Introduzione
CLAUDIO BARALDI - GUIDO MAGGIONI
1. Premessa
La normativa relativa alla condizione minorile contenuta nella Convention on the Rights
of the Child, stabilita dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre
1989, sottolinea l'importanza che ha assunto il concetto di diritti umani e,
parallelamente, segna l'affermazione del diritto internazionale quale strumento
privilegiato per assicurare l'applicazione di tali diritti.
La Convenzione è sintomatica di un importante processo di evoluzione
normativa: la creazione di stretti legami tra i diritti umani (rights) ed il diritto positivo
(law), per il tramite di convenzioni internazionali. Essa pone le basi per creare una
struttura di aspettative normative riferite ai minori, che debbono essere garantite
giuridicamente, ma anche attraverso adeguate politiche sociali ed opportuni interventi
sociali. Dunque, la Convenzione costituisce una struttura normativa fondamentale per il
trattamento della condizione minorile, non solo sul piano giuridico, ma più in generale
sul piano della costruzione di aspettative resistenti alle delusioni nei diversi sistemi
sociali che si occupano di minori.
In questa prospettiva, che pone l'accento sui rights, l'attuazione normativa può
dunque essere interpretata come istituzionalizzazione di aspettative resistenti alle
delusioni in vari sistemi sociali: sistema giuridico, sistema politico, sistemi di intervento
sociale, sistemi che coinvolgono direttamente i minori, come le famiglie o i sistemi
educativi.
In particolare, la struttura normativa della Convenzione propone tre forme fondamentali
di diritti (rights):
1. Diritto alla cura genitoriale e alla protezione da abusi, che porta alla creazione di
sistemi di protezione (protection);
2. Diritto di possedere, ricevere o accedere a beni e servizi, che porta alla creazione di
appositi servizi per i minori (provision);
3. Diritto di esprimere se stessi ed avere voce attiva, che porta alla creazione di sistemi
di partecipazione (participation).
Queste tre forme fondamentali di diritti costituiscono un piano generale di costruzione
dei diritti alla cittadinanza dei minori. In queste tre forme, riassumibili appunto sotto
l’etichetta di cittadinanza, la Convenzione necessita di un’attuazione che si presta a
diversi gradi di impegno. Negli anni novanta, la società ha promosso in misura
crescente questi diritti di cittadinanza dei minori. Questi ultimi sono diventati una
risorsa scarsa attentamente tutelata: ciò ha prodotto un crescente interesse per
l’intervento nei loro confronti (servizi e partecipazione) e un crescente allarme sociale
nei confronti della violazione dei loro diritti (protezione).
Il problema non si pone solo o primariamente in ambito strettamente giuridico,
bensì anche e soprattutto sul piano delle varie strategie che la società adotta nei
1
confronti dei minori, incorporandole nelle politiche sociali e negli interventi di
promozione dei diritti e di prevenzione dell’abuso. La stabilizzazione delle aspettative
normative relative a questi aspetti della cittadinanza è cruciale.
Questo secondo volume della parte sociologica del rapporto di ricerca esplora
l’attuazione della Convenzione, sul piano delle sue forme fondamentali,
nell’osservazione e nel trattamento dei diritti dei minori in sistemi sociali, quali le
politiche per i minori, gli interventi predisposti in loro favore, i sistemi educativi ed i
gruppi formali. In tal modo, esso analizza l’attuazione delle indicazioni della
Convenzione in diritti sociali sul territorio. In particolare, considereremo l’attuazione
della Convenzione nella regione Marche: analizzeremo la conservazione, la promozione
e la protezione dei diritti di cittadinanza dei minori sul territorio marchigiano,
distinguendo secondo età diverse e contesti diversi, ma comunque sempre con
riferimento alla condizione minorile.
2. L’approccio teorico alla condizione minorile
Questa esplorazione prende avvio da un’impostazione teorica multidisciplinare, nella
quale convergono la sociologia del diritto, la teoria della socializzazione, la teoria della
comunicazione e la sociologia dell'infanzia. Questa impostazione interdisciplinare
confluisce in una teoria articolata dei diritti di cittadinanza, inclusiva di concetti relativi
alla soggettività autonoma e attiva del minore e alle teorie dell'intervento che sono alla
base dell’attuazione dei diritti. Vediamo ora, in sintesi, l’approccio teorico di sfondo che
guida la nostra analisi.
La personalizzazione ed i diritti (rights)
Il punto di partenza per considerare il problema dell'attuazione normativa dei diritti dei
minori nella società moderna è il processo che molti sociologi definiscono di
individualizzazione, ma che qui, per motivi teorici1, si preferisce definire di
personalizzazione2.
La personalizzazione consiste nel fatto che, per motivi legati ai mutamenti di
struttura della società, che diventa differenziata per funzioni3, gli individui vengono
trattati socialmente (attraverso opportune forme di comunicazione) e, in base a ciò, si
pensano, come unici e specifici (persone).
La personalizzazione è funzionale ad una società che richiede a ciascun
individuo la competenza a partecipare in molteplici e differenziati contesti sociali e la
responsabilizzazione per i contributi che in essi può offrire. La personalizzazione
1
I motivi teorici consistono nel fatto che, nella prospettiva qui adottata, l'individualità non è mai stata
né assente, né incrementabile dall'epoca dell'ominizzazione. Essa, infatti, si definisce per l'esistenza di un
sistema psichico autonomo, capace di produrre da sé, sebbene in base ad ovvie influenze sociali, il
proprio pensiero. In questa prospettiva, non ha alcun senso parlare di individualizzazione in connessione
ad una determinata società, come se, ancora oggi, coloro che nascono e vivono in una tribù africana fosse
meno individualizzati di coloro che nascono e vivono a Urbino o Milano.
2
L'idea di individualizzazione (Beck & Beck-Gernsheim 1996) non distingue tra l'individualità
biopsichica, fondativa della vita umana singolare, ed il processo sociale che ne costruisce i significati.
3
Si rimanda, per questo, ai contributi di Baraldi 1997a, 1998, 1999.
2
consente al singolo individuo lo sganciamento da appartenenze sociali esclusive e gli
richiede la responsabilizzazione per i contributi forniti a ciascun contesto sociale nel
quale si trova incluso. Un individuo personalizzato può dunque autoesonerarsi da una
reclusione sociale ristretta, come quella dei singoli gruppi sociali, e conseguentemente
partecipare con senso di responsabilità personale in tutti i contesti sociali, tra loro
diversi ed ugualmente rilevanti per la società.
Un individuo personalizzato viene osservato nella società e può a sua volta
autoosservarsi come autonomo. La personalizzazione è una costruzione sociale che,
attraverso la socializzazione, permette anche la formazione di una rappresentazione
individuale dell’autonomia, che può essere denominata autonomia personale.
L’autonomia personale indica la forma generale della partecipazione sociale degli
individui. Nell’era dell’autonomia personale, nasce anche il problema della dipendenza.
L'idea di dipendenza ha infatti un significato peculiare in una società nella quale si
attribuisce valore primario all'autonomia personale, poiché diventa un'alternativa da
evitare in quanto preclusiva di una partecipazione adeguata alle esigenze poste dalla
società.
Il tema dell'autonomia (e della dipendenza) è cruciale per l'attuazione dei diritti
dei minori: le domande fondamentali poste nella società attuale vertono sui tempi e sui
modi di acquisizione dell'autonomia, che sono anche i tempi ed i modi di realizzazione
dei diritti di cittadinanza. Di conseguenza, la distinzione che diventa centrale è quella
tra autonomia e dipendenza (o, in modo più preciso, eteronomia), che caratterizza il
dibattito delle scienze sociali relativamente alla condizione minorile.
In effetti, il processo di personalizzazione non è privo di ambiguità, problemi e
controtendenze. La società e le scienze sociali insistono sia sulle libertà e sui diritti
individuali, sia sulle appartenenze sociali. Le scienze sociali hanno tentato
ripetutamente di rendere conto di questo duplice rimando, sottolineando l'importanza,
accanto all'autonomia relativa degli individui, anche delle relazioni sociali, delle
identificazioni nel gruppo o nei singoli, delle appartenenze e delle dipendenze.
Non esiste alcun accordo nelle scienze sociali su questa galassia concettuale: tuttavia,
un punto fermo resta, e cioè che il problema di partenza nella nostra società è e rimane il
rapporto tra un individuo altamente personalizzato (autonomo) e la società. Se, infatti,
non esistesse questo problema, i concetti sopra citati di relazione sociale,
identificazione, appartenenza avrebbero il significato di banali considerazioni su stati di
fatto e non di problemi rilevanti da studiare.
