TERZA SECONDA FASE QUARTA QUINTA TERZA SECONDA FASE resistenze laboratorio i condensatori laboratorio bobine diodi laboratorio classificazioni e scelta dei transistor il transistor bjt JFET/MOSFET il plc linguaggi di programmazione comandi elementari il... PARAMETRI PROPRIETA’ ELEMENTARI DEI COMPONENTI Il comportamento di un componente, o sistema, è normalmente descritto da più parametri. I parametri elementari più importanti sono: RESISTENZA: l’attitudine del componente, sottoposto a una differenza di potenziale, di opporsi al passaggio della I (flusso di cariche) CAPACITA’: l’attitudine di un componente ad accumulare cariche elettriche. INDUTTANZA : l’attitudine di un componente di opporsi alle variazioni del flusso di cariche nel tempo «I» I RESISTORI E' uno dei componenti più frequenti all'interno di un circuito elettronico e viene indicato con i seguenti simboli: Il principale parametro di un resistore è rappresentato dal valore della resistenza elettrica che il componente introduce quando viene inserito in un circuito. La resistenza viene espressa in (OHM) e va calcolata con la legge di Ohm espressa dalla relazione Con V=Tensione applicata ai capi del resistore espressa in Volt (V) I= Corrente che percorre il resistore espressa in Ampere (A) PARAMETRI DEI RESISTORI I principali parametri di un resistore sono: 1. Valore nominale = è il valore più probabile a cui fare riferimento nel progetto 2. La tolleranza = indica il campo di valori entro cui si trova il vero valore della resistenza Es. 220+ 5% indica un valore compreso tra 209 e 231, in quanto il 5% di220 è = (5*220)/100=11, quindi 220-11=209 220+11=231 3. Potenza nominale= massima potenza che a 25°C il resistore è in grado di dissipare sotto forma di calore senza che la sua costituzione interna venga alterata, senza, cioè, che venga danneggiato. La potenza dissipabile diminuisce con l'aumentare della temperatura ambiente. SERIE COMMERCIALI • In commercio non esistono però tutti i valori, che sarebbero economicamente e praticamente impossibili da gestire, ma solamente degli "stock" di valori normalizzati, o serie. • La fabbricazione delle resistenze è regolata dalle norme C.E.I. (Commissione Elettrotecnica Internazionale) che definiscono le diverse serie di valori reperibili nei punti di vendita specializzati. TIPI DI RESISTORI TIPI DI RESISTORI CODICE DEI COLORI Viene utilizzato per definire il valore ohmico e la tolleranza delle resistenze direttamente sul contenitore. Il più comune è il codice colori a 4 strisce colorate o anelli, ma esiste anche quello a 5 o a 6 bande per le resistenze della serie E96, E192. Nel codice a 4 strisce , tre sono molto vicini tra di loro , mentre il quarto rimane separato e indica la tolleranza della resistenza. Iniziando dal lato opposto alla tolleranza, le tre strisce indicano il valore nominale. I primi due colori definiscono le prime due cifre del valore, mentre il terzo fornisce il coefficiente di moltiplicazione (o divisione) che bisogna applicare alle prime due cifre. Il terzo colore indica in sostanza il numero di zeri da aggiungere alle prime due cifre secondo la seguente tabella. Codice dei colori Se invece le bande sono cinque si considerano le prime tre come valori numerici, la quarta come fattore moltiplicativo, e l'ultima come indice della tolleranza, sempre in accordo con la tabella. CODICE DEI COLORI CODICE DEI COLORI LA POTENZA La potenza dissipabile è la massima potenza che il resistore è in grado di dissipare sotto forma di calore senza che il materiale venga danneggiato. La potenza assorbita che viene trasformata in calore è: Pa=R*I2 La potenza dissipata è la quantità di calore che si propaga ogni secondo dal resistore verso l'ambiente è: Pd=(Ti-Ta)/ Con Ti= Temperatura interna del componente Ta=temperatura ambiente = resistenza termica Se : Pd=Pa si ha equilibrio termico Pd>Pa il resistore si raffredda Pd<Pa il resistore si riscalda LA POTENZA • Si ipotizza che la temperatura interna non superi i 150°C e che l atemperatura ambiente per definire la potenza dissipabile sia di 40°C. • E' possibile aumentare la potenza dissipabile riducendo la resistenza termica disponendo sull'involucro un opportuno dissipatore. • Ricordiamo che la resistenza elettrica di un pezzo di conduttore è data dalla relazione: • R= *(l/S) l=lunghezza del conduttore; • S=area della superficie attraversata dalla corrente; • =resistività del materiale LA RESISTIVITÀ La resistività varia al variare della temperatura, varierà anche il valore ohmico secondo la relazione: R=Ro[1+(T-To)] Dove è il coefficiente di temperatura che rappresenta la variazione relativa di resistenza per ogni grado di variazione della temperatura. Ro=resistenza di riferimento Se invece teniamo conto della tensione applicata al resistore, allora il suo valore ohmico può essere espresso dalla relazione R=Ro[1+Kv(V-Vo)] Kv= coefficiente di tensione Vo=tensione di riferimento. TIPI DI RESISTORI La stabilità è un parametro che indica la variazione percentuale della resistenza dopo un tempo di 1000 ore in determinate condizioni di funzionamento. In alta frequenza occorre tenere conto di: fenomeni induttivi dovuti alla forma a spirale dell'elemento resistivo fenomeni capacitivi dovuti alle spire adiacenti del solenoide. Per questi motivi il circuito equivalente del resistore in alta frequenza non è più rappresentato soltanto da una semplice resistenza ma anche da una induttanza L in serie ed entrambi in parallelo ad una capacità C come in figura. . C = capacità equivalente di tutte le spire L = induttanza causata dal campo magnetico R = resistenza Questi fenomeni si fanno sentire tanto di più quanto maggiore è la frequenza EFFETTO PELLE Quando la corrente è alternata la sua distribuzione nel conduttore non è uniforme e si avrà sempre il valore massimo della densità di corrente sulla superficie del conduttore che diminuirà dalla superficie esterna verso il centro. Questo fenomeno di distribuzione di corrente non uniforme all'interno della sezione di un conduttore è chiamato effetto pelle e si verifica sempre in corrente alternata Con l'aumentare della temperatura aumenta il rumore generato dall'agitazione termica degli elettroni che causa ai capi del conduttore piccole fluttuazioni di tensione; ed è proprio questa tensione a valore medio nullo ma di valore efficace diverso da zero e a densità spettrale costante, che viene definita "rumore bianco". TIPI DI RESISTORI Da un punto di vista costruttivo , un resistore è formato dalle seguenti parti: Elemento resistivo (quella parte che viene attraversata dalla corrente e che ne determina il comportamento elettrico Supporto dell'elemento resistivo (quella parte di materiale isolante, in genere ceramica, su cui poggia l'elemento resistivo) Rivestimento di protezione (realizzato con resine sintetiche o vernici isolanti) Terminali o reofori (realizzati in materiale conduttore per collegare il componente al circuito e saldati a due cappellotti metallici a contatto diretto con l'elemento resistivo). A seconda del tipo di elemento resistivo possiamo avere: – Resistori ad impasto – Resistori a strato o film (spesso e sottile) – Resistori a filo RESISTORI AD IMPASTO L'elemento resistivo e' costituito da polvere di carbone o grafite e resine sintetiche mescolate con materiali inerti quali il talco, in proporzioni diverse a seconda del valore della resistenza che si vuol ottenere. Al cilindro resistivo vengono poi applicati i terminali ed il tutto viene ricoperto da una custodia isolante o da un tubetto di ceramica bloccato agli estremi con cemento. I valori nominali di resistenza vanno da 1 a 100M e le tolleranze sono del 5%,10%,20%. Data la limitata risposta in frequenza non sono molto usati perchè poco precisi e rumorosi . La resistenza è ottenuta per mezzo di una miscela di materiali isolanti e coduttori. Per i resistori con impasto a grafite: Caratteristiche: • resistenza diminuisce con l’aumento della dissipazione • scarsa stabilità della resistenza con l’invecchiamento • resistenza da ~ centinaio di ohm a ~ centinaio di Mohm • potenza dissipabile: 1/4, 1/2, 1, 2 W • tolleranza dal 5% al 20% • bassissima induttanza • basso costo. RESISTORI A STRATO O A FILM L'elemento resistivo è costituito da uno strato o film di materiale conduttore depositato su un supporto di materiale isolante quasi sempre ceramico e avente la forma cilindrica. A seconda dello spessore del film possiamo avere: – resistori a film sottile – resistori a film spesso RESISTORI A FILM SOTTILE Hanno il film con spessore inferiore aio 5 cm ed i metallici o carbone. materiali usati sono: metalli ossidi, RESISTORI A STRATO DI OSSIDO METALLICO Si realizzano mediante deposizioni di ossidi metallici (attraverso reazioni chimiche) su supporti ceramici o di vetro.Impiegano uno strato resistivo Invarox a base di ossido di rutenio depositato su supporto cilindrico ceramico e sono forniti si terminali a vite per formare catene di resistori e di una apposita guaina retrattile. Sopportano tensioni max di lavoro da 350V a 900V con valori da 10 a 67K, ma se ne trovano anche da 100K a 15G per tensioni max di lavoro da 25%50KV. Le tolleranze standard sono del 5%,2%,1%. Hanno buona stabilita' elettrica e meccanica, resistono all'umidita', hanno bassa corerente di rumore e non sono infiammabili. RESISTORI A STRATO DI CARBONE Vengono costruiti in modo simile a quello dei resistori a strato metallico. Lo strato di carbone spiralizzato e' pero' piu' spesso di quello metallico . Sono provvisti o meno di cappuccio agli estremi.Di basso costo sono più precisi e affidabili di quelli ad impasto Per spiralizzazione intendiamo l'incisione del film con un utensile in modo da ottenere una spirale al fine di diminuire la sezione e aumentare la lunghezza dell'elemento resistivo e ottenere una resistenza di valore più alto. RESISTORI A FILM SPESSO Lo strato resistivo e' un centinaio di volte piu' spesso di quello dei resistori a film sottile rispetto ai quali sono meno stabili.Permettono un ottimo smaltimento di calore ed un buon comportamento in frequenza. Si dividono in : - resistori a film spesso di carbone: uno strato spesso di carbone (100 volte quello dei resistori a film sottile) viene depositato su un substrato di vetro a 500 øC e protetto da un involucro resistente ad alte temperature.Consentono una elevataissipazione di calore; - resistori a film spesso metal glaze: Sono fabbricati utilizzando miscele di polvere di vetro e metallo quali l'argento o il titanio dispersi in un legante.Ad una temperatura di 900-1100°C la miscela e' applicata per immersione su un substrato cilindrico di allumina con velocita' controllata allo scopo di regolare lo spessore del film. Il tutto viene poi rivestito da un involucro stampato in resina o da vernice al silicone - resistori tipo cermet (piu' recenti e utilizzati come resistori variabili): Il composto resistivo viene qui' depositato su un supporto ceramico (da cui la parola Cermet). Si tratta di composti a base di metalli nobili e di loro ossidi e di leganti ceramici e vetrosi dispersi in un veicolo organico resinoso.La cottura avviene a 800%1000øC. Sopportano tensioni di lavoro max di 1500%3000 V, permettono una forte dissipazione in dimensioni ridotte (hanno,cioe', un eccellente valore del rapporto Potenza dissipabile/Superficie) ed un'ampia gamma di valori ohmici (da 10 a 3G). RESISTORI A FILO. L'elemento resistivo e' qui' un filo metallico avvolto su un supporto isolante piatto (bachelite) o cilindrico (ceramico). Il diametro del filo è legato al valore della corrente che il resistore deve sopportare, per cui i resistori con potenza maggiore avranno un diametro maggiore I vari tipi di lega utilizzati per il filo sono: * Nichel-Rame per resistori di grande precisione e stabilita'; * Nichel-Cromo per resistori di rilevante potenza; * Nichel-Cromo-Alluminio per resistori con elevati valori di resistenza; * Nichel-Cromo-Ferro per i resistori piu' economici; Si utilizza una lega in quanto quest'ultima presenta una resistenza molto piu' elevata dei metalli puri e le dimensioni a parita' di valore di resistenza desiderato diventano accettabili. Sono,pero', piu' cari dei resistori a strato. RESISTORI A FILO. Mentre i resistori a strato raggiungono a 70°C potenze dissipabili fino 6W 7W, in base alle caratteristiche costruttive, i resistori a filo si possono raggruppare in 3 categorie: - Resistori a filo smaltati: Per potenze medie ed alte (da 12W a 100W) sono protetti mediante smalti vetrosi non infiammabili per temperature max di lavoro fino a 400°C e mediante laccatura per temperature sino a 150 C. Non si usa invece alcun rivestimento di protezione per potenze sopra il centinaio di Watt al fine di permettere una piu' efficace dissipazione di calore. - Resistori a filo cementati: Per potenze da 2W a 20W, sono avvolti su supporto ceramico o di vetro, coperto da uno strato di cemento resistente alle alte temperature . - Resistori a filo di precisione: Per potenze da 0,25W a 2W, utilizzati per apparecchiature professionali. Se provvisti di radiatore metallico sono in grado di dissipare fino a 300W con dimensioni molto contenute.Trovano impiego in apparecchiature come alimentatori di potenza, amplificatori, azionamenti etc. La resistenza è ottenuta per mezzo dell’avvolgimento di un filo metallico avvolto su un cilindro isolante (max 100 kohm): • costantana (Ni-Cu), per resistori ad alta precisione • cromel (Ni-Cr), per resistori di alta potenza ( > 5 W, fino ~ centinaio di W). NB: cromel utilizzato come elemento riscaldante nei forni elettrici (leghe Ni-Cr + Fe sono più economiche, ma anche più soggette a corrosione). Sono caratterizzati da una buona stabilità nel tempo. Possono lavorare ad alte temperature: 250 – 300 °C. Per ridurre l’effetto induttivo si realizza un avvolgimento bifilare (avvolgimento Ayrton- Perry) in modo da annullare il flusso magnetico. Massima frequenza di utilizzo 100 kHz. M 20 % K 10 L’informazione sulla tolleranza deriva J 5 G 2 dal simbolo J, secondo la seguente F 1 D 0.5 C 0.25 B 0.1 Esempio: resistore di 2.2 k ± 5%, 5 W tabella: Resistori a strato (a film) La resistenza è ottenuta per mezzo di una sottile pellicola resistiva avvolta su un supporto isolante. Sulla pellicola viene praticato un solco a spirale lungo tutto il cilindro. A strato di carbone: resistenza da 1 ohm a 20 Mohm; tolleranza da 5% a 1%; potenza da 1/8 a 2 W; da non usare ad alta temperatura. A strato metallico: resistenza max 1 Mohm; tolleranza da 1% a 0.1% per resistori normali, da 0.1% a 0.001% per resistori ad alta precisione; potenza da 1/8 a 2 W; maggiore stabilità della resistenza all’aumentare della temperatura. A strato ceramico (Cermet): resistenza tra 10 kohme un 1 Tom; tolleranza 1% ; potenza fino a 2 W. Adatti per applicazioni in alta tensione. Tecnica costruttiva dei componenti PTH (Plated Through Hole): componenti i cui reofori sono inseriti nei fori praticati nel circuito stampato. Vantaggi PTH: • facili cablaggi e saldature manuali su basette millefori • veloci cablaggi manuali di prototipi su basette breadboard. Resistore SMD (Surface Mounting Device): componenti montati sulla superficie del circuito stampato, senza che questi sia forato. Vantaggi SMD: • veloci automazioni per collocare e saldare i componenti sul circuito stampato • maggiore miniaturizzazione dei componenti. Resistore CARATTERISTICHE ESEMPI LABORATORIO: Considerazioni pratiche sul codice colori Per una corretta lettura dei valori di resistenza e tolleranza occorre individuare il verso della sequenza delle bande colorate: •se le bande non sono centrate rispetto al corpo del componente, si orienta questo in modo da avere a sinistra il reoforo più vicino alle bande •se le bande sono centrate, una delle due agli estremi deve essere più larga delle altre. Orientare il resistore in modo da vedere a sinistra la fascia più stretta Esempio di circuito _ Tipi di terminali dei cavi Spinotto Banana Pinza Coccodrillo Spinotto BNC Esercitazione 2 Dato il seguente circuito: Misurare la caduta di tensione su R3, assumendo il terminale connesso al nodo 1 come polo positivo. NB: Fasi dell’esercitazione: 1.cablare su breadboard il circuito 2. collegare i terminali di R3 ad una linea analogica di ingresso della scheda Esercitazione 2 Soluzione del circuito: I CONDENSATORI I condensatori sono componenti passivi molto importanti in tutti i campi dell'elettronica. Tra le applicazioni possiamo subito citare ad esempio le seguenti: • • • • • Avviamento dei motori Rifasamento delle linee elettriche Soppressione dei disturbi (Filtri) Blocco di correnti continue; Formazione di circuiti oscillatori Se ad un conduttore neutro ed isolato diamo una carica Q, esso assume un certo potenziale V. L’esperienza dimostra che se diamo allo stesso conduttore una carica doppia, tripla,ecc., esso assume un potenziale doppio, triplo, ecc. Quindi per uno stesso conduttore esiste una relazione di proporzionalità diretta tra carica elettrica Q e potenziale V, per cui possiamo scrivere: Q/V= costante I CONDENSATORI Tale costante viene chiamata Capacità elettrica e si indica con la lettera C; vale cioè la seguente relazione C=Q/V Per quanto concerne il significato fisico, la Capacità di un conduttore sua attitudine a contenere cariche elettriche. esprime la Un conduttore ha maggiore capacità elettrica di un altro se potenziale, contiene un numero maggiore di cariche L’unità di misura della capacità poiché Farad è una unità milliFarad microfarad nanofarad picoFarad troppo grande si usano i suoi sottomultipli: • • • • a parità di elettrica è il Farad F (1 sCoulomb/1Volt); I CONDENSATORI La Capacità elettrica di un conduttore dipende da alcuni fattori: • Dall’area della superficie: Maggiore è la superficie del conduttore, maggiore è il numero di cariche elettriche che si possono immagazzinare, e quindi maggiore è la Capacità elettrica del conduttore. •Dalla forma Un conduttore piano ha una capacità elettrica maggiore rispetto ad un conduttore filiforme o a punta in quanto ha una superficie maggiore; •Dalla presenza nelle vicinanze di un altro conduttore: La presenza di un conduttore non elettrizzato nelle vicinanze fa diminuire il potenziale del conduttore elettrizzato, ma fa aumentare la Capacità elettrica del sistema dei due conduttori (C=Q/V) •Dal dielettrico nel quale è immerso. I CONDENSATORI definisce condensatore un sistema costituito da due superfici conduttrici, dette armature, separate da un isolante, detto dielettrico. Un sistema così definito è capace di immagazzinare energia elettrostatica in seno al dielettrico, quando viene applicata alle armature una differenza di potenziale (tensione elettrica) V; il valore di questa energia è dato dalla relazione: Si W=1/2 CV2 In cui C è una costante caratteristica del condensatore, chiamata capacità C=Q/V con Q che è la carica distribuita su una armatura del condensatore. Il condensatore presenta una impedenza infinita in corrente continua ed un valore di reattanza che varia in funzione della frequenza consentendo il passaggio della corrente alternata. I CONDENSATORI Quando si polarizza il condensatore applicando una tensione continua tra i suoi due terminali, viene generato un campi elettrico E in direzione delle frecce. L'effetto del campo sul dielettrico è di separare le cariche di segno opposto, orientandole nel senso del campo stesso. Dipolo elettrico I CONDENSATORI • Per effetto della tensione applicata ai capi delle armature del condensatore, si stabilisce tra di esse un campo elettrico E che determina la polarizzazione del dielettrico. • Per polarizzazione del dielettrico si intende l’induzione elettrostatica «ridistribuzione della carica elettrica» operata dal campo elettrico sulle molecole del materiale in maniera tale da formare tanti dipoli elettrici orientati lungo la direzione del campo elettrico E. I CONDENSATORI Il tipo di condensatore più semplice è quello piano ,in cui le armature sono due superfici metalliche piane e fra loro parallele di area S, poste ad una distanza d fra le quali è posto un dielettrico di costante dielettrica ε= εo εr Con εo la costante dielettrica assoluta di valore 8,85 10 -12 F/m. La sua capacità è : C= ε S/d Per condensatori di forma geometrica diversa da quella piana, l’espressione della capacità risulta essere più complessa IDENTIFICAZIONE DEL COMPONENTE Il segno grafico che caratterizza il componente non è unico, ma diverso a seconda della funzione e a seconda dei materiali utilizzati: Simbolo convenzionale Condensatore elettrolitico polarizzato Condensatore variabile La legge che descrive il comportamento di un condensatore è: Ic(t)= C ∆Vc(t)/∆t Dove Ic(t) è la corrente che passa nl condensatore al variare della tensione ∆ Vc(t) nel tempo. Tale legge esprime il fatto che il condensatore può essere attraversato da corrente solo se sottoposto a tensioni variabili; infatti se la tensione che eccita il condensatore è continua , la corrente è nulla. CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE Tutti i condensatori sono costruiti in linea di principio da due armature di superficie più o meno grande, molto ravvicinate, con l’interposizione di materiale isolante ( dielettrico). Il valore capacitivo del condensatore è legato alla sua configurazione geometricaed al tipo di dielettrico usato. La forma geometrica pù usata è quella del condensatore piano per cui: C= ε S/d In questo caso, a parità di materiale dielettrico adoperato, il valore capacitivo aumenta al crescere delle armature e al diminuire dello spessore del dielettrico. CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE E’ vantaggioso che i condensatori, a parità di valore capacitivo, occupino un volume più ridotto; con l’espressione “ efficienza volumetrica” si indica il rapporto tra il valore capacitivo ed il volume occupato. Tenendo conto delle proprietà tecnologiche del dielettrico utilizzato per migliorare l’efficienza volumetrica si possono usare tecniche costruttive diverse: •Si realizza una struttura cilindrica avvolgendo più striscie di materiale isolante poste fra due nastri di materiale conduttore come schematizzato in ifgura . In questo modo utilizzando striscie molto lunghe , si ottengono valori capacitivi elevati; TECNICHE COSTRUTTIVE •Si costruiscono strutture particolari alternando n+1 armature di superficie S separate da n dielettrici chiamate strutture multi layer •Collegando insieme tutte le armature di posto pari e facendo altrettanto con quelle di posto dispari. Si ottiene un sistema equivalente ad n condensatori posti in parallelo che avranno un valore capacitivo complesso paro a C=n εS/d. PARAMETRI CARATTERISTICI DEL CONDENSATORE I principali parametri elettrici sono: • La capacità • La tolleranza di fabbricazione • La tensione nominale • La resistenza di isolamento • Il coefficiente di temperatura • Le perdite in continua espresse mediante la resistenza di isolamento (o la corrente di fuga) • Le perdite in alternata espresse dal fattore di perdita LA CAPACITA’ DEL CONDENSATORE Il valore capacitivo nominale è determinato in sede di fabbricazione del componente ed impresso dal costruttore sul contenitore con un codice opportuno, che può essere un codice a colori. LA CAPACITA’ DEL CONDENSATORE Oppure da un codice numerico, dove è stampigliata la tensione nominale ed il valore di capacità inteso in pF e nel valore di riferimento l’ultima cifra indica il numero degli zeri; alle cifre può seguire una lettera: J,K,M, che indica la tolleranza e rispettivamente sarà ± 5%,± 10%, ±20%. Se il numero è preceduto da un puntino allora il valore capacitivo è da intendersi in µF e di seguito c’è l’indicazione della tolleranza e della tensione nominale. Se il numero è accompagnato da una “n” allora il valore capacitivo è espresso in nF. Nell’esempio di fig. il primo condensatore ha una capacità di 4700pF ed una tensione nominale di 63V, il secondo una capacità di 4,7 nF, una tolleranza del 5% ed una tensione nominale di 63V e il terzo condensatore una capacità di 0,001 µF, una tolleranza del 10% ed una tensione nominale di 630V. PARAMETRI CARATTERISTICI DI UN CONDESATORE La tolleranza di fabbricazione esprime la deviazione massima del valore capacitvo dal valore nominale ed è espressa in percentuale dello stesso. La tensione nominale è il valore massimo che può essere applicata al condensatore per una durata prestabilita, all atemperatura ambiente, senza provocarne il danneggiamento. Se viene applicata iuna tensione superiore al doppio di quella nominale, si provoca sicuramente la perforazione del dielettrico e quindi la messa in corto circuito del condensatore o in circuito aperto se il dielettrico si è bruciato. Il coefficiente di temperatura Il valore capcitivo varia con la temperatura sia per le alterazioni delle proprietà del dielettrico che per i cambiamenti della struttura geometrica del componente. In generale la dipendenza del valore capacitivo dalla temperatura non è lineare pertanto il costruttore ne fornisce il grafico. PARAMETRI CARATTERISTICI DI UN CONDESATORE Per alcuni tipi di condensatori questo andamento è lineare secondo la seguente legge: C=Co (1+ α∆T) Dove C è il valore capacitivo alla temperatura T Co è il valore capacitivo a =°C ∆T è il salto di temperatura da 0°C alla temperatura T: ∆T= T°- 0°; α è il coeff. Di temperatura che rappresenta la variazione del valore capacitivo per un aumento di temperatura di 1 grado; misurato in °C -1. Il coeff. Di temperatura α viene così calcolato: α=∆C/Co∆T Il coefficiente di temperatura, oltre che essere riferito a 0°C, può essere riferito a 25°C; in tal caso il costruttore lo indica con : TC PARAMETRI CARATTERISTICI DI UN CONDESATORE Resistenza di isolamento Si definisce resistenza di isolamento la resistenza del dielettrico. Esiste pertanto durante il funzionamento una dissipazione di potenza nel dielettrico dovuta a conduzione ionica o anche al moto di elettroni liberi che possono essere presenti in misura non trascurabile. Pertanto un condesatore caricato con una tensione continua, se viene tolta l’alimentazione, tende a scaricarsi nel tempo attraverso tale resistenza di isolamento che vale generalmente alcune migliaia di MΩ. Il costruttore fornisce come resistenza di isolamento, la resistenza tra i terminali del componente, misurata in continua, per diversi valori di tensione di lavoro. CLASSIFICAZIONE DEI CONDENSATORI • I condensatori vengono definiti in generale sia dalla loro capacità che dal materiale che forma il dielettrico , oppure dalla tecnologia di fabbricazione. • I materiali più utilizzati come dielettrico sono: il film plastico metallizzato(poliestere, polistirolo ecc), la carta , la carta e l’olio, la ceramica, il vetro, la mica e i depositati elettrolitici di varia natura. • Per tipologia, essi possono essere così suddivisi: CONDENSATORI A FILM PLASTICO Il dielettrico è costituito da un sottile strato di materiale isolante (film), le armature sono realizzate con un foglio di materiale conduttore oppure con un sottile strato metallico fatto depositare direttamente sul film. Questi condensatori sono di tipo avvolto, con opportune tecniche di avvolgimento si possono ottrenere anche condensatori di forma rettangolare.I materiali utilizzati come dielettrico sono resine termoplastiche. Questi materiali hanno una costante dielettrica relativa εr piuttosto bassa , ma poiché si possono ottenere film sottili è possibile raggiunger comunque discreti rapporti capacità/volume. Questi condensatori presentano basse perdite e discreta stabilità del . valore capacitivo al variare della frequenza e della temperatura CONDENSATORI CERAMICI Il dielettrico è costituito da materiali ceramici aventi elevata costante dielettrica. I condensatori ceramici si dividono in tre classi in base al dielettrico utilizzato: Condensatori a disco Condensatori multistrato Classe I In questi condensatori i materiali ceramici utilizzati come dielettrico hanno una costante dielettrica relativa εr che va da 60 a 250. Il valore capacitivo hja una dipendenza quasi lineare dalla temperatura, risulta stabile al variare della frequenza e nel tempo. Questi condensatori presentano basse perdite anche in alta frequenza. Si ottengono valori da pochi pF a 10 nF e sono utilizzati per la loro precisione e stabilità in circuiti risonanti e filtri ad alta frequenza. CONDENSATORI CERAMICI • Classe II • Ad alta costante dielettrica relativa che è compresa tra 250 e 10000. I valori sono più elevati della classe I e si arriva sino al µF. Poco stabili e di basso prezzo. • Altri tipi di condensatori • A carta : • in cui come dielettrico usano un nastro di carta struttura simile ai condensatori plastici. impregnata con oli e presentano una • A mica: • Con elevata tensione di rottura e ottima risposta ad alta frequenza VHF e UHF. CONDENSATORI ELETTROLITICI I condensatori possono accumulare cariche positive e negative indifferentemente su ciascuna armatura. In quelli elettrolitici devono accumulare le cariche positive e negative su armature predeterminate. L’armatura che deve essere collegata al potenziale più alto viene indicata col segno + (anodo) e l’altra col segno – (catodo) e non devono essere scambiati tra loro. Presentano valori di capacità molto alti, dal µF al F. A stretto contatto dell’anodo viene formato un sottilissimo strato di ossido isolante, che funge da dielettrico, e fra questo e l’altra armatura viene posto l’elettrolita in cui durante il normale funzionamento si ha una debole corrente di fuga costituita da ioni di segno opposto. Perché può scoppiare? Gli ioni negativi vengono attratti dall’anodo e quelli positivi dal catodo. Gli ioni negati , essendo di natura ossidante, provvedono a rigenerare lo strato di ossido là dove si è deteriorato mentre quelli positivi danno origine a piccole quantità di idrogeno. Se la polarità delle tensione viene invertita si distruggerebbe lo strato di ossido e la produzione di gas provocherebbe l’esplosione dell’involucro del condensatore. CONDENSATORI ELETTROLITICI L’elettolita può essere di tipo: •Solido: viene usato il biossido di manganese •Non solido: ( pasta gelatinosa con la quale vengono impregnati nastri di carta, avvolti con fogli metallici che costituiscono le armature). Esistono comunque in commericio condensatori elettrolitici non polarizzati che possono essere usati in regime alternato in cui lo strato di ossido è presente su Entrambe le armature e il suo spessore cresce o diminuisce aseconda della polarità applicata ai terminali. CONDENSATORI ELETTROLITICI Condensatori in alluminio In essi le armature sono costituite da due fogli di alluminio e sull’anodo viene formato lo strato di ossido di alluminio isolante. La costante dielettrica non bassa consente di ottenere valori di capacità per unità di volume molto elevati. I condensatori in alluminio ad elettrolita non solido sono di forma cilindrica. CONDENSATORI ELETTROLITICI Condensatori al tantalio • In essi le armature sono costituite da tantalio che presenta quello d’alluminio. un ossido ancora migliore di • Sono generalmente ad elettrolita solido ed hanno la classica forma a goccia. Sono affidabili, sicuri ed hanno una vita lunga ma presentano tensioni di lavoro inferiori a quelli di alluminio. La capacità per unità di volume può raggiungere valori elevatissimi. CONDENSATORI VARIABILI I compensatori o trimmer capacitivi sono sempre condensatori variabili ma di dimensioni più piccole e vengono usati per operazioni di taratura, apportando piccole variazioni ai valori dei condensatori fissi, soprattutto nei circuiti di sintonia. CONDENSATORI VARIABILI Con essi è possibile ottenere valori di capacità variabili fra un minimo ed un massimo modificando la posizione reciproca delle armature e di conseguenza l’area delle superfici affacciate. La posizione dell’armatura mobile ( rotore ) può essere variata risèpetto all’armatura fissa (statore) mediante la rotazione di un alberino. Quando le due armature vengono a sovrapporsi completamente, la capacità assume il suo valore massimo viceversasia fra il valore minimo, Il dielettrico è generalmente l’aria, ma può essere la mica o materiale ceramico o plastico. LABORATORIO: TECNOLOGIE COSTRUTTIVE Esistono molti tipi di condensatori, in relazione al tipo di dielettrico. POLARIZZATI: condensatori in cui il dielettrico è polarizzato, per cui in fase di montaggio occorre rispettare le polarità dei terminali. NON POLARIZZATI: condensatori in cui il dielettrico non è polarizzato, per cui in fase di montaggio non ci sono vincoli di polarità sui terminali. NB: In un circuito in c. a. si devono usare condensatori non polarizzati. CONDENSATORE POLARIZZATO ELETTROLITICI Capacità tra 0.1 uF e qualche decina di mF BACK UP Alta capacità: tra 0.1 – 10 F. Utilizzati come batteria tampone in caso di black-out. Tensioni di lavoro 6 V. CONDENSATORE NON POLARIZZATO POLIESTERE: • capacità al massimo di qualche μF • adatti per basse frequenze (max ca. 1 MHz) CERAMICI: • capacità compresa tra ca. 1 pF e 100 nF • piccoli, economici, ideali in alta frequenza (centinaia di MHz) Codici per condensatori ceramici Il valore della capacità si trova scritto sul corpo del componente attraverso tre cifre: • le prime due indicano la capacità in pF • la terza indica il numero di zeri da aggiungere 10 0000 pF = 100 nF ACCUMULO DI CARICA SULLE ARMATURE Se un condensatore viene sottoposto a una tensione V applicata sulle sue armature, esso accumula su ciascuna armatura una quantità di carica data da: Q=CxV dove Q è la quantità di carica (misurata in Coulomb, C), C è la capacità del condensatore e V è la tensione applicata. Il condensatore si carica perche gli elettroni si accumulano sull’armatura collegata col polo negativo della batteria, mentre sull'armatura collegata col polo positivo rimangono protoni (nuclei atomici carichi positivamente) che hanno perduto i propri elettroni. Ne consegue che entrambe le armature accumulano una carica uguale ma di segno opposto Se il condensatore carico viene staccato dalla batteria, esso mantiene (per un certo tempo) la carica accumulata e la tensione ai suoi capi. CONDENSATORE CON TENSIONE CONTINUA E VARIABILE NEL TEMPO In un circuito formato solo da un generatore di tensione costante (es. una batteria) e un condensatore, non passa nessuna corrente. O meglio: passa corrente al momento del collegamento della batteria col condensatore (o della chiusura del tasto) che si esaurisce in un tempo molto breve Le cose cambiano se si applica un segnale variabile nel tempo che genera un passaggio di corrente dovuto al trasferimento di carica fra le armature del condensatore ma che non attraversa il dielettrico essendo un isolante La corrente non passa fra le armature ma attraverso il circuito che connette fra di loro le armature stesse. Quando la tensione Vc aumenta gli elettroni passano dalla armatura positiva a quella negativa: ciò significa che nel circuito scorre una corrente dall’armatura negativa a quella positiva . Se invece la tensione Vc diminuisce, la corrente scorre dall’armatura positiva a quella negativa. BOBINE Per bobina si intende colloquialmente un nucleo solido su cui può essere avvolto del materiale filiforme o nastriforme, come fibre tessili, pellicole, conduttori elettrici o altro. In fisica ed elettrotecnica genericamente, la bobina è un insieme di spire, il cui numero può variare da una frazione di spira a molte migliaia, realizzate con materiale conduttore. I campi di applicazione sono i più vari, dall'elettronica ed elettrotecnica alla meccanica, ed anche in medicina (risonanza magnetica). Il suo parametro elettrico principale è definito induttanza. In elettronica ad esempio, può essere impiegata per trasformare la corrente alternata in onde radio In elettrotecnica prende il nome di matassa o induttore, avvolgendola attorno ad un nucleo ferroso otteniamo un'elettrocalamita, oppure, variando il numero e la sezione delle spire (o avvolgimenti), abbiamo il trasformatore, un dispositivo capace di trasformare i valori di tensione/corrente ad esso applicati. In meccanica prende il nome di bobina d'accensione, nell'impianto elettrico di un qualsiasi motore ad accensione comandata, la bobina serve ad elevare il valore di tensione utilizzato dalla parte dell'impianto precedente (a seconda del sistema da 6V a 400V), trasformandola nel valore adeguato a far scoccare la scintilla tra gli elettrodi delle candele (ordine di 20.000 volt), essendo il valore di corrente estremamente basso, l'eventuale scarica tra le dita di una persona, risulta innocua. Una bobina tradizionale ha una frequenza di risonanza definita dalla sua geometria e caratteristiche elettriche, e un'impedenza diversa da zero, per cui, se attraversata da una corrente elettrica, la bobina genera calore. Gli INDUTTORI “bobine” sono costruiti in decine di modi diversi, ed e' per questo motivo che c'è una certa difficoltà a riconoscerle per applicarle ai circuiti. Si deve fare attenzione perchè le induttanze non sono sempre ESPLICITAMENTE riconoscibili... e a volte si presentano sotto forma di comunissime.. RESISTENZE!! Di solito le induttanze "sospette" si riconoscono perche' sono piu' ABBOMBATE agli estremi rispetto alle resistenze e poi il colore di BASE e' quasi sempre verdino o celeste. Conoscendo il codice dei colori delle resistenze (es. marrone,rosso marrone), misurare col tester (scala in ohm) il valore del componente da controllare, se è una resistenza, con un tester, misurerai circa 120 Ohm, se invece è un induttore, con un tester, vedrai un cortocircuito (o quasi) e sarà L = 220uH (microHenry). Per la misura del suo valore dovresti usare un induttanzimentro. Ricordando che: se è una induttanza e si applica una tensione costante, l'induttore si comporta come un corto (si misurera' la sola resistenza del filo che la compone). CALCOLI E NOTE SULLE INDUTTANZE Come avviene per il condensatore, che rimane caratterizzato da un certo valore capacitivo, così accade per la bobina e, più in generale, per tutti gli avvolgimenti elettrici, che vantano una propria induttanza. E questa è tanto più grande quanto maggiore è il numero di spire che compongono la bobina. Inoltre essa aumenta coll'aumentare del diametro dell'avvolgimento, col diminuire della sezione del filo e con l'aumentare della permeabilità del nucleo, se questo esiste. Ma dipende pure dal rapporto tra diametro e lunghezza dell'avvolgimento, dal tipo di avvolgimento, da quello del conduttore, che può essere monofilare o multifilare e dalla spaziatura tra spira e spira. Anche l'induttanza, come ogni altra grandezza elettrica, vien definita tramite un'unità di misura, I'henry (abbrev. H) e i sottomultipli di questo. H = henry mH = millihenry (millesimo di H) uH = microhenry (milionesimo di H) L'induttanza ha per simbolo la lettera L, come si può osservare in figura 1, nella quale, in alto, è riprodotto il segno grafico di una bobina munita di nucleo, in basso quello di una bobina avvolta in aria. Fig. 1 - Simboli e sigle normalmente impiegati per segnalare le induttanze. riportata più in alto si riferisce ad una bobina munita di nucleo quella disegnata in basso indica una bobina avvolta in aria. Quella ferromagnetico, Negli apparecchi radio si possono trovare bobine, avvolte su nuclei di ferrite. con valore di induttanza elevato, per esempio di 10 H; ma se ne trovano altre, più piccole, montate nei circuiti di alta frequenza, il cui valore oscilla fra il centinaio di microhenry (uH), quando si tratta di bobine per onde medie, e di uno o due microhenrv ( uH), quando le bobine sono adibite alla ricezione delle onde corte: mentre quelle per le onde cortissime presentano un'induttanza molto bassa, di un decimo di microhenry (uH) circa. Quando una corrente elettrica variabile, per esempio quella alternata, attraversa il filo conduttore che compone una qualsiasi bobina, questa si avvolge spontaneamente di un campo elettromagnetico variabile, ovvero di una serie di linee di forza magnetiche, concatenate con la bobina stessa, le quali autoinducono una forza elettromotrice che va sotto il nome di "tensione autoindotta". E questa tensione assume un verso contrario a quello della tensione che l'ha generata, rivelandosi come una forza di inerzia o, meglio, di particolare resistenza al passaggio della corrente elettrica variabile. Tale resistenza, che nulla ha a che vedere con quella ohmica, assume il nome di "reattanza induttiva" e si esprime, analiticamente, tramite la seguente formula: XL = 2 x π x f x L nella quale "f" misura la frequenza della corrente variabile che attraversa l'avvolgimento, mentre "L« ne misura l'induttanza. Se la frequenza "f" viene espressa in hertz (Hz) e l'induttanza in henry (H), la reattanza induttiva è misurata in ohm, come avviene nelle resistenze elettriche, anche se con queste, lo ripetiamo, la reattanza induttiva non ha nulla a che fare. Analizzando la formula già citata della reattanza induttiva, si può affermare che questa aumenta quando aumentano la frequenza della corrente che percorre l'avvolgimento e l'induttanza di esso. È ovvio che, rappresentando la reattanza induttiva un ostacolo al passaggio della corrente. questa provochi, alla stessa stregua dei condensatori, una Ma una tale caduta di tensione avviene, almeno teoricamente, senza dissipare potenza elettrica. Perché la bobina immagazzina energia elettromagnetica, quando la corrente aumenta di intensità, e la restituisce quando la corrente diminuisce o cessa di scorrere. DIODI FUNZIONAMENTO ED APPLICAZIONI IL DIODO • Definizione: componente costituito da due terminali chiamati con anodo e catodo che, nel lato di circuito in • cui è inserito, permette il transito della corrente elettrica in un solo verso «unidirezionale» A K IL DIODO PUÒ ESSERE POLARIZZATO • direttamente, se il potenziale all’anodo è maggiore di quello al catodo (Vak>0); in questo caso il diodo può condurre R A + E - K OPPURE • Inversamente se il potenziale all’anodo è minore di quello al catodo (Vak<0); in questo caso il diodo non conduce R K + E - A LA CARATTERISTICA DEL DIODO MOSTRA CHE SE È POLARIZZATO • Inversamente (Vak<0), esso non conduce • Direttamente (Vak>0), esso entra in conduzione quando Vak supera un valore di soglia (0.5 – 0,7V nei diodi al silicio) INOLTRE LA CARATTERISTICA MOSTRA CHE • Quando Vak oltrepassa la soglia, il diodo entra bruscamente in conduzione; piccoli incrementi di Vak provocano grandi incrementi di corrente NOTIAMO ANCORA CHE • Quando il diodo è in piena conduzione, la tensione ai suoi capi si stabilizza, più o meno, intorno a 0.7V LA RESISTENZA DIFFERENZIALE DEL DIODO RD • è il rapporto tra la variazione di Vak e la corrispondente variazione subita da I. Il tratto di caratteristica in cui il diodo è in piena conduzione è molto ripido; perciò, piccole variazioni di Vak provocano grandi variazioni di I e la resistenza differenziale rd è molto piccola Vak rd I LA CARATTERISTICA DEL DIODO MOSTRA ANCORA • che il componente non è lineare; infatti la caratteristica corrente tensione non è lineare • ma esponenziale; anzi la corrente I che attraversa il diodo e la tensione ai suoi capi Vak sono legati dalla relazione : Vak V T I I 0 e 1 NELL’ EQUAZIONE DELLA CARATTERISTICA DEL DIODO • Io è una corrente di piccolo valore, tipica del diodo stesso, legata alla sua struttura e alla temperatura a cui si trova il dispositivo; Io è chiamata corrente inversa perché, come vedremo, essa è la piccola corrente che attraversa il diodo, quando è polarizzato inversamente • VT è una tensione determinata dalla temperatura a cui si trova il dispositivo; • a 25oC, VT vale 25mV COME È FATTO IL DIODO? • Per realizzare i diodi si usano i semiconduttori, così chiamati perché hanno proprietà elettriche, in qualche modo, intermedie tra i conduttori e gli isolanti • I semiconduttori più usati sono il Silicio, molto diffuso sul nostro pianeta, e il Germanio I SEMICONDUTTORI POSSONO ESSERE • puri, o intrinseci; in questo caso essi hanno un eguale numero di portatori di carica positivi, chiamate lacune, e di portatori negativi, gli elettroni +-+-+-+-+-+-++-+-+-+-+-+-++-+-+-+-+-+-+- intrinseco OPPURE POSSONO ESSERE • drogati di tipo P; in questo caso la composizione chimica del semiconduttore è stata alterata in modo che le lacune (positive) siano maggioritarie rispetto agli elettroni ++-++++++-++ ++++++++++-+ ++++-+++++++ Tipo P OPPURE POSSONO ESSERE • drogati di tipo N; in questo caso la composizione chimica del semiconduttore è stata alterata in modo che gli elettroni siano maggioritari rispetto alle lacune --+------+- - - - - - - - - - +- - - - + - - - - - -+ Tipo N IL DIODO È UNA GIUNZIONE PN • Esso viene realizzato drogando una barretta di Silicio in modo che essa risulti da un lato di tipo P (con portatori maggioritari positivi) e dall’altro di tipo N (con portatori maggioritari negativi) Nella figura non sono indicati i portatori minoritari LA POLARIZZAZIONE DIRETTA • mette in moto le cariche maggioritarie, che sono molte, e perciò la corrente I diretta cresce rapidamente all’aumentare di V; ciò è vero se V supera una barriera di potenziale, di circa 0.5V, che è all’interno della giunzione LA POLARIZZAZIONE INVERSA • mette in moto le cariche minoritarie, che sono poche; la corrente Io che scorre in un diodo polarizzato inversamente è, perciò, molto piccola e quasi sempre viene trascurata; essa cresce all’aumentare della temperatura. LIMITI DI FUNZIONAMENTO • La corrente che attraversa un diodo polarizzato direttamente non deve superare un certo valore, tipico del dispositivo; altrimenti la potenza che esso dissipa (Pd=IVak) diventa eccessiva ed esso si brucia per effetto Joule PER LIMITARE LA CORRENTE CHE ATTRAVERSA IL DIODO • si inserisce, in serie ad esso, una resistenza R che determina una corrente: E Vak I Imax R R + 10V E - 1N4001 LA POLARIZZAZIONE INVERSA NON DEVE • superare un certo valore tipico del diodo (la tensione di breakdown); oltrepassata questa tensione, il numero di cariche minoritarie cresce bruscamente e, con esse, la corrente inversa; questo fenomeno, nei diodi normali, è distruttivo IL PUNTO DI RIPOSO DEL DIODO • Può essere determinato analiticamente, I E Vak E 0.7V R R 0PPURE PUÒ ESSERE DETERMINATO GRAFICAMENTE • Basta risolvere, per via grafica, il sistema E R I Vak Vak VT 1 I Io e I + R A E - K OSSERVIAMO CHE • la seconda equazione è quella caratteristica del diodo • la prima non è altro che il 2o principio di Kirchoff applicato alla maglia contenente il diodo; essa può essere riscritta nel modo seguente: E Vak I R NOTIAMO ANCORA CHE • Il luogo dei punti del piano I/Vak che soddisfano la seconda equazione è la caratteristica del diodo Vak VT I Io e 1 MENTRE IL LUOGO DEI PUNTI • del piano I/Vak l’equazione I E Vak R è una retta è chiamata con retta di carico; il suo coefficiente angolare (o pendenza) è: 1 m R LA RETTA DI CARICO INTERSECA • l’asse I nel punto A; questo punto ha Vak=0 e perciò in questo punto I=E/R • l’asse Vak nel punto B; questo punto ha I=0; perciò, in questo punto Vak=E UNENDO A E B SI OTTIENE • La retta di carico nel piano I/Vak, dove troviamo anche la caratteristica del diodo IL PUNTO DI RIPOSO Q DEL DIODO DEVE STARE • ovviamente sulla caratteristica del dispositivo • e anche sulla retta di carico, perché il diodo è inserito in una maglia e il 20K deve essere soddisfatto Il punto di riposo è perciò l’intersezione tra la caratteristica e la retta di carico LABORATORIO: controllo Led Caratteristica del diodo Diodo LED Nel caso in cui un diodo LED sia già stato utilizzato, abbia cioè i terminali accorciati, così che non sia più possibile individuare quello più lungo, è possibile ugualmente individuare il catodo osservando l’involucro colorato. Alla base è presente una corona circolare sporgente che, in corrispondenza di un terminale, presenta un taglio CLASSIFICAZIONI E SCELTA DEI TRANSISTOR La grande varietà dei campi applicativi , la continua evoluzione tecnologica e la concorenza commerciale hanno portato ad un numero impressionante di tipi di diodi e di transistor , ciascuno con sue specifiche caratteristiche riportate sui Data Sheet. Ogni tipo è contraddistinto da una sigla alfanumerica o codice di contenitore. Gli standard più seguiti sono: • • • EIA JEDEC l'europeo PRO ELECTRON il giapponese JIS l'americano identificazione , stampata sul LO STANDARD EIA JEDEC L' Electronic Industries Association con l'apposito comitato Joint Electron Device Engineering Council, ha stabilito le seguenti sigle: 1N seguito da 24 cifre contraddistingue un diodo (es: 1N4004) 2N seguito da 24 cifre contraddistingue un transistor (es. 2N1711) Il numero che precede la lettera N indica le giunzioni Le cifre dopo la lettera N identificano il componente. Una lettera (A o B) può seguire il numero ad indicare un componente rispetto al tipo base. (es. 2N2222A) miglioramento delle prestazioni del LO STANDARD PRO ELECTRON Nel codice europeo la sigla comincia con due o tre lettere e termina con un numero. Es BD135. La prima lettera indica il tipo di semiconduttore adoperato : La seconda lettera indica IL tipo di applicazione a cui il componente è destinato LO STANDARD PRO ELECTRON LO STANDARD PRO ELECTRON Possiamo avere anche una terza lettera (X,Y,Z..) contraddistingue i dispositivi di tipo professionale che La parte numerica indica il numero di serie A due cifre (tra 10 e 99) per applicazioni professionali o industriali A tre cifre (tra 100 e 999) per applicazioni commerciali LO STANDARD PRO ELECTRON Esempi BD 135 = transistor al silicio di potenza per basse frequenza della serie commerciale 135 BC107 = transistor di bassa frequenza per usi generici BD439 = transistor di potenza al silicio per basse frequenze; BUX85 = transistor al silicio di potenza per commutazioni veloci e alte tensioni. Oltre alla sigla può seguire un suffisso aggiuntivo preceduto da un trattino che fornisce altre informazioni specifiche sul componente Es. BZY96-C7V5 = diodo al silicio (B) zener (Z) per applicazioni professionali (Y96) con tensione zener di 7,5V (7V5). La lettera V indica la virgola decimale. LO STANDARD PRO ELECTRON BZX85-C3V3 = dido zener della serie professionale X85 con tensione zener di 3,3V. La lettera C indica la tolleranza della tensione zener di riferimento del 5% secondo la seguente tabella: A = 1% B = 2% C = 5% D = 10% E = 20% BY205-400 = diodo raddrizzatore con massima tensione inversa VRRM=400V. LO STANDARD STANDARDJIS Le sigle dei transistor iniziano sempre con 2S seguito dalle lettere A o B o C o D e da una parte numerica. Le lettere hanno il seguente significato A = transistor pnp per alta frequenza B= transistor pnp per bassa frequenza C= transistor npn per alta frequenza D= transistor npn per bassa frequenza. Per alcuni componenti le case costruttrici utilizzano codici interni che non corrispondono ad alcuna normalizzazione. Esempi: TIPxxxx= Texas Instruments MJxxxx,MJExxx= Motorola RCAxxx= RCA Nella sezione Cross Reference dei manuali possiamo trovare gli eventuali componenti equivalenti a un dato transistor o diodo o integrato LO STANDARD STANDARDJIS Per scegliere un transistor occorre considerare : •Il tipo di funzione che deve svolgere (amplificatore o interruttore); •La frequenza di lavoro (se deve lavorare per alte o basse frequenza •La tensione, la corrente , la potenza ( transistor per piccoli segnali o transistor di potenza a bassa o alta tensione). Vanno inoltre ricordati i transistor con caratteristiche medie per uso generale (general purpose) Nei data sheet troviamo i dati di un componente raggruppati in riferimento a: generalità sul componente (tecnologia usata, tipo di componente, applicazioni) valori massimi delle grandezze elettriche e termiche sopportabili dal dispositivo (Absolute maximum ratings ) Resistenza termica per vedere se è necessario ricorrere a dissipatori di calore comportamento elettrico in corrente continua (DC characteristics) comportamento in corrente alternata o impulsiva (AC characteristics) grafici di consultazione. TRANSISTORI BIPOLARI NPN PNP TRANSISTORI BIPOLARI Ic hFE = guadagno di corrente in continua IB •I BJT usati come amplificatori lavorano nella zona attiva dove per Ib costante , la Ic cresce, in maniera lieve, con la tensione VCE. In questo caso Vbe=0,60,7 V •I transistori usati in commutazione (Switching transistors) implicano nel funzionamento il passaggio dalla zona di saturazione a quella di interdizione e viceversa. TRANSISTORI BIPOLARI • In saturazione Ic raggiunge il suo valore massimo consentito dal carico e all'aumentare di Ib. cessa di crescere • In questa situazione • Vbe=0,7- 0,8V Vce=0,2V e il transistore si comporta come un interruttore chiuso (ON) • In interdizione invece si comporterà come un interruttore aperto( nel ramo collettore-emettitore) OFF, anche se in realtà esiste sempre una corrente di fuga, che in alcuni casi non può essere considerata trascurabile. Parametri: VCEO=Massima tensione di rottura collettore-emettitore lavorare il BJT con Ic precisata e base aperta (Ib=0) ovvero la massima tensione alla quale può VCBO=Massima tensione di rottura collettore-base con una Ic precisata e l'emettitore aperto (Ie=0) VEBO=Massima tensione di rottura base-emettitore con una Ic precisata e collettore aperto (Ic=0) Ic= massima corrente di collettore ammessa TRANSISTORI BIPOLARI Pd max= Massima potenza dissipabile alla temperatura ambiente 25°C Tj = Massima temperatura che può sopportare il chip senza subire danneggiamenti Rth =resistenza termica Hfe = guadagno di corrente in continua. (valore minimo e massimo per Ic diverse) Vce (sat), Vbe (sat) = tensioni alla saturazione Parametri ibridi = hie,hre,hfe,hoe NF = figura di rumore che fornisce una indicazione della capacità di amplificare segnali molto deboli. Capacità di uscita e di ingresso nella configurazione a base comune. Tempo di ritardo e di salita , la cui somma dà il tempo di commutazione in conduzione Tempo di immagazzinamento e di discesa la cui somma dà il tempo di commutazione all'interdizione. IL TRANSISTOR BJT Il transistor inventato nel 1947, dai ricercatori Bardeen e Brattain, è il componente simbolo dell’elettronica. Ideato in un primo momento, come sostituto delle valvole a vuoto per amplificare segnali elettronici, è rapidamente diventato parte essenziale di qualsiasi progetto elettronico. Qualsiasi circuito integrato è composto da un certo numero di transistori opportunamente collegati ed integrati su una piastrina di silicio, accompagnati di solito da altri componenti come diodi, resistori,condensatori, eccetera. Transistor : fusione dei due termini inglesi Transfer + Resistor (cioè componente a resistenza variabile). Bipolar: definisce quei transistor in cui la conduzione elettrica avviene tramite due portatori di carica (elettroni e lacune) a differenza dei transistori unipolari o ad effetto di campo in cui la conduzione avviene tramite solo elettroni o solo lacune. . BJT: Bipolar Junction Transistor. JFET: Junction Field Effect Transistor MOSFET: Metal Oxide Semiconductor Field Effect Transistor FUNZIONAMENTO DI UN BJT La formazione di un transistor bipolare può essere rappresentata mediante la compenetrazione di due giunzioni P-N. La giunzione P-N: a. se polarizzata direttamente, si comporta come una resistenza di basso valore permettendo il passaggio di una corrente elettrica (vedi diodo); b. se polarizzata inversamente, si comporta come un isolante, permettendo esclusivamente il passaggio di una piccola corrente di perdita. La giunzione P-N è caratterizzata, pertanto, da una tensione e da una corrente vale a dire da una potenza V*I che dipende dalla polarizzazione applicata Se troviamo un modo per far passare la corrente da questa prima giunzione alla zona N della seconda, alla quale è applicata una tensione maggiore, la potenza disponibile all’uscita sarà molto più grande di quella applicata all’ingresso, pur riproducendo esattamente le variazioni del segnale. In altre parole : mediante piccole variazioni della tensione applicata alla giunzione centrale, possiamo controllare una corrente relativamente forte che attraversa la seconda giunzione, alla quale è applicata una tensione maggiore. L’effetto è quello di abbassare la resistenza della seconda giunzione, inizialmente molto elevata perché la giunzione è polarizzata inversamente. FUNZIONAMENTO DI UN BJT Vi sono transistor NPN e PNP ; i 3 terminali prendono il nome di emettitore, base e collettore Considerando un NPN : • In condizionidi equilibrio,in ognuna delle zone di contatto, si formano le cosiddette zone di carica spaziale (dovute al fenomeno della ricombinazione). • Se consideriamo le due giunzioni polarizzate: • la prima (base- emettitore) direttamente, sarà in grado di condurre corrente elettrica; • la seconda (base collettore) inversamente (positivo al collettore), non permetterà il passaggio di corrente. • Polarizzando l’insieme dei tre blocchi (+ al collettore e – all’emettitore), gli elettroni liberi dell’emettitori vengono respinti dal polo negativo verso il collettore, mentre quelli del collettore vengono attratti dal polo positivo provocando uno spostamento di cariche negative dall’emettitore al collettore. Se poi polarizziamo direttamente la giunzione