L’ETA’ POST EROICA, GUERRA E PACE NELL’EUROPA CONTEMPORANEA SENZA LA GUERRA NON ESISTE STATO: Heinrich von Treitschke, storico e politico tedesco, prendendo come base il proprio paese (Germania), a fine ottocento dichiarò che l’origine e l’esistenza di ogni Stato dipendessero dalla guerra. Egli sosteneva che tutti gli Stati fossero sorti dalla guerra e che il primo compito dello Stato rimane sempre la difesa armata dei propri cittadini, dunque. Ciò era dimostrato dalla statua equestre dedicata al re soldato Federico il Grande, le cui vittorie avevano assicurato alla Prussia lo status di grande potenza: uno Stato nato e reso grandioso proprio dalla guerra. Come dimostrato dalle celebrazioni militari, i soldati in parata rappresentavano in modo scenografico quello che lo Stato esigeva e si aspettava dai propri sudditi, ossia i cittadini; l’esercito era manifestazione e scuola di patriottismo per i civili. Nonostante le varie differenze tra gli Stati europei, un fattore in comune nella maggior parte di essi era la cultura militare insita nelle istituzioni dello Stato. La dimensione militare era grandiosa e connessa a grandi eventi e figure di uomini potenti, entrando a far parte della vita quotidiana. Gli uomini in uniforme impersonavano le virtù dalle quali dipendeva l’esistenza stessa dello Stato, quelle stesse virtù derivanti dalle gloriose vittorie di guerre e battaglie e dalla storia del proprio paese. Senza la capacità di fare la guerra, lo Stato del primo Novecento non sarebbe potuto esistere: ecco perché ogni paese europeo (eccetto la Svizzera) disponeva di un proprio esercito. - ESERCITI: La guerra era inscritta nel codice genetico dello Stato europeo: “Gli Stati fanno la guerra, e viceversa” diceva il sociologo Chiarles Tilly. Agli inizi del Novecento la democratizzazione trasformò completamente il carattere della guerra. Emergevano infatti gli eserciti di leva di massa, che coinvolgevano una grande porzione di popolazione. Su gli eserciti, inoltre, aveva inciso l’industrializzazione, ovvero l’applicazione della tecnologia sempre più avanzata all’attività bellica: ciò consentiva di creare eserciti più grandi, più pericolosi, più temibili. Curioso è il caso dell’esercito prussiano, molto debole inizialmente, ma che in poco tempo, guidato da Bismarck, riuscì a sconfiggere in breve tempo Danimarca, Austria e Francia: il segreto era una migliore organizzazione, un miglior grado di preparazione, pianificazione e velocità (vanno ricordate le ferrovie utilizzate dall’esercito per muoversi in poco tempo), che permise di mobilitare un maggior numero di uomini equipaggiati in modo più efficiente rispetto agli altri eserciti. Non a caso, il futuro maresciallo di Francia, Ferdinand Foch, nel 1903 dichiarò che nella guerra moderna le basi essenziali della vittoria erano la massa e la preparazione. Ma la massa era il popolo, o meglio i ceti inferiori: i più ricchi poteva esentarsi dalla leva, oppure pagarsi un sostituto. Ma nel 1905 la legge cambiò, e quasi tutti i cittadini francesi di sesso maschile divennero soggetti a servire per due anni nell’esercito regolare (la durata della ferma fu aumentata poi a tre anni). Non mancavano le proteste, basate essenzialmente sull’impennata della spesa militare (a spese dei cittadini, tramite una maggiore tassazione); ma anche da parte delle famiglie benestanti, che dovevano assumersi l’obbligo di servire nell’esercito. La maggior parte dei soldati semplici continuò inoltre ad essere malnutrita, equipaggiata in modo inadeguato e in pessime condizioni di vita. Non mancavano i dissensi: l’emigrazione verso altre regioni o altri paesi diventò uno dei mezzi preferiti per evitare il servizio militare. La legge italiana del 1888, ad esempio, che proibiva agli uomini di età inferiore ai 32 anni di lasciare il paese, si rivelò inefficace. In altri casi decidevano semplicemente di non rispondere alla convocazione. - ORGANIZZAZIONE: Ogni esercito era costituito da quadri professionali: ufficiali, sottufficiali e uomini arruolati a lungo termine. I militari di professione garantivano l’assolvimento dei compiti di pianificazione strategica e di direzione, e addestravano i soldati di leva. Lo scopo di questa complessa macchina militare era trasformare i civili in soldati: nel settecento era più facile, perché si sfruttava la coercizione anche fisica, una disciplina brutale e costrittiva. Le cose cambiarono grazie agli articoli indignati sulla stampa e a politici imbarazzati. Ovviamente, nessun esercito funziona senza un certo grado di coercizione: dopotutto il soldato doveva dimenticare la propria mentalità ed abituarsi al rispetto delle regole per far funzionare la macchina bellica. In un battaglione non può esistere la decisione soggettiva di un singolo, ma un piano d’azione studiato e a conoscenza di tutti gli elementi. Dai cittadini soldati ci si attendeva che combattessero non per paura, ma per devozione al loro paese e dedizione nei confronti dei loro commilitoni. La sicurezza dello Stato dipendeva dalla disponibilità di ogni singolo soldato ad adempiere ai propri obblighi militari, a rispondere alle chiamate alle armi, a obbedire agli ordini di uccidere, e se necessario morire. Insomma, il soldato doveva agire per convinzione e non per obbligo: ma tale convinzione doveva essere demandata direttamente dal proprio Stato, che istruiva il popolo alla cultura, ad un’identità collettiva, a dei simboli sacri, il Nazionalismo. L’esercito era esclusivamente e aggressivamente solo maschile. La cultura militare era dominata da un tipo di mascolinità che esaltava la forza fisica e il coraggio così come le forti bevute, le avventure sessuali e la violenza gratuita. Ma se il soldato era il cittadino ideale, era ovvio che solo gli uomini potevano essere membri qualificati della comunità nazionale. Fare del cittadino un soldato è dargli il senso del dovere e dell'obbedienza nei confronti del paese: ciò trasforma la popolazione in una nazione. PACIFISMO E MILITARISMO: Nel 1898 lo Zar Nicola II esordì con una frase diretta alle nazioni europee: in generale, egli affermò che l’Europa, così come la Russia e il mondo intero, doveva impegnarsi a ridurre i costi degli armamenti e spendere di più nella pace e nella giustizia. È giunto il tempo di creare una durevole armonia fra le nazioni, sosteneva. Quelle parole furono accolte calorosamente, almeno all’apparenza: era chiaro agli occhi di tutti che la Russia aveva una situazione economica disastrata, a cui si aggiungevano le precarie condizioni dei suoi cittadini. Tutti sapevano che i proclami sulla pace e sul disarmo non avrebbero avuto effetti pratici. Tuttavia si tenne un accordo proprio in riscontro alle parole dello Zar, e i paesi che inviarono i propri rappresentanti furono 26, compresi gli Usa, il Giappone, diversi paesi dell’America latina e gli imperi cinese, persiano e ottimano. Durante la conferenza internazionale dell’Aia (che si tenne nel 1899) furono tre i punti trattati: il divieto di certi tipi di armi, l’elaborazione delle norme belliche fissate alla Conferenza di Ginevra (1864 e 1868), e la risoluzione delle controversie internazionali con gli strumenti della mediazione e dell’arbitrato. Certo era che immaginare una guerra dal volto umano era impossibile. Erano tutti d’accordo però sul fatto che la produzione di alcuni tipi di armi dovevano essere messi fuorilegge. Si trattò anche il tema dell’Arbitrato che, nell’applicazione di convenzioni internazionali, rimaneva il mezzo più efficace e più giusto per la risoluzione di quelle controversie che la diplomazia non sarebbe riuscita a risolvere. Ma ad oggi sappiamo che tale accordo era solo un incontro di disonesti teatranti, nel quale venne messo in scena un preludio alle imminenti tragedie del secolo a venire. La pace se possibile, la vittoria militare se necessario: tra filosofi e politici, erano in molti a condividere l’idea che la guerra era stata un’opportunità per compiere imprese eroiche e acquisire potenza e vantaggi materiali, ma erano altrettanti a sostenere invece che essa avrebbe dovuto essere bandita dalla società civile, che rappresentava una patologia da sconfiggere, e che alla fine non era poi così necessaria. Nel diciannovesimo secolo, la più feconda e influente fonte che alimentò la tendenza pacifista fu la straordinaria crescita economica e la nascita di un libero commercio (tesi di Cobden —> il commercio avrebbe reso la guerra obsoleta), di cui la Gran Bretagna era madrepatria. Tali cambiamenti, infatti, rendevano la guerra sempre più impraticabile e non necessaria. Il movimento a favore della pace, inoltre, trasse sostegno da diverse fonti: i cristiani che rifiutavano ogni forma di violenza per motivi religiosi, molti socialisti che consideravano la guerra internazionale un’altra forma di sfruttamento e del conflitto di classe, e una varietà di persona di orientamento umanitario che la condannavano per le sofferenze che infliggeva. - IVAN BLOCH: Uno dei più importanti volumi che dimostravano la nocività della guerra era sicuramente “Il futuro della guerra” di Bloch: era suddiviso in più tomi e in totale era costituito da 4.000 pagine, in cui venivano descritti i disastri che portava la guerra in ambito economico, sociale e politico. Quasi tutto ciò che in quell’opera fu scritto si avverò pochi anni dopo (disordini sociali, consumo eccessivo di risorse, produzione di armi che grava sull’economia nazionale, soldati massacrati, imposizioni fiscali e scarsità di cibo, sofferenze e morti). Alla fine, sosteneva Bloch nel suo libro, l’edificio sociale ne sarebbe uscito disintegrato, e il sistema politico sarebbe crollato. Il futuro della guerra, insomma, sarebbe stata la carestia, non il combattimento; il crollo dell’intera organizzazione sociale. I principali esponenti del movimento pacifista ritenevano che la Conferenza dell’Aia fosse il segno che la storia stava dalla loro parte. Nel primo novecento, spronati da quella che interpretavano come una sempre maggiore consapevolezza dell’impatto potenzialmente catastrofico della guerra moderna, i membri del movimento pacifista europeo intensificarono i propri sforzi. In ogni paese fondarono organizzazioni dedicate alla promozione della pace, tennero convegni e raduni, pubblicarono periodici e promossero conferenze sui mali della guerra. - NORMAN ANGELL: Il movimento Pacifista sposò completamente le teorie descritte nel libro di Bloch, così come quelle pubblicate dal giornalista britannico Norman Angell nel suo testo intitolato “La grande illusione” (anche questo uno dei più grandi volumi dell’epoca). Lo scopo di Angell era quello di persuadere gli europei che la guerra non poteva portare altro che disastri. L’espansione del commercio su scala globale, secondo Angell, aveva modificato la natura e le fonti della ricchezza, che non dipendevano più dal controllo del territorio o delle risorse. Le azioni, che rappresentavano la ricchezza in epoca contemporanea, erano intangibili, in quanto il loro valore dipendeva da un fragilissimo sistema di istituzioni la cui crisi avrebbe danneggiato sia i vincitori che i vinti. Una potenza vittoriosa non sarebbe stata in grado di recuperare i costi della guerra mediante le annessioni territoriali, poiché il controllo diretto di un territorio non produceva benefici economici. La Germania, ad esempio, traeva molti più vantaggi dai sui commerci con l’America Latina, dove non possedeva territori, che non dall’AlsaziaLorena, conquistate a seguito di una dispendiosa guerra contro la Francia. Ecco perché Angell sosteneva che la potenza militare non fosse la base necessaria della ricchezza di una nazione, come dimostrava l’esempio di uno Stato economicamente prospero ma militarmente debole come la Svizzera. Tra l’altro, vincere una guerra non significava acquisire un maggiore potere: era solo un’idea morale e d’orgoglio. Tuttavia, così come Bloch, Angell non era un pacifista nel senso stretto del termine: egli sosteneva che all’aggressione si potesse e si dovesse resistere, anche con la forza, e che la conquista avente come fine la creazione di una società ordinata era giusta e fonte di progresso. Insomma, riteneva che gli eserciti erano efficaci quando creavano condizioni in cui il commercio potesse prosperare. Incutendo nella gente il timore della capacità distruttiva della guerra, essi speravano di convincerla che fosse inutile. Poche persone dubitavano che una guerra di grandi dimensioni fra gli eserciti di massa delle potenze europee si sarebbe rivelata rischiosa e piena di sorpresa spiacevoli, ma molte alte credevano che la guerra avrebbe potuto essere necessaria. Due dei più aspri critici del pacifismo furono Delbruck, professore di storia militare all’Università di Berlino, e Mahan. Questi ritenevano che vi fossero ancora motivi per fare la guerra: per sconfiggere la schiavitù, per creare nazioni, per liberarsi dalla tirannia e per proteggere i propri diritti naturali. - LE BON e WELLS: Gustave Le Bon pubblicò nel 1895 il libro “Psicologia delle folle”, in cui affermava