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2020CTECNOLOGIA TRIENNIO

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TERZA
SECONDA FASE
QUARTA
QUINTA
TERZA
SECONDA FASE
resistenze
laboratorio
i condensatori
laboratorio
bobine
diodi
laboratorio
classificazioni e scelta dei transistor
il transistor bjt
JFET/MOSFET
il plc linguaggi di programmazione comandi elementari il...
PARAMETRI
PROPRIETA’ ELEMENTARI DEI COMPONENTI
Il comportamento di un componente, o sistema, è normalmente descritto da più parametri.
I parametri elementari più importanti sono:
RESISTENZA: l’attitudine del componente, sottoposto a una differenza di potenziale, di opporsi al
passaggio della I (flusso di cariche)
CAPACITA’: l’attitudine di un componente ad accumulare cariche elettriche.
INDUTTANZA : l’attitudine di un componente di opporsi alle variazioni del flusso di cariche nel
tempo «I»
I RESISTORI
E' uno dei componenti più frequenti all'interno di un circuito elettronico e viene indicato con i
seguenti simboli:
Il principale parametro di un resistore è rappresentato dal valore della resistenza elettrica che il
componente introduce quando viene inserito in un circuito.
La resistenza viene espressa in  (OHM) e va calcolata con la legge di Ohm espressa dalla
relazione
Con
V=Tensione applicata ai capi del resistore espressa in Volt (V)
I= Corrente che percorre il resistore espressa in Ampere (A)
PARAMETRI DEI RESISTORI
I principali parametri di un resistore sono:
1.
Valore nominale = è il valore più probabile a cui fare riferimento nel progetto
2.
La tolleranza = indica il campo di valori entro cui si trova il vero valore della resistenza
Es. 220+ 5% indica un valore compreso tra 209 e 231, in quanto il 5% di220 è = (5*220)/100=11,
quindi
220-11=209
220+11=231
3.
Potenza nominale= massima potenza che a 25°C il resistore è in grado di dissipare sotto forma di
calore senza che la sua costituzione interna venga alterata, senza, cioè, che venga danneggiato. La
potenza dissipabile diminuisce con l'aumentare della temperatura ambiente.
SERIE COMMERCIALI
• In commercio non esistono però tutti i valori,
che sarebbero economicamente e
praticamente impossibili da gestire, ma solamente degli "stock" di valori normalizzati, o
serie.
• La fabbricazione delle resistenze è regolata dalle norme C.E.I. (Commissione Elettrotecnica
Internazionale) che definiscono le diverse serie di valori reperibili nei punti di vendita
specializzati.
TIPI DI RESISTORI
TIPI DI RESISTORI
CODICE DEI COLORI
Viene utilizzato per definire il valore ohmico e la tolleranza delle
resistenze
direttamente sul contenitore.
Il più comune è il codice colori a 4 strisce colorate o anelli, ma esiste anche quello a
5 o a 6 bande per le resistenze della serie E96, E192.
Nel codice a 4 strisce , tre sono molto vicini tra di loro , mentre il quarto rimane
separato e indica la tolleranza della resistenza. Iniziando dal lato opposto alla
tolleranza, le tre strisce indicano il valore nominale. I primi due colori definiscono le
prime due cifre del valore, mentre il terzo fornisce il coefficiente di moltiplicazione
(o divisione) che bisogna applicare alle prime due cifre. Il terzo colore indica in
sostanza il numero di zeri da aggiungere alle prime due cifre secondo la seguente
tabella.
Codice dei colori
Se invece le bande sono cinque si considerano le prime tre come valori numerici, la quarta come fattore
moltiplicativo, e l'ultima come indice della tolleranza, sempre in accordo con la tabella.
CODICE DEI COLORI
CODICE DEI
COLORI
LA POTENZA
La potenza dissipabile è la massima potenza che il resistore è in grado di dissipare sotto forma
di calore senza che il materiale venga danneggiato.
La potenza assorbita che viene trasformata in calore è: Pa=R*I2
La potenza dissipata è la quantità di calore che si propaga ogni secondo dal resistore verso
l'ambiente è:
Pd=(Ti-Ta)/
Con
Ti= Temperatura interna del componente
Ta=temperatura ambiente
= resistenza termica
Se :
Pd=Pa si ha equilibrio termico
Pd>Pa il resistore si raffredda
Pd<Pa il resistore si riscalda
LA POTENZA
• Si ipotizza che la temperatura interna non superi i 150°C e che l atemperatura ambiente per definire la
potenza dissipabile sia di 40°C.
• E' possibile aumentare la potenza dissipabile riducendo la resistenza termica disponendo sull'involucro
un opportuno dissipatore.
• Ricordiamo che la resistenza elettrica di un pezzo di conduttore è data dalla relazione:
•
R= *(l/S) l=lunghezza del conduttore;
• S=area della superficie attraversata dalla corrente;
• =resistività del materiale
LA RESISTIVITÀ
La resistività varia al variare della temperatura, varierà anche il valore ohmico secondo la relazione:
R=Ro[1+(T-To)]
Dove  è il coefficiente di temperatura che rappresenta la variazione relativa di resistenza per ogni
grado di variazione della temperatura.
Ro=resistenza di riferimento
Se invece teniamo conto della tensione applicata al resistore, allora il suo valore ohmico può essere
espresso dalla relazione
R=Ro[1+Kv(V-Vo)]
Kv= coefficiente di tensione
Vo=tensione di riferimento.
TIPI DI RESISTORI
La stabilità è un parametro che indica la variazione percentuale della resistenza dopo un tempo di
1000 ore in determinate condizioni di funzionamento.
In alta frequenza occorre tenere conto di:
fenomeni induttivi dovuti alla forma a spirale dell'elemento resistivo
fenomeni capacitivi dovuti alle spire adiacenti del solenoide.
Per questi motivi il circuito equivalente del resistore in alta frequenza non è più
rappresentato soltanto da
una
semplice resistenza ma anche da una induttanza L in
serie ed entrambi in parallelo ad una capacità C come in figura.
.
C = capacità equivalente di tutte le spire
L = induttanza causata dal campo magnetico R = resistenza
Questi fenomeni si fanno sentire tanto di più quanto maggiore è la frequenza
EFFETTO PELLE
Quando la corrente è alternata la sua distribuzione nel conduttore non è uniforme e si avrà sempre il
valore massimo della densità di corrente sulla superficie del conduttore che diminuirà dalla superficie
esterna verso il centro. Questo fenomeno di distribuzione di corrente non uniforme all'interno della
sezione di un conduttore è chiamato effetto pelle e si verifica sempre in corrente alternata
Con l'aumentare della temperatura aumenta il rumore generato dall'agitazione termica degli elettroni
che causa ai capi del conduttore piccole fluttuazioni di tensione; ed è proprio questa tensione a
valore medio nullo ma di valore efficace diverso da zero e a densità spettrale costante, che viene
definita "rumore bianco".
TIPI DI RESISTORI
Da un punto di vista costruttivo , un resistore è formato dalle seguenti parti:
Elemento resistivo (quella parte che viene attraversata dalla corrente e che ne determina il
comportamento elettrico
Supporto dell'elemento
resistivo
(quella parte di materiale isolante, in genere ceramica, su cui
poggia l'elemento resistivo)
Rivestimento di protezione (realizzato con resine sintetiche o vernici isolanti)
Terminali o reofori (realizzati in materiale conduttore per collegare il componente al circuito e saldati a due
cappellotti metallici a contatto diretto con l'elemento resistivo).
A seconda del tipo di elemento resistivo possiamo avere:
– Resistori ad impasto
– Resistori a strato o film (spesso e sottile)
– Resistori a filo
RESISTORI AD IMPASTO
L'elemento resistivo e' costituito da polvere di carbone o grafite e resine sintetiche mescolate con materiali
inerti quali il talco, in proporzioni diverse a seconda del valore della resistenza che si vuol ottenere.
Al cilindro resistivo vengono poi applicati i terminali ed il tutto viene ricoperto da una custodia isolante o da un
tubetto di ceramica bloccato agli estremi con cemento.
I valori nominali di resistenza vanno da 1 a 100M e le tolleranze sono del 5%,10%,20%.
Data la limitata risposta in frequenza non sono molto usati perchè poco precisi e rumorosi .
La resistenza è ottenuta per mezzo di una miscela di
materiali isolanti e coduttori.
Per i resistori con impasto a grafite:
Caratteristiche:
• resistenza diminuisce con l’aumento della dissipazione
• scarsa stabilità della resistenza con l’invecchiamento
• resistenza da ~ centinaio di ohm a ~ centinaio di Mohm
• potenza dissipabile: 1/4, 1/2, 1, 2 W
• tolleranza dal 5% al 20%
• bassissima induttanza
• basso costo.
RESISTORI A STRATO O A FILM
L'elemento resistivo è costituito da uno strato o film di materiale conduttore depositato su un supporto di
materiale isolante quasi sempre ceramico e avente la forma cilindrica. A seconda dello spessore del film
possiamo avere:
–
resistori a film sottile
–
resistori a film spesso
RESISTORI A FILM SOTTILE
Hanno il film con spessore inferiore aio 5 cm ed i
metallici o carbone.
materiali usati sono: metalli ossidi,
RESISTORI A STRATO DI OSSIDO METALLICO
Si realizzano mediante deposizioni di ossidi metallici (attraverso reazioni chimiche) su supporti
ceramici o di vetro.Impiegano uno strato resistivo Invarox a base di ossido di rutenio depositato
su supporto cilindrico ceramico e sono forniti si terminali a vite per formare catene di resistori e
di una apposita guaina retrattile.
Sopportano tensioni max di lavoro da 350V a 900V con valori da 10 a 67K, ma se ne trovano
anche da 100K a 15G per tensioni max di lavoro da 25%50KV. Le tolleranze standard sono del
5%,2%,1%.
Hanno buona stabilita' elettrica e meccanica, resistono all'umidita', hanno bassa corerente di
rumore e non sono infiammabili.
RESISTORI A STRATO DI CARBONE
Vengono costruiti in modo simile a quello dei resistori a strato metallico.
Lo strato di carbone spiralizzato e' pero' piu' spesso di quello metallico .
Sono provvisti o meno di cappuccio agli estremi.Di basso costo sono più
precisi e affidabili di quelli ad impasto
Per spiralizzazione intendiamo l'incisione del film con un utensile in
modo da ottenere una spirale al fine di diminuire la sezione e
aumentare la lunghezza
dell'elemento resistivo e ottenere
una
resistenza di valore più alto.
RESISTORI A FILM SPESSO
Lo strato resistivo e' un centinaio di volte piu' spesso di quello dei resistori a film sottile rispetto ai quali sono
meno stabili.Permettono un ottimo smaltimento di calore ed un buon comportamento in frequenza.
Si dividono in :
- resistori a film spesso di carbone:
uno strato spesso di carbone (100 volte quello dei resistori a film sottile) viene depositato su un substrato
di vetro a 500 øC e protetto da un involucro resistente ad alte temperature.Consentono una
elevataissipazione di calore;
- resistori a film spesso metal glaze:
Sono fabbricati utilizzando miscele di polvere di vetro e metallo quali l'argento o il titanio dispersi in un
legante.Ad una temperatura di 900-1100°C la miscela e' applicata per immersione su un substrato cilindrico
di allumina con velocita' controllata allo scopo di regolare lo spessore del film. Il tutto viene poi rivestito da
un involucro stampato in resina o da vernice al silicone
- resistori tipo cermet (piu' recenti e utilizzati come resistori variabili):
Il composto resistivo viene qui' depositato su un supporto ceramico (da cui la parola Cermet). Si tratta di
composti a base di metalli nobili e di loro ossidi e di leganti ceramici e vetrosi dispersi in un veicolo
organico resinoso.La cottura avviene a 800%1000øC. Sopportano tensioni di lavoro max di 1500%3000 V,
permettono una forte dissipazione in dimensioni ridotte (hanno,cioe', un eccellente valore del rapporto
Potenza dissipabile/Superficie) ed un'ampia gamma di valori ohmici (da 10 a 3G).
RESISTORI A FILO.
L'elemento resistivo e' qui' un filo metallico avvolto su un
supporto isolante piatto (bachelite) o cilindrico (ceramico).
Il diametro del filo è legato al valore della corrente che il
resistore deve sopportare, per cui i resistori con potenza
maggiore avranno un diametro maggiore
I vari tipi di lega utilizzati per il filo sono:
* Nichel-Rame per resistori di grande precisione e stabilita';
* Nichel-Cromo per resistori di rilevante potenza;
* Nichel-Cromo-Alluminio per resistori con elevati valori di resistenza;
* Nichel-Cromo-Ferro per i resistori piu' economici;
Si utilizza una lega in quanto quest'ultima presenta una resistenza molto piu' elevata dei metalli
puri e le dimensioni a parita' di valore di resistenza desiderato diventano accettabili.
Sono,pero', piu' cari dei resistori a strato.
RESISTORI A FILO.
Mentre i resistori a strato raggiungono a 70°C potenze dissipabili fino 6W 7W, in base alle
caratteristiche costruttive, i resistori a filo si possono raggruppare in 3 categorie:
- Resistori a filo smaltati:
Per potenze medie ed alte (da 12W a 100W) sono protetti mediante smalti vetrosi non infiammabili per temperature max di
lavoro fino a 400°C e mediante laccatura per temperature sino a 150 C. Non si usa invece alcun rivestimento di protezione
per potenze sopra il centinaio di Watt al fine di permettere una piu' efficace dissipazione di calore.
- Resistori a filo cementati:
Per potenze da 2W a 20W, sono avvolti su supporto ceramico o di vetro, coperto da uno strato di cemento resistente
alle alte temperature .
- Resistori a filo di precisione:
Per potenze da 0,25W a 2W, utilizzati per apparecchiature professionali. Se provvisti di radiatore metallico sono in grado di
dissipare fino a 300W con dimensioni molto contenute.Trovano impiego in apparecchiature come alimentatori di potenza,
amplificatori, azionamenti etc.
La resistenza è ottenuta per mezzo dell’avvolgimento di un
filo metallico avvolto su un cilindro isolante (max 100 kohm):
• costantana (Ni-Cu), per resistori ad alta precisione
• cromel (Ni-Cr), per resistori di alta potenza ( > 5 W, fino
~ centinaio di W).
NB: cromel utilizzato come elemento riscaldante nei forni elettrici (leghe Ni-Cr + Fe
sono più economiche, ma anche più soggette a corrosione).
Sono caratterizzati da una buona stabilità nel tempo.
Possono lavorare ad alte temperature: 250 – 300 °C.
Per ridurre l’effetto induttivo si realizza un avvolgimento bifilare (avvolgimento Ayrton- Perry) in
modo da annullare il flusso magnetico. Massima frequenza di utilizzo 100 kHz.
M
20 %
K
10
L’informazione sulla tolleranza deriva
J
5
G
2
dal simbolo J, secondo la seguente
F
1
D
0.5
C
0.25
B
0.1
Esempio: resistore di 2.2 k ± 5%, 5 W
tabella:
Resistori a strato (a film)
La resistenza è ottenuta per mezzo di una sottile pellicola resistiva
avvolta su un supporto isolante. Sulla pellicola viene praticato un solco
a spirale lungo tutto il cilindro.
A strato di carbone:
resistenza da 1 ohm a 20 Mohm; tolleranza da 5% a 1%;
potenza da 1/8 a 2 W; da non usare ad alta temperatura.
A strato metallico: resistenza max 1 Mohm; tolleranza da 1% a 0.1% per resistori
normali, da 0.1% a 0.001% per resistori ad alta precisione; potenza da 1/8 a 2 W;
maggiore stabilità della resistenza all’aumentare della temperatura.
A strato ceramico (Cermet): resistenza tra 10 kohme un 1 Tom; tolleranza 1% ;
potenza fino a 2 W.
Adatti per applicazioni in alta tensione.
Tecnica costruttiva dei componenti
PTH (Plated Through Hole): componenti i cui reofori sono inseriti nei fori praticati nel circuito stampato.
Vantaggi PTH:
• facili cablaggi e saldature manuali su basette millefori
• veloci cablaggi manuali di prototipi su basette breadboard.
Resistore
SMD (Surface Mounting Device): componenti montati sulla superficie del circuito stampato, senza che questi sia forato.
Vantaggi SMD:
• veloci automazioni per collocare e saldare i componenti sul circuito stampato
• maggiore miniaturizzazione dei componenti.
Resistore
CARATTERISTICHE
ESEMPI
LABORATORIO: Considerazioni pratiche sul codice colori
Per una corretta lettura dei valori di resistenza e tolleranza occorre individuare il verso della
sequenza delle bande colorate:
•se le bande non sono centrate rispetto al corpo del componente, si orienta questo in modo
da avere a sinistra il reoforo più vicino alle bande
•se le bande sono centrate, una delle due agli estremi deve essere più larga delle altre.
Orientare il resistore in modo da vedere a sinistra la fascia più stretta
Esempio di circuito
_
Tipi di terminali dei cavi
Spinotto
Banana
Pinza
Coccodrillo
Spinotto
BNC
Esercitazione 2
Dato il seguente circuito:
Misurare la caduta di tensione su
R3,
assumendo
il
terminale
connesso al nodo 1 come polo
positivo.
NB:
Fasi dell’esercitazione:
1.cablare su breadboard il circuito
2. collegare i terminali di R3 ad una linea analogica di ingresso della scheda
Esercitazione 2
Soluzione del circuito:
I CONDENSATORI
I condensatori sono componenti passivi molto importanti in tutti i campi dell'elettronica. Tra
le applicazioni possiamo subito citare ad esempio le seguenti:
•
•
•
•
•
Avviamento dei motori
Rifasamento delle linee elettriche
Soppressione dei disturbi (Filtri)
Blocco di correnti continue;
Formazione di circuiti oscillatori
Se ad un conduttore neutro ed isolato diamo una carica Q, esso assume un certo potenziale
V. L’esperienza dimostra che se diamo allo stesso conduttore una carica doppia, tripla,ecc.,
esso assume un potenziale doppio, triplo, ecc.
Quindi per uno stesso conduttore esiste una relazione di proporzionalità diretta tra carica
elettrica Q e potenziale V, per cui possiamo scrivere:
Q/V= costante
I CONDENSATORI
Tale costante viene chiamata Capacità elettrica e si indica con la lettera C; vale cioè la
seguente relazione
C=Q/V
Per quanto concerne il significato
fisico, la Capacità di un conduttore
sua
attitudine a contenere cariche elettriche.
esprime la
Un
conduttore
ha
maggiore
capacità elettrica di un altro se
potenziale, contiene un numero maggiore di cariche
L’unità di
misura della
capacità
poiché Farad
è una unità
milliFarad
microfarad
nanofarad
picoFarad
troppo grande si usano i suoi sottomultipli:
•
•
•
•
a parità di
elettrica è il Farad F (1 sCoulomb/1Volt);
I CONDENSATORI
La Capacità elettrica di un conduttore dipende da alcuni fattori:
• Dall’area della superficie:
Maggiore è la superficie del conduttore, maggiore è il numero di cariche elettriche che si possono
immagazzinare, e quindi maggiore è la Capacità elettrica del conduttore.
•Dalla forma
Un conduttore piano ha una capacità elettrica maggiore rispetto ad un conduttore filiforme o a
punta in quanto ha una superficie maggiore;
•Dalla presenza nelle vicinanze di un altro conduttore:
La presenza di un conduttore non elettrizzato nelle vicinanze fa diminuire il potenziale del
conduttore elettrizzato, ma fa aumentare la Capacità elettrica del sistema dei due conduttori
(C=Q/V)
•Dal dielettrico nel quale è immerso.
I CONDENSATORI
definisce condensatore un sistema costituito da due
superfici conduttrici, dette
armature, separate da un isolante, detto dielettrico. Un sistema così definito è capace di
immagazzinare energia elettrostatica in seno al dielettrico, quando viene applicata alle
armature una differenza di potenziale (tensione elettrica) V; il valore di questa energia è
dato dalla relazione:
Si
W=1/2 CV2
In cui C è una costante caratteristica del condensatore, chiamata capacità C=Q/V con Q che
è la carica distribuita su una armatura del condensatore.
Il condensatore presenta una impedenza infinita in corrente continua ed un valore di
reattanza che varia in funzione della frequenza consentendo il passaggio della corrente
alternata.
I CONDENSATORI
Quando si polarizza il condensatore applicando una
tensione continua tra i suoi due terminali, viene
generato un campi elettrico E in direzione delle frecce.
L'effetto del campo sul dielettrico è di separare le
cariche di segno opposto, orientandole nel senso del
campo stesso.
Dipolo elettrico
I CONDENSATORI
• Per effetto della tensione applicata ai capi delle armature del condensatore, si stabilisce
tra di esse un campo elettrico E che determina la polarizzazione del dielettrico.
• Per polarizzazione del dielettrico si intende l’induzione elettrostatica «ridistribuzione della
carica elettrica» operata dal campo elettrico sulle molecole del materiale in maniera tale da
formare tanti dipoli elettrici orientati lungo la direzione del campo elettrico E.
I CONDENSATORI
Il tipo di condensatore più semplice è quello piano ,in cui le armature sono due superfici
metalliche piane e fra loro parallele di area S, poste ad una distanza d fra le quali è posto un
dielettrico di costante dielettrica
ε= εo εr
Con
εo la costante dielettrica assoluta di valore
8,85 10 -12 F/m. La sua capacità è :
C= ε S/d
Per condensatori di forma geometrica diversa da quella piana, l’espressione della capacità
risulta essere più complessa
IDENTIFICAZIONE DEL COMPONENTE
Il segno grafico che caratterizza il componente non è unico, ma diverso a seconda della funzione e a
seconda dei materiali utilizzati:
Simbolo convenzionale Condensatore elettrolitico polarizzato
Condensatore variabile
La legge che descrive il comportamento di un condensatore è:
Ic(t)= C ∆Vc(t)/∆t
Dove Ic(t) è la corrente che passa nl condensatore al variare della tensione ∆ Vc(t)
nel
tempo.
Tale
legge esprime il fatto che il condensatore
può
essere attraversato da corrente
solo
se sottoposto a tensioni variabili; infatti se la tensione che eccita il condensatore è continua ,
la corrente è nulla.
CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE
Tutti i condensatori sono costruiti in linea di principio da due armature di superficie più o meno grande, molto
ravvicinate, con l’interposizione di materiale isolante ( dielettrico).
Il valore capacitivo del condensatore è legato alla sua configurazione geometricaed al tipo di dielettrico usato.
La forma geometrica pù usata è quella del condensatore piano per cui:
C= ε S/d
In questo caso, a parità di materiale dielettrico adoperato, il valore capacitivo aumenta al crescere delle
armature e al diminuire dello spessore del dielettrico.
CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE
E’ vantaggioso che i condensatori, a parità di valore capacitivo, occupino un volume più ridotto; con
l’espressione “ efficienza volumetrica” si indica il rapporto tra il valore capacitivo ed il volume occupato.
Tenendo conto delle proprietà tecnologiche del dielettrico utilizzato per migliorare l’efficienza volumetrica
si possono usare tecniche costruttive diverse:
•Si realizza una struttura cilindrica avvolgendo più striscie di materiale isolante poste fra due nastri di
materiale conduttore come schematizzato in ifgura . In questo modo utilizzando striscie molto lunghe , si
ottengono valori capacitivi elevati;
TECNICHE COSTRUTTIVE
•Si costruiscono strutture particolari alternando n+1 armature di superficie S separate da n dielettrici
chiamate strutture multi layer
•Collegando insieme tutte le armature di posto pari e facendo altrettanto con quelle di posto
dispari. Si ottiene un sistema equivalente ad n condensatori posti in parallelo che avranno un
valore capacitivo complesso paro a C=n εS/d.
PARAMETRI CARATTERISTICI DEL CONDENSATORE
I principali parametri elettrici sono:
• La capacità
• La tolleranza di fabbricazione
• La tensione nominale
• La resistenza di isolamento
• Il coefficiente di temperatura
• Le perdite in continua espresse mediante la resistenza di
isolamento (o la corrente di fuga)
• Le perdite in alternata espresse dal fattore di perdita
LA CAPACITA’ DEL CONDENSATORE
Il valore capacitivo nominale è determinato in sede di fabbricazione del componente ed
impresso dal costruttore sul contenitore con un codice opportuno, che può essere un
codice a colori.
LA CAPACITA’ DEL CONDENSATORE
Oppure da un codice numerico, dove è stampigliata la tensione nominale ed il valore di capacità inteso in
pF e nel valore di riferimento l’ultima cifra indica il numero degli zeri; alle cifre può seguire una lettera:
J,K,M, che indica la tolleranza e rispettivamente sarà ± 5%,± 10%, ±20%.
Se il numero è preceduto da un puntino allora il valore capacitivo è da intendersi in µF e di seguito c’è
l’indicazione della tolleranza e della tensione nominale. Se il numero è accompagnato da una “n” allora il
valore capacitivo è espresso in nF.
Nell’esempio di fig. il primo condensatore ha una capacità di 4700pF ed una tensione nominale di 63V,
il secondo una capacità di 4,7 nF, una tolleranza del 5% ed una tensione nominale di 63V e
il terzo condensatore una capacità di 0,001 µF, una tolleranza del 10% ed una tensione nominale di 630V.
PARAMETRI CARATTERISTICI DI UN CONDESATORE
La tolleranza di fabbricazione esprime la deviazione massima del valore capacitvo dal valore
nominale ed è espressa in percentuale dello stesso.
La tensione nominale è il valore massimo che può essere applicata al condensatore per una
durata prestabilita, all atemperatura ambiente, senza provocarne il danneggiamento. Se viene
applicata iuna tensione superiore al doppio di quella nominale, si provoca sicuramente la
perforazione del dielettrico e quindi la messa in corto circuito del condensatore o in circuito
aperto se il dielettrico si è bruciato.
Il coefficiente di temperatura
Il valore capcitivo varia con la temperatura sia per le alterazioni delle proprietà del dielettrico
che per i cambiamenti della struttura geometrica del componente. In generale la dipendenza del
valore capacitivo dalla temperatura non è lineare pertanto il costruttore ne fornisce il grafico.
PARAMETRI CARATTERISTICI DI UN CONDESATORE
Per alcuni tipi di condensatori questo andamento è lineare secondo la seguente legge:
C=Co (1+ α∆T)
Dove C è il valore capacitivo alla temperatura T Co è il valore capacitivo a =°C
∆T è il salto di temperatura da 0°C alla temperatura T: ∆T= T°- 0°;
α è il coeff. Di temperatura che rappresenta la variazione del valore capacitivo per un aumento di
temperatura di 1 grado; misurato in °C -1.
Il coeff. Di temperatura α viene così calcolato:
α=∆C/Co∆T
Il coefficiente di temperatura, oltre che essere riferito a 0°C, può essere riferito a 25°C; in tal caso il
costruttore lo indica con : TC
PARAMETRI CARATTERISTICI DI UN CONDESATORE
Resistenza di isolamento
Si definisce resistenza di isolamento la resistenza del dielettrico. Esiste pertanto durante il
funzionamento una dissipazione di potenza nel dielettrico dovuta a conduzione ionica o anche al
moto di elettroni liberi che possono essere presenti in misura non trascurabile.
Pertanto un condesatore caricato con una tensione continua, se viene tolta l’alimentazione, tende a
scaricarsi nel tempo attraverso tale resistenza di isolamento che vale generalmente alcune
migliaia di MΩ.
Il costruttore fornisce come resistenza di isolamento, la resistenza tra i terminali del componente,
misurata in continua, per diversi valori di tensione di lavoro.
CLASSIFICAZIONE DEI CONDENSATORI
• I condensatori vengono definiti in generale sia dalla loro capacità che dal materiale che forma il
dielettrico , oppure dalla tecnologia di fabbricazione.
• I materiali più utilizzati come dielettrico sono: il film plastico metallizzato(poliestere, polistirolo ecc),
la carta , la carta e l’olio, la ceramica, il vetro, la mica e i depositati elettrolitici di varia natura.
• Per tipologia, essi possono essere così suddivisi:
CONDENSATORI A FILM PLASTICO
Il dielettrico è costituito da un sottile strato di materiale isolante
(film),
le armature sono realizzate con un foglio di materiale conduttore oppure
con un sottile strato metallico fatto depositare direttamente sul film.
Questi condensatori sono di tipo avvolto, con opportune tecniche di
avvolgimento si possono ottrenere anche condensatori di forma
rettangolare.I materiali utilizzati come dielettrico sono resine
termoplastiche.
Questi materiali hanno una costante dielettrica relativa εr piuttosto bassa ,
ma poiché si possono ottenere film sottili è possibile raggiunger comunque
discreti rapporti capacità/volume.
Questi condensatori presentano basse perdite e discreta stabilità del
.
valore capacitivo al variare della frequenza e della temperatura
CONDENSATORI CERAMICI
Il dielettrico è costituito da materiali ceramici aventi elevata costante dielettrica. I
condensatori ceramici si dividono in tre classi in base al dielettrico utilizzato:
Condensatori a disco
Condensatori multistrato
Classe I
In questi condensatori i materiali ceramici utilizzati come dielettrico hanno una costante
dielettrica relativa εr che va da 60 a 250. Il valore capacitivo hja una dipendenza quasi
lineare dalla temperatura, risulta stabile al variare della frequenza e nel tempo. Questi
condensatori presentano basse perdite anche in alta frequenza. Si ottengono valori da
pochi pF a 10 nF e sono utilizzati per la loro precisione e stabilità in circuiti risonanti e filtri
ad alta frequenza.
CONDENSATORI CERAMICI
• Classe II
• Ad alta costante dielettrica relativa che è compresa tra 250 e 10000. I valori sono più
elevati della classe I e si arriva sino al µF. Poco stabili e di basso prezzo.
• Altri tipi di condensatori
• A carta :
• in cui come dielettrico usano un nastro di carta
struttura simile ai condensatori plastici.
impregnata con oli e presentano una
• A mica:
• Con elevata tensione di rottura e ottima risposta ad alta frequenza VHF e UHF.
CONDENSATORI ELETTROLITICI
I condensatori possono accumulare cariche positive e negative
indifferentemente su
ciascuna armatura. In quelli elettrolitici devono accumulare le cariche positive e negative su
armature predeterminate.
L’armatura che deve essere collegata al potenziale più alto viene indicata col segno +
(anodo) e l’altra col segno – (catodo) e non devono essere scambiati tra loro.
Presentano valori di capacità molto alti, dal µF al F.
A stretto contatto dell’anodo viene formato un sottilissimo strato di ossido isolante, che
funge da dielettrico, e fra questo e l’altra armatura viene posto l’elettrolita in cui durante il
normale funzionamento si ha una debole corrente di fuga costituita da ioni di segno opposto.
Perché può scoppiare?
Gli ioni negativi vengono attratti dall’anodo e quelli positivi dal catodo. Gli
ioni negati , essendo di natura ossidante, provvedono a rigenerare lo strato
di ossido là dove si è deteriorato mentre quelli positivi danno origine a
piccole quantità di idrogeno.
Se la polarità delle tensione viene invertita si distruggerebbe lo strato di
ossido e la produzione di gas provocherebbe l’esplosione dell’involucro del
condensatore.
CONDENSATORI ELETTROLITICI
L’elettolita può essere di tipo:
•Solido: viene usato il biossido di manganese
•Non solido: ( pasta gelatinosa con la quale vengono impregnati nastri di carta,
avvolti con fogli metallici che costituiscono le armature).
Esistono comunque in commericio condensatori elettrolitici non polarizzati che
possono essere usati in regime alternato in cui lo strato di ossido è presente su
Entrambe le armature
e
il suo spessore
cresce o
diminuisce
aseconda
della polarità
applicata ai terminali.
CONDENSATORI ELETTROLITICI
Condensatori in alluminio
In essi le armature sono costituite da due fogli di alluminio e sull’anodo viene
formato lo strato di ossido di alluminio isolante. La costante dielettrica non bassa
consente di ottenere valori di capacità per unità di volume molto elevati.
I condensatori in alluminio ad elettrolita non solido sono di forma cilindrica.
CONDENSATORI ELETTROLITICI
Condensatori al tantalio
• In essi le armature sono costituite da tantalio che presenta
quello d’alluminio.
un ossido ancora migliore di
• Sono generalmente ad elettrolita solido ed hanno la classica forma a goccia. Sono
affidabili, sicuri ed hanno una vita lunga ma presentano tensioni di lavoro inferiori a quelli di
alluminio. La capacità per unità di volume può raggiungere valori elevatissimi.
CONDENSATORI VARIABILI
I compensatori o trimmer capacitivi sono sempre condensatori variabili ma di dimensioni più
piccole e vengono usati per operazioni di taratura, apportando piccole variazioni ai valori dei
condensatori fissi, soprattutto nei circuiti di sintonia.
CONDENSATORI VARIABILI
Con essi è possibile ottenere valori di capacità variabili fra un minimo ed un massimo modificando la
posizione reciproca delle armature e di conseguenza l’area delle superfici affacciate.
La posizione dell’armatura mobile ( rotore ) può essere variata risèpetto all’armatura fissa (statore)
mediante la rotazione di un alberino.
Quando le due armature vengono a sovrapporsi completamente, la capacità assume il suo valore
massimo viceversasia fra il valore minimo,
Il dielettrico è
generalmente
l’aria, ma
può essere
la
mica o materiale ceramico
o plastico.
LABORATORIO: TECNOLOGIE COSTRUTTIVE
Esistono molti tipi di condensatori, in relazione al tipo di dielettrico.
POLARIZZATI: condensatori in cui il
dielettrico è polarizzato, per cui in
fase di montaggio occorre
rispettare le polarità dei terminali.
NON POLARIZZATI: condensatori in
cui il dielettrico non è polarizzato,
per cui in fase di montaggio non ci
sono vincoli di polarità sui
terminali.
NB: In un circuito in c. a. si devono usare condensatori non polarizzati.
CONDENSATORE POLARIZZATO
ELETTROLITICI
Capacità tra 0.1 uF e qualche decina di mF
BACK UP
Alta capacità: tra 0.1 – 10 F.
Utilizzati come batteria tampone in caso
di black-out.
Tensioni di lavoro  6 V.
CONDENSATORE NON POLARIZZATO
POLIESTERE:
• capacità al massimo di qualche μF
• adatti per basse frequenze (max ca. 1
MHz)
CERAMICI:
• capacità compresa tra ca. 1 pF e 100 nF
• piccoli, economici, ideali in alta
frequenza (centinaia di MHz)
Codici per condensatori ceramici
Il valore della capacità si trova scritto sul corpo del componente
attraverso tre cifre:
• le prime due indicano la capacità in pF
• la terza indica il numero di zeri da aggiungere
10 0000 pF = 100 nF
ACCUMULO DI CARICA SULLE ARMATURE
Se un condensatore viene sottoposto a una tensione V applicata sulle sue armature, esso accumula su
ciascuna armatura una quantità di carica data da:
Q=CxV
dove Q è la quantità di carica (misurata in Coulomb, C), C è la capacità del condensatore e V è la tensione
applicata.
Il condensatore si carica perche gli elettroni si accumulano
sull’armatura collegata col polo negativo della batteria,
mentre sull'armatura
collegata
col
polo
positivo
rimangono protoni (nuclei atomici carichi positivamente)
che hanno perduto i propri elettroni.
Ne consegue che entrambe le armature accumulano una
carica uguale ma di segno opposto
Se il condensatore carico viene staccato dalla batteria, esso mantiene (per un certo tempo) la carica accumulata
e la tensione ai suoi capi.
CONDENSATORE
CON
TENSIONE
CONTINUA
E VARIABILE NEL TEMPO
In un circuito formato solo da un generatore di tensione costante (es. una batteria) e un
condensatore, non passa nessuna corrente. O meglio:
passa
corrente
al
momento
del
collegamento della batteria col condensatore (o della chiusura del tasto) che si esaurisce in un
tempo molto breve
Le cose cambiano se si applica un segnale variabile nel tempo che genera un passaggio di
corrente dovuto al trasferimento di carica fra le armature del condensatore ma che non
attraversa il dielettrico essendo un isolante
La corrente non passa fra le armature ma attraverso il circuito
che connette fra di loro le armature stesse. Quando la
tensione Vc aumenta gli elettroni passano dalla armatura
positiva a quella negativa: ciò significa
che
nel
circuito
scorre una corrente dall’armatura negativa a quella positiva
. Se invece la tensione Vc diminuisce,
la
corrente
scorre dall’armatura positiva a quella negativa.
BOBINE
Per bobina si intende colloquialmente un nucleo solido su cui può essere avvolto del materiale filiforme o
nastriforme, come fibre tessili, pellicole, conduttori elettrici o altro. In fisica ed elettrotecnica genericamente,
la bobina è un insieme di spire, il cui numero può variare da una frazione di spira a molte migliaia, realizzate
con materiale conduttore. I campi di applicazione sono i più vari, dall'elettronica ed elettrotecnica alla
meccanica, ed anche in medicina (risonanza magnetica). Il suo parametro elettrico principale è definito
induttanza.

In elettronica ad esempio, può essere impiegata per trasformare la corrente alternata in onde radio


In elettrotecnica prende il nome di matassa o induttore, avvolgendola attorno ad un nucleo ferroso
otteniamo un'elettrocalamita, oppure, variando il numero e la sezione delle spire (o avvolgimenti),
abbiamo il trasformatore, un dispositivo capace di trasformare i valori di tensione/corrente ad esso
applicati.


In meccanica prende il nome di bobina d'accensione, nell'impianto elettrico di un qualsiasi motore ad
accensione comandata, la bobina serve ad elevare il valore di tensione utilizzato dalla parte dell'impianto
precedente (a seconda del sistema da 6V a 400V), trasformandola nel valore adeguato a far scoccare la
scintilla tra gli elettrodi delle candele (ordine di 20.000 volt), essendo il valore di corrente estremamente
basso, l'eventuale scarica tra le dita di una persona, risulta innocua.
Una bobina tradizionale ha una frequenza di risonanza definita dalla sua geometria e caratteristiche
elettriche, e un'impedenza diversa da zero, per cui, se attraversata da una corrente elettrica, la bobina
genera calore.
Gli INDUTTORI “bobine” sono costruiti in decine di modi diversi, ed e' per questo motivo che c'è una
certa difficoltà a riconoscerle per applicarle ai circuiti.
Si deve fare attenzione perchè le induttanze non sono sempre ESPLICITAMENTE riconoscibili...
e a volte si presentano sotto forma di comunissime.. RESISTENZE!!
Di solito le induttanze "sospette" si
riconoscono
perche'
sono
piu'
ABBOMBATE agli
estremi rispetto alle
resistenze e poi il colore di BASE e' quasi
sempre verdino o celeste.
Conoscendo il codice dei colori delle
resistenze (es. marrone,rosso marrone),
misurare
col tester (scala in ohm) il
valore del componente da controllare, se è
una resistenza, con un tester, misurerai
circa 120 Ohm, se invece è un induttore,
con un tester, vedrai un cortocircuito (o
quasi) e sarà L = 220uH (microHenry).
Per la misura del suo valore dovresti usare
un induttanzimentro.
Ricordando che: se è una induttanza e si
applica una tensione costante, l'induttore
si comporta come un corto (si misurera'
la sola resistenza del filo che la compone).
CALCOLI E NOTE SULLE INDUTTANZE
Come avviene per il condensatore, che rimane caratterizzato da un certo valore capacitivo, così accade per
la bobina e, più in generale, per tutti gli avvolgimenti elettrici, che vantano una propria induttanza. E
questa è tanto più grande quanto maggiore è il numero di spire che compongono la bobina. Inoltre essa
aumenta coll'aumentare del
diametro dell'avvolgimento, col diminuire della sezione del filo e con
l'aumentare della permeabilità del nucleo, se questo esiste. Ma dipende pure dal rapporto tra diametro e
lunghezza dell'avvolgimento, dal tipo di avvolgimento, da quello del conduttore, che può essere monofilare
o multifilare e dalla spaziatura tra spira e spira. Anche l'induttanza, come ogni altra grandezza elettrica,
vien definita tramite un'unità di misura, I'henry (abbrev. H) e i sottomultipli di questo.
H = henry
mH = millihenry (millesimo di H)
uH = microhenry (milionesimo di H)
L'induttanza ha per simbolo la lettera L, come si può osservare in figura 1, nella quale, in alto, è riprodotto
il segno grafico di una bobina munita di nucleo, in basso quello di una bobina avvolta in aria.
Fig. 1 - Simboli e sigle normalmente impiegati per segnalare le induttanze.
riportata più in alto si riferisce ad una bobina munita di nucleo
quella disegnata in basso indica una bobina avvolta in aria.
Quella
ferromagnetico,
Negli apparecchi radio si possono trovare bobine, avvolte su nuclei di ferrite. con valore di
induttanza elevato, per esempio di 10 H; ma se ne trovano altre, più piccole, montate nei
circuiti di alta frequenza, il cui valore oscilla fra il centinaio di microhenry (uH), quando si
tratta di bobine per onde medie, e di uno o due microhenrv ( uH), quando le bobine sono
adibite alla ricezione delle onde corte: mentre quelle per le onde cortissime presentano
un'induttanza molto bassa, di un decimo di microhenry (uH) circa.
Quando una corrente elettrica variabile, per esempio quella alternata, attraversa il filo
conduttore che compone una qualsiasi bobina, questa si avvolge spontaneamente di un
campo elettromagnetico variabile, ovvero di una serie di linee di forza magnetiche,
concatenate con la bobina stessa, le quali autoinducono una forza elettromotrice che va
sotto il nome di "tensione autoindotta".
E questa tensione assume un verso contrario a quello della tensione che l'ha generata,
rivelandosi come una forza di inerzia o, meglio, di particolare resistenza al passaggio della
corrente elettrica variabile. Tale resistenza, che nulla ha a che vedere con quella ohmica,
assume il nome di "reattanza induttiva" e si esprime, analiticamente, tramite la seguente
formula:
XL = 2 x π x f x L
nella quale "f" misura la frequenza della corrente variabile che attraversa l'avvolgimento, mentre "L«
ne misura l'induttanza.
Se la frequenza "f" viene espressa in hertz (Hz) e l'induttanza in henry (H), la reattanza
induttiva è misurata in ohm, come avviene nelle resistenze elettriche, anche se con queste,
lo ripetiamo, la reattanza induttiva non ha nulla a che fare.
Analizzando la formula già citata della reattanza induttiva, si può affermare che questa
aumenta quando aumentano la frequenza della corrente che percorre l'avvolgimento e
l'induttanza di esso. È ovvio che, rappresentando la reattanza induttiva un ostacolo al
passaggio della corrente. questa provochi, alla stessa stregua dei condensatori, una
Ma una tale caduta di tensione avviene, almeno teoricamente, senza dissipare potenza
elettrica.
Perché la bobina immagazzina energia elettromagnetica, quando la corrente
aumenta di intensità, e la restituisce quando la corrente diminuisce o cessa di scorrere.
DIODI
FUNZIONAMENTO ED APPLICAZIONI
IL DIODO
• Definizione: componente costituito da due terminali chiamati con anodo e catodo che, nel lato di circuito in
• cui è inserito, permette il transito della corrente elettrica in un solo verso «unidirezionale»
A
K
IL DIODO PUÒ ESSERE POLARIZZATO
• direttamente, se il potenziale all’anodo è maggiore di quello al catodo (Vak>0); in questo caso il diodo può condurre
R
A
+
E
-
K
OPPURE
• Inversamente se il potenziale all’anodo è minore di quello al catodo (Vak<0); in questo caso il diodo non
conduce
R
K
+
E
-
A
LA CARATTERISTICA DEL DIODO MOSTRA CHE SE È POLARIZZATO
• Inversamente (Vak<0), esso non conduce
• Direttamente (Vak>0), esso entra in conduzione quando Vak supera
un valore di soglia (0.5 – 0,7V nei diodi al silicio)
INOLTRE LA CARATTERISTICA MOSTRA CHE
• Quando Vak oltrepassa la soglia, il diodo entra bruscamente in
conduzione; piccoli incrementi di Vak provocano grandi incrementi di
corrente
NOTIAMO ANCORA CHE
• Quando il diodo è in piena conduzione, la tensione ai suoi capi
si stabilizza, più o meno, intorno a 0.7V
LA RESISTENZA DIFFERENZIALE DEL DIODO RD
• è il rapporto tra la variazione di Vak e la corrispondente
variazione subita da I. Il tratto di caratteristica in cui il
diodo è in piena conduzione è molto ripido; perciò, piccole
variazioni di Vak provocano grandi variazioni di I e la
resistenza differenziale rd è molto piccola
Vak
rd 
I
LA CARATTERISTICA DEL DIODO MOSTRA ANCORA
• che il componente non è lineare; infatti la caratteristica corrente tensione non è lineare
• ma esponenziale; anzi la corrente I che attraversa il diodo e la tensione ai suoi capi Vak sono legati dalla
relazione
:
 Vak 


V
T
I  I 0 e
 1




NELL’ EQUAZIONE DELLA CARATTERISTICA DEL DIODO
• Io è una corrente di piccolo valore, tipica del diodo stesso, legata alla sua struttura e alla temperatura a cui
si trova il dispositivo; Io è chiamata corrente inversa perché, come vedremo, essa è la piccola corrente che
attraversa il diodo, quando è polarizzato inversamente
• VT è una tensione determinata dalla temperatura a cui si trova il dispositivo;
• a 25oC, VT vale 25mV
COME È FATTO IL DIODO?
• Per realizzare i diodi si usano i semiconduttori, così chiamati perché hanno proprietà elettriche, in qualche modo,
intermedie tra i conduttori e gli isolanti
• I semiconduttori più usati sono il Silicio, molto diffuso sul nostro pianeta, e il Germanio
I SEMICONDUTTORI POSSONO ESSERE
• puri, o intrinseci; in questo caso essi hanno un eguale numero di portatori di carica positivi, chiamate
lacune, e di portatori negativi, gli elettroni
+-+-+-+-+-+-++-+-+-+-+-+-++-+-+-+-+-+-+-
intrinseco
OPPURE POSSONO ESSERE
• drogati di tipo P; in questo caso la composizione chimica del semiconduttore è stata alterata
in modo che le lacune (positive) siano maggioritarie rispetto agli elettroni
++-++++++-++
++++++++++-+
++++-+++++++
Tipo P
OPPURE POSSONO ESSERE
• drogati di tipo N; in questo caso la composizione chimica del semiconduttore è stata alterata
in modo che gli elettroni siano maggioritari rispetto alle lacune
--+------+- - - - - - - - - - +- - - - + - - - - - -+
Tipo N
IL DIODO È UNA GIUNZIONE PN
• Esso viene realizzato drogando una barretta di Silicio in modo che essa risulti da un lato di tipo P
(con portatori maggioritari positivi) e dall’altro di tipo N (con portatori maggioritari negativi)
Nella figura non sono indicati i portatori minoritari
LA POLARIZZAZIONE DIRETTA
• mette in moto le cariche maggioritarie, che sono molte, e perciò la corrente I diretta
cresce rapidamente all’aumentare di V; ciò è vero se V supera una barriera di
potenziale, di circa 0.5V, che è all’interno della giunzione
LA POLARIZZAZIONE INVERSA
• mette in moto le cariche minoritarie, che sono poche; la corrente Io che scorre in un diodo
polarizzato inversamente è, perciò, molto piccola e quasi sempre viene trascurata; essa
cresce all’aumentare della temperatura.
LIMITI DI FUNZIONAMENTO
• La corrente che attraversa un diodo polarizzato direttamente non deve superare un
certo valore, tipico del dispositivo; altrimenti la potenza che esso dissipa (Pd=IVak)
diventa eccessiva ed esso si brucia per effetto Joule
PER LIMITARE LA CORRENTE CHE ATTRAVERSA IL DIODO
• si inserisce, in serie ad esso, una resistenza R che determina una corrente:
E  Vak
I
 Imax
R
R
+
10V
E
-
1N4001
LA POLARIZZAZIONE INVERSA NON DEVE
• superare un certo valore tipico del diodo (la
tensione di breakdown); oltrepassata questa
tensione, il numero di cariche minoritarie
cresce bruscamente e, con esse, la corrente
inversa; questo fenomeno, nei diodi normali,
è distruttivo
IL PUNTO DI RIPOSO DEL DIODO
• Può essere determinato analiticamente,
I
E  Vak E  0.7V

R
R
0PPURE PUÒ ESSERE DETERMINATO GRAFICAMENTE
• Basta risolvere, per via grafica, il sistema
 E  R  I  Vak

 Vak 

 VT


 1
 I  Io   e





I
+
R
A
E
-
K
OSSERVIAMO CHE
• la seconda equazione è quella caratteristica del diodo
• la prima non è altro che il 2o principio di Kirchoff applicato alla maglia contenente il
diodo; essa può essere riscritta nel modo seguente:
E  Vak
I
R
NOTIAMO ANCORA CHE
• Il luogo dei punti del piano I/Vak che
soddisfano la seconda equazione è la
caratteristica del diodo
 Vak 
 VT