base–emettitore, mantenendo costante la tensione di collettore, il passaggio di corrente attraverso la prima barriera verrà più o meno facilitato. Solo una parte minima degli elettroni si riesce a combinarsi con le lacune presenti in base, a causa del basso drogaggio della base stessa, dando luogo alla corrente Ib. FUNZIONAMENTO DI UN BJT Gli elettroni che non si ricombinano, vengono attratti dal potenziale positivo del collettore ,malgrado la forte opposizione esercitata dalla giunzione base-collettore polarizzata inversamente, ed attraversandola danno luogo alla corrente Ic. La piccola frazione che si presenta al terminale della base e' in grado di comandare o modulare la corrente principale che sarà sempre un multiplo di quella di (da 10 a 200). L'azione amplificatrice dei transistor ' dovuta variazione nella corrente di base e genera una al grande fatto che una piccola variazione nella corrente di collettore. Il fattore di amplificazione hfe può essere ottimizzato riducendo il più Il possibile lo spessore della base , in modo che quando l’elettrone supera la barriera base-emettitore possa venire attratto più facilmente dal collettore di maggiori dimensioni e quindi più ricco di cariche positive. In fase di produzione si fa in modo che la superficie di contatto tra base e collettore risulti maggiore di quella tra base ed emettitore in quanto la potenza dissipata dalla giunzione b-e è parecchio inferiore a quella dissipata dalla giunzione base collettore. FUNZIONAMENTO DI UN BJT La tensione Vbe è dell’ordine di alcuni decimi di Volt, mentre quella Vce è dell’ordine di qualche decina di Volt. In un PNP sono le lacune i portatori di carica maggioritaria che attraversando la giunzione emettitore-base sono attratte in gran maggioranza dalla maggiore alimentazione negativa del collettore e solo una piccola parte vanno nella base negativa. FUNZIONAMENTO DI UN BJT 1. Funzionamento normale o in zona attiva: giunzione base-emettitorpolarizzata direttamente; giunzione base collettore polarizzata inversamente; E’ caratterizzata da proprietà lineari e il transistor funziona da amplificatore. Il collettore si comporta da generatore di corrente comandato dalla Ib, nel senso che una piccola variazione della Ib genera una grande variazione nella Ic. E’ necessario che sia Vce>Vbe 2. Funzionamento inverso o in zona attiva inversa: giunzione base-emettitore polarizzata inversamente; giunzione base collettore polarizzata direttamente; Il transistore non viene mai utilizzato in questo modo, non ha alcuna utilità pratica 3. Funzionamento in zona di saturazione: giunzione base-emettitore polarizzata direttamente; giunzione base collettore polarizzata direttamente; La Ib perde il controllo sulla Ie ed è la Vce che controlla la corrente di collettore Ic. (La Vce è bassa (0,2V) e il collettoree l’emettitore equivagono ad un interruttore chiuso). Per imporre le condizioni di saturazione si usa la relazione: Ib> Icmax/ hfemin FUNZIONAMENTO DI UN BJT Possiamo distinguere 4 modi di funzionamento a seconda delle polarizzazioni applicate alle giunzioni: 4. Funzionamento in zona di interdizione: giunzione base-emettitore polarizzata inversamente; giunzione base collettore polarizzata inversamente; Se la Vbe non supera la tensione di soglia, la Ic viene annullata e il BJT si comporta come un interruttore aperto. Per avere l’interdizione del BJT si impone Vbe<0 Il transistor viene fatto funzionare in interdizione e in saturazione quando viene utilizzato come commutatore nelle elaborazioni dei segnali digitali (vedi Transistor Switching. Nel transistor in zona attiva si ha Ic=αIE +Icb0 Con Icb0 corrente inversa di saturazione della giunzione base-collettore che, se trascurata, si avrà: da cui (Con β= guadagno di corrente statico (convalori compresi tra 40 e 400) FUNZIONAMENTO DI UN BJT Spesso al posto di β si usa hfe. COMPORTAMENTO DEL BJT Sul comportamento del transistor influiscono tutti i componenti esterni ad esso collegati i quali lo forzano a lavorare in determinate condizioni e che, soprattutto ne stabiliscono il “punto di lavoro” dal quale dipende appunto il modo di funzionamento del componente. Per analizzare il funzionamento del transistor in continua ed in alternata, è necessario applicare una serie di tensioni continue tra i suoi terminali, cioè, è necessario polarizzarlo adeguatamente in zona attiva. Si passa, pertanto, allo studio del suo comportamento in continua: Considerando un NPN occorrerà fornire: • Una prima tensione tra base e massa (che coincide in questo caso con l’emettitore): Vbe • Una seconda tensione tra collettore ed emettitore: Vce . Tra la prima alimentazione Vbe e la base del transistor inseriamo un resistore per limitare la corrente Ib e proteggere la giunzione baseemettitore. Lo stesso discorso vale per il collettore. COMPORTAMENTO DEL BJT Fornendo alimentazione, pertanto, nascono, attorno al transistor,delle tensioni e delle correnti, che sono quelle che utilizzeremo per studiarne il comportamento: Vbe, Vce, Vcb, Ib, Ic, Ie. Tra tutte le relazioni possibili con queste variabili ci interessa soprattutto quella che stabilisce la variazione della Ic in funzione della Vce, mantenendo costante la Ib (caratteristica d’uscita). Per determinati valori di Ib, si possono tracciare curve di risposta parallele, il che rivela che l’amplificazione in corrente si mantiene pressoché lineare. Il gomito delle varie curve, le ricongiunge tutte nel punto di origine, e corrisponde alla zona di saturazione, vale a dire quando il collettore si trova in condizioni di ricevere tutti (o quasi) gli elettroni inviati dall’emettitore. In questa zona si ha Vce= 0,2V. Ricordiamo che hfe=Ic/Ib COMPORTAMENTO DEL BJT Il transistor come qualsiasi altro componente al quale si applica una tensione e attraverso il quale passa una certa corrente, consuma o meglio dissipa una certa potenza, data da Vce*Ic. La corrente che circola nel transistor è anche funzione della resistenza di collettore Rc. In figura notiamo la retta di carico in funzione di una Rc e ricavata per una determinata tensione di alimentazione (9V), che risulta tangente alla curva di potenza massima. E poiché quest’ ultima curva ci delimita la zona di lavoro del transistor, quella sottostante se vogliamo evitare la sua distruzione, la retta di carico mi fornisce la resistenza minima di collettore che possiamo montare per non portare il transistore a lavorare nella zona di sovraccarico. Volendo impiegare il transistor come amplificatore di segnale, la zona di saturazione non viene presa in considerazione perché introduce distorsioni. Risulta indispensabile se viene usato come circuito di commutazione. COMPORTAMENTO DEL BJT Uno degli inconvenienti che si presentano quando si lavora con i transistor è dato dal fatto che Il transistor risulta sensibile alle variazioni di temperatura le quali possono spostare il punto di lavoro portando il transistor a lavorare in zone proibite e spesso alla su distruzione. Per evitare questo sono stati studiati vari circuiti di compensazione a base di termistori (resistori il cui valore varia in funzione della temperatura), diodi ed altri componenti. Quando il transistor è chiamato adoperare con segnali alternati, dobbiamo tenere conto che la zona di funzionamento non è più un unico punto di lavoro, in quanto questo si sposta attorno al punto di riposo in base al segnale applicato esternamente. Pertanto , nel progettare il circuito , dovremo fare in modo che il transistor si trovi a funzionare all’interno della sua zona sicura anche nelle condizioni più sfavorevoli ed in presenza della tensione istantanea più critica. Se ciò avverrà , il segnale di uscita risulterà la copia ingrandita di quello sarà affetto da un certo tasso di distorsione. applicato all’ingresso, viceversa A seconda di come vengono collegati i suoi terminali rispetto a quelli di ingresso e di uscita del circuito stesso, il transistor viene usato in 3 tipi di configurazioni: CONFIGURAZIONI DEL BJT La configurazione ad emettitore comune prevede la base come terminale di ingresso e il collettore come uscita. . La configurazione a collettore comune prevede la base come ingresso e il emettitore come uscita. La configurazione a base comune prevede l’emettitore come ingresso e il collettore come uscita Ognuna di queste configurazioni presenta particolari caratteristiche, favorevoli o sfavorevoli a seconda dell’uso a cui sono destinati e quindi utilizzeremo quella richiesta dalle necessità specifiche di progettazione. CONFIGURAZIONI DEL BJT Ogni circuito è caratterizzati dai seguenti parametri fondamentali: 1. L’impedenza d’ingresso data dal rapporto tra tensione e corrented’ingresso Zi; 2. L’impedenza d’uscita data dal rapporto tra tensione e corrente di uscita, Zu; 3. Guadagno in tensione dato dal rapporto tra tensione di uscita e tensione d’ingresso Av= Vo/Vi 4. Guadagno in corrente dato dal rapporto tra tensione di uscita e tensione d’ingresso Ai=Io/Ii 5. Guadagno in potenza I primi due sono molto importanti al momento di interfacciare i vari stadi di un circuito, in quanto il trasferimento del segnale da uno stadio all’altro risulta massimo quando la Zu dello stadio precedente è uguale alla Zi dello stadio successivo. Più la differenza tra le due impedenze aumenta, più si perde segnale nel trasferimento da uno stadio al successivo. CONFIGURAZIONI DEL BJT Il circuito ad emettitore comune è quello più utilizzato , in quanto presenta alti valori di guadagno in tensione e in corrente, e il più alto valore diguadagno in potenza. La differenza tra le impedenze d’ingresso e di uscita non è troppo elevata il che facilita l’interconnessione di più stadi in cascata, senza ricorrere a reti adattatrici di impedenze, semplificando non di poco il circuito. Un esempio sono i circuiti di amplificazione in cui ogni stadio si prende carico di amplificare solo di un certo tasso il livello del segnale di ingresso fino ad ottenerela potenza d’uscita desiderata. Configurazione ad emettitore comune. E’ quella che assicura un maggior guadagno. CONFIGURAZIONI DEL BJT Configurazíone a base comune. L'amplifícazíone non è notevole. Presenta una bassa Zi e un’alta Zu. E’ dotato di un alto guadagno in tensione mentre quelllo in corrente è inferiore all’unità, ne consegue che anche il guadagno in potenzarisulta piuttosto basso. Viene utilizzato ad alte frequenze dove le capacità parassite interne ad ogni transistor giocano un ruolo importante. L’influenza della temperaturaè minima in quanto così montato sopporta alte temperature. CONFIGURAZIONI DEL BJT Configurazíone a collettore comune. L'arnplifícazíone non è notevole. Possiede un’alta Zi e una bassa Zu, il che lo fa preferire come adattatore di impedenza, passando sotto il nome di emitter follower. Tali circuiti si trovano negli stadi finali audio onde permettere l’accoppiamento del resto dell’amplificatore all’altoparlante la cui impedenzaè notoriamente bassa. (Così facendo l’impedenza d’uscita e d’ingresso grossomodo si equivalgono). La configurazione presenta un certo guadagno in corrente mentre quello in tensione è inferiore all’unità, per cui anche il guadagno in potenza risulta essere piuttosto basso. CONFIGURAZIONI DEL BJT Circuito di compensazione in temperatura. La resistenza di emettitore, rende più stabile il funzionamento del transistor in presenza di variazioni di temperatura. Circuito di compensazione di temperatura autopolarizzato e suo circuito equivalente. CONFIGURAZIONI DEL BJT FET/MOSFET I transistor ad effetto di campo I transistor ad effetto di campo (field effect transistor) sono chiamati così perché sono comandati in tensione (invece che in corrente come i BJT). Sviluppati successivamente ai BJT erano inizialmente componenti meno veloci e affidabili; oggi sono usati moltissimo: negli integrati digitali, dove l'impiego dei MOSFET permette di ottenere soluzioni economiche ad elevata integrazione e basso consumo negli stadi di ingresso degli operazionali, dove i JFET permettono di ottenere una resistenza di ingresso molto elevata in forma discreta nell'elettronica di potenza, sia come amplificatori che come dispositivi ON-OFF, per il basso consumo Le due famiglie principali di transistor FET sono: i JFET (junction FET) a giunzione i MOSFET o MOS (metal-oxide-semiconductor FET) a metallo-ossido-semiconduttore, che possono essere di tipo enhancement e depletion Come avviene per i BJT anche i FET sono disponibili in due varianti con portatori dicarica di tipo diverso: quelli a canale N e quelli a canale P. Di seguito, per semplicità, faremo sempre riferimento ai FET a canale N. I tre terminali dei transistor ad effetto di campo sono chiamati: source, drain e gate. corrente scorre in un canale fra i terminali di source e drain e il suo flusso è tensione applicata al terminale di gate. Nei FET la controllato dalla La figura seguente mostra i simboli dei JFET, dei MOS enhancement e dei MOS depletion nelle due varianti a canale n e p1). In tutti i casi vale sempre: ID=ISID=IS I JFET I JFET sono meno usati rispetto ai MOSFET, con cui si realizzano gran parte dei dispositivi digitali, ma hanno delle caratteristiche che li rendono adatti per le applicazioni analogiche. Struttura e funzionamento La figura seguente mostra la struttura di un JFET a canale n. Il transistor è composto da: una barra di semiconduttore di tipo n ai cui estremi sono posti gli elettrodi di source e drain due zone di tipo p collegate al gate Fra gate è source è dunque presente una giunzione pn che, nel normale funzionamento del JFET, deve essere polarizzata inversamente (VGS ≤ 0). Per comprendere il funzionamento del JFET supponiamo inizialmente che VGS sia zero. Se applichiamo una tensione VDS tra drain e source circolerà una corrente ID nel canale. Aumentando la VDS la corrente ID aumenta e il comportamento del JFET è resistivo. Tuttavia si verifica un altro fenomeno: nel canale si forma una zona di svuotamento (grigia in figura) dovuta alla polarizzazione inversa della giunzione, più pronunciata dal lato del drain e con un estensione crescente al crescere di VDS. La zona di svuotamento restringe il canale attraverso cui circola la ID e oltre una certa soglia di VDS si verifica lo strozzamento del canale (pinch-off) che impedisce alla corrente di aumentare; il JFET è in saturazione. Quando è presente una VGS (negativa) la zona di svuotamento si forma anche con conseguenza che il JFET offre maggiore resistenza ed entra in saturazione prima. Caratteristiche VDS = 0 con la Osservando la caratteristica di uscita, che mostra la relazione tra la corrente ID e la tensione VDS per diversi valori di VGS, osserviamo che: è presente un'intera famiglia di caratteristiche dipendenti dal valore di VGS la saturazione del JFET, indicata dalla linea tratteggiata, avviene per valori via via minori di VDS all'aumentare (in modulo) di VGS a sinistra del tratteggio è presente una zona resistiva dove il JFET si comporta da resistenza variabile il cui valore dipende dalla tensione VGS (si veda la figura sotto che rappresenta un ingrandimento della caratteristica nell'origine) a destra di VP si trova la zona di saturazione a corrente costante dove il valore di ID dipende da VGS e non da VDS (NB nei BJT la saturazione è tutt'altra cosa!3) ) per valori sufficientemente elevati di VGS lo strozzamento avviene già a VDS = 0 e non può circolare corrente; il JFET è interdetto La relazione che permette di calcolare il valore della Vds alla quale avviene lo strozzamento è: VDSP=VP−VGSVDSP=VP-VGS Dove VP è la tensione di pinch-off quando VGS vale zero riportata nei data sheet. A questo punto è possibile osservare la caratteristica di trasferimento (figura sopra), valida per il funzionamento in saturazione, e osservare che: il JFET è interdetto se VGS è maggiore o uguale a VGS(off) = Vp il massimo valore di corrente in condizione di saturazione si ha quando VGS vale zero ed è indicato con IDSS nelle due caratteristiche5) in corrispondenza di VGS = 0 e IDSS si ha la piena conduzione; in queste condizioni, se si opera nella zona resistiva, l'inverso della pendenza della caratteristica di uscita rappresenta la resistenza rDS(on) esibita dal JFET nello stato ON quando è usato in commutazione Funzionamento in commutazione Nell'impiego da amplificatori i JFET lavorano nella zona di saturazione, dove il comportamento è lineare; in quello in commutazione invece si lavora nella zona resistiva e in interdizione. Il circuito in figura impone una retta di carico che dipende dall'alimentazione VDD e dalla resistenza RD collegate al drain. Il JFET lavorerà: in interdizione se VGS è negativa e maggiore di VGS(off) in piena conduzione (nella zona resistiva) se VGS è uguale a zero I due puntidi funzionamento si individuano incrociando la retta di carico con le caratteristiche di uscita del JFET corrispondenti ai due valori di VGS. Funzionamento da amplificatore I JFET possono essere impiegati anche come amplificatori. Come per i BJT occorre polarizzare correttamente il transistor, applicare un segnale e studiare la risposta dell'amplificatore con un circuito equivalente ai piccoli segnali. La figura sopra mostra il circuito di polarizzazione più semplice possibile dove: la resistenza RS tra source è massa è percorsa dalla corrente ID la resistenza RG collega a massa il gate ma non è percorsa da corrente la tensione VGS coincide in modulo con la caduta su RS Studiando il circuito e conoscendo la relazione tra ID, RS e VGS è possibile imporre il punto di funzionamento a riposo. La figura seguente mostra il circuito equivalente ai piccoli segnali del JFET (si tratta di un circuito in centro banda a source comune simile a quello a emettitore comune dei BJT). Osserviamo che: il gate è isolato il parametro principale è la transconduttanza il parametro rd è una resistenza differenziale che, in prima approssimazione, può essere considerata infinita (generatore di corrente ideale) I MOSFET I MOS sono i transistor più utilizzati nell'elettronica digitale perché permettono di realizzare integrati economici e a basso consumo. Sono impiegati anche nell'elettronica di potenza. Per semplicità ci soffermeremo solo sui MOS ad arricchimento (enhancement), più semplici da capire e utilizzati nella tecnologia CMOS con cui si realizzano gli integrati digitali. Struttura e funzionamento La figura seguente mostra la struttura brevemente chiamato NMOS di un MOSFET enhancement a canale n, più Il transistor è composto da: un substrato di tipo p collegato al source due zone di tipo n collegate ai terminali di source e drain uno strato di ossido di silicio (grigio scuro nel disegno) che isola il gate In questo tipo di FET il gate è isolato e gli strati di materiali - metallo del terminale di gate, ossido e semiconduttore - danno il nome al componente. Per comprendere il funzionamento del MOS supponiamo inizialmente che VGS valga zero. Applicando una tensione tra drain e source le due giunzioni substrato-source e substrato- drain non conducono e la ID è nulla (il substrato è collegato al source). Se ora applichiamo una tensione VGS positiva al gate il MOS si comporterà come un condensatore richiamando elettroni dalle tre zone e creando, oltre una soglia indicata con VGS(th), un canale di tipo n tra drain e source (grigio chiaro nel disegno). A questo punto, applicando una tensione VDS potrà circolare una corrente ID tra drain e source. Come per il JFET, per bassi valori di VDS il canale avrà un comportamento resistivo; per valori più elevati si avrà uno strozzamento dovuto al potenziale via via maggiore del terminale di drain che non permette alla corrente di aumentare. Aumentando il valore di VGS si ha un allargamento del canale e lo strozzamento avviene per valori di VDS più elevati. Caratteristiche In figura è rappresentata la caratteristica di uscita di un NMOS. La famiglia di curve che esprimono il legame tra ID e VDS è analoga a quella dei JFET ma la VGS è positiva e corrente e pendenza crescono al crescere di VGS. Anche in questo caso abbiamo una zona resistiva, a sinistra del tratteggio, e una di saturazione (attiva) a destra. La figura sopra rappresenta la caratteristica di trasferimento, questa volta posta nel primo quadrante, dove compaiono: la tensione di soglia VGS(th) (indicata anche come VT) oltre la quale il MOS passa dall'interdizione alla conduzione la corrente IDSS, di valore trascurabile, che circola quando VGS vale zero Nei data sheet conduzione è indicata anche una ID(on) circola in corrispondenza di un determinato valore di VGS. in Diversamente dai JFET il transistor NMOS funziona con valori di VGS positivi; il circuito di polarizzazione sarà allora il seguente: Questo piena Nel funzionamento in commutazione si avrà: NMOS interdetto se VGS < VT NMOS in piena conduzione per valori sufficientemente alti di VGS Il circuito per il funzionamento ON-OFF dell'NMOS è analogo a quello del JFET e per entrambi il comportamento del transistor può essere assimilato a quello di un interruttore con in serie una resistenza rDS(on) ricavabile dai data sheet IL PLC l'hardware del pc linguaggi di programmazione multisim PLC = Controllore Logico Programmabile Dispositivo elettronico nato per l’automazione delle linee di assemblaggio Rappresenta l’unità di governo ed elabora a) i comandi inviati dall’operatore b) le informazioni ricevute dai sensori Comanda le unità di potenza mediante opportune interfacce SCHEMA A BLOCCHI DI UN AUTOMATISMO (click per creare) Comando Trasmissione di potenza P.L.C. Sensori Attuatore Sistema di lavoro Il PLC è dunque il cervello di un sistema di automazione Stabilisce ed effettua le azioni sulla base delle informazioni che gli vengono fornite dai sensori: O Legge lo stato (ON-OFF) pulsanti, sensori, contatti di relè … O Legge i valori (misura numerica) di trasduttori di temperatura, di pressione, di corrente … O Sulla base del programma utente contenuto nella sua memoria decide come comandare gli attuatori Confronto logica cablata e logica programmata •Spazi •Tempi di esecuzione •Affidabilità •Consumi •Velocità •Costi minor ingombro minore maggiore minori minore (per l’elaborazione dei dati) minori (per usi non semplici) Hardware del P.L.C. (Click per creare) Unità centrale ROM Sistema operativ o C.P.U. Memoria programma utente Unità di programmazione: Consolle o PC Blocchi funzionali UNITA CENTRALE L’unità comprende: • CPU • Memoria ROM • Memoria programma utente • Blocchi funzionali BLOCCHI FUNZIONALI L’insieme dei circuiti integrati IC che permette l’utilizzo di funzioni quali: • Memorizzazione • Temporizzazione • Conteggi • Collegamenti serie e parallelo • Operazioni matematiche • Immagazzinamento dati numerici SEZIONE INGRESSI Pulsanti Selettori Finecorsa Fotocellule Trasduttori Circuito adattatore Morsettiera Memoria segnali CPU SEZIONE INGRESSI Gli ingressi possono essere: Fronte di salita Fronte di discesa 1 Digitali ed assumere solo due stati logici detti 0 – 1 o On – Off. 0 Analogici ed assumere qualsiasi valore compreso tra due estremi (range) definiti Durata segnale t t SEZIONE INGRESSI Gli ingressi vengono collegati con opportuni morsetti di collegamento debitamente numerati e il loro stato viene monitorato con led che risultano accesi per livello di ingresso 1 e spenti per livello di ingresso 0 Ingressi SEZIONE USCITE CPU Memoria segnali Contattori Relè Elettrovalvole Circuiti elettrici Display Regolatori Circuito adattatore Morsettiera SEZIONE USCITE Le uscite vengono collegate con opportuni morsetti di collegamento debitamente numerate e il loro stato viene monitorato con led che risultano accesi per livello di uscita 1 (on) e spenti per livello di uscita 0 (off) Uscite CARATTERISTICHE FONDAMENTALI Tempo O O O O O O O O O O O O O O di esecuzione delle istruzioni (o tempo di ciclo) Dimensione Aree di Memoria Numero I/O massimo Numero variabili di tipo BIT Numero di variabili di tipo BYTE, WORD, DWORD, REAL Numero di contatori Numero di temporizzatori Esistenza ingressi/uscite veloci (conteggio, encoder …) Numero di canali di comunicazione Bus seriali (rs232, rs485, rs422 …) Bus di campo (CanOpen, Interbus, Profibus …) Reti (Ethernet …) Esistenza moduli speciali (posizionamento assi, regolazione PID …) Linguaggi di programmazione disponibili (meglio sei IEC 61131-3) e complessità istruzioni Interrupt O.S. Multi-tasking .it Funzionamento: Logica PNP e NPN • I nomi di logica PNP e NPN provengono dai due tipi principali di transistor usati in elettronica: PNP: Logica Positiva • Logica PNP negli ingressi: Ingresso attivo (livello logico 1) applicando la tensione di alimentazione (24VDC). Ingresso non attivo (livello logico O) se non si collega l'ingresso oppure viene collegato allo OVDC.(zero V alimentazione) • Logica PNP nelle uscite: Uscita attiva (livello logico 1) quando fornisce la tensione di alimentazione (24VDC). Uscita non attiva (livello logico O) quando fornisce lo zero volts della tensione di alimentazione (OVDC). NPN: Logica Negativa • Logica NPN negli ingressi: Ingresso attivo (livello logico 1) applicando lo zero volts della tensione di alimentazione (OVDC). Ingresso non attivo (livello logico O) se non si collega l'ingresso oppure viene collegato al positivo dell'alimentazione (24VDC). • Logica NPN nelle uscite: Uscita attiva (livello logico 1) quando fo1nisce lo zero volts della tensione di alimentazione (OVDC). Uscita non attiva (livello logico O) quando fornisce la tensione di alimentazione (24VDC). Ingressi con Logica Positiva • La logica Positiva è la più usata negli ingressi per un semplice motivo: Una deviazione involontaria di un ingresso a massa (OVDC) può provocare un cortocircuitoe di conseguenza la fermata della macchina ma la macchina non eseguirà nessun movimento involontario. • Invece una deviazione involontaria di un ingresso a massa (OVDC) in una logica Negativa potrebbe provocare un movimento involontario della macchina. Da notare In un cablaggio con logica Positiva agli ingressi il comune dei Sensori va collegato al Positivo. In un cablaggio con logica Positiva alle uscite il comune degli Attuatori va collegato al Negativo. •il contrario succede in un cablaggio con logica Negativa. LINGUAGGI DI PROGRAMMAZIONE Per fornire le istruzioni al PLC si deve utilizzare un opportuno linguaggio di programmazione. I linguaggi possono essere grafici o letterali. LINGUAGGI GRAFICI Ladder: è il maggiormente usato in quanto permette una facile conversione dalla cablata. logica Grafcet: scompone tutti gli automatismi in una successione di fasi alle quali associare azioni e transizioni Fup: utilizza blocchi logici funzionali a cui vengono inviati i segnali da elaborare. l AWL, KOP, FUP • Le sigle AWL, KOP e FUP vengono dal tedesco: - AWL AnWeisungsListe: Lista di Istruzioni - KOP KOntaktPlan: Squema a contatti - FUP FUnktionsPlan: Squema a Funzioni (Blocchi funzionali) Estratti di programmi AWL CONTATTI FUP SEMPLICE COMANDO: UN PULSANTE N.O. ACCENDE E SPEGNE UNA LAMPADA. SEMPLICE COMANDO: UN PULSANTE N.C. SPEGNE E ACCENDE UNA LAMPADA. COMANDO BISTABILE: Un pulsante N.O. accende una lampada che rimane accesa anche dopo il rilascio (Set). Un’altro pulsante N.O. spegne la lampada (Reset). Spegni Accendi COMANDO DA DUE PUNTI (OR) P1 P2 PROGRAMMAZIONE CON MULTISIM Imput contatti azionati dagli ingressi 100 1 100” modulo ingresso 1 numero dell’ingresso Relay contact azionati da relay coil (stesso M) Se La bobina interna al PLC viene eccitata, il corrispondente contatto (M) cambierà il suo stato • Set_Coil E una bobina relè latch per i diagrammi a relè che richiede una bobina di reset per funzionare); Immettere il valore desiderato nel campo Coil Reference • Reset_Coil Questo dispositivo è una bobina relè di sgancio per diagrammi a relè, usato per azzerare i temporizzatori, contatori e impostare bobine. Per impostare i parametri per questa bobina Inserire il valore in Target Device Reference Pulsed Relay Coil è una bobina di relè , che produce un impulso positivo di durata definibile dall'utente Per impostare i parametri per questa bobina 2. Inserire i valori desiderati nei campi Coil Reference and Pulse Duration CORRISPONDENZA CON LE PORTE LOGICHE OR AND Aneg contatto normalmente chiuso A contatto aperto Q= (A OR B) AND (C OR D) RISULTATO VERO SOLO QUANDO SOLO UNA DELLE DUE VARIABILI È VERA Q =A XOR B Aneg contatto normalmente chiuso A contatto aperto OUT = A*(A*(BNEG+C*D)*CNEG) Y = ANEG+ B + CD + EB Per creare il grafico, a ciascun ramo o ciascuna porzione di un gradino viene sostituito la lettera gli ingressi booleani che corrispondenti APERTURA /CHIUSURA CANCELLO FTA = 1 cancello in apertura FTC = 1 cancello in chiusura SCORRIMENTO IMPULSO (TOFF TON) SEMAFORO: APPLICAZIONE CON 3 TON: T1, T2,T3 S1 comanda T1, T1 comanda T2, T2 Comanda T3 ACCENSIONE TEMPORIZZATA DI UN RISCALDATORE SEMAFORO FORMULA UNO I semafori «5» collegati alle uscite sono comandati da impulsi di durata decrescente. l’impulso di innesco 100.1 accende il primo semaforo poi seguono i successivi, intervallati di ΔT=1 secondo. QUARTA INDICE • DIODI • applicazioni • bjt • JFET/MOSFET DIODI DIODO RADDRIZZATORE • Il diodo raddrizzatore a giunzione (o semplicemente diodo) è un componente elettronico a due terminali (bipolo), la cui funzione è quella di permettere il flusso di corrente elettrica in un verso e di bloccarla nell'altro. Il simbolo circuitale del diodo esprime chiaramente questa funzione: il triangolo indica la freccia di direzione in cui il flusso di corrente è possibile. I due terminali del diodo vengono detti anodo (A) e catodo (K). • La figura qui sotto mette a confronto il simbolo circuitale del diodo con l'aspetto tipico di un diodo reale. Si noti che il catodo viene di solito marcato sul componente per mezzo di una fascia di differente colore: Si osservi attentamente quanto segue: v2 = 0 V v1 = E = 9 V i2 = 0 A i1 = E/R1 = 9/300 = 30 mA i3 = i1 = 30 mA i1=i2= E / (R1+R2) = 9/900 = 10 mA v1 = i1 * R1 = 10 mA * 300 Ω = 3 V v2 = vd = i2 * R2 = 600 Ω * 10 mA = 6 V in polarizzazione diretta è nota la tensione ai capi del diodo (vale zero), mentre la corrente nel diodo dipende dal circuito in cui il diodo è inserito; in polarizzazione inversa è nota la corrente nel diodo (vale zero), mentre la tensione ai capi del diodo dipende dal circuito in cui il diodo è inserito. TENSIONE DI SOGLIA Affinche il diodo conduca soglia. occorre che la tensione applicata superi un valore non nullo, detto tensione di Il valore della tensione di soglia è diverso a seconda del materiale a semiconduttore con cui è stato realizzato il diodo. Per i diodi al silicio il valore è tipicamente compreso fra 0,6 e 0,8 V. I diodi al germanio hanno invece una tensione di soglia più bassa, intorno agli 0,2-0,4 V. Quando E supera la tensione di soglia, il diodo entra in zona di polarizzazione diretta e comincia a condurre corrente, in questa zona la tensione rimane pressoché costante e sempre uguale alla tensione di soglia Vs Possiamo sostituire il diodo con un generatore di tensione equivalente di valore pari alla tensione di soglia sul diodo. Supponendo Vs = 0,7 V per il nostro diodo, abbiamo: V2 = Vs = 0,7 V i2 = V2/R2 = 0,7 V/ 600 Ω = 1,16 mA i1 = v1/R1 = 8,3/300 = 27,6 mA v1 = E - V2 = 9 - 0,7 = 8,3 V MISURA DELLA CARATTERISTICA INGRESSO- USCITA DEL (TRANSCARATTERISTICA) resistenza di protezione Rp fra il diodo e il generatore. Tale resistenza ha il compito di assorbire la tensione in eccesso, limitando l’assorbimento di corrente del diodo DIODO In corrispondenza di una certa V la corrente inversa nel diodo aumenta molto rapidamente; tale valore limite viene detto tensione di breakdown o di rottura, in quanto porta generalmente alla distruzione del componente (intorno a – 100 V) Si evidenzia il comportamento non lineare del diodo RADDRIZZATORE A SINGOLA SEMIONDA Durante la semionda positiva di Vin, il diodo conduce (è in polarizzazione diretta). Ipotizzando per semplicità che il diodo si comporti idealmente come un cortocircuito in polarizzazione diretta, durante la semionda positiva la tensione su R identica dunque alla tensione Vin. Viceversa, durante la semionda negativa di Vin, il diodo è in polarizzazione inversa e si comporta perciò come un tasto aperto. Di conseguenza nel circuito non passa corrente e la tensione su R è zero. Il diodo reale inizia a condurre solo quando l'onda sinusoidale di ingresso supera la sua tensione di soglia: RADDRIZZATORE DOPPIA SEMIONDA raddrizzatore a doppia semionda in quanto trasforma un'onda alternata in un'onda sempre positiva, "capovolgendo" la semionda negativa. Si noti che, mentre l'onda di ingresso ha valor medio nullo, l'onda di uscita ha un valore medio positivo. Tale valore medio si può dimostrare essere uguale a RADDRIZZATORE A SINGOLA SEMIONDA CON FILTRO CAPACITIVO il condensatore inizialmente scarico si carica durante la semionda positiva , la tensione ai suoi capi raggiunge il valore massimo; durante la semionda negativa il condensatore si scarica sulla resistenza In pratica il diodo si trova a essere polarizzato con una tensione sul catodo maggiore di quella presente sull'anodo: entra dunque in polarizzazione inversa e questo impedisce alla corrente di ritornare verso il generatore L'effetto finale è quello di produrre una tensione che, pur non essendo ancora "continua", ha oscillazioni molto minori dell'onda raddrizzata di partenza. In generale le ondulazione residue (dette ripple) sono tanto minori quanto maggiore è il valore della costante di tempo τ = RC del gruppo RC. RADDRIZZATORE A DOPPIA SEMIONDA CON FILTRO CAPACITIVO Un livellamento ancora maggiore dell'onda raddrizzata si ottiene usando il condensatore raddrizzatore a doppia semionda a ponte di diodi: in un IL DIODO LED IL LED = light-emitting diode, diodo a emissione di luce) è un tipo di diodo che, se polarizzato direttamente e percorso da una corrente sufficiente, emette luce di colori diversi in base a un fenomeno fisico detto elettroluminescenza. Il simbolo elettrico del LED è il seguente: In genere l'anodo (il terminale positivo) è quello più lungo, mentre il catodo, più breve, è segnalato anche da un intaglio nella capsula del componente Osservando l'interno del led l’anodo appare a forma di lancia il catodo a forma di bandiera; Il valore della tensione di soglia dipende dal colore della luce emessa del led POLARIZZAZIONE DEL LED E RESISTENZA DI PROTEZIONE Il LED si illumina se viene polarizzato direttamente e se viene percorso da una corrente di intensità sufficiente. Abbiamo visto come la tensione di soglia varia da un LED all'altro in funzione principalmente del colore della luce emessa. Non è però possibile in pratica far funzionare un LED collegandolo direttamente con un generatore di tensione pari allla sua tensione di soglia. Questo perché piccole variazioni nella tensione applicata al LED potrebbero facilmente provocare la sua distruzione, in quanto la corrente nel diodo aumenta molto rapidamente appena superata la tensione di soglia. Bisogna usare serie al LED una resistenza di protezione collegata in POLARIZZAZIONE DIRETTA E INVERSA E TENSIONE DI ZENER Il diodo zener è un particolare tipo di diodo utilizzato come stabilizzatore di tensione. Il suo simbolo elettrico e il suo tipico aspetto sono mostrati in figura. Quando viene polarizzato direttamente lo zener si comporta come un diodo normale, cioè inizia a condurre corrente quando viene superata la sua tensione di soglia (tipicamente 0.3-0.7 V a seconda del diodo). In polarizzazione inversa lo zener non conduce fino a quando non si raggiunge la tensione di Zener che nei diodi normali corrisponde alla tensione di breakdown A differenza però di quanto accade con gli altri diodi, il diodo zener non si danneggia quando raggiunge la tensione di breakdown. Anzi, gli zener sono progettati apposta per lavorare in polarizzazione inversa tensione di VBK o di VZ alla Il valore della tensione di zener varia da un diodo all'altro ed è specificata in modo estremamente preciso. STUDIO DEL CIRCUITO SENZA CARICO Studiamo il circuito che segue supponendo che: lo zener abbia una tensione di zener di 3.0 V e che la tensione Vin possa variare da un minimo di 4 V a un massimo di 5V (la condizione importante è che Vin non scenda mai al di sotto della tensione di zener, altrimenti il diodo zener non potrebbe funzionare Se il diodo zener è correttamente polarizzato, la tensione ai suoi capi si mantiene costante (nel nostro caso a 3.0 V) nonostante le variazioni della tensione di alimentazione Vin. Per il corretto funzionamento dello zener è inoltre importante che la corrente che attraversa il diodo superi un valore minimo, ricavabile dai dati tecnici del componente. Supponiamo che nel nostro caso tale valore sia Izmin = 5 mA Tale valore della Izmin è importante perché ci permette di fissare u il valore della R che consenta il passaggio Bisogna tener conto anche di un'altra condizione importante, ovvero il massimo valore della corrente che può attraversare lo zener senza che questo si danneggi (per eccessivo riscaldamento). occorre scegliere per R un valore 40 Ohm < R < 200 Ohm STUDIO DEL CIRCUITO CON CARICO In questo caso occorre sapere qual è il valore massimo della corrente assorbita dal carico. Se per esempio si tratta di un carico di tipo resistivo, tale valore può essere calcolato semplicemente conoscendo la resistenza Rcarico nel seguente modo: Icarico = Vz/Rcarico In presenza di un carico, la corrente che attraversa lo zener è Iz = Itot – Icarico; questo fatto provoca una riduzione della corrente che passa nel diodo che potrebbe pregiudicare il funzionamento dello zener in quanto la corrente nello zener potrebbe non essere più sufficiente. Supponendo che il carico assorba una corrente massima Icarico = 1 mA. E di essere nella situazione peggiore (che si verifica quando la tensione Vin raggiunge il suo valore minimo)si ha Che è maggiore della minima corrente necessaria per far funzionare lo zener (5 mA) e dunque l'inserimento del carico non pregiudica il funzionamento del zener: in caso contrario si deve ridurre la resistenza APPLICAZIONI • Clipper: LIMITATORI • Clamper FISSATORI • ALIMENTATORI • MODULATORI • RIVELATORI CLIPPER: LIMITATORI ●V’ – VB - V = 0 V’ = VB + V If Vi > V’ diode on Vo = V’ If Vi < V’, diode off, Vo = Vi CLAMPERS: FISSATORE Clampers STEP 1: diodo polarizzato direttamente VC + V B – VS = 0 VC = V M – VB STEP 2: diodo polarizzato inversamente VO – VS + VC = 0 VO = VS – VC. BJT TRANSISTOR BJT NPN E PNP Iltransistor a giunzione bipolare è un componente a tre morsetti denominati con base (B), collettore (C) ed emettitore (E) . Ci sono due tipi di BJT: il BJT npn e il BJT pnp. Essi differiscono per il simbolo elettrico e per il versi dei parametri elettrici Per trovare l’mettitore conviene fare riferimento ai fogli tecnici del componente (datasheet) oppure usare un multimetro. La figura seguente mostra l'uso di un multimetro in configurazione ohm-metro per determinare qual è il collettore e qual è l'emettitore di un BJT npn: La misura si basa sul principio che ha la resistenza misurata fra il collettore e la base e fra l’emettitore e base in un NPN e molto elevata; Viceversa la resitenza misurata con i terminali al contrario e molto bassa LE TRE ZONE DI FUNZIONAMENTO DI UN BJT Il BJT può lavorare in tre zone di funzionamento principali (regions of operation), dette rispettivamente: zona di interdizione (cutoff region) zona attiva (o lineare o amplificazione, forward active region) zona di saturazione (saturation region) Nel seguito esamineremo dettagliatamente il comportamento del BJT nelle tre zone e i metodi di calcolo da usare per determinare in quale zona sta funzionando il BJT. In zona di interdizione non BJT non conduce correnti n zona attiva il BJT si comporta come un amplificatore di corrente: la corrente di collettore Ic è legata alla corrente di base Ib e aumenta al crescere di quest'ultima; In zona di saturazione i lBJT si comporta come un conduttore quasi ideale (un filo) collegato fra collettore ed emettitore: in queste condizioni la tensione Vce è molto bassa (idealmente zero) e non vale più la relazione di proporzionalità fra Ib e Ic. BJT IN ZONA DI INTERDIZIONE Consideriamo un BJT npn. Il comportamento fra base ed emettitore è perfettamente assimilabile a quello di un normale diodo. In effetti il BJT è internamente realizzato come un diodo fra base ed emettitore (nel caso del BJT pnp il collegamento del "diodo" è l'opposto): Se la giunzione BE viene polarizzata inversamente con una tensione Vbe negativa o minore della tensione di soglia (circa 0,6-0,7 V), non c'è passaggio di corrente Si noti che la zona di interdizione dipende solo dalla tensione Vbe: è questa che comanda l'accensione o lo spegnimento dell'intero transistor. La base del transistor e polarizzata inversamente dalla batteria E di conseguenza il BJT si trova in interdizione (IB, Ic, Ie = 0) BJT IN ZONA ATTIVA OPPURE IN ZONA DI SATURAZIONE Si consideri il circuito in figura in cui la resistenza RB serve per la protezione del BJT, la Ib è uguale alla Ie mentre la Ic =O non essendoci alcun carico : Si dice che il BJT è polarizzato in zona attiva (o in zona lineare o forward active region) verificano due condizioni: la giunzione fra base ed emettitore è polarizzata direttamente la tensione fra collettore ed emettitore è maggiore di circa 0,3 V. con quando si una tensione di circa 0,6-0,7 V; se la. tensione fra collettore ed emettitore scende al di sotto di circa 0,3-0,4 V, il BJT non lavora più in zona attiva, ma passa in zona di saturazione CORRENTI IN ZONA ATTIVA E BETA DEL TRANSISTOR IN ZONA ATTIVA ABBIAMO IN GENERALE CHE La IB è moltto minore di Ic e Ie la corrente di collettore Ic è direttamente proporzionale alla corrente di base secondo la formula: Ic = ß Ib IL BJT in zona attiva ai comporta in sostanza come un ampli calore di corrente dove ß è un parametro fondamentale del BJT detto guadagno di corrente in continua current gain o semplicemente "beta" - spesso indicato anche come hfe sui manuali tecnici); (DC la corrente di emettore Ie è uguale alla somma delle altre due correnti (in base alla legge di Kirchhoff alle correnti): Ie = Ib + Ic Dal momento che Ib è molto più piccola trascurarla e scrivere Ie ~ Ic delle altre correnti (in zona attiva), possiamo in generale VARIABILITÀ DEL PARAMETRO BETA Il parametro ß (o hfe come viene spesso indicato) è estremamente variabile. Si osservi la seguente tabella di valori del foglio tecnico di un BJT 2N222" della Fairchild: come si può notare il ß dipende dai valori di tensione e soprattutto di corrente nel BJT e non è affatto costante Infine il valore di ß è influenzato anche dalla temperatura di funzionamento del BJT. 1 Circuito BJT e lampadina: zona di interdizione Rb è una resistenza da 1500 Ohm V è un voltmetro . lampadina da 12 V, 6 W di potenza e 24 Ohm di resistenza Con E = 0 anche la corrente Ic è zero (essendo Ic = ß Ib) e pure Ie vale zero (infatti Ie = Ic + Ib). Nel collettore non passa corrente e sulla lampadina si viene ad avere una tensione di 12 V 2 CIRCUITO BJT E LAMPADINA: ZONA ATTIVA Aumentiamo ora la tensione E portandola per esempio a 4 V. In questo modo la giunzione base ed emettitore risulta polarizzata direttamente e si comporta praticamente come un diodo. Pertanto la corrente di base Ib può essere calcolata con Ic = 100 x 2,27m = 227 mA Ie = Ib + Ic = 229,27 mA La tensione sulla lampadina sarà data dal prodotto fra la Req (24 ohm) e la corrente che la attraversa: Vlamp = 24 x 227m = 5,45 V Come si vede la tensione è circa la metà della tensione nominale di funzionamento della lampadina (12 V) e dunque la lampadina si illuminerà ma solo parzialmente. Possiamo ricavare la tensione Vce fra collettore ed emettitore nel alle tensioni: Vce = Vcc - Vlamp = 12 - 5,45 = 6,55 V BJT in base alla legge di Kirchhoff 3 CIRCUITO BJT E LAMPADINA: ZONA SATURAZIONE Aumentiamo ulteriormente la tensione della batteria E. La corrente in base Ib aumenterà di conseguenza, in base alla formula: All'aumentare di Ic aumenta anche la tensione sulla lampadina e, conseguentemente, si riduce la tensione Vce fra collettore ed emettitore. La corrente Ic massima si avrà quando la tensione Vce si annulla. Quando Vce si annulla (in realtà quando scende sotto circa 0,4 V), ogni ulteriore aumento della corrente di base non fa più aumentare la corrente di collettore. Il BJT entra nella cosiddetta zona di saturazione. Calcolando la Ic = ß Ib = 100 x 6,27mA = 627 si nota che questo valore di corrente è impossibile perché produrrebbe sulla lampadina una caduta di tensione pari a: Vlamp = 24 x 627m = 15 V che implica una Vce negativa. Ne consegue che in saturazione all’aumentare della IB la IC rimane massima e invariabile 4 REGOLAZIONE CON TRIMMER Lampadina resistenza equivalente di 24 Ohm. BJT con il solito valore ß = 100. Rp è un resistore variabile da 0 a 150 ohm Caso a: resistenza variabile regolata sul valore minimo BJT in interdizione: lampadina spenta Caso b: resistenza variabile regolata sul valore massimo Ic = ß Ib = 100 x 5,2 m = 520 mA In base al valore precedente, la tensione ai capi della lampadina è: Vlamp = 24 x 520m = 12,48 V La tensione sulla lampadina risulta superiore alla tensione di alimentazione. saturazione. Questo significa il BJT è in CASO C: RESISTENZA VARIABILE REGOLATA SU UN VALORE INTERMEDIO In questo caso i valori di IB e IC dipenderanno dal valore di Rp. Se per esempio Rp viene regolato sulla metà (75 Ohm), la lampadina si illuminerà con una tensione circa uguale alla metà del valore massimo. In altre parole maggiore è il valore di Rp, maggiore è la tensione sulla lampadina (in modo proporzionale) e maggiore è dunque la luminosità della lampadina stessa. Caso d : BJT usato come interruttore (switch) collegamento a +5V attraverso la resistenza Rpu detta resistenza di pullup: valori tipicamente usati da 1kOhm a 10kOhm) e dunque l'uscita è bassa: il LED è spento; R resistenza di protezione il LED non si accende quando l'interruttore di ingresso è chiuso. La ragione sta nella corrente erogata dalla porta NOT in uscita. Infatti, secondo le specifiche fornite dai fogli tecnici, le porte logiche TTL standard sono in grado di fornire in uscita una corrente massima pari a 0,4 mA che non è in grado di accendere il Led Bisogna progettare il circuito in modo che il BJT vada in saturazione quando l'uscita della porta logica è a livello alto. Supponendo in saturazione Vce circa uguale a 0 V, il valore di R sara IL valore della corrente di base Ib necessaria per mandare in saturazione il BJT con Ic = 20 mA. Supponendo come al solito ß=100 abbiamo: Ib > Ic/ß = 0,2 mA Dato che l'uscita del NOT a livello alto è 5 V, la resistenza di base Rb è data da: In pratica conviene usare un valore un po' più piccolo di Rb (esempio 18 kOhm) in mododa garantire una corrente sufficiente per la saturazione del BJT. Caso e : BJT con segnale di regolazione ad onda quadra in ingresso Vcc=12V, L1 con resistenza equivalente di 24 Ohm e ß = 100. Supponiamo che l'onda quadra di ingresso abbia livelli 0V e 5V. Per fare in modo che il BJT saturi quando Vin = 5V, basta imporre la condizione saturazione Vce ≈ 0 da cui VL1 = 12 V ; IC = 12/24 = 0,5 A La corrispondente corrente limite di base sarà IB = IC/ß = 0,5/100 = 5 mA. Per far sufficiente imporre una corrente IB di valore superiore a quello calcolato saturare il BJT è AMPLIFICATORI A BJT COSA SONO GLI AMPLIFICATORI Un sistema amplificatore ha in generale la funzione di amplificare i segnali di modesta ampiezza (provenienti ad esempio da sorgenti quali un microfono o una antenna) per renderli adatti a pilotare dispositivi che richiedono una potenza maggiore per il loro funzionamento. L'elemento base degli amplificatori è il transistor. Gli amplificatori si dividono in due categorie: amplificatori per piccoli segnali e amplificatori di potenza. Amplificatori per piccoli segnali Hanno in ingresso segnali molto piccoli, dell'ordine delle centinaia di mV. Generalmente il segnale amplificato non supera mai i 12V e i 100mA. Il segnale amplificato non deve essere distorto ⇒ transistor in zona lineare. Esempio di piccolo segnale: segnale da una antenna, circa 1-2mV. Amplificatori di potenza Hanno il compito di fornire al carico la potenza richiesta e il segnale viene amplificato sia in tensione che in corrente. Si considerano di potenzagli amplificatori in grado di erogare al carico potenze superiori al centinaio di mW. POLARIZZAZIONE IN ZONA LINEARE Perché sia polarizzato in zona lineare, per il BJT devono verificarsi due condizioni: La prima condizione è necessaria per garantire il funzionamento in zona lineare (quella centrale alle caratteristiche di collettore, IC-VCE) mentre la seconda serve a mantenere il transistor lontano sia dalla saturazione sia dall'interdizione, in modo da non avere distorsioni. STABILITA DEL PUNTO DI LAVORO: RETE DI POLARIZZAZIONE A PARTITORE Il transistor, a causa di inevitabili di/etti dei processi costruttivi, presenta una dispersione dei parametri: tipica è la variazione dell'hFE fra transistor dello stesso tipo. Ad esempio, per un comune transistor 2N2222, il costruttore fornisce il valore minimo (100) e il valore massimo (300) dell'hFE. Se si assume per definire il punto di lavoro il valore medio (200) e una corrente IC=20mA, la IB risulta pari a 0.1mA. Ma se il transistor che si usa ha un hFE differente, ad esempio 100, la corrente IB risulta diversa, cioè 0.2mA (ben 2 volte il valore trovato con il valore medio), con conseguente spostamento del punto di lavoro. Inoltre, a queste difficoltà si aggiunge il fatto che le caratteristiche più comuni deitransistor risentono di variazioni per effetto della temperatura: la tensione Vbe di un normale transistor BJT varia di circa -2.5mV per ogni aumento di un grado centigrado, provocando anche in questo caso una variazione del punto di lavoro. La determinazione a priori del punto di lavoro non è possibile. E' NECESSARIO stabilizzare il punto di lavoro per evitare le distorsioni. È sufficiente una resistenza in più, RE, detta di stabilizzazione. Osservando il circuito, fissate le resistenze R1 e R2, e assumendo Ip>>IB, resta fissa la tensione di base VB= VccR1/(R1+R2) e quindi anche la IB. Se l'hFE risulta più alto di quello considerato per la definizione del punto di lavoro, la corrente IC risulta maggiore e anche la corrente IE aumenta, provocando una maggiore caduta di tensione su RE. Essendo fissa la tensione di alimentazione, e quindi la tensione tra base ed emettitore (tensione su R1, fissata dalla regola del partitore), aumentando VRE diminuisce la VBE, che provoca una diminuzione di IB e quindi di IC. Il valore di I C si aggiusta automaticamente intorno al valore prefissato. Dimensionamento Si fissa IC tramite la resistenza RC. Fissata la IC, il criterio pratico di progetto è di imporre una VRE ≅(l/lO)VCC e di considerare Ip=(lO÷lOO)IB. Quindi: AMPLIFICATORE AD EMETTITORE COMUNE Si chiama così perché l'emettitore è il morsetto comune di riferimento per il segnale da amplificare (ingresso) e per il segnale amplificato (uscita). Per evitare che il segnale da amplificare (vS) modifichi il punto di lavoro statico, definito dalla rete a partitore, è necessario inserire tra il segnale stesso e la base un condensatore Cl: in continua i condensatori sono dei circuiti aperti e di conseguenza il punto di riposo rimane quello fissato con le resistenze R1, R2, RC, RE. Stesso discorso vale per il carico RL, che generalmente è resistivo. Se il transistor lavora in zona lineare, quando il segnale vS aumenta, aumenta anche la corrente di base e conseguentemente aumenta proporzionalmente la corrente sul collettore. ln uscita avremo quindi la stessa forma d'onda d'ingresso ma amplificata. lL condensatore di accoppiamento CE serve a cortocircuitare la resistenza RE quando il varia, in modo da non diminuire il guadagno di tensione. segnale Il circuito dinamico Il funzionamento del transistor in zona lineare (regime di piccoli segnali), può essere ricondotto a un modello lineare, costituito da una resistenza d'ingresso hie, tra base ed emettitore e da un generatore ideale di corrente iC, controllato dalla corrente d'ingresso iB. Infatti Ic= h fe i B , dove hfe è il guadagno dinamico di corrente Lo studio del circuito completo dell'amplificatore si riconduce al seguente (VCC, che è un segnale costante, è stato spento, cioè cortocircuitato a massa). PARAMETRI FONDAMENTALI DI UN AMPLIFICATORE Guadagno di tensione Av È definita come rapporto tra la tensione di uscita vo e la tensione d'ingresso vi (consideriamo i valori efficaci o quelli di picco, essendo in regime sinusoidale). Guadagno di corrente Ai È definita come rapporto tra la corrente di uscita io (sul carico RL) e la corrente d'ingresso ii (che esce dal generatore). dove Ri=R1//R2//hie è la resistenza d'ingresso dell'amplificatore . Guadagno di tensione totale Avt È il rapporto tra la tensione di uscita vo e la tensione del segnale vS. v i dove αi è l'attenuazione d'ingresso, dovuta alla resistenza non infinita dell'amplificatore (la tensione del segnale vS si ripartisce sulla R S e sulla R i e non cade tutta sulla Ri) è data da: La resistenza d'ingresso Ri dell'amplificatore non è molto elevata (in genere dell'ordine dei KΩ) e provoca questa attenuazione del segnale d'ingresso dell'amplificatore rispetto al segnale del generatore Amplificazione o guadagno di potenza Ap È il rapporto tra la potenza di uscita po e la potenza d'ingresso pi. JFET/MOSFET FET I transistor ad effetto di campo I transistor ad effetto di campo (field effect transistor) sono chiamati così perché sono comandati in tensione (invece che in corrente come i BJT). Sviluppati successivamente ai BJT erano inizialmente componenti meno veloci e affidabili; oggi sono usati moltissimo: negli integrati digitali, dove l'impiego dei MOSFET permette di ottenere soluzioni economiche ad elevata integrazione e basso consumo negli stadi di ingresso degli operazionali, dove i JFET permettono di ottenere una resistenza di ingresso molto elevata in forma discreta nell'elettronica di potenza, sia come amplificatori che come dispositivi ON-OFF, per il basso consumo Le due famiglie principali di transistor FET sono: i JFET (junction FET) a giunzione i MOSFET o MOS (metal-oxide-semiconductor FET) a metallo-ossido-semiconduttore, che possono essere di tipo enhancement e depletion Come avviene per i BJT anche i FET sono disponibili in due varianti con portatori di carica di tipo diverso: quelli a canale N e quelli a canale P. Di seguito, per semplicità, faremo sempre riferimento ai FET a canale N. I tre terminali dei transistor ad effetto di campo sono chiamati: source, drain e gate. Nei FET la corrente scorre in un canale fra i terminali di source e drain e il suo flusso è controllato dalla tensione applicata al terminale di gate. La figura seguente mostra i simboli dei JFET, dei MOS enhancement e dei MOS depletion nelle due varianti a canale n e p1). In tutti i casi vale sempre: ID=ISID=IS I JFET I JFET sono meno usati rispetto ai MOSFET, con cui si realizzano gran parte dei dispositivi digitali, ma hanno delle caratteristiche che li rendono adatti per le applicazioni analogiche. Struttura e funzionamento La figura seguente mostra la struttura di un JFET a canale n2). Il transistor è composto da: una barra di semiconduttore di tipo n ai cui estremi sono posti gli elettrodi di source e drain due zone di tipo p collegate al gate Fra gate è source è dunque presente una giunzione pn che, nel normale funzionamento del JFET, deve essere polarizzata inversamente (VGS ≤ 0). Per comprendere il funzionamento del JFET supponiamo inizialmente che VGS sia zero. Se applichiamo una tensione VDS tra drain e source circolerà una corrente ID nel canale. Aumentando la VDS la corrente ID aumenta e il comportamento del JFET è resistivo. Tuttavia si verifica un altro fenomeno: nel canale si forma una zona di svuotamento (grigia in figura) dovuta alla polarizzazione inversa della giunzione, più pronunciata dal lato del drain e con un estensione crescente al crescere di VDS. La zona di svuotamento restringe il canale attraverso cui circola la ID e oltre una certa soglia di VDS si verifica lo strozzamento del canale (pinch-off) che impedisce alla corrente di aumentare; il JFET è in saturazione. Quando è presente una VGS (negativa) la zona di svuotamento si forma anche con VDS = 0 con la conseguenza che il JFET offre maggiore resistenza ed entra in saturazione prima. Caratteristiche Osservando la caratteristica di uscita, che mostra la relazione tra la corrente ID e la tensione VDS per diversi valori di VGS, osserviamo che: è presente un'intera famiglia di caratteristiche dipendenti dal valore di VGS la saturazione del JFET, indicata dalla linea tratteggiata, avviene per valori via via minori di VDS all'aumentare (in modulo) di VGS a sinistra del tratteggio è presente una zona resistiva dove il JFET si comporta da resistenza variabile il cui valore dipende dalla tensione VGS (si veda la figura sotto che rappresenta un ingrandimento della caratteristica nell'origine) a destra di VP si trova la zona di saturazione a corrente costante dove il valore di ID dipende da