che la folla è una formazione sociale moderna. Per molti aspetti, essa richiama quella che fugge da Londra nella “Guerra dei mondi” di Wells (in cui si narra di un attacco alieno alla Terra, e il relativo panico che si viene a creare nella città di Londra). La massa viene descritta, sia da Le Bon che da Wells, frammentata, irascibile, manipolabile e incline al panico. La disciplina militare, per entrambi, era il modo migliore per sconfiggere le forze disgregatrici che producevano le folle e ristabilire l’ordine e la coesione sociale. In aggiunta, il comandante dell’armata e capo della sezione storica dello Stato Maggiore, Bernhardi, riteneva che il servizio militare, non solo educa la capacità guerresca delle nazioni, ma sviluppa le qualità intellettuali e morali più generalmente utili per le occupazioni in tempo di pace. In definitiva, le diagnosi della società moderna che compaiono negli scritti di pacifisti e militaristi mostrano una sorprendente somiglianza: in entrambe le filosofie, speranze e timori coesistevano in modo problematico. I militaristi speravano che la guerra avrebbe restaurato la volontà collettiva della nazione; i pacifisti speravano che la società avesse superato il bisogno di un conflitto, e temevano che se la guerra fosse arrivata, avrebbe compromesso le fragili strutture della civiltà. La guerra, come la malattia e la morte, rappresenta una disgrazia, e dunque una componente inevitabile della vita: pacifismo e militarismo coesistevano in un’Europa che viveva in pace ma si preparava alla guerra. GLI EUROPEI IN UN MONDO VIOLENTO: Nel 1913, il barone Forstner, un ventenne tenente, fu assegnato alla città alsaziana di Zabern. Nonostante fosse stato nominato da poco, Forstner si era già guadagnato la fama di persona dedita all’alcol e brutale: era lui stesso causa, a volte, di tensioni nella città tra cittadini e esercito. Quando il giornale locale, infatti, decise di pubblicare le parole dette dal comandante a due reclute, “se volete battervi potreste andare in città e se uno di voi ucciderà un alsaziano potrà ricevere dieci marchi come ricompensa”, l’ostilità fra abitanti della città e la guarnigione, fra tedeschi e alsaziani, fra autorità civili e militari, arrivò al culmine. Nelle settimane seguenti Zabern fu teatro di varie proteste e nel corso di una serata il comandante, insofferente per l’incapacità di mantenere l’ordine, mandò i suoi uomini ad arrestare un certo numero di cittadini, rilasciati il mattino seguente. Qualche giorno dopo Forstner, indignato e stanco, inseguì ed afferrò un operaio al quale provocò una ferita di cinque centimetri colpendolo alla testa. Il Parlamento tedesco discusse i fatti di Zabern e oltre a condannare la condotta dell’esercito, sfiduciò il governo. Non furono però presi particolari provvedimenti per disciplinare Forstner e i suoi incompetenti superiori. L’esito della vicenda ha portato un certo numero di storici a prenderla come esempio dell’eccessiva forza militare dell’esercito e della deplorevole debolezza del Parlamento. Inoltre, la diffusa indignazione che fece seguito agli eventi evidenziò il livello assai basso della tolleranza nei confronti della violenza pubblica presente in Europa ai primi del 900. Dopo tutto, a Zabern non c’erano stati morti né feriti gravi. Eppure, quel che era avvenuto fu sufficiente a provocare una crisi politica. Via via che la società diventava meno violenta, gli uomini e le donne comuni si sentirono più sicuri. Hegel , ad esempio, osserva come un uomo consideri normale tornare a casa in sicurezza a notte fatta. Tuttavia proprio la naturalezza con cui vive nell’ordine sociale è forse la base più importante che lo Stato possa fornire perché la vita sia migliore. Proprio questo adeguamento a una vita ordinata portò alcuni a pensare che gli europei avrebbero perso il gusto per la violenza e le loro virtù eroiche. - I MOTIVI DEGLI SCONTRI: All’inizio del ventesimo secolo, un’Europa pacifica si trovava a vivere in un mondo pericolosamente violento. Gran parte di questa violenza derivava dai tentativi degli europei di espandere o mantenere il controllo sui propri possedimenti imperiali. La globalizzazione, se da un lato appariva come fonte di pace e di cooperazione internazionale, era dall’altro fonte di violenze. La colonizzazione e la guerra apparivano dunque inscindibili: questo perché se la guerra non era di conquista, era una risposta violenta dei colonizzatori ai tentativi delle popolazioni conquistate di liberarsi dal governo straniero. Nei rapporti coloniali la violenza era sempre pronta a emergere, poiché altre forme di persuasione politica venivano raramente tentate ed erano rapidamente accantonate poiché fallimentari. Come sosteneva Hannah Arendt (filosofa tedesca naturalizzata statunitense), il dominio per mezzo della pura violenza entra in gioco quando si sta perdendo il potere. La violenza si arrestava solo quando non rimaneva più nulla da calpestare. Non vi erano eserciti da sconfiggere o capitali da conquistare ma solo impossessarsi di tutto ciò che la società riteneva di grande valore come il bestiame, i campi, i villaggi, le donne e i bambini. - COLONIE: Nel diciannovesimo secolo, la potenza europea di gran lunga e più costantemente bellicosa era la Gran Bretagna. È sbagliato pensare all’Inghilterra come una potenza pacifica e in contrasto solo con la Germania militarista. Di fatto, l’esercito britannico fu sempre in guerra in qualche parte del mondo: si pensi per esempio alla campagna di Kitchener nel Sudan, di altri battaglioni fra l’Afghannistan e l’India, in Cina e contro i boeri in Sudafrica. Il motivo di così tanto impegno in guerra era appunto il mantenimento dell’impero. Ma nella crudele storia del governo imperiale, la vicenda del Congo Belga fu eccezionale per le incessanti brutalità che la caratterizzarono: il re Leopoldo del Belgio intorno al 1880 comprò un immenso territorio nel bacino del Congo, e lo gestì come un’impresa privata. Il mantenimento dell’ordine fu affidato alla Force Publique, composta da mercenari africani e ufficiali europei, i quali fecero ricorso a ogni mezzo per trasformare la popolazione locale in una forza lavoro da utilizzare nelle piantagioni di gomma del sovrano. Le uccisioni e l’imposizione di una schiavitù di massa provocarono un crollo di dieci milioni di unità della popolazione africana. Joseph Conrad definì la vicenda del Congo Belga, utilizzata come scenario per il suo Cuore di Tenebra, come la più vile corsa alla ricchezza nella storia della coscienza umana, corsa che costò milioni di morti alla popolazione africana. Le proteste furono molte, ma le violenze nel mondo coloniale erano ormai talmente tante che zittivano ogni movimento contrario; motivo di tanta foga violenta era, come al solito, l’economia. La situazione delle periferie dell’Europa era spesso simile a quella del mondo coloniali: istituzioni statali relativamente deboli, talvolta in mano a quello che localmente veniva considerato un potere straniero, territori inospitali e spesso impenetrabili, sottosviluppo economico, forti legami di fedeltà a livello comunitario o parentale e modesto attaccamento ai valori nazionali. L’Irlanda di fine Ottocento rappresenta un buon esempio di come la violenza si manifestasse in un contesto semicoloniale. Una minoranza sempre più aggressiva della popolazione irlandese era arrivata a considerate l’Inghilterra una potenza d’occupazione. Nel corso degli anni Settanta e Ottanta, a un clima già segnato da diffuse minacce andarono ad aggiungersi varie forme di violenza politica: dalla mutilazione del bestiame e dall’omicidio esemplare dei proprietari terrieri. Come gli irlandesi, anche gli spagnoli avevano una ben meritata reputazione di essere un popolo difficile da governare in quanto si assisteva a una potente miscela di contrapposizioni regionali, sociali e religiose, aggravate dalla tradizione di instabilità politica e di guerre civili della penisola. In particolare modo molti baschi e catalani vedevano nel governo di Madrid un’autorità estranea e illegittima, contro la quale erano pronti a prendere le armi. Tra il 1859 e il 1870 gli italiani riuscirono, invece, a ottenere quello che i nazionali irlandesi, baschi e catalani agognavano: un proprio stato nazionale. Ma questa “Italia” era debole e posava su fragili basi di consenso soprattutto al Sud. Qui la debolezza delle istituzioni creava uno spazio nel quale agivano intermediari illegali che garantivano protezione, risolvevano dispute e imponevano il proprio tipo di ordine: la mafia siciliana era il più noto di questi. - BALCANI: All’inizio del ventesimo secolo, la zona più violenta d’Europa era quella dei Balcani, dove un gruppo di nuovi Stati era riuscito a strappare l’indipendenza dall’impero ottomano. Si trattava di Stati poveri, governati da una dinastia di importazione recente e divisi da antagonismi locali, etnici e religiosi. Nonostante le aspirazioni di stabilire – o ristabilire – il controllo, nessuno di questi stati era capace di realizzare un governo stabile e ordinato. Diversamente dai conflitti politici dell’Irlanda, della Spagna o dell’Italia meridionale, l’instabilità dei Balcani ebbe un impatto diretto sull’ordine internazionale, in quanto la violenza in quelle zone aggravò il declino dell’impero ottomano e stimolò la competizione fra le grandi potenze, in particolare fra l’Impero asburgico e quello russo: l’effetto fu la fine della lunga pace europea. Nel 1912, mentre i turchi stavano ancora combattendo contro gli italiani nell'Africa del Nord e nel Mediterraneo orientale, la Bulgaria, la Serbia, la Grecia e il Montenegro si accordarono per scatenare una guerra di aggressione che puntava a cacciare gli ottomani fuori dall'Europa, per sempre. Dopo una serie di conquiste (come il Kosovo e l'Albania), le malattie e il maltempo rallentarono la loro avanzata, dando agli ottomani il tempo di recuperare: nel 1913 a Londra fu firmata la pace. Ma dopo un mese, le rivalità si riaccesero tra le precedenti e temporanee alleate: la Bulgaria, scontenta del bottino che si era assicurata, attaccò le posizioni serbe e greche in Macedonia, con esito disastroso a causa di un’alleanza fra serbi, ottomani e romeni; la Bulgaria fu costretta a cessare le ostilità, perdendo gran parte di quanto aveva guadagnato. La questione balcanica fu forse uno dei motivi per cui gli uomini cominciarono a perdere fiducia nella pace: non a caso, la violenza ora riappariva come l'unica forma affidabile di difesa dei propri interessi nazionali. Ogni Stato ricominciò la corsa agli armamenti, destinando una sempre maggiore quantità di uomini, soldi e materiali. L'Europa si preparava a una guerra inevitabile. - PRIMA GUERRA MONDIALE: Il 28 giugno 1914, l'erede al trono dei domini asburgici, l'arciduca Francesco Ferdinando, fu vittima di un attentato mentre era in visita a Sarajevo (capitale della Bosnia). Il suo uccisore era Princip, un terrorista inviato in Bosnia dalla Mano Nera, una società segreta collegata a membri delle forze di sicurezza serbe. Inizialmente non accadde niente circa i rapporti diplomatici tra le potenze europee: ma dietro le quinte un piccolo gruppo di uomini stava prendendo delle decisioni che avrebbero causato una delle più grandi catastrofi della storia contemporanea. L'Austria decise di approfittare dell'omicidio di Francesco Ferdinando per rimuovere la minaccia serba contro gli interessi dell'impero nei Balcani. La Serbia però era sostenuta dalla Russia, e per questo l'Austria aveva bisogno della sua unica alleata, la Germania. Dopo un ultimatum da parte dell'Austria alla Serbia, a cui però quest'ultima non aveva dato seguito, gli austriaci le dichiararono guerra (28 luglio 1914), bombardando Belgrado un giorno dopo. I francesi dichiararono il proprio appoggio alla Russia, la quale mobilitò le sue truppe poiché non avrebbe consentito che la Serbia venisse schiacciata. La Germania replicò con una dichiarazione di guerra contro la Russia stessa. Dopo che i tedeschi violarono la neutralità del Belgio, l'Inghilterra dichiarò guerra alla Germania. Gli aspetti più orribili della guerra erano legati al fatto che essa era combattuta non solo dagli eserciti, ma dalle nazioni stesse; ecco perché queste guerre sono così sanguinarie. - PERCHE' SCOPPIA LA GUERRA: Ma perché l'uccisione di Francesco Ferdinando mise fine al periodo di pace europea? 1) Innanzitutto bisogna considerare il peso delle responsabilità della Germania: nel trattato di Versailles del 1919, infatti, si afferma che la Germania e i suoi alleati sono responsabili di aver causato tutte le perdite e i danni ai quali i governi alleati sono andati soggetti, in conseguenza della guerra loro imposta dall'aggressione della Germania e dei suoi alleati. 