I  Io   e
 1




MENTRE IL LUOGO DEI PUNTI
• del piano I/Vak l’equazione
I
E  Vak
R
è una retta è chiamata con retta di carico; il suo coefficiente angolare (o pendenza) è:
1
m
R
LA RETTA DI CARICO INTERSECA
• l’asse I nel punto A; questo punto
ha Vak=0 e perciò in questo punto
I=E/R
• l’asse Vak nel punto B; questo
punto ha I=0; perciò, in questo
punto Vak=E
UNENDO A E B SI OTTIENE
• La retta di carico nel piano I/Vak, dove
troviamo anche la caratteristica del
diodo
IL PUNTO DI RIPOSO Q DEL DIODO DEVE STARE
• ovviamente sulla caratteristica del
dispositivo
• e anche sulla retta di carico, perché
il diodo è inserito in una maglia e il
20K deve essere soddisfatto
Il punto di riposo è perciò
l’intersezione tra la caratteristica e
la retta di carico
LABORATORIO: controllo Led
Caratteristica del diodo
Diodo LED
Nel caso in cui un diodo LED sia già stato utilizzato, abbia
cioè i terminali accorciati, così che non sia più possibile
individuare quello più lungo, è possibile ugualmente
individuare il catodo osservando l’involucro colorato.
Alla base è presente una corona
circolare sporgente che, in
corrispondenza di un terminale,
presenta un taglio
CLASSIFICAZIONI E SCELTA DEI
TRANSISTOR
La grande varietà dei campi applicativi , la continua evoluzione tecnologica e la concorenza commerciale
hanno portato ad un numero impressionante di tipi di diodi e di transistor , ciascuno con sue
specifiche caratteristiche riportate sui Data Sheet.
Ogni tipo è contraddistinto da una sigla alfanumerica o codice di
contenitore.
Gli standard più seguiti sono:
•
•
•
EIA JEDEC
l'europeo PRO ELECTRON
il giapponese JIS
l'americano
identificazione , stampata sul
LO STANDARD EIA JEDEC
L' Electronic Industries Association con l'apposito comitato Joint Electron Device Engineering
Council, ha stabilito le seguenti sigle:
1N seguito da 24 cifre contraddistingue un diodo (es: 1N4004)
2N seguito da 24 cifre contraddistingue un transistor (es. 2N1711)
Il numero che precede la lettera N indica le giunzioni
Le cifre dopo la lettera N identificano il componente.
Una lettera (A o B) può seguire il numero ad indicare un
componente rispetto al tipo base. (es. 2N2222A)
miglioramento delle prestazioni del
LO STANDARD PRO ELECTRON
Nel codice europeo la sigla comincia con due o tre lettere e
termina con un numero. Es BD135.
La prima lettera indica il tipo di semiconduttore adoperato :
La seconda lettera indica IL tipo di applicazione a cui il componente è destinato
LO STANDARD PRO
ELECTRON
LO STANDARD PRO ELECTRON
Possiamo avere anche una terza lettera (X,Y,Z..)
contraddistingue i dispositivi di tipo professionale
che
La parte numerica indica il numero di serie
A due cifre (tra 10 e 99) per applicazioni professionali o industriali
A tre cifre (tra 100 e 999) per applicazioni commerciali
LO STANDARD PRO ELECTRON
Esempi
BD 135 = transistor al silicio di potenza per basse frequenza della serie
commerciale 135
BC107 = transistor di bassa frequenza per usi generici
BD439 = transistor di potenza al silicio per basse frequenze;
BUX85 = transistor al silicio di potenza per commutazioni veloci e alte tensioni.
Oltre alla sigla può seguire un suffisso aggiuntivo preceduto da un trattino che fornisce altre
informazioni specifiche sul componente Es.
BZY96-C7V5 = diodo al silicio (B) zener (Z) per applicazioni professionali (Y96) con tensione zener
di 7,5V (7V5). La lettera V indica la virgola decimale.
LO STANDARD PRO ELECTRON
BZX85-C3V3 = dido zener della serie professionale X85 con tensione zener di 3,3V.
La lettera C indica la tolleranza della tensione zener di riferimento del 5% secondo la seguente
tabella:
A = 1%
B = 2%
C = 5%
D = 10%
E = 20%
BY205-400 = diodo raddrizzatore con massima tensione inversa VRRM=400V.
LO STANDARD STANDARDJIS
Le sigle dei transistor iniziano sempre con 2S seguito dalle lettere A o B o C o D e da una parte
numerica.
Le lettere hanno il seguente significato
A = transistor pnp per alta frequenza
B= transistor pnp per bassa frequenza
C= transistor npn per alta frequenza
D= transistor npn per bassa frequenza.
Per alcuni componenti le case costruttrici utilizzano codici interni che non corrispondono ad alcuna
normalizzazione.
Esempi:
TIPxxxx= Texas Instruments
MJxxxx,MJExxx= Motorola
RCAxxx= RCA
Nella sezione Cross Reference dei manuali possiamo trovare gli eventuali componenti equivalenti a un dato
transistor o diodo o integrato
LO STANDARD STANDARDJIS
Per scegliere un transistor occorre considerare :
•Il tipo di funzione che deve svolgere (amplificatore o interruttore);
•La frequenza di lavoro (se deve lavorare per alte o basse frequenza
•La tensione, la corrente , la potenza ( transistor per piccoli segnali o transistor di potenza a bassa
o alta tensione).
Vanno inoltre ricordati i transistor con caratteristiche medie per uso generale (general purpose)
Nei data sheet troviamo i dati di un componente raggruppati in riferimento a:
generalità sul componente (tecnologia usata, tipo di componente, applicazioni)
valori massimi delle grandezze elettriche e termiche sopportabili dal dispositivo (Absolute maximum
ratings )
Resistenza termica per vedere se è necessario ricorrere a dissipatori di calore comportamento
elettrico in corrente continua (DC characteristics)
comportamento in corrente alternata o impulsiva (AC characteristics)
grafici di consultazione.
TRANSISTORI BIPOLARI
NPN
PNP
TRANSISTORI BIPOLARI
Ic
hFE =
guadagno di corrente in continua
IB
•I BJT usati come amplificatori lavorano nella zona attiva dove per Ib costante , la Ic cresce, in maniera lieve, con
la tensione VCE. In questo caso Vbe=0,60,7 V
•I transistori usati in commutazione (Switching transistors) implicano nel funzionamento il passaggio dalla zona
di saturazione a quella di interdizione e viceversa.
TRANSISTORI BIPOLARI
• In saturazione Ic raggiunge il suo valore massimo consentito dal carico e
all'aumentare di Ib.
cessa di crescere
• In questa situazione
• Vbe=0,7- 0,8V
Vce=0,2V
e il transistore si comporta come un interruttore chiuso (ON)
• In interdizione invece si comporterà come un interruttore aperto( nel ramo collettore-emettitore)
OFF, anche se in realtà esiste sempre una corrente di fuga, che in alcuni casi non può essere
considerata trascurabile.
Parametri:
VCEO=Massima tensione di rottura collettore-emettitore
lavorare il BJT con Ic precisata e base aperta (Ib=0)
ovvero la massima tensione alla quale può
VCBO=Massima tensione di rottura collettore-base con una Ic precisata e l'emettitore aperto (Ie=0)
VEBO=Massima tensione di rottura base-emettitore con una Ic precisata e collettore aperto (Ic=0)
Ic= massima corrente di collettore ammessa
TRANSISTORI BIPOLARI
Pd max= Massima potenza dissipabile alla temperatura ambiente 25°C
Tj = Massima temperatura che può sopportare il chip senza subire danneggiamenti
Rth =resistenza termica
Hfe = guadagno di corrente in continua. (valore minimo e massimo per Ic diverse)
Vce (sat), Vbe (sat) = tensioni alla saturazione
Parametri ibridi = hie,hre,hfe,hoe
NF = figura di rumore che fornisce una indicazione della capacità di amplificare segnali molto deboli.
Capacità di uscita e di ingresso nella configurazione a base comune.
Tempo di ritardo e di salita , la cui somma dà il tempo di commutazione in conduzione
Tempo di immagazzinamento e di discesa la cui somma dà il tempo di commutazione all'interdizione.
IL TRANSISTOR BJT
Il transistor inventato nel 1947, dai ricercatori Bardeen e Brattain, è il componente simbolo dell’elettronica.
Ideato in un primo momento, come sostituto delle valvole a vuoto per amplificare segnali elettronici, è
rapidamente diventato parte essenziale di qualsiasi progetto elettronico.
Qualsiasi circuito integrato è composto da un certo numero di transistori opportunamente collegati ed integrati
su una piastrina di silicio, accompagnati di solito da altri componenti come diodi, resistori,condensatori,
eccetera.
Transistor : fusione dei due termini inglesi Transfer + Resistor (cioè componente a resistenza variabile).
Bipolar: definisce quei transistor in cui la conduzione elettrica avviene tramite due portatori di carica (elettroni e
lacune) a differenza dei transistori unipolari o ad effetto di campo in cui la conduzione avviene tramite solo
elettroni o solo lacune. .
BJT: Bipolar Junction Transistor.
JFET: Junction Field Effect Transistor
MOSFET: Metal Oxide Semiconductor Field Effect Transistor
FUNZIONAMENTO DI UN BJT
La formazione di un transistor bipolare può essere rappresentata mediante la compenetrazione di due giunzioni
P-N.
La giunzione P-N:
a. se polarizzata direttamente, si comporta come una resistenza di basso valore permettendo il passaggio di una
corrente elettrica (vedi diodo);
b. se polarizzata inversamente, si comporta come un isolante, permettendo esclusivamente il passaggio di una
piccola corrente di perdita.
La giunzione P-N è caratterizzata, pertanto, da una tensione e da una corrente vale a dire da una potenza V*I che
dipende dalla polarizzazione applicata
Se troviamo un modo per far passare la corrente da questa prima giunzione alla zona N della seconda, alla quale è
applicata una tensione maggiore, la potenza disponibile all’uscita sarà molto più grande di quella applicata
all’ingresso, pur riproducendo esattamente le variazioni del segnale.
In altre parole : mediante piccole variazioni della tensione applicata alla giunzione centrale, possiamo controllare
una corrente relativamente forte che attraversa la seconda giunzione, alla quale è applicata una tensione
maggiore.
L’effetto è quello di abbassare la resistenza della seconda giunzione, inizialmente molto elevata perché la giunzione
è polarizzata inversamente.
FUNZIONAMENTO DI UN BJT
Vi sono transistor NPN e PNP ; i 3 terminali prendono il nome di emettitore, base e collettore
Considerando un NPN :
• In condizionidi equilibrio,in ognuna delle zone di contatto, si formano le
cosiddette zone di carica
spaziale (dovute al fenomeno della ricombinazione).
• Se consideriamo le due giunzioni polarizzate:
• la prima (base- emettitore) direttamente, sarà in grado di condurre corrente elettrica;
• la seconda (base collettore) inversamente (positivo al collettore), non permetterà il passaggio di
corrente.
• Polarizzando l’insieme dei tre blocchi (+ al collettore e – all’emettitore), gli elettroni liberi dell’emettitori
vengono respinti dal polo negativo verso il collettore, mentre quelli del collettore vengono attratti dal polo
positivo provocando uno spostamento di cariche negative dall’emettitore al collettore. Se poi polarizziamo
direttamente la giunzione base–emettitore, mantenendo costante la tensione di collettore, il passaggio di
corrente attraverso la prima barriera verrà più o meno facilitato. Solo una parte minima degli elettroni si
riesce a combinarsi con le lacune presenti in base, a causa del basso drogaggio della base stessa, dando luogo
alla corrente Ib.
FUNZIONAMENTO DI UN BJT
Gli elettroni che non si ricombinano, vengono attratti dal potenziale positivo del collettore ,malgrado la forte
opposizione esercitata dalla giunzione base-collettore polarizzata inversamente, ed attraversandola danno
luogo alla corrente Ic.
La piccola frazione che si presenta al terminale della base e' in grado di comandare o
modulare la corrente principale che sarà sempre un multiplo di quella di (da 10 a 200).
L'azione amplificatrice dei transistor '
dovuta
variazione nella corrente di base e genera una
al
grande
fatto
che
una
piccola
variazione nella corrente di collettore.
Il fattore
di
amplificazione
hfe
può essere ottimizzato riducendo il più
Il possibile lo spessore della base , in modo che quando l’elettrone supera la barriera base-emettitore possa
venire attratto più facilmente dal collettore di maggiori dimensioni e quindi più ricco di cariche positive.
In fase di produzione si fa in modo che la superficie di contatto tra base e collettore risulti maggiore di
quella tra base ed emettitore in quanto la potenza dissipata dalla giunzione b-e è parecchio inferiore a quella
dissipata dalla giunzione base collettore.
FUNZIONAMENTO DI UN BJT
La tensione Vbe è dell’ordine di alcuni decimi di Volt, mentre quella Vce è dell’ordine di qualche decina di Volt.
In un PNP sono le lacune i portatori di carica maggioritaria che attraversando la giunzione emettitore-base sono
attratte in gran maggioranza dalla maggiore alimentazione negativa del collettore e solo una piccola parte
vanno nella base negativa.
FUNZIONAMENTO DI UN BJT
1. Funzionamento normale o in zona attiva: giunzione base-emettitorpolarizzata direttamente;
giunzione base collettore polarizzata inversamente;
E’ caratterizzata da proprietà lineari e il transistor funziona da amplificatore.
Il collettore si comporta da generatore di corrente comandato dalla Ib, nel senso che una piccola variazione della Ib
genera una grande variazione nella Ic. E’ necessario che sia Vce>Vbe
2. Funzionamento inverso o in zona attiva inversa: giunzione base-emettitore polarizzata
inversamente; giunzione base collettore polarizzata direttamente;
Il transistore non viene mai utilizzato in questo modo, non ha alcuna utilità pratica
3. Funzionamento in zona di saturazione: giunzione base-emettitore polarizzata direttamente;
giunzione base collettore polarizzata direttamente;
La Ib perde il controllo sulla Ie ed è la Vce che controlla la corrente di collettore Ic. (La Vce è
bassa
(0,2V) e il collettoree
l’emettitore equivagono ad un interruttore chiuso).
Per imporre le condizioni di saturazione si usa la relazione: Ib> Icmax/ hfemin
FUNZIONAMENTO DI UN BJT
Possiamo
distinguere
4
modi
di
funzionamento
a seconda
delle polarizzazioni applicate alle giunzioni:
4. Funzionamento in zona di interdizione:
giunzione base-emettitore polarizzata inversamente; giunzione base collettore polarizzata
inversamente;
Se la Vbe non supera la tensione di soglia, la Ic viene annullata e il BJT si comporta come un interruttore aperto. Per
avere l’interdizione del BJT si impone Vbe<0
Il transistor viene fatto funzionare in interdizione e in saturazione quando viene utilizzato come commutatore nelle elaborazioni
dei segnali digitali (vedi Transistor Switching.
Nel transistor in zona attiva si ha Ic=αIE +Icb0
Con Icb0 corrente inversa di saturazione della giunzione base-collettore che, se trascurata, si avrà:
da cui
(Con β= guadagno di corrente statico (convalori compresi tra 40 e 400)
FUNZIONAMENTO DI UN BJT
Spesso al posto di β si usa hfe.
COMPORTAMENTO DEL BJT
Sul comportamento del transistor influiscono tutti i componenti esterni ad esso collegati i quali lo forzano a
lavorare in determinate condizioni e che, soprattutto ne stabiliscono il “punto di lavoro” dal quale dipende
appunto il modo di funzionamento del componente.
Per analizzare il funzionamento del transistor in continua ed in alternata, è necessario applicare una serie di
tensioni continue tra i suoi terminali, cioè, è necessario polarizzarlo adeguatamente in zona attiva. Si passa,
pertanto, allo studio del suo comportamento in continua:
Considerando un NPN occorrerà fornire:
• Una prima tensione tra base e massa (che coincide in questo caso con l’emettitore): Vbe
• Una seconda tensione tra collettore ed emettitore: Vce .
Tra la prima alimentazione Vbe e la base del transistor inseriamo un
resistore per limitare la corrente Ib e proteggere la giunzione baseemettitore.
Lo stesso discorso vale per il collettore.
COMPORTAMENTO DEL BJT
Fornendo alimentazione, pertanto, nascono, attorno al transistor,delle tensioni e delle correnti, che sono quelle
che utilizzeremo per studiarne il comportamento: Vbe, Vce, Vcb, Ib, Ic, Ie.
Tra tutte le relazioni possibili con queste variabili ci interessa soprattutto quella che stabilisce la variazione della
Ic in funzione della Vce, mantenendo costante la Ib (caratteristica d’uscita).
Per determinati valori di Ib, si possono tracciare curve di risposta parallele, il
che rivela che l’amplificazione in corrente si mantiene pressoché lineare. Il
gomito delle varie curve, le ricongiunge tutte nel punto di origine, e
corrisponde alla zona di saturazione, vale a dire quando il collettore si trova
in condizioni di ricevere tutti (o quasi) gli elettroni inviati dall’emettitore.
In questa zona si ha Vce= 0,2V.
Ricordiamo che hfe=Ic/Ib
COMPORTAMENTO DEL BJT
Il transistor come qualsiasi altro componente al quale si applica una tensione e attraverso il quale passa una
certa corrente, consuma o meglio dissipa una certa potenza, data da Vce*Ic.
La corrente che circola nel transistor è anche funzione della resistenza di collettore Rc.
In figura notiamo la retta di carico in funzione di una Rc e ricavata per una determinata tensione di
alimentazione (9V), che risulta tangente alla curva di potenza massima.
E poiché quest’ ultima curva ci delimita la zona di lavoro del transistor, quella sottostante se vogliamo evitare la
sua distruzione, la retta di carico
mi fornisce la resistenza minima di collettore che possiamo montare per
non portare il transistore a lavorare nella zona di sovraccarico.
Volendo impiegare il transistor come amplificatore di segnale, la zona di
saturazione non viene presa
in considerazione perché introduce
distorsioni.
Risulta indispensabile se viene usato come circuito di commutazione.
COMPORTAMENTO DEL BJT
Uno degli inconvenienti che si presentano quando si lavora con i transistor è dato dal fatto che Il transistor
risulta sensibile alle variazioni di temperatura le quali possono spostare il punto di lavoro portando il
transistor a lavorare in zone proibite e spesso alla su distruzione.
Per evitare questo sono stati studiati vari circuiti di compensazione a base di termistori (resistori il cui
valore varia in funzione della temperatura), diodi ed altri componenti.
Quando il transistor è chiamato adoperare con segnali alternati, dobbiamo tenere conto che la zona di
funzionamento non è più un unico punto di lavoro, in quanto questo si sposta attorno al punto di riposo in
base al segnale applicato esternamente.
Pertanto , nel progettare il circuito , dovremo fare in modo che il transistor si trovi a funzionare all’interno
della sua zona sicura anche nelle condizioni più sfavorevoli ed in presenza della tensione istantanea più
critica.
Se ciò avverrà , il segnale di uscita risulterà la copia ingrandita di quello
sarà affetto da un certo tasso di distorsione.
applicato all’ingresso, viceversa
A seconda di come vengono collegati i suoi terminali rispetto a quelli di ingresso e di uscita del circuito
stesso, il transistor viene usato in 3 tipi di configurazioni:
CONFIGURAZIONI DEL BJT
La configurazione ad emettitore comune prevede la base come terminale di ingresso e il collettore come
uscita.
.
La configurazione a collettore comune prevede la base come ingresso e il emettitore come uscita.
La configurazione a base comune prevede l’emettitore come ingresso e il collettore come uscita
Ognuna di queste configurazioni presenta particolari caratteristiche, favorevoli o sfavorevoli a seconda
dell’uso a cui sono destinati e quindi
utilizzeremo quella richiesta dalle necessità specifiche di
progettazione.
CONFIGURAZIONI DEL BJT
Ogni circuito è caratterizzati dai seguenti parametri fondamentali:
1. L’impedenza
d’ingresso
data
dal
rapporto
tra
tensione
e corrented’ingresso Zi;
2. L’impedenza d’uscita data dal rapporto tra tensione e corrente di uscita, Zu;
3. Guadagno in tensione dato dal rapporto tra tensione di uscita e tensione d’ingresso Av= Vo/Vi
4. Guadagno in corrente dato dal rapporto tra tensione di uscita e tensione d’ingresso Ai=Io/Ii
5. Guadagno in potenza
I primi due sono molto importanti al momento di interfacciare i vari stadi di un circuito, in quanto il
trasferimento del segnale da uno stadio all’altro risulta massimo quando la Zu dello stadio precedente
è uguale alla Zi dello stadio successivo.
Più la differenza tra le due impedenze aumenta, più si perde segnale nel trasferimento da uno stadio al
successivo.
CONFIGURAZIONI DEL BJT
Il circuito ad emettitore comune è quello più utilizzato , in quanto presenta alti valori di guadagno in tensione e in
corrente, e il più alto valore diguadagno in potenza.
La differenza tra le impedenze d’ingresso e di uscita non è troppo elevata il che facilita l’interconnessione di più
stadi in cascata, senza ricorrere a reti adattatrici di impedenze, semplificando non di poco il circuito.
Un esempio sono i circuiti di amplificazione in cui
ogni stadio si prende carico di amplificare solo di un certo
tasso il livello del segnale di ingresso fino ad ottenerela potenza d’uscita desiderata.
Configurazione ad emettitore comune. E’ quella che assicura un maggior guadagno.
CONFIGURAZIONI DEL BJT
Configurazíone a base comune. L'amplifícazíone non è notevole.
Presenta una bassa Zi e un’alta Zu. E’ dotato di un alto guadagno in tensione mentre quelllo in corrente è
inferiore all’unità, ne consegue che anche il guadagno in potenzarisulta piuttosto basso.
Viene utilizzato ad alte frequenze dove le capacità parassite interne ad ogni transistor giocano un ruolo
importante.
L’influenza della temperaturaè minima in quanto così montato sopporta alte temperature.
CONFIGURAZIONI DEL BJT
Configurazíone a collettore comune.
L'arnplifícazíone non è notevole.
Possiede un’alta Zi e una bassa Zu, il che lo fa preferire come adattatore di impedenza, passando sotto il nome di
emitter follower.
Tali circuiti si trovano negli stadi finali audio onde permettere l’accoppiamento del resto dell’amplificatore
all’altoparlante la cui impedenzaè notoriamente bassa. (Così facendo l’impedenza d’uscita e d’ingresso
grossomodo si equivalgono).
La configurazione presenta un certo guadagno in corrente mentre quello in tensione è inferiore all’unità, per cui
anche il guadagno in potenza risulta essere piuttosto basso.
CONFIGURAZIONI DEL BJT
Circuito di compensazione in temperatura. La resistenza di
emettitore, rende più stabile il funzionamento del transistor in
presenza di variazioni di temperatura.
Circuito di compensazione di temperatura
autopolarizzato e suo circuito equivalente.
CONFIGURAZIONI DEL BJT
FET/MOSFET
I transistor ad effetto di campo
I transistor ad effetto di campo (field effect transistor) sono chiamati così perché sono comandati in tensione
(invece che in corrente come i BJT). Sviluppati successivamente ai BJT erano inizialmente componenti meno veloci
e affidabili; oggi sono usati moltissimo:
negli integrati digitali, dove l'impiego dei MOSFET permette di ottenere soluzioni economiche ad elevata
integrazione e basso consumo
 negli stadi di ingresso degli operazionali, dove i JFET permettono di ottenere una resistenza di ingresso molto
elevata
 in forma discreta nell'elettronica di potenza, sia come amplificatori che come dispositivi ON-OFF, per il basso
consumo
Le due famiglie principali di transistor FET sono:



i JFET (junction FET) a giunzione
i MOSFET o MOS (metal-oxide-semiconductor FET) a metallo-ossido-semiconduttore, che possono essere di tipo
enhancement e depletion
Come avviene per i BJT anche i FET sono disponibili in due varianti con portatori dicarica di tipo diverso: quelli a
canale N e quelli a canale P.
Di seguito, per semplicità, faremo sempre riferimento ai FET a canale N.
I tre terminali dei transistor ad effetto di campo sono chiamati: source, drain e gate.
corrente scorre in un canale fra i terminali di source e drain e il suo flusso è
tensione applicata al terminale di gate.
Nei FET la
controllato dalla
La figura seguente mostra i simboli dei JFET, dei MOS enhancement e dei MOS depletion nelle due
varianti a canale n e p1).
In tutti i casi vale sempre:
ID=ISID=IS
I JFET
I JFET sono meno usati rispetto ai MOSFET, con cui si realizzano gran parte dei dispositivi digitali, ma hanno delle
caratteristiche che li rendono adatti per le applicazioni analogiche.
Struttura e funzionamento
La figura seguente mostra la struttura di un JFET a canale n.
Il transistor è composto da:
una barra di semiconduttore di tipo n ai cui estremi sono posti gli elettrodi di source e drain
 due zone di tipo p collegate al gate
Fra gate è source è dunque presente una giunzione pn che, nel normale funzionamento del JFET, deve essere
polarizzata inversamente (VGS ≤ 0).

Per comprendere il funzionamento del JFET supponiamo inizialmente che VGS sia zero.
Se applichiamo una tensione VDS tra drain e source circolerà una corrente ID nel canale.
Aumentando la VDS la corrente ID aumenta e il comportamento del JFET è resistivo.
Tuttavia si verifica un altro fenomeno: nel canale si forma una zona di svuotamento (grigia in figura)
dovuta alla polarizzazione inversa della giunzione, più pronunciata dal lato del drain e con un
estensione crescente al crescere di VDS.
La zona di svuotamento restringe il canale attraverso cui circola la ID e oltre una certa soglia di VDS si
verifica lo strozzamento del canale (pinch-off) che impedisce alla corrente di aumentare; il JFET è in
saturazione.
Quando è presente una VGS (negativa) la zona di svuotamento si forma anche con
conseguenza che il JFET offre maggiore resistenza ed entra in saturazione prima.
Caratteristiche
VDS = 0 con la
Osservando la caratteristica di uscita, che mostra la relazione tra la corrente ID e la tensione VDS per
diversi valori di VGS, osserviamo che:





è presente un'intera famiglia di caratteristiche dipendenti dal valore di VGS
la saturazione del JFET, indicata dalla linea tratteggiata, avviene per valori via via minori di VDS
all'aumentare (in modulo) di VGS
a sinistra del tratteggio è presente una zona resistiva dove il JFET si comporta da resistenza
variabile il cui valore dipende dalla tensione VGS (si veda la figura sotto che rappresenta un
ingrandimento della caratteristica nell'origine)
a destra di VP si trova la zona di saturazione a corrente costante dove il valore di ID dipende da VGS
e non da VDS (NB nei BJT la saturazione è tutt'altra cosa!3) )
per valori sufficientemente elevati di VGS lo strozzamento avviene già a VDS = 0 e non può circolare
corrente; il JFET è interdetto
La relazione che permette di calcolare il valore della Vds alla quale avviene lo strozzamento è:
VDSP=VP−VGSVDSP=VP-VGS
Dove VP è la tensione di pinch-off quando VGS vale zero riportata nei data sheet.
A questo punto è possibile osservare la caratteristica di trasferimento (figura sopra), valida per il funzionamento in
saturazione, e osservare che:


il JFET è interdetto se VGS è maggiore o uguale a VGS(off) = Vp
il massimo valore di corrente in condizione di saturazione si ha quando VGS vale zero ed è indicato
con IDSS nelle due caratteristiche5)

in corrispondenza di VGS = 0 e IDSS si ha la piena conduzione; in queste condizioni, se si opera nella
zona resistiva, l'inverso della pendenza della caratteristica di uscita rappresenta la resistenza
rDS(on) esibita dal JFET nello stato ON quando è usato in commutazione

Funzionamento in commutazione
Nell'impiego da amplificatori i JFET lavorano nella zona di saturazione, dove il comportamento è
lineare; in quello in commutazione invece si lavora nella zona resistiva e in interdizione.
Il circuito in figura impone una retta di carico che dipende dall'alimentazione VDD e dalla
resistenza RD collegate al drain. Il JFET lavorerà:
in interdizione se VGS è negativa e maggiore di VGS(off)
 in piena conduzione (nella zona resistiva) se VGS è uguale a zero
I due puntidi funzionamento si individuano incrociando la retta di carico con le caratteristiche di
uscita del JFET corrispondenti ai due valori di VGS.

Funzionamento da amplificatore
I JFET possono essere impiegati anche come amplificatori. Come per i BJT occorre polarizzare
correttamente il transistor, applicare un segnale e studiare la risposta dell'amplificatore con un
circuito equivalente ai piccoli segnali.
La figura sopra mostra il circuito di polarizzazione più semplice possibile dove:
la resistenza RS tra source è massa è percorsa dalla corrente ID
 la resistenza RG collega a massa il gate ma non è percorsa da corrente
 la tensione VGS coincide in modulo con la caduta su RS
Studiando il circuito e conoscendo la relazione tra ID, RS e VGS è possibile imporre il punto di
funzionamento a riposo.

La figura seguente mostra il circuito equivalente ai piccoli segnali del JFET (si tratta di un circuito
in centro banda a source comune simile a quello a emettitore comune dei BJT).
Osserviamo che:



il gate è isolato
il parametro principale è la transconduttanza

il parametro rd è una resistenza differenziale che, in prima approssimazione, può essere
considerata infinita (generatore di corrente ideale)
I MOSFET
I MOS sono i transistor più utilizzati nell'elettronica digitale perché permettono di realizzare
integrati economici e a basso consumo. Sono impiegati anche nell'elettronica di potenza.
Per semplicità ci soffermeremo solo sui MOS ad arricchimento (enhancement), più semplici da
capire e utilizzati nella tecnologia CMOS con cui si realizzano gli integrati digitali.
Struttura e funzionamento
La figura seguente mostra la struttura
brevemente chiamato NMOS
di un MOSFET enhancement a
canale n, più
Il transistor è composto da:



un substrato di tipo p collegato al source
due zone di tipo n collegate ai terminali di source e drain
uno strato di ossido di silicio (grigio scuro nel disegno) che isola il gate
In questo tipo di FET il gate è isolato e gli strati di materiali - metallo del terminale di gate, ossido
e semiconduttore - danno il nome al componente.
Per comprendere il funzionamento del MOS supponiamo inizialmente che VGS valga zero.
Applicando una tensione tra drain e source le due giunzioni substrato-source e substrato- drain
non conducono e la ID è nulla (il substrato è collegato al source). Se ora applichiamo una tensione
VGS positiva al gate il MOS si comporterà come un condensatore richiamando elettroni dalle tre
zone e creando, oltre una soglia indicata con VGS(th), un canale di tipo n tra drain e source (grigio
chiaro nel disegno).
A questo punto, applicando una tensione VDS potrà circolare una corrente ID tra drain e source.
Come per il JFET, per bassi valori di VDS il canale avrà un comportamento resistivo; per valori più
elevati si avrà uno strozzamento dovuto al potenziale via via maggiore del terminale di drain che
non permette alla corrente di aumentare. Aumentando il valore di VGS si ha un allargamento del
canale e lo strozzamento avviene per valori di VDS più elevati.
Caratteristiche
In figura è rappresentata la caratteristica di uscita di un NMOS. La famiglia di curve che
esprimono il legame tra ID e VDS è analoga a quella dei JFET ma la VGS è positiva e corrente e
pendenza crescono al crescere di VGS. Anche in questo caso abbiamo una zona resistiva, a sinistra
del tratteggio, e una di saturazione (attiva) a destra.
La figura sopra rappresenta la caratteristica di trasferimento, questa volta posta nel primo
quadrante, dove compaiono:


la tensione di soglia VGS(th) (indicata anche come VT) oltre la quale il MOS passa
dall'interdizione alla conduzione
la corrente IDSS, di valore trascurabile, che circola quando VGS vale zero
Nei
data
sheet
conduzione
è indicata
anche una ID(on)
circola
in corrispondenza di un determinato valore di VGS.
in
Diversamente dai JFET il transistor NMOS funziona con valori di VGS positivi; il circuito di
polarizzazione sarà allora il seguente:
 Questo
piena
Nel funzionamento in commutazione si avrà:


NMOS interdetto se VGS < VT
NMOS in piena conduzione per valori sufficientemente alti di VGS
Il circuito per il funzionamento ON-OFF dell'NMOS è analogo a quello del JFET e per entrambi il
comportamento del transistor può essere assimilato a quello di un interruttore con in serie una
resistenza rDS(on) ricavabile dai data sheet
IL PLC
l'hardware del pc
linguaggi di programmazione
multisim
PLC = Controllore Logico Programmabile
Dispositivo elettronico nato per l’automazione delle linee di assemblaggio
Rappresenta l’unità di governo ed elabora
a) i comandi inviati dall’operatore
b) le informazioni ricevute dai sensori
Comanda le unità di potenza mediante opportune interfacce
SCHEMA A BLOCCHI DI UN AUTOMATISMO
(click per creare)
Comando
Trasmissione
di potenza
P.L.C.
Sensori
Attuatore
Sistema
di lavoro
Il PLC è dunque il cervello di un sistema di automazione Stabilisce ed effettua le
azioni sulla base delle informazioni che gli vengono fornite dai sensori:
O Legge lo stato (ON-OFF) pulsanti, sensori, contatti di relè …
O Legge i valori (misura numerica) di trasduttori di temperatura, di pressione, di
corrente …
O Sulla base del programma utente contenuto nella sua memoria decide come
comandare gli attuatori
Confronto logica cablata e logica programmata
•Spazi
•Tempi di esecuzione
•Affidabilità
•Consumi
•Velocità
•Costi
minor ingombro
minore
maggiore
minori
minore (per l’elaborazione dei dati)
minori (per usi non semplici)
Hardware del P.L.C.
(Click per creare)
Unità centrale
ROM
Sistema
operativ
o
C.P.U.
Memoria programma utente
Unità di programmazione:
Consolle o PC
Blocchi
funzionali
UNITA CENTRALE
L’unità comprende:
• CPU
• Memoria ROM
• Memoria programma utente
• Blocchi funzionali
BLOCCHI FUNZIONALI
L’insieme dei circuiti integrati IC che permette l’utilizzo di funzioni
quali:
• Memorizzazione
• Temporizzazione
• Conteggi
• Collegamenti serie e parallelo
• Operazioni matematiche
• Immagazzinamento dati numerici
SEZIONE INGRESSI
Pulsanti
Selettori
Finecorsa
Fotocellule
Trasduttori
Circuito
adattatore
Morsettiera
Memoria
segnali
CPU
SEZIONE INGRESSI
Gli ingressi possono essere:
Fronte di
salita
Fronte di
discesa
1
Digitali ed assumere solo due stati logici detti 0 – 1 o
On – Off.
0
Analogici ed assumere qualsiasi valore compreso
tra due estremi (range) definiti
Durata
segnale
t
t
SEZIONE INGRESSI
Gli ingressi vengono collegati con
opportuni
morsetti
di
collegamento
debitamente
numerati e il loro stato viene
monitorato
con
led
che
risultano accesi per livello di
ingresso 1 e spenti per livello di
ingresso 0
Ingressi
SEZIONE USCITE
CPU
Memoria
segnali
Contattori
Relè
Elettrovalvole
Circuiti elettrici
Display
Regolatori
Circuito
adattatore
Morsettiera
SEZIONE USCITE
Le uscite vengono collegate con opportuni
morsetti di collegamento debitamente
numerate e il loro stato viene monitorato
con led che risultano accesi per livello di
uscita 1 (on) e spenti per livello di uscita
0 (off)
Uscite
CARATTERISTICHE FONDAMENTALI
Tempo
O
O
O
O
O
O
O
O
O
O
O
O
O
O
di esecuzione delle istruzioni (o tempo di ciclo)
Dimensione Aree di Memoria
Numero I/O massimo
Numero variabili di tipo BIT
Numero di variabili di tipo BYTE, WORD, DWORD, REAL
Numero di contatori
Numero di temporizzatori
Esistenza ingressi/uscite veloci (conteggio, encoder …)
Numero di canali di comunicazione
Bus seriali (rs232, rs485, rs422 …)
Bus di campo (CanOpen, Interbus, Profibus …)
Reti (Ethernet …)
Esistenza moduli speciali (posizionamento assi, regolazione PID …)
Linguaggi di programmazione disponibili (meglio sei IEC 61131-3) e complessità istruzioni
Interrupt
O.S. Multi-tasking
.it
Funzionamento: Logica PNP e NPN
• I nomi di logica PNP e NPN provengono dai due tipi principali di transistor usati in elettronica:
PNP: Logica Positiva
• Logica PNP negli ingressi:
Ingresso attivo (livello logico 1) applicando la tensione di alimentazione (24VDC).
Ingresso non attivo (livello logico O) se non si collega l'ingresso oppure viene collegato allo
OVDC.(zero V alimentazione)
• Logica PNP nelle uscite:
Uscita attiva (livello logico 1) quando fornisce la tensione di alimentazione (24VDC).
Uscita non attiva (livello logico O) quando fornisce lo zero volts della tensione di
alimentazione (OVDC).
NPN: Logica Negativa
• Logica NPN negli ingressi:
Ingresso attivo (livello logico 1) applicando lo zero volts della tensione di alimentazione
(OVDC).
Ingresso non attivo (livello logico O) se non si collega l'ingresso oppure viene collegato al
positivo dell'alimentazione (24VDC).
• Logica NPN nelle uscite:
Uscita attiva (livello logico 1) quando fo1nisce lo zero volts della tensione di alimentazione
(OVDC).
Uscita non attiva (livello logico O) quando fornisce la tensione di alimentazione (24VDC).
Ingressi con Logica Positiva
• La logica Positiva è la più usata negli ingressi per un semplice motivo: Una deviazione
involontaria di un ingresso a massa (OVDC) può provocare un cortocircuitoe di conseguenza
la fermata della macchina ma la macchina non eseguirà nessun movimento involontario.
• Invece una deviazione involontaria di un ingresso a massa (OVDC) in una logica Negativa
potrebbe provocare un movimento involontario della macchina.
Da notare
In un cablaggio con logica Positiva agli ingressi il comune dei Sensori va collegato al Positivo.
In un cablaggio con logica Positiva alle uscite il comune degli Attuatori va collegato al Negativo.
•il contrario succede in un cablaggio con logica Negativa.
LINGUAGGI DI PROGRAMMAZIONE
Per fornire le istruzioni al PLC si deve utilizzare un opportuno linguaggio di
programmazione. I linguaggi possono essere grafici o letterali.
LINGUAGGI GRAFICI
Ladder: è il maggiormente usato in quanto permette una facile conversione dalla
cablata.
logica
Grafcet: scompone tutti gli automatismi in una successione di fasi alle quali associare
azioni e transizioni
Fup: utilizza blocchi logici funzionali a cui vengono inviati i segnali da elaborare.
l
AWL, KOP, FUP
• Le sigle AWL, KOP e FUP vengono dal tedesco:
- AWL AnWeisungsListe: Lista di Istruzioni
- KOP KOntaktPlan: Squema a contatti
- FUP FUnktionsPlan: Squema a Funzioni (Blocchi funzionali)
Estratti di programmi
AWL
CONTATTI
FUP
SEMPLICE COMANDO:
UN PULSANTE N.O. ACCENDE E SPEGNE UNA LAMPADA.
SEMPLICE COMANDO:
UN PULSANTE N.C. SPEGNE E ACCENDE UNA LAMPADA.
COMANDO BISTABILE:
Un pulsante N.O. accende una lampada che rimane accesa anche dopo il rilascio (Set).
Un’altro pulsante N.O. spegne la lampada (Reset).
Spegni
Accendi
COMANDO DA DUE PUNTI (OR)
P1
P2
PROGRAMMAZIONE CON MULTISIM
Imput contatti azionati dagli
ingressi 100 1
100” modulo ingresso
1 numero dell’ingresso
Relay contact azionati da relay
coil (stesso M)
Se La bobina interna al PLC viene
eccitata,
il corrispondente
contatto
(M) cambierà il suo
stato
• Set_Coil E una bobina relè latch per i
diagrammi a relè che richiede una bobina di
reset per funzionare); Immettere il valore
desiderato nel campo Coil Reference
• Reset_Coil
Questo dispositivo è una
bobina relè di sgancio per diagrammi a relè,
usato per azzerare i temporizzatori, contatori
e impostare bobine. Per impostare i
parametri per questa bobina
Inserire il
valore in Target Device Reference
Pulsed Relay Coil
è una bobina di relè , che produce un impulso
positivo di
durata definibile dall'utente Per
impostare i parametri per questa bobina 2.
Inserire i valori desiderati nei campi
Coil
Reference and Pulse Duration
CORRISPONDENZA CON LE PORTE LOGICHE OR
AND
Aneg contatto normalmente chiuso
A
contatto aperto
Q= (A OR B) AND (C OR D)
RISULTATO VERO SOLO QUANDO SOLO UNA DELLE DUE VARIABILI È VERA Q =A XOR B
Aneg contatto normalmente chiuso
A contatto aperto
OUT = A*(A*(BNEG+C*D)*CNEG)
Y = ANEG+ B + CD + EB Per creare il
grafico, a ciascun ramo o ciascuna porzione
di un gradino viene sostituito la lettera gli
ingressi booleani che corrispondenti
APERTURA /CHIUSURA CANCELLO
FTA = 1 cancello in apertura
FTC = 1 cancello in chiusura
SCORRIMENTO IMPULSO (TOFF TON)
SEMAFORO: APPLICAZIONE CON 3 TON: T1, T2,T3
S1 comanda T1, T1 comanda T2, T2 Comanda T3
ACCENSIONE TEMPORIZZATA DI UN RISCALDATORE
SEMAFORO FORMULA UNO
I semafori «5» collegati alle uscite sono comandati da impulsi di durata decrescente.
l’impulso di innesco 100.1 accende il primo semaforo poi seguono i successivi, intervallati
di ΔT=1 secondo.
QUARTA
INDICE
• DIODI
• applicazioni
• bjt
• JFET/MOSFET
DIODI
DIODO RADDRIZZATORE
• Il diodo raddrizzatore a giunzione (o semplicemente diodo) è un
componente elettronico a due terminali (bipolo), la cui funzione è quella di
permettere il flusso di corrente elettrica in un verso e di bloccarla
nell'altro. Il simbolo circuitale del diodo esprime chiaramente questa
funzione: il triangolo indica la freccia di direzione in cui il flusso di
corrente è possibile. I due terminali del diodo vengono detti anodo
(A) e catodo (K).
• La figura qui sotto mette a confronto il simbolo circuitale del diodo con
l'aspetto tipico di un diodo reale. Si noti che il catodo viene di solito
marcato sul componente per mezzo di una fascia di differente colore:
Si osservi attentamente quanto segue:
v2 = 0 V
v1 = E = 9 V i2 = 0 A
i1 = E/R1 = 9/300 = 30 mA i3 = i1 = 30 mA


i1=i2= E / (R1+R2) = 9/900 = 10 mA
v1 = i1 * R1 = 10 mA * 300 Ω = 3 V
v2 = vd = i2 * R2 = 600 Ω * 10 mA = 6 V
in polarizzazione diretta è nota la tensione ai
capi del diodo (vale zero), mentre la corrente nel
diodo dipende dal circuito in cui il diodo è inserito;
in polarizzazione inversa è nota la corrente nel
diodo (vale zero), mentre la tensione ai capi del
diodo dipende dal circuito in cui il diodo è inserito.
TENSIONE DI SOGLIA
Affinche il diodo conduca
soglia.
occorre che la tensione applicata superi un valore non nullo, detto tensione di
Il valore della tensione di soglia è diverso a
seconda
del
materiale
a semiconduttore con cui è
stato realizzato il diodo. Per i diodi al silicio il valore è tipicamente compreso fra 0,6 e 0,8 V. I diodi al
germanio hanno invece una tensione di soglia più bassa, intorno agli 0,2-0,4 V.
Quando E supera la tensione di soglia, il diodo entra in zona di polarizzazione diretta e comincia a
condurre corrente, in questa zona la tensione rimane pressoché costante e sempre uguale alla tensione di
soglia Vs
Possiamo sostituire il diodo con un generatore di tensione equivalente di valore pari alla tensione di
soglia sul diodo. Supponendo Vs = 0,7 V per il nostro diodo, abbiamo:
V2 = Vs = 0,7 V
i2 = V2/R2 = 0,7 V/ 600 Ω = 1,16 mA
i1 = v1/R1 = 8,3/300 = 27,6 mA
v1 = E - V2 = 9 - 0,7 = 8,3 V
MISURA DELLA CARATTERISTICA INGRESSO- USCITA DEL
(TRANSCARATTERISTICA)
resistenza di protezione Rp fra
il
diodo e il generatore.
Tale resistenza ha il compito di
assorbire
la tensione in eccesso,
limitando
l’assorbimento di corrente
del diodo
DIODO
In corrispondenza di una certa V la corrente
inversa nel diodo aumenta molto rapidamente;
tale valore
limite viene
detto tensione di
breakdown o di rottura, in quanto
porta
generalmente
alla distruzione del componente
(intorno a – 100 V)
Si evidenzia il comportamento non lineare del diodo
RADDRIZZATORE A SINGOLA SEMIONDA
Durante la semionda positiva di Vin, il diodo
conduce
(è
in
polarizzazione diretta). Ipotizzando per semplicità che il diodo si
comporti idealmente come un cortocircuito
in
polarizzazione
diretta, durante la semionda positiva la tensione su R identica dunque
alla tensione Vin.
Viceversa, durante la semionda negativa di Vin, il
diodo è in polarizzazione inversa e si comporta
perciò come un tasto aperto. Di conseguenza
nel circuito non passa corrente e la tensione su R
è zero.
Il diodo reale inizia a condurre solo quando l'onda sinusoidale di ingresso supera la sua
tensione di soglia:
RADDRIZZATORE DOPPIA SEMIONDA
raddrizzatore a doppia semionda in quanto
trasforma un'onda alternata in un'onda sempre
positiva, "capovolgendo" la semionda negativa. Si
noti che, mentre l'onda di ingresso ha valor
medio nullo, l'onda di uscita ha un valore
medio positivo. Tale valore medio si può
dimostrare essere uguale a
RADDRIZZATORE A SINGOLA SEMIONDA CON FILTRO CAPACITIVO
il condensatore inizialmente scarico si carica durante la semionda
positiva , la tensione ai suoi capi raggiunge il valore massimo;
durante la semionda negativa il condensatore si scarica sulla
resistenza
In pratica il diodo si trova a essere polarizzato con una tensione
sul catodo maggiore di quella presente sull'anodo: entra dunque in
polarizzazione inversa e questo impedisce alla corrente di ritornare
verso il generatore
L'effetto finale è quello di produrre una tensione che, pur non essendo ancora "continua",
ha oscillazioni molto minori dell'onda
raddrizzata
di
partenza.
In generale
le
ondulazione
residue (dette ripple) sono tanto minori quanto maggiore è il valore della
costante di tempo τ = RC del gruppo RC.
RADDRIZZATORE
A
DOPPIA
SEMIONDA CON FILTRO CAPACITIVO
Un
livellamento
ancora
maggiore dell'onda raddrizzata si ottiene usando il condensatore
raddrizzatore a doppia semionda a ponte di diodi:
in
un
IL DIODO LED
IL LED = light-emitting diode, diodo a emissione di luce) è un tipo di diodo che,
se polarizzato direttamente e percorso da una corrente sufficiente, emette luce di colori
diversi in base a un fenomeno fisico detto elettroluminescenza.
Il simbolo elettrico del LED è il seguente:
In genere l'anodo (il terminale positivo) è quello più lungo, mentre il catodo, più breve,
è segnalato anche da un intaglio nella
capsula
del
componente
Osservando
l'interno del led l’anodo appare a forma di lancia il catodo a forma
di bandiera; Il valore della tensione di soglia dipende dal colore della luce emessa del led
POLARIZZAZIONE DEL LED E RESISTENZA DI PROTEZIONE
Il LED si illumina se viene polarizzato direttamente e se viene percorso da una corrente di intensità
sufficiente. Abbiamo visto come la tensione di soglia varia da un
LED
all'altro
in
funzione
principalmente del colore della luce emessa. Non è però possibile in pratica far funzionare un
LED collegandolo direttamente
con un generatore di tensione pari allla sua tensione di soglia.
Questo perché piccole variazioni nella tensione applicata al LED potrebbero facilmente provocare
la sua distruzione, in quanto la corrente nel diodo aumenta molto rapidamente appena superata la
tensione di soglia.
Bisogna
usare
serie al LED
una
resistenza
di protezione collegata in
POLARIZZAZIONE
DIRETTA E INVERSA E TENSIONE DI ZENER
Il diodo zener è un particolare tipo di diodo utilizzato come stabilizzatore di
tensione. Il suo simbolo elettrico e il suo tipico aspetto sono mostrati in figura.
Quando viene polarizzato direttamente lo zener si comporta come un diodo normale, cioè inizia a
condurre corrente quando viene superata la sua tensione di soglia (tipicamente 0.3-0.7 V a seconda del
diodo).
In polarizzazione inversa lo zener non conduce fino a quando non si raggiunge la tensione di Zener che
nei diodi normali corrisponde alla tensione di breakdown
A differenza però di quanto accade
con gli altri diodi, il diodo zener non si
danneggia quando raggiunge la tensione di breakdown.
Anzi, gli zener sono progettati apposta per lavorare in polarizzazione inversa
tensione di VBK o di VZ
alla
Il valore della tensione di zener varia da un diodo all'altro ed è specificata in modo
estremamente
preciso.
STUDIO DEL CIRCUITO SENZA CARICO
Studiamo il
circuito che segue supponendo che: lo zener
abbia
una tensione
di
zener
di 3.0 V e che
la tensione Vin possa variare da un minimo di 4 V a un massimo di 5V
(la condizione importante è che Vin non scenda mai al di sotto della tensione di zener, altrimenti il
diodo zener non potrebbe funzionare
Se il diodo zener è correttamente polarizzato, la tensione ai suoi capi si
mantiene costante (nel nostro caso a 3.0 V) nonostante le variazioni della
tensione di alimentazione Vin.
Per il corretto funzionamento dello zener è inoltre importante che la corrente che attraversa
il
diodo
superi un valore minimo, ricavabile dai dati tecnici del componente. Supponiamo che nel nostro caso
tale valore sia Izmin = 5 mA
Tale valore
della Izmin
è
importante
perché
ci permette di fissare u il valore della R che consenta
il passaggio
Bisogna tener conto anche di un'altra condizione importante, ovvero il massimo valore della
corrente che può attraversare lo zener senza che questo si danneggi (per eccessivo riscaldamento).
occorre scegliere per R un
valore 40 Ohm < R < 200 Ohm
STUDIO DEL CIRCUITO CON CARICO
In
questo caso
occorre sapere qual è
il valore massimo della
corrente assorbita dal carico. Se per esempio si tratta di un carico di tipo
resistivo, tale valore può essere
calcolato
semplicemente
conoscendo
la
resistenza
Rcarico
nel seguente modo:
Icarico =
Vz/Rcarico
In presenza di un carico, la corrente che attraversa lo zener è
Iz = Itot – Icarico; questo
fatto provoca una riduzione della corrente che passa nel diodo che potrebbe pregiudicare il
funzionamento dello zener in
quanto
la
corrente
nello
zener potrebbe non essere più
sufficiente.
Supponendo che il carico
assorba
una
corrente
massima Icarico = 1 mA. E di essere nella
situazione peggiore (che si verifica quando la tensione Vin raggiunge il suo valore minimo)si ha
Che è maggiore
della
minima corrente necessaria per far funzionare lo zener (5 mA) e dunque
l'inserimento del
carico
non
pregiudica il funzionamento del zener: in caso contrario si deve
ridurre la resistenza
APPLICAZIONI
• Clipper: LIMITATORI
• Clamper FISSATORI
• ALIMENTATORI
• MODULATORI
• RIVELATORI
CLIPPER: LIMITATORI
●V’ – VB - V = 0  V’ = VB + V
If Vi > V’

diode on
Vo = V’
If Vi < V’, 
diode off,
Vo = Vi
CLAMPERS: FISSATORE
Clampers

STEP 1: diodo polarizzato direttamente


VC + V B – VS = 0  VC = V M – VB
STEP 2: diodo polarizzato inversamente

VO – VS + VC = 0  VO = VS – VC.
BJT
TRANSISTOR BJT NPN E PNP
Iltransistor
a giunzione bipolare è un componente a tre morsetti denominati con base
(B),
collettore (C) ed emettitore (E) . Ci sono due tipi di BJT: il BJT npn e il BJT pnp. Essi differiscono per il
simbolo elettrico e per il versi dei parametri elettrici
Per trovare l’mettitore conviene fare riferimento ai fogli tecnici del
componente
(datasheet)
oppure usare un multimetro. La figura
seguente mostra
l'uso
di
un
multimetro
in configurazione
ohm-metro
per determinare qual è il collettore e qual è l'emettitore
di un BJT npn:
La
misura
si
basa
sul principio che ha la resistenza misurata fra il collettore e la base e fra
l’emettitore e base in un NPN e molto
elevata; Viceversa la resitenza misurata con i terminali al contrario e
molto bassa
LE TRE ZONE DI FUNZIONAMENTO DI UN BJT
Il BJT può lavorare in tre zone
di funzionamento
principali (regions of operation), dette
rispettivamente:
 zona di interdizione (cutoff region)
 zona attiva
(o
lineare
o amplificazione, forward active region)
 zona di saturazione (saturation region)
Nel
seguito
esamineremo dettagliatamente il comportamento del BJT nelle tre zone e i metodi
di calcolo da usare per determinare in quale zona sta funzionando il BJT.
In zona di interdizione non BJT non conduce correnti
n zona attiva il BJT si comporta come un amplificatore di corrente: la corrente di collettore Ic è legata
alla corrente di base Ib e aumenta al crescere di quest'ultima;
In zona di saturazione i lBJT si comporta come
un
conduttore
quasi ideale (un filo) collegato fra collettore ed emettitore: in queste condizioni la tensione Vce è molto
bassa (idealmente zero) e non vale più la relazione di proporzionalità fra Ib e Ic.
BJT IN ZONA DI INTERDIZIONE
Consideriamo
un
BJT
npn.
Il comportamento fra base ed emettitore è
perfettamente assimilabile a quello di un normale
diodo.
In
effetti
il
BJT
è
internamente realizzato come un diodo fra base ed emettitore (nel caso del BJT pnp
il
collegamento del "diodo" è l'opposto):
Se la giunzione BE viene polarizzata inversamente
con
una
tensione
Vbe
negativa o minore della tensione di soglia (circa 0,6-0,7 V), non c'è passaggio di
corrente Si noti che la zona di interdizione dipende solo dalla tensione Vbe: è
questa che comanda l'accensione o lo spegnimento dell'intero transistor.
La base del transistor e polarizzata inversamente dalla batteria E di conseguenza il BJT si trova
in interdizione (IB, Ic, Ie = 0)
BJT IN ZONA ATTIVA OPPURE IN ZONA DI SATURAZIONE
Si consideri il circuito in figura in cui la
resistenza RB serve per la protezione del BJT, la Ib è uguale alla
Ie mentre la Ic =O non essendoci alcun carico
:
Si dice che il BJT è polarizzato in zona attiva (o in zona lineare o forward active region)
verificano due condizioni:



la giunzione fra base ed emettitore è polarizzata
direttamente
la tensione fra collettore ed emettitore è maggiore di circa 0,3 V.
con
quando
si
una tensione di circa 0,6-0,7 V;
se la. tensione fra collettore ed emettitore scende al di sotto di circa 0,3-0,4 V, il BJT non lavora più in zona
attiva, ma passa in zona di saturazione
CORRENTI IN ZONA ATTIVA E BETA DEL TRANSISTOR
IN ZONA ATTIVA ABBIAMO IN GENERALE CHE

La IB è moltto minore di Ic e Ie

la corrente di collettore Ic è direttamente proporzionale
alla
corrente
di
base secondo la formula:
Ic = ß Ib
IL BJT in zona attiva ai comporta in sostanza come un ampli calore di corrente
dove ß è un parametro fondamentale del BJT detto guadagno di corrente in continua
current
gain
o semplicemente "beta" - spesso indicato anche come hfe sui manuali tecnici);

(DC
la corrente di emettore Ie è uguale alla somma delle altre due correnti (in base alla legge di
Kirchhoff alle correnti):
Ie = Ib + Ic
Dal momento che Ib è molto più piccola
trascurarla e scrivere Ie ~ Ic
delle
altre
correnti
(in
zona attiva), possiamo in generale
VARIABILITÀ DEL PARAMETRO BETA
Il parametro ß (o hfe come viene spesso
indicato)
è estremamente variabile. Si osservi la seguente tabella di
valori del foglio tecnico di un BJT 2N222" della Fairchild:
come si può notare il ß dipende dai valori di tensione e
soprattutto di corrente nel BJT e non è affatto costante
Infine il valore di ß è influenzato anche dalla temperatura di
funzionamento del BJT.
1 Circuito BJT e lampadina: zona di interdizione


Rb è una resistenza da 1500 Ohm
V è un voltmetro
. lampadina da 12 V, 6 W di potenza e 24 Ohm di resistenza
Con E = 0 anche la corrente Ic è zero (essendo Ic = ß Ib) e pure Ie vale zero (infatti Ie = Ic + Ib).
Nel collettore non passa corrente e sulla lampadina si viene ad avere una tensione di 12 V
2 CIRCUITO BJT E LAMPADINA: ZONA ATTIVA
Aumentiamo ora la tensione E portandola per esempio a 4 V. In questo modo la giunzione base ed
emettitore
risulta polarizzata direttamente e si comporta praticamente come un diodo. Pertanto la
corrente di base Ib può essere calcolata con
Ic = 100 x 2,27m = 227 mA
Ie = Ib + Ic = 229,27 mA
La tensione sulla lampadina sarà data dal prodotto fra la Req (24 ohm) e la corrente che la
attraversa:
Vlamp = 24 x 227m = 5,45 V
Come si vede la tensione è circa la metà della tensione nominale di funzionamento della
lampadina
(12
V)
e
dunque
la lampadina
si
illuminerà
ma
solo
parzialmente.
Possiamo ricavare la tensione Vce fra collettore ed emettitore nel
alle tensioni: Vce = Vcc - Vlamp = 12 - 5,45 = 6,55 V
BJT
in base alla legge di Kirchhoff
3 CIRCUITO BJT E LAMPADINA: ZONA SATURAZIONE
Aumentiamo ulteriormente la tensione della batteria E. La corrente in base Ib aumenterà di conseguenza,
in base alla formula:
All'aumentare di Ic aumenta anche la tensione sulla
lampadina
e, conseguentemente,
si riduce la tensione
Vce fra collettore ed emettitore. La corrente Ic massima si
avrà quando la tensione Vce si annulla.
Quando Vce si annulla (in realtà quando scende sotto circa
0,4 V), ogni ulteriore aumento della corrente di base non fa
più aumentare la corrente di collettore. Il BJT entra
nella
cosiddetta zona di saturazione.
Calcolando la Ic = ß Ib = 100 x 6,27mA = 627 si nota che questo valore di corrente
è
impossibile
perché produrrebbe sulla lampadina una caduta di tensione pari a: Vlamp = 24 x 627m = 15 V che implica
una Vce negativa.
Ne consegue che in saturazione all’aumentare della IB la IC rimane massima e invariabile
4 REGOLAZIONE CON TRIMMER
Lampadina resistenza
equivalente
di
24
Ohm. BJT con il solito valore ß = 100.
Rp è un resistore variabile da 0 a 150 ohm
Caso a: resistenza variabile regolata sul valore minimo
BJT in interdizione: lampadina spenta
Caso b: resistenza variabile regolata sul valore massimo
Ic = ß Ib = 100 x 5,2 m = 520 mA
In base al valore precedente, la tensione ai capi della lampadina è:
Vlamp = 24 x 520m = 12,48 V
La tensione sulla lampadina risulta superiore alla tensione di alimentazione.
saturazione.
Questo
significa
il BJT è in
CASO C: RESISTENZA VARIABILE REGOLATA SU UN VALORE INTERMEDIO
In questo caso i valori di IB e IC dipenderanno dal valore di Rp. Se per esempio Rp viene regolato sulla
metà (75 Ohm), la lampadina si illuminerà con una tensione circa uguale alla metà del valore massimo. In
altre parole maggiore è il valore di Rp, maggiore è la tensione sulla lampadina (in modo proporzionale)
e maggiore è dunque la luminosità della lampadina stessa.
Caso d : BJT usato come interruttore (switch)


collegamento a +5V attraverso la resistenza Rpu detta resistenza di pullup: valori tipicamente usati da 1kOhm a 10kOhm) e dunque l'uscita è bassa:
il LED è spento;
R resistenza di protezione
il LED non si accende quando l'interruttore di ingresso è chiuso. La ragione sta nella corrente
erogata dalla porta NOT in uscita. Infatti, secondo le specifiche fornite dai fogli tecnici, le porte logiche
TTL standard sono in grado di fornire in uscita una corrente massima pari a 0,4 mA che non è in
grado di accendere il Led
Bisogna progettare il circuito in modo che il BJT vada in saturazione quando
l'uscita della porta logica è a livello alto.
Supponendo
in saturazione Vce circa uguale a 0 V, il valore di R sara
IL valore
della
corrente
di
base
Ib necessaria per mandare in saturazione il BJT con Ic = 20 mA.
Supponendo come al solito ß=100 abbiamo: Ib > Ic/ß = 0,2 mA
Dato che l'uscita del NOT a livello alto è 5 V, la resistenza di base Rb è data da:
In pratica conviene usare un valore un po' più piccolo di Rb (esempio 18 kOhm) in mododa garantire una
corrente sufficiente per la saturazione del BJT.
Caso e : BJT con segnale di regolazione ad onda quadra in ingresso
Vcc=12V,
L1 con resistenza equivalente di 24 Ohm e ß = 100.
Supponiamo che l'onda quadra di ingresso abbia livelli 0V e 5V. Per fare in
modo che il BJT saturi quando Vin = 5V, basta
imporre la condizione saturazione
Vce ≈ 0 da cui VL1 = 12 V ; IC = 12/24 = 0,5 A
La corrispondente corrente limite di base sarà IB = IC/ß = 0,5/100 = 5 mA. Per far
sufficiente imporre una corrente IB di valore superiore a quello calcolato
saturare il BJT è
AMPLIFICATORI A BJT
COSA SONO GLI AMPLIFICATORI
Un sistema amplificatore ha in generale la funzione di amplificare i segnali di modesta ampiezza
(provenienti ad esempio da sorgenti quali un microfono o una antenna) per renderli adatti a pilotare
dispositivi che richiedono una potenza maggiore per il loro funzionamento.
L'elemento base degli amplificatori è il transistor.
Gli amplificatori si dividono in due categorie: amplificatori per piccoli segnali e amplificatori di
potenza.
Amplificatori per piccoli segnali
Hanno in ingresso segnali molto piccoli, dell'ordine delle centinaia di mV.
Generalmente il segnale amplificato non supera mai i 12V e i 100mA.
Il segnale amplificato non deve essere distorto ⇒ transistor in zona lineare.
Esempio di piccolo segnale: segnale da una antenna, circa 1-2mV.
Amplificatori di potenza
Hanno il compito di fornire al carico la potenza richiesta e il segnale viene amplificato sia in
tensione che
in
corrente.
Si considerano
di
potenzagli amplificatori in grado di erogare al carico potenze superiori
al centinaio di mW.
POLARIZZAZIONE IN ZONA LINEARE
Perché sia polarizzato in zona lineare, per il BJT devono verificarsi due condizioni:
La prima condizione è necessaria per garantire il funzionamento in zona lineare (quella centrale
alle caratteristiche di collettore, IC-VCE) mentre la seconda serve a mantenere il transistor lontano
sia dalla saturazione sia dall'interdizione, in modo da non avere distorsioni.
STABILITA DEL PUNTO DI LAVORO: RETE DI POLARIZZAZIONE A PARTITORE
Il transistor, a causa di inevitabili di/etti dei processi costruttivi, presenta una dispersione dei
parametri: tipica è la variazione dell'hFE fra transistor dello stesso tipo.
Ad esempio, per un comune transistor 2N2222, il costruttore fornisce il valore minimo
(100) e il valore massimo (300) dell'hFE. Se si assume per definire il punto di lavoro il valore
medio (200) e una corrente IC=20mA, la IB risulta pari a 0.1mA. Ma se il transistor che si usa ha
un hFE differente, ad esempio 100, la corrente IB risulta diversa, cioè 0.2mA (ben 2 volte il valore
trovato con il valore medio), con conseguente spostamento del punto di lavoro.
Inoltre, a queste difficoltà si aggiunge il fatto che le caratteristiche più comuni deitransistor
risentono di variazioni per effetto della temperatura: la tensione Vbe di un normale
transistor
BJT varia di circa -2.5mV per ogni aumento di un grado centigrado, provocando anche in questo
caso una variazione del punto di lavoro.
La determinazione a priori del punto di lavoro non è possibile.
E' NECESSARIO stabilizzare il punto di lavoro per evitare le distorsioni.
È sufficiente una resistenza in più, RE, detta di stabilizzazione.
Osservando il circuito, fissate le resistenze R1 e R2, e assumendo Ip>>IB, resta fissa la
tensione di base VB= VccR1/(R1+R2) e quindi anche la IB. Se l'hFE risulta più alto di quello
considerato per la definizione del punto di lavoro, la corrente IC risulta maggiore e anche la
corrente IE aumenta, provocando una maggiore caduta di tensione su RE. Essendo fissa la
tensione di alimentazione, e quindi la tensione tra base ed emettitore (tensione su R1,
fissata dalla regola del partitore), aumentando VRE diminuisce la VBE, che provoca una
diminuzione di IB e quindi di IC.
Il valore di I C si aggiusta automaticamente intorno al valore prefissato.
Dimensionamento
Si fissa IC tramite la resistenza RC.
Fissata la IC, il criterio pratico di progetto è di imporre una VRE ≅(l/lO)VCC e di considerare
Ip=(lO÷lOO)IB. Quindi:
AMPLIFICATORE AD EMETTITORE COMUNE
Si chiama così perché l'emettitore è il morsetto comune di riferimento per il segnale da amplificare
(ingresso) e per il segnale amplificato (uscita).
Per evitare che il segnale da amplificare (vS) modifichi il punto di lavoro statico, definito dalla rete
a partitore, è necessario inserire tra il segnale stesso e la base un condensatore Cl: in continua i
condensatori sono dei circuiti aperti e di conseguenza il punto di riposo rimane quello fissato con
le resistenze R1, R2, RC, RE. Stesso discorso vale per il carico RL, che generalmente è resistivo.
Se il transistor lavora in zona lineare, quando il segnale vS aumenta, aumenta anche la corrente di
base e conseguentemente aumenta proporzionalmente la corrente sul collettore.
ln uscita avremo quindi la stessa forma d'onda d'ingresso ma amplificata.
lL condensatore di accoppiamento CE serve a cortocircuitare la resistenza RE quando il
varia, in modo da non diminuire il guadagno di tensione.
segnale
Il circuito dinamico
Il funzionamento del transistor in zona lineare (regime di piccoli segnali), può essere ricondotto a un
modello lineare, costituito da una resistenza d'ingresso hie, tra base ed emettitore e da un generatore
ideale di corrente iC, controllato dalla corrente d'ingresso iB.
Infatti
Ic= h
fe i B
, dove hfe è il guadagno dinamico di corrente
Lo studio del circuito completo dell'amplificatore si riconduce al seguente (VCC, che è un
segnale costante, è stato spento, cioè cortocircuitato a massa).
PARAMETRI FONDAMENTALI DI UN AMPLIFICATORE
Guadagno di tensione Av
È definita come rapporto tra la tensione di uscita vo e la tensione d'ingresso vi (consideriamo i
valori efficaci o quelli di picco, essendo in regime sinusoidale).
Guadagno di corrente Ai
È definita come rapporto tra la corrente di uscita io (sul carico RL) e la corrente d'ingresso ii (che
esce dal generatore).
dove Ri=R1//R2//hie è la resistenza d'ingresso dell'amplificatore
.
Guadagno di tensione totale Avt
È il rapporto tra la tensione di uscita vo e la tensione del segnale vS.
v i
dove αi è l'attenuazione d'ingresso, dovuta alla resistenza non infinita dell'amplificatore
(la tensione del segnale vS si ripartisce sulla R S e sulla R i e non cade tutta sulla Ri) è
data da:
La resistenza d'ingresso Ri dell'amplificatore non è molto elevata (in genere dell'ordine dei KΩ)
e provoca questa attenuazione del segnale d'ingresso dell'amplificatore rispetto al segnale del
generatore
Amplificazione o guadagno di potenza Ap
È il rapporto tra la potenza di uscita po e la potenza d'ingresso pi.
JFET/MOSFET
FET
I transistor ad effetto di campo
I transistor ad effetto di campo (field effect transistor) sono chiamati così perché sono
comandati in tensione (invece che in corrente come i BJT). Sviluppati successivamente ai BJT
erano inizialmente componenti meno veloci e affidabili; oggi sono usati moltissimo:



negli integrati digitali, dove l'impiego dei MOSFET permette di ottenere
soluzioni
economiche ad elevata integrazione e basso consumo
negli stadi di ingresso degli operazionali, dove i JFET permettono di ottenere una
resistenza di ingresso molto elevata
in forma discreta nell'elettronica di potenza, sia come amplificatori che come dispositivi
ON-OFF, per il basso consumo
Le due famiglie principali di transistor FET sono:
i JFET (junction FET) a giunzione
 i MOSFET o MOS (metal-oxide-semiconductor FET) a metallo-ossido-semiconduttore, che
possono essere di tipo enhancement e depletion
Come avviene per i BJT anche i FET sono disponibili in due varianti con portatori di carica di
tipo diverso: quelli a canale N e quelli a canale P.

