FIGURA 9.5
In molti casi le variazioni di energia avvengono solo in apparenza in modo continuo. In realtà, quando vogliamo superare un dislivello, per esempio salire in cima a una piramide,
le variazioni di energia avvengono attraverso tanti singoli passaggi in modo discontinuo, perché
ogni «quanto di energia» permette di superare un singolo «gradino» alla volta.
L’energia E di ogni quanto è proporzionale alla frequenza ν della radiazione:
E=h·ν
dove h è una costante, chiamata costante di Planck, che vale 6,63 · 10 –34 J · s.
Pertanto, nelle interazioni tra radiazioni e materia, per esempio quando la
luce colpisce gli atomi, l’energia viene scambiata (assorbita o emessa) per
quantità multiple di un quanto h· ν. Nel 1922 Arthur Holly Compton (18921962) coniò il termine fotone per indicare un quanto di luce.
La teoria di Planck all’inizio non fu accolta con entusiasmo dalla comunità scientifica. Nel 1905, però, Albert Einstein (1879-1955) la utilizzò proficuamente per interpretare e spiegare l’effetto fotoelettrico, cioè l’emissione di elettroni da parte di alcuni metalli quando vengono colpiti da opportune radiazioni. Albert Einstein vinse il premio Nobel nel 1921 proprio per
i suoi studi sull’effetto fotoelettrico.
Quello che si osserva sperimentalmente nell’effetto fotoelettrico, e che
non può essere spiegato ammettendo una natura solamente ondulatoria delle radiazioni, è che:
ATTIVITÀ
Effetto fotoelettrico
• l’emissione di elettroni avviene solo se la frequenza della radiazione è superiore a un certo valore ν0, chiamato soglia fotoelettrica;
• l’energia cinetica degli elettroni emessi dipende dalla frequenza della radiazione incidente sul metallo e non dalla sua intensità (figura 9.6);
Energia cinetica dei fotoelettroni
• il numero di elettroni emessi dal metallo dipende dall’intensità della radiazione incidente.
ν0
Frequenza della radiazione (ν)
FIGURA 9.6
Il grafico mostra come varia l’energia degli
elettroni emessi in funzione della frequenza ν della radiazione. Per frequenze della radiazione inferiori alla soglia
fotoelettrica ν0 non si ha emissione di elettroni.
L’esistenza della soglia fotoelettrica non poteva essere spiegata dal modello ondulatorio, secondo cui l’energia della radiazione dipendeva dall’intensità della radiazione. Considerando invece le radiazioni come quantità
discrete, Einstein dimostrò che l’elettrone veniva emesso soltanto se il metallo era colpito da una radiazione con sufficiente energia. Secondo l’equazione di Planck (E = h · ν), questa energia è funzione esclusivamente della
frequenza della radiazione. L’intensità della radiazione incidente, che dipende dal numero di fotoni, determina invece il numero di elettroni emessi. Più numerosi sono i fotoni più è probabile che un elettrone interagisca
con un quanto di energia. Secondo Einstein la luce si comportava come se
fosse costituita da piccolissime particelle, i fotoni, con energia proporzionale alla loro frequenza.
In conclusione, il comportamento delle radiazioni può essere interpretato
correttamente soltanto ammettendone una doppia natura, chiamata dualismo onda-particella. La luce può essere descritta sia come un’onda elettromagnetica sia come un flusso di particelle in rapidissimo movimento.
씰 Quando la luce si propaga nello spazio può essere considerata
come un’onda, mentre quando interagisce con la materia mostra
caratteristiche corpuscolari.
CH/16
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
9
La struttura dell’atomo
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
2. Calcola l’energia di un fotone la cui frequenza è 3,00 · 1011 s– 1.
2. Calcola la frequenza e la lunghezza d’onda di
un fotone con un’energia di 2,45 · 10 –16 J.
L’energia di un fotone si calcola moltiplicando la frequenza della radiazione per la
costante di Planck:
3,00 ∙ 10 11 s –1 × 6,63 ∙ 10 –34 J ∙ s = 1,99 ∙ 10 – 22 J
dalle leggi della fisica classica e quella determinata sperimentalmente. A questa osservazione fu dato il nome di catastrofe dell’ultravioletto.
La spiegazione dello spettro di emissione
del corpo nero fu alla base della teoria
quantistica di Planck. Il 14 dicembre del
1900 Max Planck presentò all’Accademia delle Scienze tedesca un lavoro che spiegava in
modo compiuto e chiaro la distribuzione
dell’energia nello spettro di emissione del
corpo nero. Considerando, infatti, che gli
atomi del corpo nero possono assorbire ed
emettere energia solo per quantità discrete
proporzionali alla frequenza e non in modo
continuo, lo spettro viene interpretato correttamente. La luce emessa, che si origina
dalla vibrazione degli atomi del corpo nero,
può avere solo valori discreti di energia, determinabili utilizzando l’equazione di Planck
E = h · ν. Il massimo di intensità che si osserva corrisponde alla frequenza di vibrazione degli atomi del corpo nero.
Lo spettro del corpo nero
e la catastrofe ultravioletta
PER SAPERNE DI PIÙ
Scaldando un blocco di ferro si osserva che
durante il riscaldamento cambia colore. Prima assume una colorazione rossa, poi gialla
e infine bianca con sfumature azzurre. All’aumentare della temperatura il blocco di
ferro emette radiazioni sempre più energetiche. Il blocco di ferro appena considerato si
comporta come un corpo nero.
Lo spettro di emissione di un corpo nero
mostra come l’intensità della radiazione
emessa raggiunga un massimo in corrispondenza di una determinata frequenza, che
cresce all’aumentare della temperatura. Questo fatto non è spiegabile con le leggi dell’elettromagnetismo, secondo le quali l’intensità della radiazione dovrebbe crescere
indefinitamente all’aumentare della frequenza. Si osserva invece una diminuzione dell’intensità della radiazione alle frequenze
corrispondenti alla zona spettrale dell’ultravioletto. A partire dalla zona spettrale corrispondente all’ultravioletto si osserva uno
scostamento tra la curva teorica dedotta
Iλ
0
λ
Lo spettro di emissione del corpo nero (curva continua) si discosta da quello dedotto teoricamente (curva tratteggiata). Solo nella regione dell’infrarosso le
due curve coincidono. Secondo l’interpretazione classica l’intensità della radiazione dovrebbe crescere all’infinito all’aumentare della frequenza della radiazione.
9.4 L’atomo di Bohr
R
iscaldando un gas rarefatto, questo emette luce. Facendo passare la radiazione emessa attraverso un prisma di vetro, questa si scompone in
un insieme di righe colorate distanziate, chiamato spettro a righe (figura 9.7
A). Se la stessa procedura è effettuata con la luce bianca, questa viene
scomposta in tutte le componenti monocromatiche che si susseguono dal
rosso al violetto: si ottiene uno spettro continuo (figura 9.7 B).
Luce bianca
Gas
rarefatto
caldo
Gas
compresso
caldo
A
B
FIGURA 9.7
(A), un elemento gassoso rarefatto e incandescente emette solo
alcune lunghezze d’onda, caratteristiche dell’elemento. Se la radiazione emessa
attraversa un prisma di vetro, questo scompone la radiazione e separa le diverse componenti. Quello che si ottiene è uno spettro a righe, cioè una serie di ri-
ghe colorate su uno sfondo scuro. (B), un gas compresso e incandescente
emette luce bianca. Poiché la luce bianca contiene tutte le lunghezze d’onda,
la radiazione luminosa viene scomposta dal prisma in uno spettro continuo,
cioè si ottiene un insieme di colori che si susseguono in modo continuo.
CH/17
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
b
A
SCHEDA DI LABORATORIO
Analisi alla fiamma e spettroscopia
APPROFONDIMENTO
Lo spettro del Sole
I ricercatori tedeschi Kirchhoff e Robert Wilhelm von
Bunsen (1811-1899) attraverso indagini spettroscopiche scoprirono gli elementi rubidio e cesio.
LABORATORIO SEMPLICE
Spettroscopia chimica
9
La struttura dell’atomo
Ogni elemento è caratterizzato da un proprio spettro d’emissione, per
cui analizzando la radiazione emessa da un campione è possibile identificare gli elementi in esso presenti.
La stessa cosa succede se un gas viene irradiato con luce bianca: la radiazione emergente risulta attenuata in corrispondenza di determinate frequenze. Ciò che si ottiene è lo spettro di assorbimento. Le radiazioni assorbite e quelle emesse da uno stesso elemento corrispondono perfettamente. Questa osservazione fu fatta per la prima volta dal matematico e
fisico tedesco Gustav Robert Kirchhoff (1824-1887) ed è nota come principio di inversione dello spettro.
Dalla metà dell’Ottocento la spettroscopia, cioè la branca della scienza
che si occupa dell’interpretazione degli spettri, divenne un potente mezzo
per studiare le proprietà della materia.
Nel 1913 il fisico danese Niels Bohr (1885-1962) ipotizzò che gli spettri
di emissione e di assorbimento di un atomo fossero in relazione con i suoi
elettroni. Applicando la teoria quantistica all’ipotesi della struttura planetaria dell’atomo, Bohr elaborò un modello capace di spiegare la frequenza
delle righe di emissione dell’atomo di idrogeno e di prevedere e calcolare il
raggio delle orbite possibili per il suo unico elettrone. Il valore in picometri
(pm) del raggio r delle orbite era determinato dall’espressione:
1 pm = 1 picometro = 10–12 m
r = 53 n 2
r = 53n2
dove n è un numero intero e positivo, chiamato numero quantico principale, che può assumere tutti i valori interi positivi da 1 a infinito (n = 1, 2, 3,
4, 5, 6, 7 … ∞).
Secondo questo modello, che prende il nome di atomo di Bohr, gli elettroni non possono distribuirsi in qualsiasi punto dello spazio atomico, ma
solo a particolari distanze, descrivendo orbite di raggio r = 53 n 2 pm e possedendo così valori quantizzati di energia. Se un elettrone abbandona
un’orbita, cioè cambia il valore di n, deve necessariamente trasferirsi su
un’altra orbita a distanza diversa. L’orbita più piccola (n = 1) è distante 53
pm dal nucleo: l’elettrone non potrà trovarsi a distanze minori e non potrà
mai cadere sul nucleo (figura 9.8).
n=
1
2
3
4
5
r=
53 pm
212 pm
477 pm
848 pm
1325 pm
pm 848
pm 477
−
−
I
−
−
pm 212
FIGURA PARLANTE
pm 1325
FIGURA 9.8
Nel modello costruito da
Bohr studiando l’atomo di idrogeno,
l’elettrone non può stare a qualunque
distanza dal nucleo, ma può muoversi
solo su orbite circolari di raggio 53 pm,
212 pm, 477 pm, 848 pm, 1325 pm
ecc. Le misure non sono rappresentate
in scala.
−
pm 53
+
1
1
H
Niels Bohr è stato uno degli scienziati più importanti del
Novecento per i suoi contributi sulla struttura dell’atomo
e sulla meccanica quantistica. Premio Nobel per la fisica
nel 1922, a causa delle persecuzioni naziste per le sue
origini ebree nel 1943 fu costretto a rifugiarsi negli Stati
Uniti. Qui si unì ai fisici che lavoravano al «Progetto
Manhattan» per la produzione della bomba atomica. Successivamente, però, fu uno strenuo sostenitore della pace
nel mondo e si rivolse ai capi di governo delle principali
potenze e all’ONU per promuovere la cooperazione e il
controllo delle armi di distruzione di massa.
Un elettrone dell’idrogeno che si trova sull’orbita con raggio minore,
quella corrispondente al numero quantico principale n = 1, è caratterizzato dal minimo valore di energia, che viene chiamato stato fondamentale.
Alle altre orbite permesse corrispondono valori di energia superiori, che
vengono indicati come stati eccitati.
Ogni elettrone è attirato dal nucleo. Per portare un elettrone da un’orbita
più piccola a una più grande, cioè per allontanarlo dal nucleo, bisogna
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CAPITOLO
9
La struttura dell’atomo
vincere questa forza di attrazione e, quindi, bisogna fornirgli energia. L’elettrone che si viene a trovare su un’orbita più ampia ha perciò l’energia
che aveva prima, più quella necessaria per il passaggio. In un atomo risulta
allora che, se consideriamo elettroni appartenenti a orbite di raggio diverso, l’elettrone che gira sull’orbita più esterna ha il maggiore valore di energia (figura 9.9).
Per sollevare un oggetto consumiamo energia, cioè
cediamo una parte della nostra energia all’oggetto.
Ciò vuol dire che qualunque corpo per il fatto di trovarsi più in alto, cioè più distante dal centro di attrazione, possiede maggiore energia potenziale.
Numero quantico
principale
4
Energia
3
Distanza
dal nucleo
FIGURA 9.9
Con l’aumentare del numero quantico principale n aumentano la distanza dal nucleo e l’energia dell’elettrone. Un elettrone che passa da un’orbita con raggio
minore a una con raggio maggiore aumenta la propria energia di un valore quantizzato.
2
Quanto
di energia
e–
bassa
ene
rgi
a
alta ene
rgia
1
Nucleo
Normalmente gli elettroni di un atomo occupano le orbite a minore energia. Se forniamo all’atomo una quantità di energia sufficiente per far passare l’elettrone a un’orbita con numero quantico principale più grande, questo
passaggio avviene. Successivamente l’elettrone ritorna allo stato fondamentale, emettendo energia sotto forma di fotoni di opportuna frequenza. Se la
frequenza cade nella parte dello spettro elettromagnetico corrispondente
alla luce visibile, si ottiene una riga colorata.
L’energia del fotone, assorbito o emesso, è uguale alla differenza tra i valori di energia delle orbite tra cui avviene la transizione elettronica e può
essere determinata dall’espressione:
ΔE = h · ν
Maggiore è la differenza di energia degli stati tra cui avviene la transizione elettronica, maggiore è la frequenza della radiazione emessa (figura 9.10
A). Per esempio, nello spettro di emissione dell’idrogeno si osservano quattro righe nella parte visibile dello spettro elettromagnetico, che corrispondono alle transizioni elettroniche che arrivano al livello con numero quantico principale n = 2 (figura 9.10 B).
A
n= 6
n= 5
n= 4
n= 3
E6
E5
E4
E3
n= 2
E2
n= 1
E1
B
λ (nm)
656
486
ν (Hz)
4,57 ·1014
6,17 ·1014
434
ATTIVITÀ
Luci al neon e altre lampade a scarica
FIGURA 9.10
(A), la frequenza della radiazione emessa
dipende dalla differenza di energia delle orbite tra cui
avviene la transizione. (B), nell’atomo di idrogeno le
transizioni elettroniche tra uno stato eccitato e il livello
con n = 2 danno origine alle righe spettrali con frequenza corrispondente alla porzione visibile dello spettro. Le
transizioni che terminano nello stato con n = 1 cadono
nell’ultravioletto, mentre quelle che terminano nell’orbita
con n = 3 cadono nell’infrarosso.
410
6,91 ·1014 7,31 ·1014
La riga a frequenza minore è dovuta alla transizione dell’elettrone tra
l’orbita con n = 3 e quella con n = 2. La differenza di energia tra i due
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CAPITOLO
9
La struttura dell’atomo
stati è l’energia del fotone: ΔE = E 3 – E 2 = 3,03 · 10 – 19 J. Per ricavare la
frequenza della radiazione emessa è sufficiente dividere l’energia del
fotone per la costante di Planck h:
ν=
ΔE
h
=
3,03 · 10 – 19 J
6,63 · 10 –34 J · s
= 4,57 · 10 14 s –1
In sintesi, il modello atomico di Bohr prevede che:
• un elettrone può muoversi solo seguendo orbite con raggi definiti dal numero quantico principale;
• l’energia di un elettrone aumenta all’aumentare del raggio dell’orbita e,
quindi, all’aumentare del numero quantico principale;
• un elettrone per passare a un livello energetico superiore assorbe energia,
mentre per tornare a un’orbita con energia inferiore emette un fotone di
opportuna frequenza;
• la frequenza del fotone emesso è tale per cui la sua energia corrisponde
alla differenza di energia delle due orbite tra cui avviene la transizione.
La presenza di righe vicinissime con frequenze leggermente diverse negli spettri degli elementi prende
il nome di struttura fine delle righe spettrali.
Gli splendenti colori dei fuochi d’artificio
sono dovuti agli atomi e agli ioni di particolari sali, che sono aggiunti alle polveri
con cui i fuochi sono preparati.
Quando gli atomi vengono eccitati, alcuni elettroni assorbono energia, che è restituita sotto forma di luce al ritorno degli
elettroni allo stato fondamentale.
Per produrre energia si usano sostanze
I fuochi d’artificio
PER SAPERNE DI PIÙ
Il modello di Bohr è particolarmente efficace per spiegare le righe di
emissione dell’atomo di idrogeno e fornisce risultati soddisfacenti anche
quando è applicato ai cosiddetti atomi idrogenoidi, cioè quegli ioni, come
Li2+ e He+, che posseggono un solo elettrone. Il modello di Bohr non fornisce invece risultati adeguati quando viene applicato ad atomi polielettronici, i cui spettri sono caratterizzati da molte righe vicine.
La teoria di Bohr fu completata e generalizzata dal fisico tedesco Arnold
Sommerfeld (1868-1951), che ammise per gli elettroni orbite non più sferiche. Sommerfeld ipotizzò orbite ellittiche con diverse orientazioni e suppose che ogni livello fosse strutturato in più sottolivelli. In questo modo si
spiegava la presenza di più righe spettrali ravvicinate.
ossidanti, come il perclorato di potassio
(KClO4) o il nitrato di potassio (KNO3). La
luce bianca si ottiene ossidando magnesio
o alluminio ad alte temperature. La luce
gialla si sprigiona dai sali di sodio. I sali di
stronzio danno luce rossa, quelli di bario
verde. Per il colore blu, il più difficile da
produrre, occorre decomporre il cloruro di
rame (CuCl 2) a basse temperature.
9.5 Le energie di ionizzazione
L
Legge di Coulomb. Due cariche elettriche si attraggono, se hanno segno opposto, o si respingono, se
sono dello stesso segno, con una forza direttamente
proporzionale al prodotto delle due cariche e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza.
d
ANIMAZIONE
Energia di ionizzazione e livelli energetici
a distribuzione degli elettroni in diversi livelli di energia, ipotizzata da
Bohr, ha trovato importanti conferme sperimentali.
Gli elettroni di un atomo sono attratti dal nucleo e, in accordo con la legge di Coulomb, la forza con cui sono trattenuti diminuisce all’aumentare
della loro distanza dal nucleo. Se forniamo a un atomo energia sufficiente, è
possibile allontanare definitivamente i suoi elettroni per formare un catione
(cfr. § 0.1). Il processo con cui si formano i cationi prende il nome di ionizzazione e l’energia necessaria per sottrarre gli elettroni a un atomo è detta
energia di ionizzazione.
씰 L’energia necessaria per allontanare l’elettrone più esterno
da un atomo isolato è detta energia di prima ionizzazione.
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CAPITOLO
9
La struttura dell’atomo
L’energia per estrarre il secondo elettrone da un atomo prende il nome di
energia di seconda ionizzazione. Fornendo energia adeguata è possibile eliminare tutti gli elettroni da un atomo. Per esempio per il berillio Be, che ha
4 protoni e 4 elettroni, sono possibili quattro ionizzazioni. I processi di ionizzazione del berillio possono essere così schematizzati:
Be(g)
Ei
500
400
300
+ E 1 → Be+(g) + e –
200
Be+(g) + E 2 → Be2+(g) + e –
100
Be2+(g) + E 3 → Be3+(g) + e –
0
0
Be3+(g) + E 4 → Be4+(g) + e –
dove E 1 è l’energia di prima ionizzazione, mentre E 2, E 3 e E 4 sono rispettivamente le energie di seconda, terza e quarta ionizzazione.
Analizzando come variano i valori dell’energia necessaria per estrarre
tutti gli elettroni di un elemento, si ottengono importanti informazioni sulla struttura elettronica degli atomi. Le energie di ionizzazione successive
alla prima assumono valori sempre crescenti. Questo fatto è spiegabile ammettendo che l’allontanamento degli elettroni da un atomo non più neutro,
ma carico positivamente, richieda più energia. Gli elettroni rimasti risultano infatti più trattenuti dal nucleo.
Riportando in un grafico tutte le energie di ionizzazione di un elemento,
si può osservare come i valori non aumentino in modo graduale, ma risultino raggruppati (figura 9.11). Per esempio, le energie di prima, seconda e
terza ionizzazione dell’alluminio (Z = 13) hanno valori crescenti, ma non
molto distanti tra loro, mentre si osserva un grande incremento nell’energia di quarta ionizzazione. Successivamente l’energia cresce in modo lineare fino all’eliminazione dell’undicesimo elettrone. Un altro salto nei
valori di energia di ionizzazione si osserva per l’allontanamento degli ultimi due elettroni, il dodicesimo e il tredicesimo. L’andamento delle energie
di ionizzazione dell’alluminio può essere spiegato ammettendo una distribuzione degli elettroni non uniforme, ma a gruppi. Si può ipotizzare che gli
elettroni non si dispongano alla stessa distanza dal nucleo, ma in livelli caratterizzati da energia diversa. L’alluminio dovrebbe disporre due elettroni
in un primo livello più vicino al nucleo, otto elettroni in un secondo livello
intermedio e tre elettroni in un terzo livello più esterno.
Le stesse osservazioni possono essere fatte per tutti gli elementi (figura
9.12). L’analisi delle energie di ionizzazione degli elementi conferma l’esistenza dei livelli energetici ipotizzati da Bohr. Gli elettroni di un atomo
non si trovano tutti alla stessa distanza dal nucleo, ma sono disposti in livelli diversi, cui competono valori di energia differenti.
2
4
6
8
Elettroni allontanati
10
FIGURA 9.11 L’andamento dei valori delle successive energie di ionizzazione dell’alluminio mostra come i 13 elettroni dell’elemento siano disposti in tre livelli energetici.
Ei
Primo livello
500
Secondo
livello
400
300
Terzo
livello
200
Quarto
livello
100
0
0
2
4
6
8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30
Z
Energie di progressiva ionizzazione dei primi
30 elementi. Per ragioni di spazio sono riportate le energie
relative ai due elettroni del primo livello solo per i primi
16 elementi. I valori sono espressi in kJ/mol. Il grafico
mostra chiaramente come la disposizione degli elettroni
negli atomi di tutti gli elementi non sia uniforme, ma ripartita in livelli.
FIGURA 9.12
9.6 L’elettrone-onda
U
na volta stabilito che la luce poteva essere descritta sia come un’onda
elettromagnetica sia come un flusso di particelle in rapidissimo movimento, il passo successivo fu di considerare la materia, che è costituita da
particelle, come un’onda, almeno per alcuni suoi comportamenti.
L’elettrone è una particella piccolissima, indivisibile, dotata di elevatissima velocità. Nel 1924 Louis Victor de Broglie (1892-1987, premio Nobel nel
1929) avanzò l’ipotesi che l’elettrone, come il fotone, potesse essere descritto sia come particella sia come onda. Per de Broglie ogni particella subatomica è un corpuscolo, ma è anche un’onda elettromagnetica, le cui caratteristiche dipendono dalla massa e dalla velocità della particella. L’onda associata all’elettrone doveva essere, secondo il fisico francese, un’onda stazionaria, che si propaga lungo una circonferenza avente per centro il nucleo
dell’atomo (figura 9.13).
12
A
APPROFONDIMENTO
Il modello elettronico a gusci
CH/21
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CAPITOLO
9
La struttura dell’atomo
A
B
FIGURA 9.13
(A), l’elettrone non è solo una particella
corpuscolare, ma è anche un’onda. Poiché l’orbita è circolare, l’onda è stazionaria. L’onda può essere stazionaria soltanto se la lunghezza d’onda è tale che a ogni giro vi sia
concordanza di fase. Le orbite devono contenere un numero
intero di lunghezze d’onda e possono avere perciò solo particolari valori del raggio. Da questa proprietà trae origine il
numero quantico principale. (B), quando facciamo vibrare
le corde di una chitarra produciamo un’onda stazionaria,
che parte e arriva sempre dagli stessi punti descrivendo un
numero intero di oscillazioni.
La lunghezza d’onda associata a una particella può essere determinata
combinando l’equazione di Planck E = h · ν, concepita per le onde elettromagnetiche, con la relazione di Einstein E = m · c 2, che lega massa ed
energia delle particelle. Svolti tutti i passaggi, risulta che:
λ=
Werner Heisenberg fu collaboratore di Niels Bohr e ricevette il premio Nobel nel 1932 grazie all’enunciazione del
principio di indeterminazione. È stato uno dei fondatori
della meccanica quantistica.
h
m·v
dove λ è la lunghezza d’onda della radiazione, h la costante di Planck, m la
massa e v la velocità della particella. In base a questa relazione, una particella che si muove con velocità v elevata deve avere massa m piccolissima,
affinché la lunghezza dell’onda associata λ sia almeno misurabile.
L’idea di elettrone-onda fu accettata, anche se poneva nuovi problemi.
Mentre nel modello di Bohr l’elettrone era considerato come una particella
che viaggiava su orbite definite, come un treno sui binari, e si poteva prevedere in ogni momento dove si trovava e dove sarebbe passato, con la nuova
concezione proposta da de Broglie non si riusciva più a localizzarlo. Per l’elettrone-onda non era possibile individuare con certezza le posizioni assunte durante il moto. Se vogliamo sapere come si muove un elettrone, dobbiamo irradiarlo con una radiazione corta, di lunghezza d’onda simile a quella
dell’elettrone-onda. Le radiazioni corte, però, hanno elevata frequenza e, di
conseguenza, grande energia. L’impatto della radiazione con l’elettrone provoca inevitabilmente una perturbazione del moto della particella.
Nel 1927 il fisico tedesco Werner Heisenberg (1901-1976) enunciò il suo
famoso principio di indeterminazione, con cui si dichiarava l’assoluta impossibilità di conoscere contemporaneamente i valori precisi della velocità
e della posizione delle particelle subatomiche, cioè in pratica le caratteristiche del loro movimento.
Alla luce di ciò ancora oggi è impossibile sapere quale cammino percorrerà e dove si troverà in un particolare momento l’elettrone-onda, che si allontana e si avvicina al nucleo. Non lo potremo mai sapere, ma possiamo
fare valutazioni probabilistiche: possiamo calcolare le probabilità di trovare
l’elettrone entro una determinata distanza dal nucleo in una certa direzione dello spazio. Gli studi condotti dai fisici hanno segnato il passaggio dalla meccanica classica newtoniana alla meccanica quantistica, dalla certezza
al calcolo delle probabilità.
Nel 1926 il fisico Erwin Schrödinger (1887-1961) propose una relazione
matematica, l’equazione d’onda, le cui soluzioni sono funzioni, chiamate
funzioni d’onda, che descrivono i diversi stati in cui l’elettrone si può trovare. Le funzioni d’onda vengono indicate con la lettera greca ψ (psi). Queste funzioni d’onda sono chiamate orbitali.
CH/22
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9
La struttura dell’atomo
L’equazione di Schrödinger permette di calcolare con precisione l’energia
dell’elettrone, ma per il principio di indeterminazione di Heisemberg la definizione della sua posizione è sempre afflitta da incertezza. Si può quindi
stabilire unicamente la probabilità di trovare un elettrone in una determinata regione dello spazio, quando si trova in un dato stato energetico. Il quadrato della funzione d’onda (ψ2) è proporzionale alla probabilità di trovare
l’elettrone in una data zona dello spazio atomico e il suo valore diminuisce
allontanandosi dal nucleo.
9.7 Il concetto di orbitale
P
er spiegare con rigore scientifico il comportamento dell’elettrone-onda e
per valutare probabilisticamente le caratteristiche del suo movimento,
dovremmo addentrarci in una trattazione matematica abbastanza complicata. Con un piccolo sforzo cerchiamo comunque di cogliere i significati essenziali di questo approccio al problema. Per aiutarci faremo ricorso agli
esempi riportati qui di seguito, in cui si riconosce facilmente la differenza
tra certezza e probabilità di un evento.
Il termine orbitale è stato introdotto nel 1932 dal
fisico e chimico statunitense Robert Mulliken (18961986) come abbreviazione di funzione d’onda orbitale
monoelettronica.
Certezza. Un trenino elettrico che corre su binari circolari: è possibile
calcolare il momento in cui il trenino passerà per un determinato punto del
suo percorso.
Probabilità. Un’automobilina telecomandata da un ragazzo: non si sa quale percorso seguirà, né con quale frequenza e quando passerà per un determinato punto. Si può calcolare, però, la probabilità di trovarla entro una determinata distanza dal ragazzo e si può determinare l’ampiezza della zona
intorno al ragazzo in cui l’automobilina corre per la maggior parte, ad esempio il 90%, del suo tempo.
Facciamo un altro esempio. Al centro di un piazzale c’è un ragazzo che
gioca a gettare sassi intorno a sé, in tutte le direzioni. Ne lancia a diverse distanze, alcuni vicini, altri lontani. Noi non sappiamo a quale distanza dal
ragazzo sarà scagliato il sasso successivo, ma possiamo fare previsioni statistiche: calcoliamo la distanza dal ragazzo entro la quale si trova il 90% dei
sassi già lanciati e possiamo scommettere che, con il 90% di probabilità, il
prossimo sasso cadrà entro tale distanza. Certo, il sasso successivo potrebbe
essere lanciato più lontano, ma le probabilità che ciò avvenga sono molto
basse. Abbiamo così determinato l’area entro la quale è molto probabile
essere colpiti dai sassi lanciati dal ragazzo.
L’elettrone, che è onda e particella, si muove intorno al nucleo con un moto impossibile da definire. Le diverse posizioni assunte nel tempo dall’elettrone fanno sì che in pratica si formi una nube di carica elettrica negativa. Questa nube, come le nubi del cielo, non ha contorni ben
definiti. Possiamo però definire un contorno, una superficie, che al suo interno comprenda, per esempio, il
90% della nube.
Riprendiamo di nuovo l’esempio dell’automobilina telecomandata. Nella sua corsa vorticosa il giocattolo si troverà a passare con molte probabilità nelle vicinanze del ragazzo, da cui qualche volta si allontanerà (figura 9.14). Nell’atomo, allo stesso modo, l’elettrone, attirato dal nucleo, tende a
passare più frequentemente vicino all’area centrale, ma potrà trovarsi
anche molto lontano da essa. In effetti, la probabilità di incontrare l’elettrone diminuisce man mano che ci allontaniamo dal nucleo. Questa probabilità, però, diventa zero solo a distanza infinita. Per evidenti motivi pratici è
perciò conveniente determinare il raggio di una immaginaria sfera nella
quale vi sia una elevata probabilità, il 90%, di trovare l’elettrone e non la
FIGURA 9.14 L’automobilina telecomandata dal ragazzo segue un percorso non prevedibile e non determinabile. È possibile tuttavia individuare una circonferenza all’interno della
quale la probabilità di trovare l’automobilina è elevata.
CH/23
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CAPITOLO
9
La struttura dell’atomo
certezza, il 100%. La certezza di trovare l’elettrone in una sfera che al centro ha il nucleo si avrebbe solo se il raggio fosse infinito.
Il concetto di orbitale si fonda su queste considerazioni probabilistiche,
ricavate dalle formule delle funzioni d’onda. Espresso con una definizione
sintetica ed efficace, che non richiede la conoscenza dell’equazione di
Schrödinger, l’orbitale è la regione dello spazio, del tutto immaginaria e ricavata matematicamente, in cui vi è il 90% di probabilità di trovare l’elettrone (figura 9.15).
A ogni diverso stato energetico dell’elettrone corrisponde un diverso orbitale. Gli atomi di idrogeno ed elio, ad esempio, hanno gli elettroni in orbitali di forma sferica. Ciò vuol dire che all’interno di ciascuno di questi spazi sferici vi è per lo meno il 90% di probabilità di trovare l’elettrone relativo a quell’orbitale.
L’atomo di idrogeno è costituito da un solo protone e da un solo elettrone. Secondo il modello atomico di Bohr, oggi abbandonato, l’elettrone girava intorno al protone lungo un’orbita circolare. Secondo il modello degli
orbitali, detto anche modello quantomeccanico, il protone è al centro di
una nube elettronica sferica all’interno della quale vi è il 90% di probabilità
di trovare l’elettrone, ovvero dove l’elettrone passa il 90% del suo tempo.
Ricapitoliamo quanto la meccanica quantistica prevede sugli elettroni.
씰 Un elettrone è contemporaneamente una particella e un’onda.
씰 Gli elettroni non si muovono lungo orbite prefissate.
씰 Il movimento e lo stato energetico dell’elettrone definiscono le
caratteristiche dell’orbitale ad esso relativo.
씰 L’orbitale può essere considerato come la regione dello spazio intorno
al nucleo dove c’è il 90% di probabilità di trovare l’elettrone.
씰 L’orbitale può essere considerato come la regione dello spazio intorno
al nucleo in cui l’elettrone passa il 90% del suo tempo.
FIGURA 9.15
(A), questa immagine è ciò che si vedrebbe
se potessimo fotografare la posizione di un elettrone a intervalli brevissimi di tempo. (B), la circonferenza tratteggiata delimita la regione dello spazio in cui vi è il 90% delle
probabilità di trovare l’elettrone. (C), rappresentazione tridimensionale di un orbitale sferico, cioè della regione dello
spazio atomico in cui la probabilità di trovare un elettrone
con determinate caratteristiche energetiche è del 90%.
A
B
C
9.8 I numeri quantici
S
econdo il modello di atomo planetario, gli elettroni, considerati soltanto
come particelle, giravano su orbite che differivano tra loro per le dimensioni, in base al valore del numero quantico principale n, e per la forma,
circolare o ellittica. Secondo il modello degli orbitali, l’elettrone, considerato invece come particella-onda, si trova all’interno di spazi che differiscono
tra loro per dimensione, forma e orientazione nello spazio. Le dimensioni,
la forma e l’orientazione nello spazio dei vari orbitali sono specificate da tre
tipi di numeri, chiamati numeri quantici.
Il numero quantico principale (simbolo n) può assumere tutti i valori
interi positivi compresi tra 1 e infinito (n = 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 … ∞). Nel modello degli orbitali questo numero ha lo stesso significato, gli stessi valori
e lo stesso simbolo che abbiamo già conosciuto studiando l’atomo di Bohr
(cfr. § 9.4). Il numero quantico principale è un indice delle dimensioni e
dell’energia dell’orbitale. Un orbitale con un valore di n piccolo ha dimensioni più ridotte ed energia più bassa rispetto a un orbitale che ha un
valore di n maggiore.
CH/24
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CAPITOLO
9
La struttura dell’atomo
Il numero quantico angolare o secondario (simbolo l ) può assumere tutti
i valori interi compresi tra 0 e (n – 1) (figura 9.16). Per esempio, se n = 4, l
può assumere 4 valori: 0, 1, 2 e 3 (vedi seconda colonna della figura 9.16). Il
numero quantico angolare indica la forma dell’orbitale. Per esempio, quando l è uguale a 0, l’orbitale è sferico, mentre quando l ha altri valori, l’orbitale ha altre forme che conosceremo nel prossimo paragrafo.
L’elettrone è una carica elettrica in rapidissimo movimento e pertanto,
come ogni carica elettrica in movimento, genera un campo magnetico. Ogni
orbitale può essere paragonato a un piccolo magnete che può assumere diverse orientazioni nello spazio. Il numero quantico magnetico (simbolo m)
indica le diverse possibilità di orientazione degli orbitali nello spazio. Il numero quantico magnetico può assumere tutti i valori interi compresi tra –l e
+ l. Per esempio, se l = 2, m può assumere 5 valori: – 2, – 1, 0, +1, +2 (vedi
terza colonna della figura 9.16).
Da quanto abbiamo detto risulta che i valori di m dipendono da quelli di
l, che a loro volta dipendono da quelli di n.
Nella figura 9.16 sono riportati i valori che i numeri quantici l e m possono assumere in corrispondenza con i primi quattro valori di n. Indichiamo
gli orbitali con quadratini colorati. Il primo quadratino che incontriamo in
alto nella figura rappresenta un orbitale caratterizzato dai seguenti valori
dei numeri quantici: n = 1, l = 0, m = 0. Il quadratino indicato da una freccina è invece contraddistinto dai seguenti valori dei numeri quantici: n = 4,
l = 2, m = – 2.
Nella figura 9.16 si vede anche che, in corrispondenza dei diversi valori
dei numeri quantici principali n, vi è un diverso numero di orbitali.
I numeri quantici derivano il loro nome dal fatto di
essere stati introdotti dalla meccanica quantistica e
si ottengono risolvendo l’equazione di Schrödinger.
씰 Il numero di orbitali possibili per ogni valore di n è dato da n 2.
Con n = 4, per esempio, abbiamo 42 = 16 orbitali. In particolare si possono avere: 1 orbitale con l = 0; 3 orbitali con l = 1; 5 orbitali con l = 2 e 7 orbitali con l = 3; in totale 1 + 3 + 5 + 7 = 16 orbitali.
I tre numeri quantici di cui abbiamo parlato finora si riferiscono agli orbitali. Si conosce un quarto numero quantico, che però è proprio dell’elettrone. Come la Terra che oltre a girare intorno al Sole gira anche intorno al
proprio asse, così l’elettrone oltre a girare intorno al nucleo gira intorno a se
NUMERO QUANTICO
l
n
ORBITALE
m
Tipo
Nome
Numero
1
0
0
s
1s
1
2
0
0
s
2s
1
p
2p
3
s
3s
1
p
3p
3
d
3d
5
s
4s
1
p
4p
3
d
4d
5
f
4f
7
2
3
1
3
4
4
4
0
+1
0
0
3
4
–1
1
–2
2
–1
0
+1
–1
0
+1
+2
0
0
1
2
3
–1
0
+1
➔
–2
–1
0
+1
+2
–3
–2
–1
0
+1
+2
+3
FIGURA 9.16 Lo schema mostra i valori dei numeri quantici l ed m in corrispondenza ai primi quattro valori del numero quantico n. A ogni orbitale, caratterizzato da una
particolare combinazione di valori di n, l ed m, è attribuito
uno specifico nome. I triangoli permettono di evidenziare
che all’aumentare di n il numero di orbitali aumenta e risulta essere n 2: 1, 4, 9, 16.
CH/25
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CAPITOLO
FIGURA 9.17 L’elettrone può ruotare attorno al proprio
asse in senso orario o antiorario. Questa rappresentazione
dà un’idea molto concreta dell’elettrone; non dimentichiamo, però, che si tratta di una particella quasi priva di massa e con natura ondulatoria.
Spin • In inglese to spin significa «ruotare su se stessi»
come fa una trottola.
9
La struttura dell’atomo
stesso. Per alcuni aspetti l’elettrone è assimilabile a una trottola e come tale
può girare in senso orario o in senso antiorario (figura 9.17).
Una carica elettrica negativa che ruota intorno al proprio
asse genera un campo magnetico. Anche per questo movimento rotatorio l’elettrone può essere considerato un piccolo
magnete. Il numero quantico di spin o semplicemente spin
(simbolo ms) è una caratteristica dell’elettrone che si riferisce
al campo magnetico prodotto dalla rotazione intorno al proprio asse. Il numero quantico di spin può assumere solo i valori – ½ e + ½, secondo il senso di rotazione con cui l’elettrone ruota. Due elettroni che hanno numero quantico di spin
opposto compiono movimenti che hanno verso opposto.
Nel 1925 il fisico austriaco Wolfgang Pauli enunciò una legge, nota
come principio di esclusione di Pauli, che definiva quanti elettroni potevano trovarsi in un orbitale. Pauli affermò che in un atomo non possono mai trovarsi due elettroni con tutti i numeri quantici uguali. Di conseguenza verifichiamo sempre che:
씰 in un unico orbitale non vi possono essere più di due elettroni e, se
ve ne sono due, essi devono avere numero quantico di spin opposto.
Per rappresentare graficamente questo concetto indichiamo un orbitale
con un quadratino. La presenza nell’orbitale di uno o due elettroni è indicata da una o due frecce verticali. Quando vi sono due elettroni le frecce devono avere verso opposto, per ricordare che i due elettroni hanno spin opposto. Per esempio, per quanto riguarda un orbitale con n = 1 possiamo avere i seguenti casi:
Il fisico austriaco Wolfgang Pauli (1900-1958) fu
allievo di Niels Bohr a Copenaghen e nel 1945 ricevette il premio Nobel per l’enunciazione del suo
principio di esclusione. A lui si deve anche la scoperta del neutrino.
Due elettroni con numero quantico di spin uguale
sono detti elettroni con spin parallelo.
TABELLA 9.2
Nomi, simboli, valori e significato dei quattro numeri quantici.
1 elettrone con numeri quantici:
n = 1, l = 0, m = 0, m s = + ⎯12
1 elettrone con numeri quantici:
n = 1, l = 0, m = 0, m s = – ⎯12
2 elettroni con numeri quantici:
⎧ n = 1, l = 0, m = 0, m s = + ⎯12
⎨ n = 1, l = 0, m = 0, m = – ⎯1
s
2
⎩
Dalla rappresentazione risulta chiaro il motivo per cui un orbitale può
contenere al massimo due elettroni con spin opposto. Due elettroni che si
trovano nello stesso orbitale hanno n, l ed m identici. Affinché il principio di esclusione di Pauli sia rispettato, i due elettroni devono essere differenti per il numero quantico di spin. Un terzo elettrone nello stesso orbitale avrebbe necessariamente la sequenza dei numeri quantici identica
ad uno degli altri due, in quanto il numero quantico di spin può assumere solo due valori.
Come visto in precedenza, il numero di orbitali di un livello n è uguale a
n 2. Per il principio di esclusione di Pauli il numero di elettroni che si possono trovare in un dato livello n corrisponde al doppio del numero di orbitali presenti, quindi è uguale a 2n 2.
La tabella 9.2 riassume le caratteristiche dei quattro numeri quantici.
Nome
Simbolo
Valori
Significato
Principale
n
1→∞
Raggio ed energia dell’orbitale
Angolare
l
0 → (n –1)
Forma dell’orbitale
Magnetico
m
–l → + l
Orientazione dell’orbitale
Spin
ms
–½ e +½
Senso di rotazione dell’elettrone
CH/26
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9
La struttura dell’atomo
9.9 Gli orbitali s, p, d, f
O
sservando di nuovo la figura 9.16, notiamo che per ogni valore di n vi è
un orbitale caratterizzato dal numero quantico angolare l = 0 (i quadratini segnati in verde).
Gli orbitali che hanno l = 0 si chiamano orbitali s (cfr. quarta colonna
della figura). Per distinguere tra loro gli orbitali s, scriviamo davanti al simbolo s il valore del numero quantico principale, come indicato nella quinta
colonna della figura. Notiamo anche che per ogni valore di n c’è un solo orbitale s. L’orbitale s può essere considerato come una nube elettronica di
forma sferica, al cui interno l’elettrone passa per lo meno il 90% del suo
tempo. All’aumentare del valore di n aumenta il raggio dell’orbitale (figura
9.18) e, in proporzione, aumenta anche l’energia dell’elettrone che appartiene a quell’orbitale.
Osservando ancora la figura 9.16, risulta che per ogni valore di n, escluso
n = 1, vi sono 3 orbitali caratterizzati dal numero quantico angolare l = 1 (i
quadratini segnati in rosso). Gli orbitali che hanno l = 1 si chiamano orbitali p. Anche in questo caso, per distinguere le varie terne di orbitali p scriviamo davanti il valore del numero quantico principale. Infatti abbiamo orbitali 2p, 3p ecc. (cfr. quinta colonna della figura). Un orbitale p ha una forma particolare, come quella di due gocce d’acqua allineate e riunite
per la parte più stretta (figura 9.19).
Ogni terna di orbitali p è disposta lungo i tre assi cartesiani ortogonali dello spazio, x, y e z, in modo che ogni orbitale p giaccia su
un asse perpendicolare agli altri due. Il nucleo dell’atomo si trova
all’incrocio degli assi.
Riferendoci sempre alla figura 9.16, risulta che, quando n ha valore superiore a 2, vi sono 5 orbitali caratterizzati dal numero quantico angolare l = 2 (i quadratini azzurri). Gli orbitali che hanno l = 2 si
chiamano orbitali d. Per ogni valore di n, escluso 1 e 2, abbiamo
quindi 5 orbitali d, che sono indicati 3d, 4d ecc. Questi orbitali hanno una propria particolare forma, rappresentata nella figura 9.20.
Infine, per ogni valore di n superiore a 3 vi sono 7 orbitali che
hanno l = 3 (i quadratini marroni). Gli orbitali caratterizzati dal numero quantico angolare l = 3 si chiamano orbitali f. Questi orbitali,
indicati come 4f, 5f ecc., hanno forme più complicate, che non riportiamo.
Rifacciamoci ancora alla figura 9.16. Quando n = 1 abbiamo soltanto l’orbitale 1s; per n = 2 abbiamo l’orbitale 2s e i 3 orbitali 2p;
per n = 3 abbiamo l’orbitale 3s, i 3 orbitali 3p e i 5 orbitali 3d; per n
= 4 abbiamo l’orbitale 4s, i 3 orbitali 4p, i 5 orbitali 4d e i 7 orbitali
4f. Per valori più alti di n abbiamo ancora altri orbitali. Tutti gli orbitali noti per gli elementi fino a oggi scoperti sono riportati nello
schema seguente:
1s
2s
3s
4s
5s
6s
7s
Z
X
Z
Y
X
2p
3p
4p
5p
6p
7p
X
2s
n=2
l=0
3s
n=3
l=0
FIGURA 9.18
Rappresentazione in scala degli orbitali 1s,
2s e 3s. All’aumentare del valore del numero quantico principale n aumentano il raggio e l’energia dell’orbitale s.
Z
Z
Y
X
Z
Y
X
px
Y
X
pz
py
Z
Y
X
p xyz
FIGURA 9.19 Gli orbitali p sono caratterizzati dal numero
quantico angolare l = 1. Per ogni valore di n maggiore di 1
si hanno tre orbitali p, uguali per forma ed energia, ma
diversi per il valore del numero quantico magnetico m,
che può assumere i valori –1, 0, +1. Gli assi dei tre orbitali p sono perpendicolari tra loro. I tre orbitali sono rappresentati con colori diversi, in alto isolati e in basso riuniti insieme.
3d
4d 4f
5d 5f
6d
Z
Y
1s
n=1
l=0
Z
Y
X
Z
Y
X
Y
FIGURA 9.20
Gli orbitali d sono caratterizzati dal numero
quantico angolare l = 2. Per ogni valore di n maggiore di 2
si hanno 5 orbitali d. Gli orbitali d con lo stesso valore di n
hanno la stessa energia.
CH/27
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CAPITOLO
FIGURA 9.21
Rappresentazione secondo il modello degli
orbitali della struttura di un atomo di neon (Ne, Z = 10). Il
nucleo non è indicato. Si riconoscono gli orbitali 1s e 2s e
i tre orbitali 2p perpendicolari tra loro.
9
La struttura dell’atomo
Nella figura 9.21 è rappresentata la struttura atomica di un atomo di
neon, vista secondo il modello quantomeccanico degli orbitali.
Se indichiamo un orbitale s con un quadratino verde, ogni terna di orbitali p con tre quadratini rossi, ogni gruppo di 5 orbitali d con 5 quadratini
azzurri e ogni gruppo di 7 orbitali f con 7 quadratini marroni, lo schema
della pagina precedente risulta meglio visualizzato, come in figura 9.22.
Gli elettroni che occupano
orbitali con lo stesso valore
Valore
Sottoguscio
Numero di
di numero quantico princidi l
o tipo
orbitali nel
di orbitale
sottoguscio
pale n si dice che si trovano
nello stesso guscio elettroni0
s
1
co. Gli orbitali di un dato gu1
p
3
scio possono essere classifi2
d
5
cati in sottogusci, ciascuno
3
f
7
dei quali è caratterizzato da
un differente valore del numero quantico angolare l e da una forma caratteristica.
FIGURA 9.22
Lo schema mostra gli orbitali noti, disposti
in base ai valori dei numeri quantici. Gli orbitali dello stesso tipo sono rappresentati con lo stesso colore.
s
p
d
f
l
0
1
2
3
m
0
–1 0 +1
–2 –1 0 +1 +2
–3 – 2 –1 0 +1 +2 +3
1
2
3
n
4
5
6
7
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
3. Per imparare a usare i numeri quantici e per distinguere gli orbitali, com-
3. Quanti orbitali vi sono all’interno di un
pleta le frasi seguenti.
sottoguscio caratterizzato dal numero
quantico angolare l = 2?
4. Per ciascuno dei seguenti orbitali indica i
valori di n ed l: 6s, 4p, 5d e 4f.
(a) Quando n = 2, i valori di l possono essere ………… e …………………… .
(b) Quando l = 1, i valori di m possono essere ………… , ………… e ………… e il sottoguscio è chiamato ………… .
(c) Quando l = 2, il sottoguscio è chiamato ………… .
(d) Quando un sottoguscio è chiamato s, il valore di l è ………… e il valore di m
è ………… .
(e) Quando un sottoguscio è chiamato p, all’interno del sottoguscio vi sono
………… orbitali.
(f) Quando un sottoguscio è chiamato f, ci sono ………… valori di m e all’interno del sottoguscio vi sono ………… orbitali.
(a) Poiché l ha tutti i valori interi compresi tra 0 e (n –1), in questo caso i
valori possibili sono 0 e (2–1) = 1.
(b) Poiché m ha tutti i valori interi compresi tra –l e +l, in questo caso i
valori di numero quantico magnetico possibili sono –1, 0 e +1; il sottoguscio corrispondente a l = 1 è chiamato p.
(c) Nel caso di l = 2 il sottoguscio è chiamato d.
(d) Quando l = 0 il valore di m è 0 e il sottoguscio è chiamato s.
(e) Un sottoguscio p corrisponde a l = 1 e perciò comprende 3 orbitali.
(f) Un sottoguscio f ha l = 3 e perciò sono possibili 7 valori di m e 7 orbitali.
CH/28
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CAPITOLO
9.10
9
La struttura dell’atomo
L’energia degli orbitali
P
ensiamo a un’aula scolastica ad anfiteatro, con i banchi a diversa altezza
e diversa distanza dalla cattedra. I banchi sono così sistemati, anche
quando non vi sono studenti seduti (figura 9.23). Gli studenti entrano e si
siedono nei banchi più in basso; così facendo risparmiano l’energia che occorre per salire in alto e possono ascoltare meglio il docente, che espone la
sua lezione guardando gli studenti, non i banchi vuoti. Il docente non considera quei banchi, è come se non esistessero.
FIGURA 9.23 Gli studenti che entravano nello storico Teatro Anatomico dell’Università di Padova si disponevano attorno al tavolo dove il docente effettuava le dissezioni, a
cominciare dai posti più vicini e via via occupando i banchi
più lontani.
Riferiamoci a questa immagine scolastica per illustrare una analoga situazione, quella che riguarda la distribuzione degli elettroni all’interno dell’atomo. Noi sappiamo che per ogni atomo si possono descrivere tanti orbitali.
In quali di questi possibili orbitali, i banchi della analogia, si dispongono
effettivamente gli elettroni, cioè gli studenti?
Il criterio fondamentale è quello della minore energia. Gli elettroni
sono presenti a partire dagli orbitali che hanno energia minore, cioè da
quelli che hanno un più basso valore del numero quantico principale n.
Gli orbitali con valore di n più alto sono occupati da elettroni soltanto
quando gli orbitali con energia minore sono pieni. Questa affermazione è
nota come principio di Aufbau.
All’aumentare del numero quantico principale n l’energia degli orbitali
aumenta. Per gli orbitali dello stesso tipo, per esempio gli orbitali s, l’ordine
crescente di energia è quindi: 1s, 2s, 3s, 4s, 5s, 6s, 7s.
Il numero quantico angolare l determina la forma dell’orbitale. Alle diverse forme competono diversi valori di energia. In particolare all’aumentare
di l aumenta anche l’energia. Dato che agli orbitali s, p, d e f competono rispettivamente i valori del numero quantico angolare 0, 1, 2 e 3, nel caso di
orbitali con lo stesso valore di numero quantico principale n l’ordine crescente di energia è: s, p, d, f (figura 9.24).
Da ciò risulta, per esempio, che l’orbitale 4s ha energia inferiore a quella
dell’orbitale 4p, che a sua volta ha energia inferiore a quella dell’orbitale
4d, il quale ha energia minore di quella dell’orbitale 4f. Per contro, tutti gli
orbitali con lo stesso valore di n e di l hanno anche la stessa energia e sono
pertanto orbitali isoenergetici. A questo punto possiamo affermare:
씰 L’energia degli orbitali aumenta all’aumentare dei valori di n e di l
e quindi, a parità di n, aumenta secondo l’ordine s, p, d, f.
씰 A parità di n e di l gli orbitali sono isoenergetici.
Aufbau • Il principio prende il nome dal termine tedesco
Aufbauprinzip, che significa «principio di costruzione», e
non dal nome di uno scienziato. Infatti venne formulato da
Niels Bohr e da Wolfgang Pauli.
I
FIGURA
PARLANTE
3d
3s
3p
FIGURA 9.24 L’energia degli orbitali dipende, oltre che dal
numero quantico principale, anche dal numero quantico angolare. Se un orbitale è più allungato di un altro, vuol dire
che l’elettrone riesce ad allontanarsi di più e quindi assume
maggiore energia. Gli orbitali 3d sono più allungati degli
orbitali 3p che, a loro volta, hanno nubi elettroniche che
arrivano più lontano dal nucleo di quella dell’orbitale 3s.
CH/29
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CAPITOLO
9
La struttura dell’atomo
4 Nel completamento di orbitali isoenergetici, gli elettroni occupano, con
spin parallelo tra loro, il maggior numero possibile di quelli vuoti.
La quarta regola, chiamata regola di Hund, tiene conto del fatto che due
elettroni, dotati della stessa carica elettrica, tendono a respingersi di più, e
quindi hanno maggiore energia, se si trovano nello stesso orbitale, rispetto a
due elettroni collocati in due orbitali distinti. La regola di Hund deriva
inoltre dalla constatazione che un atomo è tanto più stabile quanti più elettroni con spin parallelo contiene.
Per visualizzare la disposizione degli elettroni negli orbitali dei diversi
elementi facciamo riferimento alla figura 9.27. In ogni rettangolo abbiamo
riportato la parte inferiore della figura 9.25, cioè solo gli orbitali 1s, 2s, 2p e
3s, con gli orbitali di minore energia in basso. In ogni rettangolo abbiamo
inoltre indicato simbolo chimico e numero atomico dell’elemento.
Gli atomi sono elettricamente neutri, per cui il numero di elettroni che
occupano i vari orbitali è uguale a quello dei protoni presenti nel nucleo.
Passando da un elemento al successivo nel Sistema periodico, il numero
atomico aumenta di un’unità e viene aggiunto un protone al nucleo, per cui
occorre aggiungere anche un elettrone. Questo ultimo elettrone è rappresentato in figura con una freccina rossa.
Osservando la figura 9.27 si nota che viene riempito prima l’orbitale 1s,
poi l’orbitale 2s, poi, nell’ordine, gli orbitali 2p e 3s. Si è seguito, perciò,
l’ordine di riempimento già descritto. Da questa figura risulta inoltre che,
aggiungendo un elettrone in un orbitale e un protone al nucleo, si passa da
un elemento al successivo. Per ogni elemento sono indicati in basso a destra
quali orbitali hanno elettroni e quanti elettroni vi sono in ciascun orbitale.
La figura mostra come si dispongono i primi 12 elettroni. E i successivi?
Si riempiranno prima gli orbitali 3p, poi, in ordine crescente di energia, gli
orbitali 4s, 3d, 4p, 5s, 4d, 5p, 6s, 4f, 5d, 6p, 7s, 5f, 6d.
Osserviamo la figura punto per punto e consideriamo solo gli elettroni.
L’atomo più semplice è quello dell’idrogeno, H. L’unico elettrone di questo
atomo va nell’orbitale che ha minore energia e quindi nell’orbitale 1s. Per
ottenere un atomo di elio (He) prendiamo un atomo di idrogeno e mettiamo
1
3s
2s
H (idrogeno)
2p
2s
1s
1s 1
4
3s
2s
Be (berillio)
2p
1s 2 2s 2
7
3s
2s
2p
1s 2 2s 2 p 3
10
3s
1s
Ne (neon)
2p
1s 2
5
2p
8
O (ossigeno)
2p
1s
1s 2 2s 2 p 4
11
3s
Na (sodio)
2p
C (carbonio)
1s 2 2s 2 p 2
9
F (fluoro)
2p
1s
1s
FIGURA 9.27
Distribuzione degli elettroni negli orbitali
dei primi 12 elementi.
2p
3s
2s
1s 2 2s 2 p 6 3s 1
6
1s
3s
La struttura elettronica degli elementi
1s 2 2s 1
3s
2s
Li (litio)
ANIMAZIONE
2p
1s
2s
1s 2 2s 2 p 1
3s
1s
B (boro)
3
3s
2s
1s
2s
1s 2 2s 2 p 6
2p
3s
2s
1s
2s
N (azoto)
He (elio)
1s
2s
1s
2
3s
d
1s 2 2s 2 p 5
12
Mg (magnesio)
2p
1s 2 2s 2 p 6 3s 2
CH/31
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
9
La struttura dell’atomo
un secondo elettrone nell’orbitale 1s, che ora è completo. Per ottenere un
atomo di litio (Li), utilizzando un atomo di elio, mettiamo il terzo elettrone
nell’orbitale 2s, che è quello che ha ora la minor energia e la capacità di
ospitare un elettrone. Per ottenere un atomo di berillio (Be) completiamo
con un elettrone l’orbitale 2s. Per l’atomo di boro (B), il quinto elettrone va
in un orbitale 2p. Gli elettroni occorrenti per costruire gli atomi di carbonio
(C) e azoto (N) si dispongono negli altri due orbitali 2p, con spin parallelo,
secondo la regola di Hund. Gli elettroni necessari per ottenere gli atomi di
ossigeno (O), fluoro (F) e neon (Ne) completano man mano i tre orbitali 2p.
L’orbitale libero che ha ora la minore energia è l’orbitale 3s. Mettendo uno o
due elettroni nell’orbitale 3s, otteniamo rispettivamente gli atomi di sodio
(Na) o magnesio (Mg).
Nella figura 9.28 riportiamo, a titolo di esempio, la struttura elettronica
di un atomo di bario (Ba, Z = 56). Si noti che le coppie di elettroni presenti
in uno stesso orbitale hanno spin opposto. I numeri che compaiono nei
quadratini indicano il numero d’ordine degli elettroni. Nella figura 9.29
diamo una rappresentazione grafica tridimensionale della struttura atomica
degli elementi che hanno numero atomico da uno a dieci, vista secondo il
modello degli orbitali.
Per mostrare la disposizione degli elettroni, senza dovere ogni volta ricorrere a rappresentazioni come quelle della figura 9.29, si usa il seguente sistema. Si indicano con s, p, d, f i vari orbitali che contengono elettroni e si
aggiunge al simbolo di ogni orbitale un esponente uguale al numero di elettroni contenuti. Questa presentazione della struttura elettronica è nota
come notazione sp d f. Per esempio, con la notazione 1s 2, 2s 2p 6, 3s 2p 5 (si
legge «1 esse 2, 2 esse 2, pi 6, 3 esse 2, pi 5») si intende che l’atomo in questione ha due elettroni nell’orbitale 1s, due nell’orbitale 2s, sei negli orbitali
2p, due nell’orbitale 3s e cinque negli orbitali 3p.
La serie di numeri, lettere ed esponenti che indica in quali orbitali dell’atomo sono presenti gli elettroni è chiamata configurazione elettronica totale
dell’elemento. Si noti che facendo la somma degli esponenti si ricava il numero totale degli elettroni dell’atomo. Nell’esempio sopra citato la somma è
17, da cui si ricava che quella scritta rappresenta la configurazione elettronica totale dell’elemento cloro, che ha numero atomico 17 (Cl, Z = 17).
FIGURA 9.28 Un atomo di bario (Ba, Z = 56) ha 56 protoni nel nucleo e 56 elettroni, che sono disposti negli orbitali con la minore energia possibile. L’ordine di riempimento
è indicato dai numeri e dalle frecce.
ENERG I A MAG G I O RE
56
6s
55
52
53
54
5p
49
50
51
44
45
46
47
48
4d
38
39
5s
40
41
42
43
37
34
35
36
4p
31
32
33
26
27
28
29
4s
21
22
23
24
19
16
17
18
3p
13
14
15
12
3s
11
8
9
10
2p
5
6
7
4
2s
3
56
2
1s
1
30
3d
20
ENERG I A MI NO RE
CH/32
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
Ba (bario)
25
CAPITOLO
9
La struttura dell’atomo
Nella figura 9.27 sono scritte le configurazioni elettroniche totali dei primi 12 elementi. A lato riportiamo le configurazioni totali dei successivi 8;
tra i primi 20 elementi chimici, infatti, troviamo quelli più importanti e comuni sulla crosta terrestre.
Le configurazioni elettroniche totali dei primi 92 elementi chimici sono
riportate nel sito web del libro. Esaminando questa tabella si possono notare alcune eccezioni rispetto alle regole sul riempimento degli orbitali, che
avevamo indicato nei paragrafi precedenti. Per esempio, nell’atomo di cromo (Cr, Z = 24) troviamo elettroni nell’orbitale 3d senza che sia completo
l’orbitale 4s. Altre eccezioni si hanno nell’atomo di rame (Cu, Z = 29), di argento (Ag, Z = 47) e in molti altri elementi in cui gli ultimi elettroni riempiono orbitali d ed f. Per esempio, la configurazione elettronica effettivamente assunta dal rame 1s 2, 2s 2p 6, 3s 2p 6d 10, 4s 1 ha energia inferiore rispetto a quella attesa 1s 2, 2s 2p 6, 3s 2p 6d 9, 4s 2.
1s 2, 2s 2 p 6, 3s 2 p 1
1s 2, 2s 2 p 6, 3s 2 p 2
1s 2, 2s 2 p 6, 3s 2 p 3
15 P
1s 2, 2s 2 p 6, 3s 2 p 4
16 S
2
2 6
2 5
17 Cl 1s , 2s p , 3s p
2
2
6
2 6
18 Ar 1s , 2s p , 3s p
2
2
6
1s , 2s p , 3s 2 p 6, 4s 1
19 K
Ca
1
s 2, 2s 2 p 6, 3s 2 p 6, 4s 2
20
13 Al
14 Si
A
APPROFONDIMENTO
Configurazione elettronica
totale degli elementi
FIGURA 9.29
Rappresentazione secondo il modello degli
orbitali della struttura atomica dei primi 10 elementi. Le
dimensioni degli atomi non sono in scala. I puntini neri indicano gli elettroni.
H 1s
He 1s 2
B 1s 2 2s 2 2p1
Li 1s 2 2s1
C 1s 2 2s 2 2p 2
Be 1s 2 2s 2
N 1s 2 2s 2 2p 3
O 1s 2 2s 2 2p 4
F 1s 2 2s 2 2p 5
Glossary
Aufbau principle ( principio di Aufbau) Electrons fill orbitals starting from the one with less
energy and lower values of the principal quantum number.
Black body (corpo nero) A hypothetical body that absorbs all the radiation falling on it.
Ionization energy (energia di ionizzazione) The minimum energy required to remove an electron from a atom or ion.
Nuclear atom model (modello atomico nucleare) Atom has a positively charged nucleus
which contains protons and neutrons and is surrounded by orbiting electrons.
Orbital (orbitale) The region of a atom in which there is the maximum probability to found
an electron.
Pauli exclusion principle ( principio di esclusione di Pauli) Two electrons in a atom cannot
posses an identical set of quantum numbers.
Photoelectric effect (effetto fotoelettrico) The emission of electrons from a substance exposed to electromagnetic radiation.
Quantum (quanto) The minimum amount of energy that a physical system can change.
Quantum numbers (numeri quantici) Set of four numbers that characterized the electron.
They are obtained by the resolution of the Schrödinger equation.
Uncertainty principle ( principio di indeterminazione) For the uncertainty principle it is not
possible to know with unlimited accuracy both the position and the velocity of a subatomic particle.
Wave function ( funzione d’onda) A complex number that described the electron states. The
square of the wave function is proportional to the probability of finding an electron in a
region.
Wave-particle duality (dualismo onda-particella) In some experiments light will appear wavelike, while in others it will appear to be corpuscular.
CH/33
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
Ne 1s 2 2s 2 2p 6
G U I DA A L L O S T U D I O
EA
FACCIAMO IL PUNTO
Domande aperte
Esercizi di completamento
11 Come viene descritta la luce dal modello ondulatorio?
17
12
13
14
15
16
17
18
19
10
11
12
13
14
15
16
Quali sono i parametri che caratterizzano l’onda elettromagnetica?
Quali sono i fondamenti della Teoria Quantistica?
Che cosa è un quanto di energia?
Che cosa è un fotone?
Definisci il modello atomico proposto da Bohr.
Perché l’elettrone nel modello atomico di Bohr non cade
nel nucleo?
Che cosa indica il numero quantico principale?
Quali sono le conferme sperimentali alla distribuzione degli elettroni in livelli energetici diversi?
Quale principio dichiara l’assoluta impossibilità di conoscere contemporaneamente velocità e posizione delle particelle subatomiche? Da chi fu proposto?
Che cosa si intende con il termine orbitale? Quali sono le
caratteristiche di un orbitale?
Che cosa definiscono i numeri quantici e quali valori possono assumere? Quali relazioni esistono tra i numeri
quantici?
Rappresenta schematicamente gli orbitali s, p e d.
Enuncia e spiega il principio di esclusione di Pauli.
Come varia l’energia degli orbitali? Indica la sequenza degli orbitali in ordine di energia crescente.
Enuncia le regole che devono essere seguite nel riempimento degli orbitali.
Scrivi la configurazione elettronica totale degli atomi corrispondenti ai seguenti numeri atomici Z: 9, 10, 13, 15, 17,
18, 21, 24, 29.
A
Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello
spazio vuoto il termine opportuno.
Dopo che ………………………………………………………………… ebbe definito il
……………………………………………………
come una particella piccolissima
di massa trascurabile che viaggia alla velocità della luce, e
dopo che ………………………………………………………… con il suo principio di
………………………………………………………
ebbe dichiarato l’impossibilità di
conoscere simultaneamente la
…………………………………………………
e la
…………………………………………………
di una particella subatomica, fu at-
traverso la meccanica
……………………………………………………
che si riu-
scì a proporre un nuovo ………………………………………………… di atomo. Il
principale risultato fu quello di definire …………………………………………
come la regione dove c’è almeno il …………………………… di probabilità di trovare
…………………………………………………
e fu quello di asse-
gnare all’elettrone le proprietà contemporaneamente di
un’ …………………………………… e di una …………………………………………………… .
VERIFICA LE CONOSCENZE
A
Esercizi di corrispondenza
18
Nello schema, che descrive le caratteristiche dei 4 numeri
quantici, inserisci gli elementi mancanti.
Numero quantico
Simbolo
Valori
Significato
ms
Principale
0 → n –1
Orientazione dell’orbitale
19
Scrivi a fianco di ciascun nome di scienziato la definizione o
la scoperta che lo ha reso famoso, scegliendola tra quelle
elencate di seguito:
esclusione; massima molteplicità di spin; indeterminazione;
effetto fotoelettrico; modello planetario; quanto di energia;
elettrone = onda elettromagnetica.
Pauli
Hund
Rutherford
Bohr
Einstein
Heisenberg
De Broglie
CH/34
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
A
Domande a scelta multipla
B
C
D
20 Tra le seguenti radiazioni, quale ha frequenza minore?
A
C
infrarossa;
visibile;
B
D
ultravioletta;
ultrasuoni.
21 Tra le seguenti radiazioni, qual è la più energetica?
A
C
22
33
3 numeri quantici;
1 numero quantico.
35
4 numeri quantici;
2 numeri quantici;
B
D
3 numeri quantici;
1 numero quantico.
del 90% circa di trovare l’elettrone;
del 100% di trovare l’elettrone;
del 50% circa di trovare l’elettrone;
0 di trovare l’elettrone.
numero quantico principale;
numero quantico angolare;
numero quantico magnetico;
numero quantico di spin.
37
numero quantico principale;
numero quantico angolare;
numero quantico magnetico;
numero quantico di spin.
Secondo la meccanica quantistica, l’orientazione dell’orbitale
nello spazio dipende dal:
A
numero quantico principale;
C 2;
B 1;
C n 2;
B 2;
C 3;
l = 2;
l = 3;
l = 1;
l = 1;
m = –2;
m = +2;
m = +2;
m = +3;
39
n = 3;
n = 1;
n = 2;
n = 4;
l = 2;
l = 1;
l = 1;
l = 3;
m = –2;
m = +1;
m = 0;
m = +3;
ms = –1/2;
ms = –1/2;
ms = +1/2;
ms = +1/2.
B 2d;
C 3p;
D 4f.
Quale elemento ha la seguente configurazione elettronica
totale: 1s 2, 2s 2p 6, 3s 2p 6d 10, 4s 2p1 ? (utilizza la tabella dei numeri atomici degli elementi)
B Stagno (Sn);
D Gallio (Ga).
L’elemento stronzio (Sr), che ha numero atomico Z = 38, ha la
configurazione elettronica totale:
1s 2, 2s 2 p6, 3s 2 p6 d 10, 4s 2 p6, 5s 2;
1s 2, 2s 2 p6, 3s 2 p6 d 10, 4s 2 p6 d 10, 5s 2;
1s 2, 2s 2 p6, 3s 2 p6 d 10, 4s 2 ;
1s 2, 2s 2 p6, 3s 2 p6 d 10, 4s 2 p6 d 10.
La regola di Hund stabilisce che, se si hanno a disposizione 2
orbitali vuoti aventi la stessa energia, gli elettroni si vanno:
ad appaiare su uno di essi con spin opposto;
ad appaiare su uno di essi con lo stesso spin;
a sistemare ognuno su un orbitale con spin parallelo;
a sistemare ognuno su un orbitale con spin opposto.
La corretta configurazione elettronica totale dell’atomo di
sodio (Na, Z = 11) è:
A 1s 2, 2s 2p4, 3s 2p1;
C 1s 2, 2s 2p5, 3s 1p1;
42
D 4.
Tra i seguenti orbitali, quello che non può esistere è:
A
B
C
D
41
D n 3.
Ogni serie di numeri quantici si riferisce a un elettrone. Quale
non è corretta?
A
B
C
D
40
D 3.
ms = +1/2;
ms = –1/2;
ms = +1/2;
ms = +1/2.
A Germanio (Ge);
C Arsenico (As);
Secondo la meccanica quantistica, la forma dell’orbitale è legata al:
numero quantico principale;
numero quantico angolare;
numero quantico magnetico;
numero quantico di spin.
n = 4;
n = 3;
n = 4;
n = 2;
A 6p;
38
B 1;
Ogni serie di numeri quantici si riferisce a un elettrone. Qual è
quella corretta?
A
B
C
D
una particella corpuscolare;
un’onda elettromagnetica;
una particella e un’onda contemporaneamente;
una particella di materia carica negativamente.
D 3.
Il valore del numero quantico angolare l per l’orbitale 4d è:
A
B
C
D
36
C 2;
Quanti orbitali sono possibili per ogni valore del numero quantico principale n?
A n;
34
B 1;
Gli orbitali di tipo f sono quelli per cui l è uguale a:
A 0;
Secondo la meccanica quantistica, il simbolo l è associato al:
A
B
C
D
30
B
D
Il numero quantico, proprio dell’orbitale, che non modifica il
valore di energia dell’elettrone è:
A
B
C
D
29
4 numeri quantici;
2 numeri quantici;
Un orbitale è la regione dello spazio intorno al nucleo in cui si
ha la probabilità:
A
B
C
D
28
r = 53n 2;
53r = 5n 2.
32
Secondo la meccanica quantistica, un elettrone è:
A
B
C
D
27
B
D
A 0;
Per definire le caratteristiche energetiche di un elettrone è necessario conoscere:
A
B
C
D
26
r = n 2;
r = 53n 3;
Gli orbitali di tipo p sono quelli per cui l è uguale a:
A 1;
A
C
25
ultravioletta;
ultrasuoni.
Un orbitale atomico è individuato da:
A
C
24
B
D
Secondo il modello atomico di Bohr, il valore del raggio r delle
orbite elettroniche di un atomo di idrogeno, espresso in pm, si
ottiene dalla relazione:
A
C
23
infrarossa;
visibile;
31
numero quantico angolare;
numero quantico magnetico;
numero quantico di spin.
B 1s 2, 2s 2p6d 1;
D 1s 2, 2s 2p6, 3s 1.
Negli orbitali 3p vi possono essere al massimo:
A 3 elettroni;
C 6 elettroni;
CH/35
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
B 2 elettroni;
D 10 elettroni.
G U I DA A L L O S T U D I O
EA
G U I DA A L L O ST U D I O
EA
VERIFICA LE ABILITÀ
A
Gioca e impara
43 Inserisci nelle linee orizzontali dello schema in basso i termini corrispondenti alle seguenti definizioni e, nella colonna in colore, vedrai comparire il nome della regione dello
spazio atomico in cui è massima la probabilità di trovare
l’elettrone.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
Particella di massa trascurabile, cui è associata un’onda, che si muove alla
velocità della luce.
Lo è il ... quantico principale
Propose un modello di atomo che utilizzava i quanti.
Formulò un famoso principio che esclude.
Descrisse la luce come costituita da onde e particelle.
Lo è il numero quantico che definisce l’orientazione di un orbitale nello
spazio.
Il simbolo del numero quantico angolare.
Formulò il principio che impedisce la determinazione.
Esercizi e problemi
46
Calcola l’energia e la frequenza di una radiazione di lunghezza
d’onda 3,45 · 10 –12 metri.
47
Rappresenta col diagramma a quadratini e freccine la configurazione elettronica dell’alluminio, quella dello zolfo e quella
dello zinco.
48
Stabilisci quali combinazioni di numeri quantici, tra le seguenti, esistono effettivamente e quali non esistono e motiva la risposta:
A
B
C
D
n = 3;
n = 2;
n = 6;
n = 4;
l = 3;
l = 1;
l = 5;
l = 3;
m = 0;
m = 0;
m = –1;
m = +4.
1
49
2
3
A n = 2;
B n = 3;
C n = 6;
4
5
6
8
Scrivi di seguito i simboli degli elementi chimici a cui appartengono le seguenti configurazioni elettroniche totali. Si ottiene così il nome di uno scienziato austriaco che diede un
importante contributo alla conoscenza della distribuzione degli elettroni negli orbitali.
51
Disponi i seguenti orbitali in ordine decrescente di energia: 3s,
2s, 2p, 4s, 3p, 1s, 3d.
52
Disponi i seguenti orbitali in ordine crescente di energia: 2s,
4p, 5f, 3d, 6s, 3p.
53
Quali sono i valori di n ed l per ciascuno dei seguenti orbitali:
5s, 6p, 4d e 5f ?
54
Determina il numero totale di elettroni presenti negli orbitali
s, negli orbitali p e negli orbitali d dei seguenti elementi:
A
B
C
D
2) 1s 2, 2s 2 p6, 3s 2 p6 d 10, 4s 2p6d 10f 14, 5s 2p6d 10, 6s 1;
1
3) 1s , 2s .
55
Question
45
Find within the following list the only element not related
with the quantum mechanics description of the atomic structure. Explain the answer.
Orbital;
Particle;
Spherical shape;
Pressure;
Probability;
Electron;
Uncertainty;
Wave;
Shell;
Spin;
Magnetic;
Nucleus.
m = 0;
m = –2;
m = +1.
Stabilisci quali tra i seguenti orbitali non possono esistere secondo la meccanica quantistica e motiva la risposta: 2s, 2d,
3d, 3p, 3f, 4f, 4s, 5p.
1) 1s 2, 2s 2 p6, 3s 2 p3;
2
l = 2;
l = 1;
l = 0;
50
7
44
Spiega perché le seguenti combinazioni di numeri quantici
non costituiscono, per un elettrone che occupa un orbitale, un
sistema possibile:
Si;
Ni;
Zn;
Rb.
Indica il numero quantico principale, il numero quantico angolare e il numero quantico magnetico dell’elettrone a più
alta energia per i seguenti atomi, considerati nel loro stato
fondamentale:
A
B
C
D
P;
Cl;
K;
Ga.
56
Quali sono i numeri quantici corrispondenti all’ultimo elettrone dell’elemento calcio Ca?
57
Qual è la configurazione elettronica totale di un elemento
con 23 elettroni?
CH/36
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
Struttura elettronica
e proprietà periodiche
10.1
10
Periodicità delle proprietà
degli elementi
I
primi tentativi di classificazione degli elementi chimici iniziarono alla
fine del Settecento. Solo nel 1869 Dmitrij Mendeleev riuscì a ordinare gli
elementi, elaborando quella che chiamò legge periodica (cfr. § 0.3): le proprietà degli elementi chimici variano in modo periodico in funzione del
loro peso atomico. La legge periodica era una legge empirica, basata sui valori dei pesi atomici e su dati sperimentali ricavati dall’osservazione delle
proprietà chimiche e fisiche dei vari elementi. Mendeleev non fu però in
grado di spiegare la causa delle somiglianze e delle differenze di comportamento tra gli elementi chimici.
Il Sistema periodico elaborato da Mendeleev è stato in seguito modificato
in base alle nuove conoscenze sull’atomo acquisite all’inizio del Novecento
(tabella 10.1). Oggi sappiamo che:
씰 le proprietà degli elementi chimici variano in modo periodico
in funzione del numero atomico.
Nei prossimi paragrafi, utilizzando le conoscenze sulla struttura elettronica acquisite nel capitolo precedente, comprenderemo le motivazioni alla
base della legge periodica moderna.
Conoscere a fondo le caratteristiche del Sistema periodico è fondamentale per ricavare in modo immediato le proprietà degli elementi chimici. Queste proprietà, chiamate proprietà periodiche, sono sia proprietà chimiche
sia proprietà fisiche. Tra le proprietà fisiche studieremo le dimensioni atomiche, mentre tra le proprietà chimiche saranno considerate l’energia di ionizzazione, l’affinità elettronica, l’elettronegatività e il carattere metallico
degli elementi.
10.2
C A P I TO L O
ANNO
SCOPERTA
1902
Viene integrato il Sistema periodico di
Mendeleev con l’inserimento dei gas nobili.
1911
Antonius Van der Broek intuisce che la carica
nucleare dell’atomo è uguale al numero d’ordine
dell’elemento nel Sistema periodico, cioè alla
posizione occupata.
1913
Henry G.J. Moseley conferma sperimentalmente
le affermazioni di Van der Broek. Il numero
d’ordine di un elemento nel Sistema periodico
corrisponde al suo numero atomico.
TABELLA 10.1 Solo nel 1913 fu chiaro quale fosse il vero criterio ordinatore degli elementi chimici. Moseley bombardò con
elettroni veloci gli atomi degli elementi e notò che la frequenza dei raggi X emessi, che dipende dal numero atomico dell’atomo, era direttamente proporzionale al numero d’ordine degli
elementi.
Sistema periodico e configurazione
elettronica degli elementi
L
a posizione occupata da un elemento nel Sistema periodico dipende
dal suo numero atomico, che corrisponde al numero di protoni nel nucleo e al numero di elettroni presenti (cfr. § 0.1). Nel capitolo precedente
avevamo visto come la disposizione degli elettroni attorno al nucleo non
sia casuale, ma segua un preciso criterio: gli elettroni occupano gusci e sottogusci a partire da quelli a minore energia (cfr. § 9.10).
CH/37
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CAPITOLO
10
Struttura elettronica e proprietà periodiche
Riprendiamo in esame la figura 9.25, che riporta l’ordine di riempimento
degli orbitali, ma proviamo a modificarla in modo che tenga conto della
periodicità delle caratteristiche degli elementi. Si ottiene la figura 10.1 A,
la cui lettura, da sinistra a destra, riga per riga dall’alto verso il basso, ripete l’ordine di riempimento degli orbitali che già conosciamo. Come si
vede, sono stati disposti nelle stesse colonne e sono stati indicati con lo
stesso colore gli orbitali dello stesso tipo (s, p, d, f ). Per rendere più compatta la figura spostiamo in basso gli orbitali f : otteniamo la figura 10.1 B;
FIGURA 10.1
per ricordarci la posizione iniziale di questi orbitali li contrassegniamo
Costruzione del Sistema periodico sulla base
dell’ordine di riempimento degli orbitali. Sono segnati in
con asterischi.
verde gli orbitali s, in rosso gli orbitali p, in azzurro gli orSappiamo che in ogni orbitale possono trovare posto uno o due elettroni
bitali d e in marrone gli orbitali f. Accanto a ogni orbitale
e che, ogni volta che aggiungiamo un protone nel nucleo e un elettrone in
o gruppo di orbitali è segnato il nome. In A, leggendo i
un orbitale, abbiamo un elemento diverso, con numero atomico superiore
nomi degli orbitali riga per riga, si ha l’ordine di riempidi una unità. Osserviamo ora la figura 10.1 B e prendiamo in esame l’orbitamento con gli elettroni. In B gli orbitali f sono stati spole 1s, quello che ha la minima energia. Se immaginiamo di mettere nel nustati al fondo della figura. Poiché per ogni orbitale si possono avere due elementi chimici, a seconda che sia contecleo di un atomo uno o due protoni, nell’orbitale 1s dovranno trovarsi uno
nuto uno oppure due elettroni, a ciascun quadratino di B
o due elettroni: abbiamo, rispettivamente, l’atomo dell’elemento idrogeno
corrispondono due elementi in C. In questa figura i numeri
(Z = 1) e quello dell’elemento elio (Z = 2). Dopo aver riempito questo orbitascritti all’interno dei quadratini corrispondono ai numeri
le,
aggiungiamo ancora uno o due elettroni. Questi andranno a collocarsi
atomici. Aggiungendo in ogni casella il simbolo chimico,
nell’orbitale
2s: abbiamo rispettivamente l’elemento litio (Z = 3) e l’elemenabbiamo costruito il Sistema periodico degli elementi,
come quello riportato nella pagina a fianco.
to berillio (Z = 4). Verifichiamo così che a ogni orbitale corrispondono due
elementi, secondo l’ordine crescente dei numeri atomici.
A questo punto, sdoppiando i quadratini della figura
A
10.1 B, si ottiene la figura 10.1 C, in cui i numeri indica1s
no i numeri atomici degli elementi. Come si vede, abbia2s
mo quattro blocchi: il blocco degli orbitali s (colorato in
2p
verde), il blocco degli orbitali p (in rosso), il blocco degli
3s
3p
orbitali d (in azzurro) e il blocco degli orbitali f (in mar3d
4s
4p
rone). I numeri che appaiono alla sinistra di ogni blocco
sono i valori dei numeri quantici principali dei vari orbi5p
4d
5s
tali. I numeri all’interno dei quadratini rappresentano i
4f
5d
6s
6p
numeri atomici degli elementi.
5f
6d
7s
Ricordando che per ogni numero atomico abbiamo un
elemento, cui compete un simbolo chimico, completiaB
mo la figura e scriviamo vicino a ogni numero atomico il
1s
simbolo chimico dell’elemento corrispondente. Abbiamo
2s
2p
costruito così il Sistema periodico degli elementi, come
3s
3p
quello riportato in forma completa nella pagina a fianco.
3d
4s
4p
La tabella che abbiamo costruito è analoga a quella ela5p
4d
5s
borata da Mendeleev, ma è basata sulle moderne conoscenze della struttura dell’atomo. Nella prima colonna
* 5d
6s
6p
all’estrema sinistra del Sistema periodico vi sono i valori
* * 6d
7s
del numero quantico principale n. Nella riga in alto evidenziata in rosso sono indicati i tipi di orbitale (s, p, d ),
* 4f
cui
va aggiunto il relativo numero quantico principale
* * 5f
(che compare nella colonna all’estrema sinistra). Nella
colonna all’estrema destra sono indicati gli orbitali che
C
BLOCCO s
man mano si riempiono. Leggendo tutti i simboli in suc1 1 2
BLOCCO p
cessione, si ritrova la sequenza che mostra l’ordine cre2 3 4
2 5 6 7 8 9 10
scente di energia degli orbitali (cfr. § 9.10).
3 11 12
3 13 14 15 16 17 18
BLOCCO d
I 112 elementi chimici noti sono distribuiti in 7 righe
4 19 20 3 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 4 31 32 33 34 35 36
orizzontali, i periodi, che corrispondono ai 7 valori del
5 37 38 4 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 5 49 50 51 52 53 54
numero quantico principale, e in 18 colonne, i gruppi. I
periodi sono numerati da 1 a 7 utilizzando numeri arabi.
6 55 56 5 57 72 73 74 75 76 77 78 79 80 6 81 82 83 84 85 86
Secondo le ultime indicazioni della IUPAC (Internatio7 87 88 6 89 104 105 106 107 108 109 110 111 112
nal Union of Pure and Applied Chemistry), anche i grupBLOCCO f
pi seguono la numerazione araba da 1 a 18.
4 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71
Il Sistema periodico degli elementi ci appare diviso in
5 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 101 102 103
quattro grandi blocchi, rappresentati con cornici di colo-
CH/38
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
10
Struttura elettronica e proprietà periodiche
re diverso. Il primo blocco, all’estrema sinistra e incorniciato in verde, è il
blocco degli orbitali s. In questo blocco vi sono i simboli degli elementi nei
quali l’ultimo elettrone è disposto in un orbitale s. Per esempio, il calcio
(Ca, Z = 20) ha l’ultimo elettrone nell’orbitale 4s.
All’estrema destra del Sistema periodico, incorniciato in rosso, vi è il
blocco degli orbitali p. In questo blocco troviamo i simboli degli elementi
nei quali l’ultimo elettrone è disposto in un orbitale p. I due blocchi, s e p,
formano otto colonne, chiamate gruppi principali.
Al centro del Sistema periodico, incorniciato in azzurro, c’è il blocco degli orbitali d. Gli elementi che appartengono a questo blocco sono chiamati
elementi di transizione (cfr. § 0.3). Più in basso, incorniciato in marrone,
troviamo il blocco degli orbitali f, con i relativi elementi. Ricapitolando,
evidenziamo i seguenti punti:
La numerazione tradizionale numera i gruppi principali con numeri romani che vanno da I a VIII.
• nel Sistema periodico ci sono 7 periodi e 18 gruppi;
• il Sistema periodico è diviso in quattro blocchi: blocco degli orbitali s,
blocco degli orbitali p, blocco degli elementi di transizione e blocco
degli orbitali f;
gli
elementi sono disposti in ordine crescente di numero atomico;
•
• gli orbitali sono disposti in ordine crescente di energia;
• in corrispondenza di ogni valore del numero quantico principale si
trovano gli orbitali s e p che hanno quel valore di n.
Col Sistema periodico degli elementi davanti agli occhi è ora più immediata la ricostruzione dell’ordine di riempimento degli orbitali. Non c’è
neanche bisogno di guardare l’ultima colonna a destra, dove questo ordine
viene espressamente indicato. Basta leggere riga per riga, da sinistra a destra, iniziando dall’alto. Incontriamo il periodo 1 e la colonna degli orbitali
s: il primo orbitale è 1s. Andiamo a capo e incontriamo il numero 2 e i blocchi s e p: abbiamo gli orbitali 2s e 2p. Andiamo ancora a capo; troviamo il
numero 3, il blocco s e il blocco p: abbiamo gli orbitali 3s e 3p. Andiamo a
capo; incontriamo il numero 4, il blocco s, il blocco d (ma si tratta degli orbitali 3d ) e il blocco p: gli orbitali sono nell’ordine 4s, 3d, 4p; e così via.
LABORATORIO SEMPLICE
Tavola periodica e numeri quantici
d
ANIMAZIONE
Tavola periodica interattiva
GRUPPO (numerazione IUPAC )
1
2
I
II
GRUPPO (numerazione tradizionale)
ORBITALI
np
s2
CONFIGURAZIONE ELETTRONICA ESTERNA
s2p1 s2p2 s2p3 s2p4 s2p5 s2p6
3
4
ns
s1
5
6
(n –1) d
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
III
IV
V
VI
VII
VIII
2
Li Be
11
PERIODO
3
56
Cs Ba
87
7
38
Rb Sr
55
6
20
22
21
23
88
40
39
Y
57
41
24
25
26
27
29
30
42
43
44
45
46
47
48
Zr Nb Mo Tc Ru Rh Pd Ag Cd
72
73
104
105
14
N
15
31
32
16
P
33
S
34
74
75
76
77
106
107
108
109
78
79
80
Pt Au Hg
110
111
49
F Ne
17
35
50
51
52
53
81
82
83
84
I
85
59
60
61
62
63
64
65
3s 3p
36
4s (3d) 4p
54
Xe
5s (4d) 5p
86
Tl Pb Bi Po At Rn
6s (4f) (5d) 6p
112
7s (5f) (6d)
Fr Ra Ac Rf Db Sg Bh Hs Mt Ds Rg Cn
58
2s 2p
18
Cl Ar
In Sn Sb Te
1s
10
9
O
Cr Mn Fe Co Ni Cu Zn Ga Ge As Se Br Kr
La Hf Ta W Re Os Ir
89
28
C
Al Si
ELEMENTI DI TRANSIZIONE
K Ca Sc Ti V
37
5
13
12
Na Mg
19
4
B
8
7
6
5
4
3
2
He
H
1
66
Orbitali che si riempiono nel periodo
1
n
67
68
69
70
71
Ce Pr Nd Pm Sm Eu Gd Tb Dy Ho Er Tm Yb Lu
90
91
92
93
94
95
96
97
98
99
100
101
102
103
Th Pa U Np Pu Am Cm Bk Cf Es Fm Md No Lr
Stato fisico a condizioni normali (0 °C; 1,013 bar)
Liquido
Aeriforme
Elementi preparati artificialmente
CH/39
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CAPITOLO
10.3
Elemento
Configurazione elettronica
F (fluoro)
1s 2 2s 2p 5
Cl (cloro)
1s 2 2s 2p 6 3s 2p 5
Br (bromo)
1s 2 2s 2p 6 3s 2p 6d 10 4s 2p 5
I (iodio)
1s 2 2s 2p 6 3s 2p 6d 10 4s 2p 6d 10 5s 2p 5
TABELLA 10.2
Configurazioni elettroniche totali degli elementi del gruppo 17. Tutti hanno 7 elettroni negli orbitali
più esterni, con la struttura s 2p 5.
10
Struttura elettronica e proprietà periodiche
Configurazione elettronica esterna
N
ella tabella 10.2 sono riportate le configurazioni elettroniche totali dei
primi quattro elementi del gruppo 17 del Sistema periodico. Abbiamo
sottolineato, per ogni elemento, gli orbitali che hanno il più alto valore di n,
cioè gli orbitali più grandi e quindi più esterni. Possiamo subito notare che
questi elementi, pur avendo un diverso numero totale di elettroni, hanno
tutti negli orbitali più esterni sette elettroni, con la struttura s 2p 5.
Alla stessa maniera, tutti gli elementi del gruppo 1 hanno all’esterno un
solo elettrone e la struttura s1, gli elementi del gruppo 2 hanno due elettroni
e la struttura s 2, quelli del gruppo 13 hanno tre elettroni e la struttura s 2p 1 e
così via. Ciò significa che gli elementi di uno stesso gruppo hanno nel livello esterno lo stesso numero di elettroni. Questi elettroni esterni sono chiamati elettroni di valenza (vedi § 13.2). Per ogni elemento la formula che indica quanti elettroni vi sono negli orbitali s e p col più alto valore di n si
chiama configurazione elettronica esterna o di valenza.
씰 Gli elementi dello stesso gruppo hanno la stessa configurazione
elettronica esterna.
La configurazione elettronica esterna di un elemento può essere facilmente ricavata dalla sua posizione nel Sistema periodico. Per i gruppi 1 e 2
il numero di elettroni esterni coincide con il numero del gruppo, mentre
per i gruppi dal 13 al 18 per ottenere il numero di elettroni di valenza occorre sottrarre 10 al numero del gruppo:
elettroni di valenza = numero del gruppo – 10
Per esempio, nel caso degli elementi del gruppo 15 gli elettroni di valenza sono 15 – 10 = 5 e la relativa configurazione elettronica esterna è s 2p 3. I
primi due elettroni di valenza sono disposti nell’unico orbitale s, mentre i
restanti tre elettroni si trovano a spin parallelo in altrettanti orbitali p.
Per quanto riguarda gli elementi del blocco d (elementi di transizione)
e del blocco f (lantanidi e attinidi), gli elettroni di valenza generalmente
sono sempre due, in quanto gli elettroni che si dispongono negli orbitali
d ed f occupano un livello più interno. La configurazione elettronica
esterna di questi elementi è quindi s 2.
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
1. Usando la notazione spdf, scrivi le configurazioni elettroniche totali e esterne
per (a) lo zinco (Zn) e (b) lo stronzio (Sr).
1. Usando la notazione spdf, scrivi la configurazione elettronica totale e quella esterna dello
stagno (Sn).
(a) Lo zinco (Zn) ha numero atomico Z = 30. Richiamandosi all’ordine di riempimento
degli orbitali mostrato nella figura 9.25, la sua configurazione elettronica si ottiene dapprima riempiendo gli orbitali del primo guscio e del secondo guscio, 1s 2,
2s 22p6, collocando poi gli elettroni negli orbitali s e p del terzo guscio, 1s 2,
2s 22p6, 3s23p6, continuando con l’orbitale 4s, 1s 2, 2s 22p6, 3s23p6, 4s2, e infine sistemando nell’orbitale 3d i dieci elettroni restanti, 1s2, 2s22p6, 3s23p63d10, 4s2;
questa ultima notazione è la configurazione elettronica totale. Per la configurazione elettronica esterna dello zinco, che è un elemento di transizione, facciamo riferimento all’orbitale s più esterno, 4s2.
2. Usando la notazione spdf, scrivi la configurazione elettronica totale e quella esterna dello
zolfo (S).
(b) Lo stronzio (Sr) ha numero atomico Z = 38. Analogamente allo zinco dell’esercizio
precedente, la sua configurazione elettronica si ottiene dapprima riempiendo il primo, il secondo e il terzo guscio, e collocando poi due elettroni nell’orbitale 4s:
1s2, 2s22p6, 3s23p63d10, 4s2; dopo il 4s riempiamo gli orbitali 4p, 1s2, 2s22p6,
3s23p63d10, 4s24p6, e infine i due elettroni restanti li collochiamo nell’orbitale 5s:
1s2, 2s22p6, 3s23p63d10, 4s24p6, 5s2. Questa ultima notazione è la configurazione
elettronica totale. Per la configurazione elettronica esterna dello stronzio, che è
un elemento del gruppo 2, facciamo riferimento agli orbitali del quinto guscio, il
guscio più esterno: 5s2.
CH/40
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
10
Struttura elettronica e proprietà periodiche
10.4 Configurazione elettronica
e proprietà degli elementi
A
bbiamo visto nel paragrafo precedente che gli elementi dello stesso
gruppo hanno un differente numero totale di elettroni, ma un uguale
numero di elettroni esterni. Quale tra i due numeri è più importante nel definire le proprietà chimiche dell’elemento?
Nel Sistema periodico gli elementi di uno stesso gruppo hanno proprietà chimiche simili e hanno inoltre la stessa configurazione elettronica
esterna. È quindi lecito supporre che la reattività di un elemento dipenda
dal numero di elettroni nel guscio più esterno.
Quando gli atomi reagiscono, sono interessati solo i gusci più esterni e
quindi gli orbitali con energia maggiore. La capacità di un atomo di reagire
con un altro atomo, di legarsi a esso o di staccarsi, dipende perciò dal numero e dall’energia degli elettroni che si trovano negli orbitali più esterni.
Gli elettroni degli orbitali più interni sono, per così dire, nascosti e non influenzano in modo determinante le proprietà chimiche dell’atomo.
씰 Le proprietà chimiche degli elementi non dipendono dal numero totale
degli elettroni, ma dalla configurazione elettronica esterna.
Infatti, il sodio (Na, Z = 11) e il potassio (K, Z = 19) differiscono per 8
elettroni, ma, avendo la stessa configurazione elettronica esterna s1, hanno
proprietà chimiche molto simili. Il potassio (K, Z = 19) e il cloro (Cl, Z = 17)
differiscono solo per due elettroni, ma hanno diversa configurazione elettronica esterna (rispettivamente s1 e s2p5) e le loro proprietà sono molto diverse: il primo è un solido metallico, il secondo un gas ossidante.
씰 Le proprietà chimiche degli elementi dello stesso gruppo, aventi la
stessa configurazione elettronica esterna, sono simili.
Spostandoci da sinistra verso destra lungo un periodo, il numero degli
elettroni esterni aumenta con continuità da 1 a 8 e, quindi, con continuità
variano le proprietà degli elementi. Quando si va a capo, cioè si comincia
un nuovo periodo, inizia un’altra variazione da 1 a 8
e così via. Costatiamo ancora una volta che le pro55 Cs
87 Fr
prietà chimiche degli elementi variano con perio56 Ba
88 Ra
57 La
89 Ac
dicità (figura 10.2).
1H
2 He
3 Li
4 Be
5B
6C
7N
8O
9F
10 Ne
11 Na
12 Mg
13 Al
14 Si
15 P
16 S
17 Cl
18 Ar
19 K
20 Ca
21 Sc
22 Ti
23 V
24 Cr
25 Mn
26 Fe
27 Co
28 Ni
29 Cu
30 Zn
31 Ga
32 Ge
33 As
34 Se
35 Br
36 Kr
37 Rb
38 Sr
39 Y
40 Zr
41 Nb
42 Mo
43 Tc
44 Ru
45 Rh
46 Pd
47 Ag
48 Cd
49 In
50 Sn
51 Sb
52 Te
53 I
54 Xe
58 Ce
59 Pr
60 Nd
61 Pm
62 Sm
63 Eu
64 Gd
65 Tb
66 Dy
67 Ho
68 Er
69 Tm
70 Yb
71 Lu
72 Hf
73 Ta
74 W
75 Re
76 Os
77 Ir
78 Pt
79 Au
80 Hg
81 Tl
82 Pb
83 Bi
84 Po
85 At
86 Rn
90 Th
91 Pa
92 U
FIGURA 10.2
In questa inconsueta rappresentazione del
Sistema periodico, gli elementi con proprietà analoghe
sono collegati tra loro da righe. L’idrogeno (H, Z = 1) è collegato al litio (Li, Z = 3), ma per il comportamento potrebbe essere avvicinato anche al fluoro (F, Z = 9). Gli elementi
inseriti in riquadri colorati corrispondono al blocco degli
orbitali d e al blocco degli orbitali f.
CH/41
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
10.5
10
Struttura elettronica e proprietà periodiche
Volume atomico e raggio atomico
U
na importante caratteristica degli atomi, da cui dipendono le proprietà
chimiche degli elementi, è la dimensione atomica, che può essere
espressa tramite il volume atomico e il raggio atomico.
씰 Il volume atomico di un elemento è una misura dello spazio occupato
dal nucleo e dagli elettroni dell’atomo.
Il volume atomico del litio (Li, Z = 3, 1s 22s 1), per esempio, dipende dallo
spazio occupato dall’elettrone dell’orbitale più esterno, il 2s. Ricordiamo
che le dimensioni degli orbitali aumentano all’aumentare del numero quantico principale n (cfr. figura 9.18). Prendiamo allora in esame elementi dello
stesso gruppo, per esempio litio (Li, Z = 3), sodio (Na, Z = 11) e potassio (K,
Z = 19). Questi elementi hanno l’ultimo elettrone rispettivamente negli orbitali 2s, 3s e 4s e perciò i loro volumi dipendono da questi tre orbitali. Litio, sodio e potassio hanno infatti volume atomico crescente, con raggio atomico rispettivamente di 152, 186 e 231 pm.
Generalizzando il problema e ricordando che quando si scende nel gruppo aumenta il valore di n, possiamo affermare che il volume atomico degli
elementi dello stesso gruppo aumenta, se ci spostiamo dall’alto verso il basso (figura 10.3).
FIGURA 10.3
Dimensioni relative dei vari atomi. Scendendo lungo un gruppo, il raggio atomico e il volume dell’atomo aumentano, perché aumenta il numero quantico principale e crescono le dimensioni degli orbitali.
1
1
2
3
4
5
6
7
8
9 10 11 12 13 14 15 16 17 18
He
H
2
Li
Be
B
C
N
O
F
Ne
Na
Mg
Al
Si
P
S
Cl
Ar
K
Ca
Sc
Ti
V
Cr
Mn
Fe
Co
Ni
Cu
Zn
Ga
Ge
As
Se
Br
Kr
Rb
Sr
Y
Zr
Nb
Mo
Tc
Ru
Rh
Pd
Ag
Cd
In
Sn
Sb
Te
I
Xe
Cs
Ba
La
Hf
Ta
W
Re
Os
Ir
Pt
Au
Hg
Tl
Pb
Bi
Po
At
Rn
Fr
Ra
Ac
3
4
5
6
A
APPROFONDIMENTO
Raggio atomico e salinità dell’oceano
–
2s
1s
++
+
7
–
1s
2s
++
++
–
3
Li
4
Be
FIGURA 10.4 Variazione del volume atomico nel periodo. Il
volume atomico diminuisce spostandosi da sinistra a destra
nel periodo, perché aumenta il numero delle cariche positive nel nucleo e quindi gli elettroni sono attirati verso il
nucleo con una forza maggiore. I segni «+» indicano le cariche positive dei protoni del nucleo, i segni «–» le cariche
negative degli elettroni.
Che cosa succede, invece, se ci spostiamo da sinistra verso destra in un
periodo? In questo caso il numero quantico n rimane costante e ci aspettiamo, perciò, che il volume atomico risulti sempre uguale. Vediamo in realtà
che cosa avviene e mettiamo a confronto, per esempio, un atomo di litio
(1s 22s 1) e uno di berillio (Be, Z = 4, 1s 22s 2). L’elettrone dell’orbitale 2s del
litio è attirato dalle tre cariche positive del nucleo; ognuno dei due elettroni
che occupano l’orbitale 2s del berillio è attirato verso il nucleo da quattro, e
non da tre, cariche positive (figura 10.4).
Per questo motivo gli elettroni del berillio si avvicinano di più al nucleo.
La conseguenza è che il volume dell’atomo è più grande nel litio che nel
berillio, con raggio rispettivamente di 152 e 112 pm. Tenendo conto di
questo effetto, in generale possiamo affermare che quando si passa da sinistra a destra nel periodo il volume atomico diminuisce, perché aumenta il
numero dei protoni e aumentano le forze attrattive del nucleo nei confronti degli elettroni.
CH/42
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CAPITOLO
10
Struttura elettronica e proprietà periodiche
씰 Il raggio atomico è per convenzione la metà della distanza tra i nuclei
di due atomi dello stesso elemento legati fra loro (figura 10.5).
2r
씰 Volume atomico e raggio atomico aumentano scendendo nel gruppo e
diminuiscono andando verso destra nel periodo.
FIGURA 10.5
Il raggio atomico è uguale alla semidistanza
tra i nuclei di due atomi identici.
pm
Riprendiamo in esame la figura 10.3. Si nota che il volume atomico diminuisce lungo un periodo, aumenta bruscamente andando a capo, diminuisce nuovamente e poi aumenta un’altra volta. Il suo andamento indica che
varia periodicamente. Volume e raggio atomico sono proprietà periodiche
degli elementi (figura 10.6). Osserviamo ancora la figura 10.3. Notiamo che
le differenze di volume sono ben riconoscibili in ogni gruppo tra il secondo
e il terzo periodo, mentre divengono sempre più lievi nei periodi successivi. Possiamo dire che, scendendo in un gruppo, le differenze di volume tra
un elemento e l’altro sono meno significative.
300
Raggio atomico
FIGURA 10.6
Variazione periodica del raggio atomico,
espresso in pm, al variare del numero atomico Z.
200
100
0
2
10
18
36
Numero atomico
54
86
100
Z
Sappiamo che gli atomi possono acquistare o perdere elettroni formando
ioni, cioè atomi carichi negativamente, gli anioni, o positivamente, i cationi
(cfr. § 0.1). La trasformazione di un atomo in uno ione ha come conseguenza la modificazione del volume (figura 10.7).
Il volume di un atomo di litio (Li, Z = 3, 1s2 2s1) è quello dell’orbitale 2s,
mentre il volume dello ione litio (Li+) è quello dell’orbitale 1s. Perciò nella
formazione di un catione assistiamo alla riduzione del raggio. Se, invece,
–
da un atomo si passa a un anione, per esempio da Cl a Cl , lo stesso nucleo
va ad esercitare la sua forza di attrazione su un numero maggiore di elettroni. La forza con la quale ogni elettrone viene attirato diminuisce e il risultato è un aumento di volume. Possiamo allora dire che un anione ha un volume maggiore dell’atomo da cui deriva.
A
B
Li
–1e–
Li +
F
+1e–
F–
Na
–1e–
Na+
Cl
+1e–
Cl –
K
–1e–
K+
Br
+1e–
Br –
FIGURA 10.7
(A), se un atomo perde gli elettroni degli
orbitali più esterni, il volume diminuisce. (B), se invece un
atomo acquista elettroni trasformandosi in un anione, i
protoni del nucleo (in ugual numero nell’atomo e nello
ione) si trovano ad attirare un maggior numero di elettroni; come conseguenza gli elettroni si allontanano dal nucleo e il volume atomico aumenta.
CH/43
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
I
10
Struttura elettronica e proprietà periodiche
10.6 Energia di ionizzazione
FIGURA PARLANTE
e affinità elettronica
A
N
+
−
−
el paragrafo 9.5 abbiamo visto come l’energia di ionizzazione degli elementi, cioè l’energia necessaria per estrarre gli elettroni più esterni da
un atomo isolato, non sia costante, ma varia da elemento a elemento.
Da quale fattore dipende l’energia di ionizzazione di un elemento? Si sa
che la forza di attrazione elettrostatica tra due cariche elettriche di segno
opposto è inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. L’energia di ionizzazione, perciò, è inversamente proporzionale al quadrato
della distanza tra l’elettrone più esterno e il nucleo e, quindi, al quadrato
del raggio atomico (figura 10.8 A). Ricordando che il raggio atomico aumenta nel gruppo e diminuisce nel periodo, possiamo dire che:
+
B
1
2
13 14 15 16 17 18
1
씰 L’energia di ionizzazione diminuisce nel gruppo e aumenta nel periodo.
2
3
4
5
6
7
FIGURA 10.8
(A), l’elettrone è attratto verso il nucleo da
una forza elettrostatica (freccine azzurre). Per allontanare
l’elettrone dal nucleo bisogna esercitare una forza (freccine
verdi) per lo meno uguale. Dato che la forza di attrazione è
inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra
le cariche elettriche, un elettrone più lontano dal nucleo è
attratto con una forza inferiore ed è quindi più facilmente
allontanabile. (B), poiché il volume atomico cresce nel
gruppo e diminuisce nel periodo, l’energia di ionizzazione
diminuisce nel gruppo e aumenta nel periodo.
Sia per l’affinità elettronica sia per l’energia di ionizzazione le misure sono effettuate su atomi isolati e
allo stato gassoso.
La figura 10.8 B rende evidente che l’energia di ionizzazione è più elevata per gli elementi a destra in alto e più ridotta per gli elementi a sinistra in
basso nel Sistema periodico. L’elemento che si trova nell’angolo in basso a
sinistra, il cesio (Cs, Z = 55), ha una energia di ionizzazione così bassa che
per togliere elettroni dai suoi atomi è sufficiente l’energia della luce. Su
questa proprietà è basato il funzionamento delle cellule fotoelettriche. La
luce colpisce gli atomi di cesio, sottrae loro elettroni e provoca un passaggio di corrente elettrica proporzionale alla quantità di luce che colpisce la
fotocellula.
È stato studiato anche il processo inverso della ionizzazione, cioè quello
in cui a un atomo si fa acquistare un elettrone. In questo caso si forma un
anione. L’energia che si scambia quando un atomo accetta un elettrone in
più si chiama affinità elettronica. Quando avviene questo processo, l’energia in gioco viene di solito ceduta dall’atomo all’ambiente.
Se all’anione formatosi vogliamo far accettare un ulteriore elettrone, può
essere necessario spendere energia, a causa della repulsione tra gli elettroni.
In tal caso l’energia in gioco è negativa. Questo processo può comunque avvenire, se la formazione dell’anione con due cariche negative porta complessivamente a un vantaggio energetico, per esempio nella formazione di
molecole più stabili di quelle ottenibili con un anione monovalente. Se indichiamo con A un generico atomo, abbiamo:
A + e – → A–
A– + e – → A– –
anione monovalente
anione bivalente
씰 L’affinità elettronica varia nel Sistema periodico in modo identico
rispetto all’energia di ionizzazione: diminuisce nel gruppo e aumenta
nel periodo.
Nei metalli
l’energia di ionizzazione è
bassa e gli elettroni esterni
possono essere sottratti agli
atomi con facilità. Se avviciniamo a un’estremità di
un chiodo metallico una carica elettrica positiva, molti
elettroni si spostano verso
di essa. Questa parte diviene più ricca di elettroni e
assume carica negativa; l’altra parte di conseguenza diventa positiva. La mobilità
degli elettroni fa sì che il
metallo conduca bene la
corrente elettrica e, se riscaldiamo il chiodo, che il
calore venga trasmesso con
grande rapidità.
FIGURA 10.9
10.7
Il carattere metallico
G
li elementi chimici possono essere classificati in base alle loro caratteristiche in due grandi categorie, i metalli e i non-metalli. I metalli sono
elementi che, quando reagiscono, tendono a perdere elettroni. La facilità
con cui i metalli cedono gli elettroni più esterni spiega la proprietà dei metalli di essere buoni conduttori di calore e di elettricità (figura 10.9).
씰 I metalli sono elementi chimici con bassa energia di ionizzazione.
Al contrario, la chimica dei non-metalli è caratterizzata dalla tendenza ad
acquistare elettroni, pertanto:
씰 I non-metalli sono elementi chimici con alta energia di ionizzazione.
CH/44
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CAPITOLO
10
Struttura elettronica e proprietà periodiche
Le proprietà degli elementi dello stesso gruppo sono simili, ma non identiche. Gli atomi degli elementi di uno stesso gruppo hanno dimensioni atomiche diverse e, di conseguenza, tutte le proprietà che dipendono dal volume atomico e dalla configurazione elettronica, come l’energia di ionizzazione, cambiano. Per questo motivo anche il carattere metallico, che dipende
dall’energia di ionizzazione di un atomo, è una proprietà che varia con periodicità lungo il Sistema periodico degli elementi.
Come abbiamo visto nel paragrafo 10.6, l’energia di ionizzazione diminuisce scendendo lungo un gruppo e aumenta procedendo verso destra in
un periodo, pertanto:
씰 Il carattere metallico aumenta scendendo lungo un gruppo e
diminuisce procedendo verso destra nei periodi del Sistema periodico.
Questo andamento spiega la collocazione dei metalli e dei non-metalli
nel Sistema periodico. I metalli si trovano dove l’energia di ionizzazione è
minima, cioè nella parte sinistra e centrale della Tavola periodica, mentre i
non-metalli occupano la parte destra, dove si collocano gli elementi con
energia di ionizzazione più alta.
La figura 10.10 mette in evidenza come il carattere metallico sia maggiore
per gli elementi che si trovano in basso a sinistra nel Sistema periodico e
minore per quelli che si trovano in alto a destra.
Una evidente eccezione a quanto appena affermato riguarda la collocazione dell’idrogeno nel Sistema periodico. Questo elemento si trova nel gruppo 1 anche se è un non-metallo. L’idrogeno ha un solo elettrone nell’orbitale 1s e quindi trova posto nel primo gruppo. All’idrogeno manca un elettrone per completare l’unico orbitale del primo livello, per cui potrebbe essere
inserito anche nel gruppo 17, dove si trovano tutti i non-metalli a cui manca un solo elettrone per completare il livello più esterno.
Nel Sistema periodico, tra i metalli e i non-metalli si
trova la ristretta fascia dei semimetalli, gli elementi
con caratteristiche chimiche e fisiche intermedie tra
le due categorie.
1
2
13 14 15 16 17 18
1
2
3
4
5
6
7
FIGURA 10.10
Poiché l’energia di ionizzazione diminuisce
nel gruppo e aumenta nel periodo, il carattere metallico
aumenta nel gruppo e diminuisce nel periodo.
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
2. Confronta le caratteristiche di tre elementi, litio (Li), berillio (Be) e rubidio
(Rb), e ordinali per carattere metallico crescente.
3. Confronta le caratteristiche di tre elementi,
berillio (Be), calcio (Ca) e carbonio (C), e ordinali per carattere metallico crescente.
Il carattere metallico diminuisce procedendo lungo un periodo e aumenta scendendo
lungo un gruppo. Per prima cosa occorre individuare la posizione degli elementi nel
Sistema periodico: il litio si trova nel gruppo 1 e nel periodo 2; il berillio si trova nel
gruppo 2 e nel periodo 2; il rubidio si trova nel gruppo 1 e nel periodo 5. L’elemento
con il carattere metallico minore è il berillio, in quanto il rubidio si trova più a sinistra e in basso nel Sistema periodico e il litio è nello stesso periodo, ma più a sinistra. Il rubidio ha un carattere metallico maggiore del litio in quanto i due elementi
fanno parte dello stesso gruppo, ma il rubidio è collocato più in basso. L’ordine dei
tre elementi per carattere metallico crescente è pertanto: Be < Li < Rb.
10.8
Elettronegatività
N
ella maggior parte dei casi gli atomi tendono a legarsi tra loro grazie
allo stabilirsi di legami chimici e formano così i composti. In alcuni
tipi di legame due elettroni, chiamati elettroni di legame, sono condivisi da
due atomi e sono attirati contemporaneamente dai nuclei dei due atomi legati. Se la forza di attrazione è diversa, gli elettroni sono spostati di più verso uno dei due atomi.
씰 Si definisce elettronegatività di un elemento la tendenza che ha un
atomo dell’elemento ad attirare verso di sé gli elettroni di legame.
I fattori da cui dipende il valore dell’elettronegatività di un elemento sono: la posizione nel gruppo e nel periodo, il volume atomico e la carica nu-
Può essere utile precisare che l’elettronegatività non
è una energia, ma esprime una tendenza, quella di
attirare gli elettroni di legame.
CH/45
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
I
Struttura elettronica e proprietà periodiche
cleare. Se i due atomi legati hanno lo stesso volume e la stessa carica (figura
10.11 A), gli elettroni di legame subiscono un’uguale forza di attrazione. Se i
due atomi, invece, hanno volume diverso ma stessa carica (figura 10.11 B),
gli elettroni di legame sono più vicini al nucleo dell’atomo più piccolo e
sono attratti più fortemente da questo nucleo: gli elettroni si spostano verso
l’atomo più piccolo.
I risultati sperimentali confermano che minore è il volume degli atomi,
maggiore è la forza di attrazione verso gli elettroni di legame e perciò maggiore è l’elettronegatività. Ricordando che il volume atomico cresce nel
gruppo e diminuisce nel periodo e sapendo che l’elettronegatività è inversamente proporzionale al volume dell’atomo, possiamo dire che:
FIGURA PARLANTE
A
10
B
씰 L’elettronegatività diminuisce nel gruppo e aumenta nel periodo.
C
1
2
13 14 15 16 17
1
2
3
4
5
6
7
FIGURA 10.11 Gli elettroni di legame sono rappresentati
con due punti rossi e le forze di attrazione verso i nuclei con
freccine azzurre. (A), se i due atomi hanno stesso volume e
stessa carica nucleare, le forze si bilanciano e gli elettroni si
distribuiscono alla stessa distanza dai due nuclei. (B), due
atomi con la stessa carica ma volume diverso attraggono diversamente gli elettroni. (C), l’elettronegatività degli elementi aumenta nel periodo e diminuisce nel gruppo.
La figura 10.11 C mostra che i valori maggiori di elettronegatività sono a
destra in alto, i minori in basso a sinistra. Questa rappresentazione è identica alla figura 10.8 B, che riguarda la variazione dell’energia di ionizzazione.
La coincidenza non è casuale e non ci sorprende, perché, come sappiamo,
l’elettronegatività e l’energia di ionizzazione dipendono allo stesso modo
dal volume atomico.
A ogni elemento del Sistema periodico corrisponde un valore di elettronegatività. Fanno eccezione gli elementi del gruppo 18, i gas inerti, per i
quali non si conoscono valori di elettronegatività (figura 10.12). Questi elementi, infatti, non si legano mai e non formano composti. I valori di elettronegatività sono riportati nella tabella 10.3 e nella figura 10.13.
L’elettronegatività è una delle più importanti proprietà chimiche di un
elemento. Facciamo notare che, se escludiamo il raro fluoro (F), l’ossigeno
(O) è l’elemento più elettronegativo. Inoltre, tra gli elementi dei primi gruppi ci sono piccole differenze di elettronegatività, se confrontate con quelle
esistenti tra gli elementi degli ultimi gruppi.
4
FIGURA 10.12
Variazione del valore dell’elettronegatività
in funzione del numero atomico. L’altezza delle colonne è
proporzionale al valore dell’elettronegatività.
Elettronegatività
3
2
1
LABORATORIO SEMPLICE
Elettronegatività
0
TABELLA 10.3
Valori di elettronegatività degli elementi
chimici. Il cesio Cs, nell’angolo in basso a sinistra, ha il valore minore; il fluoro F, nell’angolo in alto a destra, ha il
valore più elevato.
Esistono diverse scale che esprimono i valori di elettronegatività. Generalmente ci si riferisce ai valori
ottenuti da Linus Pauling.
H
2,1
Li
1,0
Na
0,9
K
0,8
Rb
0,8
Cs
0,7
2
Be
1,5
Mg
1,2
Ca
1,0
Sr
1,0
Ba
0,9
10
Sc
1,3
Y
1,2
La
1,0
18
Ti
1,5
Zr
1,4
Hf
1,3
36
V
1,6
Nb
1,6
Ta
1,5
Cr
1,6
Mo
1,8
W
1,7
54
Numero atomico
Mn
1,5
Tc
1,9
Re
1,9
Fe
1,8
Ru
2,2
Os
2,2
Co
1,8
Rh
2,2
Ir
2,2
Ni
1,8
Pd
2,2
Pt
2,2
100
86
Cu
1,9
Ag
1,9
Au
2,4
Zn
1,6
Cd
1,7
Hg
1,9
B
2,0
Al
1,5
Ga
1,6
In
1,7
Tl
1,8
C
2,5
Si
1,8
Ge
1,8
Sn
1,8
Pb
1,8
CH/46
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
N
3,0
P
2,1
As
2,0
Sb
1,9
Bi
1,9
O
3,5
S
2,5
Se
2,4
Te
2,1
Po
2,0
F
4,0
Cl
3,0
Br
2,8
I
2,5
At
2,2
Z
CAPITOLO
10
Struttura elettronica e proprietà periodiche
FIGURA 10.13
Variazione del valore dell’elettronegatività
nel Sistema periodico. L’altezza dei blocchi è proporzionale al valore dell’elettronegatività. Gli elementi del gruppo
18, che non si legano mai, non possiedono valori di elettronegatività.
Elettronegatività
4
F
4,0
3
O
3,5
N
3,0
H
2,1
2
C
2,5
Cl
3,0
B
2,0
1
Be
1,5
Si
1,8
Li
1,0
P
2,1
S
2,5
Se
2,4
Br
2,8
1
Al
As
1,5
Fe 1,8 Co 1,8 Ni 1,8 Cu
l
2,0
Ge
1,9
Cr
2,5
1,8
V
Ga
Zn
Na
Mn1,5
Ru Rh Pd
Ti
1,6
Te
1,6
1,6
1,6
0,9
2,2 2,2 2,2 Ag1,9
1,5
Sc
2,1
Sb
Mo Tc
1,3
Au Cd In Sn
1,9
Ca
1,8 1,9
Nb
Os
Pt
2,4 1,7 1,7 1,8
At
Ir
1,0
K
1,6
Zr
2,2 2,2 2,2
2,2
Po
0,8
Re
1,4
Y
Hg Tl Pb Bi
2,0
1,9
W
1,2
Sr
1,9 1,8 1,8 1,9
1,7
Ta
1,0
Rb
1,5
Hf
0,8
1,3
Ba La
1,0
0,9
Cs
0,7
Mg
1,2
2
3
Pe
r io
4
do
5
6
1
2
Gruppo
13 14 15 16 17
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
3. Confronta le caratteristiche di tre elementi: carbonio (C), fluoro (F) e silicio
(Si). (a) Collocali in ordine di raggio atomico crescente; (b) indica quale di essi ha
la maggiore energia di ionizzazione; (c) indica tra carbonio e fluoro quale elemento ha la maggiore elettronegatività.
4. Confronta le caratteristiche di tre elementi:
boro (B), alluminio (Al) e azoto (N). (a) Collocali in ordine di raggio atomico crescente;
(b) indica quale di essi ha la maggiore energia di ionizzazione; (c) indica tra boro e azoto quale elemento ha la maggiore elettronegatività.
(a) Il raggio atomico diminuisce procedendo lungo il periodo, per cui il fluoro deve
avere raggio atomico più piccolo di quello del carbonio. Il raggio atomico, però,
aumenta scendendo lungo il gruppo. Poiché il C e il Si appartengono allo stesso
gruppo (gruppo 14), il Si deve essere più grande del C. In ordine di raggio atomico crescente abbiamo perciò: F < C < Si.
(b) L’energia di ionizzazione aumenta procedendo lungo il periodo e diminuisce
scendendo lungo il gruppo. Il fluoro si trova a destra e in alto rispetto agli altri
due elementi e perciò ha l’energia di ionizzazione più elevata.
(c) L’elettronegatività aumenta procedendo lungo il periodo e diminuisce scendendo
lungo il gruppo. Perciò l’elettronegatività del fluoro, che è collocato più a destra, è maggiore di quella del carbonio.
5. Confronta le caratteristiche di tre elementi:
zolfo (S), sodio (Na) e ossigeno (O). (a) Collocali in ordine di raggio atomico crescente;
(b) indica quale di essi ha la maggiore energia di ionizzazione; (c) indica tra zolfo e ossigeno quale elemento ha la maggiore elettronegatività.
Glossary
Electron affinity (affinità elettronica) Energy change occurring when an atom gains an electron to form a negative ion.
Electronegativity (elettronegatività) The tendency of an atom of an element in a molecule to
gain electrons.
Group ( gruppo) A vertical column of the Periodic table. The elements of a group have the
same outer shell structure and the same properties.
Metal (metallo) A chemical element with a low ionization energy.
Nonmetal (non-metallo) A chemical element with a high ionization energy.
Period ( periodo) A horizontal row of the Periodic table. The atoms of all the elements of a period have the same number of shells but a different number of electrons in the outer shell.
Periodic law (legge periodica) The properties of the chemical elements are a periodic function
of their atomic weights.
Valence electrons (elettroni di valenza) Electrons in the outer shell of an atom.
CH/47
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
G U I DA A L L O S T U D I O
EA
FACCIAMO IL PUNTO
Domande aperte
Esercizi di completamento
11 Come furono disposti i simboli degli elementi da Mende-
15
leev nella sua classificazione?
12 Come è stato modificato il Sistema periodico nel ventesimo secolo?
13 Che cosa sono le proprietà periodiche degli elementi?
14 Prova a costruire un Sistema periodico a blocchi, suddividendo ogni singolo blocco (s, p, d, f ) nel giusto numero di
caselle, ognuna relativa a un solo elemento. Dove posizioni il blocco p? Quanti elementi fanno parte di questo
blocco?
15 A che cosa corrispondono i periodi del Sistema periodico?
16 Che cosa si intende col termine configurazione elettronica
esterna? Come influisce la configurazione elettronica
esterna sulle proprietà degli elementi?
17 Che cosa sono il volume atomico e il raggio atomico di un
elemento?
18 Come variano volume atomico e raggio atomico degli ele-
Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello
spazio vuoto il termine opportuno.
Per classificare gli elementi oggi utilizziamo il
…………………………………………… ……………………………………………
spetto a quelle degli atomi da cui derivano?
, che è costruito
sulla base dell’ordine di riempimento degli
……………………………………………
. Gli elementi del ………………………
…………
sono quelli che hanno l’ …………………………………………… elettrone in
orbitali s, mentre quelli del blocco p hanno l’ultimo elettrone in ……………………………………………
…………
. Gli elementi del bloc-
co d sono chiamati di ……………………………………………………… ; quelli del
………………………………………… …………
si trovano staccati, più in basso.
Gli ………………………………… di uno stesso gruppo hanno la stessa
menti all’aumentare del numero atomico?
19 Come variano le dimensione dei cationi e degli anioni ri-
A
……………………………………
elettronica …………………………………………… , mentre
quelli di uno stesso periodo hanno lo stesso numero quan-
10 Che cosa è l’energia di ionizzazione e come varia all’interno del Sistema periodico?
11 Che cosa è l’elettronegatività e come varia all’interno del
tico …………………………………… . Gli elementi con …………………………………………
……………………………………………
Sistema periodico?
12 Quali sono le principali differenze tra metalli e non-metalli? In quale parte del Sistema periodico sono sistemati gli
elementi con caratteristiche metalliche?
13 Quali caratteristiche hanno gli elementi che si trovano
nella zona centrale del Sistema periodico?
…………………………………
esterna s 2 p 6 sono detti ……………………………
. L’energia di …………………………………………… è l’ener-
gia necessaria per strappare uno o più ……………………………………………
da un atomo, mentre l’ …………………………………………………… è la tendenza di un atomo ad attrarre verso sé gli elettroni di
14 Perché l’idrogeno deve essere considerato un elemento
particolare del Sistema periodico?
………………………………………
.
VERIFICA LE CONOSCENZE
A
Esercizi di corrispondenza
16
Inserisci nello schema le caratteristiche e i valori corrispondenti degli elementi, con l’aiuto del Sistema periodico, delle
figure e delle tabelle presenti nel testo.
Elemento
Simbolo
Configurazione elettronica
Elettronegatività
Raggio atomico
Berillio
Magnesio
Calcio
Stronzio
Bario
CH/48
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
17
gli elettroni di legame;
A
Domande a scelta multipla
B la tendenza che un atomo dell’elemento ha a tratte-
nere gli elettroni di legame;
Il carattere metallico:
C l’energia che un atomo dell’elemento libera quando
A diminuisce lungo il periodo da sinistra verso destra e
acquista elettroni;
diminuisce lungo il gruppo dall’alto verso il basso;
B diminuisce lungo il periodo da sinistra verso destra e
aumenta lungo il gruppo dall’alto verso il basso;
C aumenta lungo il periodo da sinistra verso destra e di-
minuisce lungo il gruppo dall’alto verso il basso;
D l’energia che un atomo dell’elemento libera quando
perde elettroni.
31
A l’energia necessaria per sottrarre a un suo atomo gli
D aumenta lungo il periodo da sinistra verso destra e au-
elettroni del guscio interno;
menta lungo il gruppo dall’alto verso il basso.
18
19
un elettrone;
B Mg;
C Al;
C l’energia necessaria per sottrarre a un suo atomo l’e-
lettrone più esterno;
D Si.
D la tendenza che un suo atomo ha ad attrarre verso sé
gli elettroni di legame.
Quale tra i seguenti elementi ha minor carattere metallico?
A B;
20
B l’energia che si libera quando un suo atomo acquista
Quale tra i seguenti elementi rivela in modo più accentuato il
carattere metallico?
A Na;
B C;
C O;
D F.
32
gurazione elettronica esterna e quindi possiedono proprietà molto simili;
B le proprietà degli elementi dipendono dalla loro configurazione elettronica esterna;
diminuisce lungo il gruppo dall’alto verso il basso;
B aumenta lungo il periodo da sinistra verso destra e au-
menta lungo il gruppo dal basso verso l’alto;
C le proprietà degli elementi dipendono dal numero to-
C diminuisce lungo il periodo da sinistra verso destra e
tale degli elettroni;
aumenta lungo il gruppo dall’alto verso il basso;
D gli elementi dello stesso periodo non hanno la stessa
D aumenta lungo il periodo da sinistra verso destra e au-
configurazione elettronica esterna e quindi possiedono proprietà differenti.
menta lungo il gruppo dall’alto verso il basso.
Tra i seguenti, qual è l’atomo più elettronegativo?
A C;
22
B Br;
B Cl;
B B;
B Fe;
B Si;
B S;
C S;
D Se.
35
C Na;
C Ca;
B Cl –;
B F –;
36
C O2–;
D B3+.
B elementi di transizione;
D gas inerti.
Quale processo è scritto correttamente?
A Li – 1e– → Li+;
C Li + 1e– → Li+;
D N.
D Fe3+.
Gli elementi con configurazione elettronica esterna s1 sono:
A metalli;
C semimetalli;
D S.
C Li +;
La configurazione elettronica totale 1s 2, 2s 22p 6 non appartiene
allo ione:
A Na+;
C S;
D F.
37
B Na – 1e– → Na2+;
D K – 1e– → K –.
C P;
D S.
C K;
D Ca.
Quale tra i seguenti è un catione bivalente?
A Co++;
38
B Na+;
C Fe3+;
D O2 –.
Quale tra i seguenti è un anione bivalente?
A Fe++;
B O2 –;
C Al3+;
D Cl –.