2) Un secondo tipo di spiegazione è l'opposto della prima: la guerra non fu colpa di nessuno, o forse di tutti, ma derivò da tragici sbagli di valutazione e sfortunati incidenti. (Lloyd George: “Le nazioni scivolarono dentro il calderone ribollente della guerra senza alcuna traccia di apprensione o di sgomento) 3) Vi è poi un'ultima spiegazione, secondo cui la guerra è stata il risultato inevitabile di alcune tensioni profondamente radicate nel mondo pre-bellico. Per i marxisti, il conflitto scaturì dalle contraddizioni di fondo dell'economia capitalista; per altri dalle tensioni del sistema internazionale. Insomma, le tensioni prima o poi sarebbero esplose, se non nel 1914, subito dopo. Si può affermare che nessuna di queste spiegazioni sia pienamente convincente, ma ognuna contiene un elemento di verità. Fra le spiegazioni dello scoppio della guerra nel 1914, però, una può certamente essere scartata: la guerra non fu una risposta diretta a crisi politiche interne. Gli statisti, infatti, non entrano in guerra per deviare l’attenzione delle proprie popolazioni dai problemi interni, evitare riforme politiche o scongiurare una rivoluzione sociale. - CONSENSO POPOLARE: Inoltre, sappiamo che una guerra, per essere combattuta senza ostacoli interni, deve essere sostenuta tramite il consenso del popolo. Per ottenere ciò, i governi dovevano convincere la popolazione che era in atto una guerra difensiva per la sopravvivenza della nazione. Così, il popolo sapeva che gli Austriaci stavano soltanto rispondendo all'aggressione serba, i tedeschi stavano difendendo un alleato fedele da un attacco, i russi che non potevano vedere distruggere la Serbia, i francesi che non potevano permettere l'invasione della Russia da parte dei tedeschi, i britannici che il Belgio doveva essere difeso in quanto neutrale. Per questo, molti giovani considerarono la guerra come una grande avventura, una prova di virilità, una possibilità di gloria e di fama. Oltre ai giovani e agli scontenti, i più vistosi ed entusiasti sostenitore della guerra furono gli intellettuali come Freud che plaudì alla decisione dell’Austria di colpire la Serbia o come Weber che accolse la guerra con altrettanto entusiasmo. L'evidente sostegno del pubblico alla guerra, descritto anche dalla stampa, frustrò qualsiasi speranza di dar vita a un'opposizione organizzata. Più sorprendente e significativo dell’insuccesso del movimento per la pace fu il crollo politico del socialismo europeo, i cui sostenitori erano impegnati a opporsi al nazionalismo aggressivo e a promuovere la cooperazione internazionale. Nessuno di loro aveva un piano su come agire, tutti denunciavano la guerra di aggressione ma pochi erano pronti a rifiutare una guerra di difesa della propria patria. Nonostante il conflitto cominciasse senza un efficace opposizione, non tutte le folle erano festose e in alcuni luoghi prevaleva uno stato d’animo di apprensione, malinconia e rassegnazione. GUERRA E RIVOLUZIONE: Che aspetto avrebbe dovuto avere la ricompensa della vittoria per giustificare così tanto sangue? Quando le morti divennero sempre più numerose, ogni Stato si sentì obbligato a promettere un futuro che giustificasse tanti sacrifici, o quantomeno si sentiva giustificato a portare avanti la guerra per una vittoria. Qualsiasi cosa inferiore alla vittoria, come una pace, avrebbe avuto conseguenze disastrose per coloro che l’avessero sottoscritta. I politici, così, chiedevano ai loro popoli di affrontare sacrifici sempre maggiori piuttosto di ammettere che le atrocità che avevano sopportato erano state vane. Si era creato un circolo vizioso in cui tutti i belligeranti erano intrappolati: nessuno voleva firmare una pace e tanto meno perdere la guerra; il perseguimento della vittoria costava sacrifici e sforzi sempre maggiori per la popolazione e per la nazione stessa. Nel 1914 esisteva un vasto consenso tra i militari di professione sul fatto che le operazioni offensive fossero un elemento essenziale per vincere. (Repington “La guerra è una questione di attività, d’iniziativa, di movimento”). - FRANCIA: Una prima strategia francese per sconfiggere il nemico era il Plan XVII (1913), che prevedeva una concentrazione delle truppe francesi alla frontiera orientale: le forze francesi dovevano avanzare unite contro l’esercito tedesco. I fanti francesi entrarono nel territorio nemico il 15 agosto, incontrando una forte resistenza e cominciando a subire perdite spaventose, che in poco tempo sarebbero state circa l’80%. Nella sola giornata del 22 agosto furono uccisi 27.000 soldati francesi, e in totale dal 20 al 23 agosto furono più di 40.000. Insomma, il Plan XVII era fallito. - GERMANIA: Anche i tedeschi misero in atto la propria offensiva che prendeva il nome dall’ideatore, von Schlieffen. Egli non aveva elaborato un piano dettagliato, ma aveva chiarito che la vittoria si sarebbe potuta ottenere solo attraverso una rapida concentrazione di forze a occidente, che avrebbero dovuto invadere il Belgio e la Francia settentrionale per poi impegnarsi in una serie di scontri decisivi con il nemico. La spedizione dei soldati tedeschi verso il fronte occidentale fu inizialmente senza problemi. Ma più i tedeschi si spingevano fino alle stazioni terminali delle loro ferrovie, più diventava difficile portare avanti l’offensiva. Vi erano molti problemi, tra cui le grandi dimensioni dell’esercito, la cattiva comunicazione con le proprie forze, l’impossibilità di controllare un così vasto contingente, poche informazioni sullo schieramento del nemico, problemi con i rifornimenti e quindi uomini esausti. Quando l’attacco tedesco cominciò a perdere la propria direzione, i francesi riuscirono a recuperare. Con una sanguinosa battaglia sulla Marna, i tedeschi vennero fermati, ma si giunse presto a una situazione di stallo: entrambi gli eserciti non riuscivano a predominare. Nel frattempo, la Germania combatteva la sua guerra anche sul fronte orientale contro la Russia. La differenza sostanziale riguardava gli spazi: a ovest il conflitto si concentrava in un’area compatta (guerra immobile), mentre a est il fronte si estendeva per oltre 1.500 chilometri (guerra di movimento). Anche qui però gli eserciti rimasero intrappolati in una guerra di logoramento, che si sarebbe decisa solo al momento del crollo dell’esercito russo. Winston Churchill: “Questa non è una guerra normale, ma una lotta fra nazioni per la vita e la morte”. La prolungata agonia sul fronte occidentale riecheggia nei nomi di quei campi di morte che ancora evocano il costo devastante e la terribile nullità della guerra. Per i britannici, la battaglia che assurse a tragico simbolo della guerra venne combattuta lungo la Somme nell’estate del 1916 (da 100 mila uomini a 20mila e 40mila feriti). Quello che la Somme fu per la Gran Bretagna, Verdun lo fu per la Francia e la Germania (379mila morti francesi e 330mila morti tedeschi). Secondo il comandante tedesco, una volta colpita a morte la Francia, la Gran Bretagna sarebbe stata costretta a far la pace. La maggior parte delle uccisioni erano senza volto: i soldati non vedevano gli uomini che uccidevano, né da chi venivano uccisi. Il ritmo della morte non aveva tregua a causa del continuo funzionamento dell’artiglieria. - CONDIZIONI PSICOLOGICHE: Fusilier dice che per l’uomo delle trincee la prova rivelatrice erano gli ordigni che gli esplodevano intorno. Ogni esercito, ormai provato dalla guerra stremante ininterrotta, aveva uomini che non potevano e non volevano continuare a combattere perché la loro scorta di coraggio si era esaurita. A volte soffrivano di quello che era chiamato “shock da granata”, una condizione che si manifestava con una varietà di sintomi, fra i quali un’estrema agitazione, insonnia, delirio e perdita della parola e dell’udito: se erano fortunati tali soldati venivano trattati con umanità, ma il più delle volte venivano costretti a tornare al fronte il prima possibile. Nel 1917 emersero segni che la sopportazione dei soldati stava per toccare il limite. Su ogni fronte si manifestarono disordini, segnale che la disciplina militare stava cominciando a disfarsi. Ma l’efficienza militare venne ripristinata presto in tutti gli eserciti, anche grazie alla polizia responsabile dell’imposizione della disciplina degli eserciti: dure punizioni, che arrivavano fino alla pena di morte, potevano essere assegnate per essersi addormentati durante un turno di guardia, per non essere avanzati per attaccare il nemico, o per essere scappati. L’unica possibilità di sottrarsi alla disciplina militare era la diserzione, che significava o passare al nemico o nascondersi lontano dal campo di battaglia: alcuni ci riuscirono, altri furono catturati e severamente puniti. Sul campo di battaglia quel che più contava erano gli uomini assieme ai quali un soldato combatteva, da cui dipendevate per i quale, se necessario, soffriva e moriva. Questa lealtà di gruppo, però, non garantiva l’efficienza e la combattività di un esercito. Per funzionare, infatti, vi era bisogno di una società civile funzionante, di un sistema di approvvigionamenti relativamente efficiente che garantisse direzione, disciplina e legittimità. - ECONOMIA: Nel 1914, nessuna economia nazionale era preparata ad affrontare la guerra che avrebbe dovuto combattere; tutte dovettero riadattarsi rapidamente e radicalmente per poter rispondere a una così elevata domanda di beni e servizi. La mobilitazione di massa di giovani uomini per l’esercito sottrasse braccia alle fabbriche e ai campi, lo sconvolgimento dei mercati interni e del commercio internazionale soffocò il rifornimento di materie prime, e i danni provocati dall’occupazione straniera restrinsero le basi della produzione. Su tutti i fronti, i combattenti distrussero interi villaggi, rovinarono miniere e contaminarono i campi coltivati. Gli Stati limitavano i viaggi, razionavano il cibo e imponevano giorni senza consumo di carne. Per risparmiare energia, introdussero l’ora legale. Ridussero le ore nelle quali i locali pubblici potevano servire birra. Intromettendosi in così tante attività della vita di ogni giorno, lo Stato gettò le basi di quei regimi che sarebbero nati poco dopo la fine della prima guerra mondiale. - CENSURA: Quello che poteva essere scritto e riferito a proposito della guerra era attentamente controllato da censori civili o militari: i quotidiani che uscivano dai limiti consentiti potevano essere chiusi, gli articoli e i libri che criticavano la politica governativa erano messi al bando. Al fine di prevenire il diffondersi di notizie scoraggianti dal fronte venne introdotto un sistema di censura militare. Gli uffici per l’informazione di guerra stampavano centinaia di manifesti, organizzavano raduni e parate, curavano apparizioni pubbliche degli eroi di guerra e mostre delle armi sequestrate. Ogni campagna propagandistica cercava di diffamare il nemico. Quali furono gli effetti della propaganda? Dopo che l’aspettativa di un rapida vittoria fu smentita, quanto durò l’entusiasmo della popolazione per la guerra? In alcuni luoghi e in certi gruppi l’entusiasmo non scemò mai. In ogni paese vi erano patrioti che si aggrappavano ai sogni di vittoria e celebravano le eroiche gesta dei loro guerrieri. Fra le molte illusioni che andarono distrutte nel 1914 fu la distinzione fra militari e popolazione civile. Quasi fin dai primi momenti del conflitto, i belligeranti abbandonarono l’idea che gli obiettivi civili fossero fuori dai limiti consentiti. Molte bombe vennero sganciate nei centri delle città provocando migliaia di vittime civili. In tutti i luoghi, dunque, la popolazione civile si trovò alla mercé di un esercito straniero: incendi, stupri e omicidi accompagnavano il cammino degli invasori. Le più gravi atrocità, però, non furono commesse dagli eserciti stranieri ma da agenti dello Stato contro i propri cittadini. Nell’aprile del 1915, ad esempio, il governo ottomano di Costantinopoli cominciò una sistematica campagna di annientamento contro la minoranza armena. Contro questo genere di violenze e politiche devastanti, le potenze europee rimasero mute e impotenti. Simile situazione venne affrontata da circa 6 milioni di cittadini dell’Impero russo perché di origine tedesca, zingari, musulmani del Caucaso, abitanti delle province baltiche o ebrei. I governi si accorsero ben presto di poter sfruttare le tensioni etniche esistenti negli Stati loro rivali. Gli ottomani, ad esempio, dichiararono una guerra santa contro i nemici, sperando di mobilitare la componente musulmana russa e quella presente nelle colonie francesi e britanniche. Nel 1917, invece, la Gran Bretagna propose la creazione di un “focolare nazionale per il popolo ebraico” in Palestina. Come i loro nemici, anche i tedeschi sfruttarono questa tecnica suscitando una rivolta irlandese. - RUSSIA E IL RITORNO DI LENIN: Hoffmann fu coinvolto nel più significativa episodio di interferenza nemica nella politica interna di un altro Stato: la decisione, nel marzo del 1917, di riportare Lenin in Russia. All’inizio del 1917 la Russia si trovò a dover fronteggiare un complesso intreccio di drammatici eventi militari, sociali e politici che si trasformò in rivolta generale a Pietrogrado. Quando le guarnigioni di stanza in città si rifiutarono di intervenire per riportare l’ordine, il plurisecolare regno dei Romanov