Di seguito, per semplicità, faremo sempre riferimento ai FET a canale N.
I tre terminali dei transistor ad effetto di campo sono chiamati: source, drain e gate. Nei FET
la corrente scorre in un canale fra i terminali di source e drain e il suo flusso è controllato
dalla tensione applicata al terminale di gate.
La figura seguente mostra i simboli dei JFET, dei MOS enhancement e dei MOS depletion
nelle due varianti a canale n e p1).
In tutti i casi vale sempre:
ID=ISID=IS
I JFET
I JFET sono meno usati rispetto ai MOSFET, con cui si realizzano gran parte dei dispositivi
digitali, ma hanno delle caratteristiche che li rendono adatti per le applicazioni analogiche.
Struttura e funzionamento
La figura seguente mostra la struttura di un JFET a canale n2).
Il transistor è composto da:
una barra di semiconduttore di tipo n ai cui estremi sono posti gli elettrodi di source e drain
 due zone di tipo p collegate al gate
Fra gate è source è dunque presente una giunzione pn che, nel normale funzionamento del JFET,
deve essere polarizzata inversamente (VGS ≤ 0).

Per comprendere il funzionamento del JFET supponiamo inizialmente che VGS sia zero.
Se applichiamo una tensione VDS tra drain e source circolerà una corrente ID nel canale.
Aumentando la VDS la corrente ID aumenta e il comportamento del JFET è resistivo.
Tuttavia si verifica un altro fenomeno: nel canale si forma una zona di svuotamento (grigia in
figura) dovuta alla polarizzazione inversa della giunzione, più pronunciata dal lato del drain e
con un estensione crescente al crescere di VDS.
La zona di svuotamento restringe il canale attraverso cui circola la ID e oltre una certa soglia di
VDS si verifica lo strozzamento del canale (pinch-off) che impedisce alla corrente di aumentare; il
JFET è in saturazione.
Quando è presente una VGS (negativa) la zona di svuotamento si forma anche con VDS = 0 con la
conseguenza che il JFET offre maggiore resistenza ed entra in saturazione prima.
Caratteristiche
Osservando la caratteristica di uscita, che mostra la relazione tra la corrente ID e la tensione VDS per
diversi valori di VGS, osserviamo che:





è presente un'intera famiglia di caratteristiche dipendenti dal valore di VGS
la saturazione del JFET, indicata dalla linea tratteggiata, avviene per valori via via minori di VDS
all'aumentare (in modulo) di VGS
a sinistra del tratteggio è presente una zona resistiva dove il JFET si comporta da resistenza
variabile il cui valore dipende dalla tensione VGS (si veda la figura sotto che rappresenta un
ingrandimento della caratteristica nell'origine)
a destra di VP si trova la zona di saturazione a corrente costante dove il valore di ID dipende da
VGS e non da VDS (NB nei BJT la saturazione è tutt'altra cosa!3) )
per valori sufficientemente elevati di VGS lo strozzamento avviene già a VDS = 0 e non può
circolare corrente; il JFET è interdetto
La relazione
che CHE PERMETTE DI CALCOLARE il valore della Vds alla quale avviene lo
strozzamento è:
VDSP=VP−VGSVDSP=VP-VGS
Dove VP è la tensione di pinch-off quando VGS vale zero riportata nei data sheet.
A questo punto è possibile osservare la caratteristica di trasferimento (figura sopra), valida per
il funzionamento in saturazione, e osservare che:


il JFET è interdetto se VGS è maggiore o uguale a VGS(off) = Vp
il massimo valore di corrente in condizione di saturazione si ha quando VGS vale zero ed
è indicato con IDSS nelle due caratteristiche5

in corrispondenza di VGS = 0 e IDSS si ha la piena conduzione; in queste condizioni, se si
opera nella zona resistiva, l'inverso della pendenza della caratteristica di uscita
rappresenta la resistenza rDS(on) esibita dal JFET nello stato ON quando è usato in
commutazione
Funzionamento in commutazione
Nell'impiego da amplificatori i JFET lavorano nella zona di saturazione, dove il
comportamento è lineare; in quello in commutazione invece si lavora nella zona resistiva e
in interdizione.
Il circuito in figura impone una retta di carico che dipende dall'alimentazione VDD e dalla
resistenza RD collegate al drain. Il JFET lavorerà:
in interdizione se VGS è negativa e maggiore di VGS(off)
 in piena conduzione (nella zona resistiva) se VGS è uguale a zero
I due puntidi funzionamento si
individuano incrociando la retta
le caratteristiche di uscita del JFET corrispondenti ai due valori di VGS.

di
carico
con
Funzionamento da amplificatore
I JFET possono essere impiegati anche come amplificatori. Come per i BJT occorre polarizzare
correttamente il transistor, applicare un segnale e studiare la risposta dell'amplificatore con un
circuito equivalente ai piccoli segnali.
La figura sopra mostra il circuito di polarizzazione più semplice possibile dove:



la resistenza RS tra source è massa è percorsa dalla corrente ID
la resistenza RG collega a massa il gate ma non è percorsa da corrente
la tensione VGS coincide in modulo con la caduta su RS
Studiando il circuito e conoscendo la relazione tra ID, RS e VGS è possibile imporre il punto di
funzionamento a riposo.
La figura seguente mostra il circuito equivalente ai piccoli segnali del JFET (si tratta di un circuito
in centro banda a source comune simile a quello a emettitore comune dei BJT).
Osserviamo che:


il gate è isolato
il parametro principale è la transconduttanza

il parametro rd è una resistenza differenziale che, in prima approssimazione, può essere
considerata infinita (generatore di corrente ideale)
I MOSFET
I MOS sono i transistor più utilizzati nell'elettronica digitale perché permettono di realizzare
integrati economici e a basso consumo. Sono impiegati anche nell'elettronica di potenza.
Per semplicità ci soffermeremo solo sui MOS ad arricchimento (enhancement), più semplici da
capire e utilizzati nella tecnologia CMOS con cui si realizzano gli integrati digitali.
Struttura e funzionamento
La figura
seguente mostra la struttura di un MOSFET enhancement a
brevemente chiamato NMOS
canale n, più
Il transistor è composto da:



un substrato di tipo p collegato al source
due zone di tipo n collegate ai terminali di source e drain
uno strato di ossido di silicio (grigio scuro nel disegno) che isola il gate
In questo tipo di FET il gate è isolato e gli strati di materiali - metallo del terminale di gate,
ossido e semiconduttore - danno il nome al componente.
Per comprendere il funzionamento del MOS supponiamo inizialmente che VGS valga zero.
Applicando una tensione tra drain e source le due giunzioni substrato-source e substrato- drain
non conducono e la ID è nulla (il substrato è collegato al source). Se ora applichiamo una tensione
VGS positiva al gate il MOS si comporterà come un condensatore richiamando elettroni dalle tre
zone e creando, oltre una soglia indicata con VGS(th), un canale di tipo n tra drain e source (grigio
chiaro nel disegno).
A questo
source.
punto, applicando una tensione VDS potrà circolare una corrente ID tra drain e
Come per il JFET, per bassi valori di VDS il canale avrà un comportamento resistivo; per valori più
elevati si avrà uno strozzamento dovuto al potenziale via via maggiore del terminale di drain che
non permette alla corrente di aumentare. Aumentando il valore di VGS si ha un allargamento del
canale e lo strozzamento avviene per valori di VDS più elevati.
Caratteristiche
In figura è rappresentata la caratteristica di uscita di un NMOS. La famiglia di curve che
esprimono il legame tra ID e VDS è analoga a quella dei JFET ma la VGS è positiva e corrente e
pendenza crescono al crescere di VGS. Anche in questo caso abbiamo una zona resistiva, a sinistra
del tratteggio, e una di saturazione (attiva) a destra.
La figura sopra rappresenta la caratteristica di trasferimento, questa volta posta nel primo quadrante,
dove compaiono:


la tensione di soglia VGS(th) (indicata anche come VT) oltre la quale il MOS passa
dall'interdizione alla conduzione
la corrente IDSS, di valore trascurabile, che circola quando VGS vale zero
Nei data sheet è indicata anche
una Ion che
corrispondenza di un determinato valore di VGS.
circola in pienaconduzione
Diversamente dai JFET il transistor NMOS funziona con valori di VGS positivi; il circuito di
polarizzazione sarà allora il seguente:
in
Nel funzionamento in commutazione si avrà:


NMOS interdetto se VGS < VT
NMOS in piena conduzione per valori sufficientemente alti di VGS
Il circuito per il funzionamento ON-OFF dell'NMOS è analogo a quello del JFET e per
entrambi il comportamento del transistor può essere assimilato a quello di un interruttore
con in serie una resistenza rDS(on) ricavabile dai data sheet8
AMPLIFICATORE A MOSFET
ANALISI CON RETTA DI CARICO DI AMPLIFICATORE A SOURCE COMUNE
Applicando la legge di Kirchhoff delle tensioni alla maglia di ingresso, dato che IG=0 (sempre), posso
direttamente ricavare vGS
v GS (t) = vin (t) + VGG
Nella maglia di uscita:
VDD = R DiD (t) + vDS (t)
Per vin(t)=0, l’equazione (1) fornisce: vGS=4 V.
La (2) è l’equazione della retta di carico nel piano delle caratteristiche di uscita. Il punto di
riposo del MOSFET è il punto di intersezione della retta di carico con la caratteristica a vGS=4 V.
L’ampiezza picco-picco della tensione di uscita (vDS) è 12 V, di contro a quella della tensione di
ingresso (vin) che è 2 V. Inoltre vDS è invertita rispetto a vin.
vDS non è una sinusoide simmetrica: tale distorsione è dovuta al fatto che le caratteristiche iDvDS non sono uniformemente spaziate al variare di vGS.
• Analisi degli circuiti amplificatori a MOSFET.
• Circuito di polarizzazione a 4 resistenze.
• Esempio numerico.
circuito di polarizzazione a 4 resistenze è adatto per
polarizzare i circuiti amplificatori discreti.
La tensione e la resistenza equivalente Thevenin del
circuiti di ingresso sono dati da:
A differenza del caso del BJT, in questo caso R1 e R2
costituiscono un vero partitore resistivo, dato che Ig =0
L’equazione della maglia di ingresso è (IG=0):
VG = VGSQ + R SIDQ
Supponendo che
il MOSFET operi in regione di
saturazione: IDQ = K(VGSQ − VT 0 )
La soluzione simultanea delle due equazioni fornisce il punto di riposo.
Il sistema (disecondo grado) ha due soluzioni in VGSQ delle quali una è
minore di VT0 e come tale è da scartare.
Determinati VGSQ e IDQ, l’equazione della maglia di uscita consente di
calcolare VDSQ e verificare se l’ipotesi di funzionamento in saturazione
è corretta (vDS> vGS-VT0):
VDSQ = VDD − (R D + R S )IDQ
Se si vuole tenere conto nel circuito equivalente dell’effetto di modulazione della lunghezza di canale
(λ≠0) bisogna inserire tra drain e source una resistenza rd.
In questo caso la id è data da
STADIO AMPLIFICATORE A SOURCE COMUNE
• Schema elettrico.
• Circuito equivalente per piccoli segnali.
• Guadagno di tensione.
• Impedenza di ingresso
• Impedenza di uscita.
SCHEMA ELETTRICO
Il segnale di ingresso è applicato al gate del MOSFET attraverso il condensatore di accoppiamento
C1. L’uscita è presa sul drain e connessa al carico attraverso C2. C1, C2 e CS sono i condensatori di
accoppiamento, e quindi si possono considerare corto-circuiti alle frequenze del segnale (centrobanda). Il source è pertanto a massa per i segnali. R1, R2, RD e RS formano una rete di
polarizzazione a 4 resistenze.
CIRCUITO EQUIV. AI PICCOLI SEGNALI
Per costruire il circuito equivalente ai piccoli segnali dell’amplificatore a source comune si deve sostituire: 1)
ai condensatori dei corto- circuiti; 2) al MOSFET il suo circuito equivalente per piccoli segnali; 3)
ai generatori indipendenti di tensione DC dei corticircuiti (dal momento che su di essi la variazione di
tensione, ossia il segnale, è sempre nullo per qualsiasi variazione di corrente).
Per semplificare lo schema equivalente così ottenuto, possiamo definire RG= R1||R2 ed RL’= RC||RL (NB: noi
trascuriamo rd, che è analogo al considerare rd infinita)
GUADAGNO DI TENSIONE
La tensione di ingresso vin coincide con vgs:
La tensione di uscita è data dalla caduta di tensione su RL’ :
v o = −gm v gsR′L
Dividendo membro a membro si ottiene il guadagno di tensione:
Av è negativo e in modulo può essere molto maggiore di uno: ciò significa che l’amplificatore
a source comune è un amplificatore di tensione invertente.
IMPEDENZA DI INGRESSO
L’impedenza di ingresso è facile da calcolare e risulta:
Zin = R G = R 1 || R 2
Zin dello stadio dipende solo da resistenze di polarizzazione (e non dai parametri del MOSFET). Ciò si
traduce in un vantaggio rispetto agli stadi amplificatori a BJT.
SOURCE FOLLOWER
•Il segnale di uscita è prelevato dal source del MOSFET e trasferito in uscita tramite C2.
•La resistenza di drain non serve in questo circuito.
Circuito equivalente a piccolo segnale a centro banda (ciò significa che ZC1 e ZC2 sono corto-circuiti):
•RG= R1||R2 e RL’= RS||RL ||rd;
v o = gm v gsR ′L
vin = v gs + v o = v gs + gm v gsR ′L
IMPEDENZA DI USCITA
Per il calcolo dell’impedenza di uscita il generatore di segnale deve essere sostituito da un
cortocircuito. In queste condizioni vgs=0 e pertanto anche gmvgs =0, da cui (NB noi non
consideriamo rd):
Zo = RD
COMPONENTI ELETTRONICI DI POTENZA
COMPONENTI ELETTRONICI DI POTENZA
1. Classificazione
2. Diodo
3. Tiristore
4. GTO
5. BJT
6. MOSFET
7. IGBT
8. MCT
I componenti di potenza a semiconduttori attualmente disponibili si possono così
classificare:
•Diodi: accensione e spegnimento controllati dal circuito esterno di potenza (diodo,
diodo Schottky ).
•Tiristori: accensione controllata da un segnale esterno spegnimento
controllato dal
circuito
esterno di potenza SCR,TRIAC, ASCR, RCT).
(Interruttori controllati: accensione e spegnimento controllati da un segnale esterno
(Bipolar Junction Transistor (BJT), Metal-Oxide-Semiconductors Field Effect Transistor
(MOSFET), Gate Turn Off (GTO) Thyristor, Insulated Gate Bipolar Transistor (IGBT),
Mos Controlled Thyristor (MCT).
DIODO
Il diodo è composta da una unica giunzione p-n.
iA
C
A
Anodo
Simbolo
Lo stato del diodo dipende solamente dalla
polarizzazione del componente. Polarizzazione
diretta: conduzione.
Polarizzazione inversa: interdizione.
p
n
Anodo
Catodo
La struttura del diodo di potenza è diversa da quella del diodo di segnale e prevede
l’impiego di due zone n con diverso grado di drogaggio.
p
nn+
Catodo
DIODO: TIPOLOGIE
Esistono diodi Line Frequency, diodi Fast Recovery e diodiSchottky.
I diodi Line Frequency hanno solitamente tensione di blocco inversa elevata (6÷7 kV) e possono
portare elevate correnti dirette (5÷ 6 kA), pur mantenendo piccole cadute in conduzione.
I diodi Fast Recovery arrivano a tensioni di blocco inverse minori (inferiori al kV) ed a correnti
in conduzione più piccole (inferiori al kA), ma sono più veloci.
Un diodo veloce è il diodo Schottky che presenta minime
cadute dirette (circa 0.3 V), ma basse tensioni di blocco inverse
(100V) ed elevate correnti di perdita in inversa.
i
D
C
A
+
v
D
-
TIRISTORE (SCR)
Il tiristore è composto da tre
giunzioni p-n.
Lo stato del tiristore dipende dalla
polarizzazione del componente e dal
segnale di comando del Gate.
E’ chiamato anche SCR (Silicon Controlled Rectifier) o diodo controllato.
Quando polarizzato in inversa si comporta come diodo, quando polarizzato in diretta ha un comportamento che dipende dal
valore della corrente di gate.
In particolare, non conduce fino all’arrivo di un impulso di corrente di gate, dopo di ché rimane in conduzione, fino alla
polarizzazione inversa.
Può dunque essere posto in conduzione mediante controllo della corrente di gate ma non può spento allo stesso modo (non è
possibile il passaggio forzato dalla caratteristica di conduzione diretta a quella di blocco diretto).
Tiristore (SCR): caratteristica statica ideale
Il componente presenta, oltre che allo stato di conduzione diretta e interdizione
inversa del diodo lo stato di interdizione diretta
L’impulso di corrente di Gate consente il cambio di stato in una sola direzione.
Tiristore (SCR): punto di funzionamento
TIRISTORE (SCR)
La corrente di
holding ih è
la
minima corrente diretta
che mantiene il tiristore in conduzione; al di
sotto di tale valore il componente si porta nella condizione di blocco diretto.
In generale vi sono vari meccanismi che possono innescare (porre in conduzione) accidentalmente un tiristore (inneschi accidentali
sono ovviamente da evitare).
 Elevati valori di tensione diretta
 Elevate derivate di tensione diretta.
 Elevata temperatura di giunzione
L’impossibilità di spegnere con un comando di gate un tiristore rende necessario l’uso di opportuni circuiti di spegnimento
aggiuntivi che ottengono lo scopo forzando la polarizzazione inversa del componente solitamente mediante condensatori.
•Non può essere utilizzato per elevatissime frequenze di commutazione (componente lento, frequenza di
commutazione< 1 kHz);
• piccole cadute in conduzione (1.5 V – 3.0 V);
• tensione di breakdown (diretta e inversa) elevata (7÷8 kV);
• consente il passaggio di elevate correnti (3.5÷4 kA);
• di conseguenza può gestire grandi potenze.
Per velocizzare l’entrata in conduzione è opportuno che il fronte di salita dell’impulso di gate sia molto ripido. Questo è
importante ad elevate frequenze di commutazione. Solitamente non si da un unico impulso ma un treno di impulsi, per evitare
elevate perdite e possibili spegnimenti involontari.
TRIAC
Possiede le caratteristiche di
due tiristori in antiparallelo, col
vantaggio
di
essere
un componente
unico, compatto,
.
su un solo chip di silicio
TRIAC: caratteristica statica ideale
La caratteristica statica è antisimmetrica ed è funzione della
corrente di gate, che può avere segno positivo
o negativo,
comandando l’accensione di uno e l’altro tirisistore, il comando
permette l’accensione di uno dei due tiristori, ma non lo
spegnimento, che avviene solo mediante polarizzazione inversa
TRIAC: PUNTO DI FUNZIONAMENTO
I Triac raggiungono tensioni di blocco di 1500 V con correnti di 100 A.
I limiti sono:
• bassissima frequenza di commutazione;
• difficoltà di funzionamento con basso fattore di potenza.
Sono utilizzati come variatori di tensione per l’illuminazione.
DIAC
Il DIAC è utilizzato solitamente per innescare il gate di un
Triac o Scr
Dal punto di vista funzionale può essere pensato come l'accoppiamento di due diodi zener in
antiserie. In pratica il Diac presenta
un elevata
impedenza fino ad un valore soglia di
differenza di potenziale oltre la quale l'impedenza crolla, permettendo un elevato flusso di
corrente.
A differenza dei normali diodi, il Diac non è polarizzato, ovvero è bidirezionale.
Diac sono principalmente utilizzati come dispositivi di innesco in applicazioni di controllo di fase
e di controllo di potenza variabile perché un diac
fornisce un impulso di innesco più nitido
e immediato
Il simbolo Diac e le curve caratteristiche tensionecorrente del diac sono riportati di seguito; nelle
caratteristiche si evidenziano le zone a impedenza
negativa in cui la
tensione diminuisce ma la
corrente aumenta
Per i
diac la
tensione di rottura varia tipicamente da circa ± 25 a 35 volt.
Poiché il diac è un dispositivo simmetrico ( stessa caratteristica per tensioni positive e
negative) è adatto come dispositivo di azionamento per SCR o triac.
CONTROLLO DI FASE
Quando la tensione di carica raggiunge la tensione breakdown del
diac (circa 30 V), il diac rompe e il condensatore si scarica
attraverso il diac, producendo un impulso improvviso di corrente
che manda il triac in conduzione. L'angolo di fase in cui viene
attivato il triac può essere variata utilizzando VR1 , che controlla la
velocità di carica del condensatore.
In corrispondenza del semi ciclo negativo si ripete il processo
TRIAC CONDUZIONE DI FORME D'ONDA
Si è visto che il Diac è un dispositivo molto utile che può essere utilizzato per attivare il triac e
per le sue caratteristiche di resistenza negativa questo consente di passarein "ON"
rapidamente una volt che si è a raggiunto un certo livello di tensione applicata.
ASCR (TIRISTORE ASIMMETRICO)
Denominato ASCR (Asymmetrical Silicon Controlled Rectifir) è un tirisistore con ridotta capacità
di blocco inverso. La particolare costruzione consente però di migliorare le caratteristiche di
conduzione diretta e soprattutto
rendere il componente più veloce. A causa della ridotta
capacità di blocco inverso è solitamente protetto mediante un diodo collegato in antiparallelo.
RCT. L’RCT (Reverse Conducting Thyristor) ha la stessa struttura del tiristore asimmetrico e gli
stessi vantaggi, ma contiene, sullo stesso chip, anche il diodo in antiparallelo.
Protezione mediante Diodo in Antiparallelo
Consideriamo un generico componente di morsetti A e K. Collegato in antiparallelo
vi è un diodo.
Quando la
tensione Vak è maggiore di 0 (componente polarizzato in
diretta) il diodo è polarizzato in inversa e non ha alcun effetto.
Quando la
tensione vAK tende diventare negativa (componente
polarizzato in inversa) il
diodo è polarizzato in diretta, entra in conduzione
lasciando fluire una corrente da K ad A, mantenendo la vAK limitata a pochi Volt.
Lo stato del GTO dipende dalla polarizzazione del componente e dal
comando del Gate.
Esistono due versioni di GTO che differiscono nella caratteristica
blocco:
1)Il GTO Simmetrico, ha una caratteristica inversa di blocco uguale
un tiristore.
2)Il GTO Asimmetrico con anodo-emettitore cortocircuitato, con
capacitàdi blocco alla tensione inversa.
segnale di
inversa di
a quella di
ridotta
GTO (GATE TURN-OFF THYRISTOR)
Quando polarizzato in inversa si comporta come diodo, quando polarizzato in
diretta ha un comportamento che dipende dal valore della corrente di gate.
In particolare, polarizzato in diretta, rimane in interdizione diretta fino all’invio di
un impulso di corrente positiva al Gate.
Rimane in conduzione fino alla polarizzazione inversa o fino all’invio di un impulso
di corrente negativa al Gate.
Può dunque essere posto in conduzione mediante controllo della corrente
di gate e può anche essere spento allo stesso modo.
GTO (Gate Turn-Off Thyristor): caratteristica statica ideale, reale
Come il Tiristore, Il Componente presenta
oltre
allo stato
conduzione diretta e
interdizione inversa del
diodo,lo stato di
interdizione diretta.
L’impulso di corrente di Gate consente il
cambio di stato nelle due direzioni.
GTO (Gate Turn-Off Thyristor): punto di funzionamento
I G.T.O. sono costruiti per tensioni fino a 6÷7 kV e correnti fino a 4÷5 kA
e possono arrivare a frequenze di commutazione di 10 kHz.
• Presenta piccole cadute in conduzione (3÷4 V);
• come il tiristore è adatto per gestire grandi potenze.
IGBT (Insulated Gate Bipolar Transistor)
Lo stato dell’IGBT dipende dalla polarizzazione del
componente e dal segnale di comando in tensione del Gate.
IGBT (INSULATED GATE BIPOLAR TRANSISTOR)
E’ uno dei componenti più usati.
Questo componente offre alcuni vantaggi dei MOSFET, BJT e GTO combinati.
Come il
MOSFET è
controllato
in
tensione, ha
elevata impedenza di Gate,
quindi piccole perdite per il controllo.
Come il
BJT ha piccole cadute in conduzione (2÷5 V), Come il GTO può resistere a tensioni inverse. II tempi di
commutazione sono dell’ordine di 1 Microsec (componente veloce, fino a 30 kHz). I limiti attuali sono 2500
V, 1000 A.
IGBT (Insulated Gate Bipolar Transistor): caratteristica statica ideale - reale
Il Componente presenta oltre allo
stato
conduzione diretta e
interdizione inversa del
diodo,lo
stato
di
interdizione
diretta.
Il controllo della tensione di
gate consente lo scambio di
stato nelle due direzioni
MCT (MOS Controlled Thyristor)
Lo stato del MCT dipende dalla
polarizzazione del componente e
dal segnale di comando in tensione
del Gate.
MCT (MOS CONTROLLED THYRISTOR)
E’ un componente nuovo che ha molte caratteristiche del GTO:
•piccole cadute;
•rimane in conduzione anche senza segnale di gate. Rispetto al GTO:
• è più semplice da pilotare in quanto è controllato in tensione;
• richiede minima potenza per il controllo;
• commuta più velocemente;
•è, per ora, disponibile solo per potenze minori. Si raggiungono i 1700 V con 300 A.
MCT (MOS Controlled Thyristor): caratteristica statica ideale - reale
Il Componente presenta oltre
allo
stato
conduzione diretta e interdizione inversa del
diodo,lo stato di interdizione diretta.
L’impulso di tensione di gate consente il
cambio di stato nelle due direzioni
ALIMENTATORI
COS’È UN ALIMENTATORE?
Apparato in grado di fornire una o più tensioni richieste al funzionamento di altre attrezzature,
partendo dalla rete elettrica (in Europa: alternata a 220 V,50 Hz).
Caratteristiche essenziali:
- Tensione o tensioni fornite in uscita
- Corrente massima
- Possibilità di regolazione della tensione in uscita
- Protezione contro i sovraccarichi
- Strumenti misuratori
- Stabilizzazione delle
tensioni
- Ripple residuo in alternata rispetto alla continua
Si hanno
Alimentatori lineari
-Formati da trasformatore, raddrizzatore, filtro livellatore ed eventuale regolatore
-Basso rendimento energetico (30-60%, dissipazione di calore notevole)
-Ripple molto ridotto
-Adatto per applicazioni di precisione (alimentatori da laboratorio, impianti hi-fi,..)
Alimentatori switching o a commutazione
-Tensione di rete raddrizzata e livellata, quindi applicata ad un oscillatore ad alta
frequenza (10-100 KHz), poi trasformata a bassa tensione e raddrizzata e livellata
-Minore ingombro e peso a parità di potenza
-Rendimento maggiore
(80-90%)
-Ripple residuo più elevato
-Capaci di accettare valori differenti di tensione in ingresso (115 V –230 V)
ALIMENTATORE STABILIZZATO
Il " TRASFORMATORE " provvede di norma ad abbassare il valore della tensione di ingresso
(220 Veff.) ad un valore compatibile con la tensione che deve alimentare il carico
V1 / V2 = N1 / N2(rapporto trasformazione)
V2 = V1 · N2 / N1
PONTE
RADDRIZZATORE " (in questo caso a doppia semionda, detto anche "ponte di
Graetz") provvede a rendere unidirezionale la corrente in un carico, generando un tensione
di uscita pulsante.
VR = Vin – 1,2 volt
FILTRO
( tensione presente sul carico R ).
DI
LIVELLAMENTO
Se si pone in uscita del ponte di diodi e in parallelo al carico un condensatore
di alta capacità (dell’ordine di migliaia di microfarad)
L’andamento della tensione ai capi del condensatore e del carico sarà di tipo ondulatorio, variabile tra un
valore VCMax e VCMin . La
bontà
di
un alimentatore si misura quantificando il valore V= VCMax - VCMin (Ripple;
ondulazione) che deve essere il più basso possibile. In parallelo al condensatore di grossa capacità (>1000µF elettrolitico), si
pone un condensatore in poliestere ro capacitivo con valore di C più basso (10 – 100 µF) è posto anche all’uscita dello
stabilizzatore per migliorare ulteriormente la VOUT.
Stablizzatore (o regolatore di tensione) tende a mantenere costante la tensione d’uscita VR sul carico al variare, entro certi
limiti.
Dati del costruttore: IADJ =50μA, Vref = 1,25 Volt (tensione tra il pin OUT e il pin ADJ )
La differenza tra la VIN e la VOUT si definisce tensione di “DROPOUT” ed è il valore minimo della
tensione tra ingresso e uscita che garantisce un corretto funzionamento dello stabilizzatore. VD =
VIN – VOUT ( consigliabile un valore non inferiore a 5 Volt ).
Raddrizzatore a semplicesemionda
D = Diodo raddrizzatore R = Resistenza di carico
La tensione sinusoidale, fornita dal trasformatore, viene raddrizzata dal diodo D, che conduce in un solo
verso, producendo le semionde positive.
RADDRIZZATORE A DOPPIASEMIONDA
D1, D2 = Diodi raddrizzatori R = Resistenza di carico
La tensione sinusoidale, fornita dal trasformatore a presa centrale, viene raddrizzata dai diodi D1 e D2,
producendo due tensioni sfasate di 180 gradi, singolarmente raddrizzate.
RADDRIZZATORE A PONTE DI DIODI (PONTEDI GRAETZ)
4 Diodi raddrizzatori
R = Resistenza di carico
La tensione sinusoidale, utilizzando un trasformatore senza presa centrale e una configurazione con 4 diodi
raddrizzatori, produce una tensione somma di 2 semionde.
Ogni diodo produce una caduta di tensione di circa 0.7 V. Per 2 diodi, come in un ponte, la caduta è 1.4 V.
Con una tensione alternata di 14 V, si ottiene una tensione pulsata di 14-1.4 =12.6 V
Livellamento della tensione
Da tensione pulsata a tensionecontinua Livellamento mediante un condensatore elettrolitico
Per un ponte raddrizzatore, la tensione continuasarà:
Vcc = (Vac-1.4) x 1.41
Vac = tensione efficace
La capacità del condensatore sarà di alcune migliaia di microfarad
.
STABILIZZAZIONE DELLA TENSIONEMEDIANTE CIRCUITI INTEGRATI REGOLATORI DITENSIONE
Esempio di circuito con integrato LM78xx
(xx= valore della tensione, ad esempio LM7805 stabilizza a + 5V,…)
STABILIZZAZIONE DELLA TENSIONEMEDIANTE CIRCUITI INTEGRATI REGOLATORI DI TENSIONE, AD USCITA VARIABILE
ESEMPIO DI CIRCUITO CON INTEGRATOLM117
CIRCUITO DI UN ALIMENTATORESTABILIZZATO DUALE A TENSIONE FISSA (+/-12 V)
Utilizzo di regolatori di tensione LM7812 (positivo) e LM7912 (negativo)
D1, D2 = diodi di protezione
SCHEMA DI PRINCIPIO DI UNALIMENTATORE SWITCHING DEL TIPO«FORWARD»
SW= elemento commutatore (transistor operante in interdizione (ON/OFF) a frequenze alte
D = diodo Schottky L = Induttanza
C = Condensatore elettrolitico
Diodo e induttanza mantengono carico il condensatore elettrolitico C durante la fase di conduzione del
transistor
SCHEMA DI PRINCIPIO DI UN ALIMENTATORE SWITCHINGDEL TIPO «FLYBACK»
SW= elemento commutatore (transistor operante in interdizione (ON/OFF) a frequenze alte
D = diodo raddrizzatore L =
Trasformatore
C = Condensatore elettrolitico
Schema pratico di un alimentatore switching di tipo «flyback»
Elemento di commutazione realizzatomediante l’integrato LM2588
Progettazione:
Alimentatore con raddrizzatore ad una semionda e filtro capacitivo
1) Vripple picco picco = Vrpp = Vo/(f*R*C)
2) Vefficace ondulazione = Vr = Vrpp/(2*1,73)
3) Ripple = Vr/Vo
= 1/(2*1,73*f*R*C)
4) Vumax= Vo + Vrpp/2
5) Vmax a valle del diodo = VM=Vo+Vd+Vrpp/2
8) Progetto del condensatore C = 1/(2*1,73*f*R*r)
9) Vinmax = 2Vmax
10)Idmax = 2Io*(T/T’)
11)Vsec= Vmax/1,41
12)Rapporto spire m = Vp/Vs
6) Idmax = 2Io*(T/T’)
Alimentatore con raddrizzatore a doppia semionda e filtro
capacitivo
1) Vripple picco picco = Vrpp = Vo/(2*f*R*C)
2) Ripple = Vr/Vo
= 1/(4*1,73*f*R*C)
3) Idmax = 2Io*(T/T’)
5) Vmax a valle del diodo = VM=Vo+2Vd+Vrpp/2
6) Vsec= Vmax/1,41
10)Rapporto spire m = Vp/Vs
PIC 16F84
IL MICROCONTROLLORE
Un microcontrollore (µC ) è un dispositivo di elaborazione dati simile al microprocessore (µP ).
Sul µP sono basati tutti i calcolatori dai personal computer ai mainframe. Sul µC sono basati
dispositivi per scopi industriali o per applicazioni particolari (autronica, domotica)
IL ΜP CONTIENE :
• Una ALU (Arithmetic Logic Unit ) dove
avvengono i calcoli
• diversi Registri per la memorizzazione
temporanea dei dati e la gestione delle
istruzioni
• Un bus interno ad alta velocità
• circuiti di controllo e di temporizzazione per
coordinare tutte le attività
• tre bus ( Data Bus , Address Bus , Control Bus
) per comunicare col mondo esterno (
dispositivi di memoria dispositivi di ingressouscita)
IL ΜP HA BISOGNO PER FUNZIONARE :
• Di un’ampia area di memoria esterna sia di lavoro (RAM) che di massa (hard disk ecc ) , dato che
tratta grandi quantità di dati
• Di interfacce verso dispositivi esterni di Input (tastiera, mouse,scanner, hard disk, floppy ,
microfoni ….)
• Di interfacce verso dispositivi esterni di Output ( monitor, stampante, altoparlanti, hard disk,
floppy,modem ……)
• Di potenza di alimentazione anche di decine di watt
IL ΜC INVECE POSSIEDE SU UN UNICO CHIP:
• Una CPU RISC
• Una piccola memoria di programma (EPROM-EEPROM)
• Una piccola memoria di lavoro RAM ( alcuni KB)
• Porte di ingresso/uscita
• Contatori, timer, convertitore A/D
• Uart, Pwm, interfacce di comunicazione di vari tipi
Contiene cioè, sia quello che possiede un µP (anche se in quantità molto ridotta), sia parti che il µP non
possiede.
Ha ingombro minimo e richiede poca potenza di alimentazione.
RISC
SIGNIFICA :
Reduced Instruction Set Computing
Elaborazione con insieme di istruzioni ridotto.
Le istruzioni perciò :
• Sono poche decine
• Sono eseguite molto velocemente
• non serve un clock molto elevato per un efficiente funzionamento ( dai 4-8
MHz per i tipi più semplici, fino a 33-50 MHz per i tipi più evoluti)
IL MICROCONTROLLORE PIÙ DIFFUSO È IL PIC16F84 DELLA MICROCHIP
TECHNOLOGY
PIC = Peripheral Interface Controller
(Controllore di periferiche programmabile)
Il programma risiede in una EEPROM FLASH ( Electrically Erasable Programmable Read only
Memory ) è modificabile immediatamente anche senza togliere l’integrato dal circuito
(modalità in-circuit )
IL PIC16F84
CARATTERISTICHE :
•
Set di 35 istruzioni a 14 bit, eseguite ognuna in 4 cicli di clock
•
Bus dati a 8 bit
•
Clock fino a 20 MHz
•
Memoria di programma EEPROM: 1024 locazioni da 14 bit
•
36 registri da 8 bit
•
15 registri specializzati
•
68 byte di EEPROM dati memorizzabili
IL PIC16F84
Altre caratteristiche :
• Stack a 8 livelli ( consente il richiamo di subroutine )
• 13 linee di I/O divise in due porte :
porta A : RA0-RA4 (5 bit)
porta B : RB0-RB7 (8 bit)
Le porte forniscono : 25 mA in sink
20 mA in source (RA4 solo sink)
• Contatore – temporizzatore programmabile a 8 bit con prescaler a 8 bit
• Linee di interrupt sulla porta B
IL PIC16F84
Altre caratteristiche :
• autoreset all’accensione.
• La possibilità di stare in modo SLEEP ( a bassissimo consumo)
• Il codice del programma può essere reso inaccessibile alla lettura.
• Un Watch-dog Timer (temporizzatore “cane da guardia”) che evita il blocco del funzionamento.
PIN FUNCTION - PIEDINATURA
•OSC1/CLKIN : oscillator crystal input
•OSC2/CLKOUT : oscillator crystal output
•MCLR : master clear (reset)
•RA0 – RA4 : 5 linee porta A
•RB0 – RB7 : 8 linee porta B
•Vss : massa
•Vdd : alimentazione positiva
OSCILLATORE A QUARZO PER IL CLOCK
L’oscillatore del
PIC può funzionare in quattro modi :
LP Low Power Crystal 32 KHz – 200 KHz
XT Crystal/Resonator
100 KHz – 4 MHz
HS High Speed Crystal/Resonator 8 MHz – 20
MHz
RC Resistor Capacitor
Si può usare un quarzo
o un risonatore
ceramico, a varie frequenze, oppure un circuito
RC con scarsa precisione in frequenza.
Occorre scegliere un modo, sia per
costruire il circuito, sia per impostare le
opzioni del dispositivo programmatore :
l’opzione più comune è XT .
LA STRUTTURA INTERNA E I REGISTRI DEL PIC 16F84
20
ALCUNE SEZIONI DEL ΜC
• Program Counter : contatore che punta alla successiva istruzione da eseguire tra quelle
contenute nel Program Memory
• Instruction Register : registro che contiene le istruzioni eseguibili; le confronta con il Program Memory
e le dà per l’esecuzione alla ALU
• ALU : esegue calcoli matematici e logici sui dati in ingresso e deposita i risultati di calcolo
nell’Accumulatore
LA MEMORIA INTERNA DEL PIC16F84
• Ci sono 2 tipi di memoria:
– La Memoria del Programma (Program Memory) di tipo EEPROM, con 1024 locazioni da 14 bit
ciascuna (0000h a 03FFh).
– La Memoria dei Dati (Data Memory),
a sua volta suddivisa in:
– Memoria RAM di uso generale
– Registri con Funzioni Speciali (SFR), (di tipo static RAM)
– Memoria dati di tipo EEPROM (64 bytes)
I REGISTRI MAPPATI IN MEMORIA (1)
I registri (chiamati Register
File) sono celle, locazioni, di
memoria dove il µC legge e scrive valori fondamentali per
il funzionamento.
Sono celle che hanno un indirizzo esadecimale ( h ); si dice
che sono mappati in memoria.
Ad esempio scrivendo/leggendo nelle locazioni 05h e 06h
si scrive/legge nelle porte A e B.
2
2
I REGISTRI MAPPATI IN MEMORIA (2)
Se si programma il PIC in
linguaggio macchina
(Assembler) occorre
precisare molti dettagli
peri
registri, con
istruzioni da mettere all’inizio del
programma.
Se si usa un linguaggio ad alto livello (Basic), le
istruzioni da aggiungere
sono minori. Tuttavia la
mappa di memoria ( cioè l’allocazione dei registri)
deve sempre essere conosciuta.
LA PROGRAMMAZIONE DEL PIC IN LINGUAGGIO ASSEMBLER
•
•
Il programma per il PIC si può scrivere in linguaggio assembly o assembler , usando
direttamente le 35 istruzioni riconosciute dal PIC.
•
Il programma si scrive come un file di testo . Esso viene convertito in codice binario da un programma
chiamato Assemblatore. Il file creato contiene codici esadecimali e ha estensione .HEX
• Per trasferire poi il file HEX nella memoria di programma del PIC occorre un dispositivo
• Chiamato Programmatore
• Si usa un PC per
• per scrivere il testo del programma ,con un editor di testi ( non usando Word! )
•
• per convertirlo
in codice eseguibile, usando l’Assemblatore
• per scriverlo nel PIC,
usando un Programmatore.
LA PROGRAMMAZIONE DEL PIC IN LINGUAGGIO AD ALTO LIVELLO
Il programma per il PIC si può scrivere usando un Compilatore ad alto livello , ossia un
software che usa istruzioni a livello più elevato, per velocizzare e facilitare la stesura del
programma .
Il Compilatore può essere
•in linguaggio BASIC
( ad esempio il PicBasic)
•in linguaggio C
•di tipo grafico, ossia che usa simboli grafici al posto delle istruzioni. Ad esempio usa il simbolo di
una porta AND al posto dell’istruzione assembler equivalente .
•Due esempi di compilatori grafici sono il Visual Parsic e il Proton+.
I compilatori devono essere acquistati ; i più semplici in Basic o C sono a basso costo o anche
freeware. Un ottimo compilatore c++ è il PICLITE della HiTech, che offre una versione di prova
detta Lite , cioè con condizioni limitate .
PROGRAMMAZIONE FISICA DEL PIC (2)
Dopo aver scritto il programma , cioè il codice sorgente, lo si compila con il MPASM : viene creato
un file oggetto con estensione .HEX, il quale deve essere caricato nella memoria di programma del
PIC, inserito in uno zoccolo del programmatore ( sistema out of circuit).
Per caricare il file .HEX nella memoria programma del PIC occorre:
•Un personal computer
•Un programmatore
•Il software di gestione del programmatore
L’OPERAZIONALE: configurazioni principali
• Amplificatore invertente
• amplificatore non invertente
• Inseguitore
• sommatore invertente
• Sommatore non invertente
• differenziale
• Comparatore a finestra
• Comparatori con isteresi
• Trigger di schmith invertente e non invertente
• Convertitore frequenza-tensione
• Generatori a onda quadra astabile e monostabile
• Generatore di onda triangolare: circuito teorico
• oscillatori: a ponte di wien
Amplificatore invertente
L’analisi di questo circuito può essere facilitata ricordando che l’impedenza d’ingresso di un
operazionale ideale è infinita.
L’impedenza d’ingresso infinita implica infatti una corrente d’ingresso nulla.
Grazie inoltre al guadagno infinito tra i due ingressi non vi è alcuna caduta di tensione e pertanto,
essendo l’ingresso non invertente a massa, anche la tensione all’ingresso invertente sarà zero.
Per tale motivo si dice che l’ingresso invertente rappresenta una “massa virtuale”, ovvero a tensione
nulla, come l’altro ingresso.
Inoltre, poiché l’impedenza d’ingresso è infinita,
la corrente attraverso Z1 sarà uguale a quella in Z2.
I2
Z2
Z1
VIN
 0V
I1

VIN
VO
I1 = I2
Z2
Z1
IIN = 0
VO
Si noti che le impedenze Z possono essere delle semplici resistenze oppure delle reti
reattive anche complesse: in entrambi i casi varranno le formule d’ora in poi indicate
I2
in sintesi:
I1
VIN
Z2
I1 = VIN / Z1
I2 = -VO /Z2
Z1
VO
IINV = 0
VINV = 0
ma... I2 = I1
e quindi
ingresso
50mV/div
-VO / Z2 = VIN/Z1
da cui
VO / VIN = - Z2/ Z1
e quindi
inversione
del segnale
uscita
2V/div
A V = - Z2 / Z1
guadagno di tensione
ad anello chiuso
Amplificatore non-invertente
Applicando il segnale da amplificare all’ingresso non invertente e collegando le impedenze di retroazione fra
uscita, ingresso invertente e massa, si ottiene lo schema riportato in figura, chiamato amplificatore noninvertente poiché il segnale d’uscita risulta in fase con quello d’ingresso.
VIN
 0V

VO
Z2
Z1
I1 = I2
Per analizzarne il funzionamento occorre partire dai
medesimi presupposti già visti per l’invertente ovvero che,
grazie alla resistenza d’ingresso infinita, risulta IIN = 0. Ne
consegue che Z1 e Z2 sono percorse dalla medesima
corrente.
Ricordando poi che i due ingressi sono al medesimo potenziale
(Av = infinito) si ha che la tensione ai capi di Z1 è uguale al
segnale d’ingresso VIN. Z1·I1=VIN
La tensione d’uscita sarà quindi la somma delle tensioni ai capi di ZI e Z2, ovvero:
Vo = Z1·I1 + Z2·I1 = VIN + Z2·(VIN/Z1) = VIN·(1 + Z2/Z1)
Si può quindi dedurre che il guadagno AV = VO/VIN è dato da:
AV = 1 + Z2 / Z1
Si noti che - in base alla formula ottenuta - il guadagno non potrà mai essere inferiore all’unità, e se si desidera ottenere un
guadagno unitario occorre porre Z2 = 0 oppure Z1 infinita (oppure ancora entrambe le condizioni).
VIN
AV = 1 + Z2 / Z1
VO
Z2
Z1
ingresso
50mV/div
I1 = I2
segnale
amplificato
Questa configurazione presenta un’impedenza d’ingresso
infinita ed una resistenza d’uscita pressochè nulla; per
questo motivo
l’amplificatore non-invertente viene spesso usato come
“buffer” per isolare la sorgente di segnale dal carico, in
modo da evitare “effetti di carico” indesiderati.
uscita
2V/div
Inseguitore
Dalle considerazioni viste a proposito dell’amplificatore non-invertente circa le condizioni che permettono di
ottenere un guadagno unitario, si può disegnare lo schema del cosiddetto “inseguitore”, riportato in figura. A
= 1, z2 = 0, Z1 = ∞
Vin
Vout
si tratta di un circuito in grado di riprodurre in uscita esattamente il
segnale d’ingresso. Esso viene anche definito un “buffer” a guadagno
unitario. Vout = Vin
Spesso occorre infatti separare (si dice anche “disaccoppiare”)
il carico dalla sorgente del
segnale, ad esempio
quando
occorre un adattamento di impedenza fra l’uno e
l’altro.
Proprio poiché questo circuito non modifica il segnale
.
applicato,
a primo avviso può sembrare che non serva a nulla.
In realtà, invece, esso presenta un notevole vantaggio:
amplifica la corrente, ed è quindi in grado di pilotare un carico
di bassa impedenza, senza sovraccaricare la sorgente del
segnale, utile qualora essa sia costituita da un trasduttore in
grado di erogare poca corrente
Parametri degli amplificatori Ri, Rout, G, G*B)
La tensione di uscita dell'amplificatore non invertente
realizzato
con
operazionale
risulta direttamente
proporzionale alla tensione applicata in
ingresso,
secondo
la semplice formula di calcolo:
la presenza di retroazione ha abbassato il guadagno del
circuito, ma non ha eliminato la saturazione, che resta
sempre
e comunque un limite fisico insuperabile del
componente
operazionale.
La caratteristica ingresso-uscita
dell'amplificatore
(con
il
taglio evidente dovuto alla
saturazione) è mostrata in figura
Il discorso può
essere
ripetuto pressoché
identico anche per l'amplificatore invertente.
Anche in questo caso la formula
vale
uscita
solo fintanto ché la tensione in
non raggiunge Vsat
Sommatore invertente
V1
V2
V3
R1
Il circuito detto “sommatore” può essere considerato una
Rf
variante dell’amplificatore invertente, nel caso in cui vengano
applicati più segnali d’ingresso.
R2
R3
Vout
Nella figura a lato è riportato lo schema di un sommatore a
tre ingressi.
R5
Un tipico impiego di questo circuito è ad esempio quello dei mixer audio, dove in
uscita si desidera avere una “miscelazione” di più sorgenti sonore.
Il segnale d’uscita di questo circuito è, istante per istante, proporzionale alla
somma algebrica (cambiata di segno) delle tensioni di ingresso
V1
V2
I1
R1
I2
R2
I3
R3
IT
Funzionamento
RF
Le tensioni V1 V2 V3 applicate agli ingressi danno origine alle
rispettive correnti I1 I2 I3.
0V
V3
VO
R5
IT = I1 + I2 + I3
e poiché:
se R1 = R2 = R3 = Rf
Ovvero:
Grazie all’impedenza di ingresso infinita e al concetto di
“massa virtuale” prima esposti, l’ingresso invertente si trova
all’incirca a 0 V e pertanto nessuna corrente entrerà in tale
ingresso, ma fluirà tutta verso l’uscita.
VO = – IT R F
VO = – ( I1 + I2 + I3 ) ·RF
VO = – ( V1 / R + V2 / R + V3 / R ) R
VO = – (V1 + V2 + V3 )
L’equazione mostra che la tensione d’uscita, istante
per istante, è la somma delle tensioni d’ingresso. Se
gli ingressi fossero n, l’equazione diventerebbe
VO = – (V1 + V2 + ••• + Vn )
SOMMATORE NON INVERTENTE
Per analizzarlo, usiamo sovrapposizione degli effetti,
applicando prima il solo ingresso V1:
Se si sceglie R1 = R2 = R si ha subito che:
Poiché gli ingressi non assorbono corrente, le resistenze R1 e R2 risultano collegate in serie per cui La resistenza di
ingresso, scegliendo R1 = R2 = R e pari
a:
Rin = R1 + R2 = 2 R
Amplificatore differenziale
Abbiamo visto che le principali configurazioni di amplificatori in cui il segnale d’ingresso viene applicato
ad un solo ingresso, sono invertente oppure non invertente. Applicando invece i segnali ad entrambi gli
ingressi dell’Op Amp si realizza un particolare tipo di amplificatore, detto “differenziale”, in quanto
amplifica la differenza fra i due segnali.
Per analizzare questo circuito si può
applicare il principio di sovrapposizione
degli effetti, per cui si ha che la tensione
V- misurata all’ingresso invertente vale:
R2
V1
V2
R1
R3
Vo
R4
V- = V1·R2/(R1+R2) + Vo·R1/(R1+R2)
mentre:
V+ = V2·R4/(R3+R4)
ma, grazie all’equipotenzialità degli
ingressi, possiamo porre: V+ = V-
Uguagliando quindi le due espressioni, si può notare in particolare che, se si fa sì che R2/R1 = R4/R3 (ovvero si
realizza un “differenziale bilanciato”) si ottiene che:
Vo = (V2-V1)·R2/R1
ovvero
Ad = Vo/(V1-V2) = R2/R1
Mentre le configurazioni invertente e non-invertente vengono utilizzate con uno degli ingressi a massa,
nell’amplificatore differenziale viene amplificata l’effettiva differenza fra i due segnali V1 e V2, anche se non riferiti a
massa
Quindi, se a V1 e V2 viene applicata la medesima tensione, essa non viene amplificata.
Si noti che i due segnali d’ingresso non
sono
necessariamente continui, bensì la formula prima
ricavata vale anche nel caso in cui V1 e V2 siano
comunque variabili nel tempo.
R3
V1
V2
R1
R2
Vout
R4
Ciò significa che V1 e V2 possono essere anche
segnali fra di loro molto differenti; ad esempio V1
può essere sinusoidale e V2 triangolare, oppure
ancora V1 una tensione continua e V2 un’onda
quadra.
COMPARATORE A FINESTRA
Questo circuito non può funzionare "a vuoto" (cioè senza carico), ma
solo in presenza di una resistenza RL
che
garantisce
un
passaggio
di
corrente sufficiente per polarizzare i due diodi in
zona diretta .
Quando Vrf2 < Vi < Vrf1 (Vi compresa fra le due tensioni di
riferimento), entrambi gli operazionali A1 e A2 saturano a -Vsat e
dunque D1 e D2 sono in interdizione (Vout = 0V).
Se Vi < Vrf2, l'operazionale A2 satura a +Vsat e porta in conduzione il diodo D2: in questo
caso dunque Vout= +Vsat (a meno della caduta di tensione sul diodo). Analogamente se Vi>Vrf1,
l'operazionale A1 satura a +Vsat e porta in conduzione D1.
Anche in questo caso Vout = +Vsat.
In pratica la tensione di
uscita Vout vale 0 V
solo quando entrambi gli operazionali sono a - Vsat, cioè
solo quando Vi è compresa fra
le due
tensioni di
riferimento.
In ogni altro caso, Vout = +Vsat.
COMPARATORE A FINESTRA
Questo circuito non può funzionare "a
vuoto" (cioè senza carico), ma solo in
presenza di una resistenza RL
che
garantisce
un
passaggio
di
corrente
sufficiente per polarizzare i due diodi in
zona diretta .
Se Vi risulta maggiore di VH o minore di
VL, uno dei due diodi è in conduzione,
circola una corrente in RL, si ha una
caduta di tensione su di essa, Vo = VoH;
se Vi risulta compresa tra VL e VH,
entrambi i diodi sono interdetti, non
circola corrente in RL, i suoi estremi
sono equipotenziali, Vo = 0
Trigger di Schmitt (comparatore con isteresi)
Generalità
In molte situazioni pratiche, è possibile che sulla linea d’ingresso compaiano delle fluttuazioni di tensione indesiderate (rumore)
Per comprendere meglio le conseguenze negative del rumore in ingresso consideriamo un
segnale sinusoidale a bassa
frequenza applicato all’ingresso di un comparatore utilizzato come rivelatore di livello zero (fig. a).
Dalla figura a lato è possibile vedere che quando la
sinusoide si avvicina allo 0, le fluttuazioni dovute al
rumore, costringono l’ingresso complessivo a oscillare
varie volte al di sopra e al di sotto dello 0, producendo di
conseguenza un andamento irregolare dell’uscita (fig. b).
L’andamento irregolare della tensione d’uscita si verifica
perché, a causa del rumore, il comparatore è costretto a
commutazioni improprie.
L’instabilità si innesca ogni volta che la Vin si avvicina
alla tensione di riferimento.
Per rendere il comparatore meno sensibile al rumore si può
impiegare la tecnica chiamata isteresi , basata sulla
retroazione positiva.
Isteresi
Per isteresi si intende sostanzialmente il fatto che, quando
la tensione d’ingresso sale (passa da un livello minore a uno
maggiore) , il livello della tensione di riferimento risulta più
elevato di quando la tensione d’ingresso scende (passa da
un livello maggiore ad uno minore)
Si definiscono due livelli di riferimento:
UTP = Upper trigger point
LTP = Lower trgger point
Trigger di Schmitt invertente
in quanto l'uscita commuta a -Vsat quando Vi cresce e supera la tensione di soglia superiore
Se Vin = Vout (max)
Vin
R1
Vout
La tensione retroazionata all’ingresso non invertente è a livello alto
«UTP» e vale
VTH = R2 / (R1+ R2 ) [+Vout(max)]
R2
Se Vin > UTP
Vin : 5V/div.
Vout: 5V/div.
T : 0.2ms/div.
Vout = - Vout(max)
La tensione retroazionata all’ingresso non invertente è a livello basso»
LTP» e vale
VTL = ( R2 / R1+ R2 ) [-Vout(max)]
Prima che il dispositivo possa commutare nell’altro stato
Vin dovrà scendere sotto LTP
Ia differenze fra le due tensioni di riferimento «D» è un dato di progetto e consente di determinare il valore di R1 e R2
Trigger di Schmitt non invertente
La configurazione più semplice è la seguente:
La tensione presente al morsetto non invertente, che
dipende sia dalla tensione di ingresso Vi che dalla
tensione di uscita Vu, è confrontata con la tensione
presente al morsetto invertente che in questo caso
vale 0V. ( V- potrebbe anche essere diversa da
zero)
Applicando il principio di sovrapposizione degli effetti sulla maglia di uscita avremo:
In corrispondenza della commutazione V+ = 0 per cui
𝑅2 /(𝑅1 + 𝑅2) 𝑉o + 𝑅1 /(𝑅1 + 𝑅2) 𝑉i = 0
tensione di riferimento a livello alto Vth = Vsat*R1/R2
tensione di riferimento a livello basso Vtl= -Vsat*R1/R2
D = Vth – Vtl = 2Vsat*(R1/R2)
 Vi = R1/R2*Vo
CONVERTITORE FREQUENZA-TENSIONE
La maggior parte dei convertitori tensione-frequenza possono lavorare in modo contrario tramite un'opportuna circuiteria
esterna.
Come illustrato in l'ingresso del comparatore, invece di essere collegato all'uscita dell'integratore, riceve il
segnale di ingresso Vidi frequenza variabile fi. L'uscita dell'integratore viene ora utilizzata come uscita del
dispositivo dalla quale uscirà una tensione V0proporzionale alla frequenza fi del segnale di ingresso.
Ogni volta che il segnale Vi scende al di sotto di -Vref il
comparatore commuta a livello
alto attivando il
monostabile. L'impulso positivo del monostabile sposta il
commutatore S dalla posizione A alla posizione B e lo
mantiene per tutto il periodo di tempo TB pari alla durata
dell'impulso stesso.
Durante questo intervallo il condensatore C dell'integratore tende a caricarsi per effetto della corrente I0.
Alla fine dell'impulso il commutatore viene portato nella posizione A e il condensatore comincia a scaricarsi
sul resistore R. A regime il valore medio della corrente che entra nel condensatore è uguale al valore medio
della corrente di scarica che tramite R è proporzionale al valore medio della tensione V0 sul condensatore.
In conclusione, al variare della frequenza del segnale in ingresso, varia proporzionalmente il valore medio
della corrente in ingresso a C e quindi il valore medio della tensione in uscita.
È da notare il fatto che dovendo Vi scendere sotto il valore di -Vref e rimanerci per un tempo inferiore alla
durata dell'intervallo TB, il segnale di ingresso dovrebbe essere squadrato da un trigger di Schmitt e
applicato al convertitore attraverso un circuito deviatore. Se il segnale di ingresso rimane al di sotto di -Vref
per un tempo superiore a TB, l'uscita del comparatore, essendo allo stato alto, porterebbe ad un errato
scatto del monostabile.
Multivibratore astabile
R
integratore
VC
Vf
Vout
C
R2
R1
Comparatore con
isteresi
Il generatore d’onda quadra o
multivibratore astabile rappresentato
a lato è costituito in pratica da un
integratore e da un comparatore con
isteresi collegati in modo da
realizzare l’anello chiuso.
All’ingresso invertente è direttamente
collegata
la
tensione
del
condensatore mentre all’ingresso non
invertente è applicata una parte
dell’uscita, retroazionata per mezzo di
R2 e R1
Vout: 5V/div.
T : 0.2ms/div.
Funzionamento
R
Quando viene fornita l’alimentazione
al circuito, C è scarico e pertanto
l’ingresso invertente è a 0 V.
VC
Vf
Vout
C
R2
R1
Questa condizione impone l’uscita
al
massimo
valore
positivo,
permettendo a C di iniziare a
caricarsi verso Vout attraverso R.
Quando VC raggiunge un valore
uguale alla tensione di retroazione
presente
sull’ingresso
non
invertente, l’uscita dell’operazionale
commuta
al
massimo
valore
negativo.
A questo punto C comincia a
scaricarsi passando da +Vf a – Vf .
Nell’istante in cui VC raggiunge – Vf
l’uscita dell’operazionale commuta
nuovamente al massimo valore
positvo.
Questo comportamento continua a
ripetersi consentendo la generazione
di una Vout a onda quadra, come in
figura
Per regolare il ciclo utile, si può usare il circuito in figura; durante
la fase di carica sarà in conduzione solo il diodo D2 per cui:
Durante la fase di scarica sarà in conduzione solo il diodo D1
quando i due resistori di retroazione sono uguali, cioè R1 = R2
di oscillazione diventa:
ƒ = 1 / 2.2RC .
la
frequenza
Multivibratore monostabile
A riposo con l'ingresso invertente a massa (cortocircuitato dal diodo D) l'uscita si mantiene allo stato di saturazione
positiva: Vo=VOH. Normalmente si dimensiona R3>>R2 in modo che al terminale non invertente si presenta la tensione:
Nell'ipotesi di applicare in ingresso un impulso negativo si ha istantaneamente V+<V- e l'operazionale commuta a livello di
saturazione inferiore Vol
. Contestualmente al morsetto non invertente si ha:
Il condensatore C non è più bypassato dal diodo e la cella RfC tende a
caricare il condensatore il condensatore con andamento esponenziale
decrescente fino a Vol.
Quando la tensione ai capi del condensatore raggiunge e supera in discesa
il valore di Vtl si verifica V+>V- e l'operazionale ricommuta al livello di
saturazione superiore VOH e
tensione
VOH
il
condensatore C tenderà a caricarsi alla
alta, ma raggiunta la tensione tensione di soglia del diodo
D ( V= 0,5V circa ) il fenomeno di carica si blocca dato che il diodo
manda in cortocircuito il condensatore rimanendo in tale stato finché in
ingresso non viene mandato un nuovo impulso negativo.
Durata dell’impulso:
Tramite la stessa equazione è possibile determinare il tempo di ripristino
Tramite un equazione simile è possibile calcolare il tempo di ripristino Tr = 0.4Rf*C
Quando i due resistori di retroazione sono uguali, cioè R1 = R2 la durata dell’impulso diventa:
T = 0,69RC .
.
ONDA TRIANGOLARE
COME INTEGRALE DI
UN'ONDA QUADRA
Integrando i tratti costanti di valore A, si ottengono
segmenti di retta crescenti con pendenza A. Infatti:
Analogamente per i semiperiodi negativi, si
ottengono segmenti di retta con pendenza -A.
Il risultato è mostrato nella figura seguente:
L'onda triangolare in figura ha valor medio non nullo, ma questo
risultato dipende semplicemente dal valore iniziale della curva in t=0, che
è stato assunto arbitrariamente uguale a zero.
GENERATORE DI ONDA TRIANGOLARE: CIRCUITO TEORICO
Nei generatori di onda quadra realizzati circuitalmente il valore medio dell'onda
generalmente nullo.
triangolare prodotta è
In base alle considerazioni precedenti, per realizzare un generatore di onda triangolare basta in teoria
collegare un multivibratore astabile (generatore di onda quadra) in cascata con un circuito integratore.
Lo schema è mostrato nella figura seguente:
Il circuito che non funziona
per la presenza di
componenti continue che portano l’operazionale
in saturazione ; v i e n e
modificato
in
L’ingresso
del
dell'integratore.
trigger
è
prodotto
A sua volta l'ingresso dell'integratore
l'uscita del trigger di Schmitt.
dall'uscita
coincide
con
ANALISI DEL CIRCUITO
Come sappiamo, l'uscita di un trigger di Schmitt, a causa della retroazione positiva interna, può assumere solo due valori possibili,
+Vsat oppure - Vsat. Supponiamo dunque che sia Vo =+Vsat.
In questo caso l'uscita dell'integratore sarà una rampa decrescente (risultato dell'integrazione invertente di una tensione di
ingresso con valore costante positivo):
La rampa e la tensione di ingresso del trigger di Schmitt.
Quando tale tensione raggiunge la tensione di soglia inferiore, l'uscita Vo del trigger commuta a
–Vsat; questa condizione si verifica per un valore di Vti = uguale a: -Vsat*R1/R2
(R1<<R2)
Da questo istante Vout commuta a -Vsat e l’uscita dell’integratore diventa una rampa crescente;
tensione Vout1 rimane costante fino a quando Vout risulta uguale a :
Vts = Vsat*R1/R2
I valori massimi e minimi dell'onda triangolare sono pari alle due tensioni di soglia superiore e inferiore del trigger di Schmitt non
invertente:
OSCILLATORE
Gli oscillatori sono dispositivi in grado di fornire in uscita un segnale sinusoidale senza che all’ingresso
sia applicato nessun segnale specifico, sfruttando solo la tensione di alimentazione.
Ciò significa che l'oscillatore è un dispositivo in grado di manifestare una risposta libera di tipo
sinusoidale non smorzato sfruttando gli effetti della retroazione.
Normalmente un'eventuale oscillazione spontanea prodotta da un circuito si smorza nel tempo, a causa dei fenomeni dissipativi sempre
presenti (dovuti alle resistenze). Ciò avviene per esempio in un sistema oscillante semplice come il circuito RLC (resistore, induttore,
condensatore in serie o parallelo).
In un oscillatore l'oscillazione spontanea può mantenersi se viene rigenerata continuamente
Su noti che il sistema complessivo (quello formato da A e β) non ha ingressi, il sistema oscilla solo se la tensione in uscita Vo è una
tensione sinusoidale con una determinata frequenza
Supponiamo che si inneschi un oscillazione all’ingresso del blocco A Tale oscillazione sinusoidale, passando attraverso il blocco A, cambierà
in generale la propria ampiezza e la propria fase, mentre la frequenza resterà invariata (supponendo A lineare). Di conseguenza la
tensione all’uscita del blocco A sarà una sinusoide isofrequenziale con V i ma con ampiezza e fase differenti.
A questo punto Vo passa attraverso il blocco B e subisce un ulteriore sfasamento e cambio di
ampiezza. Se però β è realizzato in modo tale da compensare esattamente le variazioni introdotte
dal blocco A, è possibile fare in modo che il segnale Vf (in uscita dal blocco B) sia esattamente
uguale al segnale Vi generato inizialmente .
In queste condizioni il segnale si automantiene poiche viene riportato uguale in ingresso al blocco
A
In un circuito retroazionato costituito da due sottosistemi A e β è in grado di produrre oscillazioni che si mantengono nel tempo con
ampiezza costante la condizione che permette di innescare un oscillazione con pulsazione ω e per la quale è verificata la seguente
condizione:
A(jω).β(jω)
=
1
<A(jω).β(jω)
=
0 (fase uguale a zero)
|A(jω).β(jω)|
=
1 (modulo uguale a 1)
viene definita con criterio di Barkhausen.
In tale condizione il segnale sinusoidale in uscita dal blocco β sarà esattamente identico al segnale in ingresso al blocco A e le oscillazioni
si manterranno nel tempo.
Il circuito non ha ingressi e dunque non esiste il modo di immettere dall'esterno tale oscillazione. L’innesco delle oscillazioni è reso
possibile dai transitori di accensione del dispositivo e dalla presenza del rumore termico dei diversi componenti, che generano
tensioni di uscita dell’ ordine dei µV con frequenze fino a 1000 GHz. Tali tensioni, per quanto piccole, sono sufficienti per innescare la
risposta libera dell'oscillatore anche in assenza di segnali di ingresso.
La condizione |A(jω).β(jω)| = 1 assicura che l'oscillazione
presente nel circuito si mantenga con ampiezza costante, in fase di
innesco occorre
amplificare la debole oscillazione libera prodotta dal circuito, in modo tale da farla aumentare di ampiezza, è
necessario per cui all'innesco
avere
un guadagno
di anello maggiore di uno e cioè |A(jω).β(jω)| > 1
Tale guadagno dev'essere poi riportato a uno non appena le
oscillazioni prodotte sono diventate abbastanza grandi in quanto
guadagno maggiore di uno porterebbe l'oscillatore a saturare molto rapidamente).
Ciò richiede la presenza nel circuito di un sistema di controllo automatico del guadagno.
Nella pratica il controllo automatico del guadagno viene realizzato utilizzando dei diodi che aprono le maglie di retroazione per
segnali di piccola ampiezza, in modo da portare automaticamente il guadagno (in assenza di retroazione) a valori molto elevati o
utilizzando dei termistori che hanno l’inconveniente di avere una resistenza variabile con la temperatura.
Oscillatore a ponte di Wien
Rete lead - lag
L’oscillatore a Ponte di Wien è un tipo di oscillatore sinusoidale. La sua parte fondamentale è la rete lead – lag (anticipatrice-ritardatrice)
in figura che funziona nel seguente modo:
A basse frequenze, è dominante la rete anticipatrice, a causa dell’elevata reattanza di
C2. All’aumentare della frequenza, XC2 diminuisce consentendo di conseguenza
l’incremento della Vout .
In corrispondenza di una particolare frequenza, inizia a prevalere la risposta della rete
ritardatrice e la conseguente diminuzione del valore di XC1 impone la diminuzione della
Vout
La risposta delle rete è
Nell’ipotesi di uguaglianza delle resistenze e delle capacità la fr vale:
In corrispondenza di fr l’attenuazione della rete vale
Riassumendo: la rete lead-lag presenta una frequenza di risonanza, in corrispondenza della quale lo sfasamento introdotto
dalla rete vale 0° e l’attenuazione vale 1/3. Al di sotto di fr prevale la rete anticipatrice (l’ uscita anticipa sull’ingresso), al di
sopra di fr domina la rete ritardatrice (l’uscita ritarda sull’ingresso).
Oscillatore a ponte di Wien
R2
Partitore di tensione
Schema circuitale
Vout
R1
R
C
C
R
Questo circuito oscillatore può essere visto
come la configurazione di un amplificatore
non invertente il cui segnale d’ingresso è
ottenuto dal segnale d’uscita mediante la
retroazione effettuata per mezzo della rete
lead-lag
Rete lead-lag
Il guadagno ad anello chiuso dell’amplificatore è
Affinché il circuito possa oscillare occorre che:
- lo sfasamento lungo l’anello di retroazione positiva sia nullo 0° - il
guadagno lungo l’anello deve essere almeno 1
Condizioni necessarie per l’innesco dell’oscillazione
Inizialmente il guadagno ad anello chiuso dell’amplificatore deve
mantenersi ad un valore maggiore di 1 (quindi Acl>3) fino a che l’uscita
raggiunga il valore desiderato. Il guadagno deve poi diminuire,
riportandosi a 1, affinchè l’uscita si stabilizzi al livello desiderato.
Oscillatore a ponte di Wien autoinnescante
Il circuito in figura illustra uno dei metodi che consentono di ottenere le condizioni di
funzionamento in precedenza descritte.
All’avvio entrambi i diodi Zener si comportano come circuiti aperti. R3 risulta in serie con R1
incrementando il guadagno ad anello chiuso che, essendo R1=2R2, diventa:
Acl = 3 + R3/R2
La rete lead-lag consente solo ad un segnale con frequenza uguale a fr di presentarsi in fase
all’ingresso non invertente. Questo segnale viene continuamente rinforzato dando origine
alla progressiva generazione della Vout.
Quando Vout raggiunge la tensione di breakdown, i diodi Zener entrano in conduzione cortocircuitando R3. In questo modo si abbassa il
guadagno che viene riportato a 3. L’uscita si stabilizza e l’oscillazione può essere mantenuta.
E’ possibile regolare la frequenza di oscillazione utilizzando condensatori variabili nella rete lead-lag
FILTRI: configurazioni principali
• Filro passa basso ideale "integratore"
• Filtro passa basso reale
• Filtro passa alto ideale (derivatore)
• Filtro passa alto reale
• Approsimazione Butterworth
• Approsimazione Chebyshev
• Approsimazione Bessel
Integratore (filtro passa basso ideale)
Se la rete di retroazione di un amplificatore invertente è di tipo capacitivo, il circuito viene detto
“integratore”, poiché è in grado di eseguire l’operazione matematica di integrazione nel tempo del segnale
d’ingresso.
La “massa virtuale” dell’ingresso invertente fa sì che la resistenza R venga attraversata da una
corrente iR = Vin / R. L’elevata impedenza d’ingresso fa però sì che tale corrente attraversi la
capacità C, caricandola, per cui si ha:
iC
iR = iC.
iin
C
Vin
R
Vout
Ciò significa che la tensione d’uscita varia secondo la carica (o la scarica) del condensatore, che infatti “integra” la
corrente nel tempo. Si può quindi scrivere che:
Vout 
1 t
1 t Vin
1 t
i
dt