39 Il periodo di appartenenza di un elemento è determinato dal
numero quantico:
Gli elementi con configurazione elettronica esterna s 2p6 sono:
A metalli;
C semimetalli;
30
34
Quale tra i seguenti atomi ha il raggio atomico maggiore?
A Na;
29
A Na+;
Quale tra i seguenti atomi ha il raggio atomico minore?
A Al;
28
D D.
La configurazione elettronica totale 1s 2, 2s 22 p 6 appartiene allo
ione:
Quale tra i seguenti atomi ha minore energia di ionizzazione?
A C;
27
C O;
Quale tra i seguenti atomi ha maggiore energia di ionizzazione?
A Na;
26
D O.
La serie di elementi «B, C, F, N» si completa quando aggiungiamo:
A O;
25
B C;
33
La serie di elementi «F, Cl, I, At» si completa quando aggiungiamo:
A O;
24
C N;
Tra i seguenti, qual è l’atomo meno elettronegativo?
A Na;
23
B Li;
Quale tra le seguenti frasi non è corretta?
A gli elementi dello stesso gruppo hanno la stessa confi-
L’elettronegatività:
A diminuisce lungo il periodo da sinistra verso destra e
21
L’energia di ionizzazione di un elemento è:
B elementi di transizione;
D gas inerti.
L’elettronegatività di un elemento è:
A la tendenza che un atomo dell’elemento ha a cedere
A angolare;
C principale;
40
B magnetico;
D di spin.
Un atomo che acquista uno o più elettroni diventa:
A un catione;
C un anione;
B uno ione positivo;
D un metallo elettronegativo.
CH/49
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
G U I DA A L L O S T U D I O
EA
G U I DA A L L O ST U D I O
EA
VERIFICA LE ABILITÀ
A
Gioca e impara
41
Inserisci nelle linee orizzontali dello schema in basso i termini
corrispondenti alle definizioni e, leggendo nell’ordine le caselle in colore, vedrai comparire il termine che si usa per distinguere gli elementi del gruppo 1 del Sistema periodico.
1.
Lo sono quelli inerti del gruppo 18.
2.
Particella che possiede numero di spin ± ½.
3.
Lo è uno ione carico positivamente.
4.
Proprietà elettronica degli elementi, che varia in modo periodico.
5.
Compilò una tabella, lasciando vuote alcune caselle per gli elementi
non ancora scoperti.
Esercizi e problemi
43
Utilizzando il Sistema periodico, disponi i seguenti elementi in
ordine crescente di elettronegatività:
B, Br, C, Ca, F, Fe, H, K, Ni, O, P, Rb, Sn.
44
Per ciascuna delle seguenti configurazioni elettroniche totali,
indica se si riferisce a un metallo o a un non-metallo.
A 1s 2, 2s 2;
6.
Lo è il Sistema degli elementi chimici.
7.
Gli elementi del blocco d sono di … .
8.
Elementi chimici con bassa energia di ionizzazione, buoni conduttori
di calore ed elettricità.
B 1s 2, 2s 2 2p4;
C 1s 2, 2s 2 2p6, 3s 2 3p6 3d 2, 4s2;
D 1s 2, 2s 2 2p6, 3s 2 3p6 3d 10, 4s2 4p5.
45
Indica a fianco di ciascun elemento il blocco di appartenenza
nel Sistema periodico.
1
Sodio (Na)
2
Cloro (Cl)
3
Rutenio (Ru)
4
Oro (Au)
5
6
Gallio (Ga)
7
Uranio (U)
8
Gadolinio (Gd)
46
Utilizzando il Sistema periodico degli elementi, scrivi le
configurazioni elettroniche esterne dei seguenti elementi:
Al, Co, Rb, P, Kr, He.
47
A e B sono due elementi con le seguenti configurazioni
elettroniche:
A = 1s 2, 2s 22p 6, 3s 23p 6, 4s1
B = 1s 2, 2s 2 2p 6, 3s 23p 63d 10, 4s 24p 5
Question
42
Starting from the letter A and following the correct pathway,
you can obtain the asnwer to the question: what is the most
important feature of the noble gases?
A L’elemento A è un metallo, un elemento di transizione
o un non-metallo?
B L’elemento B è un metallo, un elemento di transizione
o un non-metallo?
C Quale elemento ha il più alto valore di energia di
ionizzazione?
D Quale elemento ha il più piccolo raggio atomico?
48
Quale elemento tra Cl e P ha le dimensioni maggiori? Quale
elemento tra i due ha il più alto valore di elettronegatività?
Quale la minore energia di ionizzazione?
49
Completa le seguenti trasformazioni da atomo a ione:
A Fe …………… Fe 3+;
_
B Cl + 1e …………… ;
C O …………… O 2 –;
D
……………
_
– 1e K +.
CH/50
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
Legame chimico
11.1
11
C A P I TO L O
I legami chimici
N
ella maggior parte dei casi le sostanze chimiche, sia naturali sia di sintesi, sono costituite da atomi combinati tra loro e non da atomi isolati.
Solo gli elementi del gruppo 18, i gas nobili, si trovano allo stato elementare, cioè in forma monoatomica. Elio (He), neon (Ne), argo (Ar), cripto (Kr),
xeno (Xe) e radon (Ra) si trovano comunemente allo stato aeriforme, sono
molto stabili e hanno bassissima reattività chimica. Proprio per questo motivo sono chiamati anche gas inerti. Tutti gli atomi degli altri elementi si
uniscono attraverso la formazione di legami chimici.
FIGURA 11.1
La distanza tra due nuclei dipende da un
equilibrio di forze. La forza di repulsione elettrostatica tra i
nuclei, indicata con la freccia azzurra, è bilanciata dalla
forza di attrazione tra il nucleo di un atomo e l’elettrone
dell’altro atomo, rappresentata con le frecce rosse.
Per quale motivo gli atomi di alcuni elementi si combinano tra di loro,
mentre altri non lo fanno? Generalmente i sistemi naturali evolvono spontaneamente verso stati dotati di maggiore stabilità. I corpi e i sistemi sono
tanto più stabili quanta meno energia possiedono, per cui tendono verso
stati con minore energia potenziale. Per gli atomi valgono le stesse considerazioni: un legame chimico si forma se l’energia degli atomi uniti insieme è
inferiore a quella degli atomi isolati. Vediamo cosa accade quando due atomi si avvicinano. Gli elettroni di legame tendono ad avvicinare i due nuclei, verso i quali sono attirati contemporaneamente dalle forze elettrostatiche. I nuclei però tendono a respingersi, essendo entrambi dotati di carica
positiva (figura 11.1). A una certa distanza si instaura un equilibrio tra la
forza di attrazione nucleo-elettrone e quella di repulsione nucleo-nucleo. A
questa distanza corrisponde un minimo di energia (figura 11.2).
씰 La distanza tra i nuclei di due atomi legati è chiamata
lunghezza di legame o distanza di legame.
Poiché i legami chimici sono forze attrattive che uniscono gli atomi, per
separare e allontanare tra loro atomi legati occorre fornire energia.
Energia potenziale
씰 I legami chimici sono forze attrattive di tipo elettrostatico che
tengono uniti gli atomi nelle molecole e nei composti ionici.
I
FIGURA
PARLANTE
Repulsione
Attrazione
Distanza
Energia minima
FIGURA 11.2
A grandi distanze gli atomi non riescono ad
interagire. Quando si avvicinano, l’attrazione tra il nucleo
di un atomo e gli elettroni dell’altro atomo fa diminuire l’energia. Se gli atomi sono troppo vicini, prevale la repulsione dovuta ai nuclei e l’energia aumenta.
씰 L’energia di legame è l’energia che bisogna fornire a una mole
di sostanza per rompere il legame che unisce gli atomi.
L’energia di legame si misura in kJ/mol (kilojoule per mole). Dire, per
esempio, che l’energia del legame H — H vale 435 kJ/mol, significa che per
rompere tutti i legami chimici presenti in 2 g di idrogeno molecolare H2, la
cui massa molare è 2 g/mol, occorrono 435 kJ.
Tanto più è forte un legame, tanta più energia occorre per romperlo. Si
può affermare, perciò, che il valore dell’energia di legame fornisce una precisa indicazione sulla forza del legame (vedi § 11.13).
Per avere un’idea dell’energia in gioco basti pensare
che con 435 kJ di energia si riesce a far aumentare
di 100 °C la temperatura di 1,04 litri di acqua.
CH/51
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
b
A
SCHEDA DI LABORATORIO
Decomposizione di una
sostanza pura con il calore
APPROFONDIMENTO
L’energia di legame e la degradazione
dei minerali
Molecola
Energia
di legame
H2
435 kJ/mol
N2
944 kJ/mol
O2
498 kJ/mol
F2
158 kJ/mol
Cl 2
242 kJ/mol
TABELLA 11.1
I valori delle energie di legame dipendono
dalle caratteristiche degli elementi che si uniscono, oltre
che dal numero e dal tipo di legami chimici presenti.
11
Legame chimico
Nella tabella 11.1 sono riportate le energie di legame di alcune molecole
biatomiche. Tra le molecole riportate quella con il legame chimico più debole è F2, mentre quella con il legame più forte è N 2.
Affinchè si possa formare un legame, gli atomi devono entrare in contatto. Sono coinvolte così le parti più esterne degli atomi, dove si trovano gli
elettroni di valenza (cfr. § 10.3). La possibilità di formare legami, il loro numero e tipo sono perciò determinati dal numero e dalla distribuzione degli
elettroni più esterni, cioè dalla configurazione elettronica di valenza.
La configurazione elettronica esterna di un elemento può essere rappresentata in modo semplice con un metodo messo a punto dal chimico statunitense Gilbert Newton Lewis (1876-1946). Ogni elettrone del livello
più esterno viene indicato con un puntino e scritto attorno al simbolo
chimico dell’elemento. I puntini-elettroni vengono disposti attorno al simbolo, inserendoli progressivamente uno per lato. Solo quando sono stati
inseriti quattro puntini-elettroni, i puntini possono essere accoppiati. Attorno a un simbolo si possono disegnare al massimo otto puntini-elettroni
(figura 11.3). Nella rappresentazione di Lewis si distinguono elettroni singoli, chiamati elettroni spaiati o singoletti, e elettroni accoppiati, chiamati
doppietti elettronici.
G RUPPO
I simboli di Lewis degli elementi del secondo periodo. I gas nobili, come il neon Ne, sono gli unici
elementi che non hanno elettroni spaiati.
1
2
13
14
15
16
17
18
Li
Be
B
C
N
O
F
Ne
FIGURA 11.3
PERI O DO
11.2
1
He
2
Ne
3
Ar
4
Kr
5
Xe
6
Rn
La configurazione stabile a bassa
energia e la regola dell’ottetto
C
FIGURA 11.4
La configurazione elettronica esterna dei
gas nobili è stabile in quanto tutti gli elettroni sono accoppiati. Anche i due elettroni dell’elio sono accoppiati,
perché il primo guscio può contenere solo due elettroni e
pertanto è completo.
ome abbiamo visto nel paragrafo precedente, la formazione di un legame
chimico porta alla diminuzione dell’energia degli atomi coinvolti. La
scarsa propensione a legarsi da parte di un elemento è un chiaro indizio
della presenza di uno stato di bassa energia nei suoi atomi.
La stabilità chimica dei gas nobili, e quindi la loro bassa energia, è il dato
scientifico da cui è partito Gilbert Lewis per avanzare la sua interpretazione
della formazione del legame chimico, fondata sul ruolo degli elettroni esterni. Secondo Lewis l’inerzia chimica degli elementi del gruppo 18 è dovuta
alla loro particolare configurazione elettronica esterna s 2p 6, che li rende
molto stabili. Tutti i gas nobili hanno otto elettroni negli orbitali s e p del livello più esterno, che risulta quindi completo (figura 11.4).
L’unico gas nobile che non ha otto elettroni nell’ultimo guscio, ma due, è
l’elio. Questo elemento gode però delle stesse proprietà dei gas nobili, in
quanto il suo livello più esterno, il primo, è completo. La configurazione
con otto elettroni nel guscio più esterno è detta configurazione a ottetto.
Gli atomi che non hanno otto elettroni nel guscio più esterno si trovano
in una situazione di instabilità e tendono a formare legami chimici per raggiungere una configurazione elettronica esterna più stabile.
Secondo l’interpretazione di Lewis del legame chimico, chiamata regola
dell’ottetto:
씰 ogni atomo tende, quando si lega con altri atomi, a raggiungere
la configurazione elettronica esterna uguale a quella del gas nobile
con numero atomico a lui più vicino, cioè la configurazione a
ottetto con otto elettroni nel guscio più esterno.
Esistono diversi modi con cui un atomo può raggiungere la configurazione a ottetto:
CH/52
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CAPITOLO
Cl
Cl
Ba
Ba
–
Cl
Cl
Cl
Cl –
Ba
Ba ++
Cl
Cl –
++
Ba
Cl
–
Cl – Ba ++ Cl –
Cl
FIGURA 11.6
I due elettroni ceduti dall’atomo di bario
vengono acquistati da due atomi di cloro. La formula del
composto è pertanto BaCl 2.
d
ANIMAZIONE
Il legame ionico e il legame metallico
11
Legame chimico
Vediamo ora la formazione del legame ionico tra bario e cloro. Il bario Ba
è un elemento del gruppo 2, che raggiunge la configurazione a ottetto se trasferisce i due elettroni del guscio più esterno. In questo modo si forma il catione Ba2+. Il cloro Cl appartiene al gruppo 17 e quindi, come abbiamo visto
per il fluoro, completa il guscio più esterno acquistando un elettrone e formando l’anione Cl –. Il bario cede due elettroni per raggiungere l’ottetto,
mentre il cloro ne acquista solo uno. Occorrono perciò due atomi di cloro
per acquistare i due elettroni ceduti da ogni atomo di bario (figura 11.6). La
formula del composto ionico che si forma tra bario e cloro è BaCl 2, perché
nell’aggregato di ioni il rapporto tra ioni Ba2+ e ioni Cl – è 1:2.
Perché si possa formare un legame ionico, la differenza di elettronegatività tra i due atomi deve essere molto alta. Solo in questo caso gli elettroni
possono essere trasferiti dall’elemento meno elettronegativo all’elemento
più elettronegativo. In altre parole il legame ionico si forma prevalentemente tra elementi metallici dei primi gruppi e elementi non-metallici degli ultimi gruppi. Riepilogando possiamo dire che:
씰 il legame ionico comporta il trasferimento totale di uno o più elettroni
tra due atomi che hanno grande differenza di elettronegatività;
씰 il legame ionico determina la formazione di composti ionici e non di
molecole.
11.4
Il legame covalente omopolare
I
l cloro si trova in natura sotto forma di molecola biatomica Cl 2, formata
da due atomi di cloro legati insieme. Come abbiamo visto nel paragrafo
precedente, a entrambi gli atomi di cloro manca un solo elettrone per raggiungere la configurazione a ottetto. Se formassero un legame ionico, un
atomo dovrebbe cedere un elettrone all’altro. In questo modo solo uno dei
due atomi avrebbe il guscio più esterno completo, mentre la configurazione
elettronica dell’altro si allontanerebbe dall’ottetto.
Il trasferimento di elettroni da un atomo a un altro, necessario per formare il legame ionico, avviene solo se uno degli atomi impegnati nella formazione del legame è in grado di attirare gli elettroni maggiormente rispetto
all’altro, cioè se ha elettronegatività decisamente più alta. Il legame ionico
non può quindi formarsi tra due atomi dello stesso elemento, in quanto
hanno la stessa tendenza ad attirare gli elettroni di legame. Deve pertanto
esistere un altro tipo di legame per formare la molecola biatomica di cloro.
I due atomi di cloro possono raggiungere la configurazione a ottetto mettendo in comune un elettrone ciascuno (figura 11.7 A). Gli elettroni così
condivisi fanno parte contemporaneamente del guscio più esterno di entrambi gli atomi. È questa condivisione che permette a tutti e due gli atomi
di disporre di otto elettroni nel guscio più esterno. Il raggiungimento della
configurazione a ottetto attraverso la condivisione di elettroni è chiamato
legame covalente.
A
Cl
Cl
Cl Cl
B
Cl
Cl
씰 Il legame covalente è la forza che unisce due atomi che hanno una
coppia di elettroni in comune. Il composto che si forma è una molecola.
FIGURA 11.7
(A), l’attrazione da parte del nucleo di un
atomo nei confronti di un elettrone dell’altro atomo porta
alla condivisione di coppie di elettroni. (B), la formula di
struttura di Lewis rappresenta il legame covalente con un
trattino tra i simboli degli elementi ed evidenzia le coppie
elettroniche non utilizzate.
Per un breve profilo di Linus Pauling vedi la scheda
a pagina 57.
Il legame covalente si forma tra elementi non-metallici e viene rappresentato con un trattino che unisce i simboli degli elementi (figura 11.7 B).
Quella che si ottiene è la formula di struttura di Lewis di una molecola, che
mette in evidenza i legami covalenti presenti tra gli atomi e i doppietti elettronici non utilizzati.
L’interpretazione di Lewis sulla formazione del legame chimico è precedente allo sviluppo della meccanica quantistica. Un modello alternativo,
sviluppato negli anni Trenta del secolo scorso, è la teoria del legame di valenza (valence bond theory). Il modello si deve allo scienziato americano
Linus Pauling e prevede che:
CH/54
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CAPITOLO
11
Legame chimico
씰 i legami chimici si possono formare attraverso la sovrapposizione di
orbitali esterni semioccupati.
Vediamo che cosa accade durante la formazione di una molecola di idrogeno H 2. Gli atomi di idrogeno sono costituiti da un protone e un elettrone,
posto nell’orbitale 1s (figura 11.8 A). Formando un legame covalente, i due
atomi di idrogeno raggiungono la configurazione
elettronica esterna 1s 2 del gas nobile più vicino nel
A
Sistema periodico, cioè l’elio. Quando i due atomi
collidono con sufficiente energia, i due orbitali 1s si
compenetrano parzialmente (figura 11.8 B) e si forma una nube elettronica nuova che contiene i due
B
elettroni e i due nuclei (figura 11.8 C).
Affinché si possa stabilire un legame covalente tra
due atomi devono verificarsi tre condizioni:
• in entrambi gli orbitali coinvolti vi deve essere un
elettrone spaiato;
• gli orbitali devono sovrapporsi e compenetrarsi
parzialmente;
C
2H
FIGURA 11.8
Formazione di una molecola di idrogeno.
Consideriamo due atomi di idrogeno, colorati uno in giallo e
l’altro in azzurro. (A), il nucleo di ogni atomo attira solo il
proprio elettrone. Se i due atomi si urtano in modo che i
due orbitali si compenetrino (B), l’elettrone dell’atomo colorato in giallo viene attratto anche dal nucleo dell’altro
atomo e può muoversi intorno a esso. Stessa cosa avviene
all’elettrone dell’atomo indicato in azzurro. (C), i due elettroni si muovono intorno a entrambi i nuclei e formano
un’unica nube elettronica. In basso il processo è rappresentato con la simbologia dei quadratini e con la simbologia di
Lewis; i due orbitali atomici sono legati dai due elettroni.
H—H
• gli elettroni di legame devono avere spin opposto.
Inoltre, il numero di legami covalenti che un atomo può formare è uguale al numero di elettroni
spaiati che l’atomo ha nel guscio più esterno.
Nella molecola di cloro Cl2 si forma un unico leH
H H
game covalente, in quanto i due atomi di cloro hanH
no configurazione elettronica esterna s 2p 5 e vi è un
solo elettrone spaiato nel livello più esterno. Tra i due orbitali p contenenti
un singoletto si ha una sovrapposizione frontale, in quanto i due orbitali si
congiungono nella direzione dell’asse che unisce i due nuclei (figura 11.9).
Il legame che si stabilisce prende il nome di legame σ (sigma).
Il cloro (Cl; Z = 17) è un elemento del gruppo 17.
씰 Un legame covalente è definito legame σ, se la sovrapposizione degli
orbitali avviene frontalmente e la nube elettronica che si genera avvolge
in modo omogeneo la linea retta ideale che congiunge i due nuclei.
Il legame σ si può formare dalla sovrapposizione frontale di due orbitali
s , di due orbitali p o di un orbitale s con un orbitale p .
Cl
Cl
Cl
Cl
σ
+
σ
Cl
A volte gli atomi si legano mettendo in comune più di un elettrone ciascuno. Consideriamo la formazione del composto O2. I due atomi di ossigeno hanno configurazione elettronica esterna s 2p 4. Essi hanno due orbitali p
perpendicolari tra loro, che contengono elettroni spaiati. Gli atomi di ossigeno raggiungono l’ottetto condividendo due coppie di elettroni.
Cl
Cl 2
FIGURA 11.9
Per raggiungere l’ottetto, due atomi di cloro
sovrappongono parzialmente i due orbitali p con singoletto, indicati in verde, e formano un legame covalente σ. Gli
altri orbitali p in grigio non sono coinvolti nel legame.
CH/55
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
FIGURA 11.10 ↓ Formazione di un doppio legame covalente.
Ogni atomo di ossigeno ha due orbitali p con singoletto. Per
prima cosa i due atomi di ossigeno formano un legame σ sovrapponendo i due orbitali indicati in verde. Successivamente
sovrappongono lateralmente gli orbitali colorati in rosso, perpendicolari ai primi, formando un secondo legame, che è
chiamato π. La nube elettronica del legame π è distribuita da
parti opposte rispetto alla retta congiungente i nuclei.
FIGURA
PARLANTE
Legame chimico
Nella figura 11.10 gli orbitali che contengono singoletti sono colorati in
verde e in rosso. Essendo i due orbitali perpendicolari, una sola delle sovrapposizioni può essere frontale con formazione di un legame σ. Il secondo legame covalente avviene attraverso una sovrapposizione laterale di due
orbitali p paralleli: il legame che si stabilisce prende il nome di legame π
(pi greco). I due legami covalenti che si formano dalla sovrapposizione dei
due orbitali p costituiscono un doppio legame.
L’ossigeno (O; Z = 8) è un elemento del gruppo 16.
I
11
씰 Un legame covalente si definisce legame π se la sovrapposizione
tra gli orbitali avviene lateralmente e la nube elettronica che si genera
si trova al di sopra e al di sotto del piano in cui giace il legame σ,
comprendente la retta che congiunge i due nuclei.
O
O
O
O
π
σ
+
σ
O
O2
O
π
L’atomo di azoto ha configurazione esterna s 2p 3 e ha quindi un doppietto
e tre singoletti. Per raggiungere la configurazione a ottetto ogni atomo di
azoto tende a condividere altri tre elettroni. Rappresentiamo gli orbitali p
con singoletto con colori diversi. I due orbitali p colorati in verde si sovrappongono frontalmente e si forma un legame σ, mentre i due orbitali colorati
in rosso si sovrappongono lateralmente formando un legame π. Anche gli
orbitali colorati in azzurro, perpendicolari agli altri orbitali p, si sovrappongono lateralmente, formando un secondo legame π. Nel caso della condivisione di tre coppie di elettroni si parla di triplo legame (figura 11.11).
L’azoto (N; Z = 7) è un elemento del gruppo 15.
N
N
N
N
π
π
σ
+
σ
π
N
FIGURA 11.11 ↑ Formazione di un triplo legame covalente.
Ogni atomo di azoto ha tre orbitali p con singoletto. Per
prima cosa i due atomi di azoto formano un legame σ sovrapponendo i due orbitali indicati in verde. Successivamente sovrappongono lateralmente gli orbitali colorati in rosso
e in azzurro, formando due legami π. I due atomi sono pertanto uniti da tre legami, uno di tipo σ e due di tipo π.
Omopolare • Significa «con la stessa polarità» e deriva dal
greco omos, «stesso, uguale».
N
N2
π
Nel legame di tipo σ la sovrapposizione degli orbitali è massima e il legame che si genera è forte. Nel caso del legame π la compenetrazione degli orbitali è ridotta e il legame è più debole.
I casi che abbiamo fin qui esaminato riguardano la formazione di legami
covalenti tra atomi identici. Questi atomi hanno la stessa elettronegatività,
per cui attraggono gli elettroni con la stessa forza. La nube elettronica che si
forma è pertanto simmetrica rispetto ai due nuclei. Questo tipo di legame
covalente è detto omopolare o puro.
씰 Il legame covalente omopolare o puro si stabilisce tra atomi uguali,
o con uguale elettronegatività, che condividono coppie di elettroni.
CH/56
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
11.5
Legame chimico
nutrizione. Ricevette due premi Nobel, per
la chimica nel 1954 e per la pace nel 1962.
Linus Pauling fu uno scienziato scomodo
e contestatore. Egli infatti accompagnò il
suo impegno in campo scientifico con quello
nel campo sociale e dei diritti civili. Nel
1955 fu uno dei 55 premi Nobel firmatari
della «Dichiarazione di Mainau», che chiedeva la fine di tutte le guerre.
Davanti ai risultati delle bombe atomiche
americane su Hiroshima e Nagasaki e agli
effetti delle esplosioni nucleari in atmosfera, Pauling decise di dedicare una parte rilevante del suo impegno ai movimenti pacifisti e libertari per la cessazione dei test nucleari e per il disarmo.
Linus Pauling, uno scienziato «rivoluzionario»
Il legame covalente eteropolare
I
l legame covalente si forma anche tra atomi di elementi diversi. Se un
atomo attira maggiormente gli elettroni rispetto all’altro, ma non è in grado di sottrarli in modo definitivo, non si formano ioni. Per esempio, la molecola di acqua ha formula H2O ed è costituita da due atomi di idrogeno e
uno di ossigeno. L’ossigeno si trova nel gruppo 16, ha sei elettroni nel guscio più esterno e gli occorrono due elettroni per raggiungere la configurazione a ottetto. I due atomi di idrogeno hanno un elettrone nel loro guscio
più esterno, il primo, e hanno bisogno di un elettrone per completarlo. L’atomo di ossigeno può condividere una coppia di elettroni con ciascun atomo di idrogeno: in questo modo tutti e tre gli atomi raggiungono la configurazione del gas nobile più vicino (figura 11.12 A). L’ossigeno e i due atomi
di idrogeno formano due legami covalenti di tipo σ. Questi legami, però, non sono omopolari. Vediamo perché.
A
Idrogeno e ossigeno hanno diversa elettronegatività e attirano
gli elettroni con diversa forza. I valori di elettronegatività dell’idrogeno e dell’ossigeno sono rispettivamente 2,1 e 3,5. Il nucleo
dell’ossigeno esercita una maggiore forza di attrazione nei confronti dei due elettroni. Come conseguenza i due elettroni di legame si trovano per più tempo intorno all’atomo di ossigeno rispetto all’atomo di idrogeno (figura 11.12 B).
La carica positiva del nucleo dell’atomo di idrogeno non è
B
più esattamente neutralizzata dall’elettrone: l’idrogeno assume
una parziale carica positiva, che indichiamo con il simbolo δ+
(delta più). L’atomo di ossigeno assume invece una parziale carica negativa δ – (delta meno), perché le cariche positive del suo
nucleo non riescono a bilanciare la carica negativa dovuta all’elettrone dell’idrogeno (figura 11.12 C).
FIGURA 11.12 Formazione di legami covalenti eteropolari. (A), i due orbitali p con
singoletto di un atomo di ossigeno possono sovrapporsi con due orbitali s di due
atomi di idrogeno, per formare due legami σ. (B), poiché un atomo di ossigeno è
più elettronegativo di un atomo di idrogeno, gli elettroni di legame sono spostati
verso l’atomo di ossigeno; la nube elettronica attorno a questo atomo si allarga e
quella intorno all’atomo di idrogeno si restringe. (C), l’atomo di ossigeno assume
una parziale carica negativa e gli atomi di idrogeno una parziale carica positiva. Le
due parziali cariche positive si respingono e provocano un aumento dell’angolo formato dai legami. (D), modello a bastoncini e palline di una molecola d’acqua. Le
frecce indicano lo spostamento degli elettroni.
d
ANIMAZIONE
Il legame covalente
H
H
O
O
H
H
σ
σ
C
D
δ–
δ
–
O
δ+
H
δ+
104,5
δ+
H
δ+
CH/57
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
PER SAPERNE DI PIÙ
La vita di Linus Pauling (1901-1994) fu lunga, tumultuosa e molto importante per la
storia della scienza. Nella sua lunga carriera
Pauling descrisse la natura dei legami chimici, definì la struttura delle proteine, studiò le cause dell’anemia, partecipò all’impresa scientifica che portò nel 1953 a determinare la struttura del DNA.
Fu insignito della medaglia presidenziale
statunitense per le ricerche condotte durante la seconda guerra mondiale, utili al progresso nei campi della cristallografia, dei
raggi X, della diffrazione degli elettroni,
della meccanica quantistica, della biochimica, dell’anestesia, dell’immunologia e della
11
CAPITOLO
Eteropolare • Significa «con polarità diversa» e deriva dal
greco eteros, che significa «altro, diverso».
11
Legame chimico
La molecola che si è formata è elettricamente neutra nel suo complesso,
ma al suo interno sono presenti parziali cariche elettriche sugli atomi. Il
legame prende il nome di covalente eteropolare o polarizzato. In figura
11.13 troviamo alcuni esempi di legame covalente eteropolare.
씰 Il legame covalente eteropolare o polarizzato si stabilisce tra
due atomi con differente elettronegatività che condividono una
o più coppie di elettroni.
Le molecole caratterizzate dalla presenza di legami covalenti eteropolari,
pur essendo elettricamente neutre, presentano una separazione tra le cariche elettriche e si forma un dipolo.
씰 Un dipolo è un sistema costituito da due cariche elettriche
uguali, ma di segno opposto, situate a una certa distanza.
I composti caratterizzati da legami covalenti formano molecole. Allo stato solido si trovano come aggregati caratterizzati da struttura cristallina. La
presenza di molecole e non di ioni rende le forze di attrazione più deboli
rispetto ai composti ionici. Di conseguenza i composti molecolari hanno
minore temperatura di fusione rispetto ai solidi ionici.
FIGURA 11.13
Rappresentazione, secondo Lewis e con i
quadratini, della formazione dei legami covalenti eteropolari
nelle molecole di ammoniaca NH3, anidride ipoclorosa Cl2O o
ossido di dicloro, acido ipocloroso HClO e acido nitroso
HNO2. Le freccine rosse e verdi rappresentano i singoletti. Si
noti come nella formazione dell’acido nitroso HNO2 un atomo di ossigeno sia legato all’atomo di azoto attraverso un
doppio legame, uno σ e uno π.
H N
HNH
H
H
H
H
N
H
H
2H
H
N
N
H
NH3
(ammoniaca)
H
Cl O Cl
Cl O Cl
H
Cl
O
Cl
Cl
Cl
O
O
Cl
Cl
Cl2O
(anidride ipoclorosa)
H
H O Cl
O Cl
H
O
Cl
H
H
O
O
Cl
Cl
HClO
(acido ipocloroso)
H
O
N
O
HON O
H
O
N
O
H
H
O
O
N
N
ATTIVITÀ
Polarità delle molecole
O
σ π
O
CH/58
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
HNO2
(acido nitroso)
CAPITOLO
11.6
11
Legame chimico
Il legame covalente dativo
N
ei legami covalenti, sia omopolari che eteropolari, una coppia di elettroni viene condivisa tra due atomi. I due elettroni normalmente derivano l’uno da un atomo e l’altro dall’altro atomo. Per formare il legame covalente, infatti, i due atomi devono avere ciascuno un singoletto. Si conosce, però, un altro tipo di legame covalente in cui questa condizione non si
verifica: il legame dativo.
Nel legame covalente dativo un atomo, che ha già raggiunto l’ottetto, unisce un suo orbitale, in cui sono presenti due elettroni, con un orbitale non
occupato da elettroni di un altro atomo. In altri termini il legame dativo si
stabilisce tra un atomo con un doppietto e un atomo con un orbitale completamente vuoto. Questo secondo atomo utilizza il doppietto del primo
atomo per raggiungere la configurazione a ottetto. Anche nel legame dativo
una coppia di elettroni è condivisa da due atomi. In questo caso, però, i due
elettroni provengono dallo stesso atomo.
Perché un atomo possa agire da datore nel legame dativo, deve avere un
doppietto elettronico non impegnato in altri legami. Se un atomo ha due o
tre doppietti non impegnati, può formare due o tre legami dativi. Un legame
dativo viene indicato con una freccina, che parte dall’atomo datore ed è diretta all’altro atomo, l’atomo accettore.
Per rendere più chiare le cose vediamo alcuni esempi di legame dativo.
L’atomo di azoto dell’ammoniaca (NH 3, figura 11.14 A) ha un doppietto nell’orbitale 2s, che può essere utilizzato nella formazione di un legame dativo. Lo ione H +, cioè un atomo di idrogeno che ha perduto il suo elettrone,
può agire da accettore in quanto ha l’orbitale 1s completamente vuoto. Si
stabilisce un legame dativo e si forma uno ione complesso che incontreremo spesso nel nostro studio, lo ione ammonio NH +4.
Un altro esempio di legame dativo lo troviamo nello ione H3O+ (figura
11.14 B). In questo ione la specie chimica che funge da accettore è ancora lo
ione H +, che utilizza un doppietto dell’ossigeno dell’acqua.
A
FIGURA 11.14 Formazione del legame dativo. (A), legame
dativo nello ione ammonio NH +4. (B), legame dativo nello
ione ossonio o idronio H3O+.
B
H+
H+
N
O
Ammoniaca
H
H H H
H+
H+
↓
↓
N
Acqua
H
O
Ione ammonio
H
H H H
Ione ossonio
H
L’atomo di ossigeno è un caso particolare di accettore di doppietti elettronici. L’ossigeno, infatti, allo stato fondamentale non ha un orbitale completamente vuoto, ma può ottenerlo. La sua configurazione elettronica esterna,
s2p 4, presenta due doppietti e due singoletti. In opportune condizioni, però,
l’atomo di ossigeno può accoppiare i due elettroni dei singoletti in un unico
orbitale p. In questo modo viene reso libero l’altro orbitale p, che può fungere da accettore di un doppietto (figura 11.14 C).
C
O
segue figura 11.14
(C), per accettare legami dativi, due elettroni spaiati di un
atomo di ossigeno vanno a occupare un unico orbitale.
O
CH/59
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
11
Legame chimico
Vediamo, rappresentati nella figura 11.14 D, alcuni composti in cui l’ossigeno agisce come accettore nei legami dativi. Nell’acido ipocloroso, HClO,
il cloro ha tre doppietti disponibili e ha quindi la possibilità di formare tre
legami dativi. In questa molecola il cloro è legato, attraverso un legame di
tipo σ, con un solo atomo di ossigeno. Se l’atomo di cloro dell’acido ipocloroso stabilisce un legame dativo con un altro atomo di ossigeno, si forma
l’acido cloroso, HClO2; se si lega con altri due atomi di ossigeno si forma
l’acido clorico, HClO3, con altri tre si forma l’acido perclorico, HClO4.
Altri esempi di legame dativo si hanno nell’acido nitrico, HNO3, nell’acido solforico, H2SO4, e nell’acido fosforico, H3PO4. In tutti questi casi verifichiamo che, grazie al legame dativo, un atomo a cui mancano due elettroni
per raggiungere l’ottetto può utilizzare un doppietto di un altro atomo che
ha raggiunto la configurazione elettronica stabile.
O
O
Cl
O
Acido cloroso
Dalla formula di struttura si possono prevedere molte proprietà delle sostanze. Per
questo motivo è importante scrivere correttamente la struttura di Lewis delle molecole.
Per ricavare la formula di struttura di Lewis
di una molecola si adotta il seguente procedimento:
Regole per ricavare le strutture
di Lewis delle molecole
1. Per prima cosa si scrivono i simboli di
Lewis degli atomi presenti nella molecola.
2. Si devono poi disporre gli atomi nella
giusta posizione, tenendo conto che al
centro va inserito l’elemento che deve
fare più legami per raggiungere l’ottetto,
cioè l’atomo col maggior numero di elettroni spaiati. Se sono presenti elementi
dello stesso gruppo, va scritto al centro
l’elemento col maggior carattere metallico. Se la molecola ha più atomi uguali,
questi occupano in genere posizioni terminali, in quanto la molecola tende a essere simmetrica. Anche l’idrogeno, dato
che può formare un unico legame covalente, va inserito in posizione terminale.
3. Si calcola il numero di coppie elettroniche presenti nella molecola, sommando i
puntini-elettroni delle formule di Lewis di
ogni atomo presente nella molecola.
4. Si uniscono gli atomi, tenendo conto che
ogni atomo forma tanti legami covalenti
quanti sono i suoi elettroni spaiati.
5. Si assegnano le coppie elettroniche che
non sono state utilizzate agli atomi che
non hanno ancora raggiunto l’ottetto.
Spiritoso ritratto di Gilbert Newton Lewis
visto come sacerdote dei legami chimici.
H
O
Cl
H
O
O
Cl
↓
O
O
Acido ipocloroso
PER SAPERNE DI PIÙ
H
↓
Cl
↓
O
↓
H
O
↓
D
↓
segue figura 11.14
(D), l’atomo di cloro dell’acido ipocloroso HClO può formare uno, due o tre legami dativi, legando uno, due o tre
atomi di ossigeno. Si formano l’acido cloroso (HClO2), l’acido clorico (HClO3) e l’acido perclorico (HClO4).
Verifichiamo il metodo ricavando la strut-
Acido clorico
Acido perclorico
tura della molecola di acido carbonico H2CO3.
1. Scriviamo i simboli di Lewis degli atomi
presenti nella molecola: il carbonio C, l’idrogeno H e l’ossigeno O:
H
C
O
2. La molecola contiene 1 atomo di carbonio C, 3 atomi di ossigeno O e 2 atomi di
idrogeno H. L’elemento centrale è C, in
quanto deve formare 4 legami per raggiungere l’ottetto. Gli idrogeni vanno invece inseriti in posizione terminale:
O
H O C O H
3. Il carbonio possiede 4 elettroni di valenza, l’ossigeno ne ha 6 e l’idrogeno ne ha
1, per cui il numero di elettroni di valenza è 4 + (6·3) + (1·2) = 24 elettroni di
valenza, che corrispondono a 12 coppie.
4. Uniamo gli atomi tramite trattini (legami
chimici), considerando che il carbonio
forma 4 legami, gli atomi di ossigeno 2 e
gli atomi di idrogeno 1:
O
H
O
C
O
H
5. Gli atomi sono stati uniti con 6 legami,
per cui abbiamo utilizzato 6 coppie elettroniche. Occorre quindi assegnare i 6
doppietti che mancano agli atomi che
non hanno ancora raggiunto l’ottetto:
O
H
O
C
CH/60
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O
H
CAPITOLO
11.7
11
Legame chimico
Il legame metallico
I
metalli hanno particolari proprietà fisiche, come l’elevata conducibilità
elettrica e termica, la duttilità e la malleabilità. I metalli, escluso il mercurio, sono tutti solidi a temperatura ambiente e hanno un punto di fusione
generalmente alto.
La formazione del legame ionico e del legame covalente non spiegano
queste caratteristiche. Le proprietà dei metalli sono interpretate facendo riferimento a un altro modello, a un legame di altro tipo, il legame metallico.
I metalli sono elementi che cedono facilmente elettroni del loro guscio
più esterno per raggiungere la configurazione a ottetto, formando cationi.
Gli elettroni ceduti non vengono acquistati da nessun atomo e si distribuiscono nell’intero solido metallico. Un metallo allo stato solido può essere
considerato come costituito da un insieme di cationi, disposti con regolarità, circondati da elettroni. Ognuno di questi elettroni è attirato contemporaneamente da tutti i cationi circostanti, che risultano fortemente uniti: è
questo il legame metallico (figura 11.15). Si può affermare che:
FIGURA 11.15 In un metallo allo stato solido ogni catione
è attirato dagli elettroni, che si spostano facilmente da un
atomo all’altro e lo circondano come una nube; ogni elettrone è, a sua volta, attirato dai cationi che lo circondano.
씰 un corpo metallico è costituito da un aggregato geometricamente
ordinato di soli cationi, immersi in una nube di elettroni che si
distribuisce in tutto il corpo.
Il legame metallico spiega le proprietà dei metalli. Gli elettroni si spostano con facilità da un punto all’altro del corpo metallico, conducendo bene
calore e corrente elettrica. Le temperature di fusione relativamente alte e la
struttura cristallina dei metalli sono giustificate dalla consistenza delle forze che uniscono i cationi agli elettroni mobili circostanti. La malleabilità
dei metalli è invece dovuta al fatto che i cationi, separati dagli elettroni mobili, possono scorrere facilmente gli uni sugli altri (figura 11.16).
FIGURA 11.16
(A), nella struttura di un metallo sono
presenti tutti cationi esattamente equivalenti. Uno slittamento di una parte rispetto all’altra non provoca alcuna
alterazione e può essere tollerato. I metalli sono malleabili. (B), nella struttura di un composto ionico uno slittamento delle posizioni determina una situazione di repulsione tra particelle dello stesso segno; la struttura ionica non sopporta alcuna alterazione. I solidi ionici non
sono malleabili.
A
B
A
APPROFONDIMENTO
La teoria degli orbitali molecolari
LABORATORIO SEMPLICE
I legami chimici
11.8
Legame chimico e posizione degli
elementi nel Sistema periodico
C
ome abbiamo visto nei paragrafi precedenti, il tipo di legame chimico
che si instaura tra due elementi dipende dalla loro differenza di elettronegatività. L’elettronegatività è una proprietà periodica (cfr. § 10.8). È possibile perciò prevedere quale legame chimico unisce due elementi a partire
dalla posizione che essi occupano nel Sistema periodico.
In generale possiamo affermare che:
CH/61
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
11.9
11
Legame chimico
I legami chimici secondari
C
onsideriamo un campione di acqua H2O e un campione di diossido di
carbonio CO2. Entrambe le sostanze sono formate da atomi uniti da legami covalenti eteropolari. In condizioni normali l’acqua si trova allo stato liquido, mentre il diossido di carbonio allo stato aeriforme. Perché l’acqua è
un liquido, mentre il diossido di carbonio è un gas?
Il modello particellare della materia (cfr. § 0.5) prevede che le particelle
allo stato solido e allo stato liquido siano unite tramite forze attrattive. Affinché ciò avvenga è necessario che le particelle interagiscano tra loro. Nel
caso dell’acqua devono quindi essere presenti forze che uniscono tra loro le
molecole. I legami chimici che abbiamo visto finora non prevedono la formazione di legami tra le molecole, tali da giustificare stati condensati della
materia. Le interazioni che uniscono le molecole sono chiamate legami secondari o intermolecolari, mentre il legame ionico, il legame metallico e il
legame covalente sono chiamati legami primari.
씰 I legami primari uniscono tra loro atomi per formare molecole,
aggregati metallici o composti ionici. I legami secondari si stabiliscono
tra molecole e tra molecole e ioni.
I legami secondari sono legami deboli. Tuttavia ogni molecola può formare un elevato numero di legami intermolecolari in modo tale da influenzare
molte proprietà fisiche delle sostanze, tra cui il calore specifico, il calore latente e le temperature di fusione e di ebollizione.
Torniamo al confronto tra l’acqua e il diossido di carbonio. L’acqua è una
sostanza meno volatile del diossido di carbonio, in quanto i legami intermolecolari tra le sue molecole sono più forti di quelli presenti tra le molecole di CO2. L’acqua ha quindi una pressione di vapore inferiore e bolle a
una temperatura più alta rispetto al diossido di carbonio (cfr. § 0.6).
11.10
Le interazioni di Van der Waals
P
ur essendo nel loro complesso elettricamente neutre, le molecole possono stabilire tra loro deboli legami di natura elettrostatica che prendono
il nome di interazioni di Van der Waals. Prendiamo in esame i tre tipi fondamentali di queste interazioni, elencandoli in ordine decrescente di forza.
– Interazione dipolo-dipolo. Come abbiamo visto nel caso dell’acqua, nelle molecole che presentano un legame covalente eteropolare vi può essere
separazione di cariche elettriche, cioè un dipolo. In un punto delle moleco+
le dipolari si trova una carica parziale positiva (δ ) e in un altro punto una
−
carica parziale negativa (δ ). Ognuna di queste molecole è un dipolo e, per
facilità di comprensione, può essere paragonata a un piccolo magnete. La
parte positiva di una molecola attira verso di sé la parte negativa di un’altra
molecola, e viceversa (figura 11.18 A). Le molecole dipolari rimangono legate. Tra di esse si è stabilita una interazione, cioè una forza che agisce reciprocamente, chiamata interazione dipolo-dipolo.
– Interazione dipolo-dipolo indotto. Una carica elettrica, quando si trova
vicino a un corpo neutro in cui vi sono elettroni mobili, può determinare la
formazione di un dipolo. Il fenomeno è chiamato induzione elettrostatica.
Una molecola dipolare come l’acqua può indurre un dipolo in una molecola adiacente, anche se questa normalmente non presenta alcuna separazione
di cariche elettriche (figura 11.18 B). La parte negativa della molecola dell’acqua, ad esempio, è in grado di allontanare gli elettroni di un’altra molecola molto vicina e di creare in questa uno squilibrio di cariche. Tra le parti
di segno opposto delle due molecole si determina una interazione dipolodipolo indotto.
JOHANNES DIDERIK VAN DER WAALS
A
δ
δ
_
δ
_
δ
_
_
δ+
δ+
δ+
δ+
B
δ
δ
_
δ
_
_
δ+
δ+
δ+
FIGURA 11.18
Interazioni di Van der Waals. Una ombreggiatura omogenea indica che non vi è separazione di cariche elettriche all’interno della molecola. Una diversa ombreggiatura indica la presenza di un dipolo. (A), interazione dipolo-dipolo; (B), interazione dipolo-dipolo indotto.
CH/63
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CAPITOLO
11
Legame chimico
– Interazione dipolo indotto-dipolo indotto. Consideriamo una molecola
in cui non vi è alcuna separazione di cariche elettriche. Anche se non notiamo alcun dipolo permanente, possiamo pensare che in ogni istante gli
elettroni non siano distribuiti in modo omogeneo tra gli atomi, cioè che esistano dipoli istantanei. Il moto degli elettroni, infatti, potrebbe farli trovare
casualmente più concentrati da una parte della molecola o dall’altra. Nel
tempo, però, lo squilibrio di carica elettrica tende a compensarsi e l’effetto
risultante è nullo. Se ammettiamo che in una molecola non dipolare si possa produrre questo tipo di dipolo, anche per un solo istante, in una molecola adiacente in quello stesso istante può essere indotta una separazione di
cariche, cioè un altro dipolo istantaneo (figura 11.18 C). In queste condizioni si viene a determinare una interazione tra le parti di segno opposto delle
due molecole: si è prodotta una interazione dipolo indotto-dipolo indotto,
detta anche forza di London.
Le forze di London sono molto deboli e hanno effettiva rilevanza solo
quando le molecole sono vicinissime tra loro. Per esempio, le interazioni
dipolo indotto-dipolo indotto tra le molecole di idrogeno, H2, assumono valori significativi solo quando il gas è fortemente compresso, con pressioni
di centinaia di bar.
segue figura 11.18
(C), interazione dipolo indotto-dipolo indotto.
C
δ
δ
δ+
11.11
_
_
δ δ+
δ+
δ
δ_
δ+
δ+
Il legame idrogeno
Q
Il tetraedro è un solido geometrico, più precisamente un poliedro regolare, formato da 4 facce uguali,
che sono 4 triangoli equilateri, e da 4 vertici.
_
_
uando un atomo di idrogeno è legato con legame covalente a un atomo
molto elettronegativo, ad esempio fluoro, ossigeno o azoto, gli elettroni
di legame sono molto spostati verso questo secondo atomo. L’atomo di idrogeno assume una parziale, ma consistente, carica positiva. Questa carica,
distribuita in un piccolo volume, conferisce all’atomo di idrogeno un’alta
densità di carica elettrica e quindi un’alta energia. L’idrogeno, per diminuire questa energia, tende a legarsi con un atomo che ha una parziale carica
negativa. Neutralizzando la carica elettrica, l’idrogeno acquisisce maggiore
stabilità. Una interazione dipolo-dipolo di questo tipo, che prende il nome
di legame idrogeno, si ha tipicamente tra le molecole d’acqua: un atomo di
idrogeno di una molecola si lega all’atomo di ossigeno di un’altra molecola.
Rappresentiamo il legame idrogeno con tre punti messi in fila (...) (figura
11.19 A). Constatiamo che l’idrogeno fa da ponte tra due atomi di ossigeno:
uno legato con legame covalente, l’altro con legame idrogeno. Ogni molecola è legata pertanto ad altre quattro molecole (figura 11.19 B). Si forma un
reticolato, che non si sviluppa su un piano, ma nelle tre dimensioni dello
spazio. I due legami covalenti e i due legami idrogeno rappresentati al centro della figura 11.19 C si dirigono verso i vertici di un immaginario tetraedro. La figura 11.19 D utilizza modelli a spazio pieno per mostrare la disposizione dei legami idrogeno tra le molecole d’acqua. L’atomo di idrogeno di un legame idrogeno e i due atomi a esso legati si trovano quasi sulla
stessa retta.
Perché il legame idrogeno abbia maggiore forza, occorre che i due atomi
legati all’idrogeno abbiano un valore di elettronegatività elevato: un atomo,
quello legato covalentemente, per creare la parziale carica positiva; l’altro
atomo, quello legato con legame idrogeno, per assumere una carica negativa
parziale, ma consistente. Solo gli atomi di ossigeno, azoto e fluoro hanno
valori di elettronegatività tanto elevati da dar luogo a legami idrogeno relativamente forti.
CH/64
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
A
11
Legame chimico
B
H
δ
+
H
δ
_
O
H
δ
+
δ
C
D
O
+
δ
δ
O
_
H
δ
_
O
+
H
H
δ
δ
+
δ
_
O
H
+
H
δ
_
O
H
H
δ
δ
δ
+
δ
_
O
_
H
δ
+
O
H
H
δ
δ
_
+
+
O
δ
+
H
δ
δ
δ
H
+
+
δ
_
O
+
H
δ
_
O
H
δ
+
δ
O
+
δ
H
O
H
O
H
_
O
O
È sufficiente confrontare il punto di ebollizione di composti simili per dimostrare quanto influisca il legame idrogeno sulle proprietà delle sostanze.
Se consideriamo i composti binari formati dall’idrogeno, verifichiamo che
le sostanze che riescono a formare legami idrogeno, come H2O, HF e NH3,
sono quelle che hanno il punto di ebollizione più alto (figura 11.20).
Pur essendo più debole del legame covalente e di quello ionico, il legame
idrogeno ha un’enorme importanza. Se non ci fosse, l’acqua perderebbe le
sue particolari caratteristiche chimiche e fisiche, bollirebbe a – 80 °C e si
troverebbe perciò tutta allo stato aeriforme: sulla Terra non ci sarebbe vita. I
legami idrogeno hanno eccezionale importanza biologica, in quanto intervengono nella formazione della struttura delle proteine e del DNA. Riassumendo possiamo dire che:
FIGURA 11.19 (A), un atomo di idrogeno, dotato di carica
elettrica positiva parziale, si lega con un altro atomo dotato
di parziale carica elettrica negativa. Il legame idrogeno che
si forma è indicato con tre puntini. (B), nell’acqua allo stato liquido o solido si verifica che ogni molecola è legata da
legami idrogeno ad altre quattro molecole; si forma così un
reticolo. (C), i quattro legami, due covalenti e due idrogeno, che partono da ogni atomo di ossigeno sono diretti verso i vertici di un tetraedro. (D), molecole d’acqua e relativi
legami idrogeno rappresentati con modelli a spazio pieno.
씰 Il legame idrogeno è la forza elettrostatica che unisce un
atomo di idrogeno, legato covalentemente a un atomo molto
elettronegativo, e un altro atomo molto elettronegativo.
16
Temperatura di ebollizione (°C)
H2O
po
up
Gr
100
FIGURA 11.20
Il grafico mostra i punti di ebollizione di
composti in cui è presente idrogeno e che hanno formula
chimica simile. Il punto di ebollizione dei composti che
formano legami idrogeno, come H2O, NH3 e HF, è più alto.
HF
0
Gr
up
po
17
NH3 Grup
po
15
H2S
HCl
PH3
–100
14
ppo
Gru
H2Te
SbH3
HI
AsH3 H2Se
SnH4
HBr
GeH4
SiH4
CH4
– 200
2
3
4
5
Periodo del Sistema periodico
11.12
Il legame ione-dipolo
S
e mettiamo in acqua un composto ionico, per esempio il cloruro di sodio NaCl, verifichiamo che in soluzione il composto è tutto scisso negli
ioni sodio Na+ e negli ioni cloruro Cl–. Ogni ione Na+, segnato in azzurro
nella figura 11.21 A, orienta verso di sé, attira e lega la parte negativa delle
molecole d’acqua, cioè la parte dove vi è l’ossigeno. Analogamente ogni
ione Cl–, indicato in verde nella figura 11.21 B, orienta verso di sé, attira e
lega la parte positiva delle molecole dipolari di acqua, quella dove sono gli
atomi di idrogeno.
씰 La forza elettrostatica che si stabilisce tra uno ione e una
molecola dipolare si chiama legame ione-dipolo.
A
B
FIGURA 11.21 (A), uno ione sodio, in azzurro, come ogni
altro ione positivo attira e lega a sé gli atomi di ossigeno
delle molecole di acqua. Si formano legami ione-dipolo.
(B), alla stessa maniera uno ione cloruro, in verde, come
qualunque altro ione negativo attira e lega a sé gli atomi
di idrogeno delle molecole d’acqua, che hanno una parziale
carica positiva. Si producono così legami ione-dipolo.
CH/65
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
11
Legame chimico
Il legame ione-dipolo è dovuto a forze di attrazione elettrostatica tra cariche elettriche di segno opposto. Questo legame non comporta né condivisione né cessione di elettroni, in quanto si instaura dopo che si sono formate le molecole e i composti ionici. Legami ioni-dipolo si formano, per esempio, ogni volta che si scioglie in acqua un composto ionico, come il sale, o
un composto che in acqua si ionizza, come un acido. Il risultato è che:
씰 ogni ione in soluzione acquosa è circondato da uno strato, più o meno
abbondante, di molecole di acqua.
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
2. Quale tipo di legame è presente tra le molecole di azoto, N 2?
3. Quale tipo di legame è presente tra le molecole di ossigeno, O2, tra quelle di acqua, H2O,
e tra quelle di ammoniaca, NH3?
Il legame da identificare non riguarda ioni, ma è un legame tra molecole. Possiamo
perciò escludere il legame ione-dipolo. Le molecole di azoto, N2 , sono formate da
atomi dello stesso tipo e perciò non sono presenti dipoli permanenti. Ciò fa escludere il legame idrogeno, che dovremmo escludere comunque non essendo presenti atomi di idrogeno, e i legami dipolo-dipolo e dipolo-dipolo indotto. L’ultima possibilità
rimasta è quella di un legame dipolo indotto-dipolo indotto, che si riscontra in molecole con legami covalenti omopolari come quelle di azoto.
4. Stabilisci se i legami P⎯ H, Si⎯ N e C ⎯ O
possono determinare dei dipoli e, in caso affermativo, indica le posizioni del polo positivo e del polo negativo.
3. Stabilisci se i legami B ⎯ Cl, Si⎯ O e N ⎯ N possono determinare dei dipoli e,
in caso affermativo, indica le posizioni del polo positivo e del polo negativo.
(B ⎯ Cl) Boro e cloro si trovano abbastanza lontani nel Sistema periodico. Il boro è
un semimetallo e il cloro è un non-metallo. Il valore di elettronegatività per il boro è
2,0 e per il cloro 3,0. La differenza di elettronegatività tra B e Cl è 1,0. Si tratta
perciò di un legame covalente eteropolare, che può dar luogo a un dipolo col polo
positivo dalla parte del boro e quello negativo dalla parte del cloro. (Si ⎯ O) Il silicio è un elemento del gruppo 14 e del 3° periodo, mentre l’ossigeno è un elemento
del gruppo 16 e del 2° periodo; l’ossigeno ha perciò un valore di elettronegatività
(3,5) superiore a quello del silicio (1,8). La differenza di elettronegatività è 1,7 e il
legame determina la formazione di un dipolo con l’ossigeno come polo negativo.
(N ⎯ N) Poiché il legame è tra atomi uguali, non c’è separazione di carica elettrica
e non si stabilisce un dipolo permanente.
TABELLA 11.2 Energia di
legame in kJ/mol di alcuni
legami chimici (valori
medi).
ENERGIA DI LEGAME
Legame
kJ/mol
H ⎯⎯ H
C ⎯⎯ C
C ==== C
C ≡≡≡≡ C
O ==== O
C ==== O
Cl ⎯⎯ Cl
Br ⎯⎯ Br
I ⎯⎯ I
H ⎯⎯ F
H ⎯⎯ Cl
H ⎯⎯ Br
H ⎯⎯ I
H ⎯⎯ O
H ⎯⎯ N
H ⎯⎯ C
C ⎯⎯ F
C ⎯⎯ Cl
N ≡≡≡≡ N
H …F
H …O
H …N
435
347
610
835
498
745
242
192
151
560
431
366
299
463
391
413
485
339
945
42
29
8
11.13
Energia e lunghezza di legame
G
li atomi si legano insieme per acquisire uno stato energetico caratterizzato da minore energia. Le grandezze che caratterizzano un legame chimico sono l’energia di legame e la lunghezza di legame (cfr. § 11.1). Ora che
abbiamo passato in rassegna tutti i legami chimici, possiamo analizzare
quali sono i fattori che determinano l’energia e la lunghezza di un legame.
I legami sono dovuti agli elettroni esterni. Se i due atomi legati sono piccoli, gli elettroni si trovano vicini al nucleo e risentono molto delle forze di
attrazione verso di esso. Tanto più l’atomo è grande, tanto più gli elettroni
di legame sono lontani dal nucleo e tanto meno sono attratti. Un legame tra
atomi che hanno raggio elevato è più debole che tra atomi piccoli. Se il legame è di tipo elettrostatico, una carica elettrica su un atomo piccolo conferisce a quest’atomo un’alta densità di carica e quindi la capacità di stabilire
un legame forte; se l’atomo è più grande, la densità di carica è minore e il
legame è più debole.
Per avere conferma di quanto abbiamo detto, confrontiamo i valori delle
energie di legame nei legami delle molecole HF, HCl, HBr e HI (tabella
11.2). I raggi degli atomi legati all’atomo di idrogeno (fluoro F, cloro Cl, bromo Br, iodio I) aumentano nell’ordine. Verifichiamo sempre che il valore
dell’energia di legame diminuisce all’aumentare del raggio dell’atomo.
CH/66
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
11
Legame chimico
Il valore dell’energia di legame dipende anche dal tipo di legame. Prendiamo due coppie uguali di atomi, per esempio idrogeno e ossigeno. Se i
due elementi sono uniti da legame covalente (H ⎯⎯ O) oppure da legame
idrogeno (H ... O), si hanno valori di energia di legame nettamente diversi
(tabella 11.2). In linea generale il legame ionico è un po’ più forte del legame covalente ed entrambi sono molto più forti del legame ione-dipolo, del
legame idrogeno e delle interazioni di Van der Waals.
C’è inoltre un terzo fattore da considerare: il valore dell’energia di legame
dipende dal numero dei legami che uniscono i due atomi. La spiegazione è
semplice: è più facile rompere un solo legame che romperne due o tre.
Prendiamo in esame i valori delle energie di un legame singolo, di uno doppio e di uno triplo tra due atomi di carbonio, cioè confrontiamo i valori delle energie dei legami C ⎯⎯ C, C ==== C e C ≡≡≡≡ C (tabella 11.2). Ci aspetteremmo di trovare valori multipli, ma non è così. Vediamo perché.
Un legame doppio è costituito da un legame σ e da un legame π (cfr. § 11.
4). Sappiamo che gli orbitali che formano il legame σ si compenetrano più
di quelli che formano il legame π. Gli elettroni del legame σ si trovano più
vicini ai nuclei degli elettroni del legame π. Ne risulta che il legame σ è più
forte del legame π e quindi che l’energia di un doppio legame non è uguale
al doppio dell’energia di un legame singolo, ma è minore. Infatti, mentre
l’energia di un legame singolo C ⎯⎯ C è di 347 kJ/mol, quella di un legame
doppio C ==== C non corrisponde a 347 × 2 = 694 kJ/mol, ma è 610 kJ/mol.
Nei doppi legami il legame π è più debole del legame σ e si rompe prima.
Ricapitolando possiamo dire che:
LUNGHEZZA DI LEGAME
Legame
pm
TABELLA 11.3 Lunghezza
di legame in pm di alcuni
legami chimici.
H ⎯⎯ H
H ⎯⎯ C
H ⎯⎯ N
H ⎯⎯ O
F ⎯⎯ F
Cl ⎯⎯ Cl
C ⎯⎯ O
C ⎯⎯ C
C ==== C
C ≡≡≡≡ C
C ==== O
H …O
씰 Il valore dell’energia di legame diminuisce all’aumentare del
raggio degli atomi legati, cresce col numero dei legami ed è
molto più alto per i legami primari rispetto a quelli secondari.
L’energia di legame è direttamente correlata con la lunghezza di legame.
Infatti, gli atomi uniti da legami forti si attraggono in modo da avvicinare al
massimo i loro nuclei. Se l’energia di legame ha un valore elevato, il legame è più corto, rispetto a quello degli stessi due atomi tenuti da un legame
debole. Per esempio, il legame covalente H — O, che ha energia molto alta, è
più corto del legame idrogeno H... O.
Ci sono altri fattori che influiscono sulla lunA
ghezza di legame. Uno di questi è il volume
atomico. La lunghezza di legame è direttamente proporzionale al raggio degli atomi legati.
74
Un legame tra atomi piccoli è più corto di un
legame dello stesso tipo tra atomi più grandi.
Nella tabella 11.3 sono riportati i valori delle
H
H
lunghezze di alcuni legami chimici. Confrontiamo i valori dei legami H — C, H — N, H — O:
notiamo che sono decrescenti, in accordo col
199
fatto che gli atomi di carbonio, azoto e ossigeno
hanno raggio decrescente. Nella figura 11.22 A
troviamo una conferma dell’influenza di questo fattore: il legame H — H è più corto di quelCl
Cl
lo Cl — Cl, perché l’atomo di idrogeno ha raggio minore di quello di cloro.
Un altro fattore che influisce sulla lunghezza di legame è il numero dei
legami. Nel caso di atomi che formano legami multipli, la lunghezza di legame è tanto minore quanto maggiore è il numero di legami. Nella figura
11.22 B è rappresentata la differenza tra un legame singolo C — C e un doppio legame C ==== C, più corto. Ricapitolando possiamo dire che:
74
108
101
96
142
199
143
154
135
120
121
177
B
154
C
C
135
C
C
FIGURA 11.22
La lunghezza di legame è la distanza tra i
nuclei degli atomi legati. (A), un atomo di idrogeno è più
piccolo di un atomo di cloro e il legame H ⎯ H ha lunghezza minore del legame Cl ⎯ Cl. (B), la lunghezza di un
doppio legame è inferiore a quella di un legame singolo. I
valori delle lunghezze di legame sono espressi in pm.
씰 La lunghezza di legame aumenta con il raggio degli atomi legati
e diminuisce all’aumentare dell’energia di legame e del numero
dei legami.
CH/67
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
PER SAPERNE DI PIÙ
CAPITOLO
Van der Waals e l’arte di
arrampicarsi sugli specchi
I «polpastrelli» dei gechi aderiscono al vetro
grazie alle interazioni di Van der Waals.
11
Legame chimico
Nessuno fa caso a una mosca che cammina
su una parete verticale, anche quando la parete è un vetro. Intuitivamente pensiamo
che il corpo della mosca sia così leggero da
rimanere incollato al vetro. Gli animali «arrampicatori» che ci sorprendono di più,
però, non sono i minuti insetti, ma i ben
più corposi gechi, rettili comuni nelle abitazioni, soprattutto al sud del nostro Paese.
Come può il loro corpo, lungo fino a 15 cm,
muoversi agevolmente sul soffitto e su ogni
superficie? Addirittura, se li lasciamo cadere, sono in grado di aggrapparsi a una foglia
durante il volo toccandola con una zampa.
I gechi destano meraviglia soprattutto
perché non sono provvisti di alcuna sostanza adesiva, che d’altra parte li bloccherebbe
una volta realizzata l’adesione. Le loro eccezionali proprietà hanno attirato l’attenzione
dei ricercatori, che non hanno tardato a
scoprire la presenza di un numero enorme di
microscopiche setole sulla superficie dei
loro «polpastrelli». Le setole, 14 100 ogni
mm2, sono a loro volta suddivise in centinaia di diramazioni larghe appena 0,2 μm
(un capello è spesso 80 μm). Le ricerche
hanno dimostrato che ognuna di queste ramificazioni è attirata dalle molecole delle
superfici da forze molto deboli, che sono interazioni di Van der Waals.
Il numero elevatissimo delle propaggini
epidermiche con cui terminano le zampe dei
gechi fa sì che la forza complessiva sia
enorme, assimilabile a quella di un peso di
2 kg. Le ramificazioni delle setole aderiscono alle superfici grazie alle interazioni di
Van der Waals, ma si possono staccare facilmente. Il geco modifica l’inclinazione delle
setole e la forza di adesione viene subito a
mancare.
Glossary
Bond length (lunghezza di legame) The distance between the nuclei of two bonded atoms.
Bond energy (energia di legame) The energy required to break the bond that hold atoms together in one mole of substance.
Chemical bond (legame chimico) The forces of attraction that hold atoms together in a molecule or in a ionic compound.
Covalent bond (legame covalente) A chemical bond formed by sharing of valence electrons.
Dipole-dipole interaction (interazione dipolo-dipolo) The electrostatic interaction between
two polar molecules.
Heteropolar covalent bond (legame covalente eteropolare) The chemical bond between two
atoms with different values of electronegativity. The pair of electrons isn’t equally shared
between the two atoms.
Homopolar covalent bond (legame covalente omopolare) The chemical bond between two
atoms with similar electronegativity. The pair of electrons is equally shared between the
two atoms.
Hydrogen bond (legame idrogeno) The electrostatic interaction between electronegative
atoms in one molecule and hydrogen atoms bond to electronegative atoms in another molecule.
Ionic bond (legame ionico) The electrostatic attraction between ions. Ionic bond is formed by
transfer of electrons.
Metallic bond (legame metallico) The electrostatic attraction between the positive metal ions
and the free electrons.
Primary chemical bond (legame chimico primario) A chemical bond that hold atoms together
in a molecule or in a ionic compound.
Secondary chemical bond (legame chimico secondario) The attractive forces between molecules and between molecules and ions.
Van der Waals force (interazione di Van der Waals) Electrostatic interaction between molecules.
π bond (legame pigreco) A covalent bond produced by sideways overlap of the orbitals. The resulting orbitals have two parts, one on each side of the plane between the two nuclei.
σ bond (legame sigma) A covalent bond produced by overlap of the orbitals along the line of
axes between the two nuclei.
CH/68
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
FACCIAMO IL PUNTO
Domande aperte
10
11 Che cosa è un legame chimico?
12 Per quale motivo si formano i legami chimici?
13 Descrivi brevemente che cosa accade quando due atomi
14
15
16
17
18
19
14
15
16
17
18
19
20
A
Esercizi di completamento
21
11
12
13
si avvicinano.
Rappresenta con la notazione di Lewis la configurazione
elettronica esterna degli elementi che vanno da Z = 11 a
Z = 20. Che cosa significano i termini singoletto e doppietto?
Quali sono le principali caratteristiche del legame ionico?
Tra quali atomi si può formare? È corretto parlare di molecola quando il legame è ionico?
Quali sono le principali differenze tra un legame covalente
omopolare e uno eteropolare?
Che cosa significano i termini legame σ, legame π, legame
doppio e legame triplo?
Rappresenta schematicamente, secondo la notazione di
Lewis, la formazione delle molecole di acido cloridrico HCl
e di anidride ipobromosa Br2O.
Che cosa è un legame dativo? Indica alcuni esempi di
composti in cui è presente un legame dativo. Rappresenta
con la notazione di Lewis la formazione del legame dativo
nello ione ossonio.
Quale legame è presente nei metalli allo stato solido?
Come si spiega la formazione di questo legame?
La molecola di acido cloridrico HCl è un dipolo?
Quando una molecola può essere considerata un dipolo?
Definisci il legame ione-dipolo. Cita un esempio di questo
legame.
Ordina le interazioni di Van der Waals in base alla loro
energia di legame.
Quale legame si può stabilire tra due molecole d’acqua?
Che tipo di legame è? Che differenza c’è tra legami primari
e legami secondari?
Definisci l’energia di legame e indica come varia in funzione del raggio degli atomi legati.
Che cosa rappresenta la lunghezza di legame?
Quale fattore può far variare la lunghezza di legame tra
due atomi dello stesso elemento?
Quale relazione lega l’energia di un legame alla lunghezza
dello stesso legame?
Perché l’energia dei legami doppi o tripli non ha valore
doppio o triplo rispetto a quella del legame semplice?
Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello spazio vuoto il termine opportuno.
I
…………………………………………
………………………………………………
chimici sono forze attrattive di natura
……………………………………………………………………
che tengono uniti gli atomi nelle
o nei ……………………………………………… ionici. Facendo corrispondere un puntino agli …………………………………………………………… più
esterni usiamo la simbologia di ………………………………………… . Per rompere un legame bisogna
…………………………………………
l’ …………………………………………
di legame, il cui valore diminuisce all’aumentare del ………………………………………… degli atomi legati, ………………………………………… col numero dei
legami ed è più alta per i legami ……………………………………………… (covalente, ……………………………………………… , metallico) rispetto ai legami secondari (ione-dipolo, interazioni di
stanza tra ………
…………………………………
………………… ……………… ……………………
, legame ……………………………………………………… ). La lunghezza di legame è la di-
degli atomi legati.
VERIFICA LE CONOSCENZE
Esercizi di corrispondenza
22
A
Assegna a ciascuna specie chimica il legame che la caratterizza, scegliendolo tra i legami sottoelencati, e indica il legame
segnato in colore tra le molecole di acqua:
covalente omopolare;
covalente eteropolare;
covalente dativo;
ionico;
metallico;
Van der Waals;
idrogeno.
Specie chimica
Legame
HCl
NaF
CsI
CaCl2
H2
Na
Fe
H2O … H2O
CH/69
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
G U I DA A L L O ST U D I O
EA
A
Domande a scelta multipla
23
A
B
C
•
•
O•
D
•
•
B 1 legame σ e 1 legame π;
O•
•
C 1 legame σ;
D 2 legami σ.
•
•
B
C
F ••
•
•
D
F ••
•
•
34
•
9F
•
19
9F
La rappresentazione di Lewis per il cloro è:
C
•
•
Cl
D
•
•
B c’è un legame σ e un legame π »;
C c’è un legame covalente omopolare»;
Il boro (B) allo stato fondamentale ha la configurazione elettronica esterna caratterizzata da:
A un tripletto;
D gli elettroni di legame non sono equamente condivisi».
35
B tre singoletti;
B covalente omopolare;
D un singoletto e un doppietto.
C covalente eteropolare;
D covalente dativo.
Quale tra le seguenti definizioni non è corretta?
A il legame covalente unisce due atomi ed è dovuto a
una coppia di elettroni di legame;
B gli elettroni di legame condividono la stessa nube
elettronica;
C gli elettroni di legame possono avere lo stesso spin;
D gli elettroni che formano il legame devono avere spin
opposto.
28
36
B covalenti omopolari;
C idrogeno;
D covalenti eteropolari.
37
elettronico e l’altro funge da accettore di un doppietto
elettronico;
B uno dei due atomi funge da donatore di un elettrone e
l’altro funge da accettore di un elettrone;
C uno dei due atomi funge da donatore di un protone e
l’altro funge da accettore di un protone;
D entrambi gli atomi condividono un loro elettrone e un
elettrone dell’altro atomo.
B uguali o diversi, con stessa elettronegatività;
C uguali, con diversa energia di ionizzazione;
D diversi, con lo stesso numero di singoletti.
30
31
In quale dei seguenti composti è presente un legame covalente
omopolare?
B HCl;
C H2S;
D HF.
38
In quale dei seguenti composti non è presente un legame covalente omopolare?
A PH3;
B N2;
C F2;
D H2O.
In quale delle seguenti specie chimiche è presente un legame
covalente eteropolare?
A F2;
39
C I2;
B NaCl;
D NH3.
In quale delle seguenti specie chimiche non è presente un legame covalente eteropolare?
A HCl;
C PH3;
B Cl2O3;
D CCl4.
Nella molecola di azoto N2 sono presenti:
40
A 1 legame σ e 2 legami π;
Quale tra le seguenti definizioni non è corretta?
A il legame ionico è la forza di attrazione elettrostatica
B 1 legame σ e 1 legame π;
che si genera tra tutti gli ioni di carica opposta;
C 2 legami σ;
32
Nel legame dativo:
A uno dei due atomi funge da donatore di un doppietto
Un legame covalente omopolare si forma tra atomi:
A H2;
La molecola di anidride ipoclorosa Cl2O ha due legami:
A ionici;
A diversi, con diversa elettronegatività;
29
Nella molecola di acido cloridrico HCl è presente un legame:
A ionico;
C due doppietti e un singoletto;
27
Quale completamento della frase non è corretto? «Nella molecola di ossigeno O2:
A c’è un doppio legame»;
Cl ••
•
17Cl
•
•
B
•
•
Cl
•
•
•
•
A
26
8O
Nella molecola di cloro Cl2 abbiamo:
A 1 legame σ e 2 legami π;
La rappresentazione di Lewis per il fluoro è:
A
25
16
8O
•
24
33
La rappresentazione di Lewis per l’ossigeno è:
•
•
G U I DA A L L O S T U D I O
EA
D 3 legami σ.
B il legame ionico si forma tra due atomi che hanno
Un legame σ si ha quando la nube elettronica:
C lo stabilirsi del legame ionico non determina la forma-
elettronegatività molto diversa;
zione di molecole, ma genera composti ionici;
A si trova ai due lati della retta ideale che congiunge i
due nuclei;
B avvolge omogeneamente la retta ideale che congiunge
i due nuclei;
C è parallela alla retta ideale che congiunge i due nuclei;
D avvolge la perpendicolare alla retta ideale che congiunge i due nuclei.
D il legame ionico non comporta il trasferimento di elet-
troni da un atomo all’altro.
41
In quale delle seguenti specie chimiche è presente il legame
ionico?
A CsCl;
B HI;
C HNO2;
D BH3.
CH/70
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
42
In quale delle seguenti specie chimiche non è presente il legame
ionico?
A SrCl2;
43
44
C BCl3;
D NaCl.
C l’energia del legame σ è maggiore di quella del
A HF;
D l’energia di legame dipende dal numero di legami.
B HI;
C CH4;
D SiH4.
In quale dei seguenti composti le molecole non sono unite da
legami idrogeno?
B NH3;
C HF;
D BH3.
Un dipolo è un sistema costituito da due cariche elettriche:
49
C BeF2;
B PCl3;
C H2O;
D CO2.
D BCl3.
Quale tra le seguenti affermazioni non è corretta?
B HF;
C NH3;
D HI.
54 Quale tra i seguenti composti ha punto di ebollizione più
B HCl;
C HI;
D HBr.
A perché formano legami idrogeno;
B grazie alle interazioni di Van der Waals;
C perché formano legami ione-dipolo;
D grazie alle forze di London.
56 Quale tra le seguenti molecole può dare interazioni dipolo
indotto-dipolo indotto?
A HCl;
B NaCl;
B legami primari;
C interazione ione-dipolo;
Quale tra le seguenti affermazioni non è corretta?
A il legame idrogeno è un legame elettrostatico;
B il legame idrogeno si forma tra un atomo di idrogeno
e un atomo fortemente elettronegativo;
C il legame idrogeno ha importanza biologica, poiché in-
terviene nella struttura delle proteine e del DNA;
D il legame idrogeno è presente in tutti i composti contenenti idrogeno.
L’energia di legame è l’energia che:
A si libera quando si forma un legame chimico;
B bisogna fornire per formare un legame chimico;
C bisogna fornire a un solido per trasformarlo in un
liquido;
D bisogna fornire a un liquido per trasformarlo in un gas.
D FeCl .
2
A legami intermolecolari;
C legami forti;
Quale tra le seguenti non è una interazione di Van der Waals?
C Cl ;
2
57 Le interazioni di Van der Waals sono:
ordinato di cationi immerso in una nube elettronica;
B in un metallo allo stato solido gli elettroni degli orbitali più esterni si spostano facilmente da un punto all’altro;
C i metalli hanno elevata conducibilità elettrica e quindi
acquistano facilmente elettroni;
D i metalli hanno elevata conducibilità termica.
D interazione dipolo-dipolo indotto.
51
A H2O;
A un metallo allo stato solido è costituito da un insieme
A interazione dipolo-dipolo;
B interazione dipolo indotto-dipolo indotto;
50
idrogeno?
55 I solidi ionici si solubilizzano in acqua:
In quale dei seguenti composti l’atomo centrale (in neretto nella formula) ha due coppie di elettroni non condivise, disponibili
per legami dativi?
A NH3;
48
B NH3;
53 Quale tra le seguenti molecole non può formare legami
A HF;
In quale dei seguenti composti l’atomo centrale (in neretto nella formula) ha una coppia di elettroni non condivisa, disponibile
per un legame dativo?
A BH3;
legame π;
alto a causa dell’intervento del legame idrogeno?
C di diverso valore, ma dello stesso segno;
D di diverso valore e di segno opposto.
47
legati;
In quale dei seguenti composti le molecole sono unite da legami
idrogeno?
A uguali e dello stesso segno;
B uguali, ma di segno opposto;
46
A l’energia di legame dipende dal raggio degli atomi
B l’energia di legame non dipende dal tipo di legame;
A H2O;
45
B CaF2;
52 Quale tra le seguenti affermazioni non è corretta?
D interazioni tra ioni.
58 Quale tra le seguenti coppie di atomi può formare legame
ionico?
A H, I;
B I, I;
C Ca, I;
D P, I.
59 Quale tra i seguenti composti ha il legame con il maggior
carattere ionico?
A I2;
B BaS;
C NaF;
D NaI.
60 I composti ionici:
A sono insolubili in acqua;
B sono malleabili;
C hanno alte temperature di fusione;
D si trovano tipicamente allo stato gassoso.
61 Il ghiaccio è un solido tenuto insieme da:
A forze intermolecolari;
B legami ionici;
C legame metallico;
D legami covalenti.
62 In quale tra i seguenti composti c’è un doppio legame?
A NaF;
B CO2;
C CaF2;
D NH3.
CH/71
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
G U I DA A L L O S T U D I O
EA
VERIFICA LE ABILITÀ
A
Gioca e impara
63
Inserisci nelle linee orizzontali dello schema i termini corrispondenti alle seguenti definizioni e, nelle caselle in colore,
vedrai comparire il nome del legame … generatore di acqua.
1.
Legame possibile solo tra atomi con elevata differenza di elettronegatività.
Il legame covalente formato da un atomo che ha già raggiunto l’ottetto, ma che ha ancora doppietti disponibili.
I legami che uniscono le molecole.
Il legame covalente presente nell’acqua.
Quella di legame dipende dal raggio degli atomi legati.
Quella di legame è la distanza tra i nuclei.
Diede il nome a deboli legami di natura elettrostatica.
È formato da due cariche elettriche uguali e di segno opposto,
presenti a una certa distanza in un corpo.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
1
Esercizi e problemi
65
66
67
2
Per ciascuna delle seguenti coppie di legami, indica qual è il legame più eteropolare e utilizza una freccia per mostrare la direzione dello spostamento degli elettroni in ciascun legame.
A C⎯
⎯O
e
C⎯
⎯ N;
B P⎯
⎯ Br
e
P⎯
⎯ Cl;
C B⎯
⎯O
e
B⎯
⎯ S;
D B⎯
⎯F
e
B⎯
⎯ I.
Per ciascuna delle seguenti coppie di legami, indica qual è il legame più corto.
A B⎯
⎯ Cl
e
Ga ⎯
⎯ Cl;
B Sn ⎯
⎯O
e
C⎯
⎯ O;
C P⎯
⎯S
e
P⎯
⎯ O;
D C ===
=O
e
C ===
= N.
Disponi i seguenti composti in ordine di carattere ionico del legame decrescente:
A H2;
3
B LiH;
4
C HBr;
5
D HCl;
6
E KH.
7
68
Utilizza la rappresentazione di Lewis per indicare la struttura
molecolare del cloroformio CHCl3. Quanti legami sono presenti? Ci sono doppi o tripli legami? Indica quali sono gli orbitali del carbonio, dell’idrogeno e del cloro che si sovrappongono per formare i legami tra questi elementi.
69
Per ciascuna delle seguenti coppie di atomi indica il tipo di legame che si forma e disegna la formula di struttura della molecola che si produce, utilizzando la rappresentazione di Lewis:
8
A P, Cl;
B C, H;
Question
C Si, O;
Starting from the letter in the little ring and by using all the
letters, you have the answer to the following question: what is
necessary to supply for breaking a bond in a molecule, the reactants and the products being in the gas phase at standard conditions?
D S, O.
70
Disegna la formula di struttura di ciascuna delle seguenti molecole, utilizzando la rappresentazione di Lewis.
A NH3;
B HF;
Y
E
C H2SO4;
O
D HClO3.
N
E
N
B
D
64
R
G U I DA A L L O ST U D I O
EA
G
71
Per ciascuna delle seguenti coppie di legami, indica il legame
più eteropolare e utilizza una freccia per specificare la direzione
dello spostamento degli elettroni.
A C⎯
⎯O
e
C⎯
⎯ Cl;
B P⎯
⎯H
e
P⎯
⎯ N;
C B⎯
⎯H
e
B⎯
⎯ Cl.
CH/72
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
Forma delle molecole
e proprietà delle sostanze
C A P I TO L O
12
12.1 Angolo di legame
e forma delle molecole
N
el capitolo precedente abbiamo confrontato le caratteristiche di due sostanze con atomi uniti da legami covalenti: l’acqua e il diossido di carbonio. Per spiegare le differenze tra le proprietà fisiche delle sostanze non è
sufficiente considerare il tipo di legame chimico che unisce gli atomi, ma
occorre anche verificare se tra le molecole sono presenti legami secondari e
di quale tipo sono (cfr. § 11.9). A temperatura ambiente l’acqua si trova nello stato liquido, mentre il diossido di carbonio è aeriforme: tra le molecole
d’acqua esistono legami più forti rispetto a quelli che agiscono tra le molecole di diossido di carbonio. Perché l’intensità delle forze di attrazione nell’acqua sono superiori a quelle presenti nel diossido di carbonio? Come vedremo in seguito, l’intensità delle forze intermolecolari dipende dalle dimensioni e dalla forma delle molecole.
La forma e le dimensioni di una molecola dipendono dal numero degli
atomi che la compongono, dal loro volume, dalla lunghezza dei legami che
uniscono gli atomi e anche dell’angolo che questi legami formano tra loro,
cioè dall’angolo di legame (figura 12.1).
씰 Si chiama angolo di legame l’angolo formato dagli assi di due
legami chimici che partono dallo stesso atomo.
La forma e le dimensioni delle molecole, la disposizione degli atomi nello spazio, la lunghezza e gli angoli di legame definiscono nel loro complesso la geometria molecolare. La geometria di una molecola può essere ricavata attraverso un modello, chiamato VSEPR, e spiegata facendo ricorso alla
teoria degli orbitali ibridi.
Anngolo
di legame (°)
FIGURA 12.1
L’angolo di legame di una molecola viene
misurato in gradi (°).
La geometria molecolare viene determinata sperimentalmente attraverso la diffrazione ai raggi X.
12.2 Il modello VSEPR
N
el 1957 il chimico inglese R.J. Gillespie mise a punto un modello,
che permetteva di ricavare facilmente la geometria molecolare dei
composti: la teoria VSEPR. Il nome del modello è un acronimo della denominazione inglese della teoria (Valence Shell Electron Pair Repulsion),
che può essere tradotta letteralmente in: repulsione delle coppie elettroniche del guscio di valenza. Con una traduzione meno rigorosa, ma più vicina al linguaggio utilizzato in questo testo, possiamo definirla come la
teoria della repulsione dei doppietti esterni.
Il termine VSEPR è formato dalle lettere iniziali di
cinque parole inglesi:
Valence = valenza;
Shell = guscio;
Electron = elettrone;
Pair = coppia;
Repulsion = repulsione.
CH/73
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CAPITOLO
I
C
A B
B
씰 Gli orbitali esterni occupano posizioni reciproche che realizzano
la massima distanza possibile e quindi la minima interazione.
A
X
Coppia
di legame
Forma delle molecole e proprietà delle sostanze
Secondo il modello VSEPR la forma di una molecola viene determinata
esclusivamente dalla repulsione tra i doppietti elettronici presenti nel livello più esterno. Le coppie di elettroni di legame tendono a respingersi, in
quanto zone ad alta densità elettronica, e si portano alla massima distanza
possibile.
FIGURA PARLANTE
Coppia
di non legame
12
B
FIGURA 12.2
(a sinistra), in una molecola formata da un
atomo centrale A, provvisto di due coppie elettroniche di
non legame e legato con due atomi B attraverso legami
singoli, l’intensità delle repulsioni tra le coppie di elettroni
di non legame è superiore a quella tra le coppie di legame.
(a destra), una molecola è formata da un atomo centrale A
legato con un legame doppio a un atomo C e legato a un
atomo B e a un atomo X poco elettronegativo attraverso
legami singoli. L’intensità delle repulsioni è maggiore nel
caso di legami multipli e aumenta al diminuire dell’elettronegatività dell’elemento legato. L’intensità delle repulsioni
è rappresentata dallo spessore delle frecce.
ATTIVITÀ
Forma delle molecole
Il modello si basa sulla diversa intensità delle forze di repulsione a seconda che siano dovute a coppie elettroniche di valenza impegnate in legami, dette coppie di legame o leganti, o a coppie elettroniche solitarie, chiamate coppie di non legame o non leganti. In particolare si verifica che:
• le coppie non leganti respingono le altre coppie elettroniche maggiormente rispetto alle coppie leganti;
• un legame multiplo respinge le altre coppie elettroniche con maggiore
forza rispetto a un legame singolo;
• la repulsione tra coppie leganti aumenta al diminuire dell’elettronegatività dell’elemento legato;
• i legami multipli si considerano come una coppia elettronica unica.
Nella figura 12.2 sono rappresentati possibili casi di repulsione tra coppie elettroniche del guscio di valenza.
Consideriamo la molecola di dicloruro di berillio BeCl2. Il berillio ha
due elettroni spaiati, che utilizza per formare due legami covalenti con i
due atomi di cloro. Attorno al berillio, che è l’atomo centrale, abbiamo
due coppie elettroniche di legame e nessuna coppia di non legame. La
massima distanza tra le coppie di elettroni si ottiene disponendo le coppie con un angolo di legame di 180°. La geometria che si ottiene prende
il nome di geometria lineare.
180°
La struttura di Lewis del dicloruro di berillio evidenzia come questa molecola sia un’eccezione alla regola dell’ottetto, in quanto il berillio ha solo quattro
elettroni nel guscio di valenza.
BeCl2
Dicloruro di berillio
Cl
Be
Cl
Struttura di Lewis
Forma lineare
Anche la molecola di CO2 assume una geometria lineare. Il carbonio forma due doppi legami con gli atomi di ossigeno. Secondo il modello VSEPR
i legami multipli sono considerati come una singola coppia elettronica. Anche il carbonio dispone perciò i due assi elettronici a 180°.
180°
CO2
Diossido di carbonio
O
C
O
Struttura di Lewis
Forma lineare
Consideriamo ora il trifluoruro di boro BF3, una molecola con tre coppie
elettroniche di legame attorno all’atomo centrale. La massima distanza tra
le coppie si realizza con la disposizione a 120° l’una dall’altra. La geometria
che si ottiene prende il nome di triangolare planare.
Anche il trifluoruro di boro è un’eccezione alla regola dell’ottetto.
120°
F
BF3
Trifluoruro di boro
F
B
F
Struttura di Lewis
Forma triangolare planare
CH/74
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CAPITOLO
12
Forma delle molecole e proprietà delle sostanze
Vediamo ora il caso del diossido di zolfo SO 2. La struttura di Lewis della
molecola di SO 2 evidenzia la presenza attorno all’atomo di zolfo di un doppio legame covalente tra lo zolfo e uno dei due atomi di ossigeno, di un legame covalente dativo con l’altro atomo di ossigeno e di una coppia elettronica di non legame. Il numero delle coppie elettroniche attorno all’atomo
centrale è tre, come nel caso precedente. La struttura è ancora triangolare
planare. Tuttavia la presenza di una coppia elettronica di non legame, che
esercita una repulsione maggiore rispetto alla coppia di legame, fa in modo
che l’angolo tra i due atomi di ossigeno sia di poco inferiore a 120°. Quando
sono presenti coppie di non legame, la struttura della molecola non coincide con la sua effettiva forma, in quanto quest’ultima è determinata esclusivamente dagli atomi legati all’atomo centrale. La forma del diossido di zolfo
è pertanto piegata. Questo effetto è ancora più evidente nelle molecole,
come l’acqua, con quattro coppie elettroniche attorno all’atomo centrale.
SO2
Diossido di zolfo
O
S
O
Struttura di Lewis
Forma piegata
Nella molecola di metano CH 4, il carbonio ha attorno a sé quattro coppie
elettroniche di legame. La geometria che permette di minimizzare le repulsioni è quella tetraedrica, che si realizza quando le coppie elettroniche non
sono disposte su un piano, ma sono dirette verso i vertici di un ipotetico tetraedro con angoli di legame di 109,5°.
H
H
C
H
CH4
H
Metano
Struttura di Lewis
La struttura lineare e quella triangolare sono planari,
mentre la geometria tetraedrica è tridimensionale.
Forma tetraedrica
Vediamo che cosa succede nel caso in cui siano presenti sempre quattro
coppie di elettroni attorno all’atomo centrale della molecola, ma con coppie
non leganti. Nella molecola di ammoniaca NH 3, l’azoto ha tre coppie leganti e una coppia non legante. Le quattro coppie elettroniche si dispongono in
modo che i tre atomi di idrogeno e il doppietto libero si trovino ai vertici di
un tetraedro. La maggior repulsione esercitata dalla coppia di non legame fa
diminuire gli angoli di legame tra gli atomi di idrogeno, rispetto a quelli
presenti nella molecola di metano. Quella che si ottiene è una forma piramidale triangolare con angoli di 107,3°.
H
N
H
NH3
H
Ammoniaca
Struttura di Lewis
Forma piramidale triangolare
Nel caso dell’acqua H2O, attorno all’ossigeno ci sono due coppie di legame e due coppie di non legame. Anche in questo caso la struttura è tetraedrica, in quanto le coppie elettroniche sono complessivamente quattro. La
presenza di due coppie libere, però, fa diminuire l’angolo di legame tra i
due atomi di idrogeno più di quanto avvenga nell’ammoniaca. La forma che
si ottiene è piegata e l’angolo di legame risulta di 104,5°.
H 2O
O
H
H
Acqua
Struttura di Lewis
CH/75
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
Forma piegata
CAPITOLO
12
Forma delle molecole e proprietà delle sostanze
In pratica, per risalire alla geometria di una molecola è necessario scrivere la struttura di Lewis e contare il numero totale di coppie elettroniche
presenti attorno all’atomo centrale. La forma che la molecola effettivamente
assume si ricava invece dal numero di coppie di legame e di non legame.
Molecole con lo stesso numero di coppie elettroniche attorno all’atomo centrale, ma con numero diverso di coppie elettroniche di non legame, hanno
stessa geometria ma forma diversa.
Nella tabella 12.1 sono riportate le strutture e le forme molecolari più significative, ricavate utilizzando il modello VSEPR. Nella figura 12.3 sono
rappresentate le possibili forme delle molecole.
TABELLA 12.1
Struttura e forma delle molecole previste
con il modello VSEPR. Nel caso in cui siano presenti coppie di non legame, la struttura e la forma della molecola
non coincidono e si osserva una diminuzione dell’angolo
di legame.
FIGURA 12.3
Geometria molecolare di alcuni composti sulla base della teoria VSEPR. In rosso gli atomi legati all’atomo centrale, disegnato in azzurro; in verde è indicata la
posizione nello spazio dei doppietti non legati. In alto a
destra, in ciascun riquadro, sono riportate a titolo di esempio le formule di alcune molecole che hanno la struttura
tridimensionale illustrata. A sinistra, con X è indicato l’atomo centrale, con Y gli atomi a esso legati e con E i doppietti non legati dell’atomo centrale.
numero
di coppie
di legame
numero di
coppie di
non legame
2
2
0
lineare
lineare
180°
BeCl 2
3
3
0
triangolare
planare
triangolare
planare
120°
BF3
3
2
1
triangolare
planare
piegata
119,7°
SO2
4
4
0
tetraedrica
tetraedrica
109,5°
CH4
4
3
1
tetraedrica
piramidale
triangolare
107,3°
NH3
4
2
2
tetraedrica
piegata
104,5°
H2O
XY2
BeCl 2
HgCl 2
Lineare
Tetraedrica
XY5
APPROFONDIMENTO
XY3
CH2O
BF3
Angolo
XY2 E
NH3
PCl 3
XY3 E
PCl 5
AsF5
XY6
SF6
Ottaedrica
Esempio
PbCl 2
SnCl 2
SO2
Piegata
XY2 E 2
Piramidale triangolare
Bipiramidale triangolare
Dal modello VSEPR al modello VSED
Struttura
Triangolare planare
NH +4
CCl 4
XY4
A
Forma
numero di
coppie
elettroniche
H2O
H2S
Piegata
XY5 E
BrF5
Piramidale quadrata
CH/76
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CAPITOLO
12
Forma delle molecole e proprietà delle sostanze
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
1. Determina la struttura e la forma della fosfina PH3.
1. Determina la struttura e la forma del biossido
di silicio SiO2.
Per prima cosa si determina la struttura di Lewis della molecola di PH3. Il fosforo è
un elemento del gruppo 15, per cui ha cinque elettroni nel guscio più
H
esterno, di cui tre singoletti e un doppietto. Con i tre singoletti forma
H
H
P
un legame covalente con ciascun atomo di idrogeno. Il fosforo ha
quattro coppie elettroniche attorno a sé, tre coppie di legame e una coppia di non legame. La struttura della molecola è tetraedrica e la forma è piramidale triangolare.
2. Determina la struttura e la forma del tetrafluoruro di carbonio CF4.
12.3 Teoria degli orbitali ibridi
I
La teoria del legame di valenza non è in grado di
spiegare gli angoli di legame di alcune molecole, determinati per via sperimentale.
I
FIGURA PARLANTE
energia
A
p
p
p
p
p
p
p
p
s
B
energia
FIGURA 12.4
Ibridazione sp
degli orbitali. Un atomo di berillio ha due elettroni nell’orbitale 2s; quando viene eccitato, un elettrone sale in un orbitale p. I due orbitali con
singoletto si mescolano per
dare due orbitali ibridi uguali.
I due orbitali ibridi si dispongono sullo stesso asse, ma
ruotati di 180°. L’atomo di berillio viene ad avere così due
orbitali con singoletto e può
formare due legami covalenti.
s
C
energia
l modello VSEPR determina la forma di una molecola senza considerare
gli orbitali coinvolti nel legame. È possibile risalire alla struttura delle
molecole rifacendosi alla teoria del legame di valenza (cfr. § 11.4) opportunamente modificata. Lo stesso Pauling adattò questa teoria ed elaborò un
nuovo modello che permettesse di risalire alla geometria delle molecole: la
teoria degli orbitali ibridi. Secondo questa teoria i legami si possono originare anche da orbitali diversi da quelli fin qui conosciuti: gli orbitali ibridi.
In biologia il termine ibridazione indica un incrocio tra individui con caratteri genetici diversi per dare discendenti con caratteristiche nuove, dovute a nuove combinazioni di geni. Il mulo, per esempio, è un ibrido nato dall’incrocio di un asino con una cavalla. In chimica, quando parliamo di ibridazione ci riferiamo al mescolamento di due orbitali di tipo diverso per formare orbitali con caratteristiche nuove rispetto a quelle di partenza. La causa di questo fenomeno sta nella ricerca di una maggiore stabilità.
Sappiamo che un atomo per formare legami covalenti deve possedere per
lo meno un singoletto. Si è notato, però, che vi sono atomi capaci di formare forti legami covalenti pur non avendo singoletti. Questi atomi, quando
stabiliscono legami, utilizzano orbitali diversi da quelli presenti allo stato
fondamentale, orbitali con diversa forma ed energia.
Il berillio (Be, Z = 4) è un elemento del gruppo 2 del Sistema periodico e
ha la configurazione elettronica esterna s 2. Il berillio non ha singoletti e
non potrebbe formare legami covalenti omopolari o eteropolari, ma solo legami dativi o ionici. Invece si conoscono alcuni composti, per esempio il
dicloruro di berillio BeCl 2, in cui l’atomo di berillio stabilisce due legami
covalenti uguali con il cloro. Per spiegare questo fenomeno si fa ricorso al
concetto di ibridazione degli orbitali.
L’orbitale 2s ha energia minore di quella dei tre orbitali 2p (figura 12.4
A). Se però all’atomo viene fornita energia, cioè se viene eccitato, uno dei
due elettroni dell’orbitale 2s si sposta in un orbitale 2p (figura 12.4 B). A
questo punto i due orbitali 2s e 2p parzialmente occupati si «mescolano»,
suddividendosi equamente la loro energia e rimodellando la propria forma.
Si formano due nuovi orbitali isoenergetici, aventi la stessa forma, che chiamiamo orbitali ibridi, ognuno con un singoletto (figura 12.4 C) sistemato in
base alla regola di Hund (cfr. § 9.11). Gli altri due orbitali 2p rimangono invece non occupati e mantengono la loro energia.
sp
sp
D
+
씰 Gli orbitali ibridi sono orbitali nuovi ottenuti dalla combinazione,
ricavata matematicamente, di più orbitali atomici di uno stesso atomo.
E
Gli orbitali ibridi del berillio, invece delle forme degli orbitali s e p (figura
12.4 D), vanno ad assumere la forma indicata nella figura 12.4 E. I due orbitali ibridi si dispongono in maniera che i loro assi formino tra loro un angolo di 180° (figura 12.4 F). L’atomo di berillio viene così a possedere nei due
orbitali ibridi due singoletti in grado di formare legami covalenti uguali.
F
180°
CH/77
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CAPITOLO
Atomo ibridato • Si usa per indicare in modo abbreviato un
«atomo con gli orbitali più esterni ibridati».
12
Forma delle molecole e proprietà delle sostanze
Nella figura 12.5 A l’atomo di berillio è rappresentato con gli orbitali
allo stato fondamentale; nella figura 12.5 B lo stesso atomo dopo che si è
avuta l’ibridazione degli orbitali. La molecola di dicloruro di berillio
BeCl 2, che presenta due legami covalenti Be ⎯ Cl, ha struttura lineare (figura 12.5 C). Il tipo di ibridazione descritto si chiama ibridazione sp, perché coinvolge un orbitale s e un orbitale p.
Il boro (B, Z = 5) è un elemento del gruppo 13 e pertanto ha configurazione elettronica esterna s 2p. Nonostante che negli orbitali esterni abbia un
doppietto e un solo singoletto (figura 12.5 D), riesce ugualmente a formare
tre legami covalenti uguali. Ciò è possibile perché l’orbitale s con doppietto
si mescola con due orbitali p, uno con singoletto e uno senza elettroni. Si
producono tre orbitali ibridi isoenergetici, ognuno con un singoletto (figura
12.5 E). I tre orbitali ibridi, che hanno forma simile a quella già vista nella
figura 12.4 E, si dispongono in modo che i loro assi siano complanari e formino tra loro un angolo di 120°. L’orbitale che non è stato interessato da
ibridazione si dispone perpendicolarmente al piano su cui giacciono gli
assi degli orbitali ibridi. L’atomo di boro viene ad avere così tre singoletti
nei tre orbitali ibridi e può formare tre legami covalenti uguali, per esempio
con il cloro (figura 12.5 F). Questo tipo di ibridazione si chiama ibridazione
sp 2, perché coinvolge un orbitale s e due orbitali p, e la struttura della molecola che si forma è triangolare planare.
Un atomo di carbonio (C, Z = 6), elemento del gruppo 14, ha negli orbitali esterni un doppietto e due singoletti (figura 12.5 G). Con i due singoletti
non riuscirebbe a stabilire i quattro legami covalenti necessari per raggiungere la configurazione stabile, se non intervenisse l’ibridazione degli orbitali. Il carbonio può acquisire grande stabilità, perché l’orbitale s con il
doppietto si ibrida con i tre orbitali p. Si producono quattro orbitali ibridi
isoenergetici, ognuno con un singoletto (figura 12.5 H). Gli assi di questi
quattro orbitali sono diretti verso i quattro vertici di un immaginario tetraedro e racchiudono tra loro angoli di 109,5°. L’atomo di carbonio, utilizzando i suoi quattro singoletti negli orbitali ibridi, può formare così quattro legami covalenti uguali, per esempio con il cloro (figura 12.5 I). Questo tipo
di ibridazione si chiama ibridazione sp 3, perché coinvolge un orbitale s e
tre orbitali p, e la struttura della molecola che si forma è tetraedrica.
Il carbonio è il costituente fondamentale di centinaia di migliaia di composti diversi. Nella maggior parte dei suoi composti il carbonio è ibridato
sp, sp 2 oppure sp 3. Se conosciamo la formula del composto, possiamo risalire al tipo di ibridazione. Basta contare il numero degli atomi con cui l’atomo di carbonio ibridato si è legato: se sono due, tre oppure quattro, l’atomo
è ibridato rispettivamente sp, sp2 o sp 3; se è legato un solo atomo non si è
avuta ibridazione.
Ricapitolando possiamo dire che:
씰 Più orbitali di tipo diverso si possono mescolare per dare nuovi
orbitali, gli orbitali ibridi, isoenergetici tra loro.
씰 L’ibridazione degli orbitali permette di aumentare il numero di
legami covalenti che un atomo può formare e rende così più stabili
le molecole.
씰 Il numero e il tipo di orbitali ibridi determinano la geometria della
molecola formata dall’atomo ibridato (tabella 12.2).
TABELLA 12.2
Il numero di orbitali ibridati in un atomo
determina la struttura della molecola che da esso si forma.
Numero di orbitali ibridati
Ibridazione
Struttura della molecola
2
sp
lineare
3
sp2
triangolare planare
4
sp3
tetraedrica
CH/78
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CAPITOLO
A
12
Forma delle molecole e proprietà delle sostanze
D
p
p
G
p
p
s
p
p
s
Be
sp
p
sp 3
sp 3
sp 3
C
E
p
p
s
B
B
p
H
p
p
sp
sp 2
sp 2
sp 2
sp 3
120°
180°
120°
Be
B
C
C
F
I
Cl
Cl Be Cl
FIGURA 12.5 Ibridazione sp, sp 2 e sp 3. Sono colorati in
verde gli orbitali 2s e in rosso gli orbitali 2p. Gli orbitali
ibridi, ottenuti dal riarrangiamento di orbitali s e p, sono
colorati in azzurro. Gli orbitali p non coinvolti nella ibridazione sono indicati in grigio; questi orbitali mantengono
inalterata la loro forma e la loro disposizione spaziale. Il
nucleo è indicato con un punto nero.
B
Cl
Cl
Cl
Cl
C Cl
Cl
In A, D e G sono rappresentati gli orbitali esterni prima
dell’ibridazione, rispettivamente in un atomo di berillio
(Be), di boro (B) e di carbonio (C). In B è riportata la
struttura di un atomo di berillio con ibridazione sp. Dalla
ibridazione di un orbitale s e di un orbitale p si formano
due orbitali ibridi, i cui lobi maggiori si dispongono dalla
parte opposta rispetto al nucleo, sulla stessa retta, a 180°
tra loro. Perpendicolarmente a questa retta vi sono due orbitali p non ibridati, che non hanno cambiato forma. In E è
riportata la struttura di un atomo di boro, dopo che un orbitale s e due orbitali p si sono ibridati per formare tre orbitali ibridi sp2, i cui assi giacciono sullo stesso piano e
formano tra loro angoli di 120°. L’orbitale p non ibridato è
perpendicolare al piano in cui giacciono gli altri orbitali.
In H è illustrata la struttura di un atomo di carbonio, dopo
che l’orbitale s e i tre orbitali p si sono ibridati per dare
quattro orbitali ibridi sp3, i cui assi sono diretti verso i vertici di un tetraedro; non sono rimasti orbitali p non ibridati. Dopo l’ibridazione, berillio, boro e carbonio hanno rispettivamente 2, 3 e 4 orbitali con singoletto, che possono
essere utilizzati per formare legami covalenti. In C, F e I
sono rappresentati, con la struttura di Lewis e il modello a
spazio pieno, i composti che questi elementi formano con
atomi di cloro.
12.4 Forma e polarità delle molecole
A
bbiamo visto che molte molecole possono legarsi con altre grazie alla
presenza stabile di cariche elettriche separate. Si tratta di molecole che,
per il fatto di possedere un dipolo permanente, sono chiamate molecole polari. La molecola di acqua ne è un tipico esempio. Invece, le molecole in
cui gli elettroni sono equamente condivisi o nelle quali i dipoli annullano
reciprocamente il loro effetto sono dette molecole apolari. Ne sono esempi
la molecola di idrogeno, H2, e quella di diossido di carbonio, CO 2.
Della polarità della molecola di acqua abbiamo già avuto modo di parlare
(cfr. § 11.11) e in seguito conosceremo altre importanti conseguenze. La polarità di questa come di altre molecole dipende, oltre che dalla presenza di
legami covalenti eteropolari, anche dalla forma della molecola. C’è una
stretta relazione, infatti, tra forma e polarità.
La presenza di legami covalenti eteropolari è una condizione necessaria,
ma non sufficiente per avere molecole polari. Nella molecola potrebbero infatti essere presenti particolari simmetrie che annullano la polarità.
La forma della molecola d’acqua è piegata, con la carica negativa tutta
concentrata da una parte, dove c’è l’atomo di ossigeno, e quella positiva
dall’altra, dove ci sono i due atomi di idrogeno.
CH/79
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
12
Forma delle molecole e proprietà delle sostanze
La molecola di diossido di carbonio, invece, ha forma lineare (figura
12.6). I due atomi di ossigeno sono legati con un doppio legame covalente
eteropolare e tendono ad attirare gli elettroni di legame più di quanto faccia
l’atomo di carbonio. Poiché gli atomi di ossigeno si trovano da parti opposte rispetto all’atomo di carbonio e sulla stessa retta, le forze di attrazione
interne alla molecola si annullano reciprocamente e il dipolo risultante è
nullo. Mentre l’acqua è polare, il diossido di carbonio è apolare.
FIGURA 12.6 Il diossido di carbonio, comunemente noto
come anidride carbonica, ha molecola lineare. L’atomo di
carbonio è alla stessa distanza dai due atomi di ossigeno,
che sono sulla stessa retta e da parti opposte rispetto ad
esso. Le forze di attrazione, con le quali ciascun atomo di
ossigeno trattiene gli elettroni del carbonio, sono esattamente uguali e contrarie. L’equilibrio tra le forze produce
una risultante nulla: la molecola è apolare.
(δ −)
(δ −)
(δ −)
C
(δ −)
(δ )
(δ −)
O
C
Anche le molecole come il tetracloruro di carbonio, CCl4, sono apolari,
benché contengano legami covalenti eteropolari (figura 12.7). Infatti, le parziali cariche negative, che tendono a stabilirsi sugli atomi di cloro, circondano simmetricamente e alla stessa distanza la parziale carica positiva, che
tende a stabilirsi sull’atomo di carbonio: le forze si fanno perfettamente
equilibrio e si annullano a vicenda.
Alcune regole generali per poter prevedere la polarità delle molecole
sono le seguenti:
• molecole biatomiche con legami covalenti eteropolari sono sempre polari;
• molecole formate da più di due atomi uniti con legami covalenti eteropolari sono apolari, se l’atomo centrale non ha doppietti elettronici liberi e
gli atomi legati sono identici;
• molecole formate da più di due atomi uniti con legami covalenti eteropolari sono polari, se l’atomo centrale non ha doppietti elettronici liberi e
gli atomi legati sono diversi;
• molecole formate da più di due atomi uniti con legami covalenti eteropolari sono polari, se l’atomo centrale ha doppietti elettronici liberi.
(δ +)
(δ −)
+
Cl
FIGURA 12.7
La molecola del tetracloruro di carbonio,
CCl 4, ha forma di tetraedro, con il carbonio in posizione
centrale e gli atomi di cloro disposti ai quattro vertici. La
molecola è tenuta insieme da quattro legami covalenti eteropolari, ma nel suo complesso non presenta squilibri di carica elettrica ed è perciò apolare. La distribuzione simmetrica e l’equidistanza dal carbonio dei quattro atomi di cloro
determinano un effetto risultante nullo della polarità.
Le conseguenze della polarità o apolarità delle molecole hanno enorme
importanza. Le molecole polari sono soggette a legarsi fortemente tra loro e
con altre molecole o ioni attraverso legami ioni-dipolo, interazioni dipolodipolo, legami idrogeno ecc. (figura 12.8). Le sostanze costituite da molecole polari si trovano comunemente allo stato liquido o solido. Le molecole
apolari si legano con difficoltà e con poca forza; in natura si trovano infatti
come particelle isolate allo stato gassoso.
Siamo ora in grado di rispondere alla domanda con cui avevamo iniziato
il capitolo. La differenza tra lo stato fisico dell’acqua e quello del diossido
di carbonio è dovuta alla differente polarità delle loro molecole. Le molecole polari dell’acqua sono in grado di unirsi tramite legami idrogeno, mentre
le uniche forze che agiscono tra le molecole apolari di diossido di carbonio
sono le deboli forze di London.
FIGURA 12.8 Se avviciniamo una bacchetta elettrizzata a
un liquido apolare che fuoriesce da un tubicino, ad esempio benzene o tetracloruro di carbonio, il flusso del liquido
non viene deviato. Se il liquido è acqua, o un’altra sostanza polare come acetone o alcol, il flusso subisce una netta
deviazione. Le molecole polari sono attirate dalle cariche
elettriche presenti sulla bacchetta.
LABORATORIO SEMPLICE
Forma delle molecole ed elettricità
CH/80
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
12
Forma delle molecole e proprietà delle sostanze
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
2. Determina se la molecola di NH3 è polare.
3. Determina se la molecola di CH 4 è polare.
Per determinare se la molecola è polare o apolare occorre scrivere la struttura di
Lewis della molecola e stabilire quale tipo di legame unisce gli atomi. L’azoto N
appartiene al gruppo 15 e possiede tre singoletti e un doppietto. Per raggiungere
l’ottetto forma un legame covalente con ciascuno dei tre atomi di idrogeno H.
4. Determina se un sottile flusso di CHCl 3 che
fuoriesce da un tubicino viene deviato da una
bacchetta elettrizzata.
H
N
H
H
La differenza di elettronegatività tra azoto (3,0) e idrogeno (2,1) determina la
presenza di legami covalenti eteropolari. La struttura di Lewis evidenzia che l’azoto, che è l’atomo centrale, ha un doppietto elettronico di non legame, per cui
la molecola è polare.
12.5 Polarità e miscibilità
L
a temperatura di fusione e la temperatura di ebollizione non sono le
uniche proprietà delle sostanze a essere influenzate dalla polarità delle molecole. L’esperienza di tutti i giorni ci dimostra che alcune sostanze
si mescolano tra di loro, mentre altre non lo fanno. La proprietà di due liquidi di mescolarsi è detta miscibilità. Il vino è un esempio di soluzione
prevalentemente costituita da due liquidi mescolati assieme, l’acqua e l’etanolo, cioè l’alcol etilico. La completa miscibilità tra acqua e alcol è dovuta al fatto che entrambi i liquidi sono composti polari, per cui tra le
loro molecole si formano forti legami idrogeno. Anche la benzina è una
soluzione, ma è costituita da molecole apolari, che nel caso specifico
sono idrocarburi liquidi completamente miscibili tra loro.
Vediamo ora cosa accade mescolando due liquidi con polarità diversa.
Versando nell’acqua un liquido apolare come l’olio, si osserva la formazione di due strati. L’acqua e l’olio sono due liquidi immiscibili (figura 12.9).
FIGURA 12.9
Anche dopo una vigorosa agitazione, acqua
e olio rimangono come due fasi separate. I due liquidi sono
immiscibili, essendo il primo polare e il secondo apolare.
Anche il petrolio, che è costituito da sostanze apolari, non si mescola con
l’acqua (figura 12.10). Un liquido polare aggiunto a un liquido pochissimo
polare si solubilizza se aggiungiamo solo piccole quantità di soluto: i due liquidi sono parzialmente miscibili.
Una regola generale per prevedere la solubilità tra i composti afferma che:
씰 le sostanze polari si sciolgono in quelle polari, mentre le sostanze
apolari si sciolgono nelle apolari: il simile scioglie il simile.
Gli alchimisti medievali scrivevano: «Similia similibus
solvuntur».
CH/81
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CAPITOLO
A
12
Forma delle molecole e proprietà delle sostanze
Possiamo avere una conferma di questa regola empirica, se esaminiamo
la solubilità dei solidi nei liquidi. Ci sono sostanze che si solubilizzano in
alcuni solventi, mentre sono insolubili in altri. Un solido polare come il
saccarosio, il comune zucchero, forma all’istante una soluzione con un liquido polare come l’acqua. Una sostanza solida apolare, come lo iodio I 2, è
invece insolubile in acqua. Anche in questo caso notiamo che la differente
solubilità è determinata dalla diversa polarità delle molecole.
APPROFONDIMENTO
L’accumulo e la carenza di vitamine
negli organismi
씰 Due sostanze sono solubili se hanno polarità simili.
FIGURA 12.10
Nella notte del 15 febbraio 1996 la petroliera Sea Empress si arenò nei pressi di Milford Haven, nel
Galles. Dai serbatoi della nave iniziò a uscire petrolio greggio. Il petrolio è un fluido insolubile in acqua, essendo formato da molecole apolari, gli idrocarburi (vedi § 23.1). Gli
uccelli acquatici furono tra le principali vittime dell’inquinamento da idrocarburi. Intorno a Milford Haven, un’area
che ospita un gran numero di uccelli selvatici, almeno
7000 esemplari di 25 specie diverse di uccelli furono recuperati morti o ricoperti di petrolio, come l’uria raccolta da
un volontario (foto a sinistra). Per arginare la marea nera,
molti volontari stesero barriere galleggianti presso la costa
(foto a destra). Questo accorgimento impedì un ulteriore
inquinamento delle coste, ma non poté fare nulla contro il
petrolio che continuava a fuoruscire.
12.6 La formazione delle soluzioni
N
FIGURA PARLANTE
Energia
I
SOLUTO
SOLVENTE
SOLUZIONE
Tempo
FIGURA 12.11 Se l’energia che si libera a seguito della formazione dei legami tra le particelle di soluto e di solvente
supera l’energia spesa per separare le particelle di soluto e
solvente, si ha una diminuzione dell’energia del sistema e
si forma una soluzione.
el paragrafo precedente abbiamo visto come alcune sostanze tendano
spontaneamente a mescolarsi, mentre altre non lo fanno e si separano
in fasi distinte. Come nel caso dei legami chimici (cfr. § 11.1), anche la
solubilizzazione di un soluto in un solvente avviene se si ha una diminuzione dell’energia potenziale del sistema. Quando si forma una soluzione
è necessario che si rompano sia i legami che uniscono tra loro le particelle di soluto sia i legami presenti tra le particelle di solvente. Inoltre si devono instaurare nuove interazioni tra particelle di soluto e di solvente. La
rottura dei legami è un processo che richiede sempre energia, mentre la
loro formazione rilascia energia. Affinché il processo di solubilizzazione
avvenga, occorre che le interazioni tra soluto e solvente riescano a compensare l’energia spesa per allontanare le particelle (figura 12.11).
Cerchiamo una spiegazione a livello molecolare di quanto appena detto.
Supponiamo di mescolare due sostanze A e B, le cui particelle sono legate
fra loro da legami intermolecolari, come nei liquidi o nei solidi molecolari,
o da legami primari, come nei solidi ionici, nei solidi covalenti e nei metalli. Se le forze tra le particelle di A e quelle tra le particelle di B sono complessivamente inferiori alle forze che si producono quando le particelle di
A si uniscono a quelle di B, si può formare una soluzione. Se invece le forze di attrazione tra le stesse particelle di A e le forze tra le stesse particelle
di B sono nel loro insieme superiori rispetto a quelle che intervengono tra
particelle di A e di B, non è possibile che avvenga il miscelamento. Si spiega così la regola del simile scioglie il simile. Solo sostanze con struttura simile possono dar luogo a interazioni con forze uguali o superiori a quelle
presenti tra le molecole di soluto e di solvente separati.
씰 Tra le sostanze apolari che si miscelano agiscono interazioni
dipolo-dipolo indotto o dipolo indotto-dipolo indotto, mentre tra
le sostanze polari che si solubilizzano si instaurano interazioni
dipolo-dipolo o legami idrogeno.
CH/82
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CAPITOLO
12
Forma delle molecole e proprietà delle sostanze
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
3. Prevedi, facendo riferimento alle forze intermolecolari, se il mescolamento delle
seguenti coppie di sostanze può portare alla formazione di una soluzione, ed eventualmente se in modo completo o parziale:
(a) metanolo CH3OH e acqua H2O;
(b) esano (idrocarburo) C6H14 e acqua H2O;
(c) pentano (idrocarburo) C5H12 ed esano (idrocarburo) C6H14.
5. Prevedi, facendo riferimento alle forze intermolecolari, se il mescolamento delle seguenti
coppie di sostanze può portare alla formazione di una soluzione, ed eventualmente se in
modo completo o parziale:
(a) Consideriamo la struttura dell’acqua e quella dell’alcol metilico o metanolo.
Entrambe le molecole sono in grado di stabilire legami idrogeno, che rappresentano
la forza intermolecolare dominante. La forza del legame idrogeno è maggiore nell’acqua piuttosto che nel metanolo. Quando le due sostanze vengono messe a contatto,
tra di esse si formano legami idrogeno, che globalmente hanno maggiore energia dei
legami presenti tra le molecole non miscelate. Pertanto è prevedibile che le due sostanze diano luogo a una soluzione in qualunque proporzione.
(a) etanolo C2H5OH e
metanolo CH3OH;
(b) benzene C6H6 e
acqua H2O;
(c) benzene C6H6 e
l’idrocarburo esano C6H14.
(b) L’esano è un idrocarburo, composto da una catena di sei atomi di carbonio.
La sua molecola è apolare, a differenza di quella dell’acqua, polare. Le forze che si
instaurano tra esano e acqua (interazioni dipolo-dipolo indotto) sono troppo esigue
rispetto ai legami idrogeno presenti tra le molecole d’acqua, che non riescono a essere scissi. Pertanto è prevedibile che tra le due sostanze non si formi una soluzione.
(c) Il pentano e l’esano sono due idrocarburi rispettivamente a cinque e sei atomi
di carbonio. Sono entrambi sostanze apolari e le forze di attrazione in una loro soluzione, così come nei liquidi puri, hanno valori quasi uguali. Pertanto è prevedibile
che tra le due sostanze si formi una soluzione in qualunque proporzione.
12.7
Soluzioni di un solido
in un liquido
P
roviamo ora a disciogliere un composto solido in un liquido, utilizzando acqua come solvente. Cominciamo con l’esaminare il meccanismo
con cui si sciolgono in acqua i solidi ionici, cioè quei solidi costituiti di
ioni, legati tra loro da legame ionico. Per semplicità prendiamo in esame il
cloruro di sodio NaCl allo stato solido, in cui gli ioni sono disposti in modo
da dar luogo a cristalli di forma cubica.
Quando un cristallo di cloruro di sodio viene messo in acqua, ogni ione
sodio Na+ attira verso di sé e lega con legame ione-dipolo (cfr. § 11.12) l’atomo di ossigeno di diverse molecole d’acqua (in genere 6), perché questo
atomo di ossigeno ha una parziale carica negativa (figura 12.12). Alla stessa
maniera, gli ioni cloruro Cl– attirano verso di sé e legano gli atomi di idrogeno di altre molecole d’acqua, perché questi atomi hanno una parziale carica positiva. Le cariche positive degli ioni Na+ presenti sulla superficie del
cristallo sono così neutralizzate non solo dagli ioni Cl –, ma anche dalle cariche negative delle molecole d’acqua legate. Analogo processo avviene per
I
Na+
Cl –
Cl –
Na+
FIGURA PARLANTE
FIGURA 12.12 Il cristallo di cloruro di sodio viene demolito
dalle molecole d’acqua. Le forze di attrazione tra gli ioni
sono vinte dalle forze ione-dipolo, che si stabiliscono tra
gli ioni, cationi e anioni, e le molecole d’acqua. I singoli
ioni sono separati e circondati da molecole d’acqua.
CH/83
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
LABORATORIO SEMPLICE
Conducibilità elettrica delle sostanze
FIGURA 12.13 (A), il cristallo del saccarosio, il comune
zucchero, è un solido molecolare. (B), le molecole di zucchero sono tenute insieme da legami idrogeno, indicati da
tre puntini. (C), in presenza di acqua questi legami si rompono per opera dei nuovi legami idrogeno, che si formano
tra le molecole del saccarosio e le molecole d’acqua: il cristallo si scioglie.
A
12
Forma delle molecole e proprietà delle sostanze
gli ioni cloruro. Il legame tra gli ioni Na+ e gli ioni Cl – si indebolisce tanto
da essere facilmente spezzato. Gli ioni posti sulla superficie del cristallo si
staccano uno a uno, esponendo all’azione dell’acqua altri ioni, che subiscono la stessa sorte. Il cristallo di cloruro di sodio gradualmente si scioglie in
acqua: è avvenuto il processo di dissoluzione di un solido ionico.
Gli ioni che vanno in soluzione potrebbero di nuovo legarsi tra loro per
riformare il cristallo. Ciò non avviene per quattro motivi: 1) gli ioni non riescono a venire a contatto tra loro, perché sono circondati da molecole d’acqua; 2) l’acqua posta tra gli ioni funziona da isolante e attenua le forze di attrazione tra ioni di carica opposta; 3) la carica elettrica degli ioni è neutralizzata dalle cariche elettriche delle molecole d’acqua; 4) la somma delle
energie dei legami ione-dipolo, che ogni ione stabilisce con numerose molecole d’acqua, è maggiore dell’energia del legame ionico.
Vediamo ora cosa succede se invece del sale NaCl prendiamo il saccarosio, il comune zucchero. Le molecole di saccarosio sono unite tra loro principalmente da legami idrogeno, dai quali dipende l’ordinata disposizione
presente nei piccoli cristalli di zucchero. Anche l’acqua, però, è capace di
formare forti legami idrogeno. Tra le molecole d’acqua e le molecole di saccarosio poste sulla superficie esterna dei cristalli si stabiliscono nuovi legami idrogeno, mentre quelli che univano le molecole del solido cristallino si
rompono (figura 12.13). L’energia liberata nella formazione di nuovi legami
compensa l’energia necessaria per rompere i legami vecchi e ciò consente
alle molecole di saccarosio di passare in soluzione. Con questo meccanismo
passano in soluzione i solidi molecolari, le cui particelle sono tenute insieme da legami idrogeno. I solidi covalenti e i solidi metallici, invece, non
sono solubili in acqua. Pertanto possiamo affermare che l’acqua è un ottimo
solvente per i solidi ionici e per i solidi molecolari.
B
C
Glossary
Bond angle (angolo di legame) The angle between two bond axes that started from the same atom.
Hybrid orbital (orbitale ibrido) A new orbital obtained from the mathematical combination of atomic orbitals of a same atom.
Linear geometry ( geometria lineare) The molecular geometry of the molecules with two electron
pairs around the central atom. The angle between the electron pairs is 180°.
Nonpolar molecule (molecola apolare) A molecule in which the bonding electrons are equally shared between the two atoms and with no permanent dipole.
Polar molecule (molecola polare) A molecule with a separation of charge in the chemical bonds and
with a permanent dipole.
Tetrahedral geometry ( geometria tetraedrica) The molecular geometry of the molecules with four
electron pairs around the central atom. The angle between the electron pairs is approximately
109,5°.
Trigonal planar geometry ( geometria triangolare planare) The molecular geometry of the molecules
with three electron pairs around the central atom. The angle between the electron pairs is approximately 120°.
CH/84
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FACCIAMO IL PUNTO
Domande aperte
Esercizi di completamento
11 Che cosa rappresenta l’angolo di legame?
12 Per quale motivo è importante definire la forma delle mo-
21
lecole?
13 Quali sono i fattori che determinano la forma delle molecole?
14 Che cos’è la geometria molecolare?
15 Specifica i punti su cui è basata la teoria VSEPR.
16 Per quale motivo a volte struttura molecolare e forma del-
A
Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello
spazio vuoto il termine opportuno.
Quando due ……………………………………………………………… diversi si mescolano e danno luogo a orbitali con caratteristiche nuove
rispetto a quelle di partenza, si ha il fenomeno della
……………………………………………………………………………………………
la molecola non coincidono?
17 Che cosa è una coppia di non legame?
18 Nella molecola di diossido di carbonio, quanto vale l’angolo di legame tra il carbonio e gli atomi di ossigeno?
19 Quanto valgono, secondo la teoria VSEPR, gli angoli di le-
…………………………………………………………………
tria molecolare diversa. Perché?
12 Perché la teoria degli orbitali ibridi permette di risalire alla
geometria delle molecole?
13 Che cosa significa che un atomo è ibridato?
14 Che cosa si intende col termine ibridazione degli orbitali?
15 In che cosa consiste l’ibridazione sp, sp2 e sp3? Fai alcuni
aumentare il …………………………………………………………………… di legami
……………………………………………………………
eteropolari risultano apolari? Fai alcuni esempi.
17 Come è possibile determinare se una molecola è polare?
18 Quali sono le principali proprietà che vengono influenzate
dalla polarità delle molecole?
19 Perché alcuni liquidi sono miscibili tra loro e altri no?
20 In quale tipo di composti si sciolgono le sostanze polari?
che un atomo può formare e
rende le molecole più ………………………………………………………………… . Se,
come nel caso del metano CH4 , il ………………………………………………………
ibrida un orbitale s con …………………………………………… orbitali p, si
ha ibridazione sp3. La molecola del metano ha forma di
…………………………………………………
esempi.
16 Per quale motivo alcune molecole con legami covalenti
sono isoenergetici e hanno
la stessa …………………………………………… . L’ibridazione consente di
game nelle molecole con forma triangolare planare?
10 Perché alcune molecole hanno una forma piegata?
11 I composti BH3 ed NH3 hanno formula simile, ma geome-
. Gli orbitali
, con ………………………………………………… di lega-
me di 109,5°, ed è ……………………………………………………… , essendo formata da ………………………………………………………………… legami covalenti
…………………………………………………
. Nel metano la distribuzione della
carica elettrica è …………………………………………………… e i quattro atomi
di …………………………………………………… sono equidistanti dal carbonio.
VERIFICA LE CONOSCENZE
Esercizi di corrispondenza
22
A
Unisci con una freccia gli elementi della prima colonna a
quelli corrispondenti della seconda.
benzina e acqua
Pauling
simile scioglie il simile
polare
VSEPR
triangolare planare
acqua
teoria degli orbitali ibridi
CO2
ibridazione sp2
tetraedro
acqua e etanolo
apolare
repulsioni
109,5°
liquidi immiscibili
CH/85
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
G U I DA A L L O ST U D I O
EA
G U I DA A L L O S T U D I O
EA
A
Domande a scelta multipla
23
31
Quale tra le seguenti sostanze è sicuramente un gas a temperatura ambiente?
Quale tra le seguenti affermazioni non è corretta?
A CHCl 3;
B CH 4;
A le proprietà delle molecole sono influenzate dalla loro
C CH3 OH;
D CH2Cl2.
forma;
B le proprietà delle molecole sono influenzate dalle loro
dimensioni;
C le proprietà delle molecole dipendono esclusivamente
dal tipo di legame presente;
D le proprietà delle molecole sono influenzate dall’angolo di legame.
24
Quale tra le seguenti affermazioni non riguarda il modello
VSEPR?
A permette di determinare la forma delle molecole;
32
33
34
Quale molecola presenta atomi con ibridazione sp3?
A BeF2;
B BF3;
C CO2;
D CCl4.
Quale molecola presenta atomi con ibridazione sp2?
A CH4;
B CO2;
C BF3;
D BeCl2.
Quale molecola presenta atomi con ibridazione sp?
B considera gli orbitali atomici;
A CCl4;
B BF3;
C considera le repulsioni tra le coppie elettroniche di
C BeCl2;
D CH4.
valenza;
D permette di prevedere gli angoli di legame.
35
Quale tra le seguenti affermazioni non è corretta?
A gli orbitali ibridi derivano dal mescolamento di orbitali
25
s e p di differenti atomi;
B gli orbitali ibridi, che si ottengono dal mescolamento
di orbitali s e p, sono isoenergetici;
C dal mescolamento di un certo numero di orbitali s e p
si forma lo stesso numero di orbitali ibridi;
D gli orbitali ibridi derivano dal mescolamento degli orbitali esterni di uno stesso atomo.