crollò, e si insediò al potere un governo provvisorio guidato da riformatori moderati. Quando Lenin giunse a Pietrogrado, il suo intento era quello di trasformare la guerra in corso in una sollevazione rivoluzionaria nella quale le classi diseredate del mondo potessero essere mobilitate contro i loro padroni imperialisti. Per conquistare la fiducia, Lenin sostenne e aspirazioni del popolo, il quale chiedeva che il potere fosse consegnato ai soviet (consigli di operai, cittadini, soldati e marinai che si erano formati spontaneamente a Febbraio), l’immediata conclusione della guerra e la distribuzione di terre ai contadini. Lenin, successivamente, usufruì della sua cerchia per spazzare via il debole governo provvisorio e prendere il potere, in attesa che scoppiasse la rivoluzione mondiale. Nell’autunno del 1918 la rivoluzione leninista sembrò propagarsi a occidente, ponendo a fianco del fragile governo bolscevico le masse radicalizzare dell’Europa centrale. - FINE DELLA GUERRA: Alla fine di settembre, il comando supremo tedesco si rese conto che la guerra era perduta: le forze britanniche e francesi erano sopravvissute all’ultima offensiva tedesca ed erano ora sostenute dall’arrivo di una grande quantità di truppe americane. La disciplina all’interno dell’esercito tedesco cominciò a sfasciarsi, e con essa la capacità del governo tedesco di mantenere l’ordine. L’Imperatore di Germania Guglielmo II si rifugiò in Olanda. La capacità dello Stato di imporre l’ordine, e in molti luoghi perfino il suo controllo del monopolio della violenza, venne compromessa: sommosse, omicidi politici e minacce rivoluzionarie tormentarono l’immaginazione degli europei. La guerra distrusse tutto: per milioni di europei, il conflitto aveva dimostrato la triste verità contenuta nella previsione di Norman Angell, secondo cui la guerra non avrebbe pagato. Essi credevano che un altro conflitto europeo dovesse essere evitato a ogni costo. LA TREGUA DEI VENT’ANNI: L’11 novembre del 1918, gli eserciti contrapposti lungo il fronte occidentale continuarono a far fuoco fino alle 10:59. Alle 11 in punto, si fece silenzio, in quanto entrò in vigore l’armistizio. Alcuni soldati scavalcarono le trincee e attraversarono la terra di nessuno per abbracciare i loro ex nemici; altri se ne andarono; la maggior parte rimase dov’era, dubitando ancora che la guerra fosse veramente finita. Nel 1919 si tenne la Conferenza di pace di Parigi, in cui gli Stati vincitori (Francia - Clemenceau, Inghilterra - Lloyd George e Usa - Wilson) imponevano a quelli sconfitti alcuni trattati da rispettare. Al posto dell’Impero asburgico si istituì un gruppo di Stati basati in linea generale sul principio dell’autodeterminazione. Il punto debole però, più che dagli specifici aspetti delle sistemazioni prospettate, dalla mancanza di una volontà concertata di attuarle. Gli Usa non fornirono sostegni alla pace e non aderirono alla Società delle Nazioni. I britannici vi aderirono ma cominciarono subito ad avere dubbi sugli accordi di pace. Londra, ad esempio, era pronta a garantire la sicurezza della Francia, ma non quella degli stati di nuova formazione nell’Europa orientale. La Russia, essendo governata ora dai bolscevichi, era fuori dal consenso degli Stati. L’Italia e il Giappone, nonostante fossero fra le potenze vincitrici, erano profondamente insoddisfatti dello Status quo. In definitiva, l’unica potenza che sosteneva l’ordine postbellico senza riserve era la Francia, fiaccata dai costi umani e finanziari della guerra. A pagare maggiormente le conseguenze della guerra fu la Germania, la cui popolazione era fortemente convinta di aver vinto dati i territori occupati dal loro esercito: obbligata a ridimensionare drasticamente le forze armate (100.000) e cedere alcuni territori, l’economia gravata dalle enormi riparazioni di guerra, governo sotto attacco, società percossa da conflitti. I tedeschi si sentirono, inoltre, particolarmente offesi dagli articoli 228-231 del trattato, con i quali si stabiliva che chi aveva girato il paese in tempo di guerra doveva essere consegnato e sottoposto a processo come criminale e si dichiarava che la guerra era stata provocata “dall’aggressione della Germania e dei suoi alleati”. Ma nonostante tutto, la Germania rimaneva lo Stato più importante d’Europa. Oltre a definire e a sostenere la pace europea, le grandi potenze dovettero occuparsi di una serie di rivolte scatenate dai popoli a esse soggetti in tutto il mondo: nell’India britannica, in Egitto, in Iraq, il Libia, in Marocco e in Irlanda. In tutti i casi, gli europei reagirono alle resistenze che vennero loro opposte con estrema violenza. Per contrastare i nazionalisti irlandesi, ad esempio, i britannici formarono un gruppo paramilitare, i Black and Tans, che rispose agli attacchi con violente e indiscriminate rappresaglie contro la popolazione. In molte parti del mondo, le potenze coloniali fecero uso della nuova tecnologia militare per imporre la loro volontà: aerei, gas venefici e agenti chimici. Nel Medio Oriente, il periodo successivo alla guerra fu caratterizzato da una serie di lotte armate per decidere il futuro dell’Impero ottomano. Quando nel 1918 i turchi accettarono l’armistizio, le loro province arabe erano in rivolta, e truppe straniere stavano penetrando nell’entro terra, tra cui quelle britanniche, greche e italiane. L’impero si stava rapidamente disintegrando, e il sultano Mohammed VI rimase confinato a Costantinopoli. Gli succedette Kemal, il quale istituì una repubblica al posto del sultanato. Nel 1923 aveva sconfitto i greci, negoziato la fine delle ostilità con le potenze dell’Intesa e firmato un nuovo trattato di pace a Losanna. - RUSSIA: Lenin, nel 1918, aveva convinto i suoi compagni ad accettare le dure condizioni di pace imposte dalla Germania vittoriosa a Brest-Litovsk, in conseguenza delle quali il paese perse un terzo dei territorio della Russia europea, assieme a quasi metà della sua capacità industriale. Lenin, infatti, sosteneva che la pace era necessaria per consentire all’esperimento bolscevico di sopravvivere abbastanza a lungo. Nello stesso anno, si formarono degli eserciti controrivoluzionari appoggiati da Usa, Giappone, Gran Bretagna e Francia, che minacciarono il regime russo su diversi fronti. I Bolscevichi ne uscirono vittoriosi, usando istituzioni militari e politiche efficienti e basandosi su convinzioni ideologiche, appelli patriottici, rivalità sociali e ambizioni personali. Ma la vittoria, scaturì soprattutto dall’utilizzo della forza contro tutti i nemici. Nel 1921 i bolscevichi avevano vinto la guerra civile, ma l’economia russa era paralizzata, la fame una realtà, e il malcontento cresceva tra tutti. Lenin fu costretto ad adottare provvedimenti per sopravvivere noti come “Nuova politica economica”. - ITALIA: Nel 1919, mentre Lenin istituiva la Terza Internazionale (la seconda era crollata nel 1915) per diffondere la rivoluzione mondiale, Benito Mussolini fondò a Milano un Fascio di combattimento: la sua rapida ascesa al potere sarebbe stata inconcepibile senza la guerra. Nel 1914 Mussolini dirigeva l’Avanti, il quotidiano ufficiale del Partito socialista italiano; poco dopo l’inizio della guerra, però, ruppe con i compagni socialisti sulla questione dell’intervento, da lui sostenuto. Se inizialmente il futuro duce possedeva un programma che mescolava a un radicale nazionalismo elementi anticapitalistici e anticlericali, ben presto si spostò a destra, omaggiando la monarchia e la Chiesa e promettendo di difendere la proprietà e l’ordine. Con lo Stato ridotto quasi alla paralisi, l’economia del paese a terra e il sistema politico collassato, molti italiani guardavano alle squadre fasciste (reclutate fra ex militari, studenti e giovani predisposti alla violenza) come a un fondamentale alleato contro la minaccia di una rivoluzione comunista. Ma fascismo e comunismo nascevano dalla stessa guerra, e possedevano entrambi un ideale di base: era necessario un nuovo sistema, ricorrendo anche a misure dure e perfino brutali per realizzarlo. - I CADUTI: Sulle vite di chi era sopravvissuto alla guerra si proiettava la lunga ombra di milioni di persone che invece non ce l’aveva fatta. La guerra lasciò circa 3 milioni di vedove, 10 milioni di orfani e milioni di genitori, fratelli, sorelle, innamorati e amici in lutto. I sopravvissuti, invece, non si sarebbero mai dimenticati i terribili momenti in cui avevano ricevuto la fatale notizia o i momenti in cui si erano trovati in un campo di battaglia. I governi, successivamente, si resero conto che avrebbero dovuto commemorare la morte di ognuno dei loro cittadini soldati. Vennero dunque costruiti nuovi cimiteri militari, ampliati quelli civili e costruiti migliaia di monumenti per commemorare i caduti. Se la natura democratica della guerra moderna conferiva importanza alla commemorazione del sacrificio di ogni soldato, la tecnologia dei combattimenti la rendeva però spesso impossibile poiché, dopo ogni scontro, il campo di battaglia era cosparso di corpi maciullati. A partire dall’11 novembre 1920, a Londra e Parigi, con una prassi che poi si estere a quasi tutte le nazioni che avevano combattuto, venne riservato un posto d’onore al milite ignoto, le cui ossa vennero scelte a caso per rappresentare tutti colori che erano morti in battaglia. Negli anni Venti e Trenta, inoltre, gli europei ricordavano la guerra con le cerimonie che mettevano in risalto il sacrificio, il dolore e il lutto. - TRATTATI: Alla fine del 1923, il ministro degli Esteri tedesco Stresemann inaugurò una politica tesa a ottenere concessioni dagli Alleati in un’ottica di conciliazione piuttosto che di scontro. Stresemann trovò un alleato disponibile nel primo ministro francese Briand, il quale credeva che la sicurezza della Francia potesse essere meglio perseguita mediante una stretta cooperazione con la Gran Bretagna e una politica più accomodante e flessibile nei confronti della Germania. Gli sforzi congiunti tra i due produssero una serie di accordi, firmati a Locarno nel 1925, con i quai si garantivano le frontiere orientali della Francia. Nel 1926 la Germania entrò nella Società delle Nazioni e prese parte ai avori di una commissione incaricata di preparare una conferenza generale sul disarmo. Ci fu anche una soluzione riguardo le riparazioni, che furono fissate a una quota che i tedeschi avrebbero potuto pagare. Nell’agosto del 1928 a Parigi, invece, fu firmato un accordo con il quale le nazioni condannavano il ricorso alla guerra per regolare le controversie internazionali e rinunciavano all’uso di questo strumento nelle relazioni reciproche. - VERSO LA GUERRA: Gli anni 30 erano un periodo basso e disonesto, oltre che violento. Si ricorda ad esempio la conquista dell'Etiopia da parte dell'Italia di Mussolini, le brutalità commesse dal regime sovietico contro i contadini, i Gulag, la carestia che afflisse l'Ucraina. I governi delle democrazie liberali assisterono a questa marea di sofferenze e di morte con ansia e sgomento . I sostenitori del comunismo e del fascismo tentarono di spiegare e giustificare le politiche omicide di Stalin e l'imperialismo di Mussolini. Fra gli europei, l'orientamento dominante fu quello di non farsi coinvolgere, di lasciare che gli eventi facessero il loro corso. Nessuno di questi eventi, infatti, sembrava toccare gli interessi degli altri Stati europei: per nessuno di essi valeva la pena di rischiare un'altra catastrofe come la scorsa guerra. - GERMANIA: Nel 1922 e 1923, in Germania né l'estrema destra e né l'estrema sinistra erano abbastanza forti da prendere il potere illegalmente o da conquistarlo con libere elezioni. Quando nel 1929 l'economia mondiale precipitò nella crisi, questa situazione cambiò: i conservatori crearono un'alternativa antidemocratica. Così, nel 1933 il governo fu consegnato ad Adolf Hitler. Questi si sbarazzò ben presto dei suoi alleati, sottomise col terrore i propri oppositori e smantellò la Costituzione. In poche parole, in poco più di un anno affermò il proprio controllo sullo Stato e sulla società tedesca. Il nazismo trovò consensi "grazie" alle divisioni politiche, a un grave dissesto economico e a un senso di frustrazione nazionale, il tutto causato dalla guerra. In secondo luogo, la guerra abituò i tedeschi alla violenza. Le attrattive del nazismo consistevano in una serie di paure e odi, oltre che interessi particolari: la questione ebraica assumeva un'importanza centrale, così come l'anticomunismo. Nel 1918, queste forze estranee avevano tradito la patria e continuato ad essere la fonte del malcontento tedesco. L'interesse principale era quello di far tornare la Germania una potenza mondiale di tutto rispetto, in risposta all'umiliazione subita col trattato di Versailles. Hitler credeva di poter sovvertire la pace di Versailles con mezzi diplomatici, sfruttando le debolezze e le divisioni esistenti fra gli altri Stati europei, ma gli obiettivi finali del suo imperialismo razziale non potevano essere conseguiti senza la guerra, necessaria per