dt


Vindt
C 
C  R
RC 
Un circuito di questo tipo viene quindi anche chiamato “generatore di rampa”, e trova largo impiego
ad esempio negli oscilloscopi, nei convertitori A/D dei voltmetri digitali, ecc.
A = - X/R = -1/6,28*f*C*R
Nella realizzazione pratica per f  0 (segnale d’ingresso a bassa frequenza o presenza di disturbi), A  ∞
l'uscita satura al valore della tensione di alimentazione Vcc rendendolo instabile
Vout = -Vi*Xc/R =- Vi*/(6.28fCR)
Per evitare l’effetto di saturazione si usa porre in serie alla capacita una resistenza che stabilizza il filtro ma
rende l'integratore non ideale
Filtro passa basso reale
Alle basse frequenze il condensatore non è
percorso da corrente e il
circuito equivalente è quello di un amplificatore invertente.
Vout = - R2/R1 Vin alle basse frequenze (ω=0)
Alle alte frequenze (ω→∞) il condensatore si comporta come
un cortocircuito per cui R2 risulta cortocircuitata e dunque il
guadagno del circuito alle alte frequenze è zero:
Vout = 0 alle alte frequenze (ω→∞)
Lo schema di partenza riguarda per cui la configurazione di un filtro passa-basso attivo, in quanto alle basse frequenze
presenta un guadagno pari a R2/R1 (tralasciando il segno meno che non viene rappresentato sul grafico del modulo)
mentre alle alte frequenze il guadagno è pari a zero
L'andamento del modulo della risposta in frequenza è
La pulsazione di taglio in questo circuito vale:
ωt = 1/(R2C)
ωt = 6.28*ft
Derivatore (filtro passa alto ideale)
Lo schema riportato di sotto è complementare con quello dell’integratore
Se il segnale viene applicato tramite un condensatore il circuito viene denominato “derivatore”, poiché è in grado di
eseguire l’operazione matematica di
derivata nel tempo del segnale d’ingresso.
R
C
VIN
VO
Anche in questa configurazione l’elevata
impedenza d’ingresso dell’operazionale fa sì
che la corrente che attraversa la capacità sia la
stessa che circola attraverso la resistenza,
ovvero: iC = iR
Il circuito è un derivatore puro, ovvero si comporta come un filtro passa
alto con frequenza di taglio infinita.
Questo filtro presenta problemi di stabilità in quanto nella realizzazione
pratica l'uscita satura al valore della tensione di alimentazione Vcc
positiva per valori di frequenza tendenti all’infinito:
A = - R/X =- 6,28*f*C*R per f  ∞ A ∞
Se la pulsazione w è elevata (segnale d’ingresso ad alta frequenza o presenza di disturbi), l’uscita tende a saturare
per evitare questo effetto, si usa porre in serie alla capacita una resistenza di piccolo valore
filtro passa alto reale
R
R
VIN
C
2
1
VO
Alle basse frequenze il segnale di ingresso Vin non arriva
all'operazionale, a causa del condensatore aperto, per
cui:
Vout = 0 alle basse frequenze (ω=0)
Alle alte frequenze il condensatore si comporta come un cortocircuito e dunque lo schema
equivalente diventa quello dell'amplificatore invertente:
Vout = - R2/R1 Vin alle alte frequenze (ω→∞)
Lo schema rappresenta per cui un filtro passa-alto attivo, con guadagno R2/R1 alle alte frequenze
e con
pulsazione di taglio pari a a ωt = 1/(R1C) che si comporta da derivatore per
frequenze inferiori a ft = 1/6,28·R1·C, mentre per frequenze superiori si comporta da invertitore.
Andamento del modulo della risposta in frequenza
La pulsazione di taglio vale ωt = 1/(R1C)
Soluzioni con A.O. in configurazione non invertente:
•La funzione di trasferimento di un filtro ideale non è
fisicamente
realizzabile,
quindi
vengono
utilizzate
opportune funzioni approssimanti che ne riproducono
l’andamento entro tolleranze prefissate.
•Esistono vari tipi di funzioni approssimanti che danno
origine a varie classi di filtri
(Butterworth, Chebyshev,
Bessel, ecc).
FILTRI: CARATTERISTICHE DELLE RISPOSTE
Esistono vari tipi di funzioni che approsimanp i filtri ideali che danno origine a varie classi di filtri (Butterworth,
Chebyshev, Bessel, ecc).
Ciascun tipo di risposta (Passa Basso, Passa Alto, Passa Banda o Elimina Banda), può essere opportunamente sagomata attribuendo
certi valori ai componenti circuitali.
Si ottengono così la caratteristica Butterworth, la caratteristica di Chebyshev o quelIa di Bessel.
Ognuna di queste è riconoscibile dalla risposta in frequenza che può risultare più o meno vantaggiosa delle altre a seconda delle
applicazioni
Caratteristica di Butterworth Q = 1/2ε = 0.707 (Q: fattore di merito)
• Risposta in frequenza massimamente piatta nella banda passante.
• roll-off di -20 dB/decade per polo (ripidita della rispota in frequenza)
• banda di transizione larga
• risposta in ampiezza sempre decrescente al crescere della frequenza
• la pulsazione naturale, ω0 , coincide con quella a - 3 dB, per ogni ordine del filtro
• risposta all’impulso con overshot (ondulazione in banda passante)
I polinomi di grado n presenti a denominatore della f.d.t. vengono detti polinomi di Butterworth e sono qui appresso elencati, avendo
assunto ωo=1 rad/s
Nel caso di un filtro passa-basso l’approssimazione di Butterworth del modulo del guadagno è:
dove n rappresenta l’ordine del filtro.
Questa funzione ha la caratteristica che per w=0 le sue derivate fino all’ordine n-1 sono nulle, per questo la
risposta di tipo Butterworth è detta massimamente piatta.
Si può notare che, indipendentemente da n, per w=w0 il modulo di H Vale 2*1,41 , che
corrisponde a 3 dB.
Per w>w0 il guadagno decresce con pendenza –n*20 dB/decade.
RISPOSTA DI UN FILTRO PASSA-BASSO DI BUTTERWORTH
Caratteristica di Chebyshev
0.707 < Q = 1/2ε < 1.306 1.306
• Risposta in frequenza caratterizzata da una serie di ondulazioni nella banda passante.
• roll-off iniziale maggiore di -20 dB/decade per polo
• banda di transizione meno larga rispetto a Butterworth
• risposta in ampiezza sempre decrescente al crescere della frequenza
• la pulsazione naturale, ω0 , NON COINCIDE con quella a - 3 dB, per ogni ordine del filtro
• risposta all’impulso priva di overshot.
Garantisce un roll-off iniziale elevato maggiore di quello fornito dai filtri Butterworth, ossia una notevole attenuazione,
già poco oltre la frequenza di frontiera, ma a discapito della piattezza della risposta in banda passante dove la curva
presenta un’ondulazione (ripple).
I dati del progetto sono l’ampiezza massima del ripple amax maggiore di 3dB, e la frequenza di frontiera fc, detta anche
lunghezza del canale del ripple, vale a dire il valore di frequenza oltre la quale la curva di risposta scende al di sotto del
limite di guadagno fissato in banda passante
FILTRO DI CHEBYSHEV
Il modulo del guadagno di un filtro bassa-basso di
Chebyshev è:
dove Cn è il polinomio di Chebyshev di grado n.
Nella banda passante il modulo ha dei massimi, di valore 1 e dei minimi di valore
, quindi
definisce il valore del ripple nella banda passante.
Il numero complessivo di minimi e massimi (incluso quello nell’origine) è pari a n.
Per w>w0 il guadagno inizialmente decresce in modo più rapido rispetto al caso del filtro di
Butterworth
Per w>w0 la pendenza si riduce e tende a –n*20 dB/decade
RISPOSTA DI UN FILTRO PASSA-BASSO DI CHEBYSHEV (RIPPLE=3dB)
Caratteristica di Bessel
Q = 1/2ε = 0.577
• Risposta in frequenza meno piatta nella banda passante.
• roll-off iniziale minore di -20 dB/decade per polo
• banda di transizione meno larga rispetto a Butterworth
• risposta in ampiezza sempre decrescente al crescere della frequenza
• la pulsazione naturale, ω0 , NON COINCIDE con quella a - 3 dB, per ogni ordine del filtro
• risposta all’impulso priva di overshot.
Mira a conseguire una buona linearità della curva di fase in banda passante.
Ciò equivale ad avere un ritardo di fase o tempo di ritardo tph costante per tutte le frequenze, pertanto il filtro di
Bessel funge da linea di ritardo.
Per valori elevati di ε delle forme quadratiche (ε = 0.866 per un filtro del secondo ordine) la risposta al gradino non
ha carattere oscillatorio
Indipendentemente dal fatto che si tratti di un passa-basso, di un passa-alto, di un passa-banda o di un filtro elimina-banda è il
fattore di smorzamento (damping factor) di un filtro attivo che stabilisce il tipo di risposta che caratterizza il filtro stesso
Il guadagno Ao varia a seconda del tipo di filtro
Il fattore di smorzamento ζ può assumere valori diversi a seconda dell’approssimazione considerata:
ζ = 0,707 per un’approssimazione di Butterworth
ζ > 0,707 e cioè ζ =0,866 per un’approssimazione Bessel;
ζ < 0,707 e cioè ζ =0,579 per un’approssimazione Chebyschev con Ripple = 0,5 dB, 0,433 per Ripple =2dB e
ζ =0,383 per Ripple = 3dB.
Solo per i filtri alla Butterworth il valore della pulsazione naturale (ω0) coincide con quello della pulsazione di taglio (ωT) ; negli
altri casi
ω0 = ωT • fC per i filtri passo-basso
ω0 = ωT / fC per i filtri passa-alto,
dove fC è il coefficiente di conversione riportato nelle tabelle.
I filtri attivi” che impiegano amplificatori operazionali con elementi realizzabili solo al di sotto dei 500 Khz poiché
l'amplificatore operazionale ha bisogno di un guadagno ad anello aperto elevato sulla banda di funzionamento.
•Per evidenziare le diverse caratteristiche di risposta in ampiezza dei filtri alla Butterworth, alla Chebyshev e alla Bessel, in
figura sono riportate le curve relative a filtri passa-basso del secondo ordine di ciascun tipo a guadagno unitario (Ao = 1) e con la
stessa fo. Si noti in particolare il diverso valore assunto nei vari casi dal fattore di smorzamento.
•
Filtro passa-basso VCVS del secondo ordine
Esempio: Determinare come può essere strutturato un filtro passa-basso del 6° ordine, con pulsazione di taglio ωH=1000 rad/sec, secondo
la tecnica di approssimazione di Butterworth.
Soluzione: la f.d.t. non ha zeri e presenta a denominatore un polinomio di 6° grado (n=6), scomponibile nel prodotto di 3 forme
quadratiche, pertanto si realizza disponendo in cascata tre celle filtranti LP (Low-pass) del 2° ordine. Per ciascuna cella si assume
ωo = ω H = 1000 rad/s mentre diversi sono i valori di ε forniti dai polinomi di Butterworth di ordine 6°, pertanto si trova:
QUINTA:
INDICE
• Automazione
• sistemi real time ed embedded field programmable gate ...
• ROBOTICA
• il processo industriale
• architettura generale di un sistema di controllo
• dcs: sistemi di controllo distribuiti
• contratti di lavoro /analisi dei costi
• normativa di progetto
• la normativa sulla sicurezza introduzione sicurezza su...
• appendice a: trasmissione meccanica
AUTOMAZIONE
1. Automazione
2. Automazione rigida
3. Automazione programmabile
4. Automazione flessibile
AUTOMAZIONE
Per automazione si intende l’insieme di tecnologie volte a implementare sistemi che operino in modo autonomo, e
che siano in grado di:
•sostituire l’uomo nelle molteplici attività da lui svolte (specie quelle ripetitive, nocive o ad alto rischio);
•realizzare attività che l’uomo è impossibilitato a svolgere (esplorazione sottomarina o spaziale, ambienti
contaminati, etc.).
L’insieme di tecnologie sono rivolte ad utilizzare sistemi Meccanici, Elettronici ed Informatici per il controllo e per
la produzione nelle industrie formano l’automazione industriale (detta anche automazione del processo di
produzione industriale).
la componentistica per
gli impianti di automazione riguarda:
- automazione di controllo: computer, sensori, misuratori
- automazione rigida: macchine cnc, robot multifunzione, linee transfer rigide, meccanizzazione
- automazione flessibile: cnc, robot multifunzione, robot monofunzione, automazione delle operazioni
Si può effettuare una classificazione dell’automazione industriale sulla base delle capacità produttive:
Automazione Rigida:
Caratteristiche dei processi:
•Produzione in serie di grossi lotti di prodotti aventi caratteristiche costanti;
•Sequenze fisse di operazioni da eseguire molte volte.
Caratteristiche delle macchine (atte ad implementare il processo di automazione rigida) sono:
• architettura meccanica monoscopo ed altamente specializzata,
progettata per operare una sola tipologia lavorativa con ottimizzazione dei tempi della produzione;
• sistema di controllo dedicato, realizzato mediante PLC o tecniche
cablate, solitamente con modesta o nulla capacità di riprogrammazione per altre attività.
ESEMPIO: MACCHINA NC « CONTROLLO NUMERICO»
•



La macchina è in grado di eseguire le istruzioni lette su una scheda senza l’intervento di un lavoro
diretto, il sistema di controllo sostituisce l’operatore che in base alla scheda di controllo svolge le
manovre sulla macchina
I CNC (Computer Numerical Control) sono dispositivi utilizzati nel controllo di macchine utensili e altre
macchine di produzione.
Il compito primario del CNC è quello della pianificazione o generazione delle traiettorie dell’utensile e
conseguentemente degli assi di macchina.
Il valore di un CNC è per la maggior parte costituito dal software estremamente sofisticato necessario per
la pianificazione e l’esecuzione dei programmi di lavoro
Automazione Programmabile:
Caratteristiche dei processi:
• Produzione di piccoli e medi lotti di prodotti con caratteristiche variabili;
•Molteplici sequenze di operazioni di diverso tipo;
Caratteristiche delle macchine:
• architettura meccanica versatile, progettata per operare su oggetti diversi appartenenti alla stessa
tecnologia di gruppo;
• sistema di controllo riprogrammabile e/o adattivo.
ESEMPIO: Macchina CNC (computer numerical control) che agisce sul proprio sistema automatico di controllo.
•
La memoria del computer contiene i programmi specifici atti a far svolgere una parte o tutte le funzioni base della
macchina NC. La memorizzazione
dei programmi può essere effettuata da supporto magnetico, da scheda
perforata o manualmente.
•
L’input per far funzionare la macchina è fornito da programmi specifici : la macchina applica a ciascun semilavorato
il programma richiesto scegliendo tra il range di variazione di programmi che possiede nella propria memoria.
•
Controlli numerici, CNC (Computerized Numerical Control), sono essenzialmente dispositivi elettronici costituiti da
una o più unità centrali (CPU)
che per il tramite di specifici software di elaborazione dati sono in grado di
automatizzare il funzionamento di macchine operatrici ed impianti produttivi.
Automazione Flessibile:
Caratteristiche dei processi:
• Produzione su richiesta di lotti di dimensione variabile caratterizzati da prodotti diversi ;
• Richieste di elevati ritmi di produzione;
• Lavorazioni che richiedono tecnologie sofisticate;
• Logistica interna e di magazzino.
Caratteristiche delle macchine:
• architettura meccanica altamente versatile, progettata per operare su oggetti diversi caratterizzati da
diverse tecnologie;
• sistema di controllo riprogrammabile;
• alta integrazione con il sistema informativo aziendale.
Esempio: Robot
I robot si possono catalogare
•
•
in due macro categorie autonomi
e non autonomi.
I robot "non autonomi" sono i classici robot utilizzati per adempiere a specifici compiti che riescono ad
assolvere in maniera più efficace dell'uomo; alcuni casi sono i robot utilizzati nelle fabbriche con l'enorme
vantaggio di poter ottenere una produzione più precisa, veloce ed a costi ridotti;
I robot autonomi sono invece caratterizzati dal fatto che operano in totale autonomia ed indipendenza
dall'intervento umano e sono in grado di prendere decisioni anche a fronte di eventi inaspettati.
Si hanno
ROBOT MONOFUNZIONE
• Macchine in grado di manipolare semilavorati senza intervento di lavoro diretto
• Robot traslatori (trasferire pezzi)
• Robot ribaltatori (modificare la posizione dei pezzi)
• Robot posizionatori (posizionare pezzi)
•
•
ROBOT MULTIFUNZIONE
Macchine complesse che abbinano movimentazione e lavorazioni.
Dotate di automatismi in grado di spostare i pezzi e di eseguire tramite più teste di
numerose operazioni programmate.
lavorazione,
AUTOMAZIONE INDUSTRIALE
•
Diverse tipologie di automazione (valori indicativi)
Tipologie di automazione industriale
sistemi real time ed embedded
field programmable gate array (fpga)
struttura di un fpga
sistemi emdebbed
sviluppo di un sistema emdebbed
differenze fra sistemi embedded / a bus
Microprocessori in robotica
verso l'industria 4.0
CENNI STORICI
• Anni 70: gates, SSI, MSI, LSI
Successivamente: dispositivi programmabili (a livello di funzioni logiche, connessioni) anche sul
campo come EPROM, PAL, PLA, PLD (studiati nel corso di Reti Logiche); i PLD (Programmale Logic
Devices) programmati per applicazioni specifiche vengono definiti con ASIC: Application Specific
Integrated Circuit)
• Anni 80/90: introduzione di dispositivi logici ad elevata scala di integrazione di FPGA (e CPLD),
programmabili sul campo mediante linguaggi HDL
FPGA Altera
FPGA Xilinx
In questi ultimi anni Le Logiche Programmabili FPGA sono state il il prodotto più innovativo nel
panorama dei componenti elettronici e stanno divenendo la soluzione privilegiata di quasi tutti i
costruttori di sistemi elettronici.
Una logica programmabile è un circuito integrato in grado di esplicare una funzionalità
programmabile da utente, ottenibile mediante un insieme di strumenti software che supportano
tutti i passi necessari del processo di progettazione
DA un punto di vista architetturale è possibile dividere le Logiche Programmabili in tre categorie:
PLD (Programmable Logic Device), FPGA (Field Programmable Gate Array) e SoPC (System on
Programmable Chip) che presentano le seguenti tipicità:
• FPGA: composti da blocchi logici configurabili (Configurable Logic Blocks – CLB) che possono
essere interconnessi tra loro in modo trasparente all’utente utilizzando linguaggi di
programmazione di alto livello (e.g. HDL o HLS)
• programmabili (e riprogrammabili) sul campo
• relativamente poco costosi, rapido time to market, supportati da linguaggi di alto livello (C/C++)
o Hardware Description Language (VHDL o Verilog)
• ideali per lo sviluppo rapido di prototipi (e.g. usati per lo sviluppo di microprocessori)
• ideali per dispositivi a basso consumo
• consentono un elevato livello di astrazione -> è possibile implementare in hardware non
solo reti logiche tradizionale ma anche algoritmi
STRUTTURA DI UN FPGA
Una FPGA consiste in un insieme di Configurable Logic Blocks (CLB) che possono essere connessi
tra loro.
La funzione dei singoli CLB e delle connessioni viene impostata dal progettista mediante
programmazione (“sul campo”).
Tale programmazione può essere ripetuta più volte (teoricamente “infinite”).
E costitutita da:
- componenti logici (porte logiche, Flip-Flop,
Buffer
- Linee di connessione,
- Sistemi di interrconnessione (Multiplexer,
connessioni)
- Porte di I/O
- Tipologie di Circuiti Programmabili
PLA, PAL, ROM.
CPLD
FPGA
Che possonoi essere programmati con modalita’ dioverse:
1. programmabili a maschera (MPGA), 2. programmabili una volta (Fuse o Antifuse)
3. riprogrammabili (EEPROM, SRAM)
4. riconfigurabili (SRAM)
esistono diversi produttori di FPGA e differenti tecnologie che si differenziano per due aspetti
principali:
•
Tecnologia utilizzata per le connessioni
- Fusibili
- Memorie flash
- Memorie SRAM
•
Struttura dei (CLB)
Nella figura è mostrato, in forma semplificata, la rete logica, denominata Logic Cell (LC), alla
base di un ipotetico CLB.
Il blocco LUT (Look-up-table) non è altro che una
rete combinatoria programmabile
Il blocco LUT, può essere anche riprogrammato per
agire come uno shift-register o un una memoria
(distributed RAM)
.
FPGA E CLOCK
Le FPGA sono normalmente configurate per realizzare reti sincrone (e.g. mediante approccio
diretto e per implementare algoritmi).
Per questo motivo è necessario prevedere (almeno) un segnale di clock da inviare alle RSS (Reti
Sequenziali Sincrone) che compongono il progetto su FPGA.
Spesso, nei progetti più complessi esistono più domini di clock, ovvero diversi moduli della logica
su FPGA utilizzano clock diversi (sia come frequenza sia come duty-cycle)).
Nascono quindi delle problematiche inerenti il passoggio di informazioni tra diversi domini di clock.
Sistemi emdebbed
Il sistema embedded
identifica genericamente tutti quei sistemi elettronici di elaborazione
digitale a microprocessore progettati appositamente per una determinata applicazione (special purpose)
ovvero non riprogrammabili dall'utente per altri scopi, spesso con una piattaforma hardware ad hoc,
integrati nel sistema che controllano ed in grado di gestirne tutte o parte le funzionalità richieste.
Nel settore dell’automazione gli esempi di sistemi embedded

Personal computer dedicati all'automazione industriale e il controllo di processo.

Apparecchiature per reti informatiche come router, timeserver e firewall, switch.

I PLC (Programmable Logic Controller) utilizzati per l'automazione industriale.
in particolare un esempio concreto e a massima diffusione di architettura embedded basata su ASIC è la
parte di comunicazione presente oggi indistintamente in tutti i PLC, nei sistemi HMI e in moltissimi dispositivi
di campo utilizzati in automazione industriale in grado di gestire più protocolli e di garantire la connessione
di un dispositivo a differenti strutture di comunicazione.
Un sistema embedded è un sistema di elaborazione che:




Interagisce con il mondo esterno
Ha un’interfaccia utente primitiva o inesistente
È inserito in altri prodotti (es. in automobile)
È “single purpose”: fa una cosa sola in modo efficiente ed economico (contro i PC che sono “general
purpose”)
L’interazione del sistema col mondo esterno, di per sé analogico,
rende indispensabile per un S.E. la capacità di raccogliere,
campionare e trasmettere segnali attraverso attraverso degli
stadi aggiuntivi
• I S.E. includono dispositivi quali:
– Sensori
– Attuatori
– Convertitori A/D e D/A
• L’’interazione con l’utente avviene con mezzi spesso semplificati:
– Display di dimensione ridotta
– Dispositivi di input limitati
– Dispositivi di I/O specializzati rispetto alle competenze o al modo di operare dell’utente
• Si possono sommare eventuali strumenti di diagnosi che possono essere previsti per individuare in modo
veloce situazioni di allarme, guasti, errori di sistema, ecc.
• Alimentazione e raffreddamento
- Il consumo di potenza influisce direttamente sul costo complessivo e sulla complessitàdell’hardware in
particolar modo per quanto riguarda alimentatori, batterie, sistemi di raffreddamento
• È necessario ridurre le potenze in gioco:
– da un lato si cerca di aumentare l'autonomia dei dispositivi elettronici portatili
– dall'altro si vuole ridimensionare i sistemi di Raffreddamento ("cooling")
Sono sistemi embedded quelli installati nei telefonini, nelle automobili, negli elettrodomestici, nei ricevitori GPS,
nei satelliti, nei giocattoli, ecc.
Al mondo si stima ci siano alcune centinaia di milioni di PC e server ma diversi miliardi di sistemi embedded.
Caratteristiche di un sistema embedded real-time
Un sistema embedded deve essere progettato tramite meccanismi hardware e/o software adeguati a gestire il
tempo di esecuzione dei processi entro intervalli certi
Lo sviluppo di sistemi real-time che devono garantire prestazioni certe e precise implica l'integrazione tra tre
componenti fondamentali, il codice applicativo, un Rtos “Real-time Operating System: cuore del sistema
operativo real time” e un hardware.
Dato che questa integrazione del software richiede tempo ed è molto costosa, è possibile utilizzare ambienti di
programmazione grafica dei sistemi real-time come LabView di National Instruments.
Grazie a ciò l'hardware può essere ridotto ai minimi termini per contenerne lo spazio occupato limitando così
anche i consumi, i tempi di elaborazione (maggiore efficienza) ed il costo di fabbricazione.
Inoltre l'esecuzione del software è spesso in tempo reale per permettere un controllo deterministico «causaeffetto» dei tempi di esecuzione.
Deve avere per cui le seguenti caratteristiche
Dal punto di vista sw sono sistemi operativi real time

Hanno piccola occupazione di memoria (tipico 1÷2 KB di memoria RAM/ROM), e devono essere eseguiti da
CPU di piccola potenza e consumo

Devono funzionare sempre senza interventi manuali

È bene che non abbiano parti in movimento, che possono rompersi, consumano molta energia, sono lente,
richiedono driver complessi, occupano spazio

Devono gestire e recuperare, eventualmente con funzionalità ridotte, situazioni di errore

Devono ripartire (reboot) automaticamente in caso di arresto, eventualmente in configurazioni di
sicurezza e “istantaneamente”

(tempo reale) deve essere in grado di eseguire tutti i suoi compiti senza violare vincoli temporali
specificati., deve quindi rispondere in un modo certo ed entro tempi fissati a eventi esterni, prevedibili o
no.
Si può quindi dire che tempo reale non vuol dire essere veloci, ma essere sempre puntuali.

SVILUPPO DI UN SISTEM EMDEBBED
Lo sviluppo di un sistema embedded, sia di tipo
principali:
può essere schematizzato in alcune attività
- la prima fase si pone come obiettivo la definizione dell’architettura di base del sistema e la
scelta dei componenti. oltre a considerazioni di tipo strettamente tecnico hanno forte
incidenza considerazioni di tipo economico (p.e. costo dei possibili componenti) e pratico (p.e.
reperibilità dei componenti).
- durante la seconda fase si mappa sull’architettura scelta l’applicazione cui essa è destinata, e
ne stime le prestazioni.
queste prime due fasi sono fortemente integrate e soggette a continue iterazioni
- lo sviluppo hw-sw consiste nella programmazione delle piattaforme programmabili del sistema
attravertso la codifica dell’algoritmo, definizione e codifica dei protocolli di comunicazione
interni e dei drivers delle periferiche, codifica delle routine di boot, (processi di avviamento del
S.E),customizzazione del sistema operativo «interfaccia operativa con l’utente»
Le fasi di sviluppo tendono a essere sempre di più integrate fra di loro, anche con l’ausilio di tool
dedicati (hw e sw) in quanto al crescere della complessità delle applicazioni e dei sistemi la fase
di integrazione e debug tende a diventare ingestibile in caso di mancata sincronizzazione fra
sviluppo hw e sw.
DIFFERENZE FRA SISTEMI EMBEDDED / A BUS
SISTEMI EMBEDDED VS A BUS
Pro
Sistemi Embedded
Sistemi a BUS
•Ottimizzazione del
sistema
•Flessibili
• Elevate prestazioni
Contro •Necessita’ di
sviluppare l’intero
sistema (HW e SW).
•Sviluppo rapido (solo
software)
• Non ottimizzati.
• Non flessibili.
I sistemi embedded sono adatti a produzioni di elevata scala, in cui i maggiori costi di progetto vengono
suddivisi su grandi volumi di produzione.
0 I sistemi a bus sono adatti a produzioni di bassa scala, in cui la rapididita’ di sviluppo e i costi limitati di
progetto (solo riguardanti software) sono preferiti.
EMBEDDED CONTROL SYSTEMS
LA SCELTA DEL MICROCONTROLLER
Solitamente più scelte diverse sono possibili: nello specifico vanno tenuti in considerazione i
seguenti parametri sulla base dell’applicazione finale.
 Numero dei pin di I/O
 Interfacce
 Memoria RAM (quantità e tipo)
 Numero e tipo di interrupts
 Velocità del processore
 Consumi energetici
 Memoria di programma (quantità e tipo)
 Ambiente di sviluppo
MICROPROCESSORI IN ROBOTICA
Controllo dei motori/attuatori (basso livello)
Controllo movimento (alto livello)
Power management (carica/scarica batterie)
Acquisizione/elaborazione dei segnali dei sensori (prossimità, encoders, odometria, contatto, visione)
 Interfacce
Microprocessori in robotica
Architettura di un sistema robotico - Esempio 2: Ropbot biomimetico a 4 zampe
Verso l'Industria 4.0
L'Industria 4.0 o la Quarta Rivoluzione Industriale è il processo dell’automazione industriale volto
all’aumento della produttività e al miglioramento della qualità dei prodotti e delle condizioni di lavoro.
L’evoluzione dell’Industria in atto è dovuta al matrimonio tra i sistemi di produzione industriale e i sistemi
informatici di programmazione consente:



Ottimizzare i processi produttivi
Supportare i processi di automazione industriale
Favorire la virtualizzazione dei processi di trasformazione
Consiste per cui in un processo che porterà la produzione industriale sempre più automatizzata e
interconnessa dove macchine e robot, interconnessi con computer e algoritmi “intelligenti”,
perseguono un obiettivo comune: lavorare in autonomia con interventi sempre più mirati da parte degli
operatori.
Questo è possibile grazie alla
computerizzazioen
(dotare di un sistema di
elaborazione) molti componenti
tradizionali “nastri
trasportatori»
per operazioni di
identificazione conteggio, controllo, eccc..; questa “computerizzazione” anche ai
più bassi
livelli è dovuta alla crescente disponibilità di processori a basso costo (microcontrollori:
emdebbed) che integrano tutte le risorse (memorie, periferiche) per la realizzazione di semplici
sistemi programmabili.
Grazie ai sistemi endebbed l'hardware può essere ridotto ai minimi termini per contenerne lo spazio
occupato limitando così anche i consumi, i tempi di elaborazione (maggiore efficienza) ed il costo di
fabbricazione. Inoltre l'esecuzione del software è spesso in tempo reale (real-time) per permettere un
controllo deterministico “causa-effetto” dei tempi di esecuzione.
La realizzazione di un Sistemi hw/Sw di acquisizione dati Real-time di un impianto di produzione
(Controllo automatici per azionamento macchine, di qualità, di produzione, ecc) consente il rilevamento
di dati quali ad esempio pezzi prodotti, stato macchina, tempi di fermo, temperatura, velocità, segnali
A/D, pressioni, valori di coppia, segnali ad alta velocità, ecc.
Tutti i dati vengono raccolti in tempo reale con PLC, costruendo database
per poterli analizzare per prevedere valori scostanti rispetto ai risultati programmati.
opportuni
Gli sviluppi attuali sono in direzione Web, con l’obiettivo della connettibilità completa in modo da offrire la
totale o parziale visibilità remota dei sistemi controllati ma anche, per esempio, l’accesso a sistemi di
archiviazione remota, così da poter strutturare sistemi embedded con hardware ridotto e, questo risulta
fondamentale per applicazioni di controllo di processi industriali critici che si svolgono in condizioni
ambientali gravose, con inaccessibilità da parte di operatori, in postazioni remote, ecc
L’informatizzazione della produzione è impostata su Internet of Things (IoT) (si riferisce a macchine
intelligenti con sensoristica diffusa, collegate direttamente oppure tramite Cloud), e può essere considerato
come un'estensione delle reti di sensori tradizionali (WSN) che rende possibile la comunicazione oggettooggetto possibile grazie all’uso della tecnologia chiamata “identificazione a radiofrequenza” (RFID).
Con l’aiuto dei sensori intelligenti, gateway «sensori e attuatori» e software di visualizzazione e
di analisi dei dati diventa possibile tenere sotto attento controllo i punti critici maggiormente soggetti a
usura meccanica in modo prevenire guasti e conseguenti arresti delle linee; in questo modo
gli
stabilimenti hanno visto l’affermarsi di sistemi di monitoraggio applicati ai singoli macchinari di linea.
Nell’ambito dell’IIoT (Industrial Internet of Things), si prevede la progressiva miniaturizzazione dei
dispositivi, la riduzione dei consumi energetici e dei relativi costi e la diffusione dei sensori in diversi contesti in
modo da avvicinare sempre di più il mondo fisico al mondo digitale «trasformazione digitale»,
Si potranno conseguire in soluzioni su misura per quelle che sono le particolarità precise di ogni lavorazione,
per rispondere puntualmente a esigenze specifiche.
Dal punto di vista del processo produttivo
la fabbrica intelligente si può definire come “una soluzione
produttiva che favorisce processi flessibili e adattivi attraverso un impianto di produzione dinamico e in
rapida evoluzione.
Robotica
Il robot
Tecnica costruttiva
Area di lavoro
Componenti di un robot
- bracci meccanici
- Attuatori
- Sensori
- Sistema di controllo
- cinematica dei roboT
- Dinamica di un robot
- Controllo del moto di un manipolatore
- Comportamento di un sistema meccanico
- Navigazione robotica
- Sistema elettrico
- Sistema di controllo
IL ROBOT
Il
robot
è
un
manipolatore
multifunzionale
riprogrammabile, progettato per muovere materiali, parti,
attrezzi o dispositivi specialistici attraverso vari movimenti
programmati, per l’esecuzione di diversi compiti)
I campi disciplinari coinvolti sono:
- meccanica
• elettronica
• controlli automatici
• informatica
• misure
•…
Il robot antropomorfi capaci di muovere le mani,
la testa,etc. e di salire fluidamente le scale,
grazie ad un sofisticato meccanismo di
bilanciamento del baricentro.
Sostanzialmente operano in due settori:
Robotica avanzata
•applicazioni in ambiente ostile (spaziale, sottomarino, nucleare, militare…)
•servizio (applicazioni domestiche, assistenza medica, robotica per protesi mediche, intrattenimento,
agricoltura, education, …)
tecnologia non ancore matura
Robotica industriale
• applicazioni dei robot in ambito industriale
tecnologia matura e affidabile
La parti principali che costituiscono un robot sono:
• Il corpo: è il basamento della macchina e contiene solitamente le movimentazioni principali;
• Il braccio: si compone normalmente di più elementi rigidi collegati fra loro mediante cerniere manicotti
controllati dall’elettronica di governo
• La mano (gripper o end effector): può essere una pinza o un attrezzo (pinza di saldatura, pistole per
verniciatura, avvitatori)
I DOF (degrees of freedom: i gradi di libertà )
sono uno dei parametri che ci consentono di
capire quanto è sofisticato un robot in quanto descrivono la capacità di muoversi di un robot e di farlo in un
certo modo; tanto più è elevato questo numero quanto più è sofisticato un robot sotto l’aspetto del
movimento.
il robot industriale assumerà delle caratteristiche peculiari nello svolgimento dei vari compiti, in dipendenza
della tipologia di automazione che viene implementata; per l’automazione rigida dovrà essere predisposta
per effettuare solo determinati tipi di compiti, che rimarranno sempre fissi nel corso della sua esistenza,
ottimizzando però la velocità di esecuzione.
Per l’automazione flessibile i compiti sono sempre diversi e quindi la struttura del robot (meccanica e/o
di programmazione) deve essere estremamente flessibile.
Compiti dei Robot
Movimentazione (o trasporto):
In questa categoria rientrano tutte le applicazioni nelle quali il robot non esegue direttamente una operazione sui pezzi
prodotti, ma piuttosto provvede a movimentarli tra le macchine operateci nell’ambito di una cella di lavorazione.
Manipolazione:
Si divide in due sottocategorie:
• Lavorazione
Questa categoria comprende tutte le operazioni che il robot esegue con un attrezzo sui prodotti.
• Assemblaggio
Le operazioni di assemblaggio costituiscono un’area di impiego che ha avuto una grossa espansione nel corso
dell’ultima decina di anni e che è tuttora in forte crescita.
Misura:
Alcuni tipici compiti di misura sono elencati di seguito:
• rilevamento di profili;
• collaudo dimensionale;
• ispezione per le valutazioni di qualità dei prodottie per l’individuazione di difetti di fabbricazione;
Per implementare i diversi compiti, il robot viene solitamente coadiuvato da appositi macchinari (automatici o semiautomatici),
quali ad esempio macchine per il taglio (a controllo numerico, CNC) o per l’approvvigionamento dei materiali, o per il cambio
degli utensili.
L’insieme delle macchine utilizzate in un processo o gruppo di sottoprocessi costituisce la cosiddetta cella di
lavoro.
Tecnica costruttiva: accuratezza, ripetibilità
Un robot manipolatore è l’insieme di braccio, alimentazione esterna, utensili montati sul braccio, sensori
interni ed esterni, interfaccia verso il computer e computer di controllo. Il software di controllo deve essere
visto come parte integrante del sistema e può avere grande influenza sulle sue performance e sul suo
conseguente range di applicazioni.
L’accuratezza di un manipolatore è la misura di quale sia la
sua precisione nel raggiungere un determinato punto all’interno
del suo spazio di lavoro. La ripetibilità è la misura della sua
precisione nel riposizionarsi in un punto precedentemente
raggiunto.
Il metodo primario di misurare gli errori di posizione è
attraverso encoder di posizione
posti sui giunti, o
sull’albero del motore che comanda il giunto o sul giunto
stesso.
L’accuratezza sarà affetta da errori computazionali «dovuti all’utilizzo del computer, dalla accuratezza meccanica
nella costruzione del manipolatore, da effetti di flessibilità quali il piegamento dei giunti
per effetto
gravitazionale o di carico, da giochi meccanici e da un insieme di effetti statici e dinamici.
Per questo motivo i robots vengono progettati con una altissima rigidità. Senza di essa, l’accuratezza può essere
migliorata solo attraverso una misura diretta della posizione dell’end-effector, per esempio con la visione.
In ambienti ristretti si usano i manipolatori basati su giunti
rotazionali rispetto a quelli lineari in quanto occupano uno
spazio di lavoro minore.
Questo favorisce la loro integrazione in un ambiente ove siano
presenti altri robots, macchine o umani.
Inoltre i manipolatori con giunti rotazionali hanno più facilità a
manovrare tra gli ostacoli ed un maggior campo di applicazioni
I giunti presenti nella catena cinematica tra braccio e end-effector «pinza» vengono detti Wrist, ed essi
sono quasi sempre rotazionali. Recentemente si è affermata la tendenza progettuale di avere wrist sferici,
ovvero tali che i loro 3 assi si intersechino in un punto comune.
Il polso sferico semplifica molto l’analisi cinematica, permettendo di disaccoppiare posizione e orientamento
dell’end effector (mano); la bontà di un robot sta tutta sul suo end effector in quanto il braccio e polso di un
robot hanno la loro primaria ragion d’essere nel posizionare l’end effector mentre gli utensili che verranno
montati su di esso eseguiranno effettivamente il lavoro.
La tipologia più semplice di end effector è il gripper (pinza) che solitamente compie solo 2 azioni: apertura e
chiusura. Il gripper quindi è perfettamente adeguato per spostare del materiale o afferrare degli utensili ma
non lo è per altri lavori quali la macinatura, l’assemblaggio, la saldatura ecc.
Per questo, è molto attiva la ricerca per arrivare a progettare end effector dedicati a particolari applicazioni e
utensili che possano essere cambiati quando il lavoro lo richiede.
Generalmente robot sono alimentati elettricamente, idraulicamente o pneumaticamente. Gli attuatori
idraulici sono senza rivali nella velocità di risposta e nella capacità di produrre coppia elevata. Ecco perchè i
robot idraulici sono utilizzati principalmente per il sollevamento di carichi pesanti. Gli svantaggi di un robot
idraulico sono che essi tendono ad una perdita di fluido idraulico, richiedono molte periferiche accessorie (come
.
le pompe, che a loro volta richiedono molta manutenzione) e il fatto che sono piuttosto rumorosi.
I robot guidati da motori elettrici DC o da servo-motori AC stanno diventando sempre più popolari per la
loro economicità, pulizia e silenziosità. Infine, i robot pneumatici sono poco costosi e semplici ma essi non
possono essere controllati con precisione. Di conseguenza, i robot pneumatici hanno una gamma limitata
di applicazioni e utilizzo
Esistono diversi approcci distinti al controllo basato sulla vista basati principalmente alla configurazione del
sistema e al modo in cui vengono utilizzati i dati dell'immagine.
Con una configurazione fissa della telecamera, la telecamera è posizionata in modo da poter osservare il
manipolatore e qualsiasi oggetto da manipolare. Ci sono molti vantaggi a questo approccio. Poiché la posizione
della telecamera è fissa, il campo visivo non cambia mentre il manipolatore si sposta. Uno svantaggio di questo
approccio è che mentre il manipolatore si sposta attraverso lo spazio di lavoro, può occludere il campo visivo
della telecamera
Con un sistema eye-in-hand, la fotocamera è spesso collegata al manipolatore sopra il polso, cioè il movimento
del polso non influisce sul movimento della fotocamera. In questo modo, la telecamera può osservare il
movimento dell'effettore finale a una risoluzione fissa e senza occlusione mentre il manipolatore si sposta
attraverso lo spazio
di lavoro
.
Una difficoltà che affronta la configurazione dell'occhio in mano è che la relazione geometrica tra la telecamera e
lo spazio di lavoro cambia come i movimenti del manipolatore.
I problemi che si possono incontrare nello sviluppo di un robot riguardano:
• Cinematica: le velocità dei giunti con le velocità Cartesiane dell’end-effector.
• Statica: Relazione le coppie applicate ai giunti ed il moto (posizioni e velocità) delle coordinate di giunto
• Dinamica: conoscenza del modello dinamico del manipolatore utile per la Simulazione e il Controllo
• Controllo del moto; Si adottano leggi di controllo in anello chiuso per controllare il movimento del manipolatore
• Controllo dell’interazione; Si vuole che il robot interagisca con l'ambiente di lavoro esercitando le forze
desiderate.
Area di applicazione
I robot sono spesso classificati in base all’area di applicazione, suddividendoli in assembly e non assembly.
I robot per assemblaggio tendono ad essere piccoli, guidati elettricamente e di tipo revolute o SCARA.
I robot non assembly, sono usati principalmente per la saldatura, la verniciatura a spruzzo, la movimentazione
di materiali e il carico e scarico delle macchine;
in base al metodo controllo
si dividono in
servo servo (dispositivi controllati ad anello aperto ) serv ( dispositivi controllati a ciclo chiuso)
I robot servo controllati sono ulteriormente classificabili secondo il metodo che il controller utilizza per
guidare l’attuatore.
Il tipo più semplice di robot non servo in questa classe è il robot punto-punto. Un robot punto-punto può
essere istruito ad assumere un insieme discreto di posizioni ma non vi è poi alcun controllo sul percorso
seguito dall’attuatore da una posizione all’altra.
La serie di posizioni che il robot deve assumere viene solitamente assegnata attraverso una pulsantiera
mobile (teach pendant). I punti/posizioni vengono poi memorizzati e riprodotti. I robot punto-punto
presentano una gamma di applicazioni limitata
I robot a percorso continuo (servo robot: continuous path robots), invece, controlla l’intero percorso
dell’attuatore.
Per esempio, al robot può essere insegnato a seguire una linea retta tra due punti o anche a seguire un
certo contorno (ad esempio per eseguire una saldatura). Inoltre, può spesso essere controllata anche la
velocità e/o l’accelerazione dell’attuatore.
Questi sono i robot più avanzati e richiedono sofisticati algoritmi di controllo.
Elementi dei Robot
Caratterizzazione generale dei robot
Un robot è costituito in generale da
• una struttura meccanica
• attuatori,
• sensori
• sistema di controllo.
IL SISTEMA MECCANICO
Robot manipolatori possono essere classificati secondo criteri diversi, come il tipo di alimentazione, il modo in cui
vengono azionati i giunti, la loro geometria, la loro struttura cinematica, l’area di applicazione o il metodo di
controllo.
Tale classificazione è utile principalmente per determinare il robot più adatto ad un determinato
compito
Il manipolatore « sistema meccanico» è
costituito da una serie di corpi rigidi (link)
connessi da giunti
Un’estremità della catena è costituita dalla
BASE, di norma fissata terra.
All’altra estremità è presente l’END
EFFECTOR (pinza, strumento di lavoro).
Nel manipolatore si individua una struttura
portante che garantisce il posizionamento ed un
POLSO che conferisce destrezza, dando i gradi
di libertà di orientamento all’organo terminale.
Un end-effector dell’ultima generazione
in un braccio meccanico si possono per cui distinguere :
o
o
o
o
una struttura meccanica a catena cinematica aperta o a catena cinematica chiusa;
dei gradi di libertà ( descrizione di un compito );
dei gradi di movimento (giunti prismatici o rotoidali );
uno spazio di lavoro ( porzione dell’ ambiente circostante a cui può accedere l’ organo terminale)
Per la costruzione dei bracci meccanici
le piu comuni sono:
• Seriale
• Parallela
• Ibrida
DEI ROBOT si possono adottate diverse tecnologie geometriche
Schematizzazione manipolatore industriale con i relativi termini tecnici, a sette gradi
di movimento:
Robot Seriali: Cartesiano – TTT, utilizzati in genere per la
pallettizzazione di grossi carichi
Il manipolatore cartesiano è caratterizzato da :
- tre giunti prismatici
- ad ogni grado di mobilità corrisponde un grado
di libertà
- ottime caratteristiche di rigidezza meccanica
precisione di posizionamento del polso costante
nello spazio di lavoro
Robot
Seriali: Cilindrico – RTTA, area di impiego:
- Fissaggio di componenti elettronici
- Montaggio
manipolatore cilindrico è caratterizzato da:
• un giunto rotoidale e due prismatici
• ad ogni grado di libertà corrisponde un grado di
mobilità ( in coordinate cilindriche )
• buona rigidezza meccanica
• la precisione di posizionamento del polso si riduce al crescere
dello sbraccio orizzontale
• impiegato per operazioni di trasporto di oggetti anche di peso
rilevante e anche perazionamenti idraulici o
elettrici
ROBOT
SERIALI: SFERICO - RRT
Il manipolatore sferico è caratterizzato da:
• due giunti rotoidali e uno prismatico
• ad ogni grado di mobilità corrisponde un grado di
Libertà ( in coordinate sferiche )
• discreta rigidezza meccanica
• precisione di posizionamento del polso si riduce al crescere
dello sbraccio radiale
• azionamenti elettrici
Robot Seriali: SCARA – RR, SCARA è acronimo di:
Selective Compliance Assembly Robot Arm
Area di impiego principale: pallettizzazione o la depallettizzazione
Il braccio meccanico con tecnologia SCARA è contraddistinto da :
• due giunti rotoidali e uno prismatico
• elevata rigidezza a carichi verticali e cedevolezza a
carichi orizzontali
• la precisione di posizionamento del polso si riduce al crescere
della distanza del polso stesso dall’ asse del primo giunto
• manipolazione di piccoli oggetti
• azionamenti elettrici
Il termine “antropomorfo” deriva dal fatto che la sua struttura è molto
simile a quella di un braccio umano.
E’ caratterizzato da :
• tre giunti rotoidali
• spalla e gomito che connettono il braccio all’ avambraccio
PARTICOLARI DEI GIUNTI
Cartesiano (tre giunti
Prismatici)Sferico
Sferico (un giunto prismatico e
due rotoidali)
Cilindrico (due giunti prismatici
e uno rotoidale)
Rotazionale (tre o più giunti
rotoidali)
Robot
Paralleli: 4 bar, I Robot paralleli sono anche detti a catena cinematica chiusa
• La struttura a 4 bar è in genere attuata da un
solo motore
• Caratteristiche principali:
- il link superiore si mantiene parallelo alla
base durante il moto
- elevata robustezza (più delle catene
seriali)
Robot
Paralleli: 5 bar (R)
• La struttura a 5 bar è in genere attuata da due motori, spesso
coassiali
• Caratteristica principale:
- Sono ammesse configurazioni in cui il
link superiore non è parallelo alla
base
Robot Paralleli: 5 bar Misto (RT): si possono
ottenere le stesse caratteristiche utilizzando giunti tipo R e T
Robot
Paralleli: 6D, Il moto dell’end-effector non è più planare,
ma segue una traiettoria 3D. La posizione dell’end-effector è
quindi identificata da sei coordinate (3 di posizione e 3 di
orientamento). Sono meccanismi molto complessi.
Robot
Ibridi. Nascono dalla fusione dei robot seriali e paralleli.
Esempio di robot unione di un 5 bar e di uno SCARA,
con inserimento di due ulteriori dof (q1, q4: gradi di libertà ).
La struttura cinematica dei bracci meccanici è composta da:
• Link (o membri): corpi rigidi interconnessi
• Giunti: si suddividono a loro volta in
- Giunti prismatici;
- Giunti rotoidali
Attuatori
Gli attuatori si possono dividere in tre grandi categorie:
Attuatori Elettrici,
Attuatori
Idraulici,
.
Attuatori Pneumatici.
Attuatori Elettrici
Utilizzati nel 50% circa dei casi
•
•
•
•
•
Vantaggi:
velocità e precisione;
possibilità di utilizzare sofisticati algoritmi di controllo;
di facile reperibilità e relativamente basso costo;
semplicità di impiego;
ridotte dimensioni e peso.
Svantaggi:
•
•
la necessità di impiegare di un riduttore con conseguente
imprecisione, ingombro
e aggravio dei costi;
la potenza disponibile è limitata.
Attuatori Idraulici
Utilizzati nel 35% circa dei casi.
Vantaggi:
• grande capacità di carico;
• grande velocità;
• una volta in posizione, la configurazione è mantenuta a causa della
incomprimibilità dell’olio;
• possibilità di avere un controllo accurato;
Svantaggi:
• costi relativamente elevati per piccole dimensioni;
• rumorosità e problemi per perdite di olio;
• maggiore ingombro
Attuatori Pneumatici
utilizzati nel 15% circa dei casi.
Vantaggi:
• relativamente basso costo;
• alta velocità.
Svantaggi:
• limitata accuratezza(per la comprimibilità dell’aria)
• rumorosità e perdite;
•
necessità di filtri per l’aria ed esigenze di manutenzione.
Sensori
Si possono suddividere i sensori in due classi principali:
-
Propriocettivi:
Percezione dello stato interno
-
Eterocettivi: Percezione dello stato esterno
Sensori propriocettivi in grado di misurare grandezze proprie del robot, come la posizione o la velocità
dei giunti o delle ruote (variabili interne al sistema che sono usate per il controllo del robot)
Alcuni esempi:
 Switch
 Encoder ottici
 Potenziometri
 Sensori a effetto Hall
Sensori eterocettivi in grado di misurare grandezze dell’ambiente in cui il robot opera, come la
temperatura, la distanza da ostacoli, la posizione/orientamento degli oggetti da manipolare,
ecc., ovvero le forze che sono scambiate tra il robot e l’ambiente.
Si possono suddividere in quattro grandi famiglie:
• Sensori di forza/coppia e tattili, : strain gauge
• Sensori di prossimità o distanza: sensori a ultrasuoni, laser, a effetto Hall e a infrarossi
• Sistemi di visione;
• Sensori speciali per le applicazioni.
SISTEMA DI CONTROLLO

Un sistema di controllo fornisce un comando in tensione o in corrente agli attuatori (motori) in
modo da far assumere ai giunti una configurazione desiderata




Encoder: sensore che misura la rotazione dei giunti in valore relativo
o assoluto. La misurazione avviene in “tacche di encoder”
Riduttore: meccanismo che riduce i giri dell’asse montato sul giunto
rispetto ai giri del motore (es. riduzione 1:N)
Amplificatore di potenza: amplifica un segnale di riferimento in
un segnale di potenza per muovere il motore
Unità di controllo: unità che produce un segnale di riferimento
per il motore
Relazione tra posizione del giunto e posizione encoder

 : posizione giunto in gradi

q: posizione giunto in tacche di encoder

N: rapporto di riduzione del motore

R: risoluzione dell’encoder (numero di tacche per giro)
CONTROLLO AD ANELLO CHIUSO (FEEDBACK)



La variabile da controllare è misurata e confrontata con il valore desiderato
la differenza, o errore, è elaborata secondo un
algoritmo prefissato
il risultato di quest'elaborazione costituisce il valore d'ingresso dell'attuatore
Valore
desiderato
e
+
Algoritmo di
controllo
V
Attuatore
Sensore
posizione attuale
CONTROLLO PID (PROPORZIONALE, INTEGRATIVO E DERIVATIVO)
E’ un sistema di controllo ad anello chiuso in cui l'errore è processato con un algoritmo di tipo Proporzionale,
Integrativo e derivativo.