Una molecola con tre coppie elettroniche di legame attorno
all’atomo centrale ha struttura:
A tetraedrica;
B triangolare planare;
C lineare;
D ottaedrica.
26
Una molecola con due coppie elettroniche di legame e una
coppia di non legame sull’atomo centrale ha forma:
36
A triangolare planare;
B tetraedrica;
C lineare;
D piegata.
27
28
29
37
In una molecola con forma triangolare planare gli angoli di
legame sono di:
A 180°;
B 109,5°;
C 104,5°;
D 120°.
38
Quale tra le seguenti molecole ha angoli di legame maggiori?
A BeH2;
B BF3 ;
C PF3 ;
D CCl 4.
A 90°;
B 109,5°;
C 180°;
D 120°.
In una molecola in cui vi è un atomo ibridato sp3, gli angoli di
legame sono:
A 90°;
B 180°;
C 109,5°;
D 120°.
Nella molecola di diossido di carbonio CO2, oltre ai singoletti
negli orbitali ibridati:
A non rimangono altri singoletti in orbitali non ibridati;
B rimane 1 singoletto in 1 orbitale non ibridato;
C rimangono 2 singoletti in 2 orbitali non ibridati;
D rimangono 3 singoletti in 3 orbitali non ibridati.
Quale tra le seguenti sostanze è insolubile in acqua?
A una sostanza apolare;
39
B una sostanza polare;
C una sostanza ionica;
D nessuna delle precedenti.
30
L’angolo di legame presente nella molecola di diossido di carbonio CO2 è:
Quale tra le seguenti affermazioni è corretta?
40
Quale tra le seguenti molecole è polare?
A CO2;
B BF3;
C CH4;
D NH3.
Quale tra le seguenti molecole è apolare?
A una sostanza biatomica con legami covalenti eteropo-
A CO2;
B HCl;
lari è solubile in acqua;
B una sostanza biatomica con legami covalenti omopolari non si trova mai allo stato gassoso;
C una sostanza polare è sicuramente gassosa;
D una sostanza apolare è miscibile in un solvente polare.
C CHCl3;
D NH3.
41
Quale tra le seguenti molecole ha geometria tetraedrica?
A HgCl2;
B SF6;
C CCl4;
D BF3.
CH/86
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VERIFICA LE ABILITÀ
A
Gioca e impara
42
1.
2.
3.
4.
5.
49
Inserisci nelle linee orizzontali dello schema in basso i termini
corrispondenti alle seguenti definizioni e, nelle caselle in colore, vedrai comparire il nome del solvente più importante.
Considera le seguenti molecole e indica quali di esse sono polari e quali apolari. Indica, inoltre, se nella molecola di ClF
sono presenti cariche negative ed eventualmente dove sono
localizzate.
A H O;
2
B CO2;
È la forma delle molecole ibridate sp.
La proprietà di mescolarsi dei liquidi.
La forma piramidale del BrF5.
Lo sono i solidi polari nei solventi polari.
La forma del metano CH4.
C CCl 4;
D ClF;
E NH3.
50
1
Per ciascuna delle seguenti molecole determina se è polare o
apolare:
A SO3;
2
B Cl2O;
3
C CS2;
4
D O2.
5
51
Per ciascuna delle seguenti molecole determina la forma e l’angolo di legame:
A NCl3;
B CF4;
Esercizi e problemi
C H2S;
43 Classifica le seguenti molecole in tre gruppi, sp, sp2, sp3, in
D BCl3.
base al tipo di orbitali ibridi in esse presenti.
CO2; BH3; CH2Cl2; BeH2; CCl4;
CH2O; BHCl2; CHCl3; CH3Cl.
44 Si conoscono tre tipi di ibridazione tra gli orbitali s e p. Quale forma, descritta nel piano o nello spazio, della molecola
risultante dal legame dell’orbitale ibrido è associata a ciascun tipo di ibridazione?
45 Ognuna delle seguenti sovrapposizioni tra orbitali di due
Question
52
atomi di carbonio dà luogo a un legame. Per ogni legame fai
un esempio di molecola in cui sia contenuto.
A un orbitale p con un orbitale p;
53
B un orbitale sp con un orbitale sp;
C un orbitale sp2 con un orbitale sp2;
Which of the following compounds is polar?
A CBr4;
B
C BeCl 2;
D
N2;
NF3.
The shape of the carbon dioxide molecule is:
A linear;
B
C square;
D
tetrahedral;
exagonal.
D un orbitale sp3 con un orbitale sp3.
Fai anche un esempio di molecola in cui due orbitali p di un
atomo di carbonio si sovrappongano con due orbitali p dell’altro atomo.
46 Perché in alcuni casi la forma della molecola prevista in base
alla teoria degli orbitali ibridi non coincide con quanto si ricava dai dati sperimentali?
47 Perché nel diossido di zolfo SO2 il valore dell’angolo di legame non è esattamente 120°, ma è di poco inferiore?
48
Quale tipo di ibridazione viene utilizzata dall’atomo evidenziato
in colore in ciascuna delle seguenti molecole?
A BBr3;
B
CO2;
C CH2Cl2;
D
BeCl2.
54 Which of the following compounds has the greatest bond
polarity?
A PH3;
B
C HF;
D
NH3;
H2S.
55 Which of the following is not tetrahedral in shape?
A CH4 ;
B
C CCl 4 ;
D
SO2;
NH 4+.
56 Which of the following hybridization patterns is associated
with trigonal planar geometry?
A sp3;
C
sp2d;
CH/87
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B
D
sp;
sp2.
G U I DA A L L O S T U D I O
EA
C A P I TO L O
13
Nomi e formule dei
composti chimici
13.1 La formula di un composto
S
C 6 H6
Formula molecolare
CH
Formula minima
H
H
C
H
C
C
C
C
H
H
C
H
Formula di struttura
FIGURA 13.1
Formula molecolare, formula minima e formula di struttura del benzene, importante composto organico. Si noti come la formula minima e quella molecolare
non forniscano indicazioni sul numero e sulle caratteristiche dei legami presenti nella molecola.
appiamo già dal capitolo 1 che a ogni valore di numero atomico Z corrisponde un determinato elemento e che a esso può essere associato un
simbolo chimico che lo rappresenti. Nel capitolo 11 abbiamo inoltre mostrato che atomi uguali o diversi si combinano tra loro mediante legami chimici, formando molecole o composti ionici secondo un numero elevatissimo di possibili combinazioni. Per operare agevolmente in chimica, è necessario adottare a questo punto un sistema di regole che consenta di assegnare a ciascun composto un nome e una formula, così da renderlo immediatamente riconoscibile e identificabile. Impariamo prima a scrivere le formule,
poi a classificare i composti e a identificarli con un nome specifico.
Le formule delle molecole sono scritture ricche di significato. Una formula chimica è una notazione in grado di dare informazioni sul numero
degli atomi che costituiscono il composto e sul tipo e sul numero di legami
chimici che uniscono gli stessi atomi (cfr. § 1.12). Da una formula si può risalire rapidamente alla struttura, alla forma e alle proprietà della molecola.
Scrivere la formula molecolare di un composto significa indicare in che
rapporto numerico sono gli atomi che costituiscono una singola molecola.
Scrivere la formula minima significa invece indicare il rapporto minino di
numeri interi esistente tra gli atomi o gli ioni che costituiscono un composto chimico. Entrambe le formule si differenziano notevolmente dalla formula di struttura, che indica non solo il numero degli atomi costituenti, ma
anche la loro disposizione nello spazio e il numero di legami presenti tra
essi (figura 13.1).
13.2
P
Valenza e numero di ossidazione
er scrivere la formula di un composto chimico dobbiamo prestare particolare attenzione a due caratteristiche riguardanti gli atomi coinvolti:
• la posizione degli elementi nel Sistema periodico, da cui si può risalire al
loro comportamento metallico o non-metallico;
• la configurazione elettronica esterna degli elementi, per valutare l’eccesso o il difetto di elettroni rispetto alla configurazione più stabile.
La maggior parte degli elementi tende a raggiungere
la configurazione elettronica esterna stabile s 2p6; gli
elementi vicini all’elio, H, Li e Be, tendono a raggiungere la configurazione esterna s 2.
La conoscenza di questi aspetti consente di prevedere il tipo e il numero
di legami che l’atomo può formare. In base alla loro posizione nel Sistema
periodico, gli elementi tendono, in misura maggiore o minore, a cedere,
scambiare o acquistare elettroni, così da raggiungere l’ottetto, cioè la configurazione elettronica esterna s 2p 6 a bassa energia (cfr. § 11.2).
CH/88
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CAPITOLO
13
Nomi e formule dei composti chimici
A tal proposito viene definito uno specifico parametro: la valenza di un
elemento in un composto, che è il numero di legami che l’elemento instaura con atomi di altri elementi. La valenza corrisponde al numero di elettroni ceduti, acquistati o condivisi dall’elemento nel composto considerato.
Gli elettroni più esterni di un atomo sono infatti chiamati elettroni di valenza (cfr. § 10.3), mentre quelli più interni, non utilizzabili per formare legami, sono chiamati elettroni del nocciolo (tabella 13.1). La determinazione
della valenza segue la cosiddetta regola dell’ottetto di Kossel:
씰 Gli elementi tendono a raggiungere la configurazione elettronica
stabile del gas inerte più vicino, condividendo, acquistando o cedendo
il necessario numero di elettroni.
Elemento
Elettroni del
nocciolo
Elettroni di
valenza
Gruppo nel
Sistema periodico
Carbonio (C)
1s 2
2s 2 2p 2
14 (IV)
Fluoro (F)
1s 2
2s 2 2p 5
17 (VII)
Sodio (Na)
1s 2 2s 2 2p6
3s 1
17 (I)
Fosforo (P)
1s 2 2s 2 2p6
3s 2 3p3
15 (V)
Titanio (Ti)
1s 2 2s 2 2p6 3s 2 3p63d 2
4s 2
Elementi di transizione
Anche la valenza degli elementi è una proprietà periodica. Gli elementi
che fanno parte dello stesso gruppo del Sistema periodico hanno la stessa
valenza. Se usiamo la numerazione tradizionale dei gruppi, si nota che la
valenza aumenta progressivamente dal gruppo I fino al gruppo IV e poi diminuisce dal gruppo V al gruppo VII (tabella 13.2).
Per scrivere le formule si fa spesso riferimento a un altro parametro ancora più utile della valenza: il numero di ossidazione, un indice dello stato di
combinazione degli atomi. Il numero di ossidazione (n.o.) di un elemento
in un composto può essere definito come la carica elettrica formale che l’elemento assumerebbe nel composto, se gli elettroni di ciascun legame venissero attribuiti all’atomo più elettronegativo, come se da esso fossero
completamente acquistati.
TABELLA 13.1 Elettroni del nocciolo ed elettroni di valenza di cinque noti elementi.
Nella numerazione tradizionale il gruppo è indicato
da numeri romani; inoltre sono saltati i dieci gruppi,
dal 3 al 12, degli elementi di transizione.
Gruppo
I
II
III
IV
V
VI
VII
Valenza
1
2
3
4
3
2
1
TABELLA 13.2 La valenza degli elementi è una proprietà
periodica e corrisponde al numero di elettroni di valenza
spaiati di un atomo. Per comodità di consultazione la numerazione del gruppo è quella tradizionale.
씰 Il numero di ossidazione di un atomo indica il numero di elettroni che
l’atomo possiede, o comunque utilizza, in eccesso o in difetto rispetto al
numero che lo stesso atomo possiede allo stato elementare.
Poiché si riferisce a valori di carica elettrica, il numero di ossidazione
può assumere sia valori positivi che negativi. Il valore del numero di ossidazione può non coincidere con quello della valenza dell’elemento. Per
esempio, la valenza del carbonio è quasi sempre 4, mentre il suo numero di
ossidazione varia da + 4 a – 4 e può anche essere un numero non intero.
Molti elementi, quando si combinano, presentano un solo numero di ossidazione, perché hanno una sola possibilità di ulteriore stabilizzazione.
Altri elementi, invece, possono trovarsi combinati in modo da assumere
differenti numeri di ossidazione. Avevamo visto, studiando il Sistema periodico, che gli elementi sono classificati in metalli o non-metalli in base al
loro comportamento chimico. Gli elementi che possono cambiare numero
di ossidazione si comportano a volte da metalli, quando hanno un ben definito stato di ossidazione, altre volte da non-metalli, con un differente numero di ossidazione. Si definisce anfotero il comportamento degli elementi
che hanno caratteristiche intermedie tra quelle metalliche e non-metalliche
a seconda del loro numero di ossidazione.
Nella tabella 13.3 sono indicati i più comuni numeri di ossidazione di alcuni importanti elementi e le relative caratteristiche metalliche, non-metalliche o anfotere.
La valenza di un elemento in un composto è sempre
un numero positivo, mentre il numero di ossidazione
può assumere sia valori positivi sia valori negativi.
LABORATORIO SEMPLICE
Valenza e numero di ossidazione
CH/89
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CAPITOLO
Simbolo
TABELLA 13.3
Principali numeri di ossidazione e carattere metallico, non-metallico o anfotero degli elementi più
significativi. Nei loro composti alcuni elementi hanno
proprietà differenti a seconda del corrispondente numero
di ossidazione.
H
Li
Na
K
Cu
Ag
Au
Mg
Ca
Zn
Cd
Hg
B
Fe
Al
C
Si
Sn
Pb
N
P
As
O
S
Cr
F
Cl
Br
I
Mn
13
Nomi e formule dei composti chimici
Nome
dell’elemento
Idrogeno
Litio
Sodio
Potassio
Rame
Argento
Oro
Magnesio
Calcio
Zinco
Cadmio
Mercurio
Boro
Ferro
Alluminio
Carbonio
Silicio
Stagno
Piombo
Azoto
Fosforo
Arsenico
Ossigeno
Zolfo
Cromo
Fluoro
Cloro
Bromo
Iodio
Manganese
Carattere
metallico
Carattere
anfotero
Carattere
non-metallico
±1
+1
+1
+1
+1, +2
+1
+1, +3
+2
+2
+2
+2
+1, +2
+2
+3
+2, +3
+3
+2, +4
+4
+2, +4
+4
+2
+3
+2
+4
+2 (raro), +4
+2 (raro), +4
+4
±1, +2, ±3, +4, +5
±3, +5
±3, +5
–1 (solo nei perossidi), –2
–2, +4, +6
+6
–1
–1, +1, +3, +5, +7
–1, +1, +3, +5
–1, +1, +3, +5, +7
+6, +7
13.3 Calcolo del numero di ossidazione
I
l calcolo del numero di ossidazione è abbastanza semplice, ma occorre
prestare bene attenzione all’effettivo stato dei legami tra gli atomi. Per facilitare l’operazione abbiamo riunito nella tabella 13.4 le regole generali per
la determinazione del n.o., valide sia per le molecole sia per gli ioni.
Un atomo allo stato elementare, isolato e non combinato, ha numero di
ossidazione uguale a 0, perché mantiene inalterato il proprio numero di
protoni e di elettroni e rimane elettricamente neutro. Non ci sono, infatti,
elettroni in eccesso o in difetto. Gli atomi di elio He, ad esempio, non stabiliscono mai legami, non scambiano mai elettroni e, come gli atomi degli altri gas inerti, hanno sempre numero di ossidazione 0 (tabella 13.5).
Due atomi uguali, uniti da uno o più legami covalenti omopolari, non si
sottraggono a vicenda gli elettroni, che sono equamente condivisi. In queste
molecole gli atomi rimangono elettricamente neutri e il loro n.o. è pertanto
0. Per esempio, nelle molecole di ossigeno O2, di azoto N2 e di cloro Cl2 gli
atomi hanno n.o. 0.
Nei composti ionici, poiché gli ioni si formano a seguito di totale cessione o acquisto di elettroni da parte di atomi neutri, il numero di ossidazione
può essere ricavato semplicemente contando il numero delle cariche positive o negative degli ioni che formano il composto. Il n.o. di uno ione coincide col numero delle cariche elettriche dello ione e ha il suo stesso segno.
Per calcolare il numero di ossidazione degli atomi in una molecola, bisogna invece dapprima valutare l’elettronegatività degli atomi presenti e il
numero dei legami che essi formano. Se i legami sono covalenti eteropolari,
CH/90
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CAPITOLO
13
Nomi e formule dei composti chimici
un atomo attira in misura maggiore verso di sé gli elettroni di legame e tende a caricarsi negativamente, mentre l’altro atomo, meno elettronegativo, si
carica positivamente. Per esempio, nella molecola dell’acqua (figura 13.2)
l’ossigeno attira verso di sé gli elettroni di ambedue i legami O ⎯
⎯ H e quindi acquisisce parzialmente due elettroni in più rispetto alla sua carica originale; per questo il suo numero di ossidazione è pari a –2. Ciascun atomo di
idrogeno, invece, perdendo parzialmente l’elettrone si carica positivamente:
il suo numero di ossidazione è +1.
Ogni atomo che perde un elettrone di legame, anche se in modo parziale,
assume una carica positiva e il valore del numero di ossidazione è contraddistinto dal segno +; ogni specie chimica che, invece, riceve un elettrone,
anche parzialmente, assume una carica negativa e il numero di ossidazione
è contraddistinto dal segno –. Nel calcolo del numero di ossidazione di un
elemento in una molecola bisogna valutare quanti elettroni sono stati ceduti
o acquistati dall’elemento. La molecola nel suo complesso è neutra e perciò
il numero totale di elettroni acquistati deve essere sempre uguale al numero
degli elettroni ceduti. Ciò equivale a dire che la somma algebrica dei numeri di ossidazione degli elementi di una molecola neutra è uguale a 0.
Consideriamo, per esempio, il composto idrossilammina, H ⎯
⎯O⎯
⎯ NH 2
(figura 13.3). L’atomo di azoto è più elettronegativo dell’idrogeno e quindi
acquista parzialmente due elettroni dai due atomi di idrogeno cui è legato
(–2). Lo stesso atomo di azoto, però, è legato anche all’ossigeno, rispetto al
quale è meno elettronegativo: all’ossigeno perciò cede parzialmente 1 elettrone (+1). Il numero di ossidazione dell’azoto N in questo composto è pertanto –1, come risultato dell’acquisto di 2 cariche negative dagli H e della
cessione di 1 carica negativa all’O: (–2) + (+1) = –1. L’ossigeno acquista 1
carica negativa dall’azoto e una dall’idrogeno, cui è direttamente legato, e
ha numero di ossidazione –2. I tre idrogeni del composto hanno tutti perso
il loro elettrone di valenza e hanno quindi n.o. +1. Nel complesso la somma
algebrica del numero di ossidazione degli atomi presenti [(H) +1, +1, +1;
(O) –2; (N) –1] risulta uguale a 0.
Il n.o. di una specie chimica allo stato elementare è 0.
2
Nel calcolo del n.o. non bisogna tenere conto dei legami tra gli atomi dello
stesso elemento; infatti, due atomi uguali hanno la stessa elettronegatività
e non possono sottrarsi vicendevolmente gli elettroni.
3
I cationi e gli anioni hanno un n.o. che corrisponde alla propria carica.
4
In una molecola la somma algebrica dei n.o. di tutti gli atomi è 0.
5
L’idrogeno (H) ha sempre n.o. +1, tranne che negli idruri, composti binari con
i metalli, in cui presenta n.o. -1.
6
L’ossigeno (O) ha sempre n.o. –2, tranne che in OF2 (n.o. +2) e nei composti
denominati perossidi (—O—O—, n.o. –1) e superossidi (n.o. –1/2).
7
I metalli hanno sempre n.o. positivo. I metalli alcalini, cioè quelli del gruppo 1,
hanno sempre n.o. +1; i metalli alcalino-terrosi, cioè quelli del gruppo 2 più
zinco (Zn) e cadmio (Cd), hanno sempre n.o. +2; gli elementi del gruppo 3, come
alluminio (Al) e boro (B), hanno sempre n.o. +3.
8
Il fluoro (F) ha sempre n.o. –1. Il cloro (Cl), il bromo (Br) e lo iodio (I) hanno
n.o. –1, tranne che nei composti in cui sono legati a fluoro o ossigeno, nei quali
assumono n.o. positivi (+1, +3, +5, +7).
0
He
Atomo
di oro
0
Au
Molecola
di idrogeno
0
0
H⎯ H
Molecola
di ossigeno
0
0
O == O
0
N ≡≡ N
Ione
sodio
+1
Na+
Ione
bario
+2
Ba++
Acqua
H
+1
FIGURA 13.2
Nella molecola dell’acqua l’ossigeno, più
elettronegativo dell’idrogeno, attira verso sé la carica
elettrica. Nel calcolo del numero di ossidazione assegniamo all’ossigeno gli elettroni di entrambi i legami O ⎯ H
e il suo numero di ossidazione diventa perciò –2. L’atomo
di idrogeno, invece, perdendo parzialmente l’elettrone si
carica positivamente e assume numero di ossidazione +1.
Poiché nei legami intervengono solo gli elettroni più
esterni, i soli che possono essere ceduti, non si può
verificare che un atomo abbia un numero di ossidazione superiore al numero degli elettroni di valenza.
+1
–2
O
H
+1
Idrossilammina
H
–1
N
I
H
+1
FIGURA
PARLANTE
FIGURA 13.3 Nel calcolo del numero di ossidazione di un
elemento bisogna tenere in considerazione sia gli elettroni
ceduti che quelli acquistati. Nella molecola dell’idrossilammina l’azoto assume gli elettroni dei legami N ⎯ H, ma
perde quelli del legame O ⎯ N e ha pertanto n.o. –1.
ossidazione.
Molecola
di azoto
0
H
+1
TABELLA 13.4
1
Atomo
di elio
–2
O
← Regole utili per il calcolo del numero di
TABELLA 13.5 ↓ Atomi, molecole e ioni con il numero di
ossidazione di ogni elemento indicato sopra il simbolo
chimico.
Ione
alluminio
+3
Al+++
Ione
cloruro
–1
Cl–
CH/91
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Ione
solfuro
–2
S ––
Molecola
di acqua
+1 –2
H2O
CAPITOLO
Negli ioni poliatomici, ioni costituiti da più atomi come lo
ione solfato SO 2–
4 , la somma algebrica dei numeri di ossidazione deve risultare uguale alla carica dello ione. Pertanto nello ione solfato il n.o. dello zolfo (S) è +6. Infatti
[4 × (–2)] + n.o.S = –2.
n.o.Ca + n.o.X + 3 (n.o.O) = 0
n.o.Ca + n.o.X + 3 (–2) = 0
Numero di ossidazione degli elementi in alcuni composti. Le freccine rosse indicano in che direzione
si spostano gli elettroni di legame. Il numero segnato sopra il simbolo dell’elemento indica il numero di ossidazione dell’elemento in quel composto. Si noti che: a) uno
stesso elemento in composti diversi può avere un numero
di ossidazione diverso; b) la somma algebrica dei numeri
di ossidazione di tutti gli atomi di un composto è 0; c)
nel caso di un doppio legame o di un legame dativo lo
spostamento riguarda due elettroni
+1
–2
+1
Na H
H
O
H
0
Cl
(regola 4)
Per quanto riguarda l’ossigeno, il punto 6 della tabella 13.4 ci permette di
stabilire che il suo n.o., tranne nei casi particolari di OF2, dei perossidi e
dei superossidi, è sempre –2. La relazione precedente pertanto diventa:
FIGURA 13.4
–1
Nomi e formule dei composti chimici
Le regole presentate nella tabella 13.4 ci consentono anche di determinare il numero di ossidazione di elementi di cui non conosciamo esattamente
le caratteristiche, come accade spesso con gli elementi di transizione. Supponiamo, ad esempio, di avere un composto di formula CaXO3, dove X indica un elemento di cui non conosciamo le proprietà e il numero di ossidazione. Poiché sappiamo che in una molecola la somma algebrica dei n.o. di
tutti gli atomi deve essere 0, possiamo scrivere:
Molti elementi di transizione hanno, oltre a 0, due o più
numeri di ossidazione, tra i quali c’è quasi sempre +2.
+1
13
(regola 6)
Il punto 7 della tabella ci dice che i metalli alcalino-terrosi, cioè quelli
del gruppo 2 di cui il calcio (Ca) fa parte, hanno sempre n.o. +2, e quindi:
(+2) + n.o.X + 3 (–2) = 0
(regola 7)
da cui possiamo ricavare che l’elemento X ha n.o. + 4:
n.o.X = 6 – 2 = +4
Altri esempi per il calcolo del numero di ossidazione sono riportati nella
figura 13.4.
0
+1
–1
+1
–2
+1
0
0
Cl
H
Cl
H
O
Cl
N
N
+1
–1
Na Cl
+1
–2
+3
–2
+2
–2
–1
+2
–1
+1
–2
+3
–2
+1
–1
–1
+1
H
O
Cl
O
Ba
O
Cl
Hg
Cl
H
O
N
O
H
O
O
H
–2
O
+1
H
+1
–2
–1
H
O
N
–2
O
+1
–2
+5
–2
+3
–2
H
O
Cl
O
Al
O
+5
P
+1
–2
Na
O
–2
O
+6
+2
Ba
S
–2
O
O
+6
O
–2
–2
S
+1
–2
+1
–2
–2
–2
–2
H
O
Na
O
O
O
O
Uno stesso elemento in composti diversi può avere un
numero di ossidazione diverso.
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
1. Calcola il numero di ossidazione del manganese (Mn) nel composto KMnO4,
permanganato di potassio.
1. Calcola il numero di ossidazione dello zolfo
(S) nel composto H2SO4, acido solforico.
Ogni atomo di ossigeno ha numero di ossidazione –2 e l’atomo di potassio, metallo
alcalino cioè elemento del gruppo 1, ha numero di ossidazione +1. Eseguendo la
somma algebrica del n.o. degli atomi che costituiscono il composto e indicando con
n.o.Mn il numero di ossidazione del manganese, poiché in base alla regola 4 la somma algebrica di tutti i n.o. della molecola deve essere 0, abbiamo:
[(+1) + n.o.Mn + 4 × (–2)] = 0
e quindi:
n.o.Mn = + 7
2. Calcola il numero di ossidazione del fosforo
(P) nel composto AlPO4, fosfato di alluminio.
CH/92
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
13
Nomi e formule dei composti chimici
Numero di ossidazione e formule
13.4
L
a formula chimica è il modo più conveniente, rapido ed esplicito per
rappresentare le specie chimiche e per comunicare informazioni sulle
loro caratteristiche. La scrittura della formula chimica deve essere, però,
un’operazione facile e veloce, per risultare effettivamente di aiuto nel lavoro del chimico.
Per comporre una formula non possiamo fare affidamento solo sulle nostre capacità di memorizzazione. Per ricavare le formule ricorriamo piuttosto al Sistema periodico, tenendo ben presente il significato della posizione
degli elementi. Inoltre, ora che conosciamo il numero di ossidazione dei
vari atomi, la scrittura della formula di un composto diventa un’operazione
ancora più facile, anche nel caso di sostanze relativamente complesse.
Applicare i numeri di ossidazione per scrivere le formule è un po’ come
risolvere un cruciverba. In entrambi i casi bisogna fissare all’inizio alcuni
segni e posizioni chiave, per poter successivamente completare con una
certa facilità l’intero quadro. Una volta stabiliti i numeri di ossidazione degli elementi di riferimento, è sufficiente solo un po’ di esercizio perché la
scrittura delle formule diventi un gioco di abilità.
Il criterio che ci guida è ancora quello per cui in ogni composto la somma
algebrica dei numeri di ossidazione deve essere sempre uguale a 0.
Gli indici della formula di un composto binario, cioè formato da due elementi diversi, possono essere determinati con la cosiddetta regola della croce. La formula si ottiene scrivendo il valore numerico del numero di ossidazione di un elemento come indice dell’altro elemento. Nel caso in cui gli
indici siano multipli occorre dividere per il massimo comun divisore.
Supponiamo di dover scrivere la formula del composto formato dal boro
con l’ossigeno. Il boro B, elemento del gruppo 13, ha numero di ossidazione
+3; l’ossigeno O, come al solito, ha numero di ossidazione –2. Incrociando i
numeri di ossidazione secondo la regola della croce, la formula diventa
B2O3. Nella molecola sono presenti due atomi di boro [2 × (+3) = + 6], che
controbilanciano i tre atomi di ossigeno [3 × (– 2) = – 6]. In questo modo la
somma algebrica dei numeri di ossidazione risulta 0 (figura 13.5).
I
+3
FIGURA
PARLANTE
Boro
FIGURA 13.5
Nella scrittura della formula di un composto
binario l’indice che si pone in basso a destra del simbolo di
un atomo è il valore numerico del n.o. dell’altro atomo.
–2
B
O
+3
Ossigeno
–2
B
O
B2O3
Ricordiamo che nella scrittura delle formule gli elementi vanno citati seguendo la loro disposizione da sinistra verso destra nel Sistema periodico.
Per convenzione gli elementi vengono così scritti in ordine di elettronegatività crescente (figura 13.6).
FIGURA 13.6
L’ordine di disposizione dei simboli degli
elementi in una formula prevede che siano citati prima
quelli meno elettronegativi. La freccia evidenzia l’ordine
di scrittura degli elementi in base alla loro posizione nel
Sistema periodico. Dato il suo valore di elettronegatività,
l’idrogeno è posizionato tra l’azoto e il polonio.
H
He
Li
Be
B
C
N
O
F
Ne
Na
Mg
Al
Si
P
S
Cl
Ar
K
Ca
Sc
Ti
V
Cr
Mn
Fe
Co
Ni
Cu
Zn
Ga
Ge
As
Se
Br
Kr
Rb
Sr
Y
Zr
Nb
Mo
Tc
Ru
Rh
Pd
Ag
Cd
In
Sn
Sb
Te
I
Xe
Cs
Ba
La
Lu
Hf
Ta
W
Re
Os
Ir
Pt
Au
Hg
Ti
Pb
Bi
Po
At
Rn
Fr
Ra
Ac
Lr
CH/93
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CAPITOLO
13
Nomi e formule dei composti chimici
13.5 Nomenclatura chimica
A
L
APPROFONDIMENTO
Il nome dei minerali
«International Union of Pure and Applied Chemistry»
è tradotto in italiano in «Unione Internazionale di
Chimica Pura e Applicata».
PER SAPERNE DI PIÙ
Con una nomenclatura razionale, come quella IUPAC,
se il composto N2O viene chiamato «ossido di diazoto» e il composto NO prende il nome di «ossido di
azoto», è facile risalire al fatto che il composto NO2
si debba chiamare «diossido di azoto».
a formula chimica consente di individuare in modo preciso ogni composto. Nel linguaggio parlato e per soddisfare le nostre esigenze di comunicazione abbiamo bisogno, però, anche di nomi, oltre che di formule e numeri. La nomenclatura chimica è il complesso di regole che consente di attribuire un nome a ogni composto di cui si conosca la formula e, viceversa,
di ricavare la formula una volta noto il nome del composto.
Nel passato la nomenclatura chimica non era soggetta a regole oppure seguiva criteri non omogenei e non razionali. In molti casi erano assegnati
alle sostanze nomi che si riferivano al loro uso comune oppure alle loro
proprietà, sia chimiche che fisiche come l’odore e il colore, o alla loro derivazione, come l’acido formico e l’acido acetico, o al loro scopritore, come il
sale di Zeise e il sale di Magnus.
Ai tempi dell’alchimia medievale era pratica comune assegnare alle sostanze nomi di fantasia, che aiutavano a mantenere un alone di mistero e di
magia attorno al lavoro degli alchimisti. Quella terminologia ha lasciato
traccia nel linguaggio comune. L’alcol etilico, per esempio, è ancora oggi
chiamato spirito, perché con un soffio d’aria sembra scomparire nel nulla.
Gli antichi nomi sono stati mantenuti dai chimici moderni solo in pochi
casi. Col tempo è emersa sempre più l’esigenza di attribuire alle sostanze
nomi sulla base di regole definite. Le conoscenze nel campo della chimica
hanno potuto così liberamente circolare ed essere condivise.
Una commissione internazionale composta da chimici, la IUPAC (International Union of Pure and Applied Chemistry), iniziò nel 1961 il lavoro
di revisione della nomenclatura, cercando di uniformare criteri e norme. I
chimici della IUPAC stabilirono una serie di regole in modo che i nomi dei
composti fossero gli stessi in tutti i Paesi del mondo, fossero facilmente riconoscibili e razionali. Una nomenclatura razionale significa che il criterio
per assegnare il nome a un composto segue regole generali, valide per ogni
composto. Pertanto, anche chi non ha mai sentito parlare in precedenza di
una data molecola può ricavarne la formula dal nome e viceversa.
La nomenclatura IUPAC è oggi accettata da tutti i chimici e in molti Paesi è resa ufficiale dalla legislazione. Malgrado ciò, nella sua applicazione
incontra ancora notevoli resistenze. Molte delle vecchie regole e delle tradizionali denominazioni dei composti sono così radicate nell’uso comune
che nella pratica risulta impossibile una loro sostituzione. L’ammoniaca,
per esempio, non è mai chiamata col nome IUPAC di triidruro di azoto.
In questo libro di testo, che vuole rimanere vicino alla chimica di tutti
i giorni, faremo pertanto uso sia della nomenclatura tradizionale sia del-
Il nome dei sali
Già prima di Dalton i nomi dei composti erano
Minerale di solfato di sodio (thenardite). Il
composto preparato in laboratorio prende
il nome di sale di Gauber.
frequentemente associati ai nomi dei loro scopritori. Alla fine del XVI secolo Johann Rudolf
Gauber descrisse il metodo per la fabbricazione
del solfato di sodio Na2 SO4, che da allora si
chiama sale di Gauber, ancora oggi impiegato
in medicina come lassativo.
Il sale di Magnus prende il nome dal chimico
che lo produsse nel 1828; si tratta di un composto ionico del platino, che si ottiene sciogliendo il cloruro di platino in ammoniaca.
Dallo scozzese Thomas Graham deriva il sale
di Graham, una miscela di polifosfati sodici a
catena lunga, con caratteristiche vetrose. Questo tipo di sale viene usato nella produzione di
vetri, ceramiche, refrattari, cementi e abrasivi.
Thomas Graham
(1805-1869)
CH/94
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CAPITOLO
13
Nomi e formule dei composti chimici
la nomenclatura IUPAC, che si basa sulle informazioni fornite dalla formula. Il nome IUPAC di un composto indica il tipo e il numero di atomi
presenti, mentre la nomenclatura tradizionale si basa sui numeri di ossidazione degli elementi. La sostanza HCl, che nel linguaggio di tutti i giorni chiamiamo acido cloridrico, ha nome IUPAC cloruro di idrogeno, mentre la sostanza CO2, comunemente nota come anidride carbonica, ha
nome IUPAC diossido di carbonio.
La nomenclatura IUPAC classifica i composti chimici in base al numero
di elementi presenti nella formula. I composti binari sono composti che
contengono due elementi, mentre i composti ternari sono formati dalla
combinazione di tre elementi diversi. I composti sono poi divisi in classi a
seconda del tipo di atomi presenti. Le principali classi dei composti binari
sono gli ossidi, gli idracidi, gli idruri e i sali binari, mentre importanti composti ternari sono gli idrossidi, gli ossoacidi e i sali ternari (tabella 13.6).
Categoria
Classe
Composti binari
Composti ternari
Elementi presenti
ossidi basici
metallo, ossigeno
ossidi acidi
non-metallo, ossigeno
idruri
TABELLA 13.6 La nomenclatura IUPAC classifica i composti
in binari e ternari, in base al numero di elementi presenti,
e in classi, a seconda del tipo di elementi presenti.
metallo, idrogeno
non-metallo (esclusi gli alogeni e lo zolfo), idrogeno
idracidi
idrogeno, alogeni o zolfo
sali binari
metallo, non-metallo
idrossidi
metallo, ossigeno, idrogeno
ossoacidi
idrogeno, non-metallo, ossigeno
sali ternari
metallo, non-metallo, ossigeno
13.6 Il nome delle sostanze
allo stato elementare
L
e sostanze costituite da atomi singoli degli elementi prendono evidentemente lo stesso nome dell’elemento e la formula corrisponde al simbolo
chimico. Se indichiamo con Cu la composizione di una sostanza, vogliamo
comunicare che essa è costituita esclusivamente da atomi singoli di rame.
Gli elementi che in natura si trovano invece sotto forma di molecola devono essere indicati con la formula molecolare. Ad esempio, l’ossigeno moTABELLA 13.7
Importanti eccezioni alle regole per la derivazione della radice di un elemento.
lecolare va scritto come O2, l’azoto molecolare come N2 e il fosforo molecolare come P4. L’ossigeno esiste in natura anche nella forma triatomica O3. Questa molecola è molto instabile e prende il nome di
Elemento
Radice
Esempio
ozono (vedi § 20.18).
Dai nomi degli elementi si ricavano le radici usate per comporre
i nomi delle sostanze. Se il nome dell’elemento finisce in -o, la raOro
AurCloruro aurico
dice da utilizzare nei composti viene ottenuta togliendo la o finale.
Stagno
StannAcido stannico
Per esempio, nel caso del cloro la radice è clor-. Se il nome termiManganese
ManganManganato di potassio
na in -io, la radice si ottiene togliendo l’intero dittongo. Per esemAzoto
NitrAcido nitrico, nitrato ferrico
pio, nel caso del calcio la radice è calc - e per il carbonio la radice
Fosforo
FosfFosfato di potassio
è carbon-. Se, invece, il nome ha altre terminazioni, è il nome stesFosforAcido fosforico
so che viene adottato come radice; nel caso del rame, per esempio,
Zolfo
SolfSolfato di calcio
la radice è rame-. Queste regole presentano numerose eccezioni, le
SolforAcido solforico
più importanti delle quali sono riunite nella tabella 13.7.
CH/95
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CAPITOLO
13.7
13
Nomi e formule dei composti chimici
Il nome degli ossidi
I
Il fluoro è l’unico elemento più elettronegativo dell’ossigeno, per cui la formula del composto che si
ottiene tra fluoro e ossigeno è OF2 e non F2O.
metalli così come i non-metalli formano con l’ossigeno composti binari
chiamati ossidi. Gli ossidi formati dai metalli vengono definiti ossidi
basici, per il loro comportamento chimico, mentre quelli che contengono
non-metalli sono classificati come ossidi acidi. In questi composti l’ossigeno ha sempre numero di ossidazione – 2 e nella formula si scrive per
ultimo, essendo l’elemento più elettronegativo.
Gli ossidi si ottengono dalla reazione diretta dell’elemento con l’ossigeno. Un esempio di ossido basico è il K 2O, che si forma per reazione del potassio metallico con l’ossigeno secondo la reazione:
4K + O2 → 2K2O
L’ossido acido SO2 si può ottenere dalla combinazione diretta dell’ossigeno con il non-metallo zolfo:
S + O2 → SO2
Tetra-, penta-, esa-, epta- • Prefissi usati per indicare rispettivamente «quattro, cinque, sei, sette»; derivano dalle
parole che in greco si riferiscono a questi numeri.
Prefisso
Numero
di atomi
mono-
1
di- (o bi-)
2
tri-
3
tetr(a)-
4
pent(a)-
5
esa-
6
ept(a)-
7
TABELLA 13.8 Prefissi usati nei nomi dei composti chimici
per indicare il numero degli atomi con cui ogni elemento
compare nella formula. Il prefisso mono- viene in genere
omesso.
Ipo-, per- • Prefissi usati per indicare rispettivamente
«sotto, più in basso» e «sopra, più in alto»; derivano dalle
preposizioni ipo e iper che in greco hanno il corrispondente
significato.
Nella denominazione dei composti binari l’ordine in cui vengono riportati gli elementi presenti è invertito rispetto a quello con cui sono elencati nella formula. L’elemento diverso dall’ossigeno compare perciò sempre
per ultimo nel nome degli ossidi. La nomenclatura IUPAC chiama sia gli
ossidi acidi sia gli ossidi basici con la stessa dizione ossido, cui si fa seguire il nome dell’elemento preceduto dalla preposizione di. La nomenclatura IUPAC esplicita anche il numero di atomi presenti per ciascun
elemento. Sia la parola ossido che il nome dell’elemento devono essere
infatti preceduti da prefissi, che indichino il numero di atomi degli elementi presenti nella formula: di-, tri-, tetr(a)-, pent(a)-, esa-, ept(a)- ecc., a
seconda che gli atomi dell’elemento siano 2, 3, 4, 5, 6, 7 ecc. Il prefisso
mono- corrispondente a 1 viene normalmente omesso (tabella 13.8).
Vediamo il caso dell’ossido basico formato da sodio Na e ossigeno O. I
numeri di ossidazione di ossigeno e sodio sono rispettivamente – 2 e +1.
Utilizzando la regola della croce, la formula del composto si ottiene scrivendo l’indice 2 dopo il simbolo del sodio. La formula è pertanto Na2O e il
nome IUPAC del composto è ossido di disodio.
Se l’elemento ha due numeri di ossidazione, forma due composti diversi
con l’ossigeno. Per esempio, il rame forma l’ossido di dirame Cu2O, quando
il n.o.Cu è +1, e l’ossido di rame CuO, quando il n.o.Cu è +2. Allo stesso
modo i due ossidi dell’azoto N2O3 (n.o.N = 3) e N2O5 (n.o.N = 5) si chiamano
rispettivamente triossido di diazoto e pentossido di diazoto.
La nomenclatura tradizionale assegna agli ossidi acidi il nome di anidridi. Inoltre, nel caso in cui un elemento abbia due numeri di ossidazione,
nomina i composti utilizzando il suffisso -oso oppure -osa, nelle specie a
n.o più basso, e -ico oppure -ica, per le specie a numero di ossidazione più
alto. Per esempio, considerando il caso visto in precedenza dei due ossidi
del rame, il composto Cu2O, dove il n.o.Cu è +1, si chiama ossido rameoso,
mentre il composto CuO, con n.o.Cu +2, viene chiamato ossido rameico.
Analogamente, lo zolfo, che è un non-metallo, forma l’anidride solforosa
SO2, quando il n.o.S è +4, e l’anidride solforica SO3, quando il n.o.S è + 6.
Se l’elemento ha più di due numeri di ossidazione, come ad esempio gli
alogeni cloro, bromo e iodio che hanno quattro numeri di ossidazione positivi, si utilizzano i suffissi -oso (-osa) ed -ico (-ica) per le specie con i due
n.o. intermedi, mente per quel che riguarda gli altri si usano il prefisso
ipo- e il suffisso -oso (-osa), per il n.o. più basso, e il prefisso per- col suffisso -ico (-ica), per il n.o. più alto. Per esempio le quattro anidridi del cloro sono: anidride ipoclorosa Cl2O con n.o.Cl = +1; anidride clorosa Cl2O3
con n.o.Cl = +3; anidride clorica Cl2O5 con n.o.Cl = +5; anidride perclorica
Cl2O7 con n.o.Cl = +7.
Nella tabella 13.9 sono riportati i nomi secondo la nomenclatura IUPAC e
la nomenclatura tradizionale di alcuni composti.
CH/96
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CAPITOLO
13
Nomi e formule dei composti chimici
Composto
Nomenclatura tradizionale
Nomenclatura IUPAC
Na2O
ossido sodico
ossido di disodio
CO2
anidride carbonica
diossido di carbonio
Cu2O
ossido rameoso
ossido di dirame
CuO
ossido rameico
ossido di rame
SO2
anidride solforosa
diossido di zolfo
SO3
anidride solforica
triossido di zolfo
N2O3
anidride nitrosa
triossido di diazoto
N2O5
anidride nitrica
pent(a)ossido di diazoto
Cl 2O
anidride ipoclorosa
ossido di dicloro
Cl 2O3
anidride clorosa
triossido di dicloro
Cl 2O5
anidride clorica
pent(a)ossido di dicloro
Cl 2O7
anidride perclorica
ept(a)ossido di dicloro
TABELLA 13.9 Nomi di composti binari formati da alcuni
elementi con l’ossigeno, secondo la nomenclatura tradizionale e secondo la nomenclatura IUPAC.
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2. Attribuisci il nome al composto che ha formula SO3.
Poiché la somma algebrica dei numeri di ossidazione in una molecola è 0, e poiché
l’ossigeno ha n.o. –2, il numero di ossidazione dello zolfo deve essere +6. Lo zolfo è
un non-metallo e forma con l’ossigeno ossidi acidi chiamati anidridi nella nomenclatura tradizionale. Il n.o.S +6 è il più alto dei due numeri di ossidazione con cui lo
zolfo forma anidridi. Utilizziamo perciò il suffisso -ica da aggiungere alla radice, che
per l’elemento zolfo è solfor-. Anteponendo il termine anidride, il nome per il composto SO3 è quindi anidride solforica. Il nome IUPAC è triossido di zolfo.
3. Attribuisci il nome IUPAC e quello tradizionale ai seguenti composti di formula:
3. Scrivi la formula dell’ossido ferroso.
Il ferro è un metallo di transizione che ha due numeri di ossidazione principali: +2 e
+3. Il suffiso -oso indica che l’ossido è quello in cui il ferro ha n.o. più basso. L’ossido ferroso è un composto formato dal ferro con n.o. +2 e dall’ossigeno che ha n.o.
–2. Perché la somma algebrica risulti uguale a 0, occorre che ci sia lo stesso numero
di atomi di ferro e di zolfo. La formula è perciò FeO.
Br2O;
P2 O5;
K 2O.
4. Scrivi la formula dei seguenti composti: ossido di bario, anidride perclorica, triossido di
boro.
13.8 Il nome degli idracidi e degli idruri
C
onsideriamo ora i composti binari formati dall’idrogeno. Gli elementi
del gruppo 17, i cosiddetti alogeni, e lo zolfo formano con l’idrogeno
composti binari a carattere acido denominati idracidi. In questi composti
l’idrogeno ha sempre n.o. +1, gli alogeni n.o. –1 e lo zolfo n.o. – 2. Nella
scrittura della formula degli idracidi il simbolo dell’idrogeno va posto prima di quello dell’elemento.
Il nome degli idracidi si ottiene facendo precedere la radice dell’elemento dalla parola acido e facendola seguire dal suffisso -idrico. Così l’idracido del fluoro è l’acido fluoridrico HF, quello del cloro l’acido cloridrico HCl, quello del bromo l’acido bromidrico HBr, quello dello iodio
l’acido iodidrico HI, quello dello zolfo l’acido solfidrico H2S.
Con la nomenclatura IUPAC, poco usata nel caso degli idracidi, questi
composti sono designati facendo seguire alla radice dell’elemento il suffisso -uro, la preposizione di e la parola idrogeno. I nomi precedenti
quindi diventano fluoruro di idrogeno, cloruro di idrogeno, bromuro di
idrogeno, ioduro di idrogeno, solfuro di diidrogeno.
Oltre che negli idracidi, l’idrogeno si trova combinato a formare composti
binari con quasi tutti gli elementi. Quando si combina con i metalli, i com-
Come vedremo nel capitolo 18 gli acidi sono composti le cui molecole rilasciano ioni idrogeno H +.
CH/97
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CAPITOLO
Il nome dell’acqua, secondo le regole della nomenclatura IUPAC, dovrebbe essere ossido di diidrogeno,
considerandola come un ossido, ossigenuro di diidrogeno, considerandola un idracido, oppure diidruro di
ossigeno, considerandola un idruro.
13
Nomi e formule dei composti chimici
posti vengono denominati idruri e in essi l’idrogeno ha numero di ossidazione –1. Nella scrittura della loro formula il simbolo dell’idrogeno questa
volta segue quello dell’elemento. I nomi sono formati dal termine idruro,
nella nomenclatura IUPAC preceduto dai prefissi di-, tri- ecc. a seconda del
numero di idrogeni presenti, dalla preposizione di e dal nome dell’elemento. Per esempio, idruro di sodio NaH, diidruro di calcio CaH2, triidruro di
alluminio AlH3.
Quando si lega agli elementi del gruppo 15, l’idrogeno assume n.o. +1,
mentre azoto, fosforo e arsenico assumono il n.o. negativo –3. Si formano
composti gassosi molto comuni, come l’ammoniaca NH3, o più rari, come
la fosfina PH3 e l’arsina AsH3. La nomenclatura IUPAC prevede per questi
composti le stesse regole viste per gli idruri. Abbiamo perciò il triidruro di
azoto, il triidruro di fosforo e il triidruro di arsenico.
L’idrogeno legato a elementi dei gruppi 13 e 14, come carbonio, silicio e
boro, forma invece i seguenti composti binari: metano CH 4, silano SiH 4 e
diborano B2 H 6. Questi due ultimi composti nella nomenclatura IUPAC sono
chiamati tetraidruro di silicio e esaidruro di di boro.
L’idrogeno ha numero di ossidazione +1 e – 1; di conseguenza le formule
degli idracidi e degli idruri si ottengono semplicemente scrivendo come indice dell’idrogeno il valore numerico del numero di ossidazione dell’altro
elemento.
I nomi dei composti binari dell’idrogeno che abbiamo incontrato sono
riassunti nella tabella 13.10. C’è da ricordare, infine, un composto binario
dell’idrogeno che non rientra in nessuna classificazione: quello con l’ossigeno, che ha formula H2O. L’importanza e la familiarità di questa molecola
è tale che il suo nome, acqua, è accettato anche dalla nomenclatura IUPAC.
Nomenclatura tradizionale
Nomenclatura IUPAC
HF
acido fluoridrico
fluoruro di idrogeno
HCl
acido cloridrico
cloruro di idrogeno
HBr
acido bromidrico
bromuro di idrogeno
HI
acido iodidrico
ioduro di idrogeno
H2S
acido solfidrico
solfuro di diidrogeno
NaH
idruro di sodio
idruro di sodio
CaH2
idruro di calcio
diidruro di calcio
AlH3
idruro di alluminio
triidruro di alluminio
NH3
ammoniaca
triidruro di azoto
PH3
fosfina
triidruro di fosforo
AsH3
arsina
triidruro di arsenico
B2H6
diborano
esaidruro di diboro
Composto
TABELLA 13.10
Nomi di composti binari formati da alcuni
elementi con l’idrogeno, secondo la nomenclatura tradizionale e secondo la nomenclatura IUPAC.
13.9 Il nome dei perossidi
I
perossidi sono composti binari molto instabili, alcuni dei quali abbastanza comuni e apprezzati per le proprietà ossidanti. I perossidi possono essere considerati come derivati dagli ossidi, per sostituzione di un
atomo di ossigeno con un gruppo, chiamato perosso, costituito da due
atomi di ossigeno e con due cariche negative (O 22 – ). Gli ossigeni del gruppo perosso sono legati tra loro (⎯ O ⎯ O ⎯), per cui il loro numero di
ossidazione è –1.
La nomenclatura dei perossidi è la stessa incontrata nel caso degli ossidi,
con l’aggiunta del prefisso per- davanti al termine ossido. Abbiamo perciò
il per ossido di sodio Na2O2 e il per ossido di idrogeno H2O2, quest’ultimo
comunemente noto col nome di acqua ossigenata.
CH/98
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CAPITOLO
Questa sostanza è ampiamente utilizzata
in campo medico per le sue proprietà antisettiche e nell’industria per il suo forte potere ossidante: è infatti in grado di liberare
ossigeno atomico.
Il perossido di idrogeno è preparato trattando il perossido di bario con acido solforico, secondo la seguente reazione:
BaO2 + H2SO4 → H2O2 + BaSO4
Ossidanti e instabili come i perossidi sono
Nomi e formule dei composti chimici
gli _ idroperossidi, caratterizzati dal gruppo
HO 2 . Perossidi e idroperossidi sono sostanze
molto reattive e possono esplodere, se subiscono urti o semplicemente se vengono agitate. A volte basta soltanto muovere o ruotare velocemente il tappo di una bottiglia
contaminata con perossidi per avere una
esplosione.
I perossidi si formano con facilità a partire da alcune sostanze organiche, come gli
eteri e le ammidi. La reazione di formazione
del perossido è in genere iniziata da un radicale libero, cioè da una molecola con un
elettrone non appaiato.
I perossidi: un ossigeno di troppo
PER SAPERNE DI PIÙ
Tra i perossidi, composti che si riconoscono
per la presenza del gruppo O 2–
2 , il più comune è il perossido di idrogeno H2O2. Nel linguaggio abituale si usa quasi esclusivamente il termine acqua ossigenata per indicare il
perossido di idrogeno.
13
Contenitore con chiusura di sicurezza
per evitare esplosioni
13.10 Il nome dei sali binari
I
sali sono composti molto comuni che si originano per reazione tra un
metallo, o un qualsiasi composto derivato da un metallo, e un non-metallo, o un composto derivato da un non-metallo (figura 13.7).
ELEMENTI
+H
IDRURI
+H
METALLI
+ O2
SEMIMETALLI
+ O2
NON-METALLI
+ O2
OSSIDI
OSSIDI
OSSIDI
BASICI
ANFOTERI
ACIDI
+ H2O
+ H2O
IDROSSIDI
IDRACIDI
FIGURA 13.7
I sali possono essere prodotti attraverso
percorsi diversi, che portano alla fine ad avere nello stesso
composto un metallo e un non-metallo.
+ H2O
OSSOACIDI
SALI
I sali binari sono composti ionici formati da un catione metallico e da un
anione di un non-metallo. Nella formula si indica prima l’elemento metallico seguito da quello non-metallico. Anche in questo caso la formula può essere ricavata facilmente attraverso la regola della croce. Consideriamo il
sale binario formato da alluminio e fluoro. L’alluminio fa parte del gruppo
13 e ha numero di ossidazione + 3, mentre il fluoro, che è un alogeno del
gruppo 17, ha numero di ossidazione – 1. Gli indici degli elementi nella formula si ottengono incrociando i numeri di ossidazione di alluminio e fluoro. La formula del composto è pertanto AlF3.
Come nel caso degli idracidi, la nomenclatura IUPAC dei sali binari fa seguire alla radice del nome dell’elemento non-metallico il suffisso -uro, la
preposizione di e il nome del metallo, indicando con l’opportuno prefisso il
CH/99
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CAPITOLO
Nel caso in cui gli elementi del composto abbiano un
solo numero di ossidazione, i prefissi che indicano il
numero di atomi presenti possono essere omessi.
TABELLA 13.11
Nomi di alcuni sali binari, secondo la nomenclatura tradizionale e secondo la nomenclatura IUPAC.
13
Nomi e formule dei composti chimici
numero di atomi presenti. Il nome del composto AlF3 è pertanto trifluoruro
di alluminio. Il ferro che ha n.o. + 2 e +3 forma con il cloro (n.o.Cl = – 1) i
composti dicloruro di ferro FeCl2 e tricloruro di ferro FeCl3.
Come nel caso degli ossidi, la nomenclatura tradizionale prevede che la
radice del nome dell’elemento metallico sia seguita dal suffisso -oso, nelle
specie a n.o. più basso, e -ico, nelle specie a n.o. più alto. In base alla nomenclatura tradizionale i composti tra ferro e cloro visti in precedenza
prendono il nome di cloruro ferroso FeCl2 e cloruro ferrico FeCl3.
Nella tabella 13.11 sono riportati i nomi di alcuni sali binari secondo la
nomenclatura tradizionale e IUPAC.
Composto
Nomenclatura tradizionale
Nomenclatura IUPAC
NaCl
cloruro di sodio
solfuro di sodio
ioduro di calcio
fluoruro di alluminio
cloruro ferroso
cloruro ferrico
bromuro di cesio
cloruro di sodio
solfuro di disodio
diioduro di calcio
trifluoruro di alluminio
dicloruro di ferro
tricloruro di ferro
bromuro di cesio
Na2S
CaI2
AlF3
FeCl 2
FeCl 3
CsBr
13.11
Il nome degli idrossidi
F
Na2O + H2O → 2NaOH
CaO + H2O → Ca(OH)2
Al 2O3 + 3H2O → 2Al(OH)3
La reazione dell’ossido di sodio con l’acqua porta
alla formazione dell’idrossido di sodio, comunemente
chiamato soda caustica; dall’ossido di calcio, noto
anche come calce viva, si forma con l’acqua l’idrossido di calcio, la calce spenta.
–
Na+ O H
in qui abbiamo considerato solo composti binari. Adesso prendiamo in
esame la nomenclatura che riguarda le principali classi di composti
ternari, formati cioè da tre diversi elementi.
Gli idrossidi sono formati da un metallo, ossigeno e idrogeno. Sono composti molto reattivi e manifestano un comportamento basico (vedi § 18.1).
Gli idrossidi si possono considerare come derivati dalla reazione con acqua
degli ossidi basici:
K2O + H2O → 2KOH
Gli idrossidi sono costituiti da uno ione metallico positivo, indicato ge–
nericamente con M n + per n cariche positive, e da n ioni idrossido OH . Lo
ione idrossido, detto anche ossidrilione, è una specie chimica molto stabile
(figura 13.8). La formula degli idrossidi si costruisce ponendo accanto al
simbolo del metallo tanti gruppi OH quanti ne indica il numero di ossidazione del metallo:
Na (n.o. = +1) NaOH
Ca (n.o. = +2) Ca(OH)2
Al (n.o. = +3) Al(OH)3
FIGURA 13.8
Nella struttura cristallina dell’idrossido di
sodio NaOH, gli ioni idrossido OH– sono legati da legami
ionici agli ioni sodio Na+.
Per gli idrossidi valgono le stesse regole di nomenclatura, sia tradizionale
sia IUPAC, utilizzate per gli ossidi, con la parola idrossido che prende il posto del termine ossido (tabella 13.12).
Composto
TABELLA 13.12 Nomi di alcuni idrossidi, secondo la nomenclatura tradizionale e secondo la nomenclatura IUPAC.
NaOH
Nomenclatura tradizionale
Nomenclatura IUPAC
idrossido sodico (soda caustica)
idrossido di sodio
KOH
idrossido potassico (potassa caustica)
idrossido di potassio
Ca(OH)2
idrossido calcico (calce spenta)
diidrossido di calcio
Ba(OH)2
idrossido barico
diidrossido di bario
Fe(OH)2
idrossido ferroso
diidrossido di ferro
Fe(OH)3
idrossido ferrico
triidrossido di ferro
CH/100
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
13.12
13
Nomi e formule dei composti chimici
Il nome degli ossoacidi
G
li ossoacidi sono composti ternari a carattere acido, contenenti atomi
di ossigeno, di idrogeno e di un elemento non-metallico. Gli ossoacidi
possono essere considerati come derivati dalla reazione con acqua delle
anidridi, o ossidi acidi. Nella formula si scrive dapprima l’idrogeno, quindi il simbolo dell’elemento non-metallico e infine l’ossigeno.
SO2 + H2O → H2SO3
CO2 + H2O → H2CO3
La nomenclatura tradizionale prevede le stesse regole già viste per gli ossidi acidi, col termine acido che sostituisce la parola anidride e con gli stessi suffissi (e prefissi) dell’anidride da cui deriva, associati alla radice dell’elemento. Per esempio, dallo zolfo che forma l’anidride solforosa si origina
con l’acqua l’ossoacido H2SO3, denominato acido solforoso, mentre dall’anidride carbonica otteniamo H2CO3, l’acido carbonico.
Le regole della nomenclatura IUPAC prevedono anch’esse l’uso del termine acido, seguito dall’indicazione del numero di atomi di ossigeno con
i prefissi della tabella 13.8 che precedono il termine -osso-, cui fa seguito
la radice del non-metallo col suffisso -ico e infine il suo numero di ossidazione, scritto tra parentesi in numeri romani. Per esempio, il composto
H2CO3 acido carbonico, rappresentato nella figura 13.9, in base
carbonio
alla nomenclatura IUPAC deve
essere denominato acido triossocarbonico (IV).
Nella tabella 13.13 sono riporidrogeno
tre ossigeni
tate le formule di alcuni ossoacidi comuni, con a fianco il nome
acido
triosso
carbonico (IV)
tradizionale e quello della nomenclatura IUPAC.
Osservando la tabella 13.13 si nota che molti non-metalli hanno più di
un numero di ossidazione e possono perciò formare più di un ossoacido.
Infatti, gli atomi degli alogeni, dello zolfo, dell’azoto e del fosforo possiedono all’esterno doppietti, cioè coppie di elettroni di valenza non condivise.
Ciascuna coppia può essere impiegata per formare un legame dativo con un
altro atomo di ossigeno (cfr. § 11.6). Si ottengono così ossoacidi diversi a seconda del numero di atomi di ossigeno legati al non-metallo. Per esempio,
il cloro forma l’ossoacido denominato acido ipocloroso HClO, quando ha
n.o. +1, ma anche gli acidi cloroso HClO2, clorico HClO3 e perclorico
HClO4, quando il numero di ossidazione è, rispettivamente, +3, +5 e +7, e si
formano 1, 2 o 3 legami dativi (figura 13.10).
H2CO3
Composto
Nomenclatura tradizionale
H2CO3
HNO2
HNO3
H2SO3
H2SO4
HClO
HClO2
HClO3
HClO4
HBrO3
HIO
acido carbonico
acido nitroso
acido nitrico
acido solforoso
acido solforico (IV)
acido ipocloroso
acido cloroso
acido clorico
acido perclorico
acido bromico
acido ipoiodoso
L’anidride solforica con l’acqua dà origine all’acido
solforico:
SO3 + H2O → H2SO4
dall’anidride nitrosa si ottiene l’acido nitroso:
N2O3 + H2O → H2N2O4 → 2HNO2
e dall’anidride nitrica si ottiene l’acido nitrico:
N2O5 + H2O → H2N2O6 → 2HNO3
FIGURA 13.9
Il nome degli ossoacidi, secondo le regole
della nomenclatura IUPAC, fornisce indicazioni sulla presenza dell’idrogeno, sul numero di atomi di ossigeno e sull’elemento non-metallico legato all’ossigeno. Il valore del
n.o. del non-metallo, scritto tra parentesi, è utile per risalire al numero di atomi di idrogeno.
I
FIGURA PARLANTE
Nomenclatura IUPAC
acido triossocarbonico (IV)
acido diossonitrico (III)
acido triossonitrico (V)
acido triossosolforico (IV)
acido tetraossosolforico (VI)
acido (mono)ossoclorico (I)
acido diossoclorico (III)
acido triossoclorico (V)
acido tetraossoclorico (VII)
acido triossobromico (V)
acido (mono)ossoiodico (I)
TABELLA 13.13 Nomi di alcuni ossoacidi, secondo la nomenclatura tradizionale e secondo la nomenclatura IUPAC.
CH/101
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
FIGURA 13.10
Nell’ossoacido HClO, acido ipocloroso, il
cloro ha numero di ossidazione +1. Negli altri ossoacidi il
cloro impiega i propri doppietti elettronici per formare legami covalenti dativi con uno (acido cloroso), due (acido
clorico) o tre atomi di ossigeno (acido perclorico). In questi casi il cloro assume n.o. rispettivamente +3, +5 o +7.
Dei quattro acidi è indicato anche il nome IUPAC.
13
H
Nomi e formule dei composti chimici
O
H
Cl
HClO Acido ipocloroso
O
HClO2 Acido cloroso
Acido ossoclorico (I)
Acido diossoclorico (III)
O
H
O
Cl
O
Cl
O
H
O
O
O
Cl
O
HClO3 Acido clorico
HClO4 Acido perclorico
Acido triossoclorico (V)
Acido tetraossoclorico (VII)
Per quanto riguarda la scrittura della formula di struttura è opportuno ricordare che negli ossoacidi:
• ciascun atomo di idrogeno è legato con un legame covalente semplice a
un atomo di ossigeno;
• gli atomi di ossigeno legati all’idrogeno sono uniti con un altro legame
covalente semplice all’atomo del non-metallo;
• gli atomi di ossigeno non legati all’idrogeno sono uniti all’atomo del nonmetallo con legami doppi o con legami dativi (figura 13.11).
Alcuni non-metalli, come il fosforo e il silicio, formano ossoacidi la cui
formula corrisponde all’addizione di più di una molecola d’acqua. Per
esempio, l’anidride fosforica P2O5 può addizionare una, due o tre molecole
d’acqua. Il nome degli acidi corrispondenti prevede per tutti il suffisso -ico.
Per distinguere tra loro i composti si fa a volte ricorso ai prefissi meta- e
orto-, per il primo e l’ultimo, e al prefisso piro- per l’intermedio; spesso il
prefisso orto- viene omesso:
P2O5 + 1H2O ⎯→ H2P2O6 ⎯→ 2HPO3
acido metafosforico
P2O5 + 2H2O ⎯→ H4P2O7
acido pirofosforico
P2O5 + 3H2O ⎯→ H6P2O8 ⎯→ 2 H3PO4
acido ortofosforico o fosforico
SiO2 + 1H2O ⎯→ H2SiO3
acido metasilicico
SiO2 + 2H2O ⎯→ H4SiO4
(A), formula di struttura dell’acido carbonico H2CO3. I due atomi di idrogeno sono legati ognuno
a un atomo di ossigeno. I due atomi di ossigeno a loro
volta sono legati al carbonio. Il restante atomo di ossigeno è unito con un doppio legame al carbonio. (B), formula di struttura dell’acido nitroso HNO2. L’atomo di idrogeno è legato a un atomo di ossigeno, il quale è legato
all’azoto. Il restante atomo di ossigeno è unito con un
doppio legame all’azoto. (C), formula di struttura dell’acido nitrico HNO3. La differenza con la molecola di acido
nitroso consiste nell’atomo di ossigeno in più, che si è
potuto legare all’azoto grazie a un legame dativo.
acido ortosilicico o silicico
FIGURA 13.11
A
B
C
H
H
H
C
O
H
O
O
O
O
N
O
CH/102
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N
O
O
CAPITOLO
13
Nomi e formule dei composti chimici
Ricordiamo inoltre il nome, secondo la nomenclatura tradizionale, di tre
acidi organici molto importanti, l’acido acetico CH3COOH, l’acido formico
HCOOH e l’acido ossalico H2C2O4, che reagiscono spesso anche con i composti inorganici.
Ossalico • Il termine indica un acido organico presente
in molte piante; deriva dal greco oxalios che significa
«acidulo».
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
4. Attribuisci il nome ai composti di formula (a) HI, (b) HNO3, (c) NaOH.
5. Attribuisci il nome IUPAC e tradizionale ai
seguenti composti di formula:
(a) HI è un composto formato dallo iodio, un elemento con spiccate caratteristiche
non-metalliche, e l’idrogeno. Si tratta di un idracido e pertanto alla radice dell’elemento iod- aggiungiamo il suffisso -idrico, preceduto dal termine acido; il nome è
perciò acido iodidrico o ioduro di idrogeno.
(b) HNO3 è un ossoacido, essendo l’elemento N un non-metallo e trovandosi nella
formula prima dell’ossigeno e dopo l’idrogeno. Risaliamo dapprima al numero di ossidazione di N, conoscendo quello di O (–2) e di H (+1). Poiché la molecola è neutra:
[(+1) + n.o.N + 3 × (–2)] = 0; il numero di ossidazione dell’azoto risulta uguale a
+5. Questo n.o. è il più elevato tra quelli che l’azoto può utilizzare; dobbiamo perciò
aggiungere il suffisso -ico alla radice relativa all’elemento azoto, che è nitr-. Il composto HNO3 prende così il nome di acido nitrico o acido triossonitrico (V).
Ba(OH)2;
HClO2;
HF.
6. Scrivi la formula dei seguenti composti: acido
pirofosforico, acido solforoso, tetraidrossido di
stagno (IV).
(c) NaOH è un composto formato dal sodio, un elemento con spiccate caratteristiche
metalliche, e il gruppo idrossido OH. Poiché il sodio, elemento del gruppo 1, ha un
solo numero di ossidazione, non abbiamo bisogno di particolari suffissi nell’assegnare il nome a questo composto, che si chiama idrossido sodico o idrossido di sodio.
13.13
Il nome dei radicali acidi
C
iò che resta di un acido per perdita parziale o totale degli idrogeni prende il nome di radicale acido. Un radicale acido è uno ione, che ha per
carica e per valenza il numero di idrogeni ceduti dall’acido. Nella rappresentazione della formula di un radicale acido si pongono in alto a destra
tante cariche negative quanti sono gli idrogeni perduti (figura 13.12).
La nomenclatura tradizionale di un radicale acido deriva direttamente da
quella dell’acido corrispondente. Il termine ione sostituisce la parola acido,
ai suffissi -oso e -ico si sostituiscono, rispettivamente, i suffissi -ito e -ato,
mentre al suffisso -idrico si sostituisce il suffisso -uro.
Nella nomenclatura IUPAC, invece, tutti i radicali acidi derivati da ossoacidi prendono la desinenza -ato, cui si fa seguire il n.o. del non-metallo
scritto tra parentesi in numero romano. Il numero di atomi di ossigeno continua a essere indicato dai prefissi (mono)osso-, diosso-, triosso- ecc., che
avevamo visto nel paragrafo precedente.
La perdita parziale di ioni H + da parte di acidi che possiedono più idrogeni dà luogo a radicali ionici negativi. Questi ioni vengono denominati
allo stesso modo dei radicali acidi, con in più il prefisso idrogeno- oppure
diidrogeno- a seconda che siano ancora presenti uno o due idrogeni. Nella
tabella 13.14 sono indicati alcuni acidi, i loro radicali, i nomi tradizionali,
quelli IUPAC e la valenza degli ioni.
–
2H +
–
H2CO3
FIGURA 13.12 Il radicale acido carbonato CO 2–
3 deriva dall’acido carbonico H2CO3, quando quest’ultimo perde due
ioni idrogeno H +.
CO3– –
CH/103
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CAPITOLO
13
Nomi e formule dei composti chimici
Acido di
provenienza
TABELLA 13.14 Nomi di alcuni radicali acidi, secondo la nomenclatura tradizionale e secondo la nomenclatura IUPAC,
con l’indicazione dell’acido di provenienza e della valenza
dello ione.
HCl
Acido cloridrico
H2S
Acido solfidrico
H2SO4
Acido solforico
H2SO4
Acido solforico
H2CO3
Acido carbonico
H2CO3
Acido carbonico
HClO
Acido ipocloroso
HClO2
Acido cloroso
HClO3
Acido clorico
HClO4
Acido perclorico
H3PO4
Acido fosforico
H3PO4
Acido fosforico
H3PO4
Acido fosforico
HNO2
Acido nitroso
HNO3
Acido nitrico
Radicale
acido
Cl–
S2–
SO 42–
HSO–4
CO 23–
HCO –3
ClO–
ClO –2
ClO –3
ClO–4
PO 43 –
HPO 24–
–
H2PO 4
NO –2
NO –3
Nomenclatura
tradizionale
Nomenclatura
IUPAC
Valenza
Ione
cloruro
Ione
solfuro
Ione
solfato
Ione
idrogenosolfato
Ione
carbonato
Ione
idrogenocarbonato
Ione
ipoclorito
Ione
clorito
Ione
clorato
Ione
perclorato
Ione
fosfato
Ione
idrogenofosfato
Ione
diidrogenofosfato
Ione
nitrito
Ione
nitrato
Ione
cloruro
Ione
solfuro
Ione
tetraossosolfato (VI)
Ione
idrogenotetraossosolfato (VI)
Ione
triossocarbonato (IV)
Ione
idrogenotriossocarbonato (IV)
Ione
ossoclorato (I)
Ione
diossoclorato (III)
Ione
triossoclorato (V)
Ione
tetraossoclorato (VII)
Ione
tetraossofosfato (V)
Ione
idrogenotetraossofosfato (V)
Ione
diidrogenotetraossofosfato (V)
Ione
diossonitrato (III)
Ione
triossonitrato (V)
1
2
2
1
2
1
1
1
1
1
3
2
1
1
1
13.14 Il nome degli ioni positivi
G
li ioni positivi che derivano da un metallo per cessione di uno o più
elettroni hanno nomi che, dopo il termine ione, seguono le stesse regole
di nomenclatura viste per gli ossidi o gli idrossidi. Per esempio, il rame forma lo ione rameoso Cu+ (n.o. + 1) o lo ione rameico Cu2+ (n.o. + 2).
A volte viene usato il numero di Stock, cioè si fa seguire il nome dell’elemento dal numero tra parentesi delle cariche positive espresse in cifre romane. Secondo questa regola di nomenclatura, lo ione Fe2+, con il ferro che
ha n.o. +2, oltre che ione ferroso può essere scritto come ione ferro (II ), che
si legge «ione ferro due»; quando il n.o. del ferro è +3, lo ione Fe3+ è detto
ferrico oppure ferro (III ), che si legge «ferro tre». In alternativa la IUPAC
raccomanda di far seguire al nome dell’elemento il numero di carica.
Fe2+ (n.o. +2) ione ferroso o ione ferro (II ) o ione ferro (2+)
Fe3+ (n.o. +3) ione ferrico o ione ferro (III ) o ione ferro (3+)
Oltre agli ioni positivi dei metalli, molto importanti sono quelli dovuti all’idrogeno. In qualche caso gli atomi di questo elemento, che ha n.o. +1,
perdono il loro unico elettrone: si forma lo ione positivo H +, detto idrogenione, che corrisponde a un protone isolato. Per addizione di un idrogenione H + con formazione di un legame dativo, dall’acqua H2O si origina lo
ione positivo H3O+, chiamato ione ossonio o idronio (cfr. § 11.6). Stessa
cosa fa l’ammoniaca NH3, che con l’idrogenione forma lo ione positivo
NH +4 , conosciuto come ione ammonio. Dell’idrogenione e dello ione ossonio
parleremo diffusamente nel capitolo 18 dedicato agli acidi.
H + + H2O ⎯→ H3O+ ione ossonio
H + + NH3 ⎯→ NH +4 ione ammonio
CH/104
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CAPITOLO
13
Nomi e formule dei composti chimici
I sali formati dai radicali acidi che contengono ancora idrogeni, a seguito
di una cessione parziale di ioni H +, sono detti sali acidi. La loro nomenclatura segue le regole descritte per gli altri sali, tenendo presente che l’anione
dovrà contenere il prefisso idrogeno- e l’indicazione del numero di idrogeni
presenti. Per esempio, il sale acido KHSO4 è detto idrogenosolfato di potassio, mentre il composto LiH2PO4 è chiamato diidrogenofosfato di litio. Secondo una nomenclatura usata nel passato, per i sali di questo tipo derivati
dagli ossoacidi carbonico, solforoso e solforico bastava aggiungere il prefisso bi-. Il comune bicarbonato di sodio NaHCO3, ad esempio, è oggi più correttamente indicato col nome idrogenocarbonato di sodio. Nella tabella 13.
15 sono riportati nomi e formule di alcuni dei più comuni sali ternari.
TABELLA 13.15
Nomi di alcuni sali, secondo la nomenclatura tradizionale e secondo la nomenclatura IUPAC.
Composto
Nomenclatura tradizionale
Nomenclatura IUPAC
NaClO
NaClO2
NaClO3
NaClO4
Fe(ClO4)3
Mg(ClO2)2
CaSO4
CaSO3
Fe(NO3)2
Fe(NO3)3
K2CO3
Li3PO4
KHCO3
Ipoclorito di sodio
Clorito di sodio
Clorato di sodio
Perclorato di sodio
Perclorato ferrico
Clorito di magnesio
Solfato di calcio
Solfito di calcio
Nitrato ferroso
Nitrato ferrico
Carbonato di potassio
Fosfato di litio
Idrogenocarbonato di potassio
(bicarbonato di potassio)
Ossoclorato (I) di sodio
Diossoclorato (III) di sodio
Triossoclorato (V) di sodio
Tetraossoclorato (VII) di sodio
Tris(tetraossoclorato) (VII) di ferro (III)
Bis(diossoclorato) (III) di magnesio
Tetraossosolfato (VI) di calcio
Triossosolfato (IV) di calcio
Bis(triossonitrato) (V) di ferro (II)
Tris(triossonitrato) (V) di ferro (III)
Triossocarbonato (IV) di dipotassio
Tetraossofosfato (V) di trilitio
Idrogenotriossocarbonato (IV) di potassio
NaHSO4
Idrogenosolfato di sodio
(bisolfato di sodio)
Idrogenotetraossosolfato (VI) di sodio
CH3COONa
NH4NO3
KMnO4
Acetato di sodio
Nitrato di ammonio
Permanganato di potassio
Acetato di sodio
Triossonitrato (V) di ammonio
Tetraossomanganato (VII) di potassio
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
5. Scrivi la formula dei seguenti composti: (a) solfato ferrico, (b) perossido di sodio.
7. Attribuisci il nome IUPAC e tradizionale ai seguenti composti di formula:
(a) Solfato è il nome del radicale acido, lo ione bivalente SO 2–
4 , che deriva dall’acido
solforico H2SO4 per perdita dei due idrogeni. Il termine ferrico si riferisce allo ione del
ferro col numero di ossidazione più alto (+3), cioè allo ione trivalente Fe 3+. Poiché la carica complessiva del composto è 0, sono necessari 3 ioni solfato per ogni 2 ioni ferrico e
quindi la formula è Fe2(SO4 )3.
(b) Un perossido è un composto in cui è presente il gruppo perosso (⎯ O ⎯ O ⎯) O 2–
2 .
Poiché il sodio ha numero di ossidazione +1, per legarsi con i due elettroni di valenza del
gruppo perosso sono necessari due atomi di sodio Na e quindi la formula è Na2O2.
CaCO3;
Mg(BrO3)2;
LiF.
8. Scrivi la formula dei seguenti composti: nitrato
di bario, clorito di litio, perossido di potassio,
tris(triossocarbonato) di ferro (III).
Glossary
Acidic oxides or anhydrides (ossidi acidi o anidridi) Binary compounds formed between non-metals
and oxygen.
Basic oxides (ossidi basici) Binary compounds formed between metals and oxygen.
Hydracid (idracido) A binary compound formed between halogen or sulfur atoms an hydrogen.
Hydride (idruro) A compound formed between hydrogen and another element.
Hydroxide (idrossido) A basic compound containing the hydroxide ion (OH –) bound to a metal atom.
Salt (sale) A compound formed between a cation and an anion.
Oxoacid (ossoacidi) A ternary acid compound formed between hydrogen, oxygen and a non-metal.
CH/106
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FACCIAMO IL PUNTO
Domande aperte
Esercizi di completamento
11 Che cosa rappresenta la formula molecolare di un compo-
11
sto chimico?
12 Qual è la differenza tra formula molecolare e formula di
struttura?
13 Che cosa rappresenta il numero di ossidazione di un elemento e perché si differenzia dalla valenza?
14 Quando un elemento può essere definito anfotero?
15 Per quale motivo nel 1961 venne istituita una commissione internazionale per la revisione della nomenclatura chimica?
16 Nella determinazione dei numeri di ossidazione in un
composto, a quale atomo vanno assegnati gli elettroni di
legame e perché?
17 Che cosa stabilisce la regola dell’ottetto?
18 Quando scriviamo una formula chimica, quali caratteristiche dobbiamo tenere presenti?
19 Che cosa si intende col termine idrogenione?
10 Indica, in base alle conoscenze acquisite in questo capitolo, quali sono le caratteristiche di un elemento con comportamento metallico e quelle di un elemento con comportamento non-metallico.
A
Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello
spazio vuoto il termine opportuno.
Si definisce ………………………………………………… di un elemento in un
composto il …………………………………………… di legami che l’elemento
instaura con …………………………………………… di altri elementi, e quindi
anche il numero di ……………………………………………………… ceduti, acquistati o ……………………………………………… dall’elemento nel composto
considerato. Questo valore può essere diverso dal
………………………………………… ……… …………………………………………………
, che rap-
presenta invece la carica elettrica ……………………………………………………
che l’elemento assume nei suoi composti, se gli elettroni
di ciascun ……………………………………………………………… vengono attribuiti
all’atomo più …………………………………………………… . Va sempre tenuto
presente che gli elementi tendono a ………………………………………………
la configurazione elettronica del gas ………………………………………………
più ………………………………………………………… , condividendo, acquistando
o cedendo ……………………………………………………………… in base alla regola
……………………………………………………………………………
.
VERIFICA LE CONOSCENZE
Esercizi di corrispondenza
A
12
Unisci con una freccia ciascun tipo di
composto alla corrispondente reazione
di formazione.
13
Segna la casella che corrisponde al carattere, metallico, non-metallico o anfotero, dell’elemento evidenziato in colore
in ciascuna specie chimica.
Ossoacido
Idracido o idruro non-metallico
Ossido basico
Anidride
Sale
Idrossido
Perossido
Idruro metallico
Specie
chimica
Br–
–
NO 3
S2 –
NH+4
PO43 –
Ca++
Al 2 O3
Na2 O
Cl2 O3
LiOH
HClO
Carattere
metallico
Anidride + Acqua →
Metallo + Idrogeno →
Non-metallo + Ossigeno →
Metallo + O 2–
2 →
Non-metallo + Metallo →
Metallo + Ossigeno →
Ossido basico + Acqua →
Non-metallo + Idrogeno →
Carattere
non-metallico
CH/107
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Carattere
anfotero
G U I DA A L L O ST U D I O
EA
G U I DA A L L O S T U D I O
EA
A
Domande a scelta multipla
14
A +1;
C HF;
B –1;
D HNO3.
24
D – 2.
B NaClO;
Il numero di ossidazione del carbonio nel composto NaHCO 3 è:
C HNO2;
D NaNO3.
B – 4;
25
C +2;
A CaO;
Il numero di ossidazione del cloro nel composto HClO4 è:
C CuO;
B SO3;
D H2O.
B –7;
26
C +1;
A CH4;
La formula chimica dell’ipoclorito di sodio è:
C HNO2;
A NaClO2;
D N2O5.
B Ca(ClO4)2;
B NaCl;
27
B idrogenosolfuro di sodio;
C idrogenosolfito di sodio;
La formula chimica del nitrito di calcio è:
D idrogenosolfato di sodio.
A CaNO2;
28
B Ca(NO3)2;
C Ca(NO2)2;
A nitrito di potassio;
B azoturo di potassio;
La formula chimica dell’acido diossonitrico (III) è:
D triossonitrato (V) di potassio.
C perossonitrito (III) di potassio;
29
B HNO;
D NO2.
C acido carbonico;
D triossocarbonato (IV) di idrogeno.
Il composto N2 O5 è chiamato:
30
A ossido di diazoto;
B biossido di pentossigeno;
Quale tra le seguenti formule è errata?
A KHSO4;
B K3SO4;
C pentossido di diazoto;
D biossido nitroso.
C H2SO4;
D KH2PO4.
Il composto NH4 OH è chiamato:
31
A idrossilammina;
Quale tra le seguenti formule è corretta?
A NaH2;
B AlCl2;
B ammoniato di idrossido;
C idrossido di ammonio;
C FeCl5;
D ossido tetrammonico.
22
La formula H2CO3 si riferisce a:
A idruro di carbonio;
B cianuro di idrogeno;
C HNO2;
21
La formula KNO3 si riferisce a:
D CaNO3.
A HN2;
20
La formula NaHSO3 si riferisce a:
A nitrato di zolfo;
D NaHCl.
19
Quale tra le seguenti specie chimiche è un sale?
D +7.
C NaClO;
18
Quale tra le seguenti specie chimiche è un ossido acido?
D –2.
A –1;
17
Quale tra le seguenti specie chimiche è un ossoacido?
A HCl;
A + 4;
16
Quale tra le seguenti specie chimiche è un idracido?
A NaHS;
B H2SO4;
Il numero di ossidazione dello zolfo nel composto Al(HS)3 è:
C +2;
15
23
D KHSO3.
32
La formula chimica del cloruro ferrico è:
A FeCl3;
Quale tra le seguenti formule è errata?
A Al(OH)3;
B NaF;
B Fe3Cl;
C FeCl2;
C AgCl;
D FeCl.
D Al3S2.
CH/108
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
G U I DA A L L O ST U D I O
EA
VERIFICA LE ABILITÀ
A
Esercizi e problemi
33
Assegna il numero di ossidazione agli elementi indicati in
colore.
a) B2O3
b) H2SO3
c) CaO
l)
…………
e) KMnO4
f) K2SO4
g) N2O5
Cl2O7
…………
…………
n) H3PO4
…………
o) SrCO3
…………
p) PtCl4
…………
…………
…………
…………
q) Na2MnO4
…………
r) PCl5
…………
…………
…………
i) CO2
…………
s) TiBr4
j) CH4
…………
t) Sb2O5
Scrivi la formula corrispondente ai seguenti sali.
Solfuro
di dilitio
…………
m) FeCl3
…………
d) K2Cr2O7
h) PH3
k) NH3
…………
35
Nitrato
ferrico ……………………………
……………………………
Perclorato
di sodio ……………………………
Bis(diossonitrato) (III)
di ferro (II) ……………………………
Idrogenosolfito
di potassio ……………………………
Idrogenofosfato
di alluminio ……………………………
Fluoruro
di potassio
Idrogenosolfuro
di alluminio ……………………………
……………………………
Dibromuro
di calcio ……………………………
Tetraossosolfato (VI)
di dipotassio ……………………………
Tetraossosolfato (VI)
di stronzio ……………………………
Idrogenocarbonato
di sodio ……………………………
Carbonato
di sodio ……………………………
Solfito
di ammonio
Acetato
di sodio
Tetraossofosfato (V)
di ferro (III) ……………………………
……………………………
……………………………
…………
…………
A
Question
34
Scrivi la formula dei seguenti ossidi e anidridi.
Diossido di carbonio
Anidride clorica
Ossido stannico
……………………………
……………………………
Triossido di diferro
……………………………
……………………………
Eptossido di dicloro
Anidride carbonica
Anidride solforosa
Triossido di zolfo
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
Composto.
Idrossido.
Sale.
Reazione.
Perossido.
Idruro.
Acido.
Ossido.
4
6
……………………………
1
3
2
……………………………
……………………………
……………………………
Ossido rameoso
……………………………
Ossido di calcio
……………………………
……………………………
Triossido di manganese
Triossido di cromo
8
7
……………………………
Monossido di carbonio
Ossido ferroso
Translate the following terms in English and insert in the vertical columns. The name of an important anion will appear in
the colored line.
……………………………
Ossido di disodio
Anidride nitrica
……………………………
36
……………………………
……………………………
CH/109
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
5
CAPITOLO
A
14
Proprietà delle soluzioni
FIGURA 14.2 (A), un circuito elettrico è interrotto da una
bacinella di acqua. (B), se aggiungiamo all’acqua un composto ionico solubile, per esempio cloruro di sodio NaCl, la
corrente passa; questo fatto indica la presenza di cariche
elettriche mobili in soluzione.
B
Acqua
Acqua + NaCl
ATTIVITÀ
Soluzioni di zucchero e sale
14.2 Ionizzazione in soluzione
P
rendiamo ora in considerazione un composto non ionico, per esempio
un composto molecolare in cui due atomi sono legati da un legame covalente eteropolare. Tra i due atomi vi è una certa differenza di elettronegatività, quindi un atomo assume una parziale carica positiva e l’altro una
parziale carica negativa (figura 14.3 A).
Se poniamo il composto in acqua, le molecole d’acqua si legano ai due
atomi. Ogni molecola di acqua è un dipolo, che si lega con il dipolo del
composto. La parte negativa di ogni molecola d’acqua attira il polo positivo
del composto polare; con la parte positiva le molecole d’acqua attirano il
polo negativo del composto. La coppia di elettroni del legame covalente
eteropolare viene attirata sempre meno dall’atomo poco elettronegativo e
sempre più dall’atomo molto elettronegativo (figura 14.3 B).
Se il valore della differenza di elettronegatività nel composto era già apprezzabile, con l’intervento dell’acqua si raggiunge una differenza tale da
determinare la totale separazione delle cariche e la trasformazione del composto in ioni. L’acqua è in grado di provocare la ionizzazione di molecole
polari, cioè la loro scomposizione in ioni. Gli ioni sono poi separati e circondati dalle molecole d’acqua: alla ionizzazione segue la dissociazione
elettrolitica (figura 14.3 C). Il risultato è che in acqua sia i composti ionici
che i composti molecolari contenenti legami covalenti eteropolari piuttosto
polarizzati si dissociano in ioni e danno luogo a soluzioni elettrolitiche.
A
B
δ
δ
+
C
δ
+
_
δ
d
ANIMAZIONE
Dissociazione ionica, dissoluzione
molecolare e reazione di ionizzazione
FIGURA 14.3 (A), se in un composto due atomi sono legati con un legame covalente eteropolare, si verifica separazione di cariche elettriche, per cui su un atomo è presente
una parziale carica positiva e sull’altro una parziale carica
negativa. (B), se mettiamo in acqua il composto polare, le
molecole dell’acqua si legano ai due atomi con legame dipolo-dipolo e accentuano la separazione delle cariche. (C),
la differenza di carica raggiunge un valore tale che uno dei
due atomi perde completamente un elettrone e si formano
due ioni: si è verificata la ionizzazione. Gli ioni vengono
poi separati e circondati, come avviene con la dissociazione ionica di un composto ionico.
_
I
FIGURA PARLANTE
CH/111
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
14
Proprietà delle soluzioni
14.3 Elettroliti forti ed
elettroliti deboli
T
Il simbolo (aq) scritto in basso a destra della specie
chimica indica che questa si trova dispersa in soluzione acquosa.
NaNO3(s)
+
–
Na(aq) + NO 3(aq)
NO –3
Na+
FIGURA 14.4 La dissociazione ionica di un sale come il
nitrato di sodio NaNO3 avviene in modo completo e produce ioni sodio Na+ e ioni nitrato NO –3.
FIGURA 14.5 Elettroliti forti come l’acido nitrico (A) ed
elettroliti deboli come l’acido acetico (B) alla stessa concentrazione mostrano una diversa capacità di condurre
elettricità. Ciò indica una diversa ionizzazione delle loro
molecole, completa in HNO3 e parziale in CH3COOH. (C), i
non-elettroliti come il glucosio, anche se in soluzioni molto concentrate, non conducono elettricità.
–
+
–
NaNO3(s) ⎯→ Na (aq) + NO 3(aq)
Per ogni mole di NaNO3 che si scioglie, in soluzione sono presenti 1 mole
+
–
di ioni sodio Na e una mole di ioni nitrato NO 3 (figura 14.4). Se c’è acqua a
sufficienza, tutto il nitrato di sodio si scioglie e non troviamo più il composto NaNO3 indissociato. Poiché il soluto si è dissociato completamente negli ioni corrispondenti, la soluzione conduce bene la corrente elettrica: con
l’apparato sperimentale precedentemente descritto noteremo una intensa
luminosità della lampadina. Le sostanze che in soluzione sono buone conduttrici di elettricità sono definite elettroliti forti.
Se nello stesso apparato formato da pila e lampadina poniamo concentrazioni uguali di elettroliti diversi, notiamo che la lampadina emette luminosità diverse. La differente quantità di luce corrisponde alle differenti quantità di ioni che i vari elettroliti mandano in soluzione. Il nitrato di sodio,
che abbiamo visto, e così anche l’acido nitrico HNO3 e l’idrossido di potassio KOH provocano un’intensa luminosità, mentre l’idrossido di ammonio
NH 4OH e l’acido acetico CH3COOH, seppur presenti con la stessa concentrazione, fanno emettere alla lampadina una luce molto fioca. Rispetto alle
prime tre, queste due ultime sostanze mandano perciò in soluzione pochi
ioni. Le sostanze che in soluzione non sono buone conduttrici di elettricità
vengono definite elettroliti deboli. La differenza tra elettroliti forti ed elettroliti deboli sta nella dissociazione, che è completa per i primi e parziale
per i secondi (figura 14.5).
씰 Un elettrolita forte è una sostanza che in soluzione si dissocia
completamente, per il 100%; un elettrolita debole si dissocia
parzialmente.
Tutti i sali sono elettroliti forti.
Acido nitrico
HNO3
utti gli acidi, gli idrossidi e i sali solubili in acqua sono elettroliti. La
reazione chimica che provoca la liberazione di ioni in soluzione è la reazione di dissociazione ionica. Per esempio, il nitrato di sodio NaNO3 è un
sale che in acqua subisce la reazione di dissociazione ionica:
L’acido acetico CH 3COOH è un elettrolita debole: si scioglie completamente in acqua, ma solo poche molecole, meno del 5%, si ionizzano per
–
formare lo ione acetato CH3COO e lo ione idrogeno H +.
La tendenza a dissociarsi di ogni elettrolita è individuata dal grado di dissociazione, la grandezza che esprime il rapporto tra il numero delle molecole dissociate e il numero delle molecole iniziali. Per esempio, su 100 molecole di idrossido di ammonio NH 4OH in soluzione se ne dissociano 2;
NH 4OH è un elettrolita debole e il suo grado di dissociazione, indicato con
Acido acetico
CH3COOH
A
+
–
+
B
Glucosio
C6H12O6
–
C
+
CH/112
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CAPITOLO
14
Proprietà delle soluzioni
la lettera greca α (alfa), è α = 2/100 = 0,02. Un elettrolita forte è sempre caratterizzato dal grado di dissociazione α uguale a 1. Su 100 moli di nitrato di
sodio NaNO3 in soluzione, ad esempio, 100 sono dissociate: α = 100/100 = 1.
Il grado di dissociazione di un non-elettrolita è invece sempre uguale a
zero: α = 0/100 = 0 (figura 14.6).
FIGURA 14.6 (A), viti e dadi sono tutti separati, così
come in soluzione un elettrolita forte è completamente dissociato in ioni. (B), solo in pochi casi viti e dadi sono separati, così come un elettrolita debole è dissociato solo in
piccola parte. (C), tutte le viti sono connesse ai rispettivi
dadi, così come un non-elettrolita è formato da molecole
indissociate.
Molecole AB
A
B
C
Ioni +
A+
Ioni –
B–
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
1. Nel caso in cui si verifichi la reazione, scrivi l’equazione chimica della dissociazione ionica in acqua per le seguenti sostanze: cloruro di sodio NaCl, solfato di calcio CaSO4, solfito di litio Li2SO3, fosfato di calcio Ca3(PO4)2, nitrato di bario
Ba(NO3)2, acido nitrico HNO3 (α = 1), zucchero ed etanolo.
1. Scrivi l’equazione chimica della reazione di
dissociazione ionica in acqua per le sostanze
cloruro di potassio KCl, solfito di bario BaSO3,
solfato di cesio Cs2SO4, fosfato di alluminio
AlPO4, solfito ferrico Fe2(SO3)3, acido solforico
H2SO4 (α = 1).
I composti NaCl, CaSO4 , Li2 SO3, Ca3(PO4)2 e Ba(NO3)2 sono tutti sali e come tali sono
elettroliti forti che, sciolti in acqua, si dissociano completamente, liberando ioni negativi e positivi. Nell’equazione scriviamo quindi una singola freccia che va da sinistra a
destra. Occorre tenere presente che dalla dissociazione di Li2 SO3 si liberano due ioni litio Li +, da quella di Ca3(PO4)2 tre ioni calcio Ca 2+ e due ioni fosfato PO 43–e da quella di
Ba(NO3)2 due ioni nitrato NO 3–:
+
–
+ Cl (aq)
;
NaCl(s) → Na(aq)
2+
2–
;
CaSO4(s) → Ca(aq) + SO 4(aq)
+
2–
+ SO 3(aq)
;
Li2SO3(s) → 2Li(aq)
2+
3–
+ 2PO 4(aq)
;
Ca3(PO4)2(s) → 3Ca(aq)
2+
–
Ba(NO3)2(s) → Ba(aq) + 2NO 3(aq).
L’acido nitrico HNO3 è invece un composto molecolare tenuto insieme da legami covalenti eteropolari. In soluzione questa sostanza si ionizza e, avendo il grado di dissociazione uguale a 1, è completamente dissociata in ioni:
+
–
+ NO 3(aq)
.
HNO3(l) → H(aq)
Infine, lo zucchero e l’etanolo sono composti organici solubili in acqua, ma che non si
dissociano in ioni; per essi non si può scrivere pertanto nessuna reazione di dissociazione ionica.
di essere respinta. Il chimico fisico tedesco
Friedrich Wilhelm Ostwald (1853-1923), premio Nobel per la chimica nel 1909, all’avanguardia nello studio delle trasformazioni fisiche associate alle reazioni chimiche, rimase
invece favorevolmente impressionato e offrì
un posto a Arrhenius, incoraggiandolo a proseguire le ricerche.
Nel 1903 Arrhenius vinse il premio Nobel
per la chimica proprio grazie alla sua teoria
sul trasferimento di ioni, visti come responsabili del passaggio di elettricità.
Svante Arrhenius e la
dissociazione elettrolitica
CH/113
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PER SAPERNE DI PIÙ
Svante August Arrhenius, chimico svedese
(1859-1927), da studente iniziò a eseguire
ricerche sulle affinità tra chimica ed elettricità. La sua tesi di dottorato affrontava la
questione del passaggio di elettricità attraverso le soluzioni. Arrhenius sosteneva che
gli elettroliti, quando si sciolgono in acqua,
si dissociano in ioni di carica elettrica opposta, positiva e negativa. Il grado della dissociazione dipende dalla natura della sostanza
e dalla concentrazione della soluzione.
Le idee di Arrhenius incontrarono notevole
resistenza e la sua tesi di dottorato rischiò
2. Se il generico acido HA è dissociato nella misura del 15,3%, qual è il suo grado di dissociazione α?
CAPITOLO
14
Proprietà delle soluzioni
14.4 Proprietà delle soluzioni
L
Colligative • Il termine, usato per indicare alcune proprietà delle soluzioni, deriva dal latino colligere, che significa «raccogliere, riunire, correlare». Il termine correlate, riferito alle proprietà delle soluzioni, ha lo stesso
significato.
La concentrazione delle soluzioni è stata trattata nel
paragrafo 8.8. Una soluzione 0,1 M è una soluzione
che nel volume di 1 L contiene 0,1 mol di soluto.
e proprietà chimiche e fisiche delle soluzioni sono determinate dalla natura del solvente e del soluto. L’acqua zuccherata è dolce e incolore; il
vino ha un caratteristico sapore e un tipico colore, che dipendono dalle sostanze contenute nell’uva da cui deriva; il plasma sanguigno contiene le sostanze nutritive che mantengono in vita le nostre cellule.
Alcune proprietà delle soluzioni, dette proprietà colligative o proprietà
correlate, non dipendono dalla natura chimica del soluto e del solvente,
ma solo dalla concentrazione. Se raffreddiamo una soluzione 0,1 M di acqua e zucchero, notiamo che congela a una temperatura più bassa di 0 °C,
per un motivo che vedremo nel § 14.7. Se facciamo congelare una soluzione
acquosa di etanolo anch’essa 0,1 M, misuriamo una temperatura di solidificazione inferiore a 0 °C, la stessa della soluzione 0,1 M di zucchero. Etanolo
e zucchero sono sostanze molto diverse tra loro; l’abbassamento della temperatura di solidificazione dipende perciò solo dalla concentrazione della
soluzione e non dalla natura intima del soluto. Abbiamo messo in evidenza
una proprietà colligativa. Le proprietà colligative delle soluzioni sono:
•
•
•
•
abbassamento della pressione di vapore;
innalzamento della temperatura di ebollizione;
abbassamento della temperatura di solidificazione;
pressione osmotica.
Prima di esaminare queste proprietà occorre fare alcune precisazioni.
Quando affermiamo che esse dipendono dalla concentrazione, intendiamo
dire che dipendono dal numero di particelle effettivamente presenti in soluzione. La specificazione è necessaria per le sostanze che, come i composti
ionici, in soluzione acquosa sono presenti scomposte in ioni. Infatti, se
sciogliamo in acqua 58,4 g di cloruro di sodio NaCl, la cui massa molare è
58,4 g/mol, non abbiamo una mole di particelle in soluzione, ma due, poi+
–
ché in acqua non esiste la specie chimica NaCl, ma i due ioni Na e Cl .
Occorre considerare perciò la scissione in ioni dei composti ionici, e in
qualche caso delle molecole (cfr. § 14.2), e moltiplicare il numero delle
moli per un fattore, indicato dalla lettera greca ν (ni ). Il fattore ν esprime il
rapporto tra le moli di particelle in soluzione e le moli di soluto disciolto
ed è chiamato coefficiente di Van’t Hoff:
ν=
Il valore di concentrazione espresso con la molalità
è indipendente dalla temperatura. Infatti, con la molalità sono messe in relazione due quantità, moli del
soluto e massa del solvente, che sono grandezze indipendenti dalla temperatura.
FIGURA 14.7 Nei tre becher sono state sciolte quantità
corrispondenti alla massa molare in (A) di glucosio
C6H12O6, in (B) di cloruro di sodio NaCl, in (C) di cloruro di
bario BaCl 2. Il numero delle particelle presenti nelle tre soluzioni, però, non è uguale, perché in (A) c’è glucosio, un
composto molecolare, in (B) c’è un composto ionico che in
soluzione è dissociato in due ioni, Na+ e Cl–, in (C) c’è un
sale che si scompone in tre ioni, uno di Ba2 + e due di Cl–.
Il numero delle particelle in (B) è doppio, mentre in (C) è
triplo rispetto ad (A).
moli di particelle in soluzione
moli di soluto disciolto
Per esempio, nel caso di KOH o di MgSO4 il valore di ν è 2, perché i com–
posti sciogliendosi si scindono completamente in due ioni (K + e OH , Mg+ +
––
e SO4 ) e il numero delle particelle in soluzione diventa doppio. Nel caso
di Na2CO3 o di BaCl2 sono tre gli ioni che si formano dalla completa dissociazione (2Na+ e CO3– –, Ba+ + e 2Cl–) e quindi ν = 3 (figura 14.7).
Inoltre può tornare utile esprimere la concentrazione delle soluzioni mediante due nuove unità di concentrazione, che non avevamo ancora incontrato: la frazione molare (XN) e la molalità (m).
Na+ + Cl –
C6H12O6
A
B
Ba2 + + 2Cl –
C
CH/114
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
14
Proprietà delle soluzioni
씰 La frazione molare indica il rapporto tra il numero di moli di un
componente della soluzione e il numero di moli totali.
Per esempio, la frazione molare di un soluto A è X A = 0,2, se in 1 mole di
molecole complessive della soluzione il numero di moli del componente A
è 0,2 mol.
씰 La molalità indica quante moli di soluto sono state aggiunte a
1000 grammi di solvente.
Una soluzione acquosa è 0,3 m in cloruro di sodio, se a 1 000 g di acqua
sono state aggiunte 0,3 mol di cloruro di sodio.
Nella tabella 14.1 sono riassunte tutte le unità di concentrazione che abbiamo incontrato fino ad ora.
Concentrazione
Simbolo
Relazione matematica
Percentuale peso/peso
%P/P
(g soluto / g soluzione ) × 100
Percentuale peso/volume
%P/V
(g soluto / cm3soluzione ) × 100
Percentuale volume/volume
%V/V
(cm3soluto / cm3soluzione ) × 100
Parti per milione
ppm
mg soluto / dm3soluzione
Molarità
M
mol soluto / L soluzione
Frazione molare
XN
mol soluto N / (mol soluti + mol solvente )
Molalità
m
mol soluto / kg solvente
14.5 Abbassamento della
TABELLA 14.1 Per esprimere la concentrazione delle soluzioni si può fare riferimento a varie unità di misura che si
riferiscono sempre a rapporti tra soluto, solvente e soluzione.
A
pressione di vapore
0,2 M
0,4 M
0,2 M
0,4 M
asciamo all’aria e al Sole quattro soluzioni formate dallo stesso solvente
liquido e da quantità diverse dello stesso soluto solido e osserviamo
cosa succede. Dopo un po’ di tempo il livello del liquido è sceso nei recipienti, ma in quello contenente la soluzione a concentrazione maggiore si è
abbassato di meno (figura 14.8 A). Le soluzioni presentano una tendenza a
evaporare tanto minore tanto più sono concentrate. Se confrontate col solvente puro, tutte le soluzioni mostrano una inferiore tendenza a evaporare.
Ripetiamo ora l’esperimento cambiando solo il tipo di soluto e lasciando
uguali le concentrazioni: registriamo gli stessi abbassamenti (figura 14.8 B).
I fenomeni osservati hanno evidenziato una proprietà colligativa delle soluzioni e pertanto, ricordando che la tendenza a evaporare è funzione della
pressione di vapore del liquido (cfr. § 0.6), possiamo affermare che:
씰 La presenza del soluto fa diminuire la tendenza a evaporare del
solvente; l’abbassamento della pressione di vapore del solvente
rispetto al solvente puro è proporzionale alla concentrazione
della soluzione.
1M
±
L
0,8 M
B
0,8 M
±
FIGURA 14.8
Le soluzioni a concentrazione maggiore mostrano minore tendenza a evaporare. A
parità di solvente, la soluzione 1 M è quella che evapora più lentamente, sia se anche il soluto è
lo stesso nelle quattro soluzioni (A), sia se i soluti sono differenti (B). I valori di molarità si riferiscono all’effettivo contenuto di particelle in soluzione, cioè tengono conto dell’eventuale dissociazione in ioni del soluto.
CH/115
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1M
CAPITOLO
François Marie Raoult (1830-1901), chimico francese,
eseguì studi pionieristici nel campo delle proprietà
delle soluzioni e individuò un nuovo metodo per la
determinazione del peso molecolare.
FIGURA 14.9 In una soluzione acquosa di cloruro di sodio il solvente puro ha minore tendenza a evaporare, sia
perché in superficie è presente un numero minore di molecole d’acqua, sia perché vi sono forze di attrazione tra acqua e ioni che rallentano l’evaporazione.
I
14
Proprietà delle soluzioni
Tanto meno soluto è presente, tanto più facilmente il solvente liquido
passa allo stato di vapore (figura 14.9).
La pressione di vapore del solvente psolv in una soluzione è perciò direttamente proporzionale al numero di
moli di solvente, rispetto al numero
di moli totali presenti nella soluzione, cioè è proporzionale alla frazione
molare del solvente X solv.
Questa enunciazione rappresenta
Na+
la
legge di Raoult, che è espressa dalCl –
H2O
+
la
relazione:
Na
–
Cl
psolv = p °solv · X solv
Cl –
dove con p °solv si indica la pressione
di
vapore del solvente puro (figura
Na
14.10). La legge di Raoult, valida a
temperatura costante, permette di riNa+
Cl –
cavare il valore della pressione di vapore di un solvente in una soluzione
di cui sia nota la concentrazione. In
pratica, se in una soluzione la frazione molare del solvente è 0,9, cioè il
10% delle particelle sono di soluto e il 90% sono di solvente, allora la pressione di vapore del solvente nella soluzione è il 90% della pressione di vapore del solvente puro.
FIGURA PARLANTE
Na+
LABORATORIO SEMPLICE
Proprietà colligative
P0solvente
Cl –
+
psolvente
14.6 Innalzamento della temperatura
di ebollizione
U
0
1
Xsolvente
FIGURA 14.10 Il grafico della legge di Raoult è una retta
passante per l’origine degli assi.
Pressione di vapore in bar
1,013
n liquido bolle quando la sua pressione di vapore uguaglia la pressione
cui è sottoposto (cfr. § 0.6). Alla pressione atmosferica normale, che a
livello del mare è 1,013 bar, l’acqua bolle a 100 °C, perché a quel valore di
temperatura la sua pressione di vapore è 1,013 bar.
Una soluzione acquosa ha una pressione di vapore minore di quella dell’acqua e a 100 °C non ha ancora raggiunto la pressione atmosferica; il valore di 1,013 bar verrà raggiunto a una temperatura superiore a 100 °C (figura
14.11). Perché una soluzione di qualunque soluto possa bollire, è necessario
far salire la temperatura a valori superiori alla temperatura di ebollizione
del solvente puro. L’innalzamento della temperatura di ebollizione delle soluzioni si chiama innalzamento ebullioscopico e lo studio di questa proprietà colligativa prende il nome di ebullioscopia.
L’innalzamento ebullioscopio è proporzionale all’abbassamento della
pressione di vapore. Poiché l’abbassamento della pressione di vapore è proporzionale alla concentrazione della soluzione, possiamo concludere che:
씰 Una soluzione bolle a temperatura superiore a quella del
solvente puro; l’innalzamento ebullioscopico è proporzionale
alla concentrazione.
0
Temperatura in °C
100
La pressione di vapore di una soluzione
acquosa è 1,013 bar a una temperatura >100 °C
FIGURA 14.11
La curva verde e quella blu indicano come
variano la pressione di vapore di ghiaccio (verde) e acqua
(blu) in funzione della temperatura. La curva rossa indica
come varia la pressione di vapore di una soluzione acquosa.
La pressione di vapore della soluzione è minore di quella
dell’acqua.
L’innalzamento ebullioscopico è una proprietà colligativa delle soluzioni,
perché soluzioni a uguale concentrazione producono lo stesso innalzamento della temperatura, indipendentemente dalla natura chimica del soluto.
Per l’aggiunta di 1 mole di qualunque sostanza a 1 000 grammi di solvente,
cioè per le soluzioni la cui concentrazione è 1 molale, si ha lo stesso innalzamento della temperatura di ebollizione. Questo valore è perciò una costante per ogni solvente ed è chiamato costante ebullioscopica molale (Keb)
(tabella 14.2). Se la molalità (m) raddoppia, l’innalzamento ebullioscopico
(Δt eb) raddoppia:
Δt eb = m · Keb
CH/116
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CAPITOLO
14
Proprietà delle soluzioni
Per l’acqua K eb vale 0,512 °C/mol. Una soluzione formata da 2,00 moli di
zucchero aggiunte a 1 000 grammi di acqua, cioè a 1 litro, è una soluzione
2,00 molale che bolle a: 100 + (2,00 × 0,512) = 101,024 °C. Se sostituiamo lo
zucchero col sale NaCl, che in soluzione è scomposto in 2 ioni, Na+ e Cl –
(ν = 2), l’ebollizione si verifica a: 100 + [(2,00 × 2) × 0,512] = 102,048 °C.
Il metodo ebullioscopico può essere utilizzato per determinare la concentrazione e il peso molecolare di sostanze incognite in soluzione. Facciamo
bollire una soluzione acquosa a concentrazione incognita e troviamo che la
temperatura di ebollizione è, per esempio, 101,536 °C. In questo caso possiamo dire che la soluzione è formata da 3,00 mol di soluto aggiunte a 1 000
g di acqua, cioè è 3,00 m:
Δt eb = 101,536 – 100 = 1,536 °C;
m = Δt eb / K eb = 1,536 / 0,512 = 3,00 m.
Facciamo una verifica «domestica» di questa proprietà delle soluzioni: la
cottura degli spaghetti. L’acqua salata dentro la quale abbiamo «buttato» gli
spaghetti bolle a una temperatura superiore a 100 °C (figura 14.12). Man
mano che l’ebollizione procede, verifichiamo con un termometro che la
temperatura dell’acqua salata continua ad aumentare, anche se di poco. La
temperatura di ebollizione dell’acqua salata tende a salire, perché col passaggio dell’acqua allo stato di vapore aumenta la concentrazione della soluzione; l’aumento di concentrazione fa salire ulteriormente la temperatura di
ebollizione. In conclusione, se cuocessimo gli spaghetti in acqua pura,
avremmo per tutto il tempo dell’ebollizione (e della cottura) la temperatura
di 100 °C; in acqua salata, invece, gli spaghetti cuociono a temperature che
diventano sempre più alte.
Solvente
Punto di ebollizione
del solvente puro(°C)
Acqua
100
0,512
118,2
3,07
Benzene
80,1
2,53
Canfora
207,4
5,61
Acido acetico
Temperatura in °C
K eb
(°C/m)
TABELLA 14.2
Punti di ebollizione di alcuni solventi e
relative costanti ebullioscopiche.
FIGURA 14.12 L’acqua bolle a 100 °C; la temperatura dell’acqua bollente rimane la stessa per tutto il tempo dell’ebollizione. L’acqua salata bolle invece a una temperatura
superiore a 100 °C, che dipende dalla concentrazione del
sale. A causa dell’evaporazione dell’acqua, la concentrazione della soluzione aumenta e ciò fa aumentare anche la
temperatura di ebollizione.
Acqua salata
Acqua pura
105 °C
105
104
103 °C
103
102
101
100
101 °C
100 °C
99
98
Tempo
CH/117
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CAPITOLO
14
Proprietà delle soluzioni
14.7 Abbassamento della temperatura
di solidificazione
C
Crioscopia • Osservazione e studio dei fenomeni legati al
congelamento; deriva dai termini greci kryos «freddo, gelo»
e scopeo «osservare».
ome esempio di proprietà colligativa avevamo già presentato nel § 14.4
il caso dell’abbassamento della temperatura di congelamento dell’acqua,
che si verifica nelle soluzioni acquose. La diminuzione della temperatura di
solidificazione prende il nome di abbassamento crioscopico e lo studio di
questa proprietà è chiamato crioscopia. Analogamente a quanto avevamo
visto per l’ebullioscopia, nel caso della crioscopia possiamo dire:
씰 Una soluzione passa allo stato solido a temperatura inferiore
a quella del solvente puro; l’abbassamento crioscopico è
proporzionale alla concentrazione della soluzione.
L’acqua pura congela a 0 °C. Nella figura 14.13 riconosciamo questo passaggio di stato nel punto d’incontro tra la curva blu e la curva verde del grafico. Una soluzione acquosa, che ha una pressione di vapore minore, curva
rossa, incontra la curva verde a una temperatura inferiore a 0 °C. L’abbassamento della temperatura di solidificazione è proporzionale all’abbassamento della pressione di vapore e quindi è proporzionale alla concentrazione
della soluzione.
1,013
Pressione di vapore in bar
FIGURA 14.13
La curva verde e quella blu indicano come
variano la pressione di vapore di ghiaccio (verde) e acqua
(blu) in funzione della temperatura. La curva rossa indica
come varia la pressione di vapore di una soluzione acquosa.
La soluzione congela a una temperatura inferiore a 0 °C.
0
100
Temperatura in °C
Soluzioni a uguale concentrazione determinano lo stesso abbassamento
crioscopico (Δt cr ). Per l’aggiunta di 1 mole di qualunque sostanza a 1 000
grammi di solvente, cioè per le soluzioni 1 molale, si ha lo stesso abbassamento della temperatura di solidificazione. Questo valore, costante per ogni
solvente, è chiamato costante crioscopica molale (K cr ) (tabella 14.3).
Δt cr = m · K cr
Solvente
Acqua
Punto di solidificazione
del solvente puro(°C)
0
K cr
(°C/m)
1,86
Acido acetico
16,63
3,90
Benzene
5,53
5,12
Canfora
179,75
39,7
TABELLA 14 .3 Punti di solidificazione di alcuni solventi e
relative costanti crioscopiche.
Per l’acqua K cr vale 1,86 °C/mol. Una soluzione formata da 2,0 moli di
zucchero aggiunte a 1 000 grammi di acqua, cioè a 1 litro, è una soluzione
2,0 molale che congela a: 0 – (2,0 × 1,86) = – 3,72 °C. Come per le altre proprietà colligative, le sostanze che si scindono in ioni determinano risultati
multipli di un fattore ν. L’esempio precedente riferito al sale NaCl, in soluzione Na+ e Cl – (ν = 2), dà come risultato: 0 – [(2,00 × 2) × 1,86] = –7,44 °C.
La crioscopia può essere utilizzata per risalire al valore incognito della
concentrazione di una soluzione. Prima misuriamo la temperatura di solidificazione, poi ricaviamo l’abbassamento crioscopico e, infine, dividiamo
questo valore per la costante crioscopica molale:
m = Δt cr / K cr
L’abbassamento crioscopico ha una notevole importanza pratica. Per
esempio, affinché l’acqua del mare, che è una soluzione molto ricca di sali,
possa congelare, si deve raggiungere una temperatura inferiore a 0 °C, intorno a –2 °C. Sfruttando questa proprietà colligativa, si usa spargere sale sulla
neve in modo da impedire la formazione di ghiaccio (figura 14.14).
Non tutti i sali hanno lo stesso effetto nel prevenire la formazione del
CH/118
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CAPITOLO
14
Proprietà delle soluzioni
ghiaccio. Generalmente si fa ricorso al comune NaCl, ma una diminuzione maggiore della temperatura di solidificazione dell’acqua si può ottenere dal cloruro di calcio CaCl2, che si dissocia formando tre ioni (Ca2 + e
2Cl – ) con ν = 3. Spargendo la stessa quantità dei due sali, il cloruro di
calcio provoca un abbassamento crioscopico maggiore. Il cloruro di sodio viene preferito in quanto è più economico.
Anche gli additivi anticongelanti, che si
versano nel circuito di raffreddamento delle automobili, determinano un abbassamento crioscopico, oltre che un innalzamento ebullioscopico. Se nel radiatore ci
fosse solo acqua, al di sotto di 0 °C si formerebbe ghiaccio e il motore si bloccherebbe (figura 14.15).
Una ulteriore verifica dell’abbassamento
crioscopico si può realizzare anche in casa.
L’esperienza ci insegna che si fa abbastanza
presto a ottenere un cubetto di ghiaccio nel
congelatore del frigorifero, mentre ci vuole
più tempo, cioè bisogna raggiungere una
temperatura più bassa, quando si vuole ottenere un ghiacciolo alla menta. Infatti, lo sciroppo che congeliamo per fare
il ghiacciolo è una soluzione concentrata di acqua e zucchero.
Possiamo concludere che una soluzione ha un intervallo di esistenza dello stato liquido più ampio rispetto a quello del solvente puro (figura 14.16).
FIGURA 14 .14
I veicoli spargisale cospargono le strade di
cloruro di sodio NaCl e cloruro di calcio CaCl 2 per evitare la
formazione di lastre di ghiaccio. Sulla superficie stradale
questi sali formano soluzioni acquose concentrate, che solidificano a temperature molto inferiori a 0 °C.
FIGURA 14 .15
L’aggiunta di un anticongelante all’acqua
del radiatore delle automobili determina un abbassamento
del punto di solidificazione, che mantiene liquida la soluzione anche in condizioni climatiche molto difficili per
temperature troppo basse o troppo alte. Infatti l’aggiunta
del soluto fa anche aumentare il punto di ebollizione.
SOLUZIONE
SOLVENTE
FIGURA 14 .16
La curva blu riporta la variazione della
pressione di vapore dell’acqua pura con la temperatura,
mentre la curva rossa indica la pressione di vapore di una
soluzione acquosa. L’innalzamento ebullioscopico Δt eb e
l’abbassamento crioscopico Δt cr, causati dall’aggiunta di un
soluto a una sostanza pura, provocano un incremento dell’intervallo di esistenza della fase liquida del solvente.
Pressione di vapore in bar
1,013
Punto di fusione
della soluzione
Punto di fusione
dell’acqua
Δtcr
Punto di ebollizione
dell’acqua
Temperatura in °C
Punto di ebollizione
della soluzione
Δteb
I
FIGURA PARLANTE
CH/119
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CAPITOLO
14
Proprietà delle soluzioni
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
2. Sciogliamo 150 g di glucosio (C6H12O6, massa molare 180 g/mol) in 335,4 cm 3,
cioè 335,4 g, di acqua (massa molare 18,02 g/mol) alla temperatura di 25 °C. Qual è
la pressione di vapore dell’acqua in questa soluzione? La pressione di vapore dell’acqua pura p H° O a 25 °C è 23,8 torr e la densità è 1,00 g/cm 3.
2
3. Calcola il valore della pressione di vapore dell’acqua in una soluzione ottenuta sciogliendo
200 grammi del composto organico eugenolo
C10H12O2 in 760 g di acqua a 25 °C?
Dapprima calcoliamo il numero di moli di acqua:
335,4 g
= 18,61 mol
18,02 g /mol
4. Calcola il punto di ebollizione di una soluzione di 10,0 g di canfora C10H16O in 425
grammi di benzene. Punto di ebollizione del
benzene = 80,1 °C; K eb = 2,53 °C/m.
Poi calcoliamo il numero di moli di glucosio:
150 g
180 g /mol
= 0,833 mol
Possiamo determinare ora la frazione molare dell’acqua X H2O nella soluzione, facendo il
rapporto tra il numero di moli di acqua e il numero di moli totale:
XH2O =
18,61 mol
= 0,9572
(18,61 + 0,833) mol
Applichiamo infine la legge di Raoult per calcolare la pressione di vapore del solvente
nella soluzione:
pH O = XH O · pH° O = 0,9572 × 23,8 torr = 22,8 torr
2
2
2
3. Il glicol etilenico CH2OHCH2OH ha massa molare 62,0 g/mol. Qual è il punto di
ebollizione di una soluzione che contiene 0,124 g di glicol etilenico disciolti in 200
g di acqua? La costante ebullioscopica molale K eb dell’acqua è 0,512 °C/m.
Dapprima calcoliamo a quante moli corrispondono 0,124 g di glicol etilenico, dividendo per la sua massa molare:
0,124 g / 62,0 g/mol = 2,00 · 10 –3 mol
Successivamente calcoliamo la molalità, dividendo le moli di glicol per la massa di solvente puro, in kg, a cui è stato aggiunto il soluto:
2,00 · 10 –3 mol / 0,200 kg = 1,00 · 10 –2 m
A questo punto moltiplichiamo la molalità per la costante ebullioscopica molale e
ricaviamo l’innalzamento del punto di ebollizione:
Δ teb = m · Keb = 1,00 · 10 –2 m × 0,512 °C /m = 5,12 · 10 –3 °C
Il punto di ebollizione del solvente puro si innalza di 0,00512 °C e diventa:
100 °C + 0,00512 °C = 100,00512 °C
4. Quanti grammi di glucosio (massa molare = 180 g/mol) devono essere aggiunti a
250 g di acqua (Kcr = 1,86 °C/m), perché il punto di solidificazione diminuisca di
1,00 °C?
Dapprima calcoliamo la molalità della soluzione di glucosio a cui corrisponde l’abbassamento di 1,00 °C:
Δ tcr = m · Kcr = m × 1,86 °C/m = 1,00 °C
da cui:
m = 1,00 °C / 1,86 °C /m = 0,538 m
Conoscendo ora la molalità e la massa di solvente cui è stato aggiunto il soluto, possiamo ricavare la quantità in moli di glucosio da utilizzare:
m = mol / kg solvente
da cui:
mol = m · kg solvente = 0,538 m × 0,250 kg = 0,135 mol
Infine passiamo dalle moli di glucosio ai grammi, moltiplicando per la massa molare:
0,135 mol × 180 g/mol = 24,3 g
CH/120
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CAPITOLO
14
Proprietà delle soluzioni
14.8 Osmosi
L
e particelle di soluto in una soluzione si comportano come le molecole
di un gas in un recipiente: tendono a distribuirsi in tutto lo spazio disponibile. Se versiamo delicatamente una soluzione colorata in acqua (figura 14.17), in un primo momento osserviamo che i due liquidi rimangono separati e stratificati. Dopo un po’ di tempo, però, il miscuglio assume una colorazione uniforme, più tenue e sfumata. Possiamo concludere che una soluzione concentrata tende spontaneamente a diluirsi.
씰 Il passaggio di una sostanza da una regione in cui è più
concentrata verso una regione in cui è più diluita prende
il nome di diffusione.
FIGURA 14 .17 Una soluzione colorata aggiunta all’acqua,
prima si stratifica, poi comincia a diluirsi, fino a far assumere al miscuglio una colorazione uniforme.
Arriviamo alla stessa conclusione attraverso un altro esperimento. Poniamo sotto una campana di vetro due becher contenenti la stessa quantità di
liquido; in uno c’è una soluzione molto concentrata, nell’altro acqua pura
(figura 14.18). Passato un po’ di tempo osserviamo che il livello dell’acqua
pura è diminuito e il livello della soluzione molto concentrata è aumentato.
L’acqua è passata allo stato di vapore nell’ambiente della campana e si è
condensata prevalentemente nel becher contenente la soluzione.
Evaporazione
FIGURA 14 .18 Nel becher A c’è una soluzione molto concentrata, nel becher B c’è acqua distillata. Dopo un po’ di
tempo il livello di A risulta aumentato e il livello di B diminuito, perché l’acqua è passata allo stato di vapore e si è
condensata soprattutto in A, legandosi col soluto e diluendo la soluzione.
Condensazione
Molecole di
vapore acqueo
A
A
B
B
Questo comportamento permette di spiegare un fenomeno che riguarda
soluzioni a diversa concentrazione. Prendiamo un tubo a U (figura 14.19),
diviso in due «rami», A e B, da una membrana semipermeabile, un setto di
separazione che può essere attraversato da piccole molecole, ma non da
ioni o da molecole di grandi dimensioni. In pratica attraverso una membra-
A
A
Soluzione
ipertonica
B
B
A
A
Soluzione
ipotonica
4%
saccarosio
H 2O
7%
saccarosio
A
Il passaggio di sostanze attraverso
la membrana plasmatica
FIGURA 14 .19 All’inizio le concentrazioni in A e in B sono
molto diverse. L’acqua passa da B ad A attraverso la membrana semipermeabile. Le soluzioni nei due rami del tubo
tendono a raggiungere la stessa concentrazione. Alla fine
del fenomeno la concentrazione è la stessa nei due rami del
tubo.
B
B
Soluzione
isotonica
10%
saccarosio
APPROFONDIMENTO
7%
saccarosio
H2O
← Membrana semipermeabile
CH/121
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CAPITOLO
Ipertonica • Caratterizzato da tono elevato, da forte spinta; deriva dai termini greci yper «sopra, eccessivo» e tonos
«tensione, accentuazione».
Ipotonica • Caratterizzato da basso tono, da debole spinta; deriva dai termini greci ypo «sotto» e tonos «tensione,
accentuazione».
Isotonico •Caratterizzato dallo stesso tono, da uguale
spinta; deriva dai termini greci isos «uguale» e tonos «tensione, accentuazione».
Osmosi • Fenomeno che consiste nel flusso di un liquido
attraverso una membrana che separa due soluzioni a diversa concentrazione; deriva dal greco osmos «spinta».
14
Proprietà delle soluzioni
na semipermeabile può passare il solvente, ma non il soluto (figura 14.20).
Introduciamo nel ramo A una soluzione di acqua e saccarosio ad alta concentrazione, soluzione ipertonica, e nel ramo B la stessa quantità della stessa soluzione, ma a concentrazione minore, soluzione ipotonica. La membrana semipermeabile permette il passaggio delle piccole molecole d’acqua, il
solvente, ma non quelle del saccarosio, il soluto.
Dopo un po’ di tempo osserviamo che il livello nel ramo A, che conteneva la soluzione a concentrazione maggiore, è aumentato, e il livello nel
ramo B è diminuito. Le due soluzioni hanno raggiunto la stessa concentrazione e sono diventate soluzioni isotoniche. Anche in questo caso abbiamo
verificato la tendenza della soluzione a diluirsi: le molecole d’acqua si sono
mosse in una direzione, quella che va dalla soluzione ipotonica alla soluzione ipertonica, da B ad A. In realtà le molecole d’acqua si muovono nei
due sensi, ma, poiché quelle che vanno dalla soluzione ipotonica a quella
ipertonica sono molto più numerose, è giustificato dire che le molecole di
acqua si muovono da B ad A. Il fenomeno che abbiamo descritto prende il
nome di osmosi.
씰 L’osmosi è la migrazione spontanea delle molecole del solvente
da una soluzione più diluita a una più concentrata, attraverso
una membrana semipermeabile.
FIGURA 14.20 Molecole grandi, come quelle del saccarosio, o ioni, come lo ione potassio K +, non riescono a passare attraverso una membrana semipermeabile, a differenza
delle molecole dell’acqua.
Molecola
grande
I
FIGURA PARLANTE
Ioni idratati
H2 O
Membrana
semipermeabile
LABORATORIO SEMPLICE
Osmosi nell’uovo
d
ANIMAZIONE
Osmosi
14.9 Pressione osmotica
I
l passaggio delle molecole dalla soluzione ipotonica a quella ipertonica
durante l’osmosi a un certo punto sembra finire. Quando due soluzioni
hanno concentrazioni iniziali molto diverse (figura 14.21 A), non raggiungono mai la stessa concentrazione. Infatti, nel ramo 1 (figura 14.21 B) la colonna del liquido esercita, via via che il livello sale, una pressione sempre
maggiore contro la membrana, rallentando così il passaggio di altre molecole di solvente. A un certo punto il numero delle molecole che passano dal
ramo 2 a quello 1 è uguale al numero delle molecole che passano dal ramo
1 al 2 e, infatti, osserviamo che il livello nei due rami non cambia più (figura 14.21 C). Si è instaurato un equilibrio dinamico. La pressione esercitata
dalla colonna del liquido nel ramo 1 è la pressione osmotica, che viene indicata con il simbolo π (pi greco). Dopo che è stata raggiunta la condizione
di equilibrio, l’altezza a cui arriva la colonna dà la misura del valore della
pressione osmotica.
CH/122
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CAPITOLO
1
A
2
1
← Membrana
semipermeabile
2
B
14
Proprietà delle soluzioni
1
2
FIGURA 14 . 21 (A), due soluzioni, che hanno concentrazioni molto differenti e sono separate da una membrana semipermeabile, non raggiungeranno mai la stessa concentrazione (B). Quando il sistema raggiunge l’equilibrio (C), la
pressione esercitata dal ramo 1 sulla membrana semipermeabile è la pressione osmotica.
C
씰 La pressione osmotica di una soluzione è la pressione che
occorre esercitare per bilanciare il flusso di solvente che passa
attraverso una membrana semipermeabile, dalla soluzione più
diluita a quella più concentrata.
La pressione osmotica è una proprietà colligativa delle soluzioni. Se
sciogliamo in acqua lo stesso numero di moli di sostanze diverse, le soluzioni che otteniamo fanno innalzare alla stessa altezza la colonna di liquido: la pressione osmotica è uguale. Soluzioni isotoniche hanno la stessa
pressione osmotica.