Il trattamento sociale dell'individuo come persona è andato sempre più
generalizzandosi e radicalizzandosi, soprattutto nel secolo che sta per concludersi. Per
questo motivo, esso è diventato anche la base per la costruzione di una semantica
normativa di diritti individuali fondamentali, che, a loro volta, vanno a determinare i
criteri dell'inclusione degli individui nella società. Tale semantica normativa viene
definita anche come cittadinanza.
I diritti personali fondamentali sono il prodotto di una semantica trasversale a
tutti i sottosistemi della società, in quanto la personalizzazione si presenta come un
problema generale nell'intera società: essa vale in tutti gli ambiti e la sua violazione è
sempre e comunque un danno per la società. Per questo motivo, essa è strettamente
associata al tema della cittadinanza.
3
In particolare, la fase più delicata e importante di personalizzazione è quella
cosiddetta “minorile”4, durante la quale si presume che gli individui diventino persone,
a partire da particolari influenze sociali, prodotte nei diversi contesti sociali con i quali
essi entrano progressivamente in contatto. Tali contesti si sono sviluppati nella società,
andando oltre la tradizionale comunità locale, ed investendo, oltre alla famiglia e al
vicinato (peraltro, oggi spesso esautorato), il sistema educativo formale e varie
organizzazioni sul territorio, incluse le politiche sociali rivolte ai minori, che stanno
assumendo una crescente rilevanza nel mondo occidentale e nel nostro paese. La
combinazione tra osservazione dello sviluppo cognitivo ed emotivo individuale e
rapporto con simili sistemi sociali produce una concezione dei diritti personali.
L’età minorile è considerata nella società particolarmente fragile e da tutelare, in
quanto in essa vengono messe in gioco le fondamenta del futuro assetto dei ruoli sociali.
La personalizzazione viene insieme incentivata ed orientata, onde evitarne sia la
repressione, sia lo sviluppo deviante, due minacce considerate particolarmente gravi per
l'assetto sociale.
In conseguenza di questa preoccupazione, i diritti personali fondamentali dei minori,
come ha formulato la Convenzione per i Diritti dei Minori delle Nazioni Unite, possono
essere accorpati nei tre grandi settori, che corrispondono alle tre forme di diritto citate
nel § 1:
1. La protezione, indispensabile per assicurare che la personalizzazione non venga
ostacolata, negata o repressa;
2. La partecipazione, indispensabile per assicurare che la personalizzazione possa
sperimentarsi socialmente ed, in tal modo, manifestare i propri sviluppi in modo
visibile;
3. La creazione di beni e servizi, indispensabile per assicurare che la personalizzazione
si incanali secondo le strutture sociali considerate conformi e legittime.
Le rappresentazioni teoriche della condizione minorile
In questo quadro, si capisce perché, negli ultimi decenni, la società ha manifestato un
crescente interesse nei confronti dei minori. In particolare sotto l’etichetta “children”,
che copre l’intera età minorile (da 0 a 18 anni), si sono affermate una cultura ed una
teoria sociale che propongono molte contraddizioni. L’età minorile copre due diverse
“condizioni sociali” che sono spesso osservate, ma in modi tra loro diversi: la
condizione dell’infanzia e la condizione adolescenziale.
L’attenzione che la sociologia ha rivolto in anni recenti all’età minorile5 è
indicata dal fiorire di progetti di ricerca che focalizzano la propria attenzione sulla
4
Il termine, particolarmente infelice, rende già evidente l'imbarazzo della società di fronte a quelle
che sono considerate delle quasi-persone. Non meno infelice è l'accorpamento prodotto nella lingua
inglese di coorti di età assai diverse sotto l'etichetta children. Si veda, a questo proposito, Maggioni 1997.
5
I sociologi dell’infanzia si sono ritrovati, per la prima volta, nel 1990, al Congresso Mondiale di
Sociologia: cfr. Qvortrup 1995. Da quel momento, sono stati organizzati numerosi convegni e seminari
internazionali sull’infanzia, soprattutto nei paesi del Nord Europa (Gran Bretagna, paesi scandinavi,
Germania). In Italia, l’interesse è più modesto, nonostante il dinamismo impresso dal Centro Nazionale di
Documentazione ed Analisi per l’Infanzia e l’Adolescenza, del Dipartimento degli Affari Sociali della
Presidenza del Consiglio, per il cui contributo si vedano le pubblicazioni Rapporto sulla condizione dei
minori in Italia 1996, Roma, 1996; Un volto o una maschera? I percorsi di costruzione dell’identità.
4
condizione dei bambini6, dalla pubblicazione di riviste specializzate e di molti volumi7.
Ma che significato ha questa attenzione?
Le rappresentazioni teoriche fondamentali dell’età minorile che hanno dominato
la scena nel nostro secolo sono quattro: la prima definisce questa età nei termini di fase
specifica dello sviluppo individuale, la seconda la definisce come variabile dipendente
del processo di socializzazione, la terza la definisce come componente strutturale della
società ed infine la quarta osserva i “minori” come attori sociali (si veda Boggi 1997).
L’idea di età minorile come sinonimo di sviluppo individuale appare ancora oggi
largamente dominante, soprattutto nella psicologia e nella pedagogia 8. “Sviluppo” è
sinonimo di crescita e di cambiamento: è un concetto che definisce una realtà in
trasformazione. L’idea di sviluppo dà la priorità ai cambiamenti che l’individuo vive nel
suo processo di crescita9. Il riferimento, in primo luogo, è alle trasformazioni di ordine
fisico e biologico: ad un corpo (ed a una mente) che si modificano nel tempo e nello
spazio. In questa idea di stadi evolutivi è implicita una concezione del minore come
soggetto debole e limitato dal punto di vista delle competenze, che passa da una
condizione di dipendenza e immaturità ad una caratterizzata dall’acquisizione della
razionalità, prerogativa esclusiva della condizione adulta. La pervasività del paradigma
dello sviluppo è dimostrata dalla forte influenza che esso ha avuto in ambiti disciplinari
diversi e fra loro anche molto distanti. In ambito giuridico, ad esempio, il prevalere di
una visione di carattere evolutivo-lineare, è rappresentata dall'idea del passaggio dalla
condizione di “minore” ad una di “maggiore età” (Maggioni 1997). Il passaggio alla
condizione di maggiorenne avviene attraverso l’acquisizione di una “capacità di agire”.
Questa visione lineare della crescita ha subito un profondo processo di
istituzionalizzazione nelle pratiche quotidiane degli adulti che si relazionano ai minori:
essa, infatti, permea il lavoro pratico-operativo di insegnanti, educatori, assistenti
sociali, nonché le idee dei genitori nell’accudimento e nell’educazione dei figli.
La seconda rappresentazione dominante, strettamente correlata alla prima,
definisce l’età minorile nei termini di un concetto tradizionale di socializzazione,
Rapporto 1997 sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, Firenze, 1997; In testa ai miei
pensieri. Conferenza nazionale sull’infanzia e sull’adolescenza, Roma, 1999.
6
Che hanno come capostipite la ricerca Childhood as a social phenomenon promossa a livello
europeo dall’European Center of Vienna (Qvortrup, Bardy, Sgritta, Wintersberger 1993).
7
Tra le riviste, è degna di nota la già affermata Childhood. Tra i testi più rappresentativi della nuova
riflessione internazionale, oltre al già citato volume curato da J. Qvortrup ed altri, segnaliamo Frønes
(1993, 1997); Chisholm, Buchner, Kruger, du-Bois Reymond 1995; Jenks 1996; James, Jenks, Prout
1998; Corsaro 1997; Mouritsen e Qvortrup 1997; James e Prout 1998. In Italia, si segnalano Donati 1984;
Sgritta 1988; Donati 1991; Censi 1994; Wintesberger 1994; Stroppa 1996. Da ultimo, è comparso il già
segnalato Maggioni e Baraldi 1997.
8
In particolare, i sociologi dell’infanzia attribuiscono all’influenza di Jean Piaget il dominio di
questo approccio. Si veda Jenks 1996; James, Jenks e Prout 1998. Si veda, tra le varie opere di Piaget
(Piaget 1967).
9
Il termine infanzia dal latino infans indica un soggetto che non parla. Da un’analisi delle definizioni
che del termine infanzia sono state elaborate nel corso degli anni, in diverse enciclopedie, appare evidente
la difficoltà di individuare una definizione univoca. Per l’Enciclopedia Treccani del 1933, l'infanzia è il
periodo della vita che va dalla nascita ai dodici-quindici anni. Ma l'infanzia vera e propria è il periodo in
cui il nuovo essere cresce, sviluppa gli organi e i sensi, ma ancora non può comunicare perché non sa
parlare. In pubblicazioni enciclopediche più vicine ai giorni nostri, come nel Grande Dizionario
Enciclopedico Utet, le chiavi di lettura privilegiate sono quello offerte dalla psicologia dell’età evolutiva e
dalla pedagogia.