conquistare i vasti spazi rivendicati dalla Germania a Est. Nel 1936 Hitler annunciò che la Germania non si sarebbe più attenuta alle restrizioni che il Trattato di Versailles imponeva alle sue forze armate. Gran Bretagna e Francia non passarono all'azione, mantenendo comunque lo stato di allarme. Nel 1938 Hitler si mosse per la prima volta oltre i confini del Reich, costringendo il governo austriaco ad accettare un'incursione di truppe tedesche e la fusione dei due paesi (Anschluss). Sempre nello stesso anno, Hitler iniziò ad avvicinare il suo esercito in Cecoslovacchia, dove viveva una consistente minoranza tedesca; ma la Cecoslovacchia mobilitò il suo esercito, assicurandosi anche l'appoggio di Gran Bretagna e Francia. Hitler dunque fece marcia indietro, ma non abbandono il suo obiettivo: in un futuro non troppo lontano, avrebbe distrutto la Cecoslovacchia, e non era di certo un segreto. Per evitare la catastrofe, il primo ministro britannico Chamberlain compì tre viaggi per incontrare Hitler, riassumibili tutti nel terzo, in cui di fatto venne concesso a Hitler tutto quello che voleva; l'alternativa era attaccarlo. La politica di appeasement praticata da Chamberlain è divenuta sinonimo di debolezza, nonostante la stragrande maggioranza degli europei fu contenta quando quella politica sembrò funzionare . Non fu sbagliato perseguire una soluzione pacifica della crisi cecoslovacca, ma fu irresponsabile e criminale non prendere in considerazione cosa si sarebbe dovuto fare se ciò non avesse placato la brama di conquista hitleriana. Così, prive di vincoli, nel 1939 le truppe tedesche entrarono a Praga, completando la distruzione dello Stato cecoslovacco. Hitler preparò subito anche l'invasione della Polonia: stavolta, però, Chamberlain dichiarò che in caso di attacco, l'Inghilterra (così come la Francia) sarebbe accorsa in aiuto alla Polonia. Hitler non aveva ragioni per pensare che ora le potenze occidentali facessero sul serio, anche perché la Germania aveva stretto un patto di non aggressione con la Russia, condannando la Polonia a combattere su entrambi i fronti. La guerra era ormai inevitabile: l'Europa si trovava a dover affrontare di nuovo un dramma atroce, ma questa volta senza nemmeno l'entusiasmo di vincere. Nessun canto, nessuna banda e nessuna felicità vi era ad accogliere i soldati e i cittadini europei. Chamberlain era ormai rassegnato, dopo aver provato in ogni modo ad evitare la guerra. Perfino a Berlino l'atmosfera non era entusiasta. L'auto di Hitler, al momento dell'annuncio dell'inizio della guerra, attraversò strade vuote: non c'erano folle esultanti, né espressioni di gioia o di solidarietà. L'Europa aveva iniziato la guerra, un'altra volta. L'ULTIMA GUERRA EUROPEA: L'ultima guerra europea iniziò il 1° settembre del 1939, quando i tedeschi bombardarono la Polonia presso il golfo di Danzica. L'obiettivo strategico di Hitler era l'eliminazione delle forze vive, ossia la distruzione della società e della cultura polacca. La guerra, sosteneva Hitler, doveva essere combattuta con la più grande brutalità e senza pietà. E così fu: ammazzarono prigionieri, incendiarono paesi, catturarono ostaggi, uccisero civili e capi politici. Gran parte di questa violenza fu opera delle SS e della Gestapo. Come promesso la Gran Bretagna e la Francia dichiararono guerra alla Germania per difendere i loro alleati polacchi, ma di fatto non fecero niente per aiutarli militarmente. Una volta sconfitta la Polonia, Hitler fu ansioso di procedere con il suo più vasto progetto imperialistico su base razziale, il che significava invadere l'Unione Sovietica, rompendo il patto di non aggressione. Prima di questo, però, doveva assicurarsi il controllo del fronte occidentale, sconfiggendo la Francia e allontanando i britannici dal continente. Gli alleati occidentali aspettarono al riparo della linea Maginot, un sistema di fortificazioni che si estendeva per 140 chilometri lungo la frontiera franco-germanica. Quando i militari tedeschi cominciarono a spostarsi verso Ovest, i francesi sbagliarono a valutare quale sarebbe stato il punto di massima concentrazione dell'offensiva tedesca, e inviarono le loro truppe migliori a Nord verso il Beglio, consentendo così al nemico di avanzare attraverso la foresta delle Ardenne, che la linea Maginot lasciava scoperta. Nell’arco di due settimane, l’esercito francese cominciò a disintegrarsi e il 22 giugno fu firmato l’armistizio senza condizioni. Com’era potuto accadere? La spiegazione più ovvia è l’incompetenza militare soprattutto del Comando supremo. Quanto alle modalità di combattimento, tre furono gli aspetti decisivi per il futuro dell’Europa. In primo luogo, nella seconda guerra mondiale, ancor più che nella Grande guerra, la natura dello scontro fu determinata da uno dei partecipanti, la Germania. Senza di essa, nel 1939 non ci sarebbe stata la guerra europea. In secondo luogo, la guerra venne combattuta in modo assai diverso in Oriente e in Occidente. Fin dall’inizio, la Germania fu determinata non solo a conquistare i propri nemici orientali, ma anche a distruggere le loro istituzioni politiche e sociali in modo da poter imporre una forma di dominazione. In terzo luogo, la seconda guerra mondiale fu una guerra totale, nella quale la linea divisoria fra combattenti e non venne cancellata, non solo durante le operazioni a Est, ma anche con il bombardamento strategico di obiettivi civili. - INGHILTERRA: Dopo la caduta della Francia, Hitler sperava che la Gran Bretagna sarebbe rimasta neutrale e avrebbe lasciato avanzare ad Est la Germania. Ma Churchill, diventato primo ministro, era determinato a restare in guerra. La Royal Air Force riuscì a sconfiggere la Luftwaffe, costringendo Hitler a rinviare ulteriori operazioni militari. - RUSSIA: Hitler, convinto che che la vittoria ad Est sarebbe stata rapida e facile, cominciò a progettare l’attacco all’Unione Sovietica, convito che na volta messa fuori gioco quest’ultima, i britannici avrebbero capito quanto fosse folle continuare la resistenza. Stalin, nonostante il crescente numero di rapporti dei servizi segreti sui preparativi militari tedeschi, era restio a crescere che Hitler stesse progettando di infrangere il loro accordo. Nel 1941 i tedeschi sfondarono in territorio russo: lo shock fu tremendo, e la loro avanzata provocò un disastro terribile. I sovietici in sei mesi persero 4 milioni di uomini e migliaia di aerei e carri armati. Leningrado fu accerchiata, e Mosca posta sotto assedio, consentendo così ai tedeschi di impossessarsi di alcune zone industriali. Hitler aveva deciso che Mosca dovesse scomparire dalla storia, sommersa da un enorme lago artificiale. Ma quando cominciò l’inverno, fu evidente che i tedeschi non erano riusciti a superare due grossi problemi: quello logistico di una linea di rifornimenti che si estendeva continuamente, lasciando spesso le truppe senza carburanti e munizioni; e il coordinamento fra unità corazzate e fanteria, che consentì ad alcuni reparti russi di mettersi in salvo. Approfittando dei rallentamenti delle truppe tedesche, i sovietici riuscirono a liberare Mosca: l’Armata Rossa stava recuperando. A maggio, Stalin aveva ordinato un’offensiva presto rivelatasi fallimentare: i tedeschi reagirono con una propria offensiva, destinata però a bloccarsi quando non riuscirono a conquistare Stalingrado. Era un secondo campanello d’allarme per Hitler, che aveva già sentito suonare il primo poco prima con la liberazione di Mosca. Infatti, nel 1943, gli esausti resti dell’armata tedesca furono costretti alla resa: la campagna tedesca subì così una grave sconfitta, di grande portata simbolica, in quanto la Germania prima d’allora non aveva mai perso una battaglia. Il regime dittatoriale tedesco riuscì a prevalere sulle democrazie occidentali, ma a Est si trovò di fronte un regime simile, forse organizzato ancora meglio, e il nazismo non poté superare la prova del fuoco. - USA: Nel frattempo i cacciabombardieri giapponesi stavano attaccando la base navale americana di Pearl Harbor. Hitler decise di affiancarsi ai giapponesi, dichiarando guerra agli Stati Uniti. Questi ultimi sembravano l’unica via d’uscita per un’Europa sottomessa dalla Germania. Iniziò così la battaglia dell’Atlantico, in cui i tedeschi potevano mostrare la propria abilità per mezzo degli U-Boot (sottomarini). Solo nel 1943, finalmente, il numero di navi fabbricate superava quello delle navi perse, e nello stesso anno gli alleati riuscirono ad affondare un numero maggiore di U-Boot, costringendo i tedeschi a limitarne l’attività. Contemporaneamente, i britannici e gli americani cacciarono gli italiani e i tedeschi dal Nord-Africa, sbarcando in Sicilia. Mussolini venne estromesso dal potere. Ora la Germania era costretta a condurre un nuovo tipo di guerra, fronteggiando una schiera di nemici che disponevano di popolazioni molto più numerose, di risorse più consistenti e di una capacità produttiva nettamente maggiore. Nel 1944 gli alleati sbarcarono in Normandia, uccidendo più di un milione di soldati tedeschi. Roma fu occupata dagli angloamericani. Ma i tedeschi non mollavano così facilmente e continuavano a infliggere gravi perdite ai loro nemici: essi continuavano a combattere a lungo, anche se ogni possibilità di vittoria era visibilmente svanita, probabilmente per convinzioni ideologiche, per salvarsi la pelle a vicenda, per la coesione all’interno dell’esercito, o forse solo perché avevano paura a non farlo, considerando che i disertori venivano letteralmente appesi ai lampioni. - FINE DELLA GUERRA: La seconda guerra mondiale, come la prima, fu una guerra di logoramento. La differenza cruciale fra le due guerre non risiede nel loro carattere ma nella loro dimensione. Più vite umane, più risorse, più macchine, più morti (circa 50 milioni di persone). Inoltre, molto più della prima guerra mondiale, la seconda trascinò con sé sia soldati che civili, poiché i combattimenti non ebbero confini. Nelle guerre di logoramento nessuna singola battaglia è decisiva, ciò che conta è l’eliminazione di qualcuno dei vantaggi del nomi e l’indebolimento della sua capacità di combattere. I bombardamenti aerei, ad esempio, rappresentarono lo strumento più efficace per distruggere il nemico. L’unica difesa da questo genere di attacco consisteva nel colpire prima e più duramente del proprio contendente, il che significava semplicemente “che si doveva uccidere per primi più civili, più donne e bambini, se si vuole salvare i propri dal nemico”. La forza aerea però non diede soddisfazioni ai suoi più accessi sostenitori a causa della sua imprecisione: la bomba, infatti, poteva cadere da 8 a 120 km di distanza rispetto al proprio obiettivo. Ciò nonostante, pur tenendo in considerazione il costo della guerra aerea e i suoi limiti strategici, non vi è dubbio che essa apportò un contributo essenziale alla vittoria alleata sulla Germania e, in modo ancor più deciso, sul Giappone. - GUERRE PARALLELE: La vittoria militare, nel regime hitleriano, non avrebbe avuto senso se a essa non si fosse riusciti ad affiancare una rivoluzione razziale. Così, fra il 1933 e il 1939 Hitler creò i fondamenti ideologici di una campagna di dominazione razziale: i dettagli di simili progetti erano vaghi, ma l’obiettivo era chiaro; sterminare i nemici razziali della Germania e conquistare le razze inferiori, riducendole in schiavitù. Fra i primi obiettivi figurarono i tedeschi affetti da malattie incurabili e quelli socialmente indesiderabili. Nell’ottobre del 1939, Hitler firmò un ordine che conferiva a certi medici il diritto di garantire una “morte pietosa” a determinati pazienti e solo verso la fine del 1939 e l’inizio del 1940 si fece ricorso al gas. Il nucleo della guerra razziale tedesca restava la questione ebraica: gli ebrei non potevano essere semplicemente sottomessi, in quanto si riteneva che fossero troppo pericolosi, e che il loro potere fosse troppo forte. L’unico rimedio era sbarazzarsene (rimaneva solo decidere come). Inizialmente furono estromessi dalla società e privati dei diritti civili ed economici, ma già dal 1938 il ritmo delle persecuzioni si intensificò: gli squadristi nazisti dettero alle fiamme sinagoghe, uccisero alcuni uomini ebrei, ne arrestarono molti e distrussero le vetrine dei negozi condotti da ebrei (notte dei cristalli). - QUESTIONE EBRAICA: In una prima fase, i tedeschi strapparono dalle loro case, concentrarono e segregarono gli ebrei che abitavano nei territori conquistati, rinchiudendoli nei ghetti o nei campi di concentramento. Poi, nel 1941, Hitler e i suoi più stretti collaboratori elaborarono la "soluzione finale" della questione ebraica, ossia l’uccisione di ogni ebreo sul quale potessero mettere le mani. La scena del massacro si spostò nei campi di concentramento verso i quali vennero trasportati milioni di ebrei provenienti da tutta Europa. Ma per riuscire nel loro intento, i tedeschi avevano bisogno di aiuto, e in qualsiasi luogo giungessero trovavano persone disposte a collaborare. È possibile quindi affermare che