La pressione osmotica ricopre un ruolo di fondamentale importanza per i
viventi. La membrana delle cellule di tutti gli organismi è una membrana semipermeabile. I globuli rossi, per esempio, sono cellule del sangue e possono essere considerati una soluzione di emoglobina e altre proteine a contatto
con un’altra soluzione, il plasma sanguigno, attraverso una membrana semipermeabile, la membrana cellulare (figura 14.22).
La pressione osmotica del plasma e quella dell’interno dei globuli rossi
sono uguali, perché le due soluzioni sono isotoniche. Se prendiamo i globuli rossi e li immergiamo in acqua pura o in una soluzione ipotonica, che ha
una pressione minore, l’acqua entra nei globuli rossi e ne produce il rigonfiamento fino a determinare la rottura della membrana e la distruzione della
cellula (figura 14.23). Se invece immergiamo i globuli rossi in una soluzione molto concentrata, essi perdono acqua e raggrinziscono. Anche in questo
caso le cellule perdono la loro funzionalità.
Le conoscenze sulla pressione osmotica permettono di spiegare perché è
possibile conservare gli alimenti sotto sale o immergendoli in soluzioni
molto concentrate di zuccheri. Sappiamo che il deterioramento dei cibi dipende in gran parte dall’azione di microrganismi unicellulari, che utilizzano il materiale organico degli alimenti per nutrirsi. Aggiungendo sale o zucchero, come si
fa rispettivamente con la salamoia o con la
frutta candita, si crea un ambiente fortemente
ipertonico, con una pressione osmotica elevata. In questo modo gli organismi unicellulari,
Soluzione
ipotonica
che hanno una pressione osmotica minore,
perdono acqua e muoiono per disidratazione.
FIGURA 14 . 23 I globuli rossi del sangue sono isotonici col
plasma nel quale sono immersi. Se la soluzione in cui vengono introdotti è ipotonica, si rigonfiano fino a rompere la
membrana; se la soluzione è ipertonica, perdono acqua e
raggrinziscono.
Negli ospedali i pazienti vengono reidratati somministrando soluzioni isotoniche con i fluidi cellulari. Nei
flaconi è contenuta una soluzione salina sterile 0,15
M in NaCl.
FIGURA 14 . 22 I globuli rossi, come tutte le cellule, hanno
una membrana esterna che permette il passaggio dell’acqua,
ma non dei soluti. Grazie a questa membrana semipermeabile le cellule sono interessate dal fenomeno dell’osmosi.
Soluzione
ipertonica
Soluzione
isotonica
CH/123
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PER SAPERNE DI PIÙ
CAPITOLO
14
Proprietà delle soluzioni
L’osmosi inversa
Pressione
L’osmosi inversa è il sistema di purificazione
dell’acqua per uso alimentare più sicuro e
diffuso. Questo procedimento consente l’eliminazione di piccolissime particelle inquinanti grazie a una membrana osmotica. Il
procedimento è inverso a quello che avviene
naturalmente nell’osmosi.
Applicando una forte pressione, l’acqua
non pura viene spinta contro la membrana
semipermeabile, le particelle inquinanti non
riescono a passare e dall’altra parte viene
così prodotta acqua pura. Con questo procedimento viene eliminato il 100% di tutte le
sostanze inquinanti organiche e oltre l’80%
di quelle inorganiche.
Con l’osmosi inversa si può ottenere acqua potabile dall’acqua del mare.
Acqua
di scarto
Membrana
semipermeabile
Soluzione
meno
concentrata
Soluzione
più
concentrata
Acqua di
alimentazione
Osmosi
Acqua pura
prodotta
Osmosi inversa
14.10 Calcolo della pressione osmotica
L
a pressione osmotica dipende dal volume della soluzione, dal numero
di moli di soluto e dalla temperatura. Il tipo di sostanza disciolta invece
non ha nessuna influenza. Il comportamento di un soluto in un solvente è
stato paragonato a quello di un gas in un recipiente e, in effetti, in tutte le
osservazioni fin qui condotte abbiamo verificato tale somiglianza. Anche
per ciò che riguarda gli aspetti quantitativi è possibile riferirsi ai gas e utilizzare le stesse leggi. Per esempio, possiamo prevedere come varia la pressione osmotica al variare dei fattori che la determinano. Per le soluzioni, infatti, vale una relazione, la legge della pressione osmotica, che è analoga
alla equazione di stato dei gas perfetti (cfr. § 0.5):
π·V=n·R·T
Come per l’equazione di stato dei gas, R vale 0,0821
se π è misurato in atm.
dove π è il valore della pressione osmotica; V è il volume della soluzione; n
è il numero di moli di soluto; T è la temperatura assoluta; R è una costante,
che ha il medesimo valore di 0,0831, se π è misurato in bar, V in dm3 o in L
e T in kelvin (K).
Per esempio, se volessimo calcolare la pressione osmotica di 1 500 cm3 di
soluzione contenenti 171 grammi di saccarosio C12H22O11 alla temperatura
di 27 °C, sapendo che la massa molare del saccarosio è 342 g/mol, dovremmo per prima cosa esprimere i valori delle misure in dm3, numero di moli e
kelvin:
V = 1 500 cm3 = 1,500 dm3
n = 171 / 342 = 0,500 mol
T = 27 + 273 = 300 K
e successivamente ricavare la pressione osmotica, utilizzando la relazione:
Poiché n/V = M, la pressione osmotica può essere
espressa in funzione della molarità M:
π=M·R·T
π = (n · R · T) / V = (0,500 × 0,0831 × 300) / 1,500 = 8,31 bar
La formula della pressione osmotica si può utilizzare per calcolare uno
qualsiasi dei quattro valori, conoscendo gli altri tre:
V=n·R·T/π
n=π·V/R·T
T=π·V/n·R
Poiché la pressione osmotica, come le altre proprietà colligative, dipende
CH/124
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
CAPITOLO
14
Proprietà delle soluzioni
dal numero di particelle per unità di volume, nel caso dei composti ionici,
che in soluzione si scindono completamente in ioni, deve essere apportata
una correzione alla legge, che pertanto diviene:
π·V=n·R·T·ν
dove ν indica il numero di ioni che si formano nella dissociazione del composto ionico. Nella tabella 14.4 abbiamo riassunto le più importanti proprietà delle soluzioni.
Proprietà
TABELLA 14.4
Riepilogo delle proprietà delle soluzioni.
Equazione per sostanze
che non si dissociano
Equazione per sostanze
che si dissociano
Sgas = pgas · K H
I soluti gassosi non si dissociano
LEGGE DI HENRY
la solubilità di un gas è eguale al prodotto della pressione parziale di
un soluto gassoso (pgas) per una costante caratteristica del soluto e
del solvente (KH) (cfr. § 0.8)
LEGGE DI RAOULT
la pressione di vapore di un solvente all’equilibrio a una data temperatura psolvente è il prodotto della frazione molare del solvente (X solvente )
per la pressione di vapore del solvente puro (p °solvente )
psolvente = Xsolvente · p °solvente
p solvente = X solvente · p °solvente
↓
moli solvente
moli solvente + moli soluto · ν
INNALZAMENTO EBULLIOSCOPICO
l’innalzamento del punto di ebollizione di un solvente in una soluzione è il prodotto della molalità del soluto per una costante caratteristica del solvente
Δt eb = K eb · m
Δt eb = K eb · m · ν
Δt cr = K cr · m
Δt cr = K cr · m · ν
π=M·R·T
π=M·R·T·ν
ABBASSAMENTO CRIOSCOPICO
l’abbassamento del punto di solidificazione di un solvente in una soluzione è il prodotto della molalità del soluto per una costante caratteristica del solvente
PRESSIONE OSMOTICA (π)
prodotto della concentrazione del soluto (molarità) per la costante
universale dei gas R e la temperatura in kelvin
Glossary
Colligative properties ( proprietà colligative) Properties that depend on the concentration of particles present in a solution and not on the nature of the particles.
Cryoscopic depression (abbassamento crioscopico) The reduction in the freezing point of a pure liquid when another substance is dissolved in it.
Ebullioscopic elevation (innalzamento ebullioscopico) The increase in the boiling point of a pure liquid when another substance is dissolved in it.
Lowering of vapour pressure (abbassamento della pressione di vapore) The reduction of the vapour
pressure of a pure liquid when a solute is introduced.
Osmosis (osmosi) The passage of a solvent through a semipermeable membrane separating two solution of different concentration.
Osmotic pressure ( pressione osmotica) The pressure required to stop the flow of a solvent through a
semipermeable membrane.
Semipermeable membrane (membrana semipermeabile) A membrane in which the molecules of solvent can pass through but the molecules of most solutes cannot.
CH/125
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G U I DA A L L O S T U D I O
EA
FACCIAMO IL PUNTO
Domande aperte
11 Quali sono le differenze tra la ionizzazione e la dissocia-
10 Cita esempi della vita quotidiana in cui sono evidenti fenomeni come l’innalzamento ebullioscopico e l’abbassamento
crioscopico di soluzioni.
zione elettrolitica?
12 Come può essere messa in evidenza la presenza di ioni in
una soluzione?
13 Che cos’è un non-elettrolita?
14 Quali sono le caratteristiche di un elettrolita? Che differenza c’è tra un elettrolita forte e un elettrolita debole?
15 Che cosa si intende per grado di dissociazione? Che valore
assume il grado di dissociazione nel caso di un elettrolita
forte, di un elettrolita debole e di un non-elettrolita?
16 Che cos’è il coefficiente di Van’t Hoff?
17 Che cosa si intende per frazione molare di una soluzione?
18 Che cosa si intende col termine proprietà colligativa (o cor-
11 Tra lo zucchero e il sale da cucina in uguali quantità, quale
sostanza deve essere scelta per abbassare maggiormente il
punto di solidificazione dell’acqua? Giustifica la risposta.
12 Che cosa si intende con il termine diffusione?
13 Spiega il fenomeno dell’osmosi. Quando sono isotoniche due
soluzioni? Quale metodo si può usare per misurare la pressione osmotica?
14 Perché la pressione osmotica ha una notevole importanza
anche dal punto di vista biologico?
15 Perché la pressione osmotica esercitata nelle stesse condizioni di temperatura da soluzioni con la stessa molarità di
glucosio C 6H12O6, di cloruro di sodio NaCl e di cloruro di calcio CaCl2 è diversa? Indica quale rapporto esiste fra i tre valori di pressione osmotica.
relata) delle soluzioni?
19 Definisci il fenomeno dell’innalzamento ebullioscopico e dell’abbassamento crioscopico delle soluzioni.
A
Esercizi di completamento
16
Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello spazio vuoto il termine opportuno.
Le ………………………………………… sono miscugli …………………………………………… formati da quantità variabili di …………………………………………… e solvente. La grandezza che
definisce il rapporto tra la quantità di ……………………………………… e la quantità di solvente o di
………………………………………
è la ……………………………………………………………… .
Le proprietà delle soluzioni che non dipendono dalla natura chimica del ……………………………………………………… , ma solo dalla concentrazione, sono
dette
…………………………………………………
…………………………………………………………
. Quando un soluto viene aggiunto a un
, un effetto è l’abbassamento della
di vapore, perché …………………………………………………………… la tendenza del solvente a evaporare. Dirette conseguenze di que-
sto effetto sono l’innalzamento
………………………………………………………
…………………………………………………………
…………………………………………………………………
e l’
…………………………………………………………………
crioscopico. Un’altra proprietà
è la pressione ………………………………………… , spinta che si verifica a seguito del fenomeno dell’ ……………………………………………………… ,
che è la migrazione spontanea delle molecole del ………………………………………………………… , più piccole, da una soluzione più ……………………………………………………………
a una ……………………………………………… concentrata attraverso una membrana ……………………………………………………………… .
VERIFICA LE CONOSCENZE
A
Esercizi di corrispondenza
17
Completa la tabella a lato che si riferisce a soluzioni acquose di
triossonitrato (V) di potassio KNO3. La frazione molare è relativa
al soluto.
Massa
soluto (g)
A
B
C
Moli
soluto
Moli
solvente
10,2
Frazione
molare
0,445
2,70
5,30
12,5
0,250
CH/126
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A
Domande a scelta multipla
18 Un elettrolita forte:
A
B
C
D
29
A 197;
in acqua è parzialmente dissociato;
è solubile in qualunque quantità;
in acqua è completamente dissociato;
in acqua non si dissocia.
30
20 L’acido acetico CH3COOH in acqua è un debole conduttore
in un volume diverso;
C isotoniche;
D a molarità diversa, ma alla stessa temperatura.
31
formano:
A tre ioni ammonio e tre ioni tetraossofosfato (V);
B tre ioni ammonio e uno ione tetraossofosfato (V);
C uno ione ammonio e uno ione tetraossofosfato (V);
D uno ione ammonio e tre ioni tetraossofosfato (V).
23 La frazione molare di NaCl in una soluzione ottenuta sciogliendo 58,5 g di NaCl in 180 g di H2O è:
A 0,10;
B 0,09;
C 1,0;
H2 SO4 con 198 g di acqua è:
A 1,20 m;
B 1,30 m;
C 1,26 m;
33
C 82,6 °C;
D 81,3 °C.
34
D 1,18 m.
35
ni = n° di moli del componente i;
ntotali = n° di moli totali della soluzione;
V = volume della soluzione;
mtotali = massa totale;
mi = massa del componente i
la frazione molare del componente i Xi è uguale a:
A X i = ni / ntotali;
C X i = ni / mtotale;
B 1,60 m;
C 0,201 m;
A 0,0122 m;
C 0,0149 m;
B 0,0102 m;
D 0,0166 m.
In una soluzione 3,000 molale di fosfato di sodio Na3 PO4 (massa molare = 163,94 g/mol) la massa in grammi di Na3 PO4 sciolta in 1 kg d’acqua è:
B 491,8;
C 49,18;
37
D 0,4918.
38
B Δt = K cr · m;
D p = X n · p °.
Alla stessa temperatura, la pressione osmotica di una soluzione
1 M di cloruro di sodio è:
uguale a quella di una soluzione 1 M di zucchero;
inferiore a quella di una soluzione 1 M di zucchero;
il doppio di quella di una soluzione 1 M di zucchero;
uguale a quella di una soluzione 0,5 M di zucchero.
Il sangue è isotonico a una soluzione 0,15 M di cloruro di sodio
NaCl. Qual è la sua pressione osmotica alla temperatura di 37 °C?
A 3,8 atm;
C 1,9 atm;
D 0,160 m.
La molalità di una soluzione contenente 2,00 g di fosfato di sodio Na3 PO4 (massa molare = 163,94 g/mol) e 1200 g di acqua è:
L’abbassamento della temperatura di solidificazione di un solvente è ricavabile da:
A
B
C
D
B X i = ni / V;
D X i = mi / mtotale.
La molalità di una soluzione formata da 30,0 g di cloruro di
potassio KCl (massa molare = 74,55 g/mol) aggiunti a 200 g di
acqua è:
1 M di cloruro di sodio NaCl;
1 M di cloruro di calcio CaCl2;
1 M di cloruro ferrico FeCl3;
1 M di glucosio C6H12O6.
A Δt = K eb · m;
C π · V = n · R · T;
36
B 1,06 molale;
D 1,36 molale.
Tenendo conto della dissociazione in ioni, quale tra le seguenti
soluzioni produce la pressione osmotica più alta?
A
B
C
D
D 58,5.
B 3 m NaCl;
D 1 m Ca3(PO4)2.
L’alcol etilico puro solidifica a –117,30 °C e la sua Kcr è 1,99
°C/m. Per far congelare l’alcol etilico alla temperatura di
–120,00 °C è necessario preparare una soluzione alcolica:
A 0,200 molale;
C 2,00 molale;
In una soluzione con più soluti dove:
A 4,918;
B 80,6 °C;
di congelamento?
A 2 m CaCl2;
C 3 m C6H12O6;
24 La molalità di una soluzione ottenuta mescolando 24,4 g di
28
La temperatura di ebollizione di una soluzione 0,200 molale di
acido oleico sciolto in benzene (temperatura di ebollizione del
benzene = 80,1 °C; K eb del benzene = 2,53 °C/m) è di:
A 83,1 °C;
B elettroliti forti;
D poco solubili.
22 Dalla dissociazione del tetraossofosfato (V) di triammonio si
27
Il fenomeno dell’osmosi non si evidenzia, se una membrana semipermeabile separa due soluzioni:
32 Quale tra le seguenti soluzioni acquose ha il più alto punto
A elettroliti deboli;
C non-elettroliti;
A 2,01 m;
D 123.
B con solventi uguali e con la stessa quantità di soluto
B è un elettrolita forte;
D è un elettrolita debole.
21 Tutti i sali sono:
26
C 82,4;
lo stesso soluto;
na in una apparecchiatura per la verifica della conducibilità
elettrica delle soluzioni?
A KCl;
B KOH;
C CH3COOK;
D saccarosio.
25
B 12,3;
A dello stesso volume, ma a concentrazione diversa del-
19 Quale tra le seguenti soluzioni non fa accendere la lampadi-
di elettricità perché:
A è un non-elettrolita;
C non si scioglie;
In 250 g di una soluzione 3,00 molale di fosfato di sodio Na3 PO4
(massa molare = 163,94 g/mol) i grammi di Na3 PO4 sono:
B 7,6 atm;
D 0,95 atm.
Quale delle seguenti affermazioni relative a una soluzione di acqua e zucchero non è corretta?
A la temperatura di ebollizione è maggiore di 100 °C;
B la temperatura di fusione è maggiore di 0 °C;
C la concentrazione è la stessa in tutto il recipiente che
la contiene;
D si tratta di un miscuglio omogeneo tra due composti
molecolari.
CH/127
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G U I DA A L L O ST U D I O
EA
G U I DA A L L O ST U D I O
EA
VERIFICA LE ABILITÀ
51
Esercizi e problemi
39
Qual è la molalità di una soluzione ottenuta da 300 g di cloruro di potassio KCl in 450 g di acqua?
[8,94 m]
40
Calcola la frazione molare del soluto nella soluzione formata
da 56,0 g di Ca(NO3)2 in 986 g di acqua.
[6,20 · 10 –3]
41
Qual è la pressione osmotica a 25 °C di una soluzione 0,50 M
di cloruro di calcio CaCl2?
[36,6 atm]
42
In quanti mL di acqua sono sciolti 3,0 g di Kl se la pressione
osmotica a 25 °C è 2,0 atm?
[440 mL]
43
Qual è l’abbassamento crioscopico per una soluzione acquosa
1,3 molale di cloruro di sodio NaCl (K cr = 1,86 °C/m)? [4,8 °C]
44
Qual è l’abbassamento crioscopico per una soluzione ottenuta sciogliendo 46 g di glucosio (massa molare = 180 g/mol)
in 5,0 kg di acqua (K cr = 1,86 °C/m)?
[0,095 °C]
45
Quanti grammi di cloruro di calcio CaCl2 devono essere sciolti
in 2,00 kg di acqua per ottenere un abbassamento crioscopico
di 3,32 °C (K cr = 1,86 °C/m)?
[132 g]
46
Qual è il punto di solidificazione per una soluzione acquosa di
cloruro ferrico FeCl3 2,00 m (K cr = 1,86 °C/m)?
[–14,88 °C]
47
Qual è l’innalzamento ebullioscopico per una soluzione 0,40
molale di zucchero in acqua (K eb = 0,512 °C/m)?
[0,2 °C]
48
Qual è il punto di ebollizione di 55 mL di una soluzione acquosa di fosfato di calcio Ca3(PO4)2 0,100 molale (K eb =
0,512 °C/m)?
[100,256 °C]
49
Quanti grammi di fosfato di sodio Na3PO4 devono essere aggiunti a 1.500 g di acqua, perché il punto di ebollizione della
soluzione risultante sia 102 °C (K eb = 0,512 °C/m)?
[240 g]
50
Una soluzione acquosa di urea NH2CONH2 a 27 °C ha la pressione osmotica di 7,00 bar. Dopo aver calcolato la molarità
della soluzione, determina l’innalzamento ebullioscopico provocato dall’urea, sapendo che la densità della soluzione è
1,012 kg/dm3.
[0,28 M] [0,144 °C]
Calcola quale volume deve avere una soluzione che contiene
50 g di fruttosio C6H12O6, perché la sua pressione osmotica a
27 °C sia di 5,0 bar. Quanta acqua occorre aggiungere alla soluzione, affinché la sua pressione osmotica diventi di 2,0 bar?
Sapendo che la densità della soluzione finale è di 1,15
kg/dm3, determina il punto di solidificazione della soluzione.
[1,38 L] [2,08 L] [–0,13 °C]
52
In 225 cm3 di cloroformio vengono disciolti 12,25 g di un soluto, in modo che la temperatura di ebollizione diventi 62,50
°C. L’aumento di volume è trascurabile. Qual è la massa molare della sostanza disciolta e la concentrazione della soluzione in ppm? Il cloroformio ha densità 1,540 g /mL, temperatura di ebollizione 61,20 °C e K eb (cloroformio) = 3,63 °C/m.
[98,7 g/mol] [54 400 ppm]
53
Una membrana semipermeabile separa due soluzioni in cui il
solvente è acido acetico e il soluto è idrossido piombico
Pb(OH)4, composto che si dissocia in: Pb 4+ + 4OH –. Sapendo
che il volume di entrambe le soluzioni è 500 mL e che nella
prima si osserva un innalzamento ebullioscopico di 6,20 °C
mentre nella seconda si ha un abbassamento crioscopico di
5,85 °C, calcola la pressione osmotica alla temperatura di 27
°C di ciascuna delle due soluzioni e la pressione osmotica
che si determina, alla stessa temperatura, tra le due soluzioni. Indica, inoltre, in quale delle due soluzioni la pressione
osmotica relativa produce un innalzamento del livello del liquido. La densità della prima soluzione è 1,02 g/cm3 e quella
della seconda è 1,01 g/cm3. Per l’acido acetico la temperatura di ebollizione è 118,2 °C, mentre quella di solidificazione è
16,6 °C. Inoltre, K eb = 3,07 °C/m e K cr = 3,90 °C/m.
[9,12 atm] [6,88 atm]
54
Calcola la pressione osmotica in bar a 27 °C di una soluzione
acquosa contenente 100 g di glucosio C 6H12O6 in 2,25 L di
soluzione. Quanto glucosio occorre mettere in soluzione per
avere la stessa pressione osmotica a 53 °C? [ 6,15 bar] [92,0 g ]
55
Si preparano 1 500 cm3 di una soluzione acquosa di ipoclorito
di potassio KClO in modo che la sua pressione osmotica sia
405,3 kPa alla temperatura di 3 °C. Calcola la molarità della
soluzione e la massa in grammi del composto ionico necessaria per prepararla, sapendo che il KClO si scinde in K + e ClO–.
[8,8 · 10 –2 M] [5,334 g]
Question
56
Please fill in the blanks with the correct terms.
Some solution properties are defined as ………………………………………………………… properties. They are the same for all ……………………………………………………………………… and
depend on the ………………………………………………………………… of the solute particles. …………………………………………………………… point elevation and ……………………………………………………
point depression are proportional to
……………………………………………………………………
of the solute. …………………………………………………………… refers to the movement of
solvent molecules through a …………………………………………………………………………… membrane from a dilute to a concentrated solution. The pressure needed to
stop the net motion of the …………………………………………………………………… particles is called osmotic ………………………………………………………………… of the solution.
CH/128
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.1 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalla struttura degli atomi e delle molecole alle proprietà delle sostanze
Reazioni chimiche
C A P I TO L O
15
Classificazione delle
reazioni chimiche
15.1
N
ei capitoli precedenti abbiamo incontrato un gran numero di composti
chimici, ossidi, acidi, sali, idrossidi, idruri. Di essi abbiamo imparato a
scrivere la formula e ad essi abbiamo attribuito un nome che ne consente il
riconoscimento. Abbiamo anche definito il concetto di reazione chimica e
sappiamo effettuare il bilanciamento. Ancora non siamo in grado, però, di
stabilire con sicurezza quale composto si forma partendo da reagenti noti.
Così come avevamo classificato i composti chimici in famiglie in base al
loro comportamento, anche per le reazioni chimiche possiamo operare una
classificazione che ci aiuti a prevedere quali trasformazioni possono avvenire. Elenchiamo i principali tipi di reazioni chimiche.
• Reazioni di sintesi o di combinazione diretta: A + B → AB. Nelle reazioni di sintesi due o più atomi o molecole reagiscono tra loro per dare un unico composto come prodotto finale (figura 15.1).
2H2
H + H
+ O2
2H2O
FIGURA 15.1
Esempi di reazioni di sintesi.
H2
+
+
Esempi di reazioni di sintesi sono:
– la combinazione tra un metallo e un non-metallo per formare direttamente un sale:
2K + I2 → 2KI
– la combinazione di un metallo o di un non-metallo con l’ossigeno per formare, rispettivamente, un ossido basico (figura 15.2) o un ossido acido:
FIGURA 15.2
In questa reazione di sintesi il magnesio,
un metallo, reagisce con l’ossigeno per produrre l’ossido di
magnesio, un ossido basico. La
reazione libera energia sotto
forma di una luce abbagliante.
C + O2 → CO2
– la combinazione tra un ossido basico e l’acqua per formare un idrossido,
detto anche base:
Fe 2O3 + 3H2O → 2Fe(OH)3
– la combinazione tra un ossido acido e l’acqua per dare un ossoacido:
SO3 + H2O → H2SO4
CH/129
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
15
Reazioni chimiche
• Reazioni di decomposizione o di scissione: AB → A + B. Nelle reazioni di
decomposizione da un unico composto si ottengono due o più composti o
elementi (figura 15.3). Le reazioni di decomposizione possono essere considerate reazioni inverse rispetto a quelle di sintesi. Sono tipiche di composti
instabili o di composti che si decompongono col calore. Per esempio, i sali
formati da ioni poliatomici si scindono per riscaldamento nell’ossido basico del metallo e nell’ossido acido del non-metallo:
CaCO3 → CaO + CO2
N2O4
FIGURA 15.3
2NO2
+
Una reazione di decomposizione.
• Reazioni di sostituzione semplice: A + BC → AC + B. Nelle reazioni di sostituzione semplice un atomo, uno ione o un gruppo poliatomico di un
composto viene sostituito da un altro atomo, ione o gruppo poliatomico (figura 15.4). Sono reazioni di questo tipo quelle in cui:
– un atomo metallico prende il posto di uno ione metallico che fa parte di
un sale:
Cu + AgNO3 → CuNO3 + Ag
Zn
FIGURA 15.4
+
2HCl
ZnCl 2
+
H2
Una reazione di sostituzione semplice.
+
+
– un atomo metallico prende il posto dell’idrogeno di un acido (figura 15.5):
Ca + 2HCl → CaCl2 + H2
– un atomo non-metallico prende il posto di uno ione non-metallico che fa
parte di un sale:
Cl2 + 2NaBr → 2NaCl + Br2
La sostituzione di un metallo con un altro o con l’idrogeno, oppure di un
non-metallo con un altro, non è sempre possibile. Alcuni elementi mostrano maggiore facilità di altri a essere sostituiti e sulla base di questa tendenza è stata costruita una scala della reattività. Affronteremo di nuovo questo
argomento nel capitolo 19.
FIGURA 15.5 Il calcio metallico immerso in una soluzione
di acido cloridrico HCl libera idrogeno gassoso H2.
• Reazioni di doppio scambio o di doppia sostituzione: AB + CD → AD + CB.
Nelle reazioni di doppio scambio vi è uno scambio di atomi, di ioni o di
gruppi poliatomici tra due composti (figura 15.6), come avviene tra due ballerini che si scambiano le dame durante un giro di valzer.
Le reazioni di doppio scambio avvengono in genere tra due sali. Se da
reagenti solubili si forma un composto insolubile, detto precipitato, la reazione è chiamata di precipitazione. Per esempio, nitrato di argento AgNO3 e
cloruro di sodio NaCl, sali entrambi solubili in acqua, reagiscono con reazione di doppio scambio e formano nitrato di sodio NaNO3, solubile, e cloruro di argento AgCl, una sostanza bianca insolubile che intorbida la soluzione e precipita sul fondo del recipiente (figura 15.7):
AgNO3 + NaCl → NaNO3 + AgCl↓
CH/130
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
15
Reazioni chimiche
Per indicare nell’equazione chimica che un prodotto di una reazione è un
precipitato si aggiunge alla formula una freccina rivolta verso il basso (↓).
BaCl 2
+
Na 2 SO4
+
BaSO4
+
2NaCl
FIGURA 15.6
+
Una reazione di doppio scambio.
In alcune reazioni di doppio scambio si sviluppa un gas. La formazione
di un prodotto gassoso può avvenire in due modi. La sostanza aeriforme si
può produrre direttamente dalla reazione tra il catione di un reagente e l’anione dell’altro. Ne è un esempio la reazione di doppio scambio tra acido
cloridrico HCl e solfuro di dipotassio K2S, in cui si produce H2S gassoso:
2HCl + K2S → H2S↑ + 2KCl
Una freccina rivolta verso l’alto (↑) individua il gas che si forma.
In altre reazioni di doppio scambio la sostanza gassosa si libera a seguito
della produzione di composti intermedi instabili, che si decompongono.
Per esempio, la reazione tra carbonato di sodio Na2CO3 e acido nitrico
HNO3 forma acido carbonico H2CO3, che si decompone immediatamente in
CO2 gassoso e H2O:
Na2CO3 + 2HNO3 → 2NaNO3 + H2CO3
H2CO3 → CO2↑ + H2O
Un’altra importante categoria di reazioni di doppio scambio è quella delle reazioni di neutralizzazione: HA + BOH → AB + H2O. Nelle reazioni di
neutralizzazione un acido e un idrossido formano un sale e l’acqua (figura
15.8). Lo ione H + degli acidi si lega con lo ione idrossido OH – degli idrossidi e forma un composto stabile: l’acqua. La parte non-metallica dell’acido e
quella metallica dell’idrossido si legano e vanno a costituire un sale:
HCl + LiOH → LiCl + H2O
Ca(OH) 2
+
H 2 SO4
+
CaSO4
+
FIGURA 15.7
Aggiungendo un cloruro a una soluzione
contenente un sale di argento, si verifica una reazione di
doppio scambio e si forma un precipitato, il cloruro di argento AgCl, un composto bianco insolubile.
2H 2O
+
FIGURA 15.8
+
–
• Reazioni di dissociazione ionica: AB → A + B . Nelle reazioni di dissociazione ionica sali, acidi o basi si scompongono negli ioni corrispondenti
(figura 15.9).
Generalmente queste reazioni avvengono quando i composti sono disciolti in acqua:
Una reazione di neutralizzazione.
HCl
CaSO4 → Ca+ + + SO4– –
Le reazioni chimiche possono essere suddivise in due categorie in base al
seguente criterio: reazioni che consistono in trasferimenti di elettroni e rea-
H+ +
Cl –
+
FIGURA 15.9
Una reazione di dissociazione ionica.
CH/131
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
+
Zn
Cu++
Zn++
+
+
Cu
+
FIGURA 15.10 Una reazione di ossidoriduzione. Nel passaggio da atomo a ione o viceversa c’è variazione di volume.
Alcune reazioni di sintesi e di decomposizione che
abbiamo visto in precedenza sono reazioni di ossidoriduzione.
FIGURA 15.11
15
Reazioni chimiche
zioni che si svolgono senza scambio di elettroni. Le reazioni che avvengono
con trasferimento di elettroni da una specie chimica a un’altra sono chiamate reazioni di ossidoriduzione o reazioni redox (figura 15.10).
Cu + 2Ag+ → Cu+ + + 2Ag
Il passaggio di elettroni da una specie chimica all’altra, che avviene nel
corso delle reazioni redox, può essere utilizzato per produrre energia elettrica. Alla elettrochimica, la parte della chimica che si interessa dei trasferimenti di elettroni relativi a reazioni di ossidoriduzione, sarà dato ampio
spazio nel capitolo 19.
Riconoscere se una reazione avviene con trasferimento di elettroni può
essere complesso. Esistono però alcuni casi in cui una reazione è sicuramente di ossidoriduzione. In particolare, sono sempre reazioni redox:
• le reazioni tra metalli e non-metalli;
• le reazioni tra le sostanze e l’ossigeno O2.
Quest’ultimo gruppo di reazioni è noto col nome di reazioni di combustione. Nelle reazioni di combustione una sostanza reagisce con l’ossigeno
per formare composti contenenti ossigeno, con liberazione di calore. Dalla
combustione dei composti organici, che contengono carbonio e idrogeno, si
ottengono come prodotti diossido di carbonio e acqua (figura 15.11).
CH4
Una reazione di combustione.
+
2O2
+
CO2
+
LABORATORIO SEMPLICE
2H2O
+
Le reazioni chimiche
15.2 Stechiometria delle
reazioni chimiche
Stechiometria • Letteralmente significa «misura della
quantità di un elemento». Dal greco stoicheion, che significa «elemento», e metron, che significa «misura».
L
o studio delle relazioni quantitative tra le sostanze che si combinano in
una reazione chimica è l’oggetto di una specifica parte della chimica,
che prende il nome di stechiometria. I calcoli stechiometrici rivestono una
fondamentale importanza per i chimici, in quanto permettono di determinare le quantità delle sostanze che si trasformano nel corso delle reazioni.
La stechiometria è usata abitualmente dai chimici impegnati nella ricerca,
ma anche nei laboratori di analisi, nelle industrie e ogni volta che nelle attività produttive avvengono reazioni chimiche.
I coefficienti stechiometrici di una reazione chimica bilanciata rappresentano le quantità relative di atomi e molecole di reagenti che si combinano e di prodotti che si formano. È possibile interpretare la stessa equazione chimica in termini di moli, dato che una mole di una qualsiasi sostanza contiene sempre lo stesso numero di particelle. Una equazione chimica può esprimere pertanto un duplice concetto: un significato quantitativo microscopico e un significato quantitativo macroscopico. Consideriamo il seguente esempio:
2Fe + 3Cl2 → 2FeCl3
Il significato quantitativo della reazione è riportato nella tabella 15.1.
2Fe
TABELLA 15.1 I coefficienti stechiometrici di una reazione
chimica indicano sia il numero di particelle delle sostanze
coinvolte sia il loro numero di moli.
+
3Cl 2
2FeCl 3
Significato quantitativo microscopico
2 atomi
3 molecole
2 molecole
Significato quantitativo macroscopico
2 moli
3 moli
2 moli
CH/132
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
15
CAPITOLO
Reazioni chimiche
Dal punto di vista macroscopico questa equazione ci dice che due moli di
particelle di ferro (ciascuna particella è costituita da un atomo) reagiscono
con tre moli di particelle di cloro (ciascuna particella è costituita da due
atomi) per dare due moli di particelle di tricloruro di ferro (ciascuna particella è costituita da un atomo di ferro e tre atomi di cloro).
Immaginiamo di avere a disposizione 6,50 g di ferro: vogliamo sapere
quanti grammi di cloro occorrono per la reazione e quanti grammi di tricloruro di ferro si ricavano.
Per risolvere il problema si può procedere così:
• per prima cosa calcoliamo il numero delle moli di ferro, dividendo la
massa in grammi di ferro per la sua massa molare (M = 55,85 g/mol):
6,50 g : 55,85 g/mol = 0,116 mol di Fe
• calcoliamo poi il numero delle moli di cloro Cl2 necessarie per reagire
con 0,116 moli di ferro; i coefficienti stechiometrici dell’equazione chimica indicano che il numero delle moli di cloro è 3/2 del numero delle
moli di ferro; pertanto:
0,116 mol × 3/2 = 0,174 mol di Cl2
• troviamo il numero delle moli di tricloruro di ferro semplicemente considerando che, come indicato dai coefficienti stechiometrici, è uguale al
numero delle moli di ferro; abbiamo quindi 0,116 mol di FeCl3;
• infine convertiamo il numero delle moli di Cl2 e quello di FeCl3 nelle rispettive masse in grammi, usando la massa molare come fattore di conversione; moltiplichiamo le moli di cloro per la massa di una mole di Cl2
(M = 70,90 g/mol) e otteniamo:
0,174 mol × 70,90 g/mol = 12,3 g di Cl2;
analogamente, per il tricloruro di ferro (M = 162,20 g/mol) si ha:
0,116 mol × 162,20 g/mol = 18,8 g di FeCl3
Il risultato ottenuto permette di verificare il rispetto della legge della conservazione della massa. Infatti, 18,8 g è la massa complessiva sia delle sostanze reagenti sia delle sostanze prodotte. Il procedimento seguito è riportato in forma schematica e generalizzata nella figura 15.12.
Se la massa è una grandezza che non varia nel corso delle reazioni chimiche, non altrettanto può dirsi per il numero delle moli. Nel nostro esempio
di reazione abbiamo 0,290 mol di sostanza nei reagenti e 0,116 mol di sostanza nei prodotti. Il numero delle moli è una grandezza che può subire
variazioni nel corso di una reazione chimica. Questo fatto può essere spiegato, se si tiene presente che le particelle fondamentali delle diverse sostanze sono costituite da numeri diversi di atomi. Se nelle molecole di una sostanza prodotta, come nel nostro caso il tricloruro di ferro FeCl3, si riuniscono più atomi di quanti siano presenti nelle particelle delle sostanze reagenti, ferro Fe e cloro Cl2, il numero delle moli non può che diminuire nel
corso della reazione.
rA
pB
grammi
REAGENTE A
grammi
PRODOTTO B
FIGURA 15.12 Schema del procedimento da seguire per risolvere un tipico problema di calcolo stechiometrico.
A = generico reagente;
B = generico prodotto.
il passaggio diretto
non è possibile
dividere per la
moltiplicare per la
MASSA MOLARE
MASSA MOLARE
di A
moli
REAGENTE A
di B
moltiplicare per il
rapporto stechiometrico
p/r
moli
PRODOTTO B
I
FIGURA PARLANTE
CH/133
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CAPITOLO
15
Reazioni chimiche
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
1. Il magnesio Mg reagisce con l’ossigeno O2 per formare ossido di magnesio MgO
secondo la seguente reazione:
2Mg + O2 → 2MgO
Quale massa di ossigeno è necessaria per la reazione completa di 75,0 g di magnesio? Quale massa di ossido di magnesio si forma?
1. Quale quantità in grammi di ossigeno O2 è
necessaria per reagire con 250 g di CH4 secondo la seguente reazione? Quanti grammi
di acqua si formano?
CH4 + 2O2 → CO2 + 2H2O
Trasformiamo i g di Mg in moli, dividendo per la massa molare (M = 24,3 g/mol):
75,0 g / 24,3 g /mol = 3,08 mol
Dall’equazione bilanciata constatiamo che per 1 mole di Mg è richiesta ½ mole di
O2; quindi 3,08 moli di Mg richiedono: 3,08/2 = 1,54 mol di O2. Moltiplichiamo
ora le moli di O2 per la relativa massa molare (M = 32,0 g/mol) e troviamo la
massa dell’ossigeno in grammi: 1,54 mol × 32,0 g/mol = 49,3 g. Per trovare i
grammi di MgO osserviamo che nell’equazione chimica abbiamo un uguale numero
di moli di Mg e di MgO, per cui si formano 3,08 moli di MgO; moltiplicando questo valore per la relativa massa molare (M = 40,3 g/mol) otteniamo la massa in
grammi dell’ossido di magnesio:
3,08 mol × 40,3 g /mol = 124 g di MgO
15.3 Il reagente limitante
C
ome abbiamo visto nel paragrafo precedente, l’equazione chimica bilanciata esprime il rapporto tra le moli delle sostanze che si combinano. Se
il rapporto tra le quantità espressa in moli dei reagenti è uguale al rapporto
dei loro coefficienti stechiometrici, tutti i reagenti vengono consumati totalmente. Se invece è diverso, solo uno dei reagenti viene consumato completamente, mentre le sostanze in eccesso in parte rimangono ancora presenti
quando la reazione termina. La sostanza presente in quantità minore, rispetto al rapporto molare dell’equazione bilanciata, è detta reagente limitante,
in quanto limita il decorrere della reazione.
씰 Il reagente limitante è la sostanza che si esaurisce per prima
durante una reazione e che limita la quantità di prodotto che
si ottiene.
ATTIVITÀ
Reagenti e prodotti
Consideriamo ancora la reazione tra ferro e cloro:
2Fe + 3Cl2 → 2FeCl3
Il rapporto stechiometrico tra ferro e cloro è 2:3. I due reagenti si consumano completamente nella reazione solo se il rapporto tra le moli di Fe e di
Cl2 è uguale a 2:3. Nel caso in cui siano presenti nel recipiente di reazione 1
mol di Fe e 3 mol di Cl2, solo 1,5 mol di Cl2 possono reagire, mentre le altre
1,5 mol non si trasformano. Il ferro è il reagente limitante della reazione, in
quanto è in difetto rispetto alle quantità stechiometriche.
Per individuare il reagente limitante è sufficiente determinare quale sostanza permette la formazione della minore quantità in moli di prodotti.
Sappiamo dalla stechiometria che per ricavare il numero di moli di un
prodotto occorre moltiplicare le moli dei reagenti per il rapporto stechiometrico. Nel nostro caso abbiamo:
nFeCl3 =
2
2
nFe =
× 1 mol = 1 mol
2
2
nFeCl3 =
2
2
nCl2 =
× 3 mol = 2 mol
3
3
Si ottiene un numero minore di moli di FeCl3 partendo da 1 mole di Fe:
il ferro è il reagente limitante, mentre il cloro è il reagente in eccesso.
CH/134
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CAPITOLO
15
Reazioni chimiche
Vediamo ora quale reagente è limitante se la reazione avviene tra 1,8 moli
di ferro e 2,2 moli di cloro. Come in precedenza calcoliamo quale reagente
forma meno prodotto:
nFeCl3 =
2
2
nFe =
× 1,8 mol = 1,8 mol
2
2
nFeCl3 =
2
2
nCl2 =
× 2,2 mol = 1,5 mol
3
3
Anche se il cloro è presente, come numero di moli, in quantità maggiore
rispetto al ferro, il reagente limitante è Cl2, in quanto fornisce 1,5 moli di
FeCl3 contro le 1,8 del ferro.
Per determinare il reagente limitante occorre tenere
in considerazione i rapporti stechiometrici oltre al
numero di moli dei reagenti presenti.
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
2. Il fosforo P4 reagisce con il cloro Cl 2 per formare tricloruro di fosforo PCl 3 secondo la reazione:
P4 + 6Cl 2 → 4PCl 3
2. Quanti grammi di ammoniaca NH3 si ottengono facendo reagire 0,542 mol di azoto N2 con
0,542 mol di idrogeno H2 secondo la seguente
reazione?
N2 + 3H2 → 2NH3
Qual è il reagente limitante e quanti grammi di PCl 3 si formano, se si mettono a
reagire 0,158 mol di fosforo e 0,452 mol di cloro?
Calcoliamo le moli di PCl 3 che si ricavano rispettivamente da 0,158 mol di P4 e da
0,452 mol di Cl 2, moltiplicando il numero di moli per il rapporto stechiometrico:
nPCl 3 = 4 nP4 = 4 × 0,158 mol = 0,632 mol
1
nPCl 3 = 4 nCl 2 = 2 × 0,452 mol = 0,301 mol
3
6
3. Idrogeno H2 e ossigeno O2 si combinano per
dare acqua secondo la reazione:
2H2 + O2 → 2H2O
Facendo reagire la stessa quantità in moli di
ossigeno e di idrogeno, quale dei due composti è il reagente limitante?
Il reagente limitante è il cloro, in quanto fornisce 0,301 mol di PCl 3 contro le 0,632
mol del fosforo. La quantità massima di prodotto ottenibile si determina moltiplicando le moli di PCl 3 per la sua massa molare (M = 137,32 g/mol):
0,301 mol × 137,32 g /mol = 41,3 g di PCl 3
15.4 Stechiometria delle
reazioni in soluzione
M
olte delle reazioni chimiche che abbiamo incontrato nel paragrafo 15.1
avvengono in soluzione acquosa, un ambiente in cui le reazioni procedono più velocemente (vedi § 16.9). Anche nel caso di reazioni in soluzione
è possibile effettuare calcoli stechiometrici. Poiché le soluzioni non sono
sostanze pure, le quantità dei reagenti e dei prodotti vengono espresse tramite la loro concentrazione e il loro volume.
Consideriamo la reazione di sostituzione semplice tra rame Cu solido e
acido cloridrico HCl in soluzione:
Cu(s) + 2HCl(aq) → CuCl2(aq) + H 2(g)↑
Per calcolare il volume di una soluzione 2,5 M di HCl che reagisce con
54,0 g di Cu occorre, per prima cosa, trasformare in moli la massa del rame,
dividendo per la sua massa molare (M = 63,54 g/mol):
nCu =
54,0 g
= 0,850 mol
63,54 g /mol
CH/135
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CAPITOLO
15
Reazioni chimiche
Utilizzando poi il rapporto stechiometrico, si determinano le moli di HCl
che reagiscono con il rame:
n HCl = 2n Cu = 2 × 0,850 mol = 1,70 mol
Infine, facendo ricorso alla formula inversa della molarità, si calcola il
volume di soluzione in cui sono contenute 1,70 mol di HCl:
V=
1,70 mol
n
=
= 0,68 L
2,5 mol/L
M
Inoltre, i calcoli stechiometrici in soluzione sono alla base di un procedimento analitico molto importante per determinare la concentrazione di
una soluzione: la titolazione.
씰 La titolazione è un procedimento analitico che permette di determinare
la concentrazione di una soluzione attraverso la misura del volume di
una soluzione a concentrazione nota che viene fatta reagire in modo
completo con un dato volume della soluzione incognita.
Soluzione a
concentrazione
nota
(titolante)
La soluzione incognita viene chiamata titolato, mentre la soluzione a
concentrazione nota prende il nome di titolante (figura 15.13).
Consideriamo la reazione di neutralizzazione tra diidrossido di bario
Ba(OH)2 e acido cloridrico HCl:
Ba(OH)2 + 2HCl → BaCl2 + 2H2O
Con 50,0 mL di una soluzione a concentrazione incognita di HCl reagiscono 30,0 mL di una soluzione di Ba(OH)2 0,0200 M. La molarità di HCl si
ricava considerando che il numero di moli di acido cloridrico presenti in
soluzione è doppio rispetto al numero di moli di diidrossido di bario, in
quanto il rapporto stechiometrico tra HCl e Ba(OH)2 è 2:1. Il numero di moli
di Ba(OH)2 che hanno reagito si ottiene moltiplicando la concentrazione
della soluzione per il volume aggiunto, espresso in litri:
Soluzione a
concentrazione
incognita
(titolato)
n Ba(OH)2 = M × V = 0,0200 mol/L × 0,0300 L = 0,000600 mol
Il numero di moli di HCl presenti in soluzione si ottiene moltiplicando
il numero di moli di Ba(OH)2 per il rapporto stechiometrico:
n HCl =
FIGURA 15.13
In una titolazione il titolante viene aggiunto lentamente a una
quantità nota di titolato. Nel momento in
cui tutta la soluzione incognita ha reagito, si interrompe l’aggiunta di soluzione
titolante e si registra il valore del volume
aggiunto.
2
n Ba(OH)2 = 2 × 0,000600 mol = 0,00120 mol
1
La concentrazione molare M della soluzione di acido cloridrico è data dal
rapporto tra il numero di moli di HCl e il volume in litri della soluzione:
M HCl =
0,0012 mol
n
=
= 0,024 M
0,0500 L
V
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
3. Determina il volume di una soluzione 1,147 M di H2SO4 necessario per reagire
completamente con 150 mL di una soluzione 0,550 M di NaOH secondo la reazione:
H2SO4(aq) + 2NaOH(aq) → Na2SO4(aq) + 2H2O
4. Acido cloridrico HCl e idrossido di litio LiOH
reagiscono secondo la reazione:
Si determinano le moli di NaOH contenute in 150 mL (0,150 L) di soluzione 0,550
M, utilizzando la formula inversa della molarità:
n = M × V = 0,550 mol/L × 0,150 L = 0,0825 mol
Il rapporto stechiometrico tra NaOH e H2 SO4 è 2:1, per cui il numero di moli di
H2 SO4 che reagiscono con 0,0825 mol di NaOH è la metà, cioè 0,0413 mol. Il volume di soluzione 1,147 M di H2 SO4 che contiene 0,0413 mol si ottiene dividendo il
numero di moli per la molarità M della soluzione:
V = n/M = 0,0413 mol / 1,147 mol/L = 0,0360 L = 36,0 mL
HCl + LiOH → LiCl + H2O
Se vengono aggiunti 150 mL di una soluzione
2,99 M di LiOH a 250 mL di una soluzione
2,44 M di HCl, quale delle due sostanze è il
reagente limitante?
CH/136
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CAPITOLO
15
Reazioni chimiche
15.5 La resa di reazione
N
ei paragrafi precedenti abbiamo visto come sia possibile calcolare la
quantità di prodotti che si formano durante una reazione, tenendo in
considerazione i rapporti stechiometrici tra le sostanze coinvolte. Nel caso
in cui i reagenti si trasformino completamente, la quantità di prodotto che
si forma è chiamata resa teorica.
씰 La resa teorica di una reazione è la quantità di prodotto che si otterrebbe
se tutta la massa dei reagenti fosse trasformata nei prodotti.
Tutte le sostanze chimiche contengono una certa quantità di impurezze.
Quando si pesa un reagente, in realtà si prelevano un numero di moli della
sostanza inferiore rispetto alla quantità teorica. Inoltre, le reazioni chimiche
che si effettuano in laboratorio spesso necessitano di molte operazioni,
come filtrazioni, evaporazione di solventi e purificazioni (figura 15.14).
Tutte queste procedure, anche se condotte con cura e precisione, portano
a una inevitabile perdita di sostanze. La quantità di prodotto che si ottiene
risulta perciò inferiore a quella prevista dalla stechiometria della reazione.
Questa quantità di prodotto è chiamata resa effettiva.
씰 La resa effettiva è la quantità di prodotto che si ottiene al termine di una
reazione.
La resa effettiva è sempre minore della resa teorica. La resa di una reazione può essere espressa come resa percentuale, moltiplicando per 100 il rapporto tra la resa effettiva e la resa teorica.
Resa percentuale (%) =
Resa effettiva
× 100
Resa teorica
씰 La resa percentuale di una reazione è la quantità di prodotto ottenuta in
rapporto a quella massima ottenibile.
Consideriamo la reazione tra alluminio Al e ossigeno O2 per dare triossido di dialluminio Al2O3:
4Al + 3O2 → 2Al2O3
FIGURA 15.14 La separazione tramite filtrazione di un prodotto solido dalla soluzione in cui è precipitato porta necessariamente alla perdita di una parte della sostanza, in
quanto è difficile recuperare tutto il prodotto dalla superficie del filtro.
Se 3,44 mol di alluminio reagiscono con un eccesso di ossigeno, la resa
teorica della reazione è ricavabile dal rapporto stechiometrico tra Al2O3 e
Al che è 2:4.
nAl2O3 = 2/4 × 3,44 mol = 1,72 mol
L’industria chimica è notevolmente interessata allo
studio e all’ottimizzazione delle condizioni in cui avvengono le reazioni chimiche. Aumentando le rese di
reazione si ricavano quantità più elevate di prodotto
e si ottiene un maggior profitto.
Poiché invece si ottengono 1,55 mol di prodotto, la resa percentuale è:
Resa percentuale (%) =
1,55
× 100 = 90,0%
1,72
Glossary
Combustion reaction (reazione di combustione) A redox reaction in which a substance reacts with oxygen and produces water and CO2.
Decomposition reaction (reazione di decomposizione) A reaction in which a compound breaks down into simpler substances.
Neutralization reaction (reazione di neutralizzazione) A reaction in which an acid reacts with a hydroxide to form a salt and water.
Precipitate ( precipitato) Insoluble solid product of a chemical reaction in solution.
Precipitation reaction (reazione di precipitazione) A reaction in solution in which an insoluble solid is produced.
Redox reaction (reazione di ossidoriduzione) A reaction in which electron transfer occurs from a substance to another.
Stoichiometry (stechiometria) The study of the relative proportions in which substances react.
Synthesys reaction (reazione di sintesi) A reaction in which a chemical compound is formed from more simple compounds.
CH/137
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
G U I DA A L L O S T U D I O
EA
FACCIAMO IL PUNTO
Domande aperte
ne? Quali fenomeni sono legati a questo tipo di reazioni?
11 Che cosa si intende per reazione di sintesi?
12 Quali sono le differenze tra le reazioni di sostituzione
17 Che cosa studia la branca della chimica chiamata stechiometria?
18 Quanti e quali significati possono avere i coefficienti ste-
semplice e le reazioni di doppio scambio?
13 Che cosa si intende per precipitato? In quali casi si può
formare un precipitato?
14 A quale categoria di reazioni appartengono le reazioni di
15
16
neutralizzazione? Quali tipi di sostanze reagiscono e quali
si formano durante queste reazioni?
Quali differenze esistono tra le reazioni di decomposizione
e le reazioni di dissociazione ionica?
Quali sono le caratteristiche delle reazioni di ossidoriduzio-
minore non è necessariamente il reagente limitante?
12 Che cosa si intende per resa percentuale di una reazione
chimica?
13 Per quale motivo la resa effettiva di una reazione è sempre
inferiore alla resa teorica?
A
Esercizi di completamento
14
chiometrici di una equazione chimica?
19 Che cos’è il rapporto stechiometrico?
10 Che cosa si intende per reagente limitante?
11 Per quale motivo il reagente presente in quantità molare
Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello spazio vuoto il termine opportuno.
Le …………………………………………………………………… possono essere classificate in diverse categorie in base alle modalità di svolgimento. Nelle
reazioni di ………………………………………………………………………… due sostanze reagiscono per formare un unico composto, mentre le reazioni di
……………………………………………………
sono le reazioni inverse rispetto a quelle di sintesi. Nelle reazioni di sostituzione
……………………………………………………………………
………………………………………………………………
………………………………………………………………
, un atomo di un composto viene sostituito da un altro atomo. Le reazioni di
………………………………………………………
, reazioni di
comprendere reazioni di precipitazione, se si forma un composto
………………………………………………………………
, se si forma un sale e acqua, e reazioni in cui si forma
un composto allo stato ………………………………………………………………………… .
Alcune reazioni avvengono con trasferimento di
chiamate reazioni redox o di
………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………
da una specie chimica a un’altra e sono
. Un’importante classe di reazioni redox sono le reazioni di
, dove una sostanza reagisce con
…………………………………………………………………………
sviluppando
di carbonio e acqua.
VERIFICA LE CONOSCENZE
A
Esercizi di corrispondenza
15
Collega con una freccia gli elementi della prima colonna a
quelli corrispondenti della seconda colonna e giustifica le
scelte operate.
Neutralizzazione
Precipitazione
Dissociazione ionica
Sostituzione semplice
C + D → CD
Sn2+ + 2Fe3+ → Sn4+ + 2Fe2+
AB + CW → AW + CB
NaCl → Na+ + Cl–
Ossidoriduzione
HCl + KOH → KCl + H2 O
Decomposizione
AgNO3 + HCl → AgCl↓ + HNO3
Sintesi
Cd + Zn(NO3)2 → Cd(NO3)2 + Zn
Doppio scambio
PCl 5 → PCl 3 + Cl 2
CH/138
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A
Domande a scelta multipla
16
18
un ossido;
D un idrossido.
B
28
A si ottiene ossido auroso Au2O;
B si ottiene un ossoacido dell’oro;
A 4 molecole di ossigeno;
B 4 molecole di acqua;
C si ottiene idrossido aurico Au(OH)3;
D non avviene nessuna reazione.
D 4 molecole di idrogeno.
Per preparare l’acido triossonitrico si deve far reagire:
C 4 molecole di diossido di carbonio;
29
30
Il prodotto della reazione tra sodio metallico e cloro gassoso è:
A NaCl;
C NaClO + NaO;
B
SO2 + H2O;
D H2SO + O2.
C calcio e acido nitroso;
D magnesio e acido perclorico.
22
Facendo reagire in soluzione acquosa silicato di sodio Na4 SiO4
e dicloruro di calcio CaCl2 si ottiene tra l’altro:
A Na2SiO4;
C CaCl;
23
NaCl;
D CaSiO4.
B
C sciogliere il reagente in acqua;
D riscaldare i prodotti.
25
Quale fra le seguenti reazioni di decomposizione è corretta?
A NaOH → Na + H2O;
C CaS → Ca + H2S;
26
B CaSO3 → CaO + SO2;
D Na2CO3 → 2Na + 3CO.
Per ottenere tribromuro di alluminio devono reagire:
A HBrO e Al(OH)3;
C HBrO e Al2O3;
HBrO e AlCl3;
D HBr e Al(OH)3.
B
Quale tra le seguenti non è una reazione di ossidoriduzione?
C 2Fe 3+ + Sn 2+ → Sn 4+ + 2Fe 2+;
D H2SO4 + 2KOH → K2SO4 + 2H2O.
32
Per neutralizzare completamente 25,0 g di acido periodico
HIO4 con idrossido di stronzio Sr(OH)2 occorrono:
A 25,0 g di idrossido;
C 29,0 g di idrossido;
33
B 14,5 g di idrossido;
D 7,90 g di idrossido.
Un esempio di reazione di neutralizzazione è:
A N2O4 → 2NO2;
B 2NaOH + H2S → Na2S + 2H2O;
C 2Fe 3+ + Sn 2+ → Sn 4+ + 2Fe 2+;
D Na2O + H2O → 2NaOH.
Per favorire lo svolgimento di una reazione di decomposizione è
opportuno:
A riscaldare il reagente;
B raffreddare il reagente;
Facendo gorgogliare in acqua una certa quantità di diossido di
carbonio CO2:
A Zn + 2HCl → ZnCl2 + H2;
B Cu + Zn 2+ → Zn + Cu 2+;
34
C CaPO4;
D idrossido di fosforo.
24
31
Unendo H3 PO4 e Ca(OH)2 si ottengono sei molecole d’acqua e:
A fosfato di calcio;
B idrogenofosfato di calcio;
acido solforico;
C si ottiene CO + + O –;
D non si verifica dissociazione ionica.
Quale delle seguenti coppie di reagenti non porta alla produzione di idrogeno gassoso?
A acido cloridrico e potassio;
B litio e carbonato sodico;
B
D ioduro di alluminio.
A si ottiene C + + + 2O –;
B si ottiene 4C – + 2O + +;
NaClO;
D NaCl2.
B
I reagenti che portano alla produzione di acido solforoso sono:
A SO3 + H2O;
C SO + H2O;
Quale dei seguenti composti, messo in acqua, si dissocia e dà
ioni con tre cariche negative?
A idrossido ferrico;
C acido fosforico;
C anidride nitrosa e idrogeno;
21
sintesi;
Bruciando in modo completo una molecola di butano C4 H10 si
ottengono:
D anidride nitrica e acqua.
20
B
D neutralizzazione.
Mescolando tra loro ossido aurico Au2O3 e acqua:
A monossido d’azoto e acqua;
B biossido di azoto e ossigeno;
19
Una reazione di dissociazione ionica può essere considerata
anche come una reazione di:
A scissione;
C combustione;
Facendo reagire tra loro un metallo e un non-metallo si ottiene:
A un sale;
C un ossoacido;
17
27
Dalla reazione completa di 44,0 g di uranio con acido bromidrico HBr per formare bromuro di uranio UBr4 si libera un volume di idrogeno che, alla temperatura di –13 °C e alla pressione di 2,20 atm, è:
A 0,350 L;
C 35,6 L;
35
B
349 L;
D 3,59 L.
Sodio Na e cloro Cl2 si combinano secondo la reazione:
2Na + Cl2 → 2NaCl
Facendo reagire 0,5 moli di Cl2 con 0,7 moli di Na, quale dei
due reagenti è il reagente limitante?
A il cloro perché è il reagente presente con il minor
numero di moli;
B il cloro perché nella reazione bilanciata il suo coeffi-
ciente stechiometrico è 1;
C il sodio perché ha il peso atomico minore;
D il sodio perché il rapporto stechiometrico è 2:1.
CH/139
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
G U I DA A L L O S T U D I O
EA
G U I DA A L L O ST U D I O
EA
VERIFICA LE ABILITÀ
47
Esercizi e problemi
36
Calcola quante moli di acqua possono essere ottenute dalla
combustione completa di 6,00 · 10 3 kg di metano, secondo la
reazione: CH4(g) + 2O2(g) → CO2(g) + 2H2O(g)
[7,48 ·105 mol]
37
Calcola quanti grammi di ossigeno occorrono per reagire con
34,00 g di alluminio.
[30,24 g]
38
Determina quanti grammi di tricloruro di alluminio si possono
ottenere facendo reagire completamente 45,0 mol di acido
cloridrico con triidrossido di alluminio. Nella reazione vengono prodotte anche molecole di acqua.
[2.000 g]
39
Calcola la quantità in grammi di bromo e di alluminio necessaria per produrre 70,0 g di AlBr 3 .
[7,08 g di Al] [62,9 g di Br2 ]
40
Considera la reazione tra acido cloridrico HCl e idrossido di
sodio NaOH. Se si hanno a disposizione 300 g di HCl e 200 g
di NaOH, quanto NaCl si produce?
[292,3 g]
41
Calcola quante moli di diidrossido di piombo reagiscono con
0,33 mol di HNO3 per dare Pb(NO3)2 e acqua.
[0,165 mol]
42
L’idrogeno molecolare reagisce con sodio metallico per dare
l’idruro di sodio NaH secondo la reazione già bilanciata:
2Na(s) + H2(g) → 2NaH
Si fanno reagire 6,750 g di Na con 0,010 moli di H2. Determina quale reagente è in eccesso e qual è la quantità di NaH
formato.
[Na; 0,48 g]
43
Nel processo detto del «gas d’acqua», l’idrogeno è prodotto
dalla reazione tra acqua e carbon coke a 1 000 °C, secondo
l’equazione: C + H2O → CO + H2.
Determina quale reagente è in eccesso tra 888,5 kg di carbon
coke, che contiene carbonio nella misura del 76%, e 60.000
[H2O]
mol di H 2O.
44
Quando si tratta ammoniaca gassosa NH3 con acqua, si ottiene una soluzione di idrossido di ammonio NH4OH, secondo la reazione: NH3 + H2O → NH4OH.
Quanti grammi di NH3 sono necessari per avere 24 mL di
[11 g]
NH4OH a densità 0,91 g/mL?
45
Da un campione di solfato rameico CuSO4, dal peso di 450
g che viene trattato con acido cloridrico, si ottengono cloruro rameico CuCl2 e acido solforico H2SO4. Sapendo che si
producono 250 g di cloruro rameico, calcola la percentuale
di impurità presente nel campione.
[34,0%]
46
Data la reazione tra BaCl2 e H2SO4, completa, scrivi e bilancia l’equazione chimica. Avendo a disposizione 621 g di cloruro di bario, calcola:
a) quanti grammi di solfato di bario si formano;
b) il volume di acido cloridrico prodotto, sapendo che la
sua densità è di 0,88 g/cm3;
c) quanti grammi di acido solforico vengono consumati
per far reagire tutto il cloruro di bario.
[696 g] [247 cm3 ] [292 g]
Un cubetto di zinco, puro al 95%, ha spigolo di 3,75 cm e
densità 7,00 g /cm3. Quanti grammi di acido cloridrico HCl
sono necessari per consumare tutto lo zinco? Quali sono i
prodotti della reazione e qual è il loro peso in grammi?
[391 g] [731 g ZnCl2 ] [10,8 g H2 ]
48
Il metano CH4 reagisce con l’ossigeno secondo la reazione:
CH4 + 2O2 → CO2 + 2H2O
Se si fanno reagire 1,45 kg di metano con 100 mol di ossigeno, qual è il reagente limitante e quanta CO2 in mol si forma?
[CH4; 90,4 mol]
49
Considera la reazione Fe + Cl 2 → FeCl 2. Quanti grammi di
dicloruro di ferro FeCl 2 si ottengono facendo reagire 43,4 g
di Fe con 85,6 g di Cl 2?
[98,5 g]
50
50,0 mL di una soluzione di KOH reagiscono con 25,4 mL di
una soluzione 1,25 M di H2SO4 secondo la reazione:
2KOH + H2SO4 → K2SO4 + 2H2O
Qual è la concentrazione della soluzione di KOH?
[1,27 M]
51
Lo zinco reagisce con l’acido cloridrico secondo la seguente
reazione:
Zn(s) + 2HCl(aq) → ZnCl2(aq) + H2(g)
Quale volume di una soluzione di HCl 0,555 M deve essere aggiunto a 25,4 g di Zn affinché tutto lo zinco reagisca? [1,40 L]
52
Ioduro di potassio KI e nitrato di piombo Pb(NO3)2 reagiscono formando un precipitato giallo di diioduro di piombo PbI2
secondo la reazione:
2KI + Pb(NO3)2 → 2KNO3 + PbI2
Quanti mL di una soluzione 0,555 M di KI devono essere utilizzati affinché si formino 3,50 g di PbI2?
[27,4 mL]
53
Per ciascuna delle seguenti reazioni indica i prodotti, scrivi e
bilancia l’equazione chimica e classifica la reazione secondo
le tipologie indicate nel testo:
a) acido ipocloroso + diidrossido di calcio
b)
c)
d)
e)
f)
g)
h)
i)
j)
acido iodidrico + potassio
dicloruro di berillio + ioduro di sodio
solfato di alluminio + fluoruro di litio
acido solfidrico + tetraidrossido di piombo
acido cloridrico + diidrosssido di stagno
grafite (carbonio puro) + ossigeno
propano (C3H8) + ossigeno
solfito di calcio (dopo forte riscaldamento)
acido nitroso + idrossido di potassio
Question
54
Why precipitation reactions always occur in solution?
55
Aluminium Al and oxygen O2 react in this way:
4Al + 3O2 → 2Al2O3
How many grams of Al2O3 can be obtained from the reaction
between 0,256 mol of Al and 0,554 mol of O2?
[13,1 g]
CH/140
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
Energia e velocità
delle reazioni chimiche
16.1
C A P I TO L O
16
Energia di legame
ed energia chimica
I
씰 L’energia di un sistema chimico associabile ai legami chimici e
alle forze intermolecolari presenti è chiamata energia chimica.
L’energia chimica di una sostanza dipende sia dal tipo di particelle presenti sia dal tipo di legami che le uniscono.
ENERGIA
n linea del tutto teorica, le migliaia di sostanze esistenti in natura potrebbero combinarsi tra loro attraverso un numero enorme di combinazioni.
Nel capitolo precedente, però, abbiamo visto che esistono pochi tipi di reazioni chimiche. Solo se uniamo le sostanze secondo i criteri e le condizioni
indicate, c’è la possibilità che le trasformazioni chimiche avvengano effettivamente. Ma non basta, perché anche se mettiamo insieme due sostanze
che in teoria dovrebbero reagire, non sempre nella realtà si verifica una reazione. Per capire meglio cosa succede nelle reazioni chimiche, occorre tornare a riflettere sull’energia di legame (cfr. § 11.1).
Una reazione chimica non va vista semplicemente come una trasformazione di materia da certe sostanze ad altre. Una reazione chimica è anche
una trasformazione energetica, perché comporta sempre una variazione di
energia dovuta alle differenti energie di legame nei reagenti e nei prodotti.
Quando due o più sostanze reagiscono per formarne altre diverse, si devono verificare sempre scissioni di legami nei reagenti e formazioni di nuovi legami che danno luogo ai prodotti. Il primo evento, cioè la rottura di un
legame chimico, richiede energia; più esattamente ne richiede una quantità
corrispondente all’energia del legame che si scinde. Il secondo evento, la
formazione di nuovi legami, per contro comporta emissione di energia, in
quantità pari all’energia del legame che si forma (figura 16.1).
Atom
dei reag i
en
separati ti
Reagente
Reagente
A
B
씰 Quanto più i legami sono forti e la molecola è stabile, tanto
minore è la sua energia chimica.
L’energia chimica è una forma di energia potenziale in quanto dipende
dalla posizione reciproca degli atomi. Quando avviene una reazione chimica gli atomi variano la loro posizione reciproca, per cui le trasformazioni chimiche sono sempre accompagnate da una variazione di energia
chimica.
Consideriamo un caso specifico e prendiamo in esame, per esempio, la
reazione tra fluoro F2 e acido cloridrico HCl in cui si forma cloro Cl2 e acido
fluoridrico HF. Nell’equazione chimica indichiamo, in basso a destra delle
formule, anche lo stato fisico delle sostanze, solido (s), liquido (l), aeriforme
TEMPO
Prodott
o
C
FIGURA 16.1 Ogni reazione chimica comporta una trasformazione energetica, perché le energie di legame di reagenti
e prodotti sono diverse. Nel caso riportato l’energia chimica dei prodotti è inferiore a quella dei reagenti, in quanto
la formazione dei nuovi legami nelle molecole dei prodotti,
a partire dagli atomi isolati dei reagenti, emette una quantità di energia superiore a quella richiesta per rompere i legami chimici delle molecole dei reagenti.
CH/141
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
16
Energia e velocità delle reazioni chimiche
(g) o in soluzione acquosa (aq), perché le variazioni di energia dipendono
anche dallo stato di aggregazione:
F2(g) + 2HCl(g) → Cl2(g) + 2HF(g)
HCl
+
Cl 2
F—F
150 kJ/m
H — Cl
o
431 kJ/m l
H — Cl
o
431 kJ/m l
ol
F2(g) + 2
HCl(g
+
Cl— Cl
H—F
H—F
)
HF
STABILITÀ
ENERGIA CHIMICA
F2
242 kJ/m
o
560 kJ/m l
o
560 kJ/m l
ol
Cl2(g +
) 2HF
Per prima cosa andiamo a individuare i valori delle energie di legame dei
reagenti e dei prodotti, che sono 150, 431, 242 e 560 kJ/mol rispettivamente
per i legami F — F, H — Cl, Cl — Cl e H — F e che dipendono dalle caratteristiche atomiche degli elementi coinvolti (cfr. tabella 11.2).
Per risalire alle variazioni di energia che avvengono nel corso della reazione presa in esame dobbiamo stabilire se si passa da composti più instabili a composti più stabili, o viceversa, e cioè da molecole con energia chimica maggiore a minore, o viceversa. Facciamo perciò la somma dei valori
delle energie di legame dei reagenti. Determiniamo così quanta energia è
necessaria complessivamente per rompere quei legami:
F — F + H — Cl + H — Cl
(150 + 431 + 431) kJ/mol = 1 012 kJ/mol
La quantità di energia che si produce con la formazione dei nuovi legami
si ottiene poi sommando i valori delle energie di legame dei prodotti:
Cl — Cl + H — F + H — F
(242 + 560 + 560) kJ/mol = 1 362 kJ/mol
(g)
FIGURA 16.2 La reazione tra fluoro F2 e acido cloridrico
HCl avviene nel momento in cui i loro legami chimici si
rompono e si stabiliscono i nuovi legami dei prodotti, cloro
Cl2 e acido fluoridrico HF. La reazione comporta diminuzione di energia chimica e passaggio da composti meno stabili
a più stabili.
La reazione chimica tra fluoro F2 e acido cloridrico HCl ha portato alla
formazione di sostanze più stabili, cloro Cl2 e acido fluoridrico HF, in quanto la somma delle energie di legame dei prodotti (1 362 kJ/mol) è maggiore
di quella delle energie di legame dei reagenti (1 012 kJ/mol): la reazione è
avvenuta con una diminuzione di energia chimica (figura 16.2).
16.2 Primo principio della
AMBIENTE
termodinamica e sistemi chimici
M
SISTEMA
Acido
cloridrico
entre leggi le pagine di questo libro, il tuo organismo sta bruciando le
sostanze nutritive contenute nei cibi che hai mangiato. Mentre leggi,
dunque, l’energia chimica delle molecole del cibo viene trasformata nell’energia di cui hai bisogno per svolgere le funzioni vitali. Analogamente, nel
motore di un’automobile l’energia chimica immagazzinata nelle molecole
di carburante viene convertita in calore tramite reazioni di combustione e la
macchina può muoversi. Uno degli aspetti più importanti delle reazioni
chimiche riguarda gli scambi energetici collegati ad esse. In particolare è la
branca della chimica chiamata termochimica a occuparsene.
씰 La termochimica studia gli scambi di calore che avvengono
durante le reazioni chimiche.
Carbonato
di calcio
La termochimica fa parte di una disciplina scientifica più ampia chiamata termodinamica.
씰 La termodinamica è la scienza che studia i trasferimenti di
energia in un sistema.
La reazione tra il carbonato di calcio e l’acido cloridrico in soluzione acquosa forma dicloruro di calcio,
che si solubilizza in acqua, e diossido di carbonio. I reagenti e i prodotti della reazione sono il sistema chimico,
mentre la beuta e tutto quello che la circonda rappresentano l’ambiente.
FIGURA 16.3
Consideriamo la reazione chimica che avviene aggiungendo una soluzione di acido cloridrico HCl a una massa solida di carbonato di calcio CaCO3
posta all’interno di una beuta. Per studiare adeguatamente gli scambi energetici che accompagnano la reazione è utile considerare i reagenti e i prodotti della reazione in modo separato da tutto il resto. In una trasformazione chimica viene definito sistema l’insieme delle sostanze che partecipano
alla reazione, mentre il recipiente di reazione, l’aria circostante e lo spazio
fisico in cui si opera costituiscono l’ ambiente. Il sistema e l’ambiente formano ciò che in termodinamica è chiamato universo (figura 16.3).
CH/142
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
16
Energia e velocità delle reazioni chimiche
16.3 Entalpia e calore di reazione
I
n un sistema chimico il trasferimento di energia tra il sistema e l’ambiente può avvenire in due modi: attraverso scambi di calore e attraverso
scambi di lavoro. Il calore corrisponde all’energia trasferita da un corpo a
temperatura maggiore a un corpo a temperatura minore, mentre il lavoro è
l’energia scambiata attraverso azioni meccaniche. Per esempio, si scambia
lavoro tra sistema chimico e ambiente, quando in una reazione fatta avvenire all’interno di un cilindro chiuso da pistone mobile si produce un gas. Il
gas espandendosi esercita una pressione sul pistone e lo spinge verso l’alto.
Se una reazione chimica avviene in un recipiente rigido, chiuso ermeticamente, che non permette variazioni di volume, la reazione avviene a volume costante. In questo caso tutta l’energia viene trasferita sotto forma di calore, in quanto non è possibile nessuno scambio di lavoro tra sistema e ambiente. Si può dimostrare che il calore scambiato a volume costante (Q v)
corrisponde alla variazione di energia interna del sistema:
ΔU = Q v
씰 La variazione di energia interna di un sistema è uguale al calore
scambiato a volume costante.
Generalmente le reazioni chimiche avvengono in recipienti aperti alla
pressione atmosferica. In questo tipo di trasformazioni, che avvengono a
pressione costante, il calore scambiato (Q p) non corrisponde alla variazione
di energia interna, ma è uguale alla variazione di un’altra funzione termodinamica, l’entalpia (H). Anche l’entalpia è una funzione di stato, per cui la
variazione di entalpia ΔH si ottiene dalla differenza tra l’entalpia dei prodotti H prodotti e l’entalpia dei reagenti H reagenti:
L’unità di misura dell’entalpia è il joule.
ΔH = H prodotti – H reagenti = Q p
씰 La variazione di entalpia di una reazione chimica che avviene a
pressione costante è uguale al calore scambiato.
Il calore scambiato a pressione costante viene comunemente chiamato
anche calore di reazione.
Seguiamo ora le trasformazioni di energia termica nelle reazioni, prendendo come esempio la reazione di ossidazione del carbonio, in pratica il
carbone che brucia:
C(s) + O2(g) → CO2(g)
Durante questa reazione si ha produzione di calore. Più precisamente,
quando una mole di carbonio C reagisce con una mole di ossigeno O2 per
formare una mole di diossido di carbonio CO2 si liberano 393,5 kJ di calore.
Nelle equazioni chimiche la quantità di energia che si libera viene scritta
dopo le formule dei prodotti. Nel nostro caso perciò scriviamo:
O2
C
➔ R e a z io
ne esote
C(s) + O2(g) → CO2(g) + 393,5 kJ/mol
CO2
STABILITÀ
393,5 kJ / mol
ENERGIA CHIMICA
+
rm ic a
FIGURA 16.6
Un atomo di carbonio reagisce con una molecola di ossigeno e forma una molecola di diossido di carbonio, che ha due doppi legami. Con la formazione di questi nuovi legami il sistema è più stabile, perché le molecole
hanno minore energia chimica di quella dei reagenti; ciò
provoca la liberazione di 393,5 kJ/mol di energia.
씰 Una reazione che avviene con produzione di calore viene
definita reazione esotermica.
Da dove proviene l’energia che si libera dalla reazione esotermica? Evidentemente i prodotti si trovano in una condizione di maggiore stabilità rispetto ai reagenti e hanno una energia chimica minore; tutto ciò è una conseguenza della presenza di legami più forti nei prodotti rispetto ai reagenti
(figura 16.6). Poiché i prodotti hanno una entalpia minore rispetto ai reagenti, la differenza di entalpia ha valore negativo e il ΔH è inferiore a 0. Per
la reazione del carbone che brucia la differenza di entalpia vale perciò:
ΔH = H CO2 – H C + O2 = – 393,5
kJ
mol
씰 Sono reazioni esotermiche quelle per le quali ΔH < 0.
CH/144
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16
Energia e velocità delle reazioni chimiche
Consideriamo ora la reazione del carbonato di calcio CaCO3 che col calore si decompone in ossido di calcio CaO e diossido di carbonio CO2.
Questa reazione non avviene se non forniamo energia. Per far decomporre
una mole di carbonato di calcio sono necessari 176 kJ di calore. L’equazione chimica, arricchita delle informazioni riguardanti l’energia, va scritta pertanto:
Nelle reazioni endotermiche i prodotti hanno caratteristiche di minore
stabilità rispetto ai reagenti, che hanno legami più forti. I prodotti possiedono perciò una entalpia maggiore di quella dei reagenti (figura 16.7); in questo caso la differenza di entalpia ha valore positivo e il ΔH è superiore a 0.
Per esempio, nella reazione di decomposizione del carbonato di calcio abbiamo che:
ΔH = H CaO + CO2 – H CaCO3 = +176 kJ/mol
per cui possiamo scrivere:
CaCO3(s) → CaO(s) + CO2(g)
ΔH = 176 kJ/mol
176 kJ/mol
씰 Una reazione che avviene con consumo di calore viene definita
reazione endotermica.
+
ENERGIA CHIMICA
Il valore dell’energia che è prelevata dall’esterno è indicato al primo
membro dell’equazione chimica.
CO2
CaO
CaCO3(s) + 176 kJ/mol → CaO(s) + CO2(g)
CaO + C
O2
CaCO
3
➔ Re a z
io n e e n d
STABILITÀ
CAPITOLO
o t e rm ic a
FIGURA 16.7 La decomposizione del carbonato di calcio
CaCO3 avviene con assorbimento di 176 kJ/mol di energia, perché nella reazione si passa da un reagente stabile
e con legami forti a prodotti con legami complessivamente più deboli, CaO e CO2, meno stabili e con energia chimica maggiore.
씰 Sono reazioni endotermiche quelle per le quali ΔH > 0.
Nelle reazioni esotermiche l’energia chimica contenuta nelle molecole
si trasforma in energia termica; nelle reazioni endotermiche si ha trasformazione di energia termica in energia chimica.
Se una reazione rilascia energia quando procede in una direzione, essa
deve assorbire una eguale quantità di energia per andare nella direzione opposta. Invertire la direzione di una reazione equivale a cambiare il segno
della variazione di entalpia. La reazione tra due molecole di biossido d’azoto NO2 per formare una molecola di ipoazotide N2O4 ne fornisce un semplice esempio. Quando due molecole di NO2 collidono, esse formano un legame chimico con una reazione che rilascia energia (figura 16.8). La reazione
di decomposizione della molecola di N2O4, invece, avviene con assorbimento di energia, perché si formano le molecole meno stabili di NO2.
FIGURA 16.8 Quando due molecole di biossido di azoto
NO2 si uniscono per formare ipoazotide N2O4 (in alto), si
libera energia; quando una molecola di N2O4 si scinde in
due molecole di NO2 (in basso), l’energia viene sottratta
all’ambiente.
Si libera
energia
O
O
O
N
+
N
O
O
N
O
Si forma
il legame
Reagenti
N
Prodotti
O
O
L’energia chimica del sistema
è diminuita.
L’ambiente ha acquistato energia.
Si assorbe
energia
O
N
O
O
O
N
N
O
Il legame
si rompe
Prodotti
O
+
N
Reagenti
O
O
L’energia chimica del sistema
è aumentata.
L’ambiente ha ceduto energia.
CH/145
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
16
Energia e velocità delle reazioni chimiche
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
1. L’ottano C8H18 è un combustibile liquido che brucia con ossigeno secondo la seguente reazione:
2C8H18(l) + 25O2(g) → 16CO2(g) + 18H2O(l) + 10 930 kJ
Indica se la reazione è esotermica o endotermica e determina la variazione di entalpia ΔH della reazione, quando vengono bruciati 369 g di ottano.
1. Il propano C3H8 è un combustibile utilizzato
nei laboratori chimici. Quale quantità di calore in kJ si può ottenere dalla seguente reazione, se bruciamo 500 g di propano?
La reazione è esotermica in quanto il valore dell’energia scritto a destra nell’equazione chimica, che equivale a un prodotto della reazione, è positivo. L’equazione ci dice
inoltre che bruciando 2 moli di ottano si liberano 10930 kJ di calore; ciò significa
che per ogni mole di ottano se ne liberano 10930 / 2 = 5465 kJ/mol. Poiché la
massa molare dell’ottano è 114 g/mol, 369 g corrispondono a:
↓
3CO2(g) + 4H2O(l) + 2220 kJ/mol
C3H8(l) + 5O2(g)
2. Classifica le seguenti reazioni come esotermiche o endotermiche e indica il segno della
variazione di entalpia ΔH della reazione:
H2(g) + Cl2(g) → 2HCl(g) + 184,62 kJ/mol
NH3(g) + HCl(g) → NH4Cl(s) + 176 kJ/mol
369 g
= 3,24 mol
114 g/mol
La variazione di entalpia corrisponde al calore complessivamente liberato dalle 3,24
moli di ottano presenti, col segno negativo essendo la reazione esotermica:
ΔH = –5465 kJ/mol × 3,24 mol = –17707 kJ
16.4 Entalpia standard di formazione
L
a variazione di entalpia ΔH di una reazione dipende dalle condizioni in
cui la trasformazione si svolge. È quindi necessario fissare condizioni di
riferimento, definite condizioni standard, in modo da poter confrontare tra
loro i valori di ΔH. Le condizioni da specificare sono la pressione, la temperatura e, nel caso siano presenti soluzioni, la concentrazione. In termodinamica le condizioni standard sono:
• pressione 1 bar;
• temperatura 25 °C;
• concentrazione 1 M.
Una variazione di entalpia misurata in queste condizioni è chiamata variazione di entalpia standard ed è indicata con ΔH° (delta acca zero).
Da quanto abbiamo detto nel paragrafo precedente appare chiaro che, per
conoscere la differenza di entalpia ΔH di una reazione, dobbiamo conoscere
il valore di entalpia di ogni sostanza che prende parte alla reazione o che in
essa si forma. Esiste un metodo più semplice per ricavare la variazione di
entalpia di ogni possibile trasformazione. Ogni composto chimico ha un
proprio specifico valore di entalpia, chiamato entalpia standard di formazione, indicato con ΔH°formazione e riferito a una mole di sostanza. L’entalpia
standard di formazione di una specie chimica è l’energia termica relativa
alla formazione di tutti i legami che la costituiscono, a partire dagli elementi costitutivi nella loro forma più stabile e in condizioni standard. Per
gli elementi l’entalpia di formazione è nulla.
씰 L’entalpia standard di formazione di un composto corrisponde al calore
sviluppato o assorbito quando una mole di quel composto nel suo stato
standard si forma a partire dagli elementi costituenti.
L’entalpia standard di formazione può essere utilizzata per determinare
la variazione dell’entalpia standard in qualsiasi reazione.
Consideriamo la reazione di formazione dell’ossido di calcio CaO a partire dagli elementi costituenti, calcio Ca e ossigeno O2:
Ca(s) + ½O2(g) → CaO(s) + 634,9 kJ/mol
CH/146
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CAPITOLO
16
Energia e velocità delle reazioni chimiche
Quando una mole di calcio metallico reagisce con mezza mole di ossigeno per formare una mole di ossido di calcio, si liberano 634,9 kJ di calore. Questo valore corrisponde all’entalpia di formazione del CaO, dato
che i reagenti sono entrambi elementi nelle condizioni standard, per i
quali l’entalpia di formazione è 0. Con lo stesso procedimento si può ricavare l’entalpia di formazione standard per tutti i composti.
Se si conoscono le entalpie di formazione dei composti che partecipano a
una reazione, si può risalire alla variazione di entalpia standard della reazione ΔH°reazione attraverso il seguente calcolo:
ΔH°reazione = (ΣΔH°formazione prodotti) – (ΣΔH°formazione reagenti)
dove il simbolo Σ sta a indicare «la sommatoria di». Nella tabella 16.1 è riportata l’entalpia di formazione standard di alcuni composti comuni.
Formula
Nome
CH4(g)
C2H6(g)
C3H8(g)
C4H10(g)
C4H10(l)
C2H4(g)
CH3OH(l)
C2H5OH(l)
C12H22O11(s)
CO(g)
CO2(g)
CaCO3(s)
CaO(s)
HCl(g)
H2O(l)
H2O(g)
NH3(g)
NO(g)
NO2(g)
N2O4(g)
NaCl(s)
NaOH(s)
SO2(g)
SO3(g)
Metano
Etano
Propano
Butano
Butano
Etilene
Metanolo
Etanolo
Saccarosio (zucchero)
Monossido di carbonio
Diossido di carbonio
Carbonato di calcio
Ossido di calcio
Acido cloridrico
Acqua
Acqua
Ammoniaca
Monossido di azoto
Biossido di azoto
Ipoazotide
Cloruro di sodio
Idrossido di sodio
Biossido di zolfo
Triossido di zolfo
Entalpia di
formazione standard
ΔH°formazione (kJ/mol)
–74,6
–84,0
–103,8
–125,7
–147,3
+52,4
–239,2
–277,6
–2226,2
–110,5
–393,5
–1207,6
–634,9
–92,3
–285,8
–241,8
–45,9
+91,3
+33,2
+11,1
–411,2
–425,6
–296,8
–395,8
TABELLA 16.1
Entalpia di formazione ΔHformazione di alcuni
composti, riferita a 1 mole a condizioni standard.
16.5 Reazioni di combustione e calore
L
e reazioni di combustione sono le reazioni più comuni, da sempre usate
per la produzione di energia sotto forma di calore. Bruciando all’aria il
legno, la carta, il metano, il petrolio e tutti i suoi derivati, gli atomi di idrogeno e carbonio contenuti in questi materiali si combinano con l’ossigeno
dell’aria per dare acqua e diossido di carbonio, secondo un’equazione chimica che per un generico idrocarburo è:
CnHm + (n + m /4)O2 → nCO2 + (m /2)H2O + kJ
Nel corso delle reazioni di combustione si liberano elevate quantità di
energia termica. Anche gli atomi di idrogeno e di carbonio contenuti nei
cibi di cui ci nutriamo reagiscono nel nostro organismo con reazioni di
A
APPROFONDIMENTO
Il potere calorifico dei combustibili
CH/147
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CAPITOLO
16
Energia e velocità delle reazioni chimiche
combustione. In modo graduale e controllato, idrogeno e carbonio si legano
con l’ossigeno che respiriamo per formare ancora diossido di carbonio e acqua e per liberare energia.
Per quale motivo dalle reazioni di combustione si libera sempre tanta
energia? Abbiamo visto che, se una reazione avviene con rottura di legami
deboli e formazione di legami forti, la reazione è esotermica e si ha produzione di energia. Sappiamo anche che l’energia di legame dipende dalla
lunghezza di legame e, più precisamente, che i legami corti sono più forti
dei legami lunghi, perché vi è maggiore interazione tra i nuclei degli atomi
legati (cfr. § 11.13). Ebbene, i prodotti delle reazioni di combustione, diossido di carbonio e acqua, sono caratterizzati da legami corti ed estremamente
forti. Il risultato è la liberazione di grandi quantità di calore.
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
2. Utilizzando i dati della tabella 16.1, calcola l’entalpia di combustione del butano liquido C 4H10(l).
3. Utilizzando i dati della tabella 16.1, calcola
l’entalpia di combustione dell’etilene C2H4(g).
Scriviamo prima l’equazione bilanciata della reazione di combustione tra butano e
ossigeno, con formazione di diossido di carbonio e acqua.
2C 4 H10(l) + 13O2(g) → 8CO2(g) + 10H2O(l)
La tabella delle entalpie di formazione mostra i valori di ΔH°
formazione per il C4H10(l)
= –147,3 kJ/mol; per il CO2(g) = –393,5 kJ/mol; per l’H2O(l) = –285,8 kJ/mol. Per
l’O2(g), come per tutti gli elementi, il valore è nullo. Nel calcolo occorre considerare che il ΔH°
combustione è riferito a 1 mole di C4H10 e pertanto i coefficienti stechiometrici degli altri composti vanno dimezzati: 13/2 per O2, 4 per CO2, 5 per H2O.
L’entalpia di combustione si ricava dalla differenza tra la sommatoria delle entalpie di formazione dei prodotti e la sommatoria di quelle dei reagenti:
PER SAPERNE DI PIÙ
ΔH°
formazione prodotti ) – (ΣΔH°
formazione reagenti ) =
combustione = (ΣΔH°
= [(4 × ΔH°
formazione CO2(g)) + (5 × ΔH°
formazione H2O(l))] – [(1 × ΔH°
formazione C4H10(l)) +
+ (13/2 × ΔH°
O
)]
=
{[4
×
(–393,5
kJ/mol)]
+
[5
×
(–285,8
kJ/mol)]} –
2(g)
formazione
– {[1 × (–147,3 kJ/mol)] + (13/2 × 0)} = –2855,7 kJ/mol
L’idrogeno, un combustibile alternativo
Alcune automobili a idrogeno sono già disponibili. L’industria automobilistica BMW, per esempio, ha costruito un
veicolo prototipo che utilizza come carburante idrogeno
liquido, sistemato in un serbatoio pressurizzato. Il prezzo
dei veicoli che usano la tecnologia a idrogeno è ancora
molto alto.
I problemi di inquinamento e di impoverimento delle risorse hanno incoraggiato negli ultimi tempi la ricerca di combustibili alternativi agli idrocarburi. In particolare
sono stati sviluppati progetti basati sull’uso
dell’idrogeno come combustibile, che sfruttano l’energia liberata dalla reazione:
2H2 + O2 → 2H2O
La combustione dell’idrogeno fornisce la
maggior quantità di energia per grammo di
qualsiasi altro combustibile e il prodotto
dell’ossidazione, l’acqua, è assolutamente
non inquinante. Il ricorso all’idrogeno come
combustibile permette di evitare l’emissione
di CO2 (il principale gas serra) e di ossidi di
zolfo (responsabili delle piogge acide). Le
uniche emissioni inquinanti potrebbero essere gli ossidi di azoto, ma in quantità trascurabili.
Per una produzione di idrogeno su larga
scala si potrebbero utilizzare, in una prima
fase, i combustibili fossili, come il carbone
e il gas naturale. Il carbone può essere fatto
reagire con l’acqua per produrre idrogeno e
CO2. L’idrogeno è poi usato come combusti-
bile, ma il CO2 deve essere smaltito, confinandolo in cavità del sottosuolo come giacimenti di petrolio esauriti.
Se l’idrogeno potesse essere ottenuto dall’acqua a basso costo, si avrebbero enormi
vantaggi. Potrebbe infatti essere preparato
e conservato nel posto stesso dove viene
consumato, così da utilizzarlo sia su larga
scala nelle industrie sia su piccola scala nelle automobili.
L’impiego dell’idrogeno come combustibile è dal punto di vista ambientale il più corretto ed è praticamente innocuo, quando l’elemento è ottenuto dall’acqua utilizzando
come fonte di energia il Sole. Questo processo, però, non è ancora efficiente per applicazioni su larga scala.
Attualmente l’idrogeno come combustibile è usato soprattutto nelle navette spaziali.
Il serbatoio sganciabile di una navetta contiene 1,46·106 L di H2 e 5,43·105 L di O2.
Questi veicoli usano anche un dispositivo,
chiamato cella a combustibile, che produce
elettricità direttamente dalla reazione chimica di idrogeno con ossigeno.
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CAPITOLO
16
Energia e velocità delle reazioni chimiche
16.6 La legge di Hess
S
e bruciamo il carbone in presenza di poco ossigeno, abbiamo la formazione dell’ossido di carbonio CO, detto anche monossido di carbonio,
secondo la reazione esotermica (1):
(1)
C(s) + ½O2(g) → CO(g)
ΔH °1 = –110,5 kJ/mol
L’ossido di carbonio può ancora reagire con l’ossigeno per dare diossido
di carbonio, con una seconda reazione esotermica (2):
(2)
CO(g) + ½O2(g) → CO2(g)
ΔH °2 = –283,0 kJ/mol
Se invece il carbonio brucia in eccesso di ossigeno, si produce direttamente diossido di carbonio. Abbiamo la reazione esotermica (3):
(3)
C(s) + O2(g) → CO2(g)
ΔH °3 = –393,5 kJ/mol
Germain-Henri Hess (1802-1850), chimico russosvizzero, è noto principalmente per gli studi termodinamici sulle reazioni chimiche. Propose nel 1840 la
legge che porta il suo nome, che permette di ricavare
il calore di reazione anche nei casi in cui sia impossibile una sua misura diretta. La legge di Hess può essere considerata analoga alla legge di conservazione
dell’energia, riferita ai fenomeni chimici.
Notiamo che se sommiamo la prima alla seconda reazione, otteniamo
esattamente la terza, non solo per quel che riguarda le sostanze reagenti e i
prodotti, ma anche per la quantità di energia liberata sotto forma di calore.
Verifichiamo infatti la validità della seguente relazione:
Questa affermazione prende il nome di legge di Hess. L’utilità della legge
di Hess è evidente quando vogliamo determinare la variazione di entalpia
complessiva nel caso di reazioni chimiche in serie, poiché possiamo prendere in considerazione solo le condizioni iniziali e finali. Per fare un semplice esempio, riprendiamo in esame la reazione descritta alla fine del §
16.3 con la quale il biossido di azoto NO2 si trasforma in ipoazotide N2O4:
2NO2(g) → N2O4(g)
Immaginiamo che la reazione della figura 16.10 proceda come illustrato
in basso. Inizialmente due molecole di NO2 si decompongono in molecole
di azoto N2 e ossigeno O2, che reagiscono tra loro per formare N2O4:
CO
C + 1/2 O ⎯
2 → CO + 1
/2 O2 ⎯→
STABILITÀ
110,5
2
283,0 kJ/mol
씰 La quantità di calore messa in gioco in una reazione chimica
dipende dall’energia chimica dei reagenti e dei prodotti e non
dal cammino effettivamente percorso dalla reazione.
C+O
ENERGIA CHIMICA
In altre parole, se una reazione avviene in più stadi intermedi oppure
attraverso un passaggio diretto, la quantità di calore prodotta o richiesta
è sempre la stessa. Infatti, ciò che conta è la differenza di energia chimica
tra lo stato iniziale (C + O2) e lo stato finale (CO2) (figura 16.9).
393,5 kJ/mol
ΔH °3 = ΔH °1 + ΔH °2
CO2
CO2
FIGURA 16.9 Il carbonio può reagire con l’ossigeno per
formare diossido di carbonio CO2 mediante un’unica reazione o mediante due reazioni successive, nelle quali si ha
come prodotto intermedio il monossido di carbonio CO. La
quantità di energia sviluppata dalla reazione diretta è
uguale alla somma delle quantità di energia sviluppate dalle reazioni parziali.
2NO2(g) → N2(g) + 2O2(g) → N2O4(g)
N2O4
NO2
NO2
ΔH diretta
+
REAZIONE
DIRETTA
e
n
io
siz
ΔH
sin
po
om
te
si
ec
d
ΔH
REAZIONE DI
DECOMPOSIZIONE
FIGURA 16.10 La variazione di entalpia che si verifica nella reazione diretta di trasformazione del biossido di azoto
NO2 in ipoazotide N2O4 può essere calcolata sommando le
variazioni di entalpia delle due reazioni, di decomposizione
e di sintesi, che si hanno nel caso di un passaggio intermedio tra NO2 e N2O4.
O2
N2
+
REAZIONE DI
SINTESI
O2
+
ΔH diretta = ΔH decomposizione + ΔHsintesi
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CAPITOLO
16
Energia e velocità delle reazioni chimiche
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
3. Conoscendo la variazione di entalpia standard ΔH° relativa alle seguenti reazioni:
a) O2(g) + ½N2(g) → NO2(g)
ΔH° = +33,2 kJ/mol
b) N2(g) + 2O2(g) → N2O4(g)
ΔH° = +11,1 kJ/mol
calcola la variazione di entalpia ΔH° relativa alla reazione per la produzione di
ipoazotide a partire dal biossido di azoto 2NO2(g) → N2O4(g).
4. Calcola la variazione di entalpia ΔH° della
reazione:
Il composto ipoazotide N2 O4 , prodotto finale della reazione della quale dobbiamo calcolare la variazione di entalpia ΔH°, è il prodotto della reazione b).
In primo luogo moltiplichiamo per 2 i coefficienti della reazione a), e quindi anche il
relativo valore del ΔH°, e invertiamone il senso, invertendo anche il segno del ΔH°.
Abbiamo la reazione a*):
2NO2(g) → N2(g) + 2O2(g)
ΔH°reazione = –66,4 kJ/mol;
NO(g) + ½O2(g) → NO2(g)
ΔH°reazione = –57,0 kJ/mol
a*) 2NO2(g) → 2O2(g) + N2(g), la cui variazione di entalpia diventa:
ΔH° = –(+33,2 × 2) kJ/mol = –66,4 kJ/mol
Sommiamo poi la reazione a*) alla reazione b) e otteniamo, sommando anche i rispettivi valori di ΔH°:
2NO2(g) + N2(g) + 2O2(g) → 2O2(g) + N2(g) + N2O4(g)
ΔH° = (–66,4 + 11,1) kJ/mol = –55,3 kJ/mol
A questo punto eliminiamo dall’equazione chimica 2O2 e N2, che compaiono sia tra i
reagenti sia tra i prodotti e quindi non partecipano alla reazione, e abbiamo così la
reazione finale con il valore di variazione di entalpia cercato:
2NO2(g) → N2O4(g)
ΔH° = –55,3 kJ/mol
In generale, per risolvere problemi che richiedono di calcolare la variazione di entalpia facendo ricorso alla legge di Hess, occorre tenere presenti i seguenti punti:
1. quando una reazione è scritta nella direzione opposta, si deve cambiare il segno del ΔH°;
2. se tutti i coefficienti di un’equazione sono moltiplicati o divisi per lo stesso fattore, il
valore di ΔH° deve essere anch’esso moltiplicato o diviso per lo stesso fattore;
3. i valori di ΔH° ottenuti vanno sommati;
4. nell’equazione risultante dalla somma delle equazioni relative ai passaggi intermedi bisogna cancellare da entrambi i lati le formule delle stesse sostanze che si presentano
nel medesimo stato di aggregazione (solido, liquido, gassoso).
N2(g) + O2(g) → 2NO(g)
sapendo la variazione di entalpia ΔH° delle
seguenti reazioni:
5. Conoscendo la variazione di entalpia ΔH° delle seguenti reazioni:
a) C2H2(g) + 5/2O2(g) → 2CO2(g) + H2O(l)
ΔH°reazione = –1301,1 kJ/mol;
b) C(s) + O2(g) → CO2(g)
ΔH°reazione = –393,5 kJ/mol;
c) H2(g) + ½ O2(g) → H2O(l)
ΔH°reazione = –285,8 kJ/mol;
calcola il ΔH° della reazione:
2C(s) + H2(g) → C2H2(g)
16.7 Calore di reazione e vita
Q
ualunque sistema vivente, per crescere, per spostarsi, per riprodursi,
per mantenere costante la propria temperatura e per ogni altra funzione
vitale, ha bisogno di energia. L’energia deriva, direttamente o indirettamente, dalla ossidazione delle sostanze nutritive che entrano nell’organismo.
Queste sostanze vengono trasformate chimicamente attraverso una lunga serie di reazioni chimiche.
Quasi tutti gli atomi di carbonio e di idrogeno contenuti nelle molecole
delle sostanze nutritive vengono usati per formare, rispettivamente, diossido di carbonio e acqua. Il riassunto di decine di reazioni chimiche è nelle
due reazioni esotermiche:
C + O2 → CO2
H2 + ½O2 → H2O
FIGURA 16.11 I nostri cibi contengono sostanze organiche
dalla cui combustione si libera energia. Il nostro corpo sarebbe irrimediabilmente danneggiato, se questa energia si
liberasse tutta in una volta. Le reazioni biologiche avvengono per tappe: si produce la stessa quantità di energia totale, ma con gradualità.
ΔH° = – 393,5 kJ/mol
ΔH° = – 285,8 kJ/mol
Anche se le reazioni nei viventi procedono attraverso lunghi percorsi che
prevedono numerosi stadi intermedi, la quantità di energia che si produce
alla fine è la stessa, così come è espresso dalla legge di Hess.
Quando facciamo avvenire la combustione di atomi di carbonio e di idrogeno, determiniamo la liberazione di una grande quantità di energia e si sviluppa una fiamma. Se ciò avvenisse anche nel nostro organismo, ogni volta
che mangiamo dovremmo bruciarci. Invece, nei viventi la combustione delle sostanze nutritive avviene attraverso tante diverse reazioni, con produzione continua e controllata di piccole quantità di energia (figura 16.11).
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CAPITOLO
16
Energia e velocità delle reazioni chimiche
Dato che la quantità di energia prodotta non dipende dalle reazioni intermedie, ma solo dalla composizione chimica iniziale e da quella finale, misurando la quantità di calore che un alimento produce quando brucia al di
fuori del nostro organismo, possiamo conoscere la quantità di energia che
lo stesso alimento produce dentro di noi. Per esempio, se vogliamo sapere
quanta energia ci siamo procurati per aver mangiato una tavoletta di cioccolata da un etto, basta misurare quanto calore si ottiene dalla combustione di
100 g di quella cioccolata.
La quantità di calore prodotta da una combustione si misura, come tutte
le quantità di energia, in joule. Correntemente per indicare il contenuto
energetico dei cibi si usa, invece, la caloria (cal), che equivale a 4,186 J.
씰 Il valore calorico di un alimento è la quantità di calore,
espressa in calorie, prodotta dalla combustione dell’unità
di massa dell’alimento.
La caloria è la quantità di energia necessaria per far
aumentare di 1 grado (da 14,5 °C a 15,5 °C) la temperatura di 1 grammo d’acqua.
Nella tabella 16.2 riportiamo il valore calorico di alcuni alimenti.
Noci
Grissini
Prosciutto cotto
Carne di maiale (grassa)
Parmigiano
Prosciutto crudo
Riso
Pasta
Ricotta
Piselli secchi
Pane
Mozzarella
Olive nere
Carne di pollo
Uova
Carne di maiale (magra)
Olive verdi
660
435
412
400
374
371
355
347
328
306
280
243
234
175
155
148
142
Carne di bue (magra)
Carne di manzo (magra)
Fagioli
Carne di agnello
Sogliola
Vino
Patate
Banane
Latte
Mele
Birra
Carote gialle
Arance
Spinaci
Pesche
Pomodori
Insalata
129
113
104
101
83
75
67
66
65
46
34
33
33
31
27
19
19
TABELLA 16.2
Valore calorico di alcuni alimenti, indicato
in kcal prodotte da 100 g di alimento.
16.8 Spontaneità delle reazioni
chimiche ed entropia
NH4Cl
A
bbiamo fin qui preso in esame il contenuto di energia dei composti e
abbiamo studiato la produzione o l’assorbimento di calore dovuto alle
reazioni chimiche. Queste conoscenze, però, non sono ancora sufficienti
per stabilire se in determinate condizioni una certa reazione può effettivamente avvenire oppure no.
Generalmente le reazioni esotermiche sono spontanee, perché portano a
uno stato di minore energia chimica dei composti. L’eccesso di energia è ceduto all’ambiente sotto forma di calore. La maggior parte delle reazioni che
abbiamo incontrato è di questo tipo. Si tratta di un comportamento abbastanza comune, ma non di una regola. Infatti si conoscono anche molte reazioni e fenomeni esotermici non spontanei e altre reazioni e fenomeni endotermici ma spontanei.
Per esempio, sciogliamo in acqua pochi cristalli di cloruro di ammonio
NH 4 Cl, tenendo in mano il becher in cui facciamo avvenire la reazione. Al
contatto sentiamo il becher diventare più freddo: il passaggio in soluzione
dei cristalli assorbe calore dall’ambiente (figura 16.12). Il fenomeno è endotermico, ma è avvenuto ugualmente in modo spontaneo.
FIGURA 16.12 I cristalli di cloruro di ammonio NH4Cl si
sciolgono in acqua assorbendo calore dall’ambiente circostante. Il recipiente dà una sensazione di freddo.
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CAPITOLO
16
Energia e velocità delle reazioni chimiche
La previsione della spontaneità di una trasformazione fisica o di una reazione chimica richiede di tener conto non solo dell’energia in gioco, nel
caso delle reazioni cioè del calore ceduto o assorbito durante il loro svolgimento, ma anche dell’entropia. Abbiamo già conosciuto l’entropia come
una grandezza di stato correlata al grado di disordine del sistema (cfr. §
0.8). L’aumento del disordine, cioè dell’entropia, viene raggiunto spontaneamente, perché è più probabile. Il passaggio a uno stato ordinato è invece
poco probabile e generalmente non spontaneo.
Per chiarire il significato della variazione di entropia in una reazione chimica prendiamo in esame una generica reazione: A + 3B → 2C + 4D. L’equazione chimica ci dice che da 4 moli di reagenti (1 di A e 3 di B) si formano 6
moli di prodotti (2 di C e 4 di D). La situazione finale è sicuramente più disordinata della situazione iniziale, perché ci sono più molecole e queste
possono distribuirsi in più modi diversi, aumentando il disordine all’interno del recipiente di reazione. La reazione tende perciò a evolvere in maniera spontanea verso i prodotti, almeno per quanto riguarda il fattore entropia.
L’esempio del cloruro di ammonio NH 4 Cl che abbiamo sopra descritto
evidenzia la spontanea tendenza a sciogliersi a causa dell’aumento di entropia, sebbene la dissoluzione di questo sale sia un fenomeno endotermico. Il
cloruro di ammonio sciolto in acqua, infatti, è in uno stato più disordinato
per la formazione degli ioni NH +4 e Cl– dispersi all’interno del solvente.
씰 Ogni sistema evolve spontaneamente verso lo stato a massima entropia,
che corrisponde alla condizione di massima probabilità.
La lettera G deriva dall’iniziale di Josiah Willard Gibbs
(1839-1903), matematico, chimico e fisico statunitense. Studiò i sistemi eterogenei in equilibrio e si interessò di termodinamica, alla quale applicò nuovi metodi matematici.
Dunque la spontaneità dei processi chimici dipende sia dall’energia chimica dei composti, cioè dall’entalpia, sia dall’entropia. Oltre queste due, c’è
una terza funzione di stato che completa la descrizione dei parametri energetici di un sistema: si tratta dell’energia libera o energia libera di Gibbs,
indicata con la lettera G. L’energia libera tiene conto di entrambe le funzioni, l’entalpia H e l’entropia S, attraverso la relazione:
G=H–T·S
dove T è la temperatura assoluta espressa in kelvin. In realtà, poiché non è
possibile misurare i valori assoluti assunti da entalpia ed entropia, ma solo
le variazioni di queste funzioni nel corso delle reazioni chimiche, la relazione precedente è meglio scritta nella forma:
ΔG = ΔH – T · ΔS
LABORATORIO SEMPLICE
Entalpia, entropia, energia libera
cioè la variazione di energia libera è uguale alla differenza tra la variazione
ΔS
Δ Entropia
ΔG
Δ Energia libera
ΔS > 0
Maggior disordine
ΔG < 0
Processo spontaneo in tutte
le condizioni
ΔH > 0
Processo endotermico
ΔS < 0
Minor disordine
ΔG > 0
Processo non spontaneo in tutte
le condizioni
ΔH < 0
Processo esotermico
ΔS < 0
Minor disordine
ΔG < 0 oppure ΔG > 0
Dipende dalla prevalenza del
valore di ΔH o di TΔS.
Processi spontanei più probabili
a basse temperature
ΔH > 0
Processo endotermico
ΔS > 0
Maggior disordine
ΔG < 0 oppure ΔG > 0
Dipende dalla prevalenza del
valore di ΔH o di TΔS.
Processi spontanei più probabili
ad alte temperature
ΔH
Δ Entalpia
TABELLA 16.3
Le possibili combinazioni tra i valori di variazione di entalpia ΔH, di variazione di entropia ΔS e di
temperatura assoluta T possono determinare valori di energia libera ΔG negativi, in questo caso le reazioni sono
spontanee, o positivi, in questo caso non sono spontanee.
ΔH < 0
Processo esotermico
CH/152
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
16
Energia e velocità delle reazioni chimiche
di entalpia e la variazione di entropia moltiplicata per la temperatura assoluta. Qual è il significato di questa relazione in termini di spontaneità delle
reazioni chimiche? Prendiamo una qualsiasi reazione che avvenga alla temperatura T, misuriamo le variazioni di entalpia ΔH e di entropia ΔS che si
registrano e ricaviamo il valore di energia libera ΔG. Se il valore di ΔG è negativo, cioè se l’energia libera diminuisce, la reazione è spontanea; se il valore di ΔG è positivo, l’energia libera aumenta e la reazione non è spontanea, ma richiede un intervento esterno per avvenire. In questo caso è spontanea la sua reazione inversa.
Scendiamo a un maggior dettaglio e riassumiamo i possibili casi nella tabella 16.3. Se nel passaggio da reagenti a prodotti si libera calore (ΔH < 0) e
l’entropia aumenta (ΔS > 0), l’energia libera sicuramente diminuisce (ΔG < 0)
e la reazione è spontanea. Se, invece, il calore viene assorbito (ΔH > 0) e l’entropia diminuisce (ΔS < 0), l’energia libera certamente aumenta (ΔG > 0) e la
reazione non è spontanea. Nei casi in cui il contributo delle due grandezze
(ΔH e ΔS) alla spontaneità della reazione non sia concorde, non è possibile
stabilire a priori se l’energia libera risultante è positiva o negativa, ma occorre
verificare caso per caso la prevalenza di ΔH o di T·ΔS (figura 16.13).
Per calcolare il ΔG di una reazione dobbiamo conoscere, oltre che la differenza di entalpia ΔH e la temperatura T, anche la differenza ΔS tra l’entropia dei prodotti e quella dei reagenti. La tabella 16.4 mostra il valore di entropia di alcune sostanze, riferito a una mole a 25 °C e 1 atm.
I valori di ΔS sono molto piccoli rispetto ai valori di ΔH, per cui generalmente è la variazione di entalpia a determinare la spontaneità dei processi. Solo ad alte temperature il fattore entropico ΔS può influenzare il
valore di ΔG.
A
B
ΔS > 0
ΔH > 0
ΔH < 0
ΔG > 0
ΔG < 0
Spontanea
ΔG
−
D
5,7
CH4(g)
186,3
C2H6(g)
229,6
CH3OH(l)
126,8
CO2(g)
213,7
Ca(s)
154,7
H2(g)
130,7
N2(g)
191,6
H2O(g)
188,8
H2O(l)
69,9
O2(g)
205,1
HCl(g)
186,9
92,9
CaCO3(s)
TABELLA 16.4 Valori di entropia molare standard S° a
298 K di alcuni elementi e composti.
Non spontanea
+
Spontanea
ΔG
ΔS < 0
ΔH < 0
ΔG > 0
−
E
Non spontanea
+
Spontanea
ΔG
ΔS > 0
ΔS < 0
ΔH > 0
ΔH > 0
ΔG < 0
Spontanea
ΔG
ΔH < 0
ΔG > 0
−
−
F
ΔS > 0
Non spontanea
+
C(grafite)
C
ΔS < 0
Non spontanea
+
Entropia S°
(J/K·mol)
Composto o
elemento
Non spontanea
+
ΔG < 0
Spontanea
ΔG
−
FIGURA 16.13 La spontaneità o non spontaneità delle reazioni chimiche dipende dalla differenza
tra la variazione di entalpia ΔH, che può essere positiva o negativa, e il prodotto della temperatura per la variazione di entropia TΔS, che a sua volta può essere positivo o negativo. La variazione di energia libera, ΔG = ΔH –TΔS, può assumere valori positivi, in questo caso la reazione non è
spontanea, o negativi, in questo caso la reazione è spontanea.
Non spontanea
+
I
Spontanea
ΔG
FIGURA PARLANTE
CH/153
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
−
CAPITOLO
16
Energia e velocità delle reazioni chimiche
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
4. Indica se la reazione CH4(g) + 2O2(g) → CO2(g) + 2H2O(l) è spontanea o non spontanea alla temperatura di 25 °C (ΔH = –890,8 kJ/mol; ΔS = –243 J/K mol).
6. Classifica le seguenti reazioni come spontanee
o non spontanee alla temperatura di 25 °C.
La funzione di stato che ci fornisce informazioni sulla spontaneità delle reazioni
chimiche è l’energia libera di Gibbs, o meglio la sua variazione:
ΔG = ΔH –TΔS
Conoscendo ΔH, ΔS e la temperatura assoluta T = 25 + 273 = 298 K, ricaviamo la
variazione di energia libera:
PER SAPERNE DI PIÙ
ΔG = –890,8 kJ/mol –[298 K × (–243 J/K mol)] =
= –890,8 kJ/mol – (–72,4 kJ/mol) = –818,4 kJ/mol
La variazione di energia libera che accompagna questo processo ha valore negativo e pertanto la reazione è spontanea.
a) C(s) + O2(g) → CO2(g)
(ΔH = –393,5 kJ/mol;
ΔS = +3,0 J/K mol);
b) N2(g) + 3F2(g) → 2NF3(g)
(ΔH = –264 kJ/mol;
ΔS = –278 J/K mol).
Per misurare la quantità di calore ceduta o
assorbita durante le reazioni si usa il calorimetro. Si tratta di un contenitore isolato
al cui interno è inserito un termometro.
I reagenti, di cui è nota la massa, vengono collocati nel contenitore (indicato
con 3 in figura) e la reazione viene fatta
partire. Se nella reazione si verifica assorbimento o cessione di calore, il trasferimento del calore avviene tra i componenti
del sistema che reagisce e il calorimetro. Il
calorimetro è rivestito di materiale isolante
(indicato con 1 in figura) per impedire
scambi di calore con l’ambiente esterno.
Il calorimetro
6
5
1
3
2
Durante il tempo richiesto perché avvenga la reazione, il calorimetro e le sostanze
che reagiscono si comportano come un sistema isolato. Se la reazione libera calore,
l’acqua del bagno (indicata con 2 in figura) viene riscaldata e la temperatura segnata dal termometro sale (processo esotermico); se la reazione richiede calore,
l’acqua del bagno si raffredda e la temperatura segnata dal termometro diminuisce
(processo endotermico). Dal valore di innalzamento o abbassamento della temperatura si risale alla quantità di energia emessa o assorbita.
4
1) guscio esterno isolante
2) acqua del bagno
3) contenitore dei reagenti
4) reagenti
5) termometro
6) agitatore
16.9 Velocità delle reazioni chimiche
A
Cinetico • Che si riferisce al movimento. Dal greco kineo
«muovo».
bbiamo visto che, in base all’energia chimica delle molecole dei reagenti e dei prodotti e alla loro entropia, una reazione può o non può
avvenire spontaneamente. Nel caso in cui la reazione proceda, come si
svolge e in quanto tempo si completa? A queste domande risponde la cinetica chimica, la branca della chimica che studia la velocità delle reazioni e i fattori che la influenzano. Ma che cosa si intende per velocità di
una reazione chimica? Nel corso di una reazione i reagenti si trasformano
in prodotti. Col passare del tempo la quantità dei reagenti diminuisce e
quella dei prodotti aumenta. Queste variazioni di quantità di materia si
verificano in un certo tempo, più o meno lungo (figura 16.14).
Come la velocità di un’automobile in km/h indica quanti kilometri si
percorrono in un’ora, cioè esprime il rapporto tra la distanza e il tempo
impiegato a percorrerla, così la velocità di reazione è il rapporto tra la
quantità delle sostanze che si sono trasformate e il tempo impiegato perché la trasformazione sia avvenuta.
CH/154
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CAPITOLO
16
Energia e velocità delle reazioni chimiche
velocità = (posizione finale – posizione iniziale) = Δposizione = Δs
dell’automobile
Δt
(tempo finale – tempo iniziale)
Δtempo
(concentrazione finale – concentrazione iniziale)
Δconcentrazione
Δ[ ]
velocità di
=
=
reazione =
(tempo finale – tempo iniziale)
Δtempo
Δt
FIGURA 16.14 Tre familiari esempi di reazioni con velocità
diversa. (A), coagulazione del latte quando vi si versa succo di limone, reazione veloce; (B) imbrunimento (ossidazione) della polpa di una mela tagliata, reazione lenta; (C),
maturazione del vino, reazione molto lenta.
A
B
C
씰 La velocità di reazione indica il numero delle moli di reagente
che si trasforma, o il numero delle moli di prodotto che si forma,
nell’unità di tempo.
L’unità di tempo prescelta varia a seconda delle reazioni. Un’esplosione è
una reazione che avviene in una frazione di secondo ed è una reazione chimica velocissima. Vi sono reazioni più lente, che avvengono in minuti o in
ore. Vi sono reazioni lentissime, come l’arrugginirsi del ferro, o reazioni ancora più lente, come la formazione del petrolio, che richiedono anni o millenni. Affermare che la velocità di una reazione chimica è di cinque moli al
minuto (5 mol/min) vuol dire che in un minuto si sono consumate cinque
moli di reagente o si sono formate cinque moli di prodotto.
Per determinare la velocità di una reazione chimica misuriamo la diminuzione della quantità dei reagenti o l’aumento della quantità dei prodotti.
Queste misure sono eseguite, seguendo vari metodi analitici, dopo precisi
intervalli di tempo. Dividendo la variazione di concentrazione per il tempo
intercorso si ottiene la velocità di reazione.
16.10 Velocità e concentrazione
dei reagenti
L
a velocità di una reazione chimica dipende da diversi fattori. Prendiamo
in esame una generica reazione di decomposizione: A → B + C (cfr. §
15.1). In una reazione di questo tipo, per esempio PCl5 → PCl3 + Cl 2, un
composto A si scinde e dà due composti, B e C. Se la quantità iniziale di A è
piccola, nell’unità di tempo si formano piccole quantità di B e di C. Se, viceversa, abbiamo molte moli di A, le quantità di B e di C che si formano sono
maggiori. Possiamo affermare che la velocità di una reazione di decomposizione è direttamente proporzionale alla concentrazione del reagente.
Nel caso in esame, indicando con v la velocità di reazione e con [A] la
concentrazione del reagente A, possiamo scrivere:
v = k · [A]n
dove k è una costante di proporzionalità, chiamata costante di velocità, e n
è un coefficiente, determinato sperimentalmente, che dipende dal tipo di
CH/155
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CAPITOLO
A
100
Moli di reagente
80
60
40
20
0
0
1
2
3
4
B
100
Velocità di reazione
minuti
80
60
40
20
0
0
1
2
3
4
minuti
FIGURA 16.15 Una volta iniziata una reazione, la concentrazione del reagente diminuisce (A) e conseguentemente
decresce anche la velocità di reazione (B). Se la velocità
della reazione è tale che ogni minuto si dimezza il numero delle moli di reagente, dopo un minuto abbiamo la
meta delle moli, dopo due minuti 1/4 delle moli e dopo
tre minuti 1/8. A ogni dimezzamento del numero delle
moli si dimezza anche la velocità di reazione.
16
Energia e velocità delle reazioni chimiche
reazione. Nel caso della decomposizione del PCl 5 il valore di n è uguale a
1. Una reazione la cui velocità dipende dalla prima potenza della concentrazione di [A], cioè che ha n = 1, viene definita del primo ordine.
Quando una formula chimica è scritta tra parentesi quadre indica la concentrazione molare della sostanza. Va inoltre ricordato che per le sostanze
gassose la concentrazione si può esprimere come pressione parziale alla
temperatura di reazione.
Man mano che la reazione procede, la quantità del composto A diminuisce e quindi diminuisce la velocità di reazione, che è proporzionale alla
concentrazione di A (figura 16.15). La velocità delle reazioni chimiche non
è costante, ma tende a diminuire nel tempo.
Esaminiamo altri tipi di reazione, per esempio quella tra una molecola A
e una B per dare C e D, due nuove molecole: A + B → C + D. Mettiamo in
un recipiente un certo numero di molecole di A e un uguale numero di B;
misuriamo la velocità di formazione di C e D e troviamo che assume il valore x (figura 16.16 A). Ora raddoppiamo il numero di molecole di B, oppure
il numero di molecole di A, e osserviamo che la velocità di formazione di C
e D raddoppia, cioè diventa 2x (figura 16.16 B). La doppia quantità di molecole di B fa raddoppiare le probabilità di incontro con A. Il numero di urti
molecolari è doppio e quindi si trasforma un numero doppio di molecole.
Vediamo ora cosa succede se raddoppiamo sia la concentrazione di A sia
quella di B: la velocità diventa 4x (figura 16.16 C). Ciò significa che c’è proporzionalità diretta tra concentrazione dei reagenti e velocità di reazione.
In questo caso, la velocità dipende dalla costante di velocità e dal prodotto
delle concentrazioni, secondo la relazione:
v = k · [A]n · [B]m
dove n ed m sono coefficienti determinati sperimentalmente. Se i coefficienti valgono entrambi 1, la somma degli esponenti (n + m) è 2; pertanto la
reazione viene definita del secondo ordine. In altri casi la reazione è del
terzo ordine, come quando nella reazione A + 2B → C i valori di n ed m determinati sperimentalmente sono rispettivamente 1 e 2.
Non sempre i coefficienti n ed m corrispondono ai coefficienti stechiometrici. Per esempio, per alcune reazioni del tipo A + 2B + 2C → D si è sperimentalmente determinato che la velocità di reazione segue la relazione:
v = k [A] [B] [C]; oppure per reazioni come 2A + 2B → C sperimentalmente
si rileva che la velocità è: v = k [A] [B] [B] = k [A] [B] 2. Si tratta perciò in entrambi i casi di reazioni del terzo ordine, perché la somma degli esponenti è
3. L’ordine della reazione deve essere derivato una volta che è stata determinata sperimentalmente l’equazione della velocità. Generalizzando, per
tutti i tipi di reazioni possiamo dire che:
씰 La velocità di una reazione chimica è direttamente proporzionale al
prodotto delle concentrazioni dei reagenti, ognuna elevata a potenza
avente per esponente un coefficiente determinato sperimentalmente.
b
SCHEDA DI LABORATORIO
Influenza della concentrazione dei reagenti
sulla velocità di una reazione
Si conoscono anche alcune reazioni di decomposizione caratterizzate da
velocità costante, che non varia in funzione della concentrazione del reagente. Queste reazioni vengono definite di ordine 0. L’espressione della velocità di questo tipo di reazioni può essere scritta:
v = k ∙ [A]0 = k
Le reazioni di ordine 0 sono tipiche delle reazioni catalizzate (vedi § 16.15).
FIGURA 16.16 Quante più molecole vi sono in un determinato volume, cioè quanto più alta è la concentrazione, tanto più alta è la probabilità di urto e quindi la velocità della
reazione. Le freccine verdi indicano le possibilità di urto.
A
B
C
CO NC ENTR AZIO NE
CH/156
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CAPITOLO
16.11
16
Energia e velocità delle reazioni chimiche
Teoria degli urti e fattore sterico
I
n base a quanto detto nel paragrafo precedente, una reazione chimica avviene quando tra le particelle dei reagenti si verificano urti. Come vedremo nei prossimi paragrafi, tutti i fattori che fanno aumentare il numero degli urti tra le particelle dei reagenti provocano un aumento della velocità di
reazione. È però necessario fare alcune precisazioni. Quando mescoliamo
due sostanze per farle reagire, favoriamo gli urti casuali tra le loro molecole.
Dato l’elevato numero di particelle presenti nei campioni di sostanza con
cui lavoriamo, se tutti gli urti producessero la rottura dei legami dei reagenti, tutte le reazioni sarebbero velocissime. Le molecole si urtano continuamente, ma ciò non vuol dire che tutte in ogni caso si trasformino. Solo alcuni urti sono efficaci, cioè riescono a rompere proprio i legami che possono
dar luogo ai nuovi composti. Il modello che spiega come avvengono le reazioni chimiche prende il nome di teoria degli urti, secondo cui:
씰 affinché una reazione chimica possa avvenire, le particelle dei
reagenti devono scontrarsi attraverso urti efficaci; ciò significa
che solo le particelle che collidono con la giusta orientazione
e con sufficiente energia possono reagire.
Prendiamo due atomi di idrogeno, caratterizzati da un elettrone in un
unico orbitale sferico. Comunque si urtino, la possibilità di formare un legame covalente tra questi atomi è sempre la stessa e la reazione avviene quindi con molta facilità.
Esaminiamo ora la reazione illustrata nella figura 16.17 A, in cui si vede
la formazione di un legame covalente tra l’atomo di carbonio (in nero) del
diossido di carbonio CO2 e l’atomo di ossigeno (in rosso) dell’acqua, con
produzione di acido carbonico H2CO3. Questa reazione può avvenire solo se
i due atomi si urtano opportunamente. Se l’urto avviene come indicato nella figura 16.17 B, la reazione non si verifica, perché non interagiscono gli
atomi che possono effettivamente modificare i propri legami.
Per formare un legame covalente tra due atomi di due molecole diverse
occorre che l’urto riguardi in modo preciso gli orbitali dei due atomi che
possono stabilire il nuovo legame.
Facciamo un altro esempio. Se due molecole di bromuro di nitrosile
NOBr vengono a contatto con la giusta orientazione, si trasformano in due
molecole di ossido di azoto NO e una molecola di bromo Br2 (figura 16.18
A). La reazione ha successo, però, solo quando le due molecole si urtano
con i loro atomi di bromo e non quando la collisione avviene tra gli atomi
di ossigeno (figura 16.18 B).
Generalizzando, nel caso di due molecole ABCDEF e GHILMN, in cui l’atomo A della molecola ABCDEF può combinarsi soltanto con l’atomo G del-
ATTIVITÀ
Reazioni e velocità di reazione
A
CO2
+ H2O
CO2
+ H2O
H2CO3
B
FIGURA 16.17
(A), la reazione tra acqua H2O e diossido
di carbonio CO2 comporta la formazione di un legame tra
l’atomo di ossigeno di H2O e l’atomo di carbonio di CO2.
Il legame può formarsi se l’urto avviene tra questi due
atomi. (B), gli urti tra altri atomi non danno luogo ad
alcuna reazione.
A
2NOBr
Br 2 + 2NO
LA REAZIONE AVVIENE
Orientazione idonea
Urto efficace
FIGURA 16.18
(A), due molecole di bromuro di nitrosile
NOBr reagiscono per formare bromo Br2 e ossido di azoto
NO dopo aver urtato con i loro due atomi di bromo. (B),
gli urti che avvengono con orientazioni diverse non determinano alcuna reazione.
I
B
FIGURA PARLANTE
2NOBr
LA REAZIONE NON AVVIENE
Orientazione non idonea
Urto non efficace
CH/157
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CAPITOLO
Sterico • Che si riferisce alla dimensione spaziale, tridimensionale. Dal greco stereos «solido».
16
Energia e velocità delle reazioni chimiche
la molecola GHILMN, la reazione avviene solo se, nella collisione tra le due
molecole, A urta contro G. Tutti gli altri urti non sono efficaci. È evidente
che tanto maggiore è il numero degli atomi delle molecole reagenti, tanto
minore è la probabilità di urto nel punto giusto.
La probabilità che le particelle urtino nel punto giusto, in modo che la
reazione avvenga, si chiama fattore sterico della reazione. Il fattore sterico ha valore 1 nel caso della reazione tra due atomi di idrogeno, che reagiscono sempre, comunque si urtino. Il valore del fattore sterico è tanto
minore di 1 quanto maggiore è il numero degli atomi presenti nelle molecole dei reagenti.
La costante di velocità k tiene conto anche del fattore sterico. Al diminuire del fattore sterico diminuisce il valore di k e quindi diminuisce la velocità di reazione.
씰 A parità di altri fattori, la velocità di una reazione chimica è inversamente
proporzionale al numero degli atomi delle molecole dei reagenti.
16.12
L’energia di attivazione
I
Si sconsiglia di mescolare idrogeno con ossigeno o con
aria, perché la miscela potrebbe esplodere alla minima
scintilla.
l carbone, la benzina, la carta, il metano bruciano, cioè reagiscono con
l’ossigeno dell’aria liberando energia sotto forma di calore. Ciò avviene
perché nello stato finale le molecole hanno entalpia minore e entropia maggiore rispetto allo stato iniziale e per questo motivo le reazioni sono anche
spontanee (cfr. § 16.8). Tuttavia, queste sostanze combustibili possono rimanere esposte all’aria per anni senza che si verifichi alcuna reazione. Perché? E come mai una scintilla o una piccola fiamma sono sufficienti per
provocare uno spaventoso incendio?