Quest'algoritmo è composto di tre parti:



Proporzionale, così detta perché il suo effetto è proporzionale all'errore;
Integrativa, perché produce in uscita una correzione che
rappresenta l'integrale dell'errore nel tempo;
Derivativa perché genera una correzione che è funzione della derivata prima dell'errore.

Non tutti i sistemi di controllo ad anello chiuso fanno uso di un algoritmo di tipo PID

In un controllo PID l’errore è dato in ingresso al sistema di controllo il quale calcola le componenti derivativa e integrale
e il segnale di uscita V

Kp è il guadagno o costante proporzionale
Ki è il guadagno o costante integrale
Kd è il guadagno o costante derivativa

eq rappresenta l’errore, ovvero la differenza tra posizione desiderata e posizione attuale

Le costanti Kp, Kd, Ki vengono determinate in modo empirico o con metodi specifici


CONTROLLO PID: COMPONENTE PROPORZIONALE

La tensione V
imposta al motore è proporzionale alla differenza tra la posizione effettiva misurata
dal sensore e la posizione desiderata
La tensione imposta al motore nell’unità di tempo è proporzionale alla differenza tra la posizione effettiva misurata dal
sensore e la posizione desiderata
V K p e q
eq qd  qa
KP : costante proporzionale
comportamento del sistema
Posizione
desiderata: 1
• Il motore
convergere
desiderata
oscilla prima di
verso la posizione
• Il sistema si
assesta senza
annullare l’errore
CONTROLLO PID: COMPONENTE DERIVATIVA E PROPORZIONALE
Controllo Proporzionale e Derivativo:
p
• Riduzione delle oscillazioni
• Diminuzione del tempo di assestamento
• Il sistema si assesta senza annullare l’errore
CONTROLLO PID: COMPONENTE INTEGRATIVA
• Il sistema si assesta annullando l’errore
CINEMATICA DEI ROBOT
La cinematica è quel ramo della fisica che si occupa di descrivere
quantitativamente il moto dei corpi, senza porsi il problema di
prevedere il moto futuro a partire da grandezze note.
In ambito industriale, la cinematica studia la relazione tra le posizioni
dei giunti, le posizioni e l’ orientamento dell’ organo terminale,
chiamato anche end effector.
cinematica diretta
Il problema cinematico diretto consiste nel determinare la posizione e l’orientamento dell’end effector
del manipolatore (indicato con x), a partire dalle coordinate di giunto q.
Quindi dobbiamo trovare una funzione che metta in relazione x e q:
LA CINEMATICA INVERSA
Il problema cinematico inverso consiste nel determinare le coordinate di giunto q corrispondenti a una
data posizione e a un dato orientamento dell’end effector (x) del manipolatore.
Quindi dobbiamo trovare una funzione che metta in relazione x e q:
In generale - Le equazioni da risolvere sono in generale non lineari

Non è sempre possibile trovare una soluzione analitica

Si possono avere soluzioni multiple

Si possono avere infinite soluzioni (manipolatori ridondanti)

In funzione della struttura cinematica del braccio, possono non esistere soluzioni ammissibili

L’esistenza di una soluzione è sempre garantita se la posizione e l’orientamento desiderati
appartengono allo spazio di lavoro destro del manipolatore
Altre operazioni
Cinematica differenziale: studia il legame tra le velocità dei giunti e la velocità dell’ organo terminale. Il
legame è espresso da una matrice, detta Jacobiano del manipolatore.
Statica : esprime il legame tra un vettore di forze F applicate all’end effector e il corrispondente vettore
di coppie generalizzate τ che tiene in equilibrio il sistema.
Pianificazione della traettoria: con la pianificazione della traiettoria s’ intende stabilire la modalità con cui
si vuole che evolva il movimento del manipolatore, da una postura iniziale ad una postura finale. Si
tratta didefinire sia il percorso geometrico sia la legge di moto da realizzare
DINAMICA DI UN ROBOT
La Dinamica di un robot studia le cause che ne generano il movimento. Questa materia ricopre un ruolo
fondamentale in numerosi ambiti tra cui: la simulazione del moto, il progetto meccanico di prototipi e la sintesi
di algoritmi di controllo.
La possibilità di simulare un manipolatore permette di testare strategie di controllo e tecniche di
pianificazione del moto senza aver bisogno di utilizzare un robot reale. L’analisi del modello dinamico e il calcolo
delle forze/coppie necessarie per l’esecuzione di un movimento, forniscono invece informazioni utili per il
progetto meccanico dei giunti, delle trasmissioni e degli attuatori.
Il modello dinamico
Il modello dinamico di un manipolatore fornisce una descrizione matematica della relazione esistente tra le
forze generalizzate agenti sul robot e il movimento risultante della sua struttura meccanica. Per forze
generalizzate intendiamo sia le coppie di attuazione applicate ai motori sia le forze e i momenti esercitati
dall’ambiente esterno sul robotFra i numerosi formalismi e principi della meccanica in base ai quali derivare il modello dinamico di un robot
quelli piu importanti sono
Approccio Lagrangiano
Approccio di Newton-Eulero.
Dinamica diretta ed inversa
Analogamente a quanto visto per la cinematica nei numeri precedenti di Didattica nella Robotica, anche per
lo studio della dinamica è importante trovare la soluzione di due tipi di problemi: la dinamica diretta e quella
inversa.
Dinamica diretta
Il problema dinamico diretto consiste nel determinare le accelerazioni ai giunti q (t) assegnate le coppie ai
giunti τ (t) e, note le posizioni iniziali q (t0) e le velocità iniziali q (t0) le posizioni q(t) e le velocità q(t).
La soluzione del problema dinamico diretto è utile per la simulazione numerica della dinamica, ed è ottenibile
sia con l’approccio di Lagrange sia con l’approccio di Newton-Eulero.
Dinamica inversa
Il problema dinamico inverso consiste invece nel determinare le coppie ai giunti τ (t) necessarie alla
generazione del movimento, assegnate le accelerazioni q(t) le velocità q(t) e le posizioni q(t) .
La sua soluzione è utile per la pianificazione della traiettoria e per il controllo basato sul modello, ed è
ottenibile in efficiente ed in tempo reale con l’approccio di Newton-Eulero. (Matteo Parigi Polverini)
CONTROLLO DEL MOTO DI UN MANIPOLATORE


Obiettivo del controllo del moto di un manipolatore è muovere il braccio da una posizione
iniziale ad una posizione finale espresse nelle coordinate dello spazio operativo
In generale, il problema del controllo del moto di un manipolatore consiste nel determinare
l’andamento delle forze o coppie che gli attuatori devono applicare ai giunti in modo da
garantire l’esecuzione di una traiettoria pianificata attraverso:
OBIETTIVO: generare gli ingressi di riferimento per il sistema di controllo del moto per
muovere il braccio da xstart a
xf
in un intervallo di tempo t
PERCORSO: luogo dei punti dello spazio dei giunti o dello spazio operativo che il
manipolatore deve descrivere nell’esecuzione del movimento assegnato
TRAIETTORIA: percorso su cui è specificata la legge oraria di moto (velocità ed
accelerazione in ogni punto)
DATI IN INPUT:
definizione del percorso
(vincoli del percorso, vincoli dovuti alla dinamica del manipolatore)
DATI IN OUTPUT:
nello spazio dei giunti: traiettorie dei vari giunti
nello spazio operativo: traiettoria dell’end effector
L’algoritmo di pianificazione deve in generale soddisfarei seguenti requisiti:

Le traiettorie generate devono rendere minima una opportuna funzione peso

Le posizioni e le velocità dei giunti devono essere funzioni continue del tempo

Devono essere minimizzati effetti indesiderati (e.g. traiettorie a curvatura non regolare)
Il controllo del moto può essere realizzato nello

spazio dei giunti
spazio operativo
nello spazio dei giunti: si muove il braccio da xi a xd espresse nello spazio operativo del robot
senza interessarsi alla traiettoria percorsa dall’organo terminale del braccio


L’inversione cinematica (K^-1) viene effettuata al di fuori del ciclo di controllo

Il pianificatore «controllore» delle traiettorie stabilisce per ogni giunto la traiettoria di movimento in
accordo alla legge utilizzata

Il movimento viene eseguito tramite il controllo PID


Controllo del moto nello spazio operativo: nell’effettuazione del movimento da xi a xd l’organo
terminale del manipolatore esegue nello spazio operativo un traiettoria in accordo ad una legge
prestabilita
Es. traiettoria lineare o curvilinea
L’inversione cinematica viene effettuata all’interno del ciclo di controllo

Il pianificatore delle traiettorie stabilisce per ogni giunto la traiettoria di movimento in accordo alla
legge utilizzata

Il movimento viene eseguito dal controllore
i controllori possono essere:


di basso livello:
agiscono direttamente sull’effettore per controllarne la dinamica, come ad esempio i
controllo della posizione, velocità e coppia di un motore
di alto livello (supervisori,
pianificatori, ecc.) hanno il compito di
comportamento complessivo del robot
controllori PID per il
pianificare e supervisionare il
I controllori, in base alle informazioni ricevute dall'organo di riferimento (o dal
regolatore
dell'anello immediatamente più esterno) e dall'organo di misura «segnale retroazionato»,
forniscono dei segnali utili a correggere qualsiasi allontanamento, causato da variazioni funzionali
del sistema o da variazioni delle variabile di processo dal loro valore di riferimento.
Il loro scopo è infatti fare in modo cioè che la variabile di processo segua più strettamente
possibile il
valore di
riferimento indipendentemente dalla presenza
o meno di disturbi.
garantendo in questo modo la stabilità
I controllori standard largamente utilizzati in campo industriale sono caratterizzati da una rete di
retroazione che ha una struttura fissa (di tipo P, I, PI, PD, PID) e da parametri che, dimensionati
per una certa condizione di lavoro, restano fissi durante il funzionamento
La regolazione è dunque relativa ad una determinata condizione di funzionamento; pertanto se ci si
allontana sensibilmente da tale condizione si possono verificare smorzamenti non più soddisfacenti
e anche instabilità.
In questi casi può essere opportuno ricorrere a controllori adattativi, in cui o i parametri o la
struttura della rete di retroazione sono variabili in relazione alle condizioni di funzionamento del
sistema controllato, in modo che il circuito di regolazione risulti sempre stabilizzato in maniera
ottimale
C o m p o r t a m e n t o d i u n s i s t e m a m e c ca n ico co m p leto
Il sistema meccanico, nella sua espressione più
generale, è ottenuto
considerando insieme l'equazione dell' equilibrio dinamico (legame coppia velocità angolare)
e la relazione tra la velocità e la posizione, dalle quali si ricava il seguente sistema di
equazioni differenziali del I ordine in cuyinon si considera la coppia di attrito:
( Cm – Cr) = Cj = J *dw/dt
d θ(t)/dt = w(t)
controllo di moto
controllo di posizione
w(s) = (Cm(s) – Cr(s))/J*s
Nel dominio delle s
Θ(s) = w(s) /s
Le due equazion i evidenziano che il sistem a m eccanico h a u n comportamento integrale
infatti per Laplace moltiplicare una variabile
per 1/s equivale a farne l’integrale nel
dominio del tempo
La risposta ad un segnale d’ingresso a gradino «coppia d’inerzia» di
com portamento puram ente integrale è una rampa.
un
sistema a
( Cm – Cr) = Cj = J *dw/dt
Nel caso particolare la velocità (uscita) cresce linearmente finchè la coppia di inerzia
Cj = Cm –Cr è diversa da 0
Si individuano
pertanto
le zone di funzionamento:
- in transitorio (velocità variabile
nel tempo);
- a regime (velocità costante
Maggiore l'accelerazione cioè la pendenza della rampa minore è il tempo di salita.
La risposta ad un segnale d’ingresso a rampa di velocità (wp) di un sistema a
comportamento puram ente integrale è una parabola
d θ(t)/dt = w(t)
Θ(s) / w(s) = (1/s)
In questo caso lo spostamento
avviene con la dovuta gradualità
sia in fase di partenza
che di
arrivo (posizione rispettivamente
min e max dove la velocità
è
nulla).
Traiettorie tipiche del controllo di m o t o
Supponiamo di avere, per semplicità, una coppia resistente nulla (CR=O), cioè un
carico semplicemente inerziale (Cm = CJ)
In questo caso specifico nelle
due tipiche sequenze di lavoro:
figure che
seguono
sono indicati gli andamenti di
- avviamento ed arresto
- avviamento, inversione di velocità
ed arresto
È interessante puntualizzare che:
per una determinata inerzia totale J del sistema
meccanico
la
pendenza
della
rampa
(cioè
l'accelerazione
o la decelerazione) dipende
unicamente dalla coppia.
Il limite, cioè la coppia massima erogabile,
dipende, negli attuatori elettrici, dalla massima
corrente che il motore elettrico può erogare.
Nei transitori, si deve considerare la corrente di
picco. In base al suo valore si dovrà fissare un
limite di corrente nel dispositivo di azionamento
Traiettorie tipich e del controllo di posizione di un giunto (integrale)
In questo caso, con riferimento al profilo di velocità, si distinguono due tipiche
traiettorie:
1.spostamento con profilo di velocità triangolare
2. spostamento con profilo di velocità a trapezio
Sempre supponendo
carico
inerziale (CR = O)
si ha
spostamento con profilo di velocità triangolare
S p o s t a m e n t o c o n profilo di velocità trapezio
Questo tipo di traiettoria deve essere
applicata
quando la velocità di picco wp che si otterrebbe in uno
spostamento con profilo di velocità triangolare è
superiore al
limite massimo
imposto
wMAX,
che
può
dipendere
dall'applicazione o
dall'azionamento (La traiettoria »posizione» corrispondente è
di tipo polinomiale misto: un tratto lineare raccordato con due
tratti parabolici nell’intorno delle posizioni iniziale e finale.)

Navigazione Robotica
In robotica, il problema della navigazione può essere definito come il problema di raggiungere una posizione
finale partendo da una posizione iniziale, specificate in termini geometrici o di stato sensoriale, evitando gli
ostacoli
A tale scopo con metodologie che possono essere il piu diverse possibili d si deve individuare la posizione del
robot, quella degli altri oggetti e il percorso attraverso:
Localizzazione: posizione geometrica (coordinate X,Y rispetto ad un sistema di riferimento assoluto) o stato
sensoriale nell’ambiente in cui il robot naviga
Mappe o Modelli: formalizzazione e rappresentazione dell’ambiente
Planning: pianificazione dei movimenti del robot nell’ambiente che consiste nel è determinare una traiettoria
che il robot deve eseguire per raggiungere una configurazione finale a partire da una configurazione iniziale (la
sua posizione attuale) evitando gli ostacoli, questo consente il:

Controllo in velocità: consiste nell’impostare una velocità e una accelerazione ai motori delle ruote
attraverso la determinare delle tensioni da applicare ai motori

Controllo in posizione: consiste nell’impostare una posizione da raggiungere attraverso il calcolo delle
velocità e delle accelerazioni da impostare ai motori per raggiungere la posizione voluta (cinematica inversa).

Encoder: sensore che misura la rotazione dei giunti in valore relativo calcolando le tensioni ai motori
affinchè l’encoder rilevi lo sfasamento in gradi nell’unità di tempo dt «qnext – qact «
Nel caso del controllo in posizione La tensione imposta al motore è proporzionale alla differenza tra la
posizione effettiva misurata dal sensore e la posizione voluta
ARCHITETTURA HARDWARE DI UNA BASE MOBILE
movimentazione
I veicoli possono essere movimentati mediante:
- Ruote;
- Cingoli;
- Gambe;
Ruote
Ruota Fissa:
•Il punto P non può muoversi, a meno di non
•strisciare, in direzione dell’asse della ruota
Ruota Orientabile Centrata
Ruota Orientabile Eccentrica (Castor Wheel):
• Proprietà omnidirezionale
• Cingoli
• Movimento rettilineo: i cingoli vanno alla stessa velocità e direzione;
• Movimento rototraslazionale: con CIR esterno, con CIR sull’asse di un cingolo;
• Movimento rotazionale: con CIR interno.
• Tutto ciò vale anche per le ruote
•Gambe : Utilizzate in genere per movimentare robot immersi in ambienti sconosciuti,
data la facilità con la quale permettono al robot di superare gli ostacoli
SISTEMA ELETTRICO
Interfaccia utente/robot :
serve
per programmare il robot.
u n ità di conversion e dell’energia: è la sorgente
esterna di potenza (batterie, alimentazione,
celle solari, ecc.).
sensori : servono a misurare la posizione del robot, tramite degli encoders.
attuatori: sono gli organi, in genere elettrici o idraulici, che attuano il movimento del robot.e
sistema di controllo: esercita un feedback sui movimenti del robot.
I suoi compiti principali sono:
interagire con l’operatore,
– immagazzinare i dati,
– controllare i giunti in tempo reale,
– monitorare i sensori,
– interagire con altri macchinari,
– pianificare i movimenti del manipolatore.
• Gestione dell’interazione con altre macchine
• Diagnostiche, gestione malfunzionamenti

Il sistema di controllo in senso stretto deve sempre più spesso integrarsi con
• il monitoraggio dell’impianto (ai fini più svariati),
• la gestione della produzione,
• la gestione degli approvvigionamenti,
• la logistica.
–
Unità di controllo e programmazione
L’ unità di controllo è un sistema elettronico - informatico complesso e sofisticato.
Tra le principali funzioni di un sistema di controllo troviamo:
• Interfaccia con l’operatore (MMI)
• Programmazione dei compiti
• Pianificazione delle traiettorie
• Controllo in tempo reale del moto dei giunti
• Archivio ed elaborazione dati
• Gestione dell’interazione con altre macchine
• Diagnostiche, gestione malfunzionamenti
Queste specifiche sono relative al software, ma molto importanti sono anche quelle dell’ hardware.
Ciò che contraddistingue l’ unità di controllo rispetto ai semplici elaboratori dal punto di vista dell’ architettura sono :
• unità di controllo ed elaborazione potentissime ( multi – microprocessori)
• elettronica di potenza
Ci sono poi anche caratteristiche comuni quali ad esempio dispositivi di I/O e comunicazione e sistemi di interfaccia uomo
macchina.
Normalmente i robot vengono programmati mediante linguaggi di programmazione simili a quelli usati per i computer. In questo
caso i linguaggi di programmazione sono propri dei costruttori ( per esempio la COMAU ha sviluppato il linguaggio PDL2 ).
Per facilitare la programmazione nei sistemi è integrato l’ ambiente di programmazione teaching by doing. L’ operatore fa
muovere il manipolatore, o giunto per giunto o secondo le direzioni cartesiane e man mano vengono memorizzate le posizioni
che poi saranno raccordate dal software di generazione della traettoria.
A seguire un esempio di programma, in cui un robot prende un pezzo dal nastro trasportatore e lo trasferisce o su una
tavola o in un contenitore di scarto a seconda di $DIN(2).
PROGRAM pezzo
VAR riposo, trasp, tavola, scarto : POSITION
BEING CYCLE
MOVE TO riposo
OPEN HAND 1
WAIT FOR $DIN(1)=ON //aspetta finchè il trasportatore
è pronto
MOVE TO trasp
CLOSE HAND 1
IF $DIN(2)=OFF THEN //se il pezzo è buono
MOVE TO tavola
ELSE
MOVE TO scarico
ENDIF
OPEN HAND 1 //depone il pezzo su tavolo o nello
scarico
END pezzo
TIPI DI CONTROLLO
Controllo modulante
Per controllo modulante si intende il controllo eseguito da dispositivi che
obiettivo che le variabili controllate inseguano i rispettivi riferimenti.
ad ogni istante si pongono come
Controllo logico
Per controllo logico si intende il controllo eseguito da dispositivi che devono assicurare lo svolgimento di una o
più sequenze di attività la cui evoluzione è dettata dal verificarsi di eventi (come la conclusione di un’attività,
l’insorgenza di anomalie, l’interazione con l’operatore).
Per esempio un sistema costituito da un robot che preleva pezzi da un nastro trasportatore e
manipola comporta problematiche sia di controllo modulante sia di controllo logico.
li
Le specifiche di controllo per un sistema di automazione industriale sono costituite da sequenze di azioni,
descritte generalmente in linguaggio naturale.
Si pongono due problemi:
• formalizzare queste specifiche
• determinare metodologie di sintesi di un controllore che ne garantisca il soddisfacimento
Per quanto riguarda il primo aspetto, esistono convenzioni di progressiva diffusione come gli SFC
(Sequential Functional Chart: linguaggio di programmazione grafico per PLC).
Per quanto riguarda il secondo aspetto, si fa generalmente ricorso alla teoria dei sistemi ad eventi
discreti che si appplica a sistemi fisici che non vengono ben descritti da variabili temporali.
L’HARDWARE DI UN ROBOT
#include <Servo.h> // libreria Arduino per i servi
Servo spalla_1; //dichiarazione oggetti di tipo Servo
int passog=2; // il passo, ossia ogni volta che fa un movimento si muove di 2 gradi
…
void setup() // inizializzazione {
Serial.begin(9600); // baud rate : 9600
spalla_1.attach(11); // assegno il pin 11 di Arduino all’ oggetto servo spalla_1
spalla_1.write(90); // nel pin 11 mando il valore 90 che indica al servo di mettersi a
90°
}
…
void loop()
{
delay(50); // ritardo di 50 ms
if(Serial.available()) // controllo se la comunicazione seriale
int c = Serial.read(); //legge da seriale
if (c == 's') //controllo il valore della variabile c
{
apri_mano(); //richiamo alla funzione su()
}
}
…
void su() {
… //contiene le istruzioni per far aprire la mano
}
Il processo industriale
1.
2.
Generalità
Sistema industria (rete elettrica, sistema alimentazione, trasformatori)
3.
Sensori (spostamento, prossimità, trasduttori di velocità angolare,
fotoelettrici. Induttivi, capacitivo, ultrasuoni,magnetici, di forza, tattili, di
visione, temperatura/umidità)
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
Attuatori
(motori in c.c., Brusless, c.a., passo passo, relè)
Azionamenti (inverter)
Unità di controllo (PLC, PC, PMC, HMI, sistemi di visione)
Supevisione (sistemi di visione, RTU, SCADA)
Diagnostica e manutenzione
Tecniche di collaudo
Impianti industriali (linee di transfert rigide, linee flessibili)
11. LOGISTICA (Sistemi tradizionali di trasporto, trasporto a guida automatica,
Sistemi manuali di immagazzinamento e stoccaggio Magazzini intensivi
automatizzati)
12. AUTOMAZIONE: vantaggi e svantaggi
Generalità
Quando si pensa ad un ambiente industriale, si tende a focalizzare sulle linee di produzione: i
componenti e i sistemi implicati sono sensori, attuatori, azionamenti, PLC
(Programmable Logic Controller), computer d’automazione, controlli numerici, e via così.
Ciascun componente o sistema, preso singolarmente, ha la sua validità e importanza: così
ad esempio l’azionamento di un motore a velocità variabile è tanto più accurato quanto più
riesce a regolare finemente la velocità e la coppia del motore.
Si deve sottolineare come le grandezze controllate dall’azionamento siano parte di un più vasto insieme di
parametri, detti parametri di processo, la cui conoscenza e memorizzazione nel tempo consente di correlare la
qualità del prodotto alla configurazione della linea di produzione.
Da un’architettura basata su potenti computer centrali si passa oggi verso un’architettura distribuita, più efficiente
ed economica da gestire, che si è resa possibile grazie all’affermarsi di reti di comunicazione e interfacce standard
tra i sistemi.
Per poter raggiungere un buon livello di integrazione tra i vari sistemi di una linea di produzione e tra i vari reparti di
una fabbrica è necessario conoscere le reti di comunicazione che, dai diversi settori di un’azienda, collegano i sistemi
dai computer fino al più semplice dei sensori.
Rete elettrica,sensori, motori e azionamenti
Per la produzione e la distribuzione di energia elettrica si usa solitamente un sistema trifase, formato da 3 tensioni
alternate sinusoidali sfasate tra loro di 120°. La frequenza di rete è pari a 50Hz con una tolleranza del 5%.
Indipendentemente dalla distorsione armonica delle tre fasi, la loro somma è in ogni istante rigorosamente nulla.
Le tre fasi si possono considerare a potenza quasi infinita; infatti la rete di distribuzione dalla centrale è a 380kV, poi
viene ridotta di 3 ordini di grandezza e la corrente è in genere limitata dalla portata dei cavi.
Un sistema trifase può essere sommariamente rappresentato come in figura.
I carichi possono essere connessi a stella (3 carichi uguali tra fase e
neutro) o a triangolo (3 carichi uguali tra fase e fase)
Le principali macchine elettriche si suddividono in trasformatori, motori ecc..
La giusta scelta dei quadri
permette di migliorare
notevolmente le condizioni di lavoro in un ambiente
industriale, e come conseguenza, consente un aumento
della produttività, riduzione delle temperature d’esercizio
dei macchinari e ovvio adeguamento alle norme sulla
sicurezza
SENSORI
Nella classificazione dei sensori è molto più utile ed interessante farne una in base all'uso che di ogni sensore
si fa all'interno della macchina perché è questo il fattore discriminante
riguardo alle problematiche di
collegamento e di gestione da parte dei sistemi di controllo.
Secondo questo criterio, si possono individuare tre classi di sensori:

Classe A - Sensori usati per il corretto funzionamento della macchina

Classe B - Sensori usati per garantire la sicurezza (operatori compresi)

Classe C - sensori usati per il corretto funzionamento del programma del robot.
Nella prima classe sono compresi, oltre ai dispositivi che negli azionamenti retroazionati forniscono le
informazioni di velocità e posizione, anche gli interruttori di fine corsa o simili, quando vengono usati come
riferimenti di posizione (ad esempio negli azionamenti passo- passo), e tutti i dispositivi le cui informazioni
sono necessarie al funzionamento del robot.
Alla seconda classe appartengono tutti i dispositivi che presiedono alla sicurezza
della macchina e
dell'ambiente circostante (fine-corsa e sensori di sforzo eccessivo, sbarramenti fotoelettrici, pulsanti di
emergenza, ecc...).
Nella terza classe, infine, sono compresi tutti i sensori che non fanno parte delle prime due.
A proposito di questa classificazione, è opportuno osservare che i sensori di classe B sono necessariamente
dispositivi binari: qualora essi siano implementati con rilevatori analogici, è necessario confrontare la grandezza
rilevata con soglie opportune, ed il risultato di questa operazione è l'unica informazione interessante.
Anche se non è possibile dare una metodologia generale per il collegamento dei sensori, perché le strutture dei
sistemi di controllo possono essere molto diverse fra loro, si possono fare alcune considerazioni di carattere
generale.
I sensori di classe A devono essere collegati direttamente ai dispositivi che azionano
attuatori.
i singoli
Per quanto riguarda i sensori di classe B, vale un ragionamento analogo: essi devono essere collegati al
sistema di controllo al livello più basso possibile, in modo che eventuali malfunzionamenti dell'hardware non ne
compromettano il buon funzionamento. Un esempio di questo tipo di collegamento si trova in quei robot dove i
sensori di classe B agiscono direttamente sugli alimentatori dei motori, o sui microcalcolatori che li controllano. E'
evidente che in questo caso, oltre ad intraprendere opportune azioni all'insorgere di situazioni di emergenza, il
sistema deve essere in grado di informare i livelli più alti dell'accaduto, in modo che il programma del robot
possa essere interrotto e sostituito con opportune routine di uscita dalla situazione di emergenza.
I sensori di classe C di basso livello, infine, devono essere collegati al livello più alto,
informazioni sono utilizzate direttamente dalla unità che esegue il programma di utente.
perché le loro
Sensori per il controllo di movimento e di spostamento
Nel campo della robotica i sensori sono importanti per affrontare i seguenti problemi:
-
-
controllo dei movimenti dei vari giunti del robot, del loro posizionamento iniziale e finale, della correttezza
della traiettoria in termini di percorso, velocità ed accelerazione.
capacità del sistema di tener conto del mondo esterno affinché il robot possa essere in grado di sostituire
l'uomo in termini di capacità di "vedere", "sentire" e "prendere" oggetti con una determinata pressione.
Potenziometri
I più semplici sensori impiegati per questo scopo sono i potenziometri, il cui principio è quello di convertire una
posizione in un valore di resistenza elettrica. Il passaggio da posizione a variazione di resistenza e infine a
variazione di tensione.
Trasformatori differenziali variabili lineari (LVDT)
Il trasformatore differenziale variabile lineare (LVDT) si basa sul principio secondo il quale la tensione indotta
su un avvolgimento secondario dipende dal coefficiente di accoppiamento tra primario e secondario.
Nella figura è riportato lo schema tipico di un trasformatore differenziale.
Quando l'avvolgimento primario viene eccitato dalla corrente alternata, sugli avvolgimenti secondari viene
indotta una tensione. I due avvolgimenti secondari sono connessi in serie in opposizione cosicché le due tensioni
sono in opposizione di fase. La tensione di uscita è così la differenza tra le due tensioni. Il coefficiente di
accoppiamento dipende dalla posizione del nucleo. La tensione sarà nulla quando il nucleo è in posizione
centrale; spostandosi il nucleo, la tensione dei due avvolgimenti varierà.
La sensibilità del sistema è abbastanza buona. Si può però osservare che:
-
-
la tensione di uscita è rappresentata da due tratti di caratteristiche simmetriche e piuttosto lineari
corrispondenti a spostamenti positivi e negativi
il valore della tensione di uscita in corrispondenza dello zero meccanico non è nullo e ciò a causa degli
accoppiamenti capacitivi e della presenza di armoniche.
Codificatori (encoder)
Allo scopo di illustrare il principio di funzionamento di un codificatore di posizione, comunemente chiamato
"encoder", nella seguente figura viene presentato lo schema a blocchi di un sistema di posizionamento di un
braccio di robot.
I posizionamenti vengono, di norma, eseguiti con motori in corrente continua, con regolazione ad anello chiuso. E' necessario,
istante per istante, confrontare la posizione raggiunta con quella impostata e comportarsi analogamente anche per la velocità.
Su come opera il motore è opportuno fare delle considerazioni: nell'esempio, l'anello di velocità è gestito in maniera hardware,
infatti un segnale proporzionale alla velocità e fornito da un trasduttore di velocità (dinamo tachimetrica) viene riportato nel
sistema di controllo dove viene confrontato con la velocità impostata dall'operatore per apportare le correzioni necessarie. Il
secondo anello, relativo al posizionamento, può essere realizzato prevalentemente in maniera hardware e software: per
esempio, impiegando contatori up/down vengono contati gli impulsi inviati dal trasduttore encoder, e al processore non rimane
che leggere i dati raccolti dal contatore a intervalli regolari. In ogni caso, un trasduttore di posizione molto impiegato nei
sistemi robotici è l'encoder.
L'encoder è un dispositivo azionato da un albero rotante, il quale fornisce in uscita impulsi corrispondenti alla posizione angolare
dell'albero. Esso contiene al suo interno un disco rotante diviso in segmenti alternativamente opachi e trasparenti.
Su un lato del disco è situata la sorgente luminosa e sull'altro una o
più fotocellule. Il cambio della luminosità della fotocellula causato
dalla rotazione del disco, produce gli impulsi di tensione (sotto forma
di onda quadra) in uscita.
Lo spostamento angolare dell'albero è misurato dal numero di
impulsi, i quali, se
riferiti al tempo, esprimono la velocità
(codificatore tachimetrico).
Usando due fotocellule in corrispondenza della stessa traccia del disco
e sistemandole in modo che i segnali di uscita (onde quadre) siano
sfasati di 90° l'uno rispetto all'altro, è possibile misurare, con la
logica del circuito esterno, il senso di rotazione
rilevando se il
segnale A precede il B o viceversa. Esiste inoltre un'altra fotocellula che fornisce un impulso indicatore della
posizione di riposo (riferimento zero).
I due canali in quadratura evitano anche l'errata misura nel caso di vibrazioni del codificatore tachimetrico.
L'encoder descritto viene detto di tipo incrementale in quanto i segnali di uscita sono proporzionali in
modo incrementale allo spostamento effettuato rispetto alla posizione di arrivo
Un encoder in cui sia presente solo una serie di feritoie non consente di individuare il verso in cui il disco
ruota. Per ottenere ciò nel disco viene ricavata una seconda serie di feritoie, sfalsata rispetto alla prima di
un quarto di passo, essendo il passo la distanza tra due zone trasparenti successive.
E’ necessaria la presenza di una seconda sorgente luminosa e di un secondo sensore. Si vengono ad avere
due treni di impulsi che sono sfasati tra di loro di ¼ di passo per rotazioni verso destra, di ¾ di passo per
rotazioni verso sinistra ( l’incremento è positivo quando la fase B anticipa la fase A e viceversa
Gli encoder incrementali possono fornire purtroppo errori, e quindi posizioni non corrette, a causa del
conteggio errato provocato da disturbi, compresa l'eventuale interruzione della alimentazione. Questi errori
possono essere eliminati con l'impiego di encoder assoluti, nei quali ad ogni posizione dell'albero
corrisponde un valore ben definito.
Nel codificatore assoluto sono previste sul disco tracce capaci di fornire segnali in codice. Per rilevare la luce
che passa attraverso il disco è prevista una fotocellula per ogni traccia.
I codici impiegati sono quelli di tipo binario, BCD, Gray ecc..; che permettono di ricavare anche decine di
migliaia di bit per giro.
La risoluzione dell’encoder è data dal rapporto tra una rotazione di 360° ed il numero di impulsi n, pari a quello
delle zone trasparenti presenti.
R = 360 / n
La risoluzione dell’encoder può essere migliorata se la tensione di uscita del fototransistor vengono squadrate
opportunamente con un circuito elettronico (onda quadra)
Con una forma d’onda di questo tipo possono essere contati due tipi d’impulsi quelli che si hanno quando si
passa dallo stato 0 a quello 1 quelli che si hanno quando si passa dallo stato 1 allo stato 0
Vengono contati sia i fronti di salita che di discesa migliorando quindi la risoluzione
R = 360 / 2n
Gli encoder rotativi ruotano senza inerzia apprezzabile, possono essere soggetti ad elevate velocità angolari e
non hanno contatti striscianti; essi hanno una vita media molto elevata. Di contro, sono sensibili allo sporco
per cui non sempre ne è consigliabile l’uso in determinati ambienti industriali.
Vengono utilizzati per rilevare la posizione angolare di viti e di organi rotanti.
Sensori di prossimità
I sensori di prossimità sono in grado di percepire ed indicare la presenza di un oggetto all'interno di un
determinato campo, in prossimità del sensore stesso.
Un sensore di prossimità può anche essere predisposto per misurare distanze: il sensore produce un segnale
continuo (anziché on-off) proporzionale alla distanza. Mediante più misure lineari a direzioni diverse si possono
poi agevolmente determinare posizioni ed orientamenti di pezzi semplici e complessi.
I sensori di prossimità possono basarsi su numerosi principi fisici: induttivo, capacitivo, magnetico, fluidico,
luminoso ed ultrasonico.
Sensori di p r o s s i m i t à passivi: rilevano perturbazioni nell’ambiente, come ad esempio
modifiche del campo magnetico o elettrico
ES: sensori passivi a campo magnetico: sensori ad effetto hall
Sensori di p r o s s i m i t à attivi: sfruttano i cambiamenti che avvengono ad un segnale emesso,
che possono avvenire in seguito all’interruzione o alla riflessione del cammino del segnale verso
il ricevitore
ES: sensori ottici attivi: emettitore e ricevitore di segnale luminoso
Trasduttori di velocità angolare
I più diffusi trasduttori di velocità angolare sono il tachimetro in c.c. e il tachimetro in c.a. Il primo
fornisce in uscita una tensione continua direttamente proporzionale alla velocità angolare, il
secondo invece una tensione alternata avente ampiezza proporzionale alla velocità angolare.
Tachimetro in c.c. Detto anche dinamo tachimetrica è in sostanza una dinamo a
magnete permanente con particolari caratteristiche elettromeccaniche, ovvero con basso momento
d’inerzia ed elevata linearità di risposta. La tensione d'uscita è prelevata dal rotore attraverso un
sistema di spazzole striscianti su un collettore ad anello. Essa non è pertanto perfettamente
continua ma presenta una certa ondulazione che rende questo
trasduttore non adatto per
misurazioni di precisione.
Si osservi comunque che la dinamo tachimetrica ha il vantaggio di fornire una tensione la cui
polarità è indicativa della direzione di rotazione. Le applicazioni tipiche riguardano il controllo di
velocità dei motori.
Tachimetro in c.a. Questo trasduttore, detto anche generatore a induzione, è provvisto di due
avvolgimenti di statore, quello di eccitazione e quello di uscita, posti a 90° elettrici fra di loro, e da
un avvolgimento in cortocircuito sul rotore.
Quest'ultimo può essere del tipo a gabbia di scoiattolo oppure a forma di coppa in materiale
fortemente conduttivo come rame o alluminio. Alimentando l'avvolgimento di eccitazione con una
tensione alternata Ve di ampiezza e frequenza costanti, viene generato un flusso primario φ1,
anche esso alternato, che induce una forza elettromotrice (f.e.m.) sui conduttori del rotore. Tale
f.e.m. risulta proporzionale alla velocità con cui i conduttori tagliano le linee di flusso e pertanto è
massima per le spire (A ) parallele a tali linee e nulla in quelle (B) ad esse ortogonali. A sua volta la
corrente generata dalle f.e.m nel rotore produce un flusso secondario φ2 perpendicolare al primo e
adatto pertanto ad indurre
nell'avvolgimento di uscita una tensione Vo. Questa risulta così
alternata con la stessa
frequenza della tensione di eccitazione Ve ampiezza direttamente
proporzionale alla velocità angolare del rotore. I tachimetri in c.a., non avendo spazzole striscianti,
presentano una affidabilità più elevata delle dinamo tachimetriche.
Tachimetri ottici. Si tratta sostanzialmente di encoder incrementali che forniscono un segnale la cui
frequenza è proporzionale alla velocità angolare da rilevare. Negli encoder il minimo spostamento
angolare apprezzabile (risoluzione) vale α =2π /N, dove N è il numero delle tacche presenti sul
disco.
Pertanto la velocità angolare ω , ovvero l'angolo percorso dal disco nell'unità di tempo, vale
ω = 2π n/N = 2π f/N [rad/s]
dove n indicando il numero delle tacche rilevate nell'unità di tempo, coincide con la
frequenza f del segnale impulsivo generato dall'encoder. L'eq. rappresenta in definitiva la
caratteristica di trasferimento del trasduttore.
Trasduttori con uscita digitale: encoder tachimetrico
L’encoder tachimetrico è il più semplice tipo d’encoder. Questo dispositivo è in grado di rilevare
la velocità angolare e lo spostamento di un albero motore. Un encoder tachimetrico è costituito
da una barriera fotoelettrica formata da un diodo all’infrarosso ed un fototransistor; tra essi è
collocato un disco che presenta una serie uniforme di settori opachi e settori trasparenti.
L’encoder tachimetrico viene inserito in un sistema in modo tale che il disco ruoti attorno allo
stesso asse dell’albero da controllare. Il disco può essere di metallo, vetro o materiale plastico; i
più utilizzati, sia per ragioni di stabilità sia di risoluzione, sono quelli di vetro sui quali le tracce
sono riportate fotograficamente.
Quando la base del fototransistor risulta illuminata questo
si porta in condizione di saturazione; in uscita si avrà 0
logico. Quando, invece, la base è oscurata, il transistor è
interdetto; l’uscita sarà 1 logico.
U1 è un buffer a trigger di Schmitt che squadra la tensione
d'uscita per ottenere una Vu con andamento rettangolare.
Controllo automatico di velocità per un motore in cc
Sensori fotoelettrici (o sensori ottici)
In questa categoria di sensori si possono annoverare dispositivi assai diversi per concezione, frequenza della
radiazione usata e quindi per settore d'impiego.
I sensori ottici più tradizionali funzionavano con luce visibile. Essi impiegavano generalmente sorgenti a
filamento e rilevatori di tipo a fotoresistenza. Questi dispositivi comportavano tuttavia alcuni inconvenienti fra i
quali la durata limitata della sorgente (alcune migliaia di ore) e la velocità di risposta modesta.
Prestazioni nettamente superiori sono state ottenute impiegando emettitori a LED per esempio arseniuro di
gallio) e rivelatori al silicio (fotodiodo o fototransistor). La banda di emissione dell'arseniuro di gallio (circa 0.7
- 0.9 m), infatti, si adatta bene alla regione di assorbimento del silicio.
I moderni sensori ottici si suddividono in tre grandi famiglie:
- sensori di prossimità a barriera
-
sensori di prossimità reflex
-
sensori di prossimità a diffusione.
I sensori a barriera sono costituiti da un trasmettitore (emettitore) e da un ricevitore (rivelatore) separati tra di
loro. Qualunque oggetto non trasparente interposto interrompe il raggio luminoso (light beam) e viene pertanto
rilevato. Questo tipo di sistema è generalmente impiegato dove sono richieste elevate distanze d'intervento. I
dispositivi commerciali a barriera funzionano infatti, a seconda dei tipi, con distanze trasmettitore / ricevitore
comprese fra qualche metro.
I sistemi di funzionamento reflex, adatti per medie distanze di intervento, hanno il trasmettitore e il ricevitore
integrati nello stesso contenitore. Viene usato un riflettore prismatico il quale riflette il raggio trasmesso e
pertanto viene rilevato. Questo sistema viene utilizzato per piccole o medie distanze oppure laddove è
impraticabile l'impiego di un trasmettitore e un ricevitore separati.
Naturalmente non può essere utilizzato per rilevare oggetti molto riflettenti come metalli levigati.
I sensori di prossimità a diffusione sono analoghi a quelli reflex, ma non
richiedono l'impiego di un riflettore. La potenza emessa, infatti, è molto bassa
ed è lo stesso oggetto da rilevare che riflette il raggio verso il ricevitore. La
distanza d'intervento, per questi tipi di sensori, è naturalmente strettamente
legata alle caratteristiche
superficiali dell'oggetto da rivelare. Pertanto i
costruttori normalmente
equipaggiano tali sensori a diffusione con un
regolatore di sensibilità per permettere agli utilizzatori di poterli adattare allo
specifico impiego. Questi modelli vengono impiegati solo per piccole distanze
(fino a qualche decina di cm).
I vantaggi principali dei sensori ottici sono rappresentati dalla elevata distanza
d'intervento.
D'altra parte, come si è visto, le caratteristiche d'intervento sono fortemente legate al tipo di superficie
dell'oggetto da rilevare. Tale caratteristica, negativa per molte applicazioni, si rivela interessante per
esempio per discriminare oggetti di colore diverso (per esempio rivelare la presenza di una etichetta su
un contenitore).
L'introduzione di fibre ottiche ha permesso di risolvere
problemi particolari di rilevamento ed i costruttori più
evoluti forniscono infatti, oltre ai sensori, anche numerosi
tipi di fibre ottiche da applicare ai sensori stessi.
Sensori a principio induttivo
I sensori elettronici di prossimità a principio induttivo sfruttano il fenomeno dello smorzamento di un campo
elettromagnetico per effetto delle correnti indotte (correnti di Foucault) in materiali conduttori posti nelle loro
vicinanze.
La bobina di un circuito oscillante genera
un campo elettromagnetico ad alta frequenza e,
in azionatori
metallici vicini, correnti parassite che provocano una perdita di energia nell'oscillatore, smorzando l'ampiezza
del segnale
. La riduzione dell'ampiezza dell'oscillazione è rilevata da un amplificatore di soglia con isteresi che, a sua
volta, comanda uno stadio amplificatore finale per l'azionamento di un carico esterno.
Essi si suddividono in due categorie: autoamplificati e non amplificati.
-
-
I sensori autoamplificati si dividono a loro volta in sensori a corrente continua
e sensori a corrente alternata.
I sensori non amplificati sono costituiti da un oscillatore e vengono utilizzati
per ottenere segnali a basso livello atti a comandare un amplificatore separato.
L'assenza di contatto meccanico fra azionatore e sensore consente, unitamente alle
precedenti
caratteristiche, una durata ed un numero di operazioni illimitate rispetto ad altri tipi di interruttori di
prossimità, riducendo altresì ogni problema di manutenzione.
I sensori induttivi rappresentano senza dubbio i sensori di prossimità più diffusi su macchine automatiche
e sono gli unici che,
grazie alla maturità raggiunta dalla tecnologia, godono di una normalizzazione a livello
.
internazionale (CENELEC).
Sensori a principio capacitivo
I sensori di prossimità a principio capacitivo, o sensori capacitivi, sfruttano la variazione di capacità parassita
che si crea tra sensore ed oggetto da rilevare. In corrispondenza di una determinata distanza dell'oggetto
dalla faccia sensibile del sensore, entra in oscillazione un circuito e l'insorgere o il cessare di tale oscillazione
viene sentito da un rilevatore di soglia che comanda un amplificatore per l’azionamento del carico esterni
E' evidente che, dato il principio di funzionamento descritto, un
sensore di
prossimità capacitivo può essere utilizzato come rilevatore di oggetti metallici e
non metallici come legno, liquidi, materiali plastici. Impieghi tipici si hanno per
esempio nei dispositivi contapezzi, nei controlli di livello in recipienti, ecc.
I parametrio sono simili a quelli dei sensori induttivi mentre le distanze di
intervento per i tipi cilindrici di diametro 18 - 30 mm., molto diffusi nell'industria,
sono nel campo 8 - 20 mm.
Sensori a ultrasuoni
I sensori di prossimità a ultrasuoni sfruttano l'emissione di impulsi sonori a frequenza elevata (40 - 200
KHz) per rilevare la presenza di oggetti posti nelle loro vicinanze grazie all'eco dovuta alla riflessione degli
ultrasuoni da parte degli oggetti stessi.
Il segnale emesso è costituito in genere da un treno di impulsi viaggianti alla velocità del suono nell'aria
(340 m/s circa).
L'emissione avviene tramite un apposito trasduttore elettroacustico di tipo piezoceramico. L'onda riflessa è
rilevata da un analogo trasduttore la cui funzione è quella di riconvertire i segnali acustici in segnali elettrici.
Nelle applicazioni dei sensori di prossimità interessa rilevare la presenza di un oggetto
(azionatore) in un
certo campo di rilevamento prefissato ed eventualmente
programmabile in ampiezza dall'utilizzatore.
Pertanto il tempo di ritardo, cioè il tempo che intercorre fra l'istante di emissione di un
impulso e l'istante di ricezione dello stesso, essendo proporzionale alla distanza
azionatore / sensore, permette al sensore di stabilire se l'azionatore è o meno in
campo.
Per la realizzazione metro elettronico assumiamo di lavorare ad una temperatura ambiente di 20°C e
quindi la velocità del suono sarà di 343 m/s che vuol dire anche 0,0343 cm/microsecondi.
Lo spazio percorso sarà:
s=v*t
da cui
s = 0,0343 * t
per calcolare lo spazio percorso, bisogna tener conto che il suono percorre due volte la distanza da
misurare (giunge sull'oggetto e ritorna indietro al sensore) quindi il
valore di t ottenuto deve essere
diviso per 2.
La formula corretta per la misura dello spazio percorso è:
possiamo scrivere:
s = 0,01715 * t
oppure:
s =(0,0343*t)/2
s = t/58,31
Offre un eccellente rilevamento del campo senza contatto con elevata precisione e letture stabili in un
pacchetto facile da usare. Da 2 cm a 400 cm o da 1 "a 13 piedi.
Il suo funzionamento non è influenzato dalla luce solare o da materiale nero.
L'impiego della tecnologia a ultrasuoni nel campo dei sensori di prossimità permette di ottenere distanze di
intervento massime di ordine nettamente superiore rispetto a quelle ottenibili con la tecnologia induttiva o
capacitiva a parità di dimensione
geometrica del sensore. Il sensore ad ultrasuoni rappresenta dunque una
vantaggiosa alternativa nei confronti dei sensori ottici, comunemente utilizzati per rilevare oggetti distanti; infatti
le caratteristiche di rilevamento di un sensore a ultrasuoni non dipendono dalle caratteristiche cromatiche
superficiali dell'oggetto da rilevare e possono essere sentite anche superfici trasparenti.
Sensori magnetici a contatti reed
I sensori di prossimità magnetici a reed sono costituito da due lamine di materiale
ferromagnetico (ferro-nichel), all’interno di un contenitore in atmosfera di gas inerte.
Le lamine sono rivestite con un materiale che migliora la conduttività e indurisce la
superficie, per prevenire la formazione di microsaldature e microcrateri nel punto di
contatto. Le lamine sono posizionate ad una piccola distanza fra loro. Quando la forza
di attrazione tra le lamine supera la resistenza elastica delle lamine stesse, queste si
flettono l'una verso l'altra, realizzando un contatto elettrico
La distanza di intervento è funzione della sensibilità del reed, della intensità del campo magnetico e
anche della sua forma nel caso in cui non è uniforme (per es. nei cilindri con pistone magnetico). I
materiali non ferrosi o ferrosi amagnetici, interposti tra sensore e magnete, non alterano il
funzionamento del reed perché il campo magnetico attraversa queste pareti. Bisogna invece
prestare particolare attenzione a materiali ferrosi o altri magneti posti a pochi centimetri dal
campo magnetico (per es. trucioli di ferro, supporti, viti di fissaggio, cilindri con pistone magnetico)
perché possono influenzare il campo e farlo deviare.
Tali campi, generati da magneti permanenti o da bobine percorse da corrente, producono sulle lamine, per il
fenomeno di induzione magnetica, polarità di segno opposto.
Questi interruttori di prossimità (reed o hall-effect) sono principalmente usati per determinare la posizione del
pistone magnetico in un cilindro pneumatico ed idraulico.
Il loro utilizzo è consigliato per sostituire interruttori meccanici a leva o a pulsante, ad esempio, per motivi di
sicurezza, per impedire l'azionamento manuale di un
interruttore. Disponibilità di varie versioni e modelli:
normalmente aperto o normalmente chiuso, con o senza connettore.
La chiusura dei contatti dipende dalla sensibilità del reed e dalla forza del magnete nella fase di avvicinamento. Le
superfici di contatto delle lamine dei reed sono rivestite con materiale pregiato (oro, rodio, tungsteno) che le rendono
adatte a comandare circuiti a basse correnti e a forti carichi induttivi.
Sensori effetto hall
In un conduttore a forma di lamina percorso da corrente i e soggetto ad un campo magnetico di intensita'
B, si origina una differenza di potenziale V in una direzione perpendicolare sia alla corrente che al campo
magnetico.
Il valore di tale differenza di potenziale e' proporzionale all'intensita' di corrente i e all'intensita' del campo
magnetico B, mentre e' inversamente proporzionale allo spessore della lamina
Sensore di prossimità a effetto Hall
In assenza di oggetto da rivelare il sensore capta un
forte
campo
magnetico
emesso
dal
magnete
permanente, mentre capta un campo più debole quando
un oggetto ferromagnetico si
trova nelle immediate
vicinanze e varia la conformazione delle linee di forza
Esempio di applicazione come
sensore di posizione
Rispetto ai contatti tradizionali ad azionamento meccanico si possono annoverare diversi vantaggi:
-
-
-
la chiusura ermetica in gas protegge i contatti dalla polvere, dall'ossidazione e dalla corrosione
l'azionamento dei contatti avviene senza complicati ed ingombranti meccanismi, sfruttando l'influenza di un
campo magnetico
alta velocità di funzionamento, fino a 300 Hz per alcuni tipi; breve tempo di attrazione (1.5 - 3 ms,
compresi i rimbalzi)
la particolare concezione costruttiva e l'alta qualità dei materiali impiegati assicurano ai contatti una
lunga vita (107 - 108operazioni)
assenza di manutenzione e ridottissimo ingombro.
Sensori di deformazione e di forza
I controlli di sforzo si basano prevalentemente sugli estensimetri, ma molto
piezoelettrici .
utilizzati sono anche i sensori
Come sappiamo, certi cristalli sotto pressione generano sulle facce opposte cariche elettriche proporzionali allo
sforzo cui sono sottoposte; questi sensori sono particolarmente adatti ad impieghi con corrente alternata.
I sensori piezoelettrici sono sensibili sia alla forza lungo un asse, sia alla coppia intorno all'asse stesso.
Tali sensori permettono il controllo in tempo reale dell'intensità (ed anche della direzione) delle forze e delle coppie
applicate dal robot agli oggetti manipolati.
Generalmente, i sensori di sforzo vengono applicati tra il polso e la pinza, e solo recentemente sono stati
messi a punto sensori a 6 gradi di libertà (per misurare componenti multiple di forza) talmente leggeri e di
dimensioni tali da poter essere montati sulle dita di una pinza per impianti robotizzati.
I sensori di deformazione e di forza sono particolarmente interessanti per le operazioni di assemblaggio,
quando è ad esempio necessario correggere la posizione e l'orientamento del robot: questa correzione viene
effettuata in funzione della forza esercitata nel manovrare i pezzi.
Oppure, nelle applicazioni in cui è necessario applicare una pressione costante (ad esempio operazioni di
incollaggio) o, ancora, nella misurazione della forza di inserzione dei componenti elettronici in un circuito
stampato.
La forza viene misurata in newton (N); 1 N corrisponde a 0.102 Kg; e a 0.225 libbre.
I trasduttori di forza sono spesso basati su trasduttori di spostamento come ad esempio la compressione di
una molla che agisce su un LVTD. Dispositivi di questo tipo sono chiamati anche "celle di carico".
Altre volte vengono usate celle di carico costituite da trasduttori piezoelettrici di forza.
Estensimetri
Alcune misure di spostamento si riferiscono a movimenti molto piccoli. In tali casi sono molto adatti i
cosiddetti "strain gages", sensori di basso costo, di facile uso e che talora possono venire resinati nello stesso
corpo inmisura.
Questi trasduttori trasformano una tensione meccanica in un segnale elettrico. Possono essere a filo conduttore,
piezoelettrici, a variazione di induttanza.
Sono costituiti da un filo conduttore (costantana, manganina….) ripiegato più volte in modo da aumentarne la lunghezza
pur conservando un ingombro limitato. Questo filo può essere ricavato direttamente per fotoincisione su un substrato
plastico metallizzato
che viene incollato sull’elemento da controllare in modo che entrambi subiscano la stessa
deformazione
Si possono ottenere le forme diverse e su di un solo supporto possono essere incisi più di un estensimetro in modo da
misurare deformazioni lungo assi diversi
L’insieme si presenta come un francobollo, che può essere incollato sulla parte nella quale si vuole rilevare la tensione da
misurare
e
disposto
con
i
lati
paralleli
alle
linee
di
tensione.
Nell’applicazione della forza il francobollo subisce un allungamento, lo sviluppo del filo costituente il
trasduttore diminuisce di sezione e aumenta in lunghezza variando quindi il valore della resistenza.
La misura di forze, momenti flettenti e momenti torcenti viene eseguita molto spesso misurando le deformazioni che essi
inducono in un corpo. Vengono misurati degli spostamenti, anche se piccolissimi, tramite degli estensimetri resistivi
metallici.
Note le variazioni di lunghezza e della resistenza
ΔL = Lf –Li
e
ΔR = Rf – Ri
Si può affermare che la variazione relativa di resistenza ΔR/R è proporzionale alla variazione
relativa di lunghezza ΔL /L
e quindi le relative variazioni percentuali ΔL /L e
ΔR/R
e possibile calcolare
la costante estensimetrica K
o fattore di taratura
K = (ΔR/R) / (ΔL /L)
Gli estensimetri vengono forniti i seguenti parametri:
- Tolleranza della resistenza
- Fattore di taratura K
- Modulo di elasticità E
- Deformazione massima
- Range di temperatura
- F = forza di trazione =(S*E/K)*(∆R/R)
CELLE DI CARICO
cella di carico è un sensore o un trasduttore che converte un carico o un forza in un segnale elettrico. Questo
segnale può essere un cambiamento di tensione, di corrente o di frequenza, in dipendenza del tipo di cella e del
circuito adoperato.
La
In commercio si trovano di solito celle di carico resistive ma esistono anche quelle capacitive.
Una cella di carico lavora secondo il principio della piezo-resistività. Quando una
sensore, esso cambia la sua resistenza..
forza è applicata al
Una cella di carico è realizzata tramite una membrana elastica (con un’elevato
indice di
deflessione) alla quale è collegata un estensimetro (strain gauge) e uno strumento di misura per
rilevare piccole deformazioni di un corpo.
Le celle di carico commerciali sono di diversa tipologia e vengono adoperate in
diversi contesti (applicazioni industriali, misure di precisione, elettrodomestici,
etc).
Nella cella di carico
basso:
sono presenti 4 differenti estensimetri, due in alto e due
Quanto un carico è applicato al corpo di una cella di carico resistiva, la membrana elastica
viene deflessa modificando la sua forma. Il risultato è quello di avere due estensimetri in
compressione e due in tensione. In questo modo la resistenza viene modificata fin tanto che
le membrane rimangono deformate.
I quattro estensimetri sono collegati tra loro nella configurazione del Ponte di Wheastone
Quando il corpo metallico della cella viene sottoposto ad uno sforzo, gli estensimetri
variano la loro resistenza registrando una variazione di potenziale
(solitamente
dell’ordine di 20 mV) misurata ai capi B e D.
Vista l’esigua entità della variazione di tensione, è necessario amplificare il segnale per
ottenere variazioni da 0 a 5 V o da 0 a 10 V.
in
Sensori tattili
Un altro settore in cui la ricerca è molto intensa, oltre a quello della visione artificiale, è quello dei sensori
tattili, nella consapevolezza che il raggiungimento di una buona funzionalità anche in questo campo è il primo
requisito per affidare ai robot lavori sempre più complessi.
Il dotare la mano di un robot di capacità tattili vicine a quelle umane rappresenta un obiettivo molto attraente.
Attualmente le ricerche sono orientate ad implementare un sensore tattile dalle seguenti caratteristiche:
- array con 4 x 4 elementi sensibili ogni cm2
- tempo
di risposta di ogni elemento sensibile compreso tra 1 e 10 ms
- sensibilità di ogni elemento pari a 10 -3 Kg.
- "pelle
artificiale" robusta in grado di sopportare bene l'ambiente di fabbrica.
Sono stati provati diversi materiali quali gomma conduttiva, PZT (ceramica piezoelettrica), PVF2 (fluoruro di
polivinile). Quest'ultimo sembra essere vincente essendo robusto, leggero, facilmente conformabile alle
superfici complesse. E’ inoltre
privo
di difetti dei concorrenti
quali
isteresi, scarsa linearità,
deriva termica, ecc.....
Un prototipo di sensore tattile consiste dunque di un foglio di PVF2 metallizzato su entrambe le superfici, per
assicurare un buon contatto elettrico. Dal foglio viene ricavata una matrice di 16 (4 x 4) elementi sensibili,
ognuno dei quali ha l'amplificatore di segnale e il convertitore A/D, una memoria RAM di 2 kbyte per 8 bit,
una ROM di 4 kbyte per 8 bit ed un microprocessore.
I 16 microprocessori portano le informazioni della cella relativa ad un microprocessore di supervisione che
effettua le necessarie correlazioni e le invia, a sua volta, ad un elaboratore principale che ricostruisce
l'immagine tattile vera e propria. Si tratta, come ci si può rendere conto, di una apparecchiatura molto
complessa.
Sensori di visione
Il robot è stato descritto come una macchina programmabile e multiscopo dedicata alla produzione.
Questa flessibilità, tuttavia, nell'ambiente operativo è fortemente condizionata dalle capacità sensoriali dei
robot. In realtà sappiamo che anche per la più semplice applicazione il robot è dotato di una rete sensoriale
composta da: sensori di presenza pezzo, sensori di stato delle macchine di cui il robot è "server", ecc...
Tali sensori però influenzano solo la sequenza di esecuzione e la cadenza delle operazioni del robot senza
aumentarne la flessibilità. Una maggiore flessibilità è data dal controllo di tipo adattativo, un controllo cioè
che permetta, per esempio, di percorrere traiettorie indipendenti da quelle programmate sulla base di
indicazioni fornite da sensori evoluti.
In questo modo il programma che l'operatore introduce non contiene istruzioni di posizionamento che il
manipolatore deve ripetere, ma piuttosto istruzioni che definiscono i movimenti che il robot deve compiere in
funzione di segnali provenienti dai sensori.
L'implementazione di un controllo che sappia adattarsi alle condizioni operative (controllo adattativo) deve
essere il più possibile generale, non orientata cioè ad una specifica applicazione, in modo da lasciare la
massima libertà di scelta dei sensori da parte di chi deve inserire il robot in un processo produttivo. Tra
i
sensori che maggiormente consentono un controllo di tipo adattativo i più
importanti sono i sensori di
visione, che, data la loro complessità, sono chiamati più frequentemente sistemi di visione.
I sensori di visione hanno lo scopo di identificare la posizione e l'orientamento dell'oggetto che si trova nel
campo del sensore, al fine di guidare il robot verso l'oggetto stesso.
Essi sono impiegati anche per riconoscere oggetti che per forma o colore sono difettosi o più in generale per il
controllo della qualità dei pezzi. La struttura tipica di un sistema di visione si sintetizza nel seguente
funzionamento:

il compito di riprendere le immagini è affidato ad una telecamera a stato solido posta sopra la scena

il rilevamento avviane per mezzo di un reticolo di elementi fotosensibili su un chip CCD (Coupled Charge
Device). Su ciascun elemento si produce una tensione proporzionale alla luminosità del corrispondente
punto della scena
dopo una conversione analogico / digitale, i valori di tensione associati a ciascun elemento (detto pixel),
proporzionali al suo livello di grigio, vengono memorizzati sotto forma di matrice numerica in un buffer di
memoria RAM. Tale memorizzazione viene eseguita perché il tempo di acquisizione e conversione
analogico / digitale dell'immagine è di pochi millisecondi, mentre il tempo di elaborazione della stessa può
essere anche di alcuni secondi.
Si fa notare che mentre l'occhio umano può distinguere una trentina di livelli di grigio, i sistemi di visione
operano su almeno 64 (512 nel caso dei sistemi di visione più evoluti).
Successivamente la matrice numerica viene elaborata per evidenziare il profilo degli oggetti rispetto alo
sfondo della scena