5
dominante nell’analisi sociologica10. Quest’idea di socializzazione può essere
considerata l’equivalente, in chiave sociologica, dell'idea psicobiologica della crescita.
Per questo motivo, il discorso sociologico sui minori è stato per lungo tempo
subordinato allo studio della famiglia e più in generale delle diverse agenzie di
socializzazione.
In modo critico nei confronti di questi paradigmi, il dibattito sviluppatosi nel
corso degli ultimi anni nell’ambito della sociologia ha, invece, focalizzato la propria
attenzione su di una nuova prospettiva: quella del minore come attore sociale 11. I minori
vengono concettualizzati come soggetti in grado di trasformare creativamente la società,
a partire dalle pratiche quotidiane. In questa prospettiva, prevale un approccio di tipo
“costruzionista sociale”, che ritroviamo, ad esempio, nella sociologia dell’infanzia
«L’infanzia è compresa come una costruzione sociale. In quanto tale, essa crea un
quadro interpretativo che contestualizza i primi anni della vita umana. L’infanzia,
distinta dall’immaturità biologica, non è una caratteristica né naturale, né universale dei
gruppi umani, bensì appare come una componente strutturale e culturale specifica di
molte società» (Jenks 1996, 50). In particolare, il bambino «è concepito come una
persona, uno status, un corso di azioni, un insieme di bisogni, diritti o differenze, in
sintesi, come un attore sociale» (James, Jenks e Prout 1998, 207).
Anche l’osservazione della cosiddetta “condizione adolescenziale”, che ha da
diversi decenni attratto l’attenzione dei sociologi, rientra in questa logica generale. In
molte analisi più tradizionali, l’idea di condizione adolescenziale è derivata da una
rappresentazione dello sviluppo individuale. In questa prospettiva, la promozione della
partecipazione sociale, la protezione dal disagio e la creazione di beni e servizi sono
forme generali differenziate del sostegno allo sviluppo individuale, declinabili per
ciascuna classe di età, dunque anche per l’adolescenza. Poiché anche la condizione
adolescenziale viene fatta rientrare nell’area di sviluppo, si applica ad essa la logica
generale del sostegno allo sviluppo. I significati specifici dei diritti degli adolescenti
nascono così dalla combinazione della promozione politica dei diritti di cittadinanza con
la concezione dell’età adolescenziale come fase dell’età evolutiva. Anche per gli
adolescenti, più recentemente, si è proposta un’idea di “protagonismo” che rinvia al
concetto di attore sociale. Tuttavia, risulta più evidente per un adolescente, che non per
un bambino, il risvolto ambivalente di un protagonismo sociale subordinato allo
sviluppo.
Emerge con una certa evidenza la difficoltà nel disegnare un quadro teorico che
possa includere una fascia di età ampia quanto l’idea di “minori” o “children” implica.
L’intenzione unificatrice della Convenzione dell’ONU, che abbiamo citato, evidenzia in
realtà la difficoltà nell’identificare una categoria specifica di “minori”, alla quale
applicare uniformemente la logica dei diritti di cittadinanza. In questo quadro, si è
imposta una visione che, nonostante l’accento concettuale posto sull’idea di attore
10
In campo sociologico, sono celebri le ricerche dello struttural-funzionalismo (Parsons e Bales
1975) e dell'interazionismo simbolico (Denzin 1979). Entrambi gli approcci fanno riferimento esplicito a
Mead 1972. Anche la psicologia sociale ha analizzato l’influenza del contesto sociale sui bambini
(Emiliani e Carugati 1985; Doise e Palmonari 1988; Di Blasio 1995).
11
La versione teoricamente più chiara di questo approccio è stata formulata dal sociologo americano
William Corsaro: si vedano Corsaro 1997; Corsaro e Molinari 1997; Corsaro & Miller 1992. Abbiamo già
citato l’analisi di James, Jenks e Prout 1998.
6
sociale, sposa primariamente l’idea di “disagio”. Da una parte, il disagio è considerato
un’espressione generale tipica dell’età dello sviluppo, per cui diventa anche una
motivazione diretta di tutte le politiche e di tutti gli interventi che si occupano di minori.
Dall’altra parte, esso viene osservato come un fenomeno in crescita preoccupante ed
anomala, a causa del crescente “disorientamento” (termine diffusamente utilizzato da
esperti e operatori) delle nuove generazioni, per cui è anche una motivazione specifica
per occuparsi di minori, soprattutto adolescenti. Di conseguenza, si è prodotto negli
ultimi due decenni un crescente riferimento al “disagio minorile” e alla sua necessaria
prevenzione. Una conseguenza importante è l’orientamento dominante che si produce
alla protezione dei minori dal disagio (Baraldi 1999): questo diritto viene spesso
considerato “più fondamentale” degli altri.
I minori come persone
L’idea di minore come attore sociale è compatibile con una teoria che descrive il minore
come persona, nel quadro di una teoria della socializzazione12. Fin dalla nascita, il
bambino viene introdotto ad una dimensione sociale che si intensifica ed estende
sempre più, attraverso le sue relazioni con gli interlocutori, anzitutto adulti. Questa
“relazione” può essere osservata come comunicazione: il bambino comprende
informazioni e intenzioni degli interlocutori, diventando col tempo capace di costruirne
e gestirne i significati e ponendoli poi alla base della sua partecipazione come attore
sociale. Il bambino può essere considerato come un partecipante autonomo alla
comunicazione, così come la comunicazione può essere considerata un vincolo esterno
per la sua socializzazione. Inoltre, la comunicazione, che costituisce il contesto sociale
del singolo bambino, può essere considerata anche un vincolo per la concezione
dell’infanzia in generale.
E’ nel contesto sociale, infatti, che si creano le condizioni per assegnare o non
assegnare valore all’autonomia del bambino. Viene generalmente riconosciuto che le
idee del bambino come persona individuale e di autonomia del bambino hanno
un'origine storica13: soltanto negli ultimi tre secoli, nella società si è iniziato ad
attribuire un valore diffuso a queste idee, considerandole presupposti necessari per
scelte individuali e collettive, anche paradossali, come sottolinea il lavoro di Philippe
Ariès, che funge da punto di riferimento per la nuova sociologia dell’infanzia. Questo
percorso storico è andato sviluppandosi verso una celebrazione del bambino come
unicità, verso un’esplorazione della «particolarità della persona» (Jenks 1996, 73).
Come abbiamo visto, il valore attribuito all’autonomia personale è correlato alle
condizioni strutturali della società moderna14, che sono diventate particolarmente
evidenti nel ventesimo secolo: «Il bambino è stato promosso allo status di persona, una
classe specifica dell’essere che presenta bisogni, desideri ed anche diritti. Ed è questa
12
Nei paragrafi che seguono, si farà primariamente riferimento alle idee espresse in diversi lavori di
C. Baraldi: Baraldi 1992a, 1992b, 1994, 1994, 1997a, 1997b, 1999.
13
Il più noto esponente dalla tradizione degli studi storici sull’infanzia è, naturalmente, lo studioso
francese Philippe Ariès (si vedano Ariès 1979, 1981). In Italia, sono noti i lavori di. E. Becchi (si vedano
becchi 1994, Becchi & Julia 1996. Per la Germania, si vedano le osservazioni in Beck & Beck Gernsheim
1996. Per la Gran Bretagna, Hendrick 1998; inoltre, Jenks 1996 e James, Jenks e Prout 1998. Per gli Stati
Uniti, infine, si veda Gadlin 1978.
14
Cfr. Berger, Berger e Kellner 1973; Elias 1990; Luhmann 1986; Heller 1989.
7
personificazione che ha preparato il terreno per il nostro interesse contemporaneo per i
bambini come individui» (James, Jenks e Prout 1998, 13). Il processo storico, dunque,
si compie nella «transizione dal bambino come istanza di una categoria al
riconoscimento dei bambini come persone particolari» (ibid., 6) e nel riconoscimento
che i bambini non sono «persone non completamente formate che aspettano di diventare
adulti», bensì «sono quel che sono» (ibid., 14).
La crescita della pressione verso l’autonomia personale e della conseguente
paura della dipendenza ha portato ad oscillare tra la protezione dal disagio e la
promozione dell’autonomia del minore. Si sono moltiplicate e sono diventate più
pressanti le domande sull'età “giusta” per le scelte autonome e personali. A quale età un
minore ha il diritto di guardare la Tv da solo? Che significato hanno i diritti educativi
per i bambini piccoli? Ha senso proporre ai bambini di sei anni il diritto di andare a
scuola da soli? Ha senso offrire loro il diritto di decidere sulla città, insieme agli adulti?