Anche l’idrogeno H2 reagisce attivamente con l’ossigeno O2, bruciando in
modo esplosivo secondo la reazione:
2H2(g) + O2(g) → 2H2O(g) + 484 kJ
Questa reazione libera calore e ha le caratteristiche energetiche per avvenire spontaneamente. Eppure è possibile conservare per anni idrogeno
e ossigeno mescolati, senza che nulla si trasformi. Esaminiamo più in dettaglio reagenti e prodotti, mettendo in evidenza i legami chimici che uniscono gli atomi:
O2
1 368 kJ
2• • •
1 852 kJ
2H +
2 O
H ⎯ H + H ⎯ H + O === O → H ⎯ O ⎯ H + H ⎯ O ⎯ H
2
484 kJ
ENERGIA CHIMICA
2H
Reaz
i
one ➔
esot
er
mica
2H O
2
FIGURA 16.19
La reazione tra idrogeno H2 e ossigeno O2
con formazione di acqua può avvenire a condizione che le
molecole dei reagenti abbiano l’energia necessaria per rompere i legami che uniscono gli atomi. Gli atomi poi reagiscono spontaneamente per dare il prodotto, l’acqua H2O.
Perché la reazione avvenga e si formino quattro legami O ⎯ H, bisogna
prima rompere i legami chimici tra gli atomi di idrogeno e quelli tra gli
atomi di ossigeno. In base ai valori delle energie di legame, per rompere i
legami esistenti in due moli di idrogeno e una di ossigeno occorrono
1 368 kJ. Se non forniamo questa energia ai reagenti o se i reagenti non
hanno già questa energia, la reazione non avviene. Se, con una fiamma,
forniamo l’energia richiesta, riusciamo a rompere i legami e otteniamo
quattro atomi di idrogeno e due di ossigeno, molto più reattivi e capaci di
unirsi spontaneamente. Si formano quattro legami O ⎯ H con liberazione
di 1 852 kJ di energia. Consumiamo 1 368 kJ, ma ne otteniamo 1 852, con
un ricavo netto di 484 kJ, cioè di 484/2 = 242 kJ per ogni mole di acqua
(ΔH = – 242 kJ/mol) (figura 16.19).
Avevamo reagenti che non reagivano da soli; li abbiamo attivati fornendo
loro energia e siamo passati a un sistema che ha energia chimica inferiore.
Ecco perché anche le reazioni che hanno i requisiti energetici per avvenire
spontaneamente non avvengono, fino a che i reagenti non acquisiscono una
determinata quantità di energia, detta energia di attivazione.
씰 L’energia di attivazione di una reazione è la quantità minima di energia
che deve essere fornita ai reagenti perché la reazione possa avvenire.
CH/158
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
Energia e velocità delle reazioni chimiche
Possiamo dire che per trasformare un sistema A in uno B, che ha un contenuto di energia chimica inferiore, siamo obbligati a passare attraverso un
sistema C, che ha energia chimica maggiore sia di quella iniziale sia di
quella finale (figura 16.20). Il sistema C è chiamato complesso attivato. Per
salire al sistema C occorre fornire energia, ma questa ci viene poi completamente restituita scendendo da C a B. La variazione di energia chimica che
si determina passando attraverso C è la stessa che si avrebbe con un passaggio diretto da A a B. Possiamo anche dire che, per passare da un sistema A
a un sistema B, bisogna superare un dosso di energia e che l’energia di attivazione è appunto l’energia richiesta per superare questo dosso energetico.
Il carbone, la benzina, la carta dunque non bruciano con l’ossigeno dell’aria, se prima non forniamo l’energia di attivazione con la fiamma di un fiammifero, con una scintilla o in altre forme analoghe. Una volta avviata, la reazione procede con liberazione di energia e il calore prodotto è energia di attivazione per altre molecole, che proseguono così la reazione. Si è innescata
una reazione a catena. Accendiamo il gas metano con un fiammifero, ma poi
il calore della fiamma fornisce l’energia di attivazione, che permette alla
combustione di svilupparsi anche in assenza di fiammifero (figura 16.21).
Le reazioni che hanno una bassa energia di attivazione, cioè un dosso
energetico poco pronunciato, possono prendere il via più facilmente, anche
a bassa temperatura. Se invece il valore dell’energia di attivazione è alto, bisogna fornire molta energia per far partire la reazione, che ha meno probabilità di avvenire.
L’energia di attivazione rappresenta un fabbisogno energetico in più, ma
ha anche i suoi aspetti positivi. Se non ci fosse bisogno dell’energia di attivazione, a temperatura normale tutte le reazioni spontanee avverrebbero
istantaneamente: il legno e la carta esposti all’aria si incendierebbero, lo
stesso accadrebbe ai composti organici di cui è costituito il nostro corpo.
Gli organismi riescono a tenere sotto controllo e a fare avvenire nei tempi e
nei modi desiderati le reazioni del metabolismo sfruttando proprio la barriera rappresentata dall’energia di attivazione. È questa la chiave che garantisce la complessa regolazione metabolica dei sistemi viventi.
O2
H2O
CH 4
Nel momento della formazione del complesso attivato
si passa attraverso il cosiddetto stato di transizione.
Com C
p
attivlesso
ato
Energia di attivazione
16
ENERGIA CHIMICA
CAPITOLO
A
Reag
e
nti
B
P2rH
od2oO
tti
FIGURA 16.20
Perché i reagenti possano trasformarsi in
prodotti, è necessario che passino per lo stato di complesso attivato. L’energia di attivazione viene restituita
quando il complesso attivato dà i prodotti della reazione.
FIGURA 16.21
L’energia liberata dalla fiamma di un fiammifero innesca la reazione tra metano e ossigeno. Una
volta iniziata, la reazione procede spontaneamente, perché l’energia che si libera dalla combustione è energia di
attivazione per altre molecole.
CO 2
16.13
S
Velocità e temperatura
tudiando il processo di evaporazione dei liquidi, abbiamo visto come
le particelle di una sostanza non abbiano tutte la stessa energia cinetica. Quanto è stato detto per le molecole dei liquidi vale per tutte le particelle. Infatti, quando si parla di energia cinetica delle molecole, questa
grandezza va sempre intesa come energia cinetica media. Se riportiamo
in un grafico come varia la distribuzione delle particelle in funzione della
loro energia cinetica, osserviamo una distribuzione a campana attorno a
b
SCHEDA DI LABORATORIO
Influenza della temperatura
sulla velocità di una reazione
CH/159
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
Numero di molecole
0 °C
1000 °C
Energia
E
FIGURA 16.22 All’aumentare della temperatura aumenta il
numero delle molecole che hanno un’energia maggiore dell’energia di attivazione E.
La relazione tra temperatura assoluta T e costante di
velocità k di una reazione è definita dalla legge di
Arrhenius, espressa nella seguente forma:
k = A·e –Ea / RT
dove A è una costante, chiamata fattore di frequenza,
caratteristica della reazione, e è la base del sistema
logaritmico naturale, R è la costante dei gas ed Ea è
l’energia di attivazione.
16
Energia e velocità delle reazioni chimiche
un valore medio. A un aumento della temperatura del sistema corrisponde un aumento dell’energia cinetica media delle particelle. Vediamo ora
come l’aumento della temperatura influisce sulla velocità delle reazioni
chimiche.
Indichiamo con E l’energia di attivazione di una reazione. Dai grafici della figura 16.22 risulta che le molecole con energia superiore al valore E
sono poche a 0 °C e molte di più a 1 000 °C. Aumentando la temperatura si
raggiunge più facilmente l’energia di attivazione, cioè l’energia occorrente
perché una reazione avvenga. A temperatura più alta, inoltre, l’energia cinetica delle particelle è maggiore e aumenta il numero degli urti. Aumenta di
conseguenza anche il numero degli urti efficaci, perché gli scontri tra le
molecole sono più frequenti e avvengono con più energia. Tutti questi fattori determinano l’aumento della velocità di reazione.
씰 La velocità delle reazioni chimiche aumenta all’aumentare della
temperatura.
Una reazione che a freddo avviene lentamente, a caldo si svolge con maggiore velocità. Cuociamo i cibi per aumentare la velocità delle reazioni di
denaturazione delle sostanze organiche. La temperatura del nostro corpo è
costante a 37 °C; quando vi sono processi infiammatori, la temperatura corporea cresce per aumentare la velocità delle reazioni chimiche di difesa.
Per contro, la velocità delle reazioni si abbassa, quando la temperatura diminuisce. In frigorifero i cibi si conservano meglio, perché la velocità della
loro degradazione è rallentata.
16.14 Velocità e suddivisione
dei reagenti
S
b
SCHEDA DI LABORATORIO
Influenza della suddivisione dei reagenti
sulla velocità di una reazione
e mettiamo un cubetto di zinco in una soluzione di acido cloridrico HCl,
l’acido reagisce con gli atomi di zinco che si trovano all’esterno del cubetto, sulla sua superficie. Solo dopo che questi atomi hanno reagito e sono
andati in soluzione, possono reagire gli atomi più interni. La velocità della
reazione, quindi, dipende solo dal numero degli atomi esterni. Infatti, quando nell’acido cloridrico mettiamo zinco in polvere, che ha una superficie
esposta molto più ampia, la reazione è decisamente più veloce. Quanto più
fine è la polvere, tanto più intimo è il contatto, tanto più alta è la velocità di
reazione (figura 16.23).
FIGURA 16.23 Un tronco di legno brucia lentamente, perché solo la sua parte a contatto con l’ossigeno dell’aria può
reagire. Se riduciamo il tronco in trucioli, la reazione è
molto più veloce, perché aumenta la superficie a contatto
con l’aria.
Per quanto piccolo, ogni granello di polvere di un reagente è costituito da
miliardi di molecole o di ioni. Se potessimo scomporre i corpi solidi in forme ancora più fini delle polveri, riducendoli a livello di singola molecola o
di singolo ione, la velocità sarebbe enormemente più alta. Questa operazione può essere realizzata in modo semplice: basta sciogliere i reagenti in un
solvente. Infatti, in soluzione ogni sostanza è divisa molecola per molecola,
ione per ione, ogni particella di soluto è staccata dalle altre. Anche nei gas
le particelle sono tutte separate tra loro. Le reazioni in soluzione e quelle
CH/160
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
16
Energia e velocità delle reazioni chimiche
In pratica, come ha agito la spugna di platino? Grazie al fenomeno dell’adsorbimento, il platino ha abbassato l’energia di attivazione della reazione. In questo processo il metallo non ha subito alcuna alterazione chimica,
cioè non si è consumato. La sua funzione è stata solo quella di innescare la
reazione e di farla avvenire più rapidamente senza fare ricorso a una fonte
di energia. Avremmo ottenuto, infatti, le stesse molecole di acqua, se avessiCatalizzatore • Sostanza che accelera una reazione chimica. mo utilizzato al posto del platino una fiamma. Le sostanze che, come il plaDal greco katalysis «scioglimento».
tino, abbassano l’energia di attivazione sono chiamate catalizzatori e il
processo attraverso il quale esplicano la loro azione è detto catalisi.
ENERGIA CHIMICA
씰 Un catalizzatore è una specie chimica che fa diminuire l’energia
di attivazione di una reazione e la accelera senza parteciparvi
direttamente e senza essere consumata.
2H +
2 O
2
Reaz
i
one ➔
esot
er
mica
Con catalizzatore
2H O
2
Senza catalizzatore
FIGURA 16.26 In presenza di un catalizzatore l’energia di
attivazione da fornire all’idrogeno e all’ossigeno è molto
minore che in assenza di un catalizzatore e la reazione avviene più velocemente.
A
b
APPROFONDIMENTO
Gli enzimi: catalizzatori biologici
Nella figura 16.26 confrontiamo il grafico dell’energia di attivazione, riferita ancora alla reazione di sintesi dell’acqua, con la spugna di platino, linea blu, e senza di essa, linea rossa. Nel primo caso l’energia di attivazione
risulta molto minore. Una reazione catalizzata può avvenire a temperatura
più bassa e si svolge con maggiore velocità di quella non catalizzata.
I catalizzatori sono largamente usati nell’industria e nei laboratori chimici per produrre composti in condizioni di esercizio meno spinte, cioè con
minori temperature e pressioni, oppure per la sintesi di composti altrimenti
non ottenibili.
Tra i catalizzatori ricordiamo il platino, il ferro, gli ossidi di molibdeno, il
cromo, il tricloruro di alluminio e alcuni acidi. Per le produzioni industriali di acido solforico, acido nitrico, ammoniaca e per i derivati del petrolio si
utilizzano catalizzatori (figura 16.27).
Vi sono catalizzatori che accelerano più reazioni; altri sono invece specifici per una sola reazione. La vita degli organismi dipende dalla presenza
nelle cellule di catalizzatori biologici dotati di elevata specificità: gli enzimi. Gli enzimi sono molecole proteiche molto grandi e complesse, che agiscono come catalizzatori nelle reazioni degli organismi. Il loro meccanismo
di azione è tale che ogni enzima possa agire solo su una specifica molecola.
SCHEDA DI LABORATORIO
1. Catalizzatore in ceramica con struttura a nido d’ape
2. Protezione elastica in platino e rodio
3. Rivestimento inossidabile in acciao
Influenza di un catalizzatore
sulla velocità di una reazione
1
2
3
Le marmitte catalitiche rendono più veloci
le reazioni che diminuiscono la nocività dei gas di scarico
dei motori a scoppio. Se queste reazioni avvenissero nell’atmosfera, senza catalisi, richiederebbero tempi molto
lunghi e le sostanze tossiche permarrebbero nell’aria.
FIGURA 16.27
Glossary
Chemical energy (energia chimica) The potential energy associated with
chemical bonds between atoms and molecules.
Endothermic reaction (reazione endotermica) A chemical reaction in
which the system takes heat from its surroundings.
Enthalpy (entalpia) A thermodynamics function. In a chemical reaction
carried out at constant pressure the enthalpy change is equal to the
heat of the reaction.
Entropy (entropia) A thermodynamics function related to the measure
of disorder. Real systems change to higher entropy and therefore higher disorder.
Exothermic reaction (reazione esotermica) A chemical reaction in which
the system releases heat into its surroundings.
First law of thermodynamics ( primo principio della termodinamica) During a chemical reaction the internal energy of the universe is constant.
Free energy (energia libera) The measure of a system’s ability to
perform work. If the changes in free energy are negative the reaction
will proceed spontaneously.
Internal energy (energia interna) Is the sum of potential energy and kinetic energy.
Thermochemistry (termochimica) The branch of the chemistry concerned with the heat exchange during chemical reactions.
Thermodynamics (termodinamica) The study of conversion of the
energy from one form to another in a system.
CH/162
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
FACCIAMO IL PUNTO
Domande aperte
10 Quale funzione di stato consente la previsione della spon-
11 Qual è la differenza tra l’energia chimica e l’energia inter-
11 In quali condizioni una reazione endotermica può essere
taneità delle reazioni chimiche?
na di un sistema chimico?
spontanea?
12 Che cosa afferma il primo principio della termodinamica?
13 Che cosa si intende per spontaneità di una reazione?
14 Quando una reazione si dice esotermica? E quando si dice
12 Che cosa si intende per velocità di una reazione chimica?
La velocità di una reazione è costante nel tempo? Giustifica la risposta.
13 Quale relazione esiste tra velocità di reazione e concen-
endotermica?
trazione dei reagenti?
15 Che cosa si intende per condizioni standard? Quali sono le
14 Che cosa afferma la teoria degli urti?
15 Che cos’è l’energia di attivazione?
16 Quali sono i parametri che influenzano la velocità di una
condizioni standard in termodinamica?
16 Enuncia la legge di Hess. Questa legge può essere applicata a tutte le reazioni chimiche?
17 Quale relazione esiste tra entalpia di reazione e reazioni
reazione chimica?
metaboliche?
17 Se la velocità di una reazione è data dalla equazione
18 Quale relazione esiste tra entropia e reazioni chimiche?
19 Che cosa si intende per entalpia di formazione?
18 Che cos’è un catalizzatore? Come funziona?
A
Esercizi di completamento
19
v = k[A]2[B], qual è l’ordine di reazione?
Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello spazio vuoto il termine opportuno.
L’energia
gioca
un
ruolo
………………………………………………………………………
sono in grado di rilasciare
definita
fondamentale
in
chimica.
chimici e viene rilasciata o
……………………………………………………
…………………………………………………………………
……………………………………………………………
…………………………………………………
………………………………………………………
……………………………………………………………
…………………………………………………………………………
delle reazioni chimiche può essere prevista con un’altra
………………………………………………
conservata
di Gibbs, che tiene conto sia dell’entalpia che dell’
20
A
Collega con una freccia ciascuno degli elementi della prima
colonna a quelli corrispondenti della seconda e giustifica le
scelte operate.
. Le
………………………………………………
di stato, l’
………………………………………………………
Entalpia
Variazione di entropia
.
ΔS
U
Energia libera
ΔH < 0
Energia interna
ΔG < 0
Reazione esotermica
Qp
Reazione spontanea
H
Calore scambiato a pressione costante
Variazione di entalpia standard
CH/163
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
, per
di formazione. La
VERIFICA LE CONOSCENZE
Esercizi di corrispondenza
nei
. Nelle reazioni chimiche che avvengono a pres-
è la funzione di stato che consente di calcolare il calore
esempio nelle reazioni di formazione. In questo caso si parla di
……………………………………………
viene
durante le reazioni. I processi chimici
, mentre una reazione che assorbe calore viene definita
………………………………………………
………………………………………………………
…………………………………………………………
oppure possono svolgere un lavoro. Una reazione che rilascia calore viene
quantità di calore trasferite si possono misurare con i
sione costante, l’
L’energia
ΔH°
G
G U I DA A L L O ST U D I O
EA
G U I DA A L L O S T U D I O
EA
A
Domande a scelta multipla
21 L’energia chimica:
A aumenta con la forza dei legami chimici;
B è una forma di energia potenziale;
C è associabile all’agitazione termica delle molecole;
D aumenta sempre nel corso delle reazioni chimiche.
22 Quale branca della chimica studia gli scambi di calore nel
corso delle reazioni chimiche?
A cinetica;
C radiochimica;
termodinamica;
D termochimica.
B
23 I reagenti di una reazione chimica posti all’interno di una
provetta sono:
31 Per decomporre il solfato di calcio CaSO4 sono necessari
1 423 kJ/mol di energia termica. Quanto calore dobbiamo
fornire per ottenere 841,2 g di ossido di calcio CaO?
A 21 345 kJ;
C 7 250 kJ;
B
2 550 kJ;
D 15 520 kJ.
32 Sapendo che il calore prodotto dalla combustione di una
mole di metano CH4 è di 890,8 kJ, possiamo dire che, a
condizioni normali, per ottenere 5 329 kJ di energia occorre
bruciare:
A 72,2 litri di metano;
C 269 litri di metano;
B
134 litri di metano;
D 1,30 litri di metano.
33 Un ragazzo che voglia fare un pasto da 1 500 kcal a base di
pane e parmigiano (cfr. tabella 16.2) deve mangiare:
A 200 g di pane e 250 g di parmigiano;
B 100 g di pane e 350 g di parmigiano;
A l‘ambiente di reazione;
B un sistema chimico;
C l’universo;
D nessuna delle risposte precedenti è corretta.
C 300 g di pane e 150 g di parmigiano;
D 250 g di pane e 200 g di parmigiano.
34 Dalla combustione di una mole di idrogeno si ottengono
24 L’energia interna di un sistema:
A è una forma di energia potenziale;
B è una forma di energia cinetica;
complessivamente 286 kJ di calore. Dalla combustione a
condizioni normali di 500 L di idrogeno si liberano sotto
forma di calore:
C è sempre costante;
D è la sua energia totale.
A 5 830 kJ;
C 8 740 kJ;
25 Quale tra le seguenti non è una funzione di stato?
A entropia;
C lavoro;
B entalpia;
D energia libera.
26 Quali sono le condizioni standard in termodinamica?
gettato per far avvenire la reazione, quantità determinate
di idrogeno e ossigeno allo stato gassoso. Rispetto a un
reattore che ha il volume di 50 dm3, la reazione ha la maggiore velocità quando tra i seguenti si utilizza il reattore da:
B
60 dm3;
C
45 dm3;
D 90 dm3.
36 L’energia di attivazione:
C 25 bar; 1 °C; concentrazione 1 M;
D 1 atm; 273 K ; concentrazione 1 M.
A fa diminuire il volume di reazione;
B permette la rottura dei legami nei reagenti;
27 La variazione di entalpia di un sistema chimico:
A è uguale al calore scambiato a pressione costante;
B è uguale al calore scambiato a volume costante;
C è sempre positiva;
D è sempre negativa.
C favorisce l’azione dei catalizzatori;
D riesce a formare i nuovi legami nei prodotti.
37 La costante di velocità k:
A varia al variare della temperatura;
B dipende dalla concentrazione dei reagenti;
28 Nelle reazioni endotermiche:
C diminuisce nel tempo;
D è sempre la stessa per tutte le reazioni.
A la variazione di entalpia è nulla;
B la variazione di entalpia è positiva;
38 Per far reagire più velocemente alluminio e acido solforico
C la variazione di entalpia è negativa;
D avviene liberazione di calore.
è meglio usare:
29 Le reazioni esotermiche sono caratterizzate da:
A ΔH > 0;
C ΔH = 0;
6 380 kJ;
35 Facciamo reagire in un reattore, cioè in un recipiente pro-
A 25 dm3;
A 1 atm; 0 °C; concentrazione 1 M;
B 1 bar; 25 °C, concentrazione 1 M;
B
D 142 000 kJ.
B ΔH < 0;
D ΔH < Q p.
30 Una reazione con ΔH < 0 e ΔS > 0:
A alluminio in fogli;
C un cubetto di alluminio;
B
polvere di alluminio;
D trucioli di alluminio.
39 Una reazione a condizioni standard, ha un’energia di attivazione pari a 222 kJ per mole di reagente. In particolari condizioni operative l’energia di attivazione scende a 162
kJ/mol. La modificazione che interviene può essere:
A è spontanea;
B non è spontanea;
A l’aumento della temperatura;
B l’aggiunta di un catalizzatore;
C è spontanea solo alle alte temperature;
D è spontanea solo a bassa temperatura.
D la diminuzione della temperatura.
C la frantumazione del reagente;
CH/164
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
sostanza si forma dai suoi elementi che si trovano
nel loro stato elementare;
40 Tanto maggiore è il disordine in un sistema chimico:
A tanto maggiore è S;
B tanto minore è S;
B al calore assorbito quando una mole di sostanza stan-
C tanto minore è H;
D tanto maggiore è G.
C all’aumento di entropia associato alla formazione di
dard si forma a 0 °C e 1 atm;
una mole di sostanza dai suoi elementi;
41 In una reazione chimica ΔH°reazione:
D al calore sviluppato o assorbito quando una mole di
A è = 0 a condizioni standard;
B dipende dalla presenza di un catalizzatore;
C è < 0 se la reazione è esotermica;
D è > 0 se la reazione è esotermica.
sostanza si forma a 0 K e 1 bar.
46 Per la reazione di sintesi dell’ossido di azoto NO
N2(g) + O2(g) → 2NO(g)
in cui ΔG = –20,7 kcal/mol, possiamo dire che è:
42 In una reazione chimica spontanea:
A ΔG = 0;
C ΔG < 0;
B
ΔG > 0;
D ΔG > 1.
D endotermica.
esotermica;
allora per tale reazione alla stessa T:
A sicuramente ΔH < 0;
diminuisce;
D raddoppia.
B
B sicuramente ΔH > 0;
C sicuramente ΔH –TΔS < 0;
44 La reazione 2H2O2(g) → 2H2O(g) + O2(g) per il fatto di avere
D sicuramente ΔS < 0.
ΔG = –246 kJ/mol è:
A spontanea;
C non spontanea;
B
C non spontanea;
47 Se a una certa T per una reazione chimica si ha che ΔG < 0,
43 Nella reazione N2(g) + 3H2(g) → 2NH3(l) l’entropia:
A aumenta;
C rimane immutata;
A spontanea;
esotermica;
D endotermica.
B
48 L’entalpia di combustione del metanolo è –726 kJ/mol.
Quale massa di metanolo si deve bruciare per produrre
72,6 kJ di calore?
45 L’entalpia di formazione di un composto corrisponde:
A al calore sviluppato o assorbito quando una mole di
A 3,2 g;
B
C 71,5 g;
D 7,5 g.
32 g;
VERIFICA LE ABILITÀ
52
Esercizi e problemi
49
Alla pressione di 1,33 bar vengono bruciati completamente
250 g di saccarosio C12H22O11. Sapendo che la temperatura
dell’ambiente è di 37 °C, calcola:
A quanti dm3 di CO2 vengono prodotti;
B quanti m3 di aria vengono consumati per l’intera com-
bustione (l’ossigeno è pari al 20,9% in volume dell’aria);
Un cubo di ferro ha lo spigolo di 0,200 m e la densità di
7,87 kg/dm3. Calcola il volume di idrogeno, alla temperatura
di 25 °C e alla pressione di 250 000 Pa, che deve essere bruciato per riscaldare il cubo di 25,0 °C, sapendo che il calore
specifico del ferro è 0,460 kJ/kg · °C e che dalla combustione di 1 mole di idrogeno si liberano 242 kJ di calore. Quanti
litri di acqua si producono, quando questa viene portata allo
stato liquido? La densità dell’acqua è 1,00 g/mL.
[29,6 dm3] [0,0539 L]
C quanto calore viene prodotto, sapendo che si liberano
5 645 kJ per ogni mole di saccarosio.
[170 dm3] [0,812 m3] [4 120 kJ]
50
Trattando il carbonato di calcio con acido cloridrico si ottengono dicloruro di calcio, diossido di carbonio e acqua. Sapendo che occorre fornire 1 207 kJ di calore per ogni mole
di carbonato, quanto calore viene complessivamente consu[15,1 kJ]
mato per formare 1,39 g di dicloruro di calcio?
51
Bisogna riscaldare 0,300 m3 di acqua da 20,0 °C a 80,0 °C.
Sapendo che il calore specifico dell’acqua è 4,18 kJ/kg · °C
e che la combustione completa di una mole di carbonio
produce 393,5 kJ, calcola quanti grammi di carbonio occorrono per riscaldare tutta l’acqua e quanti dm3 di ossigeno a
100 °C e 2,20 bar di pressione sono necessari per bruciare il
carbonio.
[2 297 g] [2696 dm3]
53
Bruciando l’etanolo C2H5OH si liberano, alla temperatura di
36,5 °C e alla pressione di 1,00 atm, 1 360 kJ/mol. Sapendo
che la grappa ha una gradazione alcolica di 40 gradi (gradazione alcolica = composizione percentuale V/V) e che la
densità dell’etanolo è di 0,80 g/mL, calcola quanta energia
termica il nostro organismo potrebbe liberare da un bicchie[240 kJ]
re di 25 mL di grappa.
54
L’azione delle radiazioni elettromagnetiche permette la formazione dei perossidi. Sapendo che per trasformare una
mole di H2O in una mole di H2O2 occorrono 0,50 moli di
O2 e 98,0 kJ/mol, determina quanta energia si deve fornire
per produrre 1,00 kg di acqua ossigenata e a quale pressione
l’ossigeno necessario occupa un volume di 300 cm3, sapen[2 880 kJ] [1 230 bar]
do che la temperatura è di 30 °C.
CH/165
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
G U I DA A L L O S T U D I O
EA
G U I DA A L L O ST U D I O
EA
VERIFICA LE ABILITÀ
55
Se si espone un nastro di magnesio all’aria, la superficie del
nastro si opacizza in conseguenza dell’ossidazione del magnesio, secondo la reazione: 2Mg + O2 → 2MgO. Un nastro
di magnesio di massa 2,06 g viene esposto all’aria. Dopo 10
minuti la superficie del nastro è diventata opaca e la massa
che viene misurata è 2,22 g. Qual è la velocità della reazione espressa in moli al minuto (mol/min)? Dopo altri 10 minuti la massa è passata a 2,70 g e ancora dopo altri 10 minuti è di 3,02 g. Calcola la velocità di reazione nei vari momenti e rappresenta graficamente il suo andamento nel
tempo. Quali conclusioni puoi trarre?
[1,0 · 10 – 3 mol/min] [3,0 · 10 – 3 mol/min] [2,0 · 10 – 3 mol/min]
56
L’entalpia di formazione dell’ossido di bario BaO solido è
– 553 kJ/mol, mentre l’entalpia di formazione del perossido
di bario BaO2 è – 634 kJ/mol. Calcola la variazione di entalpia per la seguente reazione, indicando anche se essa è endotermica o esotermica: BaO2(s) → BaO(s) + ½O2(g)
[81 kJ/mol] [endotermica]
57
58
La reazione di dissociazione del saccarosio in acqua acidulata necessita di un’energia di attivazione di 107,9 kJ/mol.
Quanta energia è necessario fornire per attivare la dissociazione di 250 g di saccarosio C12H22O11 in un sufficiente volume di acqua acidulata?
[78,8 kJ]
Gioca e impara
62
Cancella all’interno di ognuna delle sei cartelle riportate in
basso le lettere corrispondenti alle risposte alle prime sei domande sotto elencate. Le 12 lettere rimanenti, scritte in successione, forniscono la risposta alla domanda 7.
1.
La funzione di stato relativa al grado di disordine.
2.
Studia la velocità delle reazioni.
3.
Il rapporto tra numero di moli trasformate e tempo.
4.
La funzione di stato relativa al calore scambiato a pressione costante.
5.
Processo che permette di accelerare le reazioni.
6.
Quella di ossidoriduzione comporta il trasferimento di elettroni.
7.
Il tipo di reazione semplice rappresentato dalla seguente equazione:
AB + C → AC + B.
Per far avvenire la trasformazione del ciclopropano C3H6 in
propene è necessaria un’energia di attivazione pari a 272
kJ/mol. Quanto ciclopropano viene trasformato, se la quantità di energia destinata all’attivazione è 2,00 ·10 5 kJ?
E
S
N
O
O
P
A
R
I
T
C
S
I
E
I
T
N
A
C
T
I
V
0
E
T
T
U
A
E
L
L
I
T
C
Á
P
A
Z
I
N
S
C
I
L
I
E
N
A
E
Z
A
I
A
T
O
R
I
E
O
N
[30,9 kg]
59
60
Lo ioduro di potassio KI reagisce con l’ipoclorito di potassio
KClO per dare ipoiodito di potassio KIO e cloruro di potassio KCl. Si mescolano in un reattore 2,5 ·10 –3 mol di KI e altrettante di KClO. Dopo 10 minuti rimangono nel recipiente
2,3 ·10 –3 mol di ciascun reagente. Calcola la costante di velocità della reazione. Il volume del reattore è di 2,0 L e la
[6,4 L · mol – 1 · min– 1]
reazione è del secondo ordine.
Question
63
Which of the following are state functions? (a) height of a
mountain; (b) distance travelled in climbing the mountain; (c)
gravitational potential energy of a climber on top of the
mountain; (d) energy consumed in climbing the mountain.
64
An iron kettle weigthing 1,0 kg contains 3,0 kg of water at 24
°C. The kettle and the water are heated up to 50 °C. How
many joule of heat are absorbed by the water and by the kettle? How many joule would be absorbed if we would let all
the water decompose in hydrogen and oxygen?
65
Find the elements among the following that are not related
to the topic of the chapter: calorimeter, free energy, entropy,
enthalpy, diffusion, orbitals, kinetic, reaction, electronegativity, oxidation, adsorption.
Quale quantità di calore viene sviluppata, quando vengono
prodotti 2,00 L di acido acetico, la cui densità è 1,044 g/mL?
66
What is the function of a catalyst?
[12 388 kJ]
67
Provide a correct definition of the term «activation energy».
Il monossido di azoto NO, una sostanza che prende parte in
numerosi processi biologici, reagisce con l’ossigeno per dare
NO2 gassoso, una sostanza dal colore bruno, secondo la seguente reazione:
2NO(g) + O2(g) → 2NO2(g)
ΔH°reazione = –114 kJ/mol
La reazione è esotermica o endotermica? Se 2,00 g di NO
vengono completamente convertiti a NO2, quale quantità di
calore viene assorbita o rilasciata?
[esotermica] [7,6 kJ]
61
L’acido acetico CH3COOH viene preparato industrialmente
attraverso la reazione del metanolo CH3OH con monossido
di carbonio CO.
CH3OH(l) + CO(g) → CH3COOH(l)
ΔH°reazione = –356 kJ/mol
CH/166
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CAPITOLO
17
L’equilibrio chimico
L’equilibrio chimico
17.1
C A P I TO L O
17
Reversibilità delle reazioni
chimiche
S
e avviciniamo una fiamma alla carta, al metano, alla benzina, al carbone, questi materiali si infiammano e bruciano completamente, fino a
quando tutti i reagenti sono diventati prodotti (figura 17.1). Se mettiamo a
contatto una mole di zinco Zn con due moli di acido cloridrico HCl, tutto
lo zinco e tutto l’acido cloridrico reagiscono e si producono dicloruro di
zinco ZnCl2 e idrogeno gassoso H2, che si libera nell’aria. Anche in questo caso la reazione termina quando i reagenti si sono consumati del tutto. Consideriamo ora altre due reazioni: (1) tricloruro di fosforo PCl3 e
cloro molecolare Cl2 che formano pentacloruro di fosforo PCl5
PCl3(g) + Cl2(g) → PCl5(g)
(1)
e (2) acido acetico CH3COOH ed etanolo C2H5OH che producono acetato
di etile CH3COOC2H5 e acqua H2O
CH3COOH(aq) + C2H5OH(aq) → CH3COOC2H5(aq) + H2O(l)
acido acetico
etanolo
acetato di etile
(2)
acqua
Se il sistema è chiuso, dopo un’ora, ma anche dopo un mese o un anno
dal mescolamento dei reagenti, l’analisi chimica mostra che il tricloruro di
fosforo e il cloro gassoso nella reazione (1) o l’acido acetico e l’etanolo nella
reazione (2) non si sono consumati del tutto, come se la reazione si fosse
fermata dopo aver consumato solo una parte dei reagenti. Perché i reagenti
non si sono consumati completamente?
Un sistema è definito chiuso se non scambia materia
con l’esterno.
Rispondiamo alla domanda con una osservazione sperimentale. Prendiamo un recipiente e introduciamo pentacloruro di fosforo PCl5 gassoso.
A
B
C
FIGURA 17.1
La reazione del sodio con l’ossigeno (A), la
reazione di combustione del gas naturale presente nei giacimenti di petrolio (B), le reazioni esplosive dovute alla
polvere da sparo (C) sono esempi di reazioni in cui i reagenti si trasformano completamente nei prodotti.
CH/167
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CAPITOLO
17
L’equilibrio chimico
Dopo un po’ di tempo osserviamo la formazione di tricloruro di fosforo PCl3
gassoso e cloro molecolare Cl2, pur rimanendo nel recipiente ancora una
grande quantità di pentacloruro
PCl5(g) → PCl3(g) + Cl2(g)
(3)
Prendiamo un altro recipiente e introduciamo acetato di etile e acqua,
cioè quei composti che erano i prodotti della reazione (2). Otteniamo acido
acetico ed etanolo, cioè i reagenti della reazione (2) e costatiamo che l’acetato di etile e l’acqua non si sono consumati completamente
CH3COOC2H5(aq) + H2O(l) → CH3COOH(aq) + C2H5OH(aq)
acetato di etile
acqua
acido acetico
(4)
etanolo
Nella reazione (2) acido acetico ed etanolo reagiscono per dare acetato di
etile e acqua; queste due ultime sostanze nella reazione (4) formano di nuovo le sostanze di partenza. Analogo comportamento è quello di pentacloruro e tricloruro di fosforo nelle reazioni (1) e (3). Lo svolgimento di ciascuna
reazione determina come conseguenza lo svolgimento dell’altra. La reazione tra acido acetico ed etanolo non avrà termine, e così anche quella tra
PCl3 e Cl2: non appena i reagenti cominciano a formare i prodotti, questi si
ritrasformano in reagenti. Le due reazioni continueranno all’infinito, perché
avremo sempre prodotti e reagenti in grado di reagire.
Possiamo generalizzare queste conclusioni prendendo in esame una generica reazione, in cui un composto A reagisce con un composto B per dare
i composti C e D, secondo la reazione:
A+B→C+D
Supponiamo poi che i composti C e D, man mano che si formano, reagiscano tra loro per riformare i composti A e B, secondo la reazione:
C+D→A+B
Per indicare che una reazione è reversibile, d’ora in poi
separeremo sempre reagenti e prodotti con due frecce
di verso opposto ⇄.
che è la reazione inversa della precedente. Invece di scrivere le due equazioni chimiche separate, per indicare che la reazione può andare nei due
sensi possiamo scriverne una sola, mettendo tra le formule dei reagenti e
quelle dei prodotti due frecce con verso opposto:
A+B⇄C+D
La maggior parte delle reazioni chimiche si comporta in questo modo.
Per il fatto di prevedere la continua trasformazione dei reagenti nei prodotti
e viceversa, queste reazioni sono dette reversibili (figura 17.2).
Reversibile • Che può essere invertito, rovesciato. Dal latino revertere «ritornare».
씰 Nelle reazioni reversibili avvengono contemporaneamente la
reazione diretta, da sinistra verso destra, e la reazione inversa,
da destra verso sinistra.
PCl 3
Purché rimangano costanti la temperatura e
il numero complessivo di atomi di fosforo e di cloro, il risultato è lo stesso sia che la reazione inizi partendo da
PCl 3 e Cl2 o da PCl 5. Si tratta di una reazione reversibile.
FIGURA 17.2
Cl 2
PCl 3 + Cl 2
PCl 5
PCl 3 + Cl 2
⇄
PCl 5
CH/168
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PCl 5
CAPITOLO
17
L’equilibrio chimico
17.2 L’equilibrio chimico
T
orniamo a esaminare la reazione tra due generiche sostanze A e B. Mescolando una mole di A con una mole di B, la reazione ha inizio, i due
composti reagiscono e si trasformano in C e D. Rappresentiamo con un grafico lo svolgimento della reazione. Costruiamo il grafico mettendo in ascissa il tempo di reazione trascorso e in ordinata il numero delle moli dei reagenti e dei prodotti. Le concentrazioni dei reagenti diminuiscono progressivamente col passare del tempo, seguendo l’andamento rappresentato dalla
linea rossa nel grafico 1 della figura 17.3. Poiché la velocità di una reazione
chimica è direttamente proporzionale alle concentrazioni dei reagenti (cfr. §
16.10), con la diminuzione sia di A sia di B anche la velocità v1 della reazione diminuisce con il tempo, come possiamo vedere dall’andamento della linea rossa nel grafico 2 di figura 17.3.
All’inizio dell’esperimento i prodotti ancora non sono stati formati e perciò la loro concentrazione è zero. Dal momento in cui A inizia a reagire con
B, si formano sia C che D, nella stessa misura, e col passare del tempo le
loro concentrazioni aumentano. L’incremento delle concentrazioni dei prodotti è rappresentato dalla linea verde nel grafico 1 di figura 17.3.
Anche C e D, però, una volta formati possono reagire tra loro per dare A e
B, con una velocità che aumenta con l’aumentare della loro concentrazione.
Se la costante di velocità k2 della reazione inversa è la metà di quella della
reazione diretta, la velocità v2 della reazione inversa aumenta, anche se in
modo attenuato, come indica la curva verde del grafico 2 di figura 17.3.
In breve, una volta che la reazione è partita, le concentrazioni dei reagenti
diminuiscono e quelle dei prodotti aumentano; conseguentemente la velocità della reazione diretta diminuisce e quella della reazione inversa aumenta. Arriviamo a un tempo t (2 ore e 32 minuti) in cui le due velocità sono uguali: v1 = v2. Dal tempo t in poi la velocità della reazione diretta rimane
sempre uguale a quella della reazione inversa (retta blu del grafico 2) e,
quindi, il numero di molecole di A che reagiscono con B è sempre uguale al
numero di molecole di C che reagiscono con D. Da questo momento in poi le
concentrazioni dei quattro composti chimici restano costanti (retta rossa e
retta verde del grafico 1), non cambiano più nel tempo, come se la reazione
si fosse fermata. Si badi bene però: le due reazioni continuano sempre, ma
con la stessa velocità.
GRAFICO 1
1,0
A oppure B
0,8
C oppure D
(0,66)
A oppure B
(0,34)
Numero delle moli
0,6
0,4
C oppure D
0,2
t
1
GRAFICO 2
2
3
4
5
6
7
1,0
0,8
v1
I
Velocità di reazione
0,6
FIGURA PARLANTE
v1 = v2
0,4
0,2
FIGURA 17.3 Man mano che la reazione procede, il numero delle moli dei reagenti, A e B, (grafico 1, curva rossa)
diminuisce e quello dei prodotti, C e D, (grafico 1, curva
verde) aumenta. Nello stesso tempo la velocità della reazione diretta (grafico 2, curva rossa) diminuisce, mentre la
velocità della reazione inversa (grafico 2, curva verde) aumenta. Infatti la velocità è proporzionale alla concentrazione dei reagenti. Da un certo momento in poi, il tempo t,
le velocità delle due reazioni sono eguali (grafico 2, retta
blu) e quindi le concentrazioni dei reagenti e dei prodotti
(retta rossa e retta verde del grafico 1) diventano costanti.
In condizioni di equilibrio la velocità della reazione diretta
è uguale a quella della reazione inversa.
v2
t
1
2
Tempo di reazione
3
4
5
6
7
ore
d
ANIMAZIONE
Lo stato di equilibrio
CH/169
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CAPITOLO
A
17
L’equilibrio chimico
Se una reazione è reversibile, cioè può andare in senso diretto o inverso,
prima o poi raggiunge una condizione di equilibrio. La condizione in cui le
velocità delle due reazioni rimangono uguali, così da rendere il sistema chimico apparentemente statico, è detta equilibrio chimico (tabella 17.1).
B
씰 Un sistema chimico è all’equilibrio quando la velocità della reazione
diretta è uguale alla velocità della reazione inversa. Nelle condizioni di
equilibrio le concentrazioni di tutte le specie chimiche restano costanti
nel tempo.
NO2
2NO2
⇄
N2O4
N2O4
N2O4
⇄
2NO2
FIGURA 17.4
Il raggiungimento dell’equilibrio può essere
segnalato dalla stabilità delle caratteristiche macroscopiche, come per esempio il colore. Nel caso della reazione
2NO2 ⇄ N2O4, la condizione di equilibrio corrisponde al
mantenimento di una colorazione costante.
Il raggiungimento dell’equilibrio chimico può essere facilmente evidenziato quando reagenti e prodotti differiscono per la colorazione. Il diossido di azoto NO2, per esempio, è un gas di colore bruno che si trasforma
in modo reversibile in ipoazotide (tetraossido di diazoto) N2O4, un gas incolore, secondo la reazione: 2NO2 ⇄ N2O4.
Se immettiamo i due gas separatamente in due recipienti diversi alla
stessa temperatura, inizialmente quello contenente NO2 appare di colore
bruno intenso, mentre quello contenente N2O4 appare incolore (figura
17.4 A). Nel recipiente con NO2 procede la reazione 2NO2 → N2O4, che
provoca una graduale diminuzione di intensità del colore. Nell’altro recipiente avviene la reazione N2O4 → 2NO2, che determina un graduale imbrunimento del contenuto. Rapidamente i due recipienti convergono verso lo stesso risultato, evidenziato dallo stesso colore che si conserva immutato nel tempo (figura 17.4 B). Ciò indica che in entrambi i recipienti è
stata raggiunta la condizione di equilibrio, nella quale le due reazioni
procedono con la stessa velocità.
Reazione diretta: velocità = v1;
Reazione inversa: velocità = v2;
A+B⇆C+D
costante di velocità = k1 = 1,00
costante di velocità = k2 = 0,250
Tempo
[A]
[B]
[C]
[D]
v1 = 1,00[A][B]
v2 = 0,250[C][D]
v1 e v 2
0
3,00
3,00
0
0
9,00
0
v1 > v2
1
2,50
2,50
0,500
0,500
6,25
0,0625
v1 > v2
2
2,00
2,00
1,00
1,00
4,00
0,250
v1 > v2
3
1,50
1,50
1,50
1,50
2,25
0,563
v1 > v2
4
1,00
1,00
2,00
2,00
1,00
1,00
v1 = v2
0
0
0
3,00
3,00
0
2,25
v1 < v2
1
0,500
0,500
2,50
2,50
0,250
1,56
v1 < v2
2
1,00
1,00
2,00
2,00
1,00
1,00
v1 = v2
TABELLA 17.1 La trasformazione delle sostanze A e B in C e D
è una reazione reversibile, dove la costante di velocità della
reazione diretta k1 è 1,00 mentre la costante della reazione
inversa k 2 è 0,250. Le concentrazioni iniziali di [A] e [B] sono entrambe 3,00 mol/L; queste concentrazioni diminuiscono man mano che la reazione procede. Quando [A], [B], [C] e
[D] raggiungono rispettivamente i valori di 1,00; 1,00; 2,00;
2,00 mol/L, diventano uguali la velocità di reazione diretta e
quella inversa: v1 = v2. Si è raggiunto l’equilibrio chimico. Allo stesso risultato si arriva se si parte da 3,00 mol/L di [C] e
altrettante di [D].
17.3
Dinamicità dell’equilibrio
chimico
I
n un sistema chimico all’equilibrio le caratteristiche macroscopiche sono
stabili: l’osservazione a occhio nudo non rivela alcun cambiamento. Se,
invece, potessimo osservare il sistema a livello di atomi e molecole, noteremmo che continua incessante il turbinio delle particelle che si muovono,
si urtano e formano nuovi legami. Il numero delle particelle che vanno incontro alla reazione diretta è però uguale al numero delle particelle che se-
CH/170
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CAPITOLO
17
L’equilibrio chimico
guono la reazione inversa: per questo motivo non osserviamo variazioni.
L’equilibrio chimico è un equilibrio dinamico (cfr. § 0.6).
Perché si realizzi una condizione di equilibrio è necessario che il sistema
chimico sia chiuso. Il raggiungimento dello stato di equilibrio può richiedere tempi più o meno lunghi, ma è inevitabile. Questa affermazione vale anche se il valore della costante di velocità della reazione diretta è molto diverso da quello della reazione inversa. Per rendercene conto, facciamo ricorso a un esempio. Immaginiamo due tennisti che si sfidano a una gara inconsueta: sul campo di gioco sono sparse numerose palline, vincerà chi per
primo avrà gettato tutte le palline oltre la rete. Un tennista è agile e atletico;
l’altro meno mobile e dal fisico un po’ appesantito, sembra destinato a perdere la sfida. Ma non sarà affatto così. Vediamo perché.
Il tennista agile corre per il campo e lancia rapidamente le palline nel
campo avversario. Il numero delle palline lanciate è inizialmente molto
alto, ma decresce col passare del tempo, perché diventa sempre più difficile trovare una nuova pallina da lanciare. Il tennista poco agile si trova
inizialmente in difficoltà, ma grazie alle numerose palline che vengono
scagliate nel suo campo non tarda ad aumentare il numero dei lanci: dovunque si chini, trova subito una pallina. Trascorso un certo periodo di
tempo, il numero delle palline scagliate oltre la rete in un verso finisce
col diventare uguale al numero delle palline scagliate nel verso opposto. Il
tennista agile correrà per il campo a raccogliere le poche palline presenti;
al tennista poco mobile basteranno piccoli movimenti per raccogliere una
pallina da rilanciare (figura 17.5). Tutto ciò si verifica purché sia rispettata
la condizione che il numero totale delle palline nel campo rimanga costante. Si tratta di una condizione analoga a quella che richiede che il sistema in cui avviene la reazione reversibile sia chiuso.
Allo stesso modo del tennista agile, una reazione chimica con costante di
velocità molto elevata trasforma rapidamente i reagenti nei prodotti. In conseguenza della propria velocità, questa reazione rimane rapidamente a corto
di reagenti e procede sempre più lenta. La reazione inversa, invece, inizia
molto lentamente, ma poi accresce sempre più la propria velocità, grazie al
contributo della reazione diretta. In ogni caso si finisce sempre per raggiungere una condizione di equilibrio.
17.4
FIGURA 17.5 Dopo un certo periodo di tempo, il numero di
palline rinviate dal tennista poco agile eguaglia il numero
delle palline rinviate dal tennista agile.
LABORATORIO SEMPLICE
L’equilibrio chimico
La legge di azione di massa
S
appiamo che la velocità di una reazione è proporzionale alle concentrazioni dei reagenti. Consideriamo la reazione reversibile A + B ⇄ C + D,
del secondo ordine e caratterizzata da coefficienti stechiometrici unitari. Indicando la velocità della reazione diretta tra A e B con v1 e con v2 la velocità della reazione inversa tra C e D, abbiamo:
v1 = k1 [A] [B]
v2 = k2 [C] [D]
dove k1 e k2 sono le costanti di velocità delle reazioni. Nelle condizioni di
equilibrio le due velocità sono uguali e quindi possiamo scrivere:
v1 = v2
k1 [A] [B] = k2 [C] [D]
[C] [D]
k1
=
[A] [B]
k2
Poiché k1 e k2 sono costanti, il loro rapporto è anch’esso una costante.
Questa nuova grandezza si indica con il simbolo K e si chiama costante di
equilibrio della reazione. Scriviamo allora:
K=
[C] [D]
[A] [B]
CH/171
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CAPITOLO
17
L’equilibrio chimico
In molte reazioni le formule delle sostanze compaiono nell’equazione
chimica con coefficienti diversi da 1. In questi casi nell’espressione della
costante di equilibrio i coefficienti stechiometrici dell’equazione chimica
diventano esponenti del valore di concentrazione della sostanza cui si riferiscono (cfr. § 16.10):
K=
[C]c [D]d
[A]a [B]b
dove a, b, c, d sono i coefficienti stechiometrici della reazione. Per esempio,
data la reazione 4HCl(g) + O2(g) ⇄ 2Cl2(g) + 2H2O(g), la relazione per ricavare
la costante di equilibrio è:
K=
[Cl2]2 [H2O]2
[HCl]4 [O2]
Si noti che nella formula della costante di equilibrio le concentrazioni
dei prodotti della reazione compaiono al numeratore e le concentrazioni
dei reagenti al denominatore. Si noti, inoltre, che le concentrazioni dei vari
composti non sono le concentrazioni iniziali, ma le concentrazioni nelle
condizioni di equilibrio; infatti solo nelle condizioni di equilibrio le due
velocità sono uguali. La relazione che definisce la costante di equilibrio è
espressa della legge di azione di massa o di Guldberg e Waage.
FIGURA 17.6 Vasi comunicanti come paragone per l’equilibrio chimico. (A), mettiamo acqua nel vaso 1. Aprendo il
rubinetto, l’acqua passa da 1 ai vasi 2 e 3 con un’alta velocità (proporzionale alla lunghezza della freccia), perché il
dislivello è notevole. Man mano che il dislivello diminuisce
(B), la velocità decresce, fino ad annullarsi quando il livello è lo stesso (C). Il livello rimane costante nel tempo, pur
non arrestandosi il movimento delle molecole di acqua,
perché il numero delle molecole che passano da un vaso all’altro è uguale a quello delle molecole che vanno in senso
opposto. Lo stesso livello finale verrebbe ottenuto se in
partenza la stessa quantità di acqua fosse introdotta nel
recipiente 2 o 3, anziché nel recipiente 1.
1
2
씰 In una reazione chimica all’equilibrio, il rapporto tra il prodotto
delle concentrazioni delle sostanze prodotte e il prodotto delle
concentrazioni delle sostanze reagenti, ciascuna elevata a un
esponente uguale al corrispondente coefficiente stechiometrico,
è costante.
La costante di equilibrio K ha un valore specifico per ogni reazione chimica e dipende dalla temperatura.
Per chiarire il concetto di equilibrio chimico, può essere utile ricorrere
a un paragone di tipo idraulico. Pensiamo, per esempio, a un sistema formato da vasi fra loro comunicanti (figura 17.6). La trasformazione di reagenti in prodotti, e viceversa, è infatti analoga allo spostamento delle molecole d’acqua da un vaso, quello dei reagenti, a un altro vaso, quello dei
prodotti. In condizioni di equilibrio reagenti e prodotti si trasformano gli
uni negli altri con uguale velocità, così come le molecole d’acqua passano
da un vaso all’altro con uguale velocità di flusso nei due versi.
3
1
A
I
2
3
B
1
2
3
C
17.5 La costante di equilibrio
FIGURA PARLANTE
M
escolando tre moli di acido acetico con tre moli di etanolo, avviene la
seguente reazione:
CH3COOH + C2H5OH ⇄ CH3COOC2H5 + H2O
acido acetico
etanolo
acetato di etile
acqua
Si raggiunge l’equilibrio e in quelle condizioni risultano presenti una
mole di acido acetico, una di etanolo, due di acetato di etile e due di acqua.
Come nell’esempio riportato nella tabella 17.1, anche in questo caso all’e-
CH/172
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L’equilibrio chimico
quilibrio la concentrazione dei reagenti è la metà di quella dei prodotti. Applicando la legge di azione di massa a questo equilibrio, abbiamo:
[CH3COOC2H5] [H2O]
[CH3COOH][C2H5OH]
=K
Sostituendo alle formule i valori delle concentrazioni dei quattro composti all’equilibrio, il valore della costante di equilibrio della reazione è 4:
K=
GRAFICO
2·2
=4
1·1
Quando la costante di equilibrio ha un valore maggiore di 1, come in questo caso, vuol dire che il numeratore ha un valore numerico superiore a
quello del denominatore perché nelle condizioni di equilibrio i prodotti si
trovano in quantità maggiore dei reagenti. Per indicare graficamente questa
situazione tracciamo la freccia verso destra più lunga di quella verso sinistra e diciamo che se K > 1 l’equilibrio chimico è spostato a destra. Scriviamo allora:
CH3COOH + C2H5OH ―→
← CH3COOC2H 5 + H2O
Quando invece il valore della costante di equilibrio è minore di 1, nel
rapporto il numeratore è inferiore al denominatore. Ciò significa che la concentrazione dei reagenti nelle condizioni di equilibrio è maggiore di quella
dei prodotti. Per esempio, nel caso della reazione di decomposizione dell’acido iodidrico HI in idrogeno H 2 e iodio I 2 la costante di equilibrio, alla
temperatura di 500 °C, è 0,020. Possiamo dire che se K < 1 l’equilibrio chimico è spostato a sinistra e scriviamo nell’equazione la freccia verso sinistra più lunga di quella verso destra:
→ H 2 + I2
2HI ←―
Nella tabella 17.2 sono riportati i valori della costante di equilibrio di alcune reazioni. In generale verifichiamo che: le reazioni in cui è favorita la
formazione dei prodotti, cioè in cui all’equilibrio le concentrazioni dei prodotti sono maggiori delle concentrazioni dei reagenti, hanno K > 1; le reazioni in cui è favorita la formazione dei reagenti, cioè in cui all’equilibrio le
concentrazioni dei reagenti sono maggiori delle concentrazioni dei prodotti, hanno K < 1 (figura 17.7).
Reazione
Costante di
equilibrio K
La costante di equilibrio è un rapporto tra grandezze
dello stesso tipo e pertanto è una costante senza dimensione fisica. Per convenzione non viene indicata
l’unità di misura, anche quando le somme degli esponenti al numeratore e al denominatore sono diverse.
1
La reazione favorisce
la formazione dei reagenti
REAGENTI
Concentrazione
17
I
FIGURA
PARLANTE
PRODOTTI
K<1
Tempo
GRAFICO
2
La reazione favorisce
la formazione dei prodotti
Concentrazione
CAPITOLO
PRODOTTI
REAGENTI
K>1
Tempo
FIGURA 17.7 ↑ Il grafico (1) si riferisce a una reazione il
cui equilibrio è spostato verso sinistra, caratterizzata da
una costante K minore di 1, che tende a formare più reagenti che prodotti. Il grafico (2) rappresenta una reazione
che porta decisamente alla formazione dei prodotti, avendo
una costante K maggiore di 1 in conseguenza del fatto che
l’equilibrio è spostato verso destra.
TABELLA 17.2 ↓ Valore della costante di equilibrio K di
alcune reazioni reversibili a diverse temperature.
Temperatura
Verso prevalente della reazione
di equilibrio
298 K
800 K
1000 K
Dai reagenti ai prodotti; K >> 1
Dai prodotti ai reagenti; K < 1
Dai prodotti ai reagenti; K < 1
3H2(g) + N2(g) ⇄ 2NH3(g)
ΔH<0
K = 3,5·108
K = 3,4·10 –2
K = 2,4·10 –3
H2(g) + I2(g) ⇄ 2HI(g)
ΔH<0
K = 794
K = 160
K = 54
298 K
498 K
700 K
Dai reagenti ai prodotti; K > 1
Dai reagenti ai prodotti; K > 1
Dai reagenti ai prodotti; K > 1
H2(g) + Cl 2(g) ⇄ 2HCl (g)
ΔH<0
K = 4·1031
298 K
Dai reagenti ai prodotti; K >> 1
N2(g) + O2(g) ⇄ 2NO(g)
ΔH>0
K = 1,7·10 –3
2300 K
Dai prodotti ai reagenti; K < 1
N2O4(g) ⇄ 2NO2(g)
ΔH>0
K = 4,5·10 –3
K = 0,260
298 K
373 K
Dai prodotti ai reagenti; K < 1
Dai prodotti ai reagenti; K < 1
PCl 5(g) ⇄ PCl 3(g) + Cl 2(g)
ΔH>0
K = 8,1·10 –3
K = 4,16·10 –2
473 K
523 K
Dai prodotti ai reagenti; K < 1
Dai prodotti ai reagenti; K < 1
2SO2(g) + O2(g) ⇄ 2SO3(g)
ΔH<0
K = 1,6·10 23
K = 523
298 K
700 K
Dai reagenti ai prodotti; K >> 1
Dai reagenti ai prodotti; K > 1
C(s) + H2O(g) ⇄ CO(g) + H2(g)
ΔH>0
K = 1,6·10 –21
K = 10,0
298 K
1100 K
Dai prodotti ai reagenti; K << 1
Dai reagenti ai prodotti; K > 1
CH/173
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
17
L’equilibrio chimico
씰 Se la costante di equilibrio ha valori elevati, buona parte dei reagenti
si consuma per dare i prodotti; se invece la costante ha valori bassi, solo
una piccola parte dei reagenti si trasforma in prodotti.
Si conoscono numerose reazioni i cui valori della costante di equilibrio
sono altissimi, praticamente infiniti. Si tratta delle cosiddette reazioni a
completamento o reazioni irreversibili.
Facciamo un esempio. Immergendo un pezzo di zinco Zn in una soluzione di acido cloridrico HCl, si formano dicloruro di zinco ZnCl2 e idrogeno
H2, secondo la reazione:
Zn + 2HCl → ZnCl2 + H2↑
L’idrogeno prodotto, essendo un gas poco solubile in acqua, man mano
che si forma si allontana dalla soluzione sotto forma di bollicine. In questo
modo l’idrogeno viene sottratto all’equilibrio, la sua concentrazione non aumenta e la reazione inversa ha sempre una velocità bassissima.
Fumi
씰 In una reazione a completamento l’equilibrio chimico è tutto spostato
verso la formazione dei prodotti e la reazione termina quando i reagenti
si sono trasformati completamente nei prodotti (figura 17.8).
Fiamma
FIGURA 17.8 La combustione di un fiammifero è un esempio di reazione che procede fino a completamento. Alcuni
prodotti della reazione, infatti, si disperdono nell’atmosfera
sottraendosi all’equilibrio.
Lo stesso risultato si ottiene nelle reazioni in cui si forma un prodotto
poco solubile. Il solido precipita e si deposita sul fondo del recipiente di
reazione, sottraendosi così all’equilibrio.
Come è evidenziato nella tabella 17.2, i valori di K variano notevolmente
con il variare della temperatura.
씰 Un aumento della temperatura provoca un aumento del valore della
costante di equilibrio nel caso di reazioni endotermiche (∆H > 0), mentre
provoca una diminuzione del valore della costante di equilibrio nel caso
di reazioni esotermiche (∆H < 0).
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
1. Scrivi la relazione della costante di equilibrio per le due reazioni seguenti:
1. Scrivi la relazione della costante di equilibrio
per le tre reazioni seguenti:
(a) N2(g) + 3H2(g) ⇄ 2NH3(g)
(a) 2NOCl(g) ⇄ 2NO(g) + Cl2(g)
(b) H2(g) + I2(g) ⇄ 2HI(g)
Dobbiamo considerare che il prodotto delle concentrazioni dei prodotti deve comparire al numeratore, mentre il prodotto delle concentrazioni dei reagenti è riportato al
denominatore. Infine, è bene ricordare che ogni concentrazione va elevata a un
esponente uguale al coefficiente stechiometrico con cui il composto compare nell’equazione bilanciata. Tenuto conto di ciò abbiamo:
(a) K = [NH3]2 / [H2]3[N2]
(b) K = [HI]2 / [H2][I2]
17.6
(b) N2O4(g) ⇄ 2NO2(g)
(c) 2SO3(g) ⇄ 2SO2(g) + O2(g)
Reazioni di equilibrio in fase
gassosa
N
ella maggior parte degli argomenti che tratteremo nei prossimi capitoli
ci riferiremo a sostanze in soluzione acquosa. Le concentrazioni che
utilizzeremo per il calcolo della costante di equilibrio in questi casi sono
espresse in molarità (mol/L). Per tali reazioni il simbolo specifico per la costante è K c o più semplicemente K.
In molti altri casi le reazioni di equilibrio riguardano sostanze in fase gassosa. Per queste reazioni la costante di equilibrio può essere ricavata dalle
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CAPITOLO
17
L’equilibrio chimico
pressioni parziali dei reagenti e dei prodotti, invece che dalle concentrazioni. Infatti, se riformuliamo l’equazione di stato dei gas pV = nRT per evidenziare la «concentrazione del gas», cioè il rapporto n/V, ricaviamo:
p / RT = n/V
p = (n/V) RT
da cui
Questa relazione ci dimostra che, a una certa temperatura, tra la pressione parziale di un gas (p) e la sua concentrazione (n/V) c’è proporzionalità
diretta. Pertanto, nella legge di azione di massa applicata a composti gassosi, le quantità dei reagenti e dei prodotti possono essere espresse come
pressioni parziali. In questo caso la costante di equilibrio per la reazione
aA(g) + bB(g) ⇄ cC(g) + dD(g), indicata con il simbolo K p, è:
Kp =
pCc · p Dd
pAa · pBb
dove a, b, c, d sono i coefficienti stechiometrici delle specie chimiche A, B,
C, D, che compaiono nell’equazione di una generica reazione (tabella 17.3).
Per esempio, la K p per la reazione H2(g) + I2(g) ⇄ 2HI(g) è:
2
pHI
Kp = p · p
H
I
2
2
Si può dimostrare che la K p e la K c sono legate dalla seguente relazione:
K p = K c · (RT)Δn
dove Δn è la differenza tra il numero di moli dei prodotti e il numero di
moli dei reagenti.
Reazione
Costante di
equilibrio K p
TABELLA 17.3
Valore della costante di equilibrio K p,
espressa in funzione delle pressioni parziali, di alcune reazioni reversibili.
Temperatura
Verso prevalente della reazione
di equilibrio
2H2(g) + O2(g) ⇄ 2H2O(g)
Kp = 1,4·10 83
298 K
Dai reagenti ai prodotti; Kp >> 1
2NO(g) + Br2(g) ⇄ 2NOBr(g)
Kp = 2,40
373 K
Dai reagenti ai prodotti; Kp > 1
PCl 5(g) ⇄ PCl 3(g) + Cl 2(g)
Kp = 0,315
473 K
Dai prodotti ai reagenti; Kp < 1
H2(g) + I 2(g) ⇄ 2HI(g)
Kp = 794
Kp = 160
Kp = 54
298 K
498 K
700 K
Dai reagenti ai prodotti; Kp > 1
Dai reagenti ai prodotti; Kp > 1
Dai reagenti ai prodotti; Kp > 1
H2(g) + Cl 2(g) ⇄ 2HCl (g)
Kp = 4·1031
298 K
Dai reagenti ai prodotti; Kp >> 1
N2(g) + O2(g) ⇄ 2NO(g)
Kp = 1,7·10 –3
2300 K
Dai prodotti ai reagenti; Kp < 1
2SO2(g) + O2(g) ⇄ 2SO 3(g)
Kp = 3,4
1000 K
Dai reagenti ai prodotti; Kp > 1
C(s) + H2O(g) ⇄ CO(g) + H2(g)
Kp = 1,6·10 –21
Kp = 10,0
298 K
1100 K
Dai prodotti ai reagenti; Kp << 1
Dai reagenti ai prodotti; Kp > 1
CaCO3(s) ⇄ CaO(s) + CO2(g)
Kp = 1,9·10 –23
298 K
Dai prodotti ai reagenti; Kp << 1
17.7
Quoziente di reazione
A
bbiamo precedentemente osservato che, quando un sistema ha raggiunto l’equilibrio, le concentrazioni dei prodotti e dei reagenti sono correlate tra loro e il loro rapporto può essere espresso attraverso una grandezza
costante a temperatura costante, la costante di equilibrio.
Tuttavia spesso è utile determinare le concentrazioni di specie chimiche
che prendono parte a una reazione reversibile, anche quando l’equilibrio
non è stato ancora raggiunto. Ogni miscela di reagenti e prodotti che non
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CAPITOLO
17
L’equilibrio chimico
sia all’equilibrio è caratterizzata da un rapporto, chiamato quoziente di
reazione e indicato con Q, la cui espressione è esattamente eguale alla costante di equilibrio.
c
Q=
d
[C] · [D]
a
b
[A] · [B]
씰 Il quoziente di reazione esprime il rapporto tra il prodotto delle
concentrazioni dei prodotti e quello delle concentrazioni dei reagenti,
ciascuna elevata al proprio coefficiente stechiometrico come compare
nella reazione bilanciata, quando la reazione non si trova in
condizioni di equilibrio.
Il valore numerico del quoziente di reazione Q è eguale a quello della costante di equilibrio K solo quando la reazione raggiunge l’equilibrio. Facciamo un esempio. Un sistema, che non ha ancora raggiunto l’equilibrio, è
composto da 3 mol di acido iodidrico HI, 2 mol di iodio I 2 e 2 mol di idrogeno H 2, tutte nello stesso recipiente da 1 litro a 442 °C. Nel recipiente avviene la reazione reversibile:
H 2(g) + I 2(g) ⇄ 2HI (g)
il cui quoziente di reazione Q nelle condizioni sopra citate è:
Q = [HI]2 / [H 2]·[I 2] = (3 mol/L)2 / (2 mol/L) × (2 mol/L) = 2,25
Sappiamo che per questa reazione la costante di equilibrio K vale 49,0 a
442 °C, un valore decisamente superiore rispetto a quello del quoziente di
reazione. Il fatto che Q < K conferma che il sistema non è all’equilibrio. Per
raggiungerlo alcune molecole di iodio e di idrogeno devono trasformarsi in
molecole di acido iodidrico, aumentando la concentrazione dei prodotti e
diminuendo quella dei reagenti. Questa trasformazione avverrà fino a quando Q = 49,0 cioè fino a quando Q = K.
Se nel nostro recipiente abbiamo invece 1 mol di iodio I 2, 1 mol di idrogeno H 2 e 8 mol di acido iodidrico HI, il quoziente di reazione Q è:
Q = [HI]2 / [H 2]·[I 2] = (8 mol/L)2 / (1 mol/L) × (1 mol/L) = 64
un valore superiore al valore della costante. Con Q > K il sistema non è all’equilibrio. Per raggiungerlo alcune molecole di acido iodidrico devono trasformarsi in iodio e idrogeno: la concentrazione dei reagenti tende ad aumentare e quella dei prodotti tende a diminuire fino a che Q = K.
씰 Se Q < K il sistema non è all’equilibrio, per cui parte dei reagenti si
trasformerà nei prodotti; se Q > K il sistema non è all’equilibrio, per
cui parte dei prodotti si trasformerà nei reagenti; se Q = K il sistema
è all’equilibrio.
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
2. Il diossido di azoto NO2 è un gas di colore bruno, che può trasformarsi in ipoazotide N2O4, un gas incolore, secondo la reazione:
2NO2(g) ⇄ N2O4(g)
la cui costante di equilibrio K è 222 alla temperatura di 298 K. Se in un recipiente
da 1,0 L abbiamo 0,018 mol di NO2 e 0,036 mol di N2O4, quanto vale il quoziente
di reazione Q? Discuti sul valore di Q, mettendolo a confronto con quello di K, e
indica, se il sistema non si trova all’equilibrio, quali modificazioni delle concentrazioni sono prevedibili.
2. Abbiamo in un recipiente ammoniaca NH3
0,010 M, idrogeno H2 1,0 M e azoto N2 0,10 M,
che reagiscono secondo la reazione
Scriviamo dapprima l’espressione del quoziente di reazione Q e poi sostituiamo i valori numerici: Q = [N2O4] / [NO2]2 = (0,036/1) / (0,018/1)2 = 111.
Il valore del quoziente di reazione (111) è minore del valore della costante (222).
Poiché Q < K il sistema non è all’equilibrio. La reazione tende a raggiungere l’equilibrio trasformando parte di NO2 in N2O4: la concentrazione di N2O4 aumenta e quella
di NO2 diminuisce fino a che Q = K.
N2(g) + 3H2(g) ⇄ 2NH3(g)
la cui costante di equilibrio è 3,5 · 108 alla
temperatura di 298 K. Quanto vale il quoziente
di reazione Q? Discuti sul valore di Q, mettendolo a confronto con quello di K, e indica, se il
sistema non si trova all’equilibrio, quali modificazioni delle concentrazioni sono prevedibili.
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CAPITOLO
17
L’equilibrio chimico
Equilibri eterogenei
17.8
A
lcune reazioni chimiche in equilibrio riguardano sostanze che si trovano in fasi diverse. Gli equilibri che presentano diverse fasi sono chiamati equilibri eterogenei. Per esempio, il carbonato di calcio CaCO 3 allo
stato solido (calcare), il diossido di carbonio CO 2 gassoso (anidride carbonica) e l’ossido di calcio CaO solido (calce viva) formano un sistema chimico
in equilibrio secondo la reazione reversibile:
CaCO3(s) ⇄ CO2(g) + CaO(s)
In questo caso, tipico di equilibri eterogenei, la costante di equilibrio viene espressa prendendo in considerazione soltanto il gas diossido di carbonio, l’unico composto per il quale il rapporto n/V, la concentrazione, si modifica in modo significativo nel corso della reazione:
K = [CO2]
Negli equilibri eterogenei l’espressione della costante di equilibrio non
tiene conto delle concentrazioni dei solidi e dei liquidi puri presenti. Le
loro concentrazioni, infatti, sono in pratica costanti. Quando in un equilibrio abbiamo liquidi o solidi puri, la loro concentrazione può, con buona
approssimazione, essere inclusa nel valore della costante di equilibrio.
Nel nostro esempio ciò significa che la concentrazione del diossido di
carbonio gassoso in equilibrio con il carbonato di calcio solido e con l’ossido di calcio solido non dipende dalle quantità di carbonato di calcio e
ossido di calcio presenti. La concentrazione del diossido di carbonio all’equilibrio dipende solo dalla temperatura (figura 17.9).
CaCO3(s)
⇄ CaO(s) + CO2(g)
CO2
CO2
17.9
R
CaCO3
CaO
CaO
CaCO3
FIGURA 17.9 A temperatura costante la concentrazione del
diossido di carbonio gassoso CO2 in equilibrio con i solidi
CaCO3 e CaO è sempre la stessa, qualunque sia la quantità
di solido presente.
Il principio dell’equilibrio mobile
iprendiamo in esame la reazione generica su cui abbiamo discusso nel
primo paragrafo di questo capitolo:
A+B
1
C+D
⇄
2
e indichiamo con 1 la reazione diretta e con 2 la reazione inversa. Le velocità delle due reazioni sono rispettivamente v1 e v2. Uniamo i reagenti
A e B. La reazione inizia e, dopo un certo tempo, v1 diventa uguale a v2:
il sistema ha raggiunto l’equilibrio.
A questo punto aggiungiamo alla miscela di reagenti e prodotti all’equilibrio una certa quantità di un reagente, per esempio la sostanza A. L’incremento della concentrazione di un reagente fa aumentare la velocità v1,
che è proporzionale alla concentrazione dei reagenti. Altre molecole dei
reagenti si trasformano perciò per dare molecole di prodotti. Man mano
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CAPITOLO
La variazione di concentrazione ha fatto cambiare il
valore del quoziente di reazione Q rispetto a K, alterando l’equilibrio. Solo quando i valori di Q e K coincidono, il sistema ritorna all’equilibrio.
17
L’equilibrio chimico
che questa ulteriore trasformazione avviene, v1 diminuisce, perché diminuisce la concentrazione dei reagenti, e v2 aumenta, perché aumenta la
concentrazione dei prodotti. Il processo continua fino a che le due velocità diventano di nuovo uguali, anche se entrambe maggiori rispetto alle
precedenti condizioni, e si ritorna a uno stato di equilibrio.
La figura 17.10 utilizza il consueto paragone idraulico per rappresentare
il processo descritto.
Abbiamo aggiunto un reagente e questo in parte si è consumato per darci
altro prodotto. Possiamo dire che l’aggiunta di un reagente sposta a destra
l’equilibrio della reazione, in quanto fa aumentare la quantità dei prodotti
(che stanno a destra nell’equazione chimica). Analogamente, se al sistema
in condizioni di equilibrio aggiungiamo un prodotto, la velocità v2 diviene
maggiore di v1 e si forma altro reagente. L’aggiunta di un prodotto sposta a
sinistra l’equilibrio, giacché fa aumentare la quantità dei reagenti.
Interveniamo ancora sul nostro sistema all’equilibrio, questa volta per
sottrarre una certa quantità di un prodotto, ad esempio C, che riusciamo a
separare dagli altri. La velocità v2 diminuisce, perché diminuisce la concentrazione di un prodotto, e ciò fa prevalere la velocità v1. Le molecole dei
reagenti si trasformano per dare altre molecole dei prodotti. La sottrazione
di un prodotto sposta l’equilibrio a destra, consumando reagenti per ottenere altri prodotti. La figura 17.10 mostra anche questo caso.
1
Abbiamo tre vasi comunicanti con liquido
allo stesso livello. (A), aggiungiamo dell’altro liquido nel
recipiente 1 e creiamo un dislivello. (B), quando apriamo il
rubinetto, parte del liquido da 1 si trasferisce a 2 e a 3,
fino a raggiungere lo stesso livello. (C), con il rubinetto
chiuso togliamo acqua dal recipiente 3 e creiamo un dislivello. (D), aprendo il rubinetto si ripristina un uguale livello in tutti i recipienti.
2
3
1
2
3
1
2
3
FIGURA 17.10
A
B
1
I
2
3
FIGURA PARLANTE
C
D
Cerchiamo ora di trarre conclusioni di carattere generale. Abbiamo un
sistema chimico in equilibrio. Se aggiungiamo un reagente o allontaniamo
un prodotto, alteriamo i valori delle concentrazioni all’equilibrio. La velocità diretta diventa maggiore di quella inversa e l’equilibrio si sposta a
destra, fino a raggiungere un nuovo stato di equilibrio. Se invece aumentiamo la concentrazione di un prodotto o diminuiamo la concentrazione
di un reagente, la velocità della reazione inversa sopravanza quella della
reazione diretta e l’equilibrio si sposta a sinistra prima di stabilizzarsi di
nuovo. Il sistema risponde modificandosi in modo da contrastare qualunque alterazione sia apportata. Volevamo diminuire la quantità di un prodotto? Ne viene formato dell’altro. Volevamo aumentare la concentrazione
di un reagente? Questo viene consumato. Qualunque intervento facciamo,
il sistema tende a reagire per contrastarlo. In sintesi, un sistema all’equili-
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CAPITOLO
17
L’equilibrio chimico
brio si oppone alle modificazioni che intervengono su di esso. Queste caratteristiche definiscono il principio dell’equilibrio mobile conosciuto anche come principio di Le Chatelier:
A+B
C+D
씰 Un sistema chimico all’equilibrio reagisce alle variazioni
apportate ai suoi componenti in modo da ridurne gli effetti.
Nella figura 17.11 sono schematizzati tutti gli spostamenti possibili dell’equilibrio chimico a seguito di aggiunta o sottrazione di reagenti o di prodotti. Nella tabella 17.4 sono presentati alcuni esempi numerici riguardanti
il principio di Le Chatelier.
FIGURA 17.11 Le frecce rosse indicano la nostra azione
sulla concentrazione di un
reagente o di un prodotto
in un sistema chimico all’equilibrio. Rivolte in alto, le
frecce indicano un aumento,
rivolte in basso una diminuzione. Le frecce verdi indicano da quale parte si sposta l’equilibrio.
A+B⇄C+D
costante di equilibrio K = 4,00
1
2
3
4
[A]
[B]
[C]
[D]
v1 = 1,00[A][B]
v2 = 0,250[C][D]
Equilibrio
K
1,00
1,00
2,00
2,00
1,00
1,00
sì
4,00
1,00
4,00
2,00
2,00
4,00
1,00
no
—
0,46
3,46
2,55
2,55
1,60
1,60
sì
4,00
1,00
1,00
2,00
4,00
1,00
2,00
no
—
1,27
1,27
1,73
3,73
1,60
1,60
sì
4,00
1,00
1,00
2,00
0,50
1,00
0,25
no
—
0,68
0,68
2,32
0,82
0,46
0,46
sì
4,00
TABELLA 17. 4
Una reazione generica ha la costante di equilibrio uguale a
4,00. Le costanti di velocità sono le stesse di quelle della tabella 17.1. Nel
caso 1 siamo in condizioni di equilibrio. Nel caso 2 sono state aggiunte 3
moli di B. Questo aumento ha fatto crescere v1 a scapito di v2. L’equilibrio
si è spostato verso destra fino al raggiungimento di nuove condizioni cui
corrispondono velocità uguali. Nel caso 3 al sistema in equilibrio sono state
tossico che forma un complesso molecolare
con l’emoglobina, detto carbossiemoglobina
Hb ⎯ CO. Il complesso Hb ⎯ CO è più
stabile rispetto al complesso Hb ⎯ O2. Infatti, la reazione di equilibrio
Equilibri dei gas nel sangue
Hb ⎯ O2 + CO ⇄ Hb ⎯ CO + O2 (2)
ha la costante K = 210, un valore superiore a 1. La formazione della carbossiemoglobina impedisce all’emoglobina di trasportare ossigeno e ciò può portare all’avvelena(1)
Hb + O2 ⇄ Hb ⎯ O2
mento da monossido di carbonio. Il primo
da cui dipende se l’ossigeno tende più a
effetto che si manifesta è il rallentamento
legarsi con l’emoglobina o se invece tende
dei riflessi, poi si ha perdita di coscienza
a separarsi e liberarsi. In montagna l’aria è
e infine sopraggiunge la morte. In caso di
rarefatta e la concentrazione dell’ossigeno
avvelenamento la pronta somministrazione
è bassa: l’equilibrio è spostato verso sinidi aria ben ossigenata sposta l’equilibrio
stra. Il nostro corpo gradualmente si adat(2) verso sinistra e l’intossicazione da mota alle alte quote producendo quantità
nossido di carbonio può non lasciare gravi
maggiori di emoglobina. In questo modo
conseguenze. I fumatori hanno nel loro
l’equilibrio si sposta di nuovo verso destra
sangue un’alta concentrazione di monossie più ossigeno viene trasportato.
do di carbonio, perché questa sostanza si
Il monossido di carbonio CO è un gas
forma nella combustione del tabacco.
CH/179
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PER SAPERNE DI PIÙ
L’ossigeno è trasportato dal sangue, che
provvede a distribuirlo a tutte le cellule
del corpo. La quantità di ossigeno che può
essere trasportata è molto alta soprattutto
per la presenza dell’emoglobina, una molecola proteica complessa. Tra ossigeno O2
ed emoglobina Hb avviene una reazione di
sintesi reversibile con produzione di ossiemoglobina Hb ⎯ O2. Nel sangue pertanto è
presente l’equilibrio
aggiunte 2 moli di D. La velocità della reazione inversa v2 è diventata maggiore di v1 e l’equilibrio si è spostato verso sinistra, fino a che le due velocità sono tornate a essere uguali. Nel caso 4 abbiamo sottratto 1,5 moli di
D. La velocità v2 è divenuta minore di v1 e l’equilibrio si è spostato verso
destra. In tutti i casi i valori delle concentrazioni si modificano e la costante K mantine lo stesso valore.
CAPITOLO
17
L’equilibrio chimico
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
3. Quali modificazioni intervengono a seguito dell’aggiunta di idrogeno H2(g) a
una miscela gassosa in equilibrio, composta da idrogeno H2, azoto N2 e ammoniaca NH3 , che reagisce a volume e temperatura costante secondo la reazione
N2(g) + 3H2(g) ⇄ 2NH3(g)? E se viene aggiunta ammoniaca?
3. Quali modificazioni intervengono a seguito
dell’aggiunta di biossido di zolfo SO2(g) a una
miscela gassosa in equilibrio, composta da
SO2, ossigeno O2 e triossido di zolfo SO3, che
reagisce a volume e temperatura costante secondo la reazione 2SO2(g) + O2(g) ⇄ 2SO3(g)? E
se viene aggiunto triossido di zolfo?
L’effetto immediato dell’aggiunta di idrogeno è lo spostamento della reazione di
equilibrio da sinistra verso destra: si forma ulteriore ammoniaca, si consuma parte
dell’idrogeno aggiunto (non tutto quello aggiunto) e si trasforma una ulteriore parte
di azoto. Il sistema dopo un po’ di tempo ritorna in condizioni di equilibrio, con il
valore della costante K immutato. L’aggiunta di ammoniaca provoca lo spostamento
immediato della reazione da destra verso sinistra, poiché si formano ulteriori quantità di idrogeno e azoto e si consuma parte dell’ammoniaca aggiunta (non tutta
quella aggiunta). Il sistema poi ritorna in condizioni di equilibrio e la costante K
riassume il valore precedente.
17.10
Effetto della pressione
sull’equilibrio chimico
I
l principio di Le Chatelier afferma che un equilibrio chimico si oppone
agli interventi che lo modificano, cercando di annullarli. Consideriamo
una generica reazione:
A + 3B ⇄ 2C
in cui tutti i componenti siano allo stato aeriforme. Raggiunte le condizioni
di equilibrio, la soluzione gassosa contenente i tre composti presenta determinati valori di composizione e di pressione parziale, che mantiene inalterati nel tempo (figura 17.12 A).
A un certo punto interveniamo sul sistema e ne alteriamo le condizioni.
Facendo scendere lo stantuffo, riduciamo il volume del recipiente. La pressione dei gas dovrebbe aumentare con proporzionalità inversa, secondo la
legge isoterma (cfr. § 0.5). Infatti, per i gas una diminuzione del volume
comporta un aumento della pressione (figura 17.12 B). In base al principio
dell’equilibrio mobile, però, il sistema cerca di opporsi alla modificazione e
tende perciò ad abbassare la pressione. Come può farlo? Facendo diminuire
il numero totale delle molecole.
Per ottenere questo risultato, 4 molecole dei reagenti (1 di A e 3 di B)
vanno a reagire tra loro per dare 2 molecole del prodotto C, come è indicato nell’equazione chimica. Quando aumentiamo la pressione, un certo
numero di molecole dei reagenti scompare, in quanto si trasforma in un
numero inferiore di molecole del prodotto. L’equilibrio si sposta a destra
(figura 17.12 C).
Viceversa, se diminuiamo la pressione, il sistema in equilibrio cerca di
aumentarla e, per far questo, aumenta il numero totale delle molecole. Alcune molecole del prodotto si trasformano per dare un numero doppio di
molecole dei reagenti. L’equilibrio si sposta a sinistra.
Da quanto abbiamo detto risulta che:
Un esempio di reazione in cui non c’è variazione del numero di molecole allo stato aeriforme è la reazione tra
idrogeno e iodio a 500 °C per dare acido iodidrico:
씰 una modificazione della pressione sposta l’equilibrio delle reazioni
chimiche, nel caso in cui il numero delle molecole di reagenti allo stato
aeriforme sia diverso da quello dei prodotti.
Una variazione di pressione determina lo spostamento dell’equilibrio
quando rende il quoziente Q diverso dalla costante K. Ciò si verifica se gli
esponenti a cui sono elevate le concentrazioni delle sostanze allo stato ae-
H 2(g) + I 2(g) ⇄ 2HI(g)
CH/180
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CAPITOLO
17.11
17
L’equilibrio chimico
Effetto della temperatura
sull’equilibrio chimico
C
onsideriamo una reazione esotermica (cfr. § 16.3) che ha raggiunto le
condizioni di equilibrio. La reazione diretta avviene con produzione di
una certa quantità di calore Q. Scriviamo, riferendoci a un caso generale:
A+B
⇄ C+D+Q
dove
ΔHreazione < 0
Nel corso della reazione diretta si libera energia termica, che viene usata
per la reazione inversa. Se noi interveniamo e raffreddiamo il recipiente che
contiene la miscela di composti, cioè se sottraiamo calore, il sistema all’equilibrio reagisce, opponendosi alla modificazione. Infatti, in base al principio di Le Chatelier la diminuzione della temperatura determina nel sistema
una risposta che tende ad aumentarla: si libera altro calore. Per produrre
questo calore altre molecole di A e B devono reagire tra loro per dare molecole di C e D più energia termica. L’equilibrio chimico si è spostato verso
destra. Ora immaginiamo, invece, di intervenire con un riscaldamento. Il sistema all’equilibrio risponde e tende a opporsi assorbendo calore: altre molecole di C e D reagiscono secondo la reazione endotermica per dare A e B e
l’equilibrio si sposta verso sinistra. Consideriamo ora una generica reazione
endotermica, che avviene con assorbimento di una certa quantità di calore
Q. La reazione a un certo punto raggiunge le condizioni di equilibrio:
M+N+Q
⇄ R+S
dove
ΔHreazione > 0
La reazione diretta avviene consumando energia termica, che viene prodotta dalla reazione inversa. Se forniamo calore al sistema all’equilibrio,
questo cerca di assorbirlo spostando la reazione verso destra. Se raffreddiamo, il sistema tende a produrre calore e l’equilibrio si sposta verso sinistra.
In tutti i casi che abbiamo esaminato, l’equilibrio si è spostato verso la
reazione esotermica, quando è stata diminuita la temperatura, e verso la
reazione endotermica, quando la temperatura è stata aumentata.
Riassumendo le influenze sull’equilibrio chimico, possiamo dire che:
씰L’equilibrio chimico può essere spostato variando le concentrazioni
dei reagenti o dei prodotti; variando la pressione esercitata sul
sistema, se il numero delle molecole allo stato gassoso dei reagenti
è diverso da quello dei prodotti; variando la temperatura, se la
reazione è esotermica o endotermica.
A
L’equilibrio chimico, invece, non è spostato dall’aggiunta di un catalizzatore. Infatti, il catalizzatore determina un aumento della velocità di reazione, ma ciò vale nella stessa misura sia per la reazione diretta sia per quella
inversa. L’effetto complessivo è che l’intervento del catalizzatore non provoca alcuna modificazione del punto di equilibrio, e quindi anche del valore di K, ma semplicemente lo fa raggiungere in un tempo minore.
APPROFONDIMENTO
Il processo Haber-Bosch:
come sfruttare l’equilibrio mobile
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
6. Considera la reazione reversibile
6. Considera la reazione reversibile
ΔHreazione = +180 kJ/mol
N2(g) + O2(g) ⇄ 2NO(g)
Indica come bisogna modificare la temperatura, affinché, una volta raggiunto l’equilibrio, si formi una maggiore quantità di ossido di azoto NO.
Come si deduce dal segno positivo della variazione di entalpia, la reazione diretta è
endotermica, cioè richiede calore dall’ambiente esterno. Se forniamo calore e aumentiamo la temperatura, favoriamo la reazione che avviene con assorbimento di energia, cioè quella che porta alla formazione del prodotto NO. L’effetto dell’aumento
della temperatura è lo spostamento dell’equilibrio da sinistra verso destra, con ulteriore formazione di ossido di azoto NO e consumo di ossigeno O2 e azoto N2 .
2H2(g) + O2(g) ⇄ 2H2O(g)
ΔHreazione = –242 kJ/mol
Per produrre una quantità maggiore di acqua,
una volta raggiunto l’equilibrio, occorre aumentare o diminuire la temperatura? Giustifica la
risposta.
CH/182
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
17
L’equilibrio chimico
della costante del prodotto di solubilità K ps. Per un generico sale A x By che
in soluzione si dissocia secondo l’equazione di dissociazione ionica:
A x By(s)
y+
x–
+ yB(aq)
⇄ xA(aq)
l’espressione della costante K ps è:
y+
y
Kps = [A ]x · [Bx– ]
씰 In una soluzione satura a temperatura costante il prodotto delle
concentrazioni degli ioni presenti in soluzione, ciascuna elevata
al proprio coefficiente stechiometrico come compare nella
reazione di dissociazione, è costante ed è uguale al prodotto di
solubilità del composto.
Nel § 0.8 avevamo sinteticamente classificato le sostanze
solide in due gruppi, solubili e insolubili. Le differenze rispetto alla solubilità sono invece più sfumate e articolate.
Esistono infatti sostanze che, dopo essersi sciolte in minima quantità, formano soluzioni sature (sostanze pochissimo solubili) e sostanze che formano soluzioni sature dopo
l’aggiunta di quantità rilevanti (sostanze solubili).
Se un sale è poco solubile, cioè ha un valore basso di solubilità, in soluzione vi è una ridotta concentrazione degli ioni derivanti dalla sua dissociazione e quindi il prodotto di solubilità ha un valore basso (tabella 17.5). A
partire dal valore della costante K ps di un composto si può ricavare la sua
solubilità, passando per il calcolo della concentrazione degli ioni. Per
esempio, sappiamo che il K ps del cloruro di argento AgCl a 25 °C è
1,5·10 –10, cioè [Ag +]·[Cl– ] = 1,5·10 –10. La piccola quantità di cloruro d’argento che si scioglie è completamente dissociata in uno ione Ag + e uno ione Cl–
e le concentrazioni dei due ioni sono uguali. Essendo [Ag +] = [Cl– ], possiamo scrivere [Ag +] 2 = 1,5·10 –10, da cui ricaviamo [Ag +] = 1,2·10 –5 M. L’equa–
+
ci dice che una mole di ioni Ag + si
+ Cl(aq)
zione chimica AgCl(s) ⇄ Ag (aq)
forma da una mole di AgCl, per cui possiamo scrivere [AgCl] = 1,2·10 –5 M e
questo valore esprime la solubilità del cloruro d’argento in mol/L. Infine,
utilizzando la massa molare di AgCl, che è 143,32 g/mol, convertiamo le
moli in grammi e ricaviamo il valore 1,7·10 –3 g/L.
Col procedimento inverso possiamo ricavare il valore della costante K ps
conoscendo la solubilità. Per esempio, alla temperatura di 20 °C la solubilità dello ioduro d’argento AgI è 9,2·10 –9 mol/L. Ciò significa che, quando
la soluzione è satura, la concentrazione degli ioni argento [Ag+] è 9,2·10 –9
Formula
TABELLA 17.5
Solubilità in mol/L e costante del prodotto
di solubilità per alcuni composti poco solubili.
Temperatura
°C
Solubilità
mol /L
K ps
10
6·10 –6
4,0·10 –11
25
1,2·10 –5
1,5·10 –10
25
8,8·10 –7
7,7·10 –13
100
2·10 –5
5,0·10 –10
AgI
25
1·10 –8
9,0·10 –17
Ag2S
25
2,9·10 –13
1,0·10 –37
Ag2SO4
25
6·10 –3
7,0·10 –7
AgBrO3
25
7,6·10 –3
5,8·10 –5
BaCO3
25
9·10 –5
8,1·10 –9
BaSO4
25
1·10 –5
1,1·10 –10
CaCO3
25
7·10 –5
5,0·10 –9
CaSO4
25
8·10 –3
6,0·10 –5
Ca(OH)2
30
0,013
9,0·10 –6
2,8·10 –18
8,0·10 –36
1,4·10 –18
AgCl
AgBr
CuS
0
Hg2Cl2
25
2·10 –5
HgS
25
1,7·10 –26
3,0·10 –52
PbCl2
25
0,016
1,6·10 –5
PbBr2
25
0,013
PbI2
25
1,5·10
PbCO3
20
4·10 –7
CH/184
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9,0·10 –6
–3
1,4·10 –8
1,4·10 –13
CAPITOLO
17
L’equilibrio chimico
mol/L, così come quella degli ioni ioduro [I – ]. Perciò il valore di K ps per lo
ioduro d’argento è:
K ps = [Ag +] · [I – ] = (9,2 · 10 –9 mol/L)2 = 8,5 · 10 –17
I dati della tabella 17.5 indicano che le costanti del prodotto di solubilità
di alcuni sali presentano valori estremamente bassi. Nelle soluzioni di questi sali, per esempio AgCl, BaSO4 e HgS, non si avranno mai alte concentrazioni di ioni, quali Ag + e Cl– , Ba2+ e SO 24 – o Hg2+ e S2–, perché ognuno di
questi ioni tende a legarsi all’altro, riformando il sale poco solubile.
Come per tutte le costanti di equilibrio, il valore di K ps varia al variare
della temperatura.
Consideriamo ancora una soluzione satura di cloruro di argento:
AgCl(s)
–
⇄ Ag +(aq) + Cl(aq)
Proviamo ad aumentare la concentrazione dello ione cloruro, aggiungendo per esempio cloruro di potassio, cioè ioni potassio K + e ioni cloruro Cl –
(figura 17.14). Il principio di Le Chatelier ci dice che l’aggiunta di un prodotto in una reazione all’equilibrio fa spostare la reazione verso la formazione dei reagenti. Nel nostro caso l’aggiunta degli ioni Cl – sposta l’equilibrio verso sinistra, cioè verso il precipitato di AgCl solido. Infatti osserviamo la formazione di altro AgCl, che precipita, e verifichiamo una diminuzione della concentrazione degli ioni Ag +.
L’aggiunta di un composto che manda in soluzione ioni Cl –, già prodotti
dalla dissociazione del cloruro d’argento, fa diminuire la solubilità di AgCl.
Otteniamo lo stesso risultato se introduciamo altri ioni Ag +, anziché ioni
Cl –. Per esempio, quando aggiungiamo un sale che ha in comune il catione
argento, come il nitrato d’argento AgNO3, spostiamo l’equilibrio verso il
cloruro d’argento indissociato. Questo comportamento è chiamato effetto
dello ione in comune.
씰 L’aggiunta di uno ione in comune a una soluzione satura contenente
un sale poco solubile fa diminuire la solubilità del sale e ne determina
la precipitazione.
FIGURA 17.14 Nel becher vi è una soluzione satura di un
sale poco solubile. L’aggiunta di una soluzione contenente
uno ione in comune fa diminuire ulteriormente la solubilità
del sale e determina ancora precipitazione.
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
7. La solubilità dello ioduro rameoso CuI è 8,4·10 –7 mol/L a 25 °C. Calcola il valore
del prodotto di solubilità K ps del CuI a quella temperatura.
Dapprima scriviamo la reazione di dissociazione ionica dello ioduro rameoso:
–
+
. Ogni mole di CuI che si dissocia forma 1 mole di ioni rameosi
+ I(aq)
CuI(s) ⇄ Cu(aq)
+
Cu e 1 mole di ioni ioduro I –. Poiché la solubilità del CuI è 8,4·10 –7 mol /L, nella soluzione satura abbiamo 8,4·10 –7 mol/L di Cu + e 8,4·10 –7 mol/L di I –. L’espressione
del prodotto di solubilità è:
Kps = [Cu+]·[I –]
poiché [Cu+] = [I –], il valore della costante è
Kps = (8,4·10 –7 mol/L)2 = 7,0·10 –13
7. Il prodotto di solubilità del bromuro di piombo PbBr2 a 25 °C è 9,0·10 – 6. Calcola la solubilità del sale in g/L.
8. La solubilità del cloruro d’argento AgCl è
6,3·10 – 6 mol/L a 10 °C. Calcola il valore della
costante K ps a quella temperatura.
8. La costante del prodotto di solubilità del carbonato di calcio CaCO3 a 25 °C è
5,0·10 – 9. Calcola la solubilità del composto in g/L a quella temperatura.
Dapprima scriviamo la reazione di dissociazione ionica del carbonato di calcio:
2–
2+
. Ogni mole di CaCO3 che si scioglie e si dissocia forma 1
+ CO 3(aq)
CaCO3(s) ⇄ Ca(aq)
mole di ioni calcio Ca 2+ e 1 mole di ioni carbonato CO 32– . Le concentrazioni degli
ioni [Ca 2+] e [CO 32– ] corrispondono perciò al valore della solubilità del composto.
L’espressione della costante K ps per il carbonato di calcio CaCO3 è:
K ps = [Ca2+]·[CO 32–]
Poiché conosciamo il valore della costante, possiamo ricavare la solubilità del carbonato
di calcio estraendo la radice quadrata di K ps. Infatti, indicando con s la solubilità, quando
la soluzione è satura abbiamo s mol /L di Ca 2+ ed s mol /L di CO 32–; quindi Kps = s × s = s 2,
da cui s = √Kps = √5,0·10 – 9 = 7,1·10 – 5 mol /L. Dalla solubilità in mol /L passiamo alla
solubilità in g/L, moltiplicando per la massa molare del CaCO3, che è 100,1 g/mol:
s = 7,1·10 – 5 mol /L × 100,1 g /mol = 7,1·10 – 3 g/L
CH/185
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CAPITOLO
17
L’equilibrio chimico
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
9. Calcola la solubilità in mol /L del cloruro d’argento AgCl (K ps = 1,5·10 –10) in
una soluzione 0,10 M di cloruro di sodio NaCl.
9. Calcola la solubilità espressa in g/L dello ioduro di argento AgI (K ps = 8,5·10 – 17) in una
soluzione 0,010 M di ioduro di potassio KI.
Il cloruro di argento viene introdotto in una soluzione di cloruro di sodio che contiene lo ione in comune Cl –, per cui la concentrazione massima degli ioni in soluzione deve tenere conto degli ioni Cl – già presenti. Innanzitutto scriviamo l’espressione della costante K ps relativa all’equilibrio del cloruro d’argento:
+
–
+ Cl(aq)
:
AgCl(s) ⇄ Ag(aq)
+
–
Kps = [Ag ]·[Cl ] = 1,5·10 –10
Indichiamo con s la solubilità in mol /L del cloruro d’argento. All’equilibrio si sono
disciolte s mol /L di AgCl e in soluzione abbiamo s mol /L di ioni Ag + e s mol /L
di ioni Cl –. La concentrazione degli ioni Cl – è però molto più alta, tenendo conto
della presenza degli ioni cloruro provenienti dal cloruro di sodio, sale completamente dissociato. Poiché la concentrazione di NaCl è 0,10 M, abbiamo in soluzione 0,10 mol /L di ioni Na + e 0,10 mol /L di ioni Cl –. La concentrazione degli ioni
[Cl –] complessivamente presenti in soluzione è data dalla somma: (s + 0,10)
mol /L. Conoscendo il valore della costante Kps, possiamo ricavare la solubilità s:
K ps = 1,5·10 –10 = [Ag +]·[Cl –] = (s)·(s + 0,10)
Dal valore molto basso della costante K ps possiamo dedurre che anche la solubilità
s ha un valore estremamente piccolo, se confrontato col valore di concentrazione
0,10 mol /L; pertanto non commettiamo un errore significativo trascurando s rispetto a 0,10, cioè (s + 0,10) ~ 0,10. A questo punto la relazione precedente diventa:
K ps = 1,5·10 –10 = (s)·(0,10) = 0,10 s
da cui ricaviamo la solubilità:
PER SAPERNE DI PIÙ
s = K ps / 0,10 = 1,5·10 –10 / 0,10 = 1,5·10 –9 mol /L
Le grotte, le stalattiti e l’equilibrio
del carbonato di calcio
La maggior parte delle acque sotterranee ha
reazione leggermente acida, perché contiene
deboli acidi organici che si formano dalla
decomposizione dei vegetali. Questa acqua
acida, che contiene quindi più ioni H +, a
contatto con le rocce calcaree, costituite da
carbonato di calcio CaCO 3, reagisce secondo
l’equazione:
line, tipiche delle zone carsiche. Se questa
azione avviene nella roccia in profondità si
creano le grotte. L’acqua che circola negli
strati profondi di roccia e nelle grotte può
contenere in soluzione CO2. Anche questa
soluzione è debolmente acida e col carbonato di calcio CaCO 3 dà luogo alla reazione reversibile:
+
CaCO3(s) + 2H (aq)
CaCO 3(s) + CO2(aq) + H2O(l)
↓
Ca 2+
(aq) + H2O(l) + CO2(g)
⇅
+
Ca 2(aq)
+ 2HCO –3(aq)
(1)
Il carbonato di calcio della roccia viene
attaccato, corroso e disciolto, perché si formano sali di calcio solubili, acqua e diossido
di carbonio. La liberazione del gas CO2 fa
spostare verso destra la reazione. Sulla superficie della roccia calcarea si creano incisioni e depressioni a forma di imbuto, le do-
(2)
Quando un’acqua sotterranea contenente
ioni calcio Ca2 + e ioni idrogenocarbonato
HCO –3 gocciola dal soffitto di una caverna,
l’acqua e il diossido di carbonio evaporano.
L’equilibrio (2) si sposta a sinistra e il carbonato di calcio CaCO 3 precipita: si formano
così le stalattiti e le stalagmiti.
Caratteristiche formazioni carsiche: le stalattiti, pendenti dall’alto, e le stalagmiti, che si
elevano dal basso.
CH/186
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
17.13
17
L’equilibrio chimico
Solubilità e precipitazione
P
rendiamo una soluzione in cui vi siano ioni cloruro Cl – e uniamola con
un’altra soluzione in cui siano presenti ioni argento Ag +. Si forma il cloruro di argento AgCl, sale pochissimo solubile. La soluzione immediatamente diviene satura, il liquido si intorbida e precipita sul fondo del recipiente un solido bianco (figura 17.15).
La domanda che ci poniamo ora è la seguente: se una soluzione contiene
ioni Ag + e ad essa aggiungiamo ioni Cl –, otteniamo sempre il precipitato di
AgCl indipendentemente dalla concentrazione degli ioni? Per rispondere a
questa domanda occorre considerare che il sistema chimico è basato sulla
reazione reversibile:
AgCl (s)
–
⇄ Ag +(aq) + Cl(aq)
Il precipitato di AgCl solido si forma quando il sistema ha raggiunto
l’equilibrio e le concentrazioni degli ioni Ag + e Cl – sono tali da far superare il valore della costante del prodotto di solubilità.
Per sapere se il sistema ha raggiunto l’equilibrio, utilizziamo il quoziente di reazione Q. Come abbiamo visto nel § 17.7, il calcolo del quoziente
di reazione permette di determinare se la miscela di reagenti e prodotti
che sta reagendo è già all’equilibrio o se la reazione tende a spostarsi verso destra o verso sinistra per stabilire l’equilibrio. Nel caso dei sali poco
solubili il quoziente di reazione Q si ottiene, come la costante K ps, dal
prodotto delle concentrazioni degli ioni: Q = [Ag + ]·[Cl – ]. La differenza tra
quoziente di reazione Q e costante del prodotto di solubilità K ps sta nel
fatto che le concentrazioni che si utilizzano nel calcolo del quoziente di
reazione non sono quelle del sistema all’equilibrio.
Una volta calcolato Q, si presentano tre casi. Se Q = K ps la soluzione è
satura e gli ioni in soluzione sono in equilibrio con il precipitato solido.
Se Q < K ps il sistema non è all’equilibrio, la soluzione non è satura e il
precipitato non si forma. Se Q > K ps il sistema non è all’equilibrio, le
concentrazioni di Ag + e Cl – sono troppo alte, la soluzione è sovrassatura
e il cloruro d’argento precipita fino a che diventa Q = K ps.
FIGURA 17.15 Mescolando una soluzione acquosa di cloruro di sodio NaCl con una soluzione acquosa di nitrato d’argento AgNO3, provochiamo la formazione del cloruro d’argento AgCl, che essendo un sale poco solubile precipita.
씰 Il quoziente di reazione consente di prevedere se si forma un precipitato
quando uniamo soluzioni di composti ionici a concentrazioni note.
Consideriamo un’altra reazione di precipitazione. Se a una soluzione
contenente ioni solfato SO 2–
4 aggiungiamo un sale di bario che rilascia ioni
Ba2 +, la soluzione si intorbida per la formazione di un precipitato bianco di
solfato di bario BaSO4. Basta una piccola quantità per far sì che il prodotto
delle concentrazioni degli ioni Ba2 + e degli ioni SO 24– risulti superiore al valore molto basso della costante K ps del BaSO4. Questa caratteristica può essere utilizzata per effettuare analisi qualitative, cioè per scoprire la presenza di certi ioni in soluzione. Per esempio, se aggiungiamo ioni bario Ba2+ a
una soluzione incognita e immediatamente osserviamo la formazione di un
precipitato bianco, possiamo affermare che la soluzione contiene ioni solfato SO 24– (figura 17.16).
A
APPROFONDIMENTO
Ba2 +
Il solfato di bario e l’intestino ai raggi X
Na+
NO–3
SO42–
Aggiungendo nitrato di bario Ba(NO3)2 a
una soluzione di solfato di sodio Na2SO4, si ha la precipitazione del solfato di bario BaSO4, essendo Q > Kps. Se aggiungendo ioni bario Ba 2+ a una soluzione incognita osserviamo l’immediata formazione di un precipitato, possiamo
affermare che la soluzione contiene ioni solfato SO 2–
4 .
FIGURA 17.16
CH/187
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CAPITOLO
17
L’equilibrio chimico
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
10. Determina se, aggiungendo 20 mL di una soluzione 0,032 M di nitrato d’argento AgNO3 a 15 mL di una soluzione 0,043 M di bromuro di sodio NaBr, si verifica la
formazione di un precipitato di bromuro d’argento AgBr (K ps = 7,7·10 –13).
10. Determina se, aggiungendo 10 mL di una
soluzione 0,00010 M di nitrato d’argento
AgNO3 a 100 mL di una soluzione 0,00010
M di ioduro di potassio KI, si verifica la
formazione di un precipitato di ioduro di
argento AgI (K ps = 9,0·10 – 17).
Tra le due soluzioni che uniamo avviene la reazione:
AgNO3 + NaBr → AgBr + NaNO3
Dapprima troviamo la concentrazione degli ioni argento Ag + e degli ioni bromuro Br –
nelle soluzioni di partenza. Tenendo conto che sia AgNO3 sia NaBr sono sali solubili
che si dissociano completamente in uno ione positivo e uno ione negativo, in ciascuna soluzione dei reagenti la concentrazione degli ioni è uguale alla molarità della
soluzione. Determiniamo ora le concentrazioni [Ag +] e [Br –] nella soluzione risultante dopo l’unione dei reagenti. Ricaviamo prima il numero delle moli di ciascuno
ione, moltiplicando la molarità per il volume espresso in litri:
moli di Ag + in 20 mL = 0,032 M × 0,020 L = 6,4·10 –4 mol;
moli di Br – in 15 mL = 0,043 M × 0,015 L = 6,4·10 –4 mol.
Dividiamo poi il numero delle moli di ciascuno ione per il volume complessivo della
soluzione (0,020 L + 0,015 L = 0,035 L) che si forma dall’unione dei due reagenti:
[Ag +] = 6,4·10 –4 mol / 0,035 L = 0,018 mol /L;
[Br –] = 6,4·10 –4 mol / 0,035 L = 0,018 mol/L.
Il precipitato di AgBr che si forma dalla reazione dà luogo all’equilibrio
–
+
AgBr(s) ⇄ Ag(aq)
+ Br(aq)
A questo punto calcoliamo il quoziente di reazione Q per il nostro sistema, in modo
da poterlo confrontare con la costante Kps :
Q = [Ag +]·[Br –] = (0,018) × (0,018) = 3,2·10 –4
Il valore di Q è maggiore di quello di K ps (3,2·10 –4 > 7,7·10 –13) e quando Q > Kps il
precipitato si forma.
Glossary
Chemical equilibrium (equilibrio chimico) A reversible reaction in which the rate of the
forward reaction equals the rate of the reverse reaction.
Equilibrium constant (costante di equilibrio) Is the ratio of the rate constant of the reverse reaction and the rate constant of the forward reaction.
Irreversible reaction (reazione irreversibile) A chemical reaction in which the extent of the
reverse reaction is negligibly small and the reactants totally change to products.
Law of mass action (legge di azione di massa) For a reversible reaction at equilibrium the
ratio of the rate constant of the reverse reaction and the rate constant of the forward
reaction is constant.
Le Chatelier’s principle ( principio di Le Chatelier) In a system in equilibrium any change
on the system tends to shift the equilibrium to nullify the effect of the applied change.
Reversible reaction (reazione reversibile) A chemical reaction in which the forward reaction and the reverse reaction occurs at the same time.
Solubility product ( prodotto di solubilità) The product of the concentrations of ions in a
saturated solution.
CH/188
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
A
presente un catalizzatore rispetto a quando la stessa reazione non è catalizzata?
Domande aperte
11 Quando è corretto indicare come reversibile una reazione
17 Quali sono i parametri che possono influire sullo stato di
equilibrio?
chimica?
12 Quali sono le principali caratteristiche di un sistema chi-
18 In quale modo la temperatura influisce sull’equilibrio di
mico all’equilibrio? Perché definiamo dinamico un equilibrio chimico?
19 Che cosa si intende per reazione a completamento? Per-
13 Che cosa afferma la legge di azione di massa?
14 Che cosa esprime la costante di equilibrio di una reazione
una reazione chimica?
ché questo tipo di reazione è anche denominato irreversibile?
chimica? Che cosa possiamo affermare se il valore della
costante è maggiore, minore o uguale a 1?
10 Che cosa è il prodotto di solubilità? Che relazione c’è tra
15 Definisci il principio di Le Chatelier. Illustra il suo significa-
11 Che cosa si intende con effetto dello ione in comune?
12 Indica le somiglianze e le differenze tra quoziente di rea-
to con qualche esempio.
16 Come varia l’equilibrio di una reazione chimica, quando è
zione e costante di equilibrio.
A
Esercizi di completamento
13
costante del prodotto di solubilità e solubilità?
Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello spazio vuoto il termine opportuno.
La legge di Guldberg e
rapporto tra il
delle sostanze
………………………………………………
……………………………………………
dice che un sistema chimico è in condizioni di
delle concentrazioni delle sostanze prodotte e il prodotto delle
………………………………………………………………
, ciascuna elevata a un
…………………………………………………………………
…………………………………………………………………………
stechiometrico, è
………………
afferma che, se un sistema in condizioni di
………………………………………………………
…………………………………………………
……………………………………………………………………………
quando il
……………………………………………………………
corrispondente al proprio
a temperatura costante. Il principio di
…………………………………………………
viene perturbato, l’equilibrio
risponde in modo da …………………………………………………… alla variazione apportata e ristabilire un nuovo …………………………………………………………………… .
VERIFICA LE CONOSCENZE
A
Esercizi di corrispondenza
14
Collega con una freccia gli elementi della prima colonna a
quelli corrispondenti della seconda e giustifica le tue scelte.
Reazione reversibile
Costante di equilibrio
Reazione a completamento
Equilibrio chimico
Equilibrio mobile
Reazione in cui l’equilibrio chimico è tutto spostato verso destra
Le Chatelier
v1 = v2
[Prodotti] / [Reagenti]
Reazione in cui si svolgono nello stesso tempo la reazione diretta e quella inversa
CH/189
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
G U I DA A L L O ST U D I O
EA
E
FACCIAMO IL PUNTO
G U I DA A L L O ST U D I O
EA
A
Gioca e impara
15
Rispondi alle seguenti definizioni. Con le lettere iniziali di
ciascuna risposta componi poi il termine che completa la
frase a lato:
«Quando la velocità della reazione diretta è uguale alla velocità
della reazione inversa il sistema ha raggiunto lo stato di
………………………………………………………………… .»
…………………………………… ……………………………………
…………………………………… ………… ……………………………………………
3. Lo sono le velocità di reazione in un sistema all’equilibrio
……………………………………
4. Lo è la reazione che si oppone alla reazione diretta
……………………………………
5. Enunciò il principio dell’equilibrio mobile
………… ……………………………………
6. Possono essere positivi o negativi e costituiscono i sali
……………………………………
7. NaOH, Ca(OH)2, NH4OH sono composti definiti idrossidi o ...
……………………………………
8. Nelle equazioni chimiche il loro posto è a sinistra
……………………………………
9. Lo è una reazione a completamento
……………………………………
……………………………………
1. Grandezza che definisce la spontaneità delle reazioni chimiche
2. Il rapporto tra le concentrazioni dei prodotti e quelle dei reagenti,
quando il sistema non è all’equilibrio
10. Il fenomeno che consiste nel passaggio di un solvente da una
parte all’altra di una membrana semipermeabile per riequilibrare
due soluzioni a differente concentrazione
16
Trova l’errore presente nel seguente schema e giustifica la
risposta.
H2
I2
HI
EQUILIBRIO
17
AGGIUNTA DI H2
NUOVO EQUILIBRIO
B
C
Quale tra le seguenti situazioni rappresenta meglio quella di
un sale poco solubile? Spiega la motivazione della tua scelta.
AgCl
Cl –
Ag+
A
CH/190
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18
In un reattore dal volume di 1,00
avviene la reazione:
2H2(g) + CO(g) ⇄ CH3OH(g). Raggiunto l’equilibrio, misuriamo
0,140 mol di CH3OH, 0,270 mol di H2 e 0,160 mol di CO. La
costante di equilibrio K c vale:
B 3,24;
C 10,5;
A < 0,65;
C > 0,65;
espresso in mol/L.
26 Quale tra i seguenti sali è il meno solubile?
A AgBr (Kps = 3,5 · 10 –13);
B AgI (Kps = 1,5 · 10 –16);
D 0,310.
L’acqua allo stato aeriforme viene fatta reagire col gas monossido di carbonio per formare diossido di carbonio e idrogeno
gassosi. Dopo che si è raggiunto l’equilibrio, la costante K c
vale 0,65. Successivamente viene aggiunta una quantità di
CO2 pari a 0,65 g, lasciando inalterate le altre concentrazioni
e le condizioni. La costante di equilibrio diventa:
A
reagenti;
D dei reagenti e dei prodotti hanno lo stesso valore
dm3
A 12,0;
19
C
C ZnS (Kps = 3,0 · 10 – 22);
D CaSO4 (Kps = 6,1 · 10 – 5).
27
Se il valore del quoziente di reazione Q è minore del valore
della costante di equilibrio K:
A la reazione procede prevalentemente da sinistra
0,65;
D 0,65 + 0,65.
verso destra;
B
B la reazione procede prevalentemente da destra verso
sinistra;
20
Un sistema chimico all’equilibrio, in cui avviene la reazione
CO(g) + 3H2(g) ⇄ CH4(g) + H2O(g), contiene 0,30 mol di CO,
0,10 mol di H2, 0,02 mol di H2O e una quantità non nota di
CH4 in un volume di 1,0 L. La miscela all’equilibrio ha una costante K c uguale a 3,92. La concentrazione di CH4(g) è:
A 0,049 mol/L;
C 0,0069 mol/L;
21
C la reazione è in condizioni di equilibrio chimico;
D si deve aggiungere un catalizzatore per far procedere
la reazione.
28 L’aggiunta di uno ione in comune a una soluzione satura
contenente un sale poco solubile:
0,059 mol/L;
D 0,49 mol/L.
B
La reazione di decomposizione del pentacloruro di fosforo in
tricloruro di fosforo e cloro, tutti gassosi, è reversibile ed esotermica. Possiamo allora dire che l’equilibrio viene spostato
verso destra:
A da un abbassamento della temperatura;
B da un innalzamento della pressione;
A aumenta la solubilità del sale;
B fa precipitare il sale;
C sposta l’equilibrio verso destra;
D modifica il valore della costante Kps.
29
A la reazione è esotermica;
B la reazione è endotermica;
C da un aumento della concentrazione del cloro;
D dall’aggiunta di un catalizzatore.
22
L’acido iodidrico HI gassoso si ottiene dalla reazione reversibile
tra idrogeno e iodio, anch’essi gassosi. Per aumentare la resa di
questo processo, che è esotermico, è più opportuno:
C la reazione avviene senza scambio di calore;
D la reazione è una combustione.
30
A ridurre la temperatura dell’ambiente di reazione;
B diminuire la concentrazione dell’idrogeno;
Data la reazione reversibile H2(g) + I2(g) ⇄ 2HI(g) se all’equilibrio aggiungiamo I2(g) mantenendo costanti le condizioni,
dopo il ritorno a condizioni stabili:
2
2
C Kp = (p CO
· pO2 ) / p CO
;
2
2
D Kp = p CO
/ (p CO · pO2 2 ).
2
31
A l’equilibrio si è spostato verso destra e la costante di
C la costante di equilibrio K c è rimasta invariata;
D il valore della costante di equilibrio K c è aumentato,
B l’equilibrio si è spostato verso sinistra;
C il valore della costante di equilibrio non è cambiato;
La costante di equilibrio K relativa alla reazione tra azoto e
idrogeno per dare ammoniaca è espressa dalla relazione:
A K = [NH3]2 / [N2][H2]3;
C K = [NH3] / [N2][H2]3;
25
Se, mantenendo costante la pressione, si aggiunge ammoniaca
gassosa NH3 alla reazione di equilibrio N2(g) + 3H2(g) ⇄ 2NH3(g),
dopo il ritorno a condizioni stabili:
A il valore della costante di equilibrio K c è aumentato;
B il valore della costante di equilibrio K c è diminuito;
equilibrio è diminuita;
mentre quello della K p è diminuito.
24
Quale tra le seguenti è la costante di equilibrio Kp per la reazione 2CO(g) + O2(g) ⇄ 2CO2(g)?
2
2
A Kp = p CO
/ (p CO
· pO2 );
2
B Kp = [CO2] / [CO][O2]2;
C aumentare la concentrazione dell’acido iodidrico;
D aumentare la concentrazione dello iodio.
23
Il valore della costante di equilibrio di una reazione chimica
aumenta all’aumentare della temperatura se:
K = [NH3]2 / [N2][H2];
D K = [NH3] / [N2][H2]2.
B
D si forma di nuovo la stessa quantità di NH3 che era
stata aggiunta.
32
Se, mantenendo costante la pressione, si aggiunge azoto gassoso N2 alla reazione di equilibrio N2(g) + 3H2(g) ⇄ 2NH3(g)
dopo il ritorno a condizioni stabili:
Nelle reazioni chimiche all’equilibrio le quantità:
A l’equilibrio si è spostato verso sinistra;
B il valore della costante di equilibrio non è cambiato;
A di ciascun reagente e prodotto rimangono costanti
D si è formata di nuovo la stessa quantità di N 2 che era
nel tempo;
B dei reagenti diventano trascurabili;
D l’equilibrio si è spostato verso destra.
stata aggiunta;
CH/191
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
GGU
UIIDA
DA AALLLLOO ST
S TU
UD
D IIO
O
A
Domande a scelta multipla
EA
Eprodotti sono sempre maggiori di quelle dei
dei
G U I DA A L L O ST U D I O
EA
E VERIFICA LE ABILITÀ
A
Esercizi e problemi
33
A 723 K in un reattore dal volume di 5,000 L sono presenti
all’equilibrio 3,356 mol di azoto, 4,070 mol di idrogeno e
1,285 mol di ammoniaca, tutti allo stato gassoso. Determina
il valore della costante di equilibrio K c.
[0,1824]
34
Nella reazione di formazione della formaldeide HCHO a partire da monossido di carbonio CO e idrogeno H2, tutti composti gassosi, l’equilibrio a 333 °C si raggiunge con la presenza di
0,305 mol di CO, 0,440 mol di H2 e 0,525 mol di formaldeide.
Determina la costante di equilibrio K c , sapendo che il volume
del reattore è di 7,50 L. Che cosa succede se si introduce nel
reattore un certo volume di idrogeno, mantenendo inalterate
le condizioni di temperatura e pressione?
[29,3]
35
A una data temperatura in un recipiente da 5,0 L avviene la
reazione reversibile di sintesi del composto AB3 secondo l’equazione A(g) + 3B(g) ⇄ AB3(g). All’equilibrio il sistema ha la seguente composizione: 6,0 mol di B, 8,5 mol di A e 4,0 mol di
AB3. Quanto vale la costante di equilibrio K c della reazione?
42
Il valore della costante K c della reazione di equilibrio
PCl5(g) ⇄ PCl3(g) + Cl2(g)
a 300 °C è 0,050. Se all’equilibrio in un recipiente da 1,00 L la
concentrazione di PCl5 è 0,014 mol/L, quante moli sono presenti di PCl3 e di Cl2?
[0,0264 mol]
43
Nella reazione reversibile tra ozono e ossigeno 2O3(g) ⇄ 3O2(g)
le concentrazioni all’equilibrio sono [O2] = 0,21 mol/L e
[O 3] = 6,0 · 10 –8 mol/L. Calcola il valore della costante di
equilibrio K c .
[2,6 · 10 12]
44
La concentrazione iniziale del metano CH4 , che reagisce secondo la reazione di equilibrio
2CH4(g) ⇄ C 2H2(g) + 3H2(g)
è 0,030 M. All’equilibrio la concentrazione dell’acetilene C 2H2
è 0,014 M e quella dell’idrogeno è 0,042 M. Determina la concentrazione molare all’equilibrio del metano e il valore della
costante di equilibrio K c .
[0,002 mol/L] [0,259]
45
Nel sistema all’equilibrio in cui avviene la reazione
CO(g) + 2H2(g) ⇄ CH3OH(g)
le concentrazioni del monossido di carbonio e del metanolo
sono [CO] = 1,00 mol/L e [CH3OH] = 1,50 mol/L, mentre la
costante di equilibrio K c è 14,5. Calcola il valore della concentrazione all’equilibrio dell’idrogeno H2.
[0,321 mol/L]
46
Se il prodotto di solubilità del CuS a una certa temperatura è
K ps = 8,5 · 10 – 45, qual è la solubilità in mol /L e g /L alla stessa
temperatura?
[9,2 · 10 – 23 mol/L] [8,8 · 10 – 21 g /L]
47
Il prodotto di solubilità di CaF2 è 3,2 · 10 – 11. Calcola la concentrazione degli ioni Ca2+ e F – in g /L e in mol/L.
[0,272]
36
In un reattore da 25,0 dm3 alla pressione di 1,25 bar si trovano in equilibrio le sostanze risultanti dalla dissociazione
del pentacloruro di fosforo, secondo la reazione:
PCl5(g) ⇄ PCl3(g) + Cl2(g)
Sapendo che il valore della pressione parziale del pentacloruro è pari a 0,625 bar ed è doppio di quello degli altri due
gas, determina la costante di equilibrio K p del sistema e
spiega che cosa accade se si sottrae parte del cloro presente
all’equilibrio.
[0,156]
37
Nella reazione di formazione a 871 °C del diossido di carbonio, a partire da carbonio gassoso e ossigeno gassoso, la costante di equilibrio K c vale 10,0. Determina le quantità in
grammi delle sostanze all’equilibrio, sapendo che inizialmente
si dispone di 1,000 mol di ossigeno nel volume di 1,00 dm3 e
di 4,00 g di carbonio gassoso. [CO 2 12,9 g] [C 0,49 g] [O 2 22,7 g]
38
Se si riscaldano 12,0 g di etilene C2H4 in un reattore dal volume di 8,00 L alla temperatura di 1 050 K, avviene la reazione: C2H4(g) ⇄ C2H2(g) + H2(g). Sapendo che la costante di
equilibrio K c vale 0,100, determina le concentrazioni in
mol/L delle tre specie chimiche all’equilibrio.
[8 · 10 – 3 g /L; 2 · 10 – 4 mol/L] [7,6 · 10 – 3 g /L; 4· 10 – 4 mol/L]
Question
48
A The reaction quotient defines the equilibrium con-
centrations and has a constant value.
B Le Chatelier principle predicts the effect of a distur-
[C2H4 0,0148 mol/L] [C2H2 0,0388 mol/L] [H2 0,0388 mol/L]
39
bance on a chemical equilibrium. For example, a change of pressure in the following reaction shifts the
equilibrium to right H2(g) + I2(g) ⇄ 2HI(g).
C A large value of K c means the reaction is reactants-favoured and that the products concentrations are
lower than the reactants concentrations at equilibrium.
La costante di equilibrio K c per la reazione:
2NO2(g) ⇄ 2NO(g) + O2(g)
a 763 K non è conosciuta. Determina il suo valore, sapendo
che all’equilibrio in un reattore dal volume di 100 L hanno
reagito solo 2,76 g dei 5,52 g di NO2 presenti all’inizio.
[3,0 · 10 – 4 ]
40
41
Dalla reazione tra idrogeno e monossido di azoto si ottengono azoto gassoso e acqua. Sapendo che la costante di equilibrio K c vale 2,5 a 20 °C, determina quanti grammi di acqua
sono presenti all’equilibrio in un reattore da 50 L, tenendo
conto che sia per H2 che per NO il numero delle molecole che
hanno reagito è la metà di quello iniziale.
[180 g]
In un recipiente da 20 L si introducono 61,9 g di acido iodidrico e si riscalda fino a una data temperatura. Avviene la reazione reversibile di decomposizione 2HI(g) ⇄ H2(g) + I2(g) e all’equilibrio la quantità di idrogeno presente è 0,0550 mol. Determina il valore della costante di equilibrio K c.
[2,1 · 10 – 2]
What is wrong?
D When the reactions are reversible, they reach the
equilibrium state which can be assumed as a static situation.
49
For each of the following insoluble salts write a balanced
equation showing the equilibrium occurring when the salt is
added to water and write the K ps expression:
A silver chloride;
B calcium carbonate;
C calcium phosphate.
CH/192
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
Acidi e basi
18.1
C A P I TO L O
18
Proprietà degli acidi e delle basi
A
cidi e basi sono tra le sostanze più comuni presenti in natura e sono
normalmente presenti nelle nostre case (figura 18.1). L’acido acetico
CH3COOH è stato il primo composto cui è stato dato il nome di acido ed
era conosciuto fin dall’antichità. In seguito furono scoperti molti altri
composti con proprietà simili e anche questi furono chiamati acidi (cfr.
§§ 13.8 e 13.12). L’acido solforico H2SO4 e l’acido nitrico HNO3 furono
preparati per la prima volta nel tredicesimo secolo.
Acido • Dal latino acidus «pungente».
Base • Dal greco basis «sostenere», nel senso che sono
composti basilari per la formazione dei sali.
FIGURA 18.1 Acidi e soluzioni acide (A) e basi e soluzioni
basiche (B) sono comunemente utilizzati per la pulizia della casa e nel settore alimentare.
A
B
Il primo a interessarsi in modo sistematico degli acidi fu Robert Boyle.
Egli nel 1675 descrisse le caratteristiche tipiche di questi composti: il sapore agro, l’azione solvente, la proprietà di dar luogo a reazioni di neutralizzazione con le basi (cfr. § 15.1), la possibilità di reagire con i metalli liberando
idrogeno e la capacità di far cambiare di colore alcune sostanze, definite indicatori, come il tornasole (figura 18.2).
Le basi, nel passato note come alcali, sono composti che reagiscono con
gli acidi formando soluzioni neutre di sali e acqua. Anch’esse fanno cambiare colore agli indicatori e annullano gli effetti degli acidi ripristinando il
colore originario. Le basi, scivolose al tatto e di sapore amaro, sono presenti
nelle ceneri delle piante e consentono la preparazione di soluzioni alcaline.
I primi studi sugli acidi e sulle basi tenevano conto solo delle caratteristiche sensoriali. In seguito, i chimici iniziarono a interrogarsi circa le cause
del comportamento acido o basico delle sostanze.
Lavoisier assegnò il nome ossigeno, che significa «generatore di acidi»,
all’elemento gassoso presente nell’aria, ritenendo erroneamente che tutti
gli acidi contenessero ossigeno. Fu Claude-Louis Berthollet (1748-1822) a
scoprire che l’elemento presente in tutti gli acidi non era l’ossigeno, bensì
FIGURA 18.2
Dai licheni, come questo che vive sulle rocce, si estrae il tornasole, una miscela di sostanze coloranti.
In passato se ne faceva largo uso in tintoria. In laboratorio
si usano strisce di carta imbevuta di questo indicatore. Il
tornasole assume colore rosso in ambiente acido e colore
azzurro in ambiente basico.
CH/193
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
18
Acidi e basi
Bisogna precisare, però, che non tutti gli acidi e non tutte le basi hanno la
stessa capacità di scindersi in ioni (cfr. § 14.3): alcuni sono elettroliti forti,
come HCl, HNO3, KOH e NaOH, perché si dissociano per il 100% (α = 1),
altri sono elettroliti deboli, perché si dissociano parzialmente (α < 1), come
fa l’acido acetico CH3COOH (figura 18.4).