VGS e non da VDS (NB nei BJT la saturazione è tutt'altra cosa!3) ) per valori sufficientemente elevati di VGS lo strozzamento avviene già a VDS = 0 e non può circolare corrente; il JFET è interdetto La relazione che CHE PERMETTE DI CALCOLARE il valore della Vds alla quale avviene lo strozzamento è: VDSP=VP−VGSVDSP=VP-VGS Dove VP è la tensione di pinch-off quando VGS vale zero riportata nei data sheet. A questo punto è possibile osservare la caratteristica di trasferimento (figura sopra), valida per il funzionamento in saturazione, e osservare che: il JFET è interdetto se VGS è maggiore o uguale a VGS(off) = Vp il massimo valore di corrente in condizione di saturazione si ha quando VGS vale zero ed è indicato con IDSS nelle due caratteristiche5 in corrispondenza di VGS = 0 e IDSS si ha la piena conduzione; in queste condizioni, se si opera nella zona resistiva, l'inverso della pendenza della caratteristica di uscita rappresenta la resistenza rDS(on) esibita dal JFET nello stato ON quando è usato in commutazione Funzionamento in commutazione Nell'impiego da amplificatori i JFET lavorano nella zona di saturazione, dove il comportamento è lineare; in quello in commutazione invece si lavora nella zona resistiva e in interdizione. Il circuito in figura impone una retta di carico che dipende dall'alimentazione VDD e dalla resistenza RD collegate al drain. Il JFET lavorerà: in interdizione se VGS è negativa e maggiore di VGS(off) in piena conduzione (nella zona resistiva) se VGS è uguale a zero I due puntidi funzionamento si individuano incrociando la retta le caratteristiche di uscita del JFET corrispondenti ai due valori di VGS. di carico con Funzionamento da amplificatore I JFET possono essere impiegati anche come amplificatori. Come per i BJT occorre polarizzare correttamente il transistor, applicare un segnale e studiare la risposta dell'amplificatore con un circuito equivalente ai piccoli segnali. La figura sopra mostra il circuito di polarizzazione più semplice possibile dove: la resistenza RS tra source è massa è percorsa dalla corrente ID la resistenza RG collega a massa il gate ma non è percorsa da corrente la tensione VGS coincide in modulo con la caduta su RS Studiando il circuito e conoscendo la relazione tra ID, RS e VGS è possibile imporre il punto di funzionamento a riposo. La figura seguente mostra il circuito equivalente ai piccoli segnali del JFET (si tratta di un circuito in centro banda a source comune simile a quello a emettitore comune dei BJT). Osserviamo che: il gate è isolato il parametro principale è la transconduttanza il parametro rd è una resistenza differenziale che, in prima approssimazione, può essere considerata infinita (generatore di corrente ideale) I MOSFET I MOS sono i transistor più utilizzati nell'elettronica digitale perché permettono di realizzare integrati economici e a basso consumo. Sono impiegati anche nell'elettronica di potenza. Per semplicità ci soffermeremo solo sui MOS ad arricchimento (enhancement), più semplici da capire e utilizzati nella tecnologia CMOS con cui si realizzano gli integrati digitali. Struttura e funzionamento La figura seguente mostra la struttura di un MOSFET enhancement a brevemente chiamato NMOS canale n, più Il transistor è composto da: un substrato di tipo p collegato al source due zone di tipo n collegate ai terminali di source e drain uno strato di ossido di silicio (grigio scuro nel disegno) che isola il gate In questo tipo di FET il gate è isolato e gli strati di materiali - metallo del terminale di gate, ossido e semiconduttore - danno il nome al componente. Per comprendere il funzionamento del MOS supponiamo inizialmente che VGS valga zero. Applicando una tensione tra drain e source le due giunzioni substrato-source e substrato- drain non conducono e la ID è nulla (il substrato è collegato al source). Se ora applichiamo una tensione VGS positiva al gate il MOS si comporterà come un condensatore richiamando elettroni dalle tre zone e creando, oltre una soglia indicata con VGS(th), un canale di tipo n tra drain e source (grigio chiaro nel disegno). A questo source. punto, applicando una tensione VDS potrà circolare una corrente ID tra drain e Come per il JFET, per bassi valori di VDS il canale avrà un comportamento resistivo; per valori più elevati si avrà uno strozzamento dovuto al potenziale via via maggiore del terminale di drain che non permette alla corrente di aumentare. Aumentando il valore di VGS si ha un allargamento del canale e lo strozzamento avviene per valori di VDS più elevati. Caratteristiche In figura è rappresentata la caratteristica di uscita di un NMOS. La famiglia di curve che esprimono il legame tra ID e VDS è analoga a quella dei JFET ma la VGS è positiva e corrente e pendenza crescono al crescere di VGS. Anche in questo caso abbiamo una zona resistiva, a sinistra del tratteggio, e una di saturazione (attiva) a destra. La figura sopra rappresenta la caratteristica di trasferimento, questa volta posta nel primo quadrante, dove compaiono: la tensione di soglia VGS(th) (indicata anche come VT) oltre la quale il MOS passa dall'interdizione alla conduzione la corrente IDSS, di valore trascurabile, che circola quando VGS vale zero Nei data sheet è indicata anche una Ion che corrispondenza di un determinato valore di VGS. circola in pienaconduzione Diversamente dai JFET il transistor NMOS funziona con valori di VGS positivi; il circuito di polarizzazione sarà allora il seguente: in Nel funzionamento in commutazione si avrà: NMOS interdetto se VGS < VT NMOS in piena conduzione per valori sufficientemente alti di VGS Il circuito per il funzionamento ON-OFF dell'NMOS è analogo a quello del JFET e per entrambi il comportamento del transistor può essere assimilato a quello di un interruttore con in serie una resistenza rDS(on) ricavabile dai data sheet8 AMPLIFICATORE A MOSFET ANALISI CON RETTA DI CARICO DI AMPLIFICATORE A SOURCE COMUNE Applicando la legge di Kirchhoff delle tensioni alla maglia di ingresso, dato che IG=0 (sempre), posso direttamente ricavare vGS v GS (t) = vin (t) + VGG Nella maglia di uscita: VDD = R DiD (t) + vDS (t) Per vin(t)=0, l’equazione (1) fornisce: vGS=4 V. La (2) è l’equazione della retta di carico nel piano delle caratteristiche di uscita. Il punto di riposo del MOSFET è il punto di intersezione della retta di carico con la caratteristica a vGS=4 V. L’ampiezza picco-picco della tensione di uscita (vDS) è 12 V, di contro a quella della tensione di ingresso (vin) che è 2 V. Inoltre vDS è invertita rispetto a vin. vDS non è una sinusoide simmetrica: tale distorsione è dovuta al fatto che le caratteristiche iDvDS non sono uniformemente spaziate al variare di vGS. • Analisi degli circuiti amplificatori a MOSFET. • Circuito di polarizzazione a 4 resistenze. • Esempio numerico. circuito di polarizzazione a 4 resistenze è adatto per polarizzare i circuiti amplificatori discreti. La tensione e la resistenza equivalente Thevenin del circuiti di ingresso sono dati da: A differenza del caso del BJT, in questo caso R1 e R2 costituiscono un vero partitore resistivo, dato che Ig =0 L’equazione della maglia di ingresso è (IG=0): VG = VGSQ + R SIDQ Supponendo che il MOSFET operi in regione di saturazione: IDQ = K(VGSQ − VT 0 ) La soluzione simultanea delle due equazioni fornisce il punto di riposo. Il sistema (disecondo grado) ha due soluzioni in VGSQ delle quali una è minore di VT0 e come tale è da scartare. Determinati VGSQ e IDQ, l’equazione della maglia di uscita consente di calcolare VDSQ e verificare se l’ipotesi di funzionamento in saturazione è corretta (vDS> vGS-VT0): VDSQ = VDD − (R D + R S )IDQ Se si vuole tenere conto nel circuito equivalente dell’effetto di modulazione della lunghezza di canale (λ≠0) bisogna inserire tra drain e source una resistenza rd. In questo caso la id è data da STADIO AMPLIFICATORE A SOURCE COMUNE • Schema elettrico. • Circuito equivalente per piccoli segnali. • Guadagno di tensione. • Impedenza di ingresso • Impedenza di uscita. SCHEMA ELETTRICO Il segnale di ingresso è applicato al gate del MOSFET attraverso il condensatore di accoppiamento C1. L’uscita è presa sul drain e connessa al carico attraverso C2. C1, C2 e CS sono i condensatori di accoppiamento, e quindi si possono considerare corto-circuiti alle frequenze del segnale (centrobanda). Il source è pertanto a massa per i segnali. R1, R2, RD e RS formano una rete di polarizzazione a 4 resistenze. CIRCUITO EQUIV. AI PICCOLI SEGNALI Per costruire il circuito equivalente ai piccoli segnali dell’amplificatore a source comune si deve sostituire: 1) ai condensatori dei corto- circuiti; 2) al MOSFET il suo circuito equivalente per piccoli segnali; 3) ai generatori indipendenti di tensione DC dei corticircuiti (dal momento che su di essi la variazione di tensione, ossia il segnale, è sempre nullo per qualsiasi variazione di corrente). Per semplificare lo schema equivalente così ottenuto, possiamo definire RG= R1||R2 ed RL’= RC||RL (NB: noi trascuriamo rd, che è analogo al considerare rd infinita) GUADAGNO DI TENSIONE La tensione di ingresso vin coincide con vgs: La tensione di uscita è data dalla caduta di tensione su RL’ : v o = −gm v gsR′L Dividendo membro a membro si ottiene il guadagno di tensione: Av è negativo e in modulo può essere molto maggiore di uno: ciò significa che l’amplificatore a source comune è un amplificatore di tensione invertente. IMPEDENZA DI INGRESSO L’impedenza di ingresso è facile da calcolare e risulta: Zin = R G = R 1 || R 2 Zin dello stadio dipende solo da resistenze di polarizzazione (e non dai parametri del MOSFET). Ciò si traduce in un vantaggio rispetto agli stadi amplificatori a BJT. SOURCE FOLLOWER •Il segnale di uscita è prelevato dal source del MOSFET e trasferito in uscita tramite C2. •La resistenza di drain non serve in questo circuito. Circuito equivalente a piccolo segnale a centro banda (ciò significa che ZC1 e ZC2 sono corto-circuiti): •RG= R1||R2 e RL’= RS||RL ||rd; v o = gm v gsR ′L vin = v gs + v o = v gs + gm v gsR ′L IMPEDENZA DI USCITA Per il calcolo dell’impedenza di uscita il generatore di segnale deve essere sostituito da un cortocircuito. In queste condizioni vgs=0 e pertanto anche gmvgs =0, da cui (NB noi non consideriamo rd): Zo = RD COMPONENTI ELETTRONICI DI POTENZA COMPONENTI ELETTRONICI DI POTENZA 1. Classificazione 2. Diodo 3. Tiristore 4. GTO 5. BJT 6. MOSFET 7. IGBT 8. MCT I componenti di potenza a semiconduttori attualmente disponibili si possono così classificare: •Diodi: accensione e spegnimento controllati dal circuito esterno di potenza (diodo, diodo Schottky ). •Tiristori: accensione controllata da un segnale esterno spegnimento controllato dal circuito esterno di potenza SCR,TRIAC, ASCR, RCT). (Interruttori controllati: accensione e spegnimento controllati da un segnale esterno (Bipolar Junction Transistor (BJT), Metal-Oxide-Semiconductors Field Effect Transistor (MOSFET), Gate Turn Off (GTO) Thyristor, Insulated Gate Bipolar Transistor (IGBT), Mos Controlled Thyristor (MCT). DIODO Il diodo è composta da una unica giunzione p-n. iA C A Anodo Simbolo Lo stato del diodo dipende solamente dalla polarizzazione del componente. Polarizzazione diretta: conduzione. Polarizzazione inversa: interdizione. p n Anodo Catodo La struttura del diodo di potenza è diversa da quella del diodo di segnale e prevede l’impiego di due zone n con diverso grado di drogaggio. p nn+ Catodo DIODO: TIPOLOGIE Esistono diodi Line Frequency, diodi Fast Recovery e diodiSchottky. I diodi Line Frequency hanno solitamente tensione di blocco inversa elevata (6÷7 kV) e possono portare elevate correnti dirette (5÷ 6 kA), pur mantenendo piccole cadute in conduzione. I diodi Fast Recovery arrivano a tensioni di blocco inverse minori (inferiori al kV) ed a correnti in conduzione più piccole (inferiori al kA), ma sono più veloci. Un diodo veloce è il diodo Schottky che presenta minime cadute dirette (circa 0.3 V), ma basse tensioni di blocco inverse (100V) ed elevate correnti di perdita in inversa. i D C A + v D - TIRISTORE (SCR) Il tiristore è composto da tre giunzioni p-n. Lo stato del tiristore dipende dalla polarizzazione del componente e dal segnale di comando del Gate. E’ chiamato anche SCR (Silicon Controlled Rectifier) o diodo controllato. Quando polarizzato in inversa si comporta come diodo, quando polarizzato in diretta ha un comportamento che dipende dal valore della corrente di gate. In particolare, non conduce fino all’arrivo di un impulso di corrente di gate, dopo di ché rimane in conduzione, fino alla polarizzazione inversa. Può dunque essere posto in conduzione mediante controllo della corrente di gate ma non può spento allo stesso modo (non è possibile il passaggio forzato dalla caratteristica di conduzione diretta a quella di blocco diretto). Tiristore (SCR): caratteristica statica ideale Il componente presenta, oltre che allo stato di conduzione diretta e interdizione inversa del diodo lo stato di interdizione diretta L’impulso di corrente di Gate consente il cambio di stato in una sola direzione. Tiristore (SCR): punto di funzionamento TIRISTORE (SCR) La corrente di holding ih è la minima corrente diretta che mantiene il tiristore in conduzione; al di sotto di tale valore il componente si porta nella condizione di blocco diretto. In generale vi sono vari meccanismi che possono innescare (porre in conduzione) accidentalmente un tiristore (inneschi accidentali sono ovviamente da evitare). Elevati valori di tensione diretta Elevate derivate di tensione diretta. Elevata temperatura di giunzione L’impossibilità di spegnere con un comando di gate un tiristore rende necessario l’uso di opportuni circuiti di spegnimento aggiuntivi che ottengono lo scopo forzando la polarizzazione inversa del componente solitamente mediante condensatori. •Non può essere utilizzato per elevatissime frequenze di commutazione (componente lento, frequenza di commutazione< 1 kHz); • piccole cadute in conduzione (1.5 V – 3.0 V); • tensione di breakdown (diretta e inversa) elevata (7÷8 kV); • consente il passaggio di elevate correnti (3.5÷4 kA); • di conseguenza può gestire grandi potenze. Per velocizzare l’entrata in conduzione è opportuno che il fronte di salita dell’impulso di gate sia molto ripido. Questo è importante ad elevate frequenze di commutazione. Solitamente non si da un unico impulso ma un treno di impulsi, per evitare elevate perdite e possibili spegnimenti involontari. TRIAC Possiede le caratteristiche di due tiristori in antiparallelo, col vantaggio di essere un componente unico, compatto, . su un solo chip di silicio TRIAC: caratteristica statica ideale La caratteristica statica è antisimmetrica ed è funzione della corrente di gate, che può avere segno positivo o negativo, comandando l’accensione di uno e l’altro tirisistore, il comando permette l’accensione di uno dei due tiristori, ma non lo spegnimento, che avviene solo mediante polarizzazione inversa TRIAC: PUNTO DI FUNZIONAMENTO I Triac raggiungono tensioni di blocco di 1500 V con correnti di 100 A. I limiti sono: • bassissima frequenza di commutazione; • difficoltà di funzionamento con basso fattore di potenza. Sono utilizzati come variatori di tensione per l’illuminazione. DIAC Il DIAC è utilizzato solitamente per innescare il gate di un Triac o Scr Dal punto di vista funzionale può essere pensato come l'accoppiamento di due diodi zener in antiserie. In pratica il Diac presenta un elevata impedenza fino ad un valore soglia di differenza di potenziale oltre la quale l'impedenza crolla, permettendo un elevato flusso di corrente. A differenza dei normali diodi, il Diac non è polarizzato, ovvero è bidirezionale. Diac sono principalmente utilizzati come dispositivi di innesco in applicazioni di controllo di fase e di controllo di potenza variabile perché un diac fornisce un impulso di innesco più nitido e immediato Il simbolo Diac e le curve caratteristiche tensionecorrente del diac sono riportati di seguito; nelle caratteristiche si evidenziano le zone a impedenza negativa in cui la tensione diminuisce ma la corrente aumenta Per i diac la tensione di rottura varia tipicamente da circa ± 25 a 35 volt. Poiché il diac è un dispositivo simmetrico ( stessa caratteristica per tensioni positive e negative) è adatto come dispositivo di azionamento per SCR o triac. CONTROLLO DI FASE Quando la tensione di carica raggiunge la tensione breakdown del diac (circa 30 V), il diac rompe e il condensatore si scarica attraverso il diac, producendo un impulso improvviso di corrente che manda il triac in conduzione. L'angolo di fase in cui viene attivato il triac può essere variata utilizzando VR1 , che controlla la velocità di carica del condensatore. In corrispondenza del semi ciclo negativo si ripete il processo TRIAC CONDUZIONE DI FORME D'ONDA Si è visto che il Diac è un dispositivo molto utile che può essere utilizzato per attivare il triac e per le sue caratteristiche di resistenza negativa questo consente di passarein "ON" rapidamente una volt che si è a raggiunto un certo livello di tensione applicata. ASCR (TIRISTORE ASIMMETRICO) Denominato ASCR (Asymmetrical Silicon Controlled Rectifir) è un tirisistore con ridotta capacità di blocco inverso. La particolare costruzione consente però di migliorare le caratteristiche di conduzione diretta e soprattutto rendere il componente più veloce. A causa della ridotta capacità di blocco inverso è solitamente protetto mediante un diodo collegato in antiparallelo. RCT. L’RCT (Reverse Conducting Thyristor) ha la stessa struttura del tiristore asimmetrico e gli stessi vantaggi, ma contiene, sullo stesso chip, anche il diodo in antiparallelo. Protezione mediante Diodo in Antiparallelo Consideriamo un generico componente di morsetti A e K. Collegato in antiparallelo vi è un diodo. Quando la tensione Vak è maggiore di 0 (componente polarizzato in diretta) il diodo è polarizzato in inversa e non ha alcun effetto. Quando la tensione vAK tende diventare negativa (componente polarizzato in inversa) il diodo è polarizzato in diretta, entra in conduzione lasciando fluire una corrente da K ad A, mantenendo la vAK limitata a pochi Volt. Lo stato del GTO dipende dalla polarizzazione del componente e dal comando del Gate. Esistono due versioni di GTO che differiscono nella caratteristica blocco: 1)Il GTO Simmetrico, ha una caratteristica inversa di blocco uguale un tiristore. 2)Il GTO Asimmetrico con anodo-emettitore cortocircuitato, con capacitàdi blocco alla tensione inversa. segnale di inversa di a quella di ridotta GTO (GATE TURN-OFF THYRISTOR) Quando polarizzato in inversa si comporta come diodo, quando polarizzato in diretta ha un comportamento che dipende dal valore della corrente di gate. In particolare, polarizzato in diretta, rimane in interdizione diretta fino all’invio di un impulso di corrente positiva al Gate. Rimane in conduzione fino alla polarizzazione inversa o fino all’invio di un impulso di corrente negativa al Gate. Può dunque essere posto in conduzione mediante controllo della corrente di gate e può anche essere spento allo stesso modo. GTO (Gate Turn-Off Thyristor): caratteristica statica ideale, reale Come il Tiristore, Il Componente presenta oltre allo stato conduzione diretta e interdizione inversa del diodo,lo stato di interdizione diretta. L’impulso di corrente di Gate consente il cambio di stato nelle due direzioni. GTO (Gate Turn-Off Thyristor): punto di funzionamento I G.T.O. sono costruiti per tensioni fino a 6÷7 kV e correnti fino a 4÷5 kA e possono arrivare a frequenze di commutazione di 10 kHz. • Presenta piccole cadute in conduzione (3÷4 V); • come il tiristore è adatto per gestire grandi potenze. IGBT (Insulated Gate Bipolar Transistor) Lo stato dell’IGBT dipende dalla polarizzazione del componente e dal segnale di comando in tensione del Gate. IGBT (INSULATED GATE BIPOLAR TRANSISTOR) E’ uno dei componenti più usati. Questo componente offre alcuni vantaggi dei MOSFET, BJT e GTO combinati. Come il MOSFET è controllato in tensione, ha elevata impedenza di Gate, quindi piccole perdite per il controllo. Come il BJT ha piccole cadute in conduzione (2÷5 V), Come il GTO può resistere a tensioni inverse. II tempi di commutazione sono dell’ordine di 1 Microsec (componente veloce, fino a 30 kHz). I limiti attuali sono 2500 V, 1000 A. IGBT (Insulated Gate Bipolar Transistor): caratteristica statica ideale - reale Il Componente presenta oltre allo stato conduzione diretta e interdizione inversa del diodo,lo stato di interdizione diretta. Il controllo della tensione di gate consente lo scambio di stato nelle due direzioni MCT (MOS Controlled Thyristor) Lo stato del MCT dipende dalla polarizzazione del componente e dal segnale di comando in tensione del Gate. MCT (MOS CONTROLLED THYRISTOR) E’ un componente nuovo che ha molte caratteristiche del GTO: •piccole cadute; •rimane in conduzione anche senza segnale di gate. Rispetto al GTO: • è più semplice da pilotare in quanto è controllato in tensione; • richiede minima potenza per il controllo; • commuta più velocemente; •è, per ora, disponibile solo per potenze minori. Si raggiungono i 1700 V con 300 A. MCT (MOS Controlled Thyristor): caratteristica statica ideale - reale Il Componente presenta oltre allo stato conduzione diretta e interdizione inversa del diodo,lo stato di interdizione diretta. L’impulso di tensione di gate consente il cambio di stato nelle due direzioni ALIMENTATORI COS’È UN ALIMENTATORE? Apparato in grado di fornire una o più tensioni richieste al funzionamento di altre attrezzature, partendo dalla rete elettrica (in Europa: alternata a 220 V,50 Hz). Caratteristiche essenziali: - Tensione o tensioni fornite in uscita - Corrente massima - Possibilità di regolazione della tensione in uscita - Protezione contro i sovraccarichi - Strumenti misuratori - Stabilizzazione delle tensioni - Ripple residuo in alternata rispetto alla continua Si hanno Alimentatori lineari -Formati da trasformatore, raddrizzatore, filtro livellatore ed eventuale regolatore -Basso rendimento energetico (30-60%, dissipazione di calore notevole) -Ripple molto ridotto -Adatto per applicazioni di precisione (alimentatori da laboratorio, impianti hi-fi,..) Alimentatori switching o a commutazione -Tensione di rete raddrizzata e livellata, quindi applicata ad un oscillatore ad alta frequenza (10-100 KHz), poi trasformata a bassa tensione e raddrizzata e livellata -Minore ingombro e peso a parità di potenza -Rendimento maggiore (80-90%) -Ripple residuo più elevato -Capaci di accettare valori differenti di tensione in ingresso (115 V –230 V) ALIMENTATORE STABILIZZATO Il " TRASFORMATORE " provvede di norma ad abbassare il valore della tensione di ingresso (220 Veff.) ad un valore compatibile con la tensione che deve alimentare il carico V1 / V2 = N1 / N2(rapporto trasformazione) V2 = V1 · N2 / N1 PONTE RADDRIZZATORE " (in questo caso a doppia semionda, detto anche "ponte di Graetz") provvede a rendere unidirezionale la corrente in un carico, generando un tensione di uscita pulsante. VR = Vin – 1,2 volt FILTRO ( tensione presente sul carico R ). DI LIVELLAMENTO Se si pone in uscita del ponte di diodi e in parallelo al carico un condensatore di alta capacità (dell’ordine di migliaia di microfarad) L’andamento della tensione ai capi del condensatore e del carico sarà di tipo ondulatorio, variabile tra un valore VCMax e VCMin . La bontà di un alimentatore si misura quantificando il valore V= VCMax - VCMin (Ripple; ondulazione) che deve essere il più basso possibile. In parallelo al condensatore di grossa capacità (>1000µF elettrolitico), si pone un condensatore in poliestere ro capacitivo con valore di C più basso (10 – 100 µF) è posto anche all’uscita dello stabilizzatore per migliorare ulteriormente la VOUT. Stablizzatore (o regolatore di tensione) tende a mantenere costante la tensione d’uscita VR sul carico al variare, entro certi limiti. Dati del costruttore: IADJ =50μA, Vref = 1,25 Volt (tensione tra il pin OUT e il pin ADJ ) La differenza tra la VIN e la VOUT si definisce tensione di “DROPOUT” ed è il valore minimo della tensione tra ingresso e uscita che garantisce un corretto funzionamento dello stabilizzatore. VD = VIN – VOUT ( consigliabile un valore non inferiore a 5 Volt ). Raddrizzatore a semplicesemionda D = Diodo raddrizzatore R = Resistenza di carico La tensione sinusoidale, fornita dal trasformatore, viene raddrizzata dal diodo D, che conduce in un solo verso, producendo le semionde positive. RADDRIZZATORE A DOPPIASEMIONDA D1, D2 = Diodi raddrizzatori R = Resistenza di carico La tensione sinusoidale, fornita dal trasformatore a presa centrale, viene raddrizzata dai diodi D1 e D2, producendo due tensioni sfasate di 180 gradi, singolarmente raddrizzate. RADDRIZZATORE A PONTE DI DIODI (PONTEDI GRAETZ) 4 Diodi raddrizzatori R = Resistenza di carico La tensione sinusoidale, utilizzando un trasformatore senza presa centrale e una configurazione con 4 diodi raddrizzatori, produce una tensione somma di 2 semionde. Ogni diodo produce una caduta di tensione di circa 0.7 V. Per 2 diodi, come in un ponte, la caduta è 1.4 V. Con una tensione alternata di 14 V, si ottiene una tensione pulsata di 14-1.4 =12.6 V Livellamento della tensione Da tensione pulsata a tensionecontinua Livellamento mediante un condensatore elettrolitico Per un ponte raddrizzatore, la tensione continuasarà: Vcc = (Vac-1.4) x 1.41 Vac = tensione efficace La capacità del condensatore sarà di alcune migliaia di microfarad . STABILIZZAZIONE DELLA TENSIONEMEDIANTE CIRCUITI INTEGRATI REGOLATORI DITENSIONE Esempio di circuito con integrato LM78xx (xx= valore della tensione, ad esempio LM7805 stabilizza a + 5V,…) STABILIZZAZIONE DELLA TENSIONEMEDIANTE CIRCUITI INTEGRATI REGOLATORI DI TENSIONE, AD USCITA VARIABILE ESEMPIO DI CIRCUITO CON INTEGRATOLM117 CIRCUITO DI UN ALIMENTATORESTABILIZZATO DUALE A TENSIONE FISSA (+/-12 V) Utilizzo di regolatori di tensione LM7812 (positivo) e LM7912 (negativo) D1, D2 = diodi di protezione SCHEMA DI PRINCIPIO DI UNALIMENTATORE SWITCHING DEL TIPO«FORWARD» SW= elemento commutatore (transistor operante in interdizione (ON/OFF) a frequenze alte D = diodo Schottky L = Induttanza C = Condensatore elettrolitico Diodo e induttanza mantengono carico il condensatore elettrolitico C durante la fase di conduzione del transistor SCHEMA DI PRINCIPIO DI UN ALIMENTATORE SWITCHINGDEL TIPO «FLYBACK» SW= elemento commutatore (transistor operante in interdizione (ON/OFF) a frequenze alte D = diodo raddrizzatore L = Trasformatore C = Condensatore elettrolitico Schema pratico di un alimentatore switching di tipo «flyback» Elemento di commutazione realizzatomediante l’integrato LM2588 Progettazione: Alimentatore con raddrizzatore ad una semionda e filtro capacitivo 1) Vripple picco picco = Vrpp = Vo/(f*R*C) 2) Vefficace ondulazione = Vr = Vrpp/(2*1,73) 3) Ripple = Vr/Vo = 1/(2*1,73*f*R*C) 4) Vumax= Vo + Vrpp/2 5) Vmax a valle del diodo = VM=Vo+Vd+Vrpp/2 8) Progetto del condensatore C = 1/(2*1,73*f*R*r) 9) Vinmax = 2Vmax 10)Idmax = 2Io*(T/T’) 11)Vsec= Vmax/1,41 12)Rapporto spire m = Vp/Vs 6) Idmax = 2Io*(T/T’) Alimentatore con raddrizzatore a doppia semionda e filtro capacitivo 1) Vripple picco picco = Vrpp = Vo/(2*f*R*C) 2) Ripple = Vr/Vo = 1/(4*1,73*f*R*C) 3) Idmax = 2Io*(T/T’) 5) Vmax a valle del diodo = VM=Vo+2Vd+Vrpp/2 6) Vsec= Vmax/1,41 10)Rapporto spire m = Vp/Vs PIC 16F84 IL MICROCONTROLLORE Un microcontrollore (µC ) è un dispositivo di elaborazione dati simile al microprocessore (µP ). Sul µP sono basati tutti i calcolatori dai personal computer ai mainframe. Sul µC sono basati dispositivi per scopi industriali o per applicazioni particolari (autronica, domotica) IL ΜP CONTIENE : • Una ALU (Arithmetic Logic Unit ) dove avvengono i calcoli • diversi Registri per la memorizzazione temporanea dei dati e la gestione delle istruzioni • Un bus interno ad alta velocità • circuiti di controllo e di temporizzazione per coordinare tutte le attività • tre bus ( Data Bus , Address Bus , Control Bus ) per comunicare col mondo esterno ( dispositivi di memoria dispositivi di ingressouscita) IL ΜP HA BISOGNO PER FUNZIONARE : • Di un’ampia area di memoria esterna sia di lavoro (RAM) che di massa (hard disk ecc ) , dato che tratta grandi quantità di dati • Di interfacce verso dispositivi esterni di Input (tastiera, mouse,scanner, hard disk, floppy , microfoni ….) • Di interfacce verso dispositivi esterni di Output ( monitor, stampante, altoparlanti, hard disk, floppy,modem ……) • Di potenza di alimentazione anche di decine di watt IL ΜC INVECE POSSIEDE SU UN UNICO CHIP: • Una CPU RISC • Una piccola memoria di programma (EPROM-EEPROM) • Una piccola memoria di lavoro RAM ( alcuni KB) • Porte di ingresso/uscita • Contatori, timer, convertitore A/D • Uart, Pwm, interfacce di comunicazione di vari tipi Contiene cioè, sia quello che possiede un µP (anche se in quantità molto ridotta), sia parti che il µP non possiede. Ha ingombro minimo e richiede poca potenza di alimentazione. RISC SIGNIFICA : Reduced Instruction Set Computing Elaborazione con insieme di istruzioni ridotto. Le istruzioni perciò : • Sono poche decine • Sono eseguite molto velocemente • non serve un clock molto elevato per un efficiente funzionamento ( dai 4-8 MHz per i tipi più semplici, fino a 33-50 MHz per i tipi più evoluti) IL MICROCONTROLLORE PIÙ DIFFUSO È IL PIC16F84 DELLA MICROCHIP TECHNOLOGY PIC = Peripheral Interface Controller (Controllore di periferiche programmabile) Il programma risiede in una EEPROM FLASH ( Electrically Erasable Programmable Read only Memory ) è modificabile immediatamente anche senza togliere l’integrato dal circuito (modalità in-circuit ) IL PIC16F84 CARATTERISTICHE : • Set di 35 istruzioni a 14 bit, eseguite ognuna in 4 cicli di clock • Bus dati a 8 bit • Clock fino a 20 MHz • Memoria di programma EEPROM: 1024 locazioni da 14 bit • 36 registri da 8 bit • 15 registri specializzati • 68 byte di EEPROM dati memorizzabili IL PIC16F84 Altre caratteristiche : • Stack a 8 livelli ( consente il richiamo di subroutine ) • 13 linee di I/O divise in due porte : porta A : RA0-RA4 (5 bit) porta B : RB0-RB7 (8 bit) Le porte forniscono : 25 mA in sink 20 mA in source (RA4 solo sink) • Contatore – temporizzatore programmabile a 8 bit con prescaler a 8 bit • Linee di interrupt sulla porta B IL PIC16F84 Altre caratteristiche : • autoreset all’accensione. • La possibilità di stare in modo SLEEP ( a bassissimo consumo) • Il codice del programma può essere reso inaccessibile alla lettura. • Un Watch-dog Timer (temporizzatore “cane da guardia”) che evita il blocco del funzionamento. PIN FUNCTION - PIEDINATURA •OSC1/CLKIN : oscillator crystal input •OSC2/CLKOUT : oscillator crystal output •MCLR : master clear (reset) •RA0 – RA4 : 5 linee porta A •RB0 – RB7 : 8 linee porta B •Vss : massa •Vdd : alimentazione positiva OSCILLATORE A QUARZO PER IL CLOCK L’oscillatore del PIC può funzionare in quattro modi : LP Low Power Crystal 32 KHz – 200 KHz XT Crystal/Resonator 100 KHz – 4 MHz HS High Speed Crystal/Resonator 8 MHz – 20 MHz RC Resistor Capacitor Si può usare un quarzo o un risonatore ceramico, a varie frequenze, oppure un circuito RC con scarsa precisione in frequenza. Occorre scegliere un modo, sia per costruire il circuito, sia per impostare le opzioni del dispositivo programmatore : l’opzione più comune è XT . LA STRUTTURA INTERNA E I REGISTRI DEL PIC 16F84 20 ALCUNE SEZIONI DEL ΜC • Program Counter : contatore che punta alla successiva istruzione da eseguire tra quelle contenute nel Program Memory • Instruction Register : registro che contiene le istruzioni eseguibili; le confronta con il Program Memory e le dà per l’esecuzione alla ALU • ALU : esegue calcoli matematici e logici sui dati in ingresso e deposita i risultati di calcolo nell’Accumulatore LA MEMORIA INTERNA DEL PIC16F84 • Ci sono 2 tipi di memoria: – La Memoria del Programma (Program Memory) di tipo EEPROM, con 1024 locazioni da 14 bit ciascuna (0000h a 03FFh). – La Memoria dei Dati (Data Memory), a sua volta suddivisa in: – Memoria RAM di uso generale – Registri con Funzioni Speciali (SFR), (di tipo static RAM) – Memoria dati di tipo EEPROM (64 bytes) I REGISTRI MAPPATI IN MEMORIA (1) I registri (chiamati Register File) sono celle, locazioni, di memoria dove il µC legge e scrive valori fondamentali per il funzionamento. Sono celle che hanno un indirizzo esadecimale ( h ); si dice che sono mappati in memoria. Ad esempio scrivendo/leggendo nelle locazioni 05h e 06h si scrive/legge nelle porte A e B. 2 2 I REGISTRI MAPPATI IN MEMORIA (2) Se si programma il PIC in linguaggio macchina (Assembler) occorre precisare molti dettagli peri registri, con istruzioni da mettere all’inizio del programma. Se si usa un linguaggio ad alto livello (Basic), le istruzioni da aggiungere sono minori. Tuttavia la mappa di memoria ( cioè l’allocazione dei registri) deve sempre essere conosciuta. LA PROGRAMMAZIONE DEL PIC IN LINGUAGGIO ASSEMBLER • • Il programma per il PIC si può scrivere in linguaggio assembly o assembler , usando direttamente le 35 istruzioni riconosciute dal PIC. • Il programma si scrive come un file di testo . Esso viene convertito in codice binario da un programma chiamato Assemblatore. Il file creato contiene codici esadecimali e ha estensione .HEX • Per trasferire poi il file HEX nella memoria di programma del PIC occorre un dispositivo • Chiamato Programmatore • Si usa un PC per • per scrivere il testo del programma ,con un editor di testi ( non usando Word! ) • • per convertirlo in codice eseguibile, usando l’Assemblatore • per scriverlo nel PIC, usando un Programmatore. LA PROGRAMMAZIONE DEL PIC IN LINGUAGGIO AD ALTO LIVELLO Il programma per il PIC si può scrivere usando un Compilatore ad alto livello , ossia un software che usa istruzioni a livello più elevato, per velocizzare e facilitare la stesura del programma . Il Compilatore può essere •in linguaggio BASIC ( ad esempio il PicBasic) •in linguaggio C •di tipo grafico, ossia che usa simboli grafici al posto delle istruzioni. Ad esempio usa il simbolo di una porta AND al posto dell’istruzione assembler equivalente . •Due esempi di compilatori grafici sono il Visual Parsic e il Proton+. I compilatori devono essere acquistati ; i più semplici in Basic o C sono a basso costo o anche freeware. Un ottimo compilatore c++ è il PICLITE della HiTech, che offre una versione di prova detta Lite , cioè con condizioni limitate . PROGRAMMAZIONE FISICA DEL PIC (2) Dopo aver scritto il programma , cioè il codice sorgente, lo si compila con il MPASM : viene creato un file oggetto con estensione .HEX, il quale deve essere caricato nella memoria di programma del PIC, inserito in uno zoccolo del programmatore ( sistema out of circuit). Per caricare il file .HEX nella memoria programma del PIC occorre: •Un personal computer •Un programmatore •Il software di gestione del programmatore L’OPERAZIONALE: configurazioni principali • Amplificatore invertente • amplificatore non invertente • Inseguitore • sommatore invertente • Sommatore non invertente • differenziale • Comparatore a finestra • Comparatori con isteresi • Trigger di schmith invertente e non invertente • Convertitore frequenza-tensione • Generatori a onda quadra astabile e monostabile • Generatore di onda triangolare: circuito teorico • oscillatori: a ponte di wien Amplificatore invertente L’analisi di questo circuito può essere facilitata ricordando che l’impedenza d’ingresso di un operazionale ideale è infinita. L’impedenza d’ingresso infinita implica infatti una corrente d’ingresso nulla. Grazie inoltre al guadagno infinito tra i due ingressi non vi è alcuna caduta di tensione e pertanto, essendo l’ingresso non invertente a massa, anche la tensione all’ingresso invertente sarà zero. Per tale motivo si dice che l’ingresso invertente rappresenta una “massa virtuale”, ovvero a tensione nulla, come l’altro ingresso. Inoltre, poiché l’impedenza d’ingresso è infinita, la corrente attraverso Z1 sarà uguale a quella in Z2. I2 Z2 Z1 VIN 0V I1 VIN VO I1 = I2 Z2 Z1 IIN = 0 VO Si noti che le impedenze Z possono essere delle semplici resistenze oppure delle reti reattive anche complesse: in entrambi i casi varranno le formule d’ora in poi indicate I2 in sintesi: I1 VIN Z2 I1 = VIN / Z1 I2 = -VO /Z2 Z1 VO IINV = 0 VINV = 0 ma... I2 = I1 e quindi ingresso 50mV/div -VO / Z2 = VIN/Z1 da cui VO / VIN = - Z2/ Z1 e quindi inversione del segnale uscita 2V/div A V = - Z2 / Z1 guadagno di tensione ad anello chiuso Amplificatore non-invertente Applicando il segnale da amplificare all’ingresso non invertente e collegando le impedenze di retroazione fra uscita, ingresso invertente e massa, si ottiene lo schema riportato in figura, chiamato amplificatore noninvertente poiché il segnale d’uscita risulta in fase con quello d’ingresso. VIN 0V VO Z2 Z1 I1 = I2 Per analizzarne il funzionamento occorre partire dai medesimi presupposti già visti per l’invertente ovvero che, grazie alla resistenza d’ingresso infinita, risulta IIN = 0. Ne consegue che Z1 e Z2 sono percorse dalla medesima corrente. Ricordando poi che i due ingressi sono al medesimo potenziale (Av = infinito) si ha che la tensione ai capi di Z1 è uguale al segnale d’ingresso VIN. Z1·I1=VIN La tensione d’uscita sarà quindi la somma delle tensioni ai capi di ZI e Z2, ovvero: Vo = Z1·I1 + Z2·I1 = VIN + Z2·(VIN/Z1) = VIN·(1 + Z2/Z1) Si può quindi dedurre che il guadagno AV = VO/VIN è dato da: AV = 1 + Z2 / Z1 Si noti che - in base alla formula ottenuta - il guadagno non potrà mai essere inferiore all’unità, e se si desidera ottenere un guadagno unitario occorre porre Z2 = 0 oppure Z1 infinita (oppure ancora entrambe le condizioni). VIN AV = 1 + Z2 / Z1 VO Z2 Z1 ingresso 50mV/div I1 = I2 segnale amplificato Questa configurazione presenta un’impedenza d’ingresso infinita ed una resistenza d’uscita pressochè nulla; per questo motivo l’amplificatore non-invertente viene spesso usato come “buffer” per isolare la sorgente di segnale dal carico, in modo da evitare “effetti di carico” indesiderati. uscita 2V/div Inseguitore Dalle considerazioni viste a proposito dell’amplificatore non-invertente circa le condizioni che permettono di ottenere un guadagno unitario, si può disegnare lo schema del cosiddetto “inseguitore”, riportato in figura. A = 1, z2 = 0, Z1 = ∞ Vin Vout si tratta di un circuito in grado di riprodurre in uscita esattamente il segnale d’ingresso. Esso viene anche definito un “buffer” a guadagno unitario. Vout = Vin Spesso occorre infatti separare (si dice anche “disaccoppiare”) il carico dalla sorgente del segnale, ad esempio quando occorre un adattamento di impedenza fra l’uno e l’altro. Proprio poiché questo circuito non modifica il segnale . applicato, a primo avviso può sembrare che non serva a nulla. In realtà, invece, esso presenta un notevole vantaggio: amplifica la corrente, ed è quindi in grado di pilotare un carico di bassa impedenza, senza sovraccaricare la sorgente del segnale, utile qualora essa sia costituita da un trasduttore in grado di erogare poca corrente Parametri degli amplificatori Ri, Rout, G, G*B) La tensione di uscita dell'amplificatore non invertente realizzato con operazionale risulta direttamente proporzionale alla tensione applicata in ingresso, secondo la semplice formula di calcolo: la presenza di retroazione ha abbassato il guadagno del circuito, ma non ha eliminato la saturazione, che resta sempre e comunque un limite fisico insuperabile del componente operazionale. La caratteristica ingresso-uscita dell'amplificatore (con il taglio evidente dovuto alla saturazione) è mostrata in figura Il discorso può essere ripetuto pressoché identico anche per l'amplificatore invertente. Anche in questo caso la formula vale uscita solo fintanto ché la tensione in non raggiunge Vsat Sommatore invertente V1 V2 V3 R1 Il circuito detto “sommatore” può essere considerato una Rf variante dell’amplificatore invertente, nel caso in cui vengano applicati più segnali d’ingresso. R2 R3 Vout Nella figura a lato è riportato lo schema di un sommatore a tre ingressi. R5 Un tipico impiego di questo circuito è ad esempio quello dei mixer audio, dove in uscita si desidera avere una “miscelazione” di più sorgenti sonore. Il segnale d’uscita di questo circuito è, istante per istante, proporzionale alla somma algebrica (cambiata di segno) delle tensioni di ingresso V1 V2 I1 R1 I2 R2 I3 R3 IT Funzionamento RF Le tensioni V1 V2 V3 applicate agli ingressi danno origine alle rispettive correnti I1 I2 I3. 0V V3 VO R5 IT = I1 + I2 + I3 e poiché: se R1 = R2 = R3 = Rf Ovvero: Grazie all’impedenza di ingresso infinita e al concetto di “massa virtuale” prima esposti, l’ingresso invertente si trova all’incirca a 0 V e pertanto nessuna corrente entrerà in tale ingresso, ma fluirà tutta verso l’uscita. VO = – IT R F VO = – ( I1 + I2 + I3 ) ·RF VO = – ( V1 / R + V2 / R + V3 / R ) R VO = – (V1 + V2 + V3 ) L’equazione mostra che la tensione d’uscita, istante per istante, è la somma delle tensioni d’ingresso. Se gli ingressi fossero n, l’equazione diventerebbe VO = – (V1 + V2 + ••• + Vn ) SOMMATORE NON INVERTENTE Per analizzarlo, usiamo sovrapposizione degli effetti, applicando prima il solo ingresso V1: Se si sceglie R1 = R2 = R si ha subito che: Poiché gli ingressi non assorbono corrente, le resistenze R1 e R2 risultano collegate in serie per cui La resistenza di ingresso, scegliendo R1 = R2 = R e pari a: Rin = R1 + R2 = 2 R Amplificatore differenziale Abbiamo visto che le principali configurazioni di amplificatori in cui il segnale d’ingresso viene applicato ad un solo ingresso, sono invertente oppure non invertente. Applicando invece i segnali ad entrambi gli ingressi dell’Op Amp si realizza un particolare tipo di amplificatore, detto “differenziale”, in quanto amplifica la differenza fra i due segnali. Per analizzare questo circuito si può applicare il principio di sovrapposizione degli effetti, per cui si ha che la tensione V- misurata all’ingresso invertente vale: R2 V1 V2 R1 R3 Vo R4 V- = V1·R2/(R1+R2) + Vo·R1/(R1+R2) mentre: V+ = V2·R4/(R3+R4) ma, grazie all’equipotenzialità degli ingressi, possiamo porre: V+ = V- Uguagliando quindi le due espressioni, si può notare in particolare che, se si fa sì che R2/R1 = R4/R3 (ovvero si realizza un “differenziale bilanciato”) si ottiene che: Vo = (V2-V1)·R2/R1 ovvero Ad = Vo/(V1-V2) = R2/R1 Mentre le configurazioni invertente e non-invertente vengono utilizzate con uno degli ingressi a massa, nell’amplificatore differenziale viene amplificata l’effettiva differenza fra i due segnali V1 e V2, anche se non riferiti a massa Quindi, se a V1 e V2 viene applicata la medesima tensione, essa non viene amplificata. Si noti che i due segnali d’ingresso non sono necessariamente continui, bensì la formula prima ricavata vale anche nel caso in cui V1 e V2 siano comunque variabili nel tempo. R3 V1 V2 R1 R2 Vout R4 Ciò significa che V1 e V2 possono essere anche segnali fra di loro molto differenti; ad esempio V1 può essere sinusoidale e V2 triangolare, oppure ancora V1 una tensione continua e V2 un’onda quadra. COMPARATORE A FINESTRA Questo circuito non può funzionare "a vuoto" (cioè senza carico), ma solo in presenza di una resistenza RL che garantisce un passaggio di corrente sufficiente per polarizzare i due diodi in zona diretta . Quando Vrf2 < Vi < Vrf1 (Vi compresa fra le due tensioni di riferimento), entrambi gli operazionali A1 e A2 saturano a -Vsat e dunque D1 e D2 sono in interdizione (Vout = 0V). Se Vi < Vrf2, l'operazionale A2 satura a +Vsat e porta in conduzione il diodo D2: in questo caso dunque Vout= +Vsat (a meno della caduta di tensione sul diodo). Analogamente se Vi>Vrf1, l'operazionale A1 satura a +Vsat e porta in conduzione D1. Anche in questo caso Vout = +Vsat. In pratica la tensione di uscita Vout vale 0 V solo quando entrambi gli operazionali sono a - Vsat, cioè solo quando Vi è compresa fra le due tensioni di riferimento. In ogni altro caso, Vout = +Vsat. COMPARATORE A FINESTRA Questo circuito non può funzionare "a vuoto" (cioè senza carico), ma solo in presenza di una resistenza RL che garantisce un passaggio di corrente sufficiente per polarizzare i due diodi in zona diretta . Se Vi risulta maggiore di VH o minore di VL, uno dei due diodi è in conduzione, circola una corrente in RL, si ha una caduta di tensione su di essa, Vo = VoH; se Vi risulta compresa tra VL e VH, entrambi i diodi sono interdetti, non circola corrente in RL, i suoi estremi sono equipotenziali, Vo = 0 Trigger di Schmitt (comparatore con isteresi) Generalità In molte situazioni pratiche, è possibile che sulla linea d’ingresso compaiano delle fluttuazioni di tensione indesiderate (rumore) Per comprendere meglio le conseguenze negative del rumore in ingresso consideriamo un segnale sinusoidale a bassa frequenza applicato all’ingresso di un comparatore utilizzato come rivelatore di livello zero (fig. a). Dalla figura a lato è possibile vedere che quando la sinusoide si avvicina allo 0, le fluttuazioni dovute al rumore, costringono l’ingresso complessivo a oscillare varie volte al di sopra e al di sotto dello 0, producendo di conseguenza un andamento irregolare dell’uscita (fig. b). L’andamento irregolare della tensione d’uscita si verifica perché, a causa del rumore, il comparatore è costretto a commutazioni improprie. L’instabilità si innesca ogni volta che la Vin si avvicina alla tensione di riferimento. Per rendere il comparatore meno sensibile al rumore si può impiegare la tecnica chiamata isteresi , basata sulla retroazione positiva. Isteresi Per isteresi si intende sostanzialmente il fatto che, quando la tensione d’ingresso sale (passa da un livello minore a uno maggiore) , il livello della tensione di riferimento risulta più elevato di quando la tensione d’ingresso scende (passa da un livello maggiore ad uno minore) Si definiscono due livelli di riferimento: UTP = Upper trigger point LTP = Lower trgger point Trigger di Schmitt invertente in quanto l'uscita commuta a -Vsat quando Vi cresce e supera la tensione di soglia superiore Se Vin = Vout (max) Vin R1 Vout La tensione retroazionata all’ingresso non invertente è a livello alto «UTP» e vale VTH = R2 / (R1+ R2 ) [+Vout(max)] R2 Se Vin > UTP Vin : 5V/div. Vout: 5V/div. T : 0.2ms/div. Vout = - Vout(max) La tensione retroazionata all’ingresso non invertente è a livello basso» LTP» e vale VTL = ( R2 / R1+ R2 ) [-Vout(max)] Prima che il dispositivo possa commutare nell’altro stato Vin dovrà scendere sotto LTP Ia differenze fra le due tensioni di riferimento «D» è un dato di progetto e consente di determinare il valore di R1 e R2 Trigger di Schmitt non invertente La configurazione più semplice è la seguente: La tensione presente al morsetto non invertente, che dipende sia dalla tensione di ingresso Vi che dalla tensione di uscita Vu, è confrontata con la tensione presente al morsetto invertente che in questo caso vale 0V. ( V- potrebbe anche essere diversa da zero) Applicando il principio di sovrapposizione degli effetti sulla maglia di uscita avremo: In corrispondenza della commutazione V+ = 0 per cui 𝑅2 /(𝑅1 + 𝑅2) 𝑉o + 𝑅1 /(𝑅1 + 𝑅2) 𝑉i = 0 tensione di riferimento a livello alto Vth = Vsat*R1/R2 tensione di riferimento a livello basso Vtl= -Vsat*R1/R2 D = Vth – Vtl = 2Vsat*(R1/R2) Vi = R1/R2*Vo CONVERTITORE FREQUENZA-TENSIONE La maggior parte dei convertitori tensione-frequenza possono lavorare in modo contrario tramite un'opportuna circuiteria esterna. Come illustrato in l'ingresso del comparatore, invece di essere collegato all'uscita dell'integratore, riceve il segnale di ingresso Vidi frequenza variabile fi. L'uscita dell'integratore viene ora utilizzata come uscita del dispositivo dalla quale uscirà una tensione V0proporzionale alla frequenza fi del segnale di ingresso. Ogni volta che il segnale Vi scende al di sotto di -Vref il comparatore commuta a livello alto attivando il monostabile. L'impulso positivo del monostabile sposta il commutatore S dalla posizione A alla posizione B e lo mantiene per tutto il periodo di tempo TB pari alla durata dell'impulso stesso. Durante questo intervallo il condensatore C dell'integratore tende a caricarsi per effetto della corrente I0. Alla fine dell'impulso il commutatore viene portato nella posizione A e il condensatore comincia a scaricarsi sul resistore R. A regime il valore medio della corrente che entra nel condensatore è uguale al valore medio della corrente di scarica che tramite R è proporzionale al valore medio della tensione V0 sul condensatore. In conclusione, al variare della frequenza del segnale in ingresso, varia proporzionalmente il valore medio della corrente in ingresso a C e quindi il valore medio della tensione in uscita. È da notare il fatto che dovendo Vi scendere sotto il valore di -Vref e rimanerci per un tempo inferiore alla durata dell'intervallo TB, il segnale di ingresso dovrebbe essere squadrato da un trigger di Schmitt e applicato al convertitore attraverso un circuito deviatore. Se il segnale di ingresso rimane al di sotto di -Vref per un tempo superiore a TB, l'uscita del comparatore, essendo allo stato alto, porterebbe ad un errato scatto del monostabile. Multivibratore astabile R integratore VC Vf Vout C R2 R1 Comparatore con isteresi Il generatore d’onda quadra o multivibratore astabile rappresentato a lato è costituito in pratica da un integratore e da un comparatore con isteresi collegati in modo da realizzare l’anello chiuso. All’ingresso invertente è direttamente collegata la tensione del condensatore mentre all’ingresso non invertente è applicata una parte dell’uscita, retroazionata per mezzo di R2 e R1 Vout: 5V/div. T : 0.2ms/div. Funzionamento R Quando viene fornita l’alimentazione al circuito, C è scarico e pertanto l’ingresso invertente è a 0 V. VC Vf Vout C R2 R1 Questa condizione impone l’uscita al massimo valore positivo, permettendo a C di iniziare a caricarsi verso Vout attraverso R. Quando VC raggiunge un valore uguale alla tensione di retroazione presente sull’ingresso non invertente, l’uscita dell’operazionale commuta al massimo valore negativo. A questo punto C comincia a scaricarsi passando da +Vf a – Vf . Nell’istante in cui VC raggiunge – Vf l’uscita dell’operazionale commuta nuovamente al massimo valore positvo. Questo comportamento continua a ripetersi consentendo la generazione di una Vout a onda quadra, come in figura Per regolare il ciclo utile, si può usare il circuito in figura; durante la fase di carica sarà in conduzione solo il diodo D2 per cui: Durante la fase di scarica sarà in conduzione solo il diodo D1 quando i due resistori di retroazione sono uguali, cioè R1 = R2 di oscillazione diventa: ƒ = 1 / 2.2RC . la frequenza Multivibratore monostabile A riposo con l'ingresso invertente a massa (cortocircuitato dal diodo D) l'uscita si mantiene allo stato di saturazione positiva: Vo=VOH. Normalmente si dimensiona R3>>R2 in modo che al terminale non invertente si presenta la tensione: Nell'ipotesi di applicare in ingresso un impulso negativo si ha istantaneamente V+<V- e l'operazionale commuta a livello di saturazione inferiore Vol . Contestualmente al morsetto non invertente si ha: Il condensatore C non è più bypassato dal diodo e la cella RfC tende a caricare il condensatore il condensatore con andamento esponenziale decrescente fino a Vol. Quando la tensione ai capi del condensatore raggiunge e supera in discesa il valore di Vtl si verifica V+>V- e l'operazionale ricommuta al livello di saturazione superiore VOH e tensione VOH il condensatore C tenderà a caricarsi alla alta, ma raggiunta la tensione tensione di soglia del diodo D ( V= 0,5V circa ) il fenomeno di carica si blocca dato che il diodo manda in cortocircuito il condensatore rimanendo in tale stato finché in ingresso non viene mandato un nuovo impulso negativo. Durata dell’impulso: Tramite la stessa equazione è possibile determinare il tempo di ripristino Tramite un equazione simile è possibile calcolare il tempo di ripristino Tr = 0.4Rf*C Quando i due resistori di retroazione sono uguali, cioè R1 = R2 la durata dell’impulso diventa: T = 0,69RC . . ONDA TRIANGOLARE COME INTEGRALE DI UN'ONDA QUADRA Integrando i tratti costanti di valore A, si ottengono segmenti di retta crescenti con pendenza A. Infatti: Analogamente per i semiperiodi negativi, si ottengono segmenti di retta con pendenza -A. Il risultato è mostrato nella figura seguente: L'onda triangolare in figura ha valor medio non nullo, ma questo risultato dipende semplicemente dal valore iniziale della curva in t=0, che è stato assunto arbitrariamente uguale a zero. GENERATORE DI ONDA TRIANGOLARE: CIRCUITO TEORICO Nei generatori di onda quadra realizzati circuitalmente il valore medio dell'onda generalmente nullo. triangolare prodotta è In base alle considerazioni precedenti, per realizzare un generatore di onda triangolare basta in teoria collegare un multivibratore astabile (generatore di onda quadra) in cascata con un circuito integratore. Lo schema è mostrato nella figura seguente: Il circuito che non funziona per la presenza di componenti continue che portano l’operazionale in saturazione ; v i e n e modificato in L’ingresso del dell'integratore. trigger è prodotto A sua volta l'ingresso dell'integratore l'uscita del trigger di Schmitt. dall'uscita coincide con ANALISI DEL CIRCUITO Come sappiamo, l'uscita di un trigger di Schmitt, a causa della retroazione positiva interna, può assumere solo due valori possibili, +Vsat oppure - Vsat. Supponiamo dunque che sia Vo =+Vsat. In questo caso l'uscita dell'integratore sarà una rampa decrescente (risultato dell'integrazione invertente di una tensione di ingresso con valore costante positivo): La rampa e la tensione di ingresso del trigger di Schmitt. Quando tale tensione raggiunge la tensione di soglia inferiore, l'uscita Vo del trigger commuta a –Vsat; questa condizione si verifica per un valore di Vti = uguale a: -Vsat*R1/R2 (R1<<R2) Da questo istante Vout commuta a -Vsat e l’uscita dell’integratore diventa una rampa crescente; tensione Vout1 rimane costante fino a quando Vout risulta uguale a : Vts = Vsat*R1/R2 I valori massimi e minimi dell'onda triangolare sono pari alle due tensioni di soglia superiore e inferiore del trigger di Schmitt non invertente: OSCILLATORE Gli oscillatori sono dispositivi in grado di fornire in uscita un segnale sinusoidale senza che all’ingresso sia applicato nessun segnale specifico, sfruttando solo la tensione di alimentazione. Ciò significa che l'oscillatore è un dispositivo in grado di manifestare una risposta libera di tipo sinusoidale non smorzato sfruttando gli effetti della retroazione. Normalmente un'eventuale oscillazione spontanea prodotta da un circuito si smorza nel tempo, a causa dei fenomeni dissipativi sempre presenti (dovuti alle resistenze). Ciò avviene per esempio in un sistema oscillante semplice come il circuito RLC (resistore, induttore, condensatore in serie o parallelo). In un oscillatore l'oscillazione spontanea può mantenersi se viene rigenerata continuamente Su noti che il sistema complessivo (quello formato da A e β) non ha ingressi, il sistema oscilla solo se la tensione in uscita Vo è una tensione sinusoidale con una determinata frequenza Supponiamo che si inneschi un oscillazione all’ingresso del blocco A Tale oscillazione sinusoidale, passando attraverso il blocco A, cambierà in generale la propria ampiezza e la propria fase, mentre la frequenza resterà invariata (supponendo A lineare). Di conseguenza la tensione all’uscita del blocco A sarà una sinusoide isofrequenziale con V i ma con ampiezza e fase differenti. A questo punto Vo passa attraverso il blocco B e subisce un ulteriore sfasamento e cambio di ampiezza. Se però β è realizzato in modo tale da compensare esattamente le variazioni introdotte dal blocco A, è possibile fare in modo che il segnale Vf (in uscita dal blocco B) sia esattamente uguale al segnale Vi generato inizialmente . In queste condizioni il segnale si automantiene poiche viene riportato uguale in ingresso al blocco A In un circuito retroazionato costituito da due sottosistemi A e β è in grado di produrre oscillazioni che si mantengono nel tempo con ampiezza costante la condizione che permette di innescare un oscillazione con pulsazione ω e per la quale è verificata la seguente condizione: A(jω).β(jω) = 1 <A(jω).β(jω) = 0 (fase uguale a zero) |A(jω).β(jω)| = 1 (modulo uguale a 1) viene definita con criterio di Barkhausen. In tale condizione il segnale sinusoidale in uscita dal blocco β sarà esattamente identico al segnale in ingresso al blocco A e le oscillazioni si manterranno nel tempo. Il circuito non ha ingressi e dunque non esiste il modo di immettere dall'esterno tale oscillazione. L’innesco delle oscillazioni è reso possibile dai transitori di accensione del dispositivo e dalla presenza del rumore termico dei diversi componenti, che generano tensioni di uscita dell’ ordine dei µV con frequenze fino a 1000 GHz. Tali tensioni, per quanto piccole, sono sufficienti per innescare la risposta libera dell'oscillatore anche in assenza di segnali di ingresso. La condizione |A(jω).