E, se la risposta è negativa, in quali condizioni essi possono far valere i propri diritti per
quel che riguarda le decisioni che li riguardano? Gli adolescenti hanno il diritto ad
aggregarsi liberamente? I centri di aggregazione creano autonomia o dipendenza?
L’incertezza della società sulla personalizzazione dei minori si è accentuata,
poiché, nonostante le critiche alle teorie dello sviluppo, l’età viene ancora considerata
un vincolo, rispetto a ciò che ci si può o non ci si può aspettare dai minori, cioè rispetto
al “grado” della loro autonomia personale. Nella società, si producono soglie per la
personalizzazione legittima e, dunque, anche per la protezione degli adulti, da una parte,
e per la promozione dell’autonomia personale dei minori, dall’altra.
Società ed autonomia dei minori
In particolare, alla famiglia viene attribuita una rilevanza sociale primaria, in quanto
contesto di protezione dal disagio e promozione dell’autonomia personale del minore.
Nell’ultimo secolo, la famiglia è sempre più chiaramente diventata il contesto di
comunicazione interpersonale intima, fondato sull’amore, nel quale la persona del
bambino viene inclusa e promossa in modo globale e complessivo15. Dal contesto
familiare, ci si aspetta un amore necessario ed incondizionato per i bambini16 e, nel
corso del ventesimo secolo, la personalizzazione affettiva dei rapporti tra genitori e figli
è andata radicalizzandosi ed allargandosi: per la “crescita adeguata” del bambino, si
ritiene indispensabile mostrare un affetto sufficiente a renderlo persona significativa, ai
suoi stessi occhi17.
Tuttavia, nella nostra società, la funzione della famiglia viene osservata in modo
ambivalente18. Da una parte, la famiglia deve creare un mondo vicino sicuro e
15
Il discorso riguarda, più complessivamente tutti coloro che fanno parte di una famiglia: cfr. Baraldi
1997c; Beck & Beck-Gernsheim 1996, De Singly 1996; Dizard e Gadlin; Luhmann 1985; Luhmann
1988; Saraceno 1994.
16
Secondo la versione di J. Dizard e H. Gadlin (op. cit.), quando l’amore viene condizionato, viene
anche “corrotto” e sorgono molti guai per la socializzazione dei bambini. Questa tesi, pur in altri termini
concettuali, è condivisa da numerosi psicoterapeuti. Si veda, ad esempio, la teoria dei giochi familiari, in
Cirillo & Cipolloni 1994, oppure Cirillo, Berrini, Cambiaso e Mazza 1996.
17
Tra le teorie più note che indicano il primato della personalizzazione affettiva, Bowlby 1988,
Mahler, Pine e Bergman 1978, Winnicott 1970 e Stern 1987). Una sintesi recente di questo tipo di
argomentazione è contenuta in Riva Crugnola 1999.
18
Cfr. Dizard & Gadlin, op. cit.; Fruggeri 1997; Walsh 1993.
8
protettivo, nei confronti delle asprezze della vita sociale esterna. Dall’altra parte, essa
deve permettere al minore di misurarsi autonomamente con il mondo esterno,
apprendendo a parteciparvi. Da una parte, la famiglia deve includere la persona del
minore, in modo globale ed affettivo. Dall’altra parte, essa deve promuovere
l’autonomia personale del minore, “lasciandolo andare” o, addirittura, incitandolo a
differenziarsi dai genitori, “per il suo bene”. La protezione crea le condizioni per il
conforto e la conferma della persona, cioè le basi affettive dell’autonomia personale. La
promozione dell’autonomia previene la fragilità e la dipendenza, che bloccherebbero la
carriera sociale, in una società che richiede scelte personali. Protezione e promozione
debbono realizzarsi insieme ed i genitori debbono camminare sul filo sottile che separa
l’eccesso di protezione dall’eccesso di libertà: per ogni età, si richiede di dosare
sapientemente protezione e promozione della persona.
Questo contesto familiare dovrebbe fondare i rapporti del minore con la società
complessiva: in tale società, il minore si esprime come attore sociale che manifesta,
attraverso le proprie scelte, la personalizzazione avvenuta, oppure le carenze di
personalizzazione. Tuttavia, nella società, si osserva anche che la famiglia ha bisogno di
un sostegno significativo per promuovere in modo soddisfacente la persona del minore.
Il più importante tentativo di favorire ed insieme regolamentare socialmente la
personalizzazione dei minori consiste nell’educazione scolastica, diventata sistematica e
generalizzata nel ventesimo secolo. Tale educazione si propone una trasformazione
controllata dell’età minorile, predisponendo le condizioni per una formazione
intenzionale della personalità dei minori.
La funzione educativa ha origine dalla concezione ambivalente della
personalizzazione. Da un lato, la personalizzazione viene caldeggiata e valorizzata come
condizione essenziale per la partecipazione sociale e l’inclusione nella società. Dall'altro
lato, essa pone dei problemi rispetto all'integrazione sociale, poiché produce anche
risultati incontrollabili per la società ed è potenzialmente una minaccia per l’ordine
sociale. Per questo motivo, diventa necessario promuovere un’adesione autonoma a
valori e ruoli socialmente definiti. Come osserva il sociologo inglese Chris Jenks, il
bambino in via di sviluppo deve essere monitorato e sottoposto a controlli, al punto che
l’infanzia è l’area dell’esistenza personale più intensamente ed estesamente controllata,
attraverso un’osservazione incessante, una sorveglianza che assume l’aspetto innocuo
del “prendersi cura” dei bambini, attraverso l’intervento di medici, insegnanti, psicologi
dell’educazione e dello sviluppo, assistenti sociali, educatori vari, sempre “per il loro
bene”. In questa prospettiva, essere socializzati significa interiorizzare la sorveglianza,
attraverso un apprendimento autonomo, cioè attraverso un «controllo personalizzato»
(James, Jenks e Prout 1998, 58).
La formazione complessiva della persona che soddisfi l’integrazione nella
società attraverso questa interiorizzazione è l’obiettivo primario dell'educazione e dei
servizi per i minori, che si è sempre più imposto nel corso del ventesimo secolo.
Conseguentemente, soprattutto negli ultimi tre decenni, è stata amplificata notevolmente
l’organizzazione educativa della vita del minore, attraverso sia un aumento quantitativo
degli impegni educativi, sia una sempre più raffinata riflessione pedagogica sulla qualità
9
dell’educazione19. In particolare, il sistema educativo ha accolto l’invito della pedagogia
a promuovere la partecipazione sociale dei minori: da una concezione passiva del
bambino, al quale si richiedeva anzitutto di accettare l'orientamento degli adulti, si è
passati ad una sua concezione attiva, con la richiesta di partecipare alla vita sociale, di
autoformarsi e di fornire suggerimenti agli adulti. Oggi, si tenta sempre più
frequentemente di trasformare il minore in “protagonista” della vita sociale,
modificando così anche le pratiche educative.
Tuttavia, la crescente pressione educativa, combinata ad una crescente pressione
alla personalizzazione, crea anche problemi. Si possono osservare due tendenze
parallele: l’incremento dell’autonomia personale e l’incremento della regolazione
sociale, che caratterizza l’assunzione di responsabilità degli adulti nei confronti dei
minori, per cui l’individualità del minore può emergere soltanto attraverso la disciplina
delle menti e dei corpi e la regolazione dei tempi e degli spazi (Jame, Jenks e Prout
1998). Il tentativo di vincolare ed insieme sostenere la personalizzazione attraverso
l'educazione crea un paradosso, poiché l'autonomia personale viene fondata
sull'eteronomia. Si suppone che l’educazione sia in grado di creare dall’esterno ciò che
può essere soltanto un prodotto interno: l’autonomia. Quanto più insiste sulla persona e
sulla sua autonomia, tanto più l’educazione appare paradossale, nella formula
“possiamo formare la tua autonomia personale”.
L’osservazione di questo paradosso ha portato, nella società, alla crescita della
preoccupazione per la capacità dei processi educativi di formare effettivamente
l’autonomia personale dei minori. Questa preoccupazione, non si riflette soltanto nelle
critiche sociologiche al paradigma dello sviluppo, ma caratterizza anche diversi
interventi sociali che vengono indirizzati ai minori, ad esempio nelle scuole dell'infanzia
e nel caso della Città dei Bambini, come vedremo in seguito. La pedagogia chiede
sempre più spesso nuove forme di promozione dell’autonomia personale dei minori, per
superare le difficoltà del modello educativo paradossale.
Oggi, non è chiaro quale sia il grado di personalizzazione socialmente adeguato
per un minore. L’incertezza è evidente nel fatto che, parallelamente all’invito a
promuovere l’autonomia dei minori, si diffonde la paura che i minori siano a disagio.