Lo ione H +, che si genera da un atomo di idrogeno da cui è stato estratto un elettrone, è un protone. La presenza di una carica elettrica in un
volume così piccolo conferisce al protone un’energia elevatissima. Per
questo motivo il protone non può esistere da solo. Quando un acido in
acqua si ionizza, lo ione H + si lega tramite un legame dativo all’atomo di
ossigeno di una molecola di acqua. Si forma così il catione H3O+, chiamato ione ossonio o ione idronio (figura 18.5). In soluzione acquosa in realtà
troviamo sempre lo ione ossonio.
Ben presto la definizione di Arrhenius cominciò a mostrare i suoi limiti,
in quanto si riferiva esclusivamente al solvente acqua. Per di più alcune sostanze, come il diossido di carbonio CO 2, pur non presentando atomi di
idrogeno formavano in acqua soluzioni acide; altre sostanze che non possedevano gruppi idrossido, come l’ammoniaca NH 3, in acqua davano luogo a
soluzioni basiche. Per spiegare il comportamento di queste sostanze furono
ipotizzate le seguenti reazioni e, per mantenere valida la teoria di Arrhenius, furono riformulate le definizioni di acido e base:
+
O
H
H
H
H+ + H2O ⎯→ H3O+
L’idrogenione H + in soluzione acquosa si unisce con un legame dativo all’atomo di ossigeno di una molecola d’acqua e forma lo ione ossonio H3O +. La struttura
dello ione è tetraedrica, mentre la forma è piramidale a
base triangolare.
FIGURA 18.5
CO2 + 2H2O ⇄ H3O + + HCO –3
NH3 + H2O ⇄ NH4+ + OH –
씰 Un acido secondo Arrhenius è una sostanza che incrementa la
concentrazione di ioni H3O + in acqua; una base secondo Arrhenius è
_
una sostanza che incrementa la concentrazione di ioni OH in acqua.
18.2 Acidi e basi secondo
Brønsted-Lowry
L
a teoria di Arrhenius sugli acidi e le basi dominò quasi incontrastata per
i primi due decenni del ventesimo secolo, poi cominciò a vacillare sotto
i colpi delle obiezioni che venivano presentate. Nel 1923 il chimico danese
Johannes Brønsted (1879-1947) e il chimico inglese Thomas Lowry (18741936) proposero, indipendentemente l’uno dall’altro, una nuova teoria che
superava tutte le difficoltà e una nuova definizione di acido e base che ancora oggi mantiene la sua validità.
Secondo la teoria di Brønsted-Lowry, un acido, che può essere una molecola o uno ione, rilascia un idrogenione a condizione che possa trasferirlo a
una base, che è un’altra molecola o un altro ione (figura 18.6).
Il trasferimento dell’idrogenione richiede la contemporanea presenza e
disponibilità di due soggetti, l’acido che lo cede e la base che lo accetta.
Una specie chimica non può cedere un idrogenione, se non vi è un’altra
..
.
H .. Cl
.. .
+
H
.
....
O
...H
.. .–
.. Cl
.. .
+
HCl
+
+
H
..
.
.
O.. H
H ..
+
FIGURA 18.6 L’acido cloridrico HCl ha una notevole tendenza a rilasciare lo ione H +, ma non lo rilascia se non
vi è una specie chimica che possa catturarlo. In acqua la
molecola di HCl cede lo ione H + a una molecola d’acqua,
che lo lega all’atomo di ossigeno con un legame dativo,
formando lo ione ossonio H3O +.
+
H 2O
Cl –
+
H 3O+
I
FIGURA PARLANTE
CH/195
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CAPITOLO
Un idrogenione può essere paragonato a uno schiaffo.
Non lo si può dare se non c’è chi lo riceve e non si
può riceverlo se non c’è chi lo dà. Il numero degli
schiaffi dati è uguale a quello degli schiaffi ricevuti.
18
Acidi e basi
specie che lo accetti; una specie chimica non può accettare un idrogenione,
se non vi è un’altra specie che lo ceda. Il punto nodale della teoria è che in
una reazione acido-base vi è sempre il trasferimento di un idrogenione da
una specie all’altra. L’acido è la specie chimica donatore dell’idrogenione,
la base è la specie chimica accettore.
씰 Un acido è una specie chimica capace di cedere un idrogenione
a una base; una base è una specie chimica in grado di accettare
un idrogenione da un acido.
Le definizioni di acido e di base di Brønsted-Lowry sono più generali rispetto a quelle di Arrhenius, in quanto non si riferiscono esclusivamente
alle soluzioni acquose, ma sono applicabili a tutte le soluzioni.
In base alla teoria di Brønsted-Lowry, possono essere classificati come
acido composti molecolari come l’acido nitrico HNO3 o l’acido perclorico
HClO4 (figura 18.7), ma anche cationi, come lo ione ammonio NH +4:
+
–
HNO3(aq) + H2O(l) ―→
← H3O (aq) + NO 3 (aq)
+
–
HClO4(aq) + H2O(l) ―→
← H3O (aq) + ClO 4 (aq)
+
+
→ NH3(aq) + H3O (aq)
NH 4(aq) + H2O(l) ←―
Analogamente, una base secondo Brønsted-Lowry può essere una specie
molecolare, come l’ammoniaca NH3, oppure un anione, come lo ione carbonato CO 2–
3 :
_
+
→ NH 4(aq)
+ OH (aq)
NH3(aq) + H2O(l) ←―
_
2–
→ HCO –3(aq) + OH (aq)
CO 3(aq) + H2O(l) ←―
FIGURA 18.7 L’acido perclorico è un acido, secondo la
teoria di Brønsted-Lowry, in quanto è in grado di cedere
un idrogenione all’acqua. In soluzione acquosa troviamo
ioni ossonio H3O + e ioni perclorato ClO –4 .
+
H
+
HClO4
+
–
+
+
H 2O
+
H 3O
–
ClO4
18.3 Coppie coniugate acido-base
N
coppia coniugata acido-base 1
+
acido 1
+
base 2
base 1
acido 2
coppia coniugata acido-base 2
FIGURA 18.8 Una reazione tra un acido e una base è considerata da Brønsted-Lowry come un sistema chimico formato da due coppie coniugate acido-base.
el corso di una reazione tra un acido e una base, l’acido cede l’idrogenione alla base e si trasforma lui stesso in una base. Il prodotto della
sua trasformazione è infatti una specie chimica in grado di riacquistare l’idrogenione nella reazione inversa, almeno potenzialmente. La base che deriva da un acido quando questo perde l’idrogenione è chiamata base coniugata dell’acido. In modo del tutto analogo è definito acido coniugato di una
base l’acido che deriva dalla base quando questa acquista un idrogenione.
Le due specie chimiche che differiscono per un idrogenione, cioè l’acido
e la base coniugati, sono chiamate coppia coniugata acido-base (figura 18.
8). L’acido cloridrico HCl e l’acido acetico CH3COOH in soluzione acquosa
danno luogo con le molecole dell’acqua ai seguenti equilibri:
–
+
HCl + H2O ―→
← Cl + H3O
acido
base
base
acido
→ CH3COO– + H3O+
CH3COOH + H2O ←―
acido
base
base
acido
in cui Cl – è la base coniugata di HCl, CH3COO – è la base coniugata di
CH3COOH e H3O+ è l’acido coniugato di H2O. Secondo Brønsted-Lowry,
CH/196
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CAPITOLO
18
Acidi e basi
HCl e CH3COOH si comportano da acidi in quanto cedono un idrogenione
all’acqua; l’acqua si comporta da base in quanto accetta questo idrogenione.
L’acqua presenta un ugual numero di ioni H3O+ e OH –, ma l’aggiunta dell’acido ha fatto aumentare la concentrazione degli ioni ossonio [H3O+].
L’ammoniaca NH3 e lo ione carbonato CO 2–
3 in soluzione acquosa danno
luogo con le molecole dell’acqua ai seguenti equilibri:
→ NH4+ + OH –
NH3 + H2O ←―
base
acido
acido
base
→ HCO –3 + OH –
CO 2–
3 + H2O ←―
base
acido
acido
base
in cui NH 4+ è l’acido coniugato di NH3, HCO –3 è l’acido coniugato di CO 2–
3 e
OH – è la base coniugata di H2O. Secondo Brønsted-Lowry, NH3 e CO 2–
3 si
comportano da basi in quanto accettano un idrogenione dall’acqua; l’acqua
si comporta da acido in quanto cede questo idrogenione. In questi casi l’aggiunta della base ha fatto aumentare la concentrazione degli ioni idrossido
[OH –] dell’acqua.
씰 Ogni reazione acido-base secondo Brønsted-Lowry richiede il
trasferimento di un idrogenione da un acido a una base e presenta
due coppie coniugate acido-base.
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
1. Scrivi l’equazione chimica bilanciata per la reazione di dissociazione ionica dell’acido solforico H2SO4 in acqua, nella quale si forma lo ione idrogenosolfato HSO –4.
Quale specie chimica nella reazione si comporta da acido e quale da base? Identifica le coppie acido-base coniugate.
1. Nelle seguenti reazioni acido-base identifica
quale tra i reagenti, secondo Brønsted-Lowry,
è l’acido e quale la sua base coniugata; specifica anche quale tra i reagenti è la base e
quale il suo acido coniugato.
Scriviamo a sinistra nell’equazione di reazione i due reagenti: H2 SO4 + H2O ⇄ ; scriviamo poi a destra la specie chimica indicata come prodotto, lo ione HSO 4– : H2SO4 +
H2O ⇄ HSO 4– . A questo punto notiamo che lo ione HSO 4– differisce dalla molecola
H2SO4 per un idrogenione H + e quindi è la base coniugata dell’acido solforico H2SO4.
Ciò significa che H2SO4 , che è un acido in base alla teoria di Brønsted-Lowry, cede l’idrogenione all’acqua, che in questo caso si comporta da base nel senso indicato da
Brønsted-Lowry; H2O accetta l’idrogenione e si trasforma nel suo acido coniugato
H3 O +. In definitiva l’equazione completa è: H2SO4 + H2O ⇄ HSO 4– + H3 O +. Le coppie
acido-base coniugate sono le seguenti: H2SO4 / HSO 4– e H3 O + / H2O.
2. Nelle seguenti reazioni acido-base identifica quale tra i reagenti, secondo Brønsted-Lowry, è l’acido e quale la sua base coniugata; specifica anche quale tra i reagenti è la base e quale il suo acido coniugato.
(a) HCO –3 + H2O ⇄ H2CO3 + OH –
(b) HCN + H2O ⇄ CN– + H3O +
(c) HCl + NH3 ⇄ NH +4 + Cl–
2. Scrivi l’equazione chimica bilanciata per la
reazione di dissociazione ionica dell’acido
fosforico H3 PO4 in acqua, nella quale si forma lo ione diidrogenofosfato H2PO –4 . Quale
specie chimica nella reazione si comporta da
acido e quale da base? Identifica le coppie
acido-base coniugate.
(a) HCOOH + H2O ⇄ HCOO– + H3 O+
+
(b) HCO –3 + H2O ⇄ CO 2–
3 + H3 O
(c) NH3 + H2O ⇄ NH +4 + OH–
Nella reazione (a) notiamo che HCOOH e HCOO – differiscono per un idrogenione,
quindi sono una coppia acido-base coniugata HCOOH / HCOO –; poiché HCOOH è la
specie che cede l’idrogenione, esso è l’acido tra i reagenti. Poiché H2 O accetta l’idrogenione, e quindi è la base tra i reagenti, la coppia acido-base coniugata in questo
caso è H3 O + / H2 O. Nella reazione (b) sono HCO 3– e CO32– a differire per un idrogenione; quindi HCO 3– è l’acido tra i reagenti e l’acqua è la base. Le coppie acido-base coniugate sono: HCO 3– / CO32– e H3 O + / H2 O. Nella reazione (c) è l’acqua H2 O che differisce per un idrogenione rispetto a OH –; quindi H2 O è l’acido tra i reagenti e NH3 è la
base; le coppie acido-base coniugate sono H2 O / OH – e NH 4+ / NH3 .
CH/197
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
18
Acidi e basi
18.4 Acidi e basi secondo Lewis
L
a teoria sugli acidi e le basi proposta da Brønsted e Lowry è sicuramente
valida per le reazioni che implicano il trasferimento di un idrogenione,
ma non è sufficiente a spiegare il comportamento di tutte le soluzioni. Una
definizione più generale e più ampia di acido e base fu proposta nel 1930
da Gilbert Lewis (1876-1946), chimico statunitense.
La teoria di Lewis si basa sulla possibilità di condivisione di coppie di
elettroni, cioè di doppietti elettronici (cfr. § 11.6), tra due specie chimiche
in modo da formare legami covalenti dativi: la base le mette a disposizione,
l’acido le accetta. Una specie chimica interpretata come acido o come base
secondo la teoria di Lewis è detta acido di Lewis o base di Lewis. Tra un
acido di Lewis, che accetta una o più coppie di elettroni, e una base di
Lewis, che le mette a disposizione, si stabiliscono uno o più legami dativi.
씰 Un acido di Lewis è una specie in grado di accettare un doppietto
elettronico da una base di Lewis per formare un nuovo legame;
una base di Lewis è una specie in grado di donare un doppietto
elettronico a un acido di Lewis per formare un nuovo legame.
L’acido di Lewis, che accoglie la coppia di elettroni, deve avere perciò
un orbitale libero per condividere il doppietto elettronico della base (figura 18.9). Una reazione acido-base, secondo Lewis, si verifica quando una
molecola, o uno ione, dona una coppia elettronica a un’altra molecola, o
a uno ione. I composti che si formano in queste reazioni sono chiamati
complessi o composti di coordinazione (vedi § 20.7).
A
+
acido
B:
base
→ B:A
complesso acido-base
Teorie su acidi e basi
1887
1923
BRØNSTED-LOWRY
ARRHENIUS
Il concetto di acido e base si è modificato e ampliato nel tempo, passando dalla teoria di Arrhenius a quella di Brønsted-Lowry a quella di Lewis. Oggi si
considerano come acidi o basi anche composti che non
possiedono idrogeni o gruppi idrossido ionizzabili.
FIGURA 18.9
FIGURA 18.10 Sono reazioni acido-base secondo Lewis
quella (A) dell’acido H+ con la base acqua, quella (B) dell’acido H+ con la base ammoniaca, quella (C) dell’acido
AlCl3 con la base ammoniaca, quella (D) del generico metallo M + + con la base acqua. In tutti questi casi l’acido accetta un doppietto elettronico dalla base.
A
1930
LEWIS
L’acido HA si dissocia in
acqua liberando ioni H+
L’acido HA dona un
idrogenione H+ a una base B
L’acido X accetta una coppia
di elettroni da una base B :
La base BOH si dissocia in
acqua liberando ioni OH –
La base B accetta un
idrogenione H+ da un acido HA
La base B : dona una coppia
di elettroni a un acido X
La formazione dello ione ossonio H3O + e la formazione dello ione ammonio NH +4 costituiscono ottimi esempi di reazioni acido-base di Lewis (figura
18.10 A e B). Sono reazioni acido-base di Lewis anche quelle tra specie che
hanno orbitali vuoti, come il tricloruro di alluminio AlCl3, e molecole in
grado di donare doppietti elettronici, come l’ammoniaca NH3, o ancora
quelle tra metalli di transizione e molecole di acqua (figura 18.10 C e D).
C
H +
H
H+ +
O
H
AlCl3 + N
O
H
H
H
H
N
N
H
+
H
H
H
Cl
Cl
H
H
H
B
H+ +
H
H
A
N
Cl
H
H
D
H ++
H
M++ +
O
M
H
CH/198
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O
H
I
FIGURA
PARLANTE
CAPITOLO
18
Acidi e basi
18.5 La ionizzazione e il prodotto
ionico dell’acqua
L’
acqua è in grado di dissociare, oltre ai composti ionici, i composti molecolari in cui sono presenti legami covalenti eteropolari (cfr. § 14.2).
La molecola di acqua è formata proprio da legami covalenti eteropolari. È
lecito domandarsi se anche la stessa molecola di acqua possa essere ionizzata. Accurate misure di conducibilità hanno accertato che, seppure in misura molto limitata, anche l’acqua pura è interessata dalla dissociazione.
Le molecole d’acqua che si ionizzano cedono un idrogenione H + ad altre
molecole d’acqua. Nella reazione si forma lo ione ossonio H3O + e lo ione
idrossido o ossidrilione OH – (figura 18.11).
+
–
+ OH (aq)
H2O(l) + H2O(l) ←― H3O (aq)
La reazione di dissociazione ionica dell’acqua è un esempio di autoionizzazione. Alla luce della teoria di Brønsted-Lowry, l’autoionizzazione dell’acqua non è altro che la reazione di una molecola d’acqua che si comporta
da acido con una molecola d’acqua che si comporta da base.
←
H
....
O ..H
..
+
H
....
O ..H
..
H
....
O ..
..
–
+
+
FIGURA 18.11 Quando una molecola d’acqua si dissocia, cede un idrogenione H + a un’altra molecola d’acqua. Si formano
uno ione idrossido OH – e uno ione ossonio H3O +.
+
+
H 2O
+
H
..
.
O .. H
H...
H 2O
OH –
+
H 3O+
Anche nelle reazioni con l’acido cloridrico HCl e con l’ammoniaca NH3,
che abbiamo incontrato nei paragrafi precedenti, la molecola d’acqua si
comportava da base nel primo caso e da acido nel secondo. Considerando
tutti i vari tipi di reazione in cui è coinvolta, possiamo dire che l’acqua si
comporta da base in presenza di un acido e da acido in presenza di una
base. Per questa sua caratteristica l’acqua è definita elettrolita anfotero.
La dissociazione ionica dell’acqua è una reazione reversibile. Per la legge
di azione di massa (cfr. § 17.4) all’equilibrio abbiamo:
K=
[H3O +]·[OH –]
[H2O] 2
dove K è la costante di dissociazione dell’acqua. Poiché solo pochissime
molecole di acqua si dissociano, circa una ogni mezzo miliardo, la costante K ha valore bassissimo e l’equilibrio è quasi completamente spostato verso sinistra.
L’espressione della costante di dissociazione dell’acqua può anche essere scritta come:
Anfotero • Dal greco amphoteros, termine che significa
«l’uno e l’altro».
Oltre all’acqua esistono altri elettroliti anfoteri, che in
soluzione acida si comportano da basi e in soluzione
basica si comportano da acidi.
K · [H2O ]2 = [H3O +]·[OH –]
e siccome solo pochissime molecole di acqua sono ionizzate, la concentrazione dell’acqua ha un valore costante (circa 55,5 mol/dm3). Il prodotto
K ∙ [H2O]2 è quindi il prodotto di due costanti e può essere espresso come
una nuova costante, indicata con K w e chiamata prodotto ionico dell’acqua. Alla temperatura di 25 °C il prodotto ionico dell’acqua vale 10 –14:
[H3O +]·[OH –] = K w = 1,0·10 –14
CH/199
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CAPITOLO
18
Acidi e basi
씰 Il prodotto delle concentrazioni dello ione ossonio e dello ione
idrossido in acqua ha il valore costante di 1,0 ·10 –14 a 25 °C.
Poiché dalla ionizzazione delle molecole di acqua otteniamo un numero
uguale di ioni ossonio e di ioni idrossido, abbiamo inoltre:
[H3O +]2 = [OH –]2 = K w = 1,0 ·10 –14
da cui:
K w = 1,0 ·10 –7 mol/dm3
[H3O +] = [OH –] = √ ̄
씰 Nell’acqua la concentrazione dello ione ossonio è uguale a quella
dello ione idrossido ed è 1,0 ·10 –7 M.
18.6 Soluzioni acide, basiche e neutre
N
el paragrafo precedente abbiamo visto che nell’acqua pura le due concentrazioni, dello ione ossonio e dello ione idrossido, sono uguali e
valgono 1,0 · 10 – 7 M. Per questo suo equilibrio tra gli ioni, l’acqua è definita neutra, come tutte le soluzioni in cui [H3O +] e [OH –] sono uguali.
씰 Una soluzione neutra ha la concentrazione degli ioni ossonio
uguale a quella degli ioni idrossido.
Se aggiungiamo un acido o una base all’acqua pura, disturbiamo la sua
reazione di dissociazione in equilibrio. In accordo con il principio di Le
Chatelier (cfr. § 17.9), il sistema tende a opporsi alla variazione apportata.
Introducendo un acido, aggiungiamo ioni H 3O +; una piccola frazione di
questi ioni si unisce con gli ioni OH –, che provengono dalla ionizzazione
dell’acqua, e quindi la concentrazione degli ioni OH – diminuisce, mantenendo costante il prodotto [H3O +]·[OH –]. La concentrazione degli ioni
OH – diventa inferiore a 10 –7 M, quella degli ioni ossonio superiore. È
questa la caratteristica distintiva di una soluzione acida.
씰 Una soluzione acida contiene ioni ossonio in concentrazione
superiore agli ioni idrossido, cioè [H 3O +] è maggiore di 10 –7 M.
>1,0 ·10 –7 M
OH –
Concentrazione
H3O+
H3O+ OH –
>1,0 ·10 –7 M
OH –
<1,0 ·10 –7 M
Soluzione
acida
H3O+
Soluzione
neutra
Soluzione
basica
FIGURA 18.12 In una soluzione neutra gli ioni H3O + e
quelli OH – hanno la stessa concentrazione. Se la soluzione
è acida prevalgono gli ioni H3O +, se è basica prevalgono
quelli OH –.
Se, invece, aggiungiamo una base all’acqua, la concentrazione degli ioni
OH – aumenta. Per il principio di Le Chatelier alcuni ioni H3O + reagiscono con gli ioni OH – aggiunti: la concentrazione degli ioni H3O + dell’acqua diminuisce, mantenendo così costante il prodotto [H3O +]·[OH – ]. La
concentrazione degli ioni ossonio H 3O + diventa minore di 10 – 7 M, quella
degli ioni idrossido maggiore. È questa la caratteristica distintiva di una
soluzione basica.
씰 Una soluzione basica contiene ioni idrossido in concentrazione
superiore agli ioni ossonio, cioè [OH – ] è maggiore di 10 –7 M.
Per esempio, una soluzione che abbia [H3O +] = 1,0 ·10 – 4 M è acida; una soluzione nella quale [OH – ] = 1,0 ·10 – 5 M, e quindi in cui [H3O +] = 1,0 ·10 – 9 M, è
basica (figura 18.12).
Riassumendo possiamo dire che:
I
+
–
• in una SOLUZIONE NEUTRA [H3O ] = [OH ] = 1,0 ·10 –7 M;
+
–
• in una SOLUZIONE ACIDA [H3O ] > [OH ],
FIGURA PARLANTE
cioè
[H3O +] > 10 –7 M e [OH – ] < 10 –7 M;
+
–
• in una SOLUZIONE BASICA [H3O ] < [OH ],
cioè
[H3O +] < 10 –7 M e [OH – ] > 10 –7 M.
CH/200
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CAPITOLO
18.7
18
Acidi e basi
Il pH
Q
uando si studiano soluzioni acquose di acidi e di basi e si considerano in relazione alla loro acidità o basicità, non è pratico fare riferimento alla concentrazione molare degli ioni H3O + o degli ioni OH – . I calcoli con questi valori così bassi di concentrazione espressi in mol/L sono
scomodi e complicati e richiedono sempre il ricorso a notazioni esponenziali che arrivano fino a 10 –14. Per ovviare a questo inconveniente nel
1909 il biochimico danese Sören Sörensen (1868-1939) propose di utilizzare una nuova notazione, che prese il nome di pH (pi-acca).
씰 Il pH di una soluzione è il logaritmo negativo in base 10 della
concentrazione dello ione ossonio, cioè pH = –log 10 [H 3O +].
Il valore del pH è dato dall’esponente cambiato di segno della potenza in
base 10 che esprime la concentrazione degli idrogenioni, o meglio degli ioni
ossonio, della soluzione. Per esempio, una soluzione la cui concentrazione
dello ione ossonio è 10 –9 M ha pH = 9. Infatti, l’esponente di 10 nel numero
che esprime la concentrazione è –9; se cambiamo di segno otteniamo 9.
Una soluzione che presenta [H3O +] = 1 M ha pH = 0, perché la potenza in
base 10 che corrisponde al valore di concentrazione 1 M è 100.
Così come abbiamo fatto per gli ioni H3O + con il pH, possiamo riferirci
a una notazione analoga anche per gli ioni OH – con la grandezza denominata pOH (pi-oacca).
La lettera «p» si riferisce al termine danese potenz
«potenza», intesa in senso matematico, per indicare
il fatto che, posta davanti a una grandezza, bisogna
calcolarne il logaritmo negativo. La lettera «p» di
fatto equivale a «–log». Pertanto il pH è il logaritmo
cambiato di segno della concentrazione degli ioni H +,
o meglio degli ioni H3O+.
ATTIVITÀ
Scala del pH
10 0 = 1;
n 0 = 1;
qualunque numero elevato a 0 è uguale a 1.
씰 Il pOH di una soluzione è il logaritmo negativo in base 10 della
concentrazione dello ione idrossido, cioè pOH = –log 10 [OH –].
Per risalire alla concentrazione di ioni ossonio di una soluzione noto il
valore del pH, o per ricavare il valore di [OH – ] noto il pOH, eseguiamo le
operazioni inverse. Per esempio, se una bevanda analcolica ha pH = 3, la
sua concentrazione di ioni ossonio è pari a 10 – 3. In generale abbiamo:
[H3O +] = 10 – pH
[OH – ] = 10 – pOH
Sappiamo che in acqua pura a 25 °C le concentrazioni dello ione ossonio
e dello ione idrossido sono entrambe 1·10 – 7 M. Rifacendosi alla definizione
di pH, per l’acqua abbiamo:
pH = –log [H3O +] = – log (1,0 ·10 – 7) = 7;
pOH = –log [OH – ] = – log (1,0 ·10 – 7) = 7.
Nel caso dell’acqua e in generale delle soluzioni neutre, che hanno
–
[H 3O +] = [OH ], i valori di pH e di pOH sono uguali: pH = pOH = 7. Se ci
riferiamo alla relazione del prodotto ionico dell’acqua K w ed eseguiamo il
logaritmo negativo di entrambe le parti dell’espressione, abbiamo:
Kw = [H3O +]·[OH – ] = 1,0 ·10 – 14
log Kw = –log ([H3O +]·[OH – ]) = –log (1,0 ·10 – 14)
pKw = –log [H3O +] + (–log [OH – ]) = 14
pKw = pH + pOH = 14
Così come il prodotto ionico dell’acqua K w è costante in tutte le soluzioni, per tutte le soluzioni i valori di pH e pOH devono essere tali che la loro
somma sia uguale a 14. Per esempio, se una soluzione ha [OH – ] = 1 M, il
suo pOH è uguale a 0. Sapendo che pK w = 14, il valore del pH è ricavato
per differenza: pH = pK w – pOH = 14 – 0 = 14.
I valori della scala del pH sono compresi tra due estremi, 0 e 14. Una soluzione neutra come l’acqua ha pH = 7. I valori di pH inferiori a 7 indicano
soluzioni acide. Quanto più il valore di pH è basso, tanto più la soluzione è
acida. Viceversa, valori di pH superiori a 7 indicano soluzioni basiche.
Quanto più il valore di pH è elevato, tanto più la soluzione è basica.
CH/201
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CAPITOLO
18
Acidi e basi
씰 Una soluzione è acida se il pH è minore di 7, neutra se il pH è
uguale a 7, basica se il pH è maggiore di 7.
Nella tabella 18.1 e nella figura 18.13 sono riportati i valori delle concentrazioni degli ioni H3O + e OH – e i corrispondenti valori di pH e pOH. La tabella 18.2 riporta i valori tipici di pH di alcune comuni soluzioni. Questi e
altri dati sono visualizzati nella figura 18.14. È importante notare che:
• il pH aumenta quando la concentrazione degli ioni ossonio diminuisce;
+
–
• il prodotto [H3O ]·[OH ] è sempre 1,0 ·10 – 14; pertanto la somma degli
esponenti di 10 nelle corrispondenti concentrazioni di [H3O +] e di [OH – ]
è sempre 14;
–14
Acida
Acida
Acida
Acida
Acida
Acida
Acida
Neutra
Basica
Basica
Basica
Basica
Basica
Basica
Basica
10 – 14
10 –2
10 – 12
10 –4
10 – 10
10 –7
10 –7
soluzioni
neutre
10 – 8
10 –6
10 – 10
[OH–]
10 – 8
10 – 6
10 –4
asi
ib
on
10 – 12
10 –2
e
ch
10 – 14
10 0
0
2
6 7 8
4
10 12 14
pH
FIGURA 18.13 In ogni soluzione la somma tra pH e pOH è
14, mentre il prodotto delle concentrazioni degli ioni ossonio e degli ioni idrossido è 10 –14. Si noti che al variare di
una unità di pH, le concentrazioni di ioni ossonio e di ioni
idrossido variano di 10 volte.
acido cloridrico (HCl) 0,1M
succo gastrico
succo di limone
aceto
acqua di seltz
succo di pomodoro
caffè
pelle
latte
Basicità
Valore del pH di alcune comuni soluzioni.
0
uzi
0
2,0
2,3
2,3
2,9
3,5
4,2
6,2
6÷6,5
6,5
7
7,4
8,4
8,4÷9,0
10,5
14
2
sol
Acido cloridrico HCl 1 M
Succo gastrico
Coca cola
Succo di limone
Aceto
Acqua di seltz
Succo di pomodoro
Urina
Acqua gassata
Latte
Acqua pura
Sangue
Acqua di mare
Sapone da toilette
Ammoniaca (detergente domestico)
Idrossido di sodio NaOH 1 M
4
e
pH
87 6
cid
Soluzione
10
10 0
ia
10
10–13
10–12
10–11
10–10
10–9
10–8
10–7
10–6
10–5
10–4
10–3
10–2
10–1
100
TABELLA 18.1 Valori del pH e del pOH e corrispondenti valori della concentrazione di ioni ossonio e di ioni idrossido.
TABELLA 18.2
pOH
14 12
on
10
10–1
10–2
10–3
10–4
10–5
10–6
10–7
10–8
10–9
10–10
10–11
10–12
10–13
10–14
Proprietà
della soluzione
uzi
14
13
12
11
10
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
0
[OH]–
sol
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
[H3O]+
[H3O+]
pOH
Acidità
pH
sangue
bile
acqua di mare
sapone
latte di magnesia
ammoniaca uso domestico
soda caustica (NaOH) 0,1M
pH
2
4
6
8
10
12
FIGURA 18.14
Valori del pH di alcune soluzioni fisiologiche o di frequente uso. Le soluzioni sono disposte dall’alto
in basso in ordine decrescente di acidità e quindi in ordine
crescente di pH.
CH/202
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CAPITOLO
18
Acidi e basi
• il pH può assumere anche valori decimali. Per esempio, il pH di una soluzione in cui [H3O +] = 5,0 ·10 – 4 è 3,3. Un simile calcolo richiede conoscenze matematiche un po’ più approfondite o l’uso di una calcolatrice
scientifica.
Per la misura rapida e diretta del pH delle soluzioni si usa uno strumento
chiamato pH-metro. Immergendo nella soluzione lo speciale elettrodo di
questo apparecchio, si legge sul quadrante il valore del pH (figura 18.15).
Il pH-metro permette di seguire «in diretta» le variazioni di pH che avvengono durante lo svolgimento delle reazioni. Prima di eseguire la misura,
però, occorre calibrare accuratamente lo strumento attraverso il confronto
con soluzioni a pH noto. Inoltre, poiché il valore del prodotto ionico dell’acqua varia con la temperatura e vale 1,0 ·10 – 14 solo a 25 °C, occorre apportare una correzione al valore del pH rilevato dallo strumento. Molti pHmetri in commercio misurano anche la temperatura della soluzione e correggono automaticamente i valori.
A
APPROFONDIMENTO
Le piogge acide
FIGURA 18.15
Il pH-metro è lo strumento per la misura
del pH delle soluzioni. I modelli di pH-metro più sensibili
consentono di apprezzare variazioni di 0,01 unità di pH.
Oltre che nei laboratori di ricerca, i pH-metri sono
usati nelle aziende alimentari per controllare il pH,
per esempio, dei formaggi, dei salumi e in genere dei
prodotti conservati. Altre applicazioni dello strumento
si hanno nella manutenzione degli acquari e in agricoltura per il dosaggio dei concimi e per l’analisi del
pH del terreno.
finiti neutri per la pelle. Il termine neutro
non si riferisce al valore del pH della soluzione, ma al fatto che hanno un valore di
acidità simile a quello della pelle.
Nei prodotti cosmetici sono presenti diverse sostanze con azioni specifiche sulla
pelle: idratanti, isolanti, protettive, elasticizzanti, ammorbidenti, nutrienti ecc. Questi prodotti in genere non alterano il pH
normale, perché nella loro formulazione si
cura che gli effetti sul pH si bilancino.
L'impiego continuo ed eccessivo di questi
prodotti può però portare a un affaticamento della pelle: il miglioramento estetico può alla fine rivelarsi effimero e l'intervento controproducente.
Il pH della pelle
CH/203
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
PER SAPERNE DI PIÙ
Gli acidi sono molto attivi nei confronti
dei microrganismi, hanno una azione antimicrobica e antibatterica e quindi proteggono dalle infezioni. La nostra pelle ha un
pH intorno a 6 e il mantenimento del valore acido è importante per la difesa degli
strati sottostanti.
Quando ci laviamo col sapone, che in
genere ha reazione basica, il pH della pelle
sale e, se il contatto col sapone è protratto a lungo, la pelle diventa più esposta a
infezioni. Per bilanciare questo effetto, le
cellule dell’epidermide producono rapidamente acido lattico, un acido debole che
riporta il pH al valore iniziale.
Esistono in commercio saponi liquidi de-
CAPITOLO
18
Acidi e basi
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
3. Calcola il pH e il pOH di una soluzione la cui concentrazione degli ioni ossonio
[H3 O +] è 0,003 M.
3. Calcola il pH di una soluzione la cui concentrazione dello ione ossonio [H3 O +] è 0,1 M.
La concentrazione degli ioni ossonio, scritta con la notazione esponenziale in base
10, è [H3 O +] = 10 –3 M. Sapendo che pH = -log [H3 O +], ricaviamo:
pH = -log 10 –3 = –(–3) = 3
Il valore del pOH si ricava dalla relazione pH + pOH = 14, da cui abbiamo:
pOH = 14 – pH = 14 – 3 = 11
4. Una soluzione di idrossido di potassio KOH ha
pH = 11. Qual è la concentrazione molare degli ioni [OH – ] nella soluzione?
4. Un campione di acqua di mare ha pH uguale a 8. Qual è la concentrazione molare degli ioni ossonio [H3 O +] nella soluzione?
Utilizziamo la relazione tra concentrazione degli ioni e pH ricavata come formula
inversa dalla definizione di pH: [H3 O +] = 10 – pH. Per il campione di acqua di mare
abbiamo:
[H3 O +] = 10 – 8 M
18.8 Elettronegatività e comportamento
acido, basico o anfotero
E
Composto
acido
.. – H+
....X ....
O
.. ..
–
X
O
H+
Alta
..
Elettrolita
anfotero
Composto
basico
X....
O .. H
X
X+
X
+
O
Media
come
l’idrogeno
H
.. ..
.. H –
O
..
–
O
H
Bassa
ELETTRONEGATIVITÀ DELL’ELEMENTO X
La forza di un legame covalente diminuisce all’aumentare della sua polarità.
FIGURA 18.16 Il valore di elettronegatività dell’elemento X
determina le caratteristiche acide, basiche o anfotere dei
composti del tipo X ⎯ O ⎯ H. Se il valore di elettronegatività di X è superiore a quello dell’idrogeno, il composto è
un acido; se è inferiore è una base; se è all’incirca uguale è
un elettrolita anfotero.
sistono centinaia di composti con comportamento acido e altrettanti con
comportamento basico. È possibile, esaminando una formula mai vista,
riconoscere se il composto rappresentato tende a comportarsi da acido o da
base? Sì, occorre un po’ di attenzione, ma non è difficile.
Esaminiamo il composto X ⎯ O ⎯ H, in cui X rappresenta un generico
elemento chimico. L’ossigeno ha un alto valore di elettronegatività (3,5),
cioè ha una forte tendenza ad attirare su di sé gli elettroni dei legami che
l’uniscono agli atomi H e X. Se X è un elemento degli ultimi gruppi del Sistema periodico, e quindi anch’esso ha un’alta elettronegatività, l’ossigeno
non riesce ad attirare su di sé gli elettroni del legame X ⎯ O. L’ossigeno, invece, attira fortemente gli elettroni del legame O ⎯ H, indebolendolo. In acqua perciò abbiamo:
X ⎯ O ⎯ H ⇄ X ⎯ O– + H +
e il composto XOH si comporta da acido. Sono acidi, per esempio, i composti
ClOH (acido ipocloroso), BrOH (acido ipobromoso), IOH (acido ipoiodoso).
Se X è invece un elemento dei primi gruppi del Sistema periodico o un
elemento di transizione, cioè un elemento che ha un basso valore di elettronegatività (inferiore comunque a quello dell’idrogeno), l’ossigeno attira con
facilità su di sé gli elettroni del legame X ⎯ O, indebolendolo. In acqua perciò abbiamo:
X ⎯ O ⎯ H ⇄ X + + OH –
e il composto XOH si comporta da base. Sono basi, per esempio, i composti
NaOH, KOH, LiOH, rispettivamente idrossido di sodio, di potassio e di litio.
Consideriamo ora il caso in cui l’elemento X abbia un valore medio di
elettronegatività, cioè sia idrogeno o un elemento dei gruppi intermedi.
Come si comporta il composto XOH in questo caso? Si comporta da acido se
è in presenza di una base, da base se è in presenza di un acido, cioè si comporta da elettrolita anfotero. Se X è l’idrogeno, abbiamo l’acqua H ⎯ O ⎯ H,
che è appunto un elettrolita anfotero (figura 18.16).
씰 Un generico composto X — O — H si comporta da acido, da base o da
elettrolita anfotero a seconda che X abbia, rispettivamente, un valore
alto, basso o medio di elettronegatività.
CH/204
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
18
Acidi e basi
In questi esempi abbiamo considerato composti ternari del tipo X ⎯ O ⎯ H,
piuttosto comuni. Si conoscono, però, composti a comportamento acido che
non presentano atomi di ossigeno tra l’elemento X molto elettronegativo e
l’idrogeno. L’elemento molto elettronegativo attira su di sé gli elettroni di
legame e, in soluzione con l’aiuto dell’acqua, libera facilmente l’idrogenione. L’acido cloridrico HCl, per esempio, si dissocia in acqua cedendo un
idrogenione e formando lo ione cloruro Cl –.
Se invece, come nel caso degli idruri, l’elemento X è un metallo con basso valore di elettronegatività, l’acqua non è in grado di strappare l’idrogenione. Questo è il motivo per cui gli idruri, a differenza degli idracidi, in
soluzione acquosa non si comportano da acidi.
18.9 Costante di dissociazione e forza
di acidi e basi
C
erchiamo di definire in maniera quantitativa la capacità degli acidi o
delle basi di interagire con l’acqua in soluzione, cioè la loro tendenza a
dissociarsi. Si potrebbe, per esempio, misurare il pH di una serie di soluzioni di acidi a uguale concentrazione: più basso il valore del pH, più idrogenioni sono liberati, più l’acido è dissociato.
Tutti gli acidi e le basi in soluzione si dissociano in ioni e quindi sono
elettroliti. Possono essere, però, elettroliti forti o deboli, cioè possono dissociarsi molto o poco. Acidi e basi che in acqua sono molto dissociati sono
detti acidi forti e basi forti. In questo caso l’equilibrio della reazione di dissociazione è spostato verso destra e la costante di equilibrio ha un valore
alto. Per un acido forte si può assumere che la concentrazione degli ioni
H 3O + in soluzione sia uguale alla concentrazione dell’acido prima della dissociazione, come avviene per l’acido nitrico HNO3; un’analoga considerazione vale per gli ioni OH – delle basi forti, come nell’idrossido di sodio NaOH:
ATTIVITÀ
Soluzioni acide e basiche
O
HNO3 + H2O → H3O + + NO –3
H3C
O
NaOH → Na+ + OH –
C
Acidi e basi che in acqua sono parzialmente dissociati sono detti acidi
deboli e basi deboli. Un acido debole in acqua ha la concentrazione degli
ioni H3O + sempre molto inferiore rispetto alla concentrazione dell’acido
prima della dissociazione; stessa situazione vale per gli ioni OH – di una
base debole (figura 18.17). L’equilibrio della loro dissociazione è fortemente spostato a sinistra e il valore della costante K è basso: K < 1. Prendiamo in considerazione due acidi deboli, l’acido acetico CH3 COOH e l’acido cianidrico HCN, e scriviamo le reazioni di dissociazione e le relative
costanti di equilibrio:
→ CH3COO – + H3O +
CH3COOH + H2O ←―
CH3
N
N
H
O
HO
N
N
CH3
A
Acido formico
B
Caffeina
→ CN – + H3O +
HCN + H2O ←―
HO
K=
–
+
[CH3COO ] [H3O ]
[CH3COOH] [H2O]
K=
–
+
O
O
[CN ] [H3O ]
[HCN] [H2O]
C
O
CH3
CH3
HO
Poiché la concentrazione dell’acqua [H2O] può essere considerata costante, la costante di equilibrio diventa:
Ka =
[CH3COO –] [H3O +]
[CH3COOH]
Ka =
[CN – ] [H3O +]
[HCN]
dove Ka è la costante di dissociazione dell’acido. Analogamente, per le basi
facciamo riferimento a Kb, la costante di dissociazione della base. Per una
base debole come l’ammoniaca NH3 abbiamo:
→ NH +4 + OH –
NH3 + H2O ←―
O
C Acido acetico
D
Acido
acetilsalicilico
FIGURA 18.17 Molte sostanze presenti in natura e molte
altre preparate in laboratorio hanno caratteristiche di acido
o di base debole. (A), le formiche per difendersi rilasciano
una sostanza irritante, l’acido formico, un acido debole.
(B), la sostanza stimolante presente nel caffè è la caffeina,
una base debole. (C), l’acido acetico, un acido debole, è il
componente principale dell’aceto. (D), l’aspirina, farmaco
ad azione analgesica, è un acido debole.
CH/205
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
18
Acidi e basi
K=
[OH – ] [NH +4]
[NH3] [H2O]
[OH – ] [NH +4]
[NH3]
Kb =
L’esame della tabella 18.3, che si riferisce ai principali acidi sia forti sia
deboli, ci permette di evidenziare alcuni punti importanti:
• un valore elevato di Ka indica che i prodotti nella reazione di dissociazione sono favoriti rispetto ai reagenti e quindi l’acido è forte;
La relazione
Kw = Ka · Kb = 10 –14
può essere espressa utilmente in forma logaritmica:
–log Kw = –log (Ka · Kb) = –log Ka + (–log Kb)
ovvero
pKw = pKa + pKb = 14
• gli acidi più forti sono quelli in alto, poiché il valore di Ka diventa sempre minore scendendo nella tabella; le basi più forti sono quelle in basso,
poiché il valore di Kb diminuisce salendo lungo la tabella;
• più forte è l’acido, più debole è la sua base coniugata; più debole è l’acido, più forte è la sua base coniugata; maggiore è il valore di K a in una
coppia acido-base coniugata, minore è il valore di K b, e viceversa; il prodotto K a · Kb è uguale a 10–14.
TABELLA 18.3 Costante di dissociazione Ka dei più comuni
acidi, loro base coniugata e costante di dissociazione Kb
della base coniugata. I primi sei valori di Ka e Kb sono così
estremi da rendere impossibile una loro precisa determinazione. Il prodotto di Ka per Kb è sempre uguale a 10 –14.
BA S I F O R T I :
LiOH, NaOH, KOH, RbOH, CsOH, Ba(OH)2, Sr(OH)2
b
Perclorico
Solforico
Permanganico
Cloridrico
Bromidrico
Nitrico
Solforoso
Ione idrogenosolfato
Cloroso
Fosforico
Fluoridrico
Nitroso
Formico
Benzoico
Acetico
Carbonico
Solfidrico
Ione idrogenosolfito
Ipocloroso
Ione ammonio
Cianidrico
Ione idrogenocarbonato
Acqua
HClO4
H2SO4
HMnO4
HCl
HBr
HNO3
H2SO3
HSO –4
HClO2
H3PO4
HF
HNO2
HCOOH
C6H5COOH
CH3COOH
H2CO3
H2S
HSO–3
HClO
NH+4
HCN
HCO–3
H2O
Ka
Base
coniugata
Kb
Molto alto
Molto alto
Molto alto
Molto alto
Molto alto
Molto alto
1,2 · 10–2
1,2 · 10–2
1,0 · 10–2
7,5 · 10–3
7,2 · 10–4
4,5 · 10–4
1,8 · 10–4
6,3 · 10–5
1,8 · 10–5
4,2 · 10–7
1,0 · 10–7
6,2 · 10–8
3,5 · 10–8
5,6 · 10–10
4,0 · 10–10
4,8 · 10–11
1,0 · 10–14
ClO –4
HSO–4
MnO–4
Cl –
Br –
NO –3
HSO–3
SO 24–
ClO –2
H2PO –4
F–
NO –2
HCOO–
C6H5COO–
CH3COO–
HCO–3
HS –
SO 23–
ClO–
NH3
CN –
CO 23–
OH –
Molto basso
Molto basso
Molto basso
Molto basso
Molto basso
Molto basso
8,3 · 10–13
8,3 · 10–13
1,0 · 10–12
1,3 · 10–12
1,4 · 10–11
2,2 · 10–11
5,6 · 10–11
1,6 · 10–10
5,6 · 10–10
2,4 · 10–8
1,0 · 10–7
1,6 · 10–7
2,9 · 10–7
1,8 · 10–5
2,5 · 10–5
2,1 · 10–4
1,0
Aumento della forza basica
Il modo migliore per riconoscere subito tra gli acidi e le
basi quelli che sono forti, distinguendoli dai deboli, è cercare di memorizzare gli acidi e le basi forti, perché si tratta di un numero limitato di composti. Tutti gli altri acidi e
basi sono deboli.
AC I D I F O R T I :
HCl, HBr, HI, HNO3, H2SO4, HClO4
Aumento della forza acida
Acido
Fin qui abbiamo considerato acidi con un solo idrogeno, che quindi
possono cedere un solo idrogenione, come l’acido cloridrico HCl e l’acido
nitrico HNO3. Questi composti sono chiamati acidi monoprotici. Altri acidi, le cui molecole contengono più atomi di idrogeno, riescono con la dissociazione a liberare più idrogenioni. Queste sostanze sono chiamate acidi poliprotici o, in modo più specifico, acidi diprotici, triprotici o tetraprotici a seconda che possano cedere due, tre o quattro idrogenioni.
Come risulta dalla tabella 18.4, a ogni reazione di dissociazione corrisponde un valore di costante di dissociazione K a. Il valore di K a diminuisce man mano che diminuiscono gli idrogeni ionizzabili.
Analogamente agli acidi poliprotici, alcune basi, quelle che contengono
più gruppi OH – , possono rilasciare più ioni idrossido. Queste sostanze
vengono chiamate basi polibasiche. Per esempio, il diidrossido di calcio
Ca(OH)2, che si dissocia liberando due ioni OH – , è una base dibasica,
mentre il triidrossido di alluminio Al(OH)3, che può liberare tre ioni
idrossido, è una base tribasica.
SCHEDA DI LABORATORIO
Forza degli acidi
CH/206
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CAPITOLO
Acido
Reazione di dissociazione
18
Acidi e basi
Ka
Monoprotico
HNO2
HNO2 + H2O ⇄ H3O + + NO –2
4,5 · 10–4
Diprotico
H2CO3
H2CO3 + H2O ⇄ H3O + + HCO–3
4,2 · 10–7
HCO–3 + H2O ⇄ H3O + + CO 23–
4,8 · 10–11
H3PO4 + H2O ⇄ H3O + + H2PO –4
7,5 · 10–3
H2PO –4 + H2O ⇄ H3O + + HPO 24–
6,2 · 10– 8
HPO 24– + H2O ⇄ H3O + + PO 43–
4,8 · 10–13
Triprotico
H3PO4
TABELLA 18.4 Reazioni di dissociazione e relative Ka di
un acido monoprotico, di un acido diprotico e di un acido triprotico. Negli acidi poliprotici il valore della costante di dissociazione Ka diminuisce con la diminuzione degli idrogeni ionizzabili, in quanto è più facile separare lo
ione H+ da una molecola neutra.
18.10 Calcolo del pH delle soluzioni
C
ome abbiamo visto nel paragrafo precedente, nel caso di acidi e basi
forti la concentrazione dello ione ossonio o dello ione idrossido è
uguale a quella dell’elettrolita di partenza. In pratica, una soluzione 0,1 M
di un acido forte come l’acido nitrico HNO3 ha una concentrazione di ioni
[H3O +] = 0,1 M. Il suo pH si ottiene dal logaritmo negativo di [H3O +]:
pH = – log [H3O +] = – log 10 – 1 = – (–1) = 1
Allo stesso modo una soluzione 0,1 M di NaOH, che è una base forte, ha
una concentrazione di ioni OH – 0,1 M e il suo pOH si ricava dalla relazione:
pOH = – log [OH – ] = – log 10 – 1 = – (–1) = 1
Dato che in tutte le soluzioni pH + pOH = pK w = 14, il pH della soluzione 0,1 M di NaOH è:
pH = pK w – pOH = 14 – 1 = 13
Nel caso di acidi o di basi deboli, che si dissociano parzialmente in soluzione acquosa, la concentrazione di ioni ossonio o di ioni idrossido in
soluzione è sempre inferiore alla concentrazione dell’elettrolita di partenza. Di conseguenza il pH di un acido debole è sempre più alto del pH di
un acido forte alla stessa concentrazione e il pOH di una base debole è
sempre più basso del pOH di una base forte alla stessa concentrazione.
Per determinare il pH delle soluzioni di acidi e di basi deboli occorre
considerare l’entità della dissociazione dell’elettrolita, cioè la sua K a nel
caso di acidi o la sua K b nel caso di basi. Vediamo come possiamo determinare, per esempio, il pH di una soluzione 0,1 M di acido acetico CH3COOH,
la cui costante di dissociazione K a è 1,8 ∙ 10 – 5. Per prima cosa scriviamo la
reazione di dissociazione e la relativa costante di dissociazione K a.
→ CH3COO – + H3O +
CH3COOH + H2O ←―
Ka =
[CH3COO – ]·[H3O +]
[CH3COOH]
Per calcolare il pH della soluzione occorre determinare la concentrazione
degli ioni H3O +. Dalla reazione di dissociazione è evidente come la concentrazione dello ione ossonio H3O + sia uguale alla concentrazione dello ione
CH3COO – , per cui al numeratore possiamo scrivere:
[H3O +] · [CH3COO – ] = [H3O +]2
Inoltre, il valore della K a è molto piccolo. L’acido acetico è così poco dissociato che la sua concentrazione [CH3COOH] all’equilibrio può essere ragionevolmente considerata uguale alla concentrazione iniziale dell’acido
C a. La relazione della costante di dissociazione K a diventa perciò:
Ka =
da cui:
[H3O +]2
= 1,8 · 10 – 5
Ca
 ̄ = 1,3 · 10 – 3 M
[H3O +] = √ ̄
1,8 ̄ ̄ ̄
· 10 – 5 ̄
· ̄
Ca = √ ̄ ̄ ̄ ̄
1,8 · 10 – 5  ̄
· 0,1
CH/207
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CAPITOLO
18
Acidi e basi
Una volta determinata la concentrazione degli ioni H3O +, il pH della soluzione si calcola attraverso la relazione:
pH = – log [H3O +] = – log 1,3 · 10 – 3 = 2,9
Quanto abbiamo appena definito per l’acido acetico vale per tutti gli acidi deboli, per cui generalizzando:
K a ̄
· ̄
Ca
[H3O +] = √ ̄
Le stesse considerazioni possono essere estese anche alle basi deboli:
K b ̄
· ̄
Cb
[OH – ] = √ ̄
dove Cb è la concentrazione iniziale della base. Il pH di un acido debole e il
pOH di una base debole possono essere ricavati nel seguente modo:
· ̄
Ca
pH = – log √ ̄
K a ̄
pOH = – log √ ̄
K b ̄
· ̄
Cb
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
5. Calcola il pH di una soluzione di acido perclorico HClO4, un acido forte, la cui
concentrazione molare è 10 – 4 M.
5. Calcola il pH di una soluzione 0,10 M di acido acetico CH3COOH (K a = 1,8·10 –5).
Quando un acido forte viene posto in acqua, si dissocia completamente:
6. Qual è il pH di una soluzione 10 –2 M di ammoniaca NH3 (K b = 1,8·10 –5)?
HClO4 + H2O → H3
O+
–
+ ClO 4
Ciò significa che la concentrazione degli ioni H3 O + corrisponde a quella dell’acido
perclorico HClO4 , cioè è anch’essa 10 – 4 M. Sapendo che pH = –log [H3 O +], ricaviamo: pH = –log 10 – 4 = –(–4) = 4
6. L’idrossido di sodio NaOH è una base forte. Qual è il pH di una sua soluzione a
concentrazione 10 – 2 M?
Essendo NaOH una base forte, lo consideriamo completamente dissociato:
NaOH → Na + + OH –
Pertanto la concentrazione 10 – 2 M dell’idrossido di sodio è anche la concentrazione degli ioni OH –. Possiamo calcolare allora il pOH:
pOH = –log [OH –] = –log 10 – 2 = –(–2) = 2
Il valore del pH si ricava dalla relazione: pH + pOH = 14, da cui abbiamo:
pH = 14 – pOH = 14 – 2 = 12
7. L’acido benzoico C6H5COOH è un acido debole, la cui costante di dissociazione
K a è 6,3 · 10 –5. Calcola il pH di una sua soluzione 10 –1 M.
Gli acidi deboli in soluzione acquosa si dissociano parzialmente. Scriviamo prima
l’equazione chimica e poi l’espressione della costante di dissociazione Ka :
→ C6H5COO – + H3 O +;
C6H5COOH + H2O ←―
Ka =
[C6H5COO –] [H3 O +]
[C6H5COOH]
Per calcolare il pH dobbiamo risalire al valore della concentrazione degli ioni
H3 O +. Nella reazione di dissociazione si formano quantità identiche di C6H5COO – e
H3 O +, per cui abbiamo:
[C6H5COO –] = [H3 O +] = x
Inoltre, la concentrazione dell’acido benzoico [C6H5COOH] all’equilibrio diminuisce
in modo trascurabile rispetto alla concentrazione dell’acido iniziale Ca , in quanto
l’acido benzoico è debole e quindi poco dissociato. La relazione della Ka diventa:
Ka = x 2/Ca ;
cioè
6,3 · 10 – 5 = x 2/10 – 1,
da cui x = √ ̄ ̄ ̄ ̄ ̄ ̄ ̄ ̄
6,3 · 10 – 5 × 10 – 1 = √ ̄ ̄ ̄ ̄
6,3 · 10 – 6 = 2,5 · 10 – 3 M.
Avendo trovato il valore di [H3 O +], possiamo risalire al pH della soluzione:
pH = –log [H3 O +] = –log 2,5 · 10 – 3 = 2,6
CH/208
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CAPITOLO
18
Acidi e basi
18.11 Elettronegatività e forza
di acidi e basi
S
iamo già in grado di capire, studiando la formula di un composto, se si
tratta di un acido o di una base. Cerchiamo ora di determinare dalla formula se l’acido, o la base, è forte o debole.
Consideriamo tre composti del tipo generico HOX, in cui X è un elemento del gruppo 17 del Sistema periodico:
acido ipocloroso
H ⎯ O ⎯ Cl,
acido ipobromoso H ⎯ O ⎯ Br,
acido ipoiodoso
H ⎯ O ⎯ I.
Questi composti sono tutti e tre acidi, perché il cloro, il bromo e lo iodio hanno valori di elettronegatività relativamente alti, rispettivamente 3;
2,8; 2,5. Il cloro, che ha un’elettronegatività maggiore di quella degli altri
due elementi, ha maggiore tendenza ad attirare su di sé gli elettroni di legame. L’acido ipocloroso cede lo ione H + più facilmente degli altri due
acidi e, quindi, è più dissociato e più forte. L’acido ipoiodoso è il meno
dissociato e il meno forte dei tre.
I composti idrossido di litio LiOH, idrossido di sodio NaOH e idrossido
di potassio KOH sono basi, in quanto il litio, il sodio e il potassio sono
elementi del gruppo 1 del Sistema periodico. Il potassio ha una elettronegatività minore degli altri due elementi e quindi ha maggiore tendenza a
cedere all’ossigeno gli elettroni di legame. L’idrossido di potassio è più
dissociato delle altre due basi ed è perciò una base più forte.
Per quanto riguarda la forza degli idrossidi, un altro criterio cui riferirsi
è quello della solubilità. Gli idrossidi più solubili sono le basi più forti:
LiOH, NaOH e KOH sono molto solubili; Ba(OH)2 è un po’ meno solubile;
gli altri idrossidi sono quasi tutti poco solubili e hanno bassi valori della
costante di dissociazione K b (tabella 18.5). L’ammoniaca NH3, un altro
composto di uso comune, è una base debole. Infatti, all’equilibrio la reazione tra ammoniaca e acqua è spostata verso sinistra, con la netta prevalenza dei reagenti sui prodotti.
Esaminiamo ora gli acidi indicati nella figura 18.18. In questi quattro acidi lo stesso elemento, il cloro, è legato al gruppo OH. In tre di questi acidi,
però, all’atomo di cloro sono legati altri atomi di ossigeno, i quali attirano
fortemente gli elettroni. Quanti più atomi di ossigeno sono legati all’atomo
di cloro, tanto più il cloro attira a sé gli elettroni del legame O ⎯ H. Con un
numero maggiore di atomi di ossigeno l’idrogenione viene ceduto più facilmente, il composto è più dissociato e l’acido è più forte.
Acido ipocloroso
H
O
Cl
Acido cloroso
H
O
Cl
O
Base
Diidrossido di calcio
Diidrossido di manganese
Diidrossido di magnesio
Diidrossido di argento
H
O
Cl
H
O
Cl
4,0 · 10–2
1,9 · 10–3
1,4 · 10–3
1,1 · 10–4
FIGURA 18.18
Ogni ossigeno legato con legame dativo al
cloro attira su di sé gli elettroni di legame. L’atomo di cloro attira con più forza gli elettroni del legame covalente
Cl ⎯ O, facendo spostare verso l’ossigeno gli elettroni del
legame O ⎯ H. La dissociazione degli ioni H + aumenta e
aumenta la forza dell’acido. L’acido ipocloroso è debolissimo, l’acido perclorico è invece fortissimo.
O
O
Acido perclorico
Ca(OH)2
Mn(OH)2
Mg(OH)2
AgOH
TABELLA 18.5 Costante di dissociazione Kb di alcune basi
deboli. Gli idrossidi di Li, Na, K, Rb, Cs, Ba e Sr sono considerati basi forti.
O
Acido clorico
Kb
O
O
CH/209
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CAPITOLO
18
Acidi e basi
18.12 Reazioni acido-base
P
A
rendiamo un uguale numero di moli di cloruro di sodio NaCl, di
idrossido di sodio NaOH e di acido cloridrico HCl e mettiamo questi
tre composti in tre recipienti diversi contenenti acqua (figura 18.19 A, B,
C). I tre composti, tutti elettroliti forti, in soluzione sono completamente
dissociati in ioni. La prima soluzione è neutra, in quanto non è stata alterata l’uguaglianza delle concentrazioni di ioni ossonio e ioni idrossido
dell’acqua (pH = 7). La seconda soluzione è nettamente basica (pH > 7),
perché prevalgono gli ioni idrossido; la terza soluzione è acida (pH < 7),
perché prevalgono gli ioni H3O +.
Mescoliamo ora in un unico recipiente il contenuto dei due recipienti
B e C, uniamo cioè NaOH e HCl (figura 18.19 D). In soluzione dovremmo
avere tutti gli ioni che avevamo in partenza (Na +, OH – , H3O + e Cl– ), presenti con uguale numero di moli. Invece troviamo solo gli ioni Na + e Cl– ,
cioè abbiamo una soluzione identica a quella del recipiente A con il cloruro di sodio. A seguito del mescolamento, gli ioni OH – provenienti dalla
base e gli ioni H3O + provenienti dall’acido, presenti in uguale numero, si
sono legati per formare acqua, essendo quasi completamente spostato a si→ H3O + + OH – .
nistra l’equilibrio della reazione H2O + H2O ←―
Quando si fa reagire una soluzione di un acido monoprotico con una
soluzione equimolecolare di una base monobasica si ottiene una soluzione di un sale:
HCl + NaOH → NaCl + H2O
NaCl
pH = 7
Na+
Na+
Na+
Cl –
Cl –
Cl –
acido
B
NaOH
pH > 7
Na+
Na+
Na+
base
sale
acqua
Avevamo una soluzione acida e una soluzione basica. Unendo un numero
uguale di moli dell’una e dell’altra abbiamo ottenuto una soluzione neutra,
con pH = 7, come quella del sale e dell’acqua. La soluzione dell’acido ha
reso neutra, cioè ha neutralizzato, la soluzione della base, e viceversa: la
reazione acido-base è una reazione di neutralizzazione (cfr. § 15.1).
OH –
OH –
OH –
씰 In una reazione di neutralizzazione una soluzione di una base
aggiunta a una quantità equimolare di un acido in soluzione, o
viceversa, produce una soluzione di un sale in acqua.
C
pH < 7
D
Se l’acido è monoprotico e la base è monobasica, dalla reazione di una
mole di acido con una mole di base si ha la formazione di una mole di sale
e di una mole di acqua. Ne è un esempio la reazione tra idrossido di potassio e acido nitrico con formazione di nitrato di potassio e acqua:
HCl
H 3O +
H3O +
H3O +
Cl –
Cl –
Cl –
KOH + HNO3 → KNO3 + H2O
Se, invece, l’acido è di-, tri- o tetraprotico, il risultato è differente per
quanto riguarda i rapporti molari. Prendiamo un acido triprotico, ad esempio l’acido fosforico H3PO4. Ogni molecola di questo acido può cedere tre
idrogenioni e ognuno di questi ioni può legarsi a uno ione idrossido fornito
da una base monobasica. Possono avvenire le seguenti reazioni:
NaCl
H3PO4 + NaOH → H2O + NaH2PO4
pH = 7
Na+ OH – H3O + Cl –
Diidrogenofosfato di sodio
H3PO4 + 2NaOH → 2H2O + Na2HPO4
Na+ OH – H3O + Cl –
Na+ OH – H3O + Cl –
Idrogenofosfato di sodio
H3PO4 + 3NaOH → 3H2O + Na3PO4
Nel recipiente A c ’è una soluzione di cloruro di sodio. Nei recipienti B e C si trova un uguale numero
di moli di idrossido di sodio e acido cloridrico. La soluzione
B ha pH > 7, la soluzione C ha pH < 7. Se mescoliamo le
due soluzioni, gli ioni idrossido si uniscono con gli ioni ossonio formando molecole di acqua (D); la soluzione ottenuta ha pH = 7 e contiene ioni sodio e ioni cloruro, esattamente come la soluzione presente in A. L’acido ha reagito
con la base per dare un sale e l’acqua.
FIGURA 18.19
Fosfato di sodio
Un acido triprotico dà tre tipi di sale, a seconda della quantità di base
con cui reagisce. Analogamente un acido diprotico, come l’acido carbonico,
dà due tipi di sale:
H2CO3 + KOH → H2O + KHCO3
Idrogenocarbonato di potassio
H2CO3 + 2KOH → 2H2O + K2CO3
Carbonato di potassio
CH/210
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CAPITOLO
18
Acidi e basi
Nella formazione dei sali abbiamo usato finora idrossidi monobasici di
elementi del gruppo 1, come il sodio. In queste reazioni un atomo dell’elemento del gruppo 1 sostituisce un solo atomo di idrogeno dell’acido. Quando, invece, prendiamo idrossidi dibasici o tribasici, vengono sostituiti rispettivamente due o tre atomi di idrogeno, come nei seguenti esempi:
Ba(OH)2 + 2HCl → BaCl2 + 2H2O
Ba(OH)2 + H2SO4 → BaSO4 + 2H2O
3Ba(OH)2 + 2H3PO4 → Ba3(PO4)2 + 6H2O
Al(OH)3 + 3HCl → AlCl3 + 3H2O
2Al(OH)3 + 3H2SO4 → Al2(SO4)3 + 6H2O
Al(OH)3 + H3PO4 → AlPO4 + 3H2O
18.13 L’idrolisi salina
L
a soluzione acquosa di un acido è acida, quella di una base è basica. La
nostra esperienza ci dice che l’acqua salata, come la soluzione di cloruro di sodio nella quale mettiamo a cuocere gli spaghetti, è neutra; sappiamo
anche che tanti altri sali non fanno variare il pH dell’acqua. Vi sono alcuni
sali, però, che in acqua danno soluzioni acide e altri che danno soluzioni
basiche. Cerchiamo di capire perché. Il cloruro di sodio NaCl che abbiamo
sciolto in acqua si è dissociato completamente e ha formato ioni Na+ e ioni
Cl –. Questi ioni non reagiscono con le molecole dell’acqua, ma rimangono
dispersi nella massa del solvente. La concentrazione degli ioni ossonio e
quella degli ioni idrossido non variano e il pH rimane uguale a 7.
Sciogliamo ora in acqua cloruro di ammonio NH 4Cl; questo sale si dissocia completamente in ioni ammonio NH +4 e ioni cloruro Cl –. Gli ioni
NH +4 reagiscono con le molecole d’acqua e formano NH3, una base debole
poco dissociata, e ioni H3O +. Gli ioni Cl –, invece, rimangono dispersi in
soluzione. A differenza dello ione ammonio, questi ioni non reagiscono
con l’acqua o con gli ioni H3O + presenti, perché hanno una minima tendenza a formare composti indissociati: HCl è infatti un acido molto forte.
Nella soluzione perciò aumenta la concentrazione degli ioni H3O + e, per
la costanza del prodotto ionico dell’acqua Kw, diminuisce la concentrazione degli ioni idrossido: la soluzione di NH 4Cl risulta acida. Il fenomeno
per cui la soluzione di un sale è acida o basica si chiama idrolisi salina.
Idrolisi • Dal greco hydor «acqua» e lysis «soluzione,
scomposizione».
NH4Cl
A
NH4+
NH 4Cl(aq) → NH +4(aq) + Cl –(aq)
+ H 2O
+
→ NH3(aq) + H3O (aq)
NH 4(aq) + H2O(l) ←―
In questo caso il processo di idrolisi può essere così riassunto: il sale
NH 4 Cl in acqua si dissocia completamente; lo ione Cl – non ha alcuna tendenza a riassociarsi, mentre lo ione NH +4 reagisce con l’acqua per formare
NH3 e liberare ioni H3O +; il pH della soluzione diventa acido. Nel caso del
cloruro di ammonio, un sale che possiamo considerare come proveniente
da un acido forte (HCl) e una base debole (NH3), è avvenuta una reazione di
idrolisi acida (figura 18.20 A).
Sciogliamo ora in acqua acetato di sodio CH3COONa, sale completamente
dissociato in Na + e CH3COO –. Sappiamo che gli ioni sodio Na + non reagiscono con l’acqua e rimangono dispersi in soluzione. Gli ioni acetato
CH3COO –, invece, si uniscono con l’acqua per formare acido acetico
CH3COOH e liberare ioni idrossido. Si determina così un aumento di ioni
OH – e una conseguente diminuzione di ioni H3O +: la soluzione risulta basica. Nel caso dell’acetato di sodio, un sale che consideriamo come proveniente da una base forte (NaOH) e un acido debole (CH3COOH), è avvenuta
una reazione di idrolisi basica (figura 18.20 B).
+
–
CH3COONa(aq) → Na+(aq) + CH3COO (aq)
–
–
→ CH3COOH(aq) + OH (aq)
CH3COO (aq) + H2O(l) ←―
Cl –
+
non
reagisce
NH3 + H3O+
Idrolisi acida
pH < 7
CH3COONa
B
Na+
non
reagisce
Idrolisi basica
+ CH3COO–
+ H2O
CH3COOH + OH–
pH > 7
FIGURA 18.20 (A), un sale proveniente da acido forte e
base debole fa aumentare la concentrazione degli ioni ossonio. (B), un sale proveniente da base forte e acido debole fa aumentare la concentrazione degli ioni idrossido.
CH/211
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CAPITOLO
La concentrazione in ioni ossonio di una soluzione di un
sale proveniente da acido forte e base debole, che in acqua
dà la reazione di idrolisi acida, si calcola con la formula:
[H3O +] = √ ̄ ̄ ̄ ̄ ̄
(K w /K b) · C s
dove Kw è la costante del prodotto ionico dell’acqua, Kb è
la costante di dissociazione della base e C s è la concentrazione del sale.
18
Acidi e basi
씰 La reazione di idrolisi acida avviene nelle soluzioni dei sali provenienti
da un acido forte e una base debole; la reazione di idrolisi basica avviene
nelle soluzioni dei sali provenienti da un acido debole e una base forte.
Nel caso di un sale proveniente da un acido forte e una base forte,
come il cloruro di sodio NaCl, o da un acido debole e una base ugualmente debole, come l’acetato d’ammonio CH3COONH 4, le concentrazioni
degli ioni ossonio e idrossido rimangono uguali, il pH si mantiene neutro
e l’idrolisi non avviene (figura 18.21). In definitiva abbiamo 4 possibilità:
• se un sale proviene da un acido e da una base ugualmente forti o ugualmente deboli, la sua soluzione acquosa è neutra;
La concentrazione in ioni idrossido di una soluzione di
un sale proveniente da acido debole e base forte, che in
acqua dà la reazione di idrolisi basica, si calcola con la
formula:
[OH – ] = √ ̄ ̄ ̄ ̄ ̄
(Kw/Ka) · C s
dove K w è la costante del prodotto ionico dell’acqua, K a è
la costante di dissociazione dell’acido e Cs è la concentrazione del sale.
• se un sale proviene da un acido forte e da una base debole, la sua soluzione acquosa è acida;
• se un sale proviene da un acido debole e da una base forte, la sua soluzione acquosa è basica;
• se un sale proviene da un acido debole e da una base debole con differenti valori della costante di dissociazione, la sua soluzione acquosa è acida
nel caso in cui la Ka dell’acido sia maggiore della Kb della base, è basica
nel caso contrario.
NaCl
Na+
Un sale proveniente da acido e base ugualmente forti (A) o ugualmente deboli (B) non altera l’equilibrio tra la concentrazione degli ioni ossonio e quella degli
ioni idrossido. La soluzione risulta neutra.
FIGURA 18.21
CH3COONH4
Cl –
+
non
reagisce
H2O + H2O
NH4+
non
reagisce
+ H2O
H3O++ OH–
Soluzione neutra
CH3COO
–
+ H2O
NH3 + H3O+ CH3COOH + OH–
pH = 7
A
+
pH = 7
B
Soluzione neutra
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
8. Indica se le soluzioni acquose dei seguenti sali hanno pH acido, basico o
neutro: (a) KNO3; (b) NH4Br; (c) NaCN.
7. Indica se le soluzioni acquose dei seguenti
sali hanno pH acido, basico o neutro:
(a) KCl;
(b) NH4F;
(c) K3PO4;
(d) CH3COONa.
Giustifica le risposte.
(a) Il nitrato di potassio KNO3 è un sale proveniente da un acido forte (HNO3 ) e
una base forte (KOH). Gli ioni K + e NO 3– , che si formano dalla completa dissociazione in soluzione, non hanno alcuna tendenza a riassociarsi reagendo con l’acqua. Pertanto il pH della soluzione rimane neutro, come quello dell’acqua.
(b) Il bromuro di ammonio NH4 Br è un sale proveniente da un acido forte (HBr)
e una base debole (NH3 ). Mentre lo ione NH4+, l’acido coniugato della base debole
ammoniaca, tende a reagire con l’acqua liberando ioni H3 O +, lo ione Br – non reagisce con l’acqua. Nella soluzione aumentano gli ioni H3 O + e il pH è acido.
(c) Il cianuro di sodio NaCN è un sale proveniente da un acido debole (HCN) e
una base forte (NaOH). Lo ione Na + che si forma dalla dissociazione ionica non
ha alcuna tendenza a reagire con l’acqua; lo ione CN –, invece, reagisce con l’acqua formando HCN e lo ione OH –. Gli ioni idrossido diventano prevalenti e la soluzione risulta basica.
8. Se mescoliamo quantità equimolari di acido
cianidrico HCN e di idrossido di potassio KOH,
la soluzione risultante ha pH acido, basico o
neutro? Giustifica la risposta.
CH/212
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CAPITOLO
18
Acidi e basi
18.14 Le soluzioni tampone
P
rendiamo un po’ di acqua pura (pH = 7), aggiungiamo 10 – 2 moli di acido
cloridrico HCl e portiamo tutto il volume a 1 litro. L’acido cloridrico è
completamente dissociato e la concentrazione degli ioni H3O + nella soluzione sale a 10 –2 mol/L. Il pH è perciò uguale a 2 (figura 18.22 A). Se ripetiamo la stessa operazione, aggiungendo però all’acqua pura 10 –2 moli di
idrossido di sodio NaOH, una base molto forte, la concentrazione degli ioni
idrossido diviene 10 –2 M, quella degli ioni ossonio di conseguenza passa a
10 –12 M e il pH arriva a 12. Abbiamo così dimostrato che l’aggiunta di quantità molto piccole di un acido forte (365 mg/L di HCl) o di una base forte
(400 mg/L di NaOH) fa variare di 5 unità il valore del pH dell’acqua.
Prendiamo ora 1 litro di una soluzione contenente 0,10 moli di acido acetico CH3 COOH, un acido debole, e 0,10 moli di acetato di sodio CH 3 COONa,
un sale proveniente dallo stesso acido debole con una base forte come
NaOH. Con un pH-metro determiniamo il pH della soluzione e troviamo
che ha pH = 4,7. Ora aggiungiamo a questa soluzione le stesse quantità di
acido o di base che avevamo aggiunto in precedenza all’acqua. Il pH-metro
ci indica che questa volta il pH cambia pochissimo, meno di 0,4 unità (figura 18.22 B). Che cosa è successo? Perché questa soluzione è riuscita a impedire una variazione rilevante della concentrazione degli ioni H3O +? La soluzione ha tamponato l’effetto dell’aggiunta dell’acido o della base sul valore
del pH. Cerchiamo di capire quale meccanismo chimico ha agito.
L’acido acetico è un acido debole. Per semplicità di calcolo ammettiamo
che ogni 100 molecole se ne dissoci solo una, lasciandone indissociate 99.
→ CH3COO –(aq) + H3O +(aq)
(1)
CH3COOH(aq) + H2O(l) ←―
Ricordiamo che la variazione di una unità nella scala del
pH corrisponde alla variazione di 10 volte della concentrazione degli ioni H3O +. Un valore più basso di 5 unità
di pH è dovuto a una concentrazione 100 000 volte più
grande di ioni ossonio.
A
pH
11
9
acqua
7
soluzione
tampone
+
NaOH
5
L’acetato di sodio è un sale che, come tutti i sali, si dissocia completamente. Se le molecole introdotte sono 100, in soluzione risultano dissociate
tutte e 100.
(2)
CH3COONa(aq) → CH3COO –(aq) + Na+(aq)
3
soluzione
tampone
+
HCl
acqua
+
HCl
FIGURA 18.22 (A), aggiungendo piccole quantità di acido
o di base all’acqua si ha una notevole variazione del pH.
(B), se le stesse aggiunte sono fatte a una soluzione tampone, ad esempio di acido acetico CH3COOH e acetato di sodio CH3COONa, il pH varia di poco.
a
N
COO
CH 3
0
O
CO
CH 3
99
–
OO
H 3C
C
+
H 3O
00
FIGURA PARLANTE
1
+
I
1+1
+
+
Na
Funzionamento di una soluzione preparata unendo 100 molecole di acido acetico e 100 di acetato di sodio. I numeri sotto le formule indicano il numero delle specie chimiche presenti all’equilibrio. Se vengono aggiunti alla soluzione ioni ossonio, questi reagiscono
con gli ioni acetato e formano nuovo acido acetico. Se vengono introdotti ioni idrossido, questi
reagiscono con gli ioni ossonio e formano acqua. Gli ioni ossonio sono però subito riformati,
perché l’equilibrio si sposta in modo che l’acido acetico si dissoci.
FIGURA 18.23
100
CH/213
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H
L’insieme delle reazioni concatenate determina la situazione rappresentata nella figura 18.23. Alla nostra soluzione ora aggiungiamo un acido, cioè
ioni H3O +. Il pH dovrebbe abbassarsi, perché abbiamo aumentato la concentrazione degli ioni ossonio. Gli ioni H3O + aggiunti, però, si legano agli ioni
CH3COO – , che in soluzione sono abbondanti (ne abbiamo in tutto 101). L’equilibrio della reazione (1) viene spostato verso la molecola indissociata
CH3COOH. Abbiamo aggiunto ioni H3O +, ma questi ioni non restano liberi e
quindi il pH non cambia in maniera sensibile.
Se invece aggiungiamo una base, per esempio un idrossido in grado di liberare ioni OH – , il pH dovrebbe aumentare, perché all’aggiunta di ioni OH –
corrisponde una proporzionale diminuzione degli ioni H3O +. Gli ioni OH –
che aggiungiamo, però, non restano liberi e quindi non fanno aumentare il
pH. Infatti, subito gli ioni idrossido si legano agli ioni ossonio provenienti
dalla reazione (1). L’equilibrio (1) risponde alla variazione secondo il principio di Le Chatelier, spostandosi a destra. Si producono altri ioni ossonio a
partire dalle molecole di CH3COOH (ne abbiamo 99).
B
B
acqua
+
NaOH
CAPITOLO
18
Acidi e basi
In altre parole, gli ioni H3O + o quelli OH – che aggiungiamo non restano
liberi in soluzione facendo variare il pH, ma sono catturati dalle specie chimiche presenti. Gli ioni ossonio sono catturati dagli ioni CH3COO – , presenti in grande quantità, mentre gli ioni idrossido reagiscono con gli ioni H3O +
già presenti, formando acqua. La scomparsa di questi ioni ossonio provoca
la dissociazione di ulteriore acido acetico (reazione 1), con la conseguente
formazione di altro H3O +.
Il sistema chimico ottenuto unendo un acido debole a un suo sale con
una base forte è in grado di catturare eventuali ioni H3O + e OH – aggiunti,
impedendo che il pH cambi, ed è chiamato soluzione tampone. Il sistema
ha però una capacità limitata di cattura e quindi di «tamponamento». Infatti, una volta finita la «riserva» di ioni CH3COO – e di molecole di CH3COOH,
cioè delle specie catturanti, ulteriori aggiunte di acido o di base provocano
rilevanti variazioni del pH. Con un meccanismo analogo a quanto abbiamo
visto per l’acido debole unito a un suo sale con una base forte, si forma una
soluzione tampone quando uniamo una base debole a un suo sale con un
acido forte.
씰 Una soluzione tampone, costituita da un acido debole e da un suo
sale con una base forte oppure da una base debole e un suo sale con
un acido forte, è un sistema in grado di limitare la variazione del pH
di una soluzione in seguito all’aggiunta di un acido o di una base.
Per calcolare il pH di una soluzione tampone riferiamoci di nuovo alla
reazione (1) e ricaviamo la costante di dissociazione:
Ka =
[CH3COO – ]·[H3O +]
= 1,8 · 10 – 5
[CH3COOH]
(3)
Il valore di K a rimane costante anche se la concentrazione degli ioni
CH3COO – , derivati quasi esclusivamente dalla dissociazione dell’acetato di
sodio (2), è molto alta. Anzi, poiché il sale è completamente dissociato, a
differenza dell’acido, possiamo far coincidere la concentrazione degli ioni
acetato [CH3COO – ] con la concentrazione del sale, che indichiamo con Cs.
Indichiamo poi con Ca la concentrazione dell’acido, il cui valore per la ridotta dissociazione è rimasto praticamente quello iniziale, e sostituiamo
nella relazione (3). Infine ricaviamo la concentrazione degli ioni H3O + e
quindi il pH.
Ka =
Cs · [H3O +]
Ca
da cui
[H3O +] = K a ·
Ca
na
= Ka ·
ns
Cs
La concentrazione degli ioni H3O + si ricava moltiplicando la K a per il
rapporto tra le moli di acido na e quelle del sale ns, in quanto il volume della soluzione in cui si trovano il sale e l’acido è lo stesso. Per le soluzioni
tampone formate da una base debole e da un suo sale con un acido forte le
relazioni sono analoghe alle precedenti:
[OH – ] = K b ·
FIGURA 18.24 Soluzioni tampone appositamente preparate
sono usate come soluzioni standard di riferimento a pH fisso per la taratura dei pH-metri.
Cb
nb
= Kb ·
ns
Cs
dove Kb è la costante di dissociazione della base debole, Cb è la sua concentrazione e nb è il suo numero di moli.
Le soluzioni tampone sono usate dai chimici per le reazioni che devono
avvenire a pH costante (figura 18.24). Molto importante è la funzione delle
soluzioni tampone negli organismi, in quanto rendono stabili le concentrazioni dei liquidi organici. Anche l’industria alimentare fa uso di sistemi che
tamponano il pH. Poiché gli alimenti tendono ad acidificarsi, nei cibi conservati si aggiungono sostanze che riducono al minimo la liberazione di
ioni idrogeno.
CH/214
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CAPITOLO
18
Acidi e basi
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
9. Calcola il pH della soluzione tampone ottenuta mescolando 200 mL di acido acetico CH3COOH 0,10 M e 150 mL di acetato di sodio CH3COONa 0,10
M (Ka = 1,8 · 10 – 5).
9. Calcola il pH della soluzione tampone ottenuta mescolando 100 mL di ammoniaca NH3
0,20 M e 150 mL di cloruro di ammonio
NH4Cl 0,15 M (Kb = 1,8 · 10 – 5).
La soluzione tampone è costituita da un acido debole e da un suo sale con una
base forte. Calcoliamo dapprima le moli dell’acido e quelle del sale:
na = 0,200 L × 0,10 mol /L = 0,020 mol
ns = 0,150 × 0,10 mol /L = 0,015 mol
Calcoliamo poi la concentrazione degli ioni ossonio con la relazione:
[H3 O +] = Ka ·
0,020
na
= 2,4 · 10 – 5 mol /L
= 1,8 · 10 – 5 ×
ns
0,015
da cui:
pH = –log [H3 O +] = –log 2,4 · 10 – 5 = 4,6
con il CO2(g) gassoso presente negli alveoli
polmonari, secondo i due equilibri:
Tamponi di pH nel sangue
CO2(g) ⇄ CO2(aq)
CO2(aq) + H2O(l) ⇄ H2CO3(aq)
In definitiva, la riserva di H2CO3 nel sangue è costantemente supportata dalla riserva di CO2(g) presente nel volume aereo dei
polmoni. Si forma un sistema di equilibri reversibili fra CO2(g) nei polmoni e ioni
HCO –3(aq) nel sangue, come indicato nello
schema in basso.
Se il sangue si arricchisce di idrogenioni
H+, la concentrazione di H2CO3(aq) aumenta;
aumenta di conseguenza la concentrazione
di CO2(aq), che a sua volta fa aumentare la
concentrazione di CO2(g); quest’ultima sostanza è infine eliminata con la respirazione. Se invece il sangue si arricchisce di
ioni OH–, gli equilibri si spostano nel verso
opposto. Gli ioni H+ presenti reagiscono
con gli ioni OH–; la diminuita concentrazione degli idrogenioni favorisce la dissociazione di H2CO3(aq); questo fatto determina ulteriore consumo di CO2(aq) e di conseguenza è favorito il passaggio di CO2(g) dai
polmoni al sangue.
H2O
H + + HCO –3(aq)
H2CO3(aq)
CO2(aq)
CO2(g)
H2O
CH/215
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PER SAPERNE DI PIÙ
Il mantenimento di un pH costante, in genere intorno a 7, ha grande importanza per
il corretto svolgimento delle reazioni metaboliche degli organismi.
Negli animali sono presenti liquidi extracellulari, come il sangue, il cui pH è regolato su valori costanti. Se nell’uomo il valore del pH del sangue scende sotto a 7,3,
si ha la condizione di acidosi; se il pH
scende sotto il valore di 7,0, sopravviene il
coma. Se il valore del pH del sangue supera 7,5, si ha la condizione di alcalosi; se il
pH sale sopra il valore di 7,8, sopravviene
la tetanìa, una condizione di prolungata
contrazione delle fibre muscolari con crampi e convulsioni. La costanza del pH nei
sistemi viventi è dovuta a soluzioni tampone basate sugli ioni idrogenofosfato HPO 2–
4
o sugli ioni idrogenocarbonato, detti anche
bicarbonato, HCO –3 .
Il sangue dei mammiferi è mantenuto a
pH costante, intorno al valore di 7,4, grazie alla soluzione tampone costituita dall’acido carbonico H2CO3 e dallo ione idrogenocarbonato HCO –3 . La particolarità di questo sistema sta nel fatto che uno dei componenti, l’acido carbonico, si forma dalla
reazione del diossido di carbonio CO2(aq) disciolto nell’acqua, a sua volta in equilibrio
CAPITOLO
18
Acidi e basi
18.15 Gli indicatori di pH
Q
uando vengono aggiunte alcune gocce di limone al tè, questo diventa
più chiaro. Il tè contiene una sostanza che cambia colore a seconda del
pH. L’aggiunta del succo di limone, che contiene acido citrico, fa aumentare
l’acidità della soluzione e il tè cambia colore. Le sostanze che assumono colori diversi a seconda del pH sono chiamate indicatori di pH, in quanto forniscono indicazioni sul pH della soluzione in cui si trovano.
씰 Gli indicatori sono acidi deboli, le cui molecole assumono colori
diversi a seconda che siano in forma dissociata o indissociata.
LABORATORIO SEMPLICE
Acidi, basi e indicatori
Supponiamo di sciogliere in acqua una di queste sostanze, per esempio
un acido debole di formula generica RH, che abbia colore rosso nella forma
indissociata e colore giallo nella forma dissociata R – :
– + H O+
→ R (aq)
RH (aq) + H2O(l) ←―
3 (aq)
100
10 –3
10 – 4
10 – 5
10 – 6
[H3O +]
R–
RH
80
60
40
20
%
R–
3
RH
4
5
6
pH
FIGURA 18.25 Variazione della concentrazione della forma
indissociata [RH], di colore rosso, e di quella dissociata
[R –], di colore giallo, di un acido debole in funzione del pH
o della concentrazione degli ioni ossonio H3O +.
Poiché l’acido è debole, le molecole indissociate RH (rosse) prevalgono e
la soluzione assume il colore rosso. Aggiungiamo ora alla soluzione una
base. Gli ioni idrossido liberati dalla base si legano agli ioni ossonio derivanti dalla dissociazione dell’acido RH. Per il principio dell’equilibrio mobile la diminuzione della concentrazione di un prodotto della reazione determina lo spostamento dell’equilibrio verso destra. La sottrazione degli
ioni H3O + fa diminuire la concentrazione di RH e aumentare quella di R –.
Continuiamo ad aggiungere la base, finché si arriva a un valore di pH al
quale le due concentrazioni, [RH] e [R –], sono uguali.
Si può dimostrare che, quando le concentrazioni della forma indissociata
RH e della forma dissociata R – sono uguali, la concentrazione dello ione ossonio [H3O +] è uguale alla costante di dissociazione dell’acido K RH.
Il grafico della figura 18.25 si riferisce al comportamento di un acido debole RH con costante di dissociazione K RH = 10 – 5. Le concentrazioni della
forma indissociata [RH] e di quella dissociata [R –] variano col variare del
pH della soluzione. Quando la concentrazione [H3O +] è superiore a 10 – 5,
prevalgono le molecole indissociate e la soluzione è rossa. Quando la concentrazione di ioni ossonio è inferiore a 10 – 5, prevalgono gli ioni R – e la soluzione è gialla. La soluzione assume un colore arancione quando le concentrazioni [RH] e [R –] sono uguali, cioè quando la concentrazione di ioni
ossonio è 10 – 5. Se a questa soluzione continuiamo ad aggiungere base, l’equilibrio si sposta, le molecole indissociate RH (rosse) diminuiscono, gli
ioni R – (gialli) aumentano, la soluzione diventa gialla.
Possiamo dire che la soluzione è rossa a un pH minore di 5, arancione a
un pH intorno a 5 e gialla a un pH maggiore di 5.
씰 Si chiama indicatore di pH un acido debole, le cui molecole hanno
colore diverso da quello degli ioni, dal cui colore è possibile risalire
al pH della soluzione.
FIGURA 18.26 Variazione del colore di alcuni indicatori
con il pH della soluzione. Il cambiamento di colore indica
il valore del pH di viraggio.
Giallo alizarina
Fenolftaleina
Blu timolo
Rosso fenolo
Blu di bromotimolo
Rosso bromofenolo
Rosso metile
Verde bromocresolo
Metilarancio
pH
3
4
5
6
7
CH/216
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8
9
10
11
CAPITOLO
18
Acidi e basi
Il pH al quale un indicatore cambia il proprio colore (pH = 5 nel caso
dell’esempio riportato) si chiama pH di viraggio. Nella figura 18.26 sono
riportati i pH di viraggio e i colori assunti dai più comuni indicatori.
Un indicatore permette di sapere se il pH di una soluzione è maggiore
o minore del pH di viraggio. Per esempio, della soluzione riprodotta nella
figura 18.27 A, contenente l’indicatore chiamato rosso metile, che è rosso
fino a pH = 5 e poi giallo, possiamo dire che ha il pH minore di 5; non
sappiamo, però, se il suo valore è 4, 3 o ancora minore. Utilizziamo allora
un altro indicatore, per esempio il verde bromocresolo, che assume colore
blu se il pH è maggiore di 4,5 (figura 18.27 B). Se la nostra soluzione si
colora in blu, allora vuol dire che il suo pH è compreso tra 4,5 e 5.
Per conoscere il pH di una soluzione non è sufficiente un unico indicatore. Per risalire più precisamente e rapidamente al pH di una soluzione
si usano le cartine indicatrici del pH. Queste cartine sono striscette di
carta imbevute di una miscela di diversi indicatori, scelti in maniera tale
che la cartina assuma un colore diverso per ogni valore di pH. Si bagna la
cartina con una goccia della soluzione di cui si vuole conoscere il pH e si
paragona il colore assunto dalla cartina con la scala cromatica di confronto in dotazione (figura 18.28).
A
[RH] > [R – ]
pH < 5
2
3
4
5
6
7
8
9
[R ′H] < [R′ – ]
pH > 4,5
FIGURA 18.27 (A), il rosso metile è rosso a pH < 5. (B),
il verde bromocresolo è blu a pH > 4,5. Se la soluzione
incognita assume, in due prove separate, queste colorazioni, il pH della soluzione deve essere maggiore di 4,5 e
minore di 5.
pH
1
B
10
FIGURA 18.28 Per determinare il pH con le cartine indicatrici si deve stabilire a quale colore della
scala cromatica corrisponde il colore assunto dalla cartina indicatrice bagnata con la soluzione.
18.16 La titolazione acido-base
N
el paragrafo 15.4 abbiamo visto come sia possibile determinare la
concentrazione di una soluzione incognita attraverso il procedimento
analitico chiamato titolazione.
Supponiamo di avere una soluzione di acido cloridrico HCl e di volerne
determinare la concentrazione, cioè il titolo. Dato che questo acido in soluzione acquosa è completamente dissociato, per risalire alla sua concentrazione è sufficiente determinare la concentrazione in ioni ossonio [H3O +]
della soluzione. La concentrazione degli ioni H3O + può essere determinata
tramite la reazione di neutralizzazione tra l’acido cloridrico HCl e l’idrossido di sodio NaOH, che reagiscono secondo la reazione:
HCl + NaOH → H2O + NaCl
CH/217
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CAPITOLO
18
Acidi e basi
Quando HCl e NaOH vengono mescolati in quantità equimolari, tutti gli
ioni H3O + sono neutralizzati dagli ioni OH – della base e in soluzione è presente solo il sale NaCl. Il cloruro di sodio NaCl è un sale la cui idrolisi non
fa variare il pH della soluzione (cfr. § 18.13), per cui al punto di fine titolazione, chiamato punto di equivalenza, il pH è uguale a 7. Per determinare il
momento in cui tutto l’acido cloridrico ha reagito con l’idrossido di sodio è
necessario evidenziare il punto di equivalenza, facendo ricorso a un indicatore di pH che abbia un pH di viraggio uguale a 7. Vediamo come si esegue
in pratica una simile titolazione acido-base.
Prendiamo un certo volume della soluzione di acido cloridrico e vi aggiungiamo una goccia di blu di bromotimolo, un indicatore di pH che assume i colori giallo, verde e blu a pH rispettivamente inferiore, uguale e superiore a 7. La nostra soluzione di HCl è acida, ha un pH minore di 7 e diviene perciò gialla (figura 18.29 A). Aggiungiamo ora alla soluzione, goccia a
goccia, una soluzione di idrossido di sodio NaOH di cui conosciamo la concentrazione. Utilizziamo una buretta, un recipiente cilindrico graduato munito di rubinetto, che misura il volume della soluzione di NaOH.
L’idrossido di sodio è una base fortissima, completamente dissociata in
ioni Na + e OH –. Gli ioni idrossido che aggiungiamo si legano immediatamente agli ioni ossonio per formare molecole d’acqua, facendo diminuire
così la concentrazione degli ioni H3O + (figura 18.29 B e C). Il pH della soluzione aumenta, fino a che la soluzione assume un colore verde (figura 18.29
D). Questo cambiamento di colore avviene quando il pH raggiunge il valore
di 7, cioè quando sono stati consumati tutti gli ioni H3O + dell’acido.
Poiché della soluzione di NaOH conosciamo la concentrazione e abbiamo
misurato il volume necessario per far cambiare il colore, possiamo ricavare
il numero delle moli di idrossido di sodio aggiunte. Questo numero è uguale al numero delle moli di acido cloridrico presente nella soluzione di partenza. Il rapporto tra il numero delle moli e il volume della soluzione di
HCl ci fornisce infine il titolo, cioè la concentrazione, dell’acido cloridrico.
Con lo stesso metodo, se abbiamo una soluzione di idrossido di sodio a
concentrazione ignota, per titolarla aggiungiamo una soluzione a concentrazione nota di acido cloridrico.
씰 Con la titolazione acido-base si può ricavare la concentrazione di
un acido mediante aggiunta di una base a titolo noto, o viceversa.
FIGURA 18.29 Titolazione di un acido con una base. (A),
nella beuta vi è una soluzione di un acido a concentrazione incognita con qualche goccia di un indicatore di
pH. (B), aprendo il rubinetto della buretta facciamo scendere un po’ della soluzione di base, che reagisce con l’acido. (C), l’ulteriore aggiunta di base fa diminuire la concentrazione degli ioni H3O +, ma il colore non cambia.
(D), il repentino passaggio da un colore all’altro segnala
che siamo al pH di viraggio e che tutto l’acido presente
ha reagito. Se nella titolazione si utilizza come indicatore
la fenolftaleina, la soluzione al pH di viraggio passa da
incolore a rosa, come si vede nella fotografia in alto.
Buretta
OH –
H3O+
A
B
C
Beuta
b
SCHEDA DI LABORATORIO
Titolazione acido-base
CH/218
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D
CAPITOLO
18
Acidi e basi
18.17 Equivalente chimico e normalità
U
na mole di acido monoprotico, per esempio HCl, diprotico, per esempio H2SO4, o triprotico, per esempio H3PO4, è capace di cedere rispettivamente una, due o tre moli di ioni ossonio. Una mole di base monobasica,
per esempio NaOH, o dibasica, per esempio Ba(OH)2, è capace di reagire rispettivamente con una o due moli di ioni ossonio (figura 18.30).
씰 Si chiama equivalente chimico la quantità di un acido che rilascia una
mole di ioni ossonio o la quantità di una base che reagisce con una mole
di ioni ossonio.
1 mole di acido monoprotico
1 mole di acido diprotico
2
è rilasciata da
FIGURA 18.30 Per rilasciare, o per reagire con, una mole di
ioni ossonio occorre un numero di moli che dipende dal
fatto che l’acido sia mono-, di- o triprotico, o la base sia
mono- o dibasica.
1 mole di acido triprotico
3
1 mole di ioni ossonio
1 mole di base monobasica
reagisce con
1 mole di base dibasica
2
L’equivalente chimico è una quantità di materia analoga alla mole. La figura 18.31 riassume la relazione che lega nei diversi casi l’equivalente chimico alla mole. Un equivalente di un acido monoprotico o di una base monobasica ha la stessa massa di una mole di quella sostanza. Nel caso di un
acido diprotico o di una base dibasica, un equivalente ha massa eguale alla
metà di una mole. Nel caso di acidi triprotici o basi tribasiche, la massa di
un equivalente è un terzo di quella di una mole (tabella 18.6).
di un acido
triprotico
1 mole
corrisponde a
tetraprotico
1 equivalente
chimico
di una base
Acido o Base
Acido cloridrico
Acido nitrico
Acido perclorico
Acido solforico
Acido carbonico
Idrossido di sodio
Idrossido di bario
monoprotico
diprotico
HCl
HNO3
HClO4
H2SO4
H2CO3
NaOH
Ba(OH)2
monobasica
dibasica
1 mole
2
di acido
1 mole
3
1 mole
4
1 mole
corrisponde a
1 mole
2
FIGURA 18.31 Corrispondenza tra equivalente chimico di
un acido o di una base e mole.
di base
Massa molare
(g/mol)
Massa di un
equivalente (g)
36,5
63
100,5
98,1
62
40
171,3
36,5
63
100,5
98,1 : 2 = 49,05
62 : 2 = 31
40
171,3 : 2 = 85,7
TABELLA 18.6 Valore della massa in grammi di una mole e
di un equivalente chimico di alcuni acidi e basi.
Occorre precisare, però, che per una stessa sostanza l’equivalente chimico varia a seconda dalla reazione in cui il composto è coinvolto. Per esempio, nella reazione:
H2SO4 + 2NaOH → Na2SO4 + 2H2O
l’equivalente chimico dell’acido solforico H2SO4 che reagisce con una mole
di idrossido di sodio NaOH è esattamente 1/2 della massa molare. L’acido in-
CH/219
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CAPITOLO
18
Acidi e basi
fatti rilascia due moli di ioni ossonio. Se le stesse sostanze reagiscono secondo la reazione:
H2SO4 + NaOH → NaHSO4 + H2O
l’equivalente dell’acido diventa uguale alla sua massa molare, perché in
questo caso la quantità di ioni ossonio rilasciati è solo una mole.
Sappiamo che la molarità di una soluzione indica il numero delle moli
di soluto disciolte in 1 dm3 di soluzione (cfr. § 0.8). Dire che una soluzione è tre molare e scrivere 3 M significa che 1 dm3 di quella soluzione
contiene 3 mol di soluto. Analogamente, per quanto riguarda la normalità, che viene indicata con N, diciamo che una soluzione è due normale
e scriviamo 2 N, quando contiene 2 equivalenti chimici in 1 dm3 di soluzione. Nella tabella 18.7 sono indicate le corrispondenze tra soluzioni
molari e normali di alcuni acidi e basi.
씰 La normalità di una soluzione indica il numero di equivalenti chimici
disciolti in 1 dm 3 di soluzione.
Acido o Base
TABELLA 18.7 Corrispondenza tra molarità e normalità per
alcune soluzioni di acidi e basi.
Molarità
Normalità
Acido cloridrico
HCl
1
1
Acido solforico
H2SO4
1
2
0,5
1
1
3
0,66
2
0,33
1
Acido fosforico
H3PO4
Idrossido di sodio
NaOH
1
1
Idrossido di bario
Ba(OH)2
1
2
0,5
1
Glossary
Arrhenius acid (acido di Arrhenius) A compound that dissociates in water to produce positive
hydrogen ions.
Arrhenius base (base di Arrhenius) A compound that gives hydroxide ions in water solution.
Brønsted-Lowry acid (acido di Brønsted-Lowry) A compound that can donate protons.
Brønsted-Lowry base (base di Brønsted-Lowry) A compound that can accept protons.
Lewis acid (acido di Lewis) A compound or atom that can accept a pair of electrons.
Lewis base (base di Lewis) A compound or atom that can donate an electron pair.
pH pH stands for potential of hydrogen. pH is equal to – log [H3O+].
pH scale (scala del pH) A logarithmic scale for expressing the acidity of a solution.
Strong acid (acido forte) An acid that is almost completely dissociated.
Strong base (base forte) A base that is almost completely dissociated.
Weak acid (acido debole) An acid that is partially dissociated.
Weak base (base debole) A base that is partially dissociated.
CH/220
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FACCIAMO IL PUNTO
Domande aperte
12 Perché il composto NH4Cl dà reazione di idrolisi acida,
11 Che cosa si intende per acido e base secondo la definizione
13 Quando un acido viene detto poliprotico? Influisce il carat-
mentre NaHCO 3 dà idrolisi basica?
di Arrhenius?
12 Facendo reagire un acido e una base si ha sempre una soluzione neutra? Giustifica la risposta.
14
di Brønsted e Lowry?
Che cosa significa acido coniugato e base coniugata?
Che cosa è un elettrolita anfotero?
Definisci il pH di una soluzione.
Quale relazione esiste tra pH e prodotto ionico dell’acqua?
Come si calcola il pH di una soluzione di un acido forte?
Quando una soluzione si definisce neutra, acida o basica?
Con quale strumento si misura il pH di una soluzione?
Quali sono le caratteristiche di una soluzione tampone?
Come si calcola il pH di una soluzione tampone?
15
13 Che cosa si intende per acido e base secondo la definizione
14
15
16
17
18
19
10
11
Esercizi di completamento
21
16
17
18
19
20
tere poliprotico di un acido sul pH di una sua soluzione?
Giustifica la risposta.
Con quale relazione si può esprimere la costante di dissociazione di un generico acido? E di una generica base?
Che cosa è un indicatore? A che cosa serve? Che cosa è una
cartina indicatrice? Che cosa è il pH di viraggio?
Come si esegue una titolazione acido-base?
Come sono definiti gli acidi e le basi da Lewis? Fornisci
esempi di reazioni acido-base secondo Lewis.
Quali relazioni esistono tra la forza di un acido e i legami
chimici presenti nella sua molecola? Vale lo stesso discorso
anche per la determinazione della forza di una base?
Definisci il termine normalità.
Che cosa è l’equivalente chimico? A che cosa corrisponde?
A
Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello spazio vuoto il termine opportuno.
La teoria di Brønsted e …………………………… definisce come acido la specie chimica in grado di …………………………… un ………………………………………………
alla base, la specie chimica in grado di …………………………………………… . Un acido cedendo l’ ………………………………………………… si trasforma nella sua
base
………………………………………………
, mentre la ……………………………… accettando l’idrogenione si trasforma nel suo acido
…………………………………………
.
Alcune specie chimiche, come l’acqua, possono accettare o donare idrogenioni a seconda delle sostanze con cui
………………………………………………
e sono denominate elettroliti …………………………………………… . Un acido è tanto più …………………………………… quanto più fa-
cilmente si dissocia e quanto più grande è la sua …………………………… di dissociazione. Il ……………… di una soluzione esprime la
…………………………………………………
degli ioni ossonio in soluzione ed è eguale al …………………………………………… negativo in base 10 di [H3O + ]. La
somma del pH e del ……………… di una soluzione è sempre eguale a ……………… .
VERIFICA LE CONOSCENZE
Esercizi di corrispondenza
22
A
Ricava dal pH della soluzione la corrispondente concentrazione degli ioni H3O + e OH –.
Soluzione
pH
Sapone da bucato
11
Ammoniaca per uso domestico
11,8
Bicarbonato di sodio
9
Carbonato di potassio
11,6
Vino
3,5
Latte
6,5
Caffè
5
Birra
4,5
CH/221
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[H3O +]
[OH–]
G U I DA A L L O ST U D I O
EA
G U I DA A L L O S T U D I O
EA
A
Domande a scelta multipla
23
Nella reazione HNO 3 + OH
Brønsted-Lowry sono:
–
A OH e H2O;
C H2O e HNO3;
B
NO –3
C in acqua libera ioni H + e OH – ;
D libera più ioni negativi che positivi.
–
e OH ;
D H2O e NO –3.
33
Secondo la teoria di Brønsted-Lowry, un elettrolita anfotero ha
la capacità di:
centrazione della soluzione;
B minore di 7, a elevate concentrazioni dell’acido;
C sempre maggiore di 7, indipendentemente dalla con-
C accettare o cedere idrogenioni;
centrazione della soluzione;
D accettare idrogenioni o cedere ioni idrossido.
D tra 1 e 14 a seconda della concentrazione della solu-
zione.
Secondo la teoria di Arrhenius, una base forte:
A ha la costante di dissociazione minore di 1;
B non può mai essere anfotera;
34
Nella reazione di dissociazione dell’acido acetico
CH3COOH + H2O ⇄ CH3COO– + H3O +
la costante di dissociazione vale 1,8 · 10 –5. Tra le seguenti affermazioni, quale non è corretta?
A l’acido acetico è un acido debole;
B lo ione acetato è una base forte;
35
36
37
Tra le seguenti soluzioni, di cui viene indicato un valore di concentrazione, ha il pH più alto la soluzione in cui:
D diventa uguale a 7.
C diventa minore di 2;
38
acido è concentrata;
B a parità di concentrazione, il pH di una soluzione di un
acido forte è più basso rispetto a quello di un acido
debole;
C il pH di una soluzione di un acido non può essere mai
eguale a 7;
D a parità di concentrazione, il pH di una soluzione di
una base forte è più basso rispetto a quello di una
base debole.
Una soluzione contenente 38,0 g di ioni ossonio H3O + in 2,00
hL di acqua ha pH uguale a:
A 2;
B 4;
C 6;
D 8.
Mescolando 500 mL di una soluzione di un acido a pH = 5,0
con 500 mL di una soluzione dello stesso acido a pH = 6,0, si
ottiene una soluzione:
39
A acida;
B neutra;
40
Una soluzione che ha pH = 10:
A contiene più idrogenioni che ioni idrossido;
B è fortemente acida;
Secondo Brønsted-Lowry, nella reazione acido-base
HF + H2O ⇄ F – + H3O + gli acidi sono:
A H2O e H3O+ ;
C F – e H2O;
C basica;
D il cui pH dipende dal tipo di composto.
31
Quale tra le seguenti affermazioni non è corretta?
A il pH diventa più basso quanto più una soluzione di
10 –6
C [OH ] = 7,0 ·
M;
D [H3O+] = 5,5 · 10 –5 M.
30
A 100 mL di una soluzione acquosa con pH = 2 si aggiungono
300 mL di acqua. Il pH della soluzione:
A rimane 2;
B diventa maggiore di 2;
–
29
L’acido acetico CH3COOH è un acido debole e una sua soluzione contiene:
D uguale a 10 –7.
A [H3O+] = 9,2 · 10 –8 M;
B [OH – ] = 7,8 · 10 – 4 M;
[H3O+ ] > [OH – ];
D [H3O+ ] = K w .
B
C ioni CH3COO– , ma non ioni H3O+ ;
D solo ioni CH3COO– e OH – .
C leggermente acido;
28
è molto dissociata;
A ioni CH –3 e ioni COOH+ ;
B ioni CH3COO– e ioni H3O+ ;
Il pH dell’acqua di mare è:
A debolmente basico;
B uguale a quello dell’acqua pura;
B
D non reagisce con acidi.
Una soluzione acquosa è acida se:
A [H3O+ ] = [OH – ];
C [H3O+ ] < [OH – ];
C l’acido acetico è una base debole;
D l’acido acetico si dissocia in minima parte.
27
Una base debole:
A è molto diluita;
C è poco dissociata;
C impartisce alla soluzione un pH fortemente acido;
D neutralizza solamente acidi deboli.
26
La soluzione di un acido a temperatura ambiente ha un valore
di pH:
A sempre minore di 7, indipendentemente dalla con-
A mantenere costante il pH;
B accettare ioni idrossido;
25
Una base secondo Arrhenius è un elettrolita che:
A si ionizza in acqua liberando ioni H +;
B si ionizza in acqua liberando ioni OH – ;
–
⇄ NO 3 + H2O le basi secondo
–
24
32
B
HF e F – ;
D HF e H3O+ .
In quale dei seguenti gruppi di composti vi sono solo acidi forti?
A HF, HCl, HNO3, CH3COOH;
B HNO2, HNO3, H2SO4, H3PO4;
C ha una concentrazione di ioni idrossido uguale a 10 –10;
C HCOOH, HNO3, HCl, HClO4;
D è ottenuta dalla dissociazione di un idrossido.
D HCl, HNO3, H2SO4, HClO4.
CH/222
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
41
C tanto maggiore è il numero di ioni H 3O+ che una mo-
Quale gruppo di composti comprende solo acidi deboli?
lecola di acido può cedere;
A H2S, HCOOH, HCN, CH3COOH;
D tanto maggiore è il numero di ioni H 3O+ che una mo-
B HNO2, HNO3, HCN, H3PO4;
lecola di acido può acquistare.
C HCOOH, HF, HCl, HCN;
54
D HCl, HNO3, H2SO4, HClO4.
42
A tanto più forte è il suo acido coniugato;
In quale dei seguenti gruppi di composti vi sono solo basi forti?
B tanto più debole è il suo acido coniugato;
A NaOH, NH3, LiOH, Al(OH)3;
C tanto maggiore è il numero di ioni OH – che una mole-
B NaOH, Ca(OH)2, KOH, NH3;
cola di base può cedere;
C NaOH, LiOH, KOH, Ba(OH)2;
D tanto maggiore è il numero di ioni H 3O+ che una mo-
lecola di base può acquistare.
D Ba(OH)2, NH3, Ca(OH)2, Al(OH)3.
43
55
L’acido coniugato di una base debole:
B è sicuramente un acido debole;
B da cui si ottengono prodotti elettricamente neutri;
C è sicuramente una base forte;
C nella quale il pH è sempre 7;
D può essere un acido debole o forte indifferentemente.
D di equilibrio.
56
La base coniugata di un acido forte:
A è sicuramente un acido debole;
B è sicuramente una base debole;
C è sicuramente una base forte;
D può essere una base debole o forte indifferentemente.
45
57
58
C H2S;
D HCl.
B HCOOH;
C NH3;
59
A OH ;
B
SO32– ;
A OH ;
B
–
ClO4 ;
60
C H2SO3;
D H3
C è neutra;
B
è basica;
C
è neutra;
Una soluzione di acetato di sodio CH3 COONa in acqua:
B
è basica;
C
è neutra;
Una soluzione di idrogenocarbonato di sodio NaHCO3 in acqua:
A è acida;
O+ .
B
è basica;
C
è neutra;
D non si può affermare nulla se non si conosce la con-
centrazione.
C
H2ClO+4 ;
D H3O+ .
61
Un elettrolita anfotero è una specie chimica che:
A si può comportare sia da acido sia da base;
2–
B SO 4 ;
C H2SO4;
B può cedere più di un idrogenione;
D H3O+ .
C può acquistare più di un idrogenione;
D ha sempre il pH = 7.
L’acido coniugato di ClO –2 è:
A OH – ;
è basica;
centrazione.
L’acido coniugato di HSO –4 è:
A OH – ;
B
Una soluzione di cloruro di sodio NaCl in acqua:
A è acida;
La base coniugata di HClO4 è:
–
B ClO 3–;
C HClO2;
D H3O+ .
62
B un donatore di idrogenioni;
C un accettore di doppietti elettronici;
B può cedere almeno due idrogenioni;
C può acquistare più di un idrogenione;
D può acquistare almeno tre elettroni.
Un acido di Lewis è:
A un accettore di idrogenioni;
Una base è detta polibasica se:
A può cedere più di un elettrone;
53
Una soluzione di cloruro di ammonio NH4Cl in acqua:
D non si può affermare nulla se non si conosce la con-
D H3PO4.
La base coniugata di HSO –3 è:
–
52
B HCN;
acido acetico;
centrazione.
Quale tra le seguenti specie chimiche è un acido triprotico?
A CH3COOH;
51
D acido cloridrico.
D non si può affermare nulla se non si conosce la con-
Quale tra le seguenti specie chimiche è un acido poliprotico?
A CH3COOH;
50
C cloruro di sodio;
A è acida;
D può acquistare più di un elettrone.
49
B
centrazione.
C può acquistare più di un idrogenione;
48
A alcol etilico;
D non si può affermare nulla se non si conosce la con-
B può cedere più di un idrogenione;
47
Quale tra i seguenti composti in soluzione acquosa si comporta
da elettrolita debole?
A è acida;
Un acido è poliprotico quando:
A può cedere più di un elettrone;
46
Una reazione di neutralizzazione è una reazione:
A tra un acido e una base in quantità equivalenti;
A è sicuramente un acido forte;
44
Tanto più forte è una base:
D un donatore di doppietti elettronici.
63
Una base di Lewis è:
A un accettore di idrogenioni;
Tanto più forte è un acido:
B un donatore di idrogenioni;
A tanto più forte è la sua base coniugata;
C un accettore di doppietti elettronici;
B tanto più debole è la sua base coniugata;
D un donatore di doppietti elettronici.
CH/223
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64
Una soluzione ottenuta sciogliendo in acqua lo stesso numero
di moli di NH4 Cl e di NH3 è:
76
A sicuramente neutra;
B una soluzione satura;
Per neutralizzare completamente 50 mL di una soluzione 0,1 N
di Ca(OH)2 occorrono:
A 50 mL di HCl 0,05 N;
B
C 50 mL di HCl 0,1 M;
D 25 mL di HCl 0,05 M.
25 mL di HCl 0,04 N;
C una soluzione acida;
77
D una soluzione tampone.
65
Quale tra le seguenti è una soluzione tampone?
A 150 mL di una soluzione 0,02 M di NaOH;
A CH3COONa 0,1 M;
B CH3COONa 0,005 M e HCl 0,005 M;
C 60 mL di una soluzione 0,02 N di NaOH;
C CH3COOH 0,1 M;
D 30 mL di una soluzione 0,1 M di Ca(OH)2.
B 150 mL di una soluzione 0,05 N di KOH;
D CH3COONa 0,005 M e CH3COOH 0,005 M.
66
67
L’equazione chimica relativa alla reazione di idrolisi del cloruro
di ammonio NH4 Cl è:
A NH4Cl 0,1 M;
B NH4Cl 0,001 M e NH3 0,001 M;
A NH4Cl + H2O ⇄ NH4OH + HCl;
B NH3 + H2O ⇄ NH+4 + OH – ;
C NH3 0,005 M e NaOH 0,001 M;
D NH3 0,005 M e HCl 0,005 M.
C NH +4 + H2O ⇄ NH3 + H3O + ;
D 2NH4Cl ⇄ N2 + 4H2 + Cl2.
Il pH della soluzione formata da CH3COONa 0,005 M e da
CH3COOH 0,005 M (K a CH3COOH = 1,8 · 10 – 5) è:
B 10 –5;
B 7,4·10 – 6;
B 7,4·10 –6;
C 5,0;
C 5,1;
D 8,9.
B 3;
C 7;
B 3;
C 4;
D 8,9.
82
83
84
B CN –;
C K +;
+
C Cl – ;
D Sn4 .
B HClO2;
C HClO3;
D HClO4.
B HF;
C H2O;
D HCl.
–
B H2PO 4 ;
2–
C HPO 4 ;
D H2O.
Andando dall’acido più forte al meno forte, il corretto ordine
di acidità è:
B HClO4 > HCl > CH3COOH > H2S;
C HCl > HClO4 > CH3COOH > H2S;
–
D HCl > HClO4 > H2S > CH3COOH.
D H2PO 4 .
Per neutralizzare completamente 100 mL di una soluzione
0,1 N di NaOH occorrono:
B OH – ;
A HClO4 > H2S > HCl > CH3COOH;
Quale tra le seguenti specie chimiche non può dare la reazione
di idrolisi?
2–
D Fe 2+.
C BF3;
Quale tra i seguenti acidi è il più forte?
A H3PO4;
86
B H+ ;
Quale tra i seguenti acidi è il più forte?
A H2S;
85
D NH3.
Quale tra i seguenti acidi è il più forte?
A HClO;
D 11.
C HCl;
Quale tra le seguenti specie chimiche non è una base di Lewis?
A NH3;
D 11.
B HNO3;
Quale tra le seguenti specie chimiche non è un acido di Lewis?
A F –;
Una soluzione tampone si ottiene sciogliendo in acqua:
A HPO 4 ;
Quale tra i seguenti composti è un acido di Lewis?
A AlCl3;
81
forte;
B una base debole e il suo acido coniugato;
C un idrossido forte e un acido forte;
D un sale derivato da una base debole e da un acido
forte.
75
80
D 9,0.
A un sale derivato da un acido debole e da una base
74
C CH3COOH + H2O ⇄ CH3COO – + H3O + ;
D CH3COONa + H2O ⇄ Na + CH3COOH + OH – .
Il pH di una soluzione 0,001 M della base forte NaOH è:
A 0,001;
73
C 5,0;
L’equazione chimica relativa alla reazione di idrolisi dell’acetato di sodio CH3 COONa è:
A CH3COONa + H2O ⇄ CH3COOH + NaOH;
B CH3COO – + H2O ⇄ CH3COOH + OH – ;
Il pH di una soluzione 0,001 M dell’acido forte HCl è:
A 0,001;
72
D 9,3.
Il pH di una soluzione 0,1 M di CH3COONa
(K a CH3COOH = 1,8 · 10 –5) è:
A 1;
71
C 4,7;
Il pH di una soluzione 0,2 M di NH4Cl (Kb NH3 = 1,8 · 10 –5) è:
A 1;
70
B 7;
79
Il pH della soluzione formata da NH3 0,1 M e da NH4Cl 0,2 M
(Kb NH3 = 1,8 · 10 – 5) è:
A 1;
69
78
Quale tra le seguenti è una soluzione tampone?
A 0,005;
68
Per neutralizzare completamente 60 mL di una soluzione 0,05
M di HNO3 occorrono:
87
Andando dall’acido più forte al meno forte, il corretto ordine
di acidità è:
A 50 mL di HCl 0,1 N;
B 50 mL di HCl 0,2 N;
A HClO4 > HF > HCl > HCOOH;
C 100 mL di HCl 0,01 M;
D 20 mL di HCl 1 N.
C HCl > HClO4 > HCOOH > HF;
B HClO4 > HCl > HF > HCOOH;
D HCl > HClO4 > HF > HCOOH.
CH/224
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88
C il valore del logaritmo negativo naturale della concen-
Andando dall’acido più forte al meno forte, il corretto ordine
di acidità è:
trazione molare di H3O + o di H + ;
D il valore del logaritmo in base 10 cambiato di segno
del prodotto ionico dell’acqua K w.
A H2SO4 > H2SO3 > H2S > H2O;
B H2SO4 > H2SO3 > H2O > H2S;
C H2SO3 > H2SO4 > H2O > H2S;
91 La normalità di una soluzione di acido arsenico H3AsO4
D H2SO3 > H2SO4 > H2S > H2O.
89
contenente 0,44 g in 5,5 L è:
A 5,6 · 10 – 4 N;
Andando dalla base più forte alla meno forte, il corretto ordine di basicità è:
B 1,7 · 10 – 3 N;
C 1,1 · 10 – 3 N;
A NaOH > KOH > LiOH > NH3;
D 2,8 · 10 – 4 N.
B KOH > NaOH > LiOH > NH3;
C KOH > NaOH > NH3 > LiOH;
92
D KOH > NH3 > NaOH > LiOH.
90
La definizione corretta di pH è:
Mescolando 200 mL di una soluzione 0,100 N di idrossido di
sodio con 400 mL di una soluzione 0,0500 N di acido cloridrico, si ottiene una soluzione:
A acida;
A il valore del logaritmo in base 10 della concentrazio-
B basica;
+
ne molare di H3O + o di H ;
C neutra;
B il valore del logaritmo negativo in base 10 della con-
centrazione molare di H3O + o di H + ;
D anfotera.
VERIFICA LE ABILITÀ
Gioca e impara
93
A
Completa lo schema rispondendo alle seguenti domande. Al
termine, leggendo in successione le lettere nelle caselle evidenziate in giallo, comparirà una sostanza necessaria per
eseguire le titolazioni acido-base.
1
2
3
1. Il fenomeno che si ha ponendo cloruro di ammonio in acqua.
4
2. La base debole lo è dell’acido forte.
3. Ha sapore aspro, pungente e in acqua fa aumentare la concentrazione degli ioni ossonio.
4. Studiò la dissociazione elettrolitica e diede la prima definizione operativa di acido e base.
5
6
7
5. H2SO4 è un acido …
6. Lo è una soluzione ottenuta unendo 50 mL di HCl 0,1 M e 25
mL di NaOH 0,2 M.
7. Esiste quella di dissociazione, di equilibrio e del prodotto ionico dell’acqua.
8
9
10
8. Una soluzione costituita da NH3 e NH4Cl.
9. Un elettrolita che può avere sia proprietà acide sia basiche.
10. Fa aumentare la concentrazione degli ioni idrossido in acqua
ed è scivolosa al tatto.
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94
Assumendo che ogni sfera rappresenti un anione o un catione, assegna alle soluzioni rappresentate nei quattro
schemi il soluto corrispondente, scegliendolo tra NaOH,
H2SO4, CH3CH2OH, HCOOH. Giustifica le tue risposte.
(a) ……………………………
(b) ……………………………
(c) ……………………………
106
Esercizi e problemi
195
Calcola il pH di una soluzione di NH4Cl che contiene 5,8 g
di questo sale in 1 000 mL di soluzione. La costante di dissociazione K b dell’ammoniaca NH3 è 1,8 · 10 –5.
[5,1]
(d) ……………………………
A 50 mL di acido acetico 0,10 M vengono aggiunti 120 mg
di NaOH. Calcola il pH della soluzione ottenuta, essendo
la costante di dissociazione dell’acido 1,8 · 10 –5. Come si
modifica il pH se la quantità di NaOH aggiunta è 200 mg?
[4,9] [8,2]
196
Calcola il pH di una soluzione 0,050 M di HCl.
[1,3]
197
Calcola il pH di una soluzione 0,020 M di HNO3.
[1,7]
198
Calcola la concentrazione idrogenionica di una soluzione di
HClO4 a pH = 3.
[0,001 M]
199
Calcola la costante di dissociazione Kb dell’ammoniaca, se
il pH di una sua soluzione 0,010 M è 10,623.
[1,8 · 10 –5]
100
Calcola il pH e il pOH di una soluzione 10 – 4 M della base
forte idrossido di potassio.
[10] [4]
101
Calcola il pH di una soluzione 10 –2 M della base forte
diidrossido di bario.
[12,3]
111
Calcola il pH di una soluzione 10 –2 M di acido acetico
CH3COOH (K a CH3COOH = 1,8 · 10 –5).
[3,4]
Qual è il pH di viraggio del blu di bromotimolo, un indicatore con K a = 7,94 · 10 –8 ?
[7,1]
112
Calcola il pH della soluzione che in 300 mL contiene 4,00
g di CH3COONa (K a CH3COOH = 1,8 · 10 – 5 ).
[8,9]
113
Calcola il pH della soluzione che in 250 mL contiene 20,0
g di cloruro di ammonio (K b NH3 = 1,8 · 10 – 5 ).
[4,5]
114
Calcola il pH della soluzione che in 0,00025 m3 contiene 12 g
di idrossido di calcio (K b Ca(OH)2 = 4,0 · 10 –2).
[11,6]
115
Disponi i seguenti composti in ordine crescente in base
alla loro forza come elettroliti: HF, H2CO3, HIO3, HCN,
H2S, H3PO4, HIO, HClO, HClO2 , H2O.
102
103
104
107
Calcola il pH della soluzione ottenuta mescolando 150 mL
di HCl 0,10 M con 200 mL di KOH 0,20 M.
[12,8]
108
Calcola il pH della soluzione ottenuta mescolando 10 cm3
di HCl 0,10 M con 250 cm3 di acqua distillata.
[2,4]
109
Calcola il pH della soluzione ottenuta mescolando 100 mL
di CH3COOH 0,10 M con 50 mL di CH3COONa 0,20 M
(K a CH3COOH = 1,8 · 10 –5).
[4,7]
110
Calcola il pH della soluzione ottenuta mescolando 50 mL di
NH3 0,10 M con 70 mL di NH4Cl 0,10 M (K b NH3 = 1,8 · 10 –5 ).
[9,1]
Calcola la concentrazione degli ioni [H3O +] e il pH di una
soluzione di HCN 0,010 M. La costante di dissociazione K a
di HCN è 7,2 · 10 –10.
[2,7 · 10 –6 M] [5,6]
Sciogliamo in acqua 3,0 g di NaOH e 9,0 g di KOH e portiamo il volume a 0,500 L. Calcola il pH della soluzione.
[13,7]
105
Calcola il pH della soluzione ottenuta mescolando 15 mL
di H 2SO4 1,0 M con 30 mL di NaOH 1,1 M.
[12,8]
CH/226
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116
Disponi i seguenti composti basici in ordine decrescente a
seconda della loro forza come basi:
NaOH, Ca(OH)2 , NH3, Mg(OH)2 , KOH, Mn(OH)2 , AgOH.
117
Il pH di una soluzione di un acido monoprotico che è dissociato per l’1% vale 4. Calcola la concentrazione dell’acido all’equilibrio e il valore del pH di una soluzione di una
base monobasica che ha la stessa concentrazione e si dis[9,9 · 10 –3 M] [10]
socia nella stessa percentuale.
118
L’idrossido di sodio è una base forte e si può considerare
completamente dissociato. Calcola il pH di una soluzione
contenente 2,50 g di idrossido di sodio in 25,0 L di soluzione. Quale valore assume il pH, se si aggiunge acqua in
modo che il volume della soluzione raddoppi? E se il volu[11,4; 11,1] [10,8]
me quadruplica?
129
Si hanno a disposizione tre soluzioni di basi forti completamente dissociate: la 1ª di idrossido di sodio 0,0125 M; la
2ª di idrossido di bario 2,50 · 10 –3 M; la 3ª di idrossido di
potassio 10 –7 M. Dopo avere calcolato il pH delle singole
soluzioni, determina il pH di una soluzione ottenuta mescolando insieme volumi eguali delle tre soluzioni.
[(1ª) 12,1; (2ª) 11,7; (3ª) 7; (1ª + 2ª + 3ª) 11,8]
130
Calcola la concentrazione di ioni ossonio e il pH in una soluzione 0,20 M di cloruro di ammonio NH4Cl.
[1,5·10 –5 M] [4,98]
131
Il cianuro di sodio è un sale dell’acido debole HCN. Calcola
la concentrazione degli ioni H3O+, OH–, Na+ e dell’HCN in
una soluzione preparata sciogliendo 10,8 g di NaCN in
sufficiente acqua per preparare 5,00 · 10 2 mL di soluzione.
[4,0·10 –3 M] [2,5·10 –3 M] [0,434 M] [2,5·10 –3 M]
119
A una soluzione costituita da 20,0 mg di idrossido di sodio
sciolti in 1,00 L di soluzione vengono aggiunti 250 mL di
soluzione contenente 30,0 mg di acido cloridrico, acido
forte e completamente dissociato. Qual è il pH della solu[3,59]
zione finale?
120
Quanti grammi di acido bromidrico, acido forte e completamente dissociato, si trovano in un litro di una sua solu[0,0809 g]
zione a pH = 3?
121
Qual è la concentrazione degli ioni idrossido di una base
in una soluzione a pH = 8? Se la base disciolta è un idrossido monobasico dissociato per il 25%, qual è la sua con[10 –6 M] [4,0 · 10 –6 M]
centrazione iniziale?
122
132
Un acido monoprotico disciolto in acqua dà una soluzione
0,1 N, il cui pH è 3. Qual è la costante di dissociazione
[10 –5 ]
dell’acido in esame?
Question
133
Quanti millilitri di una soluzione di HCl al 30% P/P e di
densità 1,1 g /mL bisogna aggiungere all’acqua per ottene[110 mL]
re 0,10 m3 di una soluzione a pH = 2?
Connect each of the following substances or solutions in the
left column to the corresponding definition in the right
column.
CH3COOH
NH4Cl + NH3
123
124
125
Quanti grammi di idrossido di sodio vi devono essere in
2,50 L di una sua soluzione, affinché la concentrazione
[200 g]
della soluzione sia 0,200 N?
KOH
Quanti milligrammi di HNO3 devono essere contenuti in
3,0 L di una sua soluzione, affinché il pH sia uguale a 4?
134
[19,2 mg]
126
127
[0,002 M] [3,04 · 10 –4 ]
128
Quanti millilitri di una soluzione 0,50 M di acido nitrico
bisogna prelevare per avere 25 L di una sua soluzione acquosa a pH = 3? Quanti millilitri di soluzione 0,50 M di
idrossido di sodio occorre aggiungere alla soluzione così
[50 mL; 50 mL]
ottenuta per avere un pH finale pari a 7?