β(jω)| = 1 assicura che l'oscillazione presente nel circuito si mantenga con ampiezza costante, in fase di innesco occorre amplificare la debole oscillazione libera prodotta dal circuito, in modo tale da farla aumentare di ampiezza, è necessario per cui all'innesco avere un guadagno di anello maggiore di uno e cioè |A(jω).β(jω)| > 1 Tale guadagno dev'essere poi riportato a uno non appena le oscillazioni prodotte sono diventate abbastanza grandi in quanto guadagno maggiore di uno porterebbe l'oscillatore a saturare molto rapidamente). Ciò richiede la presenza nel circuito di un sistema di controllo automatico del guadagno. Nella pratica il controllo automatico del guadagno viene realizzato utilizzando dei diodi che aprono le maglie di retroazione per segnali di piccola ampiezza, in modo da portare automaticamente il guadagno (in assenza di retroazione) a valori molto elevati o utilizzando dei termistori che hanno l’inconveniente di avere una resistenza variabile con la temperatura. Oscillatore a ponte di Wien Rete lead - lag L’oscillatore a Ponte di Wien è un tipo di oscillatore sinusoidale. La sua parte fondamentale è la rete lead – lag (anticipatrice-ritardatrice) in figura che funziona nel seguente modo: A basse frequenze, è dominante la rete anticipatrice, a causa dell’elevata reattanza di C2. All’aumentare della frequenza, XC2 diminuisce consentendo di conseguenza l’incremento della Vout . In corrispondenza di una particolare frequenza, inizia a prevalere la risposta della rete ritardatrice e la conseguente diminuzione del valore di XC1 impone la diminuzione della Vout La risposta delle rete è Nell’ipotesi di uguaglianza delle resistenze e delle capacità la fr vale: In corrispondenza di fr l’attenuazione della rete vale Riassumendo: la rete lead-lag presenta una frequenza di risonanza, in corrispondenza della quale lo sfasamento introdotto dalla rete vale 0° e l’attenuazione vale 1/3. Al di sotto di fr prevale la rete anticipatrice (l’ uscita anticipa sull’ingresso), al di sopra di fr domina la rete ritardatrice (l’uscita ritarda sull’ingresso). Oscillatore a ponte di Wien R2 Partitore di tensione Schema circuitale Vout R1 R C C R Questo circuito oscillatore può essere visto come la configurazione di un amplificatore non invertente il cui segnale d’ingresso è ottenuto dal segnale d’uscita mediante la retroazione effettuata per mezzo della rete lead-lag Rete lead-lag Il guadagno ad anello chiuso dell’amplificatore è Affinché il circuito possa oscillare occorre che: - lo sfasamento lungo l’anello di retroazione positiva sia nullo 0° - il guadagno lungo l’anello deve essere almeno 1 Condizioni necessarie per l’innesco dell’oscillazione Inizialmente il guadagno ad anello chiuso dell’amplificatore deve mantenersi ad un valore maggiore di 1 (quindi Acl>3) fino a che l’uscita raggiunga il valore desiderato. Il guadagno deve poi diminuire, riportandosi a 1, affinchè l’uscita si stabilizzi al livello desiderato. Oscillatore a ponte di Wien autoinnescante Il circuito in figura illustra uno dei metodi che consentono di ottenere le condizioni di funzionamento in precedenza descritte. All’avvio entrambi i diodi Zener si comportano come circuiti aperti. R3 risulta in serie con R1 incrementando il guadagno ad anello chiuso che, essendo R1=2R2, diventa: Acl = 3 + R3/R2 La rete lead-lag consente solo ad un segnale con frequenza uguale a fr di presentarsi in fase all’ingresso non invertente. Questo segnale viene continuamente rinforzato dando origine alla progressiva generazione della Vout. Quando Vout raggiunge la tensione di breakdown, i diodi Zener entrano in conduzione cortocircuitando R3. In questo modo si abbassa il guadagno che viene riportato a 3. L’uscita si stabilizza e l’oscillazione può essere mantenuta. E’ possibile regolare la frequenza di oscillazione utilizzando condensatori variabili nella rete lead-lag FILTRI: configurazioni principali • Filro passa basso ideale "integratore" • Filtro passa basso reale • Filtro passa alto ideale (derivatore) • Filtro passa alto reale • Approsimazione Butterworth • Approsimazione Chebyshev • Approsimazione Bessel Integratore (filtro passa basso ideale) Se la rete di retroazione di un amplificatore invertente è di tipo capacitivo, il circuito viene detto “integratore”, poiché è in grado di eseguire l’operazione matematica di integrazione nel tempo del segnale d’ingresso. La “massa virtuale” dell’ingresso invertente fa sì che la resistenza R venga attraversata da una corrente iR = Vin / R. L’elevata impedenza d’ingresso fa però sì che tale corrente attraversi la capacità C, caricandola, per cui si ha: iC iR = iC. iin C Vin R Vout Ciò significa che la tensione d’uscita varia secondo la carica (o la scarica) del condensatore, che infatti “integra” la corrente nel tempo. Si può quindi scrivere che: Vout 1 t 1 t Vin 1 t i dt dt Vindt C C R RC Un circuito di questo tipo viene quindi anche chiamato “generatore di rampa”, e trova largo impiego ad esempio negli oscilloscopi, nei convertitori A/D dei voltmetri digitali, ecc. A = - X/R = -1/6,28*f*C*R Nella realizzazione pratica per f 0 (segnale d’ingresso a bassa frequenza o presenza di disturbi), A ∞ l'uscita satura al valore della tensione di alimentazione Vcc rendendolo instabile Vout = -Vi*Xc/R =- Vi*/(6.28fCR) Per evitare l’effetto di saturazione si usa porre in serie alla capacita una resistenza che stabilizza il filtro ma rende l'integratore non ideale Filtro passa basso reale Alle basse frequenze il condensatore non è percorso da corrente e il circuito equivalente è quello di un amplificatore invertente. Vout = - R2/R1 Vin alle basse frequenze (ω=0) Alle alte frequenze (ω→∞) il condensatore si comporta come un cortocircuito per cui R2 risulta cortocircuitata e dunque il guadagno del circuito alle alte frequenze è zero: Vout = 0 alle alte frequenze (ω→∞) Lo schema di partenza riguarda per cui la configurazione di un filtro passa-basso attivo, in quanto alle basse frequenze presenta un guadagno pari a R2/R1 (tralasciando il segno meno che non viene rappresentato sul grafico del modulo) mentre alle alte frequenze il guadagno è pari a zero L'andamento del modulo della risposta in frequenza è La pulsazione di taglio in questo circuito vale: ωt = 1/(R2C) ωt = 6.28*ft Derivatore (filtro passa alto ideale) Lo schema riportato di sotto è complementare con quello dell’integratore Se il segnale viene applicato tramite un condensatore il circuito viene denominato “derivatore”, poiché è in grado di eseguire l’operazione matematica di derivata nel tempo del segnale d’ingresso. R C VIN VO Anche in questa configurazione l’elevata impedenza d’ingresso dell’operazionale fa sì che la corrente che attraversa la capacità sia la stessa che circola attraverso la resistenza, ovvero: iC = iR Il circuito è un derivatore puro, ovvero si comporta come un filtro passa alto con frequenza di taglio infinita. Questo filtro presenta problemi di stabilità in quanto nella realizzazione pratica l'uscita satura al valore della tensione di alimentazione Vcc positiva per valori di frequenza tendenti all’infinito: A = - R/X =- 6,28*f*C*R per f ∞ A ∞ Se la pulsazione w è elevata (segnale d’ingresso ad alta frequenza o presenza di disturbi), l’uscita tende a saturare per evitare questo effetto, si usa porre in serie alla capacita una resistenza di piccolo valore filtro passa alto reale R R VIN C 2 1 VO Alle basse frequenze il segnale di ingresso Vin non arriva all'operazionale, a causa del condensatore aperto, per cui: Vout = 0 alle basse frequenze (ω=0) Alle alte frequenze il condensatore si comporta come un cortocircuito e dunque lo schema equivalente diventa quello dell'amplificatore invertente: Vout = - R2/R1 Vin alle alte frequenze (ω→∞) Lo schema rappresenta per cui un filtro passa-alto attivo, con guadagno R2/R1 alle alte frequenze e con pulsazione di taglio pari a a ωt = 1/(R1C) che si comporta da derivatore per frequenze inferiori a ft = 1/6,28·R1·C, mentre per frequenze superiori si comporta da invertitore. Andamento del modulo della risposta in frequenza La pulsazione di taglio vale ωt = 1/(R1C) Soluzioni con A.O. in configurazione non invertente: •La funzione di trasferimento di un filtro ideale non è fisicamente realizzabile, quindi vengono utilizzate opportune funzioni approssimanti che ne riproducono l’andamento entro tolleranze prefissate. •Esistono vari tipi di funzioni approssimanti che danno origine a varie classi di filtri (Butterworth, Chebyshev, Bessel, ecc). FILTRI: CARATTERISTICHE DELLE RISPOSTE Esistono vari tipi di funzioni che approsimanp i filtri ideali che danno origine a varie classi di filtri (Butterworth, Chebyshev, Bessel, ecc). Ciascun tipo di risposta (Passa Basso, Passa Alto, Passa Banda o Elimina Banda), può essere opportunamente sagomata attribuendo certi valori ai componenti circuitali. Si ottengono così la caratteristica Butterworth, la caratteristica di Chebyshev o quelIa di Bessel. Ognuna di queste è riconoscibile dalla risposta in frequenza che può risultare più o meno vantaggiosa delle altre a seconda delle applicazioni Caratteristica di Butterworth Q = 1/2ε = 0.707 (Q: fattore di merito) • Risposta in frequenza massimamente piatta nella banda passante. • roll-off di -20 dB/decade per polo (ripidita della rispota in frequenza) • banda di transizione larga • risposta in ampiezza sempre decrescente al crescere della frequenza • la pulsazione naturale, ω0 , coincide con quella a - 3 dB, per ogni ordine del filtro • risposta all’impulso con overshot (ondulazione in banda passante) I polinomi di grado n presenti a denominatore della f.d.t. vengono detti polinomi di Butterworth e sono qui appresso elencati, avendo assunto ωo=1 rad/s Nel caso di un filtro passa-basso l’approssimazione di Butterworth del modulo del guadagno è: dove n rappresenta l’ordine del filtro. Questa funzione ha la caratteristica che per w=0 le sue derivate fino all’ordine n-1 sono nulle, per questo la risposta di tipo Butterworth è detta massimamente piatta. Si può notare che, indipendentemente da n, per w=w0 il modulo di H Vale 2*1,41 , che corrisponde a 3 dB. Per w>w0 il guadagno decresce con pendenza –n*20 dB/decade. RISPOSTA DI UN FILTRO PASSA-BASSO DI BUTTERWORTH Caratteristica di Chebyshev 0.707 < Q = 1/2ε < 1.306 1.306 • Risposta in frequenza caratterizzata da una serie di ondulazioni nella banda passante. • roll-off iniziale maggiore di -20 dB/decade per polo • banda di transizione meno larga rispetto a Butterworth • risposta in ampiezza sempre decrescente al crescere della frequenza • la pulsazione naturale, ω0 , NON COINCIDE con quella a - 3 dB, per ogni ordine del filtro • risposta all’impulso priva di overshot. Garantisce un roll-off iniziale elevato maggiore di quello fornito dai filtri Butterworth, ossia una notevole attenuazione, già poco oltre la frequenza di frontiera, ma a discapito della piattezza della risposta in banda passante dove la curva presenta un’ondulazione (ripple). I dati del progetto sono l’ampiezza massima del ripple amax maggiore di 3dB, e la frequenza di frontiera fc, detta anche lunghezza del canale del ripple, vale a dire il valore di frequenza oltre la quale la curva di risposta scende al di sotto del limite di guadagno fissato in banda passante FILTRO DI CHEBYSHEV Il modulo del guadagno di un filtro bassa-basso di Chebyshev è: dove Cn è il polinomio di Chebyshev di grado n. Nella banda passante il modulo ha dei massimi, di valore 1 e dei minimi di valore , quindi definisce il valore del ripple nella banda passante. Il numero complessivo di minimi e massimi (incluso quello nell’origine) è pari a n. Per w>w0 il guadagno inizialmente decresce in modo più rapido rispetto al caso del filtro di Butterworth Per w>w0 la pendenza si riduce e tende a –n*20 dB/decade RISPOSTA DI UN FILTRO PASSA-BASSO DI CHEBYSHEV (RIPPLE=3dB) Caratteristica di Bessel Q = 1/2ε = 0.577 • Risposta in frequenza meno piatta nella banda passante. • roll-off iniziale minore di -20 dB/decade per polo • banda di transizione meno larga rispetto a Butterworth • risposta in ampiezza sempre decrescente al crescere della frequenza • la pulsazione naturale, ω0 , NON COINCIDE con quella a - 3 dB, per ogni ordine del filtro • risposta all’impulso priva di overshot. Mira a conseguire una buona linearità della curva di fase in banda passante. Ciò equivale ad avere un ritardo di fase o tempo di ritardo tph costante per tutte le frequenze, pertanto il filtro di Bessel funge da linea di ritardo. Per valori elevati di ε delle forme quadratiche (ε = 0.866 per un filtro del secondo ordine) la risposta al gradino non ha carattere oscillatorio Indipendentemente dal fatto che si tratti di un passa-basso, di un passa-alto, di un passa-banda o di un filtro elimina-banda è il fattore di smorzamento (damping factor) di un filtro attivo che stabilisce il tipo di risposta che caratterizza il filtro stesso Il guadagno Ao varia a seconda del tipo di filtro Il fattore di smorzamento ζ può assumere valori diversi a seconda dell’approssimazione considerata: ζ = 0,707 per un’approssimazione di Butterworth ζ > 0,707 e cioè ζ =0,866 per un’approssimazione Bessel; ζ < 0,707 e cioè ζ =0,579 per un’approssimazione Chebyschev con Ripple = 0,5 dB, 0,433 per Ripple =2dB e ζ =0,383 per Ripple = 3dB. Solo per i filtri alla Butterworth il valore della pulsazione naturale (ω0) coincide con quello della pulsazione di taglio (ωT) ; negli altri casi ω0 = ωT • fC per i filtri passo-basso ω0 = ωT / fC per i filtri passa-alto, dove fC è il coefficiente di conversione riportato nelle tabelle. I filtri attivi” che impiegano amplificatori operazionali con elementi realizzabili solo al di sotto dei 500 Khz poiché l'amplificatore operazionale ha bisogno di un guadagno ad anello aperto elevato sulla banda di funzionamento. •Per evidenziare le diverse caratteristiche di risposta in ampiezza dei filtri alla Butterworth, alla Chebyshev e alla Bessel, in figura sono riportate le curve relative a filtri passa-basso del secondo ordine di ciascun tipo a guadagno unitario (Ao = 1) e con la stessa fo. Si noti in particolare il diverso valore assunto nei vari casi dal fattore di smorzamento. • Filtro passa-basso VCVS del secondo ordine Esempio: Determinare come può essere strutturato un filtro passa-basso del 6° ordine, con pulsazione di taglio ωH=1000 rad/sec, secondo la tecnica di approssimazione di Butterworth. Soluzione: la f.d.t. non ha zeri e presenta a denominatore un polinomio di 6° grado (n=6), scomponibile nel prodotto di 3 forme quadratiche, pertanto si realizza disponendo in cascata tre celle filtranti LP (Low-pass) del 2° ordine. Per ciascuna cella si assume ωo = ω H = 1000 rad/s mentre diversi sono i valori di ε forniti dai polinomi di Butterworth di ordine 6°, pertanto si trova: QUINTA: INDICE • Automazione • sistemi real time ed embedded field programmable gate ... • ROBOTICA • il processo industriale • architettura generale di un sistema di controllo • dcs: sistemi di controllo distribuiti • contratti di lavoro /analisi dei costi • normativa di progetto • la normativa sulla sicurezza introduzione sicurezza su... • appendice a: trasmissione meccanica AUTOMAZIONE 1. Automazione 2. Automazione rigida 3. Automazione programmabile 4. Automazione flessibile AUTOMAZIONE Per automazione si intende l’insieme di tecnologie volte a implementare sistemi che operino in modo autonomo, e che siano in grado di: •sostituire l’uomo nelle molteplici attività da lui svolte (specie quelle ripetitive, nocive o ad alto rischio); •realizzare attività che l’uomo è impossibilitato a svolgere (esplorazione sottomarina o spaziale, ambienti contaminati, etc.). L’insieme di tecnologie sono rivolte ad utilizzare sistemi Meccanici, Elettronici ed Informatici per il controllo e per la produzione nelle industrie formano l’automazione industriale (detta anche automazione del processo di produzione industriale). la componentistica per gli impianti di automazione riguarda: - automazione di controllo: computer, sensori, misuratori - automazione rigida: macchine cnc, robot multifunzione, linee transfer rigide, meccanizzazione - automazione flessibile: cnc, robot multifunzione, robot monofunzione, automazione delle operazioni Si può effettuare una classificazione dell’automazione industriale sulla base delle capacità produttive: Automazione Rigida: Caratteristiche dei processi: •Produzione in serie di grossi lotti di prodotti aventi caratteristiche costanti; •Sequenze fisse di operazioni da eseguire molte volte. Caratteristiche delle macchine (atte ad implementare il processo di automazione rigida) sono: • architettura meccanica monoscopo ed altamente specializzata, progettata per operare una sola tipologia lavorativa con ottimizzazione dei tempi della produzione; • sistema di controllo dedicato, realizzato mediante PLC o tecniche cablate, solitamente con modesta o nulla capacità di riprogrammazione per altre attività. ESEMPIO: MACCHINA NC « CONTROLLO NUMERICO» • La macchina è in grado di eseguire le istruzioni lette su una scheda senza l’intervento di un lavoro diretto, il sistema di controllo sostituisce l’operatore che in base alla scheda di controllo svolge le manovre sulla macchina I CNC (Computer Numerical Control) sono dispositivi utilizzati nel controllo di macchine utensili e altre macchine di produzione. Il compito primario del CNC è quello della pianificazione o generazione delle traiettorie dell’utensile e conseguentemente degli assi di macchina. Il valore di un CNC è per la maggior parte costituito dal software estremamente sofisticato necessario per la pianificazione e l’esecuzione dei programmi di lavoro Automazione Programmabile: Caratteristiche dei processi: • Produzione di piccoli e medi lotti di prodotti con caratteristiche variabili; •Molteplici sequenze di operazioni di diverso tipo; Caratteristiche delle macchine: • architettura meccanica versatile, progettata per operare su oggetti diversi appartenenti alla stessa tecnologia di gruppo; • sistema di controllo riprogrammabile e/o adattivo. ESEMPIO: Macchina CNC (computer numerical control) che agisce sul proprio sistema automatico di controllo. • La memoria del computer contiene i programmi specifici atti a far svolgere una parte o tutte le funzioni base della macchina NC. La memorizzazione dei programmi può essere effettuata da supporto magnetico, da scheda perforata o manualmente. • L’input per far funzionare la macchina è fornito da programmi specifici : la macchina applica a ciascun semilavorato il programma richiesto scegliendo tra il range di variazione di programmi che possiede nella propria memoria. • Controlli numerici, CNC (Computerized Numerical Control), sono essenzialmente dispositivi elettronici costituiti da una o più unità centrali (CPU) che per il tramite di specifici software di elaborazione dati sono in grado di automatizzare il funzionamento di macchine operatrici ed impianti produttivi. Automazione Flessibile: Caratteristiche dei processi: • Produzione su richiesta di lotti di dimensione variabile caratterizzati da prodotti diversi ; • Richieste di elevati ritmi di produzione; • Lavorazioni che richiedono tecnologie sofisticate; • Logistica interna e di magazzino. Caratteristiche delle macchine: • architettura meccanica altamente versatile, progettata per operare su oggetti diversi caratterizzati da diverse tecnologie; • sistema di controllo riprogrammabile; • alta integrazione con il sistema informativo aziendale. Esempio: Robot I robot si possono catalogare • • in due macro categorie autonomi e non autonomi. I robot "non autonomi" sono i classici robot utilizzati per adempiere a specifici compiti che riescono ad assolvere in maniera più efficace dell'uomo; alcuni casi sono i robot utilizzati nelle fabbriche con l'enorme vantaggio di poter ottenere una produzione più precisa, veloce ed a costi ridotti; I robot autonomi sono invece caratterizzati dal fatto che operano in totale autonomia ed indipendenza dall'intervento umano e sono in grado di prendere decisioni anche a fronte di eventi inaspettati. Si hanno ROBOT MONOFUNZIONE • Macchine in grado di manipolare semilavorati senza intervento di lavoro diretto • Robot traslatori (trasferire pezzi) • Robot ribaltatori (modificare la posizione dei pezzi) • Robot posizionatori (posizionare pezzi) • • ROBOT MULTIFUNZIONE Macchine complesse che abbinano movimentazione e lavorazioni. Dotate di automatismi in grado di spostare i pezzi e di eseguire tramite più teste di numerose operazioni programmate. lavorazione, AUTOMAZIONE INDUSTRIALE • Diverse tipologie di automazione (valori indicativi) Tipologie di automazione industriale sistemi real time ed embedded field programmable gate array (fpga) struttura di un fpga sistemi emdebbed sviluppo di un sistema emdebbed differenze fra sistemi embedded / a bus Microprocessori in robotica verso l'industria 4.0 CENNI STORICI • Anni 70: gates, SSI, MSI, LSI Successivamente: dispositivi programmabili (a livello di funzioni logiche, connessioni) anche sul campo come EPROM, PAL, PLA, PLD (studiati nel corso di Reti Logiche); i PLD (Programmale Logic Devices) programmati per applicazioni specifiche vengono definiti con ASIC: Application Specific Integrated Circuit) • Anni 80/90: introduzione di dispositivi logici ad elevata scala di integrazione di FPGA (e CPLD), programmabili sul campo mediante linguaggi HDL FPGA Altera FPGA Xilinx In questi ultimi anni Le Logiche Programmabili FPGA sono state il il prodotto più innovativo nel panorama dei componenti elettronici e stanno divenendo la soluzione privilegiata di quasi tutti i costruttori di sistemi elettronici. Una logica programmabile è un circuito integrato in grado di esplicare una funzionalità programmabile da utente, ottenibile mediante un insieme di strumenti software che supportano tutti i passi necessari del processo di progettazione DA un punto di vista architetturale è possibile dividere le Logiche Programmabili in tre categorie: PLD (Programmable Logic Device), FPGA (Field Programmable Gate Array) e SoPC (System on Programmable Chip) che presentano le seguenti tipicità: • FPGA: composti da blocchi logici configurabili (Configurable Logic Blocks – CLB) che possono essere interconnessi tra loro in modo trasparente all’utente utilizzando linguaggi di programmazione di alto livello (e.g. HDL o HLS) • programmabili (e riprogrammabili) sul campo • relativamente poco costosi, rapido time to market, supportati da linguaggi di alto livello (C/C++) o Hardware Description Language (VHDL o Verilog) • ideali per lo sviluppo rapido di prototipi (e.g. usati per lo sviluppo di microprocessori) • ideali per dispositivi a basso consumo • consentono un elevato livello di astrazione -> è possibile implementare in hardware non solo reti logiche tradizionale ma anche algoritmi STRUTTURA DI UN FPGA Una FPGA consiste in un insieme di Configurable Logic Blocks (CLB) che possono essere connessi tra loro. La funzione dei singoli CLB e delle connessioni viene impostata dal progettista mediante programmazione (“sul campo”). Tale programmazione può essere ripetuta più volte (teoricamente “infinite”). E costitutita da: - componenti logici (porte logiche, Flip-Flop, Buffer - Linee di connessione, - Sistemi di interrconnessione (Multiplexer, connessioni) - Porte di I/O - Tipologie di Circuiti Programmabili PLA, PAL, ROM. CPLD FPGA Che possonoi essere programmati con modalita’ dioverse: 1. programmabili a maschera (MPGA), 2. programmabili una volta (Fuse o Antifuse) 3. riprogrammabili (EEPROM, SRAM) 4. riconfigurabili (SRAM) esistono diversi produttori di FPGA e differenti tecnologie che si differenziano per due aspetti principali: • Tecnologia utilizzata per le connessioni - Fusibili - Memorie flash - Memorie SRAM • Struttura dei (CLB) Nella figura è mostrato, in forma semplificata, la rete logica, denominata Logic Cell (LC), alla base di un ipotetico CLB. Il blocco LUT (Look-up-table) non è altro che una rete combinatoria programmabile Il blocco LUT, può essere anche riprogrammato per agire come uno shift-register o un una memoria (distributed RAM) . FPGA E CLOCK Le FPGA sono normalmente configurate per realizzare reti sincrone (e.g. mediante approccio diretto e per implementare algoritmi). Per questo motivo è necessario prevedere (almeno) un segnale di clock da inviare alle RSS (Reti Sequenziali Sincrone) che compongono il progetto su FPGA. Spesso, nei progetti più complessi esistono più domini di clock, ovvero diversi moduli della logica su FPGA utilizzano clock diversi (sia come frequenza sia come duty-cycle)). Nascono quindi delle problematiche inerenti il passoggio di informazioni tra diversi domini di clock. Sistemi emdebbed Il sistema embedded identifica genericamente tutti quei sistemi elettronici di elaborazione digitale a microprocessore progettati appositamente per una determinata applicazione (special purpose) ovvero non riprogrammabili dall'utente per altri scopi, spesso con una piattaforma hardware ad hoc, integrati nel sistema che controllano ed in grado di gestirne tutte o parte le funzionalità richieste. Nel settore dell’automazione gli esempi di sistemi embedded Personal computer dedicati all'automazione industriale e il controllo di processo. Apparecchiature per reti informatiche come router, timeserver e firewall, switch. I PLC (Programmable Logic Controller) utilizzati per l'automazione industriale. in particolare un esempio concreto e a massima diffusione di architettura embedded basata su ASIC è la parte di comunicazione presente oggi indistintamente in tutti i PLC, nei sistemi HMI e in moltissimi dispositivi di campo utilizzati in automazione industriale in grado di gestire più protocolli e di garantire la connessione di un dispositivo a differenti strutture di comunicazione. Un sistema embedded è un sistema di elaborazione che: Interagisce con il mondo esterno Ha un’interfaccia utente primitiva o inesistente È inserito in altri prodotti (es. in automobile) È “single purpose”: fa una cosa sola in modo efficiente ed economico (contro i PC che sono “general purpose”) L’interazione del sistema col mondo esterno, di per sé analogico, rende indispensabile per un S.E. la capacità di raccogliere, campionare e trasmettere segnali attraverso attraverso degli stadi aggiuntivi • I S.E. includono dispositivi quali: – Sensori – Attuatori – Convertitori A/D e D/A • L’’interazione con l’utente avviene con mezzi spesso semplificati: – Display di dimensione ridotta – Dispositivi di input limitati – Dispositivi di I/O specializzati rispetto alle competenze o al modo di operare dell’utente • Si possono sommare eventuali strumenti di diagnosi che possono essere previsti per individuare in modo veloce situazioni di allarme, guasti, errori di sistema, ecc. • Alimentazione e raffreddamento - Il consumo di potenza influisce direttamente sul costo complessivo e sulla complessitàdell’hardware in particolar modo per quanto riguarda alimentatori, batterie, sistemi di raffreddamento • È necessario ridurre le potenze in gioco: – da un lato si cerca di aumentare l'autonomia dei dispositivi elettronici portatili – dall'altro si vuole ridimensionare i sistemi di Raffreddamento ("cooling") Sono sistemi embedded quelli installati nei telefonini, nelle automobili, negli elettrodomestici, nei ricevitori GPS, nei satelliti, nei giocattoli, ecc. Al mondo si stima ci siano alcune centinaia di milioni di PC e server ma diversi miliardi di sistemi embedded. Caratteristiche di un sistema embedded real-time Un sistema embedded deve essere progettato tramite meccanismi hardware e/o software adeguati a gestire il tempo di esecuzione dei processi entro intervalli certi Lo sviluppo di sistemi real-time che devono garantire prestazioni certe e precise implica l'integrazione tra tre componenti fondamentali, il codice applicativo, un Rtos “Real-time Operating System: cuore del sistema operativo real time” e un hardware. Dato che questa integrazione del software richiede tempo ed è molto costosa, è possibile utilizzare ambienti di programmazione grafica dei sistemi real-time come LabView di National Instruments. Grazie a ciò l'hardware può essere ridotto ai minimi termini per contenerne lo spazio occupato limitando così anche i consumi, i tempi di elaborazione (maggiore efficienza) ed il costo di fabbricazione. Inoltre l'esecuzione del software è spesso in tempo reale per permettere un controllo deterministico «causaeffetto» dei tempi di esecuzione. Deve avere per cui le seguenti caratteristiche Dal punto di vista sw sono sistemi operativi real time Hanno piccola occupazione di memoria (tipico 1÷2 KB di memoria RAM/ROM), e devono essere eseguiti da CPU di piccola potenza e consumo Devono funzionare sempre senza interventi manuali È bene che non abbiano parti in movimento, che possono rompersi, consumano molta energia, sono lente, richiedono driver complessi, occupano spazio Devono gestire e recuperare, eventualmente con funzionalità ridotte, situazioni di errore Devono ripartire (reboot) automaticamente in caso di arresto, eventualmente in configurazioni di sicurezza e “istantaneamente” (tempo reale) deve essere in grado di eseguire tutti i suoi compiti senza violare vincoli temporali specificati., deve quindi rispondere in un modo certo ed entro tempi fissati a eventi esterni, prevedibili o no. Si può quindi dire che tempo reale non vuol dire essere veloci, ma essere sempre puntuali. SVILUPPO DI UN SISTEM EMDEBBED Lo sviluppo di un sistema embedded, sia di tipo principali: può essere schematizzato in alcune attività - la prima fase si pone come obiettivo la definizione dell’architettura di base del sistema e la scelta dei componenti. oltre a considerazioni di tipo strettamente tecnico hanno forte incidenza considerazioni di tipo economico (p.e. costo dei possibili componenti) e pratico (p.e. reperibilità dei componenti). - durante la seconda fase si mappa sull’architettura scelta l’applicazione cui essa è destinata, e ne stime le prestazioni. queste prime due fasi sono fortemente integrate e soggette a continue iterazioni - lo sviluppo hw-sw consiste nella programmazione delle piattaforme programmabili del sistema attravertso la codifica dell’algoritmo, definizione e codifica dei protocolli di comunicazione interni e dei drivers delle periferiche, codifica delle routine di boot, (processi di avviamento del S.E),customizzazione del sistema operativo «interfaccia operativa con l’utente» Le fasi di sviluppo tendono a essere sempre di più integrate fra di loro, anche con l’ausilio di tool dedicati (hw e sw) in quanto al crescere della complessità delle applicazioni e dei sistemi la fase di integrazione e debug tende a diventare ingestibile in caso di mancata sincronizzazione fra sviluppo hw e sw. DIFFERENZE FRA SISTEMI EMBEDDED / A BUS SISTEMI EMBEDDED VS A BUS Pro Sistemi Embedded Sistemi a BUS •Ottimizzazione del sistema •Flessibili • Elevate prestazioni Contro •Necessita’ di sviluppare l’intero sistema (HW e SW). •Sviluppo rapido (solo software) • Non ottimizzati. • Non flessibili. I sistemi embedded sono adatti a produzioni di elevata scala, in cui i maggiori costi di progetto vengono suddivisi su grandi volumi di produzione. 0 I sistemi a bus sono adatti a produzioni di bassa scala, in cui la rapididita’ di sviluppo e i costi limitati di progetto (solo riguardanti software) sono preferiti. EMBEDDED CONTROL SYSTEMS LA SCELTA DEL MICROCONTROLLER Solitamente più scelte diverse sono possibili: nello specifico vanno tenuti in considerazione i seguenti parametri sulla base dell’applicazione finale. Numero dei pin di I/O Interfacce Memoria RAM (quantità e tipo) Numero e tipo di interrupts Velocità del processore Consumi energetici Memoria di programma (quantità e tipo) Ambiente di sviluppo MICROPROCESSORI IN ROBOTICA Controllo dei motori/attuatori (basso livello) Controllo movimento (alto livello) Power management (carica/scarica batterie) Acquisizione/elaborazione dei segnali dei sensori (prossimità, encoders, odometria, contatto, visione) Interfacce Microprocessori in robotica Architettura di un sistema robotico - Esempio 2: Ropbot biomimetico a 4 zampe Verso l'Industria 4.0 L'Industria 4.0 o la Quarta Rivoluzione Industriale è il processo dell’automazione industriale volto all’aumento della produttività e al miglioramento della qualità dei prodotti e delle condizioni di lavoro. L’evoluzione dell’Industria in atto è dovuta al matrimonio tra i sistemi di produzione industriale e i sistemi informatici di programmazione consente: Ottimizzare i processi produttivi Supportare i processi di automazione industriale Favorire la virtualizzazione dei processi di trasformazione Consiste per cui in un processo che porterà la produzione industriale sempre più automatizzata e interconnessa dove macchine e robot, interconnessi con computer e algoritmi “intelligenti”, perseguono un obiettivo comune: lavorare in autonomia con interventi sempre più mirati da parte degli operatori. Questo è possibile grazie alla computerizzazioen (dotare di un sistema di elaborazione) molti componenti tradizionali “nastri trasportatori» per operazioni di identificazione conteggio, controllo, eccc..; questa “computerizzazione” anche ai più bassi livelli è dovuta alla crescente disponibilità di processori a basso costo (microcontrollori: emdebbed) che integrano tutte le risorse (memorie, periferiche) per la realizzazione di semplici sistemi programmabili. Grazie ai sistemi endebbed l'hardware può essere ridotto ai minimi termini per contenerne lo spazio occupato limitando così anche i consumi, i tempi di elaborazione (maggiore efficienza) ed il costo di fabbricazione. Inoltre l'esecuzione del software è spesso in tempo reale (real-time) per permettere un controllo deterministico “causa-effetto” dei tempi di esecuzione. La realizzazione di un Sistemi hw/Sw di acquisizione dati Real-time di un impianto di produzione (Controllo automatici per azionamento macchine, di qualità, di produzione, ecc) consente il rilevamento di dati quali ad esempio pezzi prodotti, stato macchina, tempi di fermo, temperatura, velocità, segnali A/D, pressioni, valori di coppia, segnali ad alta velocità, ecc. Tutti i dati vengono raccolti in tempo reale con PLC, costruendo database per poterli analizzare per prevedere valori scostanti rispetto ai risultati programmati. opportuni Gli sviluppi attuali sono in direzione Web, con l’obiettivo della connettibilità completa in modo da offrire la totale o parziale visibilità remota dei sistemi controllati ma anche, per esempio, l’accesso a sistemi di archiviazione remota, così da poter strutturare sistemi embedded con hardware ridotto e, questo risulta fondamentale per applicazioni di controllo di processi industriali critici che si svolgono in condizioni ambientali gravose, con inaccessibilità da parte di operatori, in postazioni remote, ecc L’informatizzazione della produzione è impostata su Internet of Things (IoT) (si riferisce a macchine intelligenti con sensoristica diffusa, collegate direttamente oppure tramite Cloud), e può essere considerato come un'estensione delle reti di sensori tradizionali (WSN) che rende possibile la comunicazione oggettooggetto possibile grazie all’uso della tecnologia chiamata “identificazione a radiofrequenza” (RFID). Con l’aiuto dei sensori intelligenti, gateway «sensori e attuatori» e software di visualizzazione e di analisi dei dati diventa possibile tenere sotto attento controllo i punti critici maggiormente soggetti a usura meccanica in modo prevenire guasti e conseguenti arresti delle linee; in questo modo gli stabilimenti hanno visto l’affermarsi di sistemi di monitoraggio applicati ai singoli macchinari di linea. Nell’ambito dell’IIoT (Industrial Internet of Things), si prevede la progressiva miniaturizzazione dei dispositivi, la riduzione dei consumi energetici e dei relativi costi e la diffusione dei sensori in diversi contesti in modo da avvicinare sempre di più il mondo fisico al mondo digitale «trasformazione digitale», Si potranno conseguire in soluzioni su misura per quelle che sono le particolarità precise di ogni lavorazione, per rispondere puntualmente a esigenze specifiche. Dal punto di vista del processo produttivo la fabbrica intelligente si può definire come “una soluzione produttiva che favorisce processi flessibili e adattivi attraverso un impianto di produzione dinamico e in rapida evoluzione. Robotica Il robot Tecnica costruttiva Area di lavoro Componenti di un robot - bracci meccanici - Attuatori - Sensori - Sistema di controllo - cinematica dei roboT - Dinamica di un robot - Controllo del moto di un manipolatore - Comportamento di un sistema meccanico - Navigazione robotica - Sistema elettrico - Sistema di controllo IL ROBOT Il robot è un manipolatore multifunzionale riprogrammabile, progettato per muovere materiali, parti, attrezzi o dispositivi specialistici attraverso vari movimenti programmati, per l’esecuzione di diversi compiti) I campi disciplinari coinvolti sono: - meccanica • elettronica • controlli automatici • informatica • misure •… Il robot antropomorfi capaci di muovere le mani, la testa,etc. e di salire fluidamente le scale, grazie ad un sofisticato meccanismo di bilanciamento del baricentro. Sostanzialmente operano in due settori: Robotica avanzata •applicazioni in ambiente ostile (spaziale, sottomarino, nucleare, militare…) •servizio (applicazioni domestiche, assistenza medica, robotica per protesi mediche, intrattenimento, agricoltura, education, …) tecnologia non ancore matura Robotica industriale • applicazioni dei robot in ambito industriale tecnologia matura e affidabile La parti principali che costituiscono un robot sono: • Il corpo: è il basamento della macchina e contiene solitamente le movimentazioni principali; • Il braccio: si compone normalmente di più elementi rigidi collegati fra loro mediante cerniere manicotti controllati dall’elettronica di governo • La mano (gripper o end effector): può essere una pinza o un attrezzo (pinza di saldatura, pistole per verniciatura, avvitatori) I DOF (degrees of freedom: i gradi di libertà ) sono uno dei parametri che ci consentono di capire quanto è sofisticato un robot in quanto descrivono la capacità di muoversi di un robot e di farlo in un certo modo; tanto più è elevato questo numero quanto più è sofisticato un robot sotto l’aspetto del movimento. il robot industriale assumerà delle caratteristiche peculiari nello svolgimento dei vari compiti, in dipendenza della tipologia di automazione che viene implementata; per l’automazione rigida dovrà essere predisposta per effettuare solo determinati tipi di compiti, che rimarranno sempre fissi nel corso della sua esistenza, ottimizzando però la velocità di esecuzione. Per l’automazione flessibile i compiti sono sempre diversi e quindi la struttura del robot (meccanica e/o di programmazione) deve essere estremamente flessibile. Compiti dei Robot Movimentazione (o trasporto): In questa categoria rientrano tutte le applicazioni nelle quali il robot non esegue direttamente una operazione sui pezzi prodotti, ma piuttosto provvede a movimentarli tra le macchine operateci nell’ambito di una cella di lavorazione. Manipolazione: Si divide in due sottocategorie: • Lavorazione Questa categoria comprende tutte le operazioni che il robot esegue con un attrezzo sui prodotti. • Assemblaggio Le operazioni di assemblaggio costituiscono un’area di impiego che ha avuto una grossa espansione nel corso dell’ultima decina di anni e che è tuttora in forte crescita. Misura: Alcuni tipici compiti di misura sono elencati di seguito: • rilevamento di profili; • collaudo dimensionale; • ispezione per le valutazioni di qualità dei prodottie per l’individuazione di difetti di fabbricazione; Per implementare i diversi compiti, il robot viene solitamente coadiuvato da appositi macchinari (automatici o semiautomatici), quali ad esempio macchine per il taglio (a controllo numerico, CNC) o per l’approvvigionamento dei materiali, o per il cambio degli utensili. L’insieme delle macchine utilizzate in un processo o gruppo di sottoprocessi costituisce la cosiddetta cella di lavoro. Tecnica costruttiva: accuratezza, ripetibilità Un robot manipolatore è l’insieme di braccio, alimentazione esterna, utensili montati sul braccio, sensori interni ed esterni, interfaccia verso il computer e computer di controllo. Il software di controllo deve essere visto come parte integrante del sistema e può avere grande influenza sulle sue performance e sul suo conseguente range di applicazioni. L’accuratezza di un manipolatore è la misura di quale sia la sua precisione nel raggiungere un determinato punto all’interno del suo spazio di lavoro. La ripetibilità è la misura della sua precisione nel riposizionarsi in un punto precedentemente raggiunto. Il metodo primario di misurare gli errori di posizione è attraverso encoder di posizione posti sui giunti, o sull’albero del motore che comanda il giunto o sul giunto stesso. L’accuratezza sarà affetta da errori computazionali «dovuti all’utilizzo del computer, dalla accuratezza meccanica nella costruzione del manipolatore, da effetti di flessibilità quali il piegamento dei giunti per effetto gravitazionale o di carico, da giochi meccanici e da un insieme di effetti statici e dinamici. Per questo motivo i robots vengono progettati con una altissima rigidità. Senza di essa, l’accuratezza può essere migliorata solo attraverso una misura diretta della posizione dell’end-effector, per esempio con la visione. In ambienti ristretti si usano i manipolatori basati su giunti rotazionali rispetto a quelli lineari in quanto occupano uno spazio di lavoro minore. Questo favorisce la loro integrazione in un ambiente ove siano presenti altri robots, macchine o umani. Inoltre i manipolatori con giunti rotazionali hanno più facilità a manovrare tra gli ostacoli ed un maggior campo di applicazioni I giunti presenti nella catena cinematica tra braccio e end-effector «pinza» vengono detti Wrist, ed essi sono quasi sempre rotazionali. Recentemente si è affermata la tendenza progettuale di avere wrist sferici, ovvero tali che i loro 3 assi si intersechino in un punto comune. Il polso sferico semplifica molto l’analisi cinematica, permettendo di disaccoppiare posizione e orientamento dell’end effector (mano); la bontà di un robot sta tutta sul suo end effector in quanto il braccio e polso di un robot hanno la loro primaria ragion d’essere nel posizionare l’end effector mentre gli utensili che verranno montati su di esso eseguiranno effettivamente il lavoro. La tipologia più semplice di end effector è il gripper (pinza) che solitamente compie solo 2 azioni: apertura e chiusura. Il gripper quindi è perfettamente adeguato per spostare del materiale o afferrare degli utensili ma non lo è per altri lavori quali la macinatura, l’assemblaggio, la saldatura ecc. Per questo, è molto attiva la ricerca per arrivare a progettare end effector dedicati a particolari applicazioni e utensili che possano essere cambiati quando il lavoro lo richiede. Generalmente robot sono alimentati elettricamente, idraulicamente o pneumaticamente. Gli attuatori idraulici sono senza rivali nella velocità di risposta e nella capacità di produrre coppia elevata. Ecco perchè i robot idraulici sono utilizzati principalmente per il sollevamento di carichi pesanti. Gli svantaggi di un robot idraulico sono che essi tendono ad una perdita di fluido idraulico, richiedono molte periferiche accessorie (come . le pompe, che a loro volta richiedono molta manutenzione) e il fatto che sono piuttosto rumorosi. I robot guidati da motori elettrici DC o da servo-motori AC stanno diventando sempre più popolari per la loro economicità, pulizia e silenziosità. Infine, i robot pneumatici sono poco costosi e semplici ma essi non possono essere controllati con precisione. Di conseguenza, i robot pneumatici hanno una gamma limitata di applicazioni e utilizzo Esistono diversi approcci distinti al controllo basato sulla vista basati principalmente alla configurazione del sistema e al modo in cui vengono utilizzati i dati dell'immagine. Con una configurazione fissa della telecamera, la telecamera è posizionata in modo da poter osservare il manipolatore e qualsiasi oggetto da manipolare. Ci sono molti vantaggi a questo approccio. Poiché la posizione della telecamera è fissa, il campo visivo non cambia mentre il manipolatore si sposta. Uno svantaggio di questo approccio è che mentre il manipolatore si sposta attraverso lo spazio di lavoro, può occludere il campo visivo della telecamera Con un sistema eye-in-hand, la fotocamera è spesso collegata al manipolatore sopra il polso, cioè il movimento del polso non influisce sul movimento della fotocamera. In questo modo, la telecamera può osservare il movimento dell'effettore finale a una risoluzione fissa e senza occlusione mentre il manipolatore si sposta attraverso lo spazio di lavoro . Una difficoltà che affronta la configurazione dell'occhio in mano è che la relazione geometrica tra la telecamera e lo spazio di lavoro cambia come i movimenti del manipolatore. I problemi che si possono incontrare nello sviluppo di un robot riguardano: • Cinematica: le velocità dei giunti con le velocità Cartesiane dell’end-effector. • Statica: Relazione le coppie applicate ai giunti ed il moto (posizioni e velocità) delle coordinate di giunto • Dinamica: conoscenza del modello dinamico del manipolatore utile per la Simulazione e il Controllo • Controllo del moto; Si adottano leggi di controllo in anello chiuso per controllare il movimento del manipolatore • Controllo dell’interazione; Si vuole che il robot interagisca con l'ambiente di lavoro esercitando le forze desiderate. Area di applicazione I robot sono spesso classificati in base all’area di applicazione, suddividendoli in assembly e non assembly. I robot per assemblaggio tendono ad essere piccoli, guidati elettricamente e di tipo revolute o SCARA. I robot non assembly, sono usati principalmente per la saldatura, la verniciatura a spruzzo, la movimentazione di materiali e il carico e scarico delle macchine; in base al metodo controllo si dividono in servo servo (dispositivi controllati ad anello aperto ) serv ( dispositivi controllati a ciclo chiuso) I robot servo controllati sono ulteriormente classificabili secondo il metodo che il controller utilizza per guidare l’attuatore. Il tipo più semplice di robot non servo in questa classe è il robot punto-punto. Un robot punto-punto può essere istruito ad assumere un insieme discreto di posizioni ma non vi è poi alcun controllo sul percorso seguito dall’attuatore da una posizione all’altra. La serie di posizioni che il robot deve assumere viene solitamente assegnata attraverso una pulsantiera mobile (teach pendant). I punti/posizioni vengono poi memorizzati e riprodotti. I robot punto-punto presentano una gamma di applicazioni limitata I robot a percorso continuo (servo robot: continuous path robots), invece, controlla l’intero percorso dell’attuatore. Per esempio, al robot può essere insegnato a seguire una linea retta tra due punti o anche a seguire un certo contorno (ad esempio per eseguire una saldatura). Inoltre, può spesso essere controllata anche la velocità e/o l’accelerazione dell’attuatore. Questi sono i robot più avanzati e richiedono sofisticati algoritmi di controllo. Elementi dei Robot Caratterizzazione generale dei robot Un robot è costituito in generale da • una struttura meccanica • attuatori, • sensori • sistema di controllo. IL SISTEMA MECCANICO Robot manipolatori possono essere classificati secondo criteri diversi, come il tipo di alimentazione, il modo in cui vengono azionati i giunti, la loro geometria, la loro struttura cinematica, l’area di applicazione o il metodo di controllo. Tale classificazione è utile principalmente per determinare il robot più adatto ad un determinato compito Il manipolatore « sistema meccanico» è costituito da una serie di corpi rigidi (link) connessi da giunti Un’estremità della catena è costituita dalla BASE, di norma fissata terra. All’altra estremità è presente l’END EFFECTOR (pinza, strumento di lavoro). Nel manipolatore si individua una struttura portante che garantisce il posizionamento ed un POLSO che conferisce destrezza, dando i gradi di libertà di orientamento all’organo terminale. Un end-effector dell’ultima generazione in un braccio meccanico si possono per cui distinguere : o o o o una struttura meccanica a catena cinematica aperta o a catena cinematica chiusa; dei gradi di libertà ( descrizione di un compito ); dei gradi di movimento (giunti prismatici o rotoidali ); uno spazio di lavoro ( porzione dell’ ambiente circostante a cui può accedere l’ organo terminale) Per la costruzione dei bracci meccanici le piu comuni sono: • Seriale • Parallela • Ibrida DEI ROBOT si possono adottate diverse tecnologie geometriche Schematizzazione manipolatore industriale con i relativi termini tecnici, a sette gradi di movimento: Robot Seriali: Cartesiano – TTT, utilizzati in genere per la pallettizzazione di grossi carichi Il manipolatore cartesiano è caratterizzato da : - tre giunti prismatici - ad ogni grado di mobilità corrisponde un grado di libertà - ottime caratteristiche di rigidezza meccanica precisione di posizionamento del polso costante nello spazio di lavoro Robot Seriali: Cilindrico – RTTA, area di impiego: - Fissaggio di componenti elettronici - Montaggio manipolatore cilindrico è caratterizzato da: • un giunto rotoidale e due prismatici • ad ogni grado di libertà corrisponde un grado di mobilità ( in coordinate cilindriche ) • buona rigidezza meccanica • la precisione di posizionamento del polso si riduce al crescere dello sbraccio orizzontale • impiegato per operazioni di trasporto di oggetti anche di peso rilevante e anche perazionamenti idraulici o elettrici ROBOT SERIALI: SFERICO - RRT Il manipolatore sferico è caratterizzato da: • due giunti rotoidali e uno prismatico • ad ogni grado di mobilità corrisponde un grado di Libertà ( in coordinate sferiche ) • discreta rigidezza meccanica • precisione di posizionamento del polso si riduce al crescere dello sbraccio radiale • azionamenti elettrici Robot Seriali: SCARA – RR, SCARA è acronimo di: Selective Compliance Assembly Robot Arm Area di impiego principale: pallettizzazione o la depallettizzazione Il braccio meccanico con tecnologia SCARA è contraddistinto da : • due giunti rotoidali e uno prismatico • elevata rigidezza a carichi verticali e cedevolezza a carichi orizzontali • la precisione di posizionamento del polso si riduce al crescere della distanza del polso stesso dall’ asse del primo giunto • manipolazione di piccoli oggetti • azionamenti elettrici Il termine “antropomorfo” deriva dal fatto che la sua struttura è molto simile a quella di un braccio umano. E’ caratterizzato da : • tre giunti rotoidali • spalla e gomito che connettono il braccio all’ avambraccio PARTICOLARI DEI GIUNTI Cartesiano (tre giunti Prismatici)Sferico Sferico (un giunto prismatico e due rotoidali) Cilindrico (due giunti prismatici e uno rotoidale) Rotazionale (tre o più giunti rotoidali) Robot Paralleli: 4 bar, I Robot paralleli sono anche detti a catena cinematica chiusa • La struttura a 4 bar è in genere attuata da un solo motore • Caratteristiche principali: - il link superiore si mantiene parallelo alla base durante il moto - elevata robustezza (più delle catene seriali) Robot Paralleli: 5 bar (R) • La struttura a 5 bar è in genere attuata da due motori, spesso coassiali • Caratteristica principale: - Sono ammesse configurazioni in cui il link superiore non è parallelo alla base Robot Paralleli: 5 bar Misto (RT): si possono ottenere le stesse caratteristiche utilizzando giunti tipo R e T Robot Paralleli: 6D, Il moto dell’end-effector non è più planare, ma segue una traiettoria 3D. La posizione dell’end-effector è quindi identificata da sei coordinate (3 di posizione e 3 di orientamento). Sono meccanismi molto complessi. Robot Ibridi. Nascono dalla fusione dei robot seriali e paralleli. Esempio di robot unione di un 5 bar e di uno SCARA, con inserimento di due ulteriori dof (q1, q4: gradi di libertà ). La struttura cinematica dei bracci meccanici è composta da: • Link (o membri): corpi rigidi interconnessi • Giunti: si suddividono a loro volta in - Giunti prismatici; - Giunti rotoidali Attuatori Gli attuatori si possono dividere in tre grandi categorie: Attuatori Elettrici, Attuatori Idraulici, . Attuatori Pneumatici. Attuatori Elettrici Utilizzati nel 50% circa dei casi • • • • • Vantaggi: velocità e precisione; possibilità di utilizzare sofisticati algoritmi di controllo; di facile reperibilità e relativamente basso costo; semplicità di impiego; ridotte dimensioni e peso. Svantaggi: • • la necessità di impiegare di un riduttore con conseguente imprecisione, ingombro e aggravio dei costi; la potenza disponibile è limitata. Attuatori Idraulici Utilizzati nel 35% circa dei casi. Vantaggi: • grande capacità di carico; • grande velocità; • una volta in posizione, la configurazione è mantenuta a causa della incomprimibilità dell’olio; • possibilità di avere un controllo accurato; Svantaggi: • costi relativamente elevati per piccole dimensioni; • rumorosità e problemi per perdite di olio; • maggiore ingombro Attuatori Pneumatici utilizzati nel 15% circa dei casi. Vantaggi: • relativamente basso costo; • alta velocità. Svantaggi: • limitata accuratezza(per la comprimibilità dell’aria) • rumorosità e perdite; • necessità di filtri per l’aria ed esigenze di manutenzione. Sensori Si possono suddividere i sensori in due classi principali: - Propriocettivi: Percezione dello stato interno - Eterocettivi: Percezione dello stato esterno Sensori propriocettivi in grado di misurare grandezze proprie del robot, come la posizione o la velocità dei giunti o delle ruote (variabili interne al sistema che sono usate per il controllo del robot) Alcuni esempi: Switch Encoder ottici Potenziometri Sensori a effetto Hall Sensori eterocettivi in grado di misurare grandezze dell’ambiente in cui il robot opera, come la temperatura, la distanza da ostacoli, la posizione/orientamento degli oggetti da manipolare, ecc., ovvero le forze che sono scambiate tra il robot e l’ambiente. Si possono suddividere in quattro grandi famiglie: • Sensori di forza/coppia e tattili, : strain gauge • Sensori di prossimità o distanza: sensori a ultrasuoni, laser, a effetto Hall e a infrarossi • Sistemi di visione; • Sensori speciali per le applicazioni. SISTEMA DI CONTROLLO Un sistema di controllo fornisce un comando in tensione o in corrente agli attuatori (motori) in modo da far assumere ai giunti una configurazione desiderata Encoder: sensore che misura la rotazione dei giunti in valore relativo o assoluto. La misurazione avviene in “tacche di encoder” Riduttore: meccanismo che riduce i giri dell’asse montato sul giunto rispetto ai giri del motore (es. riduzione 1:N) Amplificatore di potenza: amplifica un segnale di riferimento in un segnale di potenza per muovere il motore Unità di controllo: unità che produce un segnale di riferimento per il motore Relazione tra posizione del giunto e posizione encoder : posizione giunto in gradi q: posizione giunto in tacche di encoder N: rapporto di riduzione del motore R: risoluzione dell’encoder (numero di tacche per giro) CONTROLLO AD ANELLO CHIUSO (FEEDBACK) La variabile da controllare è misurata e confrontata con il valore desiderato la differenza, o errore, è elaborata secondo un algoritmo prefissato il risultato di quest'elaborazione costituisce il valore d'ingresso dell'attuatore Valore desiderato e + Algoritmo di controllo V Attuatore Sensore posizione attuale CONTROLLO PID (PROPORZIONALE, INTEGRATIVO E DERIVATIVO) E’ un sistema di controllo ad anello chiuso in cui l'errore è processato con un algoritmo di tipo Proporzionale, Integrativo e derivativo. Quest'algoritmo è composto di tre parti: Proporzionale, così detta perché il suo effetto è proporzionale all'errore; Integrativa, perché produce in uscita una correzione che rappresenta l'integrale dell'errore nel tempo; Derivativa perché genera una correzione che è funzione della derivata prima dell'errore. Non tutti i sistemi di controllo ad anello chiuso fanno uso di un algoritmo di tipo PID In un controllo PID l’errore è dato in ingresso al sistema di controllo il quale calcola le componenti derivativa e integrale e il segnale di uscita V Kp è il guadagno o costante proporzionale Ki è il guadagno o costante integrale Kd è il guadagno o costante derivativa eq rappresenta l’errore, ovvero la differenza tra posizione desiderata e posizione attuale Le costanti Kp, Kd, Ki vengono determinate in modo empirico o con metodi specifici CONTROLLO PID: COMPONENTE PROPORZIONALE La tensione V imposta al motore è proporzionale alla differenza tra la posizione effettiva misurata dal sensore e la posizione desiderata La tensione imposta al motore nell’unità di tempo è proporzionale alla differenza tra la posizione effettiva misurata dal sensore e la posizione