lo sterminio degli ebrei fu un fenomeno europeo, in cui francesi, ucraini, lettoni e fascisti italiani svolsero ciascuno un proprio ruolo. Nel 1945 non vi fu un momento preciso, paragonabile alle 11 dell’11 novembre 1918, in cui la guerra potesse dirsi conclusa. I rappresentati tedeschi si arresero in tre momenti differenti: il 4 maggio ai britannici, il 7 maggio agli americani e il 9 maggio ai russi. Solo alcune unità come le SS continuarono, invano, a combattere per poi arrendersi alla fine di maggio. Quando gli eserciti tedeschi vennero sconfitti, i regimi che avevano collaborato con essi furono spazzati via. Furono uccise molte persone che avevano collaborato con il regime nazista. Molti collaborazionisti furono sottoposti a processo e condannati a pene pesanti. Nel 1945 milioni di soldati tedeschi furono fatti prigionieri, cosi come diversi capi del regime furono sottoposti a processo davanti al Tribunale internazionale di Norimberga. Forse l’aspetto più sorprendete della fine del Terzo Reich fu il numero di persone che preferirono uccidersi, come Hitler, Goebbels e Himmler, piuttosto che affrontare le conseguenze della sconfitta. Alcuni tedeschi, ad esempio, si tolsero la vita per sottrarsi alla furia dell’esercito invasore sovietico. Dal momento in cui quest’ultimo penetrò nel territorio straniero furono inflitte gravi sofferenze a milioni di civili attraverso stupri e omicidi. Il paese che più profondamente e più a lungo venne segnato dalla guerra fu l’Unione Sovietica che subì perdite umane e materiali indescrivibili e indecifrabili. Il regime, subito dopo la fine della guerra, iniziò a colpire tutto quelli che considerava colpevoli di tradimento o di collaborazione con il nemico. Milioni di civili tra cui prigionieri di guerra, uomini e donne costretti a lavorare per il nemico e persone fuggite a ovest per evitare la tirannia staliniana, furono imprigionati o giustiziati. Quelli che furono abbastanza furgonati riuscirono a ritornare alla vita civile dal 1995, quando un decreto del presidente della Federazione russa restituì agli ex prigionieri di guerra il pieno godimento dei diritti civili. I sovietici inflissero le punizioni più dure, ma celebrarono anche con maggior rilievo degli altri le eroiche gesta dei propri cittadini costruendo monumenti. La Gran Bretagna sentì l’urgendo di guardare avanti, come dimostrarono nell’estate del 1945, non rieleggendo Churchill. Anche in Inghilterra si svolsero numerose parate e si eressero numero monumenti celebrativi della vittoria, ma in misura minore rispetto a due che era avvenuto per la prima guerra mondiale, ancora definita Grande Guerra. I tedeschi, invece, si riferivano all’anno 1945 come “all’anno zero”, un tempo sospeso tra passato e presente, nel quale la storia aveva raggiunto un punto terminale. Nella Germania post bellica non si eressero memoriali dedicati all’eroe caduto, non vi furono omaggi e non si celebrarono cerimonie commemorative o consolatorie. Il secondo conflitto, ancor più del primo, si rivelò difficile da commemorare. Le dimensioni e la varietà delle sofferenze che esso provocò sembravano non poter trovare adeguata espressione nei consueti strumenti dei discorsi, dei monumenti o delle cerimonie pubbliche. LE BASI DEL MONDO POSTBELLICO Nell’estate del 1945, i capi dell’Alleanza si riunirono per l’ultima volta a Potsdam, un sobborgo di Berlino. Alla riunione parteciparono il nuovo presidente degli Usa Truman, Churchill e successivamente Attlee (vincitore delle elezioni britanniche) e Stalin. Emerse il peggioramento dei rapporti fra russi e americani. Il conflitto tra Est e Ovest era ancora mascherato dai tentativi di cooperazione messi in atto da entrambe le parti, ma la difficoltà di raggiungere un accordo su questioni specifiche fu inequivocabile. Il fatto che il responso positivo del test di un ordigno nucleare effettuato nel Nuovo Messico giungesse il giorno prima dell’inizio della conferenza (a Truman ala notizia venne data appena tornato da Berlino) lasciava presagire quale sarebbe stata la posta in gioco nella futura Guerra Fredda. La Conferenza fu dominata da Truman e Stalin: le basi dell’Europa e del dopoguerra sarebbero state gettate e difese dalle due superpotenze, la cui rivalità avrebbe diviso il continente. Postdam, quindi, si colloca al termine di un lungo capitolo della storia europea e all’inizio di un altro. - USA: Gli Stati Uniti, essendo materialmente a distanza dal conflitto a causa dell’oceano, poterono permettersi il lusso di scegliere quanti soldati addestrare e quante risorse dedicare alla guerra. Gli Stati Uniti avrebbero comunque combattuto una guerra in cui il ruolo determinante sarebbe stato svolto dai macchinari, il che avrebbe ridotto al minimo le perdite fra i loro soldati. Le capacità produttive americane, inoltre, non furono mai pienamente mobilitate in funzione dello sforzo bellico. Il livello di vita medio dei cittadini americani addirittura aumentò. Quando gli Stati Uniti entrarono in guerra i sovietici, che avevano alle spalle sei mesi di lotta contro i nazisti, diventarono per gli americani un indispensabile alleato. Entrambe le parti misero da parte le vecchie animosità. Nonostante ciò ambedue speravano in futuro differente: da un lato, Stalin, era fermamente convinto di voler un’Europa comunista; dall’altro lato gli Stati Uniti perseguivano obiettivi ben precisi quali un ordine internazionale stabile e pacifico basato su in sistema di mercato liberoscambista. La divisione postbellica dell’Europa, però, emerse gradualmente da una complessa dinamica di conflitti e di adattamenti con cui ogni parte, sempre più consapevole degli interessi contrapposti, accettava i limiti del proprio potere. Quando nel 1945 Roosevelt morì, il suo successore Truman continuò a tentare di cooperare con Stalin. La situazione si modificò nel 1947, anno in cui iniziò apertamente la Guerra fredda con le seguenti parole di Truman: "La politica degli Usa consiste nel sostenere i popoli liberi che stanno resistendo ai tentativi di soggiogarli da parte di minoranze armate o di pressioni esterne". Era ovviamente un riferimento all’Unione Sovietica che si impossessava delle zone limitrofe dell’Europa orientale. Tre mesi dopo il segretario di Stato statunitense Marshall colse l’occasione ad Harvard per annunciare un piano per la ripresa economica, il Piano Marshall. Questo rappresentava una potente espressione dell’impegno americano nei confronti del continente europeo, basato sulla consapevolezza che l’instabilità sociale e il bisogno di beni materiali avrebbero creato un terreno favorevole per i comunisti. - RUSSIA: Anche Stalin definì la sua politica dell’Europa, basata al consolidamento del diretto controllo sovietico sulla metà orientale del continente. Venne, infatti, annunciata la formazione di una nuova versione dell’Internazionale comunista, che Stalin aveva sciolto durante la guerra, con la quale Mosca si apprestava a imporre disciplina e uniformità a tutti i partiti comunisti. La fase critica del processo di divisione dell’Europa si concluse nel 1948, quando i sovietici e i loro alleati locali instaurarono un regime comunista in Cecoslovacchia, violando le istituzioni democratiche. Come era già successo precedentemente, anche nel 1948 le potenze occidentali fecero ben poco per salvare la democrazia cecoslovacca da Stalin, e il cosiddetto colpo di Praga ebbe l’effetto di cristallizzare le loro paure di un’espansione sovietica nel resto d’Europa. A marzo dello stesso anno, Gran Bretagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo firmarono a Bruxelles un patto militare; l’estate seguente anche Canada e Usa avviarono colloqui con i membri del Patto di Bruxelles, facendo nascere il Patto Atlantico (1948-49), in cui si afferma che ogni attacco a una nazione membra sarà considerato come un attacco alla coalizione stessa fra i paesi firmatari. Dopo la seconda guerra mondiale, così come dopo la prima, l’elemento decisivo per la sicurezza europea era rappresentato dalla Germania. Anche in questo caso le due superpotenze divergevano in quanto la politica di Stalin aspirava, sul lungo periodo, al comunismo tedesco. La soluzione preliminare della questione tedesca, che venne confermata a Postdam nell’estesa del 1945, era gradita a Stalin in quanto la Germania, così anche Berlino, rimaneva un’entità che sarebbe stata governata da una Commissione di controllo composta da quattro potenze con amministrazioni separate corrispondente a quattro zone di occupazione, ognuna sotto il proprio comando militare. L’evoluzione del problema tedesco registrò esattamente il progressivo allontanamento fra l’Est e l’Ovest. Nel 1946 i britannici e gli americani unificarono le rispettive zone di occupazione e rifiutarono le concessioni di ulteriori riparazioni ai sovietici. Alla fine del 1947, la divisione dei due territori era divenuta inevitabile. Nelle zone occidentali, la divisone era strettamente connessa alla ripresa economica e all’autonomia politica e, per questo motivo, introdussero una nuova moneta. I sovietici replicarono attraverso il “blocco di Berlino” che fu raggirato organizzando un ponte aereo, con il quale gli aerei americani e britannici riuscirono a rifornire la città. Nel 1949, nella parte occidentale, venne istituita la Repubblica federale di Germania, a cui ben presto fece riscontro a Est la Repubblica democratica tedesca. Una volta formatisi i due Stati tedeschi, le basi dell’ordine postbellico erano state gettate: le democrazie parlamentari a Ovest, le “democrazie popolari” a Est; ognuna delle due parti era legata a una delle due superpotenze da una serie di accordi politici, economici e questioni aperte. Dalle catastrofi degli anni Trenta le potenze occidentali avevano imparato che la sicurezza internazionale e la stabilità interna erano inseparabili, e che non era possibile realizzare e mantenere l’una senza l’altra. - VERSO UN’EUROPA UNITA: In un discorso pronunciato il 9 maggio 1950, il ministro degli Esteri francese Schuman offrì a tale proposito una soluzione che avrebbe avuto un’importanza duratura per il futuro dell’Europa. L’ipotesi era che Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo e Italia creassero un organismo congiunto per il controllo della produzione del carbone e dell’acciaio. La creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) fu un evento rivoluzionario, da cui poi sarebbe nata l’Unione Europea. Ma un’Europa unita doveva possedere un sistema di difesa, e questo era impensabile senza il riarmo della Germania. Il sistema di difesa doveva essere pensato inoltre con una certa fretta, poiché la Corea del Nord aveva appena minacciato l’esercito statunitense di occupazione, Stalin aveva appena sperimentato la bomba atomica e in Cina le forze comuniste aveva ottenuto la meglio. Se Stalin era disposto a incoraggiare lupo della forza per controllare l’intera penisola coreana, non avrebbe potuto essere tentato da un obiettivo molto già ricco al centro dell’Europa? Di conseguenza Washington promise, attraverso il comando della NATO, non solo di difendere l’Europa da un attacco sovietico, ma anche di garantire che una Germania riarmata non sarebbe diventata una minaccia per i suoi vicini. Essendo ormai il riarmo tedesco una certezza la Francia, per limitare il potere militare tedesco, propose la creazione di una Comunità europea di difesa (CED) composta da divisioni militari fornite da Francia, Italia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. Queste unità nazionali avrebbe costituito un esercito europeo, a sua volta facente parte della NATO. Il potere della CED era però limitato in quando non poteva né dichiarare guerra per conto dei propri membri né determinare una strategia da seguire. In questo modo si sarebbe limitato il diritto di uno Stato di difendersi da solo, indebolendo le basi e lo strumento stesso della sovranità. Schuman aveva proclamato con fierezza che ci sarebbero stati “soldati tedeschi, ma non un esercito tedesco”, ma la stessa cosa si sarebbe potuta dire della Francia. Proprio per questo motivo nel 1954, con una netta maggioranza, l’Assemblea Nazionale francese affossò il progetto. Gli allegati accolsero la Germania all’interno della Nato in cambio di promesse riguardo la fabbricazione di armi atomiche, biologiche o chimiche e che avrebbero posto le proprie forze armato sotto il comando della NATO (“tenere i russi fuori, gli americani dentro e i tedeschi giù” - Ismay). Come ricompensa per aver accettato in ruolo importante nella Comunità europea per la sicurezza, nel 1955 i tre alleati occidentali posero fine alla loro occupazione della Repubblica federale di Germania, e conferirono al regime di Bonn il pieno potere di Stato sovrano sulla sua politica interna ed estera (pur con delle restrizioni militari). Lo stesso anno i sei paesi membri della CECA si riunirono a Messina per dare avvio alla formazione di una nuova organizzazione economica in quanto questa struttura istituzionale era insufficiente a contenere il dinamismo economico degli