Indicator
Weak base
NH3
Weak acid
Titration
NaCN
Strong acid
NaOH + HBr
Strong base
Indicate if the resulting pH is equal to, less than, greater than
7, after combining equal molar amounts of:
A a weak base with a strong acid;
Calcola il pH di una soluzione ottenuta mescolando 100
mL di una soluzione 0,100 M di acido acetico CH3COOH
con 50,0 mL di una soluzione 0,100 M di idrossido di so[9,26]
dio NaOH.
Una soluzione 0,015 M di acido cianico HOCN ha pH =
2,67. Qual è la concentrazione di ioni ossonio nella soluzione? Qual è la costante di dissociazione K a per l’acido?
Hydrolysis
HNO3
Phenolphthalein
Quanti grammi di acido solforico vi devono essere in 3,4 L
di una sua soluzione, affinché la concentrazione della solu[32,64 g]
zione sia 0,10 N?
Buffer
B a strong base with a strong acid;
C a weak acid with a strong base;
D a weak base (K b = 1,3 ·10 – 5)
with a weak acid (K a = 2,6 ·10 – 5).
135
Does the pH of the solution increase, decrease or stay the
same when:
A HCl is added to the water?
B NH4Cl is added to a NH3 solution?
C NaCl is added to a HCl solution?
D NaOH is added to a HCl solution?
E HCl is added to a KOH solution?
F HF is added to a NaCl solution?
CH/227
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G U I DA A L L O ST U D I O
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C A P I TO L O
19
Elettrochimica
19.1 Elettricità e chimica
I
l filosofo greco Talete, circa 2 600 anni fa, fu probabilmente il primo a
parlare di «forze elettrostatiche». Egli osservò che l’ambra, strofinata con
un panno, diviene capace di attrarre oggetti leggeri. Molto tempo dopo, William Gilbert (1544-1603) scoprì che questa capacità di attrazione era comune anche ad altre sostanze e propose di chiamare il fenomeno elettricità.
Nei primi decenni del 1700 si affermò l’idea che, quando si strofinavano
tra loro due corpi, si venivano a creare due tipi di cariche elettriche, che si
attiravano perché avevano segno opposto. Successivamente si ipotizzò che
l’esistenza delle due cariche di segno opposto fosse dovuta a un eccesso o a
un difetto di un unico tipo di «fluido elettrico». In effetti, oggi sappiamo
che i due tipi di carica sono dovuti a un eccesso o a un difetto di elettroni.
Solo nel 1789 Charles-Augustin de Coulomb pose le basi quantitative per
studiare le forze di attrazione elettrostatiche.
Un notevole impulso allo studio dei «fluidi elettrici» fu fornito da due
scienziati italiani: Luigi Galvani e Alessandro Volta. Il loro lavoro culminò nella costruzione delle celle galvaniche o voltaiche, dette anche
pile, dispositivi in grado di utilizzare reazioni chimiche per produrre una
corrente elettrica. Successivamente si mise a punto il processo opposto,
l’elettrolisi, che consiste nell’impiego della corrente elettrica per produrre
una reazione chimica.
Era aperta la strada per uno scambio di contributi scientifici tra due discipline, la chimica e l’elettrologia. L’elettrochimica, che approfondiremo
in questo capitolo, studia le reazioni chimiche che producono, o sono
prodotte da, un passaggio di corrente elettrica. Ci interesseremo dei fenomeni in cui l’energia chimica si trasforma in energia elettrica, e viceversa,
e vedremo come al centro dell’attenzione ci sia sempre la stessa particella: l’elettrone (figura 19.1).
19.2 Le reazioni redox
S
FIGURA 19.1
Gran parte degli oggetti che ci circondano
ricavano l’energia elettrica necessaria per il loro funzionamento da una reazione chimica di ossidoriduzione, che avviene nei dispositivi chiamati pile.
appiamo che un idrogenione H + non può esistere da solo e che viene
trasferito da un composto donatore, un acido, a un composto accettore,
una base (cfr. § 18.2). Anche l’elettrone non è stabile da solo. La sua carica
elettrica è uguale, in valore assoluto, a quella dell’idrogenione, ma si trova
in una massa 1836 volte più piccola (cfr. § 0.1). Ne deriva una concentrazione di carica elevatissima, maggiore di quella dello ione H + e tale da rendere molto instabile l’elettrone isolato.
CH/228
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CAPITOLO
19
Elettrochimica
Analogamente all’idrogenione, anche l’elettrone può essere trasferito da
una specie chimica a un’altra. La specie chimica che cede l’elettrone è il donatore di elettroni o riducente; la specie chimica che acquista l’elettrone è
l’accettore di elettroni o ossidante. Cessione e acquisto di elettroni non
possono avvenire separatamente: il trasferimento richiede la contemporanea presenza di un donatore e di un accettore di elettroni, cioè di un riducente e di un ossidante.
씰 La perdita di elettroni è chiamata ossidazione.
L’acquisto di elettroni prende il nome di riduzione.
Una reazione di trasferimento di elettroni si chiama
reazione di ossidoriduzione o reazione redox.
Il termine riduzione deriva dal fatto che, quando una
specie chimica acquista elettroni, diminuisce il suo
numero di ossidazione.
Molte reazioni chimiche avvengono col trasferimento di elettroni da una
specie chimica all’altra (cfr. § 15.1). Ogni volta che vi è un trasferimento di
elettroni si ha anche liberazione o assorbimento di energia. Nelle combustioni, per esempio, il passaggio di elettroni è accompagnato da liberazione
di energia termica.
Galvani ottenendo gli stessi risultati, ma
giunse a conclusioni differenti. Volta pensava
che la corrente elettrica fosse generata dal
contatto tra due differenti metalli e che il
muscolo fosse solo un rivelatore della piccola
corrente generata. Per dimostrare questa ipotesi Volta costruì la prima pila che fu usata
poco dopo dai chimici inglesi Anthony Carlisle e William Nicholson per decomporre l’acqua in idrogeno e ossigeno.
Nel 1797 von Humboldt proclamò Galvani
scopritore della bioelettricità. Lo scienziato
tedesco aveva infatti dimostrato che il muscolo di una rana si contraeva quando veniva
a contatto col nervo di un altro organismo.
Nello stesso anno Galvani fu allontanato
dalla sua cattedra perché si rifiutò di prestare
giuramento al governo napoleonico.
Luigi Galvani e l’elettricità delle rane
CH/229
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
PER SAPERNE DI PIÙ
Le pile sono chiamate anche celle galvaniche
in onore di un fisico italiano, Luigi Galvani
(1737-1798), che per primo studiò quella che
lui chiamava «elettricità animale». Intorno al
1780, Galvani osservò che una corrente elettrica generata da una macchina elettrostatica
causa la contrazione dei muscoli nelle zampe
delle rane e teorizzò l’esistenza di una elettricità intrinseca all’animale, che messa in
circolo da un arco bimetallico esterno produce la contrazione dei muscoli.
Per Galvani il muscolo della rana è un serbatoio di elettricità che fluisce attraverso i
nervi. Continuando gli studi trovò che il muscolo si contraeva anche quando veniva posto
a contatto con due differenti metalli, senza
applicare correnti elettriche dall’esterno.
Alessandro Volta riprese gli esperimenti di
CAPITOLO
19
Elettrochimica
19.3 Le semireazioni redox
N
elle reazioni chimiche il numero degli atomi dei reagenti e dei prodotti
è lo stesso. Nelle reazioni redox, oltre a ciò, deve essere uguale anche la
somma delle cariche elettriche dei reagenti e quella dei prodotti. Il bilancio
in pareggio delle cariche dimostra che il numero degli elettroni ceduti nell’ossidazione è eguale al numero degli elettroni acquistati nella riduzione.
Per bilanciare un’equazione chimica di una reazione redox è conveniente
scomporre la reazione in due stadi, chiamati semireazioni perché ognuno
di essi rappresenta una metà della reazione.
Consideriamo di nuovo la reazione di ossidoriduzione tra sodio e cloro
atomici. Indicando con e – l’elettrone, possiamo suddividere la reazione, in
linea teorica, nelle due semireazioni:
Na+ + e – (semireazione di ossidazione)
→
–
(semireazione di riduzione)
Cl
→
La somma delle due semireazioni dà la reazione complessiva:
Na
Cl + e –
Na + Cl + e – →
cioè:
–
Na+ + Cl + e –
–
Na+ + Cl
→
Ognuna delle due semireazioni non può avvenire da sola, perché in
una reazione non possono apparire elettroni liberi, che non si producono
in quanto altamente instabili. La reazione somma invece può avvenire,
perché non vi compaiono elettroni liberi.
Se consideriamo la reazione tra una specie chimica che tende a cedere
due elettroni e un’altra specie chimica che tende a prenderne solo uno, occorre fare in modo che il numero degli elettroni ceduti sia uguale a quello
degli elettroni acquistati. Per esempio, nella reazione tra il bario e il cloro
molecolare un atomo di bario reagisce con due atomi di cloro, cioè con la
molecola Cl2. In questo caso le due semireazioni evidenziano che gli elettroni scambiati tra bario e cloro sono due:
Ba
Ba2+ + 2e –
→
–
2Cl
Cl2 + 2e –
→
–
2+
Ba + 2Cl
Ba + Cl2
→
Na + Cl
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
1. Facendo ricorso alle semireazioni, bilancia la reazione di ossidoriduzione
+
Ag (aq)
+ Cu(s) → Cu 2+
(aq) + Ag(s)
Identifica, inoltre, l’agente ossidante e quello riducente, la sostanza ossidata e
quella ridotta.
1. Facendo ricorso alle semireazioni, bilancia la
reazione di ossidoriduzione
+
3+
Al (s) + Hg2(aq)
+ Hg(s)
→ Al (aq)
Identifica, inoltre, l’agente ossidante e quello
riducente, la sostanza ossidata e quella ridotta.
+
Scomponiamo la reazione nelle due semireazioni, una per l’argento Ag (aq)
→ Ag(s);
2+
l’altra per il rame Cu(s) → Cu(aq) . Poiché le masse sono già bilanciate, passiamo a considerare il numero delle cariche, che devono essere uguali nei due membri dell’equazione. Per bilanciare le cariche aggiungiamo elettroni a sinistra della freccia di reazio_
_
2+
+
+ e → Ag(s); Cu(s) → Cu(aq)
+ 2e . Poine per l’argento e a destra per il rame: Ag (aq)
+
ché lo ione Ag si riduce acquistando l’elettrone, esso è l’agente ossidante, mentre il
2+
e la
Cu(s) si ossida ed è quindi l’agente riducente. La specie ossidata è quindi Cu(aq)
specie ridotta è Ag(s). A questo punto bilanciamo l’equazione nel suo complesso, molti_
+
+ e → Ag(s)) × 2;
plicando ciascuna semireazione per un fattore appropriato (Ag(aq)
_
2+
+ 2e ) × 1, in maniera tale che il numero degli elettroni scambiati
(Cu(s) → Cu(aq)
_
_
2+
+
+ 2e → 2Ag(s); Cu(s) → Cu(aq)
+ 2e .
nelle due semireazioni diventi uguale: 2Ag (aq)
In definitiva la reazione scritta correttamente è:
+
2+
2Ag (aq)
+ Cu(s) → Cu(aq)
+ 2Ag(s)
CH/231
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CAPITOLO
19
Elettrochimica
19.4 Bilanciamento delle reazioni redox
A
bbiamo studiato il numero di ossidazione (n.o.) degli atomi, quando eravamo alla ricerca di un metodo pratico e veloce per scrivere le formule
dei composti (cfr. § 13.3). Ora utilizziamo il numero di ossidazione per capire cosa avviene agli elementi coinvolti nelle reazioni redox, cioè chi si ossida, chi si riduce e quanti elettroni sono perduti o acquistati. Col n.o. il bilanciamento delle reazioni diventa un’operazione più semplice e rapida.
Quando un atomo cede elettroni, il suo numero di ossidazione aumenta.
Per esempio, l’idrogeno che si ossida da H a H + cambia il proprio n.o. da 0
a +1. Se l’ammoniaca NH3 viene ossidata ad acido nitrico HNO3, il numero
di ossidazione dell’azoto cresce da – 3 a + 5. Viceversa, se un atomo acquista elettroni, il suo numero di ossidazione diminuisce. Nel caso della reazione redox tra rame metallico e lo ione argento abbiamo:
Il rame si ossida e il suo numero
di ossidazione aumenta
+
+ 2Ag(s)
Cu(s) + 2Ag +(aq) ⎯→ Cu 2(aq)
L’argento si riduce e il suo
numero di ossidazione diminuisce
씰 Il numero di ossidazione di un atomo aumenta se l’atomo si
ossida, diminuisce se l’atomo si riduce.
Le stesse considerazioni valgono per le reazioni in cui tutte le specie presenti sono molecolari e non ioniche, come nel caso della sintesi dell’acqua:
(0)
Il numero di elettroni ceduti dall’atomo di rame Cu è uguale
al numero di elettroni complessivamente accettati dagli ioni
argento Ag +.
(0)
(+1) (–2)
2H2 + O2 ⇄ 2H2O
In questa reazione l’idrogeno H2 si ossida perché il suo n.o. passa da 0 a
+1, mentre l’ossigeno O2 si riduce in quanto il suo n.o. passa da 0 a –2.
Il bilanciamento delle reazioni redox in qualche caso può risultare complesso, ma esistono procedure standard che rendono il procedimento più
veloce e snello. Sappiamo come si bilanciano normalmente le reazioni chimiche (cfr. § 0.2). Se, però, la reazione è di ossidoriduzione, il calcolo è più
laborioso, perché il bilanciamento deve riguardare sia la massa sia la carica
elettrica. Nelle reazioni redox, infatti, le trasformazioni chimiche riguardano contemporaneamente atomi ed elettroni. Il calcolo dei coefficienti stechiometrici si basa sulla variazione del numero di ossidazione degli atomi
nel corso della reazione.
Per sapere quali atomi si sono ridotti e quali ossidati in una reazione redox, si calcola il numero di ossidazione di tutti gli atomi dei reagenti e dei
prodotti. L’elemento che ha aumentato il numero di ossidazione si è ossidato, quello che lo ha diminuito si è ridotto. Per esempio, nella reazione redox:
(0)
(+2)
(+2)
(0)
Zn + Cu2 + ⇄ Zn2 + + Cu
lo zinco passa da numero di ossidazione 0 a +2 e quindi si ossida, mentre il
rame passa da +2 a 0 e quindi si riduce. Il metodo per calcolare rapidamente i coefficienti delle reazioni di ossidoriduzione si basa sul fatto che nelle
reazioni redox il numero degli elettroni ceduti da una specie chimica deve
essere eguale al numero degli elettroni acquistati dall’altra specie. Si procede nel seguente modo:
1 si calcolano i numeri di ossidazione di tutti gli elementi, nei reagenti e
nei prodotti;
2 si individuano gli elementi che hanno cambiato il numero di ossidazione (supponiamo siano gli atomi A e B in una generica reazione);
3 si calcola di quanto è variato il numero di ossidazione di A (Δ A) e di
quanto è variato il numero di ossidazione di B (Δ B);
4 si dà il coefficiente Δ A ai composti contenenti B e il coefficiente Δ B ai
composti contenenti A;
5 si bilanciano con il metodo normale tutte le altre specie; alla fine si bilanciano gli atomi di idrogeno, di ossigeno e le molecole di acqua.
CH/232
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
19
Elettrochimica
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
2. Bilancia l’equazione chimica della reazione redox
Zn + HCl → ZnCl 2 + H2
2. Bilancia l’equazione chimica della reazione redox
Sn + Pb2+ → Sn2+ + Pb
Assegniamo dapprima i numeri di ossidazione agli atomi che partecipano alla reazione di ossidoriduzione:
(0) (+1)(–1) (+2)(–1)
(0)
3. Bilancia l’equazione chimica della reazione redox
MnO2 + KClO3 + KOH
Zn + HCl → ZnCl 2 + H2
Il numero di ossidazione dello zinco passa da 0 a +2 e quello dell’idrogeno da +1 a
0; il n.o. del cloro non cambia. Indichiamo quindi:
↓
K2MnO4 + KCl + H2O
n.o.Zn 0 → +2, cioè Δ Zn = 2 = coefficiente dell’idrogeno;
n.o.H + 1 → 0, cioè Δ H = 1 = coefficiente dello zinco.
Dato che un atomo di zinco cede due elettroni, mentre ogni atomo di idrogeno ne
accetta solo uno, per ogni atomo di zinco che si ossida occorre che due atomi di
idrogeno si riducano. Mettiamo quindi il coefficiente 2 davanti al composto che
contiene l’idrogeno, cioè davanti all’acido cloridrico. Il coefficiente 1 dello zinco
non viene indicato, perché è sottinteso. L’equazione bilanciata è pertanto:
Zn + 2HCl → ZnCl2 + H2
3. Bilancia l’equazione chimica della reazione redox
N2 + H2 ⇄ NH3
Assegniamo dapprima i numeri di ossidazione agli atomi che partecipano alla reazione di ossidoriduzione:
(0)
(0)
(–3)(+1)
N2 + H2 ⇄ NH3
Il numero di ossidazione dell’azoto passa da 0 a –3 e quello dell’idrogeno da 0 a +1.
Indichiamo quindi:
n.o.N 0 → –3, cioè Δ N = 3 = coefficiente dell’idrogeno;
n.o.H 0 → +1, cioè Δ H = 1 = coefficiente dell’azoto.
Per equilibrare il numero degli elettroni ceduti e acquistati mettiamo il coefficiente
3 davanti all’idrogeno, mentre il coefficiente 1 per l’azoto rimane sottointeso:
N2 + 3H2 ⇄ NH3. Poiché però a sinistra abbiamo 2 atomi di azoto, per bilanciare
la reazione anche per quanto riguarda le masse mettiamo il coefficiente 2 davanti
all’ammoniaca, in modo che anche a destra siano indicati 2 atomi di azoto e 6
atomi di idrogeno. La reazione correttamente bilanciata è pertanto:
N2 + 3H2 ⇄ 2NH3
4. Bilancia l’equazione chimica della reazione redox
H2S + HNO3 ⇄ H2SO3 + NO + H2O
Assegniamo dapprima i numeri di ossidazione agli atomi che partecipano alla reazione di ossidoriduzione:
(+1)(–2)
(+1)(+5)(–2)
(+1)(+4)(–2)
(+2)(–2)
(+1)(–2)
H2 S + H N O3 ⇄ H2 S O3 + N O + H2 O
Abbiamo i seguenti cambiamenti per quanto riguarda il n.o. dello zolfo e dell’azoto:
n.o.S –2 → +4, cioè Δ S = 6 = coefficiente dell’azoto;
n.o.N +5 → +2, cioè Δ N = 3 = coefficiente dello zolfo.
Nel corso della reazione, mentre un atomo di zolfo perde 6 elettroni, un atomo di
azoto ne acquista 3. Per far sì che il numero di elettroni scambiati sia uguale, è
necessario che una molecola di H2 S, per un totale di 6 elettroni, reagisca con due
molecole di HNO3, per un totale di 2 × 3 = 6 elettroni. Pertanto, attribuendo il
coefficiente 1 allo zolfo e il coefficiente 2 all’azoto e verificando che anche gli atomi di idrogeno e ossigeno siano in ugual numero, otteniamo la reazione bilanciata:
H2 S + 2HNO3 ⇄ H2 SO3 + 2NO + H2 O
CH/233
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CAPITOLO
19
Elettrochimica
19.5 Le pile elettriche
N
elle reazioni esotermiche si ha trasformazione di energia chimica in
energia termica, in quelle endotermiche si ha il passaggio inverso (cfr. §
16.3). Nelle reazioni redox si verifica un trasferimento di elettroni e ciò
comporta la trasformazione dell’energia chimica degli atomi, che si ossidano e si riducono, in energia elettrica. Anche in questo caso è possibile il
passaggio inverso, quando l’energia elettrica si trasforma in energia chimica. Vediamo come avvengono questi passaggi e prendiamo come esempio la
reazione di ossidoriduzione tra lo ione argento e il rame metallico:
2+
+ 2Ag(s)
2Ag +(aq) + Cu(s) → Cu (aq)
FIGURA 19.4 ↓ (A), una lamina di rame viene collocata
in una soluzione contenente ioni argento Ag+. (B), il
rame riduce gli ioni Ag + ad argento metallico e si ossida
a ione rameico Cu2+, andando così in soluzione. (C), alla
fine tutti gli ioni Ag+ sono passati ad argento metallico e
la soluzione si è arricchita di ioni Cu2+. Nella foto il filo
di rame si è ricoperto di cristalli di argento.
Se questa reazione viene fatta avvenire immergendo una lamina di rame
in una soluzione di un sale di argento, gli ioni argento vengono a contatto
diretto con gli atomi di rame della lamina e avviene il trasferimento degli
elettroni. La reazione procede fino a che tutto il rame non è passato in soluzione sotto forma di ione rameico Cu2+ o tutti gli ioni argento Ag + non si
sono ridotti ad argento metallico (figura 19.4). In questa maniera gli elettroni vengono direttamente scambiati tra chi si ossida e chi si riduce. Il flusso
delle cariche elettriche non può essere utilizzato per produrre una corrente
elettrica e l’energia prodotta si libera sotto forma di calore.
A
Ioni argento
in soluzione
Rame solido
B
C
Ione argento Ag +
Rame metallico
Argento metallico
Ione rameico Cu 2 +
Per produrre una corrente elettrica occorre che il flusso di elettroni passi
attraverso un conduttore, per esempio un filo metallico. Se colleghiamo mediante un conduttore due sistemi separati, uno che tende a cedere elettroni
e l’altro che tende ad acquistarli, il passaggio avviene spontaneamente dal
sistema che cede elettroni a quello che li acquista: una corrente elettrica
passa attraverso il circuito che abbiamo costruito (figura 19.5).
FIGURA 19.5 ← Un dispositivo basato su reazioni di ossidoriduzione, in cui siano separate le
specie chimiche che si ossidano da quelle che si riducono; può generare una corrente elettrica. Se
il circuito elettrico è chiuso la lampadina si accende, perché gli elettroni passano attraverso il filo
conduttore che collega il comparto in cui avviene la semireazione di ossidazione con il comparto
in cui si svolge la semireazione di riduzione.
CH/234
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CAPITOLO
19
Elettrochimica
Facciamo allora avvenire la stessa reazione descritta nella figura 19.4,
ma operiamo in modo diverso, così da produrre una corrente elettrica.
Dobbiamo far sì che i reagenti della reazione redox, il rame metallico e
gli ioni argento, non siano a diretto contatto tra loro, ma collegati attraverso un circuito elettrico.
Nel nostro caso possiamo mettere in un recipiente il riducente, la specie che cede elettroni, e in un altro recipiente l’ossidante, la specie che
acquista elettroni. Inseriamo in ciascun recipiente una piastra metallica,
che chiamiamo elettrodo, e chiudiamo il circuito con un filo metallico o
con altri conduttori che collegano gli elettrodi, per esempio un ponte salino formato da un tubo che contiene una soluzione di un sale.
L’elettrodo dove avviene la semireazione di ossidazione è chiamato
anodo; l’elettrodo dove avviene la semireazione di riduzione prende il
nome di catodo (figura 19.6).
Il funzionamento delle pile elettriche e degli accumulatori è basato sul
passaggio degli elettroni da una specie chimica all’altra attraverso conduttori ed elettrodi, senza che ci sia contatto diretto. Le pile prendono il nome
dall’apparecchiatura realizzata da Alessandro Volta, in cui dischi di rame e
di zinco erano messi uno sopra l’altro a formare una colonna, come una pila
di piatti (figura 19.7).
씰 Una pila elettrica è un sistema elettrochimico che trasforma
energia chimica in energia elettrica, sfruttando una reazione redox.
Sappiamo che le reazioni di ossidoriduzione, e quindi anche quelle che
determinano il funzionamento delle pile, possono essere suddivise in due
semireazioni. Prendiamo come esempio la reazione tra zinco metallico Zn e
ione rameico Cu2+
I
FIGURA PARLANTE
Flusso di elettroni
V
Voltmetro
Anodo
Catodo
Ponte salino
FIGURA 19.6
In una soluzione si verificano le reazioni di
ossidazione, nell’altra si verificano le reazioni di riduzione.
Gli elettroni circolano attraverso il conduttore esterno, collegato a uno strumento che misura il passaggio di corrente
elettrica. Il circuito è chiuso dal ponte salino attraverso il
quale le cariche possono passare tra le due soluzioni, che
rimangono separate.
Zn + Cu2+ → Zn2+ + Cu
e suddividiamola nelle due semireazioni, di ossidazione e di riduzione:
FIGURA 19.7
Pila di Volta. I dischi
di rame e di zinco sono separati da
una soluzione acida.
Zn → Zn2+ + 2e –
Cu2+ + 2e – → Cu
Le due semireazioni singolarmente non possono avvenire, perché un
atomo non può ossidarsi se contemporaneamente un altro atomo non si riduce. In ogni semireazione appaiono due specie chimiche, in questo caso
Zn con Zn2+ e Cu con Cu2+, che differiscono solo per il numero di ossidazione. Una coppia di specie chimiche che differiscono solo per il numero
di ossidazione si chiama semielemento di una pila o, semplicemente, semielemento (figura 19.8).
Ciascuna semireazione descrive un semielemento. Un semielemento e la
corrispondente semireazione sono convenzionalmente rappresentati con i
simboli delle due specie chimiche separati da una barra. Sempre per convenzione, a sinistra della barra è indicata la specie ossidata, a destra quella
ridotta. Per esempio, riferendoci alla reazione sopra descritta, il semielemento a zinco è rappresentato come Zn2+/Zn e il semielemento a rame
come Cu2+/Cu. Il simbolo Fe 2+/Fe, a sua volta, rappresenta il semielemento
a ferro, cioè la semireazione Fe2+ + 2e – → Fe.
A
B
e–
e–
Zn2+
Zn
Zn2+
Zn
e–
+
e–
Cu
FIGURA 19.8
(A), reazione redox tra zinco e ione rameico. (B), semireazione che riguarda il semielemento a zinco.
(C), semireazione che riguarda il semielemento a rame.
C
e–
2+
e
Fe2+/Fe // Cu2+/Cu
e–
e–
+
Cu
+
–
Per rappresentare una pila si utilizza il diagramma di cella. I due
semielementi sono separati da
una doppia barra che rappresenta il ponte salino. A sinistra della doppia barra viene indicato il
semielemento interessato dalla
reazione di ossidazione che avviene all’anodo. La parte destra
si riferisce al catodo e alla relativa reazione di riduzione. Per
esempio:
Cu
2+
e–
e–
e–
e–
+
Cu
CH/235
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PER SAPERNE DI PIÙ
CAPITOLO
19
Elettrochimica
Alessandro Volta: non solo pile
Alessandro Volta (Como, 1745-1827) studiò
a lungo i fenomeni legati all’elettricità.
Dopo una lunga disputa con lo scienziato
bolognese Luigi Galvani sull’esistenza di una
forma di elettricità animale, nel 1799 costruì la pila a corona di tazze e la pila a colonna, dando comunicazione dell’invenzione
alla Royal Society di Londra.
Divenne presto famoso e fu chiamato a
esporre gran parte delle sue ricerche nel
1801 all’Institut de France alla presenza di
Napoleone, che propose per Volta una medaglia d’oro.
La pila di Volta è formata da una serie
di piastrine di zinco e di rame, intervallate
da tessuto imbevuto di soluzione acida. Ricordando Volta nel 1927 in occasione del
primo centenario della morte, Albert Einstein affermò che la pila può essere considerata il fondamento di tutte le invenzioni
moderne. Alessandro Volta si occupò anche
del comportamento dei gas e individuò le
relazioni su pressione volume e temperatura che furono successivamente riprese e
generalizzate da Gay-Lussac. Oltre che per
avere scoperto e studiato l’«aria infiammabile» delle paludi, poi chiamata metano,
divenne famoso per aver costruito una pistola azionata dal metano e la «lampada
perpetua» ad aria infiammabile.
(in alto), ritratto di Alessandro Volta.(a lato),
lo scienziato italiano illustra le sue scoperte
alla presenza di Napoleone.
19.6 Il potenziale di riduzione
N
elle reazioni di ossidoriduzione avvengono trasferimenti di elettroni da
un atomo all’altro, da chi tende a cederli a chi tende a prenderli. Un
passaggio importante per comprendere i vari fenomeni elettrochimici è la
precisa valutazione di queste tendenze con l’attribuzione di un valore numerico. Gli studi condotti sulle reazioni redox hanno permesso di misurare
la capacità dei vari elementi di cedere o prendere elettroni. In questo modo,
confrontando i dati, è diventato possibile prevedere quale elemento in una
reazione cede elettroni e quale li acquista.
Tutti gli atomi tendono a raggiungere la configurazione elettronica esterna più stabile. Gli elementi dei primi gruppi tendono a cedere elettroni:
quindi sono portati a ridurre, non a ossidare. Gli elementi degli ultimi gruppi mostrano invece maggiore tendenza ad acquistare elettroni: quindi con
facilità ossidano, non riducono.
Gli elementi che tendono a ossidare hanno bassa capacità di ridurre, e viceversa. È pertanto possibile riportare le due opposte tendenze, a ridurre e a
ossidare, a una sola: stabiliamo di considerare quella a ridurre. Infatti, se un
sistema ha una elevata potenzialità a ossidare, ha anche una bassa tendenza
a ridurre. Si definisce potenziale di riduzione di un semielemento il valore
che misura la sua tendenza a ridursi, ossidando altre specie.
CH/236
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CAPITOLO
19
Elettrochimica
Il potenziale di riduzione si misura in volt (V), l’unità di misura del potenziale elettrico. Un semielemento con potenziale di riduzione positivo ha
un’alta tendenza a ridursi e quindi a ossidare; viceversa un semielemento
con potenziale di riduzione negativo ha bassa tendenza a ridursi e quindi a
ossidare. Collegando i due semielementi, uno si ossida e l’altro si riduce.
La possibilità per una specie chimica di ridursi o di ossidarsi dipende
dalla specie con cui è messa a reagire (cfr. § 19.2). Per avere potenziali di riduzione tra loro confrontabili occorre quindi eseguire una serie di misure
nelle stesse condizioni, utilizzando sempre lo stesso semielemento come riferimento. Il valore di potenziale così ottenuto è un valore standard e prende il nome di potenziale di riduzione standard, indicato come E°.
Il potenziale di riduzione standard di un semielemento è utilizzato per
valutare la tendenza relativa di una specie a ossidarsi o a ridursi nel corso di una reazione redox. Il semielemento scelto come riferimento è il cosiddetto semielemento a idrogeno 2H +/H 2, cui è stato attribuito convenzionalmente potenziale di riduzione standard E° = 0,00 V (figura 19.9). La
semireazione che caratterizza il semielemento a idrogeno è:
+
+ 2e – → H 2(g)
2H (aq)
I valori di E° dei semielementi, disposti in ordine decrescente, costituiscono la scala dei potenziali di riduzione standard (tabella 19.1).
Le semireazioni sono sempre scritte secondo il modello: «forma ossidata
+ elettroni → forma ridotta». All’aumentare del valore di E° aumenta il potere ossidante dello ione o del composto scritto a sinistra nella semireazione. Ciò significa che F2(g) è la specie con il massimo potere ossidante.
씰 Più il valore di E° è basso, maggiore è la tendenza di un semielemento
a ridurre. Ciascun semielemento tende a ossidare i semielementi con E°
minore e a ridurre i semielementi con E° maggiore.
Semireazione di riduzione
F2(g) + 2e
_
H2O2(aq) +
2H +(aq)
PbO2(s) +
SO 2–
4(aq)
−
MnO 4(aq)
+
+ 2e
+
8H +(aq)
_
4H +(aq)
+ 5e
_
+
Au 3(aq)
+ 3e
_
Cl2(g) + 2e
O2(g) +
4H +(aq)
Br2(l) + 2e
Pd 2+
(aq)
Hg 2+
(aq)
+
+ 4e
4H +(aq)
+ 2e
_
+e
_
+
Fe 3(aq)
+e
_
I2(s) + 2e
_
Cu+(aq) + e
_
Cu 2+
(aq) + 2e
_
Cu 2+
(aq) + e
_
Sn 4+
(aq) + 2e
Ag +(aq)
+2,87
→ 2H2O(l)
+1,77
_
+ 2e → PbSO4(s) + 2H2O(l)
→
→
_
+
Mn2(aq)
+ 4H2O(l)
→
+ 4e
−
2Cl (aq)
→ 2H2O(l)
_
_
−
→ 2F (aq)
→ Au(s)
_
+ 2e
NO –3(aq)
_
E° (V)
_
−
2Br (aq)
+1,685
+1,52
+1,50
+1,36
+1,229
+1,08
→ Pd(s)
+0,98
→ NO(g) + 2H2O(l)
+0,96
→ Hg(s)
+0,86
→ Ag(s)
+0,80
→
+
Fe 2(aq)
+0,77
→
−
2I (aq)
+0,53
→ Cu(s)
+0,52
→ Cu(s)
+0,34
→
Cu+(aq)
+0,15
→
Sn2+
(aq)
+0,15
La tendenza a reagire come ossidante aumenta dal basso verso l’alto:
le specie in alto si riducono più facilmente, mentre quelle in basso
lo fanno con maggiore difficoltà.
H2
H2
1 atm
Pt
H+
1M
A
B
FIGURA 19.9
Il semielemento a idrogeno è utilizzato
come riferimento nella assegnazione del potenziale di riduzione. (A), modello schematico di un semielemento a
idrogeno. (B), semielemento a idrogeno realizzato per l’utilizzazione nella pratica di laboratorio, in cui prende il
nome di elettrodo a idrogeno.
TABELLA 19.1 Scala dei potenziali di riduzione standard E°
espressa in volt (V).
Semireazione di riduzione
_
2H +(aq) + 2e
_
Pb 2+
(aq) + 2e
_
Sn 2+
(aq) + 2e
_
+
Ni 2(aq)
+ 2e
_
Co 2+
(aq) + 2e
_
+
Cd 2(aq)
+ 2e
_
+
Fe 2(aq)
+ 2e
_
Zn 2+
(aq) + 2e
_
2H2O(l) + 2e
_
+
Mn2(aq)
+ 2e
_
Al 3+
(aq) + 3e
_
+
Be 2(aq)
+ 2e
_
+
Mg 2(aq)
+ 2e
_
Na +(aq) + e
_
Ca 2+
(aq) + 2e
_
Ba 2+
(aq) + 2e
_
K +(aq) + e
_
Li +(aq) + e
E° (V)
→ H2(g)
0,00
→ Pb(s)
–0,13
→ Sn(s)
–0,14
→ Ni(s)
–0,25
→ Co(s)
–0,28
→ Cd(s)
–0,40
→ Fe(s)
–0,44
–0,76
→ Zn(s)
→ H2(g) +
–
2OH (aq)
–0,83
→ Mn(s)
–1,18
→ Al (s)
–1,67
→ Be(s)
–1,85
→ Mg(s)
–2,37
→ Na(s)
–2,714
→ Ca(s)
–2,87
→ Ba(s)
–2,90
→ K(s)
–2,925
→ Li(s)
–3,045
La tendenza a reagire come riducente aumenta dall’alto verso il basso:
le specie in alto si ossidano con più difficoltà, mentre quelle in basso
lo fanno più facilmente.
CH/237
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
Le condizioni standard corrispondono alla pressione di
1 atm e alla temperatura di 25 °C per soluzioni 1 M.
PER SAPERNE DI PIÙ
I metalli nobili sono ossidati solo da una miscela di
acido cloridrico HCl e acido nitrico HNO3 in proporzione 3:1, chiamata acqua regia.
Reazioni di ossidoriduzione e corrosione
19
Elettrochimica
I semielementi dei primi gruppi, che tendono a cedere elettroni, hanno
basso valore di E°: sono ossidati con facilità. I semielementi degli ultimi
gruppi, che tendono ad acquistare elettroni, hanno elevato valore di E°:
sono ridotti con facilità. I semielementi dei gruppi intermedi e di transizione hanno valori intermedi di E°.
Il semielemento 2H +/H 2 ossida i semielementi con E° negativo e riduce i
semielementi con E° positivo. In soluzione acida, dove sono presenti ioni
H +, la maggior parte dei metalli, che ha E° negativo, è ossidata e va in soluzione in forma ionica, mentre si libera idrogeno gassoso H 2. Solo i metalli
che hanno E° positivo (oro, argento, rame, mercurio, platino, ecc.) non sono
attaccati dagli acidi. Questi metalli sono chiamati metalli nobili.
L’ossigeno ha valore di E° molto alto; pertanto attacca tutti i metalli, tranne l’oro, che ha potenziale di riduzione ancora maggiore. L’inattaccabilità
dell’oro da parte degli acidi e dell’ossigeno spiega la brillantezza e l’inalterabilità di questo metallo. Il ferro, al contrario, che ha un basso potenziale
di riduzione, è facilmente attaccato dall’ossigeno e dagli acidi.
Le reazioni di ossidoriduzione possono essere sfuttate a nostro vantaggio, per esempio, per produrre corrente elettrica. Altre
volte, però, avvengono spontaneamente
reazioni redox che sono indesiderate e
spesso molto dannose, come nel caso della
corrosione.
Possiamo definire la corrosione come l’alterazione di un metallo a causa di una reazione di ossidazione spontanea. La corrosione del ferro converte il metallo in una
polvere rosso-marrone nota come ruggine,
che è ossido ferrico idrato Fe2O3·H2O. Il
processo richiede la presenza dell’aria e
dell’acqua ed è più veloce se l’acqua contiene ioni disciolti o se la superficie dell’oggetto non è liscia. Il processo decorre
come se l’oggetto fosse una piccola cella
elettrochimica. Vi è un anodo e un catodo
e una connessione elettrica tra i due rappresentata dal metallo stesso. C’è anche un
elettrolita con cui anodo e catodo sono in
contatto. Sulla superficie metallica si viene
a creare un’area anodica, dove il metallo
viene ossidato, e un’area catodica, dove gli
elettroni vengono utilizzati.
Nel caso del ferro a contatto con acqua e
ossigeno le due semireazioni sono le seguenti: all’anodo (ossidazione)
–
Fe(s) → Fe 2+
(aq) + 2e
al catodo (riduzione)
–
O2 + 2H2O(l) + 4e– → 4OH(aq)
(schema in basso). Dopo di che si forma
idrossido ferroso Fe(OH)2 solido:
–
Fe 2+
(aq) + 2OH(aq) → Fe(OH)2(s)
Infine, in ambiente umido e ossigenato
l’idrossido ferroso diventa ruggine:
4Fe(OH)2(s) + O2(g) → 2Fe2O3·H2O + 2H2O(l)
ruggine
Fe (OH)2
e–
e–
e–
OH –
Fe2 +
+
Fe
e–
Fe2 +
–
Fe
+
Anodo
Anodo
Catodo
Soluzione salina ossigenata
CH/238
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CAPITOLO
19
Elettrochimica
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
5. Facendo riferimento ai dati della tabella 19.1, elenca gli elementi del gruppo 17
in ordine decrescente in base al loro potere ossidante. Stabilisci, inoltre, chi tra il
cloro Cl 2(g) e l’ossigeno O2(g) in ambiente acido ha maggiore potere ossidante.
4. Facendo riferimento ai dati della tabella 19.1,
stabilisci tra lo ione ferrico Fe 3+ e lo ione rameico Cu 2+ quale ha maggiore potere ossidante.
Il potere ossidante di un semielemento, cioè la sua capacità a ossidare, diminuisce quando si scende lungo la scala dei potenziali di riduzione standard. Gli elementi del gruppo 17 (F, Cl, Br, I) compaiono tutti nella parte alta della scala e
sono disposti, dall’alto verso il basso cioè in ordine decrescente di E°, nel seguente ordine: F2 > Cl2 > Br2 > I2 . Il semielemento a fluoro ha il maggior potere ossidante in assoluto. Tra Cl 2 e O2 il semielemento a cloro presenta E° = +1,36 V e
nella scala si trova più in alto del semielemento a ossigeno in ambiente acido,
che ha E° = +1,23 V. Pertanto il cloro ha maggiore potere ossidante.
5. Facendo riferimento ai dati della tabella 19.1,
stabilisci tra lo ione sodio Na + e lo ione calcio Ca2+ quale ha maggiore potere riducente.
19.7 Reazioni tra semielementi
P
rendiamo una lamina di zinco e immergiamola in una soluzione di
solfato rameico CuSO4 , cioè in una soluzione che contenga ioni rame
(2 +) Cu2+. Otteniamo un sistema formato da atomi di zinco, che tendono
a ossidarsi a ioni Zn2+, e da ioni Cu2+, che tendono a ridursi a rame metallico. Consideriamo le due semireazioni, con i relativi semielementi e i
potenziali di riduzione standard:
semireazione Cu2+ + 2e – → Cu
semielemento Cu2+/Cu
E°
+ 0,34 V
FIGURA 19.10 Una lamina
di zinco Zn, immersa in
una soluzione contenente
ioni rameico Cu 2+, si ricopre di rame metallico.
semireazione Zn2+ + 2e – → Zn
semielemento Zn2+/Zn
E°
– 0,76 V
Zn
Il potenziale di riduzione E° del semielemento a zinco è minore del potenziale E° del semielemento a rame. Messi a contatto diretto, il primo tende a cedere elettroni al secondo, così si ossida e riduce l’altro. Atomi di zinco si ossidano a ioni Zn2+, che vanno in soluzione. Gli elettroni ceduti dallo
zinco sono trasferiti agli ioni Cu2+, che si riducono ad atomi di rame e si depositano come solido metallico sulla lamina di zinco, ricoprendola di uno
strato rosso scuro (figura 19.10). È avvenuta la reazione:
SO42 –
Zn + Cu2+ → Zn2+ + Cu
cioè il passaggio diretto di elettroni dallo zinco agli ioni rame (2 +). L’energia liberata in questa reazione si sviluppa sotto forma di calore; infatti la soluzione si riscalda. Se, viceversa, ponessimo una lamina di rame in una soluzione contenente ioni zinco Zn2+, non osserveremmo alcun cambiamento.
Il semielemento a zinco, infatti, ha un potenziale di riduzione che gli consente di ridurre il semielemento a rame, ma non di ossidarlo. Gli ioni Zn2+
in soluzione non riescono pertanto a sottrarre elettroni alla lamina di rame
e a ridursi ad atomi di zinco metallico.
Cu2+
Cu
Zn + Cu2+
A
Zn2+ + Cu
APPROFONDIMENTO
Reazioni di ossidoriduzione e viventi
19.8 La pila Daniell
S
appiamo che, se facciamo passare gli elettroni da un semielemento all’altro attraverso un conduttore, per esempio un filo metallico, anziché
per contatto diretto, abbiamo una pila: l’energia della reazione si sviluppa
sotto forma di energia elettrica e non come calore.
Vediamo come è possibile ottenere corrente elettrica da una reazione chimica, prendendo come esempio il funzionamento della pila Daniell, una
delle prime pile elettriche.
CH/239
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CAPITOLO
19
Elettrochimica
La pila Daniell (figura 19.11) è costituita da un recipiente diviso in due
parti da un setto poroso: da una parte vi è una lamina di zinco immersa
parzialmente in una soluzione di solfato di zinco ZnSO4, cioè vi è il semielemento Zn2 +/Zn; dall’altra parte vi è una lamina di rame immersa
parzialmente in una soluzione di solfato rameico CuSO4, cioè si tratta del
semielemento Cu2+/Cu caratterizzato dal colore azzurrino tipico degli ioni
Cu2+ in soluzione. Il setto poroso è permeabile agli ioni, ma ne consente
il passaggio solo con difficoltà così da impedire di fatto il mescolamento
delle due soluzioni.
Quando colleghiamo le due lamine con un filo metallico, che è unito
anche a una lampadina, osserviamo una serie di eventi spiegabili con il
passaggio di corrente elettrica e con lo svolgimento della reazione redox:
la lampadina si accende; la lamina di zinco si assottiglia perché lo zinco
va in soluzione; la lamina di rame si ispessisce e si produce rame metallico; la soluzione di solfato rameico si decolora perché gli ioni Cu 2+ diminuiscono. Avviene la reazione di ossidoriduzione:
Zn + Cu2+ → Zn2+ + Cu
A
2e–
Zn
Zn 2 +
2e–
Zn + Cu2 +
Cu
S
e
t
t
o
p
o
r
o
s
o
Cu
SO42 –
Zn2 + + Cu
FIGURA 19.11
Schema di una pila Daniell. Per ogni atomo di zinco che va in soluzione, due elettroni passano
dalla lamina di zinco a quella di rame, uno ione rame acquista i due elettroni e si riduce a rame metallico, mentre uno ione SO 2–
4 attraversa il setto poroso ristabilendo
l’equilibrio delle cariche.
nel corso della quale gli elettroni dagli atomi di zinco arrivano agli ioni
Cu2+ attraverso un filo elettrico. Il conduttore che collega le due lamine
costituisce il circuito esterno della pila. Il sistema formato dalla pila Daniell e dal circuito esterno è in grado di trasformare energia chimica in
energia elettrica.
Esaminiamo ora nel dettaglio il meccanismo di funzionamento della
pila Daniell. Per comodità di studio è opportuno dividere il processo in
tappe successive e considerare un solo atomo di zinco e un solo ione rameico coinvolti nelle reazioni redox. In realtà tutte le fasi del processo si
svolgono contemporaneamente e per un numero molto grande di atomi e
di ioni.
All’inizio nelle due soluzioni il numero dei cationi (Zn2+ e Cu2+) e degli anioni (SO 2–
4 ) è uguale, sia a destra sia a sinistra (figura 19.12 A). Un
atomo di zinco della lamina di zinco si ossida a ione zinco Zn2+ e va in
soluzione, lasciando due elettroni sulla lamina. Questi elettroni si spostano attraverso il circuito esterno dall’elettrodo di zinco a quello di rame
(figura 19.12 B). Qui i due elettroni attirano uno ione rameico Cu2+, che li
acquista e si riduce ad atomo di rame. Il rame metallico aderisce alla lamina (figura 19.12 C).
Nella soluzione di sinistra vi è un eccesso di cariche positive, dovute al
nuovo ione Zn2+ andato in soluzione. Nella soluzione di destra vi è un
eccesso di cariche negative, dovute allo ione SO 2–
4 non più neutralizzato
dallo ione Cu2+ che si è ridotto. Lo squilibrio di carica elettrica determina
il passaggio di uno ione solfato da destra a sinistra attraverso il setto poroso (figura 19.12 D); in questo modo si ristabilisce la neutralità tra le soluzioni. Le due soluzioni che bagnano le lamine di zinco e di rame e il
setto poroso costituiscono il circuito interno della pila.
In estrema sintesi, i due elettroni ceduti dall’atomo di zinco passano al
rame, essendo acquistati dallo ione Cu2+. Contemporaneamente due cariche negative sono trasportate dallo ione SO 2–
4 da destra a sinistra attraverso
il setto poroso. I due elettroni passano da sinistra a destra nel circuito esterno e le due cariche negative da destra a sinistra nel circuito interno.
I due semielementi rimangono elettricamente neutri. Nel semielemento
a zinco la perdita di elettroni da parte della lamina metallica è compensain soluzione. Viceversa, nel semielemento a
ta dall’arrivo di ioni SO 2–
4
rame l’acquisto di elettroni da parte della lamina metallica è compensato
dall’allontanamento di ioni SO 2–
4 dalla soluzione.
Man mano che gli atomi di zinco vanno in soluzione, gli ioni Cu2+ si
riducono a rame e gli ioni SO 2–
4 si spostano da destra a sinistra. In questo
processo la lamina di zinco si assottiglia e quella di rame si ispessisce.
Fino a che vi sono atomi di zinco e vi sono ioni Cu2+ in soluzione, gli
CH/240
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CAPITOLO
19
Elettrochimica
elettroni passano attraverso il filo metallico e la pila funziona, cioè trasforma energia chimica in energia elettrica.
Abbiamo esaminato il funzionamento della pila Daniell. Quello delle
altre pile segue lo stesso modello generale. Nella figura 19.6 avevamo visto, per esempio, una pila in cui le due soluzioni sono separate da un
ponte salino, cioè una soluzione che serve solo al trasferimento degli elettroni, anziché da un setto poroso. In tutte le pile l’anodo, l’elettrodo dove
avviene la reazione di ossidazione, ha segno negativo, il catodo, dove avviene la riduzione, è positivo. L’ossidazione produce elettroni e dà la carica negativa; la corrente elettrica nel circuito esterno si muove perciò
dall’elettrodo negativo a quello positivo, cioè dall’anodo al catodo.
Ricapitolando possiamo dire che:
씰 Una pila è costituita da due semielementi con diverso potenziale di
riduzione, tenuti separati, ma collegati tra loro da un circuito esterno.
A
B
2e –
Zn
Anodo
Catodo
Zn
2+
2–
SO4
S
e
t
t
o
Cu
Zn
2–
SO4
S
e
t
t
o
Cu2 +
p
o
r
o
s
o
Cu
Catodo
2–
p
o
r
o
s
o
Zn 2 +
Zn 2 +
Cu 2 +
2–
SO4
D
2e –
Zn
2e –
Anodo
Catodo
Zn 2 +
Zn 2 +
2–
SO4
S
e
t
t
o
p
o
r
o
s
o
Cu
Zn
Anodo
S
e
t
t
o
2–
SO4
Cu
Zn 2 +
2–
SO4
I
Cu
Catodo
Zn 2 +
(A), il setto poroso separa la soluzione contenente in ugual numero ioni Zn2+ e
ioni
dalla soluzione di ioni Cu2+ e SO 2–
4 , sempre in numero uguale. (B), un atomo di zinco si
ossida a ione Zn2+ e va in soluzione, lasciando due elettroni sull’elettrodo; i due elettroni passano
attraverso il circuito esterno, arrivano alla lamina di rame e attirano uno ione Cu2+. (C), a contatto con la lamina, lo ione Cu2+ acquista i due elettroni e si riduce ad atomo di rame, che aderisce
all’elettrodo. (D), uno ione SO 2–
4 della soluzione azzurra di solfato rameico attraversa il setto poroso, attratto dalle cariche positive dell’altra soluzione. Infatti, a destra con la scomparsa dello ione
Cu2+ si è creato un eccesso di carica negativa; a sinistra c’è invece un eccesso di carica positiva
per la formazione del nuovo ione Zn2+. Alla fine i due elettroni che erano stati ceduti dal semielemento a zinco sono ritornati alla soluzione di sinistra trasportati dallo ione SO 2–
4 .
SO 2–
4 ,
Anodo
SO4
C
FIGURA 19.12
2e –
p
o
r
o
s
o
FIGURA
PARLANTE
2–
SO4
Zn
Cu
Zn2 + + 2e –
Cu2 + + 2e –
SO42 –
CH/241
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Cu
CAPITOLO
19
Elettrochimica
19.9 Forza elettromotrice di una pila
Q
uando acquistiamo una pila elettrica, specifichiamo da quanti volt ci
occorre. Il valore della differenza di potenziale elettrico espresso in volt
è la forza elettromotrice della pila. La forza elettromotrice (f.e.m.) di una
pila corrisponde alla differenza tra i valori del potenziale di riduzione standard del semielemento ossidante e del semielemento riducente:
f.e.m. = E°catodo – E°anodo
È questa differenza di potenziale che consente il flusso spontaneo degli
elettroni da un elettrodo all’altro. Per esempio, la forza elettromotrice della
pila Daniell è data dalla differenza tra il potenziale di riduzione del semielemento a rame (+0,34 V) e quello del semielemento a zinco (– 0,76 V);
quindi è 0,34 – (– 0,76) = 1,10 V. Così la forza elettromotrice di una pila formata dai semielementi ad argento Ag +/Ag (E° = + 0,80 V) e a ferro Fe2+/Fe
(E° = – 0,44 V) vale 1,24 V.
La differenza tra i due potenziali di riduzione (E°catodo – E°anodo), cioè la
f.e.m., deve avere valore positivo affinché la reazione redox decorra nel
senso indicato e il sistema funzioni come una pila. Il polo negativo delle
pile, l’anodo, è perciò sempre costituito dal semielemento col potenziale di
riduzione più basso, che tende quindi a dare elettroni; il polo positivo, il
catodo, dal semielemento col potenziale di riduzione maggiore, che tende
cioè a prendere elettroni. Nella pila Daniell il semielemento a zinco è il
polo negativo e il semielemento a rame il polo positivo.
Una pila produce corrente elettrica in quanto avviene una reazione redox
e funziona solo fino a che la reazione procede. Quando la reazione si ferma,
perché si sono consumati i reagenti o perché si è raggiunto l’equilibrio, la
pila non funziona più ed è perciò scarica.
LABORATORIO SEMPLICE
Le pile
b
SCHEDA DI LABORATORIO
Costruzione di alcune pile
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
6. Facendo riferimento ai dati della tabella 19.1, verifica se la reazione
Fe 2+
(aq)
+ Cu(s) → Fe(s) +
Cu 2+
(aq)
può avvenire in questa direzione o nella direzione opposta e calcola la forza elettromotrice della pila formata da questi semielementi.
6. Facendo riferimento ai dati della tabella 19.1,
verifica se la reazione
+
+
Ba2(aq)
+ Pb(s) → Ba(s) + Pb2(aq)
può avvenire in questa direzione o nella direzione opposta e calcola la forza elettromotrice
della pila formata da questi semielementi.
Scriviamo dapprima le due semireazioni e individuiamo i relativi potenziali di riduzione standard:
2+
Cu(aq)
E° = +0,34 V
+ 2e – → Cu(s),
2+
+ 2e – → Fe(s),
Fe(aq)
E° = – 0,44 V
2+
Il semielemento Fe /Fe ha potenziale di riduzione minore e tende perciò a cedere
elettroni e a ossidarsi. Questa reazione avviene all’anodo, per cui E°anodo = –0,44 V. Il
semielemento Cu 2 +/Cu ha potenziale di riduzione più elevato e perciò è caratterizzato
dall’acquisto di elettroni e dalla sua riduzione. Questa reazione avviene al catodo, per
cui E°catodo = +0,34 V. Ora ricaviamo la forza elettromotrice della pila:
f.e.m. = E°catodo – E°anodo = + 0,34 V – (– 0,44 V) = +0,78 V
Il valore positivo ottenuto indica che il sistema può funzionare come pila quando il
semielemento a ferro è l’anodo, dove avviene la reazione di ossidazione, e il semielemento a rame è il catodo, dove avviene la riduzione. Quindi la reazione che effettivamente avviene nella pila ha direzione opposta a quella indicata ed è:
2+
2+
Fe(s) + Cu(aq)
→ Fe(aq) + Cu(s)
CH/242
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CAPITOLO
19
Elettrochimica
19.10 Le pile a secco
L
e pile di tipo Daniell o quelle con ponte salino hanno il grande svantaggio di non essere trasportabili, perché le soluzioni si mescolerebbero o si verserebbero. Le pile a secco invece non contengono liquidi liberi
e permettono di fornire energia elettrica ovunque. Queste pile sono costituite da un materiale inerte, imbevuto di una soluzione con gli elettroliti
ed ermeticamente chiuso in un recipiente metallico. L’involucro ha anche
la funzione di semielemento, perché è uno dei due elettrodi.
La pila a secco Leclanché, messa a punto dall’omonimo chimico francese
nel 1868, è quella che ancora oggi usiamo per torce elettriche e vari apparecchi elettronici (figura 19.13). Queste pile hanno una f.e.m. di 1,5 volt. Gli
elementi interessati dalla reazione redox sono Zn e Mn.
Un altro tipo di pila a secco è la pila Mallory (1942), chiamata anche per
la sua forma pila a bottone (figura 19.14); viene usata per orologi, calcolatrici tascabili, macchine fotografiche, videocamere, telecomandi, pacemakers,
apparecchi acustici e altri oggetti elettronici di piccole dimensioni. Queste
pile, a parità di peso, producono una quantità di energia 5÷6 volte maggiore
della pila Leclanché e forniscono una corrente costante fino al loro esaurimento. Gli elementi interessati dalla reazione redox sono Zn e Hg. Una volta scariche, occorre fare molta attenzione al loro smaltimento, dato che contengono composti di mercurio altamente tossici.
La pila a combustibile, detta anche cella a combustibile, è un dispositivo
elettrochimico che in futuro potrebbe trovare una larghissima diffusione.
Queste pile hanno la più alta resa energetica e non provocano inquinamento, poiché si basano sulla reazione di ossidoriduzione:
F
A (Zn)
B
C
D
E
(Zn 2 +)
(NH4Cl)
(MnO2)
(C)
FIGURA 19.13 Pila a secco Leclanché. (A), involucro esterno
di zinco che costituisce l’elettrodo negativo. (B), soluzione
di cloruro di zinco ZnCl 2. (C), soluzione di cloruro di ammonio NH4Cl. (D), pasta di biossido di manganese MnO2.
(E), sbarretta di grafite, che ha solo la funzione di conduttore per formare il polo positivo della pila. (F), isolante.
2H2 + O2 ⇄ 2H2O
che è la reazione con cui l’idrogeno brucia violentemente per produrre acqua. Questa reazione, però, viene fatta avvenire in modo controllato e in soluzione, così che in realtà si hanno le due semireazioni:
2H2 + 4OH – ⇄ 4H2O + 4e –
4e – + 2H2O + O2 ⇄ 4OH –
Nella pila a combustibile le due semireazioni si svolgono separatamente
in parti diverse del recipiente (figura 19.15). Con l’introduzione continua
di idrogeno e ossigeno in queste due parti, dove vi sono elettrodi di platino, si ha produzione costante di energia elettrica e si ottiene acqua come
prodotto di scarto. Le pile a combustibile hanno ancora costi elevati e
sono usate, per ora, solo in settori a tecnologia avanzata, per esempio nei
veicoli spaziali. Una volta risolti alcuni problemi dovuti ai materiali usati, potrebbero sostituire il motore a scoppio nelle automobili.
Polo
negativo
Polo
positivo
H2O
A
H2
FIGURA 19.14 La pila a bottone, la più piccola tra quelle
di uso quotidiano rappresentate nella foto, è una pila a
secco con elevata resa energetica e produzione costante
di corrente elettrica.
B
2H2 +4OH –
K+
4e– +4H2O
OH –
4e– +2H2O +O2
4OH –
O2
FIGURA 19.15 Pila a combustibile. Nel recipiente vi è una
soluzione di idrossido di potassio KOH. Nella parte A gorgoglia idrogeno e nella parte B ossigeno. Gli elettroni prodotti nella parte A raggiungono il circuito esterno e rientrano
attraverso il polo positivo nella parte B, dove riducono l’ossigeno. I quattro elettroni che hanno seguito il percorso
indicato in _rosso ritornano nella parte A attraverso i quattro ioni OH (freccia blu) e così il circuito si chiude.
CH/243
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
19
Elettrochimica
19.11 Gli accumulatori
L
e pile a secco Leclanché non sono ricaricabili e quindi, una volta scariche, devono essere gettate negli appositi contenitori. Gli accumulatori
sono invece ricaricabili, cioè trasformano energia chimica in energia elettrica e viceversa. Gli accumulatori a piombo si basano sulla reazione redox:
FIGURA 19.16 Le batterie delle automobili contengono una
serie di piastre di piombo e di biossido di piombo, disposte
in successione alternata e collegate in modo che la forza
elettromotrice sia complessivamente di 12 V.
2e
–
2H+
2e–
Pb
SO42 –
PbO2
Pb 2 + SO42 –
Pb 2 + SO42 –
A
B
Pb + PbO2 + 2H2SO4 ⇄ 2PbSO4 + 2H2O
I due semielementi di questa particolare pila sono entrambi a base di
piombo, Pb2+/Pb e Pb4+/Pb2+, e la forza elettromotrice prodotta è di circa 2
V. Quando più coppie di questi semielementi sono collegate in serie, si ha
una batteria elettrochimica, come quella delle automobili (figura 19.16).
Vediamo come funziona un accumulatore. Nel recipiente numerose piastre metalliche, la cui superficie è traforata in modo da formare piccole celle, sono immerse in una soluzione acquosa di acido solforico H2SO4. Una
serie di piastre, costituenti il polo negativo, ha le cellette ripiene di piombo
metallico in forma spugnosa, per aumentare la superficie esposta all’acido.
L’altra serie di piastre, il polo positivo, ha cellette ripiene di biossido di
piombo PbO2 (figura 19.17). Il piombo atomico si ossida, cede due elettroni
e diventa ione Pb2+. Gli ioni piombo con gli ioni SO 2–
4 formano il solfato di
piombo PbSO4, un solido bianco insolubile che si deposita nelle cellette. I
due elettroni perduti dal piombo sono acquistati dal biossido, che viene ridotto a ione Pb2+. Anche nelle cellette del biossido, perciò, si viene a formare PbSO4, che si deposita. Durante la fase di scarica, cioè quando l’accumulatore trasforma energia chimica in energia elettrica, tutte le piastre si ricoprono di PbSO4 e la quantità di acido solforico diminuisce.
Man mano che utilizziamo la batteria per produrre corrente elettrica, i
reagenti si consumano. Se colleghiamo l’accumulatore a un sistema capace
di generare corrente elettrica continua, per esempio la dinamo di una automobile, le reazioni avvengono in senso inverso e la batteria si ricarica.
Sfruttiamo la batteria come pila quando mettiamo in moto l’automobile e la
ricarichiamo quando il motore funziona. Durante la fase di carica la quantità dei reagenti aumenta e si ha la trasformazione dell’energia elettrica in
energia chimica.
Oltre a quelli a piombo si conoscono altri accumulatori, come quelli a
base di nichel e cadmio, che sono più leggeri ma hanno una f.e.m. di 1,3 V
per ogni unità.
19.12
FIGURA 19.17 Un accumulatore a piombo è formato da un
recipiente contenente una soluzione di acido solforico, in
cui sono immerse piastre traforate di due tipi. Le cellette
delle piastre sono riempite di piombo spugnoso (A) o di
biossido di piombo (B). Il piombo si ossida a Pb2+ e i
due elettroni ricavati, tramite il circuito esterno, arrivano
all’altra piastra, dove riducono PbO2 a ioni Pb2+. Gli ioni
Pb2+, prodotti dalle due piastre, formano solfato di piombo, solido insolubile che resta aderente alle piastre.
Conduttori di prima
e seconda classe
S
e in un filo metallico facciamo passare, anche per giorni, corrente elettrica, il metallo non si modifica, cioè non subisce alcuna reazione chimica. Si chiamano conduttori elettrici di prima classe i corpi in cui il passaggio di corrente elettrica è dovuto al libero movimento degli elettroni e
non provoca reazioni chimiche. I metalli sono conduttori di prima classe;
conducono la corrente elettrica, perché gli elettroni del livello energetico
più esterno dei loro atomi sono attirati debolmente e sono pertanto liberi di
spostarsi da un atomo all’altro (cfr. § 11.7). Se immergiamo due sbarrette
metalliche, collegate a una pila, in una soluzione di acido cloridrico HCl,
vediamo che su queste sbarrette si formano bollicine di cloro Cl2 e di idrogeno H2. Il passaggio della corrente elettrica provoca la reazione chimica:
2HCl → H2 + Cl2
Si chiamano conduttori elettrici di seconda classe i sistemi in cui il passaggio di corrente elettrica è dovuto al libero movimento degli ioni e provoca reazioni chimiche. Sono conduttori di seconda classe le soluzioni di
elettroliti, cioè le soluzioni di composti che in acqua si dissociano in ioni.
CH/244
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
19
Elettrochimica
Sono anche conduttori di seconda classe i solidi ionici fusi e tutti i sistemi
in cui vi siano ioni capaci di spostarsi. Il cloruro di sodio allo stato solido,
pur essendo costituito da ioni Na+ e Cl –, non conduce corrente, in quanto
gli ioni sono fortemente legati tra loro e non possono spostarsi. Nel cloruro
di sodio fuso, invece, gli ioni si spostano e lo spostamento determina il trasporto della carica elettrica.
19.13 La conducibilità elettrica
delle soluzioni
C
olleghiamo una pila a una lampadina e a due elettrodi, cioè due barrette
di metallo, immersi in una bacinella contenente una soluzione acquosa.
La bacinella in cui sono immersi gli elettrodi è chiamata voltametro e gli
elettrodi hanno i consueti nomi di catodo e anodo. Avevamo già visto che
la lampadina resta spenta se il soluto è un non-elettrolita o se c’è solo acqua
pura, mentre si accende se in soluzione è sciolto un elettrolita (cfr. § 14.1).
Supponiamo di sciogliere nel voltametro un elettrolita forte come il cloruro di sodio NaCl. Gli ioni Na+ e Cl – passano in soluzione e sono attirati,
rispettivamente, dal catodo e dall’anodo. Nel voltametro ci sono cariche
elettriche in movimento, il circuito si chiude e la lampadina si accende (figura 19.18). Nel circuito esterno al voltametro passa una corrente elettrica
formata da elettroni; nel circuito interno passa una corrente formata da ioni
positivi e negativi.
A seconda dell’intensità della luce emessa dalla lampadina sappiamo se
passa poca o molta corrente elettrica (cfr. figura 14.5). La misura della
quantità di cariche elettriche che passano nell’unità di tempo ci dà una indicazione sulla conducibilità elettrica della soluzione. Quando la concentrazione degli ioni è bassa, vi è uno scarso passaggio di corrente; quando in
soluzione vi sono molti ioni, passa molta corrente.
Facciamo notare che nel voltametro il catodo è l’elettrodo negativo e l’anodo quello positivo. Nelle pile era
l’anodo l’elettrodo negativo e il catodo quello positivo. Infatti, il catodo è sempre l’elettrodo in cui avviene la reazione di riduzione e l’anodo l’elettrodo in cui
avviene la reazione di ossidazione.
씰 La conducibilità elettrica di una soluzione è proporzionale alla
concentrazione degli ioni.
La misura della conducibilità di una soluzione dà molte informazioni:
• se una soluzione conduce corrente, vi sono ioni;
• se abbiamo due soluzioni dello stesso composto, la soluzione che ha
maggiore conducibilità è quella più concentrata;
• se abbiamo due soluzioni di due elettroliti diversi con la stessa concentrazione, quella che ha maggiore conducibilità è la soluzione dell’elettrolita più forte, cioè dell’elettrolita più dissociato.
SCHEDA DI LABORATORIO
b
Conducibilità elettrica dei liquidi
–
+
Ione positivo o catione
Catodo
–
Anodo
+
Ione negativo o anione
FIGURA 19.18 In un voltametro la differenza di potenziale
elettrico tra i due elettrodi immersi in una soluzione di un
elettrolita causa la migrazione degli ioni. I cationi si dirigono verso il catodo (–) e gli anioni verso l’anodo (+).
CH/245
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CAPITOLO
19
Elettrochimica
19.14 L’elettrolisi
S
e lasciamo funzionare per un certo tempo il circuito descritto nel paragrafo precedente, comprendente il voltametro in cui è stato disciolto
NaCl, notiamo lo sviluppo di bollicine di gas sugli elettrodi. Con un semplice dispositivo possiamo raccogliere questi gas (figura 19.19). L’analisi
rivela che il gas raccolto al catodo è idrogeno, mentre il gas raccolto all’anodo è cloro.
La comparsa nella soluzione di sostanze che prima non erano presenti
indica che è avvenuta una reazione in conseguenza del passaggio di corrente elettrica. Questa reazione è chiamata reazione elettrolitica. I fenomeni che avvengono nel voltametro al passaggio della corrente prendono
nel loro complesso il nome di elettrolisi. Il voltametro viene anche chiamato cella elettrolitica.
L’azione di un generatore di corrente elettrica, come una pila, può essere paragonata a quella di una pompa. L’analogia ci torna utile per descrivere le reazioni chimiche che avvengono in un voltametro. Il generatore,
infatti, accumula elettroni al polo negativo e li richiama verso di sé dal
polo positivo.
Se nel voltametro è presente una soluzione elettrolitica, gli ioni sono attirati dall’elettrodo con carica di segno opposto. I cationi si dirigono verso l’elettrodo negativo, che è il catodo del voltametro. Gli anioni si dirigono verso l’elettrodo positivo, cioè l’anodo del voltametro. Gli elettroni provenienti
dal generatore determinano la riduzione dei cationi al catodo. Gli anioni si
ossidano all’anodo e il generatore riporta verso sé gli elettroni ceduti.
Prendiamo in esame un voltametro in cui sia presente una soluzione
acquosa concentrata di acido cloridrico HCl, un elettrolita forte completa–
mente dissociato in ioni H + e Cl . Quando il circuito viene chiuso, gli
ioni si dirigono ciascuno verso l’elettrodo con carica opposta (figura
19.20). Seguiamo prima gli idrogenioni che si dirigono verso il catodo.
Quando raggiungono l’elettrodo, catturano ciascuno un elettrone e si riducono ad atomi di idrogeno. Gli atomi di idrogeno si legano due a due per
FIGURA 19.19 Il gas che si forma agli elettrodi può essere
raccolto capovolgendo sopra ciascun elettrodo una provetta
piena d’acqua. Man mano che il gas si accumula nella provetta, il livello del liquido scende. Il passaggio della corrente elettrica determina al catodo produzione di idrogeno,
all’anodo di cloro.
–
+
H2
Cl2
–
+
Acqua
+
NaCl
Catodo
Anodo
CH/246
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CAPITOLO
19
Elettrochimica
formare molecole di idrogeno H2. In questo processo, per ogni ione H +
che ha reagito, un elettrone ha abbandonato il catodo. Contemporanea–
mente, gli anioni Cl sono attirati dall’anodo. Al contatto con l’anodo ciascuno ione cede un elettrone, ossidandosi ad atomo di cloro. Gli atomi di
cloro così formati si uniscono due a due per dare molecole di cloro Cl2.
–
Per ogni ione Cl che ha reagito, l’anodo ha acquistato un elettrone.
Facciamo un riepilogo di ciò che è successo. Un elettrone dal catodo è
–
passato a uno ione H + della soluzione e un elettrone di uno ione Cl della soluzione è passato all’anodo. In altri termini, attraverso gli ioni presenti in soluzione un elettrone ha abbandonato il catodo e un altro ha
raggiunto l’anodo, ovvero un elettrone è passato dal catodo all’anodo. In
questo modo il circuito si è chiuso.
Il passaggio della corrente elettrica nella soluzione ha fatto avvenire
una reazione non spontanea di ossidoriduzione, in cui l’energia elettrica è
stata trasformata in energia chimica: si è svolta una reazione di elettrolisi.
Uno ione H + ha acquistato un elettrone e quindi si è ridotto, mentre uno
–
ione Cl ha ceduto un elettrone e quindi si è ossidato. Sono avvenute le
reazioni:
al catodo
all’anodo
in totale
In definitiva:
2H + + 2e – → H2
–
2Cl → Cl2 + 2e –
–
2H + + 2Cl → H2 + Cl2
씰 una cella elettrolitica è un sistema che utilizza energia elettrica
per far avvenire una reazione redox non spontanea.
Elettroni
Elettroni
–
Catodo
Elettroni
+
Elettroni
–
Anodo
–
Catodo
+
+
Anodo
–
– –
–
H +e
Cl –
H+
+
e–
e–
e–
e–
e e
+
LABORATORIO SEMPLICE
Elettrolisi dell’acqua
e– e–
H+ + e–
–
Elettroni
–
Catodo
–
Elettroni
+
Cl + e–
Cl 2
Elettroni
–
Anodo
Catodo
H2
+
–
Cl
C
–
B
Elettroni
H
H2
Cl – e
Cl
A
H
–
+
Anodo
+
Cl2
FIGURA 19.20 Elettrolisi dell’acido cloridrico HCl. In solu_
zione sono presenti ioni H + e ioni Cl dovuti alla dissociazione dell’acido. Gli ioni H + sono attirati dal catodo,
dove prelevano elettroni
e si riducono ad atomi di idro_
geno. Gli ioni Cl sono attirati dall’anodo, dove cedono
elettroni e si ossidano ad atomi di cloro.
D
CH/247
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CAPITOLO
19
19.15
Elettrochimica
Elettrolisi e potenziale
di riduzione
N
el voltametro della figura 19.19, in cui era sottoposta a elettrolisi una
soluzione concentrata di cloruro di sodio NaCl in acqua, avevamo visto la formazione agli elettrodi di H2 e Cl2. La scala dei potenziali di riduzione standard (cfr. tabella 19.1) chiarisce il motivo per cui, contrariamente alle aspettative, al catodo si forma idrogeno anziché sodio. Lo ione sodio ha un potenziale di riduzione così basso, che gli elettroni forniti dal
catodo sono impiegati per la riduzione dell’acqua, secondo la reazione:
2e – + 2H2O → H2 + 2OH
FIGURA 19.21 (A), in un voltametro contenente una soluzione di cloruro di sodio vengono aggiunte alcune gocce
di blu di bromotimolo; nella soluzione neutra l’indicatore
di pH assume colore verde. (B), alla chiusura del circuito
il blu di bromotimolo vira ad azzurro intorno al catodo,
dove si formano ioni OH –. (C), con il trascorrere del tempo l’intera soluzione assume caratteristiche basiche.
–
È come se al catodo ci fosse una competizione per l’accaparramento degli
elettroni, cioè per la riduzione, tra gli ioni Na+ e le molecole di acqua. Anche se le molecole di acqua non hanno particolare tendenza a ridursi, la
tendenza degli ioni Na+ a catturare elettroni è ancora più bassa.
Si può fare una verifica sperimentale, mettendo in evidenza la formazio–
ne di ioni OH man mano che la reazione di elettrolisi procede. Si aggiungono alla soluzione elettrolitica alcune gocce di un indicatore acido-base
con pH di viraggio uguale a 7 (cfr. § 18.15), per esempio il blu di bromotimolo (figura 19.21). Finché il circuito è aperto, l’indicatore di pH mostra
con il colore verde che la soluzione è neutra. Appena il circuito viene chiuso, la soluzione intorno al catodo inizia a tingersi di azzurro, colore che rivela basicità. Con il trascorrere del tempo la colorazione azzurra si estende
a tutta la soluzione.
La produzione degli ioni idrossido, negativi, compensa la diminuzione
degli ioni cloruro, ossidati all’anodo. La soluzione rimane elettricamente
neutra. La neutralità non è invece conservata per quanto riguarda il pH. La
–
–
graduale sostituzione degli ioni Cl con gli ioni OH rende la soluzione
elettrolitica sempre più basica. L’elettrolisi del cloruro di sodio in soluzione
è un metodo ampiamente utilizzato nell’industria per la produzione dell’idrossido di sodio NaOH.
Acqua
+
NaCl
–
+
–
A
+
B
–
+
C
19.16 Applicazioni industriali
dell’elettrolisi
L’
elettrolisi è usata industrialmente per la preparazione di molti elementi
e composti chimici, per la raffinazione di metalli e per ricoprire un metallo con un altro. Di seguito diamo soltanto alcuni esempi.
Il cloruro di sodio è un composto ionico. L’elettrolisi del cloruro di sodio
solido non è possibile, perché gli ioni legati gli uni agli altri non si spostano.
Facendo l’elettrolisi del cloruro di sodio allo stato fuso, però, gli ioni Na+
–
vanno al catodo e sono ridotti a sodio metallico, gli ioni Cl vanno all’anodo
CH/248
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CAPITOLO
19
Elettrochimica
sale fuso
Na
Cl2
Na+ Cl–
–
–
+
catodo di ferro
FIGURA 19.22 Il cloruro di sodio viene fuso portandolo ad
alta temperatura. Nel sale fuso vi sono due elettrodi, uno
di ferro (catodo) e uno di carbonio (anodo). Al catodo gli
ioni Na + acquistano un elettrone e si riducono a sodio metallico, che, essendo più leggero del cloruro di sodio fuso,
sale nel liquido e si raccoglie nel recipiente a sinistra. Gli
ioni cloro all’anodo cedono un elettrone e si ossidano a
cloro atomico, da cui si formano le molecole di cloro. Il
cloro è un gas e viene raccolto nel cilindro centrale.
anodo di carbonio
+
–
e–
e sono ossidati a cloro atomico. Quindi al catodo si forma sodio metallico e
all’anodo si forma cloro. Questo metodo è usato per la preparazione industriale contemporanea del sodio e del cloro (figura 19.22). Anche l’alluminio
e il magnesio sono prodotti mediante l’elettrolisi dei loro sali fusi.
L’elettrolisi è usata anche per la raffinazione dei metalli, cioè per ottenere
i metalli allo stato puro. Per esempio, il rame ottenuto per via metallurgica,
cioè con metodi chimici, è puro al 99%, ma quello utilizzabile per i conduttori elettrici deve essere puro al 99,98%. Questo aumento di purezza si ottiene mediante raffinazione elettrolitica (figura 19.23).
Si chiama galvanostegia il processo di copertura di un metallo con un altro mediante l’elettrolisi. La latta che si adopera per lo scatolame è ferro ricoperto di stagno mediante l’elettrolisi. Una lastra di ferro viene immersa in
una soluzione contenente sali di stagno e viene collegata al polo negativo di
un generatore di corrente continua. Gli ioni stagno si riducono a stagno metallico, che va a ricoprire omogeneamente la lastra di ferro e la rende così
meno attaccabile e meno soggetta alla corrosione. Allo stesso modo, a seconda degli ioni presenti in soluzione, si può argentare, dorare, nichelare,
zincare, cromare e, in genere, coprire un metallo con un altro, più prezioso
o più resistente alla corrosione.
La galvanoplastica è un processo elettrochimico analogo alla galvanostegia, ma che permette di ricoprire con un metallo un corpo non metallico o
di riprodurre in metallo un oggetto non metallico.
e–
Anodo
(ossidazione)
Catodo
(riduzione)
+
Cu
–
Cu 2
+
Cu
SO42 –
FIGURA 19.23 Raffinazione elettrolitica del rame. Il rame
impuro viene utilizzato come anodo e un filo di rame purissimo come catodo. I due elettrodi sono immersi in una soluzione di solfato di rame. Quando circola corrente elettrica, gli atomi di rame all'anodo vengono ossidati a ioni Cu2+
e passano in soluzione. Gli ioni Cu2+ sono ridotti al catodo,
dove si depongono come rame metallico puro.
19.17 Prima legge di Faraday
F
in qui ci siamo soffermati sugli aspetti qualitativi delle reazioni che avvengono nelle celle elettrolitiche. Gli aspetti quantitativi sono altrettanto
importanti, soprattutto nelle applicazioni industriali dell’elettrolisi. Ci interessa sapere, in certi casi, quanta sostanza si può produrre agli elettrodi oppure quanta corrente è necessaria per la deposizione di una data massa di
sostanza. Due leggi elaborate dallo scienziato britannico Michael Faraday
hanno fornito un contributo fondamentale su questi argomenti.
Se attraverso il voltametro della figura 19.20, che contiene una soluzione di HCl, facessimo passare un solo elettrone, avremmo la reazione agli
elettrodi di un solo ione H + e di un solo ione Cl –. Se facessimo passare
1000 elettroni, avremmo la reazione di 1000 ioni H + e di 1000 ioni Cl –. E
se facessimo passare un numero di Avogadro NA di elettroni, avremmo la
reazione di NA ioni H + e di NA ioni Cl – .
Ogni elettrone è una carica elettrica: maggiore è la quantità di carica
che passa attraverso il circuito, maggiore è la quantità di sostanza che rea-
CH/249
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CAPITOLO
19
Elettrochimica
gisce al catodo e all’anodo. La quantità di materia m che si deposita agli
elettrodi del voltametro aumenta se aumenta l’intensità della corrente I o
se aumenta l’intervallo di tempo t durante il quale la corrente circola.
Poiché il prodotto dell’intensità della corrente I (in ampere) per il tempo t (in secondi) è uguale alla quantità di carica elettrica Q che passa (in
coulomb), cioè I · t = Q, possiamo scrivere:
da cui abbiamo:
m∝I·t
m∝Q
Questa relazione esprime la prima legge di Faraday:
씰 La quantità di sostanza che reagisce agli elettrodi nel corso
dell’elettrolisi è proporzionale alla carica elettrica che circola
nella cella elettrolitica.
La misura della quantità di sostanza che si forma all’elettrodo consente
di calcolare il numero degli elettroni transitati nel circuito. La formazione
di una mole di atomi di idrogeno e di una mole di atomi di cloro segnala
il passaggio di un numero di Avogadro NA di elettroni. Il numero di Avogadro di elettroni è chiamato faraday (F). Il valore di 1 faraday espresso
nell’unità di misura della carica elettrica, il coulomb C, si ricava moltiplicando la carica di un elettrone (1,60 · 10 –19 C) per il numero di elettroni
corrispondenti a una mole (6,02 · 10 23) ed è uguale a 96500 C/mol. Questo
valore è definito costante di Faraday.
PER SAPERNE DI PIÙ
Michael Faraday
Faraday: una vita per la scienza
Michael Faraday, nato in Inghilterra nel
1791 da una povera famiglia che non poteva permettersi di pagare l’istruzione per i
figli, è un personaggio unico nella storia
della scienza. Del tutto autodidatta, ha saputo raggiungere vette altissime nel campo
della ricerca chimica e fisica grazie alla
sua insaziabile curiosità scientifica e all’abilità pratica di cui era dotato.
Assunto giovanissimo come apprendista
rilegatore, trascorreva le ore libere leggendo alcuni dei volumi che gli passavano per
le mani. Un articolo sull’elettricità pubblicato sull’Enciclopedia Britannica lo colpì in
modo particolare, tanto da convincerlo a
dedicare la sua vita alla scienza. Riuscì a
entrare come assistente di laboratorio alla
Royal Institution di Londra, dove perfezionò le sue abilità.
La sua fama come eccellente chimico si
diffuse in gran fretta, procurandogli numerosi incarichi da parte dell’industria chimica. Più tardi si occupò di ioni in soluzione, scoprendo così le leggi che governano
l’elettrolisi. Altri importanti contributi alla
scienza vennero con la legge dell’induzione
e con lo sviluppo di un prototipo di generatore elettrico, creato sperimentalmente
inserendo un magnete in una bobina.
Carattere disinteressato e puro, dallo
stile di vita estremamente sobrio, Faraday
respinse tutti gli onori e le possibilità di
ricchezza che dalla sua posizione potevano
meritatamente derivare. Morì nel 1867 nella più completa semplicità di mezzi, coerente fino all’ultimo con le sue idee.
19.18 Seconda legge di Faraday
I
l passaggio di un faraday attraverso la soluzione di acido cloridrico fa
reagire agli elettrodi una mole di ioni H +, cioè 1 g, e una mole di ioni
–
Cl , cioè 35,5 g. E se invece che ioni portatori di una sola carica, avessimo
ioni con due o tre cariche elettriche, cosa cambierebbe? Nel caso di una so–
luzione di cloruro di bario BaCl 2, che contiene ioni Ba2+ e ioni Cl , per trasformare uno ione Ba2+ in un atomo di bario occorrono due elettroni. Per ridurre una mole di ioni Ba2 + occorrono due faraday. Un solo faraday fa reagire solo mezza mole di ioni Ba2 +. Alla stessa maniera, nel caso di ioni Fe3+
un solo ione richiede tre elettroni, una mole di ioni richiede tre faraday; un
faraday fa reagire solo un terzo di mole di ioni Fe 3+.
씰 La quantità di sostanza che scambia una mole di elettroni, cioè
un faraday, è chiamata equivalente redox.
CH/250
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
19
Elettrochimica
Una mole di ioni con una carica, mezza mole di ioni con due cariche e
un terzo di mole con tre cariche corrispondono tutte a un equivalente redox. Possiamo dire che un faraday fa reagire un equivalente di ioni H +, un
equivalente di ioni Ba 2 + e un equivalente di ioni Fe 3+. La seconda legge di
Faraday afferma che:
씰 Durante l’elettrolisi il passaggio di un faraday provoca la reazione
agli elettrodi di un equivalente di ogni tipo di ione.
In definitiva, la stessa quantità di corrente che circola in celle elettrolitiche contenenti soluzioni diverse provoca la deposizione di un numero
di moli di sostanza inversamente proporzionale al numero di elettroni
scambiati.
Un faraday
fa reagire
⎧1

⎨ 1/2
1
⎩ /3
mole di ioni con una carica
mole di ioni con due cariche
mole di ioni con tre cariche
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
7. Attraverso una soluzione contenente ioni Cu 2 + viene fatta passare per 1 h una
corrente elettrica la cui intensità è di 4,00 A (ampere). Quanti grammi di rame metallico si depositano al catodo? La reazione al catodo è:
–
Cu 2+
(aq) + 2e → Cu(s)
7. Attraverso una soluzione contenente ioni Fe3
viene fatta passare per 45 min una corrente
elettrica la cui intensità è di 10,0 A (ampere).
Quanti grammi di ferro metallico si depositano
al catodo? La reazione al catodo è:
+
Fe 3(aq) + 3e– → Fe(s)
Calcoliamo dapprima la quantità di carica Q che passa attraverso la cella elettrolitica per
1 h: Q (coulomb, C) = I (ampere, A) × t (secondi, s) = 4,00 A × 60 min × 60 s/min =
14400 C. Poi determiniamo il numero di moli di elettroni, dividendo la quantità di carica
passata per la quantità di carica che corrisponde a una mole di sostanza: moli di elettroni = 14400 C × (1 mole e – / 96500 C) = 0,149 mol e –. Poi calcoliamo il numero delle
moli di Cu che si depositano al catodo, ricordando che due elettroni sono necessari per
un solo atomo di rame: 0,149 / 2 = 0,0746 mol di Cu. Infine, moltiplicando per la massa
molare del rame (63,55 g/mol) otteniamo: 0,0746 mol × 63,55 g /mol = 4,74 g di rame.
+
8. Per quanti minuti una corrente, la cui intensità è di 0,500 A, deve passare attraverso una soluzione contenente ioni Ag + per avere la deposizione di 5,00 g di argento metallico in una cella elettrolitica?
_
+
+ e → Ag(s). Dapprima calcoliamo le moli di
Al catodo avviene la reazione: Ag (aq)
elettroni che sono necessarie. Dalla reazione sappiamo che per depositare un atomo di
argento è necessario un elettrone; le moli di elettroni sono perciò uguali alle moli di
argento da depositare.
_
moli di Ag = g di Ag /Massa Molare Ag = 5,00 g / 107,9 g/mol = 0,0463 mol = moli di e
A questo punto calcoliamo la quantità di carica Q espressa in coulomb (C), moltiplicando
il numero delle moli di elettroni per la carica elettrica di una mole:
Q = 0,0463 mol × 96 500 C / mol = 4 470 C
Infine, sapendo che Q = I · t, ricaviamo il tempo necessario per la deposizione:
t = Q / I = 4470 C / 0,500 A = 8940 s = 149 min
Glossary
Anode (anodo) The electrode in which a reduction occurs.
Cathode (catodo) The electrode in which an oxidation occurs.
Electrolysis (elettrolisi) A chemical reaction originated by an electric current in an electrolytic cell.
Electrolytic cell (cella elettrolitica) A system in which current from an external source causes a redox reaction.
Oxidation (ossidazione) A loss of electrons.
Oxidizing agent (agente ossidante) A substance that gains electrons and brings about oxidation in other substances.
Redox reaction (reazione redox) A chemical reaction that occurs with electron transfer.
Reduction (riduzione) A gain of electrons.
Reducing agent (agente riducente) A substance that loses electrons and brings about reduction in other substances.
Salt bridge ( ponte salino) An electrical connection between two half cells.
Voltaic cell ( pila) A system in which a spontaneous redox reaction produces a potential difference between two electrodes.
CH/251
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
G U I DA A L L O S T U D I O
EA
FACCIAMO IL PUNTO
Domande aperte
11 Quale relazione c’è tra il trasferimento di elettroni nelle
12
13
14
15
16
17
18
reazioni chimiche e le relative trasformazioni energetiche?
Possono esistere trasformazioni chimiche senza trasferimento di elettroni? Giustifica la tua risposta.
Come puoi definire una reazione redox? Che cosa sono
gli ossidanti e i riducenti? Quali sono i rispettivi ruoli
nelle reazioni redox?
Perché può essere utile calcolare il numero di ossidazione degli elementi coinvolti in una reazione chimica?
Definisci la composizione e illustra il funzionamento di
una pila Daniell.
Di quale grandezza ricaviamo la misura, quando calcoliamo la differenza del potenziale di riduzione standard tra
i due semielementi di una pila?
Che cosa esprime il potenziale di riduzione standard?
Come possiamo decidere se una reazione redox può essere utilizzata per la costruzione di una pila?
Daniell?
11 Come possiamo classificare i conduttori elettrici in base
al passaggio di corrente elettrica al loro interno?
12 A che cosa è proporzionale la conducibilità elettrica di
una soluzione?
13 Definisci il principio generale su cui si basa l’elettrolisi.
14 L’elettrolisi ha effetti proporzionali al numero di elettroni
15
16
che passano attraverso la soluzione? Giustifica la tua risposta.
Perché, se facciamo passare la stessa quantità di corrente attraverso un solido ionico fuso MX e un solido ionico
fuso M′X 2 , si depositano agli elettrodi diverse quantità di
sostanza?
La natura chimica del soluto presente nella soluzione in
cui viene fatta passare corrente elettrica influisce sullo
svolgimento del fenomeno di elettrolisi? E sulla quantità
di sostanza che si produce agli elettrodi?
A
Esercizi di completamento
14
19 Una pila Daniell è ricaricabile?
10 Quali sono le differenze tra una pila a secco e una pila
Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello spazio vuoto il termine opportuno.
Una reazione di
……………………………………………
………………………………………………………………………………
, che avviene spontaneamente, libera energia chimica; questa
deriva dal trasferimento di elettroni da un atomo, che si
………………………………………………………………
chimica in energia
…………………………………………………
. Mediante particolari dispositivi, le celle voltaiche o
…………………………………………………
………………………………………………………………………
……………………………………………………………………
. In una
…………………………
tra
……………………………………
………………………………………
, che corrisponde alla differenza del potenziale di
, a un altro atomo, che si
, si può trasformare l’energia
e catodo si determina una forza
…………………………………………………………
della pila. La f.e.m. consente il flusso spontaneo degli elettroni lungo il
standard tra i due
…………………………………………………
esterno della pila. Nel processo di ……………………………………………………………… si verifica il passaggio inverso a quello delle pile e si trasforma
energia ………………………………………………… in energia chimica: in questo caso le reazioni redox non sono
………………………………………………………
. I processi
elettrolitici sono governati dalle due leggi di ……………………………………………………………… .
VERIFICA LE CONOSCENZE
A
Esercizi di corrispondenza
18
Collega con una freccia gli elementi della prima colonna a
quelli corrispondenti della seconda colonna e giustifica le
scelte operate.
Pila Daniell
2H2 + O2 ⇄ 2H2 O
Corrosione
Pb + PbO2 + 2H2 SO4 ⇄ 2PbSO4 + 2H2 O
Pila Leclanché
Pila a combustibile
Elettrolisi
Accumulatore
Pila Mallory
2NaCl ⇄ 2Na + Cl 2
Zn + ZnCl 2 + NH4Cl + MnO2
HgO + C + Zn + KOH
Zn + Cu2+ → Zn2+ + Cu
–
Fe(s) → Fe 2+
(aq) + 2e
CH/252
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
A
Domande a scelta multipla
19
29
A 2Na + Cl2 → 2NaCl;
B 2SO2 + O2 ⇄ 2SO3;
Quale tra le seguenti affermazioni riguardanti una reazione redox non è corretta?
C CaO + CO2 ⇄ CaCO3;
A l’ossidante è la specie chimica che tende ad acqui-
stare elettroni;
B l’ossidante è la specie che tende a cedere elettroni;
C il numero di ossidazione di un ossidante diminuisce
nel corso della reazione;
D il numero di ossidazione di un riducente aumenta nel
corso della reazione.
20
Qual è la specie ossidante nella reazione di ossidoriduzione
Cl 2 + 2I – → 2Cl – + I2 ?
A Cl 2;
21
B
I –;
B
C entalpia in energia elettrica;
D entropia in energia elettrica.
Nella cella elettrolitica l’anodo è l’elettrodo:
C negativo dove ha luogo il processo di ossidazione;
D positivo dove ha luogo il processo di ossidazione.
33
Un ossidante è una sostanza:
A in grado di ossidarne un’altra;
B che si ossida spontaneamente;
C in grado di cedere elettroni spontaneamente;
D che fa ridurre un’altra sostanza.
34
Un riducente è una sostanza:
A che acquista spontaneamente elettroni;
B che determina l’ossidazione dell’ossidante;
C in grado di ossidarne un’altra;
D che si ossida spontaneamente.
35
Nella pila Au3+/Au // Ca2+/Ca la forza elettromotrice generata è:
A 4,37 V;
C 2,80 V;
36
B
Nella reazione MnO 2 + 4HCl → MnCl2 + Cl2 + 2H2 O l’elemento che si ossida è:
A il manganese;
C l’ossigeno;
37
B
Quale tra le seguenti classi di elementi ha il carattere riducente più marcato?
C gas nobili;
38
1 faraday corrisponde a:
A il rame è l’ossidante;
B il rame è il riducente;
C lo zinco è l’ossidante;
D lo zinco si riduce.
il cloro;
D l’idrogeno.
D metalli di transizione.
Nella pila Zn 2+/Zn // Cu2+/Cu:
1,67 V;
D 1,27 V.
A 1 elettrone;
B 96 500 elettroni;
C 1,60 · 10 –19 coulomb/mol;
D 96 500 g/mol.
non spontanee;
A negativo dove ha luogo il processo di riduzione;
B positivo dove ha luogo il processo di riduzione;
Quale tra le seguenti classi di elementi ha il carattere ossidante più marcato?
A elementi del gruppo 2;
B elementi del gruppo 14;
A 100 000 coulomb/mol;
B 96 500 coulomb/mol;
28
B
D esotermiche.
A metalli alcalini;
B alogeni;
C 1 mol di elettroni;
non spontanee;
Nelle celle elettrolitiche avvengono reazioni:
1 faraday rappresenta la quantità di carica trasportata da:
D una corrente elettrica di 1 ampere per 1 secondo.
27
32
Una cella elettrolitica è un dispositivo nel quale si ha la trasformazione di:
A energia elettrica in energia chimica;
B energia chimica in energia elettrica;
B
D esotermiche.
A spontanee;
C con ΔG = 0;
Mallory;
D a combustibile.
C entalpia in energia elettrica;
D energia termica in energia elettrica.
26
31
B
La pila elettrica è un dispositivo chimico nel quale si ha la trasformazione di:
Nelle pile avvengono reazioni:
A spontanee;
C con ΔG = 0;
acqua marina;
A energia elettrica in energia chimica;
B energia chimica in energia elettrica;
25
30
D sodio.
Tra le seguenti pile, quella che a parità di condizioni di esercizio ha la più alta resa energetica è la pila:
A Leclanché;
C Daniell;
24
B O2 + 4H+/2H2O;
D 2H+/H2.
Quale tra le seguenti sostanze è un conduttore elettrico di 2ª
classe?
A acqua distillata;
C rame;
23
D I2.
D 2H2 + O2 ⇄ 2H2O.
Il valore del potenziale di riduzione standard 0,00 V è attribuito al semielemento:
A Na+/Na;
C Pt 2 +/Pt;
22
C Cl –;
Tra le seguenti non è una reazione redox:
C alogeni;
D elementi del 4° periodo.
39
Nell’elettrolisi del cloruro di sodio fuso, al catodo si forma:
A Na;
40
B
H2;
C O2;
D Cl2.
Nell’elettrolisi del cloruro di sodio in soluzione, al catodo si
forma:
A Na;
B
H2;
CH/253
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C O2;
D Cl2.
G U I DA A L L O S T U D I O
EA
G U I DA A L L O ST U D I O
41
EA
E
In una cella elettrolitica, in seguito al passaggio di 96 500
coulomb la quantità di sostanza che si scarica agli elettrodi è:
A
45
A P4O10 + 6H2O → 4H3PO4;
B Zn + 2HNO3 → Zn(NO3)2 + H2;
A 1 g;
B 1 equivalente;
C 3Cu + 2NO 3– + 8H+ → 2NO + 3Cu 2+ + 4H2O;
–
D HClO + H+ + Cl → Cl2 + H2O.
C 100 g;
D 96 500 mol.
42
46
Nella reazione NaClO3 → NaClO + O2 :
l’ossidazione;
B il catodo in una pila è l’elettrodo dove avviene
C il sodio si riduce e l’ossigeno si ossida;
la riduzione;
D il sodio si ossida e il cloro si riduce.
C la f.e.m. di una pila è la misura della differenza
Nella reazione H 2 S + 2HNO2 → S + 2NO + 2H2 O l’elemento
che si riduce è:
D il semielemento a ossigeno ha potenziale di
di potenziale tra i due elettrodi;
A lo zolfo;
C l’ossigeno;
44
Quale tra le seguenti definizioni non è corretta?
A l’anodo in una pila è l’elettrodo dove avviene
A il cloro si ossida e l’ossigeno si riduce;
B il cloro si riduce e l’ossigeno si ossida;
43
Quale tra le seguenti non è una reazione redox?
l’azoto;
D l’idrogeno.
riduzione standard uguale a 0,00 V.
B
47
A isola elettricamente i due semielementi;
B consente il collegamento elettrico tra i due semiele-
In una pila Ag +/Ag // Al3+/Al, il numero delle moli di elettroni
trasferiti per ogni mole di alluminio che reagisce è:
A 2;
C 1/3;
In una pila il ponte salino:
menti;
C consente il rimescolamento delle soluzioni;
D determina la forza elettromotrice.
3;
D 1.
B
VERIFICA LE ABILITÀ
Esercizi e problemi
48
52
Si vuole ricoprire d’oro una medaglia con un processo di
galvanostegia. Sapendo che la sua superficie è di 18 cm2 e
che sono necessari 0,50 g/cm2 d’oro per la copertura, quanti faraday bisogna far passare attraverso una soluzione di
ioni Au3+ durante l’elettrolisi?
[0,14 F]
53
Si deve preparare 1,00 m3 di idrogeno alla temperatura di
20 °C e alla pressione di 5,00 bar. Quanti faraday bisogna
far passare attraverso una soluzione di acido iodidrico HI
per ottenere con l’elettrolisi l’idrogeno che occorre? [411 F]
54
Quanti faraday sono necessari per far ridurre all’elettrodo
25 g di ioni Ca2+ ? Quanti grammi di ioni Cl – si ossiderebbero con la stessa quantità di carica elettrica?
[1,2 F ] [44 g]
55
Indica a quale tipo di semielemento è opportuno collegare
un semielemento a sodio in modo da ottenere una differenza del potenziale di riduzione di 4,21 V. Quale valore assume
la differenza di potenziale, se al posto del sodio si inserisce
un semielemento ad argento?
[Au3+/Au] [0,70 V]
56
Indica quale fra le seguenti pile genera la maggiore forza
elettromotrice e individua quali semielementi funzionano da
ossidanti e quali da riducenti:
Bilancia le seguenti reazioni di ossidoriduzione:
A H2S + HNO3 → H2SO3 + NO + H2O;
B Al + AgNO3 → Al(NO3)3 + Ag;
C MnO2 + HCl → MnCl2 + Cl2 + H2O;
D Cu + HNO3 → Cu(NO3)2 + NO + H2O;
E PbCl2 + HIO3 + HCl → PbCl4 + HI + H2O;
F H3PO4 + HCl + Zn → PH3 + ZnCl2 + H2O;
G BH3 + H2O + AgNO3 → Ag + H3BO3 + HNO3;
H H3AsO3 → AsH3 + H3AsO4;
I
49
50
51
CdS + HNO3 → Cd(NO3)2 + S + NO + H2O.
Durante il funzionamento di una pila Daniell la lamina di
zinco si consuma e quella di rame si accresce. Se il peso
della lamina di zinco diminuisce di 1,00 g, il peso della lamina di rame di quanti grammi aumenta?
[0,972 g]
Calcola quanti grammi di cloro Cl2 si sviluppano nell’elettrolisi di una soluzione di HCl al passaggio di 5,7 faraday di
elettroni.
[202 g]
Calcola quanti faraday occorre far passare attraverso una
soluzione contenente ioni Cu2+ per ottenere con l’elettrolisi
1,000 kg di rame metallico. Per ottenere 1,000 kg di argento
metallico da una soluzione contenente ioni Ag + è necessaria
una quantità maggiore o minore di carica elettrica? Giustifica la risposta.
[31,47 F; Ag < Cu (9,271 F < 31,47 F)]
A Fe3+/Fe2+ // Ag +/Ag
B Pb2+/Pb // Cu2+/Cu
C Zn2+/Zn // Cd2+/Cd
D Cu+/Cu // Au3+/Au
CH/254
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Calcola quanti coulomb devono passare in una cella elettrolitica per depositare 63,54 g di rame da una soluzione di
[193.000 C]
solfato rameico CuSO4.
71
Trova gli errori presenti nei seguenti schemi.
A
Cella voltaica
A
58
Calcola quanti coulomb devono passare in una cella elettrolitica per depositare 111,7 g di ferro da una soluzione di sol[386.000 C]
fato ferroso FeSO4.
59
Calcola quanti coulomb devono passare in una cella elettrolitica per depositare 26 g di alluminio da una soluzione di
tricloruro di alluminio AlCl3 e il tempo necessario, se la cor[278.974 C] [15 h 30 min]
rente è di 5,0 A.
60
L’elettrolisi di una soluzione contenente ioni nichel Ni 2 + fa
depositare nichel metallico al catodo. Se si fa passare una
corrente di 0,200 A per 25 minuti, quanti grammi di nichel
[0,091 g]
metallico si formano?
61
L’elettrolisi di una soluzione di solfato rameico per la produzione di rame metallico viene eseguita con una corrente
elettrica di 0,80 A. Per quanti secondi deve essere condotta
[37.990 s]
l’elettrolisi per produrre 1,00 g di rame?
62
Calcola la f.e.m. di una pila in cui si svolge la reazione:
– + Zn 2 +
2I (aq)
(aq) ⇄ I2(s) + Zn(s).
[1,30 V]
In quale verso avviene effettivamente la reazione?
63
GGU
UIIDA
DA AALLLLOO ST
S TU
UD
D IIO
O
57
EA
E
e–
V
(–)
(+)
Zn
Cu
+
2+
Zn (aq)
+ SO 24(aq)
+
2+
Cu (aq)
+ SO 24(aq)
Membrana
semipermeabile
Cella voltaica
B
Flusso di elettroni
Quale catione può essere ridotto più facilmente?
2+
A Cu (aq)
;
2+
B Zn (aq)
;
D Ag +(aq).
64
Qual è la f.e.m. della pila Zn2+/Zn // Ag +/Ag? Quale elettrodo agisce da catodo?
65
Quanto argento metallico si deposita al catodo di una cella
elettrolitica, se si fanno passare 200 000 C di carica in una
[224 g]
soluzione di ioni Ag + ?
66
Facendo passare una certa quantità di corrente in cloruro di
sodio fuso si sviluppano 25 g di cloro Cl2 all’anodo. Quanti
[16 g]
grammi di sodio si depositano al catodo?
67
68
69
70
RIDUZIONE
OSSIDAZIONE
2+
C Fe (aq)
;
Anodo
Cella elettrolitica
C
Per quanto tempo dobbiamo applicare una corrente di 10
ampere per avere la deposizione di 135 g di ferro metallico
[12 h 58 min]
da una soluzione di ioni Fe 2+ ?
Calcola la quantità di carica elettrica in coulomb necessaria
per depositare al catodo 180 g di zinco da una soluzione di
[531.190 C]
ZnCl 2.
G
Generatore di
corrente continua
e–
Catodo
Utilizzando i valori dei potenziali di riduzione standard riportati nella tabella 19.1, indica la f.e.m. della pila
Zn 2+/Zn // Sn 2+/Sn
e specifica qual è il processo ossidoriduttivo spontaneo che
avviene.
Un pezzo di zinco è posto in una soluzione contenente numero uguale di moli di ioni Na +, ioni H+ e ioni Cu 2+. In base
ai valori dei potenziali di riduzione standard, quali reazioni
effettivamente avvengono? Giustifica la risposta.
Catodo
e–
Anodo
Na+
Cl –
2Cl – → Cl 2 + e –
Na+ + e – → Na
NaCl fuso
CH/255
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G U I DA A L L O ST U D I O
EA
A
Gioca e impara
72
Completa lo schema in base alle definizioni.
1
2
17
3
10
16
4
6
15
5
20
14
9
12
21
13
7
8
18
19
11
1. Quello standard di riduzione del semielemento 2H+/ H2 è
uguale a 0 V.
2. Scienziato famoso per la sua teoria sull’elettricità animale.
3. Per primo trovò il modo di trasformare energia chimica in
energia elettrica.
4. Inventò la pila a secco.
5. Quella a combustibile produce acqua.
6. La trasformazione da ione Ag + ad Ag metallico è una reazione
di …
7. Simbolo del metallo che nella pila a secco fa da elettrodo
e da contenitore esterno.
8. La specie che si riduce in una reazione redox è un …
9. A lui si devono due leggi sull’elettrolisi.
10. Pile a forma di bottone.
11. 96 500 coulomb corrispondono a una … di elettroni.
12. La pila con un setto poroso.
13. Dispositivo in grado di trasformare l’energia chimica in energia
elettrica e viceversa.
14. Simbolo del rame (orizzontale). L’unità di misura della quantità
di carica elettrica (verticale).
15. Elettrodi in cui avvengono reazioni di riduzione (orizzontale).
Simbolo dell’elemento che può essere raffinato con un metodo
elettrolitico (verticale).
16. Forza elettromotrice.
17. Il processo che trasforma energia elettrica in energia chimica.
18. Simbolo del litio.
19. Elemento usato in galvanostegia per fare la doratura.
20. L’elettrodo di riferimento nella scala dei potenziali di riduzione
standard è a …
21. Un elemento molto soggetto alla corrosione.
Question
73
Put the five boxes, describing the electrolytic process, in the
correct order and explain your choice:
74
Answer the following questions:
A Where are spontaneous chemical reactions used
to generate electricity?
A number of moles of electrons;
B electric charge (coulomb);
B How do you define the difference in electric
potential energy between the two half-cells that
make up the cells?
C What is the Faraday constant?
D What kind of process takes place in an electrolytic
C grams oxidized and reduced species;
cell?
D current (ampere) and time (s);
E number of moles oxidized and
reduced species.
CH/256
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Chimica inorganica
C A P I TO L O
20
20.1 La chimica inorganica
L
a chimica inorganica è quella parte della chimica che studia le proprietà chimiche e fisiche, i metodi di preparazione e le reazioni dei
singoli elementi e dei loro composti. Gli elementi oggi conosciuti sono
più di 100 e i loro composti molti milioni. Noi studieremo solo gli elementi più importanti dal punto di vista industriale, economico e biologico, mettendone in risalto somiglianze e differenze.
Lo studio della chimica inorganica non richiede un’analisi dettagliata e
specifica per ogni elemento. È sufficiente esaminare le caratteristiche generali di ogni famiglia chimica (cfr. § 0.3), citando le proprietà degli elementi più rappresentativi e dei loro composti più importanti. Le caratteristiche degli elementi variano infatti con periodicità nel Sistema periodico
(cfr. § 10.1), in quanto con periodicità variano la configurazione elettronica esterna e il volume atomico.
Gli elementi di uno stesso gruppo hanno la stessa configurazione elettronica esterna. Le loro proprietà chimiche sono simili, ma non uguali.
Scendendo lungo il gruppo, infatti, aumenta il volume atomico (cfr. §
10.5) e variano tutte le proprietà a esso collegate, come il carattere metallico, che aumenta (cfr. § 10.7). Queste variazioni hanno una grande influenza soprattutto nei gruppi intermedi, come il 13, il 14 e il 15 (cfr. figura 0.10). Per esempio, nel gruppo 14 i primi due elementi, carbonio e
silicio, sono non-metalli e formano acidi deboli, mentre gli ultimi due,
stagno e piombo, sono tipici metalli e formano basi deboli.
Spostandosi da sinistra a destra nel Sistema periodico, aumenta il numero di elettroni presenti nel livello più esterno. Gli elementi dei primi
gruppi tendono a cedere elettroni per raggiungere la condizione di stabilità, comportandosi da riducenti, mentre gli elementi degli ultimi gruppi
tendono ad acquistarli e sono quindi ossidanti (cfr. § 19.2).
La chimica inorganica si occupa di tutti gli elementi,
tranne uno: il carbonio. Il carbonio ha caratteristiche
particolari e ai suoi composti, fondamentali per i sistemi viventi, sarà dedicato uno specifico studio nei
capitoli 22, 23 e 24, dedicati alla chimica organica.
20.2 Preparazione degli elementi
dai loro composti
L
a superficie terrestre è in continuo contatto con l’ossigeno dell’aria e
con l’acqua di fiumi e mari o con l’acqua piovana. Ne risulta che su
di essa non è possibile trovare, in forma libera e non combinata, gli elementi che reagiscono facilmente con l’ossigeno e con l’acqua, che sono la
maggior parte. Si trovano allo stato elementare solo l’oro (figura 20.1), il
platino, il carbonio sotto forma di diamante, il rame, i gas inerti, l’ossigeno e l’azoto presenti nell’atmosfera.
FIGURA 20.1 Oro nativo. L’oro, che è un metallo assai poco
reattivo, si trova in natura allo stato elementare.
CH/257
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CAPITOLO
20
Chimica inorganica
Se vogliamo ottenere un elemento, dobbiamo perciò prepararlo partendo
dai suoi composti. Sulla superficie terrestre troviamo allo stato solido soltanto i composti insolubili in acqua, perché quelli solubili si sono già sciolti. Nel caso degli elementi metallici, la preparazione avviene secondo i seguenti metodi:
a) se il metallo si trova sotto forma di ossido, si fa reagire con carbone a caldo, che riduce l’ossido a metallo. Per esempio:
FeO
+
C → Fe
+
ossido
di ferro
CO
monossido
di carbonio
b) se il metallo si trova sotto forma di carbonato o di solfuro, si portano questi composti ad alta temperatura per ottenere l’ossido. Il metallo si ricava
poi dall’ossido per riduzione. Per esempio:
FeCO3 → FeO
triossocarbonato ossido
di ferro
di ferro
2FeS
solfuro
di ferro
FIGURA 20.2 A causa della diversa struttura cristallina, i
cristalli di ruggine non aderiscono al ferro sottostante e si
staccano con facilità. Per questo motivo il ferro rimane
continuamente esposto al progressivo attacco dell’ossigeno
e dell’acqua.
+
3O2 → 2FeO
+
CO2
diossido
di carbonio
+
ossido
di ferro
2SO2
biossido
di zolfo
Il diossido di carbonio CO2, il biossido di zolfo SO2 e il monossido di carbonio CO, che appaiono tra i prodotti delle ultime tre reazioni, sono gas,
che si liberano e sfuggono. Le tre reazioni sopra descritte sono perciò a
completamento (cfr. § 17.5).
c) se il metallo si trova sotto forma di cloruro o di un altro sale che può essere fuso con relativa facilità, si ricorre all’elettrolisi del sale fuso. Con
questo metodo si preparano, per esempio, gli elementi del gruppo 1, del
gruppo 2 e l’alluminio.
Fra i non-metalli l’ossigeno e l’azoto si preparano industrialmente per distillazione dell’aria liquida. Si liquefa l’aria per raffreddamento e poi la si
riscalda: bolle prima l’azoto (–196 °C), poi l’ossigeno (–183 °C). Per distillazione frazionata dell’aria liquida si ottengono anche i gas inerti, cioè gli elementi del gruppo 18. Il cloro invece si produce industrialmente per elettrolisi del cloruro di sodio fuso. La preparazione in laboratorio di alcuni elementi e composti sarà descritta in seguito.
Un elemento allo stato puro deve essere conservato inalterato. Se l’elemento è poco reattivo con l’ossigeno atmosferico, non vi sono problemi. Alcuni metalli (alluminio, zinco, rame, piombo ecc.), esposti all’aria, si ricoprono di uno strato di ossido che aderisce al metallo e impedisce un’ulteriore reazione con l’ossigeno dell’aria. Il ferro, invece, arrugginisce (figura
20.2). Gli elementi del gruppo 1 sono tanto reattivi che, esponendoli all’aria, in pochi minuti si ossidano. Per poterli conservare inalterati occorre
mantenerli immersi in petrolio, miscela di composti poco reattivi.
Gli elementi gassosi, come idrogeno, elio, ossigeno, azoto, cloro, fluoro, sono conservati e commercializzati in recipienti ad alta pressione (figura 20.3).
FIGURA 20.3 Gli elementi che a temperatura ambiente si
trovano allo stato gassoso non sono liberi in natura e vanno conservati in recipienti chiusi ad alta pressione.
Da qui in poi, i vari paragrafi di questo capitolo sono introdotti da uno schema, che ricorda la posizione nel Sistema periodico degli elementi del gruppo studiato. Inoltre,
sono riportati i nomi e i simboli dei vari elementi, i numeri di ossidazione minimi e massimi che questi elementi possono assumere nei loro composti e le formule dei composti
che gli elementi formano con l’idrogeno e l’ossigeno. Infine, sono indicati anche i tipi di
legame che questi elementi formano nei loro composti.
CH/258
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
20
Chimica inorganica
20.3 Gli elementi del gruppo 1
2
1
He
H
4
3
Li
11
5
Be
12
K
37
Rb
55
20
Fr
Al
31
Ca
38
Sr
56
7
C
14
Si
32
Ga Ge
49
In
81
Cs Ba
87
B
13
Na Mg
19
6
Tl
50
Sn
82
Pb
8
N
15
P
33
As
51
Sb
83
Bi
9
O
16
S
34
Se
52
10
F
17
Cl
35
Po
Ar
36
Br
53
Te
84
Ne
18
Kr
54
I
85
At
Xe
86
Litio (Li); Sodio (Na); Potassio (K);
Rubidio (Rb); Cesio (Cs); Francio (Fr).
Configurazione elettronica esterna: s1.
Numeri di ossidazione più comuni: 0, +1.
Formula generale dei composti con l’idrogeno: XH.
Formula generale dei composti con l’ossigeno: X 2O.
Legami: ionici.
Rn
88
Ra
G
li elementi del gruppo 1, detti anche metalli alcalini, hanno la configurazione elettronica esterna s 1; hanno una fortissima tendenza a cedere
l’elettrone dell’orbitale s più esterno per dare cationi monovalenti M + e
sono quindi riducenti molto forti; reagiscono energicamente anche con l’acqua per formare un idrossido monobasico e idrogeno (figura 20.4):
–
+ H2(g)
2K(s) + 2H2O(l) → 2K +(aq) + 2OH (aq)
I metalli alcalini sono metalli teneri e a bassa densità: litio, sodio e potassio sono meno densi persino dell’acqua, sulla quale galleggiano mentre reagiscono. Gli elementi del gruppo 1 hanno bassi anche i punti di fusione. Il
cesio, in particolare, fonde a 29 °C: ciò significa che in molte giornate estive
il mercurio non è l’unico metallo allo stato liquido. Il sodio viene prodotto
per elettrolisi di NaCl fuso. Per separare il metallo dal cloro è necessario
fare ricorso all’energia elettrica, perché con reazioni redox spontanee è molto difficile convertire lo ione sodio in sodio metallico.
I metalli alcalini sono molto reattivi. Reagendo con l’idrogeno formano
idruri, per esempio l’idruro di sodio NaH. Quando sono esposti all’aria,
reagiscono con l’ossigeno e si ricoprono di uno strato di ossido (figura
20.5). I loro ossidi sono ossidi basici che, reagendo con acqua, formano
idrossidi. Per esempio, l’ossido di potassio K2O con l’acqua forma l’idrossido di potassio KOH, una base molto forte.
FIGURA 20.4 Un pezzo di potassio solido gettato sull’acqua reagisce violentemente, sviluppando idrogeno che per
il calore liberato si infiamma. Nella reazione si forma anche idrossido di potassio KOH, completamente ionizzato
in soluzione.
FIGURA 20.5 Il sodio esposto all’aria si ossida molto rapidamente: lo strato bruno che si forma sulla superficie è ossido di sodio.
Tra gli idrossidi più importanti ricordiamo l’idrossido di sodio NaOH,
detto anche soda caustica, e l’idrossido di potassio KOH, detto anche potassa caustica, solidi bianchi, corrosivi, solubilissimi in acqua come quasi
tutti i composti degli elementi del primo gruppo. Gli idrossidi di sodio e di
potassio sono impiegati in enormi quantità per la preparazione di saponi,
detersivi, coloranti, esplosivi, sali.
Le reazioni chimiche talvolta presentano sorprese. Il prodotto principale
della reazione tra sodio e ossigeno non è infatti l’ossido di sodio Na2O, ma è
il perossido di sodio Na2O2, mentre il prodotto principale della reazione tra
il potassio e l’ossigeno è KO2, il superossido di potassio. Quest’ultimo com-
La soda caustica NaOH a contatto con acqua può generare sufficiente calore da incendiare sostanze combustibili. È irritante
per inalazione e dà sensazione di bruciore,
mal di gola, tosse e difficoltà respiratoria. A contatto
con la cute è corrosiva e produce arrossamento, dolore
e ustioni; stessi effetti sono prodotti sugli occhi. Per
l’uso in laboratorio è necessario munirsi di guanti, di
vestiario protettivo e di occhiali da protezione. Durante l’uso è bene non toccare il cibo.
CH/259
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
FIGURA 20.6 Le maschere
per la respirazione sono usate
nei casi in cui nell’aria non
sia più presente ossigeno.
Nella maschera è presente il
superossido di potassio KO2 ,
una sostanza che, reagendo
con il diossido di carbonio
emesso con la respirazione,
produce ossigeno molecolare.
20
Chimica inorganica
posto non è solo una curiosità di laboratorio, ma trova applicazione nei sottomarini e negli aerei dove occorre produrre ossigeno e tenerne sempre una
scorta a disposizione per le emergenze (figura 20.6). Il superossido KO2 è in
grado di reagire con il diossido di carbonio CO2 emesso con la respirazione
per formare ossigeno:
4KO2(s) + 2CO2(g) → 2K2CO3(s) + 3O2(g)
I metalli alcalini reagiscono energicamente con gli alogeni per formare
sali, come il cloruro di sodio NaCl, il sale da cucina (figura 20.7), o il bromuro di potassio:
2K(s) + Br2(l) → 2KBr(s)
FIGURA 20.7 Struttura cristallina del cloruro di sodio.
Le sfere verdi rappresentano
_
gli ioni cloruro Cl , quelle azzurre gli ioni sodio Na +.
Il carbonato di sodio Na2CO3, detto anche soda, è usato nell’industria
per la preparazione di vetri, saponi, vernici, smalti e molti altri prodotti.
Si produce mediante il processo Solvay, che prevede di far reagire una
soluzione concentrata di cloruro di sodio NaCl con ammoniaca NH3 e
diossido di carbonio CO2:
NaCl + CO2 + NH3 + H2O ⇄ NaHCO3 + NH4Cl
2NaHCO3 ⇄ Na2CO3 + H2O + CO2
L’idrogenocarbonato di sodio NaHCO3, detto comunemente bicarbonato
di sodio, in acqua dà una reazione di idrolisi basica (cfr. § 18.13); infatti si
usa per neutralizzare l’acidità di stomaco. Con un acido il bicarbonato forma
acido carbonico, che a sua volta si scinde in acqua e diossido di carbonio:
Il cloruro di sodio è indispensabile per l’alimentazione
umana, poiché la quantità di ioni Na + presente negli
alimenti è inferiore al fabbisogno fisiologico. Per questo motivo le saline hanno avuto, sin dall’antichità,
una grande importanza economica. Per il loro controllo vi sono state guerre. Il monopolio statale del sale
fu istituito per evitare speculazioni.
NaHCO3 + HCl ⇄ NaCl + H2CO3
H2CO3 ⇄ H2O + CO2
Il diossido di carbonio è un gas e si allontana dalla soluzione. Il risultato
finale dell’aggiunta di NaHCO3 alla soluzione acida dello stomaco è quindi
quello di trasformare un acido forte, l’acido cloridrico, in acqua e cloruro di
sodio, un sale neutro.
20.4 Gli elementi del gruppo 2
2
1
He
H
3
Berillio (Be); Magnesio (Mg); Calcio (Ca);
Stronzio (Sr); Bario (Ba); Radio (Ra).
4
5
12
13
20
31
38
49
56
81
Li
11
B
Na
Configurazione elettronica esterna: s 2.
19
Al
K
Numeri di ossidazione più comuni: 0, + 2.
37
Formula generale dei composti con l’idrogeno: XH2.
Formula generale dei composti con l’ossigeno: XO.
In
Cs
Legami: ionici.
87
7
C
14
Si
32
Ga Ge
Rb
55
6
Tl
50
Sn
82
Pb
8
N
15
P
33
As
51
Sb
83
Bi
9
O
16
S
34
Se
52
10
F
17
Cl
35
Po
Ar
36
Br
53
Te
84
Ne
18
Kr
54
I
85
At
Xe
86
Rn
88
Fr
G
li elementi del gruppo 2, detti anche metalli alcalino-terrosi, hanno
una forte tendenza a cedere due elettroni per formare cationi bivalenti
M 2 +; sono quindi energici riducenti, pur essendolo meno degli elementi del
gruppo 1. Sono metalli e, in genere, si preparano dai loro carbonati. Allo
stato elementare hanno scarsa importanza industriale.
Il calcio è il quinto elemento in ordine di abbondanza sulla crosta terrestre, mentre il magnesio è il settimo. Il carbonato di calcio CaCO3 è un
composto molto diffuso, essendo il costituente di rocce come il marmo, il
calcare e, insieme al carbonato di magnesio MgCO3, la dolomite. Anche
stalattiti e stalagmiti sono formate da CaCO3.
CH/260
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CAPITOLO
20
Chimica inorganica
Il magnesio è il più leggero dei metalli di uso comune e si utilizza,
spesso in lega con l’alluminio, come materiale per la costruzione di aeroplani. Riscaldato, reagisce violentemente con l’ossigeno dell’aria, producendo una luce fortissima: il lampo al magnesio (figura 20.8).
I più importanti e diffusi composti dei metalli (M) del gruppo 2 sono i
carbonati (MCO3), i solfati (MSO4) e i silicati (M2SiO4). Questi sali sono
molto meno solubili in acqua dei corrispondenti sali degli elementi del
gruppo 1; basti pensare al carbonato di calcio, così poco solubile da formare rocce come il marmo.
Riscaldando ad alta temperatura il calcare, formato da CaCO3 impuro, si
ottiene l’ossido di calcio CaO, la calce viva, che può reagire con l’acqua
dando il diidrossido di calcio Ca(OH)2, la calce spenta. Il diidrossido di
calcio può legarsi col diossido di carbonio dell’aria, formando di nuovo
carbonato di calcio CaCO3:
CaCO3 → CO2 + CaO
calce viva
CaO + H2O → Ca(OH)2
calce spenta
Ca(OH)2 + CO2 → CaCO3 + H2O
carbonato
di calcio
FIGURA 20.8 La combustione del magnesio è una reazione
molto rapida che produce una luce intensa.
Su questa serie di reazioni è fondato l’uso delle malte a base di calce per
le costruzioni. Edifici, ponti e in genere le opere murarie devono la loro solidità alla presenza di un materiale legante tra le pietre o tra i mattoni. I leganti idraulici sono così chiamati perché per azione dell’acqua la malta da
semifluida diviene col tempo dura e resistente. Le malte derivate dalla calce hanno reso possibili la Grande Muraglia dei cinesi e le grandi opere realizzate dagli antichi romani (figura 20.9). La malta contiene calce spenta
che assorbe lentamente CO2 dall’aria e forma carbonato di calcio.
Il solfato di calcio biidrato CaSO4 · 2H2O è il gesso, anch’esso usato come
legante e per preparare stucchi. Il diidrogenofosfato di calcio Ca(H2PO4)2,
detto perfosfato, è usato come concime chimico in agricoltura.
Nelle acque superficiali e profonde sono sempre disciolti sali di calcio. Se
l’acqua contiene un’alta concentrazione di ioni calcio Ca2+ è definita acqua
dura. Per diminuire la concentrazione di ioni calcio si ricorre agli addolcitori, composti che si legano agli ioni, sottraendoli all’acqua (vedi § 20.7).
Gli ioni Ca2+ e Mg 2+ hanno grande importanza per gli organismi. I gusci
delle uova e le conchiglie sono costituiti da carbonato di calcio. Il fosfato di
calcio è il maggior componente dello scheletro dei vertebrati. Alcuni enzimi, che hanno funzione di catalizzatori biologici, non funzionano in assenza di ioni calcio o magnesio. Il magnesio fa parte della molecola di clorofilla, il pigmento verde presente negli organismi vegetali che permette l’utilizzazione della luce solare per la fotosintesi.
Tra i sali del bario il più noto è il solfato di bario BaSO4, usato per le radiografie al tubo digerente.
FIGURA 20.9 I grandi edifici costruiti dagli antichi romani prevedevano l’uso delle malte a base di calce come legante idraulico. Nella foto il grandioso ponte/acquedotto
sul Gard in Francia, costruito nel 37 a.C. È alto 49 metri
e lungo 373. Tuttora perfettamente conservato.
CH/261
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CAPITOLO
20
Chimica inorganica
20.5 Gli elementi metallici
del gruppo 13
2
1
Alluminio (Al); Gallio (Ga); Indio (In); Tallio (Tl).
He
H
4
3
Configurazione elettronica esterna: s 2 p1.
Li
Numeri di ossidazione più comuni: 0, +3.
11
5
Be
12
Na Mg
Formula generale dei composti con l’idrogeno: XH3.
19
Formula generale dei composti con l’ossigeno: X 2O3.
K
37
Legami: ionici.
Rb
55
Legami: covalenti (Alluminio).
Cs
87
Fr
20
Ca
38
Sr
56
Ba
6
B
13
Al
31
7
C
14
Si
32
Ga Ge
49
In
81
Tl
50
Sn
82
Pb
8
N
15
P
33
As
51
Sb
83
Bi
9
O
16
S
34
Se
52
10
F
17
Cl
35
Po
Ar
36
Br
53
Te
84
Ne
18
Kr
54
I
85
At
Xe
86
Rn
88
Ra
G
li elementi del gruppo 13 sono detti anche metalli terrosi, perché i
loro ossidi hanno un aspetto terroso. Tuttavia non tutti gli elementi di
questo gruppo hanno carattere metallico. Il boro è un non-metallo e forma
essenzialmente legami covalenti (vedi § 20.10). L’alluminio, che allo stato
elementare si presenta come un metallo, stabilisce legami ionici, ma può
anche formare composti covalenti comportandosi da non-metallo. Gli altri
elementi del gruppo 13 formano legami ionici e sono metalli.
FIGURA 20.10 Un rubino, varietà preziosa di corindone,
una pietra dura formata da ossido di alluminio Al 2O3. Il
nome deriva dal latino medievale rubinus, derivante a sua
volta dal latino classico rubens che significa «rosso».
L’alluminio è il terzo elemento in ordine di abbondanza sulla crosta terrestre, di cui rappresenta il 7,4%. I suoi più diffusi minerali sono i silicati di alluminio (argilla, caolino, feldspati, miche ecc.). L’ossido di alluminio Al2O3 allo stato cristallino costituisce pietre preziose come il corindone, il rubino (colorato in rosso per impurezze di ioni Cr 3+) e lo zaffiro
(colorato in blu per impurezze di ioni Fe2+, Fe3+ e Ti2+) (figura 20.10). La
bauxite, ossido di alluminio idrato Al2O3·nH2O, è il minerale da cui risulta più vantaggiosa l’estrazione del metallo. L’alluminio si produce in
enormi quantità per elettrolisi della bauxite fusa, in presenza di criolite
per abbassarne la temperatura di fusione.
Scoperto solo 150 anni fa, l’alluminio è oggi un elemento chimico insostituibile. Allo stato puro è un metallo bianco, tenero e poco resistente. In
lega con altri elementi acquista proprietà diverse: diviene duttile e malleabile, come nei sottilissimi fogli di alluminio che si usano in cucina,
oppure molto duro, come nel duralluminio. Per la sua ottima conducibilità elettrica e termica è impiegato come materiale, rispettivamente, per
conduttori elettrici e per pentole. È molto leggero ed è quindi usato, in
lega con magnesio, manganese o rame, nell’industria aeronautica, in quella automobilistica e in edilizia (figura 20.11).
Sali di alluminio sono adoperati in tintoria, nell’industria della carta e
nella concia delle pelli. L’ossido viene utilizzato come materiale assorbente,
come catalizzatore, per la preparazione di refrattari, abrasivi e pietre preziose sintetiche.
L’alluminio è un materiale riciclabile e il suo recupero limita lo spreco di risorse naturali. La
raccolta differenziata dei rifiuti di alluminio consente di limitare l’estrazione della bauxite e
di risparmiare il 95% dell’energia richiesta per produrre il metallo.
FIGURA 20.11 Per i rivestimenti esterni la moderna edilizia
fa largo uso di materiali leggeri come vetro e alluminio.
Nella foto il Sony Center di Berlino nella Postdamer Platz.
Gli altri elementi metallici del gruppo 13 sono abbastanza rari, hanno
scarse applicazioni e sono poco importanti nei processi biologici.
CH/262
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
20
Chimica inorganica
20.6 Gli elementi metallici
del gruppo 14
2
1
He
H
4
3
Li
11
5
Be
12
K
37
Rb
55
Cs
87
Fr
B
13
Na Mg
19
6
20
Al
31
Ca
38
Ga
49
Sr
56
C
14
Si
32
Ge
50
In
81
Ba
7
Tl
8
N
15
P
33
As
51
Sb
82
83
Bi
9
O
16
S
34
Se
52
10
F
17
84
Po
Stagno (Sn); Piombo (Pb).