desiderata V K p e q eq qd qa KP : costante proporzionale comportamento del sistema Posizione desiderata: 1 • Il motore convergere desiderata oscilla prima di verso la posizione • Il sistema si assesta senza annullare l’errore CONTROLLO PID: COMPONENTE DERIVATIVA E PROPORZIONALE Controllo Proporzionale e Derivativo: p • Riduzione delle oscillazioni • Diminuzione del tempo di assestamento • Il sistema si assesta senza annullare l’errore CONTROLLO PID: COMPONENTE INTEGRATIVA • Il sistema si assesta annullando l’errore CINEMATICA DEI ROBOT La cinematica è quel ramo della fisica che si occupa di descrivere quantitativamente il moto dei corpi, senza porsi il problema di prevedere il moto futuro a partire da grandezze note. In ambito industriale, la cinematica studia la relazione tra le posizioni dei giunti, le posizioni e l’ orientamento dell’ organo terminale, chiamato anche end effector. cinematica diretta Il problema cinematico diretto consiste nel determinare la posizione e l’orientamento dell’end effector del manipolatore (indicato con x), a partire dalle coordinate di giunto q. Quindi dobbiamo trovare una funzione che metta in relazione x e q: LA CINEMATICA INVERSA Il problema cinematico inverso consiste nel determinare le coordinate di giunto q corrispondenti a una data posizione e a un dato orientamento dell’end effector (x) del manipolatore. Quindi dobbiamo trovare una funzione che metta in relazione x e q: In generale - Le equazioni da risolvere sono in generale non lineari Non è sempre possibile trovare una soluzione analitica Si possono avere soluzioni multiple Si possono avere infinite soluzioni (manipolatori ridondanti) In funzione della struttura cinematica del braccio, possono non esistere soluzioni ammissibili L’esistenza di una soluzione è sempre garantita se la posizione e l’orientamento desiderati appartengono allo spazio di lavoro destro del manipolatore Altre operazioni Cinematica differenziale: studia il legame tra le velocità dei giunti e la velocità dell’ organo terminale. Il legame è espresso da una matrice, detta Jacobiano del manipolatore. Statica : esprime il legame tra un vettore di forze F applicate all’end effector e il corrispondente vettore di coppie generalizzate τ che tiene in equilibrio il sistema. Pianificazione della traettoria: con la pianificazione della traiettoria s’ intende stabilire la modalità con cui si vuole che evolva il movimento del manipolatore, da una postura iniziale ad una postura finale. Si tratta didefinire sia il percorso geometrico sia la legge di moto da realizzare DINAMICA DI UN ROBOT La Dinamica di un robot studia le cause che ne generano il movimento. Questa materia ricopre un ruolo fondamentale in numerosi ambiti tra cui: la simulazione del moto, il progetto meccanico di prototipi e la sintesi di algoritmi di controllo. La possibilità di simulare un manipolatore permette di testare strategie di controllo e tecniche di pianificazione del moto senza aver bisogno di utilizzare un robot reale. L’analisi del modello dinamico e il calcolo delle forze/coppie necessarie per l’esecuzione di un movimento, forniscono invece informazioni utili per il progetto meccanico dei giunti, delle trasmissioni e degli attuatori. Il modello dinamico Il modello dinamico di un manipolatore fornisce una descrizione matematica della relazione esistente tra le forze generalizzate agenti sul robot e il movimento risultante della sua struttura meccanica. Per forze generalizzate intendiamo sia le coppie di attuazione applicate ai motori sia le forze e i momenti esercitati dall’ambiente esterno sul robotFra i numerosi formalismi e principi della meccanica in base ai quali derivare il modello dinamico di un robot quelli piu importanti sono Approccio Lagrangiano Approccio di Newton-Eulero. Dinamica diretta ed inversa Analogamente a quanto visto per la cinematica nei numeri precedenti di Didattica nella Robotica, anche per lo studio della dinamica è importante trovare la soluzione di due tipi di problemi: la dinamica diretta e quella inversa. Dinamica diretta Il problema dinamico diretto consiste nel determinare le accelerazioni ai giunti q (t) assegnate le coppie ai giunti τ (t) e, note le posizioni iniziali q (t0) e le velocità iniziali q (t0) le posizioni q(t) e le velocità q(t). La soluzione del problema dinamico diretto è utile per la simulazione numerica della dinamica, ed è ottenibile sia con l’approccio di Lagrange sia con l’approccio di Newton-Eulero. Dinamica inversa Il problema dinamico inverso consiste invece nel determinare le coppie ai giunti τ (t) necessarie alla generazione del movimento, assegnate le accelerazioni q(t) le velocità q(t) e le posizioni q(t) . La sua soluzione è utile per la pianificazione della traiettoria e per il controllo basato sul modello, ed è ottenibile in efficiente ed in tempo reale con l’approccio di Newton-Eulero. (Matteo Parigi Polverini) CONTROLLO DEL MOTO DI UN MANIPOLATORE Obiettivo del controllo del moto di un manipolatore è muovere il braccio da una posizione iniziale ad una posizione finale espresse nelle coordinate dello spazio operativo In generale, il problema del controllo del moto di un manipolatore consiste nel determinare l’andamento delle forze o coppie che gli attuatori devono applicare ai giunti in modo da garantire l’esecuzione di una traiettoria pianificata attraverso: OBIETTIVO: generare gli ingressi di riferimento per il sistema di controllo del moto per muovere il braccio da xstart a xf in un intervallo di tempo t PERCORSO: luogo dei punti dello spazio dei giunti o dello spazio operativo che il manipolatore deve descrivere nell’esecuzione del movimento assegnato TRAIETTORIA: percorso su cui è specificata la legge oraria di moto (velocità ed accelerazione in ogni punto) DATI IN INPUT: definizione del percorso (vincoli del percorso, vincoli dovuti alla dinamica del manipolatore) DATI IN OUTPUT: nello spazio dei giunti: traiettorie dei vari giunti nello spazio operativo: traiettoria dell’end effector L’algoritmo di pianificazione deve in generale soddisfarei seguenti requisiti: Le traiettorie generate devono rendere minima una opportuna funzione peso Le posizioni e le velocità dei giunti devono essere funzioni continue del tempo Devono essere minimizzati effetti indesiderati (e.g. traiettorie a curvatura non regolare) Il controllo del moto può essere realizzato nello spazio dei giunti spazio operativo nello spazio dei giunti: si muove il braccio da xi a xd espresse nello spazio operativo del robot senza interessarsi alla traiettoria percorsa dall’organo terminale del braccio L’inversione cinematica (K^-1) viene effettuata al di fuori del ciclo di controllo Il pianificatore «controllore» delle traiettorie stabilisce per ogni giunto la traiettoria di movimento in accordo alla legge utilizzata Il movimento viene eseguito tramite il controllo PID Controllo del moto nello spazio operativo: nell’effettuazione del movimento da xi a xd l’organo terminale del manipolatore esegue nello spazio operativo un traiettoria in accordo ad una legge prestabilita Es. traiettoria lineare o curvilinea L’inversione cinematica viene effettuata all’interno del ciclo di controllo Il pianificatore delle traiettorie stabilisce per ogni giunto la traiettoria di movimento in accordo alla legge utilizzata Il movimento viene eseguito dal controllore i controllori possono essere: di basso livello: agiscono direttamente sull’effettore per controllarne la dinamica, come ad esempio i controllo della posizione, velocità e coppia di un motore di alto livello (supervisori, pianificatori, ecc.) hanno il compito di comportamento complessivo del robot controllori PID per il pianificare e supervisionare il I controllori, in base alle informazioni ricevute dall'organo di riferimento (o dal regolatore dell'anello immediatamente più esterno) e dall'organo di misura «segnale retroazionato», forniscono dei segnali utili a correggere qualsiasi allontanamento, causato da variazioni funzionali del sistema o da variazioni delle variabile di processo dal loro valore di riferimento. Il loro scopo è infatti fare in modo cioè che la variabile di processo segua più strettamente possibile il valore di riferimento indipendentemente dalla presenza o meno di disturbi. garantendo in questo modo la stabilità I controllori standard largamente utilizzati in campo industriale sono caratterizzati da una rete di retroazione che ha una struttura fissa (di tipo P, I, PI, PD, PID) e da parametri che, dimensionati per una certa condizione di lavoro, restano fissi durante il funzionamento La regolazione è dunque relativa ad una determinata condizione di funzionamento; pertanto se ci si allontana sensibilmente da tale condizione si possono verificare smorzamenti non più soddisfacenti e anche instabilità. In questi casi può essere opportuno ricorrere a controllori adattativi, in cui o i parametri o la struttura della rete di retroazione sono variabili in relazione alle condizioni di funzionamento del sistema controllato, in modo che il circuito di regolazione risulti sempre stabilizzato in maniera ottimale C o m p o r t a m e n t o d i u n s i s t e m a m e c ca n ico co m p leto Il sistema meccanico, nella sua espressione più generale, è ottenuto considerando insieme l'equazione dell' equilibrio dinamico (legame coppia velocità angolare) e la relazione tra la velocità e la posizione, dalle quali si ricava il seguente sistema di equazioni differenziali del I ordine in cuyinon si considera la coppia di attrito: ( Cm – Cr) = Cj = J *dw/dt d θ(t)/dt = w(t) controllo di moto controllo di posizione w(s) = (Cm(s) – Cr(s))/J*s Nel dominio delle s Θ(s) = w(s) /s Le due equazion i evidenziano che il sistem a m eccanico h a u n comportamento integrale infatti per Laplace moltiplicare una variabile per 1/s equivale a farne l’integrale nel dominio del tempo La risposta ad un segnale d’ingresso a gradino «coppia d’inerzia» di com portamento puram ente integrale è una rampa. un sistema a ( Cm – Cr) = Cj = J *dw/dt Nel caso particolare la velocità (uscita) cresce linearmente finchè la coppia di inerzia Cj = Cm –Cr è diversa da 0 Si individuano pertanto le zone di funzionamento: - in transitorio (velocità variabile nel tempo); - a regime (velocità costante Maggiore l'accelerazione cioè la pendenza della rampa minore è il tempo di salita. La risposta ad un segnale d’ingresso a rampa di velocità (wp) di un sistema a comportamento puram ente integrale è una parabola d θ(t)/dt = w(t) Θ(s) / w(s) = (1/s) In questo caso lo spostamento avviene con la dovuta gradualità sia in fase di partenza che di arrivo (posizione rispettivamente min e max dove la velocità è nulla). Traiettorie tipiche del controllo di m o t o Supponiamo di avere, per semplicità, una coppia resistente nulla (CR=O), cioè un carico semplicemente inerziale (Cm = CJ) In questo caso specifico nelle due tipiche sequenze di lavoro: figure che seguono sono indicati gli andamenti di - avviamento ed arresto - avviamento, inversione di velocità ed arresto È interessante puntualizzare che: per una determinata inerzia totale J del sistema meccanico la pendenza della rampa (cioè l'accelerazione o la decelerazione) dipende unicamente dalla coppia. Il limite, cioè la coppia massima erogabile, dipende, negli attuatori elettrici, dalla massima corrente che il motore elettrico può erogare. Nei transitori, si deve considerare la corrente di picco. In base al suo valore si dovrà fissare un limite di corrente nel dispositivo di azionamento Traiettorie tipich e del controllo di posizione di un giunto (integrale) In questo caso, con riferimento al profilo di velocità, si distinguono due tipiche traiettorie: 1.spostamento con profilo di velocità triangolare 2. spostamento con profilo di velocità a trapezio Sempre supponendo carico inerziale (CR = O) si ha spostamento con profilo di velocità triangolare S p o s t a m e n t o c o n profilo di velocità trapezio Questo tipo di traiettoria deve essere applicata quando la velocità di picco wp che si otterrebbe in uno spostamento con profilo di velocità triangolare è superiore al limite massimo imposto wMAX, che può dipendere dall'applicazione o dall'azionamento (La traiettoria »posizione» corrispondente è di tipo polinomiale misto: un tratto lineare raccordato con due tratti parabolici nell’intorno delle posizioni iniziale e finale.) Navigazione Robotica In robotica, il problema della navigazione può essere definito come il problema di raggiungere una posizione finale partendo da una posizione iniziale, specificate in termini geometrici o di stato sensoriale, evitando gli ostacoli A tale scopo con metodologie che possono essere il piu diverse possibili d si deve individuare la posizione del robot, quella degli altri oggetti e il percorso attraverso: Localizzazione: posizione geometrica (coordinate X,Y rispetto ad un sistema di riferimento assoluto) o stato sensoriale nell’ambiente in cui il robot naviga Mappe o Modelli: formalizzazione e rappresentazione dell’ambiente Planning: pianificazione dei movimenti del robot nell’ambiente che consiste nel è determinare una traiettoria che il robot deve eseguire per raggiungere una configurazione finale a partire da una configurazione iniziale (la sua posizione attuale) evitando gli ostacoli, questo consente il: Controllo in velocità: consiste nell’impostare una velocità e una accelerazione ai motori delle ruote attraverso la determinare delle tensioni da applicare ai motori Controllo in posizione: consiste nell’impostare una posizione da raggiungere attraverso il calcolo delle velocità e delle accelerazioni da impostare ai motori per raggiungere la posizione voluta (cinematica inversa). Encoder: sensore che misura la rotazione dei giunti in valore relativo calcolando le tensioni ai motori affinchè l’encoder rilevi lo sfasamento in gradi nell’unità di tempo dt «qnext – qact « Nel caso del controllo in posizione La tensione imposta al motore è proporzionale alla differenza tra la posizione effettiva misurata dal sensore e la posizione voluta ARCHITETTURA HARDWARE DI UNA BASE MOBILE movimentazione I veicoli possono essere movimentati mediante: - Ruote; - Cingoli; - Gambe; Ruote Ruota Fissa: •Il punto P non può muoversi, a meno di non •strisciare, in direzione dell’asse della ruota Ruota Orientabile Centrata Ruota Orientabile Eccentrica (Castor Wheel): • Proprietà omnidirezionale • Cingoli • Movimento rettilineo: i cingoli vanno alla stessa velocità e direzione; • Movimento rototraslazionale: con CIR esterno, con CIR sull’asse di un cingolo; • Movimento rotazionale: con CIR interno. • Tutto ciò vale anche per le ruote •Gambe : Utilizzate in genere per movimentare robot immersi in ambienti sconosciuti, data la facilità con la quale permettono al robot di superare gli ostacoli SISTEMA ELETTRICO Interfaccia utente/robot : serve per programmare il robot. u n ità di conversion e dell’energia: è la sorgente esterna di potenza (batterie, alimentazione, celle solari, ecc.). sensori : servono a misurare la posizione del robot, tramite degli encoders. attuatori: sono gli organi, in genere elettrici o idraulici, che attuano il movimento del robot.e sistema di controllo: esercita un feedback sui movimenti del robot. I suoi compiti principali sono: interagire con l’operatore, – immagazzinare i dati, – controllare i giunti in tempo reale, – monitorare i sensori, – interagire con altri macchinari, – pianificare i movimenti del manipolatore. • Gestione dell’interazione con altre macchine • Diagnostiche, gestione malfunzionamenti Il sistema di controllo in senso stretto deve sempre più spesso integrarsi con • il monitoraggio dell’impianto (ai fini più svariati), • la gestione della produzione, • la gestione degli approvvigionamenti, • la logistica. – Unità di controllo e programmazione L’ unità di controllo è un sistema elettronico - informatico complesso e sofisticato. Tra le principali funzioni di un sistema di controllo troviamo: • Interfaccia con l’operatore (MMI) • Programmazione dei compiti • Pianificazione delle traiettorie • Controllo in tempo reale del moto dei giunti • Archivio ed elaborazione dati • Gestione dell’interazione con altre macchine • Diagnostiche, gestione malfunzionamenti Queste specifiche sono relative al software, ma molto importanti sono anche quelle dell’ hardware. Ciò che contraddistingue l’ unità di controllo rispetto ai semplici elaboratori dal punto di vista dell’ architettura sono : • unità di controllo ed elaborazione potentissime ( multi – microprocessori) • elettronica di potenza Ci sono poi anche caratteristiche comuni quali ad esempio dispositivi di I/O e comunicazione e sistemi di interfaccia uomo macchina. Normalmente i robot vengono programmati mediante linguaggi di programmazione simili a quelli usati per i computer. In questo caso i linguaggi di programmazione sono propri dei costruttori ( per esempio la COMAU ha sviluppato il linguaggio PDL2 ). Per facilitare la programmazione nei sistemi è integrato l’ ambiente di programmazione teaching by doing. L’ operatore fa muovere il manipolatore, o giunto per giunto o secondo le direzioni cartesiane e man mano vengono memorizzate le posizioni che poi saranno raccordate dal software di generazione della traettoria. A seguire un esempio di programma, in cui un robot prende un pezzo dal nastro trasportatore e lo trasferisce o su una tavola o in un contenitore di scarto a seconda di $DIN(2). PROGRAM pezzo VAR riposo, trasp, tavola, scarto : POSITION BEING CYCLE MOVE TO riposo OPEN HAND 1 WAIT FOR $DIN(1)=ON //aspetta finchè il trasportatore è pronto MOVE TO trasp CLOSE HAND 1 IF $DIN(2)=OFF THEN //se il pezzo è buono MOVE TO tavola ELSE MOVE TO scarico ENDIF OPEN HAND 1 //depone il pezzo su tavolo o nello scarico END pezzo TIPI DI CONTROLLO Controllo modulante Per controllo modulante si intende il controllo eseguito da dispositivi che obiettivo che le variabili controllate inseguano i rispettivi riferimenti. ad ogni istante si pongono come Controllo logico Per controllo logico si intende il controllo eseguito da dispositivi che devono assicurare lo svolgimento di una o più sequenze di attività la cui evoluzione è dettata dal verificarsi di eventi (come la conclusione di un’attività, l’insorgenza di anomalie, l’interazione con l’operatore). Per esempio un sistema costituito da un robot che preleva pezzi da un nastro trasportatore e manipola comporta problematiche sia di controllo modulante sia di controllo logico. li Le specifiche di controllo per un sistema di automazione industriale sono costituite da sequenze di azioni, descritte generalmente in linguaggio naturale. Si pongono due problemi: • formalizzare queste specifiche • determinare metodologie di sintesi di un controllore che ne garantisca il soddisfacimento Per quanto riguarda il primo aspetto, esistono convenzioni di progressiva diffusione come gli SFC (Sequential Functional Chart: linguaggio di programmazione grafico per PLC). Per quanto riguarda il secondo aspetto, si fa generalmente ricorso alla teoria dei sistemi ad eventi discreti che si appplica a sistemi fisici che non vengono ben descritti da variabili temporali. L’HARDWARE DI UN ROBOT #include <Servo.h> // libreria Arduino per i servi Servo spalla_1; //dichiarazione oggetti di tipo Servo int passog=2; // il passo, ossia ogni volta che fa un movimento si muove di 2 gradi … void setup() // inizializzazione { Serial.begin(9600); // baud rate : 9600 spalla_1.attach(11); // assegno il pin 11 di Arduino all’ oggetto servo spalla_1 spalla_1.write(90); // nel pin 11 mando il valore 90 che indica al servo di mettersi a 90° } … void loop() { delay(50); // ritardo di 50 ms if(Serial.available()) // controllo se la comunicazione seriale int c = Serial.read(); //legge da seriale if (c == 's') //controllo il valore della variabile c { apri_mano(); //richiamo alla funzione su() } } … void su() { … //contiene le istruzioni per far aprire la mano } Il processo industriale 1. 2. Generalità Sistema industria (rete elettrica, sistema alimentazione, trasformatori) 3. Sensori (spostamento, prossimità, trasduttori di velocità angolare, fotoelettrici. Induttivi, capacitivo, ultrasuoni,magnetici, di forza, tattili, di visione, temperatura/umidità) 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. Attuatori (motori in c.c., Brusless, c.a., passo passo, relè) Azionamenti (inverter) Unità di controllo (PLC, PC, PMC, HMI, sistemi di visione) Supevisione (sistemi di visione, RTU, SCADA) Diagnostica e manutenzione Tecniche di collaudo Impianti industriali (linee di transfert rigide, linee flessibili) 11. LOGISTICA (Sistemi tradizionali di trasporto, trasporto a guida automatica, Sistemi manuali di immagazzinamento e stoccaggio Magazzini intensivi automatizzati) 12. AUTOMAZIONE: vantaggi e svantaggi Generalità Quando si pensa ad un ambiente industriale, si tende a focalizzare sulle linee di produzione: i componenti e i sistemi implicati sono sensori, attuatori, azionamenti, PLC (Programmable Logic Controller), computer d’automazione, controlli numerici, e via così. Ciascun componente o sistema, preso singolarmente, ha la sua validità e importanza: così ad esempio l’azionamento di un motore a velocità variabile è tanto più accurato quanto più riesce a regolare finemente la velocità e la coppia del motore. Si deve sottolineare come le grandezze controllate dall’azionamento siano parte di un più vasto insieme di parametri, detti parametri di processo, la cui conoscenza e memorizzazione nel tempo consente di correlare la qualità del prodotto alla configurazione della linea di produzione. Da un’architettura basata su potenti computer centrali si passa oggi verso un’architettura distribuita, più efficiente ed economica da gestire, che si è resa possibile grazie all’affermarsi di reti di comunicazione e interfacce standard tra i sistemi. Per poter raggiungere un buon livello di integrazione tra i vari sistemi di una linea di produzione e tra i vari reparti di una fabbrica è necessario conoscere le reti di comunicazione che, dai diversi settori di un’azienda, collegano i sistemi dai computer fino al più semplice dei sensori. Rete elettrica,sensori, motori e azionamenti Per la produzione e la distribuzione di energia elettrica si usa solitamente un sistema trifase, formato da 3 tensioni alternate sinusoidali sfasate tra loro di 120°. La frequenza di rete è pari a 50Hz con una tolleranza del 5%. Indipendentemente dalla distorsione armonica delle tre fasi, la loro somma è in ogni istante rigorosamente nulla. Le tre fasi si possono considerare a potenza quasi infinita; infatti la rete di distribuzione dalla centrale è a 380kV, poi viene ridotta di 3 ordini di grandezza e la corrente è in genere limitata dalla portata dei cavi. Un sistema trifase può essere sommariamente rappresentato come in figura. I carichi possono essere connessi a stella (3 carichi uguali tra fase e neutro) o a triangolo (3 carichi uguali tra fase e fase) Le principali macchine elettriche si suddividono in trasformatori, motori ecc.. La giusta scelta dei quadri permette di migliorare notevolmente le condizioni di lavoro in un ambiente industriale, e come conseguenza, consente un aumento della produttività, riduzione delle temperature d’esercizio dei macchinari e ovvio adeguamento alle norme sulla sicurezza SENSORI Nella classificazione dei sensori è molto più utile ed interessante farne una in base all'uso che di ogni sensore si fa all'interno della macchina perché è questo il fattore discriminante riguardo alle problematiche di collegamento e di gestione da parte dei sistemi di controllo. Secondo questo criterio, si possono individuare tre classi di sensori: Classe A - Sensori usati per il corretto funzionamento della macchina Classe B - Sensori usati per garantire la sicurezza (operatori compresi) Classe C - sensori usati per il corretto funzionamento del programma del robot. Nella prima classe sono compresi, oltre ai dispositivi che negli azionamenti retroazionati forniscono le informazioni di velocità e posizione, anche gli interruttori di fine corsa o simili, quando vengono usati come riferimenti di posizione (ad esempio negli azionamenti passo- passo), e tutti i dispositivi le cui informazioni sono necessarie al funzionamento del robot. Alla seconda classe appartengono tutti i dispositivi che presiedono alla sicurezza della macchina e dell'ambiente circostante (fine-corsa e sensori di sforzo eccessivo, sbarramenti fotoelettrici, pulsanti di emergenza, ecc...). Nella terza classe, infine, sono compresi tutti i sensori che non fanno parte delle prime due. A proposito di questa classificazione, è opportuno osservare che i sensori di classe B sono necessariamente dispositivi binari: qualora essi siano implementati con rilevatori analogici, è necessario confrontare la grandezza rilevata con soglie opportune, ed il risultato di questa operazione è l'unica informazione interessante. Anche se non è possibile dare una metodologia generale per il collegamento dei sensori, perché le strutture dei sistemi di controllo possono essere molto diverse fra loro, si possono fare alcune considerazioni di carattere generale. I sensori di classe A devono essere collegati direttamente ai dispositivi che azionano attuatori. i singoli Per quanto riguarda i sensori di classe B, vale un ragionamento analogo: essi devono essere collegati al sistema di controllo al livello più basso possibile, in modo che eventuali malfunzionamenti dell'hardware non ne compromettano il buon funzionamento. Un esempio di questo tipo di collegamento si trova in quei robot dove i sensori di classe B agiscono direttamente sugli alimentatori dei motori, o sui microcalcolatori che li controllano. E' evidente che in questo caso, oltre ad intraprendere opportune azioni all'insorgere di situazioni di emergenza, il sistema deve essere in grado di informare i livelli più alti dell'accaduto, in modo che il programma del robot possa essere interrotto e sostituito con opportune routine di uscita dalla situazione di emergenza. I sensori di classe C di basso livello, infine, devono essere collegati al livello più alto, informazioni sono utilizzate direttamente dalla unità che esegue il programma di utente. perché le loro Sensori per il controllo di movimento e di spostamento Nel campo della robotica i sensori sono importanti per affrontare i seguenti problemi: - - controllo dei movimenti dei vari giunti del robot, del loro posizionamento iniziale e finale, della correttezza della traiettoria in termini di percorso, velocità ed accelerazione. capacità del sistema di tener conto del mondo esterno affinché il robot possa essere in grado di sostituire l'uomo in termini di capacità di "vedere", "sentire" e "prendere" oggetti con una determinata pressione. Potenziometri I più semplici sensori impiegati per questo scopo sono i potenziometri, il cui principio è quello di convertire una posizione in un valore di resistenza elettrica. Il passaggio da posizione a variazione di resistenza e infine a variazione di tensione. Trasformatori differenziali variabili lineari (LVDT) Il trasformatore differenziale variabile lineare (LVDT) si basa sul principio secondo il quale la tensione indotta su un avvolgimento secondario dipende dal coefficiente di accoppiamento tra primario e secondario. Nella figura è riportato lo schema tipico di un trasformatore differenziale. Quando l'avvolgimento primario viene eccitato dalla corrente alternata, sugli avvolgimenti secondari viene indotta una tensione. I due avvolgimenti secondari sono connessi in serie in opposizione cosicché le due tensioni sono in opposizione di fase. La tensione di uscita è così la differenza tra le due tensioni. Il coefficiente di accoppiamento dipende dalla posizione del nucleo. La tensione sarà nulla quando il nucleo è in posizione centrale; spostandosi il nucleo, la tensione dei due avvolgimenti varierà. La sensibilità del sistema è abbastanza buona. Si può però osservare che: - - la tensione di uscita è rappresentata da due tratti di caratteristiche simmetriche e piuttosto lineari corrispondenti a spostamenti positivi e negativi il valore della tensione di uscita in corrispondenza dello zero meccanico non è nullo e ciò a causa degli accoppiamenti capacitivi e della presenza di armoniche. Codificatori (encoder) Allo scopo di illustrare il principio di funzionamento di un codificatore di posizione, comunemente chiamato "encoder", nella seguente figura viene presentato lo schema a blocchi di un sistema di posizionamento di un braccio di robot. I posizionamenti vengono, di norma, eseguiti con motori in corrente continua, con regolazione ad anello chiuso. E' necessario, istante per istante, confrontare la posizione raggiunta con quella impostata e comportarsi analogamente anche per la velocità. Su come opera il motore è opportuno fare delle considerazioni: nell'esempio, l'anello di velocità è gestito in maniera hardware, infatti un segnale proporzionale alla velocità e fornito da un trasduttore di velocità (dinamo tachimetrica) viene riportato nel sistema di controllo dove viene confrontato con la velocità impostata dall'operatore per apportare le correzioni necessarie. Il secondo anello, relativo al posizionamento, può essere realizzato prevalentemente in maniera hardware e software: per esempio, impiegando contatori up/down vengono contati gli impulsi inviati dal trasduttore encoder, e al processore non rimane che leggere i dati raccolti dal contatore a intervalli regolari. In ogni caso, un trasduttore di posizione molto impiegato nei sistemi robotici è l'encoder. L'encoder è un dispositivo azionato da un albero rotante, il quale fornisce in uscita impulsi corrispondenti alla posizione angolare dell'albero. Esso contiene al suo interno un disco rotante diviso in segmenti alternativamente opachi e trasparenti. Su un lato del disco è situata la sorgente luminosa e sull'altro una o più fotocellule. Il cambio della luminosità della fotocellula causato dalla rotazione del disco, produce gli impulsi di tensione (sotto forma di onda quadra) in uscita. Lo spostamento angolare dell'albero è misurato dal numero di impulsi, i quali, se riferiti al tempo, esprimono la velocità (codificatore tachimetrico). Usando due fotocellule in corrispondenza della stessa traccia del disco e sistemandole in modo che i segnali di uscita (onde quadre) siano sfasati di 90° l'uno rispetto all'altro, è possibile misurare, con la logica del circuito esterno, il senso di rotazione rilevando se il segnale A precede il B o viceversa. Esiste inoltre un'altra fotocellula che fornisce un impulso indicatore della posizione di riposo (riferimento zero). I due canali in quadratura evitano anche l'errata misura nel caso di vibrazioni del codificatore tachimetrico. L'encoder descritto viene detto di tipo incrementale in quanto i segnali di uscita sono proporzionali in modo incrementale allo spostamento effettuato rispetto alla posizione di arrivo Un encoder in cui sia presente solo una serie di feritoie non consente di individuare il verso in cui il disco ruota. Per ottenere ciò nel disco viene ricavata una seconda serie di feritoie, sfalsata rispetto alla prima di un quarto di passo, essendo il passo la distanza tra due zone trasparenti successive. E’ necessaria la presenza di una seconda sorgente luminosa e di un secondo sensore. Si vengono ad avere due treni di impulsi che sono sfasati tra di loro di ¼ di passo per rotazioni verso destra, di ¾ di passo per rotazioni verso sinistra ( l’incremento è positivo quando la fase B anticipa la fase A e viceversa Gli encoder incrementali possono fornire purtroppo errori, e quindi posizioni non corrette, a causa del conteggio errato provocato da disturbi, compresa l'eventuale interruzione della alimentazione. Questi errori possono essere eliminati con l'impiego di encoder assoluti, nei quali ad ogni posizione dell'albero corrisponde un valore ben definito. Nel codificatore assoluto sono previste sul disco tracce capaci di fornire segnali in codice. Per rilevare la luce che passa attraverso il disco è prevista una fotocellula per ogni traccia. I codici impiegati sono quelli di tipo binario, BCD, Gray ecc..; che permettono di ricavare anche decine di migliaia di bit per giro. La risoluzione dell’encoder è data dal rapporto tra una rotazione di 360° ed il numero di impulsi n, pari a quello delle zone trasparenti presenti. R = 360 / n La risoluzione dell’encoder può essere migliorata se la tensione di uscita del fototransistor vengono squadrate opportunamente con un circuito elettronico (onda quadra) Con una forma d’onda di questo tipo possono essere contati due tipi d’impulsi quelli che si hanno quando si passa dallo stato 0 a quello 1 quelli che si hanno quando si passa dallo stato 1 allo stato 0 Vengono contati sia i fronti di salita che di discesa migliorando quindi la risoluzione R = 360 / 2n Gli encoder rotativi ruotano senza inerzia apprezzabile, possono essere soggetti ad elevate velocità angolari e non hanno contatti striscianti; essi hanno una vita media molto elevata. Di contro, sono sensibili allo sporco per cui non sempre ne è consigliabile l’uso in determinati ambienti industriali. Vengono utilizzati per rilevare la posizione angolare di viti e di organi rotanti. Sensori di prossimità I sensori di prossimità sono in grado di percepire ed indicare la presenza di un oggetto all'interno di un determinato campo, in prossimità del sensore stesso. Un sensore di prossimità può anche essere predisposto per misurare distanze: il sensore produce un segnale continuo (anziché on-off) proporzionale alla distanza. Mediante più misure lineari a direzioni diverse si possono poi agevolmente determinare posizioni ed orientamenti di pezzi semplici e complessi. I sensori di prossimità possono basarsi su numerosi principi fisici: induttivo, capacitivo, magnetico, fluidico, luminoso ed ultrasonico. Sensori di p r o s s i m i t à passivi: rilevano perturbazioni nell’ambiente, come ad esempio modifiche del campo magnetico o elettrico ES: sensori passivi a campo magnetico: sensori ad effetto hall Sensori di p r o s s i m i t à attivi: sfruttano i cambiamenti che avvengono ad un segnale emesso, che possono avvenire in seguito all’interruzione o alla riflessione del cammino del segnale verso il ricevitore ES: sensori ottici attivi: emettitore e ricevitore di segnale luminoso Trasduttori di velocità angolare I più diffusi trasduttori di velocità angolare sono il tachimetro in c.c. e il tachimetro in c.a. Il primo fornisce in uscita una tensione continua direttamente proporzionale alla velocità angolare, il secondo invece una tensione alternata avente ampiezza proporzionale alla velocità angolare. Tachimetro in c.c. Detto anche dinamo tachimetrica è in sostanza una dinamo a magnete permanente con particolari caratteristiche elettromeccaniche, ovvero con basso momento d’inerzia ed elevata linearità di risposta. La tensione d'uscita è prelevata dal rotore attraverso un sistema di spazzole striscianti su un collettore ad anello. Essa non è pertanto perfettamente continua ma presenta una certa ondulazione che rende questo trasduttore non adatto per misurazioni di precisione. Si osservi comunque che la dinamo tachimetrica ha il vantaggio di fornire una tensione la cui polarità è indicativa della direzione di rotazione. Le applicazioni tipiche riguardano il controllo di velocità dei motori. Tachimetro in c.a. Questo trasduttore, detto anche generatore a induzione, è provvisto di due avvolgimenti di statore, quello di eccitazione e quello di uscita, posti a 90° elettrici fra di loro, e da un avvolgimento in cortocircuito sul rotore. Quest'ultimo può essere del tipo a gabbia di scoiattolo oppure a forma di coppa in materiale fortemente conduttivo come rame o alluminio. Alimentando l'avvolgimento di eccitazione con una tensione alternata Ve di ampiezza e frequenza costanti, viene generato un flusso primario φ1, anche esso alternato, che induce una forza elettromotrice (f.e.m.) sui conduttori del rotore. Tale f.e.m. risulta proporzionale alla velocità con cui i conduttori tagliano le linee di flusso e pertanto è massima per le spire (A ) parallele a tali linee e nulla in quelle (B) ad esse ortogonali. A sua volta la corrente generata dalle f.e.m nel rotore produce un flusso secondario φ2 perpendicolare al primo e adatto pertanto ad indurre nell'avvolgimento di uscita una tensione Vo. Questa risulta così alternata con la stessa frequenza della tensione di eccitazione Ve ampiezza direttamente proporzionale alla velocità angolare del rotore. I tachimetri in c.a., non avendo spazzole striscianti, presentano una affidabilità più elevata delle dinamo tachimetriche. Tachimetri ottici. Si tratta sostanzialmente di encoder incrementali che forniscono un segnale la cui frequenza è proporzionale alla velocità angolare da rilevare. Negli encoder il minimo spostamento angolare apprezzabile (risoluzione) vale α =2π /N, dove N è il numero delle tacche presenti sul disco. Pertanto la velocità angolare ω , ovvero l'angolo percorso dal disco nell'unità di tempo, vale ω = 2π n/N = 2π f/N [rad/s] dove n indicando il numero delle tacche rilevate nell'unità di tempo, coincide con la frequenza f del segnale impulsivo generato dall'encoder. L'eq. rappresenta in definitiva la caratteristica di trasferimento del trasduttore. Trasduttori con uscita digitale: encoder tachimetrico L’encoder tachimetrico è il più semplice tipo d’encoder. Questo dispositivo è in grado di rilevare la velocità angolare e lo spostamento di un albero motore. Un encoder tachimetrico è costituito da una barriera fotoelettrica formata da un diodo all’infrarosso ed un fototransistor; tra essi è collocato un disco che presenta una serie uniforme di settori opachi e settori trasparenti. L’encoder tachimetrico viene inserito in un sistema in modo tale che il disco ruoti attorno allo stesso asse dell’albero da controllare. Il disco può essere di metallo, vetro o materiale plastico; i più utilizzati, sia per ragioni di stabilità sia di risoluzione, sono quelli di vetro sui quali le tracce sono riportate fotograficamente. Quando la base del fototransistor risulta illuminata questo si porta in condizione di saturazione; in uscita si avrà 0 logico. Quando, invece, la base è oscurata, il transistor è interdetto; l’uscita sarà 1 logico. U1 è un buffer a trigger di Schmitt che squadra la tensione d'uscita per ottenere una Vu con andamento rettangolare. Controllo automatico di velocità per un motore in cc Sensori fotoelettrici (o sensori ottici) In questa categoria di sensori si possono annoverare dispositivi assai diversi per concezione, frequenza della radiazione usata e quindi per settore d'impiego. I sensori ottici più tradizionali funzionavano con luce visibile. Essi impiegavano generalmente sorgenti a filamento e rilevatori di tipo a fotoresistenza. Questi dispositivi comportavano tuttavia alcuni inconvenienti fra i quali la durata limitata della sorgente (alcune migliaia di ore) e la velocità di risposta modesta. Prestazioni nettamente superiori sono state ottenute impiegando emettitori a LED per esempio arseniuro di gallio) e rivelatori al silicio (fotodiodo o fototransistor). La banda di emissione dell'arseniuro di gallio (circa 0.7 - 0.9 m), infatti, si adatta bene alla regione di assorbimento del silicio. I moderni sensori ottici si suddividono in tre grandi famiglie: - sensori di prossimità a barriera - sensori di prossimità reflex - sensori di prossimità a diffusione. I sensori a barriera sono costituiti da un trasmettitore (emettitore) e da un ricevitore (rivelatore) separati tra di loro. Qualunque oggetto non trasparente interposto interrompe il raggio luminoso (light beam) e viene pertanto rilevato. Questo tipo di sistema è generalmente impiegato dove sono richieste elevate distanze d'intervento. I dispositivi commerciali a barriera funzionano infatti, a seconda dei tipi, con distanze trasmettitore / ricevitore comprese fra qualche metro. I sistemi di funzionamento reflex, adatti per medie distanze di intervento, hanno il trasmettitore e il ricevitore integrati nello stesso contenitore. Viene usato un riflettore prismatico il quale riflette il raggio trasmesso e pertanto viene rilevato. Questo sistema viene utilizzato per piccole o medie distanze oppure laddove è impraticabile l'impiego di un trasmettitore e un ricevitore separati. Naturalmente non può essere utilizzato per rilevare oggetti molto riflettenti come metalli levigati. I sensori di prossimità a diffusione sono analoghi a quelli reflex, ma non richiedono l'impiego di un riflettore. La potenza emessa, infatti, è molto bassa ed è lo stesso oggetto da rilevare che riflette il raggio verso il ricevitore. La distanza d'intervento, per questi tipi di sensori, è naturalmente strettamente legata alle caratteristiche superficiali dell'oggetto da rivelare. Pertanto i costruttori normalmente equipaggiano tali sensori a diffusione con un regolatore di sensibilità per permettere agli utilizzatori di poterli adattare allo specifico impiego. Questi modelli vengono impiegati solo per piccole distanze (fino a qualche decina di cm). I vantaggi principali dei sensori ottici sono rappresentati dalla elevata distanza d'intervento. D'altra parte, come si è visto, le caratteristiche d'intervento sono fortemente legate al tipo di superficie dell'oggetto da rilevare. Tale caratteristica, negativa per molte applicazioni, si rivela interessante per esempio per discriminare oggetti di colore diverso (per esempio rivelare la presenza di una etichetta su un contenitore). L'introduzione di fibre ottiche ha permesso di risolvere problemi particolari di rilevamento ed i costruttori più evoluti forniscono infatti, oltre ai sensori, anche numerosi tipi di fibre ottiche da applicare ai sensori stessi. Sensori a principio induttivo I sensori elettronici di prossimità a principio induttivo sfruttano il fenomeno dello smorzamento di un campo elettromagnetico per effetto delle correnti indotte (correnti di Foucault) in materiali conduttori posti nelle loro vicinanze. La bobina di un circuito oscillante genera un campo elettromagnetico ad alta frequenza e, in azionatori metallici vicini, correnti parassite che provocano una perdita di energia nell'oscillatore, smorzando l'ampiezza del segnale . La riduzione dell'ampiezza dell'oscillazione è rilevata da un amplificatore di soglia con isteresi che, a sua volta, comanda uno stadio amplificatore finale per l'azionamento di un carico esterno. Essi si suddividono in due categorie: autoamplificati e non amplificati. - - I sensori autoamplificati si dividono a loro volta in sensori a corrente continua e sensori a corrente alternata. I sensori non amplificati sono costituiti da un oscillatore e vengono utilizzati per ottenere segnali a basso livello atti a comandare un amplificatore separato. L'assenza di contatto meccanico fra azionatore e sensore consente, unitamente alle precedenti caratteristiche, una durata ed un numero di operazioni illimitate rispetto ad altri tipi di interruttori di prossimità, riducendo altresì ogni problema di manutenzione. I sensori induttivi rappresentano senza dubbio i sensori di prossimità più diffusi su macchine automatiche e sono gli unici che, grazie alla maturità raggiunta dalla tecnologia, godono di una normalizzazione a livello . internazionale (CENELEC). Sensori a principio capacitivo I sensori di prossimità a principio capacitivo, o sensori capacitivi, sfruttano la variazione di capacità parassita che si crea tra sensore ed oggetto da rilevare. In corrispondenza di una determinata distanza dell'oggetto dalla faccia sensibile del sensore, entra in oscillazione un circuito e l'insorgere o il cessare di tale oscillazione viene sentito da un rilevatore di soglia che comanda un amplificatore per l’azionamento del carico esterni E' evidente che, dato il principio di funzionamento descritto, un sensore di prossimità capacitivo può essere utilizzato come rilevatore di oggetti metallici e non metallici come legno, liquidi, materiali plastici. Impieghi tipici si hanno per esempio nei dispositivi contapezzi, nei controlli di livello in recipienti, ecc. I parametrio sono simili a quelli dei sensori induttivi mentre le distanze di intervento per i tipi cilindrici di diametro 18 - 30 mm., molto diffusi nell'industria, sono nel campo 8 - 20 mm. Sensori a ultrasuoni I sensori di prossimità a ultrasuoni sfruttano l'emissione di impulsi sonori a frequenza elevata (40 - 200 KHz) per rilevare la presenza di oggetti posti nelle loro vicinanze grazie all'eco dovuta alla riflessione degli ultrasuoni da parte degli oggetti stessi. Il segnale emesso è costituito in genere da un treno di impulsi viaggianti alla velocità del suono nell'aria (340 m/s circa). L'emissione avviene tramite un apposito trasduttore elettroacustico di tipo piezoceramico. L'onda riflessa è rilevata da un analogo trasduttore la cui funzione è quella di riconvertire i segnali acustici in segnali elettrici. Nelle applicazioni dei sensori di prossimità interessa rilevare la presenza di un oggetto (azionatore) in un certo campo di rilevamento prefissato ed eventualmente programmabile in ampiezza dall'utilizzatore. Pertanto il tempo di ritardo, cioè il tempo che intercorre fra l'istante di emissione di un impulso e l'istante di ricezione dello stesso, essendo proporzionale alla distanza azionatore / sensore, permette al sensore di stabilire se l'azionatore è o meno in campo. Per la realizzazione metro elettronico assumiamo di lavorare ad una temperatura ambiente di 20°C e quindi la velocità del suono sarà di 343 m/s che vuol dire anche 0,0343 cm/microsecondi. Lo spazio percorso sarà: s=v*t da cui s = 0,0343 * t per calcolare lo spazio percorso, bisogna tener conto che il suono percorre due volte la distanza da misurare (giunge sull'oggetto e ritorna indietro al sensore) quindi il valore di t ottenuto deve essere diviso per 2. La formula corretta per la misura dello spazio percorso è: possiamo scrivere: s = 0,01715 * t oppure: s =(0,0343*t)/2 s = t/58,31 Offre un eccellente rilevamento del campo senza contatto con elevata precisione e letture stabili in un pacchetto facile da usare. Da 2 cm a 400 cm o da 1 "a 13 piedi. Il suo funzionamento non è influenzato dalla luce solare o da materiale nero. L'impiego della tecnologia a ultrasuoni nel campo dei sensori di prossimità permette di ottenere distanze di intervento massime di ordine nettamente superiore rispetto a quelle ottenibili con la tecnologia induttiva o capacitiva a parità di dimensione geometrica del sensore. Il sensore ad ultrasuoni rappresenta dunque una vantaggiosa alternativa nei confronti dei sensori ottici, comunemente utilizzati per rilevare oggetti distanti; infatti le caratteristiche di rilevamento di un sensore a ultrasuoni non dipendono dalle caratteristiche cromatiche superficiali dell'oggetto da rilevare e possono essere sentite anche superfici trasparenti. Sensori magnetici a contatti reed I sensori di prossimità magnetici a reed sono costituito da due lamine di materiale ferromagnetico (ferro-nichel), all’interno di un contenitore in atmosfera di gas inerte. Le lamine sono rivestite con un materiale che migliora la conduttività e indurisce la superficie, per prevenire la formazione di microsaldature e microcrateri nel punto di contatto. Le lamine sono posizionate ad una piccola distanza fra loro. Quando la forza di attrazione tra le lamine supera la resistenza elastica delle lamine stesse, queste si flettono l'una verso l'altra, realizzando un contatto elettrico La distanza di intervento è funzione della sensibilità del reed, della intensità del campo magnetico e anche della sua forma nel caso in cui non è uniforme (per es. nei cilindri con pistone magnetico). I materiali non ferrosi o ferrosi amagnetici, interposti tra sensore e magnete, non alterano il funzionamento del reed perché il campo magnetico attraversa queste pareti. Bisogna invece prestare particolare attenzione a materiali ferrosi o altri magneti posti a pochi centimetri dal campo magnetico (per es. trucioli di ferro, supporti, viti di fissaggio, cilindri con pistone magnetico) perché possono influenzare il campo e farlo deviare. Tali campi, generati da magneti permanenti o da bobine percorse da corrente, producono sulle lamine, per il fenomeno di induzione magnetica, polarità di segno opposto. Questi interruttori di prossimità (reed o hall-effect) sono principalmente usati per determinare la posizione del pistone magnetico in un cilindro pneumatico ed idraulico. Il loro utilizzo è consigliato per sostituire interruttori meccanici a leva o a pulsante, ad esempio, per motivi di sicurezza, per impedire l'azionamento manuale di un interruttore. Disponibilità di varie versioni e modelli: normalmente aperto o normalmente chiuso, con o senza connettore. La chiusura dei contatti dipende dalla sensibilità del reed e dalla forza del magnete nella fase di avvicinamento. Le superfici di contatto delle lamine dei reed sono rivestite con materiale pregiato (oro, rodio, tungsteno) che le rendono adatte a comandare circuiti a basse correnti e a forti carichi induttivi. Sensori effetto hall In un conduttore a forma di lamina percorso da corrente i e soggetto ad un campo magnetico di intensita' B, si origina una differenza di potenziale V in una direzione perpendicolare sia alla corrente che al campo magnetico. Il valore di tale differenza di potenziale e' proporzionale all'intensita' di corrente i e all'intensita' del campo magnetico B, mentre e' inversamente proporzionale allo spessore della lamina Sensore di prossimità a effetto Hall In assenza di oggetto da rivelare il sensore capta un forte campo magnetico emesso dal magnete permanente, mentre capta un campo più debole quando un oggetto ferromagnetico si trova nelle immediate vicinanze e varia la conformazione delle linee di forza Esempio di applicazione come sensore di posizione Rispetto ai contatti tradizionali ad azionamento meccanico si possono annoverare diversi vantaggi: - - - la chiusura ermetica in gas protegge i contatti dalla polvere, dall'ossidazione e dalla corrosione l'azionamento dei contatti avviene senza complicati ed ingombranti meccanismi, sfruttando l'influenza di un campo magnetico alta velocità di funzionamento, fino a 300 Hz per alcuni tipi; breve tempo di attrazione (1.5 - 3 ms, compresi i rimbalzi) la particolare concezione costruttiva e l'alta qualità dei materiali impiegati assicurano ai contatti una lunga vita (107 - 108operazioni) assenza di manutenzione e ridottissimo ingombro. Sensori di deformazione e di forza I controlli di sforzo si basano prevalentemente sugli estensimetri, ma molto piezoelettrici . utilizzati sono anche i sensori Come sappiamo, certi cristalli sotto pressione generano sulle facce opposte cariche elettriche proporzionali allo sforzo cui sono sottoposte; questi sensori sono particolarmente adatti ad impieghi con corrente alternata. I sensori piezoelettrici sono sensibili sia alla forza lungo un asse, sia alla coppia intorno all'asse stesso. Tali sensori permettono il controllo in tempo reale dell'intensità (ed anche della direzione) delle forze e delle coppie applicate dal robot agli oggetti manipolati. Generalmente, i sensori di sforzo vengono applicati tra il polso e la pinza, e solo recentemente sono stati messi a punto sensori a 6 gradi di libertà (per misurare componenti multiple di forza) talmente leggeri e di dimensioni tali da poter essere montati sulle dita di una pinza per impianti robotizzati. I sensori di deformazione e di forza sono particolarmente interessanti per le operazioni di assemblaggio, quando è ad esempio necessario correggere la posizione e l'orientamento del robot: questa correzione viene effettuata in funzione della forza esercitata nel manovrare i pezzi. Oppure, nelle applicazioni in cui è necessario applicare una pressione costante (ad esempio operazioni di incollaggio) o, ancora, nella misurazione della forza di inserzione dei componenti elettronici in un circuito stampato. La forza viene misurata in newton (N); 1 N corrisponde a 0.102 Kg; e a 0.225 libbre. I trasduttori di forza sono spesso basati su trasduttori di spostamento come ad esempio la compressione di una molla che agisce su un LVTD. Dispositivi di questo tipo sono chiamati anche "celle di carico". Altre volte vengono usate celle di carico costituite da trasduttori piezoelettrici di forza. Estensimetri Alcune misure di spostamento si riferiscono a movimenti molto piccoli. In tali casi sono molto adatti i cosiddetti "strain gages", sensori di basso costo, di facile uso e che talora possono venire resinati nello stesso corpo inmisura. Questi trasduttori trasformano una tensione meccanica in un segnale elettrico. Possono essere a filo conduttore, piezoelettrici, a variazione di induttanza. Sono costituiti da un filo conduttore (costantana, manganina….) ripiegato più volte in modo da aumentarne la lunghezza pur conservando un ingombro limitato. Questo filo può essere ricavato direttamente per fotoincisione su un substrato plastico metallizzato che viene incollato sull’elemento da controllare in modo che entrambi subiscano la stessa deformazione Si possono ottenere le forme diverse e su di un solo supporto possono essere incisi più di un estensimetro in modo da misurare deformazioni lungo assi diversi L’insieme si presenta come un francobollo, che può essere incollato sulla parte nella quale si vuole rilevare la tensione da misurare e disposto con i lati paralleli alle linee di tensione. Nell’applicazione della forza il francobollo subisce un allungamento, lo sviluppo del filo costituente il trasduttore diminuisce di sezione e aumenta in lunghezza variando quindi il valore della resistenza. La misura di forze, momenti flettenti e momenti torcenti viene eseguita molto spesso misurando le deformazioni che essi inducono in un corpo. Vengono misurati degli spostamenti, anche se piccolissimi, tramite degli estensimetri resistivi metallici. Note le variazioni di lunghezza e della resistenza ΔL = Lf –Li e ΔR = Rf – Ri Si può affermare che la variazione relativa di resistenza ΔR/R è proporzionale alla variazione relativa di lunghezza ΔL /L e quindi le relative variazioni percentuali ΔL /L e ΔR/R e possibile calcolare la costante estensimetrica K o fattore di taratura K = (ΔR/R) / (ΔL /L) Gli estensimetri vengono forniti i seguenti parametri: - Tolleranza della resistenza - Fattore di taratura K - Modulo di elasticità E - Deformazione massima - Range di temperatura - F = forza di trazione =(S*E/K)*(∆R/R) CELLE DI CARICO cella di carico è un sensore o un trasduttore che converte un carico o un forza in un segnale elettrico. Questo segnale può essere un cambiamento di tensione, di corrente o di frequenza, in dipendenza del tipo di cella e del circuito adoperato. La In commercio si trovano di solito celle di carico resistive ma esistono anche quelle capacitive. Una cella di carico lavora secondo il principio della piezo-resistività. Quando una sensore, esso cambia la sua resistenza.. forza è applicata al Una cella di carico è realizzata tramite una membrana elastica (con un’elevato indice di deflessione) alla quale è collegata un estensimetro (strain gauge) e uno strumento di misura per rilevare piccole deformazioni di un corpo. Le celle di carico commerciali sono di diversa tipologia e vengono adoperate in diversi contesti (applicazioni industriali, misure di precisione, elettrodomestici, etc). Nella cella di carico basso: sono presenti 4 differenti estensimetri, due in alto e due Quanto un carico è applicato al corpo di una cella di carico resistiva, la membrana elastica viene deflessa modificando la sua forma. Il risultato è quello di avere due estensimetri in compressione e due in tensione. In questo modo la resistenza viene modificata fin tanto che le membrane rimangono deformate. I quattro estensimetri sono collegati tra loro nella configurazione del Ponte di Wheastone Quando il corpo metallico della cella viene sottoposto ad uno sforzo, gli estensimetri variano la loro resistenza registrando una variazione di potenziale (solitamente dell’ordine di 20 mV) misurata ai capi B e D. Vista l’esigua entità della variazione di tensione, è necessario amplificare il segnale per ottenere variazioni da 0 a 5 V o da 0 a 10 V. in Sensori tattili Un altro settore in cui la ricerca è molto intensa, oltre a quello della visione artificiale, è quello dei sensori tattili, nella consapevolezza che il raggiungimento di una buona funzionalità anche in questo campo è il primo requisito per affidare ai robot lavori sempre più complessi. Il dotare la mano di un robot di capacità tattili vicine a quelle umane rappresenta un obiettivo molto attraente. Attualmente le ricerche sono orientate ad implementare un sensore tattile dalle seguenti caratteristiche: - array con 4 x 4 elementi sensibili ogni cm2 - tempo di risposta di ogni elemento sensibile compreso tra 1 e 10 ms - sensibilità di ogni elemento pari a 10 -3 Kg. - "pelle artificiale" robusta in grado di sopportare bene l'ambiente di fabbrica. Sono stati provati