Così, il rapporto tra protezione e promozione diventa sempre più ambiguo ed il
problema del “giusto grado” di personalizzazione, anziché ridursi, si ingigantisce.
La comunicazione tra minori ed adulti
Questo problema si manifesta nei rapporti comunicativi concreti che coinvolgono i
minori. Possiamo osservare tre componenti primarie della comunicazione che coinvolge
i minori20. La prima è data dai contributi dei partecipanti: la comunicazione può trattare
i partecipanti come ruoli standardizzati (comunicazione impersonale), oppure come
persone specifiche (comunicazione interpersonale), oppure anche in entrambi i modi, in
una comunicazione asimmetrica (ad esempio, quando un adulto tratta un bambino come
persona ed esige di essere trattato come ruolo), oppure in una comunicazione combinata
19
Tra le riflessioni pedagogiche più raffinate, si vedano, ad esempio, Becchi 1979, Bertolini 1994,
Bertolini 1993.
20
Per il concetto di comunicazione, si vedano Bonazzi 1998, Luhmann & De Giorgi 1994, Pearce
1992. Una presentazione più esaustiva della teoria delle forme di comunicazione che qui seguiamo si
trova in Baraldi 1999.
10
(quando il ruolo e la persona debbono manifestarsi insieme). La seconda componente è
data dai valori culturali rilevanti che orientano la comunicazione: la comunicazione può
essere primariamente basata sul valore di una correttezza sociale generalizzata, oppure
su quello del rispetto delle prospettive personalizzate di tutti i partecipanti. La terza
componente è data dalle aspettative, che possono essere affettive (quando si attribuisce
rilievo primario alla costruzione e all’espressione delle emozioni), normative (quando si
attribuisce rilievo primario all’acquisizione di regole) e cognitive (quando si attribuisce
rilievo primario all’acquisizione di conoscenze e competenze).
Mentre appare piuttosto chiara la forma di comunicazione interpersonale che
definiamo “amore per i minori”, basata sul valore primario e radicale delle prospettive
personali e delle aspettative affettive, è interessante osservare, invece, la maggiore
ambiguità di ciò che definiamo “educazione dei minori”.
Si ha educazione quando nella comunicazione: a) viene manifestata
un’intenzione formativa, cioè l’adulto ed il bambino assumono particolari ruoli; b) si
produce una distinzione orientativa tra ciò che è positivo e ciò che è negativo dal punto
di vista dell'educatore, cioè si produce un orientamento al valore di una correttezza
sociale generalizzata21. A partire da questi presupposti generali, l’educazione può però
realizzarsi in forme diverse22. Essa può realizzarsi in forma completamente impersonale,
cioè essere praticata con neutralità affettiva, per garantire la generalizzazione dei
risultati normativi e cognitivi23, oppure può includere anche le persone dei minori e le
aspettative affettive: attraverso l’attenzione per la motivazione del minore (educazione
orientata alla persona), attraverso l’ascolto del punto di vista del minore, posto al centro
dell’attenzione (educazione centrata sulla persona), oppure attraverso l’interpretazione
dell’educatore come persona di riferimento costante e sistematica per i minori
(educazione interpersonale)24.
Le forme educative che includono le persone dei minori sono oggi molto
apprezzate dagli educatori, dai pedagogisti e dagli stessi genitori. Queste forme
riducono la generalizzazione e la standardizzazione delle aspettative, nel nome del
rispetto per la diversità di ciascun minore, introducendo aspettative affettive a fianco di
quelle normative e cognitive. Si suppone che una comunicazione educativa che includa
la persona del minore possa “umanizzare” i rapporti sociali, evitando i guasti della
fredda impersonalità del ruolo e le minacce della mancata personalizzazione. Si afferma
per questo la semantica del rispetto per la diversità, dell'ascolto, della comprensione e
del diritto alla parola25.
21
Questa formulazione è tratta da Luhmann & Schorr 1988. Tuttavia, essa è certamente una
definizione largamente condivisa, sebbene spesso in base a formulazioni concettuali diverse. Si veda, in
proposito, Corsi 1998.
22
La diversità delle forme viene osservata anche dalla psicologia e dalla pedagogia, sebbene in
termini diversi dai nostri. Si vedano, ad esempio, Lumbelli 1990, Vuoso 1990, Orlando Cian 1993;
Carugati & Selleri 1996.
23
Il riferimento sociologico privilegiato è qui il lavoro di Parsons (T. Parsons, R. Bales, op. cit.), che,
negli anni cinquanta, chiarisce il significato del sistema educativo moderno.
24
Questa argomentazione è approfondita con molti esempi empirici in Barald 1996a e Baraldi &
Piazzi 1998.
25
I primi profeti di queste idee sono stati due psicologi americani (K. Rogers, T. Gordon). Per una
sintesi di questo approccio, attualmente molto popolare, si veda Goleman 1996.
11
Tuttavia, l’inclusione della persona nella comunicazione educativa rimane
sempre subordinata al primato della formazione e della valutazione delle regole e delle
competenze acquisite dai bambini, secondo standard di correttezza sociale. Non
potrebbe essere diversamente: è impossibile personalizzare i fondamenti della
grammatica, dell’aritmetica, del catechismo, della lettura del pentagramma, del calcio o
del nuoto, così come quelli dell’altruismo, della solidarietà e del rispetto. Una volta
personalizzati, essi non sarebbero più socialmente culturalmente riconoscibili. Di
conseguenza, l’inclusione educativa della persona rende ancora più evidente il
paradosso dell’eteronomia: più l’educazione persegue in modo globale l’obiettivo di
formare le persone, più è evidente che intende l’autonomia personale come prodotto di
una formazione sempre più vasta ed allargata, comprendente aspetti sempre più ampi
della personalità individuale.
Questo approccio paradossale suscita crescente scetticismo nella società, poiché
amplifica in modo ambivalente l’idea dello “sviluppo”. In base all’insoddisfazione per
questo limite, si producono progetti che propongono nuove forme di comunicazione tra
adulti e minori. Essi propongono interventi di promozione che esaltano l’autonomia dei
minori come attori sociali, attribuendo nuova rilevanza alle loro persone. Siamo così di
fronte ad una nuova generazione di diritti di cittadinanza, che sposta l’attenzione dalla
protezione dal disagio alla promozione della partecipazione.
Si tratta di capire se e in che modo le diverse intenzioni di attuazione dei diritti dei
minori si traducono in reali processi sociali. E’ quanto si propone di fare questa parte
del rapporto di ricerca.
3. Il significato dei diritti dei minori
Attraverso la produzione normativa, la società costruisce il significato specifico dei
diritti fondamentali (rights) dei minori, come di tutti i cittadini. Essa poi si preoccupa di
trasformare questi diritti fondamentali astratti in concrete disposizioni normative, che ne
consentano l'attuazione su basi relativamente certe. Il passaggio dai diritti (rights) alle
leggi (laws) è fondamentale poiché consente di concretizzare la produzione normativa,
passando dal livello astratto delle indicazioni valoriali al livello concreto della
costruzione di programmi.
La società ha prodotto un’articolata normativa sulla protezione dei minori,
istituendo anche un sistema di controllo (Tribunale per i Minorenni), e, più
recentemente, sulla partecipazione sociale e sull'accesso a beni e servizi. In particolare,
negli ultimi anni, sia lo Stato italiano, sia le Regioni hanno legiferato in considerevole
misura su questa materia. In Italia, la Convenzione del 1989, recepita nel 1991, è stata il
punto di partenza per numerose iniziative in favore dei minori. Il Ministero
dell’Ambiente ha promosso per primo politiche nazionali di sostegno per gli interventi
rivolti all’infanzia, attivando il progetto Città sostenibili delle bambine e dei bambini26
ed istituendo il marchio di qualità Città amica delle bambine e dei bambini, assegnato
annualmente, per la prima volta nel 1998, a città che si siano distinte per i loro
Ministero dell’Ambiente 1998. La guida alle città sostenibili delle bambine e dei bambini 1998.
Firenze.
26
12
interventi. Esso ha poi avviato un’agenzia di servizi per le Città amiche dell’infanzia, un
Forum Internazionale sulle città amiche delle bambine e dei bambini, organizzato
insieme al Ministero degli Affari Esteri e all’UNICEF27. Infine, ha sostenuto e sostiene
il progetto europeo LIFE, dedicato alla Città dei Bambini28, al quale partecipano anche
il Reparto di Psicopedagogia dell’Istituto di Psicologia del CNR e l’Associazione
Arciragazzi. Recentemente, il governo italiano ha anche varato un Piano d’azione per
l’Infanzia e l’Adolescenza, il cui principale strumento legislativo è dato dalla Legge
285/97, che ha assorbito le numerose iniziative in corso a livello locale, promuovendone
anche l’allargamento29. Grazie a questi incentivi nazionali, ma anche in modo
autonomo, sono stati presentati numerosi progetti che, coinvolgendo reti di città,
adottano prospettive inerenti anche o soprattutto l’età minorile. Primo fra tutti, è il
progetto internazionale Città educative, ma fanno parte di questa tipologia anche l’altra
rete internazionale Città sane ed il progetto La città possibile. L’ANCI (Associazione
Nazionale dei Comuni Italiani), per parte sua, ha istituito una specifica Commissione
per l’Infanzia. Per quel che riguarda la regione marchigiana, un esempio significativo è
dato dalla legge regionale n. 46/95, in favore di adolescenti e giovani.