Configurazione elettronica esterna: s 2 p 2.
18
Cl
35
Ar
36
Br
53
Te
Ne
Kr
54
I
85
At
Xe
86
Numeri di ossidazione più comuni: 0, +2, +4.
Formula generale dei composti con l’idrogeno: XH 4.
Formula generale dei composti con l’ossigeno: XO, XO 2.
Legami: ionici e covalenti.
Rn
88
Ra
G
li elementi del gruppo 14 hanno configurazione elettronica esterna
s 2 p 2 . Mentre carbonio e silicio hanno caratteristiche riconducibili ai
non-metalli (vedi § 20.11), stagno e piombo sono tipici metalli. Il germanio
può essere considerato un elemento con proprietà intermedie tra quelle dei
metalli e dei non-metalli, è cioè un semimetallo (cfr. § 0.3). Gli elementi del
gruppo 14 in genere tendono a formare quattro legami covalenti.
FIGURA 20.12 Nelle case
di Pompei sepolte dall’eruzione del Vesuvio del 79
d.C. sono stati rinvenuti
tubi di piombo, che avevano la funzione di trasporto dell’acqua.
Lo stagno fu ottenuto allo stato puro già dai Fenici ed è citato nella Bibbia e da molti scrittori di epoca romana. Lo stagno è un metallo bianco-argenteo, tenero, duttile e malleabile, che fonde a bassa temperatura (231 °C).
Per la sua produzione il minerale più usato è la cassiterite SnO2, biossido di
stagno che viene ridotto a stagno metallico.
Per la sua inalterabilità all’aria e la sua resistenza all’attacco di molte sostanze chimiche, lo stagno è utilizzato come rivestimento protettivo del
rame e del ferro. Per il suo basso punto di fusione è usato nelle saldature
elettriche. Grazie alla sua non tossicità, l’industria alimentare ne ha fatto
ampio uso per avvolgere i prodotti con sottili fogli, la carta stagnola, o per
rivestire internamente i contenitori, le scatole di latta. La latta è infatti un
lamierino di ferro ricoperto con metodo elettrolitico di un sottile strato di
stagno (cfr. § 19.16). Fuso insieme al rame, lo stagno forma il bronzo, una
lega in uso già nel terzo millennio a.C.
Anche il piombo era noto fin dalla preistoria. Nell’antica Roma si costruivano col piombo le condutture d’acqua (figura 20.12), che erano unite tra
loro mediante martellatura: il piombo è infatti molle e malleabile. Il principale minerale del piombo è la galena, solfuro di piombo PbS. Il piombo
puro è un metallo tenero, lucente, con bassa temperatura di fusione (327
°C) e alta densità (11,4 g/cm3). All’aria si copre di uno strato aderente di ossido, che impedisce un’ulteriore ossidazione.
Il piombo metallico è usato per tubazioni, per rivestire cavi elettrici, per
la fabbricazione di munizioni (figura 20.13), anche in lega con l’arsenico, e
per proteggersi dai raggi X. Molti sali di piombo sono colorati e vengono
usati per la preparazione di colori, smalti e vernici. Il minio è una miscela
di ossidi di piombo ed è il componente fondamentale della vernice antiruggine. Il piombo e il biossido di piombo PbO2 costituiscono le piastre degli
accumulatori elettrici. Tutti i composti del piombo sono tossici.
L’avvelenamento da piombo è denominato «saturnismo». Il nome si riferisce alle pratiche
alchemiche che collegavano il piombo al pianeta Saturno.
FIGURA 20.13 Un proiettile di piombo che colpisce un vetro speciale antiproiettile sprigiona nell’impatto una quantità di energia tale da passare allo stato di vapore. Il piombo evaporato ricondensa poi intorno al punto di impatto. Il
basso punto di fusione del piombo è sfruttato per la produzione dei fusibili. Come gli altri metalli, quando è attraversato da corrente si scalda. Se l’intensità della corrente è
eccessiva, come nel caso di un corto circuito, il piombo
fonde e il circuito elettrico si interrompe prima che si abbiano danni più gravi.
CH/263
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
20
Chimica inorganica
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
1. Scrivi la formula e il nome delle sostanze che si formano nelle reazioni tra i
seguenti metalli e non-metalli: (a) calcio e iodio molecolare; (b) alluminio e ossigeno molecolare; (c) litio e cloro molecolare. Bilancia inoltre le relative equazioni chimiche.
1. Scrivi la formula e il nome delle sostanze che
si formano nelle reazioni tra i seguenti composti:
(a) ossido di calcio e diossido di carbonio;
(b) ferro e ossigeno molecolare;
(c) ossido di magnesio e acqua.
Per prevedere quali composti si formeranno nelle reazioni indicate dobbiamo basarci
sul fatto che i metalli tendono a formare cationi con la configurazione elettronica
esterna del gas inerte più vicino. Il calcio, elemento del gruppo 2, forma lo ione Ca 2 +,
l’alluminio lo ione Al 3+ e il litio lo ione Li +. Nelle loro reazioni con i metalli, iodio e
cloro formano gli anioni I – e Cl –, addizionando un solo elettrone, mentre l’ossigeno ne
acquista due formando l’anione ossido O 2–. A questo punto combiniamo cationi e
anioni, bilanciando prima le cariche e poi le masse:
(a) Ca + I2 → Ca 2+ + I – → CaI2 ;
Ca + I2 → CaI2 ;
(b) Al + O2 → Al 3+ + O 2 – → Al2O3 ;
4Al + 3O2 → 2Al2O3 ;
Bilancia inoltre le relative equazioni chimiche.
(c) Li + Cl2 → Li + + Cl – → LiCl;
2Li + Cl2 → 2LiCl.
Infine attribuiamo il nome in base alle regole di nomenclatura: (a) CaI2 diioduro di
calcio; (b) Al 2 O3 triossido di dialluminio; (c) LiCl cloruro di litio.
20.7 Gli elementi di transizione e
i composti di coordinazione
Tutti gli elementi con Z da 21 a 30, da 39 a 48, da 57 a 80 e
da 89 a 112.
Configurazione elettronica esterna: s 2.
Numeri di ossidazione più comuni: 0, +1, +2, +3, +4.
Formula generale dei composti con l’idrogeno: varie.
Formula generale dei composti con l’ossigeno: X 2O, XO,
X 2O3, X2O4, XO2.
Legami: prevalentemente ionici.
G
Gli elementi del blocco f sono anche conosciuti come
elementi di transizione interna.
li elementi di transizione rappresentano il grande blocco di elementi
disposti nella parte centrale del Sistema periodico. Sono tutti metalli e
comprendono tipicamente gli elementi del blocco d, che corrispondono al
riempimento degli orbitali d, cui si possono aggiungere gli elementi del
blocco f, che corrispondono al riempimento degli orbitali di tipo f. Questi
ultimi sono a loro volta suddivisi in due sottogruppi, i lantanidi, compresi
tra il lantanio La (Z = 57) e l’afnio Hf (Z = 72), e gli attinidi, compresi tra
l’attinio Ac (Z = 89) e il rutherfordio Rf (Z = 104).
Gli elementi di transizione in genere tendono a dare cationi bivalenti M 2 +
o trivalenti M 3 +; vi sono però casi di cationi monovalenti, come Ag +, o di
cationi tetravalenti, come Ti4+. Allo stato elementare gli atomi di questi metalli sono uniti da legami metallici. Se il legame metallico è molto forte, gli
elementi fondono ad alta temperatura: il tungsteno W, che costituisce il filamento delle lampadine elettriche, fonde per esempio a 3 410 °C. Se il legame è debole fondono a bassa temperatura: il mercurio è addirittura liquido
a temperatura ambiente.
I metalli del blocco f sono molto rari in natura e tra di essi ci sono gli elementi radioattivi e quelli artificiali. Le proprietà dei metalli del blocco d
sono particolarmente adatte per le varie applicazioni tecnologiche che han-
CH/264
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CAPITOLO
20
Chimica inorganica
no accompagnato le civiltà umane, dall’età del ferro a quella odierna dell’acciaio. Tra essi vi sono i metalli più densi, quelli più tossici e quelli che
hanno funzioni importanti per gli organismi. Sono ottimi conduttori di calore e di elettricità; sono duttili e malleabili e hanno buone caratteristiche
meccaniche. In natura si trovano allo stato elementare solo quelli che hanno
scarsissima reattività, come oro, platino e rame. In genere si preparano dai
loro composti per riduzione degli ossidi o per elettrolisi.
Nel paragrafo 18.4 abbiamo visto come un catione metallico possa formare un legame dativo, accettando coppie di elettroni da una molecola o da
uno ione. La reazione che avviene è una reazione acido-base e il metallo si
comporta da acido di Lewis. I composti che si formano in queste reazioni
sono chiamati composti di coordinazione o complessi.
I composti di coordinazione contengono uno ione metallico o un atomo
metallico centrale, al quale sono legati con legame dativo uno o più ioni
o molecole. Nella maggior parte dei composti di coordinazione troviamo
come elemento centrale un metallo di transizione e solo in pochi casi c’è
un metallo rappresentativo degli altri gruppi. Le specie chimiche legate al
metallo prendono il nome di leganti.
Un legante è una base di Lewis, cioè è una specie che contiene almeno
un doppietto elettronico disponibile per poter formare un legame dativo
con il metallo. Un esempio di leganti sono le molecole NH 3 e H2O (figura
20.14). Il numero di leganti uniti al metallo definisce il numero di coordinazione del metallo, mentre la distribuzione dei gruppi nello spazio è definita come geometria di coordinazione (figura 20.15). Per esempio, il
rame nel composto [Cu(NH3)4 ]2+ ha numero di coordinazione 4 e la geometria è quadrato planare; il nichel in [Ni(H2O)6 ]2+ ha numero di coordinazione 6 e la geometria è ottaedrica (tabella 20.1).
L
L
M
L
L
L
M
M
L
L
L
M
L
L
L
M
L
Ione
metallico
Triangolare
Tetraedrica
Geometria di
coordinazione
Quadrato
planare
L
L
L
L
M
L
Bipiramide
trigonale
Ottaedrica
Numero di
coordinazione
Esempio
Ag +
Lineare
2
[Ag(NH3)2] +
Au +
Lineare
2
[Au(CN)2] –
Cu
+
Tetraedrica
4
[Cu(NH3)4] +
Cd
2+
Tetraedrica
4
[Cd(CN)4]2 –
Zn 2+
Tetraedrica
4
[Zn(NH3)4]2 +
Ni 2+
Tetraedrica
4
[NiCl 4]2 –
2+
Quadrato planare
4
[Pt(NH3)2Cl 2]
2+
Quadrato planare
4
[Pd(NH3)4]2 +
Co 3 +
Ottaedrica
6
[CoF6]3–
3+
Ottaedrica
6
[Fe(NH3)3Cl3]
3+
Ottaedrica
6
[Cr(NH3)6]3 +
Pt
Pd
Fe
Cr
L
L
L
L
Lineare
Cl
FIGURA
PARLANTE
–
2+
Ni
Cl
–
B
N
2+
N
Cu
N
2–
S
N
FIGURA 20.14
Struttura molecolare degli ioni
_
(A) [Ni(H2O)6]2+(Cl )2 e (B) [Cu(NH3)4]2+(SO 24– ).
L
L
L
I
A
FIGURA 20.15 I composti di coordinazione assumono nello spazio specifiche forme geometriche. La struttura può
essere: lineare, triangolare, tetraedrica, quadrato planare,
bipiramide trigonale, ottaedrica. Con M è indicato il metallo o lo ione metallico centrale, con L il legante.
TABELLA 20.1 Geometria di coordinazione e numero di
coordinazione di alcuni complessi metallici.
Nelle formule dei complessi il metallo e i leganti si scrivono tra parentesi quadra, mentre gli
altri anioni si scrivono fuori dalla parentesi.
CH/265
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CAPITOLO
20
Chimica inorganica
I leganti che formano legami con il metallo attraverso uno solo dei loro
atomi sono definiti monodentati; quelli che formano simultaneamente più
legami con il metallo sono detti polidentati o chelanti, in quanto formano
una struttura chiusa (figura 20.16). I complessi con leganti chelanti, chiamati complessi chelati, sono composti particolarmente stabili. La formazione
di ioni complessi chelati stabili è alla base del processo di addolcimento e
depurazione delle acque.
La parte della chimica che si interessa dei complessi è chiamata chimica
di coordinazione e rappresenta uno dei settori di maggiore sviluppo della
odierna chimica inorganica. Con composti di questo tipo si producono nuovi materiali, farmaci e catalizzatori.
N
Nei complessi chelati, il legante si coordina
con due o più atomi allo stesso atomo metallico M, bloccandolo in una struttura chiusa. Il legame di coordinazione
si rappresenta con una freccia che va dall’atomo donatore a
quello accettore.
FIGURA 20.16
N
N
Legante
N
N
M 2+
N
N
N
M
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
2. Scrivi la formula degli ioni complessi che gli ioni metallici Pt2+, Cd2 + e Co3 +
formano con i leganti NH3 e CN –. Utilizza inoltre i dati della tabella 20.1 per indicare la geometria di coordinazione assunta.
2. Scrivi la formula degli ioni complessi che gli
ioni metallici Fe3 +, Cu2 + e Ni2 + formano con i
leganti NH3 e CN –. Utilizza inoltre i dati della
tabella 20.1 per indicare la geometria di
coordinazione assunta.
Il numero di coordinazione degli ioni Pt 2+, Cd 2+ e Co 3+, come indicato nella tabella
20.1, è rispettivamente 4, 4 e 6. Ciò significa che gli ioni Pt 2 + e Cd 2 + formano
quattro legami ciascuno con i leganti, mentre lo ione Co 3 + ne forma sei. Poiché
NH3 è un legante neutro, nei complessi in cui è presente abbiamo una carica ugua_
le a quella dello ione metallico: 2+ per Pt 2+ e Cd 2+ e 3+ per Co 3 +. Poiché CN è invece un legante anionico monovalente, i complessi tra questo anione e i cationi
Pt 2 + e Cd 2+, che hanno numero di coordinazione 4, presentano due cariche negati_
ve: [4 × (–1)] + (+2) = –2. Il complesso tra lo ione CN e lo ione Co 3 +, che ha
numero di coordinazione 6, presenta tre cariche negative: [6 × (–1)] + (+3) = –3.
Pertanto le formule dei complessi sono: [Pt(NH3 )4 ]2+, [Cd(NH3 )4 ]2 +, [Co(NH3 )6 ]3 +,
[Pt(CN)4 ]2–, [Cd(CN)4 ]2–, [Co(CN)6 ]3–. Per quanto riguarda la geometria, i dati
della tabella 20.1 ci dicono che i complessi del platino sono quadrato planari,
quelli del cadmio sono tetraedrici e quelli del cobalto sono ottaedrici.
20.8 Il ferro
T
ra tutti gli elementi di transizione, il ferro è il più importante dal punto di vista industriale ed economico e per la vita di ogni giorno. In natura si trova raramente allo stato elementare. I suoi minerali, però, sono
relativamente abbondanti, in quanto il ferro, dopo l’ossigeno, il silicio e
l’alluminio, è l’elemento più presente sulla crosta terrestre (4,7%). I geologi ritengono che il nucleo del pianeta, la parte più interna della Terra,
sia costituito da ferro e nichel. Il ferro è un elemento essenziale anche
per il metabolismo dei sistemi viventi.
CH/266
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CAPITOLO
20
Chimica inorganica
I più importanti minerali del ferro sono gli ossidi, come l’ematite Fe 2O3
e la magnetite Fe3O4, il carbonato FeCO3, la siderite, e il solfuro FeS2, la
pirite. Grandi giacimenti di ossidi di ferro si trovano negli Stati Uniti, in
Svezia, in Francia e in Gran Bretagna. In Italia si trovano giacimenti di
minerali ferrosi a Cogne in Val d’Aosta e nell’isola d’Elba.
I minerali da cui si parte per la produzione industriale del ferro sono
in prevalenza gli ossidi di ferro. Questi vengono ridotti a ferro metallico
dal monossido di carbonio negli altiforni. Gli altiforni (figura 20.17) sono
costruzioni alte 30 metri con le pareti rivestite da materiale refrattario capace di resistere alle elevate temperature raggiunte all’interno. L’altoforno
viene caricato continuamente dall’alto con strati alterni di carbone e di
minerali o rottami di ferro. Alla base dell’altoforno vi sono aperture per
fare entrare aria sotto pressione.
L’ossigeno dell’aria reagisce con il carbone formando monossido di carbonio CO. Dalla reazione si sviluppa molto calore. Il monossido di carbonio formatosi reagisce con l’ossido di ferro e lo riduce a ferro:
I
FIGURA PARLANTE
Carico
Gas
caldi
220 °C
Fe2O3 + 3CO → 2Fe + 3CO2
Il ferro prodotto fonde, grazie al calore sviluppato nella reazione di formazione del monossido di carbonio, e cola in un recipiente di raccolta
detto crogiolo, da cui viene estratto.
I minerali ferrosi introdotti nell’altoforno contengono molte impurezze,
che vengono eliminate aggiungendo specifici composti. Per esempio, il
calcare CaCO3 alle alte temperature raggiunte nell’altoforno si decompone
in diossido di carbonio e ossido di calcio CaO. Aggiungendo silice SiO2,
l’ossido di calcio si trasforma in silicato di calcio CaSiO3, che fonde e
cola nel crogiolo. Qui il CaSiO3 viene facilmente separato dal ferro fuso,
in quanto il silicato ha densità minore e galleggia.
Il ferro che esce dall’altoforno non è ferro puro, ma una sua soluzione
fusa, che contiene il 5% di carbonio e piccole quantità di altri elementi.
Quando passa allo stato solido, questo materiale forma una lega ferrosa
chiamata ghisa. Se il raffreddamento è rapido, si ottiene la ghisa bianca,
dura e fragile. Se il raffreddamento è lento, si ottiene un materiale dalle
migliori caratteristiche meccaniche, la ghisa grigia, utilizzata nelle componenti dei motori a scoppio, che devono resistere alle alte pressioni, e nei
radiatori dei termosifoni.
Per ottenere materiali con caratteristiche diverse occorre diminuire la
percentuale di carbonio. La ghisa uscita dall’altoforno, ancora allo stato liquido, viene introdotta in un convertitore (figura 20.18), dove è mescolata
con ossidi di ferro. L’ossigeno contenuto negli ossidi reagisce con il carbonio, il fosforo e lo zolfo presenti nella ghisa per formare ossidi volatili,
che si liberano trascinando con sé altre impurezze.
400 °C
1 300 °C
Zona
di fusione
Aria
Scorie
1 600 °C
Aria
Scarico
ghisa
FIGURA 20.17 Schema di un altoforno. Sono riportati i valori delle temperature presenti all’interno. La temperatura
non è uniforme, ma diminuisce salendo.
씰 Se la percentuale di carbonio in lega con il ferro è diminuita a
valori compresi tra 2,5% e 0,5% si ottiene l’acciaio, mentre se
la percentuale è ancora minore si ottiene il ferro dolce, cioè ferro
praticamente puro.
Il ferro dolce è facilmente lavorabile e si utilizza per laminati, fili, barre, profilati, ecc. L’acciaio può avere tantissime applicazioni, perché ha
alta resistenza meccanica ed elevata elasticità. Al tempo stesso è un materiale duttile, malleabile e presenta maggiore resistenza alla corrosione rispetto al ferro puro. L’acciaio e il ferro dolce, sottoposti a forte riscaldamento seguito da rapido raffreddamento, subiscono la tempra, trattamento
che migliora la resistenza meccanica e la durezza. Se si aggiungono agli
acciai altri metalli, si ottengono gli acciai speciali, materiali dalle caratteristiche particolari. Molto importanti sono gli acciai inossidabili, che contengono cromo e nichel. Altri metalli aggiunti agli acciai sono il titanio, il
vanadio, il tungsteno, il manganese, il silicio e il molibdeno.
FIGURA 20.18 Caricamento di un convertitore in una industria metallurgica. Il materiale versato nel convertitore è
ghisa fusa, che dopo il trattamento diviene acciaio.
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CAPITOLO
20
Chimica inorganica
20.9 Altri elementi di transizione
O
ltre al ferro, tra gli elementi di transizione sono importanti il titanio,
il cromo, il molibdeno, il tungsteno, il manganese, il cobalto, il nichel, il platino, il rame, l’argento, l’oro, lo zinco e il mercurio.
Il titanio Ti è molto resistente alla corrosione, ha bassa densità e ottime
caratteristiche meccaniche; è perciò usato per molte leghe metalliche. Il
biossido di titanio TiO2, chiamato bianco di titanio, è usato come pigmento
per la preparazione di smalti e vernici.
Il cromo Cr è un metallo bianco, duro e assai resistente alla corrosione,
tanto da essere usato per ricoprire altri metalli con la cromatura e per le leghe. L’acciaio inossidabile o acciaio inox è una lega di ferro (74%) con il
18% di cromo e l’8% di nichel. Molti composti di cromo sono colorati (cromo in greco significa colore) e sono usati come pigmenti per smalti e vernici. Altri composti del cromo sono usati per la concia delle pelli e nell’industria. I composti del cromo sono tossici.
Il molibdeno Mo e il tungsteno W sono metalli molto resistenti all’ossidazione e sono usati in molte leghe. Hanno un’alta temperatura di fusione, rispettivamente 2 610 °C e 3 410 °C, e possono essere ridotti in fili sottili. I filamenti delle lampade a incandescenza sono costituiti da tungsteno.
Il manganese Mn è un componente di molte leghe. I suoi composti si usano come coloranti e per la concia delle pelli. Il biossido di manganese
MnO2 trova impiego nell’industria vetraria e nella fabbricazione delle pile a
secco (cfr. § 19.10).
Il cobalto Co è usato in alcune leghe metalliche. I suoi sali sono colorati e
si adoperano per la colorazione delle ceramiche e dei vetri.
Il nichel Ni è presente nelle leghe, in particolare nell’acciaio inox, ed è
usato per la copertura di altri metalli con la nichelatura e per la produzione
di monete metalliche. Trova impiego anche nella produzione di pile ricaricabili. Le batterie al nichel-ferro sono più leggere di quelle al piombo.
FIGURA 20.19
Il platino Pt è un metallo bianco, inattaccabile dall’ossigeno e inalterabile, tanto da essere considerato nobile al pari dell’oro. Viene usato come catalizzatore, per contatti elettrici e nell’industria orafa.
Rame nativo.
Verso la metà del XVIII secolo alcuni minatori della
Sassonia tentarono di estrarre il rame dalla niccolite.
Riuscirono però solo a ottenere un metallo molto fragile. Qualcuno in un eccesso di collera esclamò «Il
diavolo ti porti!». Poiché allora il diavolo era generalmente chiamato «vecchio Nick», a quel metallo fu
dato il nome di kupfernickel, cioè «rame del diavolo».
In seguito il nome fu abbreviato in nickel.
Il rame Cu ha un elevato potenziale redox ed è quindi difficilmente ossidabile (figura 20.19). Fu prodotto allo stato elementare e utilizzato sin dal
3 500 a.C. È un metallo rossastro, tenero, duttile, malleabile, ottimo conduttore di calore e di elettricità, tanto da essere il componente fondamentale
dei cavi elettrici. Il rame, l’argento e l’oro sono chiamati metalli da conio,
in quanto per le loro proprietà meccaniche e di resistenza alla corrosione
sono stati spesso usati per la coniazione delle monete. Il rame, in lega con
lo stagno, forma il bronzo e, in lega con lo zinco, l’ottone. Esposto all’aria
umida si copre lentamente di una patina verdastra di carbonato di rame,
detto verderame. Tra i più importanti sali di rame c’è il solfato rameico
CuSO4, molto usato come anticrittogamico. I sali di rame sono tossici.
L’argento Ag è un metallo bianco, tenero, molto resistente all’ossidazione
ed è il miglior conduttore di elettricità. L’argento puro è poco usato: in
gioielleria si usa normalmente una sua lega contenente il 20% di rame.
Molti metalli vengono ricoperti per via elettrochimica con l’argentatura. La
parte riflettente degli specchi è un sottile strato di argento. L’annerimento
degli oggetti di argento è dovuto alla formazione di solfuro di argento Ag 2S.
Il bromuro d’argento AgBr è un composto fotosensibile, cioè esposto alla
luce reagisce e si decompone in argento metallico e bromo. Per questa proprietà è usato nelle emulsioni delle pellicole fotografiche.
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CAPITOLO
20
Chimica inorganica
L’oro Au è un metallo giallo, brillante, molto resistente all’ossidazione. È
inalterabile e non reagisce con gli acidi, essendo attaccato solo da una particolare miscela di composti: l’acqua regia (vedi § 20.14). Per questa sua resistenza all’ossidazione, l’oro con il platino e il palladio fa parte dei cosiddetti metalli nobili. Come il platino, si può trovare allo stato puro sotto forma
di pepita. L’oro è molto malleabile: si riesce a farne fogli con lo spessore di
un decimillesimo di millimetro. Per renderlo più duro lo si unisce in lega
con altri metalli. L’oro bianco contiene il 20% di platino, l’oro rosso contiene rame e l’oro verde argento. Il titolo, cioè la concentrazione dell’oro nella
lega, si esprime in carati: l’oro puro è a 24 carati; quello comunemente usato nelle lavorazioni orafe è a 18 carati, cioè contiene 18 parti in peso di oro
su 24 parti totali.
Lo zinco Zn è un metallo bianco, che resiste all’ossidazione in quanto si
copre di un sottile strato di ossido. Si usa per ricoprire altri metalli con la
zincatura. Costituisce l’involucro e l’anodo di alcune pile a secco. È essenziale per la vita degli animali e delle piante.
Il mercurio Hg è l’unico elemento di transizione e l’unico metallo che a
condizioni normali (c.n.) si trovi allo stato liquido. Ha elevata densità (13,6
g/cm3) e colore bianco argenteo, tanto che era chiamato argento vivo. Fonde
a –39 °C e viene usato nei barometri e nei termometri, ma soprattutto nell’industria per l’estrazione di alcuni metalli. Viene anche usato per la fabbricazione delle lampade a vapori di mercurio, che danno una luce ricca di
radiazioni ultraviolette. In lega con altri metalli forma gli amalgami. I suoi
sali sono estremamente tossici.
20.10 Il non-metallo del gruppo 13:
il boro
2
1
He
H
4
3
Li
11
5
Be
12
Na Mg
19
K
37
Rb
55
Cs
87
Fr
20
Ca
38
Sr
56
Ba
6
B
13
Al
31
7
C
14
Si
32
Ga Ge
49
In
81
Tl
50
Sn
82
Pb
8
N
15
P
33
As
51
Sb
83
Bi
9
O
16
S
34
Se
52
10
F
17
Cl
35
Po
Ar
36
Br
53
Te
84
Ne
18
Kr
54
I
85
At
Xe
86
Boro (B).
Configurazione elettronica esterna: s 2 p1.
Numeri di ossidazione più comuni: 0, +3.
Formula generale dei composti con l’idrogeno: XH3.
Formula generale dei composti con l’ossigeno: X 2O3.
Legami: covalenti.
Rn
88
Ra
I
l boro è un elemento del gruppo 13, ma ha solo 5 elettroni e il suo volume atomico è piccolo. Pertanto le proprietà del boro sono quelle dei
non-metalli, tanto che forma quasi sempre legami covalenti. Tra i composti del boro ricordiamo l’acido borico H3BO3, un acido debolissimo con
proprietà disinfettanti, il perborato di sodio NaBO3, usato nei detersivi
come ossidante e sbiancante in quanto si decompone liberando ossigeno
atomico, il borace Na 2B4O5(OH)4·8H2O (figura 20.20) e i trialogenuri BX3
(X = F, Cl, Br, I).
I composti del boro, nei quali l’elemento non raggiunge
L →F
la configurazione elettronica stabile dell’ottetto s 2p 6, sono
|
L •• →B ⎯ F
piuttosto reattivi. Per esempio, nel trifluoruro di boro BF3
|
l’atomo di boro può accogliere un quarto doppietto elettroL
→F
nico, come quello donato da basi di Lewis o da leganti (L)
(cfr. § 20.7).
FIGURA 20.20 Il borace è uno dei minerali più importanti
da cui si possono ricavare i composti del boro. Il borace è
utilizzato nell’industria dei saponi.
CH/269
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Chimica inorganica
20.11 Non-metalli del gruppo 14:
il carbonio
2
1
He
H
3
Carbonio (C); Silicio (Si); Germanio (Ge).
4
Li
11
Configurazione elettronica esterna: s 2 p 2.
5
Be
12
Na Mg
Numeri di ossidazione più comuni: 0, +2, +4, –4.
19
K
Formula generale dei composti con l’idrogeno: XH 4.
37
Formula generale dei composti con l’ossigeno: XO, XO 2.
Rb
55
Legami: covalenti (Carbonio, Silicio).
Cs
87
Fr
In questo capitolo si parla del carbonio allo stato elementare e dei suoi composti inorganici. Ai composti
organici del carbonio sono interamente dedicati i capitoli 22, 23 e 24.
20
Ca
38
Sr
56
Ba
6
B
13
Al
31
7
C
14
Si
32
8
N
15
P
33
Ga Ge As
49
In
81
Tl
50
51
Sn Sb
82
Pb
83
Bi
9
O
16
S
34
Se
52
10
F
17
Cl
35
Po
Ar
36
Br
53
Te
84
Ne
18
Kr
54
I
85
At
Xe
86
Rn
88
Ra
A
bbiamo visto nel § 20.6 che gli elementi del gruppo 14 hanno in comune la configurazione elettronica esterna s 2p 2 e che due di essi, stagno e piombo, sono metalli e due, carbonio e silicio, presentano le caratteristiche tipiche dei non-metalli. Carbonio e silicio stabiliscono generalmente quattro legami e il carbonio, per il suo piccolo raggio atomico, può
formare anche doppi o tripli legami.
Il carbonio, così come il silicio, ha un’enorme importanza e diffusione
in natura. Allo stato elementare si può trovare carbonio puro sotto forma
di cristalli o impuro in forme non cristallizzate. Le due tipiche forme cristalline in cui il carbonio si presenta sono estremamente diverse: il diamante e la grafite. Una terza forma è rappresentata dalla famiglia dei fullereni, forme cicliche di atomi di carbonio scoperte alla fine degli anni
Ottanta del secolo scorso e prodotte artificialmente.
Il diamante, carbonio purissimo, è un solido costituito interamente da
atomi di carbonio con ibridazione sp3 legati tra loro. Nei diamanti gli atomi
sono uniti da legami covalenti puri così forti da farne il solido più duro che
si conosca. Infatti il diamante è usato per incidere qualunque altro materiale. Il diamante fonde ad altissima temperatura (3500 °C) e non conduce la
corrente elettrica, perché gli elettroni sono tutti impegnati nei forti legami
covalenti. La sua brillantezza è data dalla trasparenza e dalla facilità con la
quale scompone la luce nei vari colori.
Nel 1950 alcuni scienziati riscaldarono la grafite a 1500 °C in presenza di
metalli come nichel o ferro e sotto la pressione di 60 000 atm. Essi verificarono che in condizioni simili a quelle delle eruzioni vulcaniche il carbonio
si scioglie nel metallo e forma diamanti (figura 20.21).
La grafite ha una struttura cristallina che si differenzia dal quella del diamante per la diversa disposizione dei legami tra gli atomi. Nella grafite gli
atomi di carbonio hanno infatti ibridazione sp2 anziché sp3. Gli atomi si
uniscono perciò a formare strati che si sovrappongono gli uni agli altri con
debolissime interazioni tra loro. La stuttura planare spiega perché la grafite
sia un buon lubrificante e una sostanza facilmente sfaldabile. Rispetto al
diamante è un po’ meno densa ed è uno dei componenti delle mine delle
matite, in cui è mescolata con argilla.
Detriti
Roccia diamantifera
FIGURA 20.21 Visione aerea e schema in sezione della
grande miniera diamantifera di Kimberley (Sud Africa). Le
miniere di diamanti sono scavate in modo da raggiungere
antichi camini vulcanici non più attivi. La roccia diamantifera è costituita da frammenti di magma formatosi a
grande profondità e a elevatissima pressione.
Le forme non cristalline e non pure di carbonio sono i carboni fossili e
i carboni vegetali, animali e artificiali. I carboni fossili derivano dalla disidratazione e fossilizzazione, più o meno completa, del legno di antiche
foreste o di materiale vegetale accumulatosi in ambiente acquitrinoso. I
resti vegetali, sepolti sotto decine o centinaia di metri di sedimenti e sottoposti a leggero riscaldamento, si trasformano in carbone fossile. A seconda delle condizioni ambientali e della durata della fossilizzazione si
CH/270
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CAPITOLO
20
Chimica inorganica
formano materiali diversi con contenuto di carbonio crescente. Si forma
prima la torba e poi lignite, litantrace e infine antracite, che ha un contenuto di carbonio del 98%.
I carboni animali e i carboni vegetali si ottengono riscaldando ossa o legno ad alte temperature in assenza di ossigeno. Questi carboni sono molto
porosi e sono usati per decolorare i vini, per potabilizzare le acque, nelle
maschere antigas e in genere nei filtri per depurare i gas. Carboni artificiali
sono il nerofumo, ottenuto bruciando il metano in difetto di ossigeno, e il
carbone coke, ottenuto riscaldando il litantrace in assenza di ossigeno.
Quando il carbonio reagisce con quantità limitate di ossigeno si forma il
monossido di carbonio CO (figura 20.22):
2C + O2 → 2CO
Il monossido di carbonio è un gas molto tossico, perché si lega stabilmente con la molecola di emoglobina, bloccandone il funzionamento.
Antracite • Carbone fossile, dal greco anthrax «carbone».
Il principale uso del carbone fossile è per la produzione di energia; una mole di carbonio, cioè 12 g, reagendo con l’ossigeno produce 393 kJ. Il carbone viene
usato nell’industria anche per il suo potere riducente.
Il carbone coke è un combustibile prodotto per distillazione del carbon fossile e impiegato per la produzione di energia negli impianti industriali. Viene caricato
negli altiforni, dove agisce come riducente degli ossidi
di ferro e come combustibile.
FIGURA 20.22 Il monossido di carbonio è uno dei pochi
composti inorganici in cui l’atomo di carbonio è legato all’altro atomo con tre legami.
C ≡≡≡ O
Quando il monossido di carbonio reagisce con l’ossigeno si forma il diossido di carbonio CO2, detto comunemente anidride carbonica. Il diossido di
carbonio si forma anche direttamente quando il carbonio reagisce con quantità abbondanti di ossigeno:
C + O2 → CO2
In questo caso l’atomo di carbonio lega entrambi gli atomi di ossigeno
con un doppio legame (figura 20.23). Il diossido di carbonio viene preparato in laboratorio facendo reagire un acido con un carbonato:
CaCO3 + 2HCl → CaCl2 + H2O + CO2
FIGURA 20.23 Nel diossido di carbonio l’atomo di carbonio
forma un doppio legame con ciascuno dei due atomi di ossigeno. La molecola ha struttura lineare.
O == C == O
Si ottiene diossido di carbonio come sottoprodotto della preparazione
dell’etanolo nelle distillerie. Per compressione passa facilmente allo stato
liquido e viene messo in commercio in bombole. Si può trovare anche allo
stato solido. Il diossido di carbonio solido, chiamato comunemente ghiaccio secco (figura 20.24), non fonde, ma sublima, cioè passa direttamente
allo stato aeriforme, producendo un notevolissimo raffreddamento. Il potere
refrigerante del ghiaccio secco, pari a 150 kcal/kg, è quasi il doppio di quello del ghiaccio di acqua.
Il diossido di carbonio è molto solubile in acqua, perché reagisce con
essa formando acido carbonico H2CO3:
CO2 + H2O → H2CO3
L’acido carbonico H2CO3 è un acido debole diprotico. Quando reagisce
con idrossidi di metalli alcalini e alcalino-terrosi forma sali, come il carbonato di sodio Na2CO3, o sali acidi, come l’idrogenocarbonato di sodio
NaHCO3. I carbonati degli elementi del gruppo 1 sono solubili in acqua,
mentre quelli dei gruppi 2 e 3 sono insolubili.
FIGURA 20.24 Il diossido di carbonio solido, comunemente chiamato ghiaccio secco, si trova a –78 °C a pressione
atmosferica.
CH/271
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
20
Chimica inorganica
20.12 Non-metalli del gruppo 14:
silicio e germanio
D
opo l’ossigeno, il silicio è l’elemento più abbondante sulla crosta terrestre, di cui costituisce il 26%. In natura non si trova allo stato elementare, ma sotto forma di ossido o di silicato. Si adopera per fare leghe ed essendo un semiconduttore è usatissimo nella fabbricazione dei componenti
elettronici per apparecchiature digitali (figura 20.25).
Come il carbonio, anche il silicio ha un comportamento chimico da nonmetallo, ma il suo raggio atomico è maggiore. Per questo motivo non riesce
a formare legami doppi, come fa il carbonio nella molecola O == C == O (CO2),
o tripli (cfr. § 11.4). La molecola con formula di struttura O == Si == O non
può esistere; esiste però una specie chimica corrispondente in cui ci sono
due atomi di ossigeno per ogni atomo di silicio, che ha formula minima
SiO2 e nome diossido di silicio. Questo composto molecolare ha una struttura polimerica in cui ogni atomo di silicio è legato a quattro atomi di ossigeno e ogni ossigeno è legato a due atomi di silicio.
In natura la sostanza che ha formula (SiO2)n è largamente diffusa e nelle
varie forme in cui si presenta prende il nome generico di silice. Il minerale
quarzo è silice pura disposta a formare cristalli ben riconoscibili.
Di silice sono formati anche altri minerali, come calcedonio, agata, corniola, onice, diaspro e opale, conosciuti come pietre ornamentali. La silice
è una sostanza solida che fonde ad alta temperatura e che resiste all’attacco
di tutti gli acidi, a parte l’acido fluoridrico HF.
Il disco a forma di wafer contiene numerosi
circuiti integrati, i microchips, costituiti di silicio. Per la
sua resistività elettrica intermedia tra quella dei conduttori
e quella degli isolanti, il silicio è un semiconduttore e
come tale permette il funzionamento di transistor, diodi e
processori per computer.
FIGURA 20.25
Il gel di silice, una sostanza amorfa, incolore e porosa, è ottenuto sottraendo parte dell’acqua presente nel polimero gelatinoso di acido silicico
SiO2·n(H2O), prodotto a sua volta per aggiunta di acido cloridrico a una soluzione di silicato di sodio. Il gel di silice assorbe acqua e altre sostanze ed
è perciò usato come disidratante e decolorante (figura 20.26). Dalla silice
SiO2, riscaldata con carbone coke in un forno elettrico a circa 3 000 °C, si
preparano quantità elevate di silicio allo stato elementare:
SiO2(s) + 2C(s) → Si(s) + 2CO(g)
FIGURA 20.26 Il gel di silice fu preparato per assorbire gas
e vapori tossici nelle maschere antigas usate durante la
prima guerra mondiale. Oggi trova impieghi vastissimi
ovunque sia necessario assorbire l’umidità ed eliminare gas
o vapori.
I silicati sono i minerali più abbondanti in natura, in quanto costituiscono la crosta e il mantello del nostro pianeta e hanno perciò un’enorme importanza nel determinare le caratteristiche della Terra solida e i fenomeni
geologici. I silicati sono formati da unità tetraedriche di ioni silicato SiO 44– e
hanno differenti proprietà a seconda di come i tetraedri sono legati tra loro.
Rocce molto note, come il granito, il porfido, il basalto, l’argilla e l’amianto,
e tanti altri materiali, come il vetro, la ceramica e il cemento, sono costituiti
da silicati. Anche alcune pietre preziose, come l’acquamarina, lo smeraldo
e il granato, sono silicati.
CH/272
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CAPITOLO
20
Chimica inorganica
I siliconi sono composti artificiali del silicio di notevole interesse industriale. Si tratta di polimeri inorganici formati da una catena principale di
atomi di silicio alternati ad atomi di ossigeno. Ogni atomo di silicio completa gli altri due legami con gruppi tipici delle molecole organiche,
come il gruppo metile ⎯ CH3 (figura 20.27 A).
I siliconi sono materiali dotati di elevata elasticità. La catena principale
del polimero è infatti molto flessibile, perché i legami tra l’atomo di silicio
e i due atomi di ossigeno cui è legato si possono aprire e chiudere facilmente, come una forbice (figura 20.27 B).
FIGURA 20.27 (A), i siliconi sono catene di atomi di silicio collegati da atomi di ossigeno. Quando legati al silicio ci sono due gruppi metile ⎯ CH3, il polimero è il polidimetilsilossano, il silicone più comune. (B), nei siliconi
i legami tra silicio e ossigeno possono flettersi con estrema facilità. Ciò li rende adatti a essere impiegati come
materiali elastici, oli lubrificanti e impermeabilizzanti.
A
CH3
Si
CH3
CH3
O
CH3
Si
O
CH3
Si
CH3
O
CH3
Si
CH3
O
Si
CH3
CH3
B
R
O
R
Si
R
O
R
R
R
Si
Si
O
O
O
O
Il germanio allo stato elementare è un semiconduttore ed è usato per i
transistor e i componenti elettronici. È un elemento piuttosto raro e si ricava dal diossido di germanio GeO2, un prodotto secondario dei minerali dello zinco. Una sostanza nota come germanio organico è usata in campo terapeutico per la proprietà di stimolare il sistema immunitario.
20.13 Gli elementi del gruppo 15
2
1
He
H
4
3
Li
11
5
Be
12
K
37
Rb
55
Cs
87
Fr
B
13
Na Mg
19
6
20
Al
31
Ca
38
56
In
81
Ba
C
14
Si
32
8
N
15
P
33
9
O
16
S
34
Ga Ge As Se
49
Sr
7
Tl
50
Sn
82
Pb
51
Sb
83
Bi
52
10
F
17
Cl
35
84
Po
Ar
36
Br
53
Te
Ne
18
Kr
54
I
85
At
Xe
86
Rn
88
Azoto (N); Fosforo (P); Arsenico (As);
Antimonio (Sb); Bismuto (Bi).
Configurazione elettronica esterna: s 2 p 3.
Numeri di ossidazione più comuni: 0, –3, –1, +1, +2,
+3, +4, +5.
Formula generale dei composti con l’idrogeno: XH3.
Formula generale dei composti con l’ossigeno: varie.
Legami: ionici (Sb, Bi).
Legami: covalenti (N, P, As).
Ra
G
li elementi del gruppo 15 del Sistema periodico hanno in comune la
configurazione elettronica esterna s 2p 3. Per raggiungere la configurazione stabile tendono perciò a catturare o a condividere tre elettroni. Questi
elementi utilizzano i tre orbitali p con elettroni spaiati per formare tre legami covalenti e, in certi casi, mettono a disposizione l’orbitale s con doppietto per formare un legame dativo.
I primi due elementi del gruppo, azoto e fosforo, sono tipicamente nonmetalli; gli ultimi due, antimonio e bismuto, posseggono anche caratteristiche comuni ai metalli. L’arsenico ha caratteristiche intermedie. L’azoto è
l’elemento più abbondante e più importante del gruppo 15.
CH/273
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CAPITOLO
20
Chimica inorganica
20.14 L’azoto e i suoi composti
L’
FIGURA 20.28
L’azoto liquido raffredda l’aria e provoca la
condensazione del vapore acqueo in piccole nuvole.
L’ammoniaca è irritante e tossica. Non è
corrosiva, ma in presenza di ossigeno può
attaccare metalli, come alluminio, rame e
nichel. Se respirata in quantità elevate,
provoca prima irritazione e tosse, poi emorragia polmonare. In caso di contatto con gli occhi può procurare lesioni permanenti; sulla pelle produce ustioni
e necrosi dei tessuti.
azoto costituisce circa il 78% dell’aria ed entra a far parte di migliaia
di composti, di cui alcuni, come proteine, acidi nucleici, vitamine e
ormoni, sono di enorme importanza biologica. Tra gli elementi del gruppo
15, l’azoto è l’unico che si trova libero in natura, l’unico allo stato gassoso e l’unico capace di formare doppi e tripli legami. La scarsa reattività
dell’azoto molecolare N2 è dovuta al fatto che nella molecola biatomica i
due atomi sono fortemente legati tra loro da un triplo legame.
L’azoto è un gas incolore, inodore, poco solubile in acqua. Si prepara
industrialmente portando l’aria allo stato liquido e poi separandone i costituenti per distillazione frazionata. Il basso valore del punto di ebollizione dell’azoto liquido (–196 °C) lo rende particolarmente utile per numerose applicazioni dovunque sia necessario raggiungere temperature
molto basse (figura 20.28).
L’azoto molecolare è la sostanza da cui si parte per la preparazione industriale di quasi tutti i composti azotati, primo fra tutti l’ammoniaca.
L’ammoniaca NH 3 è un gas incolore, con forte e caratteristico odore
pungente. È una base debole, solubile in acqua, con cui reagisce per formare lo ione ammonio e lo ione idrossido (figura 20.29):
→ NH +4 + OH –
NH3 + H2O ←―
L’ammoniaca si prepara industrialmente in enormi quantità col processo
Haber-Bosch. Per sfruttare al meglio la reazione, la si fa avvenire a temperature comprese tra 400 e 600 °C, a pressioni comprese tra 150 e 1 000 atm e
con catalizzatori a base di ossidi di ferro:
ΔH = – 92 kJ/mol
N2 + 3H2 ⇄ 2NH3;
L’ammoniaca serve per preparare l’acido nitrico, i fertilizzanti e alcune
materie plastiche. I sali di ammonio, come il nitrato di ammonio NH 4 NO3,
il cloruro di ammonio NH4Cl e il solfato di ammonio (NH 4)2SO4, sono molto solubili in acqua. Il nitrato e il fosfato di ammonio sono impiegati in agricoltura come fertilizzanti chimici.
FIGURA 20.29 Il doppietto elettronico libero dell’ammoniaca NH3 lega con un legame dativo un idrogenione rilasciato da una molecola d’acqua, per formare lo ione ammonio NH +4 . Questo ione ha struttura tetraedrica, con l’azoto al centro e i 4 atomi di idrogeno ai vertici.
+
+
NH3
TABELLA 20.2
L’azoto si combina con l’ossigeno per formare ossidi, nei quali assume tutti i numeri di ossidazione
possibili da +1 a +5. Nelle reazioni in cui è presente azoto
si formano a volte miscugli dei vari ossidi, che vengono genericamente indicati con la formula NOx.
NH+4
H2O
OH –
L’azoto forma con l’ossigeno sei ossidi diversi, in cui assume numero di
ossidazione che va da +1 a +5 (tabella 20.2).
Il monossido di diazoto N2O, chiamato anche gas esilarante perché produce un leggero stato di ebbrezza, è usato in anestesia. Il monossido d’azoto NO è un gas incolore e inodore, che si forma dalla combustione dei
composti azotati ad alta temperatura; nelle reazioni si produce anche il
biossido d’azoto NO2:
N2 + O2 → 2NO
2NO + O2 → 2NO2
Formula
N2O
NO
N2O3
NO2
N2O4
N2O5
Nome
monossido
di diazoto
monossido
d’azoto
triossido
di diazoto
biossido
d’azoto
tetrossido
di diazoto
pentossido
di diazoto
Numero di ossidazione dell’azoto
+1
+2
+3
+4
+4
+5
CH/274
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CAPITOLO
20
Chimica inorganica
La tossicità del monossido d’azoto è ridotta. Il biossido d’azoto, invece, è
estremamente irritante, essendo un energico ossidante, molto reattivo e altamente corrosivo. Il biossido NO2 è un gas giallo-rossastro, dall’odore forte
e pungente, che si forma anche per dissociazione delle molecole di tetraossido di diazoto detto anche ipoazotide N2O4, la sua forma dimera.
Reagendo con l’acqua, gli ossidi d’azoto danno acido nitroso o acido
diossonitrico (III) HNO2, piuttosto instabile, e acido nitrico o acido triossonitrico (V) HNO3, uno degli acidi più forti:
Il colore giallognolo delle foschie che spesso ricoprono le città più inquinate è dovuto alla presenza del
biossido d’azoto, prodotto anche dai motori a scoppio.
N2O3 + H2O → 2HNO2
N2O4 + H2O → HNO2 + HNO3
N2O5 + H2O → 2HNO3
I sali dell’acido nitroso sono i nitriti, come il nitrito di sodio NaNO2, e
quelli dell’acido nitrico sono i nitrati, come il nitrato di sodio NaNO3, tutti
solubili in acqua. L’acido nitrico, dopo l’ammoniaca, è il più importante
composto inorganico dell’azoto; la sua importanza dipende da tre proprietà:
• è un acido, e perciò attacca i metalli per dare i sali;
• è un ossidante, quindi è usato in molti processi in cui è richiesta una
ossidazione;
• è un agente nitrante, cioè è in grado di inserire il gruppo ⎯ NO2 nei composti organici (figura 20.30).
L’acido nitrico attacca e porta in soluzione tutti i metalli, tranne l’oro e il
platino. Per sciogliere questi due metalli si ricorre all’acqua regia, miscela
costituita da tre parti di acido cloridrico e una parte di acido nitrico concentrati. L’acido nitrico viene anche largamente usato nella produzione di
fertilizzanti, esplosivi e coloranti.
FIGURA 20.30 Apparato per la nitrazione del benzene C6H6
con acido nitrico. Dall’alto scende benzene goccia a goccia;
nel pallone riscaldato avviene la reazione e si forma il nitrobenzene.
20.15 Il fosforo e i suoi composti
I
l fosforo non si trova libero in natura. Allo stato elementare è un solido formato da molecole tetratomiche P4, in cui i quattro atomi di fosforo si trovano ai vertici di un tetraedro (figura 20.31). Si può presentare
cristallizzato come fosforo bianco, un solido di colore ambrato, ceroso, insolubile in acqua, estremamente tossico e reattivo, e come fosforo rosso
dal colore rosa-violetto, più stabile, non velenoso, che non fonde ma sublima a 550 °C e si scioglie soltanto nel piombo fuso.
Il fosforo si lega all’idrogeno per formare la fosfina PH3, un gas velenoso. All’aria il fosforo brucia producendo una grande quantità di calore,
perché reagisce violentemente con l’ossigeno. Molti suoi composti si comportano allo stesso modo, tanto da essere usati come innesco nei fiammiferi, nelle bombe incendiarie e nei fuochi d’artificio. Legandosi all’ossigeno, il fosforo dà due ossidi molecolari: l’esaossido di tetrafosforo P4O6 e il
decaossido di tetrafosforo P4O10 (figura 20.32). Questi ossidi reagiscono a
loro volta con l’acqua per dare due acidi:
P4
FIGURA 20.31 A differenza dell’azoto, il fosforo non può
formare doppi o tripli legami. In natura si trova sotto
forma di molecola tetratomica P4, in cui ogni atomo è legato ad altri tre atomi di fosforo per dare una struttura
tetraedrica.
P4O6 + 6H2O → 4H3PO3 acido fosforoso o acido triossofosforico (III)
P4O10 + 6H2O → 4H3PO4 acido fosforico o acido tetraossofosforico (V)
A
B
FIGURA 20.32 (A), nell’esaossido di tetrafosforo P4O6 gli
atomi di fosforo non sono legati tra loro direttamente, ma
attraverso atomi di ossigeno. (B), nel decaossido di tetrafosforo P4O10 ci sono in più quattro atomi di ossigeno legati con legame dativo ai quattro atomi di fosforo.
P4O6
P4O10
CH/275
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CAPITOLO
Il fosforo fu scoperto ad Amburgo nel 1669 da Hennig
Brand, che lo ricavò dall’urina.
20
Chimica inorganica
L’acido fosforico H3PO4 è molto corrosivo, ma in piccole quantità è aggiunto alle bibite gassate per dare loro un sapore aspro. È un acido triprotico (cfr. § 18.9) e come tale dà sali con uno, due o tutti e tre gli atomi di
idrogeno sostituiti. Con il sodio, per esempio, si formano diidrogenofosfato di sodio NaH2PO4, idrogenofosfato di sodio Na2HPO4 e fosfato di sodio
Na3PO4. I sali dell’acido fosforico, i fosfati, sono ottimi concimi; quelli
degli elementi del gruppo 1 sono solubili, a differenza di quelli del gruppo 2. Possono essere usati anche per ridurre la durezza delle acque.
Come l’azoto, anche il fosforo è essenziale alla vita. Il fosfato tricalcico
Ca3(PO4)2, insolubile in acqua, rappresenta il 60% in peso delle nostre ossa
ed entra nella costituzione dei denti. Molti composti presenti nel nostro organismo contengono atomi di fosforo. Gruppi fosforici fanno parte degli acidi nucleici, delle molecole che costruiscono le membrane e di quelle che
svolgono la funzione del trasferimento dell’energia chimica all’interno delle
cellule. Anche le piante hanno bisogno di fosfati, che possono essere forniti
artificialmente con i concimi chimici.
20.16 Arsenico, antimonio e bismuto
L’
arsenico forma composti di formula analoga a quella dei composti
del fosforo: l’arsina AsH3, l’acido arsenioso o acido triossoarsenico
(III) H3AsO3 e l’acido arsenico o acido tetraossoarsenico (V) H3AsO4. Per
la sua elevata tossicità, l’arsenico ha usi limitati. L’avvelenamento procurato da questo elemento è facilmente riconoscibile, anche dopo molti anni
dalla morte.
L’antimonio mostra un comportamento non-metallico poco marcato. In
lega con il piombo e lo stagno forma il peltro; è inoltre usato, in lega col
piombo, nella fabbricazione dei caratteri da stampa. Come l’acqua, l’antimonio possiede l’insolita proprietà di espandersi quando per raffreddamento passa allo stato solido. Per questa prerogativa viene impiegato per riempire le fessure degli stampi e produrre ghise con contorni perfettamente rifiniti. Tra i suoi composti più importanti figura il tartrato di antimonio e potassio, detto tartaro emetico, che nei secoli scorsi trovava largo impiego in
medicina e in tintoria.
PER SAPERNE DI PIÙ
Il bismuto, di aspetto e comportamento metallico, è un elemento molto
raro in natura. Le sue applicazioni riguardano soprattutto la preparazione
di leghe metalliche.
Napoleone e l’avvelenamento da arsenico
La causa della morte di Napoleone è ancora oggetto di discussione. La versione ufficiale parla di morte dovuta a un tumore
allo stomaco, come risultò dall’autopsia.
Anche il padre di Napoleone morì per la
stessa malattia. Alcuni storici sostengono
invece che la morte di Napoleone sia stata
causata da un lento avvelenamento da
arsenico, che gli veniva somministrato in
piccole dosi nei cibi per ordine delle autorità inglesi.
Secondo un’altra ipotesi furono invece i
medici che nell’isola di S. Elena curavano
Napoleone a causarne la morte. Per alleviargli i dolori provocati dal tumore allo stomaco, lo sottoponevano a clisteri giornalieri e
gli somministravano preparati emetici per
farlo vomitare. Queste cure privarono l’organismo di Napoleone di sali, in particolare di
quelli contenenti gli ioni potassio, e provocarono una grave forma di tachicardia, che
lo uccise.
CH/276
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CAPITOLO
20
Chimica inorganica
20.17 Gli elementi del gruppo 16
2
1
He
H
3
4
Li
11
5
Be
12
K
37
Rb
55
Cs
87
Fr
B
13
Na Mg
19
6
20
Al
31
Ca
38
Sr
In
81
Ba
C
14
Si
32
Ga Ge
49
56
7
Tl
50
Sn
82
Pb
8
N
15
P
33
As
51
Sb
83
Bi
9
O
16
S
34
Se
52
10
F
17
Cl
35
Po
Ar
36
Br
53
Te
84
Ne
18
Kr
54
I
85
At
Xe
86
Ossigeno (O); Zolfo (S); Selenio (Se);
Tellurio (Te); Polonio (Po).
Configurazione elettronica esterna: s 2 p 4.
Numeri di ossidazione più comuni: 0, –2, +4, +6.
Formula generale dei composti con l’idrogeno: XH2.
Formula generale dei composti con l’ossigeno: varie.
Legami: covalenti.
Rn
88
Ra
G
li elementi del gruppo 16 del Sistema periodico sono non-metalli, che
hanno in comune la configurazione elettronica esterna s 2p 4. Questi elementi, per raggiungere la configurazione stabile, tendono a catturare o a
condividere elettroni. Per formare i legami, che in genere sono covalenti,
possono utilizzare i due orbitali p con elettroni spaiati, ma anche orbitali
esterni con doppietto. In questo caso si formano legami dativi.
Gli atomi di ossigeno e zolfo, inoltre, possono riunire i due elettroni
spaiati in un unico orbitale, liberando da elettroni un orbitale p, che così
diviene capace di accettare un legame dativo. L’ossigeno ha elettronegatività molto alta ed è l’elemento più importante del gruppo.
20.18 L’ossigeno
L’
ossigeno costituisce il 46% della crosta terrestre, il 21% dell’aria e oltre il 25% del nostro corpo. Si trova nelle molecole dell’acqua, di tutti
gli ossidi, degli ossoacidi, degli idrossidi e di quasi tutti i sali. Senza ossigeno non vi può essere vita, perché questo elemento partecipa ai processi metabolici in cui si produce l’energia necessaria ai sistemi viventi.
L’ossigeno allo stato atomico O si trova stabilmente soltanto nel Sole
(0,08%). Sulla Terra l’ossigeno atomico è instabile e, se viene prodotto artificialmente, si trasforma quasi immediatamente in ossigeno molecolare O2,
in cui i due atomi sono legati da un doppio legame. L’ossigeno molecolare,
che si trova nell’aria, è un gas inodore, poco solubile in acqua, energico ossidante e forte agente di corrosione. In genere le reazioni con l’ossigeno avvengono con produzione di calore e spesso di luce. Le reazioni con l’ossigeno sono reazioni di ossidoriduzione o di combustione.
Industrialmente l’ossigeno si prepara, come l’azoto, per distillazione
frazionata dell’aria liquida. La maggior parte dell’ossigeno è utilizzato
nell’industria metallurgica.
L’altra forma dell’ossigeno è l’ozono, un composto che ha formula O3,
cioè è formato da tre atomi di ossigeno (figura 20.33). L’ozono si produce
quando le molecole di ossigeno O2 sono colpite da radiazioni ad alta energia, da fulmini o da scariche elettriche: 3O2 → 2O3.
L’ozono è un gas azzurro, dotato di caratteristico odore pungente. È un
composto instabile che si decompone per dare ossigeno molecolare e ossigeno atomico: O3 → O2 + O. Quest’ultimo è un ossidante molto energico.
L’ozono è infatti usato per ossidare, sbiancare, disinfettare, disinfestare,
deodorare e per la potabilizzazione dell’acqua. Per la sua elevata reattività è
considerato uno dei più pericolosi inquinanti dell’aria.
L’acqua ossigenata, nota ai chimici come perossido di idrogeno, ha for-
b
SCHEDA DI LABORATORIO
Decomposizione dell’acqua per elettrolisi
O
O
A
O
FIGURA 20.33 Nella molecola di
ozono O3 due atomi di ossigeno
sono legati da un doppio legame
e il terzo atomo è unito da un legame dativo.
APPROFONDIMENTO
Il buco dell’ozono
CH/277
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
L’acqua ossigenata H2O2 si decompone tanto più rapidamente quanto più è concentrata, arrivando a decomposizioni esplosive quando è allo stato puro.
20
Chimica inorganica
mula molecolare H 2O2 e formula di struttura H ⎯ O ⎯ O ⎯ H; a differenza
dell’acqua i due atomi di ossigeno sono legati tra loro (cfr. § 13.9). È solubile in acqua in tutte le proporzioni.
Si trova in commercio per uso medico sotto forma di soluzione acquosa
che contiene dal 3 al 6% in massa di H 2O2.
Viene usata per ossidare, sbiancare, decolorare e disinfettare. Il perossido
di idrogeno tende a decomporsi in acqua ed è per questo motivo che le soluzioni di H 2O2 perdono in fretta il potere ossidante.
20.19 Lo zolfo e i suoi composti
A
differenza dell’ossigeno, lo zolfo in natura non si trova sotto forma di
molecole biatomiche, ma sotto forma di molecole ottoatomiche S 8 (figura 20.34 A). Allo stato elementare si trova in giacimenti a forma di ampia cupola, profondi tra 60 e 600 m sotto la superficie terrestre. Sono
molto più abbondanti i suoi composti, soprattutto solfuri e solfati. Lo
zolfo elementare è un solido giallo (figura 20.34 B), che brucia con fiamma azzurra e un forte odore caratteristico dovuto alla formazione del
diossido di zolfo SO2, noto anche come anidride solforosa.
A
FIGURA 20.34 (A), struttura dello zolfo elementare. Lo
zolfo, che non riesce a stabilire doppi legami e quindi molecole biatomiche, forma molecole ottoatomiche, chiuse ad
anello, in cui gli atomi sono legati tra loro con legami singoli. (B), lo zolfo elementare si trova sotto forma di cristalli di colore giallo.
Il triossido di zolfo, reagendo con l’acqua, sia liquida
sia allo stato di vapore, origina rapidamente acido
solforico H2SO4, responsabile in gran parte del fenomeno delle piogge acide. La presenza di H2SO4 fa aumentare l’acidità delle precipitazioni con effetti deleteri sugli ecosistemi e sui materiali.
B
S
S
S
S
S
S
S
S
Lo zolfo è usato nella vulcanizzazione del caucciù per la preparazione
dei pneumatici degli automezzi e per la preparazione dell’ebanite, una
delle prime materie plastiche. La vulcanizzazione è un processo a cui viene sottoposto il caucciù per trasformarlo da una massa plastica in una
massa elastica. Se al caucciù si aggiunge meno del 10% di zolfo si ottiene
la gomma, se si supera il 30% l’ebanite.
Si usa zolfo anche per la preparazione della polvere pirica e per combattere un fungo parassita della vite, la peronospora. Grandi quantità di zolfo
sono destinate alla produzione dell’acido solforico H2SO4.
Lo zolfo forma due ossidi acidi: il diossido di zolfo SO2 e il triossido di
zolfo SO3 (figura 20.35). Il diossido di zolfo è un composto tossico, che si
forma nelle combustioni dello zolfo e dei combustibili contenenti impurezze di zolfo. Dall’ossidazione del diossido di zolfo si ottiene il triossido di
zolfo, utilizzato per la produzione dell’acido solforico. Sia il diossido sia il
triossido di zolfo sono composti a carattere acido; in acqua formano rispettivamente gli ossoacidi acido solforoso e acido solforico:
SO2 + H2O → H2SO3 acido solforoso o acido triossosolforico (IV)
SO3 + H2O → H2SO4 acido solforico o acido tetraossosolforico (VI)
FIGURA 20.35
La struttura molecolare dei due ossidi
dello zolfo, il diossido SO2 e il triossido SO3.
SO2
CH/278
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
SO3
CAPITOLO
20
Chimica inorganica
L’acido solforico è un acido fortissimo, si trova in commercio sotto forma
di soluzione concentrata al 98% P/P e, oltre ad agire come acido, è un agente ossidante e disidratante.
L’acido solforico è dal punto di vista industriale l’acido più importante. È
utilizzato per la preparazione di detersivi, fertilizzanti, coloranti, esplosivi
e liquidi per batterie.
I sali dell’acido solforoso e dell’acido solforico si chiamano rispettivamente solfiti e solfati. Tra i più importanti solfati ricordiamo il solfato di
calcio CaSO4, che cristallizzato con due molecole d’acqua costituisce il
gesso, il solfato di rame CuSO4, usato come anticrittogamico, e il solfato
di ammonio (NH4)2SO4, un importante fertilizzante azotato.
L’acido solforico è una sostanza corrosiva,
che provoca bruciore agli occhi e, se inalato, determina mal di gola, tosse e difficoltà
respiratorie. A contatto con la pelle causa
ustioni e formazione di vesciche.
Lo zolfo con l’idrogeno forma un idracido, l’acido solfidrico o solfuro di
idrogeno H2S. Nonostante la sua formula sia analoga a quella dell’acqua, i
due composti sono molto diversi. L’acido solfidrico è un acido e a temperatura ambiente si trova allo stato gassoso.
Un atomo di zolfo ha un raggio maggiore di un atomo di ossigeno, per cui
è meno elettronegativo. I legami idrogeno che l’acido solfidrico può formare
sono meno forti rispetto a quelli dell’acqua. Le molecole di H2S sono più libere e passano allo stato aeriforme con grande facilità.
L’acido solfidrico è un gas incolore, tossico e dall’odore nauseante, molto
simile a quello delle uova marce. In natura si trova nelle acque sulfuree e
nelle esalazioni vulcaniche.
I sali dell’acido solfidrico si chiamano solfuri. Fra i tanti solfuri ricordiamo il solfuro di ferro FeS, la pirite FeS2 e la galena PbS.
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
3. Quali sono i prodotti che si formano dalla reazione con acqua degli ossidi N2O3,
N2O5, P4O10 e SO3?
3. Quali sono i prodotti che si formano dalla reazione con acqua degli ossidi CO2, As2O3 e Cl2O?
Il composto N2 O3 è un ossido acido, per cui con acqua dà una reazione di sintesi con
formazione di un acido:
N2 O3 + H2 O → 2HNO2
4. Indica attraverso quali reazioni si possono preparare i composti H2S, H2SO3 e H2SO4.
Nell’acido HNO2 l’azoto ha numero di ossidazione +3, il più basso tra i due più comuni, e perciò il composto prende il nome di acido nitroso.
Il composto N2O5 è un ossido acido, per cui con acqua dà una reazione di sintesi con
formazione di un acido diverso dal precedente:
N2 O5 + H2 O → 2HNO3
Nell’acido HNO3 l’azoto ha numero di ossidazione +5, il più alto tra i due più comuni,
e perciò il composto prende il nome di acido nitrico.
Il composto P4O10 è un ossido acido, per cui con acqua dà una reazione di sintesi con
formazione di un acido. L’ossido P4O10 reagisce con 6 molecole di acqua:
P4O10 + 6H2 O → 4H3PO4
Nell’acido H3PO4 il fosforo ha numero di ossidazione +5, il più alto che può assumere,
e perciò il composto prende il nome di acido fosforico.
Il composto SO3 è un ossido acido, per cui con acqua dà una reazione di sintesi con
formazione di un acido:
SO3 + H2 O → H2 SO4
Nell’acido H2 SO4 lo zolfo ha numero di ossidazione +6, il più alto che può assumere, e
perciò il composto prende il nome di acido solforico.
CH/279
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CAPITOLO
20
Chimica inorganica
20.20 Un non-metallo senza gruppo:
l’idrogeno
2
1
He
H
4
3
Li
Idrogeno (H).
11
5
Be
12
Na Mg
Configurazione elettronica esterna: s 1.
19
Numeri di ossidazione più comuni: –1, 0, +1.
37
Legami: ionici, covalenti.
55
K
Rb
Cs
87
Fr
20
Ca
38
Sr
56
Ba
6
B
13
Al
31
7
C
14
Si
32
Ga Ge
49
In
81
Tl
50
Sn
82
Pb
8
N
15
P
33
As
51
Sb
83
Bi
9
10
O
16
S
34
Se
52
F
17
Cl
35
Po
Ar
36
Br
53
Te
84
Ne
18
Kr
54
I
85
At
Xe
86
Rn
88
Ra
N
La reazione di 2 grammi di idrogeno molecolare con
ossigeno molecolare produce acqua H2O(l) e libera ben
286 kJ di energia.
on tutti gli elementi trovano una precisa collocazione nel Sistema periodico. È il caso dell’idrogeno, che col numero atomico Z = 1 è l’elemento più semplice e ha caratteristiche tutte particolari. L’idrogeno ha un
solo elettrone nell’orbitale s, come gli elementi del gruppo 1, e con un altro elettrone raggiunge la configurazione stabile, come gli elementi del
gruppo 17. Basandosi sul valore di elettronegatività è classificabile tra i
semimetalli e per le caratteristiche chimiche si avvicina di più agli elementi del gruppo 17.
L’idrogeno allo stato atomico H è chiamato idrogeno nascente. Per la sua
configurazione elettronica è molto instabile e reattivo. Appena preparato si
trasforma in idrogeno molecolare H2 , stabilissimo.
L’idrogeno molecolare H2 è un gas incolore, inodore, insolubile in acqua.
È altamente infiammabile ed è un ottimo combustibile.
In laboratorio l’idrogeno si può preparare per elettrolisi dell’acqua o mettendo a reagire pezzi di zinco con acido cloridrico:
Zn + 2HCl → ZnCl2 + H2
Fino a qualche tempo fa l’idrogeno veniva prodotto industrialmente facendo passare vapor d’acqua sul carbone con la reazione definita del gas
d’acqua, un processo chimico utilizzato per oltre un secolo:
C(s) + H2 O(g) → H2(g) + CO(g)
Oggi la maggior parte dell’idrogeno si produce col processo di reforming
catalitico degli idrocarburi:
Nell’atmosfera della Terra l’idrogeno, che è quasi 15
volte più leggero dell’aria, è contenuto in piccola
quantità, perché risente poco dell’attrazione terrestre
e tende a sfuggire nello spazio.
CH4(g) + H2 O(g) → 3H2(g) + CO(g)
Nell’industria l’idrogeno trova numerose applicazioni: per la produzione
dell’ammoniaca NH3 e del metanolo CH3OH, per la trasformazione di oli
poco costosi in grassi idrogenati utilizzati nell’alimentazione, come la margarina, e per la preparazione di molti composti organici.
L’idrogeno costituisce il 70% della materia dell’universo. L’energia del
Sole e della maggior parte delle altre stelle si produce nel nucleo di questi corpi celesti, dove avviene la reazione di fusione termonucleare dell’idrogeno che diventa elio (figura 20.36).
L’idrogeno forma composti binari con quasi tutti gli elementi. Con atomi
poco elettronegativi forma gli idruri, come l’idruro di sodio NaH e l’idruro
di calcio CaH2 , in cui ha numero di ossidazione –1; con atomi molto elettronegativi forma gli idracidi, come l’acido cloridrico HCl e l’acido solfidrico H2 S, in cui ha numero di ossidazione +1.
Si trovano atomi di idrogeno combinati in quasi tutti i composti organici.
Il 60% degli atomi presenti nel corpo umano è costituito da atomi di idrogeno, la maggior parte dei quali è legata agli atomi di ossigeno dell’acqua.
Il composto più importante dell’idrogeno è l’acqua.
CH/280
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CAPITOLO
20
Chimica inorganica
FIGURA 20.36 Nella parte più interna del Sole i nuclei di
idrogeno si fondono per formare elio attraverso una reazione termonucleare, che libera un’enorme quantità di energia.
Zona convettiva
Zona radiativa
Nucleo
L’acqua ricopre il 70% circa della superficie terrestre, costituisce oltre il
70% in peso delle cellule degli organismi e il 67% in peso del nostro corpo
(figura 20.37).
L’acqua è un elettrolita anfotero (cfr. § 18.5). La sua costante di dissociazione ha un valore molto basso e il suo pH è 7,0, cioè è neutro. L’acqua è un
ottimo solvente, sia per i composti ionici che per quelli le cui molecole presentano dipoli e sono legate da legami idrogeno.
Con gli elementi dei primi gruppi l’acqua forma idrossidi e libera idrogeno:
2Na + 2H2 O → 2NaOH + H2
con gli elementi dell’ultimo gruppo forma idracidi e ossoacidi:
Cl2 + H2 O → HCl + HClO
con gli ossidi basici forma gli idrossidi:
Na2 O + H2 O → 2NaOH
con gli ossidi acidi forma gli ossoacidi:
Cl2 O + H2 O → 2HClO
Dalla combustione di tutti i composti contenenti atomi di idrogeno si
ottiene acqua. La maggior parte degli atomi di idrogeno introdotti nel nostro organismo con gli alimenti viene eliminata sotto forma di acqua, che
si produce nelle reazioni del metabolismo energetico.
Nel nostro organismo l’acqua funziona da solvente, da trasportatore e
accumulatore di calore, da veicolo per i materiali nutritizi e di rifiuto, da
isolante termico, da liquido refrigerante a seguito della sudorazione e da
ammortizzatore degli urti.
kg 75
A
APPROFONDIMENTO
Idrogeno: il combustibile delle stelle
100 %
90 %
80 %
Ossa kg 2,5
70 %
Tessuti molli kg 2,5
60 %
Sangue kg 3,5
50 %
Linfa e liquido interstiziale kg 9
FIGURA 20.37 L’acqua è il composto più abbondante nei
sistemi viventi. Nell’uomo adulto costituisce mediamente il
67% del peso corporeo.
40 %
30 %
Acqua cellulare kg 32,5
20 %
10 %
0%
CH/281
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CAPITOLO
20
Chimica inorganica
20.21 Gli elementi del gruppo 17
2
1
He
H
3
Fluoro (F); Cloro (Cl); Bromo (Br);
Iodio (I); Astato (At).
4
Li
11
5
Be
12
Na Mg
Configurazione elettronica esterna: s 2 p 5.
19
K
Numeri di ossidazione più comuni: 0, –1, +1, +3, +5, +7.
37
Formula generale dei composti con l’idrogeno: XH.
Rb
55
Formula generale dei composti con l’ossigeno: varie.
Cs
Legami: ionici e covalenti.
87
Fr
20
Ca
38
Sr
56
Ba
6
B
13
Al
31
7
C
14
Si
32
Ga Ge
49
In
81
Tl
50
Sn
82
Pb
8
N
15
P
33
As
51
Sb
83
Bi
9
O
16
S
34
Se
52
10
F
17
Cl
35
Po
Ar
36
Br
53
Kr
54
I
Te
84
Ne
18
85
Xe
86
At Rn
88
Ra
G
li elementi del gruppo 17 del Sistema periodico sono detti alogeni, cioè
generatori di sali, e hanno in comune la configurazione elettronica
esterna s 2p 5. Questi elementi hanno una notevolissima tendenza a catturare
un elettrone per raggiungere la configurazione stabile dell’ottetto s 2p 6. Hanno elevata elettronegatività, sono energici ossidanti e hanno alta tossicità.
Allo stato elementare tutti gli alogeni si trovano come molecole biatomiche
e difficilmente si rinvengono liberi in natura, perché sono molto reattivi.
20.22 Il cloro e i suoi composti
I
l cloro è un gas di colore verdastro, fortemente irritante e velenoso, usato
come arma chimica nella prima guerra mondiale. Si prepara industrialmente per elettrolisi del cloruro di sodio allo stato fuso o dello stesso sale
in soluzione. Nel secondo caso, il cloro si produce all’anodo, dove avviene
l’ossidazione dello ione cloruro, mentre al catodo si ha la riduzione degli
idrogeni dell’acqua e si formano ioni idrossido:
Saliva
all’anodo, ossidazione:
al catodo, riduzione:
pH basico
–
2Cl (aq)
→ Cl2(g) + 2e –
–
2H2O(l) + 2e – → H2(g) + 2OH (aq)
Il cloro gassoso è solubile in acqua. La soluzione acquosa di cloro, detta
acqua di cloro, ha elevato potere sbiancante e disinfettante. In soluzione,
infatti, si verifica una reazione che porta alla formazione di acido ipocloroso HClO e di acido cloridrico HCl:
Succhi
gastrici
pH acido
FIGURA 20.38 I succhi digestivi attuano la demolizione
chimica delle molecole del cibo. Il succo gastrico che si
produce nello stomaco è fortemente acido per la presenza
di acido cloridrico HCl. Il colore azzurro indica ambiente
basico, quello rosso ambiente acido.
L’acido cloridrico è una sostanza corrosiva.
Quando è concentrato dà irritazione alla
gola, tosse e respiro affannoso, se inalato. I sintomi si possono presentare anche
in ritardo. A contatto con la pelle determina arrossamento e gravi ustioni. Dà bruciore agli occhi, offusca la vista e provoca ustioni profonde.
Cl2 + H2O ⇄ HClO + HCl
L’acido cloridrico è un gas incolore, di odore irritante, solubilissimo in
acqua. È un acido fortissimo, che in acqua si dissocia quasi completamente;
è uno degli acidi più usati nell’industria e in laboratorio. Attacca tutti i metalli che hanno un potenziale di riduzione standard negativo. In laboratorio
si ottiene facendo reagire cloruro di sodio con acido solforico. Il metodo ha
il vantaggio di formare acido cloridrico allo stato gassoso e di evitare l’ossidazione dello ione cloruro:
2NaCl(s) + H2SO4(l) → Na2SO4(s) + 2HCl(g)
Nel nostro stomaco l’acido cloridrico costituisce lo 0,5% del succo gastrico e conferisce a questo liquido il pH acido necessario alla digestione
(figura 20.38). I sali dell’acido cloridrico si chiamano cloruri. Il cloro forma con l’ossigeno quattro ossidi acidi, che a loro volta con l’acqua danno
quattro ossoacidi:
Cl2O + H2O
Cl2O3 + H2O
Cl2O5 + H2O
Cl2O7 + H2O
→
→
→
→
2HClO
2HClO2
2HClO3
2HClO4
acido ipocloroso o acido ossoclorico (I)
acido cloroso o acido diossoclorico (III)
acido clorico o acido triossoclorico (V)
acido perclorico o acido tetraossoclorico (VII)
CH/282
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CAPITOLO
20
Chimica inorganica
Tra i quattro ossoacidi formati dal cloro, l’acido ipocloroso è il più debole
e l’acido perclorico è il più forte.
I sali di questi acidi si chiamano rispettivamente ipocloriti, cloriti, clorati e perclorati. L’ipoclorito di sodio NaClO è un componente della candeggina, uno sbiancante per il bucato. Il clorato e il perclorato di potassio,
KClO3 e KClO4, sono usati nella preparazione degli esplosivi e dei fuochi
artificiali, in quanto sono forti agenti ossidanti.
20.23 Fluoro, bromo, iodio
e loro composti
I
l fluoro è un gas giallastro, fortemente irritante. È l’elemento che in assoluto possiede la più alta elettronegatività e il più alto potenziale di riduzione standard. Il fluoro reagisce facilmente con tutti gli elementi, ossidandoli. In natura si trova combinato sotto forma di fluoruri, cioè sali dell’acido fluoridrico HF. L’acido fluoridrico è un acido forte, che attacca persino il
vetro; infatti viene usato per smerigliare i vetri. I fluoruri presenti in soluzione possono essere assorbiti dallo smalto dei denti, aumentandone la durezza e quindi la resistenza alla carie (figura 20.39). Per questo motivo l’uso
dei dentifrici al fluoro è molto diffuso e in qualche caso si è fatto ricorso all’aggiunta di fluoruri all’acqua potabile (1÷2 g per 1 000 m3).
Un importante composto del fluoro è il teflon, ottenuto per polimerizzazione del tetrafluoroetilene F2 C === CF2 . Si tratta di una materia plastica caratterizzata da una straordinaria inerzia chimica e resistenza al calore. Sono
di teflon, per esempio, i fondi delle pentole antiaderenti.
Il bromo è un liquido rosso e lo iodio un solido nero-violaceo. Il bromo
serve per la preparazione di molti farmaci e la produzione del dibromo etano BrCH2 ⎯ CH2Br, un additivo delle benzine. Il bromuro d’argento AgBr si
usa nelle pellicole e nelle carte fotografiche. L’acido bromidrico HBr è un
acido forte. Il bromuro di potassio è un sedativo del sistema nervoso. Il bromo serve inoltre a ottenere alcuni derivati organici bromurati, utilizzati
come prodotti terapeutici, sostanze lacrimogene, materie coloranti.
FIGURA 20.39 Al bambino viene inserito un dente al fluoruro
per prevenire la carie. Il dente fa aumentare la concentrazione di ioni fluoruro nella saliva fino a 0,7÷1,5 mg/L. Il dente
viene fissato con una resina e il fluoruro è liberato lentamente per oltre 2 anni.
I composti dello iodio sono abbondanti in alcune alghe. L’elemento si può
ricavare anche da acque minerali ricche di iodio. La fonte principale di iodio è il nitrato del Cile, che contiene notevoli quantità di iodati. È un ossidante e un disinfettante: la tintura di iodio è una soluzione alcolica di iodio.
tutto negli alimenti di origine marina, come
sgombri, merluzzi, cozze, tonni e scampi,
mentre il contenuto in iodio delle verdure
dipende dai terreni di coltivazione. In particolare i crostacei marini sono cibi caratterizzati da concentrazioni relativamente elevate di iodio e di alcuni ioni metallici importanti per la corretta regolazione del metabolismo. La loro presenza nella dieta è
consigliabile, in assenza di controindicazioni
specifiche.
Lo iodio nel corpo
CH/283
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
PER SAPERNE DI PIÙ
La quantità di iodio contenuta nel corpo
umano è solo 40 mg, il 60% dei quali si trova
nella tiroide, il rimanente nelle ovaie, nel
sangue e nei muscoli. Nella tiroide fa parte
della molecola di triiodotironina (T3) e di
quella di tiroxina (T4), due ormoni che influenzano il metabolismo. Dal punto di vista
clinico la carenza di iodio causa ipotiroidismo, gozzo, rischio di aborto e cretinismo.
Lo iodio, assorbito nell’intestino tenue ed
eliminato con le urine, è contenuto soprat-
CAPITOLO
20
Chimica inorganica
20.24 Gli elementi del gruppo 18
G
li elementi del gruppo 18 del Sistema periodico hanno in comune la
configurazione elettronica esterna s2p 6, tranne l’elio, elemento del primo periodo, che ha configurazione s2. Questi elementi non hanno la minima tendenza né a cedere, né ad acquistare, né a condividere elettroni. Sono
infatti caratterizzati da una marcata inerzia chimica; solo nel 1962 è riuscita
la preparazione di alcuni instabili composti di questi elementi.
Per la loro scarsissima reattività si chiamano gas inerti o gas nobili. Sono
presenti in bassissima percentuale (1%) nell’aria e perciò sono chiamati anche gas rari. Si ricavano dalla distillazione frazionata dell’aria liquida.
Sono tutti monoatomici.
2
1
H
3
4
Li
11
5
Be
12
Na Mg
19
K
37
Rb
55
Cs
87
Fr
20
Ca
38
Sr
56
Ba
6
B
13
Al
31
7
C
14
Si
32
Ga Ge
49
In
81
Tl
50
Sn
82
Pb
8
N
15
P
33
As
51
Sb
83
Bi
9
O
16
10
F
17
S
34
18
Cl
35
Se
52
36
Br
53
Te
84
54
I
85
Po
86
At
88
Ra
L’elio, subito dopo l’idrogeno, è l’elemento più abbondante dell’universo,
con oltre il 20% degli atomi. Molto più leggero dell’aria, l’elio è usato per
riempire gli aerostati e i palloni sonda (figura 20.40). Si usa anche come diluente dell’ossigeno nelle bombole per immersioni subacquee.
Nuovi campi di applicazione dell’elio consistono nell’impiego come fluido di raffreddamento nella tecnologia delle basse temperature e come agente pressurizzante per espellere i combustibili liquidi nei serbatoi dei razzi.
Elio (He); Neon (Ne); Argo (Ar);
Cripto (Kr); Xeno (Xe); Radon (Rn).
Configurazione elettronica esterna: s 2 p 6 o s 2.
Numeri di ossidazione più comuni: 0.
Non stabiliscono legami.
L’argo, il gas inerte più abbondante nell’aria, è usato per riempire i bulbi
delle lampadine elettriche. L’uso più importante del neon è nell’illuminazione. Se si fa scoccare una scintilla elettrica in tubi contenenti neon a bassa pressione, si ha un’intensa luce rosso-arancio. Se, oltre al neon, nel tubo
vi sono tracce di altri gas inerti, si hanno altri colori. I tubi al neon hanno il
vantaggio di produrre limitate quantità di calore e a parità di consumo di
elettricità danno più luce delle lampadine a incandescenza.
Glossary
FIGURA 20.40 Nei palloni sonda è contenuto elio, un gas
inerte che rimane allo stato aeriforme anche alle basse
temperature presenti nell’alta atmosfera.
Alkali metals (metalli alcalini) The elements of the group 1 of the Periodic table: lithium
(Li), sodium (Na), potassium (K), rubidium (Rb), caesium (Cs) and francium (Fr). They
have the outer electronic configuration ns1.
Alkaline earth metals (metalli alcalino-terrosi) The elements of the group 2 of the Periodic table: beryllium (Be), magnesium (Mg), calcium (Ca), strontium (Sr) and barium (Ba).
They have the outer electronic configuration ns 2.
Alloy steels (acciai speciali) A steel with small quantities of other elements such as manganese, silicon, chromium, molybdenum and nickel. Alloy steels have special properties.
Blast furnace (altoforno) A furnace for reducing iron oxides to metallic iron using carbon
monoxide as reducing agent. The carbon monoxide is obtained by blasting the coke
with hot air.
Cast iron ( ghisa) An iron alloy with a carbon contents varying from 2,5% to 5%.
Complex (complesso) A compound in which molecules or ions form dative bonds to a metal atom or ion.
Halogens (alogeni) The elements of the group 17 of the Periodic table: fluorine (F), chlorine (Cl), bromine (Br), iodine (I) and astatine (At). They have the outer electronic configuration ns 2 np5.
Ligand (legante) An ion or molecule that donates a pair of electrons to a metal atom or
ion in forming a coordination complex.
Noble gases ( gas nobili ) The elements of the group 18 of the Periodic table: helium (He),
neon (Ne), argon (Ar), krypton (Kr), xenon (Xe), radon (Ra). The electron configuration of
helium is 1s 2. The outer electronic configuration of the others elements is ns 2 np6.
Steel (acciaio) An iron alloy with a carbon contents varying from 0,5% to 2,5%.
CH/284
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
FACCIAMO IL PUNTO
Domande aperte
19 Quali sono le caratteristiche comuni a tutti gli elementi del
11 Che cosa studia la chimica inorganica? Per quale motivo
12
13
14
15
16
17
18
non è necessario studiare nel dettaglio le caratteristiche di
tutti gli elementi del Sistema periodico?
Descrivi come è possibile preparare un metallo a partire dai
suoi composti.
Che cosa è il processo Solvay?
Quali sono gli elementi più importanti e diffusi del gruppo
2 del Sistema periodico? Quali sono i composti più comuni
in cui li troviamo?
Quali elementi del gruppo 13 hanno caratteristiche metalliche? E quali del gruppo 14?
Descrivi il processo industriale di preparazione del ferro e
indica la composizione delle sue leghe più importanti.
Che cosa è un composto di coordinazione? Qual è il legame
presente nei composti di coordinazione?
Definisci la geometria e il numero di coordinazione.
11
12
13
14
15
16
A
Esercizi di completamento
17
10
gruppo 14 del Sistema periodico? Quali sono invece le più
spiccate differenze tra gli stessi elementi?
Definisci le proprietà dei principali composti inorganici del
carbonio.
Quali sono le principali proprietà chimiche dell’azoto? Queste proprietà sono tali da farlo considerare l’elemento più
rappresentativo del gruppo 15 del Sistema periodico?
Quali sono le differenze fondamentali tra una molecola di
ozono e una di ossigeno?
Perché lo zolfo elementare non si presenta come l’ossigeno
in forma di molecole biatomiche?
L’acido solforico è una delle sostanze più importanti per
l’industria chimica. Descrivi le sue proprietà.
Quali sono le caratteristiche comuni agli elementi della famiglia degli alogeni?
Che cosa indica il termine «gas nobile»? Come si differenzia
l’abbondanza dei vari gas inerti nell’universo?
Completa il seguente brano, inserendo di volta in volta nello spazio vuoto il termine opportuno.
Gli elementi del gruppo ………………………………………… con spiccate caratteristiche non-metalliche sono carbonio e
……………………………………………………
.
Il carbonio si trova in natura in due forme: ………………………………………………………… e diamante. Il silicio elementare si può produrre per riduzione del
…………………………………………………………
………………………………………………………………………
…………………………………………………
formula
………………………
o silice SiO2 attraverso una reazione con
frazionata dell’
………………………………………
……………………………………………………
liquida e si trova come molecola biatomica con un
legame tra i due atomi di azoto. Il fosforo invece allo stato solido ha struttura …………………………………………………………… e
. La molecola in cui si trova lo zolfo elementare ha invece formula
trovano come molecole
…………………………………………………
e nelle reazioni redox si comportano da
…………………………………
VERIFICA LE CONOSCENZE
Esercizi di corrispondenza
A
Indica per ogni elemento il gruppo del Sistema periodico
cui appartiene. Scrivi inoltre la configurazione elettronica
esterna dell’elemento.
N
Bi
Sn
F
Mg
Se
B
Po
I
P
Si
K
O
Fe
. Gli alogeni in natura si
……………………………………………………
sono allo stato …………………………………………………… a temperatura ambiente.
18
. L’azoto si produce per
CH/285
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. Cloro e fluoro
G U I DA A L L O ST U D I O
EA
G U I DA A L L O S T U D I O
EA
A
Domande a scelta multipla
19
C distillando l’aria liquida;
D condensando i vapori dell’acqua arricchita in
ammoniaca.
21
32
33
B
ossidante;
D di transizione.
34
C 2C2H6(g) + 7O2(g) → 4CO2(g) + 6H2O(g);
35
La grafite:
C non può essere trasformata in diamante;
36
Gli elementi del gruppo 18 del Sistema periodico sono
caratterizzati da:
A bassa energia di ionizzazione;
B formazione di molecole biatomiche;
B non-metallo;
D metallo di transizione.
Il boro è un:
C scarsa reattività;
B non-metallo;
D metallo di transizione.
37
Il boro per raggiungere l’ottetto deve formare:
A tre legami covalenti;
B tre legami ionici e anche uno dativo;
La calce viva è:
C quattro legami covalenti;
B CaCO3;
C CaO;
D Ca(HCO3)2.
B
D tre legami covalenti e anche un legame di
coordinazione.
La soda caustica è:
Na2CO3;
C
KOH;
D NaHCO3.
38
B
Na2CO3;
C
KOH;
D Na2O2.
39
rame e stagno;
D silicio e alluminio.
B
Quale tra le seguenti affermazioni è sicuramente corretta?
A gli elementi dei primi gruppi sono ossidanti e quelli
degli ultimi gruppi riducenti;
B gli elementi di transizione sono ossidanti;
C il cloro è un forte riducente;
D gli elementi dei primi gruppi sono riducenti e quelli
degli ultimi gruppi ossidanti.
40
C dalla reazione di una base di Lewis con l’ossigeno;
D è formato dalla reazione di un acido con una base di
Lewis.
44
C CO2;
D H2CO3.
B
NO2;
C
N2O3;
D N4O.
B
H3O+;
C
H2O2;
D H2O3.
B
un riducente;
L’acido nitrico non è:
D un agente nitrante.
La formula dell’ozono è:
A O;
A dall’unione di due metalli;
B dall’unione di due basi di Lewis;
SiO2;
A un ossidante;
C un acido forte;
43
Un composto di coordinazione è formato:
B
La formula del perossido di idrogeno è:
A H2O;
42
artificiale;
Quale non è un ossido dell’azoto esistente in natura?
A N2O;
41
B
D vegetale.
La formula chimica del ghiaccio secco è:
A CO;
Il bronzo è una lega di:
A ferro e molibdeno;
C rame e zinco;
Il nerofumo è un carbone:
A fossile;
C animale;
Tra i seguenti, il composto più ossidante è:
A NaOH;
30
Il processo definito reforming catalitico degli idrocarburi è
caratterizzato dalla reazione:
D configurazione elettronica esterna s 2p8.
A NaOH;
29
tetraedrica;
D Zn(s) + 2HCl(aq) → ZnCl2(aq) + H2(g).
Il piombo è un:
A Ca(OH)2;
28
B
D ottaedrica.
D è una forma cristallina del carbonio.
A metallo;
C semimetallo;
27
D 4.
La geometria di coordinazione del cadmio in [Cd(H2O)4 ]2+ è:
A solfato di calcio;
B idrogenosolfato di calcio;
A metallo;
C semimetallo;
26
C 3;
Qual è il composto utilizzato come fertilizzante?
C fosfato dicalcico;
25
2;
A è costituita da carbonio e argilla;
B può essere trasformata in silice;
D diidrogenofosfato di calcio.
24
KO2;
A C (s) + H2O(g) → CO(g) + H2(g);
B CH4(g) + H2O(g) → CO(g) + 3H2(g);
In un altoforno il carbone serve per:
di ferro;
B formare il diossido di carbonio, che ossida le scorie;
C formare CaCO3, che catalizza le reazioni di riduzione;
D produrre ferro dolce.
23
B
A quadrato planare;
C bipiramide trigonale;
A formare il monossido di carbonio, che riduce gli ossidi
22
B
D [Ag(NH3)2]+.
Il numero di coordinazione del platino in [Pt(CN)4 ]2 – è:
A 1;
Il calcio è un tipico elemento:
A non-metallico;
C riducente;
Quale tra le seguenti specie è un composto di coordinazione?
A NaCl;
C BF3;
L’azoto si prepara industrialmente:
A liquefacendo a –196 °C il vapore acqueo;
B utilizzando batteri simbionti delle leguminose;
20
31
B Oz;
C O2;
D O3.
I sali formati dall’acido solforico sono chiamati:
A solfiti;
C solforati;
B
solfati;
D solfuri.
CH/286
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VERIFICA LE ABILITÀ
Esercizi e problemi
45
D N2O5 + H2O →;
E NO + O2 →;
Bilancia le seguenti reazioni chimiche:
F CaCO3 + HCl →.
A FeS + O2 → FeO + SO2;
B SnO2 + C → Sn + CO;
C Fe + O2 → Fe2O3;
46
48
D Fe2O3 + CO → Fe + CO2;
E CuSO4 + NH3 → [Cu(NH3)4]SO4.
A reforming degli idrocarburi;
B reazione del gas d’acqua;
Bilancia le seguenti reazioni chimiche:
C riduzione della silice con carbonio;
E conversione del metanolo ad acido acetico.
A ZnS + O2 → ZnO + SO2;
B NaCl + H2SO4 → Na2SO4 + HCl;
49
C KClO3 → KCl + O2;
D P4O10 + H2O → H3PO4;
C pirite;
D ghiaccio secco;
E galena;
Che cosa si produce nelle seguenti reazioni? Una volta scritti i
prodotti bilancia la reazione.
F quarzo;
A Cl2 + H2O →;
B C(s) + H2O(g) →;
G smeraldo;
H fosfina.
C Na + H2O →;
A
Gioca e impara
50
Trova l’elemento da inserire nella colonna a sinistra della
tabella, utilizzando i dati presenti nelle altre colonne.
Elemento
Composti o sostanze
formate
Numero di ossidazione
più alto o più comune
Elettronegatività
Quarzo
+4
Intermedia
Nerofumo
+4
Intermedia
Freon
–1
Altissima
Calcare
+2
Bassa
configuration. Fluorine is the most used halogen. Iodine is
the most reactive non metal.
Question
52
Indica gli elementi presenti nei seguenti materiali:
A borace;
B diamante;
E P4O6 + H2O → H3PO3.
47
Scrivi le equazioni chimiche che rappresentano le seguenti
reazioni:
Find the mistakes and explain your choice:
Compared with other elements in the same period, the
halogens have big radii and low nuclear charges. The outer
electron configuration of the halogens ns2np4 is just two
electron short of the electron configuration of the earth
alkaline metals. Halogens have the lowest electron affinities and are unreactive. Fluorine forms with hydrogen one
of the most important compounds, HF, the strongest acid.
By reacting with active metals, halogens gain two electrons to form – 2 ions and achieve a noble gas electron
53
Wich are the oxidation numbers of the following elements?
A sulfur in copper sulphate;
B oxygen in hydrogen peroxide;
C nitrogen in nitric acid.
54
Give the formula of a complex constructed from one Ni 2+ ion,
two ammonia ligands and two chlorine atoms. Is the complex
neutral or is it charged? If it is charged, give the charge. Draw
the formula of the complex.
CH/287
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
G U I DA A L L O ST U D I O
EA
C A P I TO L O
21
Radioattività e reazioni
nucleari
21.1
La scoperta della radioattività
A
lla fine dell’Ottocento alcune importanti scoperte aprirono la strada alla
conoscenza della struttura dell’atomo (cfr. § 9.1) e alla possibilità di utilizzare l’energia in esso contenuta. Nel 1895 il fisico tedesco Wilhelm Conrad Röntgen (1845-1923, premio Nobel nel 1901) scoprì i raggi X, detti anche raggi Röntgen, che erano in grado di attraversare i corpi, di impressionare le lastre fotografiche e di rendere fluorescenti alcuni materiali (figura
21.1). Per queste proprietà i raggi X sono ancora oggi molto usati, soprattutto in medicina per le radiografie e le radioscopie.
Il fisico francese Antoine-Henry Becquerel (1852-1908, premio Nobel nel
1903) scoprì per caso, nel 1896, che i composti dell’uranio, posti vicino a
una lastra fotografica, la impressionavano. Egli formulò l’ipotesi che questo
elemento fosse una sorgente di radiazioni dello stesso tipo dei raggi X. Il fenomeno per cui un composto dell’uranio emetteva spontaneamente radiazioni capaci di impressionare le lastre fotografiche e attraversare la materia
fu chiamato emissione di raggi uranici.
La scienziata polacca Marie Sklodowska Curie (1867-1934, premio Nobel
nel 1903 e nel 1911) si accorse che il fenomeno non era esclusivo dei composti dell’uranio, ma si verificava anche per altri elementi e ribattezzò l’emissione di raggi uranici con il termine di radioattività.
씰 La radioattività è il fenomeno per cui alcuni atomi emettono
spontaneamente radiazioni.
A
B
FIGURA 21.1 I primi apparecchi per la produzione dei raggi X erano voluminosi e di difficile utilizzazione (A). La capacità di attraversare con radiazioni ad alta energia corpi
opachi e spessi fu subito sfruttata in campo medico (B).
Per questo motivo gli atomi in grado di emettere radiazioni furono chiamati atomi radioattivi. Studiando la radioattività in collaborazione con suo
marito, il francese Pierre Curie (1859-1906, premio Nobel nel 1903), Marie
Curie scoprì due nuovi elementi radioattivi. Il primo fu da lei chiamato polonio, in onore della sua patria, e il secondo radio, in quanto la sua radioattività era più intensa di quella dell’uranio.
Il fisico Rutherford, che abbiamo già conosciuto per il suo fondamentale
contributo alla individuazione del nucleo atomico (cfr. § 0.1), scoprì che le
radiazioni emesse dagli atomi radioattivi derivavano dai nuclei degli atomi
e potevano essere di tre tipi: raggi α, raggi β e raggi γ (vedi § 21.5). William
Crookes (1832-1919), fisico inglese, si accorse che la radioattività di un
campione di uranio aumentava nel tempo, anziché diminuire. Questo fenomeno fu spiegato da Rutherford e dall’inglese Frederick Soddy (1877-1956)
con l’ipotesi che l’atomo di uranio, sprigionando radiazioni, si trasforma
nell’atomo di un altro elemento avente una maggiore capacità di emettere
radiazioni (figura 21.2). Un atomo di un elemento radioattivo può quindi
trasformarsi in un atomo di un altro elemento.
CH/288
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
21
Radioattività e reazioni nucleari
FIGURA 21.2 Fin dal 1911 si poterono osservare e fotografare le radiazioni emesse dalle sorgenti radioattive grazie
alla camera di Wilson (A). Questo apparecchio, detto anche
camera a nebbia, sfrutta il potere degli ioni di far condensare il vapore. Dove passa la radiazione si formano ioni, il
vapore condensa e rimane una traccia ben visibile (B).
A
B
21.2
L’era atomica
E
rnest Rutherford riuscì nel 1919 a trasformare sperimentalmente un elemento chimico in un altro. Fino ad allora i chimici avevano sostenuto
che un atomo di un elemento non si può trasformare in un atomo di un altro elemento; solo le sostanze possono trasformarsi. Con il suo esperimento,
Rutherford fece cadere questo presupposto teorico della chimica classica e
aprì la strada a una nuova epoca nella storia della scienza. Le trasformazioni scoperte con la radioattività riguardano solo il nucleo dell’atomo e non
possono essere condotte con i normali mezzi chimici. Il nuovo campo di ricerca fu infatti esplorato principalmente dai fisici nucleari.
Questi scienziati impararono a riconoscere tra gli isotopi di ogni elemento (cfr. § 0.1) quelli radioattivi, detti radioisotopi, e riuscirono a operare numerose trasformazioni. La tecnica utilizzata fu quella del bombardamento
degli atomi con particelle subatomiche ad alta energia. Si costruirono, a
partire dal 1929, apparecchi capaci di accelerare le particelle per ottenere
urti sempre più forti. Con gli acceleratori di particelle, come ciclotroni, betatroni, sincrotroni ecc., protoni ed elettroni furono lanciati e fatti collidere
a velocità superiori a 250 000 km/s: divenne così praticabile la manipolazione dei nuclei atomici (figura 21.3).
A
ACCELERATORE LINEARE
Diaframma collimatore
Elettrodi acceleratori
Sorgente
FIGURA 21.3 Gli acceleratori di particelle sono apparecchiature, a volte di grandissime dimensioni, capaci di imprimere a particelle come protoni o elettroni velocità vicine a quella della luce. Le particelle, prodotte da una sorgente e poi spinte da forze generate da intensi campi elettrici e magnetici, possono seguire percorsi lineari (A) o circolari (B) e alla fine colpiscono il bersaglio.
Bersaglio
Elettrodo collettore
B
CICLOTRONE
Magneti
Marie Curie (1867-1934). Di origine polacca ma naturalizzata francese, ricercò attivamente gli elementi
chimici responsabili del fenomeno della radioattività.
Fu la prima donna a insegnare alla Sorbona di Parigi.
Morì a 67 anni di leucemia, probabilmente per le dosi
eccessive di radiazioni assorbite durante il suo lavoro.
Marie Curie ricevette due premi Nobel, il primo in fisica nel 1903, insieme al marito e a A.H. Becquerel per
la scoperta della radioattività, e il secondo in chimica
nel 1911 per la scoperta del polonio e del radio.
Camera a vuoto
Iniettore
Elettrodi
Bersaglio
Placca di deflessione
CH/289
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
Enrico Fermi (1901-1954). Studiò a Roma, Gottinga
e Leida, compiendo ricerche con Max Born e Paul
Ehrenfest. Docente all’università di Roma (1926),
fece parte del gruppo di fisici nucleari («Scuola di
Roma») che contribuì in maniera determinante allo
sviluppo della fisica delle particelle. Nello stesso
anno in cui ottenne il Nobel (1938) si trasferì negli
USA, per protesta contro le leggi razziali che discriminavano la moglie ebrea.
21
Radioattività e reazioni nucleari
Quando una particella ad alta energia colpisce un nucleo, si modifica
l’assetto originario di protoni e neutroni, i nuclei si scompongono o si trasformano, generando in qualche caso nuovi isotopi o addirittura nuovi elementi chimici. Dal 1941 al 1951 furono preparati artificialmente una decina
di elementi non esistenti in natura.
Nel 1934 il fisico italiano Enrico Fermi (1901-1954, premio Nobel nel
1938) bombardò con neutroni atomi di uranio. Sulla scia di quelle ricerche,
il tedesco Otto Hahn (1879-1968, premio Nobel nel 1944) scoprì che, a causa di questo bombardamento, il nucleo dell’atomo di uranio si scindeva in
due parti e si liberavano tre neutroni. Era stata scoperta la fissione nucleare,
il fenomeno su cui si basano le centrali nucleari e le bombe atomiche.
A seguito degli approfonditi studi guidati da Fermi, il 2 dicembre 1942
iniziò a funzionare la prima pila atomica, un sistema capace di generare
enormi quantità di energia utilizzando le reazioni nucleari. La Seconda
Guerra Mondiale era già scoppiata e il governo statunitense intravide la
possibilità di sfruttare a scopo bellico l’energia prodotta dalla fissione nucleare. Fu finanziato e organizzato un colossale progetto di ricerca applicata, il progetto Manhattan, nel quale furono coinvolti seimila scienziati e tecnici. Nel luglio del 1945, in un deserto degli Stati Uniti, fu fatta esplodere
la prima bomba atomica sperimentale. Un mese dopo due bombe atomiche
sganciate da aerei americani distrussero completamente le città giapponesi
di Hiroshima e Nagasaki; questo intervento spinse il Giappone alla resa e
segnò la fine del Secondo Conflitto Mondiale. Era cominciata l’era atomica.
21.3
Il nucleo dell’atomo
e il difetto di massa
I
n questo capitolo ci occuperemo dell’atomo limitatamente a ciò che riguarda il nucleo, del quale studieremo le trasformazioni, spontanee o
causate dall’uomo, che sono conosciute come reazioni nucleari.
Sappiamo che il nucleo è formato dai nucleoni, particelle elementari di
due tipi: protoni e neutroni (cfr. § 0.1). Il nucleo di un atomo dell’elemento
elio (He, Z = 2), per esempio, è costituito da due protoni e due neutroni. Un
protone ha la massa di 1,007276 u e un neutrone la massa di 1,008665 u; la
massa del nucleo dell’elio dovrebbe essere pertanto di 4,031882 u. Misure
molto accurate hanno stabilito, invece, che un nucleo di elio pesa 4,001506
u, cioè 0,030376 u meno di quanto ci si aspetterebbe (figura 21.4). La verifica sperimentale dimostra un fatto sorprendente: la massa del nucleo è inferiore alla somma delle masse dei suoi costituenti.
씰 La differenza tra la somma delle masse dei singoli costituenti
del nucleo e la massa del nucleo è definita difetto di massa.
2 × 1,008665 +
2 × 1,007276 =
4,001506 u
4,031882 u
FIGURA 21.4 Quattro particelle isolate, due protoni e due
neutroni, pesano più delle stesse quattro particelle riunite
in un nucleo atomico, il nucleo dell’elio 24He. Nella formazione del nucleo c’è una diminuzione della massa.
Difetto di massa 0,030376 u
CH/290
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
21
Radioattività e reazioni nucleari
La diminuzione della massa si verifica quando più nucleoni si uniscono
per formare un nucleo. Dato che la massa è la misura della quantità di materia, una diminuzione della massa significa che una parte di materia scompare, si annulla. Il principio di Lavoisier della conservazione della massa
afferma che nulla si crea e nulla si distrugge. Questo principio, che ha guidato le nostre considerazioni sulle reazioni chimiche (cfr. § 0.2), sembra ora
essere contraddetto. Quale spiegazione possiamo avanzare?
Una soluzione fu trovata nelle argomentazioni di Albert Einstein (18791955, premio Nobel nel 1921), fisico tedesco che nel 1905 propose, nell’ambito della teoria della relatività, la semplice e nello stesso tempo rivoluzionaria relazione:
2p + 2n
MASSA o ENERGIA
CAPITOLO
Massa che il
sistema perde
0,030376 u
E = m · c2
tra la massa m e l’energia E, dove c indica la velocità della luce che ha un
valore costante di 3 · 105 km/s. L’equazione di Einstein, pietra miliare della
scienza moderna, collega con una proporzionalità diretta quantità di materia ed energia e ci dice che:
씰 La materia è una forma di energia, l’energia è una manifestazione
della materia. Le due grandezze sono convertibili l’una nell’altra. Se
diminuisce la massa di un corpo, diminuisce anche la sua energia.
Quando un nucleo si forma a partire dai suoi costituenti, diminuisce la
massa complessiva e quindi diminuisce l’energia. Un nucleo è più leggero e
ha un’energia inferiore rispetto alla somma di quella delle singole parti di
cui è composto. Questa minore energia rende il nucleo più stabile dei suoi
costituenti isolati.
Ma che fine hanno fatto la materia e l’energia scomparse? La materia si è
trasformata in energia e questa si è dispersa nell’ambiente, liberandosi sotto forma di calore e radiazioni (figura 21.5). La diminuzione di massa che si
registra quando si forma un nucleo è molto ridotta (circa lo 0,7%). Questa
piccola diminuzione di massa, però, moltiplicata per l’altissimo valore della velocità della luce (c 2), corrisponde a una quantità enorme di energia,
che si libera dall’atomo. Possiamo dire perciò che l’equazione di Einstein
riunisce in sé e unifica il principio di conservazione della massa a quello di
conservazione dell’energia.
Trattando le reazioni chimiche non ci siamo mai accorti del difetto di
massa, perché i valori di energia in gioco sono troppo bassi. Il principio di
Lavoisier mantiene sostanzialmente la sua validità in ambito chimico, perché i valori dell’energia liberata sono così bassi da non determinare difetti
di massa apprezzabili (figura 21.6).
Energia liberata
nell’ambiente
4,54 · 10 –12 J
He
FIGURA 21.5 Il difetto di massa, conseguente al passaggio dai 4 nucleoni isolati alle 4 particelle unite nel nucleo
dell’elio, corrisponde alla diminuzione di una grande quantità di energia e al raggiungimento di una elevata stabilità.
L’energia perduta dal sistema si libera nell’ambiente sotto
forma di calore e radiazioni.
L’enorme quantità di energia che da quasi 5 miliardi di
anni si libera dal Sole è dovuta a reazioni nucleari.
L’energia prodotta corrisponde alla trasformazione e
alla diminuzione di circa lo 0,7% della massa che in
ogni istante partecipa alla reazione.
FIGURA 21.6 Solo quando entrano in gioco le forze che
tengono unite le particelle del nucleo atomico, si possono liberare quantità di energia così grandi da rendere apprezzabile la diminuzione della massa. Nelle comuni reazioni chimiche, anche in quelle esplosive, per noi particolarmente violente, il difetto di massa è praticamente insignificante.
Per avere un’idea delle enormi quantità di energia
coinvolte nelle reazioni nucleari basti pensare che,
mentre dalla combustione di 1 kg di carbone otteniamo circa 20 kilowattora di energia elettrica, dalla
scomparsa di 1 kg di materia ne possiamo ottenere
una quantità 1 miliardo di volte superiore.
CH/291
Mario Rippa LA CHIMICA DI RIPPA - Vol.2 © Italo Bovolenta Editore 2012 Dalle reazioni alla chimica del carbonio
CAPITOLO
PER SAPERNE DI PIÙ
Albert Einstein
Albert Einstein (a sinistra) con il direttore dei laboratori
segreti di Los Alamos, Robert Oppenheimer. A Los Alamos
fu realizzata la bomba all’uranio. La nuova arma fu impiegata nell’agosto 1945 contro le città di Hiroshima e
Nagasaki per costringere il Giappone alla resa. Vi furono
più di 200.000 vittime, ma in seguito numerose altre
morirono per gli effetti delle radiazioni.
100
200
80
160
i=
on
ro
t
120
ut
ro
n
i /p
60
80
Ra
pp
or
to
40
20
0
40
20
40
60
80
accettato in quel momento dalla comunità
scientifica.
Einstein si trasferì negli USA nel 1933, nel
momento in cui in Germania la persecuzione
antiebraica toccava il culmine e dopo che alcune delle sue lezioni furono oggetto di proteste da parte di dimostranti nazisti.
Negli Stati Uniti si rifiutò inizialmente di
partecipare alla costruzione della bomba atomica. In un secondo momento, però, spaventato dal pericolo nazista, ne appoggiò la realizzazione con una lettera al presidente Roosevelt. Di questo sostegno in seguito si pentì
e, quando nel 1941 diventò cittadino americano, firmò con Bertrand Russell il primo manifesto pacifista per l’abolizione degli armamenti nucleari. Fu un sostenitore del movimento sionista fin dal 1920 e contribuì alla
creazione dell’Università di Israele sul Monte
Scopus a Gerusalemme. Nel 1952, in seguito
alla morte del primo presidente israeliano
Chaim Weizmann, il governo di Israele gli offrì la presidenza dello Stato, ma Einstein rifiutò la carica.
Nuclei stabili e nuclei instabili
N
Numero di massa A
240
1
120
ne
Numero di neutroni
280
Radioattività e reazioni nucleari
Albert Einstein (1879-1955) nacque a Ulm, in
Germania; all’età di 15 anni si trasferì in
Svizzera, Paese di cui prese la nazionalità nel
1901. Nel 1895 non riuscì a entrare all’ETH di
Zurigo per il corso di diploma di ingegnere
elettrico. Nel 1913, a seguito dell’interesse
suscitato dai suoi studi, fu nominato direttore del Kaiser Wilhelm Institut di Berlino, dove
perfezionò le sue teorie ed ebbe modo di
confrontarsi con scienziati quali Walther
Nernst, Max Planck e Erwin Schrödinger. Contribuì fortemente allo sviluppo della fisica
con la teoria dei moti browniani e con l’introduzione del concetto di fotone, ma la sua
fama è legata soprattutto alla formulazione
della teoria della relatività (1916).
Nel 1921 gli fu assegnato il premio Nobel
per la teoria relativa all’effetto fotoelettrico.
Nel 1917 pubblicò Considerazioni cosmologiche sulla teoria della relatività generale, in
cui immaginò un universo omogeneo. Il suo
modello cosmologico era quello di un universo eterno ed immobile, costituito da infinite
stelle e con densità uniforme, così come era
21.4
140
21
100
Numero di protoni Z
FIGURA 21.7 Tanto più gli atomi sono grandi, cioè tanto
maggiore è il numero atomico, tanto maggiore è il rapporto
neutroni/protoni nel nucleo. Ogni nucleo di ciascun isotopo di ogni elemento è rappresentato da un punto del diagramma. Il numero dei neutroni, che si mantiene circa
uguale a quello dei protoni fino a Z = 20, diventa poi progressivamente prevalente.
Le forze nucleari sono molto più intense di quelle
elettrostatiche, ma agiscono solo se le distanze sono
inferiori a 3,0·10–15 m.
el nucleo i protoni e i neutroni sono uniti gli uni agli altri, perché
quando sono legati hanno energia minore rispetto a quando sono isolati. Il difetto di massa di un nucleo corrisponde all’energia liberata durante
la sua formazione oppure all’energia che occorre fornire per separare e allontanare i nucleoni gli uni dagli altri. Il difetto di massa è perciò anche
una misura della stabilità dei nuclei.
Non tutti i nuclei, però, sono ugualmente stabili e il valore del difetto di
massa varia a seconda dell’isotopo. Quanto più elevato è il difetto di massa
tanto più il nucleo è stabile. La stabilità del nucleo dipende dal rapporto
tra il numero dei neutroni e il numero dei protoni. I protoni presenti nel
nucleo, dotati di carica elettrica dello stesso segno, tendono a respingersi. Il
nucleo esploderebbe, se non ci fossero anche i neutroni. Queste particelle,
elettricamente neutre, sono responsabili delle forze nucleari che uniscono
tra loro i nucleoni e si oppongono alle forze elettrostatiche di repulsione.
Quanti più protoni vi sono in un nucleo, tanti più neutroni occorrono per
renderlo stabile.
Per i primi 20 elementi il numero dei neutroni è quasi sempre uguale al
numero dei protoni; infatti, il peso atomico di questi elementi è circa il
doppio del numero atomico. Per gli altri elementi il numero dei neutroni
supera, in misura gradualmente crescente, quello dei protoni (figura 21.7).
Per esempio, l’isotopo del carbonio più abbondante in natura è il 12 C, che
ha un numero uguale di protoni e neutroni (Z = 6; A = 12), mentre quello
più abbondante del ferro è il 56 Fe, che ha 26 protoni e 30 neutroni. La differenza tra il numero dei neutroni e quello dei protoni cresce man mano che
si scende nel Sistema periodico degli elementi: l’isotopo più abbondante
del piombo (Z = 82) ha ben 126 neutroni nel nucleo.
씰 Per gli elementi più leggeri, con numero atomico Z inferiore
a 21, la stabilità del nucleo si ha quando il rapporto tra il
numero dei neutroni e il numero dei protoni vale 1;
CH/292
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CAPITOLO
21
Radioattività e reazioni nucleari
씰 per gli elementi più pesanti, con numero atomico Z compreso
tra 21 e 83, la stabilità del nucleo si ha quando il rapporto tra
il numero dei neutroni e il numero dei protoni è maggiore di 1;
per gli elementi molto pesanti, con numero atomico Z maggiore
di 83, la stabilità del nucleo non è mai del tutto raggiunta con
la presenza dei neutroni.
Oltre che dal rapporto neutroni/protoni, la stabilità dei nuclei dipende
dal numero atomico Z. Il massimo di stabilità si ha per valori di numero
atomico Z compresi tra 20 e 30 (figura 21.8). La maggiore stabilità dei nuclei atomici può essere ottenuta con la suddivisione di elementi pesanti
in elementi più leggeri, come nel caso della fissione dell’uranio 92U che si
scompone in 36Kr e 56Ba. Anche la fusione di nuclei di elementi leggeri in
nuclei di elementi più pesanti, come quando dall’idrogeno 1H si passa all’elio 2He, comporta maggiore stabilità. In entrambi i casi si libera energia.
C’è un solo tipo di atomo in cui non vi sono neutroni
nel nucleo: è l’idrogeno, più precisamente l’isotopo
prozio 11 H. In effetti, nel nucleo di questo atomo i neutroni non occorrono, visto che vi è un solo protone e
non esistono forze di repulsione elettrostatica.
Il numero di massa A e il numero atomico Z di un generico elemento X sono indicati, rispettivamente, in
alto e in basso a sinistra del simbolo dell’elemento: AZ X
(cfr. § 0.1).
씰 All’aumentare del numero atomico, la stabilità dei nuclei prima
aumenta poi diminuisce.
36
Kr
Ba
Zona di massima stabilità
Energia di legame per nucleone
FUSIONE
56
He
2
1
0
21.5
92
U
FISSIONE
FIGURA 21.8 Gli elementi che hanno nuclei più stabili
sono quelli con numero atomico compreso tra 20 e 30, ad
esempio il ferro 26 Fe. La stabilità del nucleo corrisponde all’energia di legame tra le particelle nucleari, cioè all’energia necessaria per separare tra loro i nucleoni. Questa energia è la stessa che si libera quando le particelle si uniscono
per formare un nucleo.
H
10
20
30
40
50
60
Numero atomico Z
70
80
90
Le radiazioni emesse
dai radioisotopi
β
γ
α
U
n nucleo che contiene troppi o troppo pochi neutroni rispetto ai protoni è instabile. Esso tende a trasformarsi, modificando il rapporto neutroni/protoni, fino a che non raggiunge il rapporto cui compete la massima
stabilità. La trasformazione del nucleo comporta l’emissione di radiazioni;
se il nuovo nucleo è ancora instabile, anch’esso emette radiazioni e il processo continua fino alla formazione di un nucleo stabile.
씰 La radioattività è il fenomeno per cui un radioisotopo emette
spontaneamente radiazioni per trasformarsi in un isotopo stabile.
Le radiazioni emesse dai radioisotopi sono principalmente di tre tipi: radiazioni α (alfa), radiazioni β (beta) e radiazioni γ (gamma). Le prime hanno carica elettrica positiva, le seconde carica elettrica negativa e le terze
sono elettricamente neutre (figura 21.9). Tutte queste radiazioni sono ionizzanti. Esse possono infatti trasferire la loro energia agli atomi che colpiscono, eccitandone gli elettroni. Se l’energia è sufficiente ad allontanare l’elettrone, vincendo le forze d’attrazione del nucleo, si forma uno ione.
Una radiazione α, chiamata anche particella α, è costituita da due protoni e due neutroni e pertanto corrisponde a un nucleo di elio con due cari-
Ra
FIGURA 21.9 Un campione del radioisotopo radio Ra è posto in uno spesso recipiente di piombo che presenta un
piccolo foro. Le radiazioni emesse dal radio escono dal foro
e passano tra due elettrodi che hanno carica opposta. Il
campo elettrico separa le radiazioni: le particelle β sono
deviate verso la carica positiva, quelle α verso la carica negativa, mentre le radiazioni γ proseguono in linea retta.
CH/293
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CAPITOLO
γ
B
β
A
α
Ra
FIGURA 21.10 Le radiazioni α sono fermate già da un sottile foglio di carta (A). Uno strato metallico più spesso (B),
per esempio 5 mm di alluminio, può invece fermare le radiazioni β, ma non le γ. Queste attraversano facilmente i
corpi e sono bloccate solo da spessi strati di materiali molto densi, per esempio 20 cm di piombo o un robusto muro
di cemento.
21
che positive 42 He 2 +. Queste radiazioni viaggiano a elevata velocità, ma, per
la loro massa relativamente alta, riescono ad attraversare solo corpi molto
sottili e nell’aria percorrono non più di 8 cm (figura 21.10). Le particelle α
hanno una capacità di penetrazione più bassa rispetto alle altre radiazioni;
non sono quindi particolarmente pericolose, se non vengono introdotte direttamente nel corpo.
Una radiazione β, chiamata anche particella β, è un elettrone ( –01e) emesso da un neutrone. Quando un neutrone, che possiamo considerare ottenuto da un protone e un elettrone, perde l’elettrone, diventa un protone. Le
particelle β sono emesse dal nucleo ad altissima velocità, di poco inferiore
a quella della luce. Esse, rispetto alle particelle α, hanno una massa quasi
7 000 volte inferiore e una velocità circa tripla e sono perciò molto più penetranti e pericolose; sono infatti capaci di attraversare sottili strati metallici e qualche metro d’aria.
Una radiazione γ , o raggio γ, è una radiazione elettromagnetica ad altissima frequenza, avendo lunghezza d’onda di 0,01÷10 pm. La sua energia è
circa 30 000 volte superiore a quella dei fotoni della luce visibile. Come per
la luce, la sua natura è considerata prevalentemente ondulatoria e la massa
trascurabile; l’emissione di radiazioni γ, perciò, fa diminuire l’energia del
nucleo, ma non la sua massa. I raggi γ sono in media 100 volte più penetranti delle particelle β: riescono ad attraversare decine di metri d’aria e
spessi strati metallici. Hanno un’energia superiore a quella dei raggi X e
sono ancora più penetranti di questi raggi. Le radiazioni γ sono sempre pericolose per l’uomo, anche se sono emesse da sorgenti molto lontane.
Nella tabella 21.1 sono riassunte le principali caratteristiche delle radiazioni α, β e γ.
Radiazione
TABELLA 21.1 Le principali caratteristiche delle radiazioni
emesse dai radioisotopi.
Radioattività e reazioni nucleari
Carica
elettrica
Massa
(u)
Velocità
(km/s)
Penetrazione
(cm di aria)
α (alfa)
+2
4
16 000÷32 000
2,5÷8,5
β (beta)
–1
1/1836
96 000÷220 000
30÷300
0
300 000
>3 000
γ (gamma)
21.6
0
Il decadimento radioattivo
I
Il decadimento α interessa i nuclei pesanti (Z > 83).
Cs
55
Ba
56
La
57
Ce
58
Pr
59
Fr
87
Ra
88
Ac
89
Th
90
Pa
91
Decadimento α
FIGURA 21.11 Quando il torio Th subisce un decadimento
α, l’isotopo che si forma appartiene all’elemento che nel Sistema periodico è posto due caselle prima, cioè il radio Ra.
l processo attraverso il quale un nucleo instabile emette spontaneamente
radiazioni per stabilizzarsi prende il nome di decadimento radioattivo e
può verificarsi attraverso tre modalità principali.
Il decadimento α si verifica quando un nucleo emette una particella α.
Questa è costituita da due protoni e due neutroni. Per ogni particella α
emessa, la massa dell’atomo diminuisce perciò di quattro unità di massa
atomica (4u), cioè il numero di massa A diminuisce di 4 unità. La perdita
dei due protoni fa invece diminuire di due unità il numero atomico Z.
Perciò, col decadimento α ogni atomo si trasforma in un atomo dell’elemento che lo precede di due posti nel Sistema periodico (figura 21.11). Il
decadimento radioattivo è rappresentato attraverso una particolare equazione chimica, chiamata equazione nucleare. In una equazione nucleare
la somma dei numeri atomici e la somma dei numeri di massa devono risultare uguali in entrambi i membri dell’equazione. Riportiamo come
esempio le reazioni di decadimento α di due radioisotopi:
216
84 Po
→
212
82 Pb
+ 42 He2+
232
90 Th
→
228
88 Ra
+ 42 He2+
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CAPITOLO
21
Radioattività e reazioni nucleari
Nel decadimento β un neutrone di un nucleo si trasforma in un protone
ed emette una particella β. La massa dell’atomo non diminuisce significativamente, dato che un protone e un neutrone hanno quasi la stessa massa.
Non cambia il numero di massa A, ma l’atomo viene ad avere un numero di
protoni, e quindi un numero atomico Z, maggiore di un’unità. Perciò un
elemento radioattivo che emette una particella β si trasforma in un elemento che lo segue di un posto nel Sistema periodico (figura 21.12). Per esempio, un atomo di trizio, l’isotopo dell’idrogeno 31H, si trasforma in elio 32 He,
mentre un atomo di carbonio 146 C si trasforma in azoto 147 N (figura 21.13).
Le equazioni nucleari che rappresentano questi due decadimenti sono le
seguenti:
3
–0
3
1H → 2 He + –1 e
–0
14
14
6 C → 7 N + –1 e
3
2
H
Decadimento β
B
5
C
6
N
7
O
8
F
9
Al
13
Si
14
P
15
S
16
Cl
17
FIGURA 21.12 Quando il carbonio C subisce un decadimento
β, l’isotopo che si forma appartiene all’elemento che nel Sistema periodico è posto una casella dopo, cioè l’azoto N.
FIGURA 21.13 Il decadimento β prevede la trasformazione
di un neutrone in un protone. Con l’emissione di una particella β l’idrogeno diventa elio (A) e il carbonio diventa
azoto (B).
A
3
1
Il decadimento β interessa i nuclei atomici che presentano un eccesso di neutroni.
He
+β
Idrogeno
protone
neutrone
Elio
B
14
6
14
7
C
N
+β
Carbonio
Azoto
Il decadimento γ avviene quando il nucleo di un atomo emette una radiazione γ. Ciò si verifica in quasi tutti i nuclei instabili e ogni volta che si
hanno anche decadimenti α oppure β. L’emissione di raggi gamma corrisponde all’eliminazione di energia in eccesso. Un nucleone che si trova in
uno stato di alta energia può passare allo stato energetico inferiore rilasciando la differenza di energia sotto forma di fotone γ, cioè di onda elettromagnetica ad alta frequenza. Con il decadimento γ il numero atomico e il
numero di massa non variano.
Quando un radioisotopo subisce un decadimento α o β il suo numero atomico cambia e si forma un nuovo elemento. L’isotopo prodotto dal decadimento radioattivo potrebbe essere a sua volta un radioisotopo, che è instabile e decade ancora. Si verificano quindi una serie di decadimenti radioattivi, fino a quando non si ottiene un isotopo stabile. Tutti i radioisotopi che
derivano dal decadimento dello stesso isotopo iniziale costituiscono una famiglia radioattiva. Le famiglie radioattive naturali sono quattro e derivano
dal decadimento di: torio-232, uranio-238, uranio-235 e nettunio-237. Un
isotopo radioattivo può emettere contemporaneamente, o in successione,
radiazioni uguali o diverse, fino a raggiungere la stabilità.
Mostriamo come esempio la famiglia radioattiva del torio-232, che dal208
l’isotopo 232 del torio 232
90 Th arriva all’isotopo 208 del piombo 82 Pb.
232
90 Th
α
―→
228
88 Ra
β
―→
228
89 Ac
β
―→
228
90 Th
α
―→
224
88 Ra
α
―→
220
86 Rn
α
―→
216
84 Po
L’emissione di raggi γ da parte dei nuclei nel decadimento γ è analoga all’emissione spontanea di elettroni
da parte degli atomi nei fenomeni di fluorescenza e di
fosforescenza.
α
―→
212
82 Pb
β
―→
212
83 Bi
Indicando con X un generico elemento radioattivo di numero atomico Z e
numero di massa A, possiamo così riassumere:
• Nel decadimento radioattivo α l’emissione di una particella α provoca la
diminuzione di due unità nel numero atomico e di quattro unità nel numero di massa:
A
A−4
4
2+
Z X → Z − 2 Y + 2 He
ATTIVITÀ
Decadimento α
CH/295
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α
―→
208
81 Tl
β
―→
208
82 Pb
CAPITOLO
Radioattività e reazioni nucleari
• Nel decadimento radioattivo β l’emissione di una particella β provoca
l’aumento di una unità nel numero atomico e nessuna modificazione del
numero di massa:
–0
A
A
Z X → Z + 1 Y + –1 e
• Nel decadimento radioattivo γ, che si accompagna al decadimento α o β,
l’emissione di un raggio γ non determina modificazioni del numero atomico e del numero di massa, cioè non si ha trasformazione di un elemento in un altro.
ATTIVITÀ
Decadimento β
A
21
APPROFONDIMENTO
Altri tipi di decadimento radioattivo:
cattura elettronica ed emissione di positroni
Le caratteristiche del decadimento radioattivo α, β e γ sono riassunte
nella tabella 21.2.
Tipo di
decadimento
TABELLA 21.2 Caratteristiche dei principali tipi di decadimento radioattivo.
Particella
emessa
α (alfa)
α; 24 He2+
β (beta)
β; elettrone
γ (gamma)
fotone γ
Massa
(u)
Carica
elettrica
Nucleo di
partenza
Nucleo di
arrivo
4
+2
A
ZX
A–4
Z–2 Y
1/1836
–1
A
ZX
A
Z+1 Y
0
0
A
ZX
A
ZX
PROVIAMO INSIEME
PROVA DA SOLO
1. Indica i
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