ultimi anni. Fu così che il 25 marzo del 1957 i sei paesi (Belgio, Francia, Italia, Paesi Bassi, Lussemburgo e Germania Ovest) firmarono il Trattato di Roma, con il quale veniva istituita la Comunità Economica Europea, con sede a Bruxelles. - GUERRA ATOMICA: il pericolo della guerra nucleare era qualcosa di strettamente connesso alle basi dell’ordine europeo post-bellico. In un momento non meglio precisato, infatti, fra il 1952 e il 1956, i sovietici avrebbero disposto di un numero di bombe sufficiente a produrre il crollo di mezza Europa. Ma la Russia anticipò la previsione e nel 1949 fu in grado di sperimentare un ordigno nucleare. Nel 1957, quando l’Unione Sovietica riuscì a mandare in orbita un satellite, era chiaro che disponeva di missili intercontinentali in grado di colpire obiettivi situati negli Usa. Insomma, gli Stati Uniti non detenevano più il monopolio delle armi avanzate. Quando il potenziale atomico sovietico si rafforzò, un certo numero di esperti cominciarono a mettere in discussione la saggezza e la plausibilità di quella prospettiva che Dulles definiva “massiccia rappresaglia”. Per riuscire a gestire una serie di reazioni sempre più intense, era necessario mantenere il rigoroso monopolio americano nel campo delle forze nucleari, e ciò naturalmente accentuava negli europei la sensazione di dipendere da altri. I tre più importanti alleati degli Stati Uniti reagirono alla sfida della strategia nucleare con modalità che riflettevano le loro rispettive posizioni geopolitiche es esperienze storiche: i britannici accettarono il ruolo di membro subalterno; la Francia, bisognosa di un a propria forza nucleare, decise di uscire dalla NATO; la Germania, invece, vulnerabile rispetto all’attacco sovietico, richiedeva la disponibilità di ordigni nucleari senza ottenere risultati positivi. Alla fine degli anni Sessanta, l’Europa aveva acquisito una certa stabilità nel campo della sicurezza. Il cuore del conflitto si era sposta nel Medio Oriente, dove la vittoria di Israele nella guerra dei sei giorni del 1967 generò una nuova serie di pericoli, e nel Sud-Est asiatico, dove gli USA erano impegnati in una lunga e dispendiosa guerra. Per alcuni anni, dunque, il rapporto tra Usa e Unione Sovietica rimase ostile e competitivo, ma ognuna delle due parti si impegnò ad evitare uno scontro militare, che avrebbe avuto conseguenze catastrofiche. La dimensione delle possibili distruzioni, rendeva l’uso degli armamenti atomici sempre più impensabile. - LA FINE DEL COLONIALISMO: Il colonialismo finì perché si modificarono le valutazioni morali degli europei e la loro percezione di ciò che veramente contava. Quando i popoli assoggettati cominciarono con sempre maggiore insistenza a chiedere l’indipendenza, i colonizzatori si chiesero se il mantenimento delle colonie valesse tutto quel sangue e quelle risorse che occorrevano a tale scopo. L’imperialismo aveva di fatto smesso di apportare benefici apprezzabili ai paesi avanzati. Se il colonialismo non apportava alcun vantaggio né alla madrepatria e né alle colonie, non vi era ragione per mantenerlo. Una dimostrazione era stata data dalle lotte per l’indipendenza da parte dell’Algeria, da sempre colonia francese e considerata parte interante del territorio: quest’ultima intendeva mantenere la colonia con la forza, ma dopo tre anni di guerra decise di mollare e concedere l’indipendenza all’Algeria (“l’Algeria ci costa più di quanto valga” dichiarò de Gaulle nel 1961). L’ASCESA DELLO STATO CIVILE: Nell’autunno del 1937 Laswell pubblicò un saggio in cui sosteneva che in ogni parte del mondo gli Stati civili, guidati da uomini d’affari e altri specialisti in negoziati e compromessi, stavano aprendo la strada all’affermazione degli Stati di guarnigione, “nei quali gli specialisti della violenza rappresentano il gruppo più potente della società”. In questi stati, ogni aspetto della vita sociale, produzione, amministrazione e cultura, si indirizzava verso la guerra, e ogni cambiamento sociale si traduceva in potenziale bellico. George Orwell, giornalista e scrittore britannico, descrisse nel suo libro intitolato “1984”, pubblicato nel 1949) un’utopia negativa di come sarebbe stata l’Europa, dando all’idea di Laswell di uno Stato organizzato in funziona esecutiva della guerra la sua espressione letteraria canonica. La Terra, nel romanzo, è divisa in tre grandi potenze totalitarie perennemente in guerra tra loro: Oceania, Eurasia ed Estasia che sfruttano la guerra perenne per mantenere il controllo totale sulla società. Come abbiamo visto, però, il futuro dell’Europa non assomigliò né alle agonie totalitarie del libro di Orwell e né al mondo militarizzato dello Stato guarnigione di Lasswell, politologo americano, in cui il mondo è dominato dalla violenza. Anzi, fra le rovine lasciate dalla guerra, gli europei costruirono degli Stati a forte connotazione civile, organizzati in funzione della pace e a vantaggio della produzione economica (e non di quella bellica). Sia dal punto di vista istituzionale che territoriale, i confini degli Stati europei diventarono più aperti e permeabili di quanto non fossero mai stati prima. La crescita economica dopo la guerra consentì ad ogni Stato dell’Europa occidentale di recuperare rapidamente dai disastri della guerra e di ricostruire le città distrutte. Alla fine del 1950, stava cominciando a emergere un nuovo tipo di società. La prosperità di cui gli europei godettero era data anche dai ricordi che le persone conservavano delle sofferenze sopportate durante e subito dopo il conflitto. Ma gran parte di questo relativo benessere dipendeva in particolare dai rapporti commerciali fra gli Stati europei: nel 1960 un terzo delle importazioni dei paesi della Comunità Europea proveniva da atri paesi membri. Oltre all’istruzione, ora i governi si assumevano la responsabilità dell’assistenza sanitaria, dei sussidi di disoccupazione, delle pensioni di vecchiaia e di invalidità e della concessione di alloggi a basso prezzo. Mentre la crescita economica metteva a disposizione degli Stati entrate sempre più consistenti, nessuno di essi spese queste risorse addizionali nel settore militare, pur mantenendo o reintroducendo la leva. - IL 1968: Nel 1968, la Central Intelligence Agency (CIA) informò il presidente americano Johnson che il dissenso era diventato un fenomeno di dimensioni mondiali. I contestatori attingevano a tre comuni fonti di malcontento: 1) La guerra del Vietnam: questa fece emergere atteggiamenti di antiamericanismo, antimilitarismo e simpatia nei confronti dei popoli del Terzo Mondo. 2) Sentimenti di malcontento: questi univano chi rifiutava il materialismo del boom economico del dopoguerra e chi credeva di non poter ricevere una giusta porzione dei benefici che esso apportava. 3) Una nuova società: la generazione del ’68 era la prima del dopoguerra che, non avendo una diretta esperienza della depressione e della guerra, poteva concentrare la propria attenzione sulle manchevolezze della società contemporanea piuttosto che sul suo progresso nel corso del tempo. Ovunque emersero leader carismatici che formularono richieste politiche e infiammarono folle entusiaste, che spesso si scontravano con le forze dell’ordine. Ma le proteste erano comunque di natura pacifica, e forse fu proprio questo elemento a distinguerle da quelle passate. - TERRORISMO IN POLITICA: Il terrorismo politico ebbe esiti particolarmente cruenti in Italia, in parte per l’incompetenza e la corruzione governativa, in parte perché i gruppi terroristici emersero sia all’estrema destra sia all’estrema sinistra, contribuendo a generare un senso di crisi politica. Dal 1969 al 1980 la violenza a sfondo politico provocò in Italia circa 400 morti e 1000 feriti. Nel 1978 il rapimento e l’uccisione da parte delle Brigate Rosse dell’ex presidente del Consiglio Aldo Moro costrinse il governo ad assumere l’iniziativa: in pochi anni i capi brigatisti vennero catturati, e la capacità offensiva della formazione di estrema sinistra venne ridimensionata. In Irlanda del Nord, invece, i terroristi furono capaci di conquistarsi una base sociale molto più ampia, mobilitando antagonismi interni profondamente radicati. A partire dal 1967, la minoranza cattolica del paese cominciò a far propaganda per rivendicare l’uguaglianza dei diritti e delle opportunità. L’Irish Republican Army (IRA) ritornò in campo, determinato a cacciare i britannici dal paese una volta per tutte. Nel 1969 le truppe britanniche inviate sull’isola per restaurare l’ordine vennero trascinate nel conflitto. Negli anni Settanta i più significativi mutamenti politica avvenuti in Europa non furono prodotti della violenza pseudo-rivoluzionaria ma dai processi di natura pacifica cube trasformarono regimi autoritari di Grecia, Spagna e Portogallo in stabili democrazie liberarli. Nel 1949 la Grecia emerse dalla sua aspra guerra civile economicamente debole, politicamente divisa e spiritualmente esausta. Solo dopo circa 25 anni di colpi di Stato e governi squallidi e impopolari, un gruppo di ufficiali moderati guidarti da Eanes prese il potere e indisse nuove elezioni. Nell’accidentato Portogallo, invece, in soli due anni i riformatori riuscirono a porre fine a un regime autoritario che era rimasto al potere per più di 50 anni, a liquidare una serie di sanguinose guerre coloniali e a sopravvivere ad un tentativo di colpo di stato da parte dei difensori di destra del vecchio ordine. Allo stesso tempo, inseriranno un governo eletto dal popolo e mantennero i legami con i paesi della NATO, sviluppando un solido e sempre più vantaggioso sviluppo con la Comunità Europea. La Spagna era invece un esempio di transizione pacifica alla democrazia. Il dittatore Francisco Franco stava ormai vivendo i suoi ultimi anni al potere. Ne approfittarono i separatisti Baschi: con l’acronimo di ETA, un’organizzazione terroristica, il loro scopo era la separazione del popolo Basco dalla Spagna e la propria indipendenza. I riformatori però ebbero la fortuna di poter contare sul sostegno del successore di Franco, re Juan Carlos, il quale si rese conto che una Spagna pacifica avrebbe dovuto basarsi su salde istituzioni democratiche. Quando Franco morì nel 1975, la sua dittatura fu trasformata in una democrazia parlamentare. - EUROPA ORIENTALE: L’Europa orientale non sembra far parte della stessa storia pacifica che abbiamo appena visto. Nei regimi comunisti il conflitto armato rimaneva sempre vicino alla superficie della vita pubblica. Inoltre, i regimi dell’Europa orientale non intrapresero un processo di demilitarizzazione come quello dei paesi occidentali, ma continuarono a tenere in piedi vasti eserciti. Ci fu comunque uno sviluppo, seppur lento e irregolare, dei valori e delle consuetudini civili, che contribuì a gettare le basi delle grandi rivoluzioni pacifiche del 1989. - UNIONE SOVIETICA: All’improvvisa morte di Stalin per un attacco cardiaco, nel 1953 il sistema sovietico subì un deciso cambiamento, e salì al potere Nikita Chruščëv. Il terrore si attenuò ed ebbe effetti meno letali, in quanto il regime adottò una politica di “repressione senza annientamento”. Vennero rilasciati moltissimi prigionieri politici. Berija, che aveva guidato l’apparato del terrore staliniano, fu arrestato e giustiziato. Rimaneva comunque una società soggetta a limitazioni: i campi di lavoro forzato, ad esempio, rimasero in attività, il dissenso veniva punito, e la società doveva obbedire. Sotto Chruščëv, l’economia sovietica crebbe a un ritmo intenso, aumentando la disponibilità di beni di consumo. I cittadini sovietici cominciarono ad acquistare televisori e frigoriferi, prospettando anche un miglioramento del livello di vita. Le pretese di superiorità da parte dei russi si fecero ancora più convinte quando, nell’ottobre del 1957, essi lanciarono il primo satellite orbitante intorno alla Terra. Chruščëv ambiva ad annientare i suoi avversari capitalisti non con la guerra, ma con una cara economica nella quale un tempo l’occidente era apparso imbattibile. Ma nonostante ciò, il sistema sovietico non superò l’Occidente. Anzi, la crescita economica rallentò e il divario fra i livelli di vita tra Est e Ovest divenne più ampio. Prevalse Gorbacev, che non era stato coinvolto attivamente nella seconda guerra mondiale. Egli, date le circostanze e il periodo di stagnamento dell’economia, sapeva che era inevitabile introdurre riforme sostanziali. Formulò proposte di disarmo innovative, cominciò a cessare la guerra che le forze sovietiche stavano combattendo a sostegno del regime comunista in Afghanistan, e ipotizzò che l’Unione Sovietica potesse smettere di imporre ai suoi alleati dell’Europa dell’Est la conformità alla propria politica. In Unione sovietica, la dissoluzione dell’impero era parte di una crisi terminale, che si concluse con il collasso totale del sistema. Le forze della democrazia e dell’autodeterminazione a cui Gorbacev aveva dato spazio in Europa orientale filtrarono anche all’interno delle frontiere sovietiche. Intorno al 1990 quattordici repubbliche