Una volta evidenziati, questi vengono confrontati con quelli precedentemente memorizzati. L'identità dell'oggetto
viene poi resa disponibile per il controllo del robot al fine di attivare specifiche sequenze di operazioni quali
selezione dell'end effector, azionamenti di dispositivi ausiliari, ecc... In base al profilo rilevato il sistema di visione
determina la posizione dell'oggetto ed il suo orientamento e li trasmette al controllo del robot.
Pertanto l'utilizzatore programmerà:
- il
sistema di visione memorizzando le immagini che il sistema deve
- identificare (prototipi)
- il robot inserendo un programma di manipolazione per ciascuno degli oggetti.
La procedura di ricerca del profilo degli oggetti consiste normalmente nella
scansione della matrice numerica in cui sono stati memorizzati i valori di
grigio di ciascun elemento di immagine (pixel). Durante tale scansione
vengono "trovati" gli oggetti presenti nella scena.
Per eseguire tale funzione, esistono opportuni algoritmi.
Le procedure di riconoscimento sopra descritte presuppongono che
rimanga fissa la posizione della telecamera rispetto alla base del robot.
Per tale motivo è necessario
effettuare, a monte del processo di
rilevamento ed elaborazione di immagine, una
"calibrazione" della
telecamera montata sul braccio del robot che permetta di mettere in
relazione tra di loro, mediante trasformazioni di coordinate, i vari sistemi
di riferimento relativi adottati (posizione camera - posizione pinza sistema di riferimento assoluto del robot).
SENSORE DI TEMPERATURA E UMIDITÀ DHT11/DHT22
Il DHT11 è un sensore di temperatura e umidità con uscita dei dati in formato digitale(
Digitale significa che dispone di un ADC interno che converte i segnali e quindi invia i
segnali in modo digitali in uscita).
Il sensore è munito di un piccolo involucro ed è disponibile montato su basetta (3 pin)
oppure nudi (4 pin). Il sensore utilizza una tecnica digitale esclusiva che unita alla
tecnologia di rilevamento dell'umidità, ne garantisce l'affidabilità e la stabilità.
I suoi elementi sensibili sono connessi con un processore 8-bit single- chip. Ogni sensore di questo modello è
compensato in temperatura e calibrato in un'apposita camera di calibrazione che determina in modo preciso il
valore di calibrazione il cui coefficiente
viene salvato all'interno della memoria OTP (PROM: memoria
programmabile dall’utente)
Le sue piccole dimensioni e suo basso consumo unite alla lunga distanza di trasmissione (20 m) permettono al
sensore DHT11 di essere adatto per molti tipi di applicazioni. Il package con quattro pin in linea ne rendono facile
la connessione. Questi sensori
sono costituiti da un componente di rilevamento dell'umidità, un sensore di
temperatura NTC (o termistore) e un circuito integrato sul lato posteriore del sensore.
Per misurare l'umidità usano il componente di rilevamento dell'umidità che ha due
elettrodi con il substrato (polistirene trattato con acido solforico) che trattiene
l'umidità.
Al variare dell'umidità, la conduttività del substrato cambia o la resistenza tra
questi elettrodi cambia. Questo cambiamento di resistenza viene misurato ed
elaborato dall'IC che lo rende pronto per essere letto da un microcontrollore.
Il range di misura della umidità va da un minimo di 20%RH (RH:umidita relativa) ad un massimo di 90%RH con una
risoluzione di 1% che vuol dire che il sensore non discrimina variazioni minori dell’1% di RH.
L’accuratezza è pari a 4%RH, quindi il sensore potrebbe sbagliare di questo valore sia in positivo che in negativo e
inoltre se vi è una variazione brusca di umidità il sensore impiega 10 secondi circa per rilevarla.
Per quanto riguarda la temperatura il range di misura va bene per temperature positive e inferiori a 50°C con una
risoluzione di 1°C e tempo per rilevare le variazioni brusche di temperature di 13 secondi circa.
Per misurare la temperatura questi sensori utilizzano un sensore di temperatura NTC o un termistore. Un termistore è
un resistore variabile che cambia la sua resistenza con il cambiamento della temperatura.
Questi sensori sono realizzati per sinterizzazione di materiali semiconduttori come ceramiche o polimeri al fine di
fornire maggiori cambiamenti nella resistenza con solo piccole variazioni di temperatura. Il termine "NTC" significa
"coefficiente di temperatura negativo", il che significa che la resistenza diminuisce con l'aumento della temperatura.
Attuatori
Nel campo della automazione il sistema attuatore comprende l'attuatore propriamente detto e l'organo
trasmettitore, che consente di poter trasferire l'energia meccanica in punti diversi da quelli nei quali è stata
generata e con caratteristiche che la rendano idonea ad essere utilizzata nella struttura meccanica dello
specifico robot. E' tramite l'azione degli attuatori che, ad esempio, un manipolatore dà attuazione alle
"decisioni" prese dagli organi programmatori delle operazioni: tra questi rivestono particolare importanza gli
attuatori elettrici.
Agli attuatori impiegati nei sistemi di automazione, caratterizzati da un servizio intermittente, si chiede
sostanzialmente di possedere elevate coppie allo spunto ed elevate accelerazioni con una debole inerzia del
rotore: anche le velocità richieste non presentano di solito valori elevati Nel settore industriale il tipo di
motore più utilizzati, sono i motori a corrente continua, i motori passo-passo. e il motore asincrono con
controllo velocità PWM in quanto è compatto, robusto, consente un utilizzo produttivo giornaliero molto
alto, richiede una manutenzione minima e ha un costo operativo ridotto.
Sono inoltre utilizzati i motori brushless che richiedono un’elettronica di controllo più complessa rispetto
a quelli con le spazzole ma hanno un’alta efficienza e una densità di potenza più elevate, sono più silenziosi
e generano meno disturbi elettrici.
.
Motori a corrente continua
Tra gli attuatori di movimento e spostamento, i motori in corrente continua hanno sicuramente una
posizione di primo piano soprattutto nei casi in cui non è richiesta una eccessiva potenza. I motori
elettrici in corrente continua per l'automazione devono avere caratteristiche diverse da quelli destinati ad
un servizio più o meno continuo con velocità pressoché costante.
In particolare l'impiego degli azionamenti elettrici rispetto a quelli idraulici o pneumatici è rapidamente
aumentato in virtù di:
- facilità
di manutenzione
- eliminazione
dei riduttori di velocità
- possibilità
di montaggio diretto sugli assi
- precisione
ed affidabilità del comando
- limitata
rumorosità.
Inoltre notevoli sono stati recentemente i progressi nei magneti permanenti, che hanno consentito
l'eliminazione degli induttori, e nei materiali magnetici a elevata permeabilità, che hanno consentito un
miglioramento delle caratteristiche rotoriche in ordine alla dissipazione di calore.
La presente nota si propone di descrivere i tipi di motori in corrente continua più in uso, fino a quelli più
recenti, destinati ad avere un impiego sempre maggiore nei robot di piccole e medie dimensioni
Per introdurre l'argomento si richiama brevemente il principio di funzionamento di un motore DC (Direct Current ).
Nella figura è illustrata la struttura di base. Il principio di funzionamento si basa sul fatto che, su un filo percorso da corrente
elettrica, nasce una forza quando il filo stesso si trova in un campo magnetico statico. L'avvolgimento di rotore è collegato a
segmenti di commutazione (collettore) e riceve corrente attraverso spazzole che strisciano sul collettore stesso.
Il collettore e le spazzole formano un commutatore per la
corrente del rotore, in
modo che essa scorra sempre nella
direzione corretta e fornisca una coppia che
determina la
rotazione in un senso.
I motori a corrente continua sono costituiti quindi di uno statore
realizzato in ferro,
con espansioni polari, e di un rotore,
anch'esso in ferro, nelle cui cave è situato
l'avvolgimento
costituito da fini matasse ai cui estremi sono collegate le lame del
collettore. Attorno alle espansioni polari di uno statore sono
avvolti gli avvolgimenti di eccitazione o di campo che producono
il campo magnetico principale.
Il circuito di rotore è percorso dalla corrente di indotto o di armatura mentre nelle lame del collettore avviene
la commutazione tramite le spazzole I motori elettrici in corrente continua sono gli attuatori più comunemente
usati nei sistemi di controllo per piccole potenze (meno di 100 W).
Il sistema di eccitazione impiegato in questo tipo di motori è normalmente quello che prevede l'eccitazione
stessa attuata indipendentemente: infatti, in tal caso, operando il cosiddetto "controllo di armatura", si
controllano bene sia la velocità che la coppia del motore.
Funzione di trasferimento del motore in corrente continua a magneti permanenti (+carico meccanico)
Nei motori a corrente continua a magneti permanenti il controllo della velocità viene effettuato
agendo sullatensione di armatura; l’ingresso è costituito dalla tensione di armatura, mentre l’uscita è
costituita dalla velocità di rotazione.
La funzione di trasferimento presenta due poli: s2 = - 1/te s2 = - 1/tm
dove te è detta costante di tempo elettrica e tm è detta cosante di tempo meccanica.
La costante di tempo elettrica è usualmente fornita dal costruttore del motore, mentre quella
meccanica è
desumibile dalla seguente formula:
tm = Ra J/Kt Ke dove:
Ra = resistenza dell’avvolgimento di armatura del motore (W)
J = momento d’inerzia del sistema motore + carico meccanico (kg m2) Kt = costante
di coppia del motore (Nm/A)
Ke = costante di tensione del motore (Vs/rad)
La funzione di trasferimento assume la forma:
Funzione di trasferimento del regolatore
Converte l’errore e (ingresso) nella tensione di armatura Va (uscita). È costituito da due blocchi in
cascata. Il primo, che ha per ingresso l’errore è il regolatore vero e proprio; il secondo, che ha per
uscita la tensione di armatura, può essere costituito da un ponte controllato oppure da un convertitore
DC/DC in tecnica PWM.
Nel caso di un ponte a diodi controllati, la funzione di trasferimento è caratterizzata da un polo, che
tiene conto del ritardo introdotto dal sistema di innesco dei diodi controllati:
Gponte_SCR = Gp/(1+stp)
Dove Gp è il guadagno del ponte mentre tp è la costante di tempo che dipende dalla tipologia del ponte:
tp = 5ms per ponti controllati monofase
tp = 1,7ms per ponti controllati trifase
Nel caso di convertitore DC/DC in tecnica PWM la funzione di trasferimento del secondo blocco è costituita da
una costante, pari al valore del guadagno.
Per quanto riguarda il primo blocco, il regolatore vero e proprio, si può usare un regolatore industriale.
I regolatori industriali vengono detti anche regolatori PID.
PID significa PROPORZIONALE – INTEGRALE – DERIVATIVO
Funzione di trasferimento della dinamo tachimetrica
Per semplicità,la funzione di trasferimento
della
dinamo
assimilata ad una costante H = costante tachimetrica (Vs/rad)
tachimetrica
può
essere
Funzione di trasferimento del blocco condizionatore
Tale blocco non è sempre necessario! Se l’uscita della dinamo tachimetrica è in accordo con il riferimento di
velocità tale blocco non serve!.
Esempio:
Se Vrif = 10V allora velocità desiderata = 1000 rpm
Quando n = 1000 rpm allora Vdt = 10V (uscita dinamo tachimetrica pari a 10V)
In questo caso non serve il blocco condizionatore.
Se, invece, Vdt = 12V serve un blocco condizionatore (può essere un partitore) per convertire i 12V provenienti dalla
dinamo tachimetrica nei 10V da confrontare con il riferimento di velocità.
Se Vdt = 8V serve un blocco condizionatore (amplificatore) per convertire gli 8V
tachimetrica nei 10V da confrontare con il riferimento di velocità.
provenienti dalla dinamo
Motori "brushless" a magnete permanente
La principale limitazione di un motore in c.c. è il sistema collettore - spazzole, sede di usura e scintillii.
Nel motore senza spazzole, o brushless, la funzione di questo sistema è svolta da una logica elettronica
assistita da un trasduttore di posizione angolare dell'albero (spesso un resolver): la logica riconosce gli
avvolgimenti perpendicolari al campo induttore, e li alimenta.
Grazie a questa soluzione, che vede l'alimentazione degli avvolgimenti realizzata per via elettronica e non
meccanica, gli avvolgimenti possono essere trasferiti sullo statore, che scambia le proprie funzioni con
quelle del rotore, costruito con magneti permanenti che danno luogo ad un campo magnetico rotante.
In automazione e in robotica si impiegano preferibilmente motori con induttore costituito da magneti
permanenti poiché tale soluzione offre, rispetto ai motori DC tradizionali, i seguenti vantaggi:
-
eliminazione dell'eccitazione esterna con semplificazione dei cablaggi
eliminazione degli induttori
annullamento delle perdite di eccitazione
caratteristica coppia-velocità di rotazione molto lineare in tutto il campo di lavoro
coppia proporzionale, in prima approssimazione, alla corrente di armatura
Motori a corrente alternata
L'impiego dei motori a corrente alternata nella robotica e in tutto il settore dei controlli automatici è sostanzialmente
limitato al motore bifase. Il motore trifase è difficilmente impiegato per le difficoltà ad ottenere una elevata coppia
allo spunto e per le difficoltà di regolazione della velocità.
Nell'ambito delle piccole potenze (da qualche watt a qualche decina di watt) il
preferibile al motore a corrente continua.
motore bifase è risultato spesso
Esso è realizzato normalmente con un rotore a gabbia di scoiattolo. I due avvolgimenti sono alimentati con tensioni
sinusoidali sfasate di /2: una è la tensione di controllo e l'altra di riferimento. La tensione di controllo può variare in
ampiezza per realizzare il controllo di velocità.
Il compito dei due avvolgimenti è quello di generare un campo magnetico rotante sotto la cui azione il rotore viene
trascinato in rotazione. Elevando opportunamente la resistenza rotorica si riesce a distendere la caratteristica meccanica
del motore fino ad ottenere una forma pressoché lineare come richiesto.
Naturalmente si abbassa notevolmente il rendimento ed è per questo che il motore bifase non si costruisce che per
piccole potenze.
L'alimentazione di un motore in corrente alternata deve presentare una uscita variabile in tensione e frequenza.
Lo schema base più utilizzato è costituito da due stadi in cascata: il primo converte la tensione alternata di rete in
tensione continua a dato valore, il secondo effettua una conversione continua-alternata a data frequenza.
L'inverter è chiamato a tensione impressa perché un grosso filtro capacitivo fissa rigidamente la tensione di
alimentazione al secondo stadio, in questo modo la tensione di uscita verso il motore non viene influenzata dalla natura
del circuito.
La corrente erogata è approssimativamente costante.
Gli azionamenti in c.a. a frequenza variabile presentano prerogative non riscontrabili nei corrispondenti c.c. : una delle
principali prerogative è la facilità dell'inversione del senso di marcia. Mentre nel controllo della velocità dei motori in c.c.
ciò si ottiene invertendo la tensione di armatura, nel caso c.a. basta semplicemente invertire due delle tre fasi di
alimentazione.
Altre prerogative sono la frenatura, la robustezza, il minor costo e l'affidabilità.
Motori passo-passo
I motori passo-passo sono componenti elettromagnetici che trasformano un impulso
elettrico in forma meccanica, con un determinato e costante incremento di rotazione dell'albero. Sono anche chiamati
"stepper motors".
Questi motori si basano sul principio di funzionamento del campo rotante a scatti.
Nella rotazione si può andare avanti o indietro e questo dipende dall'ordine con cui i suoi avvolgimenti sono eccitati.
Il motore passo-passo può essere paragonato ad una serie di avvolgimenti disposti in cerchio, avvolgimenti che, quando
sono eccitati, reagiscono successivamente su un nucleo di ferro dolce o magnete permanente, facendolo ruotare di un
angolo.
Nel passaggio da una bobina all'altra si ottiene un movimento non lineare di 2 / n radianti ogni volta (dove n è il
numero delle fasi).
La velocità in giri al minuto sarà: f N = 60 -----n
La buona precisione di posizionamento ne permette un impiego in catena aperta,
conseguente risparmio dell'elettronica di controllo.
cioè senza retroazione con
I motori passo-passo sono di tipo sincrono, esistendo una corrispondenza fra segnale di alimentazione e posizione del
rotore
Per meglio comprendere il principio di funzionamento di questo tipo di motore si immagini, per semplicità, che
quest'ultimo sia schematizzabile come mostrato in figura (struttura di base, poli magnetici e circuiteria di azionamento).
Ad ogni passo si avrà una certa oscillazione la cui ampiezza dipende dal rapporto coppia resistente / momento di inerzia del
carico, nel senso che un elevato rapporto aumenta lo smorzamento.
La circuiteria di azionamento risiede in moduli esterni. Il principale inconveniente di questo motore è la perdita del passo e
quindi del sincronismo, cosa che si verifica quando la coppia resistente è superiore a quella motrice: in tal caso il motore si
arresta e riprende a muoversi quando la frequenza di commutazione della corrente negli avvolgimenti torna al di sotto della
frequenza di avvio-arresto, ovvero della massima frequenza a cui il motore è in grado di effettuare il singolo passo. Un altro
svantaggio è la potenza limitata cui già si è accennato. Queste due caratteristiche limitano l'impiego del motore alle applicazioni
in cui sono in gioco piccoli carichi.
I parametri caratteristici del motore sono i seguenti:
- Coppia massima rotazione, Velocità massima, Angolo corrispondente al passo Risoluzione, Si hanno i seguenti tipi di
motori passo-passo:
Motori a magnete permanente: sono quelli sostanzialmente descritti nel punto precedente.
b) Motori a riluttanza variabile
Hanno lo statore con un certo numero di poli salienti avvolti e il rotore sagomato con denti o espansioni in ferro dolce. I
denti del rotore e dello statore rendono variabile la riluttanza del traferro e con i poli contribuiscono a determinare il passo
del motore.
Quando la corrente percorre un determinato avvolgimento, si sviluppa una coppia che fa girare il rotore fino alla posizione
a riluttanza magnetica minima e mettendo successivamente in tensione un altro avvolgimento, la configurazione a
riluttanza minima cambia provocando il movimento del motore.
Con una opportuna sequenza di alimentazione è possibile creare un susseguirsi di posizioni di equilibrio e quindi la
rotazione.
c) Motori ibridi
Sono basati su una tecnica composta. La loro coppia è proporzionale alla corrente e possono avere un numero elevato di
passi a giro.
I magneti permanenti del rotore, che servono a polarizzare i poli salienti, creano un flusso che si richiude attraverso la
carcassa.
Gli statori sono disposti in modo identico e gli avvolgimenti sono comuni alle due parti.
Normalmente la scelta avviene tra i motori a magnete permanente e motori ibridi.
Gli attuatori possono essere pilotati da un operatore attraverso dispositivi di comando e protezione motori (fusibili di
protezione, interruttori di manovra, sezionatori), da un sistema automatico, come un controllore logico programmabile
(PLC) oppure si possono
gestire da relais.
Eccitando la bobina di comando, i contatti normalmente aperti (NO) si chiudono, permettendo il flusso di corrente, e i
contatti normalmente chiusi (NC) si aprono, interrompendo il flusso di corrente.
I relais sono degli amplificatori di potenza: infatti se la bobina di comando viene eccitata con 100mA, il contatto può
portare più di 10A. Si tratta di dispositivi lenti: il tempo di apertura o di chiusura di relais di una certa potenza possono
superare anche i 10ms.
La semplicità del dispositivo, l’elevato isolamento tra bobina e contatti, l’economicità e la possibilità di essere facilmente
utilizzati da personale non esperto rende i relais molto utilizzati sia come contattori che per l’amplificazione di comandi
provenienti da sistemi elettronici che in genere gestiscono segnali a bassissima potenza (<100mW).
IL relais inolttre è altrettanto semplice da isolare, ad esempio mediante un isolatore galvanico mentre il segnale è
molto semplice da trasmettere, avendo un’elevata immunità al rumore.
Azionamenti
Per ottenere degli avviamenti controllati o, più in generale, la possibilità di regolare la velocità del
motore, si utilizzano dei sistemi elettronici di potenza detti azionamenti.
Soft starter
Lo schema indica come sia possibile regolare la tensione al motore semplicemente regolando l’angolo di
apertura degli interruttori. Ovviamente ci sarà un’elettronica che,
grazie a dei trasformatori sulla rete
(trasformatori di sincronismo), regola l’accensione e lo spegnimento degli interruttori e quindi regola la
tensione sul motore.
Tipicamente la tensione sul motore viene impostata secondo una rampa lineare di salita con tempo variabile
Nel caso di motori in corrente alternata, come nei motori a induzione (brushless), la velocità del motore viene
regolata regolando la frequenza, mentre l’ampiezza del segnale fornisce potenza e quindi coppia. E’ possibile regolare
la frequenza e l’ampiezza delle tensioni sinusoidali applicate al motore mediante degli inverter. Un inverter è costituito
da un convertitore controllato AC/DC come quello sopra seguito da uno stadio controllato DC/AC.
L, C per livellare la tensione raddrizzata
Per la realizzazione fisica degli interruttori si utilizzano dispositivi elettronici di potenza tra i quali, oltre a diodi e
transistori bipolari e MOSFET di potenza (tipicamente fino a 100A), SCR,IGBT
I convertitori e la relativa elettronica di comando trova posto negli azionamenti, dei sistemi elettronici digitali che si
occupano della regolazione della velocità e della corrente del motore.
Un azionamento è costituito da una parte di controllo, in genere gestita da un microprocessore, e da una parte di
potenza, ossia dal convertitore e dal controllo diretto degli interruttori.
La parte di controllo è costituita da una sezione di regolazione, da una sezione di protezioni (massima corrente, massima
tensione,…) e da una sezione di comandi, ossia una serie di ingressi e uscite logiche, in genere oggi sostituite da un
canale di comunicazione numerico, per l’abilitazione, l’attivazione dei riferimenti, la segnalazione dello stato di
funzionamento.
PLC, PMC, Computer industriali ai più piccoli sistemi compatti ai sistemi modulari con potenti
CPU per applicazioni di alto livello, l’offerta dei sistemi di controllo di processo prevede anche la disponibilità di
architetture basate su PC, sistemi softlogic, e l’utilizzo di tecnologie Fieldbus.
I principali elaboratori che operano a livello industriale si possono suddividere in due categorie:
- unita intelligenti dedicate (Robot, Macchine a controllo numerico)
- unita intelligenti altamente programmabili (PLC, PMC «Programmable Multifunction Controller: PC a struttura
modulare», PC industriali, sistemi di visione
I robot e i sistemi a controllo numerico sono macchine elettromeccaniche automatiche dotate di scarsa
capacità di elaborazione, di scarsa capacità di memorizzazione e trasmissione dell’informazione utilizzate in
qualsiasi settore industriale per compiti specifici
1) Le unità intelligenti sono molto versatili, hanno un elevato livello di programmabilità e vengono impiegate
per svolgere le funzioni di comando e segnalazione, la gestione delle protezioni e degli allarmi, le
regolazioni, il coordinamento degli azionamenti di una
stessa cella di lavorazione, il rilevamento, la
memorizzazione e la trasmissione dei dati inerenti la lavorazione in oggetto, l’interfaccia con l’operatore.
- HMI Human Machine Interface: Interfaccia uomo-macchina) è un sistema
mediante il quale l'uomo
riesce a comunicare la sua volontà ad una
macchina e
attraverso il quale
la macchina fornisce
informazioni circa il suo funzionamento.
A differenza dello SCADA, l'HMI non è limitato alla funzione supervisoria (che può anche
non implementare)
ma realizza in pieno l'interfaccia completa con la macchina.
Ovviamente saranno mancanti i comandi e i
controlli di alto livello, quelli che risultano dall'aggregazione logica o operativa di impianti e macchine
diverse che realizzano il
sistema nel suo complesso.
- i sistemi di visione vengono oggi utilizzati per controlli dimensionali e di qualità (misurare, riconoscere,
identificare, selezionare, contare) leggere codici e caratteri, guidare robot .
Sono apparati elettronici
che
eseguono funzioni di visione artificiale attraverso una o più telecamere
dotate di sistema
di
acquisizione ed elaborazione immagini con un software specializzato nella gestione
di immagini ed un sistema di illuminazione.
Il sistema di visione si integra facilmente con macchine ed impianti con i quali si interfaccia attraverso standard di
comunicazione e trova larga applicazione nel
controllo qualità dei prodotti nella tracciabilità e nella loro
movimentazione.
In condizioni ambientali limite come ambienti molto rumorosi, esposti ad agenti chimici, temperature molto
elevate o molto fredde, aree nel raggio di azione di macchine o sistemi di movimentazione, spazi ristretti, un
sistema di visione può operare in tranquillità senza mettere a rischio la vita dei lavoratori o sottoporli a stress fisici
inutili
Unità di supervisione
IL dispositivo elettronico di controllo a microprocessore che interfaccia oggetti del mondo fisico a un sistema
di controllo distribuito può essere un Unità Terminale Remota( RTU ) o uno SCADA (supervisory control
and data acquisition system).
1) RTU: Remote Terminal Unit - Unità Terminale Remota
.
Una RTU non elabora né risolve alcuna logica. E' una unità terminale che ricevuti gli "ordini" da una unità di
classe superiore non fa altro che eseguirli. Si tratta di un ripetitore con capacità di comunicazione, una
morsettiera intelligente utile a ridurre i costi di cablaggio e a lasciare distribuiti sul campo gli I/O di un sistema
di automazione e controllo
.
Una RTU non è un PLC, anche se può possedere una interfaccia di configurazione.
La RTU monitora i parametri di campo digitali e analogici provenienti da inverter, che azionano motori e ne
regolano velocità, accelerazione, potenza, da schede di controllo, come ad esempio quelle per comandare i
motori passo passo per movimentazioni di
precisione,
termoregolatori che servono per controllare la temperatura in forni, essiccatori, ambienti, lettori di codici
per la logistica, l’imballaggio, l’etichettatura e trasmette i dati alla stazione di monitoraggio centrale.
La RTU può essere interfacciata con il sistema di supervisione
centrale con diversi mezzi di comunicazione - in genere seriale
(RS232, RS485, RS422), Ethernet. GPS o GPRS
In genere le RTU sono in grado di supportare i protocolli standard
Modbus per interfacciare qualsiasi software di terze parti.
In alcune applicazioni di controllo, le RTU sono in grado di pilotare
unità esterne di campo attraverso una uscita digitale.
La RTU può monitorare gli ingressi analogici di tipo diverso: 4-20
milliampere ( 4-20 mA), 0-10 V., da -2,5 a 2,5 V, 1-5 V, ecc.
Nella maggioranza dei casi le RTU sono alimentate da batterie
ricaricabile a lunga durata e quindi possono essere utilizzate anche
in siti non alimentati dalla rete dell'energia elettrica.
Per questo le RTU in genere sono preferite ai PLC (controllori logici
programmabili) per il controllo remoto di postazioni geografiche
isolate, spesso attraverso la comunicazione
wireless o solo
attraverso SMS GPS, mentre i PLC sono più adatti per il controllo di
postazioni all'interno di impianti, linee di produzione, ecc
2) Sistemi SCADA
Con sistema SCADA o di software SCADA (acronimo di “Supervisory Control And Data Acquisition“, cioè
“controllo di supervisione e acquisizione dati”) ci si riferisce a un sistema informatico distribuito che si
occupa della supervisione, della raccolta dati e del controllo di un impianto di produzione industriale.
Lo SCADA è per cui ma una funzione che può essere svolta da un qualunque software che realizzi le
funzioni indicate, con più o meno dovizia di particolari e di funzioni ausiliarie.
Al segnale contenente le informazioni nel percorso tra sorgente e destinazione si possono sovrapporre dei
disturbi «rumori» che possono modificare la forma d’onda del segnale rendendo l’informazione scarsamente
comprensibile.
La distorsione può avvenire in relazione a differenti parametri del segnale come ampiezza, frequenza e fase.
In ambienti di grandi dimensioni il segnale può avere piccoli ritardi derivati dalla lunghezza del filo
conduttore, è opportuno che il segnale viaggi su un conduttore isolato e schermato fino al dispositivo di
condizionamento del segnale.
Quest'ultimo deve trovarsi nelle immediate vicinanze del dispositivo di acquisizione per evitare interferenze e
perdite di segnale.
I livelli di immunità ai disturbi sono definiti dalla normativa EMC «compatibilità elettromagnetica» relativa alle
prove di immunità ai vari tipi di disturbo che affrontano i problemi relativi alla frequenza di rete,
transitori ad alta frequenza, campi magnetici e elettromagnetici,
scariche elettrostatiche. ecc..)
Il
software modulare, caratterizzati da un’architettura aperta e flessibile
implementazione di nuovi strumenti o macchinari all’interno della fabbrica
permette una facile
La supervisione e il controllo dei processi produttivi non richiede la presenza di ingegneri o tecnici preposti
alla gestione del macchinario «controllo remoto» in quanto i sistemi SCADA si possono collegare a
Internet (tramite connessioni protette per evitare di esporsi a inutili attacchi informatici) e controllati
tramite un normale browser «terminale: cellulare) distante anche centinaia di chilometri La scelta della
tipologia di dispositivo da installare negli impianti, al fine di limitare sia gli effetti provocati dai disturbi di
rete sul funzionamento di apparecchi sia, in taluni casi, alle emissioni di disturbi da parte dei carichi
dipende dal disturbo da compensare/limitare, dalla sensibilità delle apparecchiature al disturbo in esame,
dalle limitazioni imposte, da parte del distributore, sui livelli di emissione del disturbo, dalla struttura della
rete di alimentazione dei carichi, da valutazioni economiche di costi-benefici.
Nelle moderne fabbriche le macchine, robot industriali, sensori, attuatori e valvole controllati da PLC e PC
comunicano tra loro tramite una rete di comunicazione ad alta velocità, con cavi lunghi centinaia o
addirittura migliaia di metri.
Ciò facilita i processi decisionali all’interno dell’azienda, garantendo allo stesso tempo un notevole sviluppo
dell’automazione industriale consentendo ai tecnici un controllo esaustivo e in tempo reale dell’intero
processo.
Grazie a interfacce utente ottimizzate e intuitive, i sistemi SCADA sono in grado di rappresentare
graficamente l’intero processo produttivo e avere sempre sotto controllo i valori e parametri fondamentali
dei vari macchinari e ricevere allarmi sonori nel caso ci siano delle anomalie
Grazie ai sistemi e alle soluzioni offerte dai sistemi SCADA, le aziende possono governare tutte le attività e gestire
l’evoluzione di tutti i processi senza che ci sia bisogno dell’intervento continuativo di un ingegnere o tecnico.
DIAGNOSTICA E MANUTENZIONE DEGLI IMPIANTI
La modalità con cui vengono gestiti gli interventi di manutenzione ( stabilimenti industriali, con linee di
produzione e attrezzature di automazione complesse: es settore automobilistico) sta ricoprendo un ruolo
sempre più strategico nei moderni business globalizzati.
Un funzionamento armonico, coordinato ed efficiente di tuti tutti i reparti dello stabilimento (stampaggio,
assemblaggio,
verniciatura, ecc,) garantisce il corretto svolgimento del processo di produzione dei
prodotti e la continuità del business.
Qualunque malfunzionamento dei sistemi d’automazione che presiedono le linee può avere ripercussioni sulla
fabbricazione dei prodotti, che finiscono per tradursi in errori nei processi, rallentamenti dei ritmi di
manufacturing o, addirittura, in fermi macchina (downtime);
Questi si rivelano molto costosi per il costruttore non solo in termini economici, ma anche di deterioramento
dell’immagine del brand nei casi in cui, per esempio, si manifestino pesanti ritardi rispetto agli obiettivi di time to
market stabiliti oppure emergano gravi difetti su prodotti già rilasciati sul mercato.
Cosa e quando monitorare
Nel rilevare che un monitoraggio ben riuscito può permettere una grande riduzione dei componenti di riserva a
magazzino si rileva che il tipo di monitoraggio dipende dal tipo di impianto/macchina e che bisogna i tener
conto della complessità del sistema di monitoraggio e del costo per il suo mantenimento.
Una scarsa progettazione del sistema di monitoraggio o un suo scarso mantenimento possono dare origine a un
gran numero di falsi allarmi, che alla fine renderebbero inutili (o addirittura dannose) le informazioni rilevate dal
sistema stesso.
Prtanto, ci sono macchine a cui il monitoraggio è sempre applicabile, mentre per altre macchine occorre fare
una valutazione accurata prima di decidere
Riguardo quali PARAMETRI ci sono alcune grandezze che sono
tradizionalmente monitorate(correnti,
tensioni, temperature, livelli
di vibrazione dei cuscinetti) e altre che sono state introdotte più
recentemente, grazie alla disponibilità di nuovi sensori (flusso disperso).
I tempi di monitoraggio richiedono considerazioni riguardo la convenienza economica che è utile quando il
risparmio netto annuale aumenta grazie al suo impiego. e considerazioni di sicurezza che passano sopra alle
valutazioni economiche.
Manutenzione predittiva: i vantaggi rispetto ai metodi tradizionali
In campo industriale, quindi anche nel settore automotive, sono applicabili differenti metodologie di
manutenzione per assicurare l’affidabilità delle linee di produzione e dei sistemi d’automazione degli
impianti: il trend è quello di pianificare e programmare quanto più possibile gli interventi in regime di fermo
linea (manutenzione predittiva) lasciando
comunque il fianco scoperto per fermi non programmati e
non programmabili (la cosiddetta manutenzione reattiva), in cui l’intervento di riparazione o sostituzione
del componente è attivato solo dopo il verificarsi del guasto e spesso quando il componente è giunto alla
fine del suo ciclo di vita.
Vi sono poi politiche di manutenzione preventiva, come la manutenzione programmata, che prevede
(secondo scadenze calcolate in base a determinati criteri) la sostituzione di un componente dell’impianto
ancora in uno stato sufficientemente buono di funzionamento, ma pur sempre usurato, con uno nuovo con
l’obiettivo di evitare una rottura incontrollata.
Considerata l’attuale complessità dei sistemi di automazione, l’intensità di fabbricazione raggiunti dagli
stabilimenti produttivi e la portata delle possibili conseguenze in caso di guasti, si tende sempre più ad
applicare metodologie riguardanti:
- tipologie di manutenzione preventive che determinano la necessità d’intervento in
base
al monitoraggio e alla valutazione dello stato di funzionamento di un componente
o di un macchinario:
la qualità dello stato è valutata controllando se i parametri chiave
di stima (temperatura, grado di
vibrazioni, tensione elettrica, ecc.)
rientrano nei valori
limite, o di soglia, da rispettare per quel dato componente, fuori dai quali la probabilità di
guasti, rotture o malfunzionamenti diventa elevata e viene pertanto segnalata dal sistema
tramite allarmi
- La manutenzione predittiva si basa su questi stessi concetti, ma utilizza anche modelli e algoritmi che,
considerando determinati fattori specifici, calcolano il livello di degrado nel tempo riuscendo
a prevedere quanto resta ancora prima del verificarsi del guasto; grazie agli opportuni supporti
informatici
si viene a conoscenza per cui a tutte le informazioni che garantiscono il buon
funzionamento di ciascun impianto.
- La politica di manutenzione reattiva, che viene raramente utilizzata, si adotta circostanziatamente
alla parte con una bassa probabilità di rottura o nel caso in cui il suo malfunzionamento non inciderebbe
in modo grave sull’andamento del processo di produzione.
La gestione delle risorse dell’azienda in chiave predittiva consente di risparmiare sui
costi, migliorare la redditività, offrire migliori livelli di servizio per la soddisfazione dei
clienti, migliorare la sicurezza e le prestazioni ambientali, di tenere sotto controllo i consumi
energetici e possibilmente di ridurli.
Con gli opportuni sistemi informatici, la manutenzione predittiva consente infine di compiere scelte
strategiche anche in termini di selezione dei ricambi, di tecnologie più appropriate, di piani di
produzione più convenienti estendendo, di fatto, la vita dei beni e degli impianti stessi.
Tecniche di collaudo
Il collaudo consiste nell’assicurarsi che il prodotto sia conforme ai requisiti espressi dal cliente effettuando,
prima della consegna, tutti i controlli, le prove e le misurazioni necessarie per eliminare quei prodotti che
non corrispondono ai requisiti espressi nelle specifiche.
Per apparati di serie almeno un esemplare di apparecchiatura in configurazione finale deve essere
sottoposto a prove cosiddette di tipo, che prevedono il funzionamento in condizioni nominali limite ed
anche in condizioni di guasto singolo per verificare la rispondenza ai requisiti di sicurezza.
La norma en 61010-1 ad esempio prescrive di effettuare prove in tutte le condizioni di guasto che possano
degenerare in condizioni di pericolo, non solo elettrico, ossia cortocircuiti delle uscite, bloccaggio dei
motori, chiusura delle aperture di ventilazione etc durante e dopo le prove non devono essere superati dei
limiti ben precisi specificati per ogni prova nella norma stessa (es. messa in tensione di parti accessibili,
incendio, espulsione di parti etc)
Si devono poi eseguire prove individuali che sono essenzialmente delle verifiche di caratteristiche che non
possono essere garantite dalla bonta’ del progetto in quanto dipendenti dalle lavorazioni di
produzione/assiemaggio
e che vanno eseguite sul 100% dei prodotti, possibilmente alla fine della fase di
assiemaggio, durante e dopo il collaudo funzionale dell’apparecchio
Si possono poi eseguire le prove sotto accreditamento che consistono nella determinazione di una
o più caratteristiche del prodotto secondo metodologie ben definite”, sono effettuate da laboratori
accreditati ai sensi della norma ISO/IEC 17025 e sono a supporto dei processi di produzione o di attività di
valutazione della conformità.
In relazione al settore in cui vengono effettuate e agli scopi che perseguono, le prove possono essere
di tipo diverso (acustico, biochimico, biologico o microbiologico, chimico civile, corrosione, elettrico ecc…) e
trovano applicazione in una molteplicità di settori industriali (sicurezza alimentare, informatica e
telecomunicazioni, automotive metalmeccanica e siderurgica ecc..
•
IMPIANTI INDUSTRIALI
LINEE TRANSFER RIGIDE
Sequenza di macchine NC collegate da sistemi automatici rigidi di
lavorazione complesso, rigidamente predefinito ed immutabile.
movimentazione che svolgono un ciclo di
Caratteristiche:
•
eseguono manipolazioni ripetitive in base a programmi ripetitivi e immutabili.
•
per cambiare la sequenza dei movimenti è necessario cambiare programma.
•
FMS: Flexible manufacturing systems
Sistemi operativi composti da più macchine CNC e/o robot a loro volta controllati da un computer
centrale che fornisce ai computer – macchina gli input per la scelta dei singoli programmi specifici di
ciascuna NC.
• E’ possibile mutare i cicli di ciascuna macchina e quindi l’intero ciclo di lavorazione del FMS.
Caratteristiche:
• Precisione, rapidità, bassi costi unitari
• Versatilità, adattabilità, convertibilità
Si
•
•
•
distinguono a seconda della complessità in:
Celle flessibili di lavorazione (FMC)
Moduli flessibili di lavorazione (FMM)
Sistemi flessibili di produzione (FMS)
AREE DI APPLICAZIONE PER VOLUME E VARIETÀ
LOGISTICA
•
Sistemi tradizionali di trasporto
•
Sistemi di trasporto a guida automatica
•
Sistemi manuali di immagazzinamento e stoccaggio
•
Magazzini intensivi automatizzati
SISTEMI DI TRASPORTO
•
I sistemi di trasporto del materiale all’interno dell’impianto industriale si possono classificare in
relazione al GRADO DI AUTOMAZIONE e LIVELLO DI FLESSIBILITA’
•
Carrelli elevatori
•
Sono veicoli a ruote impiegati per la movimentazione di
materiale di qualsiasi genere con l’intervento degli
operatori a terra o a bordo
•
Transpallet: carrelli a ruote piccole per piccoli
sollevamenti che sollevano il carico solamente per
poterlo trasportare
•
Carrelli accatastatori: muniti di idonee attrezzature per
sollevare il carico ad altezze superiori compatibili con
l’esigenza di impilaggio
•
Sistemi rigidi di trasporto
•
TRASPORTATORI A RULLI: consistono in una serie di rulli montati su apposite strutture portanti;sono
impiegati per il trasferimento e accumulo di colli rigidi
•
TRSPORTATORI A NASTRO: sono impiegati per il trasporto continuo in orizzontale o in pendenza dei
materiali alla rinfusa o di carichi concentrati leggeri
•
ELEVATORI: consentono il sollevamento di materiali sfusi su grandi pendenze
A RULLO
•
Automatic guided vehicles (AGV)
•
Il sistema di trasporto automatico più flessibile ed innovativo è quello che usa
carrelli a guida automatica AGV lungo una serie complessa di percorsi
Si compongono di:
1. Carrelli a guida automatica
2. Impianto che provvede a guidare i carrelli lungo tragitti
3. Impianto per la trasmissione di informazioni
4. Sistema di gestione per la programmazione e ottimizzazione missioni e
controllo del traffico
La gestione dell’impianto è affidata ad un calcolatore dedicato che:
• riceve le richieste di trasporto provenienti dalle aree produttive e dai magazzini
interoperativi, attraverso segnali analogici o digitali di fotocellule, pulsanti,
interfacce di posti di lavoro o di magazzini ecc.;
• memorizza ed assegna ai carrelli le missioni da compiere;
• segue direttamente lo svolgimento delle missioni da parte dei carrelli.
SISTEMI DI TRASPORTO AEREI CON CARRELLI AUTOMOTORI (AEM)
•
consistono in carrelli motorizzati che, scorrendo su vie di corsa
sopraelevate, sono in grado di svolgere
operazioni di trasporto
completamente automatizzate da uno o più punti di partenza ad uno
o più punti di arrivo
I principali componenti di tali sistemi sono:
1. Carrelli che provvedono al trasporto di materiale;
2. Vie di corsa aeree che sostengono i carrelli e li guidano lungo il
percorso;
3. Sistema di gestione e controllo delle missioni dei carrelli;
4. Dispositivi automatici di carico e scarico dei carrelli;
5. Sicurezze antinfortunistiche (simili per AGV).
Prestazioni AEM
• Massa del carico trasportato: da 500 a 2500kg/carrello;
• Velocità massima in entrambi i sensi di marcia: da 1 a 2 m/s (al
diminuire del carico);
• Pendenza massima superabile: alcuni gradi (fino a 45° per
applicazioni particolari a basse velocità 0,5m/s);
I principali vantaggi conseguibili con un sistema di trasporto aereo a
carrelli automotori
sono:L’installazione aerea libera da intralci il
pavimento, Limitati ingombri dei carrelli; Elevate potenzialità di
trasporto adeguabili alle esigenze operative; Attuazione di percorsi
complessi, su diversi piani e livelli, con possibilità di ampliamento,
Possibilità di accumulo lungo il percorso di carrelli carichi o
scarichi;Rapidità di montaggio; Funzionamento silenzioso
AUTOMAZIONE
VANTAGGI
•
Eliminazione mansioni che richiedono sforzo fisico
•
Efficienza nel controllo di qualità
•
Miglioramento procedure di programmazione e controllo della produzione
•
Rapidità nell’introduzione di nuovi prodotti
•
Incremento della flessibilità produttiva ai volumi ed al mix
•
Riduzione dei tempi di consegna (time-to-market)
•
Miglioramento della qualità
•
Riduzione dei costi
•
Miglioramento del servizio al cliente
•
Sopravvivenza dell’impresa in un ambiente altamente competitivo
BARRIERE ALL’AUTOMAZIONE
•
•
•
•
•
Barriere finanziarie: costi acquisizione strumenti e costi formazione risorse
specializzate
Barriere conoscitive
Barriere di tipo innovativo – organizzativo
Rischio obsolescenza
Elevata scala di produzione per saturare la capacità produttiva delle macchine
Hw delle Architetture dei sistemi di controllo
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Architettura generale di un sistema di controllo
Rete di calcolatori: livello fisico, trasmissione, interfacce...
Modalità di collegamenti fra ingressi e uscite
Degrado dei segnali
L'opto isoaltore 78xx
CIM – Computer Integrated Manufacturing
Componenti di un sistema CIM
Architetture hw/sw di controllo
ARCHITETTURA GENERALE DI UN SISTEMA DI CONTROLLO
L’architettura del sistema di controllo Definisce i singoli
componenti per mezzo delle loro interfacce, le interazioni tra i
componenti ed in particolare i canali di comunicazione ed i dati, per
ciascun componente le funzioni, i requisiti in termini di capacità di
memoria, ecc…, le loro responsabilità.
 Componenti hardware del sistema di controllo
• Sensori
• Attuatori
• Organi di controllo
• Canali di comunicazione (cavi…)
 Componenti software del sistema di controllo
- Connessioni logiche tra i componenti
- Dati che fluiscono tra i componenti
centralizzata «tradizionale»
Architettura tradizionale con collegamenti di tipo analogico punto-punto
Vantaggi

Affidabilità, sistema collaudato
Svantaggi: Elevato numero collegamenti

Costo dei cablaggi

Elevata sensibilità ai disturbi (necessità di schermatura)

Scarsa flessibilità e scalabilità
Architettura a bus con trasmissione digitale dei segnali
Architettura a bus
Vantaggi
 Risparmio sui costi di cablaggio
 Facilità di aggiunta e rimozione
di dispositivi
 Condivisione delle risorse
 Flessibilità
 Decentramento di funzioni
 Intelligenza distribuita
(funzionalità diagnostiche locali)
Svantaggi
 Maggior costo dei dispositivi
 Diverse metodologie di
progettazione
 Problemi di interoperabilità (far
funzionare insieme dispositivi di
produttori diversi
architettura ad isole di automazione



Ogni isola compie una serie di lavorazioni
Ogni isola è dotata del proprio sottosistema di controllo
La coordinazione è garantita da un sistema di controllo e supervisione
integrato
RETE DI CALCOLATORI: LIVELLO FISICO, TRASMISSIONE, INTERFACCIA
Una rete di calcolatori è un sistema informatico costituito da uno o più calcolatori collegati da un sistema
di comunicazione.
Le disposizioni fisiche dei componenti «topologie di rete« possonoi essere cosi configurate
Il collegamento fra i vari componenti si effettua con i seguenti mezzi trasmissivi:

Doppino ritorto (twisted pair)
• Costituito da una coppia di fili di rame avvolti in una guaina e ritorti
• Tipicamente usato in telefonia, consente velocità di comunicazione medio-alte (100 Mbps su rete locale,
meno su rete telefonica)
• Scarsa immunità ai disturbi.

Cavo coassiale
• Filo centrale in rame ricoperto da guaina e maglia esterna in rame
• Consente velocità di comunicazione medio-alte (100 Mbps)
Può sostenere più canali di trasmissione modulati a frequenze diverse.
Onde convogliate (Powerline)
•Utilizzano le linee di bassa potenza (230-400 V) per trasmettere un segnale modulato in frequenza
•Si raggiungono velocità di qualche centinaio di kbps
•Disturbi sulla rete
La trasmissione è di norma di tipo seriale.