diversi materiali quali gomma conduttiva, PZT (ceramica piezoelettrica), PVF2 (fluoruro di polivinile). Quest'ultimo sembra essere vincente essendo robusto, leggero, facilmente conformabile alle superfici complesse. E’ inoltre privo di difetti dei concorrenti quali isteresi, scarsa linearità, deriva termica, ecc..... Un prototipo di sensore tattile consiste dunque di un foglio di PVF2 metallizzato su entrambe le superfici, per assicurare un buon contatto elettrico. Dal foglio viene ricavata una matrice di 16 (4 x 4) elementi sensibili, ognuno dei quali ha l'amplificatore di segnale e il convertitore A/D, una memoria RAM di 2 kbyte per 8 bit, una ROM di 4 kbyte per 8 bit ed un microprocessore. I 16 microprocessori portano le informazioni della cella relativa ad un microprocessore di supervisione che effettua le necessarie correlazioni e le invia, a sua volta, ad un elaboratore principale che ricostruisce l'immagine tattile vera e propria. Si tratta, come ci si può rendere conto, di una apparecchiatura molto complessa. Sensori di visione Il robot è stato descritto come una macchina programmabile e multiscopo dedicata alla produzione. Questa flessibilità, tuttavia, nell'ambiente operativo è fortemente condizionata dalle capacità sensoriali dei robot. In realtà sappiamo che anche per la più semplice applicazione il robot è dotato di una rete sensoriale composta da: sensori di presenza pezzo, sensori di stato delle macchine di cui il robot è "server", ecc... Tali sensori però influenzano solo la sequenza di esecuzione e la cadenza delle operazioni del robot senza aumentarne la flessibilità. Una maggiore flessibilità è data dal controllo di tipo adattativo, un controllo cioè che permetta, per esempio, di percorrere traiettorie indipendenti da quelle programmate sulla base di indicazioni fornite da sensori evoluti. In questo modo il programma che l'operatore introduce non contiene istruzioni di posizionamento che il manipolatore deve ripetere, ma piuttosto istruzioni che definiscono i movimenti che il robot deve compiere in funzione di segnali provenienti dai sensori. L'implementazione di un controllo che sappia adattarsi alle condizioni operative (controllo adattativo) deve essere il più possibile generale, non orientata cioè ad una specifica applicazione, in modo da lasciare la massima libertà di scelta dei sensori da parte di chi deve inserire il robot in un processo produttivo. Tra i sensori che maggiormente consentono un controllo di tipo adattativo i più importanti sono i sensori di visione, che, data la loro complessità, sono chiamati più frequentemente sistemi di visione. I sensori di visione hanno lo scopo di identificare la posizione e l'orientamento dell'oggetto che si trova nel campo del sensore, al fine di guidare il robot verso l'oggetto stesso. Essi sono impiegati anche per riconoscere oggetti che per forma o colore sono difettosi o più in generale per il controllo della qualità dei pezzi. La struttura tipica di un sistema di visione si sintetizza nel seguente funzionamento: il compito di riprendere le immagini è affidato ad una telecamera a stato solido posta sopra la scena il rilevamento avviane per mezzo di un reticolo di elementi fotosensibili su un chip CCD (Coupled Charge Device). Su ciascun elemento si produce una tensione proporzionale alla luminosità del corrispondente punto della scena dopo una conversione analogico / digitale, i valori di tensione associati a ciascun elemento (detto pixel), proporzionali al suo livello di grigio, vengono memorizzati sotto forma di matrice numerica in un buffer di memoria RAM. Tale memorizzazione viene eseguita perché il tempo di acquisizione e conversione analogico / digitale dell'immagine è di pochi millisecondi, mentre il tempo di elaborazione della stessa può essere anche di alcuni secondi. Si fa notare che mentre l'occhio umano può distinguere una trentina di livelli di grigio, i sistemi di visione operano su almeno 64 (512 nel caso dei sistemi di visione più evoluti). Successivamente la matrice numerica viene elaborata per evidenziare il profilo degli oggetti rispetto alo sfondo della scena Una volta evidenziati, questi vengono confrontati con quelli precedentemente memorizzati. L'identità dell'oggetto viene poi resa disponibile per il controllo del robot al fine di attivare specifiche sequenze di operazioni quali selezione dell'end effector, azionamenti di dispositivi ausiliari, ecc... In base al profilo rilevato il sistema di visione determina la posizione dell'oggetto ed il suo orientamento e li trasmette al controllo del robot. Pertanto l'utilizzatore programmerà: - il sistema di visione memorizzando le immagini che il sistema deve - identificare (prototipi) - il robot inserendo un programma di manipolazione per ciascuno degli oggetti. La procedura di ricerca del profilo degli oggetti consiste normalmente nella scansione della matrice numerica in cui sono stati memorizzati i valori di grigio di ciascun elemento di immagine (pixel). Durante tale scansione vengono "trovati" gli oggetti presenti nella scena. Per eseguire tale funzione, esistono opportuni algoritmi. Le procedure di riconoscimento sopra descritte presuppongono che rimanga fissa la posizione della telecamera rispetto alla base del robot. Per tale motivo è necessario effettuare, a monte del processo di rilevamento ed elaborazione di immagine, una "calibrazione" della telecamera montata sul braccio del robot che permetta di mettere in relazione tra di loro, mediante trasformazioni di coordinate, i vari sistemi di riferimento relativi adottati (posizione camera - posizione pinza sistema di riferimento assoluto del robot). SENSORE DI TEMPERATURA E UMIDITÀ DHT11/DHT22 Il DHT11 è un sensore di temperatura e umidità con uscita dei dati in formato digitale( Digitale significa che dispone di un ADC interno che converte i segnali e quindi invia i segnali in modo digitali in uscita). Il sensore è munito di un piccolo involucro ed è disponibile montato su basetta (3 pin) oppure nudi (4 pin). Il sensore utilizza una tecnica digitale esclusiva che unita alla tecnologia di rilevamento dell'umidità, ne garantisce l'affidabilità e la stabilità. I suoi elementi sensibili sono connessi con un processore 8-bit single- chip. Ogni sensore di questo modello è compensato in temperatura e calibrato in un'apposita camera di calibrazione che determina in modo preciso il valore di calibrazione il cui coefficiente viene salvato all'interno della memoria OTP (PROM: memoria programmabile dall’utente) Le sue piccole dimensioni e suo basso consumo unite alla lunga distanza di trasmissione (20 m) permettono al sensore DHT11 di essere adatto per molti tipi di applicazioni. Il package con quattro pin in linea ne rendono facile la connessione. Questi sensori sono costituiti da un componente di rilevamento dell'umidità, un sensore di temperatura NTC (o termistore) e un circuito integrato sul lato posteriore del sensore. Per misurare l'umidità usano il componente di rilevamento dell'umidità che ha due elettrodi con il substrato (polistirene trattato con acido solforico) che trattiene l'umidità. Al variare dell'umidità, la conduttività del substrato cambia o la resistenza tra questi elettrodi cambia. Questo cambiamento di resistenza viene misurato ed elaborato dall'IC che lo rende pronto per essere letto da un microcontrollore. Il range di misura della umidità va da un minimo di 20%RH (RH:umidita relativa) ad un massimo di 90%RH con una risoluzione di 1% che vuol dire che il sensore non discrimina variazioni minori dell’1% di RH. L’accuratezza è pari a 4%RH, quindi il sensore potrebbe sbagliare di questo valore sia in positivo che in negativo e inoltre se vi è una variazione brusca di umidità il sensore impiega 10 secondi circa per rilevarla. Per quanto riguarda la temperatura il range di misura va bene per temperature positive e inferiori a 50°C con una risoluzione di 1°C e tempo per rilevare le variazioni brusche di temperature di 13 secondi circa. Per misurare la temperatura questi sensori utilizzano un sensore di temperatura NTC o un termistore. Un termistore è un resistore variabile che cambia la sua resistenza con il cambiamento della temperatura. Questi sensori sono realizzati per sinterizzazione di materiali semiconduttori come ceramiche o polimeri al fine di fornire maggiori cambiamenti nella resistenza con solo piccole variazioni di temperatura. Il termine "NTC" significa "coefficiente di temperatura negativo", il che significa che la resistenza diminuisce con l'aumento della temperatura. Attuatori Nel campo della automazione il sistema attuatore comprende l'attuatore propriamente detto e l'organo trasmettitore, che consente di poter trasferire l'energia meccanica in punti diversi da quelli nei quali è stata generata e con caratteristiche che la rendano idonea ad essere utilizzata nella struttura meccanica dello specifico robot. E' tramite l'azione degli attuatori che, ad esempio, un manipolatore dà attuazione alle "decisioni" prese dagli organi programmatori delle operazioni: tra questi rivestono particolare importanza gli attuatori elettrici. Agli attuatori impiegati nei sistemi di automazione, caratterizzati da un servizio intermittente, si chiede sostanzialmente di possedere elevate coppie allo spunto ed elevate accelerazioni con una debole inerzia del rotore: anche le velocità richieste non presentano di solito valori elevati Nel settore industriale il tipo di motore più utilizzati, sono i motori a corrente continua, i motori passo-passo. e il motore asincrono con controllo velocità PWM in quanto è compatto, robusto, consente un utilizzo produttivo giornaliero molto alto, richiede una manutenzione minima e ha un costo operativo ridotto. Sono inoltre utilizzati i motori brushless che richiedono un’elettronica di controllo più complessa rispetto a quelli con le spazzole ma hanno un’alta efficienza e una densità di potenza più elevate, sono più silenziosi e generano meno disturbi elettrici. . Motori a corrente continua Tra gli attuatori di movimento e spostamento, i motori in corrente continua hanno sicuramente una posizione di primo piano soprattutto nei casi in cui non è richiesta una eccessiva potenza. I motori elettrici in corrente continua per l'automazione devono avere caratteristiche diverse da quelli destinati ad un servizio più o meno continuo con velocità pressoché costante. In particolare l'impiego degli azionamenti elettrici rispetto a quelli idraulici o pneumatici è rapidamente aumentato in virtù di: - facilità di manutenzione - eliminazione dei riduttori di velocità - possibilità di montaggio diretto sugli assi - precisione ed affidabilità del comando - limitata rumorosità. Inoltre notevoli sono stati recentemente i progressi nei magneti permanenti, che hanno consentito l'eliminazione degli induttori, e nei materiali magnetici a elevata permeabilità, che hanno consentito un miglioramento delle caratteristiche rotoriche in ordine alla dissipazione di calore. La presente nota si propone di descrivere i tipi di motori in corrente continua più in uso, fino a quelli più recenti, destinati ad avere un impiego sempre maggiore nei robot di piccole e medie dimensioni Per introdurre l'argomento si richiama brevemente il principio di funzionamento di un motore DC (Direct Current ). Nella figura è illustrata la struttura di base. Il principio di funzionamento si basa sul fatto che, su un filo percorso da corrente elettrica, nasce una forza quando il filo stesso si trova in un campo magnetico statico. L'avvolgimento di rotore è collegato a segmenti di commutazione (collettore) e riceve corrente attraverso spazzole che strisciano sul collettore stesso. Il collettore e le spazzole formano un commutatore per la corrente del rotore, in modo che essa scorra sempre nella direzione corretta e fornisca una coppia che determina la rotazione in un senso. I motori a corrente continua sono costituiti quindi di uno statore realizzato in ferro, con espansioni polari, e di un rotore, anch'esso in ferro, nelle cui cave è situato l'avvolgimento costituito da fini matasse ai cui estremi sono collegate le lame del collettore. Attorno alle espansioni polari di uno statore sono avvolti gli avvolgimenti di eccitazione o di campo che producono il campo magnetico principale. Il circuito di rotore è percorso dalla corrente di indotto o di armatura mentre nelle lame del collettore avviene la commutazione tramite le spazzole I motori elettrici in corrente continua sono gli attuatori più comunemente usati nei sistemi di controllo per piccole potenze (meno di 100 W). Il sistema di eccitazione impiegato in questo tipo di motori è normalmente quello che prevede l'eccitazione stessa attuata indipendentemente: infatti, in tal caso, operando il cosiddetto "controllo di armatura", si controllano bene sia la velocità che la coppia del motore. Funzione di trasferimento del motore in corrente continua a magneti permanenti (+carico meccanico) Nei motori a corrente continua a magneti permanenti il controllo della velocità viene effettuato agendo sullatensione di armatura; l’ingresso è costituito dalla tensione di armatura, mentre l’uscita è costituita dalla velocità di rotazione. La funzione di trasferimento presenta due poli: s2 = - 1/te s2 = - 1/tm dove te è detta costante di tempo elettrica e tm è detta cosante di tempo meccanica. La costante di tempo elettrica è usualmente fornita dal costruttore del motore, mentre quella meccanica è desumibile dalla seguente formula: tm = Ra J/Kt Ke dove: Ra = resistenza dell’avvolgimento di armatura del motore (W) J = momento d’inerzia del sistema motore + carico meccanico (kg m2) Kt = costante di coppia del motore (Nm/A) Ke = costante di tensione del motore (Vs/rad) La funzione di trasferimento assume la forma: Funzione di trasferimento del regolatore Converte l’errore e (ingresso) nella tensione di armatura Va (uscita). È costituito da due blocchi in cascata. Il primo, che ha per ingresso l’errore è il regolatore vero e proprio; il secondo, che ha per uscita la tensione di armatura, può essere costituito da un ponte controllato oppure da un convertitore DC/DC in tecnica PWM. Nel caso di un ponte a diodi controllati, la funzione di trasferimento è caratterizzata da un polo, che tiene conto del ritardo introdotto dal sistema di innesco dei diodi controllati: Gponte_SCR = Gp/(1+stp) Dove Gp è il guadagno del ponte mentre tp è la costante di tempo che dipende dalla tipologia del ponte: tp = 5ms per ponti controllati monofase tp = 1,7ms per ponti controllati trifase Nel caso di convertitore DC/DC in tecnica PWM la funzione di trasferimento del secondo blocco è costituita da una costante, pari al valore del guadagno. Per quanto riguarda il primo blocco, il regolatore vero e proprio, si può usare un regolatore industriale. I regolatori industriali vengono detti anche regolatori PID. PID significa PROPORZIONALE – INTEGRALE – DERIVATIVO Funzione di trasferimento della dinamo tachimetrica Per semplicità,la funzione di trasferimento della dinamo assimilata ad una costante H = costante tachimetrica (Vs/rad) tachimetrica può essere Funzione di trasferimento del blocco condizionatore Tale blocco non è sempre necessario! Se l’uscita della dinamo tachimetrica è in accordo con il riferimento di velocità tale blocco non serve!. Esempio: Se Vrif = 10V allora velocità desiderata = 1000 rpm Quando n = 1000 rpm allora Vdt = 10V (uscita dinamo tachimetrica pari a 10V) In questo caso non serve il blocco condizionatore. Se, invece, Vdt = 12V serve un blocco condizionatore (può essere un partitore) per convertire i 12V provenienti dalla dinamo tachimetrica nei 10V da confrontare con il riferimento di velocità. Se Vdt = 8V serve un blocco condizionatore (amplificatore) per convertire gli 8V tachimetrica nei 10V da confrontare con il riferimento di velocità. provenienti dalla dinamo Motori "brushless" a magnete permanente La principale limitazione di un motore in c.c. è il sistema collettore - spazzole, sede di usura e scintillii. Nel motore senza spazzole, o brushless, la funzione di questo sistema è svolta da una logica elettronica assistita da un trasduttore di posizione angolare dell'albero (spesso un resolver): la logica riconosce gli avvolgimenti perpendicolari al campo induttore, e li alimenta. Grazie a questa soluzione, che vede l'alimentazione degli avvolgimenti realizzata per via elettronica e non meccanica, gli avvolgimenti possono essere trasferiti sullo statore, che scambia le proprie funzioni con quelle del rotore, costruito con magneti permanenti che danno luogo ad un campo magnetico rotante. In automazione e in robotica si impiegano preferibilmente motori con induttore costituito da magneti permanenti poiché tale soluzione offre, rispetto ai motori DC tradizionali, i seguenti vantaggi: - eliminazione dell'eccitazione esterna con semplificazione dei cablaggi eliminazione degli induttori annullamento delle perdite di eccitazione caratteristica coppia-velocità di rotazione molto lineare in tutto il campo di lavoro coppia proporzionale, in prima approssimazione, alla corrente di armatura Motori a corrente alternata L'impiego dei motori a corrente alternata nella robotica e in tutto il settore dei controlli automatici è sostanzialmente limitato al motore bifase. Il motore trifase è difficilmente impiegato per le difficoltà ad ottenere una elevata coppia allo spunto e per le difficoltà di regolazione della velocità. Nell'ambito delle piccole potenze (da qualche watt a qualche decina di watt) il preferibile al motore a corrente continua. motore bifase è risultato spesso Esso è realizzato normalmente con un rotore a gabbia di scoiattolo. I due avvolgimenti sono alimentati con tensioni sinusoidali sfasate di /2: una è la tensione di controllo e l'altra di riferimento. La tensione di controllo può variare in ampiezza per realizzare il controllo di velocità. Il compito dei due avvolgimenti è quello di generare un campo magnetico rotante sotto la cui azione il rotore viene trascinato in rotazione. Elevando opportunamente la resistenza rotorica si riesce a distendere la caratteristica meccanica del motore fino ad ottenere una forma pressoché lineare come richiesto. Naturalmente si abbassa notevolmente il rendimento ed è per questo che il motore bifase non si costruisce che per piccole potenze. L'alimentazione di un motore in corrente alternata deve presentare una uscita variabile in tensione e frequenza. Lo schema base più utilizzato è costituito da due stadi in cascata: il primo converte la tensione alternata di rete in tensione continua a dato valore, il secondo effettua una conversione continua-alternata a data frequenza. L'inverter è chiamato a tensione impressa perché un grosso filtro capacitivo fissa rigidamente la tensione di alimentazione al secondo stadio, in questo modo la tensione di uscita verso il motore non viene influenzata dalla natura del circuito. La corrente erogata è approssimativamente costante. Gli azionamenti in c.a. a frequenza variabile presentano prerogative non riscontrabili nei corrispondenti c.c. : una delle principali prerogative è la facilità dell'inversione del senso di marcia. Mentre nel controllo della velocità dei motori in c.c. ciò si ottiene invertendo la tensione di armatura, nel caso c.a. basta semplicemente invertire due delle tre fasi di alimentazione. Altre prerogative sono la frenatura, la robustezza, il minor costo e l'affidabilità. Motori passo-passo I motori passo-passo sono componenti elettromagnetici che trasformano un impulso elettrico in forma meccanica, con un determinato e costante incremento di rotazione dell'albero. Sono anche chiamati "stepper motors". Questi motori si basano sul principio di funzionamento del campo rotante a scatti. Nella rotazione si può andare avanti o indietro e questo dipende dall'ordine con cui i suoi avvolgimenti sono eccitati. Il motore passo-passo può essere paragonato ad una serie di avvolgimenti disposti in cerchio, avvolgimenti che, quando sono eccitati, reagiscono successivamente su un nucleo di ferro dolce o magnete permanente, facendolo ruotare di un angolo. Nel passaggio da una bobina all'altra si ottiene un movimento non lineare di 2 / n radianti ogni volta (dove n è il numero delle fasi). La velocità in giri al minuto sarà: f N = 60 -----n La buona precisione di posizionamento ne permette un impiego in catena aperta, conseguente risparmio dell'elettronica di controllo. cioè senza retroazione con I motori passo-passo sono di tipo sincrono, esistendo una corrispondenza fra segnale di alimentazione e posizione del rotore Per meglio comprendere il principio di funzionamento di questo tipo di motore si immagini, per semplicità, che quest'ultimo sia schematizzabile come mostrato in figura (struttura di base, poli magnetici e circuiteria di azionamento). Ad ogni passo si avrà una certa oscillazione la cui ampiezza dipende dal rapporto coppia resistente / momento di inerzia del carico, nel senso che un elevato rapporto aumenta lo smorzamento. La circuiteria di azionamento risiede in moduli esterni. Il principale inconveniente di questo motore è la perdita del passo e quindi del sincronismo, cosa che si verifica quando la coppia resistente è superiore a quella motrice: in tal caso il motore si arresta e riprende a muoversi quando la frequenza di commutazione della corrente negli avvolgimenti torna al di sotto della frequenza di avvio-arresto, ovvero della massima frequenza a cui il motore è in grado di effettuare il singolo passo. Un altro svantaggio è la potenza limitata cui già si è accennato. Queste due caratteristiche limitano l'impiego del motore alle applicazioni in cui sono in gioco piccoli carichi. I parametri caratteristici del motore sono i seguenti: - Coppia massima rotazione, Velocità massima, Angolo corrispondente al passo Risoluzione, Si hanno i seguenti tipi di motori passo-passo: Motori a magnete permanente: sono quelli sostanzialmente descritti nel punto precedente. b) Motori a riluttanza variabile Hanno lo statore con un certo numero di poli salienti avvolti e il rotore sagomato con denti o espansioni in ferro dolce. I denti del rotore e dello statore rendono variabile la riluttanza del traferro e con i poli contribuiscono a determinare il passo del motore. Quando la corrente percorre un determinato avvolgimento, si sviluppa una coppia che fa girare il rotore fino alla posizione a riluttanza magnetica minima e mettendo successivamente in tensione un altro avvolgimento, la configurazione a riluttanza minima cambia provocando il movimento del motore. Con una opportuna sequenza di alimentazione è possibile creare un susseguirsi di posizioni di equilibrio e quindi la rotazione. c) Motori ibridi Sono basati su una tecnica composta. La loro coppia è proporzionale alla corrente e possono avere un numero elevato di passi a giro. I magneti permanenti del rotore, che servono a polarizzare i poli salienti, creano un flusso che si richiude attraverso la carcassa. Gli statori sono disposti in modo identico e gli avvolgimenti sono comuni alle due parti. Normalmente la scelta avviene tra i motori a magnete permanente e motori ibridi. Gli attuatori possono essere pilotati da un operatore attraverso dispositivi di comando e protezione motori (fusibili di protezione, interruttori di manovra, sezionatori), da un sistema automatico, come un controllore logico programmabile (PLC) oppure si possono gestire da relais. Eccitando la bobina di comando, i contatti normalmente aperti (NO) si chiudono, permettendo il flusso di corrente, e i contatti normalmente chiusi (NC) si aprono, interrompendo il flusso di corrente. I relais sono degli amplificatori di potenza: infatti se la bobina di comando viene eccitata con 100mA, il contatto può portare più di 10A. Si tratta di dispositivi lenti: il tempo di apertura o di chiusura di relais di una certa potenza possono superare anche i 10ms. La semplicità del dispositivo, l’elevato isolamento tra bobina e contatti, l’economicità e la possibilità di essere facilmente utilizzati da personale non esperto rende i relais molto utilizzati sia come contattori che per l’amplificazione di comandi provenienti da sistemi elettronici che in genere gestiscono segnali a bassissima potenza (<100mW). IL relais inolttre è altrettanto semplice da isolare, ad esempio mediante un isolatore galvanico mentre il segnale è molto semplice da trasmettere, avendo un’elevata immunità al rumore. Azionamenti Per ottenere degli avviamenti controllati o, più in generale, la possibilità di regolare la velocità del motore, si utilizzano dei sistemi elettronici di potenza detti azionamenti. Soft starter Lo schema indica come sia possibile regolare la tensione al motore semplicemente regolando l’angolo di apertura degli interruttori. Ovviamente ci sarà un’elettronica che, grazie a dei trasformatori sulla rete (trasformatori di sincronismo), regola l’accensione e lo spegnimento degli interruttori e quindi regola la tensione sul motore. Tipicamente la tensione sul motore viene impostata secondo una rampa lineare di salita con tempo variabile Nel caso di motori in corrente alternata, come nei motori a induzione (brushless), la velocità del motore viene regolata regolando la frequenza, mentre l’ampiezza del segnale fornisce potenza e quindi coppia. E’ possibile regolare la frequenza e l’ampiezza delle tensioni sinusoidali applicate al motore mediante degli inverter. Un inverter è costituito da un convertitore controllato AC/DC come quello sopra seguito da uno stadio controllato DC/AC. L, C per livellare la tensione raddrizzata Per la realizzazione fisica degli interruttori si utilizzano dispositivi elettronici di potenza tra i quali, oltre a diodi e transistori bipolari e MOSFET di potenza (tipicamente fino a 100A), SCR,IGBT I convertitori e la relativa elettronica di comando trova posto negli azionamenti, dei sistemi elettronici digitali che si occupano della regolazione della velocità e della corrente del motore. Un azionamento è costituito da una parte di controllo, in genere gestita da un microprocessore, e da una parte di potenza, ossia dal convertitore e dal controllo diretto degli interruttori. La parte di controllo è costituita da una sezione di regolazione, da una sezione di protezioni (massima corrente, massima tensione,…) e da una sezione di comandi, ossia una serie di ingressi e uscite logiche, in genere oggi sostituite da un canale di comunicazione numerico, per l’abilitazione, l’attivazione dei riferimenti, la segnalazione dello stato di funzionamento. PLC, PMC, Computer industriali ai più piccoli sistemi compatti ai sistemi modulari con potenti CPU per applicazioni di alto livello, l’offerta dei sistemi di controllo di processo prevede anche la disponibilità di architetture basate su PC, sistemi softlogic, e l’utilizzo di tecnologie Fieldbus. I principali elaboratori che operano a livello industriale si possono suddividere in due categorie: - unita intelligenti dedicate (Robot, Macchine a controllo numerico) - unita intelligenti altamente programmabili (PLC, PMC «Programmable Multifunction Controller: PC a struttura modulare», PC industriali, sistemi di visione I robot e i sistemi a controllo numerico sono macchine elettromeccaniche automatiche dotate di scarsa capacità di elaborazione, di scarsa capacità di memorizzazione e trasmissione dell’informazione utilizzate in qualsiasi settore industriale per compiti specifici 1) Le unità intelligenti sono molto versatili, hanno un elevato livello di programmabilità e vengono impiegate per svolgere le funzioni di comando e segnalazione, la gestione delle protezioni e degli allarmi, le regolazioni, il coordinamento degli azionamenti di una stessa cella di lavorazione, il rilevamento, la memorizzazione e la trasmissione dei dati inerenti la lavorazione in oggetto, l’interfaccia con l’operatore. - HMI Human Machine Interface: Interfaccia uomo-macchina) è un sistema mediante il quale l'uomo riesce a comunicare la sua volontà ad una macchina e attraverso il quale la macchina fornisce informazioni circa il suo funzionamento. A differenza dello SCADA, l'HMI non è limitato alla funzione supervisoria (che può anche non implementare) ma realizza in pieno l'interfaccia completa con la macchina. Ovviamente saranno mancanti i comandi e i controlli di alto livello, quelli che risultano dall'aggregazione logica o operativa di impianti e macchine diverse che realizzano il sistema nel suo complesso. - i sistemi di visione vengono oggi utilizzati per controlli dimensionali e di qualità (misurare, riconoscere, identificare, selezionare, contare) leggere codici e caratteri, guidare robot . Sono apparati elettronici che eseguono funzioni di visione artificiale attraverso una o più telecamere dotate di sistema di acquisizione ed elaborazione immagini con un software specializzato nella gestione di immagini ed un sistema di illuminazione. Il sistema di visione si integra facilmente con macchine ed impianti con i quali si interfaccia attraverso standard di comunicazione e trova larga applicazione nel controllo qualità dei prodotti nella tracciabilità e nella loro movimentazione. In condizioni ambientali limite come ambienti molto rumorosi, esposti ad agenti chimici, temperature molto elevate o molto fredde, aree nel raggio di azione di macchine o sistemi di movimentazione, spazi ristretti, un sistema di visione può operare in tranquillità senza mettere a rischio la vita dei lavoratori o sottoporli a stress fisici inutili Unità di supervisione IL dispositivo elettronico di controllo a microprocessore che interfaccia oggetti del mondo fisico a un sistema di controllo distribuito può essere un Unità Terminale Remota( RTU ) o uno SCADA (supervisory control and data acquisition system). 1) RTU: Remote Terminal Unit - Unità Terminale Remota . Una RTU non elabora né risolve alcuna logica. E' una unità terminale che ricevuti gli "ordini" da una unità di classe superiore non fa altro che eseguirli. Si tratta di un ripetitore con capacità di comunicazione, una morsettiera intelligente utile a ridurre i costi di cablaggio e a lasciare distribuiti sul campo gli I/O di un sistema di automazione e controllo . Una RTU non è un PLC, anche se può possedere una interfaccia di configurazione. La RTU monitora i parametri di campo digitali e analogici provenienti da inverter, che azionano motori e ne regolano velocità, accelerazione, potenza, da schede di controllo, come ad esempio quelle per comandare i motori passo passo per movimentazioni di precisione, termoregolatori che servono per controllare la temperatura in forni, essiccatori, ambienti, lettori di codici per la logistica, l’imballaggio, l’etichettatura e trasmette i dati alla stazione di monitoraggio centrale. La RTU può essere interfacciata con il sistema di supervisione centrale con diversi mezzi di comunicazione - in genere seriale (RS232, RS485, RS422), Ethernet. GPS o GPRS In genere le RTU sono in grado di supportare i protocolli standard Modbus per interfacciare qualsiasi software di terze parti. In alcune applicazioni di controllo, le RTU sono in grado di pilotare unità esterne di campo attraverso una uscita digitale. La RTU può monitorare gli ingressi analogici di tipo diverso: 4-20 milliampere ( 4-20 mA), 0-10 V., da -2,5 a 2,5 V, 1-5 V, ecc. Nella maggioranza dei casi le RTU sono alimentate da batterie ricaricabile a lunga durata e quindi possono essere utilizzate anche in siti non alimentati dalla rete dell'energia elettrica. Per questo le RTU in genere sono preferite ai PLC (controllori logici programmabili) per il controllo remoto di postazioni geografiche isolate, spesso attraverso la comunicazione wireless o solo attraverso SMS GPS, mentre i PLC sono più adatti per il controllo di postazioni all'interno di impianti, linee di produzione, ecc 2) Sistemi SCADA Con sistema SCADA o di software SCADA (acronimo di “Supervisory Control And Data Acquisition“, cioè “controllo di supervisione e acquisizione dati”) ci si riferisce a un sistema informatico distribuito che si occupa della supervisione, della raccolta dati e del controllo di un impianto di produzione industriale. Lo SCADA è per cui ma una funzione che può essere svolta da un qualunque software che realizzi le funzioni indicate, con più o meno dovizia di particolari e di funzioni ausiliarie. Al segnale contenente le informazioni nel percorso tra sorgente e destinazione si possono sovrapporre dei disturbi «rumori» che possono modificare la forma d’onda del segnale rendendo l’informazione scarsamente comprensibile. La distorsione può avvenire in relazione a differenti parametri del segnale come ampiezza, frequenza e fase. In ambienti di grandi dimensioni il segnale può avere piccoli ritardi derivati dalla lunghezza del filo conduttore, è opportuno che il segnale viaggi su un conduttore isolato e schermato fino al dispositivo di condizionamento del segnale. Quest'ultimo deve trovarsi nelle immediate vicinanze del dispositivo di acquisizione per evitare interferenze e perdite di segnale. I livelli di immunità ai disturbi sono definiti dalla normativa EMC «compatibilità elettromagnetica» relativa alle prove di immunità ai vari tipi di disturbo che affrontano i problemi relativi alla frequenza di rete, transitori ad alta frequenza, campi magnetici e elettromagnetici, scariche elettrostatiche. ecc..) Il software modulare, caratterizzati da un’architettura aperta e flessibile implementazione di nuovi strumenti o macchinari all’interno della fabbrica permette una facile La supervisione e il controllo dei processi produttivi non richiede la presenza di ingegneri o tecnici preposti alla gestione del macchinario «controllo remoto» in quanto i sistemi SCADA si possono collegare a Internet (tramite connessioni protette per evitare di esporsi a inutili attacchi informatici) e controllati tramite un normale browser «terminale: cellulare) distante anche centinaia di chilometri La scelta della tipologia di dispositivo da installare negli impianti, al fine di limitare sia gli effetti provocati dai disturbi di rete sul funzionamento di apparecchi sia, in taluni casi, alle emissioni di disturbi da parte dei carichi dipende dal disturbo da compensare/limitare, dalla sensibilità delle apparecchiature al disturbo in esame, dalle limitazioni imposte, da parte del distributore, sui livelli di emissione del disturbo, dalla struttura della rete di alimentazione dei carichi, da valutazioni economiche di costi-benefici. Nelle moderne fabbriche le macchine, robot industriali, sensori, attuatori e valvole controllati da PLC e PC comunicano tra loro tramite una rete di comunicazione ad alta velocità, con cavi lunghi centinaia o addirittura migliaia di metri. Ciò facilita i processi decisionali all’interno dell’azienda, garantendo allo stesso tempo un notevole sviluppo dell’automazione industriale consentendo ai tecnici un controllo esaustivo e in tempo reale dell’intero processo. Grazie a interfacce utente ottimizzate e intuitive, i sistemi SCADA sono in grado di rappresentare graficamente l’intero processo produttivo e avere sempre sotto controllo i valori e parametri fondamentali dei vari macchinari e ricevere allarmi sonori nel caso ci siano delle anomalie Grazie ai sistemi e alle soluzioni offerte dai sistemi SCADA, le aziende possono governare tutte le attività e gestire l’evoluzione di tutti i processi senza che ci sia bisogno dell’intervento continuativo di un ingegnere o tecnico. DIAGNOSTICA E MANUTENZIONE DEGLI IMPIANTI La modalità con cui vengono gestiti gli interventi di manutenzione ( stabilimenti industriali, con linee di produzione e attrezzature di automazione complesse: es settore automobilistico) sta ricoprendo un ruolo sempre più strategico nei moderni business globalizzati. Un funzionamento armonico, coordinato ed efficiente di tuti tutti i reparti dello stabilimento (stampaggio, assemblaggio, verniciatura, ecc,) garantisce il corretto svolgimento del processo di produzione dei prodotti e la continuità del business. Qualunque malfunzionamento dei sistemi d’automazione che presiedono le linee può avere ripercussioni sulla fabbricazione dei prodotti, che finiscono per tradursi in errori nei processi, rallentamenti dei ritmi di manufacturing o, addirittura, in fermi macchina (downtime); Questi si rivelano molto costosi per il costruttore non solo in termini economici, ma anche di deterioramento dell’immagine del brand nei casi in cui, per esempio, si manifestino pesanti ritardi rispetto agli obiettivi di time to market stabiliti oppure emergano gravi difetti su prodotti già rilasciati sul mercato. Cosa e quando monitorare Nel rilevare che un monitoraggio ben riuscito può permettere una grande riduzione dei componenti di riserva a magazzino si rileva che il tipo di monitoraggio dipende dal tipo di impianto/macchina e che bisogna i tener conto della complessità del sistema di monitoraggio e del costo per il suo mantenimento. Una scarsa progettazione del sistema di monitoraggio o un suo scarso mantenimento possono dare origine a un gran numero di falsi allarmi, che alla fine renderebbero inutili (o addirittura dannose) le informazioni rilevate dal sistema stesso. Prtanto, ci sono macchine a cui il monitoraggio è sempre applicabile, mentre per altre macchine occorre fare una valutazione accurata prima di decidere Riguardo quali PARAMETRI ci sono alcune grandezze che sono tradizionalmente monitorate(correnti, tensioni, temperature, livelli di vibrazione dei cuscinetti) e altre che sono state introdotte più recentemente, grazie alla disponibilità di nuovi sensori (flusso disperso). I tempi di monitoraggio richiedono considerazioni riguardo la convenienza economica che è utile quando il risparmio netto annuale aumenta grazie al suo impiego. e considerazioni di sicurezza che passano sopra alle valutazioni economiche. Manutenzione predittiva: i vantaggi rispetto ai metodi tradizionali In campo industriale, quindi anche nel settore automotive, sono applicabili differenti metodologie di manutenzione per assicurare l’affidabilità delle linee di produzione e dei sistemi d’automazione degli impianti: il trend è quello di pianificare e programmare quanto più possibile gli interventi in regime di fermo linea (manutenzione predittiva) lasciando comunque il fianco scoperto per fermi non programmati e non programmabili (la cosiddetta manutenzione reattiva), in cui l’intervento di riparazione o sostituzione del componente è attivato solo dopo il verificarsi del guasto e spesso quando il componente è giunto alla fine del suo ciclo di vita. Vi sono poi politiche di manutenzione preventiva, come la manutenzione programmata, che prevede (secondo scadenze calcolate in base a determinati criteri) la sostituzione di un componente dell’impianto ancora in uno stato sufficientemente buono di funzionamento, ma pur sempre usurato, con uno nuovo con l’obiettivo di evitare una rottura incontrollata. Considerata l’attuale complessità dei sistemi di automazione, l’intensità di fabbricazione raggiunti dagli stabilimenti produttivi e la portata delle possibili conseguenze in caso di guasti, si tende sempre più ad applicare metodologie riguardanti: - tipologie di manutenzione preventive che determinano la necessità d’intervento in base al monitoraggio e alla valutazione dello stato di funzionamento di un componente o di un macchinario: la qualità dello stato è valutata controllando se i parametri chiave di stima (temperatura, grado di vibrazioni, tensione elettrica, ecc.) rientrano nei valori limite, o di soglia, da rispettare per quel dato componente, fuori dai quali la probabilità di guasti, rotture o malfunzionamenti diventa elevata e viene pertanto segnalata dal sistema tramite allarmi - La manutenzione predittiva si basa su questi stessi concetti, ma utilizza anche modelli e algoritmi che, considerando determinati fattori specifici, calcolano il livello di degrado nel tempo riuscendo a prevedere quanto resta ancora prima del verificarsi del guasto; grazie agli opportuni supporti informatici si viene a conoscenza per cui a tutte le informazioni che garantiscono il buon funzionamento di ciascun impianto. - La politica di manutenzione reattiva, che viene raramente utilizzata, si adotta circostanziatamente alla parte con una bassa probabilità di rottura o nel caso in cui il suo malfunzionamento non inciderebbe in modo grave sull’andamento del processo di produzione. La gestione delle risorse dell’azienda in chiave predittiva consente di risparmiare sui costi, migliorare la redditività, offrire migliori livelli di servizio per la soddisfazione dei clienti, migliorare la sicurezza e le prestazioni ambientali, di tenere sotto controllo i consumi energetici e possibilmente di ridurli. Con gli opportuni sistemi informatici, la manutenzione predittiva consente infine di compiere scelte strategiche anche in termini di selezione dei ricambi, di tecnologie più appropriate, di piani di produzione più convenienti estendendo, di fatto, la vita dei beni e degli impianti stessi. Tecniche di collaudo Il collaudo consiste nell’assicurarsi che il prodotto sia conforme ai requisiti espressi dal cliente effettuando, prima della consegna, tutti i controlli, le prove e le misurazioni necessarie per eliminare quei prodotti che non corrispondono ai requisiti espressi nelle specifiche. Per apparati di serie almeno un esemplare di apparecchiatura in configurazione finale deve essere sottoposto a prove cosiddette di tipo, che prevedono il funzionamento in condizioni nominali limite ed anche in condizioni di guasto singolo per verificare la rispondenza ai requisiti di sicurezza. La norma en 61010-1 ad esempio prescrive di effettuare prove in tutte le condizioni di guasto che possano degenerare in condizioni di pericolo, non solo elettrico, ossia cortocircuiti delle uscite, bloccaggio dei motori, chiusura delle aperture di ventilazione etc durante e dopo le prove non devono essere superati dei limiti ben precisi specificati per ogni prova nella norma stessa (es. messa in tensione di parti accessibili, incendio, espulsione di parti etc) Si devono poi eseguire prove individuali che sono essenzialmente delle verifiche di caratteristiche che non possono essere garantite dalla bonta’ del progetto in quanto dipendenti dalle lavorazioni di produzione/assiemaggio e che vanno eseguite sul 100% dei prodotti, possibilmente alla fine della fase di assiemaggio, durante e dopo il collaudo funzionale dell’apparecchio Si possono poi eseguire le prove sotto accreditamento che consistono nella determinazione di una o più caratteristiche del prodotto secondo metodologie ben definite”, sono effettuate da laboratori accreditati ai sensi della norma ISO/IEC 17025 e sono a supporto dei processi di produzione o di attività di valutazione della conformità. In relazione al settore in cui vengono effettuate e agli scopi che perseguono, le prove possono essere di tipo diverso (acustico, biochimico, biologico o microbiologico, chimico civile, corrosione, elettrico ecc…) e trovano applicazione in una molteplicità di settori industriali (sicurezza alimentare, informatica e telecomunicazioni, automotive metalmeccanica e siderurgica ecc.. • IMPIANTI INDUSTRIALI LINEE TRANSFER RIGIDE Sequenza di macchine NC collegate da sistemi automatici rigidi di lavorazione complesso, rigidamente predefinito ed immutabile. movimentazione che svolgono un ciclo di Caratteristiche: • eseguono manipolazioni ripetitive in base a programmi ripetitivi e immutabili. • per cambiare la sequenza dei movimenti è necessario cambiare programma. • FMS: Flexible manufacturing systems Sistemi operativi composti da più macchine CNC e/o robot a loro volta controllati da un computer centrale che fornisce ai computer – macchina gli input per la scelta dei singoli programmi specifici di ciascuna NC. • E’ possibile mutare i cicli di ciascuna macchina e quindi l’intero ciclo di lavorazione del FMS. Caratteristiche: • Precisione, rapidità, bassi costi unitari • Versatilità, adattabilità, convertibilità Si • • • distinguono a seconda della complessità in: Celle flessibili di lavorazione (FMC) Moduli flessibili di lavorazione (FMM) Sistemi flessibili di produzione (FMS) AREE DI APPLICAZIONE PER VOLUME E VARIETÀ LOGISTICA • Sistemi tradizionali di trasporto • Sistemi di trasporto a guida automatica • Sistemi manuali di immagazzinamento e stoccaggio • Magazzini intensivi automatizzati SISTEMI DI TRASPORTO • I sistemi di trasporto del materiale all’interno dell’impianto industriale si possono classificare in relazione al GRADO DI AUTOMAZIONE e LIVELLO DI FLESSIBILITA’ • Carrelli elevatori • Sono veicoli a ruote impiegati per la movimentazione di materiale di qualsiasi genere con l’intervento degli operatori a terra o a bordo • Transpallet: carrelli a ruote piccole per piccoli sollevamenti che sollevano il carico solamente per poterlo trasportare • Carrelli accatastatori: muniti di idonee attrezzature per sollevare il carico ad altezze superiori compatibili con l’esigenza di impilaggio • Sistemi rigidi di trasporto • TRASPORTATORI A RULLI: consistono in una serie di rulli montati su apposite strutture portanti;sono impiegati per il trasferimento e accumulo di colli rigidi • TRSPORTATORI A NASTRO: sono impiegati per il trasporto continuo in orizzontale o in pendenza dei materiali alla rinfusa o di carichi concentrati leggeri • ELEVATORI: consentono il sollevamento di materiali sfusi su grandi pendenze A RULLO • Automatic guided vehicles (AGV) • Il sistema di trasporto automatico più flessibile ed innovativo è quello che usa carrelli a guida automatica AGV lungo una serie complessa di percorsi Si compongono di: 1. Carrelli a guida automatica 2. Impianto che provvede a guidare i carrelli lungo tragitti 3. Impianto per la trasmissione di informazioni 4. Sistema di gestione per la programmazione e ottimizzazione missioni e controllo del traffico La gestione dell’impianto è affidata ad un calcolatore dedicato che: • riceve le richieste di trasporto provenienti dalle aree produttive e dai magazzini interoperativi, attraverso segnali analogici o digitali di fotocellule, pulsanti, interfacce di posti di lavoro o di magazzini ecc.; • memorizza ed assegna ai carrelli le missioni da compiere; • segue direttamente lo svolgimento delle missioni da parte dei carrelli. SISTEMI DI TRASPORTO AEREI CON CARRELLI AUTOMOTORI (AEM) • consistono in carrelli motorizzati che, scorrendo su vie di corsa sopraelevate, sono in grado di svolgere operazioni di trasporto completamente automatizzate da uno o più punti di partenza ad uno o più punti di arrivo I principali componenti di tali sistemi sono: 1. Carrelli che provvedono al trasporto di materiale; 2. Vie di corsa aeree che sostengono i carrelli e li guidano lungo il percorso; 3. Sistema di gestione e controllo delle missioni dei carrelli; 4. Dispositivi automatici di carico e scarico dei carrelli; 5. Sicurezze antinfortunistiche (simili per AGV). Prestazioni AEM • Massa del carico trasportato: da 500 a 2500kg/carrello; • Velocità massima in entrambi i sensi di marcia: da 1 a 2 m/s (al diminuire del carico); • Pendenza massima superabile: alcuni gradi (fino a 45° per applicazioni particolari a basse velocità 0,5m/s); I principali vantaggi conseguibili con un sistema di trasporto aereo a carrelli automotori sono:L’installazione aerea libera da intralci il pavimento, Limitati ingombri dei carrelli; Elevate potenzialità di trasporto adeguabili alle esigenze operative; Attuazione di percorsi complessi, su diversi piani e livelli, con possibilità di ampliamento, Possibilità di accumulo lungo il percorso di carrelli carichi o scarichi;Rapidità di montaggio; Funzionamento silenzioso AUTOMAZIONE VANTAGGI • Eliminazione mansioni che richiedono sforzo fisico • Efficienza nel controllo di qualità • Miglioramento procedure di programmazione e controllo della produzione • Rapidità nell’introduzione di nuovi prodotti • Incremento della flessibilità produttiva ai volumi ed al mix • Riduzione dei tempi di consegna (time-to-market) • Miglioramento della qualità • Riduzione dei costi • Miglioramento del servizio al cliente • Sopravvivenza dell’impresa in un ambiente altamente competitivo BARRIERE ALL’AUTOMAZIONE • • • • • Barriere finanziarie: costi acquisizione strumenti e costi formazione risorse specializzate Barriere conoscitive Barriere di tipo innovativo – organizzativo Rischio obsolescenza Elevata scala di produzione per saturare la capacità produttiva delle macchine Hw delle Architetture dei sistemi di controllo 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Architettura generale di un sistema di controllo Rete di calcolatori: livello fisico, trasmissione, interfacce... Modalità di collegamenti fra ingressi e uscite Degrado dei segnali L'opto isoaltore 78xx CIM – Computer Integrated Manufacturing Componenti di un sistema CIM Architetture hw/sw di controllo ARCHITETTURA GENERALE DI UN SISTEMA DI CONTROLLO L’architettura del sistema di controllo Definisce i singoli componenti per mezzo delle loro interfacce, le interazioni tra i componenti ed in particolare i canali di comunicazione ed i dati, per ciascun componente le funzioni, i requisiti in termini di capacità di memoria, ecc…, le loro responsabilità. Componenti hardware del sistema di controllo • Sensori • Attuatori • Organi di controllo • Canali di comunicazione (cavi…) Componenti software del sistema di controllo - Connessioni logiche tra i componenti - Dati che fluiscono tra i componenti centralizzata «tradizionale» Architettura tradizionale con collegamenti di tipo analogico punto-punto Vantaggi Affidabilità, sistema collaudato Svantaggi: Elevato numero collegamenti Costo dei cablaggi Elevata sensibilità ai disturbi (necessità di schermatura) Scarsa flessibilità e scalabilità Architettura a bus con trasmissione digitale dei segnali Architettura a bus Vantaggi Risparmio sui costi di cablaggio Facilità di aggiunta e rimozione di dispositivi Condivisione delle risorse Flessibilità Decentramento di funzioni Intelligenza distribuita (funzionalità diagnostiche locali) Svantaggi Maggior costo dei dispositivi Diverse metodologie di progettazione Problemi di interoperabilità (far funzionare insieme dispositivi di produttori diversi architettura ad isole di automazione Ogni isola compie una serie di lavorazioni Ogni isola è dotata del proprio sottosistema di controllo La coordinazione è garantita da un sistema di controllo e supervisione integrato RETE DI CALCOLATORI: LIVELLO FISICO, TRASMISSIONE, INTERFACCIA Una rete di calcolatori è un sistema informatico costituito da uno o più calcolatori collegati da un sistema di comunicazione. Le disposizioni fisiche dei componenti «topologie di rete« possonoi essere cosi configurate Il collegamento fra i vari componenti si effettua con i seguenti mezzi trasmissivi: Doppino ritorto (twisted pair) • Costituito da una coppia di fili di rame avvolti in una guaina e ritorti • Tipicamente usato in telefonia, consente velocità di comunicazione medio-alte (100 Mbps su rete locale, meno su rete telefonica) • Scarsa immunità ai disturbi. Cavo coassiale • Filo centrale in rame ricoperto da guaina e maglia esterna in rame • Consente velocità di comunicazione medio-alte (100 Mbps) Può sostenere più canali di trasmissione modulati a frequenze diverse. Onde convogliate (Powerline) •Utilizzano le linee di bassa potenza (230-400 V) per trasmettere un segnale modulato in frequenza •Si raggiungono velocità di qualche centinaio di kbps •Disturbi sulla rete La trasmissione è di norma di tipo seriale. Fibra ottica • Fibra di vetro in grado di trasportare segnali luminosi • Consente massima insensibilità ai rumori ma ha costo elevato Onde elettromagnetiche • Usate per trasmissioni radio e via satellite Sono poco utilizzate ma in crescita Trasmissione senza fili (Wireless) •Utilizzano frequenze infrarosso e in campo industriale radiofrequenza •Non richiedono cablaggio •Si raggiungono velocità di qualche Mbps •Problemi di interferenza Segnalazione: I dati binari scambiati tra due calcolatori possono essere: Trasmessi direttamente sul canale (segnalazione in banda base) Trasmessi per modulazione di un segnale portante (segnalazione in modulazione) La trasmissione dei dati può essere: Simplex (il senso della trasmissione è unico) Half duplex (la trasmissione è possibile, alternativamente, nei due sensi) Full duplex (la trasmissione è possibile, contemporaneamente, nei due sensi) I dati binari scambiati tra due calcolatori possono essere trasmessi direttamente sul canale (segnalazione in banda base) con : Codifica Non Return to Zero: non impone la transizione a un livello di riferimento (zero) Codifica Return to Zero: impone la transizione a zero Codifica Manchester: codifica i valori con i segni delle transizioni (in pratica si trasmette il clock o il clock invertito) I dati binari possono essere anche trasmessi per modulazione di un segnale portante (segnalazione in modulazione) La trasmissione dei dati avvenire : - in modalità asincrona in cui il trasmettitore prende l’iniziativa di inviare il dato; la trasmissione avviene per carattere (da 5 a 8 bit di informazione) . - in modalità sincrona si richiede la sincronizzazione di trasmettitore e ricevitore (mediante clock o segnale manchester)l’informazione è trasmessa come un blocco di dati preceduto e seguito da sequenze di bit di sincronizzazione e controllo . l’efficienza di trasmissione è più alta della trasmissione asincrona la gestione della linea sincrona è però più onerosa circuiti integrati denominati usart (universal synchronous asynchronous receiver transmitter) gestiscono le modalità di trasmissione/ricezione (sia sincrona sia asincrona), scaricando l’elaboratore da queste attività Gli standard di connessione elettrica/meccanica tra host ( normalissimi computer, dai PC alle stazioni più potenti, che devono essere dotati di una interfaccia di rete) e linea di trasmissione sono EIA RS-232 per trasmissioni punto – punto (TX-RX), RS-422 per trasmissioni puntomultipunto, RS-485 per trasmissioni multipunto-multipunto Si differenziano fra di loro dalla distanza massima fra dispositivi, dalla velocità massima di trasmissione, dalla modalità di collegamento dei TX, RX (alta impedenza: vedi fig.) dalle modalita di trasmissione (Simplex, Half duplex, Full duplex ) ecc.. In conclusione il livello fisico Si occupa del trasferimento di bit su un canale di comunicazione, nei suoi aspetti meccanici ed elettrici affrontando le seguenti problematiche: - Tipo di trasmissione tipo di codifica elettrica del segnale logico; tipo e funzione di ogni segnale di controllo (per sincronizzare trasmissione e ricezione); livelli di tensione e corrente; numero di conduttori; tolleranze massime e minime dei tempi di salita, commutazione, ecc. dei segnali elettrici; tipo di collegamento (single ended o differenziale) e isolamento; caratteristiche meccaniche dei connettori, dei cavi, ed in generale degli apparati. modalità di collegamenti fra Ingressi e uscite I principali aspetti di cui tenere conto in un sistema di acquisizione dati e controllo sono: componenti in un circuito di condizionamento collegamenti di massa e accoppiamenti amplificatori per il condizionamento e l’isolamento collegamenti single-ended e differenziali funzioni del circuito di condizionamento adattamento di impedenza conversione e messa in scala filtraggio conversioni conversione A/D conversione D/A COLLEGAMENTI DI MASSA Si chiama massa di segnale (signal ground) un nodo di riferimento rispetto al quale vengono misurate le tensioni negli altri nodi di un circuito. Le masse sono normalmente collegate a terra (earth ground) per ragioni di sicurezza e per non lasciarne fluttuare il potenziale, ancorandolo a quello di terra. In un sistema di acquisizione relativo a un processo industriale si distinguono: massa del campo (sensori e attuatori) massa dei circuiti di acquisizione (schede contenute in un armadio o rack) Entrambe le masse sono connesse localmente a terra. La terra tuttavia non è una superficie perfettamente equipotenziale. Si ha quindi un collegamento tra le masse attraverso le terre (anello di massa o ground loop) con possibile circolazione di corrente (problema rilevante per impianti di grosse dimensioni). Per il collegamento delle masse di segnale al nodo di terra esistono tre metodi: Connessione serie: è la più semplice ma anche la più rumorosa Connessione parallelo: richiede più fili e può generare accoppiamenti per alte frequenze Connessione multipunto: si usano barre di massa cui si collegano fili di lunghezza ridotta: necessaria per alte frequenze (> 10 MHz) ACCOPPIAMENTI E INTERFERENZE Con accoppiamento tra due circuiti si intende la generazione di segnali elettrici indesiderati in un circuito da parte dell’altro. Distinguiamo tre tipologie di accoppiamento: accoppiamento condotto (percorsi comuni di massa e di linee di collegamento) accoppiamento capacitivo (capacità parassite tra i cavi dei circuiti) accoppiamento induttivo (flusso magnetico prodotto da una corrente in un circuito che si concatena all’altro) ACCOPPIAMENTO CONDOTTO L’accoppiamento