sovietiche dichiararono la propria indipendenza e si costituirono come Stati sovrani separati. Il 25 dicembre del 1991 l’Unione Sovietica si dissolse pacificamente. PERCHE’ L’EUROPA NON DIVENTERA’ UNA SUPERPOTENZA: All’inizio del 1990 la Repubblica socialista federale di Iugoslavia stava per sfasciarsi. In Serbia e Croazia le recenti elezioni avevano confermato al potere Milosevic e Tudman, i quali puntavano a distruggere la struttura federale creata da Tito dopo la seconda guerra mondiale. Le guerre degli anni 90 nei Balcani ebbero terribili conseguenze per gli abitanti della regione. Inoltre, gli europei intervenivano raramente e senza efficacia per riportare la pace fra i popoli che vivevano lungo le frontiere sud-orientali. Nel 1990 la frontiera fra le due Germanie, che aveva rappresentato per 40 anni una delle cause delle ostilità fra Est e Ovest, scomparve dalla carta politica: la nuova Germania, legata all’Occidente, era adesso libera da limiti esterni alla propria sovranità. Il rapporto dell’Europa con gli Stati Uniti rimaneva sempre ineguale e controverso. Fin dalla sua formazione (1949), l’Alleanza atlantica aveva fronteggiato una crisi dopo l’altra. Europa e Usa si erano trovati in disaccordo ad esempio sul riarmo tedesco, sull’invasione di Suez, sulla guerra del Vietnam, sulla crisi dei missili ecc. Ma anche se qualcuno avesse desiderato dire addio all’alleato americano, finché la minaccia sovietica permaneva, pochi disponevano di una vera alternativa. Nel 1986 i paesi membri della Comunità Economica Europea firmarono l’Atto unico europeo, il cui obiettivo era la realizzazione di un’economia europea senza barriere, nella quale beni, capitali e lavoro circolassero senza limiti. Pochi anni dopo, nel 1991, con il Trattato di Maastricht si diede vita all’Unione Europea. Il trattato affermava la volontà di attuare una politica estera e di sicurezza comune, imponendosi sulla scena internazionale. Insomma, vi era una volontà comune a molti di voler creare un sistema di difesa europeo più autonomo e indipendente dalla NATO: gli americani però facevano sapere che si sarebbero opposti a qualsiasi organismo di difesa indipendente che potesse competere con la NATO. SADDAM HUSSEIN: Una prima crisi internazionale fu innescata dall’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq nel 1990. Il capo del regime repressivo iracheno, Saddam Hussein, sperava di impossessarsi delle risorse necessarie (il Kuwait è ricco di petrolio) per riprendersi dalla costosa guerra che aveva combattuto contro l’Iran negli anni 80. In questo modo, Saddam poteva controllare il 20% delle riserve petrolifere mondiali e minacciarne un altro 30% nella vicina Arabia Saudita. L’Europa si fece da parte e lasciò l’iniziativa agli Usa, i quali misero in piedi una vasta coalizione internazionale per sostenere l’azione militare contro l’Iraq. Né la NATO e né le istituzioni dell’Unione Europea vennero coinvolte. La rapida e decisiva vittoria della coalizione nel 1991 mise in rilievo la forza americana e la dipendenza dell’Europa. IUGOSLAVIA: Non appena gli Stati Uniti affermarono che la Iugoslavia era un loro problema, gli europei accettarono la sfida. In realtà, gli interventi nei Balcani furono molto incerti e frammentati. L’azione più decisiva, intrapresa su insistenza della Germania, consisté nel riconoscimento della secessione della Slovenia e della Croazia dalla Iugoslavia (1991). Ma ciò intensificò la guerra combattuta dai serbi e dai croati contro la Bosnia. All’Unione europea mancava la volontà e l’immaginazione per tentare di ripristinare un’eventuale pace nei Balcani. Nel 1994, dopo anni di massacri, gli Usa cominciarono a dedicare attenzione alla disperata situazione dei musulmani di Bosnia. Le forze della NATO minacciarono i serbi di bombardare le loro posizioni se non avessero interrotto l’attacco a Sarajevo. La svolta si ebbe nel 1995, quando la città bosniaca di Srebrenica, indicata dalle Nazioni Unite come rifugio sicuro, venne conquistata dai soldati serbi, che cacciarono le truppe olandesi inviate sul posto per mantenere la pace, e poi massacrarono migliaia musulmani indifesi. Questi fatti convinsero gli americani che se non fossero intervenuti sarebbe accaduto lo sfacelo. Le forze Serbo-bosniache ignorarono le richieste di cessate il fuoco, e dunque la NATO procedette a incursioni aeree; solo così accettarono di interrompere le ostilità. Le forze in conflitto firmarono un trattato con cui si stabiliva l’indipendenza della Bosnia, secondo una divisione territoriale su base etnica. Il rispetto della pace fu garantita dalla NATO che inviò 60.000 soldati sul posto. Ma negli anni 90 c’era una nuova crisi dei Balcani, stavolta riguardante il Kosovo, provincia della Federazione iugoslava dominata dai serbi. Durante le guerre di secessione iugoslave, i rapporti tra la minoranza serba e la maggioranza albanese del Kosovo si deteriorarono. Dopo il 1995 si innescò una spirale di proteste violente e repressioni. In Europa e negli Usa aumentò la pressione dell’opinione pubblica per un intervento. La Nato cominciò a bombardare obiettivi situati in Serbia: cominciò una guerra aerea durata 78 giorni, alla fine della quale Milosevic accettò di ritirare le forze serbe dal Kosovo. Le forze della NATO non subirono nemmeno una perdita in combattimento. La guerra del Kosovo dimostrò nuovamente l’incapacità degli europei di agire da soli, e consolidò la loro convinzione dell’esigenza di dotarsi di un autonomo sistema di sicurezza. 11 SETTEMBRE 2001: L’11 settembre del 2001 è una data che tutti ricordano principalmente per gli attacchi terroristici al World Trade Center a New York e al Pentagono a Washington. L’Europa espresse immediatamente solidarietà. In due riunioni, i rappresentanti della NATO si trovarono d’accordo, per la prima volta nella storia dell’alleanza, nel fare appello alla clausola di difesa reciproca contenuta nel trattato: così, gli aerei della NATO vennero inviati a pattugliare lo spazio aereo statunitense. Gli americani tendevano a ritenere il terrorismo un movimento di portata globale che minacciava direttamente la loro sicurezza nazionale. Gli europei, invece, abituati a combattere le loro forme locali di terrorismo per vari decenni, lo consideravano una costante sfida al loro ordine interno. Per difendersi, il rimedio consisteva in politiche di sicurezza più efficaci, in leggi più restrittive e in un’intensificazione della sorveglianza. L’obiettivo era estradare i terroristi e processarli come criminali, non scatenare una guerra contro gli Stati sospetti. Inizialmente solo gli inglesi svolsero un ruolo rilevante nella prima operazione militare contro il terrorismo globale: va ricordata ad esempio la campagna per rovesciare il regime islamico dei talebani in Afghanistan, paese in cui si rifugiava Osama bin Laden, l’ideatore degli attentati dell’11 settembre. Ma gli americani non avevano bisogno dell’aiuto degli alleati in Afghanistan. All’Europa parvero eccessivi i ricorsi da parte degli Usa a soluzioni militari, le minacce di interventi preventivi e l’evidente disinteresse per una linea di consultazione e di cooperazione. A ciò si aggiungevano il ricorso alla pena di morte, l’assenza di controlli sulle armi, e il disinteresse per l’inquinamento globale. Solo la Gran Bretagna sembrava sostenere attivamente la politica militare americana, che di fatto vedeva nella guerra l’unica risoluzione per la questione irachena. Chirac e Schroder, rispettivamente presidente della repubblica francese e cancelliere tedesco, denunciarono la politica americana e si opposero alla guerra. Tutti gli altri stati risposero con un sostegno più o meno credibile. GUERRA D’IRAQ: All’inizio sembrò che la guerra irachena, iniziata nel 2003 per catturare Saddam Hussein, si sarebbe conclusa con un’altra rapida e poco costosa vittoria della tecnologia militare americana. L’Iraq sprofondò in una situazione insurrezionale, nella quale i difensori del regime di Saddam combatterono contro le forze di occupazione. La maggior parte delle azioni militari venne condotta dai soldati americani, e in grado minore da quelli britannici; gli altri membri della coalizione decisero di ridurre o ritirare i propri modesti contingenti. Ma il conflitto si prolungò più di quanto si pensasse, e ciò accentuò in Europa e altrove l’ostilità nei confronti degli Stati Uniti. La guerra d’Iraq termina il 15 dicembre 2011 col passaggio definitivo di tutti i poteri alle autorità irachene da parte dell'esercito americano. A fine marzo 2008 il costo complessivo dei 5 anni di guerra in Iraq, per il contribuente statunitense, supera i 500 miliardi dollari, con un incremento mensile di oltre 340 milioni di dollari. CAUSE: 1) La probabile ricostituzione dell'arsenale iracheno di armi di distruzione di massa; Baghdad possiede armi chimiche e biologiche ed anche missili di gittata superiore a quella permessa dalle restrizioni imposte dall'ONU; 2) I contatti fra l'Iraq e vari gruppi terroristici, indice di una possibile collaborazione (l'Iraq avrebbe potuto fornire armi atomiche da impiegare in un attentato). Possibili legami tra l’Iraq e Al-Qaeda; 3) Il prestigio internazionale degli Stati Uniti sarebbe uscito rafforzato, spingendo molti paesi ad allinearsi con Washington e migliorando la situazione politica internazionale; 4) L'abbattimento e la sostituzione del regime iracheno con un governo democratico avrebbe migliorato l'immagine degli USA in Vicino Oriente, fornendo un esempio da imitare alle popolazioni della regione; 5) Una volta conquistato, si sarebbe potuto usare l'Iraq come base per attaccare e rovesciare i regimi di Siria e Iran. 6) Israele (stretto alleato degli USA con cui l'Iraq era formalmente in guerra da decenni) avrebbe beneficiato dell'eliminazione di uno dei suoi più acerrimi avversari. NUOVA EUROPA: La cittadinanza europea è una questione di diritti e privilegi, non di obblighi e di impegni. All’inizio del ventesimo secolo, l’identità politica delle persone era determinata da consuetudini, rituali e istituzioni concepiti per rafforzare la fedeltà e l’impegno nei confronti di un particolare Stato. Dal 1945, in ogni Stato europeo, quelle istituzioni e quei simboli sono diventati progressivamente più deboli; nella stessa Unione Europea non sono mai esistiti. L’unione non fa alcuno sforzo per plasmare un’identità per i propri cittadini. Non richiede che essi siano europei e non qualcosa d’altro. Piuttosto, l’identità europea è un diffuso crogiolo di appartenenze nazionali, locali e culturali, nel quale nessun elemento è preponderante. L’idea di Europa non suscitava un’adesione emotiva, non ispirava i cuori come avevano fatto le nazioni, non rappresentava qualcosa per cui molti sarebbero stati disposti a dare la vita. Tuttavia, l’Europa era piena di un diffuso impegno a sottrarsi ai distruttivi antagonismi del passato. Come abbiamo visto, nella prima metà del secolo gli Stati europei venivano fatti dalla guerra e in funzione della guerra; nella seconda metà, gli Stati europei furono fatti dalla pace e in funzione di essa. L’Unione Europea potrà diventare un superstato civile, non una superpotenza. IL FUTURO DELLO STATO CIVILE: Sappiamo che esiste un’incongruenza tra la forza economica dell’Europa e la sua debolezza militare. Ciò, secondo il pensiero di Boniface (esperto di questioni strategiche) rende l’Unione in qualche modo incompleta. In realtà, non vi è niente di illogico e di incongruo nel fatto che nell’Europa contemporanea la forza economica e la debolezza militare coesistano. Quell’intreccio di dedizione e coercizione che una volta motivava le persone a combattere e a morire per la propria nazione è scomparso per sempre. Al momento sembra difficile immaginare che i paesi dell’Unione Europea possano combattersi l’un l’altro. Se la violenza incomberà nuovamente in Europa, non proverrà dal suo interno, ma da fuori, dall’instabile e pericoloso mondo in cui gli europei si trovano a condurre le loro vite civili. Bisogna ricordare inoltre che l’allargamento dell’Unione Europea, che è giunta a includere la maggior parte degli Stati ex comunisti dell’Europa orientale, ha avuto l’effetto di consolidare sia le istituzioni democratiche e sia i valori civili. Forse la questione di confine più urgente e complessa che l’Europa odierna si trova a dover affrontare è rappresentata dalla Turchia, che aspira fortemente a entrare nell’Ue. La Turchia è un caso difficile non perché è uno stato musulmano, ma perché non è evidentemente uno Stato civile. La Turchia moderna, infatti, è stata creata dagli eserciti. Diversamente dai paesi membri dell’Unione (con eccezione della Grecia), la Turchia ha mantenuto l’obbligo quasi universale del servizio militare e dispone di un esercito di leva di massa. Al momento non esistono minacce militari dirette all’Europa che provengano dalle sue periferie. Ma gli europei sono vulnerabili rispetto ad altri tipi di attacchi: inquinamento, malattie e criminalità possono penetrare facilmente attraverso i fragili confini dell’Unione.