Fibra ottica
• Fibra di vetro in grado di trasportare segnali luminosi
• Consente massima insensibilità ai rumori ma ha costo elevato

Onde elettromagnetiche
• Usate per trasmissioni radio e via satellite
Sono poco utilizzate ma in crescita
Trasmissione senza fili (Wireless)
•Utilizzano frequenze infrarosso e in campo industriale radiofrequenza
•Non richiedono cablaggio
•Si raggiungono velocità di qualche Mbps
•Problemi di interferenza
Segnalazione: I dati binari scambiati tra due calcolatori possono essere:

Trasmessi direttamente sul canale (segnalazione in banda base)

Trasmessi per modulazione di un segnale portante (segnalazione in modulazione)
La trasmissione dei dati può essere:

Simplex (il senso della trasmissione è unico)

Half duplex (la trasmissione è possibile, alternativamente, nei due sensi)

Full duplex (la trasmissione è possibile, contemporaneamente, nei due sensi)
I dati binari scambiati tra due calcolatori possono essere trasmessi direttamente sul canale (segnalazione in
banda base) con :
 Codifica Non Return to Zero: non impone la transizione a un livello di riferimento (zero)
 Codifica Return to Zero: impone la transizione a zero
 Codifica Manchester: codifica i valori con i segni delle transizioni (in pratica si trasmette il clock o il clock
invertito)
 I dati binari possono essere anche trasmessi per modulazione di un segnale portante (segnalazione in
modulazione)
La trasmissione dei dati
avvenire
:
- in modalità asincrona in cui il trasmettitore prende l’iniziativa di inviare il dato; la trasmissione avviene per
carattere (da 5 a 8 bit di informazione)
.
- in modalità sincrona si richiede la sincronizzazione di trasmettitore e ricevitore (mediante clock o segnale
manchester)l’informazione è trasmessa come un blocco di dati preceduto e seguito da sequenze di bit di
sincronizzazione
e
controllo
.
l’efficienza di trasmissione è più alta della trasmissione asincrona la gestione della linea sincrona è però più
onerosa
circuiti integrati denominati usart (universal synchronous asynchronous receiver transmitter) gestiscono le
modalità di trasmissione/ricezione (sia sincrona sia asincrona), scaricando l’elaboratore da queste attività
Gli standard di connessione elettrica/meccanica tra host ( normalissimi computer, dai PC alle
stazioni più potenti, che devono essere dotati di una interfaccia di rete) e linea di trasmissione
sono EIA RS-232 per trasmissioni punto – punto (TX-RX), RS-422
per trasmissioni puntomultipunto, RS-485 per trasmissioni multipunto-multipunto

Si differenziano fra di loro dalla distanza massima fra dispositivi,
dalla velocità massima di trasmissione, dalla modalità di
collegamento dei TX, RX (alta impedenza:
vedi fig.)
dalle
modalita di trasmissione (Simplex, Half duplex, Full duplex ) ecc..
In conclusione il livello fisico Si occupa del trasferimento di bit su un canale di comunicazione, nei suoi
aspetti meccanici ed elettrici affrontando le seguenti problematiche:
- Tipo di trasmissione
 tipo di codifica elettrica del segnale logico;
 tipo e funzione di ogni segnale di controllo (per sincronizzare trasmissione e ricezione);
 livelli di tensione e corrente;
 numero di conduttori;
 tolleranze massime e minime dei tempi di salita, commutazione, ecc. dei segnali elettrici;
 tipo di collegamento (single ended o differenziale) e isolamento;
 caratteristiche meccaniche dei connettori, dei cavi, ed in generale degli apparati.
modalità di collegamenti fra Ingressi e uscite
I principali aspetti di cui tenere conto in un sistema di acquisizione dati e controllo sono:
 componenti in un circuito di condizionamento
 collegamenti di massa e accoppiamenti
 amplificatori per il condizionamento e l’isolamento
 collegamenti single-ended e differenziali
 funzioni del circuito di condizionamento
 adattamento di impedenza
 conversione e messa in scala
 filtraggio
 conversioni
 conversione A/D
 conversione D/A
COLLEGAMENTI DI MASSA
Si chiama massa di segnale (signal ground) un nodo di riferimento rispetto al quale vengono misurate
le tensioni negli altri nodi di un circuito.
Le masse sono normalmente collegate a terra (earth ground) per ragioni di
sicurezza e per non lasciarne fluttuare il potenziale, ancorandolo a quello di
terra.
In un sistema di acquisizione relativo a un processo industriale si distinguono:
 massa del campo (sensori e attuatori)
 massa dei circuiti di acquisizione (schede contenute in un armadio o rack)
Entrambe le masse sono connesse localmente a terra. La terra tuttavia non è una superficie
perfettamente equipotenziale. Si ha quindi un collegamento tra le masse attraverso le terre
(anello di massa o ground loop) con possibile circolazione di corrente (problema rilevante per
impianti di grosse dimensioni).
Per il collegamento delle masse di segnale al nodo di terra esistono tre metodi:
Connessione serie: è la più semplice ma
anche la più rumorosa
Connessione parallelo: richiede più fili e può
generare accoppiamenti per alte frequenze
Connessione multipunto: si usano barre di massa
cui si collegano fili di lunghezza ridotta: necessaria
per alte frequenze (> 10 MHz)
ACCOPPIAMENTI E INTERFERENZE
Con accoppiamento tra due circuiti si intende la generazione di segnali elettrici indesiderati in un
circuito da parte dell’altro.
Distinguiamo tre tipologie di accoppiamento:
 accoppiamento condotto (percorsi comuni di massa e di linee di collegamento)
 accoppiamento capacitivo (capacità parassite tra i cavi dei circuiti)
 accoppiamento induttivo (flusso magnetico prodotto da una corrente in un circuito che si
concatena all’altro)
ACCOPPIAMENTO CONDOTTO
L’accoppiamento condotto si manifesta quando correnti di due circuiti fluiscono attraverso un’impedenza comune:
due circuiti hanno in
comune
un
tratto
di
percorso verso massa: la
differenza di potenziale sul
circuito 1 dipende dalla
corrente verso massa del 2
e viceversa
I
N.B. L’impedenza è la relazione
dinamica tra la corrente che
attraversa un circuito e la
tensione ai suoi capi
I due circuiti hanno in
comune il percorso
verso
l’alimentazione: la corrente
assorbita
da un circuito
modifica
la
tensione
di
alimentazione dell’altro
 Resistore: Z = R
 Condensatore: Z = 1/(sC)
 Induttore: Z = sL
ACCOPPIAMENTO CAPACITIVO
L’accoppiamento capacitivo è dovuto a capacità parassite distribuite lungo i conduttori:
 C12: capacità parassita tra i due conduttori
 C1G, C2G: capacità parassite verso massa
ACCOPPIAMENTO CAPACITIVO
V2  sC12RV1
Il rumore in tensione è quindi proporzionale a:




ampiezza del segnale sorgente di disturbo
frequenza di tale segnale
impedenza verso massa del circuito soggetto al disturbo (da mantenere piccola!)
capacità parassita
Come ridurre il rumore per accoppiamento capacitivo?
 aumentando la distanza tra i conduttori
 orientando diversamente i conduttori
 circondando il conduttore con uno schermo (lamina sottile)
ACCOPPIAMENTO CAPACITIVO: SCHERMO
schermo
 C1S: capacità parassita tra il
conduttore 1 e lo schermo
 C2S: capacità parassita tra il
conduttore 2 e lo schermo
 CSG: capacità parassita dello
schermo verso massa
 Lo schermo è in grado di ridurre
radicalmente la capacità parassita
(principio della gabbia di Faraday)
 Va collegato a massa da una estremità
ACCOPPIAMENTO INDUTTIVO
L’accoppiamento induttivo è dovuto alle correnti indotte tra due conduttori per effetti elettromagnetici:
 la corrente I1 che circola nel primo circuito produce un campo
magnetico proporzionale alla corrente
 il secondo circuito concatena un flusso  12 = M12I1 (M12 mutua
induttanza)
 se il flusso concatenato è variabile si induce una forza
elettromotrice indesiderata V2 = M12dI1/dt
Sorgenti notevoli di disturbi di questo tipo sono le unità di alimentazione di potenza che modulano la
tensione con tecniche switching o PWM, cioè collegando e staccando l’alimentazione ad alta frequenza.
ACCOPPIAMENTO INDUTTIVO
L’accoppiamento induttivo può essere ridotto nei seguenti modi:
 allontanando i circuiti
 disponendo i circuiti in modo da minimizzare l’area della maglia costituita dal secondo circuito perpendicolare
alle linee di campo generato dal primo
 utilizzando cavi intrecciati (twistati)
Nel cavo twistato l’area della maglia si riduce rispetto a un doppino piatto.
Se la corrente è la stessa nei due fili il campo netto per ogni periodo della
treccia è nullo.
Lo schermo invece non ha effetto sull’accoppiamento induttivo.
TIPI DI CAVI
In base alle considerazioni precedenti si comprende che i cavi maggiormente utilizzati nelle applicazioni di controllo
siano:
 cavi twistati
 cavi schermati
 cavi twistati e schermati
Un’altra tipologia di cavi di interesse sono i cavi coassiali, composti da un
conduttore di rame interno circondato da uno strato tubolare isolante a sua volta
circondato da uno schermo conduttore (calza).
I cavi coassiali danno prestazioni migliori del doppino twistato e schermato a frequenze
elevate (> 100 KHz) e quindi sono poco usati nelle applicazioni di controllo.
AMPLIFICATORI PER IL CONDIZIONAMENTO
 I convertitori A/D richiedono in ingresso segnali con fondo scala di alto livello (qualche Volt).
 I segnali analogici sono normalmente di basso livello (millivolt).
 Per il corretto funzionamento dei convertitori occorre amplificare i segnali.
Nei sistemi di controllo si usano comunemente tre tipi di amplificatori:
 amplificatori operazionali
 amplificatori da strumentazione (instrumentation amplifiers)
 amplificatori d’isolamento (isolation amplifiers: L’amplificatore d’isolamento (ISOAMP) è un
amplificatore da strumentazione con circuito di ingresso isolato galvanicamente
dall’alimentazione e dal circuito di uscita.)
COLLEGAMENTI SINGLE-ENDED E DIFFERENZIALI
Un dispositivo come un sensore può trasmettere la propria informazione in due modalità:
 single-ended
 solo il terminale “alto” del trasduttore è collegato ai circuiti di amplificazione
e conversione
 i terminali “bassi” sono tutti collegati alla massa di campo, a sua volta collegata
alla massa del sistema di acquisizione
 per n segnali da trasmettere occorrono quindi n + 1 fili
 differenziale
 sia il terminale alto sia quello basso del trasduttore sono connessi direttamente agli
ingressi dei circuiti di amplificazione e conversione
 per n segnali da trasmettere occorrono quindi 2n fili
 si tratta quindi di una soluzione più costosa
COLLEGAMENTI SINGLE-ENDED
 Ritorno comune per tutti i segnali acquisiti
 Funzionamento fortemente
dalla d.d.p. tra le masse
 Risente di accoppiamenti
ritorno comune
dipendente
condotti sul
 Soluzione adeguata solo se la d.d.p. tra le
masse è sufficientemente piccola rispetto al
segnale da acquisire in modo
da non
determinare apprezzabile errore di misura
anello di massa
COLLEGAMENTI DIFFERENZIALI
 Ciascun segnale viene trasmesso con
due fili
 L’anello di massa viene eliminato
 Il segnale può essere a massa o flottante
segnale a massa
 È necessario prevedere un percorso verso
massa delle correnti di polarizzazione
dell’amplificatore
 Se questo percorso non è praticabile si può
ricorrere agli amplificatori di isolamento
segnale flottante
COLLEGAMENTI DIFFERENZIALI E D.D.P DELLE MASSE
La differenza di potenziale tra le masse del campo e
dei circuiti di acquisizione appare nei collegamenti
differenziali come una tensione di modo comune
Nei collegamenti single-ended appare in serie al segnale
SEGNALI STANDARD
Trasmissione in corrente: le uscite dei trasmettitori sono segnali in corrente nel
campo 4 ÷ 20 mA
zero vivo:
 distingue l’interruzione del circuito dal segnale nullo
 consente di alimentare il trasmettitore
Il trasmettitore opera come un generatore di corrente e può
trasmettere a grandi distanze (indicativamente 300 ÷ 1500 m)
Trasmissione in tensione: le uscite dei trasmettitori sono segnali in tensione nel
campo 0 ÷ 5 V, 0 ÷ 10 V, 10 ÷ 10V
 Utilizzate in applicazioni di laboratorio e nelle macchine automatiche
 Le distanze di trasmissione si riducono: con segnali da ±1 V a ±10 V si hanno 15 ÷ 90 m,
con segnali da ±0.01 V a ±1 V si hanno 1.5 ÷ 30m
Oggi è in atto la tendenza verso la trasmissione digitale dei segnali (fieldbus, Ethernet)
IL CONDIZIONAMENTO
Le più comuni funzioni di un circuito di condizionamento sono le seguenti:
 adattamento d’impedenza
 conversione corrente tensione (trasmissione in corrente 4 ÷ 20 mA)
 amplificazione o attenuazione (“messa in scala”)
 isolamento galvanico
 filtraggio antialiasing (passivo / attivo)
L’elettronica di condizionamento può essere collocata:
 all’uscita del sensore
 all’ingresso del sistema di acquisizione (sulle schede di condizionamento)
ADATTAMENTO DI IMPEDENZA
 Un trasduttore è generalmente modellabile come un generatore reale di tensione
 Se il circuito cui si interfaccia il trasduttore assorbe corrente, la misura è affetta da un errore, pari alla
caduta di tensione sulla resistenza interna del generatore
 È quindi importante che il circuito di acquisizione presenti impedenza di ingresso elevata
 È anche importante che il primo stadio del circuito di acquisizione presenti impedenza di uscita bassa,
in modo da fornire il segnale acquisito ai circuiti a valle indipendentemente dalla corrente che essi
assorbono
 Queste funzionalità sono definite adattamento di impedenza e sono tipicamente realizzate con un
amplificatore operazionale in configurazione da inseguitore (buffer)
CONVERSIONE DI CORRENTE IN TENSIONE
Per convertire una corrente in tensione generalmente le si fa percorrere un resistore di resistenza
opportunamente scelta e si rileva la caduta di tensione ai capi del resistore
Questo circuito è adeguato per correnti di “alto livello” (4 ÷ 20 mA) per cui, con
Rc = 250 , si ottiene 1 ÷ 5 V.
Per correnti di “basso livello” occorrerebbe un resistore Rc di resistenza troppo elevata (alcuni M).
È preferibile in questo caso il seguente circuito:
MESSA IN SCALA DI SEGNALI ANALOGICI
Per acquisire tensioni superiori a quelle accettate dal convertitore A/D è
necessario ridurle (metterle in scala).
Per questo si può utilizzare un partitore di tensione:
FILTRAGGIO
I filtri analogici attenuano le componenti del segnale a pulsazioni superiori a quella di Nyquist, per evitare il
fenomeno dell’aliasing (filtri antialiasing).
Il filtraggio può essere realizzato in due modalità:
 Filtraggio passivo: si utilizzano resistori e condensatori (più raramente induttori). Non richiede
alimentazione esterna.
 Filtraggio attivo: si utilizzano, oltre a resistori e condensatori, elementi attivi quali amplificatori operazionali. I
filtri attivi hanno caratteristiche migliori di quelli passivi, ma necessitano di alimentazione, sono più costosi e
occupano più spazio.
CONVERSIONE A/D
 Gli aspetti funzionali della conversione analogico/digitale sono già noti dalla teoria del controllo
digitale.
 Gli i aspetti operativi piu importanti sono:
 il circuito di sample and hold (tecnologia e utilizzo)
 la scelta della risoluzione (numero di bit) del convertitore ADC (Analog to Digital Converter)
 la tecnologia del convertitore ADC
USCITE ANALOGICHE
 Le uscite analogiche pilotano attuatori e altri dispositivi (indicatori, registratori)
 Tipicamente forniscono tensioni di alto livello (± 1 V, ± 10 V) o segnali in corrente (4 ÷ 20 mA)
 Sono realizzate con convertitori DAC (Digital to Analog Converter) e circuiti di condizionamento
CONDIZIONAMENTO DI USCITE ANALOGICHE
Come gli ingressi, anche le uscite analogiche devono spesso essere isolate galvanicamente.
Un esempio in cui si utilizza un amplificatore di isolamento è il seguente:
INGRESSI E USCITE DIGITALI
 Un ingresso digitale è un segnale il cui contenuto informativo è esprimibile con un solo bit (segnale logico o
booleano).
 Tipicamente gli ingressi digitali provengono da un contatto (interruttore), meccanico o elettronico
 Il contatto può essere “pulito”, cioè non sottoposto a tensione, o alimentato
 I segnali digitali si distinguono in segnali “di stato” e “da contare”
 Il condizionamento degli ingressi digitali prevede:
 adattamento del livello di tensione
 alimentazione dei contatti puliti
 isolamento galvanico
 Anche per le uscite digitali è spesso necessario prevedere l’isolamento galvanico (con relay
elettromeccanico o fotoaccoppiatore)
Degrado dei segnali
In ricezione il segnale ha in pratica una potenza minore rispetto a quella del segnale originale.
La principale causa di attenuazione, che viene misurata in decibel, è rappresentata dalla conversione di parte
dell'energia elettromagnetica in altre forme di energia (es. in calore).
I livelli di massa «tensioni misurate con riferimento ad un nodo di riferimento» ad ogni estremità di un cavo Ethernet
da trecento metri possono essere molto diversi in considerazione delle elevate tensioni e correnti che sono assorbite
da impianti e motori
Lo squilibrio di queste correnti genera una corrente di ritorno che può essere molto forte, e di conseguenza si ha
una tensione differenziale elevata che può causare danni alle reti digitali ad alta velocità.
È possibile evitare questa situazione utilizzando isolatori digitali ad alta velocità, nei quali l’informazione analogica
viene convertita in digitale e quindi trasmessa in modo seriale, che consentono di realizzare un isolamento senza
i limiti di costi, di dimensioni, di potenza, di prestazioni e affidabilità grazie all’utilizzo degli optoaccoppiatori.
Di seguito viene mostrato uno schema di connessione
tra ingressi e uscite logiche isolate galvanicamente. I
due sistemi non hanno la massa in comune con il cavo
per cui se il il cavo di connessione va in corto circuito
l’informazione non viene più trasmessa ma il sistema
a monte e a valle risultano esenti da guasti.
Il segnale di tensione continua variabilecon
continuità tra 0 e 5V
è
difficile da isolare e da
trasmettere in quanto prima deve essere parzializzato, ad esempio con duty cycle 50%,, isolato mediante
trasformatore e infine raddrizzato.
a tale scopo viene effettuata una trasmissione dei segnali in corrente con modalità 4-20mA, che non
contempla l’assenza di corrente (0 mA), permette una facile diagnostica della situazione di “strappo cavi”
ed è meno sensibile nei riguardi dei disturbi elettromagnetici.
L’immunità elettromagnetica
viene
garantita dagli isolatori digitali
che garantiscono , basso
consumo energetico, isolando gli I/O digitali
con tensione nominale di picco che possono arrivare a
4000 V
Analisi dell’isolatore digitale
ISO 78xx con cenni sulla modulazione dei segnali
OOK modulation: modulazione digitale dei dati con portante
sinusoidale
Oscillatore VCO: (Signal spectrum: « del segnale» + Oscillator)
TX signal condiziong: Il flusso di bit digitale in entrata al circuito di condizionamento «adattamento del segnale al
canale tx» è modulato con un oscillatore a spettro esteso interno (VCO) per generare segnali OOK, in modo che uno
degli stati di ingresso è rappresentato dalla trasmissione di una frequenza portante e l'altro stato da nessuna
trasmissione
SO2 based capacitive: barriera di isolamento a base di biossido di silicio.
RX signal condiziong: adattamento ai blocchi sucessivi
Pre-amp: preamplificatore
Envelope detector: rivelatore di inviluppo, circuito elettronico che accetta un segnale modulato di ampiezza
(OOK) ad alta frequenza come input e fornisce un'uscita che è l' inviluppo del segnale originale.
CIM – COMPUTER INTEGRATED MANUFACTURING



È un modello di gestione integrato sviluppatosi negli anni ‘70
Obiettivi
• Minimizzare il time-to-market
• Diminuire i costi
• Ridurre i magazzini (produzione just-in-time)
• Migliorare il controllo di qualità
• Massimizzare la flessibilità di produzione (facile riconfigurabilità)
• Identificare, conservare e riutilizzare le informazioni relative a i prodotti
Metodologia
• Integrare tutte le funzioni dell’azienda, dal marketing alla produzione alla distribuzione, in una visione
gerarchica.
• Ogni livello manipola e trasferisce informazione ed elabora strategie impartendo comandi ai livelli
inferiori.
COMPONENTI DI UN SISTEMA CIM
A livello più basso:






Attuatori e sensori
Controllori modulanti (PID)
Controllori logici (PLC: Programmable Logic Controller)
• Gestiscono gli assi, le sequenze di operazioni, le protezioni, le interazioni con l’operatore.
Sistemi di controllo distribuito (DCS: Distributed Control Systems)
• Sistemi di controllo che integrano funzioni di calcolo del controllo a livello di loop, controllo logico,
monitoraggio, gestione degli allarmi.
CNC (Controllo Numerico Computerizzato)
• Gestiscono macchine multiasse con movimenti interpolati degli assi
IPC (Industrial Personal Computer)
• Sono PC strutturati per poter operare in ambito industiale, tipicamente con sistemi operativi real
time
A livello più alto:


SCADA (Supervisory Control And Data Acquisition)
• Sistemi che supportano le funzioni di acquisizione ed archiviazione dati, interfaccia uomo-macchina
(con sinottici statici e dinamici), grafici, monitoraggio e gestione allarmi, scambio dati con i
pacchetti software commerciali più diffusi sui PC, come i fogli elettronici.
Sistemi CAD (Computer Aided Design)
• Software che permette la progettazione assistita al calcolatore


Sistemi CAE (Computer Aided Engineering)
• Sistemi software che supportano la progettazione anche nelle fasi di analisi e simulazione
Sistema ERP (Enterprise Resource Planning)
• Sistema applicativo gestionale che riunifica la gestione di tutte le attività di un’impresa
(amministrazione, finanza, reporting, pianificazione, produzione, manutenzione impianti,
logistica, controllo qualità…)



Reti per le informazioni
• Collegano i sistemi informativi di alto livello con altri elementi
informativi di azienda (livelli 4, 5 e 6 della piramide CIM)
• Non vi sono specifiche di tempo reale
• Le informazioni sono di tipo complesso
Reti per il controllo
• Collegano i dispositivi dedicati al controllo con quelli di
supervisione (livelli CIM 2, 3 e 4)
• Vi sono specifiche di correttezza e vincoli temporali
• Le informazioni sono di tipo non molto complesso
• Si tratta in genere di reti proprietarie
Reti di campo (fieldbus)
• Collegano i controllori (modulanti e logici) con sensori ed attuatori dotati di interfaccia digitale
• Molti vantaggi connessi al loro utilizzo (riduzione cablaggi, robustezza delle trasmissioni digitali,
possibilità di autodiagnostica dei dispositivi)
• Limitata disponibilità di dispositivi dotati di interfaccia digitale per bus di campo
DCS: Sistemi di controllo distribuito
Componenti di un sistema di controllo distribuito
Architettura di rete di un DCS
BUS di campo
Architettura rete di supervisione
Degrado dei segnali
Componenti di un sistema di controllo distribuito
Nell’ambito dell’automazione industriale, i sistemi di controllo distribuito (DCS) rappresentano la soluzione
più adottata per i grandi impianti continui (raffinerie, centrali di produzione energia, cartiere, vetrerie, impianti
chimici etc.).
Essi svolgono in modo integrato entrambe le funzioni normalmente implementate sui PLC (Programmable
Logic Computer) e sugli SCADA (Supervision Control And Data Acquisition); per questo motivo si possono
collocare come rappresentato in figura nell’ambito della piramide CIM (Computer integratee Manifacturing).
L’architettura tipica di un sistema di controllo distribuito
Livello1 Campo
Con la denominazione di “Campo” in automazione dell’industria di processo si intende il network di componenti che sono a
più stretto contatto con i processi produttivi.
I componenti di tale network sono:
- strumentazione di misura
- strumentazione di comando
- rete di comunicazione
.
Nell’ambito dell’automazione industriale la strumentazione di misura è composta da due parti distinte: sensori e
trasmettitori.
Il trasmettitore rappresenta il componente della strumentazione di misura che trasmette il segnale proveniente dal
sensore agli strumenti di visualizzazione, i quali possono essere sia semplici indicatori(analogici o digitali) oppure,
come avviene nei processi automatizzati, controllori che permettono la visualizzazione e l’elaborazione
dell’informazione
La strumentazione di comando, ha il compito di trasmettere al processo automatizzato le opportune azioni correttive
che il controllore ha elaborato e si compone di: attuatori e organi di regolazione o comando.
Gli attuatori sono gli strumenti che ricevendo un segnale dal controllore, lo trasformano in un segnale, di natura
diversa, da trasmettere all’organo di comando per agire sul processo.
Gli organi di comando sono gli strumenti(valvole,motori,relè,etc.) che con il loro cambiamento di stato, regolato
dall’attuatore, vanno ad agire fisicamente sul processo per apportarne delle correzioni.
La gestione della corretta circolazione delle informazioni all'interno delle diverse componenti del livello di campo è
demandata alla rete di comunicazione relativa al livello di campo.
Quest'ultima ha il compito di gestire la comunicazione fra le parti, in modo che le informazioni delle grandezze
fisiche misurate in maniera continua possano arrivare ad un microprocessore digitale che le elabora, e trasmette
alle componenti di comando le correzioni da attuare nel loro stato per intervenire sul processo.
Si può facilmente intendere, quindi, come la rete di comunicazione di campo debba interfacciare elementi di natura
analogica(misure e comandi) con elementi di natura digitale (microprocessori), riuscendo a minimizzare le perdite
di informazione e le alterazioni dei dati durante il trasporto e la conversione A/D.
Tale rete di comunicazione a livello di campo può essere quindi sia una comunicazione analogica che digitale, e la
scelta fra le due dipende dalla natura dei processi da automatizzare e dalle scelte economiche e progettuali che
l'azienda che si occupa dell'automazione deve effettuare.
A questo livello si trovano infine le interfacce verso il campo, costituite dalle opportune schede elettroniche
di acquisizione (ingressi) e comando (uscite), le interfacce di comunicazione per i più comuni “bus di
campo”, attraverso i quali vengono scambiate informazioni con i trasmettitori e gli attuatori che supportano lo
stesso tipo di protocollo.
Attraverso il Bus I/O i valori di ingressi ed uscite vengono veicolati ai controllori, che si fanno carico di
processarli in base alle strategie di regolazione e alle logiche progettate per la specifica applicazione
2. Livello di Controllo
Nel livello di controllo vengono elaborate le informazioni provenienti dalla strumentazione di misura ,
viene progettata l'automazione del processo, cioè tutte le sequenze di istruzioni da trasmettere alla
strumentazione di comando, e viene predisposta la comunicazione con i componenti del livello di
supervisione.
Per fare ciò quindi il sistema di controllo deve essere composto da tre diverse componenti:
- Unità di interfacciamento con il campo (Scede I/O)
- CPU di elaborazione e memorizzazione dei dati
- Unità di interfacciamento con le stazioni di supervisione
Allo stato dell'arte le unità intelligenti predisposte ai compiti sopra esposti si possono ripartire in 3
categorie, alle quali vanno aggiunti i pannelli dedicati alla supervisione:
- PLC (Programmable Logic Controllers)
- PMC (Programmable Multifunction Controller)
- PC industriali
I PC industriali sono dotati di sistemi operativi standard e programmi grazie ai quali è possibile sviluppare
rapidamente delle applicazioni. Il loro limite consiste nel basso supporto di linee di ingresso uscite e nella
difficoltà di realizzazione di applicazioni in tempo reale.
I PLC sono sistemi orientati allo svolgimento di sequenze logiche temporizzate, ma oggi vengono
impiegati anche per le funzioni di controllo; sono sistemi dotati di molti punti di ingresso/uscita e sono
dotati di un software proprietario che ne consente una semplice programmazione anche da parte di
personale non altamente specializzato.
I PMC I PMC sono la naturale evoluzione dei PLC, con la stessa potenza dell'hardware di un PLC ma con la
possibilità di avere un controllo totale del sistema grazie alla loro programmabilità con linguaggi di alto
livello.(Basic, C, etc).
Questo però li rende ancora poco appetibili alle aziende che non possiedono un personale qualificato , e fa
si che la quasi totalità dei sistemi di automazione siano gestiti da sistemi a Controllo Logico, che possiedono
software di programmazione molto semplici e intuitivi.
Per la comunicazione con il livello
Supervisore , o per la comunicazione
fra le varie CPU
si
utilizzano dei
moduli
di
Comunicazione
che
supportano tutti i vari protocolli di
comunicazione industriale implementati
(Ethernet,Profinet,Profibus,Fieldbus,
etc).
Tramite questi moduli quindi si può
realizzare l'architettura di rete del livello
di controllo, e si possono trasferire le
variabili di interesse al sistema di
Supervisione
3. Livello di Supervisione
Il livello di supervisione, all'interno della gerarchia di un sistema di controllo distribuito, rappresenta
l'interfaccia fra il processo automatizzato e l'operatore addetto alla sua conduzione.
I controllori infatti sono delle strutture cieche, che gestiscono un processo in maniera automatica, ma una
volta programmati , non consentono al gestore del processo produttivo di apportarvi modifiche.
Le stazioni di supervisione, sono gli strumenti che permettono ai gestori dei processi produttivi di
monitorare i dati di processo e variare i parametri utilizzati nel software applicativo dei controllori.
Questo livello permette di:
- programmare l'automazione dei controllori
- settaggio da remoto dei parametri utilizzati nell'automazione(set point, soglie di allarme,tempi di ciclo,
etc.)
- visualizzare real-time i dati di processo,gli allarmi e gli eventi
- Visualizzare storico e trend dei dati di processo
- gestire da remoto la strumentazione da campo e programmare la manutenzione degli strumenti
Dal punto di vista Hardware quindi il livello di supervisione è composto da una workstation, o nel caso di
processi produttivi snelli, da un semplice PC industriale, e da schede di comunicazione che permettano il
trasferimento dei dati dai controllori ai supervisori.
L'affidabilità della comunicazione e dell' archiviazione dei dati rappresenta la qualità principale che un
sistema di supervisione deve possedere, per cui di solito, sia le workstation che l'architettura di rete sono
ridondate , come rappresentato in Figura ,per consentire ai gestori dei processi di possedere sempre i dati
utili alla conduzione del processo automatizzato.
Se per quanto riguarda le componenti Hardware il
sistema di supervisione è molto più ridotto del
sistema di controllo, per quanto riguarda le
piattaforme software il discorso è completamente
ribaltato.
Il pacchetto software del sistema di supervisione deve
raggruppare:
- Software per la programmazione delle stazioni di
controllo
- Software per l'acquisizione dei dati dai controllori e
la loro archiviazione nel database
- Software per l'interrogazione dei dati dal database
- Software per la programmazione delle pagine di
visualizzazione
- Software per la gestione delle strumentazione
Lo sviluppo software di una stazione di supervisione avviene con linguaggi di programmazione di alto livello,
che permettano di gestire sia la comunicazione fra le parti in gioco, sia lo sviluppo grafico delle applicazioni,
sia la gestione di basi di dati. Linguaggi di questo tipo sono linguaggi basati su Basic, C o Java.
Una efficace panoramica delle funzionalità di supervisione è rappresentata dalla Figura 9. Sotto l’interfaccia di
controllo per una colonna di distillazione sono riportate alcune pagine tipiche come quella di soli strumenti,
quella di trend, quella degli allarmi, quelle di diagnostica del software applicativo
La struttura però che tiene insieme i tre livelli di un sistema di controllo distribuito, permettendo la
circolazione delle informazioni dal livello più basso(Campo) a quello più alto(Interfaccia Supervisione) è
l'architettura di rete.
Architettura di rete di un sistema di controllo distribuito
Un sistema di controllo distribuito ha come obiettivo quello di controllare e gestire in maniera automatizzata
interi stabilimenti produttivi, arrivando a dover coprire aree grandi anche decine km o più. La gestione del
flusso informativo di dati in un' area spazialmente cosi vasta ,quindi, è un aspetto cruciale per la
progettazione del sistema di controllo.
Le caratteristiche che un'architettura di rete di un sistema di controllo distribuito deve possedere sono:
- Sicurezza nel trasporto dei dati
- Capacità di riconfigurazione della struttura e di integrazione con strutture future
- Facilità di manutenzione e ricerca guasti
- Economicità di implementazione dell'architettura e ella stesura dei cavi di connessione
La progettazione dell'architettura di rete alle volte però è soggetta a scelte obbligate che devono tener conto
delle interfacce di rete che i componenti hardware di un sistema di controllo distribuito hanno a disposizione.
Se concettualmente adoperiamo una schematizzazione dei componenti di un sistema di controllo distribuito
in tre livelli diversi (Campo,Controllore,Supervisione), il flusso delle informazioni fra un livello e l'altro
presenta caratteristiche completamente diverse.
Infatti possiamo dividere l'architettura di rete di un sistema di controllo distribuito in 2 componenti, differenti sia
per la grandezza spaziale della rete che per le tipologie di dati che devono trasportare:
- Rete di Campo
- Rete di Supervisione
Architettura della Rete di Campo
Per Rete di Campo si intende la rete di connessione fra strumentazione di campo(Strumentazione di misure e
Strumentazione di Comando) e controllori.
L'architettura della rete di comunicazione è progettata in maniera che i dati circolino fra strumentazione di
misura - controllori - strumentazione di comando in maniera sicura, evitando la perdita di dati e la loro possibile
alterazione parziale. questo livello, quindi, le informazioni su misure di grandezze fisiche, che variano in
continuo, devono passare dalla strumentazioni di campo ai controllori, i quali una volta elaborata l'automazione,
devono trasmettere alla strumentazione di comando le correzioni da apportare al processo.
In un sistema di controllo distribuito , essendo il numero di processi da controllare molto alto, ed essendo
possibile che questi siano allocati spazialmente in posti molto distanti fra loro, si tende a porre i moduli I/O dei
controllori nei pressi dei processi e le CPU poste in lontananza.
Questa scelta progettuale è effettuata per diminuire i costi di stesura dei cavi ed inoltre riuscire a velocizzare un
eventuale processo di ricerca guasti sulla rete.
Allo stato dell'arte gli standard di comunicazione utilizzati nella Rete da campo possono essere di tre tipi:
Analogici, Ibridi e Digitali.
I segnali analogici sono sempre in corrente continua, viaggiano su una coppia di file, ed i più utilizzati sono
sostanzialmente questi due :
• In Tensione 0 - 10 Vcc
• In Corrente 4 - 20 mA
segnali in tensione sono quelli più semplici da utilizzare e con minore costo nei dispositivi che li devono
gestire. Per contro possono percorrere pochi metri e sono facilmente disturbabili da campi elettromagnetici,
transitori ed altri disturbi elettrici, quali quelli irradiati dagli inverter. Un uso tipico è negli impianti di
condizionamento, dove i sensori con segnali analogici sono posti a pochi metri dalle centraline di controllo, e
quindi le metrature dei cavi sono limitate a 15-20 metri, e dove tipicamente non vi sono disturbi
elettromagnetici rilevanti. Per cautelarsi da eventuali disturbi è necessario ricorrere ai cavi schermati.
I segnali in corrente sono di gran lunga quelli più utilizzati nell'industria di processo le loro caratteristiche
salienti sono:
- elevata immunità a disturbi elettromagnetici provenienti da circuiti circostanti (anche se il cavo non è
schermato);
- flessibilità elevata nel range di alimentazione (ad esempio da 12 a 30 Vdc, anche se tipicamente si usa una
- tensione di 24 Vdc); buona tolleranza alle fluttuazioni nella tensione di alimentazione; • stabilità del segnale
molto più elevata che quella in tensione;
- possibilità di compiere tratte molto lunghe (anche 200-300 metri) senza bisogno di alcun particolari
accorgimenti;
- possibilità di determinare un guasto al cavo o al sensore (in pratica quando il segnale è inferiore a 4mA);
- possibilità di alimentare lo strumento di misura con lo stesso segnale, risparmiando sul lavoro di cablaggio e
sui cavi;
- possibilità di portare lo stesso segnale anche a più “destinatari” (registratori su carta, visualizzatori, PLC),
collegandoli in serie, formando il cosiddetto “Loop di corrente”.
Dal punto di vista della semplicità delle installazione e del costo complessivo della realizzazione
dell'architettura di rete , la comunicazione di campo basata su segnali analogici, resta tutt'oggi la più
conveniente , ma porta con se il limite di poter trasportare dal campo ai controllori solo un'informazione alla
volta, e non permette invece di trasportare tutte le informazioni sullo stato del misuratore, oppure sui guasti
avvenuti su di esso o sulla linea di comunicazione, che invece in un sistema di controllo distribuito modello
sono fondamentali per la gestione automatizzata degli strumenti di campo.
Per questo motivo una soluzione molto adottata allo stato dell'arte nella progettazione di sistemi di controllo
distribuiti è quella di adottare come protocollo di comunicazione di campo il procollo HART.
“HART” è un acronimo inglese che significa Highway Addressable Remote Transducer. L’HART Protocol sfrutta lo
standard Bell 202 Frequency Shift Keying (FSK: la frequenza della portante sinusoidale varia fra due
valori) di) per sovrapporre i segnali di comunicazione digitale a bassa ampiezza sopra il segnale analogico 420mA.
In questo modo viene abilitata una comunicazione in campo bidirezionale ed è possibile comunicare
informazioni aggiuntive oltre alle normali variabili di processo da e verso uno strumento smart.
L’HART Protocol comunica a 1200 bps senza interrompere il segnale 4-20mA e permette all’applicazione host
(master) di ricevere due o più aggiornamenti digitali al secondo da un dispositivo smart in campo.
Poichè il segnale FSK è tipo “fase continua”, non ci sono interferenze con il segnale 4-20mA.
.
Questo permette di mantenere il tradizionale cablaggio analogico, tuttora enormemente diffuso, ma comunicare se
necessario anche informazioni avanzate.
Un'applicazione tipica è la comunicazione tra un sensore analogico intelligente e una centralina di monitoraggio. Mentre il
sensore trasmette costantemente la sua misura analogica, la centralina può leggere e modificare le impostazioni locali del
sensore, ad esempio il campo di misura, tramite HART sullo stesso collegamento.
L’informazione binaria è codificata inviando sinusoidi di frequenza diversa (1220 Hz e 2200 Hz: FSK)
La tecnologia HART è un protocollo master/slave e questo significa che il dispositivo smart field (slave) risponde quando
interrogato da un master. Il protocollo HART può essere utilizzato in vari modi quali point-to-point o multidrop per comunicare
informazioni da/verso gli strumenti smart field e le centrali di centrali di controllo o i sistemi di monitoraggio
L’ HART Protocol offre due canali di comunicazione simultanei: il segnale analogico 4-20mA e un segnale
digitale.
Il segnale 4-20mA comunica la variabile di processo primaria (nel caso di uno strumento di campo)
utilizzando la corrente 4-20mA del loop – che lo standard industriale più veloce e più affidabile. Le ulteriori
informazioni sullo strumento sono invece comunicate utilizzando un segnale digitale sovrapposto al segnale
analogico.
Il segnale digitale contiene informazioni dal dispositivo compreso lo stato del dispositivo, la diagnostica,
ulteriori variabili misurate o calcolate, ecc. Insieme i due canali di comunicazione offrono una soluzione di
comunicazione di campo completa poco costosa e molto robusta che è facile da utilizzare e configurare.
Questo protocollo è il più utilizzato nei sistemi di controllo distribuiti poichè permette di prelevare dalla
strumentazione di campo molte più informazioni rispetto al classico 4-20 mA ,mantenendo inalterata la
struttura fisica del network di cavi utilizzati per il trasporto dell'informazione, e dovendo quindi solo
sostituire i moduli I/O, le quali devono fungere da Master Hart.
Il difetto comune della comunicazione analogica con il 4-20 mA e di quella ibrida con protocollo HART, è la
quantità di cavi utilizzati per collegare la periferia al controllore; questa ingente quantità di cablaggi è
dovuta al fatto che la comunicazione per essere sicura deve essere peer to peer(punto-punto), poichè non è
possibile gestire il traffico di comunicazione su di un solo cavo comune.
Per sopperire a questi difetti delle tecnologie di comunicazione di matrice analogica si
sono introdotti
nell'automazione industriale i cosiddetti BUS di Campo(FIELDBUS) basati sulla comunicazione digitale fra
controllori e campo. La strumentazione di misura deve essere predisposta con trasmettitori digitali, che
effettuano la conversione A/D delle grandezze misurate dai sensori ,e predispongano cosi una trasmissione
completamente digitale del dato dal campo fino al supervisore.
Come si vede in Figura10, utilizzare un Bus di Campo significa creare un unico cavo di comunicazione su cui
sono appoggiati tutti gli strumenti del campo diminuendo molto i costi di cablaggio della struttura.
Con utilizzo dei Fieldbus nell'automazione industriale l'implementazione hardware della rete di comunicazione
si è semplificata a scapito però di un aumento delle conoscenze software per la gestione della trasmissione
delle informazioni su di un mezzo comune.
A livello di comunicazione, infatti, rispetto a connessioni tra soli due nodi, il modo di scambiare dati attraverso
un bus di campo richiede regole più severe.
Infatti, ad esempio, bisogna prevedere l'accesso contemporaneo al mezzo da parte di più elementi e
regolamentare nel modo più rigoroso possibile tutto ciò che serve per poter trasmettere i dati in maniera
rapida ed affidabile.
Tali regole di convivenza vengono comunemente chiamate protocollo
L'architettura di una rete basata sulla comunicazione digitale può essere descritta in maniera schematica dal
modello OSI sviluppato dalla ISO(International Standard Organization) nel 1978.
Tale modello stabilisce 7 livelli di descrizione:
- LIVELLO FISICO Fa riferimento alla trasmissione dei singoli bit lungo un canale di trasmissione . Definisce le
caratteristiche elettriche e meccaniche degli interfacciamenti: un esempio di definizione a livello fisico è costituita
dagli standard EIA -RS232, RS422, RS485,..- DATALINK Tale livello ha il compito di svolgere diverse funzioni ; queste includono una buona interfaccia di
servizio al livello di rete , il raggruppamento dei bit del livello fisico in pacchetti (data-frame), la gestione degli errori
di trasmissione e la regolazione del flusso dei pacchetti in modo che i riceventi lenti non siano travolti dai pacchetti
dei mittenti rapidi, evita collisioni per trasmissioni su singolo canale di più utenti.
- RETE Il livello di rete si occupa di trasmettere pacchetti dalla sorgente alla destinazione . Per raggiungere la
destinazione puo’ essere necessario attraversare lungo il percorso diversi router «per instradare i pacchetti di dati».
- E’ una funzione diversa dal livello due , il quale ha il compito di portare i pacchetti da un estremo all’altro di un cavo.
Questo livello si occupa della trasmissione tra nodi , punto-punto. Tale livello deve conoscere qualcosa sulla topologia
della rete di comunicazione e deve scegliere percorsi appropriati attraverso essa.
- TRASPORTO La funzione principale del livello di trasporto è di accettare dati dal livello superiore, spezzarli in
piccole unità se necessario , passare queste al livello di rete, e assicurarsi che tutti i frammenti giungano correttamente
a destinazione , ricostruendo i messaggi indipendentemente dall’ordine di arrivo e dalla loro provenienza; deve inoltre
gestire il riconoscimento dei dati persi, il controllo del flusso e il controllo di congestione della rete. Questo è un
livello end-to-end , nel senso che gira solo sulle macchine mittente e destinatario (i livelli inferiori devono girare su
tutte le macchine).
- SESSIONE Si occupa di spezzare la trasmissione di un unico trasferimento in piu’ sessioni; stabilisce la
comunicazione tra gli utenti, verificando le autorizzazioni di accesso.
PRESENTAZIONE Stabilisce la conversione dei dati in formati utilizzabili da terminali video e stampanti e cioé in
forma direttamente manipolabile dall'operatore (ASCII, UNICODE).
- APPLICAZIONE E’ il livello di descrizione del programma utente.
-
BUS DI CAMPO
rappresentano uno standard di comunicazione seriale per dispositivi inseriti in reti di automazione; sono
protocolli aperti ampiamente usati nel controllo di processo e nell’automazione di fabbrica.
Sono concepiti per collegare tra loro, ed eventualmente a elaboratori o ad altra rete aziendale, i dispositivi
di campo (sensori, attuatori, regolatori), eliminando i collegamenti analogici (linee 4÷20 mA o ±10 V).
Pur con caratteristiche costruttive diverse (numero di utenti collegabili, distanze di trasmissione, velocità
di trasmissione, volumi di dati trasmessi,
identificazione delle periferiche, controllo delle informazioni
trasmesse, ecc.) si adattano alla maggior parte delle esigenze che possono nascere nei sistemi di
automazione, partendo dalle applicazioni che richiedono notevole velocità nello scambiare ciclicamente un
numero ridotto di bit fino ad arrivare alla gestione di comunicazioni relativamente complesse tra
dispositivi “intelligenti” o sistemi riguardanti strettamente l’automazione di processo
I primi bus di campo legati al mondo dei trasduttori sono stati sviluppati direttamente dai costruttori dei
trasduttori stessi: si trattava in genere di reti master-slave basate sul livello fisico RS485.
I bus proprietari di grandi costruttori sono diventati standard de facto, mentre altri costruttori si sono
consorziati per stabilire delle modalità di trasmissione dell’informazione che fossero convenienti per più
utenti.
Nella scelta di un bus di campo intervengono diversi fattori, tra i quali:
- capacità di trasmissione adeguata (numero dati per messaggio)
- garanzia dei tempi massimi di trasmissione
- protezione rispetto alla propagazione del guasto
- protezione sull’integrità dell’informazione
- compatibilità verso altri sistemi di comunicazione e/o infrastrutture

I bus di campo consentono la trasmissione ottima di volumi di dati piccoli, con criticità temporale.
In generale i bus di campo non realizzano tutti i livelli della pila OSI.

Sono realizzati i livelli 1 (fisico), 2 (collegamento) e 7 (applicazione).

Non sono realizzati i livelli da 3 a 6 (rete, trasporto, sessione, presentazione).

Inoltre viene aggiunto un livello 8 (livello utente) che fornisce molte funzioni importanti, quali blocchi
funzionali, servizi di descrizione dei dispositivi, gestione della rete
Di seguito vengono elencati, senza pretesa di esaustività, alcuni tra i bus di campo particolarmente
interessanti a livello di trasduttori.
- Profibus è uno standard tedesco che oggi copre il maggior numero di applicazioni industriali in Europa.
- Profibus FMS (Fieldbus Message consente la comunicazione tra i processi a livello di cella. E’ orientato
alla comunicazione multimaster (token-passing); è versatile e consente una grande varietà di applicazioni
- Profibus DP (Device Peripheral), è dedicato alla comunicazione tra i processi veloci a livello di campo
(sensori, attuatori,..). Veloce (fino a 12Mbit/s), efficiente ed economico (RS485, fibra ottica), supporta un
notevole numero di utenti (126 max.), di tipo master o slave, su oltre 100m
- CANbus Sviluppato dalla Bosch nel 1985 per le esigenze del settore automobilistico, è un bus semplice
ed economico multi-master a rilevazione di collisione che consente la connessione a un massimo di 32 utenti
(50m a 1Mbit/s, 100m a 500kbit/s). Sulla linea i dati vengono rappresentati con il formato NRZ (non return
to zero) codificati a campi di bit, con un campo dati di massimo 8 bytes.
Foundation Fieldbus è un bus che connette fino a 32 utenti su distanze fino a 1900m con basse velocità
di trasmissione (31.25kbit/s) e cavo economico (doppino telefonico). Come avviene nei bus a sicurezza
intrinseca, l’alimentazione è fornita dal bus stesso.
- Modbus , è un bus ad architettura master-slave a singolo master che permette di collegare fino a 247
utenti su distanze fino a 1900m con basse velocità di trasmissione (da 0.3 a 19.2kbit/s) e RS232 o RS485
su cavo economico (doppino). Grazie ad un protocollo molto semplice, viene largamente utilizzato per
terminali, drivers.
- Actuator Sensor Interface (AS-i) un bus deterministico a singolo master dedicato alla connessione tra
PLC (master) e fino a 31 trasduttori (slaves) a informazione molto limitata (4 bit per slave) Si utilizza un
doppino non schermato, la velocità di trasmissione è di 167kbit/s e raggiunge lunghezze di collegamento
di 100m. Si utilizza la codifica Manchester e, pur nella sua semplicità, è un bus a sicurezza intrinseca che
supporta l’autoconfigurazione.
Architettura della Rete di Supervisione
Con il termine rete di supervisione si intende la rete di comunicazione che gestisce il trasporto delle
informazioni fra Controllore e Supervisore in un sistema di controllo distribuito. Rispetto alla rete di Campo,
quella di supervisione, dovendo governare la comunicazione fra dispositivi digitali che supportano strutture
software di alto livello, deve per forza di cose affidarsi ad un protocollo di comunicazione digitale che possa
gestire pacchetti di dati molto ampi.
La stazione di supervisione deve colloquiare real-time con i vari controllori dislocati per l'azienda scambiando
informazioni e comandi, ma non funge sempre da Master, come ad esempio quando il controllore deve
inviare alla stazione di supervisione un allarme od un evento, nel tal caso è la stazione di supervisione che
funge da Slave.
Tale rete, nella maggioranza dei casi , è ridondata per sopperire ad eventuali guasti su di uno dei nodi, in
modo che la sicurezza intrinseca sia quasi totale.
Nei primi sistemi di controllo decentrato, la rete di supervisione veniva implementata con protocolli
Con lo sviluppo delle nuove tecnologie basate sul protocollo TCP/IP su livello fisico Ethernet, quest'utlime
sono divenute egemoni nelle architetture di rete di supervisione. Questo passaggio dalla comunicazione
seriale a una comunicazione su doppini schermati(100Base TX Fast Ethernet) è avvenuta per diversi motivi:
- La comunicazione seriale presenta limiti spaziali che contrasta con gli obiettivi dei sistemi di controllo
distribuito
- Qualsiasi azienda possiede una rete Ethernet per il collegamento dei PC ad Internet(riduzione sostanziale
dei costi di installazione)
-
I protocolli seriali adatti a gestire la comunicazione della rete di supervisione, sono nella
stragrande maggioranza proprietari e costringono molto spesso a scelte poco convenienti per
l'implementazione dei software di supervisione; Ethernet essendo un protocollo libero è
implementabile in qualsiasi software di supervisione
Specifiche della rete ethernet industrial
Rispetto ai bus di campo sopra citati, Ethernet risultava penalizzata perchè non deterministica «non è in
grado di garantire che tutti i nodi di una rete possano di accedere alla rete stessa nel giro di un
tempo prefissato»
Attualmente
le nuove tecnologie consentono la gestione combinata dei bus di campo con le nuove
tecnologie (Ethernet, wireless, Internet asttracverso Real Time Ethernet (RTE), che sono le reti basate su
Ethernet a 100Mbaud per applicazioni in tempo reale in ambito industriale.
Ethernet industrial: Sviluppata da Xerox nel 1976, è il protocollo più usato nelle applicazioni per ufficio ed
è anche di largo utilizzo per applicazioni industriali.

Il protocollo Ethernet copre i livello 1 e 2 della pila OSI

Il mezzo fisico ha subito varie evoluzioni: cavo coassiale spesso (Thick Ethernet), cavo coassiale sottile
(Thin Ethernet), doppino ritorto.

La segnalazione è in banda base.

Il livello fisico è a bus lineare: ogni macchina è logicamente collegata ad un canale sul quale
trasmette e dal quale riceve le informazioni trasmesse dalle altre macchine.

Utiliza:
Sottolivello MAC: si utilizza il protocollo CSMA/CD

Sottolivello LLC: si utilizza il frame Ethernet II (802.2)
È un protocollo di comunicazione dedicato allo scambio di dati tra computer in una rete locale
(LAN), ed è configurabile con tutti i dispositivi e le tecnologie legate a internet.
Una rete in area locale
in informatica e telecomunicazioni indica
una
rete informatica di
collegamento tra più computer, estendibile anche a dispositivi periferici condivisi, che copre un'area limitata,
come un'abitazione, una scuola, un'azienda o un complesso di edifici adiacenti.