La società cerca di trasformare i diritti fondamentali astratti in diritti concreti,
cioè in una struttura normativa applicabile in specifiche situazioni sociali. Si tratta della
costruzione nella società della capacità di reagire alle delusioni di aspettative in questo
campo, indispensabile a fronte della preoccupazione di mancanze o violazioni dei diritti
fondamentali.
Un primo problema consiste nel capire in che modo e con quale competenza i
diritti vengono trasformati in leggi, ossia se le leggi consentono effettivamente di
produrre condizioni programmatiche di protezione, partecipazione e accesso e beni e
servizi. Tuttavia, a questo interrogativo, con riferimento specifico alla regione
marchigiana che ci interessa, non risponderemo che limitatamente, poiché in questa
materia gran parte delle iniziative legislative sono demandate allo Stato. L'unica Legge
regionale che interseca il tema è la n. 46/95, di cui parleremo nel capitolo 1.2.
Se il passaggio dalla produzione dei diritti a quella delle leggi consente di porre
condizioni programmatiche per la personalizzazione, è fondamentale assicurare che alla
produzione normativa corrisponda anche un’attuazione normativa (law in action). Qui
entra in gioco una pluralità di sistemi sociali che debbono garantire l'attuazione dei
diritti, conformemente al fatto che essi sono internamente articolati e le richieste di
adempimento sono variegate.
In primo luogo, il sistema giuridico, in base alla propria fondamentale funzione e
alla corrispondente strutturazione, che distingue tra ragione e torto dei soggetti, si
occupa di garantire l'attuazione dei diritti. Esso ha la funzione di generalizzare
stabilmente le aspettative normative nella società, tra le quali possiamo annoverare
anche le leggi che concretizzano i diritti personali fondamentali. Il sistema giuridico ha
27
Si veda Aa. Vv., Documenti di Lavoro, Forum Internazionale Verso città amiche delle bambine e
dei bambini. Esperienze in Italia e nel Mondo, Napoli, 19-20 settembre 1997.
28
LIFE è uno progetto per l’ambiente dell’Unione Europea, creato nel 1992 con l’obiettivo di
favorire lo sviluppo e l’attuazione della politica ambientale comunitaria.
29
Centro Nazionale di Documentazione ed Analisi sull’Infanzia e l’Adolescenza. 1998. Infanzia e
adolescenza. Diritti e opportunità. Orientamenti alla progettazione degli interventi previsti dalla legge n.
285/97. Firenze: Istituto degli Innocenti.
13
bisogno di leggi come riferimento, non potendo definire ragioni e torti rispetto al livello
astratto dei diritti, che consente interpretazioni molteplici e contraddittorie. D'altra parte,
però, il passaggio dal possibile al fattuale, ovvero alle leggi in azione, crea
un'inevitabile contingenza: questa è alla base dell'incertezza dell'attuazione normativa.
C’è, però, un ulteriore ostacolo all’azione giuridica. Infatti, l'incertezza si accresce
soprattutto in aree giuridiche nelle quali non è affatto semplice assicurare con la legge
l’attuazione dei diritti.
Ciò si avverte già sul piano della protezione, che è il più (relativamente) chiaro
per il sistema giuridico. La protezione dei minori richiede l'articolazione di diversi
sistemi sociali30, che comporta problemi non irrilevanti nella decisionalità. La
sottrazione di un bambino ad una famiglia considerata inadeguata, ad esempio, è
un'azione che non può essere considerata semplice attuazione di una legge, ma che
richiede un'attenta e complessa valutazione di fattori sociali e individuali, rispetto alla
quale ci si può chiedere se esistano oggi competenze sufficienti. Lo stesso tipo di
problemi si presenta per le decisioni giuridiche sulla devianza minorile, oppure
sull'affidamento dei bambini in casi di separazione dei genitori. Il lavoro del Tribunale
per i Minorenni, includendo in ciò la sua collaborazione con i servizi sociali territoriali e
con altre forme di intervento sui minori e sulle loro famiglie (comunità, gruppi
appartamento, case famiglia, ecc.), è senza dubbio un tema di grande interesse per
comprendere che cosa accade nell'area della protezione. In quest'area di diritti, però, è
necessario anche tenere presente che esistono già dei terreni nei quali si produce
un’attuazione che sfugge ad ogni possibilità di controllo giuridico: si tratta dell'area
della prevenzione e della cura. In quest’area, infatti, non è possibile parlare di attuazione
dei diritti fondamentali in termini esclusivamente giuridici. La produzione di programmi
di prevenzione e cura, prevista normativamente nella società, non può essere
assoggettata ad un’attuazione giuridica: il passaggio dalla produzione all'attuazione
normativa è giuridicamente parlando massimamente incerto proprio perché viene
prodotto attraverso sistemi di intervento che non sono giuridicamente controllabili (se
non in senso formale). Dunque, l'attuazione dei diritti fondamentali delle persone deve
essere necessariamente osservata anche in contesti non giuridici.
Se la condizione di incertezza giuridica è alta per la protezione, ci si può
facilmente immaginare che cosa accade nel caso dell'attuazione dei diritti di
partecipazione e accesso a beni e servizi. Qui i tribunali non possono fare quasi nulla (se
non in casi estremi, di interruzione di pubblico servizio o simili), nonostante l'attuazione
normativa sia diventata molto abbondante negli ultimi anni. Per la partecipazione e
l'accesso a beni e servizi, si tratta pressoché esclusivamente di attuazione nei sistemi di
intervento locali, promossi e incoraggiati dalle leggi nazionali e regionali ad assicurare i
diritti alla personalizzazione dei minori.
Di conseguenza, anziché da una distinzione tra attuazione normativa di tipo
giuridico e attuazione normativa di tipo extragiuridico, si tratta di partire da
un'osservazione di programmi diversi di attuazione dei diritti. Questi programmi sono
collocati a tre diversi livelli di attuazione normativa dei diritti di cittadinanza (cioè, di
protezione, partecipazione e accesso a beni e servizi), tra loro correlati:
30
Si veda in proposito, Baraldi 1996b.
14
1. I programmi che attuano i diritti fondamentali, cioè le leggi;
2. I programmi specifici che attuano tali leggi, cioè i progetti di intervento;
3. I programmi che realizzano concretamente tali progetti, cioè i sistemi di intervento;
Inoltre, la semantica (rappresentazioni sociali) che orienta tutti questi programmi, che
riguarda i diritti, produce tipi diversi di obiettivi, espliciti o impliciti, per l’attuazione
normativa dei diritti dei minori. In particolare, l’azione di protezione, promozione della
partecipazione e creazione di servizi nella società è mirata a creare per i minori:
1. Modalità efficaci di inclusione nella società;
2. Identità fondamentali e competenze specifiche adeguate alla loro personalizzazione;
3. Forme di comunicazione che consentano tale personalizzazione nei diversi contesti
sociali.
Questi possono essere considerati gli obiettivi basilari e più astratti dell'attuazione
normativa dei diritti di cittadinanza, intesi come diritti di protezione, partecipazione ed
accesso a servizi. I programmi tendono dunque ad assicurare gli obiettivi fondamentali
di creazione di contesti di inclusione, identità, competenze e forme di comunicazione
che incorporino i diritti fondamentali di cittadinanza delle persone nelle aree della
protezione, della partecipazione e dell'accesso a beni e servizi. Nel quadro di questi
obiettivi, poi, la cittadinanza può seguire percorsi semantici diversi, che si realizzano in
programmi specifici differenziati. L'esame di queste differenze di percorso e di
programma è fondamentale per comprendere la concreta attuazione normativa dei diritti
dei minori.
A partire dall'analisi delle tre forme fondamentali di attuazione dei diritti di
cittadinanza dei minori (protezione, partecipazione, accesso ai beni e servizi), dei
programmi che li attuano e degli obiettivi di questi programmi (inclusione, identità,
competenze e forme di comunicazione), è possibile giungere ad un’osservazione
complessiva dell'attuazione dei diritti di cittadinanza. In specifico, questa parte del
rapporto di ricerca si pone l’obiettivo di chiarire, attraverso un’analisi empirica condotta
sul territorio marchigiano, la traduzione dei diritti in leggi (limitatamente alla Legge
46/95, unica regionale), progetti, sistemi di intervento e le rappresentazioni sociali
specifiche che orientano i programmi (semantica).