condotto si manifesta quando correnti di due circuiti fluiscono attraverso un’impedenza comune: due circuiti hanno in comune un tratto di percorso verso massa: la differenza di potenziale sul circuito 1 dipende dalla corrente verso massa del 2 e viceversa I N.B. L’impedenza è la relazione dinamica tra la corrente che attraversa un circuito e la tensione ai suoi capi I due circuiti hanno in comune il percorso verso l’alimentazione: la corrente assorbita da un circuito modifica la tensione di alimentazione dell’altro Resistore: Z = R Condensatore: Z = 1/(sC) Induttore: Z = sL ACCOPPIAMENTO CAPACITIVO L’accoppiamento capacitivo è dovuto a capacità parassite distribuite lungo i conduttori: C12: capacità parassita tra i due conduttori C1G, C2G: capacità parassite verso massa ACCOPPIAMENTO CAPACITIVO V2 sC12RV1 Il rumore in tensione è quindi proporzionale a: ampiezza del segnale sorgente di disturbo frequenza di tale segnale impedenza verso massa del circuito soggetto al disturbo (da mantenere piccola!) capacità parassita Come ridurre il rumore per accoppiamento capacitivo? aumentando la distanza tra i conduttori orientando diversamente i conduttori circondando il conduttore con uno schermo (lamina sottile) ACCOPPIAMENTO CAPACITIVO: SCHERMO schermo C1S: capacità parassita tra il conduttore 1 e lo schermo C2S: capacità parassita tra il conduttore 2 e lo schermo CSG: capacità parassita dello schermo verso massa Lo schermo è in grado di ridurre radicalmente la capacità parassita (principio della gabbia di Faraday) Va collegato a massa da una estremità ACCOPPIAMENTO INDUTTIVO L’accoppiamento induttivo è dovuto alle correnti indotte tra due conduttori per effetti elettromagnetici: la corrente I1 che circola nel primo circuito produce un campo magnetico proporzionale alla corrente il secondo circuito concatena un flusso 12 = M12I1 (M12 mutua induttanza) se il flusso concatenato è variabile si induce una forza elettromotrice indesiderata V2 = M12dI1/dt Sorgenti notevoli di disturbi di questo tipo sono le unità di alimentazione di potenza che modulano la tensione con tecniche switching o PWM, cioè collegando e staccando l’alimentazione ad alta frequenza. ACCOPPIAMENTO INDUTTIVO L’accoppiamento induttivo può essere ridotto nei seguenti modi: allontanando i circuiti disponendo i circuiti in modo da minimizzare l’area della maglia costituita dal secondo circuito perpendicolare alle linee di campo generato dal primo utilizzando cavi intrecciati (twistati) Nel cavo twistato l’area della maglia si riduce rispetto a un doppino piatto. Se la corrente è la stessa nei due fili il campo netto per ogni periodo della treccia è nullo. Lo schermo invece non ha effetto sull’accoppiamento induttivo. TIPI DI CAVI In base alle considerazioni precedenti si comprende che i cavi maggiormente utilizzati nelle applicazioni di controllo siano: cavi twistati cavi schermati cavi twistati e schermati Un’altra tipologia di cavi di interesse sono i cavi coassiali, composti da un conduttore di rame interno circondato da uno strato tubolare isolante a sua volta circondato da uno schermo conduttore (calza). I cavi coassiali danno prestazioni migliori del doppino twistato e schermato a frequenze elevate (> 100 KHz) e quindi sono poco usati nelle applicazioni di controllo. AMPLIFICATORI PER IL CONDIZIONAMENTO I convertitori A/D richiedono in ingresso segnali con fondo scala di alto livello (qualche Volt). I segnali analogici sono normalmente di basso livello (millivolt). Per il corretto funzionamento dei convertitori occorre amplificare i segnali. Nei sistemi di controllo si usano comunemente tre tipi di amplificatori: amplificatori operazionali amplificatori da strumentazione (instrumentation amplifiers) amplificatori d’isolamento (isolation amplifiers: L’amplificatore d’isolamento (ISOAMP) è un amplificatore da strumentazione con circuito di ingresso isolato galvanicamente dall’alimentazione e dal circuito di uscita.) COLLEGAMENTI SINGLE-ENDED E DIFFERENZIALI Un dispositivo come un sensore può trasmettere la propria informazione in due modalità: single-ended solo il terminale “alto” del trasduttore è collegato ai circuiti di amplificazione e conversione i terminali “bassi” sono tutti collegati alla massa di campo, a sua volta collegata alla massa del sistema di acquisizione per n segnali da trasmettere occorrono quindi n + 1 fili differenziale sia il terminale alto sia quello basso del trasduttore sono connessi direttamente agli ingressi dei circuiti di amplificazione e conversione per n segnali da trasmettere occorrono quindi 2n fili si tratta quindi di una soluzione più costosa COLLEGAMENTI SINGLE-ENDED Ritorno comune per tutti i segnali acquisiti Funzionamento fortemente dalla d.d.p. tra le masse Risente di accoppiamenti ritorno comune dipendente condotti sul Soluzione adeguata solo se la d.d.p. tra le masse è sufficientemente piccola rispetto al segnale da acquisire in modo da non determinare apprezzabile errore di misura anello di massa COLLEGAMENTI DIFFERENZIALI Ciascun segnale viene trasmesso con due fili L’anello di massa viene eliminato Il segnale può essere a massa o flottante segnale a massa È necessario prevedere un percorso verso massa delle correnti di polarizzazione dell’amplificatore Se questo percorso non è praticabile si può ricorrere agli amplificatori di isolamento segnale flottante COLLEGAMENTI DIFFERENZIALI E D.D.P DELLE MASSE La differenza di potenziale tra le masse del campo e dei circuiti di acquisizione appare nei collegamenti differenziali come una tensione di modo comune Nei collegamenti single-ended appare in serie al segnale SEGNALI STANDARD Trasmissione in corrente: le uscite dei trasmettitori sono segnali in corrente nel campo 4 ÷ 20 mA zero vivo: distingue l’interruzione del circuito dal segnale nullo consente di alimentare il trasmettitore Il trasmettitore opera come un generatore di corrente e può trasmettere a grandi distanze (indicativamente 300 ÷ 1500 m) Trasmissione in tensione: le uscite dei trasmettitori sono segnali in tensione nel campo 0 ÷ 5 V, 0 ÷ 10 V, 10 ÷ 10V Utilizzate in applicazioni di laboratorio e nelle macchine automatiche Le distanze di trasmissione si riducono: con segnali da ±1 V a ±10 V si hanno 15 ÷ 90 m, con segnali da ±0.01 V a ±1 V si hanno 1.5 ÷ 30m Oggi è in atto la tendenza verso la trasmissione digitale dei segnali (fieldbus, Ethernet) IL CONDIZIONAMENTO Le più comuni funzioni di un circuito di condizionamento sono le seguenti: adattamento d’impedenza conversione corrente tensione (trasmissione in corrente 4 ÷ 20 mA) amplificazione o attenuazione (“messa in scala”) isolamento galvanico filtraggio antialiasing (passivo / attivo) L’elettronica di condizionamento può essere collocata: all’uscita del sensore all’ingresso del sistema di acquisizione (sulle schede di condizionamento) ADATTAMENTO DI IMPEDENZA Un trasduttore è generalmente modellabile come un generatore reale di tensione Se il circuito cui si interfaccia il trasduttore assorbe corrente, la misura è affetta da un errore, pari alla caduta di tensione sulla resistenza interna del generatore È quindi importante che il circuito di acquisizione presenti impedenza di ingresso elevata È anche importante che il primo stadio del circuito di acquisizione presenti impedenza di uscita bassa, in modo da fornire il segnale acquisito ai circuiti a valle indipendentemente dalla corrente che essi assorbono Queste funzionalità sono definite adattamento di impedenza e sono tipicamente realizzate con un amplificatore operazionale in configurazione da inseguitore (buffer) CONVERSIONE DI CORRENTE IN TENSIONE Per convertire una corrente in tensione generalmente le si fa percorrere un resistore di resistenza opportunamente scelta e si rileva la caduta di tensione ai capi del resistore Questo circuito è adeguato per correnti di “alto livello” (4 ÷ 20 mA) per cui, con Rc = 250 , si ottiene 1 ÷ 5 V. Per correnti di “basso livello” occorrerebbe un resistore Rc di resistenza troppo elevata (alcuni M). È preferibile in questo caso il seguente circuito: MESSA IN SCALA DI SEGNALI ANALOGICI Per acquisire tensioni superiori a quelle accettate dal convertitore A/D è necessario ridurle (metterle in scala). Per questo si può utilizzare un partitore di tensione: FILTRAGGIO I filtri analogici attenuano le componenti del segnale a pulsazioni superiori a quella di Nyquist, per evitare il fenomeno dell’aliasing (filtri antialiasing). Il filtraggio può essere realizzato in due modalità: Filtraggio passivo: si utilizzano resistori e condensatori (più raramente induttori). Non richiede alimentazione esterna. Filtraggio attivo: si utilizzano, oltre a resistori e condensatori, elementi attivi quali amplificatori operazionali. I filtri attivi hanno caratteristiche migliori di quelli passivi, ma necessitano di alimentazione, sono più costosi e occupano più spazio. CONVERSIONE A/D Gli aspetti funzionali della conversione analogico/digitale sono già noti dalla teoria del controllo digitale. Gli i aspetti operativi piu importanti sono: il circuito di sample and hold (tecnologia e utilizzo) la scelta della risoluzione (numero di bit) del convertitore ADC (Analog to Digital Converter) la tecnologia del convertitore ADC USCITE ANALOGICHE Le uscite analogiche pilotano attuatori e altri dispositivi (indicatori, registratori) Tipicamente forniscono tensioni di alto livello (± 1 V, ± 10 V) o segnali in corrente (4 ÷ 20 mA) Sono realizzate con convertitori DAC (Digital to Analog Converter) e circuiti di condizionamento CONDIZIONAMENTO DI USCITE ANALOGICHE Come gli ingressi, anche le uscite analogiche devono spesso essere isolate galvanicamente. Un esempio in cui si utilizza un amplificatore di isolamento è il seguente: INGRESSI E USCITE DIGITALI Un ingresso digitale è un segnale il cui contenuto informativo è esprimibile con un solo bit (segnale logico o booleano). Tipicamente gli ingressi digitali provengono da un contatto (interruttore), meccanico o elettronico Il contatto può essere “pulito”, cioè non sottoposto a tensione, o alimentato I segnali digitali si distinguono in segnali “di stato” e “da contare” Il condizionamento degli ingressi digitali prevede: adattamento del livello di tensione alimentazione dei contatti puliti isolamento galvanico Anche per le uscite digitali è spesso necessario prevedere l’isolamento galvanico (con relay elettromeccanico o fotoaccoppiatore) Degrado dei segnali In ricezione il segnale ha in pratica una potenza minore rispetto a quella del segnale originale. La principale causa di attenuazione, che viene misurata in decibel, è rappresentata dalla conversione di parte dell'energia elettromagnetica in altre forme di energia (es. in calore). I livelli di massa «tensioni misurate con riferimento ad un nodo di riferimento» ad ogni estremità di un cavo Ethernet da trecento metri possono essere molto diversi in considerazione delle elevate tensioni e correnti che sono assorbite da impianti e motori Lo squilibrio di queste correnti genera una corrente di ritorno che può essere molto forte, e di conseguenza si ha una tensione differenziale elevata che può causare danni alle reti digitali ad alta velocità. È possibile evitare questa situazione utilizzando isolatori digitali ad alta velocità, nei quali l’informazione analogica viene convertita in digitale e quindi trasmessa in modo seriale, che consentono di realizzare un isolamento senza i limiti di costi, di dimensioni, di potenza, di prestazioni e affidabilità grazie all’utilizzo degli optoaccoppiatori. Di seguito viene mostrato uno schema di connessione tra ingressi e uscite logiche isolate galvanicamente. I due sistemi non hanno la massa in comune con il cavo per cui se il il cavo di connessione va in corto circuito l’informazione non viene più trasmessa ma il sistema a monte e a valle risultano esenti da guasti. Il segnale di tensione continua variabilecon continuità tra 0 e 5V è difficile da isolare e da trasmettere in quanto prima deve essere parzializzato, ad esempio con duty cycle 50%,, isolato mediante trasformatore e infine raddrizzato. a tale scopo viene effettuata una trasmissione dei segnali in corrente con modalità 4-20mA, che non contempla l’assenza di corrente (0 mA), permette una facile diagnostica della situazione di “strappo cavi” ed è meno sensibile nei riguardi dei disturbi elettromagnetici. L’immunità elettromagnetica viene garantita dagli isolatori digitali che garantiscono , basso consumo energetico, isolando gli I/O digitali con tensione nominale di picco che possono arrivare a 4000 V Analisi dell’isolatore digitale ISO 78xx con cenni sulla modulazione dei segnali OOK modulation: modulazione digitale dei dati con portante sinusoidale Oscillatore VCO: (Signal spectrum: « del segnale» + Oscillator) TX signal condiziong: Il flusso di bit digitale in entrata al circuito di condizionamento «adattamento del segnale al canale tx» è modulato con un oscillatore a spettro esteso interno (VCO) per generare segnali OOK, in modo che uno degli stati di ingresso è rappresentato dalla trasmissione di una frequenza portante e l'altro stato da nessuna trasmissione SO2 based capacitive: barriera di isolamento a base di biossido di silicio. RX signal condiziong: adattamento ai blocchi sucessivi Pre-amp: preamplificatore Envelope detector: rivelatore di inviluppo, circuito elettronico che accetta un segnale modulato di ampiezza (OOK) ad alta frequenza come input e fornisce un'uscita che è l' inviluppo del segnale originale. CIM – COMPUTER INTEGRATED MANUFACTURING È un modello di gestione integrato sviluppatosi negli anni ‘70 Obiettivi • Minimizzare il time-to-market • Diminuire i costi • Ridurre i magazzini (produzione just-in-time) • Migliorare il controllo di qualità • Massimizzare la flessibilità di produzione (facile riconfigurabilità) • Identificare, conservare e riutilizzare le informazioni relative a i prodotti Metodologia • Integrare tutte le funzioni dell’azienda, dal marketing alla produzione alla distribuzione, in una visione gerarchica. • Ogni livello manipola e trasferisce informazione ed elabora strategie impartendo comandi ai livelli inferiori. COMPONENTI DI UN SISTEMA CIM A livello più basso: Attuatori e sensori Controllori modulanti (PID) Controllori logici (PLC: Programmable Logic Controller) • Gestiscono gli assi, le sequenze di operazioni, le protezioni, le interazioni con l’operatore. Sistemi di controllo distribuito (DCS: Distributed Control Systems) • Sistemi di controllo che integrano funzioni di calcolo del controllo a livello di loop, controllo logico, monitoraggio, gestione degli allarmi. CNC (Controllo Numerico Computerizzato) • Gestiscono macchine multiasse con movimenti interpolati degli assi IPC (Industrial Personal Computer) • Sono PC strutturati per poter operare in ambito industiale, tipicamente con sistemi operativi real time A livello più alto: SCADA (Supervisory Control And Data Acquisition) • Sistemi che supportano le funzioni di acquisizione ed archiviazione dati, interfaccia uomo-macchina (con sinottici statici e dinamici), grafici, monitoraggio e gestione allarmi, scambio dati con i pacchetti software commerciali più diffusi sui PC, come i fogli elettronici. Sistemi CAD (Computer Aided Design) • Software che permette la progettazione assistita al calcolatore Sistemi CAE (Computer Aided Engineering) • Sistemi software che supportano la progettazione anche nelle fasi di analisi e simulazione Sistema ERP (Enterprise Resource Planning) • Sistema applicativo gestionale che riunifica la gestione di tutte le attività di un’impresa (amministrazione, finanza, reporting, pianificazione, produzione, manutenzione impianti, logistica, controllo qualità…) Reti per le informazioni • Collegano i sistemi informativi di alto livello con altri elementi informativi di azienda (livelli 4, 5 e 6 della piramide CIM) • Non vi sono specifiche di tempo reale • Le informazioni sono di tipo complesso Reti per il controllo • Collegano i dispositivi dedicati al controllo con quelli di supervisione (livelli CIM 2, 3 e 4) • Vi sono specifiche di correttezza e vincoli temporali • Le informazioni sono di tipo non molto complesso • Si tratta in genere di reti proprietarie Reti di campo (fieldbus) • Collegano i controllori (modulanti e logici) con sensori ed attuatori dotati di interfaccia digitale • Molti vantaggi connessi al loro utilizzo (riduzione cablaggi, robustezza delle trasmissioni digitali, possibilità di autodiagnostica dei dispositivi) • Limitata disponibilità di dispositivi dotati di interfaccia digitale per bus di campo DCS: Sistemi di controllo distribuito Componenti di un sistema di controllo distribuito Architettura di rete di un DCS BUS di campo Architettura rete di supervisione Degrado dei segnali Componenti di un sistema di controllo distribuito Nell’ambito dell’automazione industriale, i sistemi di controllo distribuito (DCS) rappresentano la soluzione più adottata per i grandi impianti continui (raffinerie, centrali di produzione energia, cartiere, vetrerie, impianti chimici etc.). Essi svolgono in modo integrato entrambe le funzioni normalmente implementate sui PLC (Programmable Logic Computer) e sugli SCADA (Supervision Control And Data Acquisition); per questo motivo si possono collocare come rappresentato in figura nell’ambito della piramide CIM (Computer integratee Manifacturing). L’architettura tipica di un sistema di controllo distribuito Livello1 Campo Con la denominazione di “Campo” in automazione dell’industria di processo si intende il network di componenti che sono a più stretto contatto con i processi produttivi. I componenti di tale network sono: - strumentazione di misura - strumentazione di comando - rete di comunicazione . Nell’ambito dell’automazione industriale la strumentazione di misura è composta da due parti distinte: sensori e trasmettitori. Il trasmettitore rappresenta il componente della strumentazione di misura che trasmette il segnale proveniente dal sensore agli strumenti di visualizzazione, i quali possono essere sia semplici indicatori(analogici o digitali) oppure, come avviene nei processi automatizzati, controllori che permettono la visualizzazione e l’elaborazione dell’informazione La strumentazione di comando, ha il compito di trasmettere al processo automatizzato le opportune azioni correttive che il controllore ha elaborato e si compone di: attuatori e organi di regolazione o comando. Gli attuatori sono gli strumenti che ricevendo un segnale dal controllore, lo trasformano in un segnale, di natura diversa, da trasmettere all’organo di comando per agire sul processo. Gli organi di comando sono gli strumenti(valvole,motori,relè,etc.) che con il loro cambiamento di stato, regolato dall’attuatore, vanno ad agire fisicamente sul processo per apportarne delle correzioni. La gestione della corretta circolazione delle informazioni all'interno delle diverse componenti del livello di campo è demandata alla rete di comunicazione relativa al livello di campo. Quest'ultima ha il compito di gestire la comunicazione fra le parti, in modo che le informazioni delle grandezze fisiche misurate in maniera continua possano arrivare ad un microprocessore digitale che le elabora, e trasmette alle componenti di comando le correzioni da attuare nel loro stato per intervenire sul processo. Si può facilmente intendere, quindi, come la rete di comunicazione di campo debba interfacciare elementi di natura analogica(misure e comandi) con elementi di natura digitale (microprocessori), riuscendo a minimizzare le perdite di informazione e le alterazioni dei dati durante il trasporto e la conversione A/D. Tale rete di comunicazione a livello di campo può essere quindi sia una comunicazione analogica che digitale, e la scelta fra le due dipende dalla natura dei processi da automatizzare e dalle scelte economiche e progettuali che l'azienda che si occupa dell'automazione deve effettuare. A questo livello si trovano infine le interfacce verso il campo, costituite dalle opportune schede elettroniche di acquisizione (ingressi) e comando (uscite), le interfacce di comunicazione per i più comuni “bus di campo”, attraverso i quali vengono scambiate informazioni con i trasmettitori e gli attuatori che supportano lo stesso tipo di protocollo. Attraverso il Bus I/O i valori di ingressi ed uscite vengono veicolati ai controllori, che si fanno carico di processarli in base alle strategie di regolazione e alle logiche progettate per la specifica applicazione 2. Livello di Controllo Nel livello di controllo vengono elaborate le informazioni provenienti dalla strumentazione di misura , viene progettata l'automazione del processo, cioè tutte le sequenze di istruzioni da trasmettere alla strumentazione di comando, e viene predisposta la comunicazione con i componenti del livello di supervisione. Per fare ciò quindi il sistema di controllo deve essere composto da tre diverse componenti: - Unità di interfacciamento con il campo (Scede I/O) - CPU di elaborazione e memorizzazione dei dati - Unità di interfacciamento con le stazioni di supervisione Allo stato dell'arte le unità intelligenti predisposte ai compiti sopra esposti si possono ripartire in 3 categorie, alle quali vanno aggiunti i pannelli dedicati alla supervisione: - PLC (Programmable Logic Controllers) - PMC (Programmable Multifunction Controller) - PC industriali I PC industriali sono dotati di sistemi operativi standard e programmi grazie ai quali è possibile sviluppare rapidamente delle applicazioni. Il loro limite consiste nel basso supporto di linee di ingresso uscite e nella difficoltà di realizzazione di applicazioni in tempo reale. I PLC sono sistemi orientati allo svolgimento di sequenze logiche temporizzate, ma oggi vengono impiegati anche per le funzioni di controllo; sono sistemi dotati di molti punti di ingresso/uscita e sono dotati di un software proprietario che ne consente una semplice programmazione anche da parte di personale non altamente specializzato. I PMC I PMC sono la naturale evoluzione dei PLC, con la stessa potenza dell'hardware di un PLC ma con la possibilità di avere un controllo totale del sistema grazie alla loro programmabilità con linguaggi di alto livello.(Basic, C, etc). Questo però li rende ancora poco appetibili alle aziende che non possiedono un personale qualificato , e fa si che la quasi totalità dei sistemi di automazione siano gestiti da sistemi a Controllo Logico, che possiedono software di programmazione molto semplici e intuitivi. Per la comunicazione con il livello Supervisore , o per la comunicazione fra le varie CPU si utilizzano dei moduli di Comunicazione che supportano tutti i vari protocolli di comunicazione industriale implementati (Ethernet,Profinet,Profibus,Fieldbus, etc). Tramite questi moduli quindi si può realizzare l'architettura di rete del livello di controllo, e si possono trasferire le variabili di interesse al sistema di Supervisione 3. Livello di Supervisione Il livello di supervisione, all'interno della gerarchia di un sistema di controllo distribuito, rappresenta l'interfaccia fra il processo automatizzato e l'operatore addetto alla sua conduzione. I controllori infatti sono delle strutture cieche, che gestiscono un processo in maniera automatica, ma una volta programmati , non consentono al gestore del processo produttivo di apportarvi modifiche. Le stazioni di supervisione, sono gli strumenti che permettono ai gestori dei processi produttivi di monitorare i dati di processo e variare i parametri utilizzati nel software applicativo dei controllori. Questo livello permette di: - programmare l'automazione dei controllori - settaggio da remoto dei parametri utilizzati nell'automazione(set point, soglie di allarme,tempi di ciclo, etc.) - visualizzare real-time i dati di processo,gli allarmi e gli eventi - Visualizzare storico e trend dei dati di processo - gestire da remoto la strumentazione da campo e programmare la manutenzione degli strumenti Dal punto di vista Hardware quindi il livello di supervisione è composto da una workstation, o nel caso di processi produttivi snelli, da un semplice PC industriale, e da schede di comunicazione che permettano il trasferimento dei dati dai controllori ai supervisori. L'affidabilità della comunicazione e dell' archiviazione dei dati rappresenta la qualità principale che un sistema di supervisione deve possedere, per cui di solito, sia le workstation che l'architettura di rete sono ridondate , come rappresentato in Figura ,per consentire ai gestori dei processi di possedere sempre i dati utili alla conduzione del processo automatizzato. Se per quanto riguarda le componenti Hardware il sistema di supervisione è molto più ridotto del sistema di controllo, per quanto riguarda le piattaforme software il discorso è completamente ribaltato. Il pacchetto software del sistema di supervisione deve raggruppare: - Software per la programmazione delle stazioni di controllo - Software per l'acquisizione dei dati dai controllori e la loro archiviazione nel database - Software per l'interrogazione dei dati dal database - Software per la programmazione delle pagine di visualizzazione - Software per la gestione delle strumentazione Lo sviluppo software di una stazione di supervisione avviene con linguaggi di programmazione di alto livello, che permettano di gestire sia la comunicazione fra le parti in gioco, sia lo sviluppo grafico delle applicazioni, sia la gestione di basi di dati. Linguaggi di questo tipo sono linguaggi basati su Basic, C o Java. Una efficace panoramica delle funzionalità di supervisione è rappresentata dalla Figura 9. Sotto l’interfaccia di controllo per una colonna di distillazione sono riportate alcune pagine tipiche come quella di soli strumenti, quella di trend, quella degli allarmi, quelle di diagnostica del software applicativo La struttura però che tiene insieme i tre livelli di un sistema di controllo distribuito, permettendo la circolazione delle informazioni dal livello più basso(Campo) a quello più alto(Interfaccia Supervisione) è l'architettura di rete. Architettura di rete di un sistema di controllo distribuito Un sistema di controllo distribuito ha come obiettivo quello di controllare e gestire in maniera automatizzata interi stabilimenti produttivi, arrivando a dover coprire aree grandi anche decine km o più. La gestione del flusso informativo di dati in un' area spazialmente cosi vasta ,quindi, è un aspetto cruciale per la progettazione del sistema di controllo. Le caratteristiche che un'architettura di rete di un sistema di controllo distribuito deve possedere sono: - Sicurezza nel trasporto dei dati - Capacità di riconfigurazione della struttura e di integrazione con strutture future - Facilità di manutenzione e ricerca guasti - Economicità di implementazione dell'architettura e ella stesura dei cavi di connessione La progettazione dell'architettura di rete alle volte però è soggetta a scelte obbligate che devono tener conto delle interfacce di rete che i componenti hardware di un sistema di controllo distribuito hanno a disposizione. Se concettualmente adoperiamo una schematizzazione dei componenti di un sistema di controllo distribuito in tre livelli diversi (Campo,Controllore,Supervisione), il flusso delle informazioni fra un livello e l'altro presenta caratteristiche completamente diverse. Infatti possiamo dividere l'architettura di rete di un sistema di controllo distribuito in 2 componenti, differenti sia per la grandezza spaziale della rete che per le tipologie di dati che devono trasportare: - Rete di Campo - Rete di Supervisione Architettura della Rete di Campo Per Rete di Campo si intende la rete di connessione fra strumentazione di campo(Strumentazione di misure e Strumentazione di Comando) e controllori. L'architettura della rete di comunicazione è progettata in maniera che i dati circolino fra strumentazione di misura - controllori - strumentazione di comando in maniera sicura, evitando la perdita di dati e la loro possibile alterazione parziale. questo livello, quindi, le informazioni su misure di grandezze fisiche, che variano in continuo, devono passare dalla strumentazioni di campo ai controllori, i quali una volta elaborata l'automazione, devono trasmettere alla strumentazione di comando le correzioni da apportare al processo. In un sistema di controllo distribuito , essendo il numero di processi da controllare molto alto, ed essendo possibile che questi siano allocati spazialmente in posti molto distanti fra loro, si tende a porre i moduli I/O dei controllori nei pressi dei processi e le CPU poste in lontananza. Questa scelta progettuale è effettuata per diminuire i costi di stesura dei cavi ed inoltre riuscire a velocizzare un eventuale processo di ricerca guasti sulla rete. Allo stato dell'arte gli standard di comunicazione utilizzati nella Rete da campo possono essere di tre tipi: Analogici, Ibridi e Digitali. I segnali analogici sono sempre in corrente continua, viaggiano su una coppia di file, ed i più utilizzati sono sostanzialmente questi due : • In Tensione 0 - 10 Vcc • In Corrente 4 - 20 mA segnali in tensione sono quelli più semplici da utilizzare e con minore costo nei dispositivi che li devono gestire. Per contro possono percorrere pochi metri e sono facilmente disturbabili da campi elettromagnetici, transitori ed altri disturbi elettrici, quali quelli irradiati dagli inverter. Un uso tipico è negli impianti di condizionamento, dove i sensori con segnali analogici sono posti a pochi metri dalle centraline di controllo, e quindi le metrature dei cavi sono limitate a 15-20 metri, e dove tipicamente non vi sono disturbi elettromagnetici rilevanti. Per cautelarsi da eventuali disturbi è necessario ricorrere ai cavi schermati. I segnali in corrente sono di gran lunga quelli più utilizzati nell'industria di processo le loro caratteristiche salienti sono: - elevata immunità a disturbi elettromagnetici provenienti da circuiti circostanti (anche se il cavo non è schermato); - flessibilità elevata nel range di alimentazione (ad esempio da 12 a 30 Vdc, anche se tipicamente si usa una - tensione di 24 Vdc); buona tolleranza alle fluttuazioni nella tensione di alimentazione; • stabilità del segnale molto più elevata che quella in tensione; - possibilità di compiere tratte molto lunghe (anche 200-300 metri) senza bisogno di alcun particolari accorgimenti; - possibilità di determinare un guasto al cavo o al sensore (in pratica quando il segnale è inferiore a 4mA); - possibilità di alimentare lo strumento di misura con lo stesso segnale, risparmiando sul lavoro di cablaggio e sui cavi; - possibilità di portare lo stesso segnale anche a più “destinatari” (registratori su carta, visualizzatori, PLC), collegandoli in serie, formando il cosiddetto “Loop di corrente”. Dal punto di vista della semplicità delle installazione e del costo complessivo della realizzazione dell'architettura di rete , la comunicazione di campo basata su segnali analogici, resta tutt'oggi la più conveniente , ma porta con se il limite di poter trasportare dal campo ai controllori solo un'informazione alla volta, e non permette invece di trasportare tutte le informazioni sullo stato del misuratore, oppure sui guasti avvenuti su di esso o sulla linea di comunicazione, che invece in un sistema di controllo distribuito modello sono fondamentali per la gestione automatizzata degli strumenti di campo. Per questo motivo una soluzione molto adottata allo stato dell'arte nella progettazione di sistemi di controllo distribuiti è quella di adottare come protocollo di comunicazione di campo il procollo HART. “HART” è un acronimo inglese che significa Highway Addressable Remote Transducer. L’HART Protocol sfrutta lo standard Bell 202 Frequency Shift Keying (FSK: la frequenza della portante sinusoidale varia fra due valori) di) per sovrapporre i segnali di comunicazione digitale a bassa ampiezza sopra il segnale analogico 420mA. In questo modo viene abilitata una comunicazione in campo bidirezionale ed è possibile comunicare informazioni aggiuntive oltre alle normali variabili di processo da e verso uno strumento smart. L’HART Protocol comunica a 1200 bps senza interrompere il segnale 4-20mA e permette all’applicazione host (master) di ricevere due o più aggiornamenti digitali al secondo da un dispositivo smart in campo. Poichè il segnale FSK è tipo “fase continua”, non ci sono interferenze con il segnale 4-20mA. . Questo permette di mantenere il tradizionale cablaggio analogico, tuttora enormemente diffuso, ma comunicare se necessario anche informazioni avanzate. Un'applicazione tipica è la comunicazione tra un sensore analogico intelligente e una centralina di monitoraggio. Mentre il sensore trasmette costantemente la sua misura analogica, la centralina può leggere e modificare le impostazioni locali del sensore, ad esempio il campo di misura, tramite HART sullo stesso collegamento. L’informazione binaria è codificata inviando sinusoidi di frequenza diversa (1220 Hz e 2200 Hz: FSK) La tecnologia HART è un protocollo master/slave e questo significa che il dispositivo smart field (slave) risponde quando interrogato da un master. Il protocollo HART può essere utilizzato in vari modi quali point-to-point o multidrop per comunicare informazioni da/verso gli strumenti smart field e le centrali di centrali di controllo o i sistemi di monitoraggio L’ HART Protocol offre due canali di comunicazione simultanei: il segnale analogico 4-20mA e un segnale digitale. Il segnale 4-20mA comunica la variabile di processo primaria (nel caso di uno strumento di campo) utilizzando la corrente 4-20mA del loop – che lo standard industriale più veloce e più affidabile. Le ulteriori informazioni sullo strumento sono invece comunicate utilizzando un segnale digitale sovrapposto al segnale analogico. Il segnale digitale contiene informazioni dal dispositivo compreso lo stato del dispositivo, la diagnostica, ulteriori variabili misurate o calcolate, ecc. Insieme i due canali di comunicazione offrono una soluzione di comunicazione di campo completa poco costosa e molto robusta che è facile da utilizzare e configurare. Questo protocollo è il più utilizzato nei sistemi di controllo distribuiti poichè permette di prelevare dalla strumentazione di campo molte più informazioni rispetto al classico 4-20 mA ,mantenendo inalterata la struttura fisica del network di cavi utilizzati per il trasporto dell'informazione, e dovendo quindi solo sostituire i moduli I/O, le quali devono fungere da Master Hart. Il difetto comune della comunicazione analogica con il 4-20 mA e di quella ibrida con protocollo HART, è la quantità di cavi utilizzati per collegare la periferia al controllore; questa ingente quantità di cablaggi è dovuta al fatto che la comunicazione per essere sicura deve essere peer to peer(punto-punto), poichè non è possibile gestire il traffico di comunicazione su di un solo cavo comune. Per sopperire a questi difetti delle tecnologie di comunicazione di matrice analogica si sono introdotti nell'automazione industriale i cosiddetti BUS di Campo(FIELDBUS) basati sulla comunicazione digitale fra controllori e campo. La strumentazione di misura deve essere predisposta con trasmettitori digitali, che effettuano la conversione A/D delle grandezze misurate dai sensori ,e predispongano cosi una trasmissione completamente digitale del dato dal campo fino al supervisore. Come si vede in Figura10, utilizzare un Bus di Campo significa creare un unico cavo di comunicazione su cui sono appoggiati tutti gli strumenti del campo diminuendo molto i costi di cablaggio della struttura. Con utilizzo dei Fieldbus nell'automazione industriale l'implementazione hardware della rete di comunicazione si è semplificata a scapito però di un aumento delle conoscenze software per la gestione della trasmissione delle informazioni su di un mezzo comune. A livello di comunicazione, infatti, rispetto a connessioni tra soli due nodi, il modo di scambiare dati attraverso un bus di campo richiede regole più severe. Infatti, ad esempio, bisogna prevedere l'accesso contemporaneo al mezzo da parte di più elementi e regolamentare nel modo più rigoroso possibile tutto ciò che serve per poter trasmettere i dati in maniera rapida ed affidabile. Tali regole di convivenza vengono comunemente chiamate protocollo L'architettura di una rete basata sulla comunicazione digitale può essere descritta in maniera schematica dal modello OSI sviluppato dalla ISO(International Standard Organization) nel 1978. Tale modello stabilisce 7 livelli di descrizione: - LIVELLO FISICO Fa riferimento alla trasmissione dei singoli bit lungo un canale di trasmissione . Definisce le caratteristiche elettriche e meccaniche degli interfacciamenti: un esempio di definizione a livello fisico è costituita dagli standard EIA -RS232, RS422, RS485,..- DATALINK Tale livello ha il compito di svolgere diverse funzioni ; queste includono una buona interfaccia di servizio al livello di rete , il raggruppamento dei bit del livello fisico in pacchetti (data-frame), la gestione degli errori di trasmissione e la regolazione del flusso dei pacchetti in modo che i riceventi lenti non siano travolti dai pacchetti dei mittenti rapidi, evita collisioni per trasmissioni su singolo canale di più utenti. - RETE Il livello di rete si occupa di trasmettere pacchetti dalla sorgente alla destinazione . Per raggiungere la destinazione puo’ essere necessario attraversare lungo il percorso diversi router «per instradare i pacchetti di dati». - E’ una funzione diversa dal livello due , il quale ha il compito di portare i pacchetti da un estremo all’altro di un cavo. Questo livello si occupa della trasmissione tra nodi , punto-punto. Tale livello deve conoscere qualcosa sulla topologia della rete di comunicazione e deve scegliere percorsi appropriati attraverso essa. - TRASPORTO La funzione principale del livello di trasporto è di accettare dati dal livello superiore, spezzarli in piccole unità se necessario , passare queste al livello di rete, e assicurarsi che tutti i frammenti giungano correttamente a destinazione , ricostruendo i messaggi indipendentemente dall’ordine di arrivo e dalla loro provenienza; deve inoltre gestire il riconoscimento dei dati persi, il controllo del flusso e il controllo di congestione della rete. Questo è un livello end-to-end , nel senso che gira solo sulle macchine mittente e destinatario (i livelli inferiori devono girare su tutte le macchine). - SESSIONE Si occupa di spezzare la trasmissione di un unico trasferimento in piu’ sessioni; stabilisce la comunicazione tra gli utenti, verificando le autorizzazioni di accesso. PRESENTAZIONE Stabilisce la conversione dei dati in formati utilizzabili da terminali video e stampanti e cioé in forma direttamente manipolabile dall'operatore (ASCII, UNICODE). - APPLICAZIONE E’ il livello di descrizione del programma utente. - BUS DI CAMPO rappresentano uno standard di comunicazione seriale per dispositivi inseriti in reti di automazione; sono protocolli aperti ampiamente usati nel controllo di processo e nell’automazione di fabbrica. Sono concepiti per collegare tra loro, ed eventualmente a elaboratori o ad altra rete aziendale, i dispositivi di campo (sensori, attuatori, regolatori), eliminando i collegamenti analogici (linee 4÷20 mA o ±10 V). Pur con caratteristiche costruttive diverse (numero di utenti collegabili, distanze di trasmissione, velocità di trasmissione, volumi di dati trasmessi, identificazione delle periferiche, controllo delle informazioni trasmesse, ecc.) si adattano alla maggior parte delle esigenze che possono nascere nei sistemi di automazione, partendo dalle applicazioni che richiedono notevole velocità nello scambiare ciclicamente un numero ridotto di bit fino ad arrivare alla gestione di comunicazioni relativamente complesse tra dispositivi “intelligenti” o sistemi riguardanti strettamente l’automazione di processo I primi bus di campo legati al mondo dei trasduttori sono stati sviluppati direttamente dai costruttori dei trasduttori stessi: si trattava in genere di reti master-slave basate sul livello fisico RS485. I bus proprietari di grandi costruttori sono diventati standard de facto, mentre altri costruttori si sono consorziati per stabilire delle modalità di trasmissione dell’informazione che fossero convenienti per più utenti. Nella scelta di un bus di campo intervengono diversi fattori, tra i quali: - capacità di trasmissione adeguata (numero dati per messaggio) - garanzia dei tempi massimi di trasmissione - protezione rispetto alla propagazione del guasto - protezione sull’integrità dell’informazione - compatibilità verso altri sistemi di comunicazione e/o infrastrutture I bus di campo consentono la trasmissione ottima di volumi di dati piccoli, con criticità temporale. In generale i bus di campo non realizzano tutti i livelli della pila OSI. Sono realizzati i livelli 1 (fisico), 2 (collegamento) e 7 (applicazione). Non sono realizzati i livelli da 3 a 6 (rete, trasporto, sessione, presentazione). Inoltre viene aggiunto un livello 8 (livello utente) che fornisce molte funzioni importanti, quali blocchi funzionali, servizi di descrizione dei dispositivi, gestione della rete Di seguito vengono elencati, senza pretesa di esaustività, alcuni tra i bus di campo particolarmente interessanti a livello di trasduttori. - Profibus è uno standard tedesco che oggi copre il maggior numero di applicazioni industriali in Europa. - Profibus FMS (Fieldbus Message consente la comunicazione tra i processi a livello di cella. E’ orientato alla comunicazione multimaster (token-passing); è versatile e consente una grande varietà di applicazioni - Profibus DP (Device Peripheral), è dedicato alla comunicazione tra i processi veloci a livello di campo (sensori, attuatori,..). Veloce (fino a 12Mbit/s), efficiente ed economico (RS485, fibra ottica), supporta un notevole numero di utenti (126 max.), di tipo master o slave, su oltre 100m - CANbus Sviluppato dalla Bosch nel 1985 per le esigenze del settore automobilistico, è un bus semplice ed economico multi-master a rilevazione di collisione che consente la connessione a un massimo di 32 utenti (50m a 1Mbit/s, 100m a 500kbit/s). Sulla linea i dati vengono rappresentati con il formato NRZ (non return to zero) codificati a campi di bit, con un campo dati di massimo 8 bytes. Foundation Fieldbus è un bus che connette fino a 32 utenti su distanze fino a 1900m con basse velocità di trasmissione (31.25kbit/s) e cavo economico (doppino telefonico). Come avviene nei bus a sicurezza intrinseca, l’alimentazione è fornita dal bus stesso. - Modbus , è un bus ad architettura master-slave a singolo master che permette di collegare fino a 247 utenti su distanze fino a 1900m con basse velocità di trasmissione (da 0.3 a 19.2kbit/s) e RS232 o RS485 su cavo economico (doppino). Grazie ad un protocollo molto semplice, viene largamente utilizzato per terminali, drivers. - Actuator Sensor Interface (AS-i) un bus deterministico a singolo master dedicato alla connessione tra PLC (master) e fino a 31 trasduttori (slaves) a informazione molto limitata (4 bit per slave) Si utilizza un doppino non schermato, la velocità di trasmissione è di 167kbit/s e raggiunge lunghezze di collegamento di 100m. Si utilizza la codifica Manchester e, pur nella sua semplicità, è un bus a sicurezza intrinseca che supporta l’autoconfigurazione. Architettura della Rete di Supervisione Con il termine rete di supervisione si intende la rete di comunicazione che gestisce il trasporto delle informazioni fra Controllore e Supervisore in un sistema di controllo distribuito. Rispetto alla rete di Campo, quella di supervisione, dovendo governare la comunicazione fra dispositivi digitali che supportano strutture software di alto livello, deve per forza di cose affidarsi ad un protocollo di comunicazione digitale che possa gestire pacchetti di dati molto ampi. La stazione di supervisione deve colloquiare real-time con i vari controllori dislocati per l'azienda scambiando informazioni e comandi, ma non funge sempre da Master, come ad esempio quando il controllore deve inviare alla stazione di supervisione un allarme od un evento, nel tal caso è la stazione di supervisione che funge da Slave. Tale rete, nella maggioranza dei casi , è ridondata per sopperire ad eventuali guasti su di uno dei nodi, in modo che la sicurezza intrinseca sia quasi totale. Nei primi sistemi di controllo decentrato, la rete di supervisione veniva implementata con protocolli Con lo sviluppo delle nuove tecnologie basate sul protocollo TCP/IP su livello fisico Ethernet, quest'utlime sono divenute egemoni nelle architetture di rete di supervisione. Questo passaggio dalla comunicazione seriale a una comunicazione su doppini schermati(100Base TX Fast Ethernet) è avvenuta per diversi motivi: - La comunicazione seriale presenta limiti spaziali che contrasta con gli obiettivi dei sistemi di controllo distribuito - Qualsiasi azienda possiede una rete Ethernet per il collegamento dei PC ad Internet(riduzione sostanziale dei costi di installazione) - I protocolli seriali adatti a gestire la comunicazione della rete di supervisione, sono nella stragrande maggioranza proprietari e costringono molto spesso a scelte poco convenienti per l'implementazione dei software di supervisione; Ethernet essendo un protocollo libero è implementabile in qualsiasi software di supervisione Specifiche della rete ethernet industrial Rispetto ai bus di campo sopra citati, Ethernet risultava penalizzata perchè non deterministica «non è in grado di garantire che tutti i nodi di una rete possano di accedere alla rete stessa nel giro di un tempo prefissato» Attualmente le nuove tecnologie consentono la gestione combinata dei bus di campo con le nuove tecnologie (Ethernet, wireless, Internet asttracverso Real Time Ethernet (RTE), che sono le reti basate su Ethernet a 100Mbaud per applicazioni in tempo reale in ambito industriale. Ethernet industrial: Sviluppata da Xerox nel 1976, è il protocollo più usato nelle applicazioni per ufficio ed è anche di largo utilizzo per applicazioni industriali. Il protocollo Ethernet copre i livello 1 e 2 della pila OSI Il mezzo fisico ha subito varie evoluzioni: cavo coassiale spesso (Thick Ethernet), cavo coassiale sottile (Thin Ethernet), doppino ritorto. La segnalazione è in banda base. Il livello fisico è a bus lineare: ogni macchina è logicamente collegata ad un canale sul quale trasmette e dal quale riceve le informazioni trasmesse dalle altre macchine. Utiliza: Sottolivello MAC: si utilizza il protocollo CSMA/CD Sottolivello LLC: si utilizza il frame Ethernet II (802.2) È un protocollo di comunicazione dedicato allo scambio di dati tra computer in una rete locale (LAN), ed è configurabile con tutti i dispositivi e le tecnologie legate a internet. Una rete in area locale in informatica e telecomunicazioni indica una rete informatica di collegamento tra più computer, estendibile anche a dispositivi periferici condivisi, che copre un'area limitata, come un'abitazione, una scuola, un'azienda o un complesso di edifici adiacenti. Con l’utilizzo di Ethernet « rete di accesso e trasporto dei dati» in un ambiente industriale i componenti utilizzati nelle aree di processo dell'impianto devono essere progettati per funzionare in ambienti estremi con temperature umidità e vibrazioni che superano le gamme delle apparecchiature informatiche destinate all'installazione in ambienti controllati Poiché il controllo critico del processo può fare affidamento su un collegamento Ethernet il costo economico di eventuali interruzioni potrebbe essere elevato ne consegue che le reti Ethernet industriali devono poter con i sistemi attuali fornire prestazioni prevedibili e di facile manutenibilità con la possibilità di interagire con reti a basso e alto livello Una rete industriale deve fornire sicurezza sia da intrusioni esterne all'impianto, sia da autorizzato all'interno dell'impianto. un utilizzo involontario o non Le reti industriali utilizzano spesso switch di rete per segmentare un grande sistema in sottoreti logiche, divise per indirizzo, protocollo o applicazione. Quando una rete industriale deve connettersi a una rete aziendale o reti esterne, è possibile inserire un sistema firewall per controllare lo scambio di dati tra le reti. Per preservare le prestazioni e l'affidabilità della rete industriale, i sistemi di automazione per ufficio in generale sono separati dalla rete utilizzata per i dispositivi di controllo I / O; L’enorme diffusione delle schede Ethernet riduce i costi di realizzazione della rete e favorisce l’interoperabilità (capacità di due o più sistemi, reti, mezzi, applicazioni o componenti, di scambiare informazioni tra loro e di essere poi in grado di utilizzarle). Degrado dei segnali In ricezione il segnale ha in pratica una potenza minore rispetto a quella del segnale originale. La principale causa di attenuazione, che viene misurata in decibel, è rappresentata dalla conversione di parte dell'energia elettromagnetica in altre forme di energia (es. in calore). I livelli di massa «tensioni misurate con riferimento ad un nodo di riferimento» ad ogni estremità di un cavo Ethernet da trecento metri possono essere molto diversi in considerazione delle elevate tensioni e correnti che sono assorbite da impianti e motori Lo squilibrio di queste correnti genera una corrente di ritorno che può essere molto forte, e di conseguenza si ha una tensione differenziale elevata che può causare danni alle reti digitali ad alta velocità. È possibile evitare questa situazione utilizzando isolatori digitali ad alta velocità, nei quali l’informazione analogica viene convertita in digitale e quindi trasmessa in modo seriale, che consentono di realizzare un isolamento senza i limiti di costi, di dimensioni, di potenza, di prestazioni e affidabilità grazie all’utilizzo degli optoaccoppiatori. Di seguito viene mostrato uno schema di connessione tra ingressi e uscite logiche isolate galvanicamente. I due sistemi non hanno la massa in comune con il cavo per cui se il il cavo di connessione va in corto circuito l’informazione non viene più trasmessa ma il sistema a monte e a valle risultano esenti da guasti. Il segnale di tensione continua variabilecon continuità tra 0 e 5V è difficile da isolare e da trasmettere in quanto prima deve essere parzializzato, ad esempio con duty cycle 50%,, isolato mediante trasformatore e infine raddrizzato. a tale scopo viene effettuata una trasmissione dei segnali in corrente con modalità 4-20mA, che non contempla l’assenza di corrente (0 mA), permette una facile diagnostica della situazione di “strappo cavi” ed è meno sensibile nei riguardi dei disturbi elettromagnetici. L’immunità elettromagnetica viene garantita dagli isolatori digitali che garantiscono , basso consumo energetico, isolando gli I/O digitali con tensione nominale di picco che possono arrivare a 4000 V Analisi dell’isolatore digitale ISO 78xx con cenni sulla modulazione dei segnali OOK modulation: modulazione digitale dei dati con portante sinusoidale Oscillatore VCO: (Signal spectrum: « del segnale» + Oscillator) TX signal condiziong: Il flusso di bit digitale in entrata al circuito di condizionamento «adattamento del segnale al canale tx» è modulato con un oscillatore a spettro esteso interno (VCO) per generare segnali OOK, in modo che uno degli stati di ingresso è rappresentato dalla trasmissione di una frequenza portante e l'altro stato da nessuna trasmissione SO2 based capacitive: barriera di isolamento a base di biossido di silicio. RX signal condiziong: adattamento ai blocchi sucessivi Pre-amp: preamplificatore Envelope detector: rivelatore di inviluppo, circuito elettronico che accetta un segnale modulato di ampiezza (OOK) ad alta frequenza come input e fornisce un'uscita che è l' inviluppo del segnale originale. CONTRATTI DI LAVORO /ANALISI DEI COSTI • 1. Tipologie dei costi • Scelta del livello di automazione • Esercizio Contratti di lavoro Considerata la rapida trasformazione del mercato del lavoro, legata alle continue innovazioni tecnologiche e al ciclo di vita delle posizioni lavorative le principali forme di contratto di lavoro vigenti introdotte con il Jobs act e il decreto dignità sono: 1) Contratto a tempo indeterminato Il contratto a tempo indeterminato diventa la forma di assunzione privilegiata e vengono introdotte regole nuove e più chiare qualora si verifichino licenziamenti illegittimi. 1.a) Contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti Tutti i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 con contratto a tempo indeterminato firmano il nuovo contratto a tutele crescenti che è di fatto un contratto a tempo indeterminato con alcuni cambiamenti sostanziali sulle norme su licenziamento. Il lavoratore di un’azienda con più di 15 dipendenti (5 nel caso di azienda agricola) non ha diritto al reintegro in caso di licenziamento illegittimo, ma solo a un indennizzo di natura economica che cresce con l’anzianità di servizio (da qui il termine “a tutele crescenti”). L’unica eccezione è costituita dal caso di licenziamento discriminatorio, nullo o inefficace. 2) Contratto a tempo determinato E' il contratto di lavoro che prevede un termine finale, una durata prestabilita; per questi contratti è previsto - La durata massima (24 mesi), che per questi soggetti potrà arrivare a 36 mesi o quanto non diversamente stabilito dalla contrattazione collettiva applicata dalle aziende stesse. - Il numero di proroghe (4), che potrà arrivare a 5 dalla sommatoria di tutti i contratti a tempo determinato stipulati con quel determinato lavoratore. - Qualora il numero delle proroghe sia superiore, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della quinta proroga. Proroghe e rinnovi Il contratto puo' essere rinnovato solo in caso di: - esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività, ovvero lavoratori; - esigenze connesse a incrementi temporanei, - Il contratto puo' essere prorogato liberamente nei primi dodici esigenze sostitutive di altri 3) Contratto di somministrazione La somministrazione di lavoro è un particolare rapporto che coinvolge tre soggetti: il somministratore (agenzie di somministrazione iscritte in un apposito Albo nazionale), l'utilizzatore (soggetto che usufruisce della manodopera così fornita) il lavoratore. Il lavoratore è assunto dal somministratore, ma viene inviato a svolgere la propria attività presso l'utilizzatore Sono previste due tipologie: - un contratto di somministrazione, di natura commerciale, tra l'utilizzatore e il somministratore, che può essere a tempo determinato o indeterminato; - un contratto di lavoro tra il somministratore e il lavoratore, che può essere a tempo determinato o indeterminato. Il contratto di somministrazione di lavoro deve essere stipulato in forma scritta, altrimenti è considerato nullo ed i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore. Si possono avere due tipi di somministrazione: 3.a) a tempo indeterminato, in cuisi applicano le regole del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. 