Con l’utilizzo di Ethernet « rete di accesso e trasporto dei dati» in un ambiente industriale i componenti utilizzati nelle
aree di processo dell'impianto devono essere progettati per funzionare in ambienti estremi con temperature umidità e
vibrazioni che superano le gamme delle apparecchiature informatiche destinate all'installazione in ambienti controllati
Poiché il controllo critico del processo può fare affidamento su un collegamento Ethernet il costo economico di eventuali
interruzioni potrebbe essere elevato ne consegue che le reti Ethernet industriali devono poter con i sistemi attuali
fornire prestazioni prevedibili e di facile manutenibilità con la possibilità di interagire con reti a basso e alto livello
Una rete industriale deve fornire sicurezza sia da intrusioni esterne all'impianto, sia da
autorizzato all'interno dell'impianto.
un utilizzo involontario o non
Le reti industriali utilizzano spesso switch di rete per segmentare un grande sistema in sottoreti logiche, divise per
indirizzo, protocollo o applicazione.
Quando una rete industriale deve connettersi a una rete aziendale o reti esterne, è possibile inserire un sistema firewall
per controllare lo scambio di dati tra le reti.
Per preservare le prestazioni e l'affidabilità della rete industriale, i sistemi di automazione per ufficio in generale sono
separati dalla rete utilizzata per i dispositivi di controllo I / O;
L’enorme diffusione delle schede Ethernet riduce i costi di realizzazione della rete e favorisce l’interoperabilità (capacità di
due o più sistemi, reti, mezzi, applicazioni o componenti, di scambiare informazioni tra loro e di essere poi in grado di
utilizzarle).
Degrado dei segnali
In ricezione il segnale ha in pratica una potenza minore rispetto a quella del segnale originale.
La principale causa di attenuazione, che viene misurata in decibel, è rappresentata dalla conversione di parte
dell'energia elettromagnetica in altre forme di energia (es. in calore).
I livelli di massa «tensioni misurate con riferimento ad un nodo di riferimento» ad ogni estremità di un cavo Ethernet
da trecento metri possono essere molto diversi in considerazione delle elevate tensioni e correnti che sono assorbite
da impianti e motori
Lo squilibrio di queste correnti genera una corrente di ritorno che può essere molto forte, e di conseguenza si ha
una tensione differenziale elevata che può causare danni alle reti digitali ad alta velocità.
È possibile evitare questa situazione utilizzando isolatori digitali ad alta velocità, nei quali l’informazione analogica
viene convertita in digitale e quindi trasmessa in modo seriale, che consentono di realizzare un isolamento senza
i limiti di costi, di dimensioni, di potenza, di prestazioni e affidabilità grazie all’utilizzo degli optoaccoppiatori.
Di seguito viene mostrato uno schema di connessione
tra ingressi e uscite logiche isolate galvanicamente. I
due sistemi non hanno la massa in comune con il cavo
per cui se il il cavo di connessione va in corto circuito
l’informazione non viene più trasmessa ma il sistema
a monte e a valle risultano esenti da guasti.
Il segnale di tensione continua variabilecon
continuità tra 0 e 5V
è
difficile da isolare e da
trasmettere in quanto prima deve essere parzializzato, ad esempio con duty cycle 50%,, isolato mediante
trasformatore e infine raddrizzato.
a tale scopo viene effettuata una trasmissione dei segnali in corrente con modalità 4-20mA, che non
contempla l’assenza di corrente (0 mA), permette una facile diagnostica della situazione di “strappo cavi”
ed è meno sensibile nei riguardi dei disturbi elettromagnetici.
L’immunità elettromagnetica
viene
garantita dagli isolatori digitali
che garantiscono , basso
consumo energetico, isolando gli I/O digitali
con tensione nominale di picco che possono arrivare a
4000 V
Analisi dell’isolatore digitale
ISO 78xx con cenni sulla modulazione dei segnali
OOK modulation: modulazione digitale dei dati con portante
sinusoidale
Oscillatore VCO: (Signal spectrum: « del segnale» + Oscillator)
TX signal condiziong: Il flusso di bit digitale in entrata al circuito di condizionamento «adattamento del segnale al
canale tx» è modulato con un oscillatore a spettro esteso interno (VCO) per generare segnali OOK, in modo che uno
degli stati di ingresso è rappresentato dalla trasmissione di una frequenza portante e l'altro stato da nessuna
trasmissione
SO2 based capacitive: barriera di isolamento a base di biossido di silicio.
RX signal condiziong: adattamento ai blocchi sucessivi
Pre-amp: preamplificatore
Envelope detector: rivelatore di inviluppo, circuito elettronico che accetta un segnale modulato di ampiezza
(OOK) ad alta frequenza come input e fornisce un'uscita che è l' inviluppo del segnale originale.
CONTRATTI DI LAVORO /ANALISI DEI COSTI
•
1.
Tipologie dei costi
• Scelta del livello di automazione
• Esercizio
Contratti di lavoro
Considerata la rapida trasformazione del mercato del lavoro, legata alle continue
innovazioni
tecnologiche e al ciclo di vita delle posizioni lavorative le principali forme di contratto di lavoro vigenti
introdotte con il Jobs act e il decreto dignità sono:
1) Contratto a tempo indeterminato
Il contratto a tempo indeterminato diventa la forma di assunzione privilegiata e vengono introdotte
regole nuove e più chiare qualora si verifichino licenziamenti illegittimi.
1.a) Contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti
Tutti i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 con contratto a tempo indeterminato firmano il nuovo contratto a tutele
crescenti che è di fatto un contratto a tempo indeterminato con alcuni cambiamenti sostanziali sulle norme su
licenziamento.
Il lavoratore di un’azienda con più di 15 dipendenti (5 nel caso di azienda agricola) non ha diritto al reintegro in caso
di licenziamento illegittimo, ma solo a un indennizzo di natura economica che cresce con l’anzianità di servizio
(da qui il termine “a tutele crescenti”). L’unica eccezione è costituita dal caso di licenziamento discriminatorio,
nullo o inefficace.
2) Contratto a tempo determinato
E' il contratto di lavoro che prevede un termine finale, una durata prestabilita; per questi contratti è
previsto
- La durata massima (24 mesi), che per questi soggetti potrà arrivare a 36 mesi o
quanto non
diversamente stabilito dalla contrattazione collettiva applicata dalle aziende stesse.
- Il numero di proroghe (4), che potrà arrivare a 5 dalla sommatoria di tutti i contratti a tempo
determinato stipulati con quel determinato lavoratore.
- Qualora il numero delle proroghe sia superiore, il contratto si trasforma in
contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della quinta proroga.
Proroghe e rinnovi
Il contratto puo' essere rinnovato solo in caso di:
- esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività, ovvero
lavoratori;
- esigenze connesse a incrementi temporanei,
- Il contratto puo' essere prorogato liberamente nei primi dodici
esigenze sostitutive di altri
3) Contratto di somministrazione
La somministrazione di lavoro è un particolare rapporto che coinvolge tre soggetti:
il somministratore (agenzie di somministrazione iscritte in un apposito Albo nazionale),
l'utilizzatore (soggetto che usufruisce della manodopera così fornita)
il lavoratore.
Il lavoratore è assunto dal somministratore, ma viene inviato a svolgere la propria attività presso l'utilizzatore
Sono previste due tipologie:
- un contratto di somministrazione, di natura commerciale, tra l'utilizzatore e il somministratore, che può essere a
tempo determinato o indeterminato;
- un contratto di lavoro tra il somministratore e il lavoratore, che può essere a tempo determinato o indeterminato.
Il contratto di somministrazione di lavoro deve essere stipulato in forma scritta, altrimenti è considerato nullo ed i
lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore.
Si possono avere due tipi di somministrazione:
3.a) a tempo indeterminato, in cuisi applicano le regole del rapporto di lavoro a tempo
indeterminato.
3.b) la somministrazione a tempo determinato in cui si applicano le regole del contratto a
a tempo determinato
4) Apprendistato
Il contratto di apprendistato si configura come la principale tipologia contrattuale per favorire l'ingresso nel
mondo del lavoro dei giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni, a seconda della tipologia di apprendistato.
L’elemento caratterizzante è rappresentato dal fatto che il datore di lavoro, è tenuto ad erogare, come
corrispettivo della presentazione di lavoro, non solo la retribuzione, ma anche la formazione necessaria
all’acquisizione delle competenze professionali o alla riqualificazione di una professionalità.
Ci sono tre tipi di apprendistato:
Apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e
il certificato di specializzazione tecnica superiore: E’ un contratto di lavoro che permette di conseguire una
qualifica professionale o un diploma professionale alternando lavoro e studio.
Apprendistato professionalizzante, e’ un contratto di lavoro per il conseguimento di una qualifica
professionale ai fini contrattuali attraverso una formazione trasversale e professionalizzante
Apprendistato di alta formazione e ricerca, e’ un contratto di lavoro che consente di conseguire diversi livelli
di titoli di studio: diploma di scuola secondari superiore, diploma professionale di tecnico superiore, diploma
di laurea, master e dottorato di ricerca
5) Part-time
E' un contratto di lavoro subordinato, a termine o a tempo indeterminato, caratterizzato da un orario di
lavoro inferiore rispetto al tempo pieno.
Il contratto di lavoro deve indicare in modo puntuale la durata della prestazione lavorativa e della
collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno.
lavoratore part-time ha diritto allo stesso trattamento dei lavoratori assunti a tempo pieno. Per quanto riguarda la
retribuzione, ha diritto alla stessa paga oraria del lavoratore a tempo pieno, ma la sua retribuzione complessiva - compreso il
trattamento economico per malattia, infortunio e maternità - è calcolata in proporzione al numero di ore lavorate lavoratore
part-time ha diritto allo stesso trattamento dei lavoratori assunti a tempo pieno. Per quanto riguarda la retribuzione, ha diritto
alla stessa paga oraria del lavoratore a tempo pieno, ma la sua retribuzione complessiva - compreso il trattamento economico
per malattia, infortunio e maternità - è calcolata in proporzione al numero di ore lavorate
TIPOLOGIE DI COSTO
Per
monitorare il livello di efficienza di un azienda è importante conoscere la struttura dei costi
dell’azienda e le relative tipologie in modo da controllare i margini di guadagno, fissare i prezzi di
prestazioni, ecc..
Se si opera nel
nel breve periodo, possiamo distinguere i costi in due grandi categorie:
- costi FISSI: sono quei costi che nel breve non variano al variare del volume di produzione
- costi VARIABILI: Sono quei costi che variano in maniera proporzionale al variare del volume di produzione.
I costi totali rappresentano la somma tra i costi fissi ed i costi variabili
La classificazione dei costi in fissi e variabili permette di ottenere informazioni:
- sull’incidenza di una tipologia di costo nella produzione di una prestazione,
- di analizzare la relazione tra i costi,
- determinare il punto di pareggio (BEP),
- effettuare valutazioni sulla incidenza dei costi sul singolo componente in modo da poter definire le azioni da effettuare
per migliorare la redditività aziendale
Costi diretti: costi per i quali è possibile
definire una relazione diretta ed oggettiva,
tra voce di costo e l’oggetto di calcolo.
Costi indiretti: quando è possibile stabilire
una relazione tra voce di costo ed oggetto
di calcolo in modo indiretto,(Le spese per la
pulizia per associarle all’unità operativa, il
parametro di imputazione sono i m2.
COSTI STANDARD, Sono dei parametri monetari di riferimento, che
vengono calcolati per determinare i costi presunti per l’esecuzione del
ciclo produttivo.
COSTI EFFETTIVI, Si determinano a consuntivo, cioè alla fine del
periodo di tempo preso a riferimento, e permettono di quantificare il
costo delle risorse
utilizzate per produrre una determinata prestazione
In conclusione l’analisi dei costi ha come finalità di
Che consente di calcolare Il punto di pareggio che rappresenta il volume di vendita per il quale i ricavi
coprono esattamente tutti i costi della gestione
E particolare importanza il valore aggiunto che rappresenta la differenza tra il valore finale dei beni e servizi
prodotti e il valore dei beni e servizi acquistati per essere impiegati nel processo produttivo.
Tanto più congruo è il valore tanto piu elevato sarà l’utile di esercizio
Scelta livello di automazione
•
•
•
•
•
•
•
Un criterio per la scelta del livello di automazione ottimale per un sistema produttivo, che ci si riferisca
ad esempio ad una linea o ad una singola stazione di lavoro, può basarsi sulla massimizzazione dell’utile
conseguente.
Considerando di operare scelte e confronti a parità di volumi produttivi realizzati, tale criterio può
riformularsi in termini di minimizzazione del costo totale per la produzione di quanto richiesto al sistema
produttivo.
Allo scopo quindi di poter confrontare soluzioni che prevedano un differente livello di automazione è
possibile trascurare i costi di produzione non direttamente dipendenti in maniera sostanziale da livello di
automazione stesso.
In questa analisi, con riferimento ad una stazione di lavoro generica destinata alla realizzazione di un
volume produttivo di N pezzi per mezzo di una componente di lavoro umana, una componente di lavoro
realizzata da macchinari automatici flessibili ed una componente di lavoro realizzata da componenti
automatici rigidi, assumeremo di poter esprimere il costo di produzione come la somma dei costi totali
relativi alle tre componenti:
Cprod = Cmod + Caf + Car
Per quanto riguarda la componente manuale, dato il costo orario della manodopera cm e il tempo ciclo
relativo alla componente manuale della lavorazione necessaria per la realizzazione del pezzo tCM, il costo
della manodopera totale per la realizzazione degli N pezzi è dato da:
Cmod = N*Tcm*Cm
•
Per quanto riguarda la componente automatizzata rigida, il costo totale da attribuire alla realizzazione degli
N pezzi, non potendo i macchinari essere riutilizzati in seguito per lavorazione di nuovi prodotti, è dato
dall’intero importo IR dell’investimento effettuato in macchinari automatici non convertibili:
Car =Ir
•
Per quanto riguarda la componente automatizzata flessibile, il costo totale da attribuire alla realizzazione
degli N pezzi, potendo i macchinari essere riutilizzati in seguito per lavorazione di nuovi prodotti, è dato dalla
quota dell’investimento IF effettuato in macchinari automatici convertibili attribuibile alla produzione di N
pezzi. Tale quota può essere determinata come la frazione della vita utile VF 1 dei macchinari flessibili
dedicata alla produzione degli N pezzi.
•
Considerando che il tempo dedicato alla produzione degli N pezzi può essere ottenuto moltiplicando tale
numero per il tempo ciclo tCA della componente della lavorazione effettuata dai macchinari flessibili si ha:
Caf = If*N*tca/Vf
•
Pertanto, il costo totale di produzione degli N pezzi considerati, che tiene conto di tutte le componenti considerate è:
Cprod = N*Tcm*Cm + Ir + If*N*tca/Vf
Esercizio
•
Un’azienda ha intenzione di avviare la produzione di un nuovo prodotto per un totale previsto di
prodotti da realizzare pari a 50.000 unità.
•
L’azienda intende realizzare direttamente l’assemblaggio finale dei componenti, affidando ai suoi
fornitori la produzione degli stessi. Per effettuare l’operazione di assemblaggio è possibile scegliere tra
due strutture produttive alternative in grado di realizzare il volume produttivo richiesto:
– assemblaggio manuale : l’operazione è completamente manuale, richiede un tempo ciclo effettivo
pari a 100 min/u ed è affidata ad operatori a basso grado di specializzazione dal costo di 15 €/h;
–
assemblaggio automatizzato: l’operazione è affidata ad una linea completamente automatizzata e
richiede un tempo ciclo pari a 30 min/u. La linea richiede manodopera specializzata, dal costo di 30
€/h, esclusivamente per le funzioni di presidio e controllo per un tempo complessivo di 5 min/u. La
linea è costituita da macchinari che possono eventualmente essere convertiti alla realizzazione di
altri prodotti aziendali, per un valore totale di 1,5 mln€. Su tali macchinari sono montati una serie di
componenti dedicati, per un valore totale di 0,5 mln€, che non possono essere convertiti in maniera
economicamente conveniente. La linea (compresi tutti i suoi componenti) è caratterizzata da una
vita utile di 50.000 ore di lavoro. Assumendo gli altri costi di produzione non direttamente dipendenti
in maniera sostanziale da livello di automazione stesso, si individui la struttura produttiva
economicamente ottimale per l’azienda.
•
Processo di produzione carta : fasi 1) di lavorazione
•Processo di produzione carta : fasi 2) di lavorazione
Caratteristiche di produzione:
- 5 tipologie di prodotti
- alti volumi produttivi
Si richiede di caratterizzare ciascuna fase in
termini di
• Macchinari: caratteristiche di automazione
• Macchinari: caratteristiche prestazionali/tecniche
• Macchinari: caratteristiche di sicurezza
• Macchinari: attività dell’eventuale operatore a
bordo macchina
NORMATIVA DI PROGETTO
enti normativi
il progetto di impianti e macchine
compatibilità elettromagnetica
la direttiva macchine
lca analisi del ciclo di vita
direttiva via e vas
rifiuti elettronici (direttiva 2012/19/eu)
la qualità aziendale
1.Enti normativi
Gli enti normativi svolgono attività normativa riconosciuta a
livello
nazionale o internazionale la cui principale
funzione è la preparazione, approvazione o il recepimento di orme pubblicamente disponibili
I vari enti normativi a livello internazionale sono cosi individuabili
Le attività europee trovano riferimento in Italia nell’Ente Nazionale d’Unificazione (UNI) la cui attività consiste
nell’elaborazione e diffusione di norme tecniche in tutti i settori industriale, ad esclusione di quello elettrico ed elettronico
che rientrano nelle competenze del CEI (impian t i t er mici, i drau lici, con diz ion amen t o, ecc .) e nel Comitato
Elettrotecnico Italiano (CEI) per gli impianti elettrici e elettronici
L’UNI, in qualità di membro dell’ISO e del CEN (Comitato Europeo di normazione), rappresenta l’Italia nell’attività di
armonizzazione delle norme internazionali e recepisce, nel 2000, per il nostro Paese, le ISO serie 9000, denominandole
UNI EN ISO serie 9000.
2. IL PROGETTO
ISO 21500 « GUIDA ALLA GESTIONE DEI PROGETTI »
• La norma È una guida per la gestione dei progetti utilizzabile da ogni tipo di organizzazione, pubblica, privata o
comunitaria, e per ogni tipo di progetto, indipendentemente da complessità, dimensione o durata.
• La norma presenta i concetti ed i processi considerati buone pratiche nella gestione dei progetti e da cui sono
derivate norme per la realizzazione di impianti e macchine elettriche tra cui la CEI 02 per il progetto degli
impianti elettrici
• Nel caso degli impianti tecnologici il progetto prevede la realizzazione di tre elaborati (relazione tecnica,
disciplinare tecnico e computometrico) e una serie di elaborati grafici che consentono la realizzazione dei
lavori previsti dal committente.
• Nel caso
di macchine il progetto deve prevedere le caratteristiche tecniche, ambientali, deve
essere conforme ai requisiti di sicurezza e corredato dei tutta la documentazione prevista dalla
normativa (manuali d’uso, manuale tecnico)
• Per gli impianti tecnologici (elettrico, termico, ecc.. )
il progetto viene verificato con il collaudo
dell’impianto con prove specifiche previste dalla normativa in funzione del tipo di impianto.
• Nel caso di apparecchiature contenenti parti critiche (es. per presenza di alta tensione o per la gestione di
potenze rilevanti) e’ opportuno realizzare dei prototipi anche parziali destinati a prove di stress per verificare il
comportamento in condizioni estreme e di guasto «verifiche di prequalifica»
• Per apparati di serie almeno un esemplare di deve essere sottoporre a prove cosiddette di tipo,
individuali e di prodotto
3. Compatibilità elettromagnetica ( CEI EN 61000-4-5)
Le interferenze elettromagnetiche prodotte da attrezzature e sistemi possono rappresentare un pericolo per la salute
umana e per l’ambiente; per questo motivo molti paesi hanno reso obbligatoria l’esecuzione di prove di
compatibilità elettromagnetica (EMC), affinchè prodotti elettrici ed elettronici possano essere commercializzati in
maniera sicura.
Il problema delle armoniche rientra in quello più ampio della compatibilità elettromagnetica, cioè quell'insieme di
regole che stabiliscono i limiti di emissione dei disturbi e il livello di immunità ai disturbi stessi, in modo che più
apparecchi elettrici alimentati dalla stessa rete possano funzionare correttamente.
Dal 1996 tutti gli apparecchi elettrici per poter essere immessi nel mercato Europeo devono soddisfare le norme
previste dalla direttiva europea 89/336/CEE, devono cioè essere elettromagneticamente compatibili o brevemente
EMC
Le norme della direttiva suddividono i disturbi in due grandi categorie:
-disturbi condotti: a questa categoria appartengono tutti quei disturbi che si propagano lungo i cavi e il campo di
frequenza previsto per questi disturbi va da 150 kHz a 30 MHz;
-disturbi radiati; a questa categoria appartengono tutti quei disturbi che utilizzano l’etere per propagarsi e il campo di
frequenza previsto per questi disturbi va da 30 MHz a 1 GHz
4. Direttiva macchine «norma ISO 5395»
Le verifiche non riguardano strettamente il progetto ma sono molto importanti, dato che sono l’ultimo anello della
catena di produzione, ossia quello che “mette sul mercato” il prodotto ed e’ l’unico responsabile verso i clienti della sua
sicurezza.
A tale scopo le verifiche sulla sicurezza si devono eseguire in conformità alle prescrizioni della DIRETTIVA MACCHINE
che racchiude diverse norme ISO riguardanti l’aspetto della sicurezza per qualsiasi settore lavorativo.
In particolare si definiscono i requisiti essenziali di sicurezza per ognuna delle possibili situazioni pericolose
connesse con il funzionamento di una macchina.
Il fabbricante per dimostrare al cliente la conformita’ della sua macchina alla direttiva, deve realizzare il fascicolo
tecnico che dovra’ contenere tra l’altro “la descrizione delle soluzioni adottate per prevenire i rischi presentati
dalla macchina” che consente le seguenti operazioni
e la conseguente apposizione della marcatura
CE di conformità
A tale scopo il costruttore deve:
• svolgere un'accurata Analisi dei Rischi effettivamente presenti sulla macchina e identificare i
requisiti essenziali ad essa applicabili;
• applicare il principio di integrazione della sicurezza: eliminare i rischi al momento della
progettazione, di installare i dispositivi di sicurezza necessari e di dare esplicita indicazione dei rischi
residui non eliminabili;
• allegare alla macchina il Manuale di Istruzione per l'uso e la manutenzione (ALLEGATO I);
• costituire il Fascicolo Tecnico della costruzione, che documenta che tutti i requisiti essenziali
applicabili sono soddisfatti (ALLEGATO V);
• se la macchina rientra tra quelle elencate nell'Allegato IV, sottoporre la macchina all'esame da
parte di un Organismo Notificato;
• allegare alla macchina la dichiarazione di pertinenza (CE di conformità o del fabbricante)
secondo le indicazioni dell'ALLEGATO II;
• se tutti i requisiti applicabili sono soddisfatti, apporre la marcatura CE sulla macchina (Allegato III e
dalla Direttiva 93/68/CEE).
per conseguire i seguenti obiettivi
•
•
•
creare le condizioni necessarie affinché le industrie che operano nell’ambito dell’Unione Europea
possano realizzare prodotti rispondenti ai medesimi requisiti di sicurezza per le persone e l’ambiente;
riavvicinare ed uniformare le attuali disposizioni nazionali in materia di sicurezza;
la libera circolazione delle macchine senza abbassare i livelli di protezione esistenti.
5. L’LCA (analisi del ciclo di vita: life cycle analysis: iso 14040 Gestione ambientale – Valutazione del
ciclo di vita , ISO 14001:Sistema di Gestione Ambientale)
E uno strumento utilizzato per analizzare l’impatto ambientale di un prodotto, di un’attività o di un
processo lungo tutte le fasi del ciclo di vita, attraverso la quantificazione dell’utilizzo delle risorse (gli “input”
come energia, materie prime, acqua) e delle emissioni nell’ambiente (“immissioni” nell’aria, nell’acqua e nel
suolo) associate al sistema che si deve valutare.
Gli impatti ambientali,
attinenti
l’eccessiva
concentrazione/esposizione a sostanze chimiche
con
conseguenti effetti sull’inquinamento
ambientale riguardano l’intero ciclo di vita sono rappresentati da tutte
le sostanze prelevate dall’ambiente (Input) e dalle emissioni nell’ambiente (Output)
Attraverso la
valutazione
comprensiva
dell’l’intero ciclo di vita del processo o attività,
comprendente:
•l’estrazione ed il trattamento delle materie prime;
•la fabbricazione;
Che cos’è un Ciclo di Vita?
•il trasporto;
INPUT
OUTPUT
estrazione delle materie
•la distribuzione;
prodotti
principali
•l’uso, il riuso, il riciclo;
processamento
co-prodotti
e fabbricazione
materiali
•lo smaltimento finale.
si possono adottare le strategie che prevengono la formazione degli
inquinanti, consentendo di ottenere un processo produttivo più pulito e
più efficiente valutando “i pro e i contro” del prodotto dal punto di vista
ambientali. gli impatti vengono valutati attraverso l’identificazione e la
quantificazione di dati quantitativi relativi al consumo di materia, consumo
di energia, produzione di rifiuti e emissioni(in aria, acqua e suolo)
distribuzione
energia
acqua
uso del prodotto
riuso, riciclaggio
recupero energetico
gestione dei rifiuti
effluenti
in acqua
emissioni in
aria
rifiuti solidi
altre interazioni
con l’ambiente
.
5. L’LCA (analisi del ciclo di vita: life cycle analysis: iso 14040 Gestione ambientale – Valutazione del
ciclo di vita , ISO 14001:Sistema di Gestione Ambientale)
E uno strumento utilizzato per analizzare l’impatto ambientale di un prodotto, di un’attività o di un
processo lungo tutte le fasi del ciclo di vita, attraverso la quantificazione dell’utilizzo delle risorse (gli “input”
come energia, materie prime, acqua) e delle emissioni nell’ambiente (“immissioni” nell’aria, nell’acqua e nel
suolo) associate al sistema che si deve valutare.
Gli impatti ambientali, attinenti l’eccessiva
concentrazione/esposizione a sostanze chimiche con conseguenti
effetti sull’inquinamento
ambientale riguardano l’intero ciclo di vita sono rappresentati da tutte le sostanze
prelevate dall’ambiente (Input) e dalle emissioni nell’ambiente (Output)
Attraverso la
valutazione
comprensiva
dell’l’intero ciclo di vita del processo o attività,
comprendente:
•l’estrazione ed il trattamento delle materie prime;
•la fabbricazione;
•il trasporto;
•la distribuzione;
Che cos’è un Ciclo di Vita?
•l’uso, il riuso, il riciclo;
INPUT
OUTPUT
estrazione delle materie
•lo smaltimento finale.
prodotti
si possono adottare le strategie che prevengono la formazione degli
inquinanti, consentendo di ottenere un processo produttivo più
pulito e più efficiente valutando “i pro e i contro” del prodotto dal
punto di
vista
ambientale
.
gli impatti vengono valutati attraverso l’identificazione e la
quantificazione di dati quantitativi relativi al consumo di materia,
consumo di energia, produzione di rifiuti e emissioni(in aria, acqua e
suolo)
materiali
processamento
e fabbricazione
distribuzione
energia
acqua
uso del prodotto
riuso, riciclaggio
recupero energetico
gestione dei rifiuti
principali
co-prodotti
effluenti
in acqua
emissioni in
aria
rifiuti solidi
altre interazioni
con l’ambiente
6. Direttiva VIA e VAS
D.Lgs. 3/4/2006 n.152., ISO 14001 «Sistema di Gestione Ambientale»
Le direttive VIA e VAS sono
direttive europee riguardanti tipologie di valutazione
ambientale che
agiscono in fasi diverse. su oggetti diversi, con finalità diverse ma complementari.
La direttiva VIA (valutazione di impatto ambientale dei progetti), è una procedura che agisce per valutare
le alterazioni dell’ambiente causati dalle opere e ha la finalità di individuare, descrivere e valutare gli effetti
diretti/indiretti di un progetto su alcune componenti ambientali (l'uomo, la fauna e la flora, il suolo, l'acqua, il clima
ed il paesaggio, ecc)
La valutazione di impatto ambientale, riguarda i progetti definiti dall’art. 5 del D.L.vo n. 152/2006 “realizzazione di
lavori di costruzione o di altri impianti od opere e di altri interventi sull’ambiente naturale o sul
paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo” in particolare nella nozione
di progetto rientrano la costruzione e la modifica degli impianti o delle opere riportate negli Allegati II, III e IV alla
Parte II dello stesso decreto
.
Il principio guida della VIA è per cui quello della prevenzione dei danni ambientali che, nella fase di
progetto, sono scientificamente prevedibili e più sicuri con lo scopo non solo di salvaguardare ma anche di
migliorare la qualità dell’ambiente e della vita.
La valutazione di impatto ambientale prevede una fase, facoltativa, di consultazione tra il proponente, l’autorità
competente ed i soggetti competenti in materia ambientale finalizzata alla definizione della metodologia da seguirsi
nella redazione dello studio di impatto ambientale.
Tale fase (denominata anche scoping) viene condotta sulla base del progetto preliminare, di uno studio preliminare
ambientale, dell’elenco delle autorizzazioni (concessioni, licenze, pareri nulla osta ecc..).
L’istanza deve essere presentata direttamente all’autorità competente e corredata da
 studio di impatto ambientale (SIA);
 progetto definitivo;
 sintesi non tecnica;
 elenco delle autorizzazioni,
 copia informatizzata degli elaborati, conforme agli originali presentati;
Lo studio di impatto ambientale (SIA), che rappresenta il documento principale riguardante gli aspetti ambientali e
gli impatti del progetto , comprende la descrizione del progetto, la descrizione delle misure previste per evitare gli
impatti negativi rilevanti, la valutazione dei principali impatti sull’ambiente che il progetto può produrre, il piano di
monitoraggio degli impatti che saranno prodotti.
La documentazione
deve
essere depositata non solo presso l’autorità competente ma
anche presso gli uffici di regioni, province e comuni eventualmente interessati anche parzialmente dagli impatti; se
entro 30 giorni dalla presentazione della domanda, trascorsi non sono state chieste integrazioni documentali l’istanza
si intende correttamente presentata.
Eventuali integrazioni devono essere presentate entro il termine stabilito dall’autorità
Il provvedimento di VIA, se favorevole, deve contenere prescrizioni riguardanti l’impatto ambientale non solo
durante l’esercizio di un opera, ma
anche
durante la costruzione e la
dismissione della stessa, riportando le misure di monitoraggio degli impatti ed è auspicabile che ricordi l’obbligo,
prorogabile, di realizzare i progetti entro 5 anni dalla pubblicazione della decisione finale.
Il monitoraggio degli impatti consentirà all’autorità competente il potere di apportare modifiche al provvedimento
qualora risultino impatti negativi diversi da quelli previsti
arrivando a sospendere l’attività nel caso si rilevino
ripercussioni negative sulla salute pubblica e sull’ambiente
La direttiva VAS (valutazione ambientale strategica) è una procedura che agisce per valutare gli effetti
ambientali
(cambiamenti nell'ambiente),sia positivi che negativi, causati dalle attività, prodotti e/o processi di una
data organizzazione.
Sono sottoposti alla VAS, i piani e programmi che possono avere impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio
culturale riguardanti la valutazione e gestione della qualità dell'aria ambiente, per i settori agricolo, forestale,
energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiut, ecc.. Definiti negli Allegati II, III e IV del D.Lgs
152/2006.
La Direttiva (VAS) ha la finalità di proteggere la salute umana, contribuire con un miglior ambiente alla qualità
della vita, provvedere al mantenimento delle specie e conservare la capacità di riproduzione degli ecosistemi in
quanto risorse essenziali per la vita.
Il principio guida della VAS è quello di precauzione che obbliga le Autorità competenti ad adottare provvedimenti
appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali, verificando preventivamente che l'attività non incida sulla salute
dell'uomo o sull'ambiente circostante.
Il principio guida della VAS è quello di precauzione che obbliga le Autorità competenti ad adottare provvedimenti
appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali, verificando preventivamente che l'attività non incida sulla salute
dell'uomo o sull'ambiente circostante.
7. RIFIUTI (Direttiva 2012/19/EU, Decreto Legislativo 14 Marzo 2014 n. 49. )
Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche «RAEE»
La gestione dei RAEE è disciplinata a livello europeo dalla Direttiva 2012/19/EU che ha lo scopo di fornire agli stati
membri le linee guida per l’attivazione di un sistema di gestione dei rifiuti; la direttiva è stata recepita dal Dlgs
2014/49.
I RAEE sono rifiuti che il possessore intende disfarsi di tipo particolare che esistono in qualunque apparecchiatura
elettrica o elettronica, che per un corretto funzionamento hanno avuto bisogno di correnti elettriche o di campi
elettromagnetici e che sono state progettate per essere usate con una tensione non superiore a 1000 V per la corrente
alternata e a 1500 V per la corrente continua.
In funzione del tipo di utilizzo (domestico o professionale) sono suddivisi in 10 categorie:
• R1: grandi elettrodomestici; R2: piccoli elettrodomestici; R3: apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni;
R4:apparecchiature di consumo; • R5: apparecchiature di illuminazione; • R6: strumenti elettrici ed elettronici; • R7:
giocattoli e apparecchiature per lo sport e il tempo libero; • R8: dispositivi medici; • R9: strumenti di monitoraggio e
controllo;• R10:distributori automatici.
I RAEE rappresentano nello stesso tempo una fonte di inquinamento e una risorsa di materiali utili che opportunamente
trattate possono dare vita ad altri oggetti e rientrare quindi nel ciclo economico.(metalli ferrosi e non ferrosi, metalli
preziosi, vetro, parti elettroniche).
Con l'avvio del nuovo sistema di gestione i RAEE normalizzati dal Dlgs 49/2014 giunti al termine del loro utilizzo,
devono essere recuperati e riutilizzati o smaltiti.
Diverse categorie di RAEE contengono infatti materiali altamente nocivi per l'ambiente e la salute dell'uomo e proprio
per questo motivo devono essere gestiti seguendo regole ben precise e in impianti altamente specializzati.
La gestione dei RAEE
I RAEE possono contenere sostanze pericolose (ad esempio le sostanze lesive dell'ozono
nei frigoriferi); per
questo motivo sono necessari trasporti
particolari e infrastrutture a norma di legge, in grado di movimentare,
ricevere e stoccare i RAEE in modo ottimale,
evitando il danneggiamento delle apparecchiature e la dispersione di
sostanze pericolose; a tale scopo la gestione viene effettuata attraverso le seguenti operazioni:
- la raccolta e trasporto dei RAEE; viene differenziata in base alla tipologia di produzione ed impiego dei rifiuti
raggruppandoli in base al tipo di trattamento a cui saranno sottoposti a seconda delle strumentazioni specifiche e
delle competenze degli operatori nel condurre le procedure di smontaggio in totale sicurezza ed efficienza. Il
trasferimento dei RAEE può essere eseguito dai consumatori nei centri di raccolta predisposti dai comuni, o
tramite il ritiro da parte dei rivenditori (per conto dei produttori), nelle fasi di acquisto di nuovi prodotti
(rivalutazione dell'usato).
- I trattamenti di recupero; vengono eseguiti al fine di poter bonificare i componenti da materiali pericolosi per la
salute o per l'ambiente e di smaltirli correttamente, e poter così procedere al recupero di tutta la componentistica
riutilizzabile.
Gli obiettivi di recupero e reimpiego o riciclaggio dei materiali dei rifiuti elettronici inviati al
trattamento sono stabiliti in funzione della categoria di appartenenza dei RAEE.
- Tutti i materiali riciclabili tra le parti danneggiate o inutilizzabili, o il cui costo di verifica e collaudo non determina
un vantaggio economico e i materiali non riciclabili devono essere smaltiti correttamente
.
Le attività di trattamento per riciclaggio, recupero e valorizzazione dei materiali vengono realizzate grazie a vere e
proprie linee di produzione che invece di assemblare o trasformare materie prime e componenti in prodotti finiti
seguono il processo inverso (dal prodotto a fine vita si ottengono nuovamente materie prime che possono essere
riutilizzate in nuovi cicli produttivi).
8. Norme UNI EN ISO serie 9000, 9001, 9004,9011
Le UNI EN ISO serie 9000, elaborate e diffuse dall’UNI sono direttive tecniche internazionali che descrivono i requisiti dei
Sistemi di Gestione per la Qualità «SGQ» insieme di regole e di attività necessarie per assicurare la qualità dei
prodotti e dei servizi di un’impresa.
La prima fase dell’iter per ottenere la certificazione del proprio SGQ è la scelta dell’Ente di Certificazione accreditato,
tale Ente provvede ad analizzare la documentazione predisposta dell’azienda e verifica, tramite audit (ovvero “verifica
ispettiva”), che il SGQ sia:
• conforme alle norme;
• realmente ed efficacemente applicato.
rilasciando la certificazione se risultano verificati i criteri della norna ISO 9000
Nella seconda fase L’SGQ viene successivamente monitorato attraverso visite di sorveglianza (semestrali od annuali)
concordate con l’impresa per verificare che tutte le attività siano svolte secondo prescrizioni della norma
La certificazione ha
validità triennale e la sua scadenza comporta la necessità di riavviare il percorso. tese a
rilevare ogni variazione del SGQ, rispetto all’ultima verifica effettuata e dovrebbe comportare i seguenti vantaggi:
- valutazione oggettivava da parte di valutatori esterni sulla qualità esterni alla società
- accesso più agevole al mercato
- il vantaggio competitivo.
Per il rilascio della certificazione le norme da considerare sono la norma UNI EN ISO 9000 che contiene i principi
sulla base dei quali dovrebbe essere strutturato un efficace SGQ e le norme 9001, 9004, 9011 che affrontano le
problematiche riguardanti la progettazione, l’efficienza e la gestione di un SGS.
Le norme ISO 9000 si possono adottare per due ragioni
i). “contrattuale”: quando il cliente richiede al proprio fornitore di aderirvi come condizione essenziale per la
conclusione di un accordo/contratto;
II) “non contrattuale”: come modello per realizzare un proprio Sistema di Gestione per la Qualità
Qualità aziendale «prodotto»
La norma ISO 9001 prescrive i requisiti del prodotto siano determinati dal cliente o da leggi o regolamenti che
definiscono degli standard accettati all'interno del settore di mercato.
I requisiti, che l’organizzazione aziendale dovrà essere in grado di soddisfare, sono stabiliti dai contratti standard o da
accordi orali che il reparto commerciale propone al cliente
Dispone che l’azienda svolga un'efficace pianificazione del processo di progettazione e sviluppo (fasi convolte
nel processo verifica/revisione del progetto, individuazione dei responsabili delle varie fasi) con verifica perenne dei
requisiti (input progettuali ) e con accertamento che lo sviluppo del prodotto soddisfi i requisiti richiesti
Infine attraverso Il riesame della progettazione e sviluppo si rivede quanto progettato allo scopo di:
•determinare se il progetto soddisfi i requisiti in ingresso della progettazione
•identificare tutti i problemi legati alla progettazione
•proporre soluzioni a questi problemi
In questo modo si consegue lo scopo di di far entrare in sintonia tutti gli elementi dell’azienda (personale, impianti,
attrezzature, procedure, etc.) con i fornitori, a monte, e con i clienti, a valle in modo
che i beni o i servizi
dell’impresa soddisfino le esigenze dei clienti e che l’azienda diventi altamente reattiva, efficace ed indirizzata alla
massima efficienza.
i
LA NORMATIVA SULLA SICUREZZA
introduzione
sicurezza sul lavoro
d.lgs 81/08
misure di prevenzione e protezione
classificazione dei rischi lavorativi
analisi dei rischi meccanici di una stamperia
Introduzione
La sicurezza nei luoghi di lavoro è stata oggetto di svariati interventi legislativi, (ultimi due: D.lgs. 81/2008,
corretto ed integrato dal successivo D.lgs. 106/2009) che si sono susseguiti nel corso del tempo con un
unico obiettivo: «garantire e migliorare le condizioni dei lavoratori in termini di salute e di sicurezza»
La sicurezza nei luoghi di lavoro si consegue con la partecipazione di tutti, dallo stesso datore di lavoro, ai
dipendenti, ai loro rappresentanti E dipende dalla caratteristica degli impianti e delle macchine, ma anche
dall’adozione di corretti procedimenti di lavoro
La sicurezza è garantita se viene curata la formazione e sensibilizzazione del personale In materia di
sicurezza
SICUREZZA SUL LAVORO
Per «sicurezza sul lavoro» si intendono le attività volte a garantire misure di prevenzione e protezione,
adottate dal datore di lavoro e dai lavoratori stessi per garantire:
- La tutela della salute che riguarda la prevenzione delle malattie professionali
- La tutela della sicurezza che comprende tutte le misure di prevenzione e protezione contro gli
infortuni
La Diminuzione della probabilità che il pericolo (processo lavorativo che può causare un danno al
lavoratore o ad un bene materiale) possa attaccare il lavoratore si chiama prevenzione
La prevenzione si attua eliminando totalmente il pericolo dal luogo di lavoro
lavoratore con barriere sicure.
separando il pericolo dal
La protezione consiste nel proteggere il lavoratore con schermi, apposito abbigliamento, attrezzature e
facendo in modo che il danno sia accettabile se accade l’infortunio
Infortunio e malattia professionale
A causa di eventi dannosi e imprevedibili «incidenti» si possono avere dei
danni «infortuni»
che possono generare le conseguenze quali la morte,
un’inabilità permanente
un’inabilità temporanea
Si parla di infortuni sul lavoro se i danni sui lavoratori sono riconducibili a
lesioni fisiche dovute a cause violente mentre si parla di malattie professionali
se i danni sono dovuti all’esposizione prolungata a sostanze pericolose
D.Lgs. 81/2008
La valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute nell’ambiente di lavoro (eventualità di subire un danno connesso
a circostanze più o meno prevedibili) è la prima delle misure generali di tutela previste dal D.Lgs. 81/2008
La valutazione, globale e documentata, dei rischi presenti nell’ambiente di lavoro, è finalizzata a:
individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione da adottare elaborare il programma delle misure atte a
garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza viene effettuato attraverso:
1) Documento di valutazione dei rischi DVR che deve contenere:
- relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute
- misure di prevenzione e protezione adottate
- programma delle misure per garantire il miglioramento della sicurezza nel tempo e procedure
per la loro realizzazione
- nominativo del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, del Rappresentante dei Lavoratori per la
Sicurezza e del Medico Competente
2.DUVRI (documento unico di valutazione dei rischi da interferenze, è un documento legato ad una specifica
attività, all’interno della quale cooperano due o più imprese diverse. Il DUVRI va elaborato in coordinamento
tra i diversi soggetti che prendono parte ad una attività che definiscono quali rischi apporterà la propria
singola attività all’interno dell’intero progetto, valutandone eventuali interferenze con i rischi apportati dagli
altri soggetti.
3. Il decreto 81/08 è stato oggetto di integrazioni e modifiche significative (Dlgs 106/2009) che ha
completato l’intervento di ammodernamento della disciplina in materia di sicurezza.
A tale scopo sono state definite le modalità di realizzazione del Piano Operativo di Sicurezza (POS) che è un
documento obbligatorio che tutte le imprese esecutrici devono redigere prima di iniziare le attività operative in
un cantiere temporaneo o mobile.
Il Piano Operativo Sicurezza è un documento redatto dal Datore di Lavoro di un’impresa esecutrice, che
contiene le informazioni specifiche di ogni cantiere in cui opera l’azienda, oltre che una valutazione dei rischia
cui sono sottopostigli addetti dell’impresa (lavorazioni, macchine, attrezzature).
Misure di prevenzione e protezione
Per misure di prevenzione si intende l’insieme di misure, provvedimenti e accorgimenti operativi messi in
atto per ridurre la probabilità che si verifichi un danno con conseguente riduzione del rischio
Per misure di protezione si intende l’insieme di misure, provvedimenti e accorgimenti operativi messi in
atto per diminuire l’entità di un danno, possono essere:
- di tipo collettive (sistemi di abbattimento, aspirazione, insonorizzazione, etc.)
- di tipo individuali (dispositivi di protezione individuali, informazione, sorveglianza sanitaria, etc.)
Le figure professionali coinvolte nello studio della prevenzione dei rischi aziendali e nella stesura del documento sulla
prevenzione dei rischi in azienda sono: il datore di lavoro, Il rappresentante dei Lavoratori per la sicurezza, Il medico
competente il responsabile del servizio di prevenzione e protezione
CLASSIFICAZIONE DEI RISCHI LAVORATIVI
Classificazione
I Rischi lavorativi possono essere divisi in tre grandi
categorie:
RISCHI PER LA SICUREZZA
(Rischi di natura infortunistica)
RISCHI PER LA SALUTE
(Rischi di natura igienico
ambientale)
RISCHI PER LA SALUTE E LA
SICUREZZA
(Rischi di tipo cosiddetto
trasversale)





Strutture
Macchine
Impianti Elettrici
Sostanze pericolose
Incendio - esplosioni
 Agenti Chimici
 Agenti Fisici
 Agenti Biologici
 Organizzazione
del lavoro
 Fattori psicologici
 Fattori ergonomici
 Condizioni di lav. difficili
VIGILANZA E CONTROLLO
Gli organismi di vigilanza e controllo
ATS ( ex ASL )
V.V.F.
MINISTERO DEL LAVORO
DIREZIONE PROVINCIALE DEL
LAVORO
INAIL
Coordinamento tra gli enti
Banca dati infortuni
128
ANALISI DEI RISCHI: CICLO PRODUTTIVO STAMPERIA TESSUTI
RISCHIO MECCANICO
I rischi di tipo meccanico cui ci si riferisce sono riconducibili ad alcune situazioni tipo quali:
•
entrare in contatto con la macchina, o trovarsi intrappolati tra la macchina e le parti
collegate alla macchina o ad altre strutture fisse: convogliamento, trascinamento,
impigliamento, intrappolamento;
•
essere colpiti da un qualunque organo in movimento della macchina: schiacciamento,
cesoiamento;
•
essere colpiti da eventuali materiali proiettati dalla macchina.
CICLO PRODUTTIVO STAMPERIA TESSUTI
RISCHIO MECCANICO
CICLO PRODUTTIVO STAMPERIA TESSUTI
RISCHIO MECCANICO
Fase: Cucitura testate: impianti in automatico che hanno lo scopo di creare grandi rotoli per le successive
lavorazioni di continuo. E’ un impianto utilizzato solo per grandi metrature in lavorazione. Nel caso specifico,
“l’apparecchiatura automatica” è costituita dalla presenza dell’unità di cucitura (macchina da cucire) che si muove
automaticamente seguendo un percorso longitudinale.
Rischio : Infortuni dovuti a cattura da parte di cilindri accoppiati che possono afferrare e trascinare mani o altre
parti – infortuni dovuti all’unità di cucitura
Danni attesi:
A – Urti e/o perforazione da parte della macchina per cucire in movimento continuo
B – Cattura da parte di rulli accoppiati
C - Caduta dall’alto per la presenza di postazioni di lavoro su passerelle
D – Cattura da parte di organi di trasmissione quali cinghie e catene
INTERVENTI
• Prevedere per le macchine mobili dispositivi di sicurezza
o recinzioni.
Devono parimenti essere previsti
dispositivi di sicurezza o chiusure di protezione per i
dispositivi in movimentazione o gli elementi operativi
allo scopo di impedire l’accesso alle zone pericolose.
• Oppure impedirel’accessodi
• persone con protezioni secondarie quali pedane sensibili
o fotocellule che circondano la zona di operazione.
CICLO PRODUTTIVO STAMPERIA TESSUTI
RISCHIO MECCANICO
Fase: Cucitura testate: impianti in automatico che hanno lo scopo di creare grandi rotoli per le
successive lavorazioni di continuo. E’ un impianto utilizzato solo per grandi metrature in lavorazione. Nel caso
specifico, “l’apparecchiatura automatica” è costituita dalla presenza dell’unità di cucitura (macchina da cucire)
che si muove automaticamente seguendo un percorso longitudinale.
Rischio : Infortuni dovuti a cattura da parte di cilindri accoppiati che possono afferrare e trascinare mani o
altre parti.
Danni attesi:
A – Urti e/o perforazione da parte della macchina per cucire in movimento continuo
B – Cattura da parte di rulli accoppiati
C – Caduta dall’alto per la presenza di postazioni di lavoro su passerelle D – Cattura
da parte di organi di trasmissione quali cinghie e catene
INTERVENTI
• Installare ripari fissi o mobili interbloccati.
• Prevedere un distanziamento fra cilindri controrotanti e/o fra cilindri e parti
fisse compreso fra 120 – 150 mm o maggiore di 500 mm, o dispositivi di
protezione fotoelettrici (“fotocellule”) che coprano l’intera larghezza del
punto di trascinamento, o dispositivi di tipo sensibile (ad esempio “fune a
strappo”) che coprano l’intera larghezza del punto di trascinamento.
CICLO PRODUTTIVO STAMPERIA TESSUTI
RISCHIO MECCANICO
Fase: Centrifughe: eliminare l’eccesso di acqua di lavaggio dai tessuti proveniente dagli impianti di tintura.
(Norma tecnica UNI EN n° 12547 del 30/06/2001 - Centrifughe - Requisiti comuni di sicurezza)
Rischio : Possibilità di urto, schiacciamento, cesoiamento, cattura degli arti superiori da parte del cestello in
rotazione all’interno della macchina in seguito all’apertura del coperchio di accesso durante il funzionamento.
Danni attesi: Lesioni arti superiori/inferiori da trascinamento e torsione anche con esito mortale
INTERVENTI
Installare:
• Impiego solo di sistemi di blocco non
agevolmente
rimovibili
dall’operatore
della macchina, quali: viti, bulloni
• Dispositivi per impedire la caduta
accidentale del coperchio.
CICLO PRODUTTIVO STAMPERIA TESSUTI
RISCHIO MECCANICO
Fase: Calandratura del tessuto: passaggio su due o più cilindri riscaldati e che ruotano alla stessa velocità o a velocità
differenti, serve a conseguire diversi effetti. Normalmente è effettuata per ammorbidire il tessuto, o per avere un effetto
lucido o semi-lucido permanente.
Rischio : Presenza di rulli girevoli contro rotanti a coppie / blocchi e adiacenti a elementi fissi collocati sia nella zona di
ingresso sia in quella di uscita con possibilità di impigliamento e cattura.
Danni attesi: lesioni mani e arti superiori
INTERVENTI
.
Installare:
• Ripari fissi o mobili interbloccati
• Dispositivi di protezione fotoelettrici (“fotocellule”) che coprano
l’intera larghezza del punto di trascinamento
• Dispositivi di tipo sensibile (ad esempio “fune a
strappo”) che coprano l’intera larghezza del punto di
trascinamento.
CICLO PRODUTTIVO STAMPERIA TESSUTI
RISCHIO MECCANICO
B – Contatti con organi di trasmissione.
INTERVENTI
• Installare ripari fissi o mobili interbloccati e/o segregare
completamente le parti della macchina interessata .
C - Contatto con materiale
CICLO PRODUTTIVO FONDERIE ALLUMINIO
INTERVENTI
• Utilizzo dei DP, visiere e guanti e
scarpe inforntunistiche .
CICLO PRODUTTIVO STAMPERIA TESSUTI
Tipologie di protezioni sono così classificabili:
•
Protezioni fisse assicurano che all’operatore venga
impedito l’accesso alle parti pericolose delle macchine.
•
Protezioni asservite sono collegate ai comandi della
macchina e consentono di accedere all’area pericolosa in
condizioni di sicurezza consentendo di eseguire operazioni
che si rendessero necessarie durante lo svolgimento della
lavorazione. Sono concepite ed allestite in modo tale da:
– permettere di avviare la macchina solo quando la
protezione si trova in posizione di chiusura;
– permettere l'apertura della protezione solo a macchina
ferma.
CICLO PRODUTTIVO STAMPERIA TESSUTI
RISCHIO MECCANICO
•
Gli obiettivi conseguibili con i dispositivi di protezione sono molteplici e così riassumibili:
– durante il normale funzionamento l’operatore non deve mai poter venire a contatto con organi o
parti pericolose della macchina;
– durante l’esecuzione di manovre che possono portare a situazioni pericolose, deve sussistere una
adeguata segnalazione fra una manovra e la successiva;
– le parti pericolose della macchina devono poter essere accessibili solamente con l’impianto
messo in sicurezza (organi in movimento fermi);
– eventuali guasti ed anomalie, prevedibili sulla base dell’esperienza, non devono poter arrecare
danni agli operatori;
– in caso di emergenza, le macchine devono poter essere messe in sicurezza in modo agevole
e rapido.
APPENDICE A: TRASMISSIONE MECCANICA
• Trasmissione meccanica
• Cinghia
• Riduttore di giri
• Pignone e cremagliera
• Vite senza fine trapezia
• Vite a ricircolo a sfere
Dimensionamento motori di trascinamento nei centri di lavoro
Il dimensionamento e la scelta del motore di trascinamento viene effettuata
in funzione delle caratteristiche del carico.
La potenza richiesta da una macchina dipende per cui dal ciclo di lavoro, è funzione
rotazione, del percorso e del tempo
dell’angolo di
Il motore deve inoltre vincere la "coppia di distacco", in conseguenza del maggiore attrito al distacco.
Si esaminano di seguito alcune condizioni specifiche di carico, con i relativi grafici coppia-potenza in
funzione della velocità angolare dell’albero, con tutte le grandezze riferite al valore nominale.
1) Macchine avvolgitrici per carta, lamiere, fili: sono richiesti un
velocità periferica costante e uno sforzo di trazione sul filo
diametro di avvolgimento crescente,
F = costante.
Analogamente, per alcune lavorazioni al tornio, con diametro di tornitura variabile, si richiede una
velocità di taglio costante e uno sforzo di asportazione costante, con
T coppia =k/Ω=k’·r
e
P=F·v=cost.
2) Per il lavoro di sollevamento, di attrito o di deformazione la coppia resistente
è
costante
e non dipende dalla velocità; nel caso
di ascensori, paranchi, argani, viene richiesta una coppia
costante
con F = peso
coppia T=F·D/2=costante;
P=T·Ω,
quindi con la coppia indipendente dal numero di giri al minuto
diametro «D» sono costanti
la coppia
è costante.
se la massa
"m = F/g"
e
Questo vale anche per i laminatoi e per tutte macchine utensili con sforzo di taglio costante e
diametro costante (torni paralleli, piallatrici ecc..)
3)
Nel caso di macchine che offrono una resistenza d’attrito proporzionale a "n" con coppia di carico
proporzionale alla velocità in giri al minuto ( calandre per la lavorazione di materiali tessili, carta, plastica,
fogli di gomma ecc.. con generazione di attrito viscoso) si ha
T=k·Ω ;
P=T·Ω=
k·Ω2
4) – Nel caso di ventilatori, pompe centrifughe, sbattitori, centrifughe, con
T=k·Ω2 ;
P=T·Ω=k·Ω3
ESEMPIO: attrito volvente
Si calcoli la potenza meccanica di un motore asincrono trifase installato nell’argano, supponendo che il peso
dei pezzi da sollevare non superi i 20 kg, che i pesi della fune e dell’elettromagnete siano trascurabili, che al
motore sia collegato un riduttore avente rapporto 1:20 e rendimento 0.5 e sul cui albero di uscita sia
montata una puleggia del diametro 100 mm.;
P = 20 Kg
V = 1200 g/s
Braccio = d/2 = 100/2 = 50 mm 0.05 m
Momento torcente
M =
F*b =
20*0.05 = 1 Kgm
w = 2*π *n /60 = 6.28* 1200/ 60 =
125,6 rad/s ∙
Pr = M*w =1 * 125,6 = 1500 kgm*rad/s
(moto traslatorio Pr = F x v)
Pmecc =Pr* η * ρ= 125,6* 0.5* 20 = 1.256 watt ( moto rotazionale)
Esempio 2 (attrito radente)
Si calcoli la potenza meccanica che deve essere applicata all’albero del rullo di traino che comanda il
nastro trasportatore considerando che:
a.il nastro trasportatore orizzontale avanza alla velocità costante di 300 mm/sec;
b.i rulli di traino e di rinvio hanno diametro pari a 50 mm;
c. il coefficiente di attrito tra tappeto e piano di trasporto è pari a 0.3;
d.il peso totale trasportato dal nastro è pari a 150 N.
Si considera
una massa complessiva (massa nastro + massa peso portata consentita di 150 N che
rappresenta il peso totale che si scarica sui rulli
-------------------------------------------------------------------------
Per prima cosa si determina la forza di trazione F
F=coeff. attr.*massa totale*g=0.3*150=45 N
Si calcola la velocità angolare w
w=v/r=300/0.025=7,5 rad/s
la coppia minima per muovere il nastro
C=p*r= 150N*0.025m= 3,75 Nm
la potenza minima richiesta dal motore sarà
P= C * w = 3,75 * 7,5 rad/s = 29,06 kW
TRASMISSIONE MECCANICA
In un azionamento elettrico un motore aziona un carico meccanico.
Capita molto spesso che il carico meccanico sia caratterizzato da una alta coppia e una
bassa velocità, mentre i normali motori elettrici forniscono invece buone prestazioni ad
alta velocità, cui corrisponde una bassa coppia.
In queste situazioni non è possibile un accoppiamento diretto tra carico meccanico e
motore. Si rende necessaria l’interposizione di una trasmissione meccanica per adattare i
valori di coppia e velocità.
Motore
Trasmissione
meccanica
Carico
NB: In questi anni l’industria costruttrice di
motori elettrici sta sviluppando un nuovo tipo
di motore: il motore coppia, in grado di lavorare
a basse velocità e con alte coppie, in modo da
eliminare la presenza della
La trasmissione meccanica può essere realizzata mediante:
•Cinghia e catena
•Riduttore di giri
•Conversione del moto rotatorio in traslatorio
•Sistema pignone e cremagliera
•vite senza fine e a ricircolo di sfere
CINGHIA
La cinghia realizza una trasmissione meccanica elastica, ma comunque di buon
rendimento ( ~ 95%).
La cinghia è avvolta su due o più pulegge, dello stesso diametro oppure diverso,
in funzione delle applicazioni.
La grande richiesta di cinghie ha stimolato l’industria, che ne ha prodotte di
diversi
tipi, rendendole convenienti anche in applicazioni tradizionalmente
riservate alle catene.
Punti di forza:
• è la trasmissione meno costosa
• non necessita di lubrificazione
• manutenzione ridotta al minimo
• può assorbire brusche variazioni di carico (elasticità)
Punti di debolezza:
Il rapporto tra le velocità angolari dei due alberi non può essere né costante né
uguale al rapporto tra i diametri delle due pulegge, per via delle dilatazioni
conseguenti alla elasticità del materiale (problema in gran parte risolto con le
cinghie dentate)
Rapporto di riduzione: (o di trasmissione): R = w2/W1 =R1/R2
NB: deriva dall’uguaglianza della velocità lineare v sulla circonferenza delle due pulegge.
Tipi di cinghia
Cinghia piatta
Fu molto usata agli albori della rivoluzione industriale.
Nelle applicazioni attuali avvolgono delle pulegge con diametro piccolo e corona
larga.
La puleggia motrice deve avere la superficie esterna della
corona leggermente bombata al centro, al fine di permettere
della cinghia.
l’autocentratura
Cinghia trapezoidale
Oggi rappresenta la cinghia di riferimento per la trasmissione di potenza.
E’ costruita con una sezione trapezia che si incunea nella stretta scanalatura
praticata sulla superficie esterna della puleggia.
Oggi si realizzano cinghie trapezoidali con la parte interna segmentata per
migliorare l’aderenza e la flessibilità (consentendo di utilizzare pulegge più
piccole e aumentare così il rapporto di trasmissione).
Tipi di cinghia
Cinghia dentata (cinghia sincrona)
Una o entrambe le superfici della cinghia sono dentate.
Vantaggi
I denti della cinghia si ingranano con quelli della puleggia
garantendo:
•trasferimenti di potenza senza slittamenti
•trasferimento del moto con precisione
•maggiore silenziosità (in sostituzione della catena; es: nei motori
endotermici, per la sincronizzazione delle valvole con i pistoni)
Svantaggi:
•alto costo
•assenza di protezione in caso di sovraccarico (per l’assenza di
slittamento)
RIDUTTORE DI GIRI
Vantaggi:
• alta potenza trasmissibile (maggiore rispetto a quella della cinghia dentata)
•alto rendimento (dipendente comunque dal tipo di riduttore)
•rapporto di riduzione certo
•ingombro limitato
Svantaggi:
•rumorosità medio/alta
•costo medio/alto
RIDUTTORE DI GIRI
Rapporto di riduzione:
R = w2/w1
Potenza: P2 = P1* 
Coppia: C1= R*C2*(1/ )
Inerzia = J2’ = R^2*J2
NB: la trasmissione della potenza lega velocità e coppia: l’asse
veloce può essere più sottile, quello lento deve essere più
spesso (per reggere una coppia maggiore).
NB: con R < 1
•La velocità ω1 della ruota veloce viene vista dalla ruota lenta ridotta del fattore R
•La coppia C2 che grava sull’asse lento si ripercuote sull’asse veloce ridotta del fattore R
•Il momento d’inerzia J2 che grava sull’asse lento si ripercuote sull’asse veloce ridotto del fattore R2
RIDUTTORE DI GIRI
Tipi di riduttori
• A vite senza fine (compatto, rendimento basso, costo basso)
• A ingranaggi (ingombro contenuto, rendimento buono,costo medio/basso)
• Epicicloidale (ingombro contenuto, rendimento medio/alto, gioco
• contenuto, costo medio/alto)
• Armonico (ingombro minimo, rendimento molto alto, gioco ridottissimo,
costo alto)
Armonico
La corona flessibile ha due denti in meno della corona fissa. Il generatore
d’onda (ellittico) ruotando deforma la corona flessibile ingranaldola in quella
fissa. Ciò provoca una rotazione della corona flessibile nel verso opposto:
quando il generatore d’onda ruota di un giro, la corona flessibile ruota di due
denti. Per ridurre l’attrito il generatore d’onda spinge sulla corona flessibile
mediante delle sfere.
RIDUTTORE DI GIRI
Esercizio:
Un riduttore ( R = 0.08,  = 0.98 ) è azionato da un motore elettrico con coppia 4 Nm e velocità 95 rad/s.
Calcolare la coppia C2, la velocità ω2, le potenze P1 e P2.
Soluzione:
w2 = R*W1 = 0,08*95 = 7.6 rad/s
C2 = (C1/R) = 0,98*(1/0.08)*4 = 49 Nm
In alternativa
P1 = C1*w1 = 4*9 =
380 W
P2 = C2*w2 = 49*7,6 =
372,4 W
P2 = P1= 0,98*380 = 372,4 w
RIDUTTORE DI GIRI
Esercizio:
Dimensionare la potenza che un motore deve erogare a regime a un riduttore di giri (con R = 1/25 =
0.04,  = 0.95) che aziona un carico alla velocità di 1500 g/min con coppia di 60 Nm.
Soluzione:
w1 = n*(2*3.14/60) = 1500*(2*3.14/60) = 157 rad/s
Pc = Cc*w2 = 60 * 157 = 9425 W
P = Pc/   9425/0,9  9921 W
RIDUTTORE DI GIRI
Esercizio:
Dimensionare il rapporto di riduzione di un riduttore che deve far ruotare un carico alla velocità di 18 rad/s
quando azionato da un motore elettrico che eroga una coppia di 6 Nm alla velocità di 3000 g/min.
Ipotizzando un riduttore ad alto rendimento (  ~ 1 ), calcolare la potenza assorbita dal carico.
Soluzione:
w1 = n*(2*3.14/60) = 3000*(2*3.14/60) = 3124 rad/s
R = w2/w1 = 18 /314 = 0,057
Cc = Cm/R = 6/0,057 = 105 Nm
Pc = Cc*w2 = 105*18 = 1885 w
PIGNONE E CREMAGLIERA
Componente che trasforma il moto rotatorio in traslatorio.
Pignone: ruota dentata.
Cremagliera: barra dentata.
Il moto rotatorio del pignone viene trasformato in traslatorio della cremagliera.
Il componente pignone-cremagliera è molto usato nelle automobili per convertire la rotazione dello
sterzo in traslazione degli organi che intervengono sulle ruote.
VITE SENZA FINE TRAPEZIA
Il moto rotatorio della vite è trasformato in traslatorio della chiocciola, cioè la coppia della vite in forza della
chiocciola (oppure viceversa).
Rapporto di trasformazione:
V/w = x /   passo/ 2  
m/
rad
NB: minore è il passo, minore risulta il rapporto di trasformazione,
cioè più lentamente si muove la
chiocciola a parità di velocità
angolare della vite.
NB: la
Potenza:
coppia C che grava sulla vite in conseguenza di una forza F presente sulla
chiocciola, corrisponde:alla forza ridotta del rapporto R e amplificata del
Coppia C = (1/ ) R F
rendimento .
VITE SENZA FINE TRAPEZIA
Inerzia:
MC = massa del carico che grava sulla chiccciola (moto traslatorio)
MCH = massa della chiocciola
JV = momento d’inerzia della vite
L’inerzia delle masse traslanti si ripercuote sulla vite ridotta del fattore R2:
J’ = R^2( Mc +Mcr)
L’inerzia totale che grava sulla vite risulta:
Jt = Jv +J’ = ½*Mv*(D^3/4) + (Mc+Mch)*R^2
Inerzia di un cilindro
NB: i cataloghi forniscono direttamente il valore di MCH, mentre spesso non riportano il
valore di JV . L’informazione sul momento d’inerzia della vite JV viene fornita mediante
il termine PD2 :
dove P = peso del corpo rotante (oppure peso espresso in kgp)
D = diametro del corpo rotante
NB: nel caso da catalogo non fosse possibile risalire a JV, si può ricavare il PD2 misurando il diametro e pesando
la vite
Nelle viti senza fine il movimento relativo vite-chiocciola provoca fenomeni di usura dovuti all’attrito radente,
con conseguente aumento del gioco e riduzione della precisione.
VITE A RICIRCOLO DI SFERE
L’inserimento di sfere tra la filettatura della vite e quella della chiocciola elimina l’attrito
radente. Le sfere rotolando raggiungono il limite della
chiocciola e con opportune canalizzazioni sono riportate al suo inizio (ricircolo).
Molto impiegate nei casi in cui sono richieste:
•alta precisione,
•reversibilità del movimento e
•alto rendimento.
NB: per eliminare il gioco tra sfere e filettatura in alcune viti si precaricano le sfere, si fa in modo cioè che la
chiocciola eserciti una pressione sulle sfere (non esagerata per non rendere difficile il loro rotolamento).
TRASMISSIONE MECCANICA
Esercizio:
Un carico, azionato da una chiocciola di una vite a ricircolo di sfere (con passo = 4 mm,  = 0.97,
L = 1.4 m), deve muoversi con velocità di 80 mm/s.
Calcolare:
•la velocità con cui deve ruotare la vite ω
•lo spostamento della chiocciola dopo 340 giri della vite x
Soluzione:
R = passo/ 2    0.004/6.28  0.000637
w = v/R = 0.08/0,000637 = 125,6 rad/s
x = passo*340 =1.36 m
L: lunghezza della vite
m/
rad
TRASMISSIONE MECCANICA
Esercizio:
Una vite a ricircolo di sfere ( con R = 0.002 m/rad,  = 0.98) è azionata da un motore che gira alla
velocità di 1500 g/min e muove un carico di 70 N.
Calcolare:
•la velocità del carico vc
•la potenza assorbita dal carico PC
•la potenza erogata dal motore PM
Soluzione:
w= n*(2*3.14/60) = 1500*(2*3.14/60) = 157 rad/s
vc = Vcm =R*w = 0.02*157 = 0.314 m/s
Pc = vc *F  0.31470  22 W
Pe = Pc/   22/0.98  22.4 W
TRASMISSIONE MECCANICA
Esercizio:
Dimensionare la potenza di un motore elettrico che aziona una vite a ricircolo di sfere (con R = 0.004
m/rad,  = 0.96) che muove un carico alla velocità di 1.5 m/s sviluppando una forza di 16 kgp.
Soluzione
Fc = 16kgp = 16*9.8 N = 17 N
Pc = F*v = 157*15 = 236 W
Pm = Pc/   236/0.98  246 W
TRASMISSIONE MECCANICA
Esercizio:
Calcolare la coppia che un motore deve fornire alla vite (passo = 20 mm/rad, JV = 5.2 10-5,  = 0.95)
per accelerare la chiocciola da 0 a 0.43 m/s in 0.8 s, caricata con un carico che oppone una forza di
584 N e ha una massa di 193 kg.
Soluzione: R = passo/ 2    0.0098/6.28  0.00318
m/
rad
C = (1/  ) R* F = (1/0,95) 0.00318  584  1.96
Nm
J'  R 2  M  0.00318 2 193  0.00196 kgm 2
J T  J V  J'  0.000052  0.00196  0.002 kgm 2
W = V/R = 0,43/0,00318 = 135 rad /s
Cj = Jt * (∆ w/∆ t) = 0.002*(135/0.8) = 0,339 Nm
C  C'C I  1.96  0.339  2.3 Nm
NB:
• trascurabile la massa della chiocciola
• accelerazione costante
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