Schema riassuntivo
Per riassumere il quadro teorico di riferimento, proponiamo lo schema del modello per
l’analisi dell’attuazione dei diritti dei minori.
1. La base di partenza storica è la nascita di una struttura della società moderna,
definibile come differenziazione per funzioni, che ha provocato un processo di
personalizzazione, in base alle forme di comunicazione attivate nei diversi
sistemi sociali.
2. Come conseguenza di tale strutturazione della società e del processo di
personalizzazione, si produce una semantica dei diritti (rights) personali
fondamentali o di cittadinanza, osservati come partecipazione, protezione ed
15
accesso a beni e servizi. Si tratta della produzione normativa fondamentale di
diritti individuali nella società.
3. Ciò dà avvio ad una semantica degli obiettivi conseguibili attraverso
l’applicazione dei diritti fondamentali (cioè attraverso protezione,
partecipazione, ed accesso a beni e servizi). Tali obiettivi sono l’inclusione
differenziata nella società, le premesse strutturali di tale inclusione, poste nelle
forme di comunicazione, ed i risultati di tale inclusione, concettualizzati come
identità e competenze che si debbono acquisire. Di conseguenza, è necessario
mettere in sequenza le premesse sociali (forme di comunicazione), i processi
conseguenti ed i risultati dell’inclusione (identità e competenze): detto in altri
termini, struttura  processo  risultati. Su questo piano, la produzione
semantica normativa diventa concreta e si combina ad una produzione semantica
cognitiva (cioè, mutevole di fronte alle delusioni), nel definire degli obiettivi
sociali fondamentali.
4. In base a questi diritti, si producono dei programmi specifici che attualizzano gli
obiettivi. Si tratta delle leggi (laws), dei progetti e degli interventi. Anche in
questo caso, è possibile osservare una sequenza: leggi  progetti  interventi.
Questi programmi sono incorporati in sistemi sociali specifici la cui funzione
porta a trattare la condizione minorile (sistema giuridico, sistema politico,
sistemi di prevenzione e cura, sistemi educativi). Essi sono basati sulla
semantica dei diritti e degli obiettivi, che incorporano, applicano e
contribuiscono a riformulare. Questo è il piano dell’attuazione normativa, che,
quindi, consiste di programmi di inclusione, che presuppongono forme di
comunicazione e dovrebbero produrre come risultati la formazione dell’identità
e delle competenze. Questi programmi incorporano diritti ed obiettivi e si
realizzano in diversi sistemi sociali.
5. Infine, la realizzazione dei programmi retroagisce indirettamente sulla struttura
della società, contribuendo alla sua stabilizzazione o al suo cambiamento,
attraverso l’evoluzione interna ai singoli sottosistemi (e alla loro semantica) che
produce.
4. Il quadro della ricerca
A) I programmi specifici che attuano tali leggi, cioè i progetti di intervento;
B) I programmi che realizzano concretamente tali progetti, cioè i sistemi di intervento;
C) La semantica operante che orienta tutti questi programmi, che riguarda i diritti
(rappresentazioni sociali).
Il nostro impianto teorico è stato applicato al caso marchigiano. Per questa applicazione,
si sono resi necessari ulteriori accorgimenti metodologici.
In primo luogo, poiché, come abbiamo detto, l’idea di condizione minorile è vaga ed
inefficace per rappresentare empiricamente l’attuazione dei diritti, abbiamo
differenziato tra tre coorti di età, corrispondenti all’età prescolare, a quella della scuola
elementare, a quella dell’adolescenza (internamente distinguibile in preadolescenza ed
adolescenza vera e propria):
16
1. 0-6 anni
2. 6-11 anni
3. 12-19 anni31
Inoltre, poiché negli ultimi decenni l'attenzione della società si è soprattutto concentrata
su due coorti interne all’età minorile, quella della prima infanzia (0-6 anni) e quella
della tarda adolescenza (soprattutto 16-19 anni), cioè l’inizio e la fine dell’età minorile,
anche la nostra ricerca ha focalizzato l’attenzione su di esse, identificando negli
interventi educativi prescolari e nelle iniziative di promozione dell’aggregazione
organizzata degli adolescenti le due aree di maggiore interesse per l’attuazione dei diritti
di promozione della partecipazione32. Invece, l’analisi delle proposte di protezione dal
disagio non permette di distinguere in modo altrettanto evidente. Abbiamo così operato
un’azione di ricerca senza distinzione di età sui servizi territoriali (per l'infanzia, sociali
e psichiatrici), con particolare riferimento ai temi dell’abuso, della devianza e
dell’affidamento.
Per gli aspetti specifici relativi all’età prescolare e all’adolescenza e per l’analisi
della protezione dal disagio abbiamo anche identificato una variabile territoriale, che ci
permettesse una rilevazione nello stesso tempo approfondita e rappresentativa. Abbiamo
così operato una selezione, seguendo criteri culturali e geografici per rappresentare
adeguatamente la realtà regionale:
1. L’asse Nord/Sud
2. L’asse Costa/Interno
3. Il territorio centrale di Ancona.
In conseguenza di questa scelta, si è deciso di inserire nel campione le seguenti aree
territoriali:
1.
2.
3.
4.
5.
Comune di Pesaro (Nord, Costa)
Azienda USL n. 2 di Urbino e Comune di Urbino (Nord, Interno)
Comune di Ancona
Comune di Ascoli (Sud, Interno)
Comune di San Benedetto del Tronto (Sud, Costa)
Rispetto a queste aree territoriali sono stati osservati, con riferimento all’offerta di
servizi e alla promozione della partecipazione: per l’età prescolare, gli interventi
31
L'estensione ai 19 anni è utile per includere l'intera adolescenza, che va oltre la specifica età
cosiddetta minorile. Anche questa mancata coincidenza segnala l'insufficienza concettuale dell'idea di
minore. L'importanza di considerare come riferimento l'adolescenza è largamente accertata in letteratura,
soprattutto negli ultimi anni, laddove si tende ad osservare persino un prolungamento dell'adolescenza in
quella che precedentemente era considerata la prima fase dell'età adulta, indicando con ciò il prolungarsi
delle condizioni sociali tipiche dell'adolescenza stessa e, quindi, indirettamente, anche dei problemi di
cittadinanza ad esse connessi.
32
L’attenzione particolare per queste due coorti è determinata dal fatto che la prima è considerata
importante per il controllo dei meccanismi di socializzazione e per la formazione dell’identità, mentre la
seconda lascia emergere i comportamenti più problematici in età minorile.
17
educativi (asili nido, scuole dell'infanzia, centri giochi); per l’età adolescenziale, gli
interventi nelle aggregazioni adolescenziali formali (centri di aggregazione, gruppi
formali inseriti in associazioni, gruppi formali autogestiti). Con riferimento alla
protezione dal disagio, invece, è stato analizzato l’intervento a tutela dei diritti dei
minori, per quel che riguarda servizi per l'infanzia, sociali e psichiatrici, con particolare
riferimento ai temi dell’abuso ai minori e dell’affidamento.
Per quel che riguarda l’età adolescenziale, è stato possibile anche rintracciare
una normativa rilevante a livello regionale. Come già abbiamo anticipato, la
legislazione rivolta ai minori è soprattutto nazionale: di conseguenza, sul piano
regionale si può osservare soprattutto una sua trasformazione in progetti e sistemi di
intervento. Fa eccezione soltanto la legge 46/95 della Regione Marche, che si occupa di
interventi rivolti ad adolescenti e giovani. Abbiamo dunque rilevato ed analizzato i
progetti e gli interventi attivati a livello regionale in base a questa legge. Abbiamo colto
questa opportunità anche per effettuare un censimento ed un’analisi dei progetti e degli
interventi locali, rilevati attraverso un questionario apposito rivolto a Comuni al di sopra
dei 2000 abitanti.
Infine, la ricerca ha cercato di identificare le altre iniziative più significative in
ambito regionale che potessero fornire dati sull’attuazione dei diritti dei minori. Una
delle due aree tipologiche che abbiamo identificato, cioè l’intervento del Tribunale dei
Minorenni di Ancona, è già stata trattata nel volume X. Qui ci occuperemo dell’altra,
cioè del Laboratorio città dei bambini del Comune di Fano, la cui fama è nazionale
(Fano è stata anche premiata dal Ministero dell’Ambiente nel 1998, come prima città
amica dei bambini e delle bambine in Italia). Il peso che attribuiamo a questa esperienza
si spiega proprio per questa rilevanza eccezionale sul territorio nazionale.