3.b) la somministrazione a tempo determinato in cui si applicano le regole del contratto a a tempo determinato 4) Apprendistato Il contratto di apprendistato si configura come la principale tipologia contrattuale per favorire l'ingresso nel mondo del lavoro dei giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni, a seconda della tipologia di apprendistato. L’elemento caratterizzante è rappresentato dal fatto che il datore di lavoro, è tenuto ad erogare, come corrispettivo della presentazione di lavoro, non solo la retribuzione, ma anche la formazione necessaria all’acquisizione delle competenze professionali o alla riqualificazione di una professionalità. Ci sono tre tipi di apprendistato: Apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore: E’ un contratto di lavoro che permette di conseguire una qualifica professionale o un diploma professionale alternando lavoro e studio. Apprendistato professionalizzante, e’ un contratto di lavoro per il conseguimento di una qualifica professionale ai fini contrattuali attraverso una formazione trasversale e professionalizzante Apprendistato di alta formazione e ricerca, e’ un contratto di lavoro che consente di conseguire diversi livelli di titoli di studio: diploma di scuola secondari superiore, diploma professionale di tecnico superiore, diploma di laurea, master e dottorato di ricerca 5) Part-time E' un contratto di lavoro subordinato, a termine o a tempo indeterminato, caratterizzato da un orario di lavoro inferiore rispetto al tempo pieno. Il contratto di lavoro deve indicare in modo puntuale la durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno. lavoratore part-time ha diritto allo stesso trattamento dei lavoratori assunti a tempo pieno. Per quanto riguarda la retribuzione, ha diritto alla stessa paga oraria del lavoratore a tempo pieno, ma la sua retribuzione complessiva - compreso il trattamento economico per malattia, infortunio e maternità - è calcolata in proporzione al numero di ore lavorate lavoratore part-time ha diritto allo stesso trattamento dei lavoratori assunti a tempo pieno. Per quanto riguarda la retribuzione, ha diritto alla stessa paga oraria del lavoratore a tempo pieno, ma la sua retribuzione complessiva - compreso il trattamento economico per malattia, infortunio e maternità - è calcolata in proporzione al numero di ore lavorate TIPOLOGIE DI COSTO Per monitorare il livello di efficienza di un azienda è importante conoscere la struttura dei costi dell’azienda e le relative tipologie in modo da controllare i margini di guadagno, fissare i prezzi di prestazioni, ecc.. Se si opera nel nel breve periodo, possiamo distinguere i costi in due grandi categorie: - costi FISSI: sono quei costi che nel breve non variano al variare del volume di produzione - costi VARIABILI: Sono quei costi che variano in maniera proporzionale al variare del volume di produzione. I costi totali rappresentano la somma tra i costi fissi ed i costi variabili La classificazione dei costi in fissi e variabili permette di ottenere informazioni: - sull’incidenza di una tipologia di costo nella produzione di una prestazione, - di analizzare la relazione tra i costi, - determinare il punto di pareggio (BEP), - effettuare valutazioni sulla incidenza dei costi sul singolo componente in modo da poter definire le azioni da effettuare per migliorare la redditività aziendale Costi diretti: costi per i quali è possibile definire una relazione diretta ed oggettiva, tra voce di costo e l’oggetto di calcolo. Costi indiretti: quando è possibile stabilire una relazione tra voce di costo ed oggetto di calcolo in modo indiretto,(Le spese per la pulizia per associarle all’unità operativa, il parametro di imputazione sono i m2. COSTI STANDARD, Sono dei parametri monetari di riferimento, che vengono calcolati per determinare i costi presunti per l’esecuzione del ciclo produttivo. COSTI EFFETTIVI, Si determinano a consuntivo, cioè alla fine del periodo di tempo preso a riferimento, e permettono di quantificare il costo delle risorse utilizzate per produrre una determinata prestazione In conclusione l’analisi dei costi ha come finalità di Che consente di calcolare Il punto di pareggio che rappresenta il volume di vendita per il quale i ricavi coprono esattamente tutti i costi della gestione E particolare importanza il valore aggiunto che rappresenta la differenza tra il valore finale dei beni e servizi prodotti e il valore dei beni e servizi acquistati per essere impiegati nel processo produttivo. Tanto più congruo è il valore tanto piu elevato sarà l’utile di esercizio Scelta livello di automazione • • • • • • • Un criterio per la scelta del livello di automazione ottimale per un sistema produttivo, che ci si riferisca ad esempio ad una linea o ad una singola stazione di lavoro, può basarsi sulla massimizzazione dell’utile conseguente. Considerando di operare scelte e confronti a parità di volumi produttivi realizzati, tale criterio può riformularsi in termini di minimizzazione del costo totale per la produzione di quanto richiesto al sistema produttivo. Allo scopo quindi di poter confrontare soluzioni che prevedano un differente livello di automazione è possibile trascurare i costi di produzione non direttamente dipendenti in maniera sostanziale da livello di automazione stesso. In questa analisi, con riferimento ad una stazione di lavoro generica destinata alla realizzazione di un volume produttivo di N pezzi per mezzo di una componente di lavoro umana, una componente di lavoro realizzata da macchinari automatici flessibili ed una componente di lavoro realizzata da componenti automatici rigidi, assumeremo di poter esprimere il costo di produzione come la somma dei costi totali relativi alle tre componenti: Cprod = Cmod + Caf + Car Per quanto riguarda la componente manuale, dato il costo orario della manodopera cm e il tempo ciclo relativo alla componente manuale della lavorazione necessaria per la realizzazione del pezzo tCM, il costo della manodopera totale per la realizzazione degli N pezzi è dato da: Cmod = N*Tcm*Cm • Per quanto riguarda la componente automatizzata rigida, il costo totale da attribuire alla realizzazione degli N pezzi, non potendo i macchinari essere riutilizzati in seguito per lavorazione di nuovi prodotti, è dato dall’intero importo IR dell’investimento effettuato in macchinari automatici non convertibili: Car =Ir • Per quanto riguarda la componente automatizzata flessibile, il costo totale da attribuire alla realizzazione degli N pezzi, potendo i macchinari essere riutilizzati in seguito per lavorazione di nuovi prodotti, è dato dalla quota dell’investimento IF effettuato in macchinari automatici convertibili attribuibile alla produzione di N pezzi. Tale quota può essere determinata come la frazione della vita utile VF 1 dei macchinari flessibili dedicata alla produzione degli N pezzi. • Considerando che il tempo dedicato alla produzione degli N pezzi può essere ottenuto moltiplicando tale numero per il tempo ciclo tCA della componente della lavorazione effettuata dai macchinari flessibili si ha: Caf = If*N*tca/Vf • Pertanto, il costo totale di produzione degli N pezzi considerati, che tiene conto di tutte le componenti considerate è: Cprod = N*Tcm*Cm + Ir + If*N*tca/Vf Esercizio • Un’azienda ha intenzione di avviare la produzione di un nuovo prodotto per un totale previsto di prodotti da realizzare pari a 50.000 unità. • L’azienda intende realizzare direttamente l’assemblaggio finale dei componenti, affidando ai suoi fornitori la produzione degli stessi. Per effettuare l’operazione di assemblaggio è possibile scegliere tra due strutture produttive alternative in grado di realizzare il volume produttivo richiesto: – assemblaggio manuale : l’operazione è completamente manuale, richiede un tempo ciclo effettivo pari a 100 min/u ed è affidata ad operatori a basso grado di specializzazione dal costo di 15 €/h; – assemblaggio automatizzato: l’operazione è affidata ad una linea completamente automatizzata e richiede un tempo ciclo pari a 30 min/u. La linea richiede manodopera specializzata, dal costo di 30 €/h, esclusivamente per le funzioni di presidio e controllo per un tempo complessivo di 5 min/u. La linea è costituita da macchinari che possono eventualmente essere convertiti alla realizzazione di altri prodotti aziendali, per un valore totale di 1,5 mln€. Su tali macchinari sono montati una serie di componenti dedicati, per un valore totale di 0,5 mln€, che non possono essere convertiti in maniera economicamente conveniente. La linea (compresi tutti i suoi componenti) è caratterizzata da una vita utile di 50.000 ore di lavoro. Assumendo gli altri costi di produzione non direttamente dipendenti in maniera sostanziale da livello di automazione stesso, si individui la struttura produttiva economicamente ottimale per l’azienda. • Processo di produzione carta : fasi 1) di lavorazione •Processo di produzione carta : fasi 2) di lavorazione Caratteristiche di produzione: - 5 tipologie di prodotti - alti volumi produttivi Si richiede di caratterizzare ciascuna fase in termini di • Macchinari: caratteristiche di automazione • Macchinari: caratteristiche prestazionali/tecniche • Macchinari: caratteristiche di sicurezza • Macchinari: attività dell’eventuale operatore a bordo macchina NORMATIVA DI PROGETTO enti normativi il progetto di impianti e macchine compatibilità elettromagnetica la direttiva macchine lca analisi del ciclo di vita direttiva via e vas rifiuti elettronici (direttiva 2012/19/eu) la qualità aziendale 1.Enti normativi Gli enti normativi svolgono attività normativa riconosciuta a livello nazionale o internazionale la cui principale funzione è la preparazione, approvazione o il recepimento di orme pubblicamente disponibili I vari enti normativi a livello internazionale sono cosi individuabili Le attività europee trovano riferimento in Italia nell’Ente Nazionale d’Unificazione (UNI) la cui attività consiste nell’elaborazione e diffusione di norme tecniche in tutti i settori industriale, ad esclusione di quello elettrico ed elettronico che rientrano nelle competenze del CEI (impian t i t er mici, i drau lici, con diz ion amen t o, ecc .) e nel Comitato Elettrotecnico Italiano (CEI) per gli impianti elettrici e elettronici L’UNI, in qualità di membro dell’ISO e del CEN (Comitato Europeo di normazione), rappresenta l’Italia nell’attività di armonizzazione delle norme internazionali e recepisce, nel 2000, per il nostro Paese, le ISO serie 9000, denominandole UNI EN ISO serie 9000. 2. IL PROGETTO ISO 21500 « GUIDA ALLA GESTIONE DEI PROGETTI » • La norma È una guida per la gestione dei progetti utilizzabile da ogni tipo di organizzazione, pubblica, privata o comunitaria, e per ogni tipo di progetto, indipendentemente da complessità, dimensione o durata. • La norma presenta i concetti ed i processi considerati buone pratiche nella gestione dei progetti e da cui sono derivate norme per la realizzazione di impianti e macchine elettriche tra cui la CEI 02 per il progetto degli impianti elettrici • Nel caso degli impianti tecnologici il progetto prevede la realizzazione di tre elaborati (relazione tecnica, disciplinare tecnico e computometrico) e una serie di elaborati grafici che consentono la realizzazione dei lavori previsti dal committente. • Nel caso di macchine il progetto deve prevedere le caratteristiche tecniche, ambientali, deve essere conforme ai requisiti di sicurezza e corredato dei tutta la documentazione prevista dalla normativa (manuali d’uso, manuale tecnico) • Per gli impianti tecnologici (elettrico, termico, ecc.. ) il progetto viene verificato con il collaudo dell’impianto con prove specifiche previste dalla normativa in funzione del tipo di impianto. • Nel caso di apparecchiature contenenti parti critiche (es. per presenza di alta tensione o per la gestione di potenze rilevanti) e’ opportuno realizzare dei prototipi anche parziali destinati a prove di stress per verificare il comportamento in condizioni estreme e di guasto «verifiche di prequalifica» • Per apparati di serie almeno un esemplare di deve essere sottoporre a prove cosiddette di tipo, individuali e di prodotto 3. Compatibilità elettromagnetica ( CEI EN 61000-4-5) Le interferenze elettromagnetiche prodotte da attrezzature e sistemi possono rappresentare un pericolo per la salute umana e per l’ambiente; per questo motivo molti paesi hanno reso obbligatoria l’esecuzione di prove di compatibilità elettromagnetica (EMC), affinchè prodotti elettrici ed elettronici possano essere commercializzati in maniera sicura. Il problema delle armoniche rientra in quello più ampio della compatibilità elettromagnetica, cioè quell'insieme di regole che stabiliscono i limiti di emissione dei disturbi e il livello di immunità ai disturbi stessi, in modo che più apparecchi elettrici alimentati dalla stessa rete possano funzionare correttamente. Dal 1996 tutti gli apparecchi elettrici per poter essere immessi nel mercato Europeo devono soddisfare le norme previste dalla direttiva europea 89/336/CEE, devono cioè essere elettromagneticamente compatibili o brevemente EMC Le norme della direttiva suddividono i disturbi in due grandi categorie: -disturbi condotti: a questa categoria appartengono tutti quei disturbi che si propagano lungo i cavi e il campo di frequenza previsto per questi disturbi va da 150 kHz a 30 MHz; -disturbi radiati; a questa categoria appartengono tutti quei disturbi che utilizzano l’etere per propagarsi e il campo di frequenza previsto per questi disturbi va da 30 MHz a 1 GHz 4. Direttiva macchine «norma ISO 5395» Le verifiche non riguardano strettamente il progetto ma sono molto importanti, dato che sono l’ultimo anello della catena di produzione, ossia quello che “mette sul mercato” il prodotto ed e’ l’unico responsabile verso i clienti della sua sicurezza. A tale scopo le verifiche sulla sicurezza si devono eseguire in conformità alle prescrizioni della DIRETTIVA MACCHINE che racchiude diverse norme ISO riguardanti l’aspetto della sicurezza per qualsiasi settore lavorativo. In particolare si definiscono i requisiti essenziali di sicurezza per ognuna delle possibili situazioni pericolose connesse con il funzionamento di una macchina. Il fabbricante per dimostrare al cliente la conformita’ della sua macchina alla direttiva, deve realizzare il fascicolo tecnico che dovra’ contenere tra l’altro “la descrizione delle soluzioni adottate per prevenire i rischi presentati dalla macchina” che consente le seguenti operazioni e la conseguente apposizione della marcatura CE di conformità A tale scopo il costruttore deve: • svolgere un'accurata Analisi dei Rischi effettivamente presenti sulla macchina e identificare i requisiti essenziali ad essa applicabili; • applicare il principio di integrazione della sicurezza: eliminare i rischi al momento della progettazione, di installare i dispositivi di sicurezza necessari e di dare esplicita indicazione dei rischi residui non eliminabili; • allegare alla macchina il Manuale di Istruzione per l'uso e la manutenzione (ALLEGATO I); • costituire il Fascicolo Tecnico della costruzione, che documenta che tutti i requisiti essenziali applicabili sono soddisfatti (ALLEGATO V); • se la macchina rientra tra quelle elencate nell'Allegato IV, sottoporre la macchina all'esame da parte di un Organismo Notificato; • allegare alla macchina la dichiarazione di pertinenza (CE di conformità o del fabbricante) secondo le indicazioni dell'ALLEGATO II; • se tutti i requisiti applicabili sono soddisfatti, apporre la marcatura CE sulla macchina (Allegato III e dalla Direttiva 93/68/CEE). per conseguire i seguenti obiettivi • • • creare le condizioni necessarie affinché le industrie che operano nell’ambito dell’Unione Europea possano realizzare prodotti rispondenti ai medesimi requisiti di sicurezza per le persone e l’ambiente; riavvicinare ed uniformare le attuali disposizioni nazionali in materia di sicurezza; la libera circolazione delle macchine senza abbassare i livelli di protezione esistenti. 5. L’LCA (analisi del ciclo di vita: life cycle analysis: iso 14040 Gestione ambientale – Valutazione del ciclo di vita , ISO 14001:Sistema di Gestione Ambientale) E uno strumento utilizzato per analizzare l’impatto ambientale di un prodotto, di un’attività o di un processo lungo tutte le fasi del ciclo di vita, attraverso la quantificazione dell’utilizzo delle risorse (gli “input” come energia, materie prime, acqua) e delle emissioni nell’ambiente (“immissioni” nell’aria, nell’acqua e nel suolo) associate al sistema che si deve valutare. Gli impatti ambientali, attinenti l’eccessiva concentrazione/esposizione a sostanze chimiche con conseguenti effetti sull’inquinamento ambientale riguardano l’intero ciclo di vita sono rappresentati da tutte le sostanze prelevate dall’ambiente (Input) e dalle emissioni nell’ambiente (Output) Attraverso la valutazione comprensiva dell’l’intero ciclo di vita del processo o attività, comprendente: •l’estrazione ed il trattamento delle materie prime; •la fabbricazione; Che cos’è un Ciclo di Vita? •il trasporto; INPUT OUTPUT estrazione delle materie •la distribuzione; prodotti principali •l’uso, il riuso, il riciclo; processamento co-prodotti e fabbricazione materiali •lo smaltimento finale. si possono adottare le strategie che prevengono la formazione degli inquinanti, consentendo di ottenere un processo produttivo più pulito e più efficiente valutando “i pro e i contro” del prodotto dal punto di vista ambientali. gli impatti vengono valutati attraverso l’identificazione e la quantificazione di dati quantitativi relativi al consumo di materia, consumo di energia, produzione di rifiuti e emissioni(in aria, acqua e suolo) distribuzione energia acqua uso del prodotto riuso, riciclaggio recupero energetico gestione dei rifiuti effluenti in acqua emissioni in aria rifiuti solidi altre interazioni con l’ambiente . 5. L’LCA (analisi del ciclo di vita: life cycle analysis: iso 14040 Gestione ambientale – Valutazione del ciclo di vita , ISO 14001:Sistema di Gestione Ambientale) E uno strumento utilizzato per analizzare l’impatto ambientale di un prodotto, di un’attività o di un processo lungo tutte le fasi del ciclo di vita, attraverso la quantificazione dell’utilizzo delle risorse (gli “input” come energia, materie prime, acqua) e delle emissioni nell’ambiente (“immissioni” nell’aria, nell’acqua e nel suolo) associate al sistema che si deve valutare. Gli impatti ambientali, attinenti l’eccessiva concentrazione/esposizione a sostanze chimiche con conseguenti effetti sull’inquinamento ambientale riguardano l’intero ciclo di vita sono rappresentati da tutte le sostanze prelevate dall’ambiente (Input) e dalle emissioni nell’ambiente (Output) Attraverso la valutazione comprensiva dell’l’intero ciclo di vita del processo o attività, comprendente: •l’estrazione ed il trattamento delle materie prime; •la fabbricazione; •il trasporto; •la distribuzione; Che cos’è un Ciclo di Vita? •l’uso, il riuso, il riciclo; INPUT OUTPUT estrazione delle materie •lo smaltimento finale. prodotti si possono adottare le strategie che prevengono la formazione degli inquinanti, consentendo di ottenere un processo produttivo più pulito e più efficiente valutando “i pro e i contro” del prodotto dal punto di vista ambientale . gli impatti vengono valutati attraverso l’identificazione e la quantificazione di dati quantitativi relativi al consumo di materia, consumo di energia, produzione di rifiuti e emissioni(in aria, acqua e suolo) materiali processamento e fabbricazione distribuzione energia acqua uso del prodotto riuso, riciclaggio recupero energetico gestione dei rifiuti principali co-prodotti effluenti in acqua emissioni in aria rifiuti solidi altre interazioni con l’ambiente 6. Direttiva VIA e VAS D.Lgs. 3/4/2006 n.152., ISO 14001 «Sistema di Gestione Ambientale» Le direttive VIA e VAS sono direttive europee riguardanti tipologie di valutazione ambientale che agiscono in fasi diverse. su oggetti diversi, con finalità diverse ma complementari. La direttiva VIA (valutazione di impatto ambientale dei progetti), è una procedura che agisce per valutare le alterazioni dell’ambiente causati dalle opere e ha la finalità di individuare, descrivere e valutare gli effetti diretti/indiretti di un progetto su alcune componenti ambientali (l'uomo, la fauna e la flora, il suolo, l'acqua, il clima ed il paesaggio, ecc) La valutazione di impatto ambientale, riguarda i progetti definiti dall’art. 5 del D.L.vo n. 152/2006 “realizzazione di lavori di costruzione o di altri impianti od opere e di altri interventi sull’ambiente naturale o sul paesaggio, compresi quelli destinati allo sfruttamento delle risorse del suolo” in particolare nella nozione di progetto rientrano la costruzione e la modifica degli impianti o delle opere riportate negli Allegati II, III e IV alla Parte II dello stesso decreto . Il principio guida della VIA è per cui quello della prevenzione dei danni ambientali che, nella fase di progetto, sono scientificamente prevedibili e più sicuri con lo scopo non solo di salvaguardare ma anche di migliorare la qualità dell’ambiente e della vita. La valutazione di impatto ambientale prevede una fase, facoltativa, di consultazione tra il proponente, l’autorità competente ed i soggetti competenti in materia ambientale finalizzata alla definizione della metodologia da seguirsi nella redazione dello studio di impatto ambientale. Tale fase (denominata anche scoping) viene condotta sulla base del progetto preliminare, di uno studio preliminare ambientale, dell’elenco delle autorizzazioni (concessioni, licenze, pareri nulla osta ecc..). L’istanza deve essere presentata direttamente all’autorità competente e corredata da studio di impatto ambientale (SIA); progetto definitivo; sintesi non tecnica; elenco delle autorizzazioni, copia informatizzata degli elaborati, conforme agli originali presentati; Lo studio di impatto ambientale (SIA), che rappresenta il documento principale riguardante gli aspetti ambientali e gli impatti del progetto , comprende la descrizione del progetto, la descrizione delle misure previste per evitare gli impatti negativi rilevanti, la valutazione dei principali impatti sull’ambiente che il progetto può produrre, il piano di monitoraggio degli impatti che saranno prodotti. La documentazione deve essere depositata non solo presso l’autorità competente ma anche presso gli uffici di regioni, province e comuni eventualmente interessati anche parzialmente dagli impatti; se entro 30 giorni dalla presentazione della domanda, trascorsi non sono state chieste integrazioni documentali l’istanza si intende correttamente presentata. Eventuali integrazioni devono essere presentate entro il termine stabilito dall’autorità Il provvedimento di VIA, se favorevole, deve contenere prescrizioni riguardanti l’impatto ambientale non solo durante l’esercizio di un opera, ma anche durante la costruzione e la dismissione della stessa, riportando le misure di monitoraggio degli impatti ed è auspicabile che ricordi l’obbligo, prorogabile, di realizzare i progetti entro 5 anni dalla pubblicazione della decisione finale. Il monitoraggio degli impatti consentirà all’autorità competente il potere di apportare modifiche al provvedimento qualora risultino impatti negativi diversi da quelli previsti arrivando a sospendere l’attività nel caso si rilevino ripercussioni negative sulla salute pubblica e sull’ambiente La direttiva VAS (valutazione ambientale strategica) è una procedura che agisce per valutare gli effetti ambientali (cambiamenti nell'ambiente),sia positivi che negativi, causati dalle attività, prodotti e/o processi di una data organizzazione. Sono sottoposti alla VAS, i piani e programmi che possono avere impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale riguardanti la valutazione e gestione della qualità dell'aria ambiente, per i settori agricolo, forestale, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiut, ecc.. Definiti negli Allegati II, III e IV del D.Lgs 152/2006. La Direttiva (VAS) ha la finalità di proteggere la salute umana, contribuire con un miglior ambiente alla qualità della vita, provvedere al mantenimento delle specie e conservare la capacità di riproduzione degli ecosistemi in quanto risorse essenziali per la vita. Il principio guida della VAS è quello di precauzione che obbliga le Autorità competenti ad adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali, verificando preventivamente che l'attività non incida sulla salute dell'uomo o sull'ambiente circostante. Il principio guida della VAS è quello di precauzione che obbliga le Autorità competenti ad adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali, verificando preventivamente che l'attività non incida sulla salute dell'uomo o sull'ambiente circostante. 7. RIFIUTI (Direttiva 2012/19/EU, Decreto Legislativo 14 Marzo 2014 n. 49. ) Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche «RAEE» La gestione dei RAEE è disciplinata a livello europeo dalla Direttiva 2012/19/EU che ha lo scopo di fornire agli stati membri le linee guida per l’attivazione di un sistema di gestione dei rifiuti; la direttiva è stata recepita dal Dlgs 2014/49. I RAEE sono rifiuti che il possessore intende disfarsi di tipo particolare che esistono in qualunque apparecchiatura elettrica o elettronica, che per un corretto funzionamento hanno avuto bisogno di correnti elettriche o di campi elettromagnetici e che sono state progettate per essere usate con una tensione non superiore a 1000 V per la corrente alternata e a 1500 V per la corrente continua. In funzione del tipo di utilizzo (domestico o professionale) sono suddivisi in 10 categorie: • R1: grandi elettrodomestici; R2: piccoli elettrodomestici; R3: apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni; R4:apparecchiature di consumo; • R5: apparecchiature di illuminazione; • R6: strumenti elettrici ed elettronici; • R7: giocattoli e apparecchiature per lo sport e il tempo libero; • R8: dispositivi medici; • R9: strumenti di monitoraggio e controllo;• R10:distributori automatici. I RAEE rappresentano nello stesso tempo una fonte di inquinamento e una risorsa di materiali utili che opportunamente trattate possono dare vita ad altri oggetti e rientrare quindi nel ciclo economico.(metalli ferrosi e non ferrosi, metalli preziosi, vetro, parti elettroniche). Con l'avvio del nuovo sistema di gestione i RAEE normalizzati dal Dlgs 49/2014 giunti al termine del loro utilizzo, devono essere recuperati e riutilizzati o smaltiti. Diverse categorie di RAEE contengono infatti materiali altamente nocivi per l'ambiente e la salute dell'uomo e proprio per questo motivo devono essere gestiti seguendo regole ben precise e in impianti altamente specializzati. La gestione dei RAEE I RAEE possono contenere sostanze pericolose (ad esempio le sostanze lesive dell'ozono nei frigoriferi); per questo motivo sono necessari trasporti particolari e infrastrutture a norma di legge, in grado di movimentare, ricevere e stoccare i RAEE in modo ottimale, evitando il danneggiamento delle apparecchiature e la dispersione di sostanze pericolose; a tale scopo la gestione viene effettuata attraverso le seguenti operazioni: - la raccolta e trasporto dei RAEE; viene differenziata in base alla tipologia di produzione ed impiego dei rifiuti raggruppandoli in base al tipo di trattamento a cui saranno sottoposti a seconda delle strumentazioni specifiche e delle competenze degli operatori nel condurre le procedure di smontaggio in totale sicurezza ed efficienza. Il trasferimento dei RAEE può essere eseguito dai consumatori nei centri di raccolta predisposti dai comuni, o tramite il ritiro da parte dei rivenditori (per conto dei produttori), nelle fasi di acquisto di nuovi prodotti (rivalutazione dell'usato). - I trattamenti di recupero; vengono eseguiti al fine di poter bonificare i componenti da materiali pericolosi per la salute o per l'ambiente e di smaltirli correttamente, e poter così procedere al recupero di tutta la componentistica riutilizzabile. Gli obiettivi di recupero e reimpiego o riciclaggio dei materiali dei rifiuti elettronici inviati al trattamento sono stabiliti in funzione della categoria di appartenenza dei RAEE. - Tutti i materiali riciclabili tra le parti danneggiate o inutilizzabili, o il cui costo di verifica e collaudo non determina un vantaggio economico e i materiali non riciclabili devono essere smaltiti correttamente . Le attività di trattamento per riciclaggio, recupero e valorizzazione dei materiali vengono realizzate grazie a vere e proprie linee di produzione che invece di assemblare o trasformare materie prime e componenti in prodotti finiti seguono il processo inverso (dal prodotto a fine vita si ottengono nuovamente materie prime che possono essere riutilizzate in nuovi cicli produttivi). 8. Norme UNI EN ISO serie 9000, 9001, 9004,9011 Le UNI EN ISO serie 9000, elaborate e diffuse dall’UNI sono direttive tecniche internazionali che descrivono i requisiti dei Sistemi di Gestione per la Qualità «SGQ» insieme di regole e di attività necessarie per assicurare la qualità dei prodotti e dei servizi di un’impresa. La prima fase dell’iter per ottenere la certificazione del proprio SGQ è la scelta dell’Ente di Certificazione accreditato, tale Ente provvede ad analizzare la documentazione predisposta dell’azienda e verifica, tramite audit (ovvero “verifica ispettiva”), che il SGQ sia: • conforme alle norme; • realmente ed efficacemente applicato. rilasciando la certificazione se risultano verificati i criteri della norna ISO 9000 Nella seconda fase L’SGQ viene successivamente monitorato attraverso visite di sorveglianza (semestrali od annuali) concordate con l’impresa per verificare che tutte le attività siano svolte secondo prescrizioni della norma La certificazione ha validità triennale e la sua scadenza comporta la necessità di riavviare il percorso. tese a rilevare ogni variazione del SGQ, rispetto all’ultima verifica effettuata e dovrebbe comportare i seguenti vantaggi: - valutazione oggettivava da parte di valutatori esterni sulla qualità esterni alla società - accesso più agevole al mercato - il vantaggio competitivo. Per il rilascio della certificazione le norme da considerare sono la norma UNI EN ISO 9000 che contiene i principi sulla base dei quali dovrebbe essere strutturato un efficace SGQ e le norme 9001, 9004, 9011 che affrontano le problematiche riguardanti la progettazione, l’efficienza e la gestione di un SGS. Le norme ISO 9000 si possono adottare per due ragioni i). “contrattuale”: quando il cliente richiede al proprio fornitore di aderirvi come condizione essenziale per la conclusione di un accordo/contratto; II) “non contrattuale”: come modello per realizzare un proprio Sistema di Gestione per la Qualità Qualità aziendale «prodotto» La norma ISO 9001 prescrive i requisiti del prodotto siano determinati dal cliente o da leggi o regolamenti che definiscono degli standard accettati all'interno del settore di mercato. I requisiti, che l’organizzazione aziendale dovrà essere in grado di soddisfare, sono stabiliti dai contratti standard o da accordi orali che il reparto commerciale propone al cliente Dispone che l’azienda svolga un'efficace pianificazione del processo di progettazione e sviluppo (fasi convolte nel processo verifica/revisione del progetto, individuazione dei responsabili delle varie fasi) con verifica perenne dei requisiti (input progettuali ) e con accertamento che lo sviluppo del prodotto soddisfi i requisiti richiesti Infine attraverso Il riesame della progettazione e sviluppo si rivede quanto progettato allo scopo di: •determinare se il progetto soddisfi i requisiti in ingresso della progettazione •identificare tutti i problemi legati alla progettazione •proporre soluzioni a questi problemi In questo modo si consegue lo scopo di di far entrare in sintonia tutti gli elementi dell’azienda (personale, impianti, attrezzature, procedure, etc.) con i fornitori, a monte, e con i clienti, a valle in modo che i beni o i servizi dell’impresa soddisfino le esigenze dei clienti e che l’azienda diventi altamente reattiva, efficace ed indirizzata alla massima efficienza. i LA NORMATIVA SULLA SICUREZZA introduzione sicurezza sul lavoro d.lgs 81/08 misure di prevenzione e protezione classificazione dei rischi lavorativi analisi dei rischi meccanici di una stamperia Introduzione La sicurezza nei luoghi di lavoro è stata oggetto di svariati interventi legislativi, (ultimi due: D.lgs. 81/2008, corretto ed integrato dal successivo D.lgs. 106/2009) che si sono susseguiti nel corso del tempo con un unico obiettivo: «garantire e migliorare le condizioni dei lavoratori in termini di salute e di sicurezza» La sicurezza nei luoghi di lavoro si consegue con la partecipazione di tutti, dallo stesso datore di lavoro, ai dipendenti, ai loro rappresentanti E dipende dalla caratteristica degli impianti e delle macchine, ma anche dall’adozione di corretti procedimenti di lavoro La sicurezza è garantita se viene curata la formazione e sensibilizzazione del personale In materia di sicurezza SICUREZZA SUL LAVORO Per «sicurezza sul lavoro» si intendono le attività volte a garantire misure di prevenzione e protezione, adottate dal datore di lavoro e dai lavoratori stessi per garantire: - La tutela della salute che riguarda la prevenzione delle malattie professionali - La tutela della sicurezza che comprende tutte le misure di prevenzione e protezione contro gli infortuni La Diminuzione della probabilità che il pericolo (processo lavorativo che può causare un danno al lavoratore o ad un bene materiale) possa attaccare il lavoratore si chiama prevenzione La prevenzione si attua eliminando totalmente il pericolo dal luogo di lavoro lavoratore con barriere sicure. separando il pericolo dal La protezione consiste nel proteggere il lavoratore con schermi, apposito abbigliamento, attrezzature e facendo in modo che il danno sia accettabile se accade l’infortunio Infortunio e malattia professionale A causa di eventi dannosi e imprevedibili «incidenti» si possono avere dei danni «infortuni» che possono generare le conseguenze quali la morte, un’inabilità permanente un’inabilità temporanea Si parla di infortuni sul lavoro se i danni sui lavoratori sono riconducibili a lesioni fisiche dovute a cause violente mentre si parla di malattie professionali se i danni sono dovuti all’esposizione prolungata a sostanze pericolose D.Lgs. 81/2008 La valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute nell’ambiente di lavoro (eventualità di subire un danno connesso a circostanze più o meno prevedibili) è la prima delle misure generali di tutela previste dal D.Lgs. 81/2008 La valutazione, globale e documentata, dei rischi presenti nell’ambiente di lavoro, è finalizzata a: individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione da adottare elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza viene effettuato attraverso: 1) Documento di valutazione dei rischi DVR che deve contenere: - relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute - misure di prevenzione e protezione adottate - programma delle misure per garantire il miglioramento della sicurezza nel tempo e procedure per la loro realizzazione - nominativo del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza e del Medico Competente 2.DUVRI (documento unico di valutazione dei rischi da interferenze, è un documento legato ad una specifica attività, all’interno della quale cooperano due o più imprese diverse. Il DUVRI va elaborato in coordinamento tra i diversi soggetti che prendono parte ad una attività che definiscono quali rischi apporterà la propria singola attività all’interno dell’intero progetto, valutandone eventuali interferenze con i rischi apportati dagli altri soggetti. 3. Il decreto 81/08 è stato oggetto di integrazioni e modifiche significative (Dlgs 106/2009) che ha completato l’intervento di ammodernamento della disciplina in materia di sicurezza. A tale scopo sono state definite le modalità di realizzazione del Piano Operativo di Sicurezza (POS) che è un documento obbligatorio che tutte le imprese esecutrici devono redigere prima di iniziare le attività operative in un cantiere temporaneo o mobile. Il Piano Operativo Sicurezza è un documento redatto dal Datore di Lavoro di un’impresa esecutrice, che contiene le informazioni specifiche di ogni cantiere in cui opera l’azienda, oltre che una valutazione dei rischia cui sono sottopostigli addetti dell’impresa (lavorazioni, macchine, attrezzature). Misure di prevenzione e protezione Per misure di prevenzione si intende l’insieme di misure, provvedimenti e accorgimenti operativi messi in atto per ridurre la probabilità che si verifichi un danno con conseguente riduzione del rischio Per misure di protezione si intende l’insieme di misure, provvedimenti e accorgimenti operativi messi in atto per diminuire l’entità di un danno, possono essere: - di tipo collettive (sistemi di abbattimento, aspirazione, insonorizzazione, etc.) - di tipo individuali (dispositivi di protezione individuali, informazione, sorveglianza sanitaria, etc.) Le figure professionali coinvolte nello studio della prevenzione dei rischi aziendali e nella stesura del documento sulla prevenzione dei rischi in azienda sono: il datore di lavoro, Il rappresentante dei Lavoratori per la sicurezza, Il medico competente il responsabile del servizio di prevenzione e protezione CLASSIFICAZIONE DEI RISCHI LAVORATIVI Classificazione I Rischi lavorativi possono essere divisi in tre grandi categorie: RISCHI PER LA SICUREZZA (Rischi di natura infortunistica) RISCHI PER LA SALUTE (Rischi di natura igienico ambientale) RISCHI PER LA SALUTE E LA SICUREZZA (Rischi di tipo cosiddetto trasversale) Strutture Macchine Impianti Elettrici Sostanze pericolose Incendio - esplosioni Agenti Chimici Agenti Fisici Agenti Biologici Organizzazione del lavoro Fattori psicologici Fattori ergonomici Condizioni di lav. difficili VIGILANZA E CONTROLLO Gli organismi di vigilanza e controllo ATS ( ex ASL ) V.V.F. MINISTERO DEL LAVORO DIREZIONE PROVINCIALE DEL LAVORO INAIL Coordinamento tra gli enti Banca dati infortuni 128 ANALISI DEI RISCHI: CICLO PRODUTTIVO STAMPERIA TESSUTI RISCHIO MECCANICO I rischi di tipo meccanico cui ci si riferisce sono riconducibili ad alcune situazioni tipo quali: • entrare in contatto con la macchina, o trovarsi intrappolati tra la macchina e le parti collegate alla macchina o ad altre strutture fisse: convogliamento, trascinamento, impigliamento, intrappolamento; • essere colpiti da un qualunque organo in movimento della macchina: schiacciamento, cesoiamento; • essere colpiti da eventuali materiali proiettati dalla macchina. CICLO PRODUTTIVO STAMPERIA TESSUTI RISCHIO MECCANICO CICLO PRODUTTIVO STAMPERIA TESSUTI RISCHIO MECCANICO Fase: Cucitura testate: impianti in automatico che hanno lo scopo di creare grandi rotoli per le successive lavorazioni di continuo. E’ un impianto utilizzato solo per grandi metrature in lavorazione. Nel caso specifico, “l’apparecchiatura automatica” è costituita dalla presenza dell’unità di cucitura (macchina da cucire) che si muove automaticamente seguendo un percorso longitudinale. Rischio : Infortuni dovuti a cattura da parte di cilindri accoppiati che possono afferrare e trascinare mani o altre parti – infortuni dovuti all’unità di cucitura Danni attesi: A – Urti e/o perforazione da parte della macchina per cucire in movimento continuo B – Cattura da parte di rulli accoppiati C - Caduta dall’alto per la presenza di postazioni di lavoro su passerelle D – Cattura da parte di organi di trasmissione quali cinghie e catene INTERVENTI • Prevedere per le macchine mobili dispositivi di sicurezza o recinzioni. Devono parimenti essere previsti dispositivi di sicurezza o chiusure di protezione per i dispositivi in movimentazione o gli elementi operativi allo scopo di impedire l’accesso alle zone pericolose. • Oppure impedirel’accessodi • persone con protezioni secondarie quali pedane sensibili o fotocellule che circondano la zona di operazione. CICLO PRODUTTIVO STAMPERIA TESSUTI RISCHIO MECCANICO Fase: Cucitura testate: impianti in automatico che hanno lo scopo di creare grandi rotoli per le successive lavorazioni di continuo. E’ un impianto utilizzato solo per grandi metrature in lavorazione. Nel caso specifico, “l’apparecchiatura automatica” è costituita dalla presenza dell’unità di cucitura (macchina da cucire) che si muove automaticamente seguendo un percorso longitudinale. Rischio : Infortuni dovuti a cattura da parte di cilindri accoppiati che possono afferrare e trascinare mani o altre parti. Danni attesi: A – Urti e/o perforazione da parte della macchina per cucire in movimento continuo B – Cattura da parte di rulli accoppiati C – Caduta dall’alto per la presenza di postazioni di lavoro su passerelle D – Cattura da parte di organi di trasmissione quali cinghie e catene INTERVENTI • Installare ripari fissi o mobili interbloccati. • Prevedere un distanziamento fra cilindri controrotanti e/o fra cilindri e parti fisse compreso fra 120 – 150 mm o maggiore di 500 mm, o dispositivi di protezione fotoelettrici (“fotocellule”) che coprano l’intera larghezza del punto di trascinamento, o dispositivi di tipo sensibile (ad esempio “fune a strappo”) che coprano l’intera larghezza del punto di trascinamento. CICLO PRODUTTIVO STAMPERIA TESSUTI RISCHIO MECCANICO Fase: Centrifughe: eliminare l’eccesso di acqua di lavaggio dai tessuti proveniente dagli impianti di tintura. (Norma tecnica UNI EN n° 12547 del 30/06/2001 - Centrifughe - Requisiti comuni di sicurezza) Rischio : Possibilità di urto, schiacciamento, cesoiamento, cattura degli arti superiori da parte del cestello in rotazione all’interno della macchina in seguito all’apertura del coperchio di accesso durante il funzionamento. Danni attesi: Lesioni arti superiori/inferiori da trascinamento e torsione anche con esito mortale INTERVENTI Installare: • Impiego solo di sistemi di blocco non agevolmente rimovibili dall’operatore della macchina, quali: viti, bulloni • Dispositivi per impedire la caduta accidentale del coperchio. CICLO PRODUTTIVO STAMPERIA TESSUTI RISCHIO MECCANICO Fase: Calandratura del tessuto: passaggio su due o più cilindri riscaldati e che ruotano alla stessa velocità o a velocità differenti, serve a conseguire diversi effetti. Normalmente è effettuata per ammorbidire il tessuto, o per avere un effetto lucido o semi-lucido permanente. Rischio : Presenza di rulli girevoli contro rotanti a coppie / blocchi e adiacenti a elementi fissi collocati sia nella zona di ingresso sia in quella di uscita con possibilità di impigliamento e cattura. Danni attesi: lesioni mani e arti superiori INTERVENTI . Installare: • Ripari fissi o mobili interbloccati • Dispositivi di protezione fotoelettrici (“fotocellule”) che coprano l’intera larghezza del punto di trascinamento • Dispositivi di tipo sensibile (ad esempio “fune a strappo”) che coprano l’intera larghezza del punto di trascinamento. CICLO PRODUTTIVO STAMPERIA TESSUTI RISCHIO MECCANICO B – Contatti con organi di trasmissione. INTERVENTI • Installare ripari fissi o mobili interbloccati e/o segregare completamente le parti della macchina interessata . C - Contatto con materiale CICLO PRODUTTIVO FONDERIE ALLUMINIO INTERVENTI • Utilizzo dei DP, visiere e guanti e scarpe inforntunistiche . CICLO PRODUTTIVO STAMPERIA TESSUTI Tipologie di protezioni sono così classificabili: • Protezioni fisse assicurano che all’operatore venga impedito l’accesso alle parti pericolose delle macchine. • Protezioni asservite sono collegate ai comandi della macchina e consentono di accedere all’area pericolosa in condizioni di sicurezza consentendo di eseguire operazioni che si rendessero necessarie durante lo svolgimento della lavorazione. Sono concepite ed allestite in modo tale da: – permettere di avviare la macchina solo quando la protezione si trova in posizione di chiusura; – permettere l'apertura della protezione solo a macchina ferma. CICLO PRODUTTIVO STAMPERIA TESSUTI RISCHIO MECCANICO • Gli obiettivi conseguibili con i dispositivi di protezione sono molteplici e così riassumibili: – durante il normale funzionamento l’operatore non deve mai poter venire a contatto con organi o parti pericolose della macchina; – durante l’esecuzione di manovre che possono portare a situazioni pericolose, deve sussistere una adeguata segnalazione fra una manovra e la successiva; – le parti pericolose della macchina devono poter essere accessibili solamente con l’impianto messo in sicurezza (organi in movimento fermi); – eventuali guasti ed anomalie, prevedibili sulla base dell’esperienza, non devono poter arrecare danni agli operatori; – in caso di emergenza, le macchine devono poter essere messe in sicurezza in modo agevole e rapido. APPENDICE A: TRASMISSIONE MECCANICA • Trasmissione meccanica • Cinghia • Riduttore di giri • Pignone e cremagliera • Vite senza fine trapezia • Vite a ricircolo a sfere Dimensionamento motori di trascinamento nei centri di lavoro Il dimensionamento e la scelta del motore di trascinamento viene effettuata in funzione delle caratteristiche del carico. La potenza richiesta da una macchina dipende per cui dal ciclo di lavoro, è funzione rotazione, del percorso e del tempo dell’angolo di Il motore deve inoltre vincere la "coppia di distacco", in conseguenza del maggiore attrito al distacco. Si esaminano di seguito alcune condizioni specifiche di carico, con i relativi grafici coppia-potenza in funzione della velocità angolare dell’albero, con tutte le grandezze riferite al valore nominale. 1) Macchine avvolgitrici per carta, lamiere, fili: sono richiesti un velocità periferica costante e uno sforzo di trazione sul filo diametro di avvolgimento crescente, F = costante. Analogamente, per alcune lavorazioni al tornio, con diametro di tornitura variabile, si richiede una velocità di taglio costante e uno sforzo di asportazione costante, con T coppia =k/Ω=k’·r e P=F·v=cost. 2) Per il lavoro di sollevamento, di attrito o di deformazione la coppia resistente è costante e non dipende dalla velocità; nel caso di ascensori, paranchi, argani, viene richiesta una coppia costante con F = peso coppia T=F·D/2=costante; P=T·Ω, quindi con la coppia indipendente dal numero di giri al minuto diametro «D» sono costanti la coppia è costante. se la massa "m = F/g" e Questo vale anche per i laminatoi e per tutte macchine utensili con sforzo di taglio costante e diametro costante (torni paralleli, piallatrici ecc..) 3) Nel caso di macchine che offrono una resistenza d’attrito proporzionale a "n" con coppia di carico proporzionale alla velocità in giri al minuto ( calandre per la lavorazione di materiali tessili, carta, plastica, fogli di gomma ecc.. con generazione di attrito viscoso) si ha T=k·Ω ; P=T·Ω= k·Ω2 4) – Nel caso di ventilatori, pompe centrifughe, sbattitori, centrifughe, con T=k·Ω2 ; P=T·Ω=k·Ω3 ESEMPIO: attrito volvente Si calcoli la potenza meccanica di un motore asincrono trifase installato nell’argano, supponendo che il peso dei pezzi da sollevare non superi i 20 kg, che i pesi della fune e dell’elettromagnete siano trascurabili, che al motore sia collegato un riduttore avente rapporto 1:20 e rendimento 0.5 e sul cui albero di uscita sia montata una puleggia del diametro 100 mm.; P = 20 Kg V = 1200 g/s Braccio = d/2 = 100/2 = 50 mm 0.05 m Momento torcente M = F*b = 20*0.05 = 1 Kgm w = 2*π *n /60 = 6.28* 1200/ 60 = 125,6 rad/s ∙ Pr = M*w =1 * 125,6 = 1500 kgm*rad/s (moto traslatorio Pr = F x v) Pmecc =Pr* η * ρ= 125,6* 0.5* 20 = 1.256 watt ( moto rotazionale) Esempio 2 (attrito radente) Si calcoli la potenza meccanica che deve essere applicata all’albero del rullo di traino che comanda il nastro trasportatore considerando che: a.il nastro trasportatore orizzontale avanza alla velocità costante di 300 mm/sec; b.i rulli di traino e di rinvio hanno diametro pari a 50 mm; c. il coefficiente di attrito tra tappeto e piano di trasporto è pari a 0.3; d.il peso totale trasportato dal nastro è pari a 150 N. Si considera una massa complessiva (massa nastro + massa peso portata consentita di 150 N che rappresenta il peso totale che si scarica sui rulli ------------------------------------------------------------------------- Per prima cosa si determina la forza di trazione F F=coeff. attr.*massa totale*g=0.3*150=45 N Si calcola la velocità angolare w w=v/r=300/0.025=7,5 rad/s la coppia minima per muovere il nastro C=p*r= 150N*0.025m= 3,75 Nm la potenza minima richiesta dal motore sarà P= C * w = 3,75 * 7,5 rad/s = 29,06 kW TRASMISSIONE MECCANICA In un azionamento elettrico un motore aziona un carico meccanico. Capita molto spesso che il carico meccanico sia caratterizzato da una alta coppia e una bassa velocità, mentre i normali motori elettrici forniscono invece buone prestazioni ad alta velocità, cui corrisponde una bassa coppia. In queste situazioni non è possibile un accoppiamento diretto tra carico meccanico e motore. Si rende necessaria l’interposizione di una trasmissione meccanica per adattare i valori di coppia e velocità. Motore Trasmissione meccanica Carico NB: In questi anni l’industria costruttrice di motori elettrici sta sviluppando un nuovo tipo di motore: il motore coppia, in grado di lavorare a basse velocità e con alte coppie, in modo da eliminare la presenza della La trasmissione meccanica può essere realizzata mediante: •Cinghia e catena •Riduttore di giri •Conversione del moto rotatorio in traslatorio •Sistema pignone e cremagliera •vite senza fine e a ricircolo di sfere CINGHIA La cinghia realizza una trasmissione meccanica elastica, ma comunque di buon rendimento ( ~ 95%). La cinghia è avvolta su due o più pulegge, dello stesso diametro oppure diverso, in funzione delle applicazioni. La grande richiesta di cinghie ha stimolato l’industria, che ne ha prodotte di diversi tipi, rendendole convenienti anche in applicazioni tradizionalmente riservate alle catene. Punti di forza: • è la trasmissione meno costosa • non necessita di lubrificazione • manutenzione ridotta al minimo • può assorbire brusche variazioni di carico (elasticità) Punti di debolezza: Il rapporto tra le velocità angolari dei due alberi non può essere né costante né uguale al rapporto tra i diametri delle due pulegge, per via delle dilatazioni conseguenti alla elasticità del materiale (problema in gran parte risolto con le cinghie dentate) Rapporto di riduzione: (o di trasmissione): R = w2/W1 =R1/R2 NB: deriva dall’uguaglianza della velocità lineare v sulla circonferenza delle due pulegge. Tipi di cinghia Cinghia piatta Fu molto usata agli albori della rivoluzione industriale. Nelle applicazioni attuali avvolgono delle pulegge con diametro piccolo e corona larga. La puleggia motrice deve avere la superficie esterna della corona leggermente bombata al centro, al fine di permettere della cinghia. l’autocentratura Cinghia trapezoidale Oggi rappresenta la cinghia di riferimento per la trasmissione di potenza. E’ costruita con una sezione trapezia che si incunea nella stretta scanalatura praticata sulla superficie esterna della puleggia. Oggi si realizzano cinghie trapezoidali con la parte interna segmentata per migliorare l’aderenza e la flessibilità (consentendo di utilizzare pulegge più piccole e aumentare così il rapporto di trasmissione). Tipi di cinghia Cinghia dentata (cinghia sincrona) Una o entrambe le superfici della cinghia sono dentate. Vantaggi I denti della cinghia si ingranano con quelli della puleggia garantendo: •trasferimenti di potenza senza slittamenti •trasferimento del moto con precisione •maggiore silenziosità (in sostituzione della catena; es: nei motori endotermici, per la sincronizzazione delle valvole con i pistoni) Svantaggi: •alto costo •assenza di protezione in caso di sovraccarico (per l’assenza di slittamento) RIDUTTORE DI GIRI Vantaggi: • alta potenza trasmissibile (maggiore rispetto a quella della cinghia dentata) •alto rendimento (dipendente comunque dal tipo di riduttore) •rapporto di riduzione certo •ingombro limitato Svantaggi: •rumorosità medio/alta •costo medio/alto RIDUTTORE DI GIRI Rapporto di riduzione: R = w2/w1 Potenza: P2 = P1* Coppia: C1= R*C2*(1/ ) Inerzia = J2’ = R^2*J2 NB: la trasmissione della potenza lega velocità e coppia: l’asse veloce può essere più sottile, quello lento deve essere più spesso (per reggere una coppia maggiore). NB: con R < 1 •La velocità ω1 della ruota veloce viene vista dalla ruota lenta ridotta del fattore R •La coppia C2 che grava sull’asse lento si ripercuote sull’asse veloce ridotta del fattore R •Il momento d’inerzia J2 che grava sull’asse lento si ripercuote sull’asse veloce ridotto del fattore R2 RIDUTTORE DI GIRI Tipi di riduttori • A vite senza fine (compatto, rendimento basso, costo basso) • A ingranaggi (ingombro contenuto, rendimento buono,costo medio/basso) • Epicicloidale (ingombro contenuto, rendimento medio/alto, gioco • contenuto, costo medio/alto) • Armonico (ingombro minimo, rendimento molto alto, gioco ridottissimo, costo alto) Armonico La corona flessibile ha due denti in meno della corona fissa. Il generatore d’onda (ellittico) ruotando deforma la corona flessibile ingranaldola in quella fissa. Ciò provoca una rotazione della corona flessibile nel verso opposto: quando il generatore d’onda ruota di un giro, la corona flessibile ruota di due denti. Per ridurre l’attrito il generatore d’onda spinge sulla corona flessibile mediante delle sfere. RIDUTTORE DI GIRI Esercizio: Un riduttore ( R = 0.08, = 0.98 ) è azionato da un motore elettrico con coppia 4 Nm e velocità 95 rad/s. Calcolare la coppia C2, la velocità ω2, le potenze P1 e P2. Soluzione: w2 = R*W1 = 0,08*95 = 7.6 rad/s C2 = (C1/R) = 0,98*(1/0.08)*4 = 49 Nm In alternativa P1 = C1*w1 = 4*9 = 380 W P2 = C2*w2 = 49*7,6 = 372,4 W P2 = P1= 0,98*380 = 372,4 w RIDUTTORE DI GIRI Esercizio: Dimensionare la potenza che un motore deve erogare a regime a un riduttore di giri (con R = 1/25 = 0.04, = 0.95) che aziona un carico alla velocità di 1500 g/min con coppia di 60 Nm. Soluzione: w1 = n*(2*3.14/60) = 1500*(2*3.14/60) = 157 rad/s Pc = Cc*w2 = 60 * 157 = 9425 W P = Pc/ 9425/0,9 9921 W RIDUTTORE DI GIRI Esercizio: Dimensionare il rapporto di riduzione di un riduttore che deve far ruotare un carico alla velocità di 18 rad/s quando azionato da un motore elettrico che eroga una coppia di 6 Nm alla velocità di 3000 g/min. Ipotizzando un riduttore ad alto rendimento ( ~ 1 ), calcolare la potenza assorbita dal carico. Soluzione: w1 = n*(2*3.14/60) = 3000*(2*3.14/60) = 3124 rad/s R = w2/w1 = 18 /314 = 0,057 Cc = Cm/R = 6/0,057 = 105 Nm Pc = Cc*w2 = 105*18 = 1885 w PIGNONE E CREMAGLIERA Componente che trasforma il moto rotatorio in traslatorio. Pignone: ruota dentata. Cremagliera: barra dentata. Il moto rotatorio del pignone viene trasformato in traslatorio della cremagliera. Il componente pignone-cremagliera è molto usato nelle automobili per convertire la rotazione dello sterzo in traslazione degli organi che intervengono sulle ruote. VITE SENZA FINE TRAPEZIA Il moto rotatorio della vite è trasformato in traslatorio della chiocciola, cioè la coppia della vite in forza della chiocciola (oppure viceversa). Rapporto di trasformazione: V/w = x / passo/ 2 m/ rad NB: minore è il passo, minore risulta il rapporto di trasformazione, cioè più lentamente si muove la chiocciola a parità di velocità angolare della vite. NB: la Potenza: coppia C che grava sulla vite in conseguenza di una forza F presente sulla chiocciola, corrisponde:alla forza ridotta del rapporto R e amplificata del Coppia C = (1/ ) R F rendimento . VITE SENZA FINE TRAPEZIA Inerzia: MC = massa del carico che grava sulla chiccciola (moto traslatorio) MCH = massa della chiocciola JV = momento d’inerzia della vite L’inerzia delle masse traslanti si ripercuote sulla vite ridotta del fattore R2: J’ = R^2( Mc +Mcr) L’inerzia totale che grava sulla vite risulta: Jt = Jv +J’ = ½*Mv*(D^3/4) + (Mc+Mch)*R^2 Inerzia di un cilindro NB: i cataloghi forniscono direttamente il valore di MCH, mentre spesso non riportano il valore di JV . L’informazione sul momento d’inerzia della vite JV viene fornita mediante il termine PD2 : dove P = peso del corpo rotante (oppure peso espresso in kgp) D = diametro del corpo rotante NB: nel caso da catalogo non fosse possibile risalire a JV, si può ricavare il PD2 misurando il diametro e pesando la vite Nelle viti senza fine il movimento relativo vite-chiocciola provoca fenomeni di usura dovuti all’attrito radente, con conseguente aumento del gioco e riduzione della precisione. VITE A RICIRCOLO DI SFERE L’inserimento di sfere tra la filettatura della vite e quella della chiocciola elimina l’attrito radente. Le sfere rotolando raggiungono il limite della chiocciola e con opportune canalizzazioni sono riportate al suo inizio (ricircolo). Molto impiegate nei casi in cui sono richieste: •alta precisione, •reversibilità del movimento e •alto rendimento. NB: per eliminare il gioco tra sfere e filettatura in alcune viti si precaricano le sfere, si fa in modo cioè che la chiocciola eserciti una pressione sulle sfere (non esagerata per non rendere difficile il loro rotolamento). TRASMISSIONE MECCANICA Esercizio: Un carico, azionato da una chiocciola di una vite a ricircolo di sfere (con passo = 4 mm, = 0.97, L = 1.4 m), deve muoversi con velocità di 80 mm/s. Calcolare: •la velocità con cui deve ruotare la vite ω •lo spostamento della chiocciola dopo 340 giri della vite x Soluzione: R = passo/ 2 0.004/6.28 0.000637 w = v/R = 0.08/0,000637 = 125,6 rad/s x = passo*340 =1.36 m L: lunghezza della vite m/ rad TRASMISSIONE MECCANICA Esercizio: Una vite a ricircolo di sfere ( con R = 0.002 m/rad, = 0.98) è azionata da un motore che gira alla velocità di 1500 g/min e muove un carico di 70 N. Calcolare: •la velocità del carico vc •la potenza assorbita dal carico PC •la potenza erogata dal motore PM Soluzione: w= n*(2*3.14/60) = 1500*(2*3.14/60) = 157 rad/s vc = Vcm =R*w = 0.02*157 = 0.314 m/s Pc = vc *F 0.31470 22 W Pe = Pc/ 22/0.98 22.4 W TRASMISSIONE MECCANICA Esercizio: Dimensionare la potenza di un motore elettrico che aziona una vite a ricircolo di sfere (con R = 0.004 m/rad, = 0.96) che muove un carico alla velocità di 1.5 m/s sviluppando una forza di 16 kgp. Soluzione Fc = 16kgp = 16*9.8 N = 17 N Pc = F*v = 157*15 = 236 W Pm = Pc/ 236/0.98 246 W TRASMISSIONE MECCANICA Esercizio: Calcolare la coppia che un motore deve fornire alla vite (passo = 20 mm/rad, JV = 5.2 10-5, = 0.95) per accelerare la chiocciola da 0 a 0.43 m/s in 0.8 s, caricata con un carico che oppone una forza di 584 N e ha una massa di 193 kg. Soluzione: R = passo/ 2 0.0098/6.28 0.00318 m/ rad C = (1/ ) R* F = (1/0,95) 0.00318 584 1.96 Nm J' R 2 M 0.00318 2 193 0.00196 kgm 2 J T J V J' 0.000052 0.00196 0.002 kgm 2 W = V/R = 0,43/0,00318 = 135 rad /s Cj = Jt * (∆ w/∆ t) = 0.002*(135/0.8) = 0,339 Nm C C'C I 1.96 0.339 2.3 Nm NB: • trascurabile la massa della chiocciola • accelerazione costante