Va anche detto che, dopo che questa ricerca era già stata impostata e attivata sul
campo, hanno iniziato a prendere piede i progetti basati sulla Legge 285/97, che hanno
creato una nuova ricca tipologia di interventi in campo regionale (si tratta di 157
progetti per un totale di 593 azioni di intervento), che non abbiamo ovviamente potuto
studiare. In realtà, molti di questi progetti sono soltanto all’avvio e, dunque, sarebbe
comunque difficile, anche allo stato attuale, riscontrare risultati significativi.
Ci limitiamo qui ad osservare che le tipologie progettuali che abbiamo potuto
constatare da una prima ricognizione a livello regionale ricalcano in larga misura quelle
da noi analizzate. Infatti, interventi educativi e di promozione della partecipazione
dell’aggregazione da un lato (soprattutto basati sull’art. 6 della legge) ed interventi di
protezione dal disagio dall’altro (soprattutto basati sull’art. 4 della legge) sono
dominanti. Tuttavia, abbiamo anche potuto osservare come siano in grande aumento gli
interventi rivolti alla promozione della partecipazione dei bambini (basati sull’art. 7
della legge), di cui il Laboratorio città dei bambini di Fano è capostipite. Possiamo così
dire che la nostra ricerca ha colto pienamente nel segno nel rilevare le tendenze attuali
dell’attuazione dei diritti dei minori.
5. La ricerca
Questo articolato piano di ricerca ha prodotto un’imponente mole di dati, che sono stati
raccolti attraverso una molteplicità di fonti e metodologie, che di seguito riassumiamo
18
brevemente per fornire un quadro d’insieme. All’inizio dei diversi capitoli, vengono
fornite alcune sintetiche informazioni aggiuntive sugli aspetti metodologici delle diverse
parti della ricerca.
Per quel che riguarda l’analisi della normativa regionale inerente i diritti di
partecipazione e l’offerta di servizi, trattata nel cap. 2.2, che ha riguardato la Legge
46/95 della Regione Marche:
a) è stata raccolta la documentazione (delibere, verbali ecc.) necessaria per valutare
il funzionamento dei vari organismi previsti dalla legge 46 (l’Osservatorio
regionale, il Coordinamento degli Informagiovani, i Coordinamenti provinciali);
b) sono state effettuate 28 interviste semi-strutturate audioregistrate (di cui quattro
collettive) con amministratori, funzionari e operatori sociali coinvolti
nell'applicazione della legge;
c) sono stati raccolti, analizzati e classificati anche 227 progetti presentati dagli
Enti Locali nei primi due anni di attuazione del piano regionale triennale;
d) è stata svolta una survey sulle politiche che attuano i diritti di cittadinanza di
adolescenti e giovani nei comuni marchigiani con popolazione superiore ai 2
mila abitanti, per mezzo di un questionario autosomministrato; sono stati raccolti
108 questionari pari al 78% di quelli inizialmente previsti.
Per quel che riguarda l’analisi delle istituzioni educative per la prima infanzia, trattata
nel cap. 3.1:
a) sono state realizzate interviste semistrutturate audioregistrate a 116 educatrici
degli asili nido (81 % dell’universo) e 187 insegnanti delle scuole dell’infanzia
(73 % dell’universo), per un totale di 303 operatrici;
b) è stato distribuito un breve questionario autocompilato a 319 tra educatrici ed
insegnanti, pari al 94 % dell’universo (il questionario non è stato distribuito
nelle scuole dell’infanzia di Pesaro, nelle quali la ricerca è stata inizialmente
sperimentata).
c) sono state realizzate 270 ore di videoosservazione in 18 asili nido comunali e 36
scuole dell’infanzia statali (19, di cui 17 ad Ancona, Ascoli Piceno e San
Benedetto del Tronto) e comunali (17, di cui 14 a Pesaro ed Urbino)
d) sono stati raccolti 2189 questionari autocompilati prevalentemente chiusi tra i
genitori dei bambini coinvolti nella ricerca, pari al 65 % dell’universo.
Per quel che riguarda l’analisi della Città dei bambini di Fano, trattata come caso
specifico di attuazione dei diritti nel cap. 3.2:
a) per analizzare la storia del Laboratorio, è stata considerata la documentazione
(verbali di consigli e riunioni, rassegne stampa, materiali videoregistrati,
materiali didattici ed informativi, documentazione dell’Assessorato) e sono state
realizzate 23 interviste semistrutturate audioregistrate a testimoni privilegiati
b) per tutti i progetti analizzati, sono state realizzate 87 interviste semistrutturate
audioregistrate a famiglie, insegnanti di scuola elementare e di scuola Media,
testimoni privilegiati
19
c) per il Consiglio dei Bambini e la Progettazione Partecipata, sono stati realizzati
17 focus group con 134 bambini;
d) durante le sedute del Consiglio dei Bambini e della Progettazione Partecipata,
sono state realizzate 20 ore di videoregistrazione;
e) per il progetto “A scuola ci andiamo da soli”, sono stati raccolti 394 questionari
compilati dai genitori (94% dell’universo) e 403 questionari dei bambini (96%
dell’universo).
f) per lo stesso progetto, sono stati inoltre realizzati due sondaggi telefonici, rivolti
ai genitori di bambini della scuola elementare residenti in quattro circoscrizioni
della città, per un totale di 320 interviste telefoniche, e a 60 esercenti
commerciali coinvolti nel progetto, 53 dei quali hanno risposto.
Per quel che riguarda l’analisi dell’attuazione dei diritti all’aggregazione degli
adolescenti, trattata nel cap. 3.3:
a) state rilevate 116 organizzazioni formali che coinvolgono adolescenti (52
religiose, 50 sportive e 14 culturali), attraverso una scheda autocompilata;
b) sono stati intervistati 133 gruppi di adolescenti (61 religiosi, 58 sportivi e 14
culturali);
c) sono stati intervistati 131 operatori di tali gruppi (61 educatori di gruppi
religiosi, 58 allenatori di gruppi sportivi e 12 operatori di gruppi culturali);
d) sono state realizzate 50 interviste a 97 operatori e progettisti che hanno lavorato
in base a finanziamenti della Legge 46/95.
e) sono state realizzate 7 interviste ad operatori, 5 interviste di gruppo e 25
interviste individuali, in due centri di aggregazione di Pesaro.
Per quel che riguarda l’analisi dell’area della produzione normativa e dell’attuazione
della protectionm, trattata nel cap. 4:
a) è stato analizzato il materiale legislativo inerente la produzione normativa;
b) sono state realizzate 48 interviste semistrutturate ad operatori di Comuni,
Aziende USL e terzo settore;
c) sono stati somministrati 48 questionari, compilati dai medesimi operatori.
Infine, l’analisi delle rappresentazioni sociali della condizione minorile e dell’attuazione
dei diritti dell’infanzia, trattata nel cap. 2.1, si basa su parte del materiale derivante da
interviste semistrutturate realizzate nelle diverse ricerche, ed in particolare su 594
interviste, così distribuite:
a) 303 interviste a operatrici delle istituzioni educative per la prima infanzia;
b) 110 interviste realizzate nel corso dell’approfondimento sulla Città dei Bambini
di Fano;
c) 50 interviste realizzate per l’analisi dei progetti della Legge 46;
d) 131 interviste realizzate ad operatori di gruppi adolescenziali formali.
20
6. Il piano del rapporto
Per quel che riguarda la struttura di questo rapporto, nel primo capitolo partiremo
parlando della semantica che orienta i programmi, fissandone gli obiettivi e costruendo
così il significato dei diritti. In tal modo, osserveremo anzitutto la cultura dell’infanzia e
dell’adolescenza che orienta l’attuazione dei diritti. In realtà, già le considerazioni di
questa Introduzione sono parte integrante di questa esposizione. Nel secondo capitolo,
affronteremo l’analisi della legge regionale 46/95 e delle sue conseguenze sul piano
progettuale e degli interventi attivati. Nel terzo capitolo affronteremo gli interventi
educativi rivolti all’età prescolare, con riferimento ad asili nido e scuole dell’infanzia,
nelle realtà territoriali che abbiamo indicato, cioè Ancona, Ascoli Piceno, Pesaro, San
Benedetto del Tronto ed Urbino. Il quarto capitolo sarà dedicato alle attività del
Laboratorio città dei bambini del Comune di Fano che, come abbiamo detto, ha un
grande valore come esempio pilota di una progettualità attualmente in pieno sviluppo. Il
quinto capitolo tratterà dell’aggregazione formale adolescenziale, che riprenderà in
parte anche le considerazioni svolte per la Legge regionale 46/95. Infine, nel sesto ed
ultimo capitolo dedicheremo ampio spazio alla protezione dal disagio, per gli aspetti di
cui